Nel libro “Atlantide, il continente ritrovato” James Mavor, studioso della Woods Hole Oceanographic Institution del Massachussets, ripropone uno degli enigmi più affascinanti e dibattuti nel passato come nel presente, e di certo nel futuro: Atlantide è realmente esistita? E se la risposta èsi, dove cercarla?
Convinto che il continente descritto da Platone sia realmente esistito, Mavor lo localizza nel Mar Egeo, identificandolo con l’isola di Thera, situata a nord di Creta. Tra il 1500 e il 1400 l’isola, appartenente alle Cicladi, subì una tremenda catastrofe, che si concluse con il collassamento della sua parte centrale.
Il suo interesse per l’argomento e la ferrea volontà di poter suffragare la sua tesi con valide prove, lo videro impegnato, a partire dal 1965, in una spedizione che all’inizio doveva studiare i sedimenti e le rocce della crosta terrestre sommersa, esattamente dove parte di Thera si inabissò. In quegli anni l’archeologo e sismologo greco Angelos Galanopoulos aveva già esposto la stessa teoria, identificando la civiltà atlantidea con quella minoica. Mavor, che abbracciava pienamente le idee dello studioso greco, ebbe la fortuna di vederlo partecipare, insieme ad un altro illustre nome nel campo, Spyridon Marinatos, alle sue ricerche, che si ampliarono poi anche a scavi condotti in varie parti della zona. Si sperava di riportare alla luce eventuali resti di ciò che un tempo fu il grande regno atlantideo e dimostrare così l’esattezza della teoria di Galanopoulos e dello stesso Mavor.
Uno degli elementi che rende praticamente impossibile credere che Atlantide sia realmente esistita è la velocità della sua scomparsa: le sole 24 ore in cui l’impero venne distrutto sembrano più un tempo simbolico che reale. Eppure James Mavor riesce a fare di questo “punto debole” il suo punto di forza: deboli sono gli altri tentativi di localizzare Atlantide altrove, perché laddove si tenti di spiegare le cause della sua distruzione, ci si può basare solo su supposizioni.
Non è invece ipotesi, ma fatto realmente accaduto, il cataclisma che fece sprofondare, tra il 1500 e il 1400 a.C., una parte dell’isola di Thera, che oggi presenta la forma di un anello.
Cosa successe migliaia di anni fa sull’isola di Thera?
Santorini (questo è l’altro nome dell’isola greca, dal nome di Sant’Irene che lì trovò la morte) è un’isola vulcanica, nata, molte migliaia di anni fa, dall’innalzamento sopra il livello del mare di vulcani sottomarini.
L’isola, formata da numerosi coni vulcanici, sia sottomarini che subaerei, era altamente sismica. Nella cronologia degli eventi si susseguirono terremoti e violente eruzioni vulcaniche, che da un lato minarono la stabilità dell’isola, dall’altro, col depositarsi di detriti, resero sempre più pesante il suolo, che alla fine si inabissò, fino a formare un ampio bacino, o caldera. Questo accadeva all’incirca 25.000 anni fa. Poi, passato moltissimo tempo, i vulcani si riformarono, riempiendo la caldera, e cessò l’attività sismica. E’ questa l’epoca in cui sull’isola comparve una civiltà preistorica. Ma verso il 1500, quando Thera era un importante centro miceneo, gli eventi del lontano passato si ripeterono: ad un primo strato di pomice rosata di circa 4m se ne aggiunse un altro di fine cenere bianca di circa 45m di spessore. Il peso dei detriti fece inabissare l’isola, e si riformò la caldera. La gravità e veridicità del disastro è dimostrata dal ritrovamento di cenere nel Mediterraneo orientale. Il collassamento di Thera provocò onde di maremoto gigantesche, dette tsunami, ed è logico pensare che tale evento non interessò solo la Grecia, ma tutto il bacino del Mediterraneo orientale, lasciando inevitabilmente una traccia nei miti di quei popoli che, indirettamente o direttamente, vissero tale disastro.
Il mito di Atlantide nasce, quindi, in Grecia: Platone narrerebbe la distruzione dell’isola di Thera, realmente accaduta tra il 1500 e il 1400 a.C., e, di conseguenza, la civiltà atlantidea, formata da due isole, Thera e Creta, (la metropoli e stato reale descritti da Platone come se Creta fosse un satellite di Thera) sarebbe quella minoica. L’intento di Mavor è di far collimare un evento che molti ritengono mitico con episodi storici avvenuti nello stesso periodo, e di trovare evidenti riscontri della scomparsa di Thera-Atlantide anche in ciò che viene narrato dalla Bibbia.
Iniziamo proprio da qui. Tutti conoscono le famose piaghe d’Egitto: secondo Mavor non sarebbero state affatto una punizione divina, ma il ripercuotersi nella terra dei faraoni del disastro di Thera. La pomice rosata derivante dall’eruzione vulcanica avrebbe tinto l’acqua facendola sembrare sangue e, contemporaneamente, avrebbe reso gli stagni invivibili per le rane, che si sarebbero riversate ovunque. La pioggia di cenere successiva avrebbe devastato le colture, e lasciato senza cibo il bestiame, che sarebbe dunque morto di fame. Le zanzare, i mosconi, le ulcere (che Mavor associa al vaiolo), e la pestilenza sarebbero le logiche conseguenze di una situazione igienica precaria, in cui facilmente si sarebbero diffuse epidemie mortali. Le quali avrebbero senz’altro colpito per primi i più deboli, tra cui i neonati (la morte dei primogeniti). Infine, grandine, tuono, fuoco e tenebre altro non sarebbero che l’effetto visibile della grande eruzione vulcanica.
Ma c’è un altro episodio della Bibbia la cui spiegazione sembra coincidere con gli eventi accaduti a Thera: l’Esodo e il suo epilogo. Si presuppone che gli Ebrei lasciarono l’Egitto sotto il regno di Tutmosi III, Amenofi II o Tutmosi IV: come mai il faraone non lo impedì? La risposta è logica: egizi ed ebrei vivevano già separati, e le epidemie avevano duramente colpito solo i primi. Il libro dell’Esodo parla di “seicentomila uomini capaci di camminare, senza contare i bambini”. Questo numero appare esagerato, e molti studiosi delle Sacre Scritture ritengono che si trattasse di circa 600 individui che, guidati da Mosè, attraversarono non il Mar Rosso, ma il Mar delle Canne, l’ebraico Yamsûf, identificabile con il lago Serbonis. Questi è separato dal Mediterraneo da una stretta lingua di sabbia, la stessa che il popolo di Israele attraversò per giungere al mare. Secondo Galanopoulos, uno dei possibili effetti di uno tsunami è l’abbassamento o l’innalzamento del livello del mare: mentre gli ebrei furono favoriti da un abbassamento delle acque e riuscirono a passare, l’esercito egiziano al suo inseguimento fu travolto da un’onda gigantesca e trovò la morte. E’ cioè possibile che le grandi ondate generate da Thera, superata Creta, propagate dall’aria, si ricostituirono sul versante opposto, quello africano.
Ma veniamo, ora, alla similitudine tra popolo atlantideo ed egeo. Mavor si basa essenzialmente sul ritrovamento, nei pressi di Akrotiri, di “...un cilindro di lava rossa, lungo circa novanta centi- metri e dotato di un diametro di trenta...”. Mavor sostiene che il cilindro sia in realtà un pilastro sacro atlantideo. Secondo Platone, i Dieci principi atlantidei dovevano attenersi rigorosamente alle leggi scolpite su una colonna di oricalco all’interno del tempio di Poseidone. Circa ogni cinque anni, essi si riunivano per assicurare alla giustizia i trasgressori di queste leggi. A tutto ciò era connesso un rito sacrificale: l’uccisione di un toro, il cui sangue veniva fatto scorrere sulle iscrizioni.
“....e quello dei tori che avessero preso, lo conducevano verso la colonna e lo sacrificavano sulla sommità di questa sopra le lettere....e purificata la colonna gettavano il resto nel fuoco...”
“Quando sopraggiungevano le tenebre e il fuoco dei sacrifici s’era raffreddato, indossavano tutti una bellissima veste di zibellino, si sedevano presso le ceneri del loro sacrificio sacramentale e, nella notte, ogni altra luce spenta intorno al santuario, giudicavano ed erano giudicati, se uno di loro avesse accusato altri di avere in qualche modo violato le leggi. Resa giustizia, il giorno dopo, incidevano la sentenza su di una tavola d’oro, che a ricordo consacravano insieme alle vesti.” (Platone)
Il culto del toro era altrettanto importante presso i cretesi, a partire dalla leggenda del Minotauro. Il re Minosse, ritenuto figlio di Zeus, aveva rinchiuso nel Labirinto il Minotauro, mezzo uomo e mezzo toro, che si cibava di carne umana. Tutti quelli che erano entrati nel palazzo per ucciderlo, si erano persi nei meandri del labirinto ed erano stati divorati dall’orribile mostro. Fino a che Teseo, recatosi a Creta tra le vittime designate (sette fanciulli e sette fanciulle) che venivano date in pasto al mostro, con l’aiuto di Arianna, riuscì a sconfiggerlo grazie ad uno stratagemma: legò all’entrata il capo di un gomitolo di spago, che gli consentì di ritrovare l’uscita. Anche al livello di spettacoli, famose erano le giostre dei tori, raffigurate tanto spesso su affreschi e ceramiche, in cui atleti nudi e senz’armi, dovevano afferrare un toro inferocito per le corna e sal- tarlo, volteggiando sulla sua groppa.
Ma il parallelo tra i due popoli non si esaurisce qui. Il fatto stesso che la civiltà cretese vide il suo declino tra il 1500 e il 1100 a.C. fa pensare che la catastrofe di Thera costrinse gli abitanti a lasciare l’isola. Secondo quanto scritto nel Libro di Amos, nel momento stesso in cui gli ebrei fuggirono dall’Egitto i cretesi lasciarono la loro patria.
“Non ho io fatto uscire Israele dall’Egitto, i Filistei da Cafto e gli Aramei da Kir?”
La distruzione dell’isola di Creta è infatti databile intorno al 1450 a.C., ed oggi molti studiosi sono concordi nel ritenere che i minoici si riversarono in parte sulle coste libanesi, andandosi a fondere con i proto-fenici, mentre i filistei si insediarono nel retroterra delle città-stato fenicie.
La civiltà minoica, di origine medio-orientale, appare pacifica, dedita all’arte e al commercio mercantile, mentre i micenei, discendenti europei, erano un popolo prevalentemente guerriero. All’incirca nel 1500 a.C. le due culture si fusero, dando origine ad un periodo di massimo splendore. Sotto la spinta micenea, però, l’indole tranquilla dei minoici si trasformò, e le due culture entrarono in conflitto, generato dal prevalere della civiltà achea. Sembra di sentire echeggiare la parole di Platone, che nel Crizia afferma:
“...Ma quando l’essenza divina, mescolatasi spesso con molta natura mortale, in essi fu estinta, e la natura mortale prevalse, allora, non potendo sopportare la prosperità presente, de- generarono...”
I minoici, come gli atlantidei, avevano perso la loro saggezza, anche se avevano acquisito, grazie ai micenei, una potenza militare inimmaginabile. Il contrasto tra le due culture è da situarsi proprio nel periodo in cui parte dell’isola di Thera si inabissò.
Non è possibile, dunque, che gli Egizi, narrando di ateniesi e atlantidei, parlassero della civiltà minoica e di quella achea, cioè di Atlantide prima e dopo la degenerazione?
In sostanza, gli Egiziani, i quali avevano rapporti commerciali con Creta, e conoscevano bene il suo splendore, persi i contatti con i cretesi, credettero che l’isola inabissata fosse appunto Creta.
Riscontri importanti si rilevano anche al livello mitologico, in cui si riscontra la descrizione del disastro di Thera. Così, ad esempio, nell’“Ippolito” di Euripide viene descritto l’esilio del figlio di Teseo, in cui si descrive una massa d’acqua gigantesca che si riversa sulla spiaggia di Corinto, di fronte al Golfo di Saronicco. Questo evento potrebbe descrivere uno tsunami, e dato che la storia è datata intorno al 15° secolo a.C., la descrizione di Euripide, secondo cui “l’onda rigettò un toro”, potrebbe alludere al tipico rombo di un terremoto.
Anche nel “Canto di Ullikummi”, datato 1300 a.C. e relativo alle divinità del popolo ittita, si intravede un richiamo alla scomparsa di Atlantide. Il dio Kumarbi, detronizzato dal figlio Teshub, lotta per riconquistare il potere, e a tal scopo genera Ullikummi. Il messaggero di Kumarbi, Upelluri, porta sulle spalle fino al centro della terra Ullikummi, che si trasforma in una colonna di diorite tanto alta che giunge a toccare il cielo. Inizialmente sconfitto, Teshub torna alla carica dopo che gli dei hanno tagliato i piedi del mostro Ullikummi. Secondo Mavor, questi è la personificazione di Thera: il suo ergersi dalle acque descriverebbe la formazione di un vulcano, la sua sconfitta equivarrebbe al suo collassamento. Upelluri ci ricorda Atlante, fratello di Prometeo, condannato a portare il mondo sulle spalle; così come le lotte degli dei ittiti ricordano quelle tra Giove ed i Titani, vinte dal primo, che alla fine combattè contro Tifone, un mostro con 100 teste che emanava fuoco e giungeva fino alle stelle. Durante la terribile lotta, intere montagne furono divelte, fino a che Tifone fu scagliato sotto l’Etna o, secondo un’altra versione, proprio sotto il Serbonis.
Il famoso mito di Deucalione sarebbe quindi il ricordo di quelle onde gigantesche formatesi in seguito all’eruzione di Thera, e non si riferirebbe dunque al diluvio biblico, mentre nel mito di Giasone la nascita dell’isola Callista richiamerebbe quella dell’isola greca dal punto vista geologico (tenebre, buio assoluto, lampi, ecc.).
In ultimo, Mavor sottolinea le corrispondenze geografiche. La ricostruzione di Thera prima dell’eruzione si adatta perfettamente alla descrizione topografica dell’Atlantide di Platone. Infatti, nonostante l’obiezione riguardante le misure fornite da Platone, Mavor concorda con Galanopoulos nel sostenere che tutti i dati numerici (estensione dell’isola, numero degli abitanti, numero delle navi, misure dei canali) furono decuplicati, forse dallo stesso Solone che, nel tradurre i testi egizi, confuse il simbolo del centinaio con quello del migliaio; o forse furono riportati errati già nei racconti egizi.
Sovrapponendo una pianta di Atlantide così come descritta da Platone su una piantina dell’isola greca, Galanopoulos dimostrò la loro stretta correlazione. I canali descritti dal filosofo greco corrispondono ai canali d’acqua che accompagnavano i vari coni vulcanici che formavano l’isola; la costa meridionale dell’isola era il punto d’attracco ideale delle navi atlantidee, in quanto zona riparata dai venti che soffiavano da occidente. Prima dell’eruzione, l’isola era densamente abitata, con i suoi tre coni vulcanici, da cui si estendeva un’ampia pianura, che giungeva fino ad una baia interna. Tutti i templi minoici, e quelli atlantidei, venivano costruiti proprio in base a tali elementi: valle chiusa da un’altura e una montagna, quello che ne faceva un luogo sacro, in quanto cintato. Inoltre, secondo Platone, gli atlantidei usavano pietre bianche, nere e rosse per la costruzione dei loro edifici; e ancora oggi, come nell’epoca minoica, gli abitanti di Thera utilizzano pomice bianca, lava rossa e nera. Prima del disastro, Thera era veramente un paradiso, con un clima mite, caratterizzata, come oggi, da quella scarsità di piogge che spinse gli atlantidei ad un intenso lavoro per irrigare d’acqua dolce il tempio di Poseidone e tutta l’isola.
Gli scavi condotti, prima da Marinatos, poi da Doumas, hanno rivelato la ricchezza della Thera preistorica, scoprendo una fiorente ed importante civiltà insediatasi sull’isola nell’Età del bronzo. Non solo sono stati riportati alla luce un’infinità di affreschi, gioielli, vasi, ceramiche, ma anche edifici ben conservati di tre e quattro piani, i quali evidenziano l’alto livello di civiltà e l’importanza estrema che quest’isola delle Cicladi ebbe nel passato.