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OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 1997-1998 - Vangelo di Luca
INDICE
"Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle 30 novembre 1997
e sulla terra angoscia di popoli in ansia...
Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi
e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina..."
"Non ci togliete anche i Magi!" dicevano, quasi supplicando, alcune mamme ad una catechista, nei giorni passati. Stanno preparando, le nostre catechiste, con i bambini e i loro genitori, il nostro cammino d'Avvento. E quest'anno vogliono cominciare da lontano: dai "magi" che si mettono in cammino per seguire la stella: eccola, è già in mezzo alla nostra chiesa e accanto, vedete, c'è un pupazzo con la corona sulla testa e il manto di re; se venite qui domani lo troverete spogliato di tutto, soltanto un ragazzo e sulle spalle lo zainetto della scuola, per dire che i "Magi" sono soltanto dei simboli: tutti noi siamo invitati ad inseguire la stella, il credente è un cercatore di luce.
Le nostre catechiste si sconcertano, quando sentono qualcuno che dice "Non ci togliete anche questo!" Io l'ho sentito tante volte, nella mia vita, e ormai non mi meraviglio più. Mi hanno detto tante volte: "Non ci togliete le processioni! Anche la benedizione delle case! Ci togliete anche i racconti dei Santi! Se ne vanno tutte le nostre tradizioni... Ci fate perdere la fede"! Quante volte ho ascoltato queste frasi!
Il fatto è, vedete, che le tradizioni, i miti, il folklore, sono cose importanti. Importanti per il nostro essere uomini: ci ricordano le esperienze di chi ci ha preceduto, ci fanno rivivere le emozioni di quando eravamo bambini. E oggi, in tante parti, per fortuna, si conservano i miti, le tradizioni, le leggende, le feste, le processioni, le immagini: tutte cose importanti per la memoria del nostro passato.
Ma la fede è totalmente un'altra cosa! Non riguarda lo spazio magico delle favole, dei riti, delle tradizioni: riguarda la nostra vita di ogni giorno, il nostro avventurarci nel quotidiano: il nostro lavoro, le nostre case, la nostra città, il mondo in cui viviamo. Qui, nella nostra vita, è importante che ciascuno di noi sia un cercatore di luce: che tutti siamo "affamati e assetati" di verità, di senso, di valori autentici, di gratuità, di amore, di giustizia!
È importante per ciascuno di noi, per conservare la speranza, per avere il coraggio - come dice il Vangelo di oggi - di alzare il capo e guardare lontano; per continuare a cercare Gesù! E cercare Gesù significa cercare i valori essenziali per la nostra vita di ogni giorno.
Ma è importante anche per chi ci vive accanto: se la religione è solo rito ed esteriorità, se appartiene al mondo dei miti, delle leggende, delle tradizioni, per molti uomini di oggi è impossibile credere. La fede dei nostri ragazzi è affidata anche al nostro cercare, sinceramente, Gesù e la sua luce.
Quando, anche in questo Natale, sentirete qualcuno - che passa magari per scienziato - che parla della stella cometa, e vi dirà che forse era la cometa di Halley oppure una congiunzione di pianeti, voi sorridete: la stella di Betlemme è un'altra stella! Non ci sono stelle nel cielo che si muovono da un posto, poi si fermano, poi ricominciano a spostarsi, poi per un po' scompaiono, poi ricompaiono, poi alla fine si fermano su una capanna... Questa non è certo una delle stelle che abbiamo imparato a conoscere, che popolano l'infinito universo, né una congiunzione di pianeti. Quando sentite parlare di queste cose, sorridete!
Non di un astro del cielo si parla, ma di me: sono io, siamo noi, i cercatori della luce; è importante che la cerchiamo nella nostra vita, che guardiamo alla luce di Dio chi ci vive accanto ogni giorno, la gente che incontriamo quando andiamo a lavorare, gli avvenimenti della nostra vita.
Il cristiano è uno che non si stanca di cercare Gesù nella propria esperienza quotidiana; convinto, poi, di incontrarlo al di là della vita: quando ritornerà e ci abbraccerà, per sempre!
Il Signore ci aiuti!
Nell'anno XV dell'impero di Tiberio Cesare... la parola 7 dicembre 1997
di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.
Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando
un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Pilato, Erode, i sommi sacerdoti Anna e Caifa: a questi personaggi è affidato, nel cammino dei Magi, il compito di rappresentare "il buio". Sono il simbolo della violenza, dell'intolleranza, del male. E "la luce" che i Magi vanno inseguendo, si offusca, sparisce, quando arrivano a Gerusalemme, quando si trovano davanti ad Erode: il simbolo del potere che calpesta gli uomini, dell'arroganza, dell'egoismo; quando incontrano i sommi sacerdoti: i sapienti di Israele, coloro che sanno tutto, coloro che sanno dove deve nascere il Messia, ma non cercano più; fermi alle loro idee, al loro sentirsi giusti, al loro saper tutto, alle loro tradizioni.
Queste intolleranze, queste violenze, le ritroviamo anche oggi intorno a noi; e non soltanto lontano, ma - se posso coinvolgervi - anche nel nostro cuore. Qualche volta il nostro cercar la luce del Signore è offuscato dalle nostre pigrizie, dai nostri egoismi. Qualche volta anche a noi sembra di essere arrivati, di essere giusti e ci manca la voglia di cercare ancora la luce di Gesù!
E non soltanto questo: a volte ci portiamo dentro domande e dubbi: può essere, il dubbio, un invito a cercare, a camminare ancora; può invece portare alla rinuncia, al buio.
Vorrei leggervi stasera le parole che non i bambini, questa volta, ma gli adulti hanno preparato per la messa di domani: i dubbi, le domande e poi le parole forti di uno che non può più credere. Provate ad ascoltare: sono frasi di genitori diversi. Uno dice: "Le forme religiose le sento vuote e vivo una religione personale. Ma dove si trova una dimensione vera della vita?" Un altro: "Perché quando mi ritrovo a Messa, insieme a tanta gente, ho l'impressione di una distanza che non viene mai colmata?".
E ancora: "Quando sono in difficoltà penso a Dio, quando le cose mi vanno bene, penso ai fatti miei".
E un altro: "Credo che il Natale sia l'unico momento dell'anno in cui la nostra coscienza collettiva apre i suoi occhi sul mondo e si ricorda di tutti i "diversi", dei poveri; e gli regala un giorno "normale", con panettone e spumante e magari una maglia di lana. Purtroppo, però, è subito il 26 dicembre!".
Ed ecco ora le parole di uno che non può essere qui con noi, perché ritiene di non credere: "Io non credo, o almeno credo di non credere. Al di là dei miei dubbi - diciamo così - scientifici, non accetto l'idea dell'esistenza di un dio, che assiste a tutto quello che accade sulla terra senza intervenire. Credo di non credere: perché, se la Bibbia ci dice che questo dio più volte è intervenuto concretamente, non so accettare che ora se ne sia stancato, che lasci tanti suoi figli morire di fame e di freddo, di guerra e di droga, di stanchezza e di paura. Credo di non credere: perché se credessi, non potrei non odiare questo dio svogliato, vecchio e stanco e forse stufo di tutto quello che ha creato".
Ma in questo dio, non crediamo nemmeno noi!... E se Dio avesse affidato a noi il compito di permettere a persone come quest'uomo, di credere?
Forse anche voi avete notato, nelle parole di quest'uomo - che domani non sarà qui a celebrare con il proprio figlio l'Eucarestia - una sensibilità per il bene, il dolore per tanta gente che muore di fame, di freddo, di guerra, di droga! Non spetta anche a noi parlare di Dio in modo che sia credibile per una persona così?
Forse i dubbi di questo papà li ha attraversati più d'uno di voi. Come rispondereste a questo signore? come tentereste di rendergli possibile, ancora, parlare di Dio, rivolgersi a Lui, sentirlo presente nella propria vita?
Sono domande importanti: importanti per noi, per chi ci vive accanto. Non possiamo trascurarle, lasciarle cadere. Sarebbe bello riuscire a testimoniare che il Dio a cui ci conduce la stella non è il dio di cui parla quest'uomo!
Un piccolo bambino indifeso, un bambino che sa soltanto piangere e tendere le sue mani: questo è il Dio che troveremo la notte di Natale! L'unico Dio che conosciamo non è il Dio onnipotente che manovra gli uomini e le cose, non è il Dio che risolve i problemi dell'uomo: è il Dio che viene a camminarci accanto come un bambino; e ci tende la mano e ci chiede di aprirci alla sua luce!
Cercare questa luce al di là dei nostri dubbi, continuare a domandarci chi è Dio, tentare di parlarne in modo che sia credibile agli uomini d'oggi, in modo che i nostri discorsi su Dio siano conciliabili con tutta la violenza, il male e il buio che c'è nel mondo... questo è compito di tutti noi. A noi e, forse, non solo alle nostre parole, ma alle nostre mani, al nostro cuore, Dio affida la possibilità, per chi ci vive accanto di credere in Lui!
Il Signore ci aiuti!
"Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio: 8 Dicembre 1997
concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù".
Allora Maria disse: "Eccomi, sono la serva del Signore;
avvenga a me quello che hai detto".
Quando si è bimbi - credo che sia successo anche alla maggior parte di voi - si ha bisogno di miti, di eroi, di personaggi che non sbagliano mai, capaci di compiere imprese grandi e belle. È forse soltanto la proiezione dell'idea che abbiamo dei genitori: il papà e la mamma non sbagliano mai, sembrano quasi onnipotenti, quando si è bambini. Poi si cresce e sarebbe importante smettere di credere nei miti. Spesso, invece, continuano a proporci dei miti anche oggi: alla radio, alla TV, personaggi mitici, eroi capaci di compiere grandi imprese, di risolvere, quasi magicamente, i nostri problemi. Vi siete mai chiesto perché? Forse perché ci vogliono ancora bambini, forse perché vogliono che pensiamo il meno possibile...
E questo succede anche nella vita della Chiesa. A molti di noi - specialmente a chi ha i capelli bianchi - quando eravamo bambini proponevano tante immagini di "santi": persone straordinarie, persone che non avevano dubbi, che non sbagliavano mai, capaci di compiere prodigi! Perché ce le proponevano? Forse per farci sentire in colpa, forse per farci sentire il bisogno di una mediazione, forse per non farci pensare,
Ed anche Maria, se ricordate, ci veniva presentata come un mito: mai sfiorata nemmeno da un'ombra di peccato, di male; mai un dubbio, mai un'incertezza! Era Maria (non so se lo è stata anche per voi) un mito da contemplare da lontano, una "mamma" a cui rivolgersi nel momento del bisogno, un'immagine straordinaria, ma lontana dalla nostra vita di ogni giorno, dalla nostra ventura di uomini, dalla nostra ricerca.
Capite forse il mio stupore (non so se è stato così per molti di voi) quando, nel Vangelo, mi capitava di notare uno strano racconto: un giorno da Nazareth lei e i suoi parenti vanno a cercare Gesù, che se n'è andato da casa. E sapete perché lo andavano a cercare? Perché pensavano che fosse diventato matto. Non ve lo aspettavate da Maria, che andasse a cercare Gesù perché pensava che fosse diventato matto! È scritto nel Vangelo!
Quando mi sono fermato su questa storia, ho sentito Maria vicina a me, l'ho sentita vicina a mia madre, alle tante madri che ho incontrato: qualche volta andavano a cercare i figli, perché non li capivano più; cercavano di capire un figlio che se ne voleva andare, che inseguiva altre strade, che era diverso da come lei lo aveva sognato!
Anche Maria ha fatto fatica a capire suo figlio: provate ad immaginarla, là sotto la croce, quando lo ha visto con le braccia inchiodate sul legno. Non si sarà domandata anche lei: "Perché se n'è andato da casa?! Perché non mi ha ascoltato, perché non è rimasto con me?! Perché è finito su una croce?!" Per tutta la vita Maria ha cercato suo figlio! E il figlio che lei ha avuto il coraggio di accettare nella sua vita, non era un figlio normale, come me, come i vostri figli. Era un figlio straordinario, che si portava nel cuore la luce, la pienezza stessa di Dio!
Ecco perché Maria è il modello della fede del credente. Lei ha cercato suo figlio, l'ha saputo accogliere al di là dei suoi dubbi, ed anche quando non lo capiva più, gli è rimasta fedele. L'avete notato? Anche nel Vangelo che oggi abbiamo ascoltato, c'è il dubbio di Maria: "Com'è possibile?"; il suo sconcerto di fronte all'annunzio straordinario: "Tu diventerai la madre di Dio".
E poi, come spesso capita a noi, quando abbiamo qualche dubbio, si guarda intorno, per vedere se c'è qualcuno che ha bisogno di una mano: di tutto il grande discorso che Maria ha ascoltato dall'angelo, lei sembra capire una cosa sola: c'è la sua parente, è anziana e aspetta un figlio! Dando una mano, portando un sorriso, una carezza, un po' di tenerezza, forse anche i dubbi se ne vanno... e si riprende la strada.
Vedete, ho scoperto Maria così: vicina alla nostra ventura di Cristiani, anche lei come noi alla ricerca della luce, anche lei capace di accogliere suo figlio nella propria vita. È quello che tentiamo di fare anche noi!
Il cammino di Natale - ce l'hanno ripetuto i nostri bambini - è un cammino alla ricerca di Gesù: è cercare la sua luce, è tentare di accoglierlo nella nostra vita. E allora Maria può essere nostra compagna di strada, può essere la maestra della nostra fede!
Il Signore ci aiuti!
Le folle interrogavano Giovanni: "Che cosa dobbiamo fare?" 14 dicembre 1997
Rispondeva: "Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha
e chi ha da mangiare faccia altrettanto".
Lo interrogavano anche alcuni soldati: "E noi che dobbiamo
fare?" - "Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno".
Quest'anno sono i Magi a guidarci nel nostro cammino verso il Natale: la loro storia può essere un simbolo, la parabola della nostra avventura di credenti, del nostro camminare alla ricerca della luce.
Seguiamo, allora, con un po' di fantasia il cammino dei Magi: son partiti da lontano, una strada lunga li attende. Anche loro - lo ricordavamo domenica scorsa - hanno fatto esperienza del "buio": del male, della violenza, dell'arroganza, dell'intolleranza. L'amara esperienza dell'incontro con chi pensa di sapere tutto e non cerca più.
Ma guardando più da vicino troveremo, anche nel loro cuore, il dubbio: "Chi ce lo fa fare? Sarà possibile trovare la luce? Perché camminare e cercare ancora?" E avranno sentito, a volte, la stanchezza per un cammino che si fa lungo e per la difficoltà ad intravedere la luce. Che cosa li avrà aiutati a camminare?
Forse, alla sera, prima di addormentarsi, si saranno soffermati a guardare il cielo stellato, immenso, luminoso, come dicono che sia nel deserto. O forse qualche volta hanno visto spuntare fra le pietre un fiore: segno di bellezza, che li invitava a camminare e cercare ancora.
Ma, probabilmente la cosa più preziosa è stata l'amicizia, l'aiuto reciproco - erano in tre! - l'incoraggiamento di chi, quando sei stanco, ti mette una mano sulla spalla e ti invita a non fermarti, a camminare ancora. Avete mai provato a camminare in montagna? Quando viene la stanchezza, c'è qualcuno che cammina con te e ti dice: "Coraggio! Siamo quasi arrivati". E riprendi la strada e cammini, anche se - come spesso succede - non è vero che sei quasi arrivato...
O forse è stato qualcuno, incontrato per strada, che magari inaspettatamente, ha dato loro un bicchiere d'acqua, o con loro ha diviso il pane; oppure l'aver incontrato soldati - avete ascoltato il Vangelo - che li hanno trattati con gentilezza, senza violenza!
È stato per loro l'invito a camminare, a cercare ancora.
Ma se questa è una parabola, chi sono stati per noi i "soldati" che ci hanno aiutati a camminare, a cercare? chi ci ha dato una mano nel cammino della vita? chi è stato "luce" per noi? Io spero che anche per voi, spesso, sia stata "luce" la bellezza del creato: che anche voi vi siate fermati, magari non nella notte nel deserto, ma in una mattina luminosa in riva al mare, o di fronte allo spettacolo della montagna innevata, come in questo periodo. Di fronte allo splendore della natura, avete sentito il bisogno di cercare ancora la luce, il bene!
Ma forse anche per voi è stato soprattutto chi vi vive accanto, chi vi vuol bene, l'amicizia che ha arricchito la vostra vita!
Forse anche voi avete incontrato chi ha condiviso con voi qualche cosa: chi vi ha dato, se non proprio del pane, l'amicizia e l'attenzione, chi vi ha aiutato in un momento difficile, chi vi ha dato il consiglio giusto. Momenti di luce, momenti di tenerezza, che ci hanno aiutato a camminare, a cercare Dio!
Ecco, se siamo qui, a prepararci al Natale, ad aspettare che nasca Gesù, è anche per l'aiuto della gente che ci ha mostrato tenerezza, che ha condiviso qualche cosa con noi. Ed anche noi, forse, siamo stati, qualche volta, luce per gli altri: e l'invito di Giovanni, in fondo, è ancora questo.
Il Natale sarà più bello se anche noi, nella semplicità della nostra vita, tentiamo di essere luce per gli altri: offrendo un gesto di tenerezza, una carezza...
Il Signore ci aiuti!
Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino 21 dicembre 1997
le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo
ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e benedetto
il frutto del tuo grembo...". Allora Maria disse: "L'anima mia
magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore!"
Quest'anno, anche noi, come i Magi, siamo partiti da lontano, portandoci nel cuore desiderio di luce, voglia di giustizia e di pace. Abbiamo ricordato le nostre esperienze di "buio": anche noi come i Magi, facciamo esperienza della violenza che c'è nel mondo, dell'arroganza, dell'intolleranza. Anche noi, come loro, ci portiamo dubbi nel cuore: qualche volta la "luce" sembra sparire dalla nostra vita!
Abbiamo continuato a camminare senza stancarci, a cercare ancora; forse ci ha aiutato qualcuno, che con noi ha condiviso il cammino, la ricerca, il desiderio di bene, di pace, di luce. Ormai siamo quasi arrivati: è finito il nostro cammino di Avvento.
Veramente, se la storia dei Magi è una parabola della nostra vita - lo sapete bene - il cammino non finisce! Ma ne riparleremo il giorno dell'Epifania: riprenderemo la storia dei Magi e ci diremo che, finite le feste, continua la nostra avventura alla ricerca della luce.
Adesso è tempo di prepararci a celebrare il Natale: e sarà bello, allora, arrivare anche noi alla capanna e al termine del nostro cammino trovare la luce, al di là del buio - del buio che a volte c'è intorno a noi e a volte ci portiamo dentro - trovare la luce di Dio!
Sarà bello - al di là di una religione, che spesso, anche in questo tempo, è fatta di regole e divieti - sarà bello trovare il Bambino che viene a condividere la nostra vita - "Dio con noi " - nella semplicità di una mangiatoia!
Al di là della violenza che c'è nel mondo, sarà bello contemplare Dio che si fa bambino e viene a condividere e a confermare i nostri desideri di pace.
Al di là dei "santoni" che fanno prodigi, sarà bello vedere l'inermità di Dio, che si fa un bambino indifeso e viene a camminare con noi per le strade del mondo.
Al di là dei discorsi pseudo-scientifici, che passano a volte per discorsi religiosi, sarà bello ritrovarci con gli occhi innocenti e ingenui di un bambino, a contemplare Dio che si fa uno di noi e viene a condividere la nostra vita!
Sarà bello! E chi sa che anche noi - come Maria, come Elisabetta, come Giovanni Battista, che addirittura nel ventre della mamma sussulta di gioia - non possiamo, in questi giorni, sperimentare la gioia! Nel vangelo di Matteo si legge che i Magi, al termine del loro cammino, "con grandissima gioia" trovarono Gesù!
Invochiamo lo Spirito, perché il Natale che viene ci metta la gioia nel cuore.
E se c'è qualcuno tra voi che non può provare gioia, per Natale, perché ha un cruccio troppo grande dentro, o si sente solo, non si porti nel cuore anche il senso di colpa per non poter essere gioioso... invochiamo lo Spirito perché possa almeno sentire la tenerezza di una carezza del Bambino Gesù! Forse un bambino che nasce non sa nemmeno fare una carezza... ma è bello sognare, nella notte di Natale, per chi ha un peso nel cuore, un dolore, qualche cosa che gli lacera la vita, una carezza: soltanto una carezza del Bambino Gesù!
Ma per molti di noi sarà possibile vivere l'esperienza dei magi: lo Spirito di Dio ci metta nel cuore la gioia di Natale, la gioia della luce, la gioia della presenza di Gesù nella nostra vita!
A Betlemme Maria diede alla luce il suo figlio 25 dicembre 1997
primogenito e lo depose in una mangiatoia.
Molti di voi son venuti in chiesa in questo tempo di Avvento e, fin dal primo giorno, hanno visto questa grande stella, che ha accompagnato il nostro cammino verso il Natale. Sì, perché quest'anno ci hanno invitato a seguire la strada dei Magi verso la capanna di Betlemme.
E allora possiamo, ancora una volta, seguire con la fantasia questo cammino, che è un simbolo, una parabola della nostra avventura di credenti.
Son partiti da lontano, i Magi, forse spinti da qualche inquietudine interiore, da un desiderio di ricerca. È stata lunga la strada: difficoltà, fatiche; qualche volta il dubbio nel cuore! Si saranno fatti coraggio a vicenda, per camminare ancora. Ormai stanno per arrivare.
Ma provate un momento a domandarvi: cosa cercavano? Cosa si aspettavano di trovare? Forse, se qualcuno ha detto loro che avrebbero incontrato Dio, potevano aspettarsi dei grandi templi: a quel tempo ce n'erano di grandiosi, ricchi di statue, di ori. Potevano aspettarsi delle grandi cerimonie: c'erano, anche allora, caste sacerdotali numerose e potenti. E forse si aspettavano di assistere a qualche prodigio, di vedere qualche manifestazione della potenza di Dio.
O, se hanno detto loro che là avrebbero incontrato un Sapiente, forse pensavano di trovare dei grandi libri, delle parole complicate e difficili, per spiegare i tanti misteri della vita.
O, se qualcuno ha detto loro che là avrebbero incontrato un grande personaggio, capace di salvare mondo, si aspettavano i segni del potere: splendidi palazzi, grandiose città, o eserciti potenti, schierati per la conquista.
Arrivano: una capanna, un bambino appena nato. Tutto qui?! Tanta strada per questo?! I Magi probabilmente non avevano schemi e attese, che tante volte ci impediscono di aprirci l'uno all'altro e di accoglierci: cercavano solo la luce, si portavano dentro soltanto un desiderio di vita! Per questo - dice il Vangelo - hanno provato "una grandissima gioia"!
E voi, voi che siete venuti qui a celebrare il Natale, che cosa cercate? Cosa vi aspettate?
Noi veniamo da un mondo in cui ci sono tanti segni di potenza: denaro, armi, potere. Noi veniamo da un mondo che ci lascia storditi per le tante parole, spesso vuote, che ascoltiamo. Anche nella Chiesa quante parole, che spesso riducono la religione a regole e divieti.
Ma forse qualcuno di voi stamattina è venuto qui per chiedere una grazia, qualche cosa di cui ha bisogno per la propria vita. O, forse, più generosamente siete venuti a chiedere la pace e il benessere per il mondo!
Guardate: soltanto un bambino indifeso! Non c'è altro davanti a noi. Ci tende le mani e ci chiede Lui qualcosa. Cosa si può chiedere a un bambino appena nato?! Non sa nemmeno sorridere... può soltanto gridare la sua voglia di vivere!
Se non ci aspettiamo nulla, se lo Spirito ci apre il cuore allo stupore e alla meraviglia, in questo bambino possiamo riconoscere Dio! Soltanto la sua gratuità, il suo amore, il suo desiderio di "essere con noi", di condividere la nostra vita! Ma pensate un momento: se non c'è gratuità, se non c'è tenerezza, se non c'è amore, che vale la vita!
Qui non c'è potenza, non c'è forza: non vedremo nessun prodigio! Non ci porterà nemmeno la pace: non può portarci niente, un bambino appena nato!
Ci chiede qualcosa: ci chiede tutto il coraggio per camminare ancora, per cercare ancora la luce; ci chiede di prenderlo tra la braccia, di custodire la sua vita; di camminare con lui! Chiede a noi di portare la pace intorno a noi! Chiede a noi di conservare nel cuore la fame e la sete di giustizia, il desiderio della tenerezza e della gratuità!
Il Signore ci aiuti!
"Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, 28 dicembre 1997
angosciati, ti cercavamo". "Perché mi cercavate? Non
sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?"
Perché non facciate indigestione di prediche, in questo tempo di Natale - sono pericolose le indigestioni di prediche, peggiori di quelle di cibo - qualche parola in libertà, da non prendere sul serio. So che molti di voi dicono: "Sappiamo bene che non bisogna mai prendere sul serio le parole dei preti e tampoco quelle del parroco; altrimenti non saremmo ancora qui". Qualche parola in libertà, dunque, da non prendere troppo sul serio.
Uno dei tormentoni che affliggeranno il popolo cristiano in questa fine di millennio, oltre il giubileo, saranno i discorsi sulla crisi della famiglia. Lo sentirete ripetere all'infinito: vi diranno che la famiglia è in crisi: aumentano i divorzi, le separazioni, non ci sono più regole.
Diranno che i genitori non sanno più educare i figli, come una volta. Che oggi vengono sfruttati i bambini, addirittura violentati, qualche volta nella stessa casa.
Vi diranno che oggi non si fanno più bambini... e via brontolando e accusando.
Il fatto è, fratelli carissimi, che noi viviamo in una società che è fondamentalmente basata sulla ipocrisia; e in molti angoli della Chiesa l'ipocrisia è stata elevata a vette quasi incommensurabili.
Queste cose ci sono sempre state! La famiglia ha conosciuto crisi fin dal tempo di Adamo ed Eva. Soltanto che queste cose, un tempo, bisognava non farle vedere a nessuno. Quante volte vi hanno ripetuto che i panni sporchi si lavano in casa? Guai a far sapere fuori che c'era qualcosa che in famiglia non andava!
Io ho visto molta gente soffrire in casa - per la violenza, per la mancanza di rispetto, per le botte, per la sopraffazione - gente che non poteva, e non può, liberarsi; gente per cui la separazione, il divorzio, sarebbe una liberazione! Ed oggi, per fortuna, di queste cose se ne può parlare.
Gente che violentava i bambini c'è sempre stata; soltanto, non se ne parlava. Provate a domandare quello che succedeva in certi collegi tenuti da religiosi: guai a parlarne! Tacere, sopire, nascondere: "Che non si parli mai, di queste cose!"
Son cose che ci son sempre state. Non è capitato anche a voi di conoscere persone - io ne ho viste tante - che soffrivano per l'educazione di un tempo, spesso autoritaria, repressiva?
Un tempo è vero si facevano molti bambini; ma c'era chi non si curava di loro, chi li abbandonava per le strade! Non erano, le nostre città, piene di brefotrofi? Non c'era quasi in ogni convento "la ruota", in cui si abbandonavano i bambini? E come venivano fatti crescere?
Molte di queste cose, per fortuna, sono finite. Quindi, quando sentirete il solito tormentone sulla crisi della famiglia, non date retta! La famiglia esiste dal tempo di Adamo ed è, per fortuna, una delle strutture più solide della nostra società. Sarebbe ora che noi cattolici cominciassimo a pensare un po' meno alla famiglia e un po' più allo stato e alla società. Forse, risolvendo i problemi della società, risolveremo i problemi, che ancora restano, della famiglia.
Io non voglio negare che ci siano: che ci siano separazioni, fallimenti, difficoltà di educare i figli. Ma tutte queste cose non si risolvono brontolando, accusando, lamentandosi, puntando il dito contro la gente.
Tutte queste cose si risolvono studiando, cercando, pensando; con un po' di buon senso e di buona volontà; con fiducia nell'avvenire, coraggio nell'inventare strade nuove. Soprattutto senza ipocrisia: dicendo pane al pane, vino al vino; parlando in libertà, cercando insieme con fiducia.
E quindi, quando vi affliggeranno con il solito tormentone sulla crisi della famiglia, voi avete da fare una sola cosa (in cui però noi romani siamo esperti, vittime come siamo da più di 2000 anni prima dei Cesari e poi dei Papi): ridete! Ricordate Pasquino! Non c'è altro da fare che ridere.
Il Signore ci aiuti!
Te Deum laudamus... per singulos Celebrazione del ringraziamento - 31 dicembre 1997
dies benedicimus Te...
Siamo qui stasera a ringraziare il Signore per quest'anno che è ormai trascorso: tentiamo di esprimere il nostro stupore, la nostra gratitudine di fronte alla vita: alle cose più semplici della vita, che sono - se ci pensate - le cose più importanti.
Quest'anno il sole si è alzato tranquillo ed è tramontato ogni sera; le stelle hanno brillato nel cielo, la pioggia e il sole si sono alternati regolarmente; l'inverno ha fatto freddo, l'estate ha fatto caldo; i fiori sono sbocciati, i frutti son maturati.
E noi ci siamo rallegrati per la natura che abbiamo intorno: il mare, qui ad Ostia, è sempre grande e meraviglioso; la pineta - almeno in certe parti - è sempre più bella.
La maggior parte di voi, della nostra gente, si è svegliata ogni mattina, ha cominciato a lavorare e la gran parte ha lavorato con onestà, cercando di fare il meglio che poteva: gli insegnanti hanno cercato di dare cultura ai ragazzi, i commercianti ci hanno venduto i prodotti necessari, i medici hanno cercato di curare i malati, i postini ci hanno consegnato, quasi regolarmente, la posta... I genitori si sono occupati con affetto dell'educazione dei figli, i bambini hanno fatto i loro capricci, gli adolescenti hanno regolarmente litigato con i loro genitori, ma in gran parte hanno cercato di studiare seriamente e di prepararsi al domani. È la vita!
C'è di più: quest'anno qualcuno dei nostri ragazzi si è innamorato, qualcuno si è sposato, qualcuno ha messo al mondo dei figli (non troppi, per fortuna); qualcuno ha trovato lavoro...
Ma c'è di più: ci siamo ritrovati ogni domenica a celebrare il Signore, qualcuno ha cercato di prendere sul serio Gesù e il suo Vangelo. I catechisti e le catechiste si sono sforzati, meglio che potevano, di testimoniare il Signore ai bambini e ai loro genitori, ai giovani e - cosa quasi prodigiosa - qualcuno li ha anche ascoltati!
E c'è chi è andato a far del bene anche al di fuori della propria casa: qualcuno è andato all'ospedale, ad occuparsi dei malati; qualcuno ha aiutato a studiare ragazzi in difficoltà; qualcuno si è occupato dei più poveri.
Delle zelanti signore vi hanno fatto trovare la chiesa sempre pulita e ordinata; i cantori hanno cantato, dicono che quest'anno hanno anche imparato il TE DEUM: stasera vedremo se è vero!
È la vita: la vita fatta delle cose semplici di ogni giorno. Per questa vita noi siamo qui a rendere grazie al Signore e ad invocare la Sua benedizione: perché la vita ancora continui ricca di pace, di serenità, di opere buone; ricca dello sforzo di tanta gente, che cerca di compiere il bene intorno a sé!
E alla fine dell'anno non si può non guardarsi indietro con un pizzico di malinconia e di nostalgia: qualcuno se n'è anche andato! Per noi, per la maggior parte di noi, la perdita, quest'anno, è stata grande: il sor Francesco - lo avete conosciuto tutti - ci ha lasciato! È stato in mezzo a noi una presenza precisa, preziosa, tenera, affettuosa! Ma noi siamo convinti che ora canti il suo ringraziamento presso il Signore. Anche questo fa parte della vita!
E allora, invochiamo la benedizione, per andare avanti, cercando di costruire intorno a noi, come ci è possibile, la pace e il bene; di dare alla gente che ci incontra serenità, speranza e fiducia. E, se possiamo, anche un pizzico di gioia di vivere.
Il Signore ci aiuti!
Maria conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. 1 gennaio 1998
Se permettete, soltanto qualche parola d'augurio, in questo primo giorno dell'anno, per non cominciare male...
Posso augurarvi che abbiate, in quest'anno, giorni ricchi di salute, di benessere; ed anche la pazienza che ci vuole per sopportare qualche contrarietà, qualche acciacco: come sempre succede, ci sarà anche quello.
Vi auguro di cuore che abbiate serenità, dentro di voi e intorno a voi: che ci sia pace nelle vostre famiglie, che abbiate conforto dai figlioli, dai nipoti (chi ce l'ha); che abbiate soddisfazione nel vostro lavoro.
Vi auguro che possiate, giorno dopo giorno, andare alla ricerca della "luce", essere sinceri testimoni di pace: chi vi incontra possa trovare, nelle vostre opere, nei vostri sentimenti, un invito alla speranza, a camminare e cercare ancora, a costruire un mondo più bello e più sereno!
Un augurio sincero: che la benedizione del Signore ci accompagni in questi giorni che ci stanno davanti. Il Vangelo che abbiamo letto ci dice che "Maria conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore". Ecco, anche voi possiate, per tutto l'anno, portare il ricordo del Natale, dei buoni sentimenti che hanno attraversato il nostro cuore in questi giorni.
Soprattutto il ricordo di Gesù che nasce per noi, il ricordo della Sua luce: che possiamo anche noi, come i Magi, continuare a cercarla per tutto l'anno che viene!
Il Signore vi conceda giorni sereni e tranquilli, giorni ricchi di pace e di bene!
(È tutto, per oggi. Vi bastano questi auguri. Sì!?)
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo... 4 gennaio 1998
Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto.
"GESÙ È LUCE": è scritto sulla grande stella che quest'anno ha accompagnato il nostro Avvento e il nostro Natale. Il Vangelo di oggi - l'inizio del Vangelo di Giovanni - ci ha ricordato più volte che Gesù è "la luce vera, che illumina ogni uomo".
E allora vorrei porre alla vostra attenzione tre domande. Le domande sono serie; le considerazioni che faccio dopo, forse lo sono molto meno. Ma è importante che ciascuno di noi rifletta, cerchi ciò che ritiene più giusto. Le tre domande che vorrei proporvi oggi sono queste:
La prima: In che senso Gesù è stato luce per me? È una domanda molto personale. Ma è bene, a volte, che le domande siano personali; altrimenti la religione rimane qualcosa di astratto, formule che si ripetono stancamente. Ho tentato, questo pomeriggio, di chiedermi come risponderei a questa domanda. Vedete, potrei cominciare a parlare e non so quando finirei. Perché nella mia esperienza di credente, da quando ho cominciato a scoprire il Vangelo, la Parola di Gesù, la sua vita, Lui è stato in tanti modi "luce" per me; mi è solo difficile riassumere.
Forse la prima cosa che direi, è che Gesù mi ha portato nel cuore la libertà! Libertà di pensare a Dio, al di là delle formule che avevo imparato al catechismo. Anch'io quando ero bambino mi portavo dentro la paura di Dio, del suo occhio che scruta ovunque; paura del suo castigo. L'incontro con Gesù mi ha fatto scoprire Dio come Padre... il Suo perdono, la Sua festa!
Ho scoperto Gesù come liberazione dalle regole soltanto esteriori, dalle tradizioni che si ripetono spesso vuote. Ho scoperto Gesù come liberazione dai miti, dalle mode che passano, dall'ipocrisia. Ho sentito Gesù come testimone di gratuità, di verità autentica; in Lui, ho scoperto i valori più autentici: la vita condivisa, il dono di sé, la libertà! E potrei continuare ...
Ma non importa quello che posso dirvi io: se voi siete qui, è certamente perché, anche per voi, Gesù è stato luce. In che senso lo è stato? Che cosa avete scoperto in Gesù? In che modo Lui ha illuminato i vostri passi, la vostra vita di ogni giorno?
E la seconda domanda: il vangelo di Giovanni dice: "Venne nel mondo, ma i suoi non l'hanno accolto". Chi, secondo voi ha accolto la luce di Gesù e chi l'ha rifiutata?
È importante anche questa domanda; non è importante la mia risposta. La mia risposta si rifà ad un'esperienza: quest'anno mi ha colpito in maniera particolare (penso che a molti di voi i nomi che seguono non dicano nulla), il libro di Maria del Carmen Tapia, che era la segretaria personale di Josè Maria Escrivà de Balaguer: un "beato", a cui è dedicata una delle parrocchie di Roma: quest'uomo appare dominato dalla sete di potere, dall'intolleranza, dalla voglia di dominare il suo prossimo, dall'assoluta mancanza di rispetto per la libertà degli altri, in maniera quasi incredibile; il tutto spacciato per obbedienza o per fede, o per altre scempiaggini, spesso in uso tra certi cristiani; forse era addirittura in buona fede...
Ho letto, quasi contemporaneamente, diversi libri di Voltaire (questo nome a qualcuno di voi è più noto): quando io studiavo, era quasi "il diavolo", i suoi libri messi all'Indice! Libri straordinari! per tolleranza, per senso della libertà, per voglia di pace, per rispetto dell'uomo. Uno è "beato", l'altro è all'Indice: chi ha accolto la luce del Signore?
Ma forse più semplicemente, potete chiedervi: fra le persone che avete conosciuto, fra quelli che magari non vengono mai in chiesa, chi ha accolto la luce di Gesù e chi l'ha rifiutata? Quante volte ho sentito dire, (ma non suoni offesa per nessuno di voi): "Quella persona va sempre in chiesa ed è la persona più maligna che ho conosciuto". Forse erano esagerazioni, forse addirittura calunnie; ma forse... c'è un pizzico di verità; almeno, secondo la mia esperienza.
La terza domanda e non vi aggiungo nemmeno un commento: come possiamo essere testimoni di luce intorno a noi, nella vita di ogni giorno, attraverso le nostre parole, ancora più attraverso i nostri gesti? Essere cristiani, avere incontrato Gesù, essere stati illuminati da Lui, significa diventare testimoni di luce, nella semplicità della vita. Come possiamo esserlo?
Il Signore ci aiuti!
Al vedere la stella, i Magi provarono una grandissima gioia. 6 gennaio 1998
Entrati nella casa videro il bambino con Maria sua madre
e prostratisi lo adorarono... Avvertiti poi in sogno di non
tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.
Tocca a me avvertirvi di non passare da Erode... penso che nessuno di voi abbia fatto un sogno del genere, stanotte.
Vedete, se la storia dei Magi è una parabola della nostra vita, della nostra avventura di credenti; allora è importante per noi non ripassare da Erode e tornare, però, alla nostra vita, alla nostra storia di ogni giorno.
Erode è il simbolo del mondo della violenza, dell'inganno, delle cose fatte di nascosto. Nel mondo di Erode c'è anche la gente che pensa di sapere tutto: avete ascoltato i sacerdoti, gli scribi, gente che non ha mai dubbi, che sa dove deve nascere Gesù, ma non va a cercarLo, non si muove, non si avventura alla ricerca di Lui.
Non ritornate da Erode! Nella vostra vita di ogni giorno, tentate di vivere l'avventura dei Magi. Non si conclude qui la storia loro: tornano a casa per continuare la loro ricerca di Luce, per essere testimoni del loro incontro con Gesù.
Ed è importante che ciascuno di noi - e ve lo auguro di cuore - possa essere un testimone della ricerca del Signore! Vi auguro di cuore che chi vi incontra, in quest'anno che vi sta davanti, ritrovi in voi uno dei "magi", una persona che, con passione, cerca il Signore, in qualche modo ha fatto esperienza di Lui, ma continua a cercarLo; continua a cercare la Luce di Gesù, la sua presenza nella vita concreta.
Il cristiano non è uno che non ha mai dubbi, che sa sempre tutto; ma è uno che testimonia, a chi lo incontra, la sua ricerca, la sua sete di verità, la sua "fame e sete" di giustizia, il suo desiderio delle cose giuste e belle della vita!
Vi auguro anche di cuore che quest'anno possiate essere, tutti, testimoni di speranza! Anche voi incontrerete nel vostro cammino il male, l'ipocrisia, i sotterfugi, l'ingiustizia... Continuate a testimoniare la speranza, il coraggio del bene! Questo significa essere dei "Magi".
Portatevi nel cuore un pizzico della gioia di questo Natale, la certezza della presenza di Gesù nella nostra vita! Chi vi incontra possa ritrovarla nei vostri gesti, nei vostri sentimenti, nella parole che voi dite: il mondo ne ha bisogno! Tutti quelli che vi incontrano hanno bisogno di trovare in voi un po' della speranza, della luce, che Gesù ci ha portato nel cuore!
Ecco, la vita continua: non finisce qui l'avventura dei Magi! Quando ritornerete, domenica prossima, questa stella non ci sarà più, il presepio non ci sarà più; ma la nostra avventura di credenti continua! La nostra ricerca di Gesù non può mai fermarsi: finche camminiamo su questa terra, continuiamo a cercare Lui, ad essere testimoni - per quello che possiamo - della sua vita, della sua luce, della sua pace! Continuiamo a cercarlo, finche non potremo incontrarlo, per i secoli!
Il Signore ci aiuti!
Mentre Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in 11 gennaio 1998
preghiera, il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo
in apparenza di colomba; e vi fu una voce dal cielo: "Tu
sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto".
Soltanto martedì scorso ci siamo recati per l'ultima volta davanti alla culla di Betlemme a contemplare il bambino Gesù: "un piccolo bambino indifeso", ci siamo detti. Oggi, con il volo che ci permette la liturgia, quel bambino è già diventato adulto: ha circa 30 anni, dice il vangelo di Luca. Allora, forse, possiamo finalmente aspettarci la manifestazione gloriosa di Dio! Giovanni dice: "Verrà uno più forte di me". E Isaia aveva promesso: "Si rivelerà la gloria del Signore"; e ancora: "Viene con potenza, con il braccio egli detiene il dominio; ha con sé il premio, i suoi trofei lo precedono".
E allora, andiamo! Andiamo anche noi a vedere, questo Dio che viene, finalmente: ormai non è più un bambino.
Provate con la fantasia ad andare là, sulla riva del Giordano: guardate quanta gente c'è intorno a Giovanni. Tutti vanno a ricevere un segno di penitenza: si immergono nell'acqua, spinti da desiderio di rinnovamento, di vita nuova.
Tra questa gente c'è Lui, il Signore che viene! Dov'è? Dove possiamo incontrarlo? E vi dicono: "Eccolo, è là". Da dove viene? "Da Nazareth". Voi non siete del tempo, non arriccerete subito il naso: "Da Nazareth?! Cosa può venire di buono da Nazareth!?" Un paesino sperduto, in mezzo alle montagne; gente ignorante. Non c'è nemmeno la scuola media; figuratevi l'università!...
Ma chi è? Vi avvicinate; guardate le sue mani: mani callose di falegname, il viso già segnato dalla fatica. Provate a domandare intorno: "Come è vissuto in tutto questo tempo? Che ha fatto?" - "Qualche tavola, qualche sedia, qualche ruota di carro".
Chi ha frequentato? Chi sono i suoi amici? Dov'è la sua potenza? Chi sono i suoi maestri? Dov'è la sua sapienza? "I suoi maestri: la sua mamma, i suoi parenti, la gente di Nazareth!" - "La gente di Nazareth?! La Potenza?! La Sapienza?! Dio?!" - "Dio: È lui!" (Il vangelo di Luca esprime la fede dicendo che scende lo Spirito e si sente una voce: "Questo è il mio figlio prediletto!").
Se n'è andato da Nazareth, perché Nazareth gli sta stretta, ormai. "Ha - per usare le parole del profeta Geremia - un fuoco nelle ossa, una passione nel cuore, che vuole portare nel mondo". Un fuoco lo spinge; ha fame e sete di giustizia; ha qualche cosa da comunicare alla gente!
Ma per ora - guardate - si mette in fila con tutta questa gente. Se fosse qui, stasera, in mezzo a noi, non lo riconoscereste mica! I potenti della Chiesa gli impedirebbero perfino di parlare: "Sta' zitto, tu! Non sei un prete, non puoi dire niente. Sta' al tuo posto!".
Così si è manifestato Dio in mezzo a noi: un falegname dalle mani callose, un uomo che si portava nel cuore desideri di vita, che aveva qualche cosa da dire! Ma le cose che Lui ha detto sono fondamentali, per il suo e per il nostro tempo. E finché ci sarà un uomo sulla terra, bisognerà andare là, ad ascoltare Lui, ad ascoltare il falegname di Nazareth. Ha cose importanti da dire anche se non è un prete, se non è stato "ordinato" e gli impedirebbero di parlare, oggi. Ma aveva lo Spirito dentro di sé, "un fuoco" nel cuore!
Ci prepariamo ad ascoltare le sue parole, in tutto quest'anno, a cercare ancora la Sua luce! Ma per ora fermatevi e guardatevi accanto: perché Gesù sarebbe accanto a voi, in silenzio! A camminare con voi, a condividere la vostra vita, ad essere uno di noi!
Prima di parlare, prima di dire, prima di fare, Dio viene a condividere il nostro cammino di uomini, il desiderio di vita, la fame e la sete di giustizia, a metterci la mano sulla spalla! Ad essere con noi: "Dio con noi", nella semplicità della nostra vita. Questo adempie le grandi promesse. Ed anche le nostre attese.
Lo Spirito ci aiuti ad accogliere Gesù nella nostra vita!
...ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea. Venuto a mancare 18 gennaio 1998
il vino, la madre di Gesù gli disse: "Non hanno più vino".
E Gesù disse ai servi: "Riempite d'acqua le giare, attingete
e portate al maestro di tavola" ... l'acqua era diventata vino.
Ho una buona notizia da darvi: i nostri bimbi hanno imparato a fare i miracoli! Ecco qua: nero su bianco; tutto scritto; non ci sono più dubbi.
Chiara dice: "Anche noi abbiamo imparato a trasformare l'acqua in vino. Facendo così: aiutando i nonni a sorridere; consolando un compagno che ha preso un brutto voto; rifacendomi il letto, per far faticare meno la mamma; consolando un bambino che è stato sgridato dalla maestra..."
Sono i miracoli! I nostri bimbi hanno imparato a fare miracoli!
Credo, fratelli, che sia importante, in un mondo in cui la religione sembra sempre più fatta di regole, di leggi, di divieti; oppure di fatti straordinari: madonne che lacrimano, santoni che fanno prodigi e altre cose di questo genere... ritrovare i nostri bambini che fanno i miracoli di ogni giorno: fanno spuntare un sorriso intorno a loro!
In un mondo in cui sembra che abbia ragione soltanto chi grida di più, chi alza la voce, chi occupa le strade... è importante ritrovare la semplicità dei piccoli gesti quotidiani dei nostri bambini.
In un mondo in cui ci sono ormai folle di malati che vanno alla ricerca di un farmaco prodigioso, spinti da giornalisti che cercano il clamore più che la verità, e da giudici che forse cercano ancora di essere protagonisti, rischiando, così, di esporre a rischio la vita, di vanificare lo sforzo - ormai più che trentennale - di gente che ha studiato pazientemente ogni giorno, che ha sperimentato, che ha cercato...
In un mondo - come accade in questi giorni nel nostro paese - in cui c'è tanta gente che va inseguendo il sogno di vincere dieci miliardi! Pare che le ricevitorie del Lotto siano, in questi giorni, prese d'assalto...
In un mondo così, è importante ritrovare i miracoli dei nostri bimbi; è importante ritrovare la nostra vita quotidiana!
Non vi sembra che il nostro mondo sarebbe più bello, se tutti noi - come ci suggeriva l'apostolo Paolo - riuscissimo a trafficare i doni che lo Spirito ci ha dato? Se cercassimo, tutti noi, di fare il piccolo "miracolo" quotidiano: della fedeltà al lavoro di ogni giorno, di svolgere ciascuno il proprio compito, magari facendo un po' più di silenzio?
Non dice, il Vangelo, che dovremmo diventare tutti "come bambini"? Non potremmo forse consigliare - al Papa, ai Vescovi, ai Cardinali - di stare zitti per 4-5 mesi? Non potremmo consigliare ai giudici, ai giornalisti, di tentare di fare le persone serie: ciascuno il proprio dovere - la vigilanza attenta della giustizia, della comunicazione - senza cercare il clamore, la prima pagina?...
Non sarebbe, questo, fare i veri "miracoli", cambiare l'acqua in vino: rendere più bella la vita degli uomini?
Intanto vi faccio il mio piccolo miracolo: la finisco qui! Pensate: se oggi tutti i parroci d'Italia facessero una predica più corta di 5 minuti, che tripudio di gioia salirebbe al Padreterno!
Il Signore ci aiuti! - È tutto, per oggi.
...a Nazareth entrò, secondo il suo solito di sabato, 25 gennaio 1998
nella sinagoga e si alzò a leggere (il rotolo di Isaia)...
Poi cominciò a dire: "Oggi si è adempiuta questa
scrittura, che voi avete udita con i vostri orecchi".
Se chiedessi di alzare la mano a chi non ha mai domandato al sacerdote o a qualche amico: "È ancora "buona" la Messa?", penso che sarebbero pochi, fra voi, a farlo, non è vero? Lo abbiamo domandato tutti, almeno quando eravamo bambini - almeno chi, come me, comincia ad avere i capelli bianchi; ma vedo che qui siamo in parecchi...- perché siamo stati educati alla fede quando la Messa era "buona" anche se si arrivava dopo la prima lettura, il vangelo e la predica. Il calice doveva essere ancora coperto... Vi ricordate?
Questo significa, se ci pensate bene, che la prima parte della messa - la lettura della "Parola di Dio" - non era molto importante: era ridotta a puro ritualismo ormai, perché le letture si leggevano in latino, a gente che, per la stragrande maggioranza, non lo capiva... Non solo, ma se ricordate il sacerdote leggeva il Vangelo rivolto verso il muro... Eppure in questa parte della Messa c'è una delle intuizioni fondamentali della nostra fede.
Come avete ascoltato, anche dalle letture di oggi, chi condivide la fede di Israele, si ritrova ogni sette giorni intorno ad un Libro, in cui è convinto di trovare tracce della Parola di Dio! È Dio che in qualche modo ci parla, si fa parola per noi!
Non andiamo più in chiesa - come succede in molte religioni - soltanto quando ne abbiamo bisogno: quando abbiamo una grazia da chiedere, quando vogliamo ricordare un morto. Andiamo ogni settimana. E, prima di tutto, non per parlare a Dio, ma per ascoltare Dio che ci parla!
È una intuizione fondamentale: la religione non parte più dal bisogno, ma dalla gratuità; non andiamo a cercare in Dio una soluzione per i nostri problemi di ogni giorno (abbiamo imparato a risolverli da soli), ma andiamo a cercare Lui, la sua luce, i valori essenziali per la nostra esistenza.
Il Concilio ha tentato di rimettere al centro del nostro ritrovarci ogni domenica la Parola di Dio; ora la si può leggere in italiano, si leggono anche più letture: difatti, mentre prima si leggeva sempre e solo il Vangelo di Matteo, ora, a cicli triennali, cambia il Vangelo che si legge. Per semplicità si parla di anno A, anno B, anno C: nel primo si legge Matteo, nel secondo Marco, nel terzo, come capita quest'anno, Luca.
E sembrava che fosse risolto il problema di rendere possibile a tutti di entrare in contatto con la Parola, in modo che la luce di Dio arrivi a ciascuno, nel concreto della propria esperienza. Ma pensateci un momento: è veramente così? Voi siete in grado di ascoltare, di comprendere, di interpretare il Vangelo? E che ne è della prima lettura? Siete in grado di capire sempre quello che viene letto? Probabilmente no. Perché sono parole antiche. E vanno comprese, interpretate; non solo, ma anche attualizzate! Perché dicano qualcosa, oggi, a ciascuno di noi.
Avete ascoltato: Gesù si alza a leggere e poi dice: "Oggi si adempie questa parola". Ed ecco, allora, il problema: chi può aiutarci a interpretarla, questa Parola? Chi può attualizzarla? È compito solo del prete? Insomma, lo devo far sempre io? Nessuno di voi può aiutarmi?
Avrete forse notato che molto è cambiato dal tempo di Gesù. Già nella prima lettura avete ascoltato che erano molti ad avere il compito di spiegare. Ma anche Gesù, che non era un prete - non era mica come me: a lui non avevano messo le mani sulla testa, per "ordinarlo" - come di solito, va di sabato nella sinagoga, si alza e legge, e, come lui, poteva farlo ogni ebreo adulto.
Non potrebbe succedere che qualcuno di voi parli qui? Tutti vi tirereste indietro, lo so. Avete ragione, è un mestiere difficile! Ma non si possono trovare dei modi per condividere qualche cosa? Perché anche voi partecipiate, in qualche modo, a quello che si dice da qui?
Quest'anno ci vogliamo provare. E allora siete invitati anche voi a fare qualche cosa. Adesso vi spiego cosa.
Vedete, nella Quaresima di quest'anno, le pagine che leggeremo nel vangelo di Luca ci invitano ad una riflessione sul nostro comportamento: che cosa è bene? che cosa è male? come cambia il nostro modo di essere giusti? Sono problemi seri!
Problemi che io, sì, mi sforzo di affrontare. Ma... e se ci sforzassimo tutti, non sarebbe un po' meglio? Al tempo di mio nonno, se gli domandavo: "Nonno, che significa che non bisogna rubare?" poteva rispondere: "Non si devono prendere le galline nel pollaio del vicino o la frutta sul suo albero; e neppure puoi portare le pecore a pascolare nel campo del vicino"... Voi non avete nulla a che fare con galline pecore e campi. Ma cosa può significare, oggi, essere onesti e non rubare? Per dirvi le prime cose che mi vengono in mente: se un medico non si tiene aggiornato sulle ultime cure per i propri pazienti o se un insegnante non prepara le sue lezioni e non collabora con gli altri... non è come se rubassero galline, se non peggio? Al tempo di mio nonno le notizie arrivavano o attraverso qualche venditore ambulante o qualche cantastorie di passaggio; oggi siamo sommersi da notizie e da voci di ogni genere, che rischiano di metterci paura o di toglierci la possibilità di pensare con la nostra testa o di farci vittime dei tanti miti della nostra società così complessa. Al tempo di mio nonno, nel suo piccolo paese - ma questo accadeva anche nei quartieri delle città - uno sconosciuto capitava molto raramente e gli si poteva far festa... Oggi arrivano persone da ogni parte e si rischia di averne paura e di chiudersi nei propri gusci...
Dov'è il bene, dov'è il male? Quali sono i veri problemi dell'onestà e della giustizia nella nostra vita concreta? Vorremmo individuare, con l'aiuto del maggior numero possibile di persone, quattro temi morali da affrontare nelle quattro domeniche di Quaresima. Vorremmo anche, con l'aiuto di tutti, riuscire a formulare delle domande, che aiutino ciascuno a riflettere sul proprio comportamento.
Uscendo troverete un foglietto con alcune semplici domande: vi preghiamo vivamente di prenderlo e di rispondere. Sarebbe bello che la Quaresima di quest'anno fosse il frutto della partecipazione di molti di noi.
Il Signore ci aiuti.
"Nessun profeta è bene accetto in patria ... C'erano molte vedove 1 febbraio 1998
in Israele al tempo di Elía, ma a nessuna di esse fu mandato Elia,
se non ad una vedova in Sarepta di Sidone. C'erano molti lebbrosi
in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato,
se non Naaman, il Siro".
Una inquietudine attraversa il Vangelo e quindi la fede dei primi Cristiani. Una domanda li preoccupa: "Perché la gente rifiuta Gesù?" Gesù, come avete ascoltato, aveva parole "piene di grazia": portava valori straordinari; eppure, lo hanno rifiutato. Perché?
La prima risposta che viene in mente, forse anche a voi, è la più semplice: erano cattivi; è la malvagità del cuore dell'uomo, l'egoismo, che spesso lo porta a non accettare il bene. C'è anche questa risposta, nel Vangelo. Addirittura, alla maniera antica, si dice c'è un destino ed alcuni sono destinati al male.
Eppure l'inquietudine continua: si rendono conto che non basta questa risposta, perché a volte rifiutano Gesù anche persone buone; allora si chiedono: "Non sarà anche un po' colpa nostra, se c'è gente, intorno a noi, che non accetta il Signore?"
E vedete, non è solo un problema antico: è anche un problema che ci riguarda, che riguarda le persone che ci vivono accanto: i giovani, la gente che incontrate sul posto di lavoro. Quando vi domandate: "Perché oggi c'è tanta gente che non riesce a credere in Gesù, in Dio?", voi sapete che la risposta non può essere "Sono cattivi". Non sono tutti cattivi. Chi parla così - e qualche volta c'è qualcuno che parla così, anche nella vita della Chiesa - sapete che non coglie tutta la verità.
I primi Cristiani cercano con passione una risposta: gli abitanti di Nazareth diventano il simbolo del rifiuto di Gesù: perché lo hanno fatto? Nei Vangeli di Matteo e di Marco, si mette l'accento sulla semplicità della vita di Gesù: era un falegname, un uomo di tutti i giorni, ha vissuto là, per 30 anni, la più banale quotidianità. Era stato il loro falegname, aveva aggiustato le loro sedie e le loro ruote! Se hanno parlato loro di un Messia grande e potente, che veniva a cambiare il corso della storia, come poteva essere lui, il falegname del villaggio?
Ma Luca - lo avete ascoltato - dice un'altra cosa, forse più profonda: a Nazareth si aspettano che lui faccia i miracoli che ha fatto anche a Cafarnao. "Abbiamo sentito che là ha fatto dei segni: perché non li fa anche qui? Medico, cura te stesso: cioè cura noi, che siamo i tuoi parenti, i tuoi amici!". Ecco, non accettano Gesù perché cercano "miracoli", cercano uno che risolva i loro problemi.
Dietro questa pagina c'è forse la domanda dei primi Cristiani: "E se fosse colpa nostra?! Noi parliamo di un Dio grande e potente, di un Dio che va incontro alla gente, che soccorre la debolezza dell'uomo, di un Dio che fa miracoli! Perché, allora, non li fa?" Gesù, avete sentito, cita antiche storie: in Israele c'erano molti lebbrosi, ma il profeta è andato a guarire un pagano; c'erano molte vedove, ma Elia è andato a Sarepta, vicino a Sidone, in terra straniera. "Che strano! Dio guarisce gli altri e non noi! Ma che Dio è questo?!"
Il problema ci riguarda: come parliamo di Dio? Forse anche voi portate nel cuore i ricordi dell'infanzia. Quando io ero bambino c'era un'immagine, che mi ha accompagnato e, se volete, consolato nelle mie paure di bimbo. C'era in casa mia, un quadro, che molti di voi conoscono: è un angioletto che tiene per mano un bambino che sta per cadere in un burrone. E mia mamma mi diceva di pregare ogni sera l'angelo custode, perché mi teneva per mano, mi impediva di correre i pericoli. Ed io pregavo volentieri il mio angelo custode e mi sembrava che mi proteggesse.
Poi son cresciuto; l'angelo custode era un po' troppo piccino e cominciavo a rivolgermi a Dio. Quanto l'ho pregato! Perché mi andassero bene gli esami, perché facessi bene i compiti, perché prendessi dei buoni voti... e poi gli altri prendevano dei bei voti e io no...
E, quando son venuti i primi turbamenti dell'adolescenza, mi accorgevo che pregavo, pregavo... ma Dio non mi ascoltava. Quel Dio di cui mi avevano parlato - il Dio onnipotente, il Dio che fa le grazie, il Dio che mi proteggeva e mi custodiva - stava per sparire dalla mia vita!
Io ho avuto - e penso che l'abbiate avuta tutti voi - la fortuna di incontrare qualcuno che mi ha fatto capire che non potevo cercare Dio perché mi facesse andar bene i compiti, perché guarisse l'amico che era malato! Mi ha fatto capire che dovevo cercare Dio nella gratuità: dovevo cercare in Lui i valori essenziali, il senso profondo della mia vita! Ho scoperto che quel Dio "onnipotente" di cui mi avevano parlato, che regolava gli uomini e le cose, non esisteva. I nostri vecchi dicevano: "Non si muove foglia che Dio non voglia"; io, con la mia mente di adolescente, cominciavo a capire che si muovono tante foglie in modo storto, per il mondo; che succedono tante tragedie; che ci sono bambini che muoiono ogni giorno... E io non lo potevo sopportare!
Non potevo sopportare che mi si parlasse di un Dio così, a cui mi potevo rivolgere perché non facesse morire i bambini, mentre i bambini continuavano a morire, a milioni! Di che Dio potevo continuare a parlare? In che Dio potevo credere? Se continuavo a cercare Dio perché mi facesse una grazia, perché mi servisse, perché mi aiutasse nei problemi concreti della mia vita... Dio stava per sparire dalla mia esperienza di uomo! Per fortuna, ho incontrato chi mi ha fatto conoscere il Dio della gratuità: il Dio che poteva appassionare la mia gioventù, il Dio che mi proponeva valori, che mi camminava davanti, che mi chiamava alla libertà, alla gratuità, a donare me stesso; il Dio che mi faceva scoprire, nel cammino della mia vita, i valori più autentici e più profondi! In questo Dio ho cominciato a credere. E di questo Dio tento ancora di essere testimone! Ma non è semplice, fratelli.
Non è semplice; perché se parliamo di libertà, di gratuità - e se ne vogliamo parlare con un po' di coerenza - dovremmo vivere la libertà e la gratuità! E di questo credo di dovervi chiedere scusa: per non averlo vissuto, nella mia vita, fino in fondo; e quindi di non rendere credibili le mie parole! Perché le parole diventano credibili, solo quando si fanno vita, vita concreta.
A volte mi chiedono: "Ma, don Checco, perché non lasciare un punto di appoggio, la fiducia in qualcuno che può togliere la paura almeno ai bambini, una maniglia a cui aggrapparsi almeno nei momenti difficili"? Semplicemente perché non esiste: non esiste il Dio che tappa i buchi della mia povertà, il Dio che risolve i nostri problemi, il Dio che può impedire che i bambini muoiano... esiste solo il Dio che ci chiama tutti a vivere l'amore, a combattere - noi, con tutta la passione del nostro cuore - perché i bambini non muoiano più; che ci chiama - noi, con tutta la passione della nostra libertà e gratuità - a fare in modo che il mondo sia più bello! Sono soltanto parole, vuote, se non diventano, almeno un po', vita concreta!
Il Signore ci aiuti a farlo! Perché a questo è affidata la possibilità - per chi viene dopo - di credere ancora.
Ammaestrate le folle dalla barca, Gesù disse a Simone: 8 febbraio 1998
"Prendi il largo e calate le reti per la pesca". Simone
rispose: "Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non
abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti".
E presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano.
"Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla". Non vi sembra, questa, un'immagine particolarmente suggestiva di certi momenti della vita dell'uomo? A volte fatichiamo e ci affanniamo alla rincorsa di falsi valori, che poi ci lasciano con la bocca amara, con la sensazione di non aver concluso gran che.
Una delle immagini suggestive nel Vangelo, per esprimere come in Gesù possiamo trovare i valori essenziali della vita, quelli che rendono ricca la nostra esperienza. Ma - se ci riflettete un momento - a volte proprio queste frasi, in cui possiamo trovare qualche cosa di fondamentale per la nostra esperienza, rischiano di creare degli equivoci.
Non vi sembra che il parlare di una fiducia cieca nel Signore, il ripetere che solo Cristo basta a riempire la vita dell'uomo, qualche volta sfoci in un falso provvidenzialismo, in un atteggiamento rancoroso verso la ragione dell'uomo, verso il suo sforzo di ricerca? È successo, a volte, nella vita della Chiesa e, se capisco qualcosa, questo atteggiamento rischia di ripresentarsi largamente, nel tempo calamitoso che ci è dato di vivere oggi nella Chiesa.
Pensate - se volete qualche esempio - come, nei tempi passati, le autorità della Chiesa abbiano combattuto ogni forma di ricerca della libertà e della democrazia. O pensate come la scienza spesso sia stata osteggiata: se non volete risalire fino a Galilei, pensate a Darwin, o all'atteggiamento verso la psicoanalisi. O pensate a quello che ha attraversato dolorosamente la vita di molti di voi: la polemica contro i mezzi anticoncezionali, le parole (infinite parole!) dette sulla pillola e sugli altri strumenti per il controllo delle nascite.
O pensate a tutte le parole che avete sentito contro il consumismo, contro l'economia moderna, contro la libertà degli scambi, che caratterizza la vita di oggi.
Non vi sembra, che si rischi di fare di ogni erba un fascio, mettendo sullo stesso piano l'affannarsi dietro falsi valori e la ragione, la ricerca, lo sforzo dell'uomo? In Gesù noi possiamo trovare i valori essenziali della vita; ma poi non è affidata alla nostra intelligenza, alla nostra ricerca, al nostro studio, alla nostra capacità di interpretare gli avvenimenti della vita, la possibilità di tradurre parole astratte, valori ideali, in vita concreta, in gesti quotidiani, capaci di far compiere un passo avanti alla gente che ci sta intorno e che vive nel mondo?
Non può essere la ricerca di Cristo il contrario dello sforzo intelligente dell'uomo. Credere in Dio non può risolversi in un facile provvidenzialismo: non basta affidarsi alla provvidenza di Dio, sperando che il mondo vada avanti lo stesso; non si può continuare a condannare tutto quello che è sforzo dell'uomo, passione di tanta gente, in ogni angolo della terra, ricerca ragionevole per rendere il mondo un po' migliore!
È importante che tutti noi partecipiamo a questa ricerca, con la nostra intelligenza e il nostro cuore! E quindi sono ancora a ricordarvi che nella prossima Quaresima tenteremo di riflettere sul nostro comportamento, sui valori della nostra vita, su quello che si può fare perché la nostra vita sia migliore, sui temi morali più urgenti per il nostro tempo. Vi abbiamo dato dei foglietti: ne avete presi 1500! Quante risposte pensate che ritorneranno? Si accettano scommesse (potrei diventare ricco, io, a forza di farvi scommettere su queste cose...). Finora ne sono arrivate una ventina: su 1500, un po' poche...
E non si tratta soltanto - ormai è chiaro dalle risposte che sono arrivate - di individuare dei temi. È facile dire: "Parliamo dell'onestà". Ma cosa significa essere onesti, oggi? Cosa significa essere onesti nel posto di lavoro, nei rapporti con lo stato, con la società, con la scuola? Ecco occorrono le domande, le indicazioni che servono a chiarire il tema, a precisarlo nel concreto della nostra esperienza. E non è giusto che si esprima soltanto chi "ha studiato": magari la domanda di una persona che non sa nemmeno scrivere, può aiutare tutti noi a capire qualche cosa di importante. Una ragazza che vive lontano, all'estero, mi ha mandato la sua risposta proprio ieri sera: "Forse - scrive - dovremmo imparare tutti, di nuovo, a guardarci negli occhi, imparare ad ascoltarci di nuovo, a sentirci meno scontati... e riscoprire la diversità che c'è in ognuno di noi come fonte di ricchezza". Forse l'onestà comincia da qui: dal non considerarsi soltanto dei numeri, delle persone che fanno parte delle statistiche.
Vedete, serve l'intelligenza dell'uomo, la ricerca, il pensare, per andare avanti. Altrimenti potremmo dire: "Beh! che problema c'è? Basta pregare. Oppure basta ripetere le parole del Signore: "Ama il prossimo tuo come te stesso!". Ma... che vor di'?
Ve l'ho fatta già un po' troppo lunga, vero? Allora vi prego, chi vuole, cerchi di rispondere. Ma soprattutto chiedo - a tutti - di pensare! Non basta dire "Io voglio bene a Gesù"; non basta dire "Io voglio bene al mio prossimo"! È importante cercare di capire, giorno per giorno, cosa può significare questo nel concreto della mia esperienza. E ci vuole tutto lo sforzo della nostra intelligenza, del nostro coraggio, della nostra buona volontà. Occorre PENSARE!
Il Signore ci aiuti!
Alzati gli occhi verso i suoi discepoli Gesù disse: 15 febbraio 1998
"Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati.
Beati voi che ora piangete, perché riderete".
"A cosa collegate Gesù Cristo? Quale parola vi fa venire in mente il nome di Gesù?": quasi un gioco, proposto qualche giorno fa ad un gruppo di giovani... e per l'ennesima volta, le risposte: "croce, rinuncia, sacrificio, sofferenza". E ti cadono le braccia! Anni e anni, che combattiamo in questa parrocchia, perché Gesù - il suo Nome santo e venerabile - non sia associato a qualcosa di negativo, che impedisce ai giovani di credere. Perché non è possibile, a dei giovani, associare Gesù con il concetto della libertà, della gratuità, della gioia, della pienezza di vita?
E poi ci pensi e ti rendi conto che siamo eredi di una lunga storia: una storia che ancora ci vive intorno e che noi siamo soltanto una piccola goccia nel grande mare del mondo!
Cosa sentono i ragazzi anche oggi alla TV, cosa vedono in giro? Tutte le chiese sono piene di croci, si ripetono le "Viae Crucis". Ascoltano racconti di madonne che piangono (sempre piangono le madonne!), che lacrimano sangue. Leggono sui libri di storia racconti di santi, che facevano grandi penitenze, che si flagellavano, che si mettevano il cilicio... E che devono pensare?!
Ascoltavo l'altra mattina alla radio un grande giornalista che ricordava (e mi sembra che consentisse) un episodio della vita di Paolo VI: qualcuno aveva domandato: "Santo Padre, perché non sorride mai?" Avrebbe risposto: "E secondo Lei, cosa avrei da sorridere!". Ora, vedete, nel Medio Evo, ad un capo così si mandava qualche giullare, a farlo divertire con smorfie e lazzi; oggi gli si potrebbe mandare un medico o, forse, una clinica psichiatrica potrebbe fare al caso suo. L'ultima cosa che può fare un uomo che non trova alcun motivo per sorridere, è diventare maestro di vita!
Qualcuno di voi mi dirà: "Ma, don Checco, lei sta commentando un Vangelo in cui abbiamo letto: "Beati quelli che piangono. Beati quelli che soffrono. Beati quelli che hanno fame". Ho letto questo Vangelo, ma chi parla così forse non lo ha ascoltato bene: "Beati quelli che piangono, perché rideranno". Quindi non si esalta il pianto, ma la speranza di ridere! Non la fame, ma la speranza di essere saziati!
Allora, in queste parole Gesù ci chiama a compiere il miracolo: se, come spero, non credete più nella legge del contrappasso - chi tribola di qua, poi godrà dall'altra parte -; se quelle parole appartengono alla nostra vita concreta, allora c'è l'invito di Gesù - a tutti noi - a compiere il miracolo! I veri miracoli della vita: far sorridere qualcuno che piange, dar da mangiare a chi ha fame! Allora si manifesta il regno di Dio! Allora si può dire beato quello che piange, perché ha accanto a sé qualcuno a consolarlo... è Dio stesso che viene, perché possa sorridere. Allora si può dire beato chi ha fame, perché accanto a lui c'è qualcuno che lo sazia!
A questo miracolo ci chiama il Signore. Se crediamo in Gesù, dobbiamo tentare ogni giorno di compiere questo miracolo: provare ad essere testimoni di vita, di gioia, di piacere, di allegria!
Qualcuno ci proponeva, in questa settimana, di togliere tutte le croci dalla nostra chiesa; una catechista diceva: "L'ultima domenica di Quaresima, si balla in chiesa!" Forse è un po' eccessivo, che dite? Ci cacciano, se facciamo così!... Non ci faremo cacciare, non toglieremo tutte le croci: rimarranno. Ma, ricordiamoci tutti: chi ci cresce accanto ha bisogno di sentire che essere cristiani non è sinonimo di sofferenza, di rinuncia, di sacrificio, di negatività, di croce! Che incontrare Gesù è incontrare la libertà, la passione per la vita, il coraggio di asciugare una lacrima, l'invito a fare i miracoli. Che essere testimoni di Gesù significa essere testimoni - per quanto c'è possibile, nelle traversie del mondo - di gioia di vivere, di piacere, di allegria, di vita, di libertà!
Il Signore ci aiuti!
"A voi che ascoltate io dico: "Amate i vostri nemici... 22 febbraio 1998
A chi ti percuote la guancia, porgi anche l'altra ...
Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete?
Anche i peccatori fanno lo stesso... Siate misericordiosi,
come è misericordioso il Padre vostro".
Tenterò stasera - se volete seguirmi - di usare un po' di fantasia, per dire qualche cosa su queste sconvolgenti parole. Allora, venite con me: facciamo un volo con la fantasia, come abbiamo fatto altre volte. Andiamo qui vicino, ad Ostia antica; ma molto molto tempo fa, quasi 2000 anni fa, quando la comunità cristiana muoveva ancora i suoi primi passi.
Venite con me in una piccola stanza, quasi una capanna, in cui alcuni Cristiani si riuniscono. Stanno arrivando, guardateli, un po' alla spicciolata: ciascuno porta il suo piccolo fagotto, con un po' di pane, qualche oliva, qualcosa da mangiare, un po' di vino per far festa: così era la Messa allora, nei primi tempi della vita cristiana.
C'è un po' di animazione, stasera, perché colui che ospita, il capo di questa piccola comunità, ha promesso di leggere con loro un foglio: un foglio che riporta alcune parole di Gesù. Ogni tanto, a quel tempo, giravano questi fogli: il Vangelo non era ancora composto; c'erano soltanto dei fogli sparsi, che poi qualcuno si è preoccupato di riunire insieme, nei Vangeli che abbiamo ora.
Si aspetta che arrivino tutti. Poi si comincia a leggere: sono proprio le parole che abbiamo ascoltato anche noi stasera: "Amate i vostri nemici. Se qualcuno ti percuote su una guancia, porgi anche l'altra; a chi ti toglie il mantello non rifiutare la tunica...". E continua a leggere, mentre i Cristiani cominciano a guardarsi, con gli occhi sempre più sbarrati...
Quando la lettura è finita, più d'uno, quasi gridando: "Ma questa è una follia! Ma chi può aver detto queste parole? Ma non può essere che l'abbia dette Gesù!" E il capo non sa come calmarli: "Piano, piano! Non vi agitate; sabato prossimo Pietro ha promesso di essere qui con noi (Da qualche tempo Pietro è venuto qui a Roma - è dovuto scappare dalla sua terra - e ogni tanto va a far visita ai vari gruppi di Cristiani). Adesso, andiamo avanti. Ne parleremo sabato prossimo; intanto, pensateci in questa settimana; rifletteteci un po', vedete se vi riesce di capire qualche cosa. Intanto io vi rileggo queste parole". E comincia di nuovo: "Amate i vostri nemici..."
Durante la settimana, ci pensano; ma, come potete immaginare, le cose non miglioravano nella testa e nel cuore di questa gente semplice! E il sabato dopo, la sera, di nuovo sono insieme. E arriva Pietro. Si siede e comincia a leggere ancora queste parole!
Alle fine, i presenti si rivolgono a Pietro: "Pietro, ma che cosa ci portate! Non possono essere queste, le parole di Gesù, questa è una follia! Ma come, se uno ti dà uno schiaffo, tu gli devi porgere anche l'altra guancia? Se uno ti ruba qualcosa, tu gli devi lasciare qualcos'altro? Come si può prestare senza sperarne nulla? Come si possono amare anche i nemici?!"
Pietro li lascia sfogare: gridano sempre di più; poi pian piano si calmano: si rendono conto che non hanno lasciato dire, all'apostolo, neanche una parola. Pietro si guarda intorno, quasi con un sorriso e, quando tutti si sono calmati, comincia a parlare: "Avete ragione: per voi non è facile adattarvi a queste parole: sono parole come le amiamo noi, nell'Oriente: parole forti, paradossali! Noi laggiù amiamo parlare così; forse perché ci aiuta a capire, a ricordare. Ma non è questa la cosa più importante che voglio dirvi. Vedete, quello che succede a voi, è successo a me tante volte, quando Gesù stava con noi. E sapete perché? Perché noi andavamo da Gesù, per chiedergli come dovevamo comportarci. E Lui alla fine quasi si seccava: "Ve l'ho ripetuto tante volte: non son venuto per insegnarvi cosa dovete fare: questo, siete capaci di capirlo da voi. Io son venuto per tentare di parlarvi di Dio, per aiutarvi a scoprire le cose essenziali della vita! Poi vi sarà più facile capire come comportarvi nella vita di ogni giorno".
"Voi non ve ne siete accorti - continua Pietro, guardandoli negli occhi - ma qui Gesù parla di Dio!". Si guardano perplessi: "Come, parla di Dio! dice di porgere l'altra guancia..." - "Parla di Dio! Rileggete: "Sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. SIATE MISERICORDIOSI COME È MISERICORDIOSO IL PADRE VOSTRO". E Pietro aggiunge: "Vedete, io son tanti anni che mi porto nel cuore queste parole: anch'io non le ho capite fino in fondo. Ma forse perché non si può capire: sono parole più grandi del nostro cuore! Forse qui c'è l'essenza stessa della vita e il mistero stesso di Dio!
Ascoltatemi: voi siete venuti qui stasera e forse qualcuno di voi si sarà fermato sulla riva del mare... avete visto che splendido tramonto c'era stasera? Forse qualcuno si sarà fermato a guardare i primi fiori che sbocciano sugli alberi. Adesso, quando uscite, contemplate il cielo stellato! Le avete fatte voi tutte queste cose? Avete costruito voi il sole che tramonta, la bellezza del cielo? Tutto questo non vi è stato dato gratis? E' un dono per tutti: buoni e cattivi, grati e ingrati! Dio è così: ha creato tutto quello che abbiamo intorno, gratuitamente e non si aspetta che noi gli diamo in cambio qualche cosa! Come un padre... non capita anche a voi di dare qualcosa ai vostri figli, senza che vi aspettiate di ricevere qualche cosa? E se fosse la gratuità il segreto della vita?
Riflettete ancora: se uno mi fa un torto, io sono tentato di restituirlo; se uno commette un crimine, noi riteniamo giusto che venga punito: non sappiamo reagire al male, che con altro male; a chi procura sofferenza e dolore, noi non sappiamo rispondere che con altro dolore, qualcuno è arrivato a pensare all'inferno... una sofferenza eterna! Gesù una volta ci parlava (e io faccio ancora fatica a capirlo) di un padre, che, quando un figlio va lontano e spreca tutti i suoi beni, al suo ritorno, invece di punirlo, fa festa per lui.
E se in queste parole ci fosse l'invito di Gesù a scoprire la GRATUITÀ e la tenerezza di Dio? Non affrettatevi a trarre conclusioni: la nostra vita è complessa e non è semplice capire cosa sia meglio fare. Tentate di guardare verso Dio... se il suo cuore fosse infinitamente più grande del nostro?"
Gesù, pieno di Spirito Santo, fu condotto dallo Spirito 1 marzo 1998
nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo.
Forse molti di voi lo ricorderanno: vi avevamo chiesto, per questa Quaresima, di portare - chi volesse - il proprio contributo alla riflessione comune, cercando di individuare dei temi, degli spunti, per riflettere un po' sulla nostra vita: su quelli che sono i veri problemi del nostro comportamento, oggi. E, come vi dicevo già domenica scorsa, abbiamo ricevuto un centinaio di risposte: non sono tantissime, su 1500 foglietti distribuiti; ma il risultato è di una valanga notevole di suggestioni, di riflessioni, di domande, di interrogativi, che abbiamo tentato di sintetizzare in alcuni fogli, da cui abbiamo anche preso le parole che abbiamo ascoltato poco fa. E uscendo troverete, sulle sedie accanto alla porta, e potrete prendere liberamente questi fogli, sperando che vi siano di aiuto per porvi delle domande, per riflettere in maniera personale.
I vostri suggerimenti sono stati raggruppati in quattro temi, come potrete vedere, ed io mi son trovato in difficoltà nell'affrontare il tema stabilito per questa domenica: il tema della responsabilità e del senso del dovere; perché ho trovato una tale massa di indicazioni, che, se devo dire una parola su tutto, finiamo domattina. E voi avete invece interesse a che io faccia il più in fretta possibile. E allora dovrò fare una scelta; ma è necessario che poi, a casa, ciascuno di voi possa trovare lo spunto più aderente alla propria vita.
A me sembra importante proporvi questa riflessione: da dove nasce, in fondo, il senso del dovere? Noi oggi non abbiamo più - la maggior parte di noi, soprattutto i giovani che ci crescono intorno - quel senso del dovere che viene da una imposizione esterna. Il senso del dovere lo sentiamo tutti scaturire dalla responsabilità verso qualcosa che sentiamo nostra, che fa parte dei nostri interessi, che entra direttamente nella nostra esperienza.
Allora, vedete, il mondo in questo senso è cambiato profondamente. Mio nonno, se voi gli dicevate: "Guarda che questa strada è la 'tua' strada", vi avrebbe guardato con gli occhi sbarrati: "Certo che è la strada mia: ne conosco ogni pietra; quando si rovina son pronto a mettere giù un po' di terra per ripararla e tenerla in buon ordine". Se dicevate a mio nonno: "Guarda che la chiesa è la 'tua' chiesa", vi avrebbe guardato con occhi meravigliati: "Come, la mia chiesa? L'ho costruita io con le mie mani; le nostre donne vanno a pulirla ogni settimana". Se gli aveste chiesto: "l'impiegata dell'ufficio postale (il minuscolo ufficio del suo paese) ti ha mai trattato come un numero?"- "Un numero?! La conosco da quando è nata!"
Per noi, oggi, è molto più difficile sentire che le cose che abbiamo intorno sono 'nostre'. Mi si diceva in questi giorni: "A volte non sentiamo come 'nostro' né l'appartamento di sopra, né quello di sotto". Per cui si dà il caso che spesso qualcuno dal piano di sopra (e mi dicevano ieri "Le dica 'ste cose, don Checco", probabilmente pensando che riguardassero qualcun altro), qualcuno di sopra sbatte i tappeti sulla testa di chi sta sotto! Vedo che molti annuiscono; spero che voi non lo facciate però... C'è gente (qualche volta mi è capitato di incontrarne) che se entrate in casa loro, trovate tutto oltremodo lustro; ma poi quando esce per strada, se deve sbarazzarsi di un pezzo di carta, lo butta per terra. Evidentemente la casa la sente come 'sua', ma la strada non la senta come 'sua'.
Un tempo tutti i nostri genitori - almeno dove abitavo io, a Trastevere - sentivano la scuola elementare come 'la loro' scuola: non si sarebbero mai sognati nemmeno lontanamente di difendere il proprio figlio di fronte alla scuola! I maestri, i professori avevano sempre ragione. E non sempre avevano ragione, né genitori né maestri. Oggi invece, mi dicono gli insegnanti, molti genitori non sentono la scuola come 'la loro' scuola: la sentono come la scuola del loro figlio; che è molto diverso. Sempre pronti a difenderlo e a dargli ragione. All'ufficio postale, in molti uffici pubblici e, a volte, anche all'ospedale si viene trattati come numeri...
E se non sentiamo più 'nostra' la strada, se non sentiamo più 'nostra' la scuola, come possiamo sentire 'nostra' la città, 'nostro' lo stato, 'nostro' il mondo?
E cosa succede spesso? Che ci ritiriamo nei nostri gusci, le nostre case, le nostre corporazioni: per gli adulti il nostro gruppo, il nostro "branco" per i ragazzi. Sentono forte il dovere nei confronti del loro gruppo, ma meno sentono il dovere nei confronti della scuola, perché non la sentono a volte come la 'propria' scuola. Guai ad imbrattare i muri della loro cameretta, guai a graffiare il loro "computer", poi, a scuola imbrattano i muri, perché non è la 'loro' scuola...
È possibile sentire un po' di più le realtà che ci stanno intorno come 'nostre'? Dovremmo tutti imparare a sentire che il condominio è il 'nostro' condominio e se viviamo civilmente ci stiamo tutti meglio; che la strada è la 'nostra' strada: se la teniamo pulita, è pulita per tutti, quindi anche per me; che la scuola è la 'nostra' scuola e se funziona bene, funziona bene per tutti, anche per mio figlio; se io continuo a difendere il "particulare" di mio figlio, non funziona né la scuola né mio figlio! E lo stesso vale per la città, lo stesso vale per il mondo.
Avete poi ascoltato un incalzante elenco di "doveri" e vi sarete chiesti: "Ma io, che posso fare?!" Provate a pensare quello che si può fare su questi doveri proposti dal decalogo per l'uomo del terzo millennio; e pensando, riflettendo, vedrete che qualche cosa si trova.
Si parla (per farvi qualche esempio; perché poi bisogna che la smetta, l'ho già fatta lunga...) del dovere di "garantire il lavoro"; e vi dite: "Io come posso garantire il lavoro"? Ma si provvede al lavoro, lo si garantisce, anche parlando, anche sostenendo, per esempio, che se uno ha tre lavori, forse anche due gliene bastano; perché facendone tre, toglie lavoro a qualcun altro. Allora vedete che il "dovere di garantire il lavoro" dipende anche da noi. Occorre che tutti sentiamo questi problemi come "nostri", per rifletterci insieme con gli altri, perché pian piano si fa opinione, pian piano si aiuta il mondo a prendere coscienza dei veri problemi, che ci stanno davanti per il terzo millennio.
Pensare quindi - come suggeriva quello che abbiamo letto poco fa - con una visione "globale", per poi agire nella concreta situazione "locale", fare quello che è nelle nostre possibilità. E tutti possiamo fare qualcosa: una carta per terra, possiamo non buttarla più; possiamo provare a guardarci negli occhi per non vedere più chi ci abita sopra o sotto come un numero, ma come una persona... Non possiamo fare amicizia con tutti - è chiaro, non è nemmeno pensabile - ma guardare l'altro come un essere umano... fermarci alle strisce pedonali, quando guidiamo e vediamo che qualcuno vuol passare; i gesti di cortesia, di attenzione verso l'altro; una maggiore attenzione, quando si va a scuola, a sentire la scuola come scuola 'di tutti'; e via dicendo... Trovate voi i piccoli gesti quotidiani, che sono importanti.
Un'altra cosa soltanto - mi raccomandavano di dire e io bisogna che ve la dica - è questa: a volte un eccessivo senso di responsabilità fa male. Ed è vero! Io ho visto più gente tribolare per avere troppo senso di responsabilità, che poco. Non possiamo sentirci responsabili di tutto. Oggi la TV ci riversa addosso - e ne parleremo domenica prossima - valanghe di notizie. E se vi sentite responsabili di ogni bambino che piange, di ogni persona che viene uccisa, di ogni persona che tribola; di ogni difficoltà del mondo, non campate più! Se vi sentite responsabili, anche ad Ostia, di tutto quello che vi capita attorno, non campate più! C'è gente che ha troppo sofferto, per troppo senso di responsabilità, perché qualcuno gli ha messo sulle spalle pesi che non poteva sopportare!
Allora, il discorso della responsabilità e del dovere deve essere il più possibile un discorso sereno: ciascuno cerchi di trovare il proprio spazio, in cui può fare qualche cosa, magari piccola, perché il mondo sia più bello. Poi, tentiamo, tutti, di essere attenti ai problemi comuni: non perché io li possa risolvere, ma perché conoscendoli, parlandone, facendo mentalità intorno a me, io possa aiutare il mondo - il mondo che vedrà la luce nel tremila - ad essere migliore di quello di oggi. Ho detto tremila? è un po' lontano!... ma ci saranno altri. Noi facciamo la nostra parte.
Il Signore ci aiuti!
...Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 8 marzo 1998
Qualcuno di voi forse lo ricorderà: domenica scorsa abbiamo cominciato le nostre riflessioni sui temi della Quaresima, ponendo l'accento sulla difficoltà, che oggi abbiamo, nel sentire come 'nostre' tante cose che ci stanno intorno; perché il mondo, rispetto a quello dei nostri vecchi, si è profondamente dilatato; per cui non sentiamo più come 'nostro' magari lo stesso condominio o la via in cui abitiamo, la città in cui viviamo. Se si è dilatato il senso dello spazio ancora di più si sono moltiplicati i modi della comunicazione. Noi oggi siamo sopraffatti da una valanga di notizie, di informazioni, che ci giungono attraverso tanti strumenti, che non soltanto ai nostri antichi, ma anche a molti di noi quando eravamo bimbi, erano sconosciuti. I bambini di oggi fanno una gran fatica a pensare che io fino a 18 anni non ho visto la TV; mi guardano con gli occhi sbarrati: "E che facevi? come passavi il tempo?" Eppure, lo sapete, è successo a molti di noi...
La TV, la radio, i giornali ci portano una straordinaria messe di notizie; ed è una ricchezza, non ci sono dubbi. Ed anche la comunicazione tra le persone è molto aumentata nei nostri giorni: pensate alla comunicazione tra genitori e figli, tra alunni ed insegnanti, oggi è molto più frequente e ricca che in passato. E son tutte cose molto positive. Ma, come spesso succede nella vita, c'è il rovescio della medaglia. E allora vorrei invitarvi - e ci invitano sia le risposte al questionario che abbiamo ricevute, sia le discussioni che abbiamo fatto questa settimana - a riflettere un po' sui limiti della comunicazione e su ciò che si può fare per migliorarla.
Noi riceviamo una massa enorme di informazioni e siamo in difficoltà per capire che cosa è veramente importante. Si alza la soglia dell'indifferenza: sommersi da tante notizie, rischiamo di diventare indifferenti un po' a tutto. Non solo: spesso le notizie che arrivano per radio, TV, giornali, sono notizie negative, e suscitano in molte persone un senso di ansia, di paura, di insicurezza, che rischiamo di trasmettere ai ragazzi, rendendoli più fragili e indifesi. Come possiamo difenderci da questa valanga di notizie? Come possiamo, tra tante notizie negative, cogliere quelle positive, che pure ci sono, ma che sembra così difficile scoprire?
Ai bimbi che dovevano preparare la Messa di questa II domenica, si chiedeva di scrivere da una parte le notizie negative e dall'altra quelle positive. Il foglio delle notizie negative s'è riempito subito, mentre quello delle positive era ancora mezzo vuoto fino a qualche giorno fa; poi forse son riusciti a trovarne ancora qualcuna.
E chi si intende di mezzi di comunicazione ci avvertiva che si crea una specie di circolo vizioso: se chi parla alla TV non riferisce notizie in gran parte negative, la gente cambia canale, perché si aspetta quelle notizie! E la gente si aspetta quelle notizie, perché è abituata a sentirle; e il cerchio si chiude. Come se ne può uscire? Forse è compito di tutti noi, forse è compito degli insegnanti, forse c'è bisogno di maggiore cultura o di maggiore autonomia di giudizio. Posso invitarvi a fare uno sforzo anche in questa Quaresima, per essere attenti, quando ascoltate la radio o la TV (abbiamo notato che molti durante il pranzo e la cena tengono accesa la TV), a cogliere quella notizia positiva, che magari vi è stata data quasi di straforo, all'ultimo momento?
Ma c'è un altro problema che è stato messo in evidenza e che ritrovate anche sui fogli che avete in mano: rischiamo di abituarci alla comunicazione della TV e ai dibattiti che diventano sempre più frequenti, in cui ha ragione chi parla più forte, chi urla di più! Ma c'è di peggio: spesso chi parla non è attento ad ascoltare 1'altro, ma a preparare le risposte. In molte discussioni politiche si nota chiaramente che chi parla non sta a sentire ciò che dice l'altro, non cerca di capire se porta un po' di verità, ma cerca di sopraffare l'altro, di affermarsi sull'altro, di far valere il proprio punto di vista. E così non c'è dialogo!
Se questo succede anche tra di noi, capite che rischiamo di non ascoltarci più. Chi ha preparato il foglio che ci aiuta a pregare in questa Domenica (lo avete in mano e potete portarlo a casa) pone l'accento sulla capacità di ascoltare, sulla necessità di essere attento all'altro, di capire quello che mi sta dicendo. Perché nessuno di noi possiede tutta la verità: ne abbiamo solo dei frammenti; e l'altro può aiutarci a comprendere meglio anche il nostro frammento.
E poi c'è un'ultima cosa su cui mi invitano a porre l'accento: ed è la necessità di parlare un po' con se stessi. Che non è una cosa così complicata, non vi spaventate! Significa che abbiamo il bisogno di fermarci a riflettere sulla nostra esperienza per cercare in noi stessi le cose essenziali; significa che è importante allontanarci un po' dalle tante, troppe parole, che ascoltiamo, per pensare con la nostra testa, al di là di quello che dice il giornale che leggiamo. Capita a volte di ascoltare qualcuno che parla con le parole del giornale che legge... si vede che non è tanto abituato a pensare con la propria testa!
E il Vangelo di oggi ci ricorda che, qualche volta, dobbiamo anche noi "andare sul monte": a cercare di vedere la luce di Gesù, a scoprire i valori suoi, a fermarci un momento per cercare le cose essenziali della vita. C'è il bisogno di ritrovare il gusto di fare un po' di silenzio, di ritrovare se stessi! Era importante per Adamo, è importante anche per noi. E sarà importante per l'ultimo uomo che vivrà sulla terra. E tanto più è importante, quanto più siamo circondati, assediati direi, da parole e parole... Il silenzio, il fermarci a parlare con Dio! A volte ci spaventa, il silenzio; ma non è una cosa complicata. Si può essere soli e silenziosi anche quando si va al lavoro, al mattino; e si riflette un po' su quello che pensiamo possa succederci nella giornata.
Se sapessimo, tutti, qualche volta fermarci, guardare Gesù, cercare la luce! Poi però - il Vangelo ce lo ricorda - non possiamo fare la tenda, fermarci sul monte: questa è una tentazione per i cristiani! Dobbiamo ritornare in mezzo alla gente, ritornare con gli altri.
Tanti spunti, come vedete, e tanti ancora potrete trovarne voi stessi, per aiutarci a migliorare, se ci riesce, la nostra comunicazione, con noi stessi, con Dio, con chi ci sta accanto, con le persone che incontriamo.
Il Signore ci aiuti!
"Se non vi convertite, perirete tutti. ...Son tre anni che 15 marzo1998
vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo."
Il tema dell'onestà si presenta - come tutti gli altri, del resto - particolarmente vasto: l'abbiamo verificato sia nelle vostre indicazioni, sia nelle riflessioni che abbiamo fatto in questa settimana nei vari gruppi. È difficile quindi riassumere. Vorrei soltanto attirare la vostra attenzione su quelli che mi sembrano gli aspetti più importanti.
Anzitutto, continuando le riflessioni delle domeniche precedenti, vorrei invitarvi a considerare la grande complessità del problema per noi, che viviamo alla fine di questo secolo. I nostri vecchi - ma anche molti di noi quando eravamo ragazzi - vivevano in una società che era in gran parte agricola, artigianale: il problema dell'onestà riguardava i rapporti con il vicino: non andargli a rubare la frutta nell'orto, non mandare le pecore a pascolare nel suo campo; oppure per l'artigiano era quello di eseguire correttamente il lavoro, di non chiedere un prezzo esoso, ecc...
Per noi oggi, tutto è diventato immensamente più complesso. Viviamo rapporti con uno Stato che ha un'infinità di leggi, siamo invitati a pagare tasse di ogni genere, abbiamo rapporti con la nostra società che presenta aspetti sempre più vasti e complicati. E non soltanto con la nostra, addirittura con il mondo intero: come avete ascoltato qualcuno si pone i problemi del "superfluo", dei rapporti col terzo mondo, della propria onestà nei confronti dei poveri del mondo.
E c'è di più: a questa complessità si aggiunge la nostra impreparazione. Tutti noi siamo stati educati ad una moralità in cui il "peccato" - lo sapete tutti - era soprattutto il sesso: il male, nella morale cattolica, era soprattutto visto nel "peccato della carne"; sul resto si sorvolava, eravamo invitati ad arrangiarci alla meglio. Manca inoltre, nella nostra tradizionale cultura cattolica, il senso dello Stato, il senso della collettività: siamo stati educati ad una morale tutta basata sulla salvezza della nostra anima; al più ciascuno doveva essere personalmente corretto, senza preoccuparsi troppo di quello che succedeva intorno.
A questo aggiungete che lo Stato in cui viviamo - forse perché erede anche lui di questa mentalità cattolica - non ci aiuta molto: perché, come diceva qualcuno in questa settimana, si fanno delle leggi e poi si contraddicono! Per fare qualche esempio: si fanno leggi sui sequestri e poi si negano quelle leggi; oppure, si stabiliscono delle tasse, poi ogni 4 anni si fa un condono, con il rischio che la gente dica: "Perché io debbo pagare? Aspetto che facciano il condono, pago il 30% di quello che dovrei pagare e vado avanti tranquillo". Come si può allora stabilire come uno debba comportarsi onestamente, in questa situazione?
Ma c'è ancora di più: tante persone si trovano a vivere in una situazione di disonestà diffusa: quando si fanno questi discorsi in un gruppo - è capitato anche in questa settimana - c'è sempre qualcuno che dice: "Quando io sono andato a lavorare, la prima cosa che mi hanno detto è stata: "Qui non si lavora, eh? Un'ora al giorno. Non lavorare di più, perché rompi le scatole al prossimo". E che deve fare un giovane che lavora in una azienda in cui gli viene richiesto di non fatturare l'IVA? Se si rifiuta non lavora più.
Non vorrei suscitare un vespaio ma... se voi domandate ai giudici che hanno creato - e per fortuna! - il caso di "mani pulite" nel nostro paese: "Ma voi negli anni dal '50 al '70 dove eravate, che facevate?", vi rispondono: "Non potevamo: avevamo le mani legate". E se voi avevate le mani legate, chi le aveva sciolte? E come si distingue chi poteva e chi non poteva? E basta prendere qualcuno e sbatterlo in galera per qualche tempo, per risolvere il problema, mentre tutti continuiamo allegramente a scambiarci tangenti e mazzette?
A questo potete aggiungere che molti di noi hanno avuto, fin dalla scuola, l'educazione ad arrangiarsi, a fare i furbi: se si poteva copiare, era virtù copiare. Fa parte dello sport di molti dei nostri bimbi - quando si va in gita scolastica - rubacchiare al supermercato: se uno non lo fa, passa per fesso! In questo paese spesso, se uno non è furbo - che significa: se uno non è un po' disonesto - è un fesso. Ma allora, come si esce da tutto questo? E che cosa significa in queste situazioni essere onesti? E quando è possibile essere onesti?
La prima considerazione che mi raccomandano di riferire è banale: non è semplice spesso giudicare quello che ci succede intorno. E non serve fare "capri espiatori": il Vangelo ci ammonisce che la conversione è una faccenda che ci riguarda tutti.
Non abbiamo molti suggerimenti da darvi. Come al solito abbiamo più domande che risposte e speriamo che siano anche le vostre domande, perché è importante mantenere vigile la propria attenzione su questi problemi.
Ma qualche cosa ci sentiamo di dirvi. La prima: è importante rimanere onesti con se stessi, il più che si può; ciascuno di noi dovrebbe potere andare la sera a dormire, guardarsi nello specchio dicendo: ho cercato di dare - nel mio lavoro, nella mia vita - il meglio di me. Magari non ci sono riuscito del tutto: domani ci provo ancora.
E poi ognuno di noi ha il proprio spazio in cui può cercare di essere un pochino più onesto. Magari a partire dalle cose più piccole: qualcuno suggeriva di partire dalla puntualità o dal ripensare al proprio ruolo in famiglia: non è giusto che in casa - se marito e moglie lavorano entrambi - tutti i lavori di casa li faccia la donna mentre il marito, magari, si mette in pantofole a guardare; e spesso neanche i figli sanno dare una mano. Oppure ciascuno può chiedersi se può svolgere il proprio lavoro con maggiore scrupolo e attenzione o se può essere più onesto con i propri figli, con le persone che ha intorno...
Io ve l'ho fatta già lunga: la finisco qui. Ma con due cose vorrei concludere, proprio a mo' di slogan: la prima: siamo prudenti nel giudicare; è difficile oggi capire che cosa è onesto e che cosa non è onesto, ma ciascuno di noi può individuare il proprio spazio, dove può fare un piccolo passo in più per l'onestà. La seconda (ma questa forse è la cosa più importante): continuiamo a parlarne, a cercare! A cercare di farci una mentalità, una cultura più onesta: per noi e per la società in cui viviamo.
Perché questa società non è un magico Stato, fatto da chissà chi: ma è composta da tutti noi: dal nostro coraggio, dalla nostra buona volontà. E il Signore ci aiuti!
Gli scribi e i farisei condussero a Gesù una donna sorpresa in adulterio... 22 marzo 1998
Chi ha preparato questa messa, ha trovato anche delle brevi parole di dom Helder Camara, già vescovo di Recife nel Brasile: parole che commentano questa pagina del Vangelo e forse possono essere utili per noi. Le ascoltiamo:
== "Malgrado questo avvertimento di Cristo, noi portiamo sempre pietre con noi. Abbiamo sempre pietre da gettare contro gli altri. È tremenda la nostra mania di giudicare, di giudicare e di condannare. È difficile convertirsi. È difficile non giudicare, non condannare, non giustiziare gli altri, quelli che ci sembrano cattivi e pericolosi. Penso per esempio alle lotte necessarie contro le ingiustizie e per una maggiore giustizia. L'ideale sarebbe non cercare di vincere, ma di convincere" ==
E dopo tante parole per me è difficile aggiungerne qualcun'altra. Cerco di essere il più rapido possibile.
I problemi che avete messo in evidenza, già nelle risposte al questionario - che era all'origine della nostra Quaresima di quest'anno - e poi nelle riflessioni dei vari gruppi in questa settimana, sono di una vastità quasi sconfinata. Ci sono i grandi problemi del mondo: l'inquinamento, la temperatura della terra che aumenta, l'usura delle risorse del pianeta; ci sono i grandi problemi della fame, della guerra, della mafia, dello spaccio della droga; ci sono i giovani che non trovano lavoro, la disoccupazione che cresce in gran parte dell'Europa e del mondo intero, l'immigrazione sempre più incontrollabile, il razzismo e la violenza. E via discorrendo: si potrebbe continuare a lungo.
Ma molti di voi hanno anche messo l'accento sul male più personale, quello che ci riguarda da vicino: i conflitti che a volte si generano nella stessa famiglia: tra marito e moglie, tra fratelli, a volte coi figli o con gli amici; e poi sul lavoro: gli scontri con i superiori, con i colleghi... e quant'altro. Tutti noi ci troviamo di fronte a tanti problemi che riguardano il male - grande o piccolo - che abbiamo intorno a noi. Come reagire a tutto questo?
Non abbiamo molti strumenti, che ci aiutino a capire, stretti come siamo da una valanga di parole retoriche, che si ascoltano spesso anche in chiesa e che qualche volta riaffiorano nei nostri discorsi. Quanti discorsi avete ascoltato, anche in TV o alla radio, sul perdono? Discorsi che non significano assolutamente nulla. Se c'è una parola vuota, nella nostra tradizione cristiana, è proprio la parola "perdono": serve spesso soltanto a mettere dei pesi sulla coscienza della gente.
Ci confrontiamo spesso da una parte con la vuota retorica del "perdonismo" e dall'altra con le parole cariche di violenza, che esprimono il dolore, la rabbia, il rancore delle vittime. L'ultimo caso - per darvi un esempio concreto di quello che voglio dire - il drammatico episodio di quella ragazza uccisa da due sue amiche: ci hanno risparmiato per 2-3 giorni; ma poi ci hanno fatto ascoltare la rabbia, la disperazione della madre, delle sorelle, del fratello. Ma che può dire una mamma a cui hanno ucciso la figlia? Le si può chiedere: "Tu perdoni?"? Ma che significa perdonare? che significa perdonare chi ti ha ammazzato una figlia?!
E d'altra parte ci tocca ascoltare spesso la retorica di chi ci dice che siamo responsabili un po' di tutti i problemi del mondo, della fame, della sofferenza dei bambini...Tante parole che forse vogliono suscitare buoni sentimenti, ma che spesso generano paura e angoscia... poche volte ascoltiamo delle riflessioni serie, ricche di numeri, di approfondimenti, di studi con, magari, qualche indicazione concreta su quello che si potrebbe fare per tentare di risolvere, almeno un po', questi problemi. Spesso invece, specialmente i giovani, hanno l'impressione che l'unica soluzione sia il disinteresse, il disimpegno, il divertimento, il rinchiudersi nei propri gusci. E via dicendo...
Potrei dilungarmi ma il tempo non c'è. Vorrei lasciarvi 2 o 3 indicazioni, perché, insieme a questo foglio che potrete portare a casa, sollecitino la vostra riflessione.
La prima cosa che mi sento di dirvi, e che ci siamo ripetuta più volte in questa settimana, è questa: attenti a non partire, quando si fanno questi discorsi, col piede sbagliato. E qual è il piede sbagliato? Il piede sbagliato - che noi consideriamo drammatico, perché abbiamo ascoltato questo non dalle persone anziane, che potrebbero forse permetterselo, ma dai giovani - è di dire che il mondo va sempre peggio. È falso! È essere ciechi sulla storia degli uomini. La nostra società, frutto anche dello sforzo e della passione umana di chi ci ha preceduto, è molto più sensibile su questi problemi: ci fa soffrire sentire che in un'altra parte del mondo c'è gente che muore di fame, non possiamo sopportare sentire che dei bambini lavorano, non sopportiamo le tante immagini di guerra che ci tocca vedere!
Chi ha i capelli bianchi ricorderà le parole di retorica esaltazione della guerra che hanno dovuto ascoltare in gioventù; alcuni hanno dovuto partecipare a campagne di conquista, magari con la benedizione dei cappellani militari. Oggi ci stiamo preoccupando del Kosovo, perché c'è gente, là, che rischia di ammazzarsi; e mandiamo qualcuno a fare dei timidi tentativi. Oggi sentiamo il bisogno di andare a tentare di portare la pace. Quando sentiamo di bambini che muoiono, tentiamo di mandare qualche aiuto. Oggi parliamo di fame nel terzo mondo; 50 anni fa si moriva qui da noi, di fame: se veniva una carestia nelle nostre campagne, si moriva; c'era gente che aveva il gozzo, perché non aveva da mangiare... E via dicendo.
Allora, la prima cosa che volevo dirvi - che mi raccomandano di dirvi - è proprio questa: attenzione, perché creiamo soltanto pessimismo intorno a noi.
La seconda cosa che volevamo dirvi è questa: ciascuno di noi tenti come può di interessarsi a questi problemi. E su questo abbiamo sentito, in questa settimana, tante risposte diverse. Chi dice: io preferisco buttarmi in un problema solo e dare il meglio di me; altri dicono: ma no! è meglio interessarsi di tante cose, ascoltare, parlare: facciamo cultura, aiutiamo la coscienza di tutti a crescere, anche mettendo una firma, quando qualche associazione ce lo chiede. Domani hanno invitato qui varie associazioni: la LIPU, Amnesty International, quelli del "commercio equo e solidale", il "Tribunale del malato". Saranno qui non per chiedere soldi, ma soltanto per dirvi che ci sono altre persone nel mondo, che si occupano di queste cose e che, se si fanno le cose insieme, si può essere più efficienti. Ma anche voi cercate di essere attenti, di parlare coi figli. Perché così si crea cultura e gli uomini fanno un passo avanti.
E anche per i rapporti tra noi, quando incontriamo il male, sappiate che non ci sono risposte semplici. L'unica cosa che possiamo dirvi è: non portatevi sensi di colpa! A volte anche qui in Chiesa facciamo un po' di retorica dicendovi: riconciliatevi con un amico, andate d'accordo con tutti, cercate di fare pace... sappiate che in molti casi non si può fare pace! L'unica cosa, a volte, è abbassare la saracinesca e non pensarci più, e spesso non è possibile nemmeno questo. Insomma, parole astratte sul perdono, sulla riconciliazione, non hanno senso: ognuno di noi vive situazioni diverse.
Tentiamo di chiedere allo Spirito che ci dia luce, per fare quello che è possibile perché il mondo intorno a noi sia più bello! Ma nessuno di noi ha risposte prefabbricate. Nessuno di noi ha risposte semplici: forse proprio non ci sono, da nessuna parte, risposte semplici!
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso 29 marzo 1998
gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.
Per noi, come avete ascoltato, Gesù ha raccontato questa parabola. Per difendere se stesso e noi: lo criticavano perché andava con la gente non buona, con la gente dal cuore pesante, con i peccatori del suo tempo. Lo accusavano e Lui si è difeso dicendo: "Il Padre è come me: faccio così, perché il Padre è così". Oggi, vedete, dopo aver pensato per tutta la Quaresima ai nostri problemi, ai nostri mali, siamo invitati a volgere lo sguardo al cuore del Padre.
Non è semplice, perché questa parabola, che tutti abbiamo ascoltato tante volte, non è una parabola a buon mercato. Vedete, io l'ho letta tante volte, l'ho commentata tante volte con la gente; eppure mi sembra sempre al di là della mia comprensione. Ci sono delle cose che mi sembra di aver intuito e vorrei aiutare anche voi a vederle.
Difendetevi anzitutto da una lettura di tipo psicologico, di questa parabola. Ho sentito tante volte ripetere: "Qui c'è un figlio che vuole la sua indipendenza, che vuole allontanarsi dalla casa paterna per cercare la sua libertà". Ma un figlio che vuole la sua indipendenza non fa nulla di male: è un suo preciso dovere: lo spingono le forze della vita, le esigenze della natura. Qui non si parla del ragazzo che cerca di liberarsi dalle costrizioni della casa paterna. (Vi conviene immaginarlo ancora nella casa paterna, magari mentre ruba o spaccia droga.) Qui si parla di chi sciupa la propria vita e anche la vita del proprio prossimo, di chi rovina se stesso e il mondo che ha intorno.
E così pure difendetevi dalla tenerezza per il ritorno del figlio che è andato lontano: l'abbraccio pieno di lacrime di cui si fa spettacolo in certe trasmissioni televisive. Non pensatelo lontano dalla casa: è lontano dal cuore del Padre, incapace di essere giusto, incapace di essere figlio, di essere uomo. Pensate a noi: pensate alla nostra incapacità di voler bene; noi ci siamo nella casa del Padre, qualche volta veniamo anche in chiesa. Poi - 1'abbiamo costatato in questa Quaresima - non siamo sempre capaci di giustizia, di tenerezza; qualche volta abbiamo sentimenti di vendetta verso gli altri. Si tratta di noi.
E guardatevi anche dal trarre, da questa parabola, insegnamenti morali. Noi spesso, quando apriamo il vangelo, cerchiamo di chiedere: "Allora noi che dobbiamo fare? Fanno bene i giudici ad accordare trattamenti di favore ai pentiti?" Questo non c'entra niente, con la parabola. Noi abbiamo difficoltà a capire come dobbiamo comportarci anche con un figlio che sbaglia... se non ci dice il "grazie", se qualche volta si mostra sgarbato, come diceva qualche volta una mamma: "lo posso perdonare, ma almeno lo deve sapere!" Ed è giusto che sia così; magari gli dobbiamo dare anche uno scapaccione. A volte confondiamo perdono, voglia di dimenticare, desiderio di vendetta. Diceva ieri sera una ragazza: "È soltanto la nostra ragione che può dirci come dobbiamo comportarci nella vita di ogni giorno". Non è di questo che si parla qui. Qui siamo invitati a gettare lo sguardo nel cuore di Dio, a tentare di intuire chi è Dio.
Dio è il sogno di un amore totalmente gratuito: che non si aspetta che gli si dica "grazie", che vuole totalmente il bene del figlio, che vuole che ogni figlio che sbaglia torni ad essere figlio. Questo figlio, l'avete sentito, torna a casa, ma non si sente figlio: vuole essere trattato come un dipendente, cerca solo un tozzo di pane. Il Padre vuole che questo figlio diventi figlio di nuovo, che partecipi di nuovo alla festa, che sia capace di nuovo di amare, che sia capace di tenerezza!
Ecco, stasera tentiamo di guardare il sole: tentiamo di guardare un amore libero da ogni invidia, da ogni gelosia; tentiamo di guardare l'amore di Dio, tentiamo di guardare la sua festa. Ci accoglie tutti, qui, come siamo, col cuore pesante. Quante volte ho sentito dire: "Dio non può perdonarmi, l'ho fatta troppo grossa!" Quante volte ho letto negli occhi di alcune persone la paura di Dio, il timore dei suoi castighi! Ma non ce l'hanno detto, tante volte?
Questa parabola - lo ripeto - è una parabola difficile. Per duemila anni i Cristiani hanno letto questa parabola e hanno continuato a proclamare legittima la pena di morte ed hanno continuato a parlare dell'Inferno! un padre capace di fare soffrire un figlio per tutta l'eternità! qualche cosa di totalmente aberrante e assurdo! Eppure l'abbiamo lasciato convivere con questa parabola: perché nell'inferno c'è il nostro desiderio di vendetta: chi fa il male deve soffrire, deve essere punito, noi non sappiamo rispondere al male che con altro male, con la sofferenza, vista come castigo, espiazione, rimedio...
E qui invece c'è il sogno di Dio: che chi ha fatto il male torni alla festa, torni a sentirsi figlio! Per noi non è facile: nemmeno con il marito, con la moglie, con i figli... Qui si parla di Dio: del sogno di rispondere al male con il bene; di un amore totalmente gratuito; di un amore in cui chi ha fatto del male, chi ha sbagliato, torni a sentirsi figlio; in cui chi non è capace di amare, torni ad amare, in cui ogni uomo, qualunque cosa abbia fatto, possa sperare di ritrovare la sua dignità, la sua libertà di fare il bene!
Essere Cristiani significa essere capaci di guardare il sole, essere capaci di guardare Dio! E poi, però, non lo dimenticate: significa anche accorgersi di ogni margherita che incontriamo sul nostro cammino, di ogni bicchiere d'acqua, di ogni tenerezza, che siamo capaci di dare e di ricevere. È vero che noi le nostre tenerezze le infanghiamo sempre un po' - ma è normale: siamo uomini - con le nostre gelosie, con le nostre invidie: il nostro cuore non è completamente libero.
Il cuore di Dio è pienamente libero: è gratuità, è libertà, è amore totale. Ci invita a farne esperienza qui, intorno alla tavola. Ci siamo accorti in questa Quaresima che non siamo buoni? il Padre ci invita lo stesso. Non può accettare il nostro male: lo sapete. Ma vuole che, partecipando alla sua festa, guardando il suo cuore, siamo capaci di uscire da qui fatti un po' più figli, un po' più liberi, un po' più capaci di gratuità e di amore!
"Tutti questi ricchi han deposto come offerta del loro superfluo; questa 5 aprile 1998
vedova povera invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere"
Abbiamo cominciato il cammino della nostra Quaresima con questa domanda: "Quanto dipende da noi la bellezza del mondo?" ed è bello finire il nostro cammino con la risposta che il Vangelo di oggi ci dà: la bellezza del mondo dipende dal coraggio che tutti noi abbiamo di gettare nel tesoro della vita i due spiccioli del nostro amore.
La bellezza del mondo dipende dal coraggio che tutti noi abbiamo di mettere nel tesoro della vita le piccole monete delle nostre capacità: delle capacità di ciascuno. A volte noi sogniamo di compiere azioni eroiche e belle, di avere grandi possibilità per contribuire alla ricchezza del mondo e ci lasciamo sfuggire le piccole occasioni quotidiane di far fruttare i nostri talenti: non mettiamo nel tesoro della vita le nostre concrete, semplici, possibilità di gratuità e d'amore!
A volte - è un vizio forse degli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, ma che si sente più forte in questo momento, nel nostro paese - aspettiamo qualche grande uomo che venga a risolvere i nostri problemi: della politica o della mancanza di lavoro o della giustizia o della medicina. La possibilità di un mondo più giusto e più bello dipende da tanta gente come noi, che mette nel tesoro della vita i propri spiccioli, le proprie possibilità, che offre le proprie capacità per contribuire al bene di tutti.
Domenica scorsa abbiamo celebrato la festa del perdono: ci siamo ritrovati intorno alla tavola, così come siamo, gente dal cuore pesante, incapace di dare più che due spiccioli; a volte anche capace di sciupare la propria vita. Eppure il Padre ci ha accolti e invitati alla festa!
Ed oggi questa piccola pagina del Vangelo - che Luca mette alla fine del lungo cammino dei discepoli dietro a Gesù e prima del racconto della Passione - ci invita a seguire Gesù, convinti che, per andargli dietro e per seguirLo fino in fondo, non bisogna essere capaci di cose grandi: basta dare due spiccioli, donare tutto quello che si può, senza calcolare troppo, con semplicità, gratuità e tenerezza. È questo che ci chiede il Signore.
E dunque, coraggio! Tentiamo di seguirLo fino alla fine, fin nel cuore della sua esperienza: Lui ha saputo amare fino in fondo, ha saputo essere fedele fino alla morte e alla morte di croce! Lo celebreremo in questa settimana: Lo vedremo farsi pane per noi; Lo vedremo morire per essere fedele, nel dono totale di sé.
A noi, per la bellezza del mondo, chiede solo di donare tutti gli spiccioli che abbiamo: tutte le risorse del nostro coraggio e del nostro amore. Le possibilità per molti di noi - per me per primo - sono piccole: non possiamo fare cose grandi. Forse sappiamo dare soltanto un bicchier d'acqua a chi ci sta accanto, portare un sorriso. Basta per seguire Gesù! Dio non ama i gesti clamorosi, Dio non ama gli eroi. Ama le piccole vedove che hanno soltanto uno spicciolo da gettare nel tesoro della vita!
Anche se ci è rimasto meno di uno spicciolo, anche noi possiamo andare dietro a Gesù, camminare con Lui. L'importante è che ciascuno di noi metta nel tesoro della vita i piccoli o grandi tesori che ha, di gratuità e di amore.
Il Signore ci aiuti!
"Se io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, 9 Aprile 1998
anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri".
Anche noi siamo riuniti intorno ad una tavola, come Gesù con i discepoli tanto tempo fa. Certo è una tavola molto più solenne e preziosa di quella che ha visto seduti Gesù e i suoi discepoli; e noi siamo in tanti. Ma con gli occhi della fantasia possiamo andare anche noi a sederci intorno a quella tavola, per tentare di capire.
Abbiamo invocato lo Spirito perché dilatasse gli spazi del nostro cuore, perché ci facesse capaci di comprendere il dono del Signore. Adesso tentiamo di guardare. Ci sediamo in silenzio in un angolo di quella sala e possiamo ascoltare, forse, il rumore che viene da fuori. Ascoltate: c'è il rumore delle armi, il suono freddo dell'acciaio. La violenza del mondo sta preparando l'uccisione del Giusto. Ancora una volta - come tante altre - l'arroganza dei sacerdoti, dei capi, di chi crede di giudicare in nome di Dio, ha deciso di inchiodarlo su una croce.
E poi guardatevi intorno: là nella sala c'è uno che sta per tradirlo. Uno che Lui ha scelto, che Lui ha chiamato. Uno che Lo ha conosciuto da vicino, uno che è stato suo amico: per 30 denari, sta per tradirlo!
Ma guardate anche gli altri: sembravano animati da tanto coraggio, pieni di entusiasmo. Tra poco tutti fuggiranno via e Lo lasceranno solo.
Provate a domandarvi: cosa può aspettarsi, adesso, un credente? Là seduto intorno alla tavola non c'è un uomo qualunque: è Dio, che è venuto a condividere la vita degli uomini. Che cosa ci si può aspettare, ora che siamo arrivati alla fine? Non vorrà forse, finalmente, manifestare la sua potenza, la sua gloria? non travolgerà finalmente la violenza degli uomini, non farà trionfare la giustizia?
O forse, chi lo sa, fulminerà Giuda. Perché un uomo tradisce un amico? Perché il Giusto deve essere tradito per un pugno di denari? O alzerà finalmente la sua voce, esprimendo tutto il suo disprezzo, per la paura e la vigliaccheria dei suoi discepoli, che Lo hanno seguito, non si sa bene perché. Non è giusto che Dio manifesti almeno ora tutta la sua potenza? Non sarebbe ora che là, intorno a quella tavola, si potesse finalmente vedere Chi è Dio, si potesse finalmente vedere la sua onnipotenza, la sua forza?
Guardate: si alza, si cinge un asciugamano intorno ai fianchi e si china a lavare i piedi ai suoi discepoli. Ad uno ad uno, con pazienza, con gesti lenti e misurati. SeguiteLo mentre lava i piedi dei suoi; magari aspettatevi che venga a lavare anche i vostri: se fossimo stati là, avrebbe lavato anche i nostri piedi.
E poi prende il pane, lo spezza, lo dà a tutti: "Prendete e mangiate". Ecco: Dio si sta manifestando! E forse, se fossimo là, non ci accorgeremmo nemmeno che in questi gesti si manifesta Dio: il suo sogno, la sua intima realtà, la sua presenza nella nostra vita. Il sogno di rispondere alla violenza e al male con la gratuità e l'amore; il sogno di rispondere al tradimento non con il fulmine - che noi ci aspetteremmo forse anche oggi - ma con il chinarsi a lavare i piedi e donare se stesso.
E quei discepoli che stanno per abbandonarLo, per lasciarLo solo, che forse si aspettano anche loro che si alzi e finalmente gridi il suo rimprovero, si sentono invitati a condividere la sua vita fino in fondo, si sentono invitati alla festa; si sentono amati fino al dono di sé. Così si manifesta Dio! E non è facile, per noi.
Ripercorrete un momento la storia di questi duemila anni: abbiamo fatto di questo gesto del Signore un rito, una tradizione, un'abitudine. Abbiamo sacralizzato anche una lingua: c'è ancora qualcuno che dice "S'è persa la fede", perché non si celebra più la messa in latino. Ne abbiamo fatto un'assicurazione per il paradiso.
Ma c'è di più: ne abbiamo fatto strumento per la celebrazione dei potenti, strumento per il dominio delle coscienze. Qualcuno ancora oggi è escluso da questo dono di Dio; magari perché ha dovuto divorziare e rifarsi una famiglia, non può più fare la comunione. Ma c'è di peggio: abbiamo con l'Eucarestia benedetto le armi, inneggiato alla guerra! Il tradimento non era soltanto in quella cena, ma è continuato nei secoli.
Eppure, guardate: noi siamo ancora qui, sulla tavola c'è ancora il pane che si spezza; e ancora possiamo pensare che Gesù senza stancarsi continui a chinarsi a lavare i piedi, in silenzio. Non grida, non ci invita nemmeno a chiedere perdono di tutti i misfatti che abbiamo commessi in questi duemila anni. Ancora continua a donare se stesso; ancora si fa pane; ancora si china a lavarci i piedi; ancora ci chiama! Così è Dio in mezzo a noi: senza stancarsi ci chiama alla festa; senza stancarsi ci chiama alla gratuità. Al di là di tutte le nostre miserie, di tutti i nostri tradimenti, di tutti i nostri fallimenti, di tutte le nostre stanchezze. Ancora è qui: si fa pane. Ancora è qui e dona se stesso. È il sogno di Dio nella nostra vita. È l'amore che si fa piedi lavati, che si fa pane donato, che si fa vita condivisa. È l'amore che non si stanca, è l'amore che continua a tenderci le mani, che continua a chiamarci, ad invitarci ad essere - almeno un po' - come Lui!
Noi siamo povera gente: siamo qui con il nostro cuore pesante, con le nostre infedeltà, con le nostre incapacità. Eppure, ancora ci invita. E chiama noi! chiama me! chiama ciascuno di noi, uno ad uno! Davanti a ciascuno di noi si china a lavare i piedi; e tutti noi invita a mangiare. Tutti, non esclude nessuno. Perché tutti vuole partecipi della sua festa, della sua vita donata, della sua gratuità, del suo amore! Ci aiuti a capire almeno un po'!
Crocifissero lui e i due malfattori... E Gesù diceva: "Padre, perdonali..." 10 aprile 1998
e al buon ladrone: "In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso"...
"Padre nelle tue mani consegno lo spirito mio". Detto questo, spirò.
Ecco, proviamo ad alzare lo sguardo: lassù, inchiodato su quella croce, le braccia spalancate tra cielo e terra, vediamo in maniera atroce morire il Giusto. Il ladrone, inchiodato anche lui sulla croce, Lo riconosce giusto. Noi riconosciamo in quell'uomo che muore Dio, venuto a condividere la nostra vita.
Guardiamo sgomenti, perché là vediamo ancora una volta manifestarsi l'orrore della violenza contro l'uomo, del disprezzo per la vita. Vediamo ancora una volta morire la Giustizia.
Siamo sconvolti, perché là vediamo anche l'impotenza di Dio. Glielo gridano sotto la croce: "Se sei il messia, se sei Dio, salva te stesso e salva anche noi!" E guardate, il rantolo della morte: Dio sembra non salvare nessuno!
Ma, se ricordate, poco prima, quando uno dei suoi ha messo mano alla spada, subito li ha fermati e ha guarito l'orecchio del servo. E là su quella croce si è rivolto al Padre soltanto per dire "Padre, perdona: non sanno quello che fanno". E poi al malfattore che gli sta accanto, che proprio alla fine sa riconoscere in Lui il giusto, dice: "Oggi sarai con me in paradiso".
Ecco il Dio che noi conosciamo: ricco soltanto di amore, capace di tenerezza, di perdono; capace di fedeltà fino in fondo! Non è il Dio onnipotente, che ci libera dalla violenza e dalla morte: non è il Dio che noi sogniamo. È un Dio diverso. Ma ci tende le sue braccia spalancate, ci offre il suo perdono, ci invita a condividere la sua vita, a camminare con Lui. Invita anche noi a vivere la fedeltà fino in fondo, la tenerezza e il perdono.
Per noi non è semplice! Per questo siamo qui, a guardare sgomenti, a tentare di capire, a invocare la sua grazia!
Ancora un momento di silenzio, perché possiamo guardare Dio che dona per noi la sua vita: il Dio fedele a ciascuno di noi fino in fondo, nella pienezza dell'amore e della tenerezza.
"Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato". 12 aprile 1998
"Quanto dipende da noi la bellezza del mondo?": questa frase ci accompagna dall'inizio della Quaresima. Non so se è capitato anche a voi di ascoltare in questi giorni l'antica obiezione: "Ma questa non è una domanda cristiana. Questa domanda se la può fare ogni uomo che vive sulla terra; sono soprattutto i pagani che pensano alla bellezza del mondo. Noi dobbiamo pensare a servire Dio, a salvarci l'anima. Anzi, nella tradizione della Chiesa c'è spesso un po' di disprezzo per questo mondo e la sua bellezza. Noi guardiamo ad un altro mondo, ad una bellezza eterna, al di là di quella fugace dei nostri giorni".
A molti - spero non a voi - queste sembrano parole sensate, eppure, se ci pensate, noi stasera siamo qui tentando di celebrare Dio che è venuto a condividere la nostra esperienza, la nostra vita. È venuto a cantare con noi la bellezza del mondo, a tentare di costruire con noi un mondo più bello! Non è Lui che ha cantato la bellezza dei gigli del campo, degli uccelli del cielo? Non è Lui che ha detto: "Beati gli operatori di pace, i miti, i misericordiosi, i pacifici"?
Non è stato in mezzo a noi, testimone di valori essenziali, non è stato fedele fino in fondo a quello che aveva nel cuore: alla sua passione per la pace, per la giustizia, per la gratuità, per l'amore? La violenza dell'uomo Lo ha inchiodato su una croce. Ma il Padre ha dato ragione a Lui! L'ultima parola non è il male; l'ultima parola non è la morte; l'ultima parola non è la violenza. L'ultima parola è la vita, è il bene, è la bellezza!
Non siamo qui, stasera, a celebrare che la vita è più forte della morte, che l'amore è più forte dell'odio, che il perdono è più grande della vendetta, che la tenerezza è più forte della violenza, che la gratuità è più bella dell'egoismo? Non siamo qui a celebrare la vittoria della vita, della bellezza, su tutto quello che sa di morte, su tutto quello che sciupa la vita del mondo?
E cosa c'è di più bello, mentre celebriamo il cuore della nostra fede, di sentirci accanto a tutti gli uomini di buona volontà, senza esclusione alcuna? Dove c'è un uomo che fa un passo avanti sulla via della giustizia, lì è Pasqua! Dove c'è un uomo che crede nella vita, dove c'è un uomo che vive la gratuità e l'amore - a qualunque religione, a qualunque credo appartenga - lì è Pasqua! Dove c'è un uomo che sa asciugare una lacrima e donare un sorriso, lì è Pasqua!
La domanda sulla bellezza del mondo è la nostra domanda. E che sia la domanda di ogni uomo che vive sulla terra, questo non può che rallegrarci. Ed è bello, stanotte, sentirci fratelli di ogni uomo che vive, di ogni uomo che con noi cammina nella speranza.
Tra poco accenderemo una candela. A noi è affidata una luce; a volte la luce è flebile e tremolante; a volte anche noi, come i discepoli d'un tempo, facciamo fatica a credere nella resurrezione, nella giustizia e nel bene. Ma quella luce è affidata a noi, alla nostra fede, al nostro coraggio di uomini. Ed è bello sapere che tanta gente come noi, in ogni angolo della terra, accende stasera una candela e tenta di credere nella vita: come Gesù ci ha insegnato!
Il Signore ci aiuti!
Mentre erano chiuse le porte... venne Gesù e disse: "Pace a voi. 19 aprile 1998
Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". E a Tommaso
disse: "Non essere più incredulo ma credente".
Avrete in molti, penso, notato lo strano contrasto che c'è tra il Vangelo di oggi e la prima lettura. Chi sono i Cristiani? Un gruppo di uomini coraggiosi e intrepidi, come li descrivono gli Atti degli Apostoli, che nel portico di Salomone - nel grande cortile del Tempio - annunziano il Signore applauditi da tutti, capaci di compiere prodigi, tanto che basta l'ombra di Pietro, che sfiori un malato, perché questi guarisca? È una realtà, questa, o è soltanto l'illusione, il sogno dei primi cristiani? o, peggio ancora, pensano che così debba essere? Oppure la realtà dei cristiani è più simile a quella descritta dal Vangelo: un pugno di gente impaurita, chiusa a doppia mandata nel Cenacolo, incapaci di annunziare la resurrezione, tanto che anche il loro amico a cui dicono "Abbiamo visto il Signore" non riesce a credere? Come credere che tra questa gente impaurita, piena di dubbi, ci siano veramente dei testimoni del Signore risorto?
Cosa significa essere Cristiani? Qual è la nostra esperienza? E adesso guardate un momento Gesù: con pazienza Lui viene, trova le porte sbarrate, conosce la paura nel cuore dei suoi e li invita a stendere la mano, a toccare, a fare esperienza di Lui. E otto giorni dopo torna - ancora le porte sono chiuse - e a Tommaso dice: "Metti qui la tua mano, stendi il tuo dito, tocca e non essere incredulo ma credente". Non è questa, forse, anche la nostra esperienza? Non eravamo qui in molti, nella grande notte di Pasqua? non abbiamo acceso, pieni di fiducia, le nostre candele al grande Cero pasquale? non abbiamo cantato l'Alleluja? Eppure ci portiamo dentro, ancora, le nostre paure, i nostri dubbi!
E sono decine di volte che ormai celebriamo la notte di Pasqua e facciamo esperienza della resurrezione. Eppure ci portiamo ancora dentro i nostri dubbi. E guardate: Gesù non si stanca di venire in mezzo a noi e ci invita alla festa. E lo farà anche domenica prossima e ancora dopo otto giorni.
Essere Cristiani - penso che ormai lo sappiate tutti - non è essere gente che non conosce mai un dubbio, che non si porta mai dentro una paura nel cuore, che attraversa la vita con sicurezza. Essere Cristiani è continuare a cercare Gesù - come i discepoli - senza stancarsi: continuare a cercare Lui, i suoi valori, la sua libertà, la sua tenerezza, la sua gratuità! Continuare a farlo, nonostante le difficoltà che incontriamo ogni giorno; provare ad essere testimoni di Lui, nonostante le paure che tutti ci portiamo dentro, nonostante i dubbi che tante volte attraversano il nostro cuore.
Un cristiano vero non è chi non dubita mai, chi ha vinto ogni paura. È chi al di là di tutto continua a cercare Gesù. E Gesù non ci dice mai: "O si crede o non si crede, una volta per tutte ". Ogni volta ci invita alla sua tavola: Lo ritroveremo anche domenica e domenica ancora. E ancora ci inviterà, come ha fatto con Tommaso, a stendere la mano, a mettere il dito. Soltanto un po' di pane, la sua vita donata, per fare esperienza di Lui, per tentare di credere, per continuare a camminare, tentando anche noi di essere testimoni di Lui. Ha affidato ai discepoli il compito di continuare la sua vita; e lo affida anche a noi, senza stancarsi!
Essere Cristiani è l'avventura di gente come noi: che cerca per le strade del mondo la vita, la giustizia, la resurrezione.
Il Signore ci aiuti!
"Venite a mangiare"... prese il pane e lo diede loro e così 26 aprile 1998
pure il pesce. Poi disse a Pietro: "Pietro, mi vuoi bene?"
..."Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene".
Domenica scorsa era Tommaso ad esprimere la difficoltà di riconoscere il Signore, oggi, come avete ascoltato, son tutti i discepoli.
Perché tanta fatica nel credere nella risurrezione? Perché la prima comunità cristiana sente il bisogno di esprimere attraverso tanti simboli la difficoltà di riconoscere il Signore risorto? Forse anche i primi discepoli erano condizionati dalla mentalità religiosa diffusa nel loro tempo: molti si aspettavano di vedere la manifestazione gloriosa di Dio, Lo attendevano arrivare sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria, forse anche loro si aspettavano di vederLo finalmente trionfante, il volto splendente, sfolgorante di luce, come lo avevano visto là, sul monte della trasfigurazione! Forse si aspettavano di vedere qualche prodigio, qualche fatto straordinario, qualche cosa che mostrasse chiaramente che la storia era finalmente cambiata: che non c'era più la violenza, il male.
E quando Gesù, compare - il suo volto di sempre, le mani callose, la sua semplicità quotidiana - non Lo riconoscono, non riconoscono neppure la sua voce.
Ma come è possibile riconoscere il Signore? Dove si può incontrarLo? I primi cristiani ricorrono ad uno dei grandi simboli del Vangelo.
Li conoscete questi simboli: non ha forse cominciato Gesù la sua missione, secondo il Vangelo di Giovanni, trasformando l'acqua in vino? Non ha annunciato l'Eucarestia moltiplicando il pane? Ed ecco si moltiplicano i pesci: i discepoli han lavorato tutta la notte, non hanno preso nulla. Adesso finalmente, quando vedono il pesce che si moltiplica, il discepolo fedele grida "È il Signore!" E Pietro, che si ritrova nudo, deve coprirsi per buttarsi in acqua e andare da Lui, Gesù!
Gesù si incontra, non là dove sembra di vedere un prodigio, dove si accende una luce, dove accade qualche fatto straordinario: ma dove si moltiplica la vita! Questo vogliono dirci i primi Cristiani.
E non è simile la nostra esperienza? Non siamo anche noi tentati dalla comune mentalità religiosa, così spesso presentata dai moderni mezzi di comunicazione, di cercare il Signore dove c'è un prodigio, dove appare una madonna, dove qualcuno vede una luce, dove qualche santone compie prodigi o dove si mostra un lenzuolo prodigioso che forse ha avvolto il corpo del Signore? Grandi folle, che la televisione indugia a mostrarci, corrono a Torino per vedere la Sindone o sui luoghi di P. Pio sperando magari di assistere ad un prodigio, a Civitavecchia sperando di vedere una lacrima dalla statua di Maria.
E rischiamo ancora di non riconoscere il Signore risorto, di non andare a cercarLo là dove veramente si manifesta: dove la vita si moltiplica. Se volete un segno di Dio, guardate intorno a voi: dove spunta un sorriso, dove una persona viene consolata, dove c'è uno che tende la mano, dove un povero viene saziato, dove cresce un po' di giustizia, dove si moltiplica la vita... là si manifesta il Signore risorto!
Per questo i discepoli, che forse si aspettavano qualcosa di prodigioso, fanno fatica a riconoscerLo. E Gesù, con pazienza, fa quello che fa con noi questa sera: prende il pane, lo spezza e lo dà loro: "Venite, prendete. Venite, mangiate". In questo gesto - in questo gesto che esprime la vita condivisa, la mano che si tende, la gratuità - possiamo incontrare e riconoscere il Signore!
E i discepoli - avete ascoltato - sono imbarazzati, non riescono ad avvicinarsi: "nessuno osava domandargli: "Chi sei?" e Gesù deve avvicinarsi e condividere il pane.
Ed ora, un attimo, fermatevi a guardare gli occhi di Pietro. È la seconda volta che Gesù gli dice: "Vieni e mangia" e gli porge un pezzo di pane. È la seconda volta; ma tra quelle due volte, Pietro Lo ha rinnegato tre volte! Non notate l'imbarazzo e forse la paura nell'avvicinarsi a Gesù? Guardate i suoi occhi: forse manifestano lo sgomento. Forse, chi sa? si aspetta un rimprovero da Gesù o addirittura di essere cacciato?
-"Pietro, mi vuoi bene?" -"Sì, Signore, tu lo sai ... - "Pietro, mi vuoi bene?" -"Certo, Signore, tu lo sai ... - "Pietro, mi vuoi bene?" E Pietro si spaventa un po': "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene". Così risponde Gesù alla triplice negazione di Pietro.
Dopo duemila anni c'è forse ancora tra noi qualcuno che si porta nel cuore un peso e gli sembra che gli impedisca di avvicinarsi a Gesù; c'è forse ancora qualcuno che pensa di non poter fare la comunione: guardi gli occhi di Pietro, ascolti l'invito di Gesù!
Ecco dove possiamo incontrare Gesù: qui nel pane che Lui spezza ancora per noi, nella sua vita che si dona, nel suo invito a dirgli, al di là di ogni nostro limite, il nostro amore. E possiamo incontrarlo là, nella vita di ogni giorno, dovunque la vita si moltiplica.
E se noi riuscissimo, anche per un momento, a moltiplicare la vita, se noi riuscissimo ad asciugare una lacrima, a strappare un sorriso, a tendere la mano, là veramente faremmo esperienza del Signore risorto! Là Gesù sarebbe vivo nel nostro cuore e nel cuore di chi abbiamo incontrato nel momento in cui abbiamo teso la nostra mano. I discepoli fanno fatica, la facciamo anche noi. Ma credere nella resurrezione significa riconoscere Gesù nel pane che spezziamo, nel perdono che ci dona - a tutti -; significa tentare almeno un po' di moltiplicare la vita!
Il Signore ci aiuti!
Gesù disse: "Le mie pecore ascoltano la mia 3 maggio 1998
voce e io le conosco ed esse mi seguono".
Vedete questo curioso cartellone che c'è qui alle mie spalle? un campo di calcio, le immagini dei bimbi che dovranno fare la prima Comunione, e scritto sopra: "Gesù, giochiamo con Te la partita della vita".
Cos'è successo qua? È successo che le nostre catechiste ed il gruppo dei genitori che dovevano preparare la Messa per la prima Comunione dei loro bambini, si sono confrontati con questa pagina del Vangelo: Gesù è il Pastore, i nostri figli sono le pecore. I bambini non sanno niente di pastori e di pecore; quasi non hanno mai visto le pecore e non sanno che il pastore può conoscere le pecore una ad una e le pecore ne ascoltano la voce. Sanno forse - l'hanno letto sui libri di storia - che al tempo di Gesù l'immagine del pastore era particolarmente viva nell'esperienza della gente, allora vivevano quasi tutti in mezzo alle pecore.
Ma ai nostri ragazzi questa immagine non dice più niente: non può esprimere il rapporto che possono avere con Gesù. E allora, come si può sostituire? Pensa e ripensa: son tutti maschietti in questo gruppo di catechismo, sono undici! Hanno detto: "Siamo una squadra! Gesù non è il pastore ma l'allenatore; e se vogliamo vincere la partita dobbiamo ascoltare la voce dell'allenatore! È lui che ci insegna la tattica, quello che è giusto fare. E se vogliamo veramente vincere la partita della vita, se vogliamo che la nostra vita sia bella, dobbiamo ascoltare la voce di Gesù!".
Vi sembra giusto? Vedo che siete d'accordo, ma il problema è più complicato. Perché non si tratta solo di immagini lontane da noi: si tratta, a volte, di concetti, di idee che non fanno più parte della nostra vita. Voi avete ascoltato nella prima lettura che abbiamo fatto oggi - una lettura fra l'altro particolarmente bella - l'immagine dell'Agnello immolato: l'Agnello che offre il suo sangue e i Giusti sono "coloro che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell'Agnello".
Ma tutto questo non è soltanto parte di immagini lontane da noi; ma sono idee, è un modo di concepire Dio, che non ci appartiene più: noi non possiamo più pensare a Gesù come ad una vittima sacrificale; non possiamo più pensare al suo sangue come sangue che "lava" le vesti, che purifica il peccato degli uomini. E di questi problemi i credenti di oggi ne hanno molti: i nostri catechisti, le nostre catechiste ne incontrano ogni giorno. Si trovano davanti a dei modi di pensare, dei modi di vedere Dio, che allontanano la religione dalla vita della gente.
Vi faccio un esempio: molti di noi - siamo in parecchi con i capelli bianchi, ormai - siamo abituati a dire: "non si muove foglia che Dio non voglia". Molte nonne raccomandano ai loro nipoti di rivolgersi a Dio, perché Lui può proteggere la loro vita, può disporre le cose che accadono in modo favorevole. Non siamo forse un po' tutti noi abituati a rivolgerci a Dio perché ce la mandi buona? perché non ci succedano guai?... Ma poi i guai succedono.
Vedete, tutto questo costituisce un grosso problema, per la fede dei nostri ragazzi: l'idea che abbiamo di Dio, i modi con cui a volte parliamo di Gesù, i modi con cui a volte presentiamo la fede, impedisce agli uomini d'oggi di credere. L'idea di un Dio provvidente, che regola i fatti della vita, che può influire su uomini e cose, che è la causa di ciò che accade, è ormai estranea alla mentalità di molte persone. E vedete, è un problema di tutti noi: non possiamo pensare che lo risolvano i preti o i vescovi o il papa: le autorità della Chiesa - come accade in tutte le religioni - sono legate alla tradizione, tendono a considerare "sacre", e quindi intoccabili, parole, formule, idee. Dobbiamo sforzarci non soltanto di cambiare delle immagini e mettere qui un campo di calcio, di sostituire il pastore con l'allenatore. Dobbiamo cercare nel Vangelo, nelle antiche parole della fede, cosa è essenziale, cosa è importante per la nostra vita di tutti i giorni.
Noi ci affacciamo alla soglia del terzo millennio; gli uomini che vivranno dal 2001 in poi potranno ancora credere in Dio e in Gesù? In parte dipende anche dal modo con cui ne parliamo noi, da come noi viviamo la nostra fede, dallo sforzo che abbiamo fatto di conservare l'essenziale della nostra tradizione. Se la fede è fatta di parole ripetute stancamente, di immagini e concetti lontani dalla vita, di riti vuoti... non dice più niente alla gente di oggi, ai nostri ragazzi che crescono.
Lo sforzo che hanno fatto queste catechiste - che vi vedeva concordi - è uno sforzo che dobbiamo tentare di fare tutti: ripensare le parole del Vangelo, cogliere le cose essenziali e tentare di ridirle, perché siano significative nella nostra vita e nella vita di chi ci cresce intorno.
Non è semplice... Il Signore ci aiuti!
"Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri". 10 maggio 1998
"Quando Giuda fu uscito dal cenacolo...": basta questo rapido accenno per evocare il dramma del male che c'è nel mondo. Come tutti sapete, nel Vangelo, Giuda è il simbolo del tradimento, della violenza, che genera lutto, affanno, morte, disperazione. Anche oggi la Televisione, la radio, i giornali, ci riversano negli occhi immagini spesso cariche di violenza, di lutto, di pianto. I primi Cristiani vivevano in un mondo molto più violento e crudele del nostro e - come avete ascoltato dalle luminose immagini dell'Apocalisse che abbiamo letto stasera - si portano un sogno nel cuore: il sogno di una terra nuova, in cui ci sia veramente la liberazione dal lutto, dall'affanno e da tutto quello che lo genera: dalla violenza, dal male. Si tratta di un sogno, di un'illusione o è una speranza, una promessa?
Ed ecco le parole di Gesù: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi".
La nostra educazione ci porta e vedere in queste parole, per prima cosa, un comandamento, una legge, e spesso impossibile a viversi in un mondo così!
Eppure il cuore delle parole di Gesù è: "Come io vi ho amato". Il sogno dei primi Cristiani - il sogno di un mondo nuovo, senza violenza, senza affanno, senza lutto - diventa una promessa per la presenza di Gesù nella nostra vita: Dio è venuto a condividere la nostra vita, a rendere credibile e possibile l'amore. È stato fedele alla nostra vita, fino in fondo: ha saputo donare se stesso! Ha amato anche di fronte alla violenza: si è chinato a lavare i piedi ai suoi, nel momento in cui Giuda Lo tradiva. Ci ha lasciato il segno di un pane spezzato: della vita che si dona, della vita che si moltiplica!
E noi stiamo qui intorno alla tavola a far memoria di Lui! Fratelli, sarebbe bello che nessuno di noi uscisse da quella porta, stasera, portandosi nel cuore il peso di un "comandamento" del Signore: quasi una legge impossibile da vivere ogni giorno. Gesù è venuto in mezzo a noi proprio per dirci: "È possibile!".
E non è possibile solo a Gesù! Pensate stasera, un momento, a quanti vi hanno amati. Se siete qui - chi non ha mai fatto esperienza di amore quasi certamente non può essere qui, dove si celebra l'amore - se siete qui è perché molta gente vi ha voluto bene fin da quando eravate bambini. Ricordate tutti i gesti di tenerezza, tutti i gesti di affetto, tutti i gesti di amore, quei gesti che non fanno storia: le carezze di vostra mamma, la tenerezza del vostro papà, le amicizie che avete incontrato nella vita; certamente la TV non ne parlerà mai, non finiranno mai sul giornale: sono le cose normali della vita, ma son proprio queste che la rendono bella, degna di essere vissuta.
Tanta gente ci ha voluto bene, tanta gente ha riempito la nostra vita di tenerezza, di affetto, di amicizia! Tanta gente ci ha permesso di vivere ogni giorno: con il suo sorriso, con le sue carezze, con il suo amore.
Allora non usciamo da quella porta dicendo: "Devo amare, in un mondo pieno di violenza"; ma: "Ho ricevuto amore, ne ho fatto esperienza; perché non tento anch'io di moltiplicarlo?".
La vita si moltiplica quando crediamo che l'amore è possibile: qui intorno alla tavola, mentre spezziamo il pane, mentre ci scambiamo il gesto di pace e facciamo "memoria di Gesù": della sua fedeltà, della sua gratuità, del suo amore. Ma conviene anche che facciamo memoria di tutti i gesti di amore che hanno accompagnato la nostra vita! Allora sarà possibile anche a noi farne qualcuno.
Il Signore ci aiuti!
"... lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi 17 maggio 1998
insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto".
Sapete cosa c'è in questi fogli? Una lettera che ho ricevuto soltanto un paio di giorni fa, per posta elettronica: una di quelle diavolerie del mondo moderno che permettono di spedire in 30 secondi una lettera, un documento, da una parte all'altra del pianeta. Questo ci dà la sensazione di come cambi rapidamente il mondo. E cambiano i problemi; anche i problemi religiosi. In questi fogli c'è una lettera aperta che alcuni gruppi di cristiani scrivono ai vescovi ed anche al popolo cristiano (è per questo che ve ne parlo: è rivolta anche a voi). Qui si affronta un problema importante; forse meno importante di quello che, come avete ascoltato, si affrontava nella prima comunità cristiana. Lì era in gioco addirittura l'essere fedeli alla tradizione di Mosè, alla circoncisione, alla legge.
Questi problemi si pongono inevitabilmente quando il mondo cambia. Il Cristianesimo nato nel piccolo paese della Palestina, in una tradizione molto forte come quella ebraica, affrontava il grande mondo dell'impero di Roma, la grande cultura greca. E si poneva il problema, importantissimo per il futuro della fede: che cosa è essenziale nella parola di Gesù? e che cosa invece possiamo trascurare? E voi lo capite: in questi casi c'è sempre chi dice "Bisogna stare alla tradizione. Non cambiate niente!"; chi invece dice: "Ma se non si cambia si perde l'essenziale!"; e per fortuna c'è chi ricorda la promessa di Gesù (l'abbiamo ascoltato anche nel Vangelo di oggi) di donarci lo Spirito, che ci avrebbe fatto capire dove era giusto andare: ci avrebbe portato alla Verità tutta intera.
Il problema che si pone in questa lettera è un problema importante, perché riguarda il ruolo dei laici e il ruolo dei preti all'interno della Chiesa. Forse anche voi vi siete accorti che i preti vanno diminuendo sempre di più. E non è solo questione di numero... Qual è oggi, quale sarà nel prossimo millennio il ruolo del prete, il suo compito? Qual è il ruolo dei laici? che cosa possono fare o non possono fare? I preti dovranno essere sempre così, come sono stati negli ultimi mille anni? Si possono sposare? non si possono sposare? Et cetera ...
Son tutti problemi che vanno affrontati con la serenità con cui li affrontavano (l'avete ascoltato) i primi Cristiani: si discute, magari si litiga... e poi si cerca di capire che cosa è veramente essenziale: che cosa giova a diffondere il Vangelo di Gesù nel mondo di oggi e di domani.
Oggi forse è tutto più difficile che ai tempi degli apostoli: pesano duemila anni di tradizione, la struttura della Chiesa è infinitamente più complessa, eppure occorre che riflettiamo su questi problemi, è bene che nei limiti del possibile facciamo sentire la nostra opinione anche a chi deve prendere delle decisioni in questi campi. È in gioco l'esercizio dell'autorità e del potere all'interno della Chiesa!
E le cose, in un mondo che cambia vorticosamente, non possono andare avanti come sono andate avanti fino ad ieri: bisogna cambiare. E cambiare tante cose! Chi sa se lo Spirito Santo ci darà la saggezza di farlo, con il contributo di tutti! Quando vi capita di ascoltare questi problemi, non girate la pagina del giornale o la manopola della TV, pensando che queste cose riguardano altri. In Italia purtroppo si parla poco di queste cose, ma forse è bene che sappiate che in altre parti del mondo se ne parla con passione e forse si prepara la Chiesa del domani. Non dobbiamo aver paura, perché lo Spirito è donato anche a noi! E quindi darà, alla Chiesa di domani, un po' di luce. Ma dobbiamo cercare di ascoltarLo un po' tutti.
Il Signore ci aiuti!
"...Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? 24 maggio 1998
Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà..."
A questo grande simbolo è affidata la fine del cammino di Gesù in mezzo a noi e l'inizio della storia dei suoi discepoli. Si tratta, è chiaro, di un simbolo; ma fermatevi ad immaginare, guardate anche voi un momento, con gli occhi della fantasia, Gesù che sale verso l'alto, questi discepoli che sono lì a guardare imbambolati...
E arrivano due angeli a dire: "Che state a fare qui? Andate! È tempo di correre, di portare il suo annunzio, a tutto il mondo. Lui ritornerà! Preparate la sua venuta, testimoniate la sua vita!".
Vedete: un simbolo che esprime la tensione verso il futuro, l'attesa del ritorno di Gesù, il cammino verso un mondo più giusto. E non poteva che essere così. Perché nella radice della nostra fede c'è il "sogno" di Dio, che tenta di mettere, nelle nostre strutture religiose, l'attesa del futuro, il cammino verso una vita sempre più piena! la voglia di andare avanti, il desiderio di trasformare il mondo!
Dico "il sogno di Dio dentro le nostre strutture religiose" perché, se ci pensate un momento, al contrario la struttura religiosa in ogni angolo della terra è volta a conservare il passato, a mantenere le tradizioni, a rendere "sacre" le cose passate. Non è forse vero che in ogni angolo della terra uno dei momenti forti della religione è il culto dei morti, il ricordo del passato?
La nostra religione - e non per niente la tradizione ebraica, almeno la più antica, non dà importanza al culto dei morti - è invece tutta volta al futuro. La religione di cui tutti noi facciamo parte nasce dall'intuizione che Dio si incontra e si conosce quando chiama il popolo di Israele fuori dalla terra d'Egitto, verso una terra promessa, verso il futuro. Nel passato c'è la negatività, la schiavitù; nel futuro la liberazione: una terra in cui scorra, finalmente, il latte e il miele!
E la storia del popolo d'Israele, non è spesso segnata dall'attesa di Qualcuno, del Messia che viene? Non abbiamo ripetuto anche noi tante volte, preparando il Natale, i canti dei profeti che aspettano "Colui che viene"?
E allora, come potremmo meravigliarci che la fine del cammino storico di Gesù sia ancora proiettata verso il futuro? L'inizio della storia dei discepoli non può essere che un invito a non fermarsi a ricordare il passato; a camminare incontro al Signore che viene, a preparare il Suo Regno, a testimoniare la Sua vita!
Se è vero che questo è il sogno di Dio, quanto è penoso che i nostri giovani (forse un po' per colpa nostra) sentano la fede, la memoria di Gesù, come cosa del passato, legata alle tradizioni, alle cose che non si muovono, che non cambiano mai! È vero: qualche volta la struttura della Chiesa, quello che sentiamo alla TV sulla religione, non ci aiutano a proiettarci verso il futuro: ci legano di più al passato, al ricordo di certe figure quasi magiche; si soffermano su tradizioni antiche, sembrano negare ogni progresso, ogni slancio verso il futuro. Molti giovani hanno l'impressione che essere cristiani non permetta di cercare il futuro, di andare avanti, di sperare nel domani. E, se ho capito qualche cosa, questo è la negazione stessa della nostra fede!
Lo Spirito di Dio ci è promesso proprio per proiettarci verso il ritorno di Gesù, per aspettare la sua venuta, per tentare di costruire il Suo Regno, per non contentarci di quello che è stato, di quello che siamo. Il mondo che sogniamo è il mondo in cui Gesù sarà il Signore: il mondo che raggiungerà la sua dimensione, la dimensione della sua gratuità, della sua giustizia, della sua pace!
Chi sa che lo Spirito - che siamo invitati ad invocare oggi e domenica prossima - non dia a tutti noi la voglia di sperare, il coraggio di cercare, di aspettare il Signore, di essere testimoni di Lui!
Il Signore ci aiuti!
Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si 31 maggio 1998
abbatte gagliardo... Apparvero loro lingue come di fuoco che si
dividevano e si posarono su ciascuno di loro: ed essi furono tutti
pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue.
Fermiamoci un momento sulla prima lettura che abbiamo ascoltato: chi ha scritto quella pagina deve aver fatto una esperienza straordinaria, se è capace di esprimerla attraverso tutti questi simboli - credo che tutti voi siate convinti che non abbiamo ascoltato una "storia", ma un racconto simbolico, in cui i primi Cristiani tentano di raccontare la loro esperienza: un'esperienza profonda, che li ha riempiti di entusiasmo. Tentiamo di ripercorrere questa esperienza.
I primi discepoli - lo sapete - erano tutti Galilei: qualcuno faceva il pescatore, qualcuno il pastore. Un piccolo mondo, il mondo che ritroviamo nel Vangelo, fatto di piccoli paesi, di pastori, di pecore, di barche, di esattori delle tasse, con le antiche tradizioni, con i riti di sempre, i sacerdoti, il tempio.
E questa gente ha dovuto, ad un certo punto, affrontare il grande mondo: il mondo della grande cultura greca, dell'arte, un'arte straordinaria; il mondo della filosofia: di un pensiero che aveva raggiunto vette altissime. Ha dovuto affrontare il grande mondo di Roma: un mondo fatto di commerci, di traffici; un mondo straordinariamente complesso: un mondo in cui il potere, il denaro, erano al primo posto.
Ed era anche un mondo carico di violenza, in cui c'era la schiavitù: nel bacino del Mediterraneo i due terzi degli uomini erano schiavi, dovunque si doveva fare i conti con la forza delle legioni romane. La schiavitù nel piccolo mondo di Israele, nei piccoli paesi in cui questa gente era nata, era quasi sconosciuta. Era una vita difficile, la loro, ma una vita tranquilla, semplice: in cui non c'era un'eccessiva violenza, non c'era grande cultura, in cui il linguaggio era quello che si parlava tanto tempo prima; i riti, le tradizioni, quelli di sempre.
Questa gente ha dovuto affrontare il grande mondo. E lo ha affrontato con sgomento, con paura. Ha dovuto affrontare il mare! Se leggete la Bibbia, vedrete che il mare per un ebreo è sempre stato il luogo del terrore, il luogo dei grandi mostri! Hanno attraversato il mare, hanno affrontato il mondo. E lì si sono accorti che sentivano dentro di sé come un vento che li spingeva verso la libertà: potevano lasciare il vecchio mondo, le loro antiche tradizioni, i loro vecchi riti e portarsi dietro l'essenziale dell'incontro con Gesù!
Sentivano che là - in quel mondo così carico di violenza - loro avevano una luce da portare. Sentivano che i valori di Gesù non era ostili alla grande cultura, alla grande arte, anzi li mettevano in grado di assorbire tutto quello che c'era di buono e potevano comunicare in una lingua nuova quel fuoco che sentivano nel cuore, quella luce che avevano dentro. Ecco i simboli: i simboli che abbiamo ascoltato: un vento impetuoso che spalanca le porte, che rende liberi, un fuoco che riscalda, una luce che illumina! E le tante lingue, tanta gente, che ritrova un linguaggio comune, le parole essenziali!
Fratelli, noi viviamo un momento del genere. La Chiesa sta vivendo un momento simile. E ancora riproviamo l'antica paura, lo sgomento che deve aver provato questa gente. Ci darà ancora lo Spirito la forza di fare un'esperienza ricca, entusiasmante? La darà soprattutto ai nostri ragazzi, alla gente che ci cresce intorno? Noi viviamo un momento in cui molti nella Chiesa sembrano aver paura delle parole nuove, della scienza, dei numeri, delle cose che cambiano, della complessità del mondo; sembra a molti che non ci sia altro modo - per rispondere alla violenza e alla confusione del mondo - che rinchiudersi nel proprio guscio, rifugiarsi nella retorica di parole vuote!
Saremo capaci di trovare le cose essenziali del messaggio che Gesù ci ha lasciato? Lo Spirito di Dio sarà ancora, per noi, luce, fuoco che riscalda, vento che ci fa liberi? Credere non è ripetere le vecchie formule, rimanere attaccati a vecchi riti, ad antiche tradizioni. Credere è portare nella cultura di oggi, nel mondo di oggi, nella complessità e nella vastità di questo mondo, i valori essenziali. Credere è ancora portare luce; è ancora portare calore, capacità di comunicare con gli uomini, nelle loro lingue, che oggi cambiano così rapidamente.
Oggi sentiamo parlare di cose lontane: dell'India, del Pakistan, delle bombe che si fanno scoppiare sottoterra; sentiamo parlare di bambini costretti a lavorare anche per noi. Ma anche di scoperte straordinarie, di un mondo che si fa sempre più capace di ricerca e di studio, sempre più ricco di cultura, di scienza e di tecniche, ricco di capacità di trasformare il mondo e di renderlo più bello!
Saremo capaci di non rimanere attaccati ai vecchi schemi, alla vecchia cultura? Se voi aprite il catechismo, c'è ancora il linguaggio che parlava S.Tommaso nel 1200... Non è possibile: il mondo di oggi parla un'altra lingua, ha un'altra filosofia, ha un'altra scienza; è infinitamente più complesso. Sapremo ancora aprirci allo Spirito, accogliere il Suo soffio? Ci farà ancora liberi, capaci di comunicare luce e calore? Fede non è ripetere le antiche parole di S.Tommaso, ma cogliere l'essenziale del messaggio di Gesù "dentro" il mondo di oggi. Pregare non è rinchiudersi nei piccoli bisogni di ogni giorno, ma invocare lo Spirito, perché sia ancora per noi, per la nostra Chiesa, un fuoco che dà vita, un calore che riscalda, una luce che illumina!
InvochiamoLo con fede, stasera: per noi, ma soprattutto - molti di noi hanno ormai i capelli bianchi - per i nostri ragazzi che si ritroveranno qui stasera ad invocare lo Spirito. Verso le 9 ricordatevi di loro: invocate lo Spirito per loro! invocateLo con tutto il calore del vostro cuore. Ne hanno bisogno! ne hanno bisogno perché la Chiesa continui ad essere viva, continui ad essere una luce, un fuoco per la gente che ci sta intorno, per i ragazzi che crescono: perché lo Spirito illumini il loro cuore, lo riscaldi e dia il coraggio ancora di credere e di sperare!
Il Signore ci aiuti!
"Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera". 7 giugno 1998
A molti di voi è capitato di rimanere perplessi nel sentir porre questa domanda: "Qual è il nome di Dio? Lo conosci?"; e molti di voi hanno ascoltato con sorpresa la risposta: "È GEOVA, il nome di Dio". Strano destino di questa parola: è frutto dell'unione tra le consonanti di una parola e le vocali di un'altra. Perché questa strana storia? Perché, vedete, gli Ebrei quando leggevano la Scrittura, arrivati al nome santissimo di Dio, non lo pronunziavano: pronunziavano un'altra parola; e nei loro libri c'erano le vocali dell'altra parola.
La fede di cui noi siamo figli intuisce che il nome di Dio è meglio non pronunziarlo. Se leggete la Bibbia vi accorgerete che tra i dieci comandamenti, quello su cui più si insiste è proprio il secondo: "non nominare il nome di Dio invano", si dice che di Dio non bisogna fare nessuna immagine, nessuna rappresentazione, nessuna figura, è bene anche non usare molte parole. E gli Ebrei hanno preso talmente sul serio questo comandamento, che non pronunziavano mai il nome di Dio!
Ma poi la nostra fede è uscita dal mondo ebraico, si è incontrata col grande mondo dell'Oriente: un mondo affascinato dalle immagini ed anche dalle parole, dalle grandi costruzioni intellettuali. Ed ecco che abbiamo rappresentato Dio con molte immagini, - spero che molti di voi abbiano negli occhi le splendide immagini che rappresentano anche la SS. Trinità nella tradizione della pittura italiana; se volete, pensate soltanto a Masaccio...
E non soltanto immagini, ma anche costruzioni straordinarie di pensiero: non so quanto voi le conosciate; ne avete un'eco, però, nel "credo" che abitualmente si recita nella Messa: "Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre". Tutto questo è frutto della mentalità bizantina: è nato nell'Oriente, a Nicea, a Costantinopoli. E poi si è approfondito, questo parlare di Dio, con costruzioni intellettuali sempre più complesse.
Molti di voi ricordano i tentativi delle buone suore o dei sacerdoti che ci hanno fatto il catechismo, di spiegarci la SS. Trinità con un triangolo, un trifoglio... ricordate?
E poi ci siamo accorti - e spero che ve ne siate accorti tutti - che dietro il comandamento antico c'era qualcosa di molto importante: noi siamo diventati più attenti alla storia e abbiamo notato con sorpresa che, per esempio, Gesù è stato messo in croce "in nome di Dio": chi Lo ha messo in croce credeva di fare cosa gradita al Signore! E poi, sempre "in nome di Dio", hanno bruciato parecchia gente sul rogo; hanno condannato persone innocenti! Ci siamo accorti che molti dei poteri di questo mondo, anche i più feroci, tenevano nel passato - e in parte tengono anche oggi - ad avere la legittimazione, la benedizione, il riconoscimento di Dio: sulle cinture delle SS era scritto "GOTT MIT UNS!": Dio è con noi... Accaparrare Dio! farLo a propria immagine e somiglianza!
Forse per noi è venuto il momento di tornare alle origini: di metterci la mano sulla bocca quando tentiamo di pronunziare il nome di Dio. Nessuno di noi sa, in fondo, Chi sia Dio, nessuno può appropriarsi del suo nome, nessuno può dire: "Dio è con me"! Se oggi vogliamo ancora parlare di Dio - specialmente ai nostri ragazzi, alla gente che vedrà la luce nel millennio futuro - ne dobbiamo parlare con il senso del Mistero! Tentando di scoprire le tracce di ciò che è al di là delle cose che appaiono, cercando di trovare il senso profondo della realtà, lo stupore di fronte alla bellezza della natura, e della vita! Dobbiamo tentare di scoprire l'immagine di Dio in noi, non di fare Dio a nostra immagine, non di costruirLo come ci fa comodo, non di pensarLo come la risoluzione dei tanti problemi che noi non riusciamo a risolvere.
Dio, in fondo, è la Verità sempre cercata e mai posseduta! È il desiderio di Luce che noi continuamente ci portiamo dentro! È la realtà al di là di ogni realtà, il senso ultimo, la gratuità, la libertà, al di là di ogni parola, di ogni immagine! Lo incontriamo nello stupore, nella meraviglia per la vita, nella ricerca, nel cammino!
Chissà che lo Spirito Santo non ci faccia capaci di parlare sempre meno di Dio con la convinzione di sapere cosa vuole o non vuole, da che parte sta o non sta: ma ci dia di cercarLo con cuore sincero: di cercare in Lui l'intima verità della nostra esistenza, della nostra vita.
Il Signore ci aiuti!
Allora Gesù prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi 14 giugno 1998
al cielo, li benedisse, li spezzò... Tutti mangiarono e si saziarono.
Erano strani, a volte, i Cristiani dei secoli passati, che hanno sentito l'esigenza di fare una festa speciale per l'Eucarestia. Significa che non capivano più gran che di questo segno, che Gesù ha lasciato nel cuore della nostra vita e della nostra fede. Ma se volete seguirmi in qualche considerazione (che non so se condividete) forse ci accorgiamo di esserlo anche noi.
Cercando qua e là nei programmi TV, in questi giorni, qualche riflesso della vita cristiana, mi capitava di vedere il grande apparato per l'ostensione della Sindone: grandi folle, partecipazione di tutti i personaggi della vita della Chiesa, grande spiegamento di mezzi anche tecnologici. Chi c'è stato mi riferisce che la cosa è organizzata in maniera quasi perfetta: tutto si svolge con ordine ed efficienza. E mi domando: ma non c'è qui la presenza viva del Signore, ogni domenica? Là c'è un velo che forse ha avvolto il Suo corpo: ma QUI C'È LUI! E quale attenzione si dà, nella Chiesa di oggi, a quello che facciamo qui ogni domenica? Vi è capitato di andare alla Messa in qualche altra chiesa o di venire anche qui: e avrete notato a volte una mancanza di attenzione, di fantasia, di inventiva nel celebrare la presenza di Lui.
O se volete un altro esempio: domenica scorsa veniva il Papa ad Ostia. Grande fibrillazione del popolo cristiano: anche gente che non va mai in Chiesa era là presente, in gran numero; e la partecipazione delle autorità e la TV e la Radio e quant'altro. Ma QUI C'È GESÙ! Ogni domenica! O non ci crediamo? Lui, il Signore, si fa pane per noi! altro che Papa... no? Siamo strani...
Nelle Domeniche passate abbiamo celebrato la prima Comunione: grande apparato di fotografi, telecamere, riprese, vestiti; molti a tutto questo erano attenti. Ma QUI C'È IL SIGNORE CHE SI FA PANE!
Vedete, in quest'anno abbiamo avuto la fortuna (anche con qualcuno di voi) di approfondire il senso della Messa. E c'è sembrato di intuire che Gesù ci ha lasciato qualche cosa di grande: il segno della sua vita donata, della vita condivisa, il segno - come avete sentito nel Vangelo di oggi - della vita che si moltiplica, quando qualcuno ha il coraggio di metterla in comune!
Abbiamo intuito che qui Gesù ci ha lasciato il suo sogno: un sogno che entra nella nostra quotidianità, nella vita di tutti i giorni: un po' di pane che si spezza, il vino che si condivide: la vita donata! È Dio che voleva entrare nella nostra vita di ogni giorno per portare lì un po' del suo amore, la sua gratuità, la vita condivisa! Nella vita di ogni giorno: senza telecamere, senza apparati straordinari, senza miti, senza immagini! La vita! la vita di ogni giorno!
E ci siamo accorti quanto questo sia difficile. Qui intorno a questa tavola si incontrano - e se volete si scontrano - i sogni di Dio, l'amore di Dio, la gratuità di Dio e la nostra debolezza. Non guardiamo lontano, guardiamo tra di noi (ce lo siamo detto tante volte): quanto della vita di ogni giorno riusciamo a portare qui, la domenica? E quanto di questo segno di Gesù riusciamo a portare nella vita di ogni giorno? Quanto - se ci guardiamo negli occhi - riusciamo ad essere "un cuor solo e un'anima sola"? Quanto c'è tra di noi di gratuità, di amore, di vita condivisa? Quanta attenzione mettiamo nel nostro ritrovarci insieme la domenica? Quanto sforzo di partecipazione c'è tra di noi?
Eppure Gesù, senza stancarsi, continua e continuerà a farsi pane: continuerà ad invitarci a mangiare, a chiederci di far memoria viva di Lui, di portare qualcosa di Lui nella vita di ogni giorno, nel nostro quotidiano; senza anche noi fermarci troppo alle cose che fanno rumore, ai miti, alle immagini, alle folle e agli applausi!...
Quello che conta, per il Signore, è l'amore che riusciamo a mettere nella nostra vita quotidiana. Sono i piccoli, semplici gesti di ogni giorno, in cui si manifesta qualche cosa dell'amore, della gratuità, della libertà di Dio!
Il Signore ci aiuti! perché non è semplice...
"Voi chi dite che io sia?" Pietro rispose: "Il Cristo di Dio". 21 giugno 1998
Vediamo se mi riesce, stasera, di cogliere con un po' di fantasia e di immaginazione l'essenza delle straordinarie parole che abbiamo ascoltato; ed anche - se mi riesce - di farvi un po' sorridere, che fa sempre bene, specialmente con il caldo che comincia a farsi sentire.
Dunque, un volo con la fantasia: indietro di duemila anni, in una comunità di Cristiani che si è formata da poco, per opera di due amici di Paolo. Siamo in Asia minore, lontano da qui; questa sera un gruppetto di persone si riunisce - non come noi in una chiesa così solenne, ma in una semplice casa - intorno ad una tavola per spezzare il pane. Ma questa sera c'è un po' di animazione, perché arriva l'apostolo Paolo: hanno tanto sentito parlare di lui, una persona straordinaria, e finalmente possono conoscerlo e qualcuno prepara delle domande da fare all'apostolo.
Arrivano, si siedono intorno alla tavola: ciascuno ha portato un po' di pane, qualche oliva, qualcosa da condividere insieme. Ecco l'apostolo: i primi saluti...
La prima è una domanda importante per questi che sono Cristiani da poco: "Paolo, secondo te che significa essere Cristiani?". Paolo non esita a rispondere: "Essere Cristiani significa rispondere a questa domanda: Chi è Gesù per me? Vedete, da quando l'ho scoperto, per me, Gesù è stato tutto, ha riempito di luce e di senso la mia vita.
La sua parola mi ha entusiasmato, ho girato il mondo, tentando di testimoniare Lui; perché credere in Gesù per me è diventata la cosa più importante. Per Lui ho donato la mia vita, per Lui non ho più pensato ad altro, per Lui ho corso per il mondo!"
E un altro Cristiano domanda: "Paolo, ma che t'ha dato il credere in Gesù?" Paolo si ferma un momento: non gli hanno fatto spesso questa domanda. Non ha mai pensato a chiedersi a cosa servisse credere in Gesù, cosa gli avesse dato la fede: è sempre stato per lui un fatto di gratuità, gli è sembrato quasi di avere un fuoco dentro, da quando ha scoperto Gesù! E adesso si ferma un momento: "cosa m'ha dato il credere in Gesù?" Poi, quasi di getto: "La libertà! Sì, io quando ero giovane ho studiato molto: ero un ebreo fervente; credevo che gli Ebrei avessero la salvezza e tutti gli altri fossero lontani da Dio, credevo profondamente nella Legge, nella Tradizione. Gesù mi ha liberato da tutto questo: mi ha fatto cittadino del mondo, fratello di ogni uomo! Vedi, adesso lo so, lo sento: Lui me l'ha messo nel cuore: non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna! Siamo tutti uguali, siamo tutti una cosa sola, liberi della libertà che Cristo ci ha donato!".
E continuano a parlare e Paolo si infervora sempre di più: parla di questa libertà, parla di tutti i valori che Gesù gli ha messo nel cuore!
Ed ecco, c'è da una parte un uomo, guarda Paolo con occhio attento: sembra preoccupato. Onesimo si chiama - avete mai sentito il suo nome? - e dopo un po' dice: "Paolo, io ero schiavo; anch'io ho creduto di sentire un appello alla libertà e son fuggito! Ho lasciato il mio padrone, Filemone; era un padrone severo!" Paolo lo guarda: "No! non puoi fuggire, devi tornare! Tu sei schiavo ed è giusto che faccia lo schiavo". Onesimo lo guarda un po' perplesso; gli altri Cristiani assentono: è giusto, uno che è schiavo, per liberarsi, deve pagare, non può fuggire. Se fugge, è condannato a morte. E Paolo insiste, ma poi aggiunge: "Però scriverò io a Filemone, anche lui è diventato cristiano, cercherò di dirgli che ti tratti bene. Tu, intanto, se vuoi essere fedele al Signore, torna; torna a fare lo schiavo".
C'è lì accanto una donna che comincia ad agitarsi: è la mamma di Onesimo; e dice: "No, Paolo, Onesimo è fuggito; perché vuoi che ritorni schiavo? Non hai detto che Gesù ci ha fatti liberi? Non hai detto tu che non c'è più schiavo né libero?" - "Sì, non c'è più schiavo né libero. Ma lo schiavo deve rimanere schiavo e il libero deve rimanere libero! E poi, tu perché parli qui? Tu sei una donna: non v'hanno detto che le donne devono stare zitte in chiesa? Che parlino a casa con i loro mariti e obbediscano! E poi, perché in questa comunità non portate, nessuna, il velo sulla testa?" Lo guardano un po' perplessi: "Come, il velo sulla testa? Qui non si usa". -"Ma da noi si usa! E la legge è che tutte portino il velo sulla testa, in chiesa". È un po' stanco, povero Paolo... E una donna gli domanda: "Ma perché dobbiamo portare il velo?" - "Perché altrimenti gli angeli si scandalizzano!"... Si scandalizzano gli angeli?!... In un angolo, un ragazzo non sa se arrabbiarsi o sorridere...
E voi, che fate: vi arrabbiate o sorridete? Vedete, noi per fortuna - almeno nella legge - non abbiamo più schiavi: siamo - di diritto, almeno - tutti liberi. E qui vedo che nessuna donna, o quasi nessuna, ha il velo sulla testa. E penso che nessuno di noi immagini schiere di angeli scandalizzati, che se ne fuggono dalla nostra chiesa, perché non avete il velo sulla testa... Forse vi conviene sorridere dell'apostolo.
È sempre importante sorridere, nella vita; soprattutto quando si può sorridere di un grand'uomo come Paolo! Ma poi, quando avete finito di sorridere, rendetevi conto di quanto sia difficile, agli uomini, tradurre nel concreto della vita le intuizioni della fede. Cosa significa oggi essere discepoli di Gesù? Cosa significa che tra noi non dovrebbero esserci più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna? Quante differenze ci sono ancora oggi, nella Chiesa, tra uomini e donne, tra preti e laici? Quanto è difficile capire - specialmente nei confronti dei ragazzi che crescono - che cosa è giusto e che cosa non è giusto? Oggi molti dei nostri ragazzi vanno a vivere insieme, senza essere sposati: è giusto? non è giusto? la libertà dove arriva? Non è semplice...
Non è semplice per nessuno. Non lo era nemmeno per quel genio che era Paolo: che ha potuto scrivere parole così grandi, eppure diceva ad Onesimo che doveva rimanere schiavo! E diceva alle donne che era meglio che non parlassero in chiesa! e che era giusto che si mettessero il velo sulla testa! altrimenti... gli angeli si scandalizzano!
Quando sentite le sciocchezze che dico io, quando sentite quelle che dicono i vescovi, o le sciocchezze che qualche volta dice il Papa... non vi meravigliate, non vi arrabbiate: sciocchezze ne ha dette l'apostolo! Voi sorridete! e continuate a cercare! Perché essere Cristiani non è semplice.
Il Signore ci aiuti!
..." vuoi che scenda un fuoco dal cielo?"... 28 giugno 1998
"Il Figlio dell'Uomo non ha dove posare il capo"
"Nessuno che poi si volge indietro è adatto al Regno di Dio"
Qualche settimana fa mi capitava di andare in casa di una mia sorella; ho trovato su una mensola, vicino all'ingresso, 4 copie del Vangelo. Ho domandato con un po' di meraviglia: "Come mai queste 4 copie del Vangelo?" - "Sono venuti dalla parrocchia vicina ed hanno consegnato il Vangelo" - "Ma perché 4 copie?" - "Abbiamo detto che ne bastava uno; ma hanno chiesto: "Quanti siete in questa casa?" - "Quattro"; e ci hanno dato 4 copie del Vangelo". Evidentemente, zelanti, pensavano che fosse bene che ogni persona avesse la sua copia del Vangelo...
Qualche giorno fa, invece, qui in parrocchia, parlavo con un signore che sosteneva che il Vangelo va letto così com'è: senza aggiunte, senza commenti, soprattutto senza interpretazioni; e poi bisogna cercare di metterlo in pratica.
Non so se anche voi, con la vostra esperienza, avete imparato a diffidare di questi atteggiamenti. Vedete, in genere chi dice che il Vangelo va letto senza interpretazioni e senza aggiunte, è pronto a darvi la sua. State in guardia e magari chiedetegli di vivere questa pagina del Vangelo senza interpretazioni, senza commenti, senza aggiunte.
E non pensate che quelli che vogliono distribuire il Vangelo a tutti lo amino: in genere amano i segni esteriori. Il loro sogno sarebbe che in ogni casa, nella tasca di ogni persona ci fosse una copia del Vangelo; come sognano che ci sia un crocifisso in ogni aula scolastica, in ogni stanza d'ospedale, in ogni luogo pubblico o privato... Chi pensa così, in genere più che il Signore e il Vangelo, ama i segni della presenza, della potenza dei cattolici. Io spero che per voi non sia così. Il Vangelo è una cosa preziosa e seria. Ma non è a buon mercato!
Prendete la pagina di oggi: vi sembra possibile leggerla senza un commento, senza interpretazione? Non è possibile: va commentata, interpretata; e c'è di più: va resa attuale nella vita concreta di ogni giorno: e non è semplice!
E se a casa - perché qui non c'è tempo, e oggi il caldo si fa sentire - rileggete questa pagina, vi accorgerete che qui ci sono, espressi nei simboli così cari al mondo orientale, alcuni dei principi fondamentali, dei valori essenziali per la nostra fede alla soglia del terzo millennio.
Troverete una parola, di cui abbiamo un gran bisogno oggi, sull'intolleranza: questi discepoli vogliono che scenda il fuoco dal cielo! e Gesù si volta e li rimprovera!
Provate a leggere la parola sulla gratuità: "Ti seguirò dovunque" - "Le volpi hanno una tana, gli uccelli hanno un nido, ma il Figlio dell'Uomo non ha dove posare il capo!" La gratuità nel rapporto con Dio non è semplice per noi, che siamo abituati ad una religione basata sul bisogno e quindi a chiedere a Dio, sempre, qualche cosa. Mi son sentito dire più volte nella mia lunga vita di prete: "Se non posso chiedere a Dio qualche cosa, che vengo a fare in chiesa?"
Ma non vi sembra che oggi possiamo parlare di Dio solo nella gratuità? Se non si cambia atteggiamento, se la nostra preghiera non diventa più gratuita, rischiamo di non poter più parlare di Dio, di Maria, di Gesù ai giovani che crescono intorno a noi!
E nelle ultime parole, così sconcertanti, non c'è un invito a scegliere la vita, ad avere il coraggio di scegliere senza voltarsi indietro, quando si è fatta una scelta? Non vi sembra una parola essenziale per questo mondo in cui ai nostri ragazzi, sembra quasi impossibile scegliere?
Ma cosa significa scegliere? Cosa significa non essere intolleranti oggi? Cosa significa vivere la gratuità nella fede di oggi? Ci sono da aggiungere parole di commento quante ne volete... Ma ciascuno di noi deve aggiungere le proprie parole: quelle che gli vengono da dentro, che si sente nel cuore! E diffidate di coloro che dicono che non bisogna interpretare il Vangelo: vogliono che seguiate la loro interpretazione! Diffidate di coloro che pensano che basti dare una copia del Vangelo: occorre prendere in mano queste parole straordinarie! Ma, proprio perché straordinarie, non sono a buon mercato. Lo sapete, anche quando andate a fare la spesa: le cose a buon mercato non sono di gran qualità. Non vale soltanto per i pomodori. Vale anche per le parole di Gesù!
"Andate: ecco, io vi mando come agnelli in mezzo a lupi... 5 luglio 1998
In qualunque casa entriate, prima dite: 'Pace a questa casa'...
Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi;
rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli".
Chi è il vero discepolo di Gesù? Quando ero bambino (e credo che non sia successo soltanto a me) mi raccontavano - per parlare del discepolo di Gesù - le storie dei santi. Erano storie, in genere, di personaggi straordinari, di eroi che avevano strenuamente difeso la fede: chi con la forza della parola, con complicati discorsi - che a volte, quando son cresciuto, mi facevano leggere - chi addirittura con la spada in mano. Mi parlavano di personaggi straordinari che andavano in giro per il mondo, che compivano imprese eroiche e belle; oppure mi parlavano di persone capaci di fare grandi digiuni, grandi rinunce, grandi sacrifici; o di personaggi che compivano opere straordinarie: chi cacciava i diavoli da una parte, chi compiva miracoli dall'altra...
Ma - non so se sia successo lo stesso anche a voi, spero proprio di sì - man mano che crescevo, vedevo accanto a me delle persone, a cominciare da mio papà e da mia mamma (perché io sono stato fortunato), delle persone che vivevano l'amicizia con Gesù in maniera molto più semplice, molto più quotidiana. Non avevano nulla da difendere, non avevano idee contro cui combattere, non avevano nessuna spada in mano... Ma nella semplicità della vita di ogni giorno testimoniavano la voglia di pace, la tenerezza!
Ho avuto la fortuna, nel cammino della mia vita, di incontrare tanti amici: alcuni straordinari; persone che avevano nel cuore il desiderio di pace, che sapevano testimoniarmi gratuitamente la tenerezza! Gente che, questo sì, non voleva aver niente a che spartire con tutto quello che sentiva ingiusto intorno a sé! Gente che aveva il coraggio di "scuotere la polvere dai piedi", contro ogni ingiustizia. E pagavano di persona, per questa fedeltà ad una onestà anche severa, anche rigida!
Ma era gente che non si sognava di fare grandi digiuni; qualche fioretto gli toccava farlo, perché così dicevano i preti; ma gustavano un buon bicchiere di vino, quando c'era... e a quei tempi spesso non c'era. Ma perché era povera gente. Quelli che parlavano di grandi digiuni e di grandi sacrifici - i frati nei conventi - quelli ce l'avevano tutti i giorni... A casa mia c'era raramente; ma quando c'era, si faceva festa e nessuno si sognava di rinunziarci! Non amavano il sacrificio, non amavano i digiuni. Amavano la pace, quella sì!
Ho conosciuto gente che non ha girato il mondo, che stava a casa, fedele ai suoi figli, ai suoi amici; gente che non ha fatto grandi prodigi. Nessuno ho sentito che abbia saputo cacciare qualche diavolo o che abbia fatto qualche miracolo! Ma il cuore retto e sincero... questo sì!
Voi capite che quando ho scoperto il Vangelo, con stupore e gioia, ho visto che la descrizione del discepolo di Gesù corrispondeva a quelli che ho conosciuto io: come avete ascoltato, Gesù non manda a combattere contro nessuno, non bisogna avere una spada in mano; anzi, si va "come agnelli in mezzo a lupi"; senza borsa, senza bisaccia; semplicemente annunziatori di pace, testimoni di gratuità.
Il discepolo mangia e beve, e non c'è bisogno che compia grandi viaggi, ma si ferma dove sta: fedele alla gente che ha intorno. E se racconta, quando torna da Gesù, che ha "cacciato i diavoli!" si sente rispondere: "Rallegrati se il tuo nome è scritto davanti a Dio, se il tuo cuore è sincero".
Rallegriamoci, fratelli! Ormai son tanti anni che sto qui e conosco molti di voi. Ci sono tanti in mezzo a voi dal cuore sincero, veri discepoli di Gesù, testimoni di pace! Non avete fatto grandi miracoli? Quando andrete davanti al Signore, vi sentirete dire che i miracoli - come è scritto nel Vangelo - li fanno anche i diavoli; a voi saranno chiesti i piccoli gesti di ogni giorno che testimoniano la pace, il cuore sincero, la gratuità!
E voi di questo siete stati, anche per me, testimoni! I discepoli di Gesù sono anche qui, in mezzo a voi; per questo possiamo rallegrarci!
"Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico..." 12 luglio 1998
"Va' e anche tu fa' lo stesso": così si conclude quello che abbiamo letto stasera. Tutto sembra semplice, chiaro: si tratta di andare e fare. Ma non era stato detto già all'inizio: "Fa' questo e vivrai"? In mezzo c'è la parabola, una parabola che forse diamo troppo facilmente per scontata. Stasera dovremmo tentare di coglierne qualche aspetto importante: non soltanto per la gente di quel tempo, ma anche per noi.
Vedete, gli uomini di tutti i tempi sono tentati di ragionare e giudicare per immagini, per stereotipi, per miti. Chi fa il bene è l'uomo "buono": l'uomo dalla faccia dolce, che dice belle parole, ma soprattutto chi la pensa come me, chi appartiene alla mia religione, il prete, il santone, colui che sa dare di sé un'immagine di bontà. Al contrario spesso gli uomini si portano dentro un'immagine dell'uomo "cattivo", il quale fa il male. E chi è che fa il male? il nemico, l'ateo, colui che non crede, il miscredente.
Gesù, in questa parabola, forte come un pugno nello stomaco, rovescia tutto: chi fa il bene è il nemico, è il miscredente, è l'ateo: è il Samaritano! (il Samaritano è diventato per noi il simbolo dell'uomo buono, ma a quel tempo non era così). Colui invece che non fa il bene, il cattivo, è il sacerdote, è l'uomo del Tempio!
C'è dunque in questa parabola un invito a riconoscere chi fa veramente il bene; e non sempre è colui che ci viene presentato come il "buono". E questo è importante per noi che viviamo nel mondo delle immagini, delle TV, dei mezzi di comunicazione; un mondo in cui, in tutti i campi, molti si sforzano di presentarsi come l'immagine dell'uomo "buono". E la nostra tradizione cattolica ci ha abituati a ragionare per immagini, per astrazioni, per concetti; quasi mai si sofferma sui risultati, sui numeri.
Forse posso aiutarvi con una provocazione. Girava nei nostri gruppi, qualche tempo fa, una domanda; ve la rivolgo: chi è più santo, secondo voi, San Francesco d'Assisi o Agnelli, il mitico fondatore della FIAT? Direte: "Ma si possono far domande del genere?!..." Un momento: Agnelli ha lasciato la FIAT, che ha dato lavoro e ha sfamato migliaia di persone; San Francesco che ha lasciato? i Francescani e i loro conventi, che hanno affamato migliaia di contadini. Vi viene qualche dubbio, su chi è più santo?!...
Ecco, è certamente un paradosso, una provocazione. Però mi sembra che noi non siamo abituati a ragionare in base ai numeri, a confrontare i risultati; ragioniamo per miti, per immagini, per "santini"... Quando andiamo a vedere i risultati, allora le cose cambiano un po'...
Ma ce n'è un altro problema, forse ancora più grosso. Ed è questo: che cosa significa "fare il bene"? Cos'è che fa veramente il bene di una persona, la rende più libera, risolve i suoi mali? Cosa rende migliore il mondo? A volte chi si china a curare una sofferenza non si accorge che si potrebbe guardare un po' più lontano, tentare di rimuovere le cause della sofferenza. Pensateci un po' (al tempo di Gesù non ci si poteva pensare, ma forse oggi dovremmo pensarci): il Samaritano si china sul ferito incontrato sulla strada ed è certamente la cosa da fare in quel momento. Ma se ci fosse stato qualcuno, in quell'ambiente, capace di riflettere sull'utilità dell'olio e del vino nel curare le ferite o meglio capace di trovare il modo per evitare che per le strade ci fossero briganti, non sarebbe stato ancora più importante e utile?
Mi fermo qui, forse è bene che ciascuno cerchi qualche esempio concreto; io volevo soltanto invitarvi a cercare, a ragionare con i numeri, con i fatti.
Questa parabola non è affatto semplice! Non è affatto semplice capire chi "veramente" fa il bene. Non è affatto semplice capire che cosa è "veramente" il bene, nella nostra vita quotidiana.
Il Signore ci aiuti!
...Maria, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava le sue parole; 19 luglio 1998
Marta invece era tutta presa dai molti servizi.
Molti di voi non immaginano - qualcuno forse sì, perché l'ha fatto anche lui - quante volte ho sentito, specialmente le mamme, brontolare contro questa pagina del Vangelo: "Comodo, sedersi ad ascoltare il Signore, a chiacchierare... ma se non c'è Marta che fa tutti i servizi, non si va avanti!". Le mamme si lamentano dei mariti ed oggi più spesso dei figli, che non fanno niente in casa, si siedono, magari ad ascoltare la musica... e Gesù sembra dare ragione a chi non fa nulla.
Forse per risolvere questi problemi basterebbe un po' di sano egoismo: se le mamme pensassero di più ai fatti propri, forse i figli imparerebbero a lavorare un po' di più. Ma qui non si parla di questo. Vedete, spesso cerchiamo nel Vangelo degli insegnamenti per il nostro comportamento; e il Vangelo invece ci parla di Dio: dei suoi sogni, della sua realtà. Chi è Dio per noi? di questo tenta di parlarci questa pagina di Vangelo. Vediamo se mi riesce a farvelo intuire almeno un po'; perché, quando si parla di Dio, non si può spiegare: si può solo intuire qualche cosa.
Vedete, quando io sono stato educato alla fede, il rapporto con Dio era fatto di "molti servizi": bisognava fare molte cose. Era, per esempio, un obbligo venire alla Messa: se si mancava una volta si rischiava di andare all'inferno... Se si voleva fare la Comunione, bisognava essere digiuni fin dalla mezzanotte; e poi bisognava preparare delle offerte da fare al Signore, dei fioretti, dei sacrifici. E poi, quando si veniva in Chiesa, bisognava osservare tutta una serie di regole, a cominciare col segnarsi con l'acqua benedetta. E poi bisognava purificarsi, confessarsi per comparire davanti al Signore. E poi mi dicevano che non bastava andare alla Messa la domenica, che era opportuno moltiplicare le opere: conveniva fare delle novene, dei digiuni, dei pellegrinaggi; quando si andava in Chiesa, era opportuno accendere una candela. E via dicendo...
Il rapporto con Dio era basato sui "molti servizi" da fare, sia perché è un dovere, sia soprattutto perché potevo aspettarmi in cambio protezione e favori.
Chi è Dio, allora? Il Signore potente, al quale bisogna offrire qualche cosa per averne in cambio qualcosa? il giudice severo che esige espiazione e purificazione, come accade in quasi tutte le religioni del mondo?
In questa pagina di Vangelo il rapporto è radicalmente cambiato: Maria non fa "molti servizi", ma si siede e ascolta. Non ha cose da dire, non ha cose da offrire a Dio: ha da ascoltare, ha da confrontarsi con Lui!
Vedete, Dio - il Dio di cui parla Gesù - è un Dio che si incontra nella gratuità! Non è il Potente, da ingraziarsi perché ci dia protezione e grazia, ma il Maestro che ha parole di vita, con cui confrontarsi; è l'Amico con cui condividere la vita, a cui si ha qualcosa da raccontare, con cui si può rivedere quello che è successo durante la settimana!
Il nostro ritrovarci qui la domenica, non è un obbligo, non è un dovere da fare nei confronti di Dio; non è chiedere a Dio che ce la mandi buona per la settimana... ma il sedersi ai piedi del Maestro ed incontrare l'Amico! E incontrare il Padre e far festa con Lui!
No, Gesù, in questo racconto, non ci dice come dobbiamo comportarci in casa, a chi competa fare i servizi: ci parla di Dio! Il sogno di un Dio incontrato nella gratuità; il sogno di un Amico con cui sedersi a tavola! La gratuità: non un Dio che mi serve, a cui bisogna che io offra tanti servizi... ma il Padre, che, anche se vengo qui con un peso sulla coscienza, non mi dice di aspettare fuori e fare lunghe penitenze, ma mi butta le braccia al collo e fa festa per me!
Il Dio dell'amicizia, il Dio della gratuità, il Dio del sogno, il Dio della festa! Il Dio ai cui piedi ci si può sedere per cercare insieme i valori essenziali della nostra vita di ogni giorno. Il Dio con cui ci si può confrontare come con un amico, come con un maestro. Il Dio che ha parole di vita!
Il Signore ci aiuti ad intuirlo almeno un po'!
"Se voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai 26 luglio 1998
vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà
lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!"
Ho cercato qualche immagine più vicina alla nostra sensibilità, che potesse darvi la forza sconcertante di queste immagini, che qui Luca usa per scuotere i suoi Cristiani, per stupirli, per meravigliarli, in modo che si facciano qualche domanda sulla preghiera; ma non ci sono riuscito. Dobbiamo contentarci delle immagini di Luca...
Tralasciamo il Padre nostro, perché è troppo complesso. Speriamo però di dedicare un po' di attenzione, prima dell'Avvento, alle varie parti della Messa. Quindi, sul Padre nostro speriamo di tornare a ottobre - novembre.
Adesso poniamo la nostra attenzione sulla seconda parte della lettura d'oggi: sulle immagini che Luca usa per stupire i suoi: vediamo se riescono a stupire anche noi. Immaginate una grande stanza (o meglio, per riportarci a quei tempi, una specie di grotta): è l'unica della casa, in cui ci sono tanti pagliericci: la mattina si arrotolano, la sera si tirano giù e arrivano fin davanti alla porta; sicché non si può più aprirla per tutta la notte; su quel pagliericcio il padre e tanti figli intorno...
E c'è fuori l'amico che bussa e il padre, da dentro: "Ma come faccio ad alzarmi, adesso debbo svegliare tutti e tirar via i pagliericci... Non si può". Quello, fuori, continua a bussare, perché è tornato un suo amico da un viaggio - sapete, a quel tempo l'ospitalità era sacra - e lui non ha un pane. L'amico ce l'ha, ma è a letto coi figli. Ma quello, da fuori, continua a bussare e bussare... finché il padre - se non per bontà - per toglierselo di torno, apre e gli dà il pane.
Qui si parla di Dio: è Dio, questo padre circondato dai figli, nel gran letto della sua piccola casa. O forse una caricatura di Dio: forse Luca pensa agli dei del mondo pagano, a volte addormentati, a volte distratti, che non sanno rispondere alle domande degli uomini... Ma Luca insiste: "Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto". E poi si rivolge direttamente agli ascoltatori: "Chi di voi, se un figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?" E conclude: "Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!"
Voi siete abituati a queste parole; ma immaginate chi le sentiva per la prima volta, dopo queste premesse che sembrano chiare, semplici, ragionevoli... "Se voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone...". Ma che c'entra, lo Spirito Santo?! Chi lo ha mai chiesto?! E poi, che cos'è lo Spirito Santo? E allora, che cos'è pregare?
Vedete, noi siamo qui - tutti, io per primo - a chiedere a Dio tante cose: chi ha una persona malata in casa, chi un amico in difficoltà, chi ha un figlio che non trova lavoro, chi forse ha ancora un esame da sostenere... Tutte queste cose noi chiediamo. E le chiediamo con insistenza. E qualche volta ci portiamo nel cuore l'idea di un dio un po' pagano: che è distratto, forse addormentato, forse ha la testa da un'altra parte: si è dimenticato di noi!
Quante volte ho sentito dire (quante volte, forse, l'avrete detto anche voi, come qualche volta l'ho detto anche io): "Dio si è dimenticato di me! non mi ascolta più!" Noi abbiamo tante cose da chiedere a Dio... e qui Gesù ci parla dello Spirito Santo: lo Spirito che è il soffio di Dio, che è il senso ultimo della vita, che è fame e sete di giustizia, libertà, gratuità!
Allora, vedete, qui si tratta di intuire che la preghiera non è uno scuotere un dio addormentato, perché ci dia quello di cui abbiamo bisogno. Non è questo il Dio di cui ci parla Gesù! La preghiera è un continuo cercare, per rimanere fedeli; è una lotta per conquistare i valori autentici, essenziali, della vita, per non perderli nella corsa e nell'affanno della vita di ogni giorno!
Gli avvenimenti della vita non dipendono da Dio: Dio non c'entra niente con le malattie che ci capitano, con gli acciacchi che vengono, con il lavoro che i nostri figli non trovano, con il risultato dei nostri esami. Se Dio c'entrasse con tutto questo, nessuno di noi potrebbe credere!
Dio è un'altra cosa! È il Dio che ama il cuore della nostra esistenza: la gratuità, l'amore, la tenerezza; il senso della giustizia! E ci ha promesso il suo soffio, ci ha promesso il suo Spirito: il soffio della sua esistenza, la libertà, la gratuità, il senso della vita donata, l'amore! Ed è quello che cerchiamo qui, quando ci ritroviamo insieme ogni domenica.
Ma non è semplice: perché tutti noi abbiamo tanti bisogni e ci portiamo nel cuore, almeno in parte, l'idea di un dio che può risolvere i nostri problemi, ma che spesso è addormentato o un po' distratto. E che, a forza di bussare alla sua porta, possiamo farlo voltare dalla nostra parte. Purtroppo, tante volte abbiamo sentito parlare di un dio così, anche in chiesa!
Il Signore ci perdoni e ci aiuti a cercare il suo Volto!
"Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, 6 settembre 1998
i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo".
Se qualcuno viene da voi e vi dice: "Se vuoi essere mio amico, se vuoi venire con me, devi odiare tuo padre, tua madre, i tuoi figli, i tuoi nipoti...", voi che pensate? Ma è matto...
Capita che Gesù, stasera, faccia il matto... avete ascoltato le sue parole! Ma, forse, sapete per esperienza che quando le parole di Gesù ci appaiono particolarmente strane, hanno qualcosa di importante da comunicarci. Cosa vuol dire, allora, il Signore? Non è semplice. Vediamo se mi riesce a farvelo intuire con qualche storiella.
Mi capitava quest'anno di andare (non c'ero mai andato) per ben quattro volte, per motivi diversi, a visitare la villa Farnese a Caprarola (Fra l'altro, se non ci siete andati, andateci: è un posto splendido). La villa Farnese a Caprarola l'ha fatta un Papa, Paolo III, della famiglia Farnese, per i figli (ne aveva parecchi) e per i nipoti ... Se andate in giro per Roma, vedete a volte uno stemma scalpellato; sapete di chi è? di Alessandro VI; anche lui aveva figli e nipoti; e per loro aveva fatto molte cose.
Quando ero giovane mi dicevano: "Beh! sono le eccezioni". Se leggete le cronache dei tempi passati, vi accorgete che Vescovi e Cardinali hanno passato la vita a preoccuparsi dei nipoti: il nepotismo nella Chiesa non sembra un'eccezione, ma la regola... Ed anche oggi leggendo i giornali - non si può giudicare di fatti recenti, anche perché non si conoscono a sufficienza - si ha l'impressione che le storie di Napoli, del suo Cardinale, siano piene di fratelli, di nipoti, di affari... La storia giudicherà. Forse cominciate ad intuire che, se Gesù "fa il matto", c'è qualcosa di cui dovremmo preoccuparci.
Ma se veniamo più vicino a noi, non è forse vero che in Italia il "tengo famiglia" è l'alibi per tante pigrizie, per tante vigliaccherie, per molti di noi, nella vita sociale e civile? E una concezione troppo "fisica" della famiglia, così caratteristica della nostra mentalità, non ci impedisce di difendere veramente i bambini, specialmente quelli più in difficoltà? E il preoccuparsi troppo di difendere astrattamente la famiglia, non mette il nostro paese a rischio di non occuparsi seriamente dei problemi sociali, ad esempio di difendere la scuola pubblica invece di rivendicare il diritto alla scuola privata... e via discorrendo? Capite che sono problemi grossi, che per affrontarli soltanto, non dico per risolverli, ci vorrebbero parecchie prediche; ma stasera fa caldo, bisogna farla corta ...
Il Vangelo di oggi parla anche di soldi: non avete anche voi, come molti cristiani, l'impressione che il prossimo Giubileo, di cui tanto si parla, sia soprattutto un affare di denari? e che anche le autorità della Chiesa a tutto pensano meno che a tirarsi indietro? E non è vero che tutto questo rischia di scandalizzare la gente, di impedire ai giovani di credere nel Signore?
Allora, se Gesù "fa il matto", qualche motivo c'è: il nepotismo, il preoccuparsi troppo, astrattamente, della famiglia, il preoccuparsi troppo dei soldi, non rischia di inquinare - e la storia dice che non è un rischio del tutto astratto - la vita della Chiesa? Ma non soltanto la vita della Chiesa in generale: anche la mia vita, anche la vita di tutti noi che siamo qui!
Qualcuno, forse più d'uno di voi, pensa che certe cose, anche se in parte giuste, è bene non dirle dall'altare: vedete, io sono convinto che se sono qui è perché quando avevo 14 anni nella mia parrocchia mi hanno detto "queste cose" e quando poi me le dicevano "gli altri", quelli che "non credono", potevo dire: "Questo me l'ha già detto il mio prete!" Noi siamo cresciuti con lo slogan: "Noi non crediamo nei preti, ma in Gesù Cristo". E credo sia importante anche per i nostri ragazzi.
Ma quello che veramente conta è che cerchiamo di prendere sul serio le parole di Gesù: è arrivato a "fare il matto"! E allora ci conviene di chiederGli di aiutarci un po' a capire.
"...facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita". 13 settembre 1998
Vi è mai capitato di vedere in qualche documentario, proiettato magari alla TV, un beduino nel deserto stedere a terra il suo tappetino e poi pulirsi le mani con la sabbia a lungo e poi cominciare a pregare? In ogni angolo della terra in quasi tutte le religioni ci sono dei riti di purificazione: in genere si usa l'acqua e se l'acqua non c'è si può usare anche la sabbia.
Questa estate ho passato qualche giorno con mia mamma, che ha ormai 90 anni! E mi diceva: "Son due mesi che non mi confesso; chissà se posso fare la Comunione?!" Direte voi: "Che c'entra questo con il beduino che si pulisce le mani con la sabbia?" Ma è lo stesso mondo, la stessa mentalità religiosa, che vuole riti di purificazione prima di accostarsi alla divinità. Perché la divinità è spesso minacciosa: può mandare castighi, punizioni, la peste; o la più terribile delle punizioni: l'inferno! E ci sono in tutte le religioni, anche nella nostra, tutta una serie di sciamani, di sacerdoti, che approfittano di questa paura per dominare le coscienze del proprio prossimo, per renderlo dipendente da sé, dalle sue assoluzioni, dai suoi riti di purificazione.
I discepoli hanno fatto un'esperienza diversa: hanno incontrato Dio quando Gesù li riuniva intorno alla tavola e mangiava con loro. E c'era chi criticava: "Guardate: va a mangiare con i peccatori! È amico della gente poco perbene!" E Gesù per difendere la sua gente, ha raccontato queste straordinarie parabole.
Le ha raccontate per noi, per noi che ci ritroviamo qui intorno alla tavola; e forse c'è ancora qualcuno che critica, anche qui dentro, stasera: "Gesù, perché ti fai cibo di queste persone? Perché ti fermi a mangiare con loro?" Gesù si ferma a mangiare con noi, come si fermava a mangiare con i suoi apostoli, perché qui, intorno a questa tavola, Gesù vuole farci partecipi del sogno di Dio: il sogno - come avete ascoltato in queste straordinarie parabole - di rispondere al male con la festa! con la gratuità! con la vita! E ci invita tutti a far festa!
Ma mi direte: "Perché allora in questi lunghi anni son ritornati i riti di purificazione, le paure?!" Perché, vedete, ci portiamo nel cuore la mentalità di questo fratello più grande. Lo avete guardato negli occhi? È incapace di far festa: lui sa solo condannare, sa solo giudicare, chiedere punizione e vendetta. E dice al padre: "Non mi hai mai dato un capretto"... non gliel'ha mai chiesto e non ne aveva bisogno perché "tutto era suo"! Non ha mai fatto festa, perché non aveva la festa nel cuore!
Come non l'hanno avuta nel cuore tutti coloro che, nel corso di questi secoli, hanno usato l'Eucarestia per porre divieti, per dominare le coscienze, per controllare la vita. Specialmente la vita sessuale: qualcuno di voi ricorderà... Le ansie, le paure per fare la comunione! Ci sentivamo lontani da Dio per un pensiero, per una parola di troppo, per uno sguardo. Ci sentivamo allontanati dalla festa di Dio! Era qualcuno che voleva impossessarsi di noi, del nostro cuore!
Ma è difficile portarsi nel cuore il desiderio di festa. Questo può farlo solo Dio: un Padre innamorato dei suoi figli. Non può far pace con il nostro peccato, con le nostre vigliaccherie, con le nostre pigrizie. Ma ogni volta che ci ritroviamo qui, ci invita a far festa, a condividere la sua voglia di gratuità e di vita, ci invita a nutrirci di Gesù! Invita noi: perché siamo noi i peccatori, noi la povera gente. Chi di noi può dire "Io sono buono, io sono come Gesù"? nessuno. Eppure siamo qui, invitati a far festa! Non c'è il vitello grasso: c'è Gesù che si fa pane, perché possiamo fare festa, perché qualunque sia il peso che ci portiamo nel cuore stasera, siamo invitati ad uscire da qui rinnovati, desiderosi di vita, di gratuità, di festa!
Lo Spirito di Dio ci metta nel cuore il desiderio di festa: perché non è semplice. Noi ci portiamo spesso nel cuore rancori, invidie, desideri di vendetta... Dio non è così: Dio ha inventato di rispondere al male con il bene, con la festa, con la gratuità, con la libertà! Noi abbiamo inventato i suoi castighi, le pene mandate da Dio per punire i peccati. Abbiamo addirittura inventato l'inferno!
E Lui continua a chiamarci alla festa! Alla festa: a dilatare il nostro cuore, a vivere la speranza, a lasciare il nostro male per scegliere la gratuità, la libertà, la vita, l'amore! Non è semplice, per noi. Continuiamo a chiederglielo con fiducia!
Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, 20 settembre 1998
perché aveva agito con scaltrezza.
Quanti tra voi sono rimasti sconcertati da questa parabola? Io ne ho incontrati tanti, nella mia lunga esperienza di prete, avendo tante volte letto il Vangelo con la gente. Soprattutto chi ha un senso forte della giustizia e dell'onestà rimane sconcertato di fronte a Gesù, che sembra lodare questo amministratore disonesto.
Ebbene, vedete, non prendetevela: non è così. L'amministratore è giudicato severamente: si parla di un amministratore "disonesto", anzi si dice di lui la parola forse più dura che c'è nel Vangelo: è un "figlio delle tenebre". Ma il discorso su quest'uomo è chiuso; potremmo aggiungere: "Si spera che ci siano dei giudici che sappiano condannarlo giustamente e severamente, ed anche in fretta, per quello che merita".
Il problema secondo Gesù è un altro: giudicare e condannare non basta: occorre rendersi conto delle situazioni, capire i problemi. Quest'uomo viene lodato perché si rende conto della situazione in cui vive: si dà da fare per capire... lui per fare il male. Ma la domanda per noi è: "Voi, che fate per il bene? fino a che punto cercate di capire?"
Ora, vedete, se capisco qualcosa del mondo in cui viviamo, la nostra società è in gran parte affidata ai mezzi di comunicazione: la radio, la TV, i giornali. Non avete anche voi l'impressione che quando c'è un fatto, un avvenimento, sia privato sia pubblico, si cerca il giudizio? e spesso la condanna! Non avete l'impressione che nei nostri mezzi di comunicazione si cerchi di sbattere in prima pagina il "mostro": il colpevole, il responsabile di una situazione? Non capita a volte di vedere anche i giudici divisi in buoni e cattivi, affrettandosi a giudicare anche loro, spesso in base alla parte politica nella quale stanno? Rischiamo così di avere una giustizia incapace di giudizi rapidi e onesti.
Non avete l'impressione che molto spesso - sui giornali, alla TV, alla radio - non c'è qualcuno che aiuti a "capire" quello che accade? a "leggere" i fatti, quello che c'è dietro ai fatti? Non parliamo poi dei grandi problemi del mondo spesso ignorati dai nostri mezzi di comunicazione, a meno che non ci sia una disgrazia o una guerra.
E non soltanto i giornali e la TV; ma qualche volta ho l'impressione che anche la Scuola, il modo come si studia la storia, non aiuti a capire quello che c'è dietro gli avvenimenti.
Ma questo non riguarda soltanto la sfera pubblica della nostra vita: spesso noi ci affrettiamo a giudicare anche nel privato. Quante volte avete ascoltato anche voi - a me è successo tantissime volte - una coppia in difficoltà: parlano sempre delle colpe degli altri: delle colpe dei parenti (spesso della suocera), del clima che c'è intorno, degli amici. Spesso si lanciano accuse a vicenda, insulti, giudizi a volte pesanti; ma senza lo sforzo di capire, senza lo sforzo di rendersi conto di quello che sta succedendo nei loro rapporti!
E non basta: quanta gente, forse anche fra di voi, si porta dentro profondi sensi di colpa? Vi siete resi conto che il senso di colpa non serve assolutamente a nulla? Quello che è importante è capire quello che vi accade dentro!
Il fatto è che noi siamo abituati ad una lunga tradizione, anche cattolica, in cui si prende il "cattivo" - spesso colui che soltanto ha idee diverse - e lo si mette sul rogo! E poi siamo abituati a grandi battimenti di petto, a grandi autoflagellazioni... Ma quasi mai avviene che siamo invitati a capire, a renderci conto di quello che accade, ad analizzare la nostra situazione. E spesso - posso dirvelo perché fa parte della mia esperienza - da soli non ci riusciamo: occorre rivolgersi a qualcuno. Ma non a chi ti mette pesi sulla coscienza, che ti fa sentire in colpa, che ti dice di confessarti, di pentirti, di batterti il petto... A qualcuno che ti aiuti a guardarti dentro, a capire cosa ti succede, che cosa ti sta accadendo intorno! "CAPIRE"! altrimenti non serve a niente puntare il dito, gridare, alzare la voce e tanto meno sentirsi in colpa. È uno sforzo che dobbiamo fare tutti! Ma non è uno sforzo semplice.
Se volete sorridere un po': avete ascoltato il Vangelo di oggi? Riportano questa parabola di Gesù (una parabola secondo me straordinaria) e poi che cosa aggiungono? Danno un giudizio: "Non potete servire a Dio e al denaro". Il denaro è del diavolo; la ricchezza è tutta disonesta; i soldi sono cattivi... "Datene un po' a noi!... siamo poveri... e vi farete un posto in Paradiso!" Non hanno i preti e soprattutto i frati ripetuto questo per duemila anni?
Gesù ha raccontato questa parabola per invitarci a capire. Ha detto: "Hai visto quello? È un disonesto, è un figlio delle tenebre. Ma si è reso conto di quello che succedeva, ha capito quello che gli stava accadendo". E si è dato da fare, per fare un po' più male di quanto aveva fatto prima. Ma noi, che pensiamo di vivere per il bene, perché non ci sforziamo di capire quello che ci accade intorno? Battersi il petto? Sentirsi in colpa, chiedere perdono? gridare, accusare, bruciare gli eretici? Non serve a niente! Ma non è facile!
Il Signore ci aiuti!
"Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche 27 settembre 1998
se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi"
Una storiella! a voi - soprattutto a chi è più giovane - probabilmente estranea; ma comunissima in tutte le religioni, sotto ogni cielo, in ogni angolo della terra. Comunissima un tempo, ma credo che lo sia ancora in molte parti del mondo: c'è qui il grido dei poveri che invocano la giustizia, che sperano nel contrappasso: chi di qua ha tribolato, di là godrà. C'è la speranza dei poveri nella vendetta di Dio, nella giustizia che farà in un'altra vita: una giustizia in cui poi non credono molto, perché si affrettano a chiedere a Dio che dia loro un po' di benessere qui, su questa terra. E in ogni tempio della terra non si predica che la benedizione di Dio è nella ricchezza, nel benessere?
Gli studiosi ci avvertono che al tempo di Gesù questa storia era comunissima. Anche Gesù la racconta, ma cambiandola; e qui forse c'è un messaggio importante per noi. Come la cambia? Forse avete notato che addirittura Abramo diventa un malvagio! una goccia d'acqua in fondo non si nega a nessuno, e cosa chiede il ricco tormentato nelle fiamme? che Lazzaro intinga il dito nell'acqua e lasci cadere appena una goccia. Non solo, ma il malvagio è diventato buono, perché si preoccupa dei suoi parenti: "Manda almeno qualcuno dai morti ad avvisarli, che non vengano anche loro qui!" E la risposta di Abramo - la risposta di Gesù - a questo punto diventa severa: "Hanno Mosè e i Profeti; se non credono a loro, non crederanno nemmeno se uno risuscita dai morti".
Gesù voleva metterci in guardia da una religiosità basata sul prodigio, sull'apparizione, sul fatto straordinario, così comune in ogni angolo della terra. Che cosa è successo a questa parabola, nel corso dei tempi? L'intuizione di Gesù - se capisco qualcosa - è andata quasi totalmente disattesa. Questa storia è stata usata, spesso, per mettere paura alla gente. Sopra la porta delle antiche cattedrali c'è quasi sempre una rappresentazione del Giudizio perché, uscendo di chiesa, il popolo cristiano doveva sentirsi minacciato dal fuoco eterno. Ma chi si sentiva minacciato? soprattutto la povera gente: una parolaccia, un pensiero impuro, saltare la Messa una domenica... e si spalancava l'Inferno! Ma... se un ricco aveva degli schiavi?... Questo non meritava il fuoco dell'Inferno!
E questa parabola è servita anche a consolare i poveri Lazzari che riempivano le antiche cattedrali, perché stessero tranquilli e aspettassero che Dio rendesse loro giustizia! nell'aldilà!
Ma soprattutto, se ho capito qualcosa, è proprio il motivo del cambiamento di Gesù che non è stato raccolto. In questi secoli anche la nostra religione non si è spesso riempita di racconti prodigiosi, di apparizioni, di reliquie miracolose? E anche oggi, se non facciamo attenzione, rischiamo di stravolgere la nostra fede! Non sembra anche a voi, quando accendete la TV, che la religione sia fatta soprattutto di miracoli, di stimmate, di diavoli cacciati, di apparizioni, di madonne che piangono da una parte e dall'altra...? Ma è questa la fede di cui ci ha parlato Gesù?
Non andate cercando prodigi, apparizioni, non seguite chi ha le stimmate! Guardatevi intorno, per cercare i fermenti di giustizia, la gente che prende sul serio i diritti del povero! Perché la fede non è fatta di cose straordinarie, di miracoli, di prodigi, di soluzioni al di là della storia, di un paradiso che risolve le ingiustizie di questa terra...
Gesù si è fatto carne: non è rimasto lassù, seduto in poltrona ad aspettare, per fare giustizia dopo. È venuto per camminare con noi: per aiutarci a cercare, qui, le vie della giustizia! Non è la fede di Gesù, se non è anche ricerca del bene, della giustizia; attenzione verso il prossimo, chinarsi ad asciugare la lacrima, tendere una mano per soccorrere chi è in difficoltà QUI, in questa terra!
La religiosità è fatta di vita concreta: la si vive a casa, sul posto di lavoro, con la gente di ogni giorno, tentando di dare una mano! Non aspettando il prodigio, seguendo il santone, aspettando il miracolo! Nemmeno là dove le folle applaudono i simboli del potere religioso!
E anche il nostro ritrovarci qui la Domenica non può essere solo un rito religioso, ma è ascoltare la sua Parola, nutrirci di Lui: un pane spezzato, una tavola intorno a cui la gente si riunisce per far memoria di Lui, per cercare i Suoi valori... Questa è la fede che Lui ha tentato di affidare alle nostre coscienze. Forse qualche cosa di troppo grande, per povera gente come noi...
E allora non ci resta che invocare ancora lo Spirito: che ci aiuti a capire, almeno qualcosa!
Giobbe disse: "Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, 2 novembre1998
senza la mia carne, vedrò Dio! Io lo vedrò, io stesso".
"Questa è la volontà del Padre mio, che chiunque
vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna;
io lo risusciterò nell'ultimo giorno".
Io penso - e spero - che la maggior parte di voi non sia venuta qui pensando di potere, in qualche modo, essere d'aiuto alle persone che non ci sono più; o che esse possano giovare a noi. Per usare le parole della Scrittura antica: "c'è tra noi e loro un grande abisso".
Questa idea, che noi si potesse giovare in qualche modo, si potesse far qualcosa per quelli che sono morti, è frutto di antiche paure. Paure che nell'aldilà ci fosse il dolore, la sofferenza, il bisogno di purificazione; l'antica paura del castigo, della punizione; e quindi il bisogno del suffragio! Paure, bisogni non del tutto innocenti; perché, come spesso succede in molte cose della vita, c'è sempre qualcuno che vuole approfittare delle paure e del bisogno degli uomini, per guadagnare, per speculare, per far denaro.
La conoscenza del Vangelo, l'incontro con Gesù - per fortuna! - ci ha liberati da tutto questo. Pian piano il Signore ha tolto la paura dal nostro cuore: la paura dell'aldilà, la paura della punizione, la paura del castigo, la paura che i nostri cari possano bruciare fra le fiamme!
Il nostro ricordo può, quindi, farsi ricco di gratuità: noi siamo qui non per ricavare un qualche vantaggio, non per procurare un giovamento a coloro che non sono più tra noi, ma per farne memoria davanti al Dio della vita.
Cosa può significare questo? Forse è un discorso che non si può fare a chi ha un lutto recente, il cuore ancora sanguinante, ma ci sono molti tra noi che si portano in cuore delle persone care e che possono guardare indietro con nostalgia; ora, vedete, noi crediamo in un Dio che ama la vita, che preferisce la gioia e la festa: a volte invece noi conserviamo il ricordo soltanto del dolore della dipartita, della lacerazione per una mancanza irreparabile. Sarebbe bello che stasera ricordassimo tutto quello che sono state per noi le persone che non ci sono più: il loro affetto, la loro tenerezza! Adesso non possono far più nulla, per noi; ma hanno fatto molto! Ci hanno circondati di affetto, ci hanno donato la loro presenza, la loro vita, a volte il servizio tenero.
Pensate: molti di voi possono pensare soltanto, con nostalgia, al papà, alla mamma, ai nonni, agli amici ... Quanti ricordi, quanta dolcezza, quanta bellezza, quanti affetti, di cui possiamo far memoria davanti al Dio della vita!
E chi sa che lo Spirito non possa conservare nel nostro cuore la certezza che le cose belle della vita non sono perdute, che Dio le custodisce nella sua mano!
Fare memoria dei nostri cari davanti al Dio della vita, intorno alla tavola in cui celebriamo la resurrezione del Signore, è anche conservare nel nostro cuore - senza poter immaginare nulla - la certezza che la vita non muore, la fede nella resurrezione, in una vita nuova. Possiamo qui celebrare, nella gratuità, la convinzione che coloro che son morti sono ancora uniti a noi in Cristo, che possiamo sentirli vivi, con noi, intorno alla tavola!
Ecco: memoria di loro davanti al Dio della vita; memoria, di loro nella gratuità!
Il Signore ci aiuti a vivere tutto questo.
"Osserva il giorno di sabato..." 4 ottobre 1998
"Gesù si recò a Nazareth ed entrò, Deuteronomio 5, 12-15 - Luca 4, 16-21
secondo il suo solito, di sabato
alla sinagoga e si alzò a leggere".
Abbiamo letto che Gesù come il solito è andato nella sinagoga ed hanno dato a Lui da leggere il Libro. Questo per noi è la cosa più normale del mondo: siamo abituati a venire in Chiesa ogni domenica e ad ascoltare qualche pagina del Libro: lo stesso, in gran parte, che leggeva Gesù. Fin da piccoli ci hanno insegnato che è un obbligo grave andare in Chiesa una volta alla settimana.
Ma questo che a noi sembra la cosa più normale del mondo, non è affatto normale nelle tante religioni della terra. E, in gran parte, non è tanto normale nemmeno per noi: molta gente - non solo i ragazzi, ma forse anche più d'uno di voi - si domanda: "Perché bisogna andare a Messa ogni settimana? Non è meglio andare in Chiesa quando uno se la sente, quando se ne ha bisogno?".
Effettivamente in tutte le religioni del mondo si va al tempio quando se ne ha bisogno. E quando un uomo va al tempio? (andava, forse, più di quanto vada oggi) Quando c'è una persona malata, quando è parecchio tempo che non piove, quando c'è la guerra. Allora si va al tempio a pregare, ad invocare il Signore perché cambi la situazione, perché faccia la grazia di cui abbiamo bisogno. E un tempo il bisogno dell'uomo copriva quasi tutti i campi della vita. Noi oggi abbiamo gli ospedali, i medici; ma gli antichi che cosa potevano fare? Se veniva soltanto un febbrone, non potevano che andare al tempio, tentare di accendere un cero, di fare un sacrificio, di invocare la grazia.
Un altro motivo per cui si va al tempio, specialmente nei tempi antichi, è il bisogno di scrutare il futuro: la vita era così incerta che, se uno partiva per un viaggio, voleva sapere come andava a finire (non parliamo poi di quando si partiva per la guerra!). In tutti gli angoli della terra c'erano dei templi in cui si cercava di interpretare il futuro e si invocava la protezione della divinità su quello che sarebbe successo domani, con un'offerta, un sacrificio, un voto. Dunque, di nuovo al tempio quando c'è bisogno di qualcosa, quando l'uomo si sente debole e fragile e vuole invocare la protezione e la benedizione del Signore.
Questo, se ci pensate, ha un prezzo altissimo, che gli uomini hanno pagato e in parte continuano a pagare anche oggi. Se io vado al tempio per chiedere una grazia e non la ottengo, che cosa può significare? che la divinità è in collera con me. E allora, ecco un altro motivo per cui l'uomo va al tempio: purificarsi, espiare, chiedere perdono, liberarsi della colpa. E questo ha pesato moltissimo sulle religioni del mondo. Ed anche sulla nostra religione: molti dei nostri modi di pensare vengono da questa idea: che una disgrazia, un malanno, è un castigo di Dio e quindi bisogna espiare. Questo ha portato addirittura al sacrificio umano, alle cose più terribili che accompagnano la storia religiosa degli uomini!
Dunque: si va al tempio (scusate se mi ripeto, ma cerco di spiegarmi meglio che posso) per chiedere una grazia, si va al tempio per interpretare il futuro e invocare la protezione della divinità; si va al tempio per espiare una colpa quando si pensa che la divinità sia in collera per qualche colpa che il singolo o la comunità hanno commesso.
Ancora, si va al tempio per celebrare qualche momento importante della vita. Nasce un bambino: lo si porta al tempio per cacciare i diavoli, per invocare la protezione di Dio sul piccolo. Ci si sposa: si va al tempio per invocare la benedizione del Signore sulla nuova casa...
Un altro dei motivi per cui fin dalla più antica preistoria gli uomini vanno al tempio, è per fare memoria dei morti. È morto il papà, la mamma, un figliolo, si è perso ogni contatto con lui: andiamo al tempio, perché forse c'è qualcuno che può metterci in contatto con l'aldilà, farci sentire la presenza di colui che non c'è più! Ed anche qui si affaccia minaccioso il senso di colpa, la paura del castigo, il bisogno di aiutare il nostro caro che magari sta bruciando tra le fiamme.
A questo dovete aggiungere che in ogni angolo della terra il potere politico si è spesso impossessato della religione; e quindi in tante parti della terra si andava al tempio per onorare il Potere. Se voi vedete i templi che ci sono anche qui a Roma, ad Ostia antica, erano tutti templi pubblici, dove si onorava l'imperatore, l'autorità che si diceva investita e legittimata dalla divinità!
Quindi, si va al tempio ogni volta che c'è un bisogno. Ed è normale in tutte le religioni del mondo. E nei templi, in tutti gli angoli della terra, c'è gente che vive del tempio: quindi una moltitudine di sacerdoti, di sciamani, di preti, i quali hanno un solo scopo nella vita: quello di rendersi indispensabili nel rapporto fra l'uomo e Dio: sono loro i mediatori, che stabiliscono come dovete pregare, quali sacrifici dovete offrire (e non dimenticherete certo che "la coscia destra" del sacrificio spetta sempre al prete!).
Quindi, tanta gente che vive del tempio e che quindi ha tutto l'interesse a moltiplicare la dipendenza dell'uomo dal bisogno di Dio! E allora si raccontano lunghe serie di miracoli, prodigi straordinari, apparizioni. Non solo, ma è gente che ha tutto l'interesse a calcare la mano sulle vostre colpe: perché più vi sentite in colpa e più avete bisogno dello sciamano, del sacerdote; il quale può liberarvi; ed è sempre lui che stabilisce i riti che dovete fare per essere purificati, è lui che vi racconta storie che parlano di un Dio minaccioso e severo; e se volete stare a posto, dovete in tutti i modi purificarvi... Ritorneremo su questi concetti, perché sono concetti fondamentali.
Tento di riassumere: allora, si va al tempio quando se ne ha bisogno o perché si vive un momento di debolezza o perché si teme il futuro; insomma si ha bisogno della protezione di Dio. Si va al tempio in alcuni momenti particolari; si va al tempio per far memoria dei morti; si va al tempio quando c'è il bisogno di purificarsi e di ingraziarsi Dio.
Israele ha una intuizione di cui tutti noi siamo figli: si va al tempio ogni settimana, che ci sia o non ci sia il bisogno; si va al tempio non per chiedere una grazia, ma per cercare Dio! Si va al tempio per cercare la Sua luce; si va al tempio per cercare i valori essenziali della vita; si va al tempio per cercare la liberazione e la giustizia con Dio! Ed allora ci si raduna intorno ad un Libro, che è storia di vita! Si fa memoria di un cammino di liberazione, si rinnova l'alleanza!
Israele intuisce che una volta alla settimana si fa "shabat": ci si riposa dalla corsa di ogni giorno, dall'affanno di vivere; e si cerca di guardare quello che c'è sotto la vita di ogni giorno: i valori fondamentali, le cose essenziali! Occorre fermarsi per riscoprire la gratuità, la voglia di contemplare il mondo, per guardarsi negli occhi, per cantare la vita.
Qualcuno dirà: "Ma se una mamma ha un figlio che è malato di cancro, può perdere tempo ad ascoltare le letture? può cercare le cose essenziali della vita?" La sua vita sarà tutta lì: è giustissimo! Ma non è, per fortuna, la cosa normale; e se quella madre andasse in chiesa soltanto quando ha un figlio malato, rischierebbe - io lo auguro a tutti - di non andarci mai.
Israele intuisce che il rapporto con Dio può basarsi non sul bisogno ma sulla gratuità e quindi in chiesa sempre! Per cantare la tua vita, per cercare le cose essenziali, per ritrovare lo stupore di fronte al creato, per cercare i valori fondamentali! Per ascoltare Dio, prima ancora di parlare a Dio! Noi siamo abituati, quando preghiamo, a dire tante cose a Dio; come avete sentito, l'Israele antico e poi il Vangelo ci dicono: "Sedete, ascoltate: Dio ha qualcosa da dirvi! Ha qualcosa da dire al profondo della vostra vita; ha da mettere semi di liberazione e di speranza nel vostro cuore; ha da aiutarvi a cercare le cose essenziali della vita!".
Ecco perché ci ritroviamo in chiesa ogni settimana e non soltanto quando ne abbiamo bisogno. Ma voi capite che il nostro ritrovarci qui rischia di diventare un "sabato" contro cui Gesù ha combattuto; rischia di diventare un'abitudine, un rito soltanto. E allora, proviamo, in questa settimana, ad invocare lo Spirito, perché, quando veniamo in chiesa, possiamo rispondere pienamente a questa chiamata di Dio: possiamo cercare Lui, il Suo volto, la Sua luce, cercare quello che veramente conta, possiamo vivere la gratuità nel rapporto con Lui. Non veniamo qui perché abbiamo bisogno di Te, Dio, ma perché Ti cerchiamo nella gratuità, perché in Te cerchiamo le vie della vita!
Il Signore ci aiuti!
Mosè disse al popolo: "Ricordatevi di questo giorno 11 ottobre 1998
in cui siete stati liberati dalla schiavitù dell'Egitto". Esodo 13, 3-5 - Matteo 26,17-26
"Il Maestro ti manda a dire che il suo momento
ormai è arrivato e che viene in casa tua
con i suoi discepoli a mangiare la cena di Pasqua".
Domenica scorsa abbiamo preso le mosse del discorso chiedendoci: "Perché si va al tempio nella tradizione religiosa?" E abbiamo visto che spesso l'uomo va al tempio spinto dai suoi tanti bisogni, a cercare aiuto e protezione.
Oggi proviamo a domandarci: "Dove si va al tempio? Dove erano (in gran parte lo sono ancora) costruiti i templi dei popoli?" I templi in genere si costruivano sulla montagna, su un alto luogo, verso il sole, verso la luce. Là si saliva lentamente, alla ricerca della divinità, del mondo delle cose spirituali, delle realtà eterne, lasciando in basso, lontano, le difficoltà della vita di ogni giorno, i problemi quotidiani, l'affanno di vivere.
Si entrava nel tempio superando un recinto sacro - spesso un alto muro - che separava nettamente lo spazio sacro dallo spazio profano. Prima di entrare (anche qui il senso della colpa), occorreva purificarsi, liberarsi da tutte le scorie della vita quotidiana, da tutto il cattivo del mondo: i problemi della vita di ogni giorno, la fatica: bisognava tutto lasciare fuori.
Là si andava ad incontrare Dio, a cercare la luce! E là si celebrava spesso il Sole, la Luna, i cicli della natura, l'eterno ritorno delle stagioni, l'inesorabile scorrere del tempo; là si celebravano i riti della fertilità dei campi, degli animali e degli uomini, così importante in quei tempi lontani.
E là, come potete immaginare, tutta una serie di sacerdoti, di sciamani, che raccontavano storie fantastiche e straordinarie di divinità, di angeli: parlavano di un altro mondo, bello e meraviglioso, ed avevano tutto l'interesse a descrivere il mondo come brutto e cattivo, ad invitare la gente a disprezzare le realtà materiali così cariche di negatività, che si erano lasciate laggiù, ai piedi della montagna. Si è andati lassù a cercare la luce.
E là, si celebravano riti molto suggestivi, capaci di colpire la sensibilità della gente, che si sentiva trasportata quasi in un altro mondo; e c'erano spesso, in quei santuari, degli sciamani capaci di cadere in "trance" e di mettere gli uomini a contatto con quello che è al di là: al di là di quello che si vede, con un mondo fatto di angeli, di spiriti, un mondo straordinario, un mondo di luce, verso cui l'uomo si sente chiamato, trascurando il mondo che vive ogni giorno, le cose della vita concreta.
Israele ha nella sua lunga storia una intuizione straordinaria, di cui noi siamo figli.
Nei tempi più antichi il popolo d'Israele ancora non esiste: ci sono alcune tribù di pastori nomadi, che vivono con i loro piccoli greggi di pecore, di capre, ai margini del deserto. E ogni tanto le grandi potenze - l'Egitto da una parte, la Mesopotamia dall'altra - vengono ad invadere le loro terre: è una guerra di conquista e di razzia. I pastori spesso riescono a fuggire, perché conoscono bene il deserto; riescono quasi sempre a mettere in salvo se stessi e i propri greggi; ma qualche volta la razzia porta via cose, animali ed anche uomini, per farne schiavi...
E succede che alcuni vengono portati in Egitto; e là sono costretti a costruire le case di paglia e fango, dove abitano gli artigiani egiziani, addetti a costruire le grandi piramidi. Loro non possono costruire le piramidi, fanno gli schiavi... quella è opera di gente che sa lavorare. Non si fugge dall'Egitto, perché ci sono i soldati che sorvegliano attentamente le frontiere; c'è in mezzo il mar Rosso e poi il deserto.
Ma un gruppetto di uomini - 2, 3, forse 5 chissà - riescono a fuggire, un'avventura attraverso le paludi del delta del Nilo e poi attraverso il deserto, che loro conoscono, perché sono pastori che sanno dove trovare i pozzi che permettono di sopravvivere; e riescono a tornare a casa. E nelle sere, intorno al fuoco, raccontano di terre lontane, della schiavitù e del lungo cammino per riuscire a fuggire. È un evento piccino, se volete: 5 o 6 persone che sono riuscite a fuggire dall'Egitto, hanno lasciato la schiavitù dietro le loro spalle e vanno verso il futuro.
Questo racconto, che viene ripetuto nelle notti, piano piano diventa il cuore della fede di Israele: "Non è lassù, sui monti, nei recinti sacri, che si incontra Dio; ma là, in quel cammino di liberazione, noi abbiamo fatto esperienza di Dio!" E piano piano questo racconto diventa l'epopea straordinaria di tutto il popolo che attraversa il mar Rosso fra due muraglie di acqua e cammina trionfalmente verso la libertà, verso una terra dove scorre il latte e il miele.
È chiaramente un simbolo della fede di questo popolo che sa di incontrare Dio non sulla montagna, non nei recinti sacri, non lontano dalla vita, ma in un cammino di liberazione! Là, dove l'uomo diventa libero, là dove si butta dietro le spalle la negatività - ogni schiavitù è una ingiustizia - là si fa esperienza di Dio! Il Dio in cui Israele crede non si trova volgendosi indietro, quando si cerca un appoggio nel momento del bisogno, ma è il Dio che cammina davanti, che chiama alla libertà, che invita a costruire il futuro.
E Israele affida la memoria di questo evento ad una celebrazione da ripetere ogni anno. E qui l'altra grande intuizione di Israele: una celebrazione lontana dai templi, libera dall'influenza dei sacerdoti, una celebrazione da fare in ogni casa, dove ogni padre può spiegare ai sui figli il senso dei gesti che si compiono, ricordare a tutti la chiamata di Dio alla libertà.
Di questa fede noi siamo figli: come avete ascoltato oggi nel Vangelo, Gesù ha collocato l'Eucarestia dentro la festa di Pasqua, nella memoria di questo cammino, che ricorda all'uomo, ogni volta che lo celebra: "Tu sei stato schiavo in Egitto. Mai più la schiavitù! E ogni volta che tu fai un passo verso la libertà, ogni volta che cresce in te lo spazio della vita, lo spazio della gioia, ogni volta che vai verso 'una terra dove scorre latte e miele', là fai esperienza di Dio!".
Vedete quanto lontano da questo è l'Eucarestia che diventa soltanto un rito, che diventa un'abitudine, avulsa dalla vita di ogni giorno! Qualche volta vi hanno detto: "Venendo in chiesa, lasciate fuori tutti i pensieri della vita quotidiana, lasciate fuori gli affanni di ogni giorno i problemi del lavoro, del mondo del denaro, dell'economia, della politica. Lasciateli tutti fuori dalla chiesa, perché in chiesa si va a cercare Dio, i valori dello spirito, le realtà eterne". NO! Dio sta là, dentro quei problemi! Quando l'uomo diventa più libero, quando c'è più benessere, quando c'è più libertà per tutti, quando c'è un cammino verso un futuro migliore, là si fa esperienza di Dio!
E il nostro ritrovarci qui insieme dovrebbe essere sempre una tappa del nostro cammino di liberazione: incontrare il Cristo che è venuto a proclamare la beatitudine di chi ha fame e sete di giustizia, di chi vive la passione per la pace, di chi cerca di costruire un futuro più giusto. Qui noi dovremmo fare memoria di Lui e sentire ancora la forza della Pasqua che celebriamo ogni domenica! Dovremmo ricordarci, ogni volta che entriamo in chiesa, che è importante portare con noi i problemi della vita quotidiana, cercando QUI la luce, i semi di liberazione e di speranza, per tornare poi nella vita di ogni giorno ed essere anche noi testimoni del Dio della liberazione e della vita! Di un Dio che si è fatto carne, Dio che ha condiviso con passione il cammino dell'uomo, verso una vita migliore, verso una terra più bella, dove scorre il latte e il miele!
Per noi non è semplice! Siamo tentati dal rito; nella nostra esperienza religiosa ancora, spesso, ci descrivono il mondo come brutto e cattivo, ci invitano a fuggirlo, a salire anche noi sull'alto monte, e ci propongono esperienze che magari ci commuovono, se volete ci fanno spuntare una lacrima... ma che non ci toccano nella vita di ogni giorno. Ci pesa il coraggio della speranza, la fatica della ricerca. Eppure, è la vita di ogni giorno l'unico luogo in cui veramente possiamo incontrare Dio e fare esperienza di Lui!
Il Signore ci aiuti!
Mosè disse: "Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore l8 ottobre 1998
ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole". Esodo 24, 2-8 - Luca 22,19-20
Dopo aver cenato prese il calice dicendo: "Questo calice
è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi".
Eccoci alla terza riflessione sulla Messa: siamo partiti da lontano, soffermandoci su alcune delle intuizioni fondamentali della nostra fede. La prima riflessione era sul "Sabato", la seconda sulla Pasqua, oggi affrontiamo un altro concetto fondamentale : quello di "Alleanza". Volete sorridere un po'? Lo scorso anno si erano create nelle nostre discussioni - che poi hanno portato a queste riflessioni - due scuole di pensiero: qualcuno diceva che la parola "alleanza" fosse da conservare; qualcuno sosteneva che la parola "alleanza" fosse una parola arcaica, che era bene sostituire con "patto di fraternità" o "impegno con Dio" o "impegno per la giustizia" o altre espressioni del genere. Come vedete, siamo arrivati a discutere delle parole, perché ci sembrava di aver scoperto qualcosa di importante, anzi di fondamentale per il nostro ritrovarci insieme; ma, come vedrete, anche qualcosa di molto difficile. Vediamo se mi riesce di spiegarvi di cosa si tratta. Un passo indietro e ancora una richiesta di pazienza, se il discorso si fa un po' più lungo in queste domeniche.
Ci siamo domandati, nelle domeniche precedenti, perché si va al tempio, quando si va al tempio, dove si va al tempio. Forse ricordate che dicevamo: si va al tempio sugli alti luoghi, cercando la luce e la divinità, allontanandosi dai problemi quotidiani; si va al tempio per celebrare riti, cerimonie a volte molto suggestive e complesse, ma lontane dalla vita; si va al tempio, dicevamo, per invocare la benedizione e la protezione del Signore. Questo comporta una conseguenza che nel corso della storia diventa drammatica per la religiosità degli uomini.
Perché? perché si rischia di non sentire più l'incontro con Dio come un impegno etico: se si va al tempio dimenticando le cose di ogni giorno, per celebrare dei riti, per invocare protezione, potete immaginare che nei tempi antichi il commerciante andava nel tempio a fare la sua offerta, senza preoccuparsi se quella offerta era frutto di commerci più o meno legittimi, di sfruttamento del suo prossimo. Il soldato che andava al tempio per ricevere la benedizione prima di partire per la guerra, non si chiedeva se la sua guerra fosse giusta: quello che cercava era la benedizione del Signore. Il padrone che aveva acquistato al mercato uno schiavo, lo portava al tempio perché il sacerdote lo benedicesse, in modo che stesse bene e producesse; non si domandava se fosse legittima o no la schiavitù.
Ed ecco, allora, che Israele ha una intuizione, nel rapporto con Dio deve entrare un concetto per gli antichi fondamentale: il concetto dell'alleanza.
Perché fondamentale per gli antichi? Perché, vedete, gli antichi ebrei non avevano leggi, non avevano stato, non avevano regolamenti nemmeno per i rapporti fra vicini (tanto meno regolamenti internazionali...). Se c'era una controversia per il pozzo, che cosa bisognava fare? mettersi d'accordo; a volte tra gli antichi bastava una stretta di mano e quella stretta di mano doveva valere come un contratto ecc.
E quando le cose riguardavano problemi più grandi o i rapporti tra due tribù, si faceva una alleanza: un rito che a volte comportava un sacrificio e magari, come avete ascoltato, un rito di sangue: i due capi si facevano un graffio sul braccio, univano le due braccia e dicevano: "Adesso abbiamo fatto un patto di sangue". È un patto che vale per la vita, che non può essere violato: si rischia di incorrere in tutte le maledizioni, che si invocavano reciprocamente; questo era l'unico modo per sancire i rapporti, per stabilire i limiti della giustizia. Le esigenze etiche venivano ribadite e sigillate da un patto.
Israele intuisce che con Dio è lo stesso: "Dio ci propone un patto: un patto che si basa sull'impegno di Dio con noi e sul nostro impegno ad osservare la Sua parola, a vivere i suoi comandamenti". E la legge, nella Bibbia, comincia quasi sempre con le parole: "Ricordati che eri schiavo in Egitto". Mai più schiavo! mai più fare schiavi degli uomini! E via discorrendo.
Dunque, Israele mette nel cuore della sua fede, del suo rapporto con Dio, un patto di alleanza, un impegno; sente l'impegno di Dio con l'uomo, a camminare con lui, ad andargli davanti, a guidarlo; e sente che l'uomo, se vuole essere credente, deve vivere un impegno etico davanti a Dio. E questo impegno deve arricchirsi di passione per il bene, di ricerca della giustizia, di valori, di autenticità. Qual è il rischio? - un rischio che si è corso nella storia religiosa, anche ebraica - il rischio è che ci sono i soliti sciamani, i soliti preti, che stabiliscono loro le leggi. E sono spesso leggi rituali: su come ci si deve comportare quando si va a fare il sacrificio, come ci si debba purificare, quali tasse bisogna pagare (la decima della ruta...).
E Gesù, quando arriva, si deve ribellare a tutto questo, ad una legge che è diventata senza anima! Non c'è più la passione per la giustizia! Ma Gesù vuole mantenere nel cuore della fede - ed anche del nostro ritrovarci qui - l'impegno d'alleanza! Ricordate la parola, quella parola così inquietante per noi, che ci ritroviamo qui ogni domenica: "Se stai per presentare la tua offerta all'altare e ti ricordi che qualcuno ha qualcosa contro di te, lascia l'offerta, va' a riconciliarti e poi torna all'altare! Altrimenti le tue preghiere, i tuoi riti non servono a niente; non serve il tuo stare qui se non c'è dietro una voglia di pace!" (Badate che non dice: "Se tu hai fatto qualcosa a tuo fratello", ma "se tuo fratello ha qualcosa contro di te": il tentativo di far la pace! Non sempre si può; e questo vi dimostra come il discorso che vado facendo sia estremamente complesso per noi).
E, come avete sentito, proprio nella Cena Gesù rinnova il concetto dell'alleanza: "Questa è la nuova alleanza". Quindi il nostro ritrovarci qui dovrebbe essere un rinnovare l'impegno con Dio, l'esigenza etica!
Ma noi siamo stati educati, purtroppo, in un altro modo; e ci sono molti che non si sorprendono se nel covo del boss della mafia si trovano immagini religiose: tante immagini di santi, di padre Pio. Se il frate va a celebrare la Messa nel covo del boss, né lui né gli altri sacerdoti si preoccupano più che tanto! E ancora: le offerte che si raccolgono in chiesa, si raccolgono per onorare Dio, fanno parte di un rito religioso: nessuno si preoccupa di sapere che uso se ne fa; se finiscono magari in affari poco chiari...
Uno degli episodi più inquietanti per me (ma mi sembra che pochi se ne sono preoccupati) negli ultimi tempi della vita della Chiesa italiana, è questo: si celebra a Palermo il grande Congresso nazionale della Chiesa italiana. Canti, suoni, celebrazioni suggestive, grandi discorsi, belle parole! Arriva anche il Papa, per solennizzare questo grande convegno. Il Sindaco della città dice: "Se c'è quel vescovo, io non vengo". Ci si aspetterebbe: "Alt! Fermi tutti! Ragioniamo: se ha ragione il vescovo, dobbiamo difenderlo usque ad effusionem sanguinis (come dicevano gli antichi): a rischio del martirio! Ma se ha ragione il sindaco, dobbiamo prendere provvedimenti". Che cosa è accaduto? nulla! I soliti discorsi, i soliti canti, le solite Messe, le solite celebrazioni, i soliti applausi al Papa! Nemmeno una parola di questo fatto, drammatico per la Chiesa italiana! Perché, se c'è un vescovo che è colluso con la mafia, per noi è un problema serio! Che senso ha continuare a celebrare l'Eucarestia, come se nulla fosse accaduto!
E se volete riflettere ancora: ci apprestiamo a celebrare il grande giubileo del 2000: ancora canti, suoni, applausi, folle di pellegrini, celebrazioni straordinarie, messe suggestive: non vi sembra che in quest'ultimo scorcio di millennio c'è un problema drammatico, su cui non abbiamo riflettuto? In questo secolo 6 milioni di persone sono morti nei campi di concentramento nazisti, nella sostanziale indifferenza dei credenti! Come uomini, come credenti, come cristiani, dovremmo dire: "Che cosa è successo? Perché non ce ne siamo accorti? Perché abbiamo chiuso gli occhi? Che cosa abbiamo fatto, quando ascoltavamo il Vangelo e celebravamo l'Eucarestia?" E non serve puntare il dito - qualcuno l'ha fatto - contro Pio XII... Non c'entra, Pio XII! È ora di finirla di pensare che la colpa sia solo di uno! Tutti noi, tutti quelli che c'erano, non hanno visto!
Ed ancora oggi, in Africa: i Tutzi e gli Utu si scannano! e sono credenti e celebrano la Eucarestia! Riti, canti, preghiere, musiche... Ma l'alleanza con Dio esige che ci poniamo seriamente i problemi della giustizia!
Ma non è facile; lo so, non è facile! Io sto parlando di altri, di fatti che capitano lontano da noi e dovremmo parlare della nostra vita concreta, dei problemi delle nostre famiglie, del nostro lavoro, della nostra città... E tutti sapete quanto sia difficile, a volte, solo capire quali sono le esigenze della giustizia, per non parlare poi del metterle in pratica. Eppure il nostro ritrovarci qui la domenica ha senso solo se ci aiuta a rinnovare l'alleanza con Dio, se contribuisce a nutrire la nostra fame e sete di giustizia. Il Signore ci aiuti.
Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento 25 ottobre 1998
degli apostoli e nell'unione fraterna, nella Atti 2, 42-47 - Matteo 14, 13-21
frazione del pane e nelle preghiere.
Gesù prese i cinque pani e i due pesci, li spezzò e
li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono...
Tutti mangiarono e furono saziati.
Nelle nostre riflessioni sull'Eucarestia siamo partiti da lontano, dalle grandi intuizioni della fede di Israele, che è anche la nostra fede. Abbiamo parlato, se ricordate, del Sabato, della Pasqua, dell'Alleanza. Adesso ci conviene affrontare i Vangeli: che cosa ha fatto Gesù? qual era la sua intenzione? cosa ne hanno capito i primi Cristiani? Come sapete il tema è vastissimo e io devo fare in fretta. Abbiamo preparato fin dallo scorso anno un elenco dei passi del Vangelo che, secondo noi, si riferiscono all'Eucarestia. Uscendo troverete i fogli ai lati della porta; chi ha un po' di tempo e un po' di voglia può leggere tutti i passi in cui nel Nuovo Testamento si parla di Gesù, dei suoi pasti con i discepoli e con la gente. Io cerco di dirvi le cose che mi sembrano importanti, partendo anche qui un po' da lontano.
E partiamo proprio dalla prima lettura di oggi, che secondo gli studiosi è uno dei testi più antichi del Nuovo Testamento; ci parla dei primi tempi dopo la morte di Gesù. Come avete ascoltato, i discepoli continuavano ad andare al tempio regolarmente e poi la sera spezzavano il pane: "erano assidui nella frazione del pane". Questa è la prima parola usata per indicare l'Eucarestia: anche noi qui, ogni domenica, intorno alla tavola spezziamo il pane!
I discepoli si ritrovano, dunque, intorno alla tavola, per spezzare il pane e far memoria di Gesù. E questo diventa per loro il cuore della fede! E ad un certo punto lasceranno il tempio, abbandoneranno i riti antichi. E pian piano tentano di capire: il Vangelo ci riporta i tentativi dei primi discepoli di comprendere. Il Vangelo, lo sapete, non è come i libri di oggi, non ama i lunghi discorsi, si esprime attraverso parabole, racconti simbolici. E quindi dobbiamo avvicinarci a questi simboli, che sono il tentativo dei primi Cristiani, di capire Gesù e il suo dono.
Se aprite il Vangelo trovate, con una certa sorpresa, alcuni testi che riguardano il mangiare: testi curiosi. Per esempio, i discepoli camminano lungo un campo di grano; trovano delle spighe, le sfregano fra le mani per prendere i chicchi di grano e li mangiano. I farisei protestano: "Non si colgono le spighe il giorno di sabato! Il sabato è sacro, non si lavora". E cogliere due spighe, da parte di poveri viandanti affamati, può sembrare lavoro?!
Ancora i discepoli - e anche Gesù - quando si mettono a tavola, non fanno i riti di purificazione, non si lavano le mani. Non si tratta di igiene, ma è un purificarsi da tutte le impurità della vita quotidiana. E ancora si dice che i discepoli non osservano il digiuno: sono discepoli di un maestro che è "un mangione e un beone"; a differenza dei farisei, che invece fanno lunghi digiuni e osservano complicate regole rituali.
Tutto questo è il tentativo di capire perché Gesù li ha riuniti intorno ad una tavola senza regole, senza riti; una cena semplice e fraterna, in cui invece è importante cercare l'essenziale, lasciandosi alle spalle tutto il pesante ritualismo che gli sciamani e i preti - anche i preti di Israele - avevano messo intorno al tempio. E non solo riti complicati, ma anche divisioni ed esclusioni: qui possono arrivare solo i preti, qui i laici, qui le donne non possono entrare; i pagani possono stare solo di fuori. E poi tutti i riti di purificazione: perché preti e sciamani hanno tutto l'interesse a mettere il senso di colpa nel cuore della gente... E questo senso di colpa era oppressivo al tempo di Gesù: ci si sentiva in colpa per qualunque cosa: per non essersi purificati prima di mangiare, per aver colto una spiga nel giorno di sabato...
I discepoli intuiscono che Gesù vuole spazzar via tutti questi riti e tabù: quello che conta è la fame e la sete della giustizia, la passione per la vita; quello che conta è il ritrovarsi intorno alla tavola con semplicità, ma con la passione nel cuore, con il desiderio delle cose autentiche della vita!
È un'intuizione fondamentale del Signore! Ma voi dalla storia sapete che anche la nostra messa è diventata, in questi 2000 anni, regola, rito, preghiere che si ripetono stancamente! Quante volte ci siamo sentiti domandare: "Perché non dite più il Gloria?" Molte persone sembrano attaccate alle ripetizioni rituali. E poi l'obbligo! guai a non andare a messa la domenica: ci dicevano: "Si va all'inferno!" E rischia di mancare il senso autentico di un rapporto vivo con Dio!
E, nel corso di questi 2000 anni, quanti sensi di colpa legati all'Eucarestia! quanta gente fra voi ha avuto scrupolo nel fare la Comunione, quanta gente si è sentita allontanata da Dio!
Era così anche allora; ecco perché in molte pagine del vangelo trovate che, intorno alla tavola di Gesù, non ci sono i sacerdoti, i giusti di Israele, i maestri della Legge, ma la povera gente! E rimproverano Gesù, perché mangia con i peccatori, con i pubblicani, con la gente della strada, con quelli che hanno il cuore pesante! E Gesù per questo ha raccontato parabole straordinarie: la parabola del Padre misericordioso; e avrete notato che finisce con un grande banchetto! Quello che facciamo noi intorno alla tavola! E nel Vangelo trovate Gesù a mangiare in casa di Zaccheo e in casa di Matteo! È venuto a mangiare con gente dal cuore pesante, è venuto a cercare di togliere i pesanti sensi di colpa, tanto cari agli sciamani di tutti i tempi! Anche a quelli dei nostri tempi. Perché, più voi avete sensi di colpa e più dipendete da loro; e più vi assolvono, più dipendete dalle loro assoluzioni!
Gesù ha tentato di portar via tutto questo: non è riuscito! Siamo ancora qui intorno alla tavola, anche noi a tentare di capire, anche noi a ridirci le stesse parabole...
Ma c'è - se vogliamo andare al positivo - un piccolo fatto che è diventato il simbolo più importante per capire l'Eucarestia. All'inizio doveva essere solo un fatto piccolo piccolo. E non vi meravigliate: come vi ho detto, è stato così anche per la grande epopea di Pasqua. Probabilmente una sera i discepoli si son ritrovati all'ora di cena, e avendo parlato a lungo con Gesù, si erano dimenticati di procurarsi qualcosa da mangiare! "Non c'è pane: come si fa?" - "Ma non c'è proprio niente, qui?" Un discepolo avrà alzato la mano: "Io abito qui vicino; qualche pezzo di pane forse lo rimedio". Va a prendere qualche pagnotta, la porta e si può condividere il pane! È la gioia di condividere qualcosa, l'allegria che si ritrova: è la vita che si moltiplica! E non tanto perché si è mangiato in abbondanza, quanto perché qualcuno ha messo in comune quel poco che aveva. E poi questo piccolo racconto diventa - come avete sentito - una grande epopea: cinquemila uomini, sette ceste avanzate, tutti sfamati da Gesù!
Ma quello che importa è il simbolo, che permette di comprendere cosa facciamo intorno a questa tavola. Intorno a questa tavola condividiamo la vita, tentiamo di metterla in comune, tentiamo di condividere quello che abbiamo! Anzi: quello che siamo! E questo racconto lo trovate per ben sei volte nel Vangelo: è l'episodio che più è ripetuto nel Vangelo. Esprime il senso profondo di quello che facciamo qui: non riti, non sensi di colpa; ma il tentativo di metter in comune quello che siamo! E se mettiamo in comune quello che siamo, se siamo capaci di condivisione, se prendiamo passione gli uni per gli altri, allora la vita si moltiplica! allora la vita diventa più bella! allora Gesù è veramente in mezzo a noi!
Ritorneremo su questi temi, perché li ritroveremo tutti nell'ultima Cena: la lavanda dei piedi, il pane spezzato, la vita moltiplicata!
Intanto, fermate la vostra attenzione su questi tre aspetti, che volevo mettervi davanti oggi:
= al di là del rito, dell'obbligo, una cena fraterna in cui si cerca insieme l'essenziale della vita!
= non il senso di colpa, non l'oppressione del peccato, ma festa di peccatori, che si ritrovano con Gesù per sperimentare la voglia di camminare ancora!
= e poi, un po' di pane spezzato e condiviso, segno della vita che si condivide, che si moltiplica; l'impegno a portar fuori la tenerezza e la fame e la sete di giustizia; la voglia di spartir la vita con chi ci sta accanto ogni giorno!
Non è semplice per noi! Per questo ci ritroviamo qui ogni domenica. Per questo non ci stanchiamo di celebrare la Eucarestia: che non diventi un rito, che non diventi un obbligo, che non ci metta sensi di colpa, dentro! Ma che sia un incontro con Gesù, in un cammino di liberazione!
Lui ci aiuti!
Nella notte in cui fu tradito il Signore Gesù... 1 novembre 1998
spezzò il pane e disse: "Questo è il mio I Cor 11,23-25 - Giovanni 13,1-14
corpo che è dato per voi".
Gesù cominciò a lavare i piedi ai suoi
discepoli... Poi disse: "Anche voi dovete
lavarvi i piedi gli uni gli altri".
Le letture che abbiamo appena ascoltato ci portano nel cuore del nostro ritrovarci qui insieme, la domenica e quindi nel cuore della nostra fede. Occorre, però, stamattina, un po' di fantasia. Provate ad immaginare un gruppo di Cristiani del tempo in cui le parole, che abbiamo lette, erano appena state scritte: un gruppo di persone semplici, riunite in una casa comune, intorno ad una tavola comune; sulla tavola soltanto un po' di pane e un po' di vino: le cose più semplici della vita di tutti i giorni, le cose che non mancano mai in una casa - almeno delle famiglie degli Ebrei, ma anche di tutto il bacino del Mediterraneo - e possono quindi diventare simbolo del quotidiano.
Intorno a quella tavola i primi Cristiani prendevano pian piano coscienza che Gesù li aveva portati lontano dal tempio, dai riti antichi, dal ripetere tradizioni antiche di secoli; e si rendevano anche conto che Gesù li conduceva fuori dallo spazio sacro che anche in Israele, come in tutte le tradizioni religiose, era stato costruito. Uno spazio "sacro", accuratamente separato dal mondo profano, dalla vita di tutti i giorni. Cominciavano a capire che per Gesù la fede ha senso solo se si vive dentro la vita di ogni giorno: là dove gli uomini lavorano, lottano per la giustizia, cercano la pace; dove non mancano ingiustizie e persecuzioni, là Gesù voleva collocare il segno di sé, la memoria della sua vita!
Credo che questa sia una cosa fondamentale per comprendere l'intenzione di Gesù nell'istituire l'Eucarestia: un po' di pane, un po' di vino, una tavola comune, la gente di tutti i giorni intorno a quella tavola. Qualcuno di voi domanderà: "Ma dov'è oggi questa tavola? Il prete, Lei, ha dei vestiti strani, tutto rischia di diventare rito e abitudine; si ripetono parole lontane dalla nostra vita di ogni giorno". È vero, fratelli! E questo è il dramma delle nostre Eucarestie. Abbiamo rifatto gli spazi sacri, perché vogliamo difenderci da Dio: perché un Dio che fa irruzione nel concreto della nostra vita, è pesante per noi!
E se diamo uno sguardo ai grandi gesti simbolici che tentano di spiegare il senso profondo dell'Eucarestia ritroviamo tutta la difficoltà dell'uomo a capire, la sua voglia di diffidare di Dio, il desiderio di tenerLo lontano. Abbiamo ascoltato oggi il ricordo di un gesto: si trova nel Vangelo di Giovanni; ma vorrei ricordarvi anche l'altro gesto, a cui negli altri Vangeli è affidato il compito di rendere il senso profondo della Cena di Gesù: è il gesto della donna che entra nella sala; ha in mano un vaso di profumo preziosissimo, e lo spezza per un gesto di tenerezza e di attenzione verso Gesù! È una donna straordinaria: sa guardare, sa accorgersi di chi ha bisogno di una sua carezza e quando se ne accorge non calcola più. È simile a quello che abbiamo ascoltato oggi: Gesù si china a lavare i piedi ai suoi discepoli e dice: "Come ho fatto io, fate anche voi".
Ricordate: anche davanti alla donna che spezza il vaso di profumo, i discepoli protestano, per i soldi sprecati; anche quando Gesù si china a lavare i piedi, Pietro alza la sua voce... Siamo noi... siamo noi che ci ribelliamo, che diciamo: "No, Gesù! Va' da un'altra parte. Perché ti chini a lavarmi i piedi? Se tu mi lavi i piedi, anch'io devo lavarli agli altri! Se quella donna versa il profumo, chissà che anche io non debba vivere la gratuità, la capacità di tenerezza... Lascia! È meglio che io venga in chiesa quando ne ho bisogno; è bene che il tempio rimanga uno spazio sacro! La vita di ogni giorno è un altra cosa: abbiamo bisogno di tante cose, abbiamo da correre, abbiamo tante cose di cui preoccuparci. Poi, quando abbiamo bisogno - magari bisogno di una grazia, di una benedizione - verremo in chiesa. Ma così, non inquietarci!"
Eppure per i primi cristiani quei gesti sono il simbolo che permette di entrare nel cuore di Gesù: intorno a quella tavola dove c'è gente comune, dove pulsa la vita di tutti i giorni, un gesto di tenerezza e di attenzione, di servizio. A casa ritroviamo il pane e il vino ed è là - nel concreto della nostra vita - che dovremmo portarci dietro questo segno dell'attenzione verso l'altro, questa voglia di tenerezza, questa capacità di servizio! A volte si tratta di gesti semplici e quotidiani - una carezza un sorriso, un gesto di tenerezza - forse è per questo che i primi Vangeli preferiscono il gesto della donna che sparge il suo profumo.
Badate bene: quando parlo di servizio, non parlo di quei gesti, pur importanti, come andare all'ospedale a curare qualcuno, occuparsi (come oggi vi chiederemo) di qualche bambino che ha bisogno di aiuto nello studio. Il vero servizio è la tenerezza di ogni giorno, è la capacità di guardarci negli occhi, è la capacità di condividere la vita, è la capacità di accoglierci l'un l'altro così come siamo; è il lavoro fatto con dedizione ed onestà; è la cura dei figli; è la passione per gli amici, è la voglia di stare insieme, è l'allegria portata intorno a noi!
Gesù voleva che l'Eucarestia fosse proprio nel cuore della vita di ogni giorno e nel cuore della nostra fede, perché è una sola cosa, per Lui, e fede e vita! Nel momento in cui quest'unità si spezza, usciamo fuori dalla sua intuizione. Ed è importante che noi portiamo nella vita vissuta il ricordo di questi gesti: una donna che spezza un vaso di profumo, Gesù che si china a lavare i piedi.
E adesso possiamo volgere lo sguardo al gesto che ripetiamo ogni volta che ci ritroviamo qui, insieme: Gesù prende il pane che è sulla tavola, lo spezza: "È per voi. È la mia vita donata". A questo gesto, a questo simbolo Gesù affida la memoria di sé, della sua vita: è un segno che esprime il dono di sé, la gratuità, la vita condivisa. E poi il calice: "È la nuova alleanza": è l'impegno di amore e di fedeltà che Gesù prende con noi; è l'invito - a noi - alla fedeltà e all'impegno. Un pane spezzato, il calice condiviso!
Chi sa se riusciremo a togliere tutto il ritualismo, che ci impedisce di vivere pienamente la memoria di Gesù, chi sa se riusciremo ad impedire che le nostre celebrazioni diventino uno spazio "sacro", fuori dalla nostra vita concreta? Qui noi veniamo a cercare il senso più profondo ed autentico di quello che siamo, del nostro stare insieme, il senso vero della nostra vita.
E la vita trova il suo senso più profondo nella gratuità: nel saper condividere, nel donarci l'uno all'altro; nel servizio di ogni giorno; nel lavoro fatto con attenzione, con dedizione; in tutte le cose che riempiono la vita di gioia, di tenerezza, di pienezza!
Non è semplice, per noi. Per questo ci ritroviamo qui ogni domenica e non ci stancheremo di spezzare il pane! Ma che non diventi un rito! Che cadano le nostre resistenze, i nostri pretesti, per difenderci da Dio, da Gesù, da questo gesto vuol essere il cuore della nostra vita: così, almeno, lo ha pensato Lui!
Il Signore ci aiuti.
"Questo giorno sarà per voi un memoriale: lo celebrerete 8 novembre 1998
come festa del Signore... come un rito perenne". Esodo 12, 1-14 - Giovanni 14, 8-10
Gli disse Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta".
E Gesù: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai
conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre".
Se mi riesce, stamattina, tento di attirare la vostra attenzione su due parole che ci aiutano a capire quello che facciamo qui, insieme, la domenica: una credo che sia molto familiare, nel linguaggio religioso, specialmente a chi ha qualche anno di più; l'altra parola, invece, credo che non lo sia per molti di voi, anche se la sentite ripetere più volte durante la messa.
La prima parola è SACRAMENTO, la seconda è MEMORIA - MEMORIALE.
Dunque, la parola sacramento è familiare a tutti noi: quando eravamo ragazzi e andavamo al catechismo, abbiamo imparato che i sacramenti sono sette; e sapevamo anche elencarli: Battesimo, Cresima, Eucarestia, Penitenza etc ...
Non so se la mia esperienza è simile alla vostra: quando spiegavano i sacramenti, parlavano di sette riti, sette gesti, che comunicavano la "grazia" del Signore, che procuravano la "salvezza" che viene da Dio. Per cui alcuni questa grazia, questo favore di Dio l'avevano e altri no. Provavo una certa inquietudine, già quand'ero bambino, nel sentir dire che se un bambino moriva senza battesimo, finiva al Limbo! Mi sembrava assurdo che qualcuno dovesse essere escluso dall'amore di Dio, senza alcuna colpa. Ecco, il sacramento era come un sigillo, che distingueva l'uno dall'altro.
Ma anche quando mi parlavano della Messa, mi descrivevano i suoi effetti: a quel tempo, soprattutto per le anime del Purgatorio. Se si diceva la Messa per qualcuno che era morto, si portava a lui un sollievo. E le messe costavano anche dei soldi... E ricordo, quand'ero giovane - queste cose allora mi stupivano - una signora molto anziana che diceva: "Ma può essere che Dio a chi ha parenti con molti soldi, conceda una più rapida liberazione dal Purgatorio, mentre chi non ha soldi deve rimanere a patire di più?" Ho fatto anch'io molte volte i "primi venerdì" pensando di assicurarmi il Paradiso...
Il matrimonio: mi dicevano che era un rito che costituiva la famiglia, il sigillo di Dio sui due sposi. Per cui, chi si era sposato in chiesa, era veramente sposato; chi non era sposato in chiesa, al tempo si chiamavano (anche con qualche polemica: chi ha i capelli bianchi lo ricorderà) "pubblici concubini"!... Questo, man mano che crescevo mi inquietava, perché vedevo che c'erano delle persone, sposate in chiesa, che non si volevano bene e poi finivano col dividersi; ed altre persone - che non s'erano sposate in chiesa - che invece si amavano sul serio...
E allora mi chiedevo: "Ma cos'è un "sacramento"? Perché chi lo riceve ha il favore di Dio e gli altri no? Può essere una cosa che, addirittura, discrimina la salvezza eterna!" Poi, pian piano ho cominciato a capire e le mie difficoltà si sono in gran parte dissolte: ho incontrato nel cammino della mia vita (io sono stato fortunato) dei maestri che mi hanno aiutato a capire, soprattutto uno che, ricordo, cominciava il discorso sui sacramenti parlando di Gesù "Sacramento di Dio".
Allora, era tutta un'altra cosa! il sacramento non è un gesto, un rito che produce degli effetti; ma è un simbolo, un segno. Ora, tutta la nostra vita è intessuta di riti - anche se non li chiamate sacramenti -, ma, ad esempio, quando c'è un compleanno in famiglia, nelle vostre case si prepara una torta con delle candeline: è un segno, un simbolo della vita, dell'amicizia che c'è in casa, della tenerezza che c'è tra voi. Qualche volta ci scambiamo una stretta di mano, più o meno calorosa; o un bacio: è il simbolo dell'affetto (è vero: può esserci anche il bacio di Giuda! Il bacio del tradimento! qualche volta i nostri segni non esprimono la verità! Ma di questo parleremo un'altra volta).
Dunque, noi uomini abbiamo bisogno di segni: come posso dire ad uno che gli voglio bene? ho bisogno di tante parole, ma, a volte, un bacio dice più di tanti discorsi. Le cose più profonde della nostra vita, le cose più autentiche, noi le esprimiamo attraverso dei simboli, attraverso dei segni. I segni non sono la realtà, ma la mostrano, la esprimono, ne svelano il senso.
Ora provate a pensare: la realtà più profonda dell'esistenza è Dio, e Lui certo è più grande di ogni parola; ognuno di noi è tentato di immaginarseLo a sua immagine. Noi siamo qui perché crediamo che Dio Lo conosciamo in Gesù di Nazareth: nei suoi gesti, nelle sue parole noi abbiamo, in qualche modo, fatto esperienza di Dio, abbiamo toccato con mano qualcosa della sua luce! Ecco perché vi ho letto stamattina questa pagina del Vangelo, che è stata, nella mia vita, fondamentale! Filippo domanda a Gesù: "Mostraci il Padre" - "Ma come! Da tanto tempo sei con me; chi conosce me, conosce il Padre". Noi facciamo esperienza di Dio attraverso la vita di Gesù, attraverso la sua persona, attraverso le parole che Lui ha detto, i gesti concreti della sua vita tra di noi.
E in Gesù non soltanto facciamo esperienza di Dio, ma anche di che cosa sia veramente essere un uomo: quali sono i valori "veri" che fanno grande un uomo? Noi siamo qui perché riconosciamo che la fame e la sete di giustizia che Gesù si portava nel cuore, la sua passione per la vita, la sua tenerezza, il suo coraggio, sono i valori che fanno grande un uomo!
Allora, ecco: il vero "sacramento" è Gesù! È Lui che ci fa sperimentare, ci fa toccare con mano Chi è Dio e chi siamo noi. E allora il gesto che Gesù ci ha lasciato, il suo invito a ritrovarci, come una famiglia, intorno alla tavola per spezzare il pane, non è tanto una cosa per cui, se uno fa la Comunione, diventa più buono, o libera prima i suoi cari dal Purgatorio, mentre i Cinesi, che non la fanno, non possono avere niente di tutto questo.
Quello che noi facciamo qui è un segno, è un simbolo; simbolo della vita, di quello che noi siamo e simbolo di Dio. Quando vi domandate "Chi è Dio?", pensate a Gesù! Quando vi parlano di un dio che punisce, che manda i castighi, ricordate che qui noi siamo convocati intorno alla tavola per la festa che Dio fa per gente come noi, che siamo peccatori. Quando vi domandate cosa sia veramente importante nella vita, pensate che qui Gesù pone, in mezzo a noi, il segno della vita condivisa, della vita donata: si fa pane per nutrire la nostra fame e sete di giustizia! Simbolo, quindi, di quello che noi siamo, di ciò che può essere la nostra avventura di ogni giorno, il nostro quotidiano.
Ora possiamo aggiungere l'altra parola, sulla quale oggi volevo attirare la vostra attenzione: MEMORIA. Memoria che non è soltanto ricordo di qualche cosa del passato: avete ascoltato nella prima lettura: "Farete questo come un memoriale perenne". Il popolo di Israele, quando si ritrova intorno alla tavola di Pasqua, dice: "Noi eravamo schiavi in Egitto e Dio ci ha chiamati fuori, verso la libertà!" E il bambino più piccolo è invitato a dire: "Come, noi?! erano quelli di tanto tempo fa". E il papà risponde: "No, noi: perché ogni credente deve sentirsi come un liberato. Mai più la schiavitù! Ognuno di noi è in cammino verso la libertà!"
Ci ritroviamo qui intorno alla tavola, per far memoria di Gesù: non come di un fatto passato, di una storia accaduta tanto tempo fa, ma di una Persona viva: di Dio, che viene a condividere la nostra vita, a portarci i suoi valori. Quando ripetiamo le sue parole, noi vogliamo riviverle! quando ascoltiamo i gesti della sua vita, noi li mettiamo come fondamento della nostra esperienza di uomini, del nostro cammino di credenti! Siamo qui per rivivere la presenza di Gesù, per sentire vive in mezzo a noi le sue parole, per esprimere il nostro desiderio di camminare alla ricerca della luce. Possiamo ripetere con Pietro: "Tu solo hai parole di vita eterna!"
Ecco che cos'è l'Eucarestia: non qualche cosa che si possa pagare con un'offerta, che ci faccia più buoni degli altri, che ci faccia diversi dai Cinesi che non la conoscono. È un segno della vita! È il segno di Dio! È il segno della passione per la giustizia, è il segno della vita condivisa!
E poi possiamo domandarci fino a che punto questo segno che noi facciamo è vero per noi: la Messa diventa falsa ogni volta che facciamo un'ingiustizia, ogni volta che non amiamo il fratello, ogni volta che non sappiamo condividere la vita.
Ma non ci stancheremo di tornare qui, non per vivere un segno di giudizio e di condanna; ma per celebrare la festa del perdono: che ci rimetta ancora in cammino, che ci dia ancora speranza, che ci ridia ancora il coraggio di cercare la giustizia! Che ci metta ancora nel cuore il desiderio della vita, la voglia di tenerezza, il coraggio di camminare ancora!
Ecco cos'è l'Eucarestia! Questa, almeno, era l'intenzione di Gesù.
Per noi non è semplice vivere tutto questo... Il Signore ci aiuti!
Ogni giorno tutti insieme ... spezzavano il pane a casa 15 novembre 1998
prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore. Atti 2, 42-48 - Matteo 7, 21-27
"...chiunque ascolta queste mie parole e le mette
in pratica, è simile a un uomo saggio che ha
costruito la sua casa sulla roccia".
Allora, se avete un pochino di pazienza, ancora qualche parola per tentar di capire quello che facciamo qui insieme, almeno per quello che ho capito io. Vedete, la mia vita ormai è abbastanza lunga; ed anche il rapporto con la Messa è molto cambiato nei lunghi anni della mia esistenza, anche da quando sono stato ordinato prete.
Quando io ho cominciato a dir la Messa, gli altari erano ancora quasi tutti rivolti verso il muro, ancora si parlava in latino. Tutto l'interesse della Messa era rivolto verso Dio: a ottenere le sue grazie, a espiare il peccato, a giovare alle anime del Purgatorio. Non interessava la comunità dei credenti: ho detto anch'io tante volte la Messa da solo, tentando in qualche modo di parlare a Dio; la gente, le persone interessavano poco alla celebrazione della Messa. E le parole erano le stesse: sia nelle favelas di Rio de Janeiro, sia nelle parrocchie più ricche di New York o di Roma. Nessuna differenza perché l'attenzione della gente doveva essere rivolta verso l'alto: non importava chi sedeva intorno. Quando io, studente di liceo, ho cominciato a scoprire l'Eucarestia - era diventata una cosa importante per me - andavo di corsa al mattino in chiesa; e non m'importava né di chi celebrava la Messa, né di chi c'era lì. Non guardavo in faccia nessuno: prendevo la mia Comunione e me ne scappavo via.
Tanto diverso, tutto questo, da quello che abbiamo sentito raccontare nella prima lettura: i primi Cristiani si radunavano intorno alla tavola, per condividere la cena, per "spezzare il pane"; e se c'erano là delle divisioni, se c'erano dei contrasti, subito si manifestavano.
Dopo il Concilio siamo stati invitati a porre la nostra attenzione non soltanto sul nostro rapporto con Dio, ma anche su quello che NOI siamo: che cosa facciamo qui? chi siamo? Vedete, adesso le cose son cambiate: l'altare somiglia di più ad una tavola e noi tutti siamo raccolti qui intorno quasi a semicerchio, con la possibilità (forse non del tutto realizzata) di guardarci negli occhi, di condividere la nostra presenza: chi siamo? cosa facciamo qui?
Vedete, noi ci ritroviamo qui, perché abbiamo creduto in Gesù e in Lui andiamo cercando il volto di Dio, andiamo cercando i valori essenziali della nostra vita: andiamo cercando di capire che cosa è veramente importante, nella corsa e nell'affanno della nostra esistenza! Ogni domenica ci sediamo qui, intorno alla tavola: per tentare di esprimere la nostra fede, di mantenerla viva; per farla, se possibile, crescere.
Ci ritroviamo qui, intorno alla tavola, per celebrare la nostra vita: per cantarla, per tentare di esprimere il nostro desiderio di verità e di bellezza; per mantenere vivo, nel nostro cuore, lo stupore di fronte alle cose che abbiamo intorno: di fronte alla bellezza della natura, di fronte alle persone che amiamo; per mantenere viva, dentro di noi, la gratitudine, il ringraziamento. Per dire il nostro "grazie" per aver incontrato Gesù, per poter condividere la Sua parola, i suoi doni!
Ma c'è di più: noi siamo qui per mantenere vivi, nel nostro cuore, i Suoi SOGNI! I sogni di un mondo più giusto, i sogni di gente che si vuole bene, che si rispetta! L'apostolo Paolo dice - forse nel punto più alto delle sue lettere -: "In Gesù non c'è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna; ma tutti siete una sola cosa in Gesù". Ecco: noi dovremmo essere qui per vivere questo sogno: che sia tolta dall'umanità ogni forma di schiavitù, ogni cosa che discrimina e avvilisce la vita dell'uomo, ogni differenza: "non c'è più né uomo né donna"... Vedete che non ci siamo riusciti ancora, neppure qui: nessuna delle donne che sono qui può mettere i paramenti che ho io, venire al mio posto! È forse una delle tante ingiustizie che ci portiamo dietro: ci sono ancora nel mondo tante schiavitù!
C'è di più: noi siamo qui per tentare di vivere il sogno di diventare una cosa sola: di accoglierci, di rispettarci, di essere una comunità, di tentare di camminare insieme. Anche questo, quanto è lontano! rimane un sogno... Per questo siamo qui: per continuare a inseguire questi sogni, per continuare a credere che la vita è bella se la condividiamo, se viviamo l'amicizia, la tenerezza degli uni per gli altri; se ci sentiamo tutti fratelli, intorno a questa tavola. Con i sogni che ci portiamo nel cuore, con la nostra realtà. Vedete, parliamo di noi più che di Dio; forse perché di Dio basta dire che è Padre e che ci vuole riunire insieme, intorno alla sua tavola, per far festa!
Siamo qui - se mi permettete di dire la seconda cosa avevo in mente oggi - per ascoltare ogni domenica una parola del VANGELO. "Beato l'uomo - ci ricordava il Vangelo di oggi - che costruisce la sua casa sulla solida roccia delle parole di Gesù". Noi crediamo che nel Vangelo ci sia qualche cosa di importante per noi. La mia lunga esperienza di prete me ne ha convinto: se se ne va il Vangelo, la Scrittura dall'esperienza di fede dei credenti, la religione diventa religione della paura, pratica senz'anima, riti che si ripetono stancamente!
Ma voi lo sapete: leggere il Vangelo insieme non è una cosa a buon mercato. Il Vangelo è stato scritto tanto tempo fa, in una cultura profondamente diversa dalla nostra. Allora il compito che la comunità cristiana ha è quello di tentare di interpretare il Vangelo, di cercare di capire che cosa hanno scritto quegli uomini, che portavano la memoria di Gesù nella loro vita. Ma non basta interpretare: occorre anche attualizzarlo, il Vangelo, renderlo vivo e concreto per noi.
Facciamo questo sforzo! Io cerco di farlo ogni domenica. Qualcuno di voi mi ha detto, nel lungo cammino che io ho percorso in mezzo a voi (sono ormai quasi 30 anni che son qui a Ostia e alcuni di voi mi ascoltano da 30 anni) che sente che le mie parole corrispondono un po' alla propria vita, sono vicine all'esperienza e ai problemi quotidiani. Ma fino a che punto? Fino a che punto, quando uscite di qui, il Vangelo è diventato VIVO e non soltanto il ricordo di una cosa del passato; non solo un rito fatto insieme, ma una Luce, che Gesù può comunicare alla nostra esperienza di oggi, al nostro quotidiano? E vedete, questo dovrebbe essere sempre più il compito di tutti noi: io, da solo, non posso farlo!
Com'è possibile vivere tutto questo? Domenica prossima finiremo con una serie di domande: può la Messa, il nostro ritrovarci qui, diventare più vivo, avere più rispondenza con il nostro quotidiano? Può il nostro ritrovarci qui farci sentire di più il nostro "essere comunità", la voglia di camminare insieme? Può il nostro ritrovarci qui essere per noi momento di un cammino di liberazione, di ricerca della giustizia, di passione per la vita? Può il nostro ritrovarci qui essere un VERO incontro con Gesù, un VERO incontro con Dio, la ricerca del Suo volto, della Sua luce nella nostra vita? Sono domande importanti per la nostra fede!
Speriamo che il Signore ci aiuti a vivere sempre di più la Messa della domenica!
Nella notte in cui fu tradito il Signore spezzò il pane e 22 novembre 1998
disse: "Questo è il mio corpo che è dato per voi". I Cor 11,23-25 - Giovanni 13,1-14
Gesù cominciò a lavare i piedi ai suoi discepoli ...
Poi disse: "Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri".
Se la Messa è soltanto un atto di culto rivolto a Dio, allora l'altare può essere anche girato verso il muro, si può anche parlare in latino; l'importante è osservare le regole di un sacrificio offerto al Signore. Se invece la Messa è anche cena di fratelli, allora è importante guardarci negli occhi, usare parole che possiamo comprendere.
Se la Messa è soprattutto un rito che produce degli effetti, che dona la grazia, allora basta osservare le regole, si può anche parlare in latino. Se invece è un segno - segno della nostra vita, segno di Gesù - allora bisogna parlare parole che ci aiutino a comprendere, a vivere questo segno: parole che siano vive per noi; e non basta più, nemmeno, non usare il latino: occorre trovare i simboli, i segni, le parole che rispondano alla nostra esperienza di uomini che vivono oggi.
E allora concludiamo il discorso sulla Messa, con una serie di domande che vorrei affidare alla vostra riflessione. Le prime domande riguardano il senso della Messa, un po' il riassunto di quello che abbiamo detto in queste otto settimane: è quello che ciascuno di noi può tentare di fare nella propria, personale, esperienza di preghiera e di fede. E poi ancora qualche domanda su come possiamo aiutarci reciprocamente a vivere meglio questo nostro stare insieme la domenica.
Forse qualcuno di voi lo ricorderà: abbiamo cominciato la nostra riflessione domandandoci perché in chiesa una volta la settimana e non soltanto quando ne abbiamo bisogno. Ed ecco allora le domande: può la nostra preghiera diventare più gratuita, non spinta soltanto dai tanti bisogni della vita quotidiana, ma da una ricerca di luce, di senso, dal desiderio di Dio? Può il nostro ritrovarci qui essere ricerca di valori, ricerca delle cose essenziali della vita: un fermarci nella corsa e nell'affanno di ogni giorno, per cercare quello che è veramente importante, quello che ci fa più uomini? Può la Messa essere per ciascuno di noi un fermarci a cantare la vita, a celebrarla, un ritrovare lo stupore di fronte alla bellezza del creato, di fronte alle persone che ci stanno accanto; ritrovare la meraviglia, la gratuità, il senso della riconoscenza?
Ci siamo poi soffermati sull'antica intuizione che Israele mette nel cuore della sua fede: la Pasqua. È possibile, allora, che la Messa sia sempre meno uno spazio sacro, in cui rifugiarci dalla vita di ogni giorno, l'occasione per isolarci, magari per cercare le cose dello spirito? È possibile invece portare all'interno dell'Eucarestia la nostra vita quotidiana, i problemi del lavoro, del denaro, della politica, del rapporto con gli altri, i problemi che la vita ci mette davanti ogni giorno? per cercare qui lo slancio della liberazione, l'incontro con Dio che ci chiama alla libertà, che ci chiede il coraggio della speranza, che ci chiama ad essere più uomini? È questo il Dio in cui noi crediamo!
Abbiamo detto, se ricordate, che il nostro ritrovarci qui ha senso se celebriamo l'Alleanza con Dio: a volte, per molti di noi - fa parte di una tradizione ormai secolare - la Messa è staccata dall'impegno etico. Noi veniamo alla Messa a volte per ricordare una persona che è morta, per chiedere una grazia, per adempiere un obbligo, per osservare un precetto, per abitudine. Possiamo sentire che quando ci ritroviamo qui, viviamo l'Alleanza con Dio, prendiamo un impegno con Lui? Può il nostro ritrovarci qui far crescere in noi "la fame e la sete di giustizia"; la ricerca appassionata della verità e del bene? Gesù ci dice: "Quando stai per portare la tua offerta all'altare e ti ricordi che qualcuno ha qualcosa contro di te e ti rendi conto che c'è un ingiustizia intorno a te, lascia là la tua offerta, va' prima a riconciliarti e poi torna". Come può questa esigenza etica diventare viva per noi, ogni volta che celebriamo l'Eucarestia?
E ancora, noi siamo qui per far memoria di Gesù: vi dicevo che il far memoria per gli antichi Ebrei significava rendere viva qualche esperienza del passato; per noi è rendere vivo Gesù, la sua presenza, la sua parola. Le parole del Vangelo possono diventare attuali per noi? E possiamo, nel nostro ritrovarci qui, aiutarci a vivere i sogni di Gesù: il sogno di un mondo in cui non ci sia più né schiavo né libero, né uomo né donna, né ebreo né pagano, il sogno di una umanità solidale, il sogno della pace, della giustizia? Possiamo qui ritrovare i valori di Gesù, e sentirli vivi dentro di noi?
E ancora: il nostro ritrovarci intorno all'altare non può essere che festa di peccatori: festa di gente che sente il peso del male che c'è nel mondo, ma che trova qui la festa di Dio. Troppi di noi si portano ancora sul cuore il senso di colpa, si sentono lontani da Dio! Troppi pensano ancora di essere esclusi dall'Eucarestia, perché qualcuno ancora vuole imporre il suo potere religioso sul cuore della gente. Possiamo fare in modo che la Messa sia un evento di liberazione: che allontana ogni senso di colpa, che ci mette nel cuore la speranza del bene, il coraggio di rinnovare la nostra vita?
Ancora: il nostro ritrovarci qui può essere veramente il segno - come Gesù l'ha sognato - della vita che si condivide e si moltiplica? Noi siamo qui per "spezzare il pane": un segno della vita di ogni giorno, un segno della vita che si dona, che si moltiplica, che si arricchisce. Il gesto di Gesù di chinarsi a lavare i piedi e il rifiuto di Pietro possono diventare vivi per noi? può essere, il nostro ritrovarci ogni domenica, l'impegno al servizio: a lavarci i piedi ogni giorno? L'impegno quotidiano alla tenerezza, all'apertura verso gli altri, al condividere la vita?
Ognuno di voi cerchi, queste domande, di conservarle nel proprio cuore; le arricchisca: perché la comunità non si fa, se ciascuno di noi non cerca la luce, se ciascuno di noi non vive il suo impegno davanti a Dio, con se stesso, con il mondo!
Poi, l'ultima serie di domande: come possiamo aiutarci reciprocamente? È possibile - e come? - che ci sia qualcuno di voi che collabori a rendere più vive le parole che si dicono qui? A volte sembra che non ci sia comunicazione fra il sacerdote e la gente: è possibile che ce ne sia di più? è possibile che, quando qualche discorso vi sembra vivo e attuale, lo diciate in qualche modo? È possibile che, quando qualche cosa non vi sembra sia giusta, non rispondente alla vita di oggi, lontana dalla vostra esperienza, lo diciate? È possibile, insomma, migliorare la comunicazione? È possibile che qualcuno di voi possa contribuire a cercare qualche lettura? - a volte quello che leggiamo in questi antichi libri è lontano dalla nostra esperienza - È possibile trovare altri simboli , altri gesti che ci aiutino nel nostro stare qui insieme?
È possibile, con la collaborazione di più d'uno di voi interpretare meglio il Vangelo, ma soprattutto renderlo vivo, attuale, presente nella nostra vita di ogni giorno? È possibile che qualcuno di voi collabori - e come? - a fare in modo che la Messa sia più viva, sia più presente nel nostro oggi e non ci sembri qualche cosa di staccato dalla vita di ogni giorno? E come si può fare? È possibile moltiplicare le forme della preghiera e renderle sempre più espressione di gratuità, di fede viva, di stupore, di meraviglia, di ricerca della luce?
E ancora: noi siamo qui per vivere la comunità, eppure molti di noi non si conoscono. È questo l'unico modo di dir Messa o ce n'è un altro? È possibile celebrare la Messa in gruppi più piccoli, com'era nelle prime comunità cristiane? È questa la strada? O il piccolo gruppo rischia di chiudersi in se stesso, di isolarsi, di fare tante piccole chiesuole staccate... Ma allora, che può significare per noi l'essere una "famiglia", conoscerci, volerci bene, camminare insieme, condividere la vita? È possibile fare qualche passo su questa strada? e come? Oppure non ce n'è bisogno, perché ciascuno di noi vive le sue amicizie fuori e qui deve trovare solamente un momento da vivere insieme? Ma cosa significa, allora, vivere insieme? un momento che ci aiuti a vivere con più coraggio e con più speranza la vita di ogni giorno?
Mi fermo qui, perché, vedete, le parole si moltiplicano. Ma forse sarebbe importante che tutti noi prendessimo a cuore questo segno che ci unisce qui, intorno alla tavola: Gesù ha lasciato solo questo segno per fare memoria di sé, voleva che questo segno fosse nel cuore della nostra vita. Purtroppo, ne abbiamo fatto un rito, un'abitudine, un obbligo; e peggio: una forma di potere e di discriminazione! È possibile superare tutto questo? È possibile che la nostra Messa diventi per noi un momento che ci metta in contatto con Dio e con il mondo? ci faccia sentire, qui, nel cuore pulsante della vita, uniti ad ogni uomo che vive sulla terra, alla ricerca della giustizia e del bene? Forse è possibile. Ma ci vorrebbe l'aiuto di tutti... e forse della Chiesa intera!
Il Signore ci aiuti!