Storie e curiosità dal Settecento badengo

di Claudio Contorni

maggio 2020

Stavo iniziando a fare una ricerca e mi era sembrato utile cominciare da un testo nel quale sono riportati gli eventi principali che si svolsero nel corso del 1700 ad Abbadia San Salvatore. E’ un libro sulle Deliberazioni Magistrali settecentesche che altre volte avevo cercato di leggere con una certa attenzione ma, dopo un po’ cominciavo a saltare da un contenuto all’altro, anche perché non sempre la comprensione del testo era agevole, infrangendosi sullo scoglio del linguaggio settecentesco e di certe parole desuete, incomprensibili senza un preliminare studio. Questa volta però dovevo prendere il toro per le corna e affrontare «L’Abbadia San Salvatore - Il settecento amiatino» edito nel 1941 e scritto a due mani da Mons. Raffaello Volpini e da Padre Rosario Rosati. E, come succede a volte nella vita, ciò che, per propria ignoranza, avevo scartato e considerato un po’ noioso, lentamente diventava attraente e pieno di interesse. Tanto che mi è sembrato importante estrapolare fatti salienti, curiosità e aneddoti tratti dalla vita municipale e monacale di quel XVIII secolo e, nell’occasione, condividerli, perché il settecento amiatino è stato davvero un secolo nel quale sono accadute cose importanti! La sua lettura ci comunica un modo di vivere e di pensare e di operare lontano ma che, andremo scoprendo, ci appartiene, nel profondo. Ho pensato anche di aggiungere talvolta le mie riflessioni; voi farete le vostre. Ho pensato di metterlo sotto forma di articolo con una sua schematicità e una necessaria sinteticità cercando di cogliere l’essenziale, ma molto è rimasto nella mia raccolta preliminare alla stesura di questo articolo. Chi vorrà potrà approfondire leggendo per suo conto il libro (reperibile, credo, presso il Museo dell’Abbazia). Qualcuno penserà, ma l’iniziale ricerca? Al momento può attendere; ora è troppo il fascino di questo resoconto del settecento badengo!

Pietro Leopoldo, Granduca di Toscana

La sua figura, così importante per gli avvenimenti della Toscana e anche di Abbadia S. Salvatore, uno per tutti la soppressione degli enti ecclesiastici e conseguentemente anche la «soppressione di Monaci, anche dei nostri Amiatini», è tracciata con queste parole dagli Autori: «Avemmo poi Pietro Leopoldo riformatore radicale universale totalitario. Del quale la Chiesa fu meritatamente scontenta. Ma bisogna riconoscere i buoni e vari ordinamenti civili. Per lui la Toscana riuscì lo Stato meglio ordinato che fosse a quei dì e quasi modello da servire a qualunque principato assoluto. Fu spengitoio del fanatismo, Lui Cesaropapista, aizzato dal Giansenismo aulico alla soppressione di Monaci, anche dei nostri Amiatini. Perciò ci rimane antipatico». Fra i suoi provvedimenti più interessanti, disposti con motu proprio del 1777, troviamo come «Abbadia San Salvatore e Campiglia d’Orcia» divenissero «un sol corpo economico ed una sola società», «la erezione della Cancelleria di Radicofani per l’aggruppamento della Comunità di Radicofani, Abbadia, Piano» e come «all’elezione per Gonfalonieri e Priori, […] 45 in tutto che l’aristocrazia del censo rendeva eleggibili […] furono imborsati» il termine indica le persone i cui nomi erano stati messi nella borsa per il sorteggio «Maddalena Baiocchi» anche se il Generale Consiglio Pubblico, nell’agosto 1778, la scarta ad elezione di Camerlengo perché donna e che fra i soggetti eleggibili a consiglieri, 400 in tutti e 313 dell’Abbadia, vi fossero oltre trenta donne. Ma fra i provvedimenti di Pietro Leopoldo che più hanno segnato nel ‘700 la storia di Abbadia va senz’altro annoverata la soppressione del

Monastero

Nell’agosto 1782 «era giunta all’Abbadia l’infausta voce dell’imminente soppressione del Monastero e fu letta ad istanza di Pietro Possenti il quale dimandava di spedirsi due Imbasciatori a ciò si prostrassero al Real Trono per ottenere la grazia a ciò che non fosse soppresso questo venerabile Monastero dei Monaci Cistercensi». Ma il 2 agosto 1783 Pietro Leopoldo ordinò con un motu proprio che tutti i Cistercensi del Gran Ducato abbandonassero il loro Monastero e con altro motu proprio del dì 13 agosto dello stesso anno ordinò la totale soppressione dei medesimi, affidando l’amministrazione del patrimonio Cistercense all’Ospedale fiorentino degl’Innocenti. Parte dei beni vennero nel tempo venduti a privati (gli immobili adiacenti al Monastero sono stati oggi riacquistati). Al fine di sfruttare abilmente la soppressione nel 1784 «Mons Pannilini» allora vescovo di Chiusi e Pienza «procedette» con decreto «alla traslazione della Parrocchia di Santa Croce alla Chiesa del Monastero […] riservando per sé, per l’Arciprete e per i 4 cappellani l’intero Monastero». Gli Autori commentano: «meglio se il prelato avesse disposto di convertire il Monastero in un Seminario amiatino; tanto più che all’Abbadia […] erano scuole sussidiate, canonicamente erette, di Filosofia e di Teologia morale». Ma torniamo un’attimo indietro alle vendite dei beni del Monastero. Alcune notizie su di esse ci permettono di sapere dove era il vecchio

Camposanto

Nel 1788 fu sentita la necessità di ampliare il camposanto e ne furono coinvolti, loro malgrado, alcune persone che avevano acquistato proprio parte dei terreni del soppresso Convento. Il camposanto si trovava proprio di fronte alla Chiesa abbaziale e quelli che hanno qualche anno più di me si ricorderanno bene le ossa che venivano dissepolte durante i lavori di rifacimento di Piazzale Michelangelo. Io ero piccolo ma ho un ricordo delle fosse e delle ossa. Ma ritorniamo alla cronaca. Dagli atti del 1788 leggiamo «[…] del ricorso fatto dal Sig. Giovan Battista Neri e da altri Possessori del soppresso Monastero Excistercense, contro la destinazione fatta da questa magistratura per il Camposanto a sterro» Ciò nonostante «L’ingrandimento del vecchio Camposanto fu fatto» non senza il doveroso riconoscimento in denaro in base alla «stima del perito Bernardino Visconti ed Agostino Barbarossa relativa al prezzo delle tavole n. 81 di terra» pari a 2400 mq circa «occupata nell’orto del sig Giovan Battista Neri per ampliazione del Camposanto ascendente a scudi 70» pari a 11/12000 euro attuali, e «con Decreto Granducale, malgrado la spesa fatta dal Municipio, affidava al Parroco il terminato Cimitero». Il cognome Neri ricorre frequentemente nella storia del settecento badengo come molti altri cognomi che ritroviamo nel presente. Ma fra questi uno dei più illustri, in quel periodo, è senz’altro il cognome Carli ed in particolare del

Tenente Francesco Carli

Era il 1799 e nel paese c’era un’estrema mancanza di grano. I Priori rivolsero una predica al Tenente Francesco Carli «perché tenesse per conto di questa Comunità almeno moggia 40 di grano» circa 200 kg . «[…] sia detto che la famiglia Carli, sfamatrice del popolo nel terribile anno, fu ed è segno perenne alla riconoscenza dell’Abbadia S. Salvatore, presso la quale è viva la tradizione dell’importazione delle patate da noi introdotte allora da un Carli, probabilissimamente da questo sig Tenente Francesco Carli». Questa Famiglia la ritroviamo già un ventennio prima quando fece «domanda di poter deviare l’acqua dalla pubblica fonte» per portarla al Palazzo Carli, esempio che poi sarà «imitato ed avremo l’acqua in moltissime famiglie». La fonte più vicina al Palazzo distava, ci dicono le cronache, 35 braccia, circa 70 metri. E a proposito di fonti e acqua Mons Raffaello Volpini e Padre Nazario Rosati riportano atti dai quali possiamo cercare di ricostruire mentalmente una

Panoramica del perimetro dell’Abbadia settecentesca e viabilità

Prima di iniziare, un’avvertenza. Questo capitolo, anche se interessante, può rimanere un po’ pesante ma ho volentieri estrapolato questi dati primo perché chi è di Abbadia San Salvatore si conceda un volo di fantasia sul paesaggio del ‘700 e su certi luoghi che hanno nomi più o meno a lui familiari, secondo perché possa essere di stimolo a chi, magari con più competenza e possibilità di accesso agli archivi di me, intenda fare nuove e più complete ricerche, se non lo siano già state fatte. E ciò vale naturalmente per tutti gli altri argomenti di questo articolo. Iniziamo dalla parte più antica ovvero da quella che era detta Porta dell’Abbadia, la porta che dava verso il Monastero; qui doveva esserci una piazza con un ponte, un lavatoio, un abbeveratoio ed una fonte. Nel 1787 «si decretò la costruzione di un abbeveratoio per le bestie alla fonte della porta verso il Monastero dalla parte di dietro dell’abbeveratoio antico». Più tardi nel 1796 si decisero lavori di «canne sei di muro sopra il ponte della porta dell’Abbadia dalla parte che guarda l’orto dei Fossi». Da questa piazza si dipartiva una strada che portava «al bivio in luogo detto Il Pian de’ Pilotti sopra alla Sasseta» e probabilmente un percorso (non ho trovato accenno ad una strada) che portava alla prima porta del Monastero. Proseguendo in direzione della Porta del Cassero c’erano gli Orti dei Fossi, lungo il quale correva una strada con molte carbonaie, vista la richiesta di uso che proprio in quel luogo ne avevano fatto nel tempo i cittadini. Si arrivava quindi alla già menzionata Porta del Cassero presso la quale era una fonte. Proseguendo si arrivava alla Porta di Borgo anche questa con lavatoio presso il quale nel 1796 si dovette provvedere ad uno «spazio per potersi andare ad abbeverare le bestie al Fosso di Borgo sopra il Lavatoio pubblico». Sul fosso c’era un ponte, passato il quale, già nel 1787 «si vollero tre piccoli muri traversi». Possiamo localizzare abbastanza bene la posizione del lavatoio in quanto si dice che «poco sotto la suddetta Chiesa» di Remedi, fu fatto, sempre nel 1787, «un pezzetto di muro di circa due braccia per sostenere la strada del lavatoio del Borgo». Siamo probabilmente nei pressi della Porta dei Mulini chiamata così perché doveva esserci il Mulino di Sotto che nel 1781 appare in affitto «a Giovan Battista di Lorenzo Gallorini». Un mulino di Sotto deve richiamare naturalmente un Mulino di Sopra che ritroviamo infatti citato in vari anni: «1778:[…] farsi mandato per il solito ripulimento della gora del Pubblico Mulino Comunitativo»; «1780: tutti sanno che il molino di Sopra, quello della Gora,…». La porta successiva, ritornando verso la Castellina, era la Porta del Torrione dalla quale doveva partire probabilmente una strada «quella che ha origine dalla Madonna detta di Iacomaccio e continuando per la strada detta della Crocetta segue fino all’imboccatura delle due strade, che una porta al principio del vigneto di Rovignano e l’altra che porta al vigneto del Cerreto». A chiudere forse il perimetro c’era una strada che troviamo oggetto di risistemazione nel 1788: «risarcimento fatto a Selce nella strada di Valdipiatta per l’estensione di canne 9». Parte di queste strade e di quelle che seguono forse erano preesistenti al ‘700 (un esempio per tutti la strada che conduceva alla Madonna del Castagno, chiesa consacrata nel 1524) almeno sotto forma di percorsi sterrati o sentieri ma nella seconda metà del XVIII secolo si assiste ad un vero interesse per nuove strade o rifacimento delle esistenti, magari per adattarle a nuove esigenze. Di seguito un elenco non completo ma rappresentativo diviso per anno:

1773 «…perorare un nobilissimo tema: La strada consolare dell’Abbadia e Ricorsi» e proposta «se paia bene farsi a spese di questo Universale la Strada che dal Paese dell’Abbadia conduce alla Strada Romana; e ridursi» nel senso di adattarla «la medesima in maniera che vi possa passare il Barroccio e Calesse per facilitare il pubblico commercio»;

1787: «Si ebbe distinta attenzione al restauro della nuova strada dal Monastero alla Madonna dei Remedi […] Furono deliberati vari restauri; della strada che dall’Abbadia porta al bivio in luogo detto Il Pian de’ Pilotti sopra alla Sasseta; della strada dei Rimedi ai Vigneti poco sotto la suddetta Chiesa»;

1788: «[…] restauri fatti nella strada di Siena in luogo detto il Podere di Zaccaria […] restaurata la strada per andare verso la Piazza presso alle case Carli e Porta di Borgo […] approvata variazione della strada di Siena in luogo detto Casa Piccini, attesa l’impraticabilità della medesima, salvo alcune variazioni «vicino al Fosso del Pagliola per trovare un luogo più stabile e permanente» […] procedettero avanti i lavori delle fonti e la strada nuova dai Remedi alla prima porta del Monastero proseguendo fino alla crociata della strada, sotto il campo Pesenti»;

1791: Importante il deliberato di «darsi a cottimo la costruzione di due piccoli tratti di strada, che hanno origine il primo dal termine della strada di nuovo costruita da Angelo Coppi…fino alla Madonna detta di Costantinopoli; e quindi lasciando altro tratto di strada fatta di nuovo dal sig Alessandro Visconti per l’estensione di circa canne 33 […] principia l’altro tratto di strada e segue fino alla Madonna del Castagno […] consegna di strada fatta dal Coppi e dal Minucci che ha origine dal muro dell’orto del Signor Giovan Battista Neri, segue fino passato il fosso di Rigale ove imbocca nel tratto costruito dal fu Giovanni Mammolotti e continuando arriva fino al Poggio Selvaiolo; e similmente l’altro tratto costruito da Antonio Minucci che ha origine dal ponte ove svolta la strada che porta a Campiglia presso i castagni del signor Alessandro Visconti» si domandano gli Autori (all’Ospedale?) «e segue fino alla Madonna del Castagno»;

1794: […] la strada per Radicofani, passando alla Croce del Colle, darà lavoro e pane ai miserabili e sarà strada a massicciato con breccia […] Strada detta il Corso di Ferdinando Romani. Strada interna del Corso di Mezzo. […] strada …attorno alle Carbonaie lungo l’Orto dei Fossi […] gli interessi campestri stanno a cuore dei rappresentanti del popolo; quindi quelle buone proposte di aggiungere al campione delle Strade: 1) quella di Campiglia che dal poggio de’ Castagni porta alle vigne dette dei Piani 2) quella che porta a Pieve dal punto che dai castagni del Papetti segue fino al podere della Chiusa Neri e spingendo al fosso della… Chiusa segue fino alla vigna di Domenico Nocci 3) quella che ha origina dalla Madonna detta di Iacomaccio e continuando per la strada detta della Crocetta segue fino all’imboccatura delle due strade, che una porta al principio del vigneto di Rovignano e l’altra che porta al vigneto del Cerreto […] strada dalla casa di Vincenzo Forti a quella di Bernardino Contorni (Corso di Mezzo) […] strada che dall’Abbadia porta all’Acqua Acidola […] riattare , in contrada Santa Maria, la strada per il Vivo».

1795: c’è il ponte dell’Indivina divisionario con Piano ridotto in cattivo stato e pericoloso per i viandanti e bisogna restaurarlo d’urgenza a metà con Piancastagnaio […] discussa la strada sotto la fornace Biselli; passando per la Pizzicaiola conduce al podere di S. Ristoro e da detto podere passando dalla bandita dei Quarti conduce all’aiola di detta bandita, di dove poi combina la strada per andare ad Acquapendente ed allo Stato Pontificio».

1796: […] Don Ambrogio Baiocchi l’Excistercense, rettore dell’Ermeta ed il risarcimento ch’egli ottiene della strada dall’Abbadia all’ Ermeta. […] Lire 26 da spendersi nella Strada della Vena dell’Argento»;

1797: Strade dall’Abbadia a Sarteano […] La viabilità progredita è palese nell’istanza di più possidenti per accampionarsi la strada che, passando dal podere dell’Erosa (non più Le Rose) del sig Pietro Castelli porta alle vigne del Cerreto […] si accenna la strada che dal granaio dell’ill.mo sig Capitano F. Sarti passando dalle porte di sotto delle stalle conduce al podere Sarti dell’Antea»;

1800: strada che va alle Briccole, strada del Baco al fosso del Nencio, quella della Cornieta a Canestri Antonio; quella dal Monastero ai Remedi al Fallani Giovan Domenico; al medesimo Fallani quella della Madonnina di Iacomaccio alla scesa della Crocetta […] restauro della strada da Capo al Muro fino al podere di Zaccaria Piccini».

Dopo questo lungo camminare torniamo a visitare il Paese occupandoci dei suoi

Luoghi di vita religiosa e civile

Il luogo di culto più importante, dopo la Chiesa Abbaziale, era senza dubbio la chiesa di Santa Croce. Purtroppo possiamo solo oggi immaginare come era nel secolo XVIII in quanto nel secolo successivo fu oggetto di rifacimento, non possiamo parlare di ristrutturazione della precedente luogo di culto che risaliva al secolo XIII e la cui posizione infatti era secondo l’asse est/ovest contrariamente all’attuale che è sull’asse nord/sud. Ma vediamone le vicende negli anni del ‘700. Che la chiesa risentisse dei suoi cinquecento anni lo rileviamo dal fatto che nel 1761 «Si ha la vergogna della campana, del campanile di Santa Croce - che crollò - sulla torre di Palazzo» e dai successivi interventi del 1781 per «Restauri al Loggiato di S. Croce. E qui vien fuori il vago porticato di Piazza, i cui avanzi non sono del tutto scomparsi. E’ da meditarsi parola per parola, quel Decreto di riattivarsi l’Impiantito del loggiato della Chiesa Parrocchiale di S. Croce». In più si era aggiunta la necessità di maggiori spazi tanto che nel 1772 si arrivò a «ridurre a Cappella la Venerabile Compagnia di San Sebastiano» altrove appare come di San Sebastiano e Rocco «con sbattere il muro corrispondente nella Chiesa Parrocchiale di S. Croce, mediante la quale verrebbe molto ad ingrandirsi la Chiesa». Probabilmente anche ciò non fu sufficiente e nel 1795 «il popolo è concorde in un’idea, la fabbrica della Chiesa…il Gonfaloniere propone l’elezione di due Deputati per il disegno» e nel 1797 «Veduta la lettera del Sig Dott Filippo Coli del 20 Giugno caduto con cui rimette il bilancio della somma da esso ritirata, come Deputato di questa Magistratura, dalla Cassa dei Resti del Patrimonio Ecclesiastico di Siena, per l’affrancazione degli Onorari dovuti ai Maestri di scuola dell’Abbadia all’effetto di valersi la detta comunità dell’Abbadia dell’avanzo per ampliare la Chiesa Arcipretale di detta Terra; come dl Rescritto del 27 ottobre 1795». La cosa è andata così ma non riesco a non unirmi al commento degli Autori del libro: «…per cui oggi ci domandiamo: non era meglio lasciare intatto il Tempio gotico di S. Croce con le sue tre navate artistiche?…A quest’ora il magnifico Tempio - circondato dal suo Seminario - sarebbe - quel che ha da essere - la Cattedrale Amiatina». Nei pressi di Santa Croce c’era anche la chiesa di Sant’Angelo (San Michele Arcangelo) attestata già nel 1233 e che aveva anche una propria Compagnia che troviamo nominata nel 1780. Da una nota del 1772 sappiamo che la vendemmia veniva per quell’anno «stabilita nel consiglio generale del 29 settembre festa di S. Michele, per il 7 ottobre». Un altra chiesa, risalente ai primi anni del XVI secolo, è la Madonna del Castagno. Da sottolineare solo che «Il 1 ottobre 1702, con plauso di tutti, su proposta del Santese Giuseppe Mili, il Magistrato delibera una Lampada d’argento alla Madonna del Castagno» e che nel 1795 ci fu una «rappresentanza fatta dall’Organista Sacerdote D. Domenico Corsini, che propone la traslazione dell’Organo dalla chiesa della Madonna del Castagno a quella del soppresso Monastero ex cistercense». C’era poi la chiesa di San Leonardo (ex Santa Maria Ausiliatrice) risalente anch’essa al XIII secolo e la Madonna della Pieve «1797: D. Volpini, come Rettore della Madonna della Pieve» che presumo possa essere individuata nella chiesa di Santa Maria inter Fossatum (o Fossata), un paio di chilometri a nord di Abbadia, oggi scomparsa, come scomparsa è anche la Cappella di Santa Elisabetta che nel 1779 fu utilizzata come «Magazzino per la polvere fuori di porta, nella stanzetta che prima era la Cappella di S. Elisabetta». Sempre in ambito religioso oltre alla Compagnia di San Sebastiano, già incontrata quando abbiamo parlato di Santa Croce, vediamo nascere nel 1793 la Compagnia di San Marco; dalle Deliberazioni Magistrali di quell’anno: «E’ occorso infatti per supplire ai bisogni del Popolo erigere una Congregazione (La Compagnia di S. Marco) che si aduna ogni prima domenica del mese nella Chiesa del detto soppresso Monastero, dove gli individui Congregati si Confessano e Comunicano per mezzo dell’assistenza di un Monaco ex Cistercense che vi s’impiega». Nel 1797 fu deciso di far costruire «L’urna per riporvi la sacra pianeta di S. Marco ed i dieci reliquiari…fanno onore al Consiglio, al popolo nonché alla Compagnia di S. Marco» fissandone i costi in «[…] lire 45 prezzo dell’urna con cristalli per riporre la pianeta di S. Marco e lire 218,10 per i cinque Reliquiari di diverse altezze». Altre chiese che però non troviamo nel libro oggetto di questo articolo ma che riportiamo per completezza erano: la Pieve di Sant’Andrea probabilmente già in rovina e profanata nel 1777dal Vescovo di Chiusi, la Chiesa di Santa Maria dell’Ermeta riaperta al culto nel 1792, mentre non dovevano più esistere la Chiesa di San Pietro a Voltole e la Chiesa di Santa Cristina a Callemala. Viste i luoghi di culto vediamo ora le

Feste religiose ed i patroni di Abbadia nel XVIII secolo

Il libro riporta una curiosità quella che alla vigilia dell’Assunta veniva acceso un grande fuoco sulla cima della montagna; vengono pertanto indicate le persone addette come di seguito: «1778: […] farsi mandato a Silvio Piccinetti, per aver acceso il solito fuoco nella Montagna (la vigilia dell’Assunta); 1782: Giovanni Sabbatini ha acceso il solito fuoco il 14 agosto; 1788: Giovanni di Domenico Sabbatini ha acceso il solito fuoco la vigilia dell’Assunta; 1800: pagamento al solito Giuseppe Sabbatini per il fuoco alla Cima della Montagna». Prima di San Marco l’Abbadia aveva due patroni, San Giovanni Battista e San Romano. Il secondo è passato in secondo piano ma ne troviamo traccia nel 1796; la festa ricorreva l’8 di agosto. San Giovanni Battista invece è stato sostituito recentemente, nella metà del 1900, appunto da San Marco. Per la festa del patrono venivano fatti grandi festeggiamenti anche se nel 1760, non con un certo rammarico, vennero tolti due spettacoli cari alla cittadinanza. Leggiamo infatti in quell’anno: «salvo la cuccagna, il volo della capra» rimangono «tutti i divertimenti della nostra infanzia: saracino, palio dei cavalli, corda dei ragazzi col premio di un cappello da due lire: corsa dei somari col premio dei ferri. Ai sonatori si daranno lire 11». In quel secolo ci fu un altro avvenimento che ha segnato la storia di Abbadia San Salvatore, la nascita della Macchia Faggeta che proprio sul finire del 1700 cominciava a delinearsi come atto necessario contro la vendita a privati dei vasti patrimoni terrieri degli enti ecclesiastici e comunali secondo il nuovo modello di amministrazione voluto da Pietro Leopoldo di Lorena. La Società fu costituita con pubblico strumento notarile il 28 Febbraio 1800 ma ecco i fatti salienti che la precedettero: 12 luglio 1779 «Si incomincia a ragionare della vendita della Montagna» 1780: «Rilevante nel frattempo la stima della bandita della montagna - scudi 3000 - fatta da Ambrogio Dinetti e Domenico Rosati» 1788: «Veduta l’istanza di Giovanni Volpini ed altri acquirenti della Macchia Faggeta […] domandano a censo la somma di scudi 2500 […] Il signor Priore Chiarpellini fu autorizzato alla stipulazione del contratto». In pratica assistiamo nell’ultimo ventennio del ‘700 a tutta una seria di atti e decisioni mirate alla valutazione e acquisto da parte dei soci di un Patrimonio boschivo che ancora oggi è un fiore all’occhiello per bellezza ed esempio per capacità amministrativa e gestionale. Prima di riprendere il nostro discorso e parlare di due luoghi di vita civile importanti, l’Ospedale di Santa Maria e le Poste, è forse utile approfondire il mutamento, accennato in precedenza, che stava avvenendo con la trasformazione dell’Economia Municipale. Senza commentare riporterò quindi alcuni estratti dal 1761 al 1788 che rendono sufficientemente l’idea: «Il volume 8 del 1761 continuato fino al 1777 contiene contratti; stipulazioni di promesse e mallevadorie, rilasci di proventi; rendite di bandite, linee, affitti, livelli. L’Economia Municipale va trasformandosi. Si intensifica la piccola proprietà. Cominciano le imposte divise tra i privati. […] …le famiglie (…) acquistano per i discendenti in linea mascolina i possessi della comunità». Seguono nomi di proprietari (che non riporto) e luoghi di proprietà: «Pago, contrada Casa dell’Ospedale, Meleto, Coste del Moro, Vascio, Buiole, Poggio Cirillo, Poggio del Lupo, Piscine, Vallone, Meriggiolo, Poggio Scopicci, Capanne nuove, Casino di Poggio alle Forche, Querciole. […] Questi possidenti dell’Abbadia furono i precursori degli allivellamenti che appunto l’anno 1777 diverranno obbligatori in Toscana».

«1778: […] deliberarono per utile e vantaggio dei comunisti, e nuova comunità, e, fino a tanto che si trovi a lineare o vendere i beni Comunitativi, si per pascolo che di legna per boschi, mandarsi bando…»

«1778: La Magistratura al completo approva di rilasciare i seguenti beni della Comunità: Casette di Paglia di sei staia circa di terreno lavorativo…canone annuo di Lire 4. Un pezzo di terra sodiva di due moggia in contrada il Vascio…per l’annuo canone di stara 5 e tre quarti e mezzo di grano». (segue un lungo elenco di altre cessioni in affitto).

«1788: I siti presso le mura - le carbonaie - fanno gola e non si hanno scrupoli per prenderne l’occupazione».

A chiusura di questo capitolo dobbiamo ricordare, come anticipato precedentemente, altre due istituzioni, l’Ospedale di Santa Maria e le Poste. Del primo veniamo a sapere che nel 1700 «Don Girolamo Pesenti e Don Stefano Neri danno Lire 200 all’Ospedale di Santa Maria per fare stanze e separare li uomini dalle donne» e che nel 1754 ci fu la «Soppressione dei numerosi spedaletti, quindi anche del nostro di S. Maria, riunitine i beni a quello di Siena». Le Poste invece sappiamo che furono costituite nel 1722 «con voti bianchi 20 e 9 neri, ossia contrari: segno che ad un terzo pare disutile la improrogabile novità della Posta». Conosciamo anche il nome del primo postino: l’8 marzo 1739 infatti fu data la cittadinanza a Cesare Fugacci - poi Focacci - che fu il primo postino dell’Abbadia fin dal 1722. Passiamo ora a cogliere dal libro del Settecento amiatino alcuni degli aspetti più interessanti della

Vita sociale del paese

Girovagando curiosi avremmo sentito intanto parole sconosciute quali: canoviere, grasciere, procaccio, santese; niente paura, erano rispettivamente l’oste, colui che garantiva e organizzava il vettovagliamento, il postino ed il sagrestano. Altri suonerebbero più noti alle vostre orecchie ma ormai desueti o relativi a mestieri ormai scomparsi, come: calderaio, carbonaio, cerusico, erbatichiere, ferraiolo, fontaio, massaiolo, mezzaiolo, oblatore, quaresimalista, speziale, stradino, salaiolo. Avremmo scoperto che c’era anche il barbiere la cui prima memoria ad Abbadia si ha nel 1798, certo Fabbrini Nicola che aveva fatto la barba ad alcuni carcerati a Radicofani, e che la levatrice o raccoglitrice si chiamava Angela di Francesco e appare in un certificato del 1699 come Comare in un battesimo. Ci saremmo anche dovuti adattare rinunciando a certe utilità che diamo per scontate; infatti avremmo dovuto fare riferimento all’orologio della torre se avessimo avuto qualche appuntamento, ma non solo. L’orologio infatti con i suoi rintocchi segnalava i momenti della giornata e lo svolgersi delle attività, l’apertura la chiusura delle porte della città, l’inizio e il termine delle attività di mercato, le cadenze delle feste religiose e i lutti, le situazioni di allarme e di pericolo. Aveva pertanto il suo «temperatore», il Maestro orologiaio, che veniva eletto ogni anno e doveva controllare e oliare quotidianamente gli ingranaggi, caricare i meccanismi, regolare manualmente le lancette per garantire l’accuratezza dell’indicazione oraria ed eseguire i lavori di ordinaria manutenzione. Annualmente venivano eletti anche coloro che dovevano prestare opera di insegnamento perché «il Consiglio ha compreso esser profittevole che la gioventù resti istruita ed educata anche nelle scienze, belle lettere e lingua latina» non senza a volte qualche ingerenza, come nel caso di quella avvenuta nel 1796: «[…] di Monsignor Vescovo Pannilini sull’elezione di Maestri e Maestre e del Prete Professore di Filosofia e di Morale». «Si eleggono gl’insegnanti Don Domenico Corsini, Don Carlo Galassi e per le ragazze Caterina d’Antonio Naldi […] abbiamo in casa un eccellente Professore nella persona dell’eccellentissimo Signor Dott. Pietro Paolo Visconti (…) scopritore dell’acqua passante e futuro Archiatro del Gran Duca». Questo piccolo quadro della situazione culturale non ci deve far dimenticare che gran parte della popolazione conduceva una vita molto difficile. Già nei primi decenni del ‘700, e particolarmente nel luglio del 1739 ci sono «cenni paurosi di carestia e di emigrazione» e nel 1740 a causa della carestia ci fu un Referendum (assemblea popolare) «Si reclamano moggia 60 di grano. Sono costretti alle Maremme, Malesuada fames: cattiva consigliera la fame». Seguono anni difficili. Ecco di seguito un estratto:

1746 […] Nuova carestia. 1764-1768: Rigurgitano i forestieri, poveraglia e ladri. E’ cresciuta la gente e la miseria;

1778: non avendo potuto esitare le castagne…[…] a chi vole applicare o in tutto o in parte alla compra delle medesime vadino dal sig dott Vincenzo Fabio Sarti per accordarsi del prezzo […] il dott Sarti, largheggiando di farina dolce, (avvenne così che) acquistasse il titolo di Padre della Patria con cui lo salutarono i nostri nonni;

1778: […] epidemia nel bestiame […] proibizione ai macellai di vendere la carne vaccina.

1782: Pare che la stagione non fosse buona e si ha memoria della Testa di S. Marco portata in processione per la salubrità dell’aria;

1788: […] fu rilasciata fede di miserabilità a … (il rilascio dell’»attestato» di miserabilità è frequente nel corso di tutto il ‘700, un po’ meno il riconoscimento di malattie mentali).

1794: distaccamento di Dragoni spedito per l’arresto di malviventi all’Abbadia e a Pian Castagnaio […] …perizie di coltelli ed armi bianche contro…Alla miseria si erano, come suole, associati delitti di sangue. […] dichiarati malviventi tre fratelli …;

1795: Maddalena S., accusata di stupro violento contro…fu fatta visitare dalle Levatrici Lucrezia Doretti e Maddalena Pecci. ( […] Giacomo C. è stato avvelenato da Antonio M. L’accottimante Antonio M. ha preso la fuga: i suoi fidejussorii Francesco B. e Domenico G. dovranno rispondere;

1796: ecco i Francesi! […] Alle miserie della fame ed all’avvisaglia della guerra si associa la terza Megera: la Peste! L’infezione bovina impensierisce molto…;

1800: ordine del giorno, la fame. Tanto che deliberarono di scoprire la loro Reliquia insigne della Sacra Testa di S. Marco Papa. Viene impedito di portare farina dolce fuori da Abbadia e vengono controllate le case per vedere se ci sono eccedenze di grano e farina. Il 2 febbraio il Capitano Filippo Sarti riesce a reperire moggia 10 di grano comprato fra Valentano e Farnese e altre 10 moggia a Pitigliano. Quel giorno (…) fu acclamato Padre della Patria.

Un quadro deprimente che acuisce i dissapori e le proteste. Fra queste ne ho scelte due che mi sono sembrate significative. I due fatti sono avvenuti l’uno all’inizio del secolo preso in considerazione, l’altro alla fine. Nel 1711 «gran reclami contro il primo divieto della Caccia». Il secondo è legato alla venuta dei Francesi e alla loro imposizione di innalzare l’albero della Libertà. Eccone la sintetica cronaca: «26 aprile 1799: deliberarono e ordinarono doversi nei 2 maggio prossimo futuro innalzare l’Albero della Libertà, come stemma della Gran Nazione, nella Piazza detta la Piazzola entro questa terra dell’Abbadia, atteso l’ingombro della Piazza di S. Croce, dei cementi, sassi e travi della Fabbrica di S. Croce (…) deputarono il cittadino Angelo Coppi di effettuare ad uso d’Arte (…) un ben’inteso Piè di Stallo con suo scalone, con scorniciatura di pietra (…) doversi provvedere un’Antenna per detto Albero della lunghezza di Braccia tredici (…) che sopra doversi adornare del consueto Berrettone di tavola, del tortiglione con tre colori bianco, turchino, rosso, con due bandiere tricolori di Duvois (…) doversi spianare stara 30 di grano per dispensarsi il Pane ai Poveri del Paese in occasione dell’innalzamento di detto albero (…) di fare nella sera di detto Innalzamento i fuochi di gioia anche con le solite Pignatelle da collocarsi nelle Torri del Paese. Ma quello stesso maggio la famiglia Piccini dimostra il suo atteggiamento antifrancese e Angelo Andrea Piccini, l’eroe della Piazzola, distrusse l’Albero della Libertà».

Mi piace finire con questo atto di orgoglio e ribellione che, pur nel mutare fino ad oggi della cultura e delle condizioni sociali ed economiche, è sempre stato un po’ il filo conduttore, e non sempre sotterraneo, del popolo badengo.