L’autore, l’argomento e il significato sono misteri insondabili. Nessuno sa nemmeno in quale lingua sarebbe scritto il testo se si potesse decifrare. Fantasiose immagini di donne nude, di strane invenzioni e flora e fauna inesistenti allettano il presunto decifratore. Schizzi a colori nell’impegnativo stile di un erbario medievale raffigurano fiori e spezie mai comparsi sulla Terra e costellazioni mai viste in cielo. Progetti di strani impianti idraulici ultraterreni mostrano ninfette che sguazzano in vasche a semicupio collegate da diramazioni di tubi a gomito. Il manoscritto ha il misterioso fascino di un libro perfettamente sensato proveniente da un altro universo. Le figure illustrano alcuni argomenti del testo, o sono un inganno? Nessuno lo sa.
Una lettera scritta nel 1666 afferma che l’imperatore del Sacro Romano Impero Rodolfo II di Boemia (1552-1612) acquistò il manoscritto per 600 ducati d’oro. Potrebbe averlo acquistato dal dottor John Dee, un disinvolto astrologo e matematico che viaggiava sulle ali della fortuna da una corte regale all’altra. Rodolfo pensava che il manoscritto fosse stato redatto dal frate e filosofo inglese Ruggero Bacone (Roger Bacon, c. 1220-92).
L’indicazione di Bacone valeva qualsiasi altra. Il “Doctor mirabilis” era diventato per diverse generazioni dopo la sua morte una figura quasi mitica, metà erudito e metà stregone. Bacone era un collezionista di libri arcani. Conosceva la polvere da sparo e lasciò intendere nei suoi scritti di conoscere altre cose che non era pronto a rendere pubbliche. Al tempo della sua morte, le opere di Bacone erano considerate così pericolose che (secondo le concezioni romantiche) furono inchiodate alla parete della biblioteca di Oxford perché si polverizzassero al vento e alla pioggia. Si dice che il manoscritto Voynich sia rimasto a languire per molto tempo nel collegio gesuitico di Mondragone presso Frascati.
Poi nel 1912 fu acquistato da Wilfred M. Voynich, uno scienziato e bibliofilo americano di origine polacca. Voynich era genero di George Boole, il logico, e marito di Ethel Lillian Voynich, una scrittrice inglese molto nota in Unione Sovietica e in Cina (per The Gadfly [Il tafano]), un romanzo rivoluzionario da tempo dimenticato in Occidente). Mancando un titolo intelligibile, il manoscritto prese il nome di Voynich. Questi lo portò in America, dove venne intensamente studiato. Studiosi e persone stravaganti hanno analizzato, e poi dimenticato, il manoscritto Voynich in diverse riprese negli ultimi settantacinque anni.
Il manoscritto si trova ora nella biblioteca Beinecke di manoscritti e libri rari all’Università di Yale. Il cifrario del manoscritto non è normale. Se lo fosse, sarebbe stato decrittato da tempo. Il cifrario non usa lettere latine né altre lettere convenzionali.
Non è un’immagine speculare della scrittura né una semplice deformazione di caratteri noti. Il cifrario impiega approssimativamente 21 simboli arricciati che ricordano vagamente alcune scritture mediorientali.
Naturalmente, i simboli non appar- tengono a nessun alfabeto mediorientale conosciuto. Alcuni simboli sono uniti assieme come note musicali legate. Certi simboli compaiono raramente, o forse come varianti maldestre degli altri. La scrittura forma “parole” separate da spazi.
La figura mostra i più comuni simboli del Voynich classificati secondo uno schema usato dal fisico William Ralph Bennett, che ha sottoposto il manoscritto a un’analisi computerizzata. Le lettere di Bennett (indicate al di sotto di ciascun simbolo del Voynich) sono arbitrarie e servono soltanto a identificare isimboli consentendo di immetterli nel computer.
Alcuni simboli (quelli contrassegnati da A, I, L, M, N, O) sono simili alle versioni minuscole delle corrispondenti lettere latine. Secondo Bennett, altri simboli assomigliano a lettere degli alfabeti ci-rillico, glagolitico (antico bulgaro) ed etiopico. Il simbolo indicato di Y sembra cinese.
Ad aumentare la confusione, il foglio 17 contiene una minuscola nota in tedesco medioalto, non necessariamente dell’autore, che parla dell’erbario di Matthiolaus. Alcune carte astrologiche del manoscritto hanno i mesi indicati in spagnolo. Nella prima pagina, ciò che sembra essere una tabella di decrittazione si è da tempo sbiadito al punto da essere illeggibile. Mancano circa 40 pagine del manoscritto. Originariamente conteneva 17 quaderni di 16 pagine ciascuno. Le ultime pagine del libro presentano sui margini raffigurazioni di stelle, ma non hanno scrittura. Ciò lascia intendere che prima siano state eseguite le figure e poi sia stato inserito il testo scritto. In questo caso le figure potrebbero essere puramente decorative. Molti hanno comunque cercato di ricavare un significato dalle illustrazioni. Alcuni hanno ipotizzato che il numero di stelle, donne o fiori su una pagina codifichi qualcosa. Le figure di piante potrebbero indicare che il testo riguarda gli usi medicinali o magici delle erbe, forse un elisir di lunga vita o qualcosa del genere.
I botanici hanno avuto alterna fortuna nell’identificare le piante illustrate. La figura del foglio 93 potrebbe essere o non essere un girasole. Un frutto al foglio 101 ricorda il capsico. Entrambe sono piante americane sconosciute in Europa fino al ritorno di Colombo nel 1493, ossia un paio di secoli dopo la morte di Bacone. È stata avanzata ogni sorta di esotica supposizione. Il manoscritto è redatto in una lingua morta andata perduta; evita apposta le lettere più comuni della lingua di origine per deludere i decifratori; è un falso privo di senso (di John Dee? Dei gesuiti? Di Voynich?) creato per fare soldi; è l’opera di un James Joyce medievale, che si inventava le parole; è il furioso delirio di un pazzo di cui si è persa la memoria. Il manoscritto Voynich ricorda (e probabilmente ha ispirato) il racconto di Borges Tlön, Uqbar, Orbis Tertius. Nel racconto un eccentrico miliardario finanzia un complotto di studiosi per scrivere un’enciclopedia del mondo immaginario “Tlön”. Le prime bozze sono in inglese, ma il piano è di tradurre l’enciclopedia nella lingua e nella scrittura di Tlön (ugualmente immaginarie), creando un’opera totalmente inaccessibile. Il codice Voynich è diventato un rompicapo insolubile per i crittografi. Molti fra i più abili decifratori militari di questo secolo hanno provato a decrit- tarlo come esibizione di bravura. Herbert Yardley, il crittografo americano che risolse il cifrario tedesco nella prima guerra mondiale e che decifrò un codice diplomatico giapponese senza conoscere la lingua giapponese, non ebbe successo con il manoscritto Voynich. E nemmeno John Manly, che decodificò il codice Waberski, né William Friedman, che ebbe la meglio sul “codice viola” giapponese degli anni Quaranta. Nella battaglia sono stati trascinati in anni recenti anche i computer, senza esito. Ilfatto che i computer non siano riusciti a decifrare il manoscritto Voynich potrà sorprendere. In pratica, il compito di decrittare un codice è soprattutto una questione di trovare “punti deboli”. Come un diamante viene tagliato lungo dislocazioni del cristallo, così i cifrari vengono risolti sfruttando regolarità rilevatrici. Il manoscritto Voynich sembra essere un cifrario intrattabile, una sequenza di simboli purgata di tutti i contrassegni statistici della lingua. I tentativi di risolverlo sono stati altrettanto inutili quanto cercare di inserire un cesello nella parte geometricamente perfetta di un cristallo di diamante. A meno che non sia un inganno (e vedremo più avanti che quasi certamente non lo è), il testo del manoscritto Voynich aveva una qualche significato per il suo autore. Tale significato è in parte dovuto a ciò che l’autore pensava al tempo in cui lo scrisse. Ma il significato è anche intrinseco alla struttura dei simboli? Oppure ad una chiave del cifrario andata perduta? O a tutte queste cose assieme? Le nostre possibilità di decifrarlo dipendono dal significato “contenuto” tanto nella struttura dei simboli quanto negli ormai inconoscibili processi mentali dell’autore. È dubbio che Bacone o qualunque altro autore medievale abbia creato da solo un codice più sicuro delle decine di cifrari militari dei secoli successivi che sono stati effettivamente risolti. Alcuni vedono in ciò una prova dell’insensatezza del manoscritto Voynich. Una serie di simboli non significa necessariamente qualcosa. Vi è un qual- che modo per dire se un insieme di simboli contenga un messaggio? È uno degli interrogativi più difficili nello studio della conoscenza. Immaginatevi che qualcuno in un remoto futuro dissotterri un astuccio per i posteri che contenga un giornale della nostra epoca. A quel tempo, la nostra lingua sarà ormai dimenticata; anche l’alfabeto latino sarà sconosciuto. Un archeologo guarda il giornale e decide che deve trattarsi di una forma di scrittura. Spera di decifrarla e di conoscere la vita delle persone che hanno seppellito l’astuccio. Un altro archeologo dice: “Non perdere tempo! È carta da parati! La gente la incollava nelle pareti delle case. Quegli scarabocchi neri sono un disegno decorativo molto di moda a quei tempi.” Potreste pensare che il primo archeologo non avrebbe difficoltà nel dimostrare che i caratteri di stampa sono scrittura e non un disegno di carta da parati. Vi sarebbero regolarità nei caratteri (lettere comuni, parole comuni, punti alla fine delle frasi) che li identificherebbero come scrittura. Il problema è che vi sono regolarità anche nei motivi decorativi. È difficile dire sui due piedi in che modo le regolarità di un disegno sconosciuto differiscano necessariamente da quelle di uno scritto sconosciuto. Più estranea è la scrittura o l’arte decorativa, meno sicuri possiamo essere di una tale attribuzione. Né l’archeologo potrebbe aspettarsi di de- cifrare il giornale dimostrando così di avere ragione. La scrittura geroglifica egizia non è mai stata “decifrata” sulla base di indizi interni. Solo la casuale scoperta della stele di Rosetta la rivelò al mondo moderno.
Vi è un fascino agrodolce nell’enigma del manoscritto Voynich. Non è solo la prospettiva di scoprire un diario medievale, testo di magia o un libro proibito di erotismo. Proprio per la sua imperscrutabilità, il manoscritto Voynich è un commento sulla fragilità della conoscenza.
RUGGERO BACONE
Due Bacone sono stati fra i pionieri del metodo scientifico: il frate francescano Ruggero Bacone nel XIII secolo e, tre secoli più tardi, lo statista del perido elisabettiano Francesco Bacone (sir Francis Bacon, 1561-1626). Ruggero Bacone è di gran lunga il più misterioso dei due. Poco si sa della sua vita al di là di ciò che si può congetturare attraverso i suoi scritti. Sappiamo che fu un educatore che teneva lezioni ad Oxford e a Parigi. A un certo punto della sua carriera, abbracciò l’Ordine dei Francescani e fece voto di povertà. Intorno al 1247 si manifestò in Bacone un’insoddisfazione per la fede che i suoi contemporanei nutrivano nei confronti della scienza aristotelica. Egli era dell’opinione che l’osservazione diretta e la sperimentazione fossero superiori alla fiducia nelle autorità costituite. Questo rilievo dato alla sperimentazione lo attribuiva a Durand de Saint Pourçain, un filosofo domenicano francese di cui non si sa molto di più. Nel 1267 Bacone riferì di avere speso nel corso degli anni più di 2000 sterline parigine in esperimenti e “libri segreti”. Da uno di questi libri rari apprese la formula della polvere da sparo. Descrisse la preparazione degli esplosivi in forma cifrata. L’originalità di Bacone creò degli attriti fra lui e la gerarchia francescana. Fortunatamente, Bacone era anche amico di colui che doveva diventare Papa Clemente IV. Clemente, avendo saputo delle idee di Bacone su un’enciclopedia filosofica, gli ordinò di inviargliene una copia. Il Papa pensava che l’opera esistesse già. In realtà, era soltanto un’idea che Bacone aveva parzialmente abbozzato in lettere agli amici. Anziché spiegarsi, Bacone si mise al lavoro. Tenne nascosto il progetto ai suoi confratelli francescani, lavorando senza copisti.
Un anno e mezzo più tardi aveva redatto una trilogia: Opus Maius, Opus Minus, Opus Tertium. Queste opere resero noto Bacone per le riflessioni sulla tecnologia futura. Descrisse un telescopio (ma non aveva un modello pratico).
Immaginò le automobili e, con minore precisione, gli aerei. Bacone pensava al volo muscolare umano, in cui le braccia umane muovessero ali artificiali. Concluse inoltre che si sarebbero potuti far volare palloni riempiendoli con gas più leggeri dell’aria. Bacone era convinto che la Terra fosse rotonda. L’Opus Maius descrive un viaggio per mare verso ovest dalla Spagna all’India.
Il cardinale Pierre d’Ailly commise un plagio riportando questo brano nella sua Imago Mundi (pubblicata nel 1480), dove Colombo lo lesse e lo citò in una lettera a Ferdinando e Isabella di Castiglia. Alla fine Bacone fu sopraffatto dalla sua reputazione come operatore di miracoli.
I francescani lo imprigionarono nel 1278 per “novità sospette”. La storia dei nemici di Bacone che distruggono i suoi libri dopo la morte di lui è evidentemente falsa. Per quanto ne sappiamo, tutte le sue opere principali sono sopravvissute.
FALSE DECIFRAZIONI
Il manoscritto Voynich ha condotto alcuni, se non alla pazzia, certo a uno straordinario autoinganno. Più di qualcuno è andato al cimitero pensando di avere decifrato il manoscritto Voynich. Nel 1921 il professor William Romaine Newbold dell’Università della Pennsylvania annunciò di avere decifrato il manoscritto Voynich, dicendo che avrebbe rivelato la sua scoperta a una riunione dell’American Philosophical Society. Al pari di molti, Newbold attribuiva il manoscritto a Ruggero Bacone. Pensava che esso dimostrasse che Bacone aveva costruito sia un microscopio che un telescopio secoli prima di Galileo e di van Leeuwenhoek. L’illustrazione nel foglio 68, pensava Newbold, era la nebulosa a spirale di Andromeda vista attraverso il telescopio segreto di Bacone. Newbold riferì perfino che gli specchi del telescopio erano costati a Bacone 1’equivalente di 1500 dollari.
Altre illustrazioni mostravano spermatozoi e ovuli. Le rivelazioni di Newbold in breve misero in agitazione la stampa e il pubblico. Una donna era così sicura che Newbold avesse scoperto le pratiche di magia nera di Bacone che percorse centinaia di chilometri per chiedere a Newbold di scacciare i demoni che la possedevano. É oggi tristemente chiaro che anche Newbold era indemoniato. Era riluttante fin dall’inizio a rivelare gran parte delle sue scoperte. Più cose rendeva di dominio pubblico, più diventava ovvio che stava dando corpo alle sue fantasie, mentre il codice non era ancora decifrato. Secondo Newbold, Bacone aveva osservato la struttura a spirale della nebulosa di Andromeda mediante un telescopio riflettore.Alcuni astronomi fecero notare che la struttura a spirale della nebulosa non e’ visibile con nessun tipo di telescopio,ma solo con fotografie a lunga esposizione. Newbold non ha nemmeno fatto inventare la macchina fotografica a Bacone: dalla Terra, la nebulosa di Andromeda si vede quasi di profilo.
Qualunque cosa sia illustrata nel foglio 68, e’ vista di fronte, e il suo contorno e’ un cerchio. Il cifrario che Newbold attribuì al manoscritto era un capolavoro di pie illusioni. Egli trovò una “chiave” appena leggibile nell’ultima pagina del manoscritto. (Più di uno studioso ha immaginato che questa iscrizione sia una chiave. Alcuni pensano che la grafia della “chiave” sia diversa e che l‘iscrizione sia stata aggiunta in seguito da una persona diversa dall’autore.) Newbold sosteneva che i simboli traducessero in latino medievale A mihi dabas multas portas (“a me davi molte porte”). Secondo lui ciò significava che veniva usato più di un cifrario. Secondo Newbold, Ruggero Bacone aveva trascritto un testo originale latino usando un cifrario “biletterale”. In un cifrario bi-letterale, una coppia di lettere dello scritto visibile rappresenta una lettera del messaggio. Era ingegnoso per i livelli della crittografia duecentesca, e avrebbe assicurato la segretezza di qualsiasi cosa stesse scrivendo 1’autore. Ma questa,proseguiva Newbold,era soltanto la prima di una serie di scatole cinesi crittografiche. In un normale cifrario biletterale, il messaggio codificato(“testo cifrato”) e’ lungo il doppio del messaggio originario (“testo in chiaro”).Per rendere più conciso il testo cifrato, Newbold pensava che Bacone avesse scelto le coppie di lettere in modo che1’ultima lettera di una coppia fosse sempre uguale alla prima lettera della coppia successiva. Se Bacone voleva codificare la parola latina unius,poteva rappresentare u con or, n con ri e cosi via:
U N I U S
OR RI IT TU UR
Poi avrebbe eliminato le lettere ripetute ottenendo oritur. Per rendere il codice ancora più sconcertante,più di una coppia di lettere poteva codificare una data lettera, e le lettere che suonavano simili(come b,f,p,ph) potevano essere codificate dalla stessa coppia di lettere.
Perplessi? Lo era anche il pubblico di Newbold. Quei crittografi che seguivano ancora ciò che stava dicendo Newbold si resero conto che un simile cifrario sarebbe stato assolutamente inservibile.
Non finiva qui. Se qualsiasi coppia di lettere conteneva una delle lettere della parola con muta, era soggetta a un ulteriore processo di codificazione che Newbold chiamò: “commutazione” ma che non spiegò mai completamente. Quindi l’intero messaggio veniva rimescolato in modo da essere un anagramma(!) della frase precedente. Soltanto adesso veniva il bello: i simboli visibili del ma- noscritto erano soltanto una copertura, disse Newbold. Non avevano alcun significato. Newbold era convinto che esaminando i simboli con una lente d’ingrandimento si sarebbe visto che erano composti ciascuno da una decina di minuscoli tratti separati. Supponeva che Bacone, per creare questi minuscoli simboli, avesse usato il microscopio da lui appena inventato.
I piccolissimi tratti erano simboli di un’antichissima stenografia greca. Il vero messaggio era in questa stenografia greca in micropunti. Per decifrare il manoscitto, allora, bisognava traslitterare questi simboli microscopici in lettere, e poi rovesciare il procedimento bizantino di anagramma, commutazione e assegnazione di coppie di lettere.I simboli microscopici di Newbold erano sfuggenti come i canali di Marte;anzi di più, perché Newbold era l’unico a vederli. Se avevano una qualche realtà al di fuori della testa di Newbold, erano le irregolarità di un inchiostro denso su carta ruvida.Se l’autore del manoscritto avesse usato il metodo di Newbold, sarebbe stato davvero esasperante codificare qualcosa. E una volta codificato, non ci sarebbe stato alcun modo attendibile di decifrarlo. Ciò che si sarebbe ottenuto sarebbe sempre potuto essere un anagramma di lettere che suonavano come il vero messaggio eccetera eccetera.
I commenti di Newboldsui suoi simboli microscopici sono un esemplificativo monumento all’auto inganno. Egli scrisse:
Ma la difficoltà di leggere i caratteri cifrati è davvero grandissima. Quando le lettere furono scritte,erano,ritengo, distintamente visibili con il corretto grado di ingrandimento, ma dopo un arco di tempo di oltre seicento anni la scrittura in molte pagine ha subito uno sbiadimento, una desquamazione e un’abrasione tanto intensi che i caratteri si vedono appena. In secondo luogo, molto dipende dal grado di ingrandimento usato da Bacone al tempo della scrittura. La linea che a occhio nudo sembra semplice, se ingrandita tre o quattro o cinque volte è vista di frequente essere composta di elementi separati, se ingrandita ancora di più alcuni elementi si risolveranno in altri elementi ancora, molti dei quali possono essere considerati dei caratteri...Un’altra grandissima difficoltà è quella presentata dai tratti sfuggenti dei caratteri stessi.Le differenze tra essi sono lievissime; se sono state scritte sotto un microscopio, anche la mano stessa di Bacone dà spesso alle differenze un’espressione debole e ambigua. Inoltre i caratteri sono così intrecciati l’uno con l’altro che è spesso quasi impossibile sbrogliarli...
Di frequente,per esempio,trovo impossibile leggere lo stesso testo due volte nello stesso identico modo. Ancora più strana è lar ecente presunta soluzione del manoscritto Voynich da parte del fisico americano Lev Levitov. Nel 1987 Levitov affermò che il manoscritto è redatto in una sconosciuta lingua europea usata dagli adoratori del culto di Iside attorno al XII secolo.
Secondo Levitov,tutte le altre tracce del culto sono state distrutte dall’Inquisizione spagnola. Levitov offre la più raccapricciante esegesi delle illustrazioni mai vista. Il culto credeva nell’eutanasia, praticata tagliando una vena in una vasca da bagno piena di acqua calda, e le figure delle enigmatiche bagnanti mostrano apparecchiature per estrarre il sangue! La strana lingua di Levitov consiste di ventiquattro verbi e quattro pronomi di ortografia variabile. Le sue traduzioni caotiche e uniformemente morbose (“Alcuni curano il morente ciascuno l’uomo che giace mortalmente ammalato l’unica persona che sta male Iside ciascuno che muore cura la persona”, comincia il foglio1) non ispirano fiducia. Vi è un certo pathos in queste “decifrazioni”. Noi tutti interpretiamo la lingua e persino l’esperienza in un modo che è tanto complesso quanto difficile da descrivere. Ciò non vuol dire che Newbold e Levitov abbiano innegabilmente torto. É perlomeno concepibile che i presunti autori abbiano scritto ciò che essi pensano e codificato proprio come essi dicono.
Quasi tutte le persone razionali non riflettono a lungo sulle argomentazioni di Newbold e Levitov prima di respingerle.
Dire esattamente perché le respingiamo è un’altra cosa. Susan Sontag definì l’intelligenza un“gusto per le idee”.
É difficile codificare questo gusto.
SENSO E FARFUGLIAMENTI
Il rapporto tra i problemi crittografici e il metodo sperimentale è stato spesso posto in evidenza. Il crittografo John Chadwick scrisse: La crittografia è una scienza fatta di deduzione e di sperimentazione controllata; si formano ipotesi, si mettono alla prova e spesso si scartano. Mail residuo che supera la prova cresce finché arriva un momento in cui lo sperimentatore avverte terreno solido sotto i piedi: le sue ipotesi sono coerenti, e i frammenti di senso emergono dal loro ca- muffamento. Il cifrario è risolto. Forse si può definire meglio come il momento in cui gli indizi probabili compaiono più velocemente di quanto si riesca a seguirli. É come l’avvio di un processo di reazione a catena nella fisica atomica; una volta superata la soglia critica, la reazione si propaga da sola.
Per amore di discussione, supponiamo che il manoscritto Voynich sia stato scritto da un abile truffatore e sia completamente privo di significato. Sembra esserci effettivamente un modo semplice per dire se sia un ammasso di farfugliamenti, anche senza decifrarlo. Il lavoro dei crittografi dipende dalle statistiche del linguaggio. Non tutte le lettere sono comuni allo stesso modo. In molti tipi di cifrari, ciò significa che i simboli visibili hanno frequenze diverse. La lettera più comune in italiano è la a. Non è dappertutto la lettera più comune (in inglese è la e, in russo la o), ma ogni linguaggio naturale favorisce una lettera rispetto alle altre. Si potrebbe pensareche un falsario che scelga a caso simboli privi di senso non favorirebbe una lettera rispetto alle altre. Non necessariamente. Provate a scrivere una sequenza “casuale” di lettere o numeri. É molto difficile non favorire certe lettere o certi numeri inconsciamente. La vera casualità è quasi impossibile da creare per la mente umana. Un falsario potrebbe favorire per caso alcuni simboli in modo tale da avvicinarsi alle frequenze di lettere della sua lingua madre o di qualunque altra lingua. Ciò non significa che il metodo statistico sia inutile. Vi sono considerazioni più sottili. In un vero cifrario a sostituzione, certe coppie di lettere dovrebbero essere più comuni di altre. Per esempio, st e ma sono comunissime in italiano, e la q sarà quasi certamente seguita dalla u. Funziona anche nell’altra direzione. Alcune coppie di lettere sono relativamente poco comuni. Le lettere c e t sono comuni, ma raramente si trova ct in un testo italiano. Gli stessi principi si applicano a gruppi di tre o più lettere. Tutte le vocali sono comuni, e molte coppie di vocali sono comuni, ma gli esempi di tre o più vocali consecutive sono rari o inesistenti. Che ciò fornisca effettivamente un mezzo per distinguere un vero cifrario da una sciocchezza è dimostrato dal falso cifrario della Fisiologia del matrimonio di Balzac. Pubblicata nel 1829, la Fisiologia del matrimonio è un’operetta satirica sul matrimonio e sull’adulterio. Inserito dopo le parole “L’auteur pense que la Bruyère c’est trompé. En effet, ...” vi è uno scritto cifrato di due pagine che non è mai stato decrittato. Molti lettori cercano di decifrarlo, pungolati dal sospetto che il brano sia tanto scandaloso che l’editore non osasse stamparlo così come stava. Balzac lasciò cadere indizi in questo senso per anni dopo la pubbli- cazione del libro. Il messaggio cifrato contiene lettere maiuscole e minuscole, molte con accenti e alcune rovesciate. Vi sono numeri e segni di punteggiatura, ma solo pochi spazi. Era significativo, pensavano alcuni, che il messaggio ter- minasse con “end” ( = fine) e contenesse l’esclamazione “sin!” ( = peccato), entrambi in inglese. Le statistiche del brano cifrato di Balzac si discostano molto dal francese e da ogni altra lingua europea. In questo caso vi sono pochi dubbi che i simboli siano stati scelti a caso, probabilmente dal compositore in tipografia. Alcune edizioni successive del libro hanno “cifrari” diversi. Il mano- scritto Voynich è stato sottoposto ad un’analisi simile. Diversamente dal messaggio pseudocifrato di Balzac, i simboli del Voynich hanno strutture statistiche molto simili alle lingue vere. Vi sono coppie di simboli che spesso compaiono assieme (AM, AN, QA, QC, secondo la classificazione di Bennett). Vi sono simboli comuni che raramente si trovano assieme. In effetti, queste strutture sono perfino più pronunciate che in italiano. Il testo del Voynich è meno “casuale” di qualsiasi lingua europea conosciuta. Una statistica chiamata “entropia” misura il grado in cui le lettere o altri simboli formano strutture ricorrenti nel testo. Per una strana coincidenza, l’entropia per simbolo del manoscritto Voynich è all’incirca quella delle lingue polinesiane. Nessuna delle molte supposizioni riguardo al manoscritto lo pensa- va codificato in hawaiano o tahitiano. Le lingue polinesiane sono note per la loro economia di lettere. L’alfabeto hawaiano ne ha appena dodici, più un apostrofo molto usato. Il manoscritto Voynich utilizza ventun simboli comuni più alcuni rari. L’entropia del manoscritto lascia intendere che il suo testo di origine sia stato molto più ordinato di quasi tutte le lingue naturali. É una valida prova che il manoscritto Voynich sia un vero cifrario, non un farfugliamento. É difficile credere che un falsario sia stato tanto sofisticato da simulare le statistiche del linguaggio. Ciò conferma anche che il testo non è una semplice codificazione di qualsiasi lingua europea. Il manoscritto sembra essere redatto in una “lingua” con meno lettere comuni delle lingue europee. Forse l’autore ha ammucchiato assieme lettere dal suono simile, più o meno come congetturava Newbold. Oppure il testo in chiaro potrebbe essere in una lingua tipo Esperanto inventata dall’autore. Secondo l’opinione di gran parte degli studiosi contemporanei, il manoscritto è stato redatto dopo il ritorno di Colombo (non da Bacone, ovviamente).
BIBLIOGRAFIA:
William Poundstone, Labirinti della ragione. 1991,
Pan Libri S.r.l. Pagg. 219-232.