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OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 2019-2020 - Vangelo di Luca
"Nell'ora che non immaginate I DOMENICA di AVVENTO - 1 Dicembre 2019
viene il Figlio dell'uomo". Matteo 24,37-44
Tempo d'Avvento... tempo - come dice l'apostolo - di alzare il capo, di svegliarsi e di trovare il coraggio della speranza.
Ci aiutano i profeti. Il profeta non è colui che predice il futuro, ma è colui che dentro il presente sa mettere i "sogni", il coraggio della speranza. Avete ascoltato la luminosa lettura del profeta Isaia: "Le spade diventeranno aratri, le lance diventeranno falci, non impareranno più l'arte della guerra".
Siamo in un tempo drammatico in Israele... C'è il grande impero Assiro che incombe: il pericolo della schiavitù, della deportazione, della devastazione, eppure il profeta grida la sua speranza, il coraggio di guardare lontano, di sperare un tempo in cui ci sarà la pace, in cui l'uomo sarà capace di vivere la vita insieme senza sopraffazione, senza violenza.
Un altro grande profeta Geremia, qualche tempo dopo quando Gerusalemme sta per essere distrutta dall'esercito di Nabucodonosor, riceve da Dio l'invito a comprare un campo. Tutto sta per essere distrutto: "Tu compra un campo" segno di speranza, c'è un futuro, un futuro da costruire, una prima pietra da mettere: ecco il profeta, colui che sa comunicare speranza!
Lo stesso accadeva ai tempi di Gesù, degli apostoli. Pensavano che il mondo stesse per finire, che la catastrofe fosse imminente, eppure "loro" guardano a Lui che viene. Nell'ultimo orizzonte non c'è la perdizione, il nulla, il male... c'è Gesù, i suoi valori che prendono spazio nella vita dell'uomo: è Lui il Signore della vita.
Ecco, "alzare gli occhi, guardare lontano"... anche noi oggi abbiamo gran bisogno di profeti.
Il mondo che abbiamo intorno sembra pieno di sfiducia, manca il coraggio di guardare lontano, di costruire il domani. Vediamo spesso, il male. Diceva qualcuno: (non ricordo chi...) "fa molto più rumore un albero che cade che una foresta che cresce". E oggi, intorno agli alberi che cadono, ci sono un'infinità di microfoni che amplificano tutto il male e si diffonde la paura e con la paura il rancore e addirittura l'odio e rischia di perdersi la speranza, si rischia che i nostri ragazzi perdano il coraggio di costruire il domani, la speranza nel futuro.
Ecco, abbiamo bisogno di profeti, ma ciascuno di noi può esserlo guardando in giro, perché c'è una "foresta" che cresce. Ci sono tanti segni belli che ogni tanto scopri quasi per caso. Nel marasma delle cattive notizie date dalla televisioni e dai giornali... c'è chi ha quell'iniziativa, di là un altro e poi ancora un altro, c'è tanta gente che si impegna nel volontariato. Tanta gente che cerca di seminare speranza: è il compito anche di ciascuno di noi. Questo è il tempo di Avvento!
Aspettiamo Gesù, non qualche cosa di magico, ma Lui che nasca nei nostri cuori e faccia anche noi capaci di mettere nella vita i suoi valori, il coraggio della pace, la fiducia nel futuro, la capacità di mettere piccoli segni: è il tempo d'Avvento, è il tempo di guardare lontano, è il tempo di mettere speranza dentro di noi e intorno a noi, è il tempo del coraggio.
Il Signore viene per questo! È Lui che aspettiamo. Lo aspettiamo nel nostro cuore. Lo aspettiamo intorno a noi. Lo aspettiamo nella nostra vita in questo nostro mondo che ha bisogno di Lui. Ha bisogno dei suoi valori, ha bisogno del suo coraggio, di tendere sempre la mano all'uomo che è accanto, di non vivere il disprezzo, l'odio, il rancore... ma la gratuità, la tenerezza: per questo viene Gesù.
E il compito nostro è di mettere ogni giorno - per quello che possiamo - da povera gente i semi della speranza, il coraggio del futuro.
Il Signore ci aiuti.
"Rallegrati, piena di grazia: IMMACOLATA CONCEZIONE - 8 Dicembre 2019
il Signore è con te" Luca 1,26-38
Celebriamo oggi (come tutti certamente sapete) la festa dell'Immacolata Concezione di Maria.
Questa festa ci dice che Maria è stata concepita senza la macchia del peccato, del peccato originale soprattutto.
Quando ero bambino (penso sia successo anche a più d'uno di voi) pensavo che ognuno di noi nascesse con una specie di tunica che aveva delle macchie e che venivano lavate con l'acqua del Battesimo. Ci dicevano che quella era la macchia del peccato originale trasmesso a noi fin dai tempi più antichi, dal peccato di Adamo e di Eva e che quella macchia ci metteva in stato di peccato, lontani da Dio.
Crescendo cominciavano a venire dei dubbi, delle difficoltà: "Perchè un bambino appena nato deve avere già una colpa? Perché una macchia?". E cominciava a sembrarmi (non solo a me, evidentemente) una spiegazione troppo semplice, troppo ingenua. Il problema del male è estremamente complesso.
Cosa può significare il peccato originale? Cosa può significare che Maria ne è libera?
Possiamo cominciare da lontano, da quello che è il mito originale della creazione del mondo. Dio crea Adamo ed Eva e li pone nel giardino e poi dice: "Non toccate l'albero, l'albero della conoscenza del bene e del male". Mangiare il frutto non vuol dire conoscere il bene e il male, ma pretendere di stabilire che cosa è bene e che cosa è male. Difatti il serpente dice: "Se voi mangiate diventerete come Dio, sarete arbitri del bene e del male. Sarete il centro del mondo" e gli altri...? Gli altri al vostro servizio. Se vi servono li utilizzerete, se no potete anche eliminarli. Se ti serve la cosa di un altro, la rubi... insomma sei tu colui che stabilisce, in base al tuo comodo, che cosa è bene e che cosa è male, sei l'unico!".
Gli altri... Dio ci aveva creato come fratelli. Se uno dice: "Io solo... " la vita si sciupa. Tanto è vero che se continuate a leggere l'antico racconto subito dopo trovate l'uccisione di Abele da parte di Caino. Ed ecco che il male comincia a rotolare nella storia degli uomini.
Oggi parliamo solo del male, ma non c'è solo un peccato originale (per quello che ho capito io) c'è anche un bene originale (per fortuna) perché tanta gente nel mondo ha fatto del bene, si è moltiplicato il bene nel mondo. Sono convinto che ci sia più bene che male in questo mondo nella storia degli uomini, che qualche passo avanti faticosamente lo abbiamo fatto, ma oggi parliamo del male.
Cosa significa "peccato originale?" Per quello che ho capito io, un bambino nasce innocente, non ha fatto nulla di male, non può avere nessuna macchia, nessuna colpa... ma non nasce in un mondo innocente. Nasce in un mondo che è profondamente segnato dal male di coloro che lo hanno preceduto... a cominciare dai suoi genitori, ma soprattutto dall'ambiente che ha intorno.
Pensate a un bambino che nasce nella guerra, nella violenza... cosa potrà conoscere del bene? La sua lotta per il bene è quasi impossibile, quasi schiacciato da un male che non è il suo male, ma è il male che lo ha preceduto: ecco che cosa è (secondo me) il peccato originale da cui tutti siamo in qualche modo condizionati.
Ci condiziona il mondo che abbiamo intorno... e così anche al tempo di Gesù, anche al tempo di Maria.
Perché Maria diventa - allora - il modello? Maria ha fatto una esperienza che è fondamentale per la vita cristiana, (per quello che ho capito io) Maria si è sentita amata da Dio.
L'Angelo le dice: "Hai trovato grazia presso Dio - Maria quasi si sgomenta - Dio vuole bene a te". Si fa esperienza d'amore e noi (se ci pensate) l'abbiamo fatta fin da quando eravamo bambini... l'amore del papà, della mamma, l'amore dei nonni, della gente che avevamo intorno.
È l'esperienza dell'amore che mette in condizione Maria di dire il suo sì. Il suo sì alla vita, al dono di sé. Le viene chiesto l'impossibile: le viene chiesto di ospitare nel suo grembo il Figlio dell'Altissimo... non solo, ma rischia di essere esposta alle offese, al ludibrio di tutti. Giuseppe non c'entra...! Cosa può succedere? Eppure lei che si sente amata, sa dire il suo incondizionato sì: "Eccomi sono la serva del Signore". Eccomi metto la mia vita a disposizione degli altri. Non penso più a me, non sono più io il centro di tutto, il centro sono i miei fratelli, per loro dono la vita, per loro faccio quello che mi è richiesto. È questa la radice dell'amore, è questo l'amore: essere capaci di donare, essere capaci di non dire "io", ma dire "noi", capaci di condividere la vita, di mettersi al servizio gli uni degli altri, di donarsi: è quello che fa Maria!
E per questo la troviamo nel nostro cammino di Avvento. Avvicinandosi al Natale anche noi siamo invitati, guardando lei, a dire: "C'è del male nel mondo, lo sentiamo, qualche volta ci pesa, è anche dentro di noi. Alle volte ci lasciamo vincere dalla pigrizia, da "chi me lo fa fare" e siamo incapaci di gratuità e di dono, ma possiamolo migliorare lasciandoci amare da Gesù".
Ecco, accogliere Gesù, come Maria, significa mettere la propria vita a disposizione dell'amore, ma di un amore concreto, per la persona che ho accanto, per quello che incontro magari sul pianerottolo di casa. Amore fatto di gesti semplici, concreti. Amore che è vita donata, condivisa... allora andiamo aldilà del male!
Allora accogliamo dentro di noi la salvezza, accogliamo Gesù, lo lasciamo nascere dentro di noi, Lui che nasce ci ama, ci sentiamo amati e diventiamo capaci di amare, arricchiamo il nostro cuore di gratitudine e sappiamo condividere questa gratitudine nella gratuità con chi ci sta accanto ogni giorno.
Ecco perché oggi celebriamo Maria. Non è un fatto magico che lei sia nata senza macchie. Lei ha saputo dire sì. Sì alla vita. Sì agli altri. Sì al dono di sé. Sì a Dio: è l'amore, è la gratuità: per questo oggi celebriamo Maria.
Il Signore ci aiuti.
"Sei tu colui che deve venire o III DOMENICA di AVVENTO - 15 Dicembre 2019
dobbiamo aspettare un altro?" Matteo 11,2-11
Giovanni il Battista è in carcere, subisce sulla sua pelle la violenza, il male del mondo... sta per essere decapitato e nella sua vita fa largo il dubbio!
Manda i discepoli a chiedere a Gesù: "Sei tu Colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro". Come mai questa incertezza in Giovanni? Non è lui che ha presentato Gesù al mondo dicendo: "Ecco l'Agnello di Dio". Non è un profeta, anzi più che un profeta, non è "il più grande tra i nati da donna"? Eppure anche lui vive lo sconcerto, il dubbio, la sfiducia! Forse questa pagina è stata scritta proprio per noi! I primi discepoli sanno che la vita del cristiano può essere attraversata dal dubbio, dallo scoraggiamento.
Vedete, Giovanni Battista conosceva bene l'Antica scrittura, aveva certamente letto più volte il testo luminoso di Isaia che abbiamo ascoltato come prima lettura. Aveva letto anche altri testi, quelli che parlano del giudizio di Dio, della distruzione del male, della punizione dei malvagi. Lui parla della "paglia che viene bruciata con fuoco inestinguibile" e forse si aspetta proprio questo, che la punizione di Dio si abbatta sul male, un male che sente sulla propria pelle ed è questo che provoca il dubbio.
In questo momento vede soprattutto il male che c'è nel mondo, vede soprattutto la violenza, la sopraffazione dell'uomo sull'uomo... e il bene dov'è? E Dio dov'è? Perché non si manifesta? Perché Colui che ha indicato come Messia non risolve i problemi del mondo?
Gesù gli manda a dire: "Guardati intorno e scopri i segni del mondo nuovo. C'è qualcuno che "apre gli occhi", qualche "paralitico" che cammina, qualche "morto" che risorge e soprattutto ai poveri viene annunziata la "buona novella". Soprattutto viene annunziato il messaggio di liberazione che si manifesta però in segni piccoli... Non pensate a prodigi. Aprire gli "occhi" significa che c'è qualcuno che si apre alla verità. "Camminare" significa che qualcuno si solleva dal proprio fango e comincia a fare dei gesti di liberazione e di vita, di amore e di bontà, così il "morto" che risorge... ecco, questi segni, Giovanni, è invitato a guardare per ritrovare la speranza nel profondo del proprio cuore.
Ma, la violenza che Giovanni subisce, è forse troppo forte per lui! Sarà passato il suo dubbio? Non ci è dato saperlo...!
Ma vi dicevo... (se ho capito qualche cosa) questa pagina è scritta per noi... per me e forse anche per voi, perché tutti nella vita (penso) abbiamo passato dei momenti di sfiducia, di scoraggiamento in cui ci sembrava che il male del mondo fosse infinitamente superiore al bene e anche oggi per alcuni di noi succede così.
Ci guardiamo intorno, guardiamo la televisione, ascoltiamo la radio... sentiamo sempre notizie cattive e ci sfuggono, perché ce ne danno poche, le buone notizie, i gesti di persone che fanno cose concrete.
Mi capitava di ascoltarne (perché cerco di essere attento) più d'una in questi giorni scorsi, persone che fanno gesti straordinari, che dedicano la propria vita agli altri. Gente che ritrova fiducia perché qualcuno gli dona tutta la tenerezza del suo amore o anche gesti molto più semplici, ascoltavo proprio ieri sera che qui a Ostia c'è uno che fa l'aggiusta-giocattoli per far sorridere i bambini e diceva: "Non c'è niente di più bello che un sorriso di un bambino".
Ora, sulla terra ci sono infiniti bambini che sorridono: è il bene del mondo, è la bellezza del mondo e questo dovrebbe darci il senso di fiducia, perché senza fiducia non siamo capaci di fare quei piccoli gesti in casa, intorno a noi, che rallegrano la vita, la fanno più bella, più tenera.
Forse, a qualcuno di voi, queste parole risultano pesanti perché non riesce a vedere il bene, perché lo scoraggiamento è in questo momento forte nella propria vita, anche perché c'è magari qualche guaio in famiglia, qualche sofferenza e allora...? Significa che non avete fede? Il Vangelo di oggi è scritto per voi!
Se anche Giovanni ha avuto momenti di sfiducia, di scoraggiamento, di dubbio... lui "il più grande dei nati da donna" perché non posso averli anche io che sono un pover'uomo? E allora se vi viene un momento di scoraggiamento sentitevi vicino Giovanni.
Posso, come Giovanni, essere invitato a ritrovare piano piano i segni del bene. Posso invocare lo Spirito perché mi dia il coraggio di guardare avanti, di alzare il capo, di non lasciarmi schiacciare dallo scoraggiamento e dal male per poter fare anch'io gesti di gratuità e di amore.
Il Signore ci aiuti.
"Giuseppe, figlio di Davide, non temere IV DOMENICA di AVVENTO - 22 Dicembre 2019
di prendere con te Maria, tua sposa…" Matteo 1,18-24
Giuseppe, nei Vangeli, non dice neanche una parola: è il grande silenzioso. Sembra, a prima vista, un personaggio minore, destinato a fare da comprimario, soltanto a mettere le sue mani al servizio della famiglia, di Maria e di Gesù.
Ma - se avete ascoltato attentamente il Vangelo di oggi - basta alla comunità di Matteo soltanto qualche parola per dirci tutta la grandezza di quest'uomo che, in qualche modo, anticipa l'Evangelo.
"Giuseppe, suo sposo poiché era un uomo giusto…". Giuseppe è un giusto fin dalla sua infanzia, non ha mai disobbedito a una legge. È sempre stato ossequiente alle regole... adesso si trova in un dramma! La legge impone che questa sua donna, la donna che ha sposato... a quel tempo il matrimonio ebraico aveva più tempi... prima ci si sposava, poi dopo un anno si andava a vivere insieme, comunque Maria è la legittima sposa di Giuseppe.
La sposa è incinta! È chiaramente un adulterio! La legge è precisa, deve essere denunciata e lapidata: ed ecco il dramma di Giuseppe! Lui conosce la sua donna, la ama, si fida di lei, non può accettare che venga lapidata, eppure Maria non parla, che cosa sta succedendo? Giuseppe intuisce che si trova a confronto con l'incomprensibile, con il mistero, con l'insondabile e fa la sua scelta, drammatica per lui che è un uomo giusto: disobbedisce alla legge, si rifiuta di denunciare Maria e pensa di ritirarsi, non sa che fare, si arrende all'incomprensibile.
Deve venire l'Angelo a dirgli: "È il mistero, l'Emmanuele viene, Dio con noi, a Lui offri la tua vita, prendi con te Maria tua sposa, non aver paura".
Anche Giuseppe - come Maria - è invitato a non aver paura, ad aprirsi a Dio e Giuseppe accoglie nella sua vita questo Figlio che non è suo, che viene da un'altra dimensione... Ma, se ci pensate bene, è la storia di ogni padre e di ogni madre. Un figlio non è soltanto del papà e della mamma: ogni figlio viene da Dio. Ogni figlio porta con sé un mistero. Ogni figlio non può essere proprietà del papà e della mamma. Ogni figlio è di Dio.
E Giuseppe offre la sua vita per questo Figlio e per la sua donna. La sua vita sarà una vita di servizio. Giuseppe non parla, ma potremmo tranquillamente mettergli in bocca le parole che Maria dice all'Angelo: "Eccomi, sono la serva del Signore". Giuseppe può dire: "Eccomi, sono il servo del Signore, la mia vita è a disposizione".
Allora potete immaginarlo Giuseppe nella casa di Nazareth che fa crescere il Bambino, gli insegna, man mano che diventa grande, a piallare il legno, a costruire una sedia, un tavolo, a tirare su un muro... anche questo facevano gli artigiani del tempo di Gesù a Nazareth.
Ma non solo... ha probabilmente comunicato a Gesù il segreto del suo cuore: più che le tradizioni, più che le regole, più che le leggi conta l'amore, la capacità di guardare negli occhi l'altro, di capire il mistero della vita, di accogliere, di fare spazio.
Gesù lo dirà più volte: "Non è l'uomo fatto per la legge, ma la legge è fatta per l'uomo". È quello che Giuseppe ha vissuto nel suo dramma. Ha capito che la legge, in questo caso, non può contare. Ha capito che la sua donna è giusta, non può essere uccisa, si è fidato di lei: più della legge conta l'amore!
Non vale soltanto per Giuseppe, vale anche per noi. Anche noi siamo invitati ad accogliere Gesù, ad accoglierlo nella nostra vita, nelle nostre case e anche noi - come Giuseppe - possiamo dire: "Eccomi, la mia vita è a disposizione degli altri, faccio quello che posso per servire, compiere gli impegni di ogni giorno e anche per tentare di comunicare agli altri le ricchezze che ho dentro".
Le ricchezze - che se abbiamo ascoltato Gesù - che ci ritroviamo dentro sono quelle del cuore di Gesù e sono anche un po' le ricchezze che gli ha tramandato Giuseppe, perché ogni figlio è sì figlio di Dio, ma anche del padre che lo ha cresciuto e Giuseppe ha cresciuto Gesù e gli ha comunicato qualcosa di sé, forse le cose più importanti.
Il Signore ci aiuti.
Diede alla luce il suo figlio primogenito lo NATALE del SIGNORE - 25 Dicembre 2019
avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia Luca 2,1-14
Con gli occhi della fantasia, con quella fantasia con cui gli uomini della comunità di Luca hanno saputo scrivere questa straordinaria, bellissima pagina del Vangelo, possiamo anche noi recarci insieme ai pastori nella notte di Betlemme.
Fa freddo di notte, è buio e non soltanto il buio di fuori, ma anche dentro, nella mente, il freddo del cuore, c'è troppo male nel mondo, troppa violenza: la guerra, la miseria, l'umiliazione dell'uomo.
L'annuncio dell'Angelo ci sconvolge, ci annuncia un Salvatore. Avremo veramente bisogno di un salvatore! Di uno che risolva i problemi di questo mondo, che ne curi i malanni, che metta a posto tutta la cattiveria di questa nostra società… allora andiamo fiduciosi, pieni di speranza, arriviamo e troviamo una capanna.
Non abbiamo ascoltato bene quello che ha detto l'Angelo, tutti presi dal bisogno del salvatore e troviamo una mangiatoia, un piccolo Bambino appena nato: niente di più impotente e ci viene da dire: "Tutto qui!?"
Aspettavamo la potenza, la gloria, la forza... un Bambino appena nato, un cucciolo d'uomo. Forse ci conviene deporre di fronte a quella mangiatoia il nostro desiderio e le nostre speranze di un uomo potente. In troppe regioni della terra e anche in questa nostra Italia c'è troppa gente che aspetta l'uomo forte, colui che con un colpo di bacchetta magica risolve i problemi della società. Ci si dimentica del passato... non esistono uomini forti, fanno solo danni.
In quella mangiatoia si manifesta tutta l'impotenza di Dio, ma l'impotenza di Dio è anche la nostra grandezza, perché quel Bambino si affida a noi. È appena nato. Un soffio più forte di vento può togliergli la vita, non ha nessun potere.
Potremmo chiedere a Maria, se vuole, di farcelo stringere un momento tra le braccia, ma avremmo quasi paura di schiacciarlo: è troppo piccolo, troppo indifeso, troppo impotente... eppure l'Angelo ci ha detto che in quel Bambino Dio viene a condividere la nostra vita, a camminare con noi per le strade di questo mondo e di noi ha bisogno!
Avrebbe bisogno di qualche panno per essere coperto, di un po' di calore che lo riscaldi. Avrebbe bisogno di tutto, ma questo glielo possiamo dare solo noi!
Quel Bambino crescerà, avrà tante cose da dirci, cose importanti, ma ancora chiederà a noi, diventato grande, di vivere tutta la nostra grandezza di essere uomini, il nostro coraggio di cercare il bene, di vivere i suoi valori, i sogni della sua vita: lo chiederà a noi!
Ha bisogno di noi, quel Bambino, ha bisogno di noi Dio. Solo noi possiamo curare i mali di questo mondo e se nel nostro cammino ci sentiremo stanchi e sfiduciati potremo sentirlo vicino, batterci una mano sulla spalla e dirci: "Coraggio, avanti, non ci si può fermare".
E se ci capiterà di cadere, correrà a rialzarci e ci abbraccerà e potrà ancora camminare con noi. Non ci guarderà con l'occhio severo di chi punisce, ma preparerà per noi il banchetto, il banchetto della sua vita donata, della festa a cui tutti siamo invitati e siamo anche chiamati a far partecipare alla festa quelli che ci stanno intorno: la festa della tenerezza, della gratuità, dell'amore.
Dio non risolve i problemi del mondo, possiamo risolverli solo noi: per questo è venuto, per camminare con noi, per starci vicino perché non ci manchi il coraggio.
È venuto per riempirci il cuore di luce, per riscaldarlo, per farci sentire uomini con la nostra dignità, capaci di dire: "Credo nella vita, amo la vita, voglio costruire la vita per me e per chi mi sta vicino, voglio condividere la vita così come posso. Posso stancarmi, posso cadere, non ha importanza! Ci sarà sempre Lui vicino a me a darmi fiducia e la speranza di essere un uomo capace di amare".
Il Signore ci aiuti.
Perché si adempisse quello che era stato SANTA FAMIGLIA di GESÙ - 29 Dicembre 2019
detto dal Signore per mezzo del profeta: Matteo 2,13-15.19-23
"Dall'Egitto ho chiamato mio figlio".
Non c'è possibile sapere che cosa effettivamente sia accaduto là. Gli storici dicono che l'uccisione dei bambini di cui parla il Vangelo di Matteo da parte di Erode - tutti i bambini di Betlemme - è storicamente molto improbabile se non addirittura impossibile.
Quello che abbiamo letto, più che un racconto di fatti accaduti, è una vera professione di fede in cui il cuore è nella frase del profeta che viene riportata: "Dall'Egitto ho chiamato mio figlio". Il profeta non parlava certo di Gesù tanti secoli prima, parlava del popolo di Israele che è uscito dall'Egitto verso la "terra promessa" e l'Esodo, l'uscita dall'Egitto è per Israele il cuore stesso della fede e potrebbe esserlo anche per noi. Dovremmo celebrarlo ogni notte di Pasqua.
L'uscita dall'Egitto è il cammino verso il futuro, la ricerca della libertà. Dietro le spalle c'è la schiavitù, il male, c'è la negatività... davanti c'è il futuro, la terra da conquistare, la terra dove scorre "il latte e il miele", la terra (per usare una parola ebraica) dello Shalom, della pienezza della vita, del piacere, del bene, della festa, dell'abbondanza.
Ecco, questo cammino verso il futuro, questa ricerca della vita trova - secondo la comunità di Matteo - la sua pienezza in Gesù di Nazareth. Adesso è Lui il nuovo Israele, è Lui il nuovo Mosè che viene a permetterci di rivivere l'Esodo: il cammino verso il futuro, la ricerca del bene, della pace, della pienezza della vita.
E - questo - in tutti i campi. Non ci si può fermare, bisogna andare avanti, cercare sempre un mondo migliore e più bello: questo è il senso dell'Esodo che Gesù rivive, secondo il Vangelo di Matteo.
Questo vale anche per la famiglia: oggi - avete visto - celebriamo la festa della famiglia di Nazareth.
Avete ascoltato le letture? Nella prima il centro di tutto sembra essere il padre, l'onore del padre che era il capofamiglia, il centro di tutto e Paolo dice: "Le mogli siano sottomesse ai mariti". (Non lo dite alle ragazze di oggi, rischiate di brutto)
Il mondo è andato avanti - per fortuna - (veramente conosco molte famiglie in cui i mariti sono sottoposti alle mogli, eh, qui qualcuno annuisce!) si tratta di fare in modo che ci sia sempre di più un cammino in cui ci siano diritti per tutti. Noi possiamo dire battute sulle mogli sottoposte ai mariti, ma se vi guardate intorno in questo mondo così vasto, in tanti paesi ancora ci sono molte mogli sottoposte ai mariti in maniera indecorosa. Non solo, anche in Italia molti uomini, molti "maschi" si sentono possessori della donna fino nei casi estremi ad ucciderla se se ne vuole andare.
Ecco siamo ancora in cammino, è ancora tempo di Esodo, tempo di crescere, di andare avanti.
Oggi (come avete ascoltato) dalla prima preghiera, ci viene proposta la famiglia di Nazareth come modello delle nostre famiglie. Ma se ci pensate bene è difficile trovare sulla faccia della terra una famiglia più scombinata. Un padre che non è padre, una madre che è vergine, un Figlio che a dodici anni di età se ne va, dicendo: "Devo seguire il Padre mio". Modello di famiglia? Un po' difficile pensarlo!
Questo - però - ci aiuta a dire una cosa che ritengo, oggi, fondamentale - forse qui ci siamo arrivati - non esiste un modello di famiglia. Un tempo la famiglia era quella sposata in chiesa: marito, moglie. Oggi troviamo (ne conosco tante) famiglie sposate in chiesa, altre sposate solo al comune, famiglie sposate né al comune né in chiesa e non solo (cose orribili al tempo di mia mamma) famiglie costituite da sole donne, due donne che si amano. Da soli uomini, due uomini che si amano. Se ne avete conosciuta qualcuna, forse c'è più tenerezza e amore lì che in tante famiglie che a me è stato dato di conoscere nel corso della vita. Non c'è più un modello di famiglia!
Anche questo è il futuro, anche questo è andare verso il domani nel rispetto dell'altro, di chi è veramente questa persona. Questa donna non può vivere con un uomo. Il suo unico modo di amare è amare un'altra donna e viceversa: è il rispetto! Ecco l'esodo, il cammino, quello che Gesù è venuto a compiere e ogni comunità cristiana non dovrebbe mai stancarsi di procedere verso il futuro, verso il rispetto sempre più profondo.
E, allora quello che conta è quello che Paolo intuisce, anche se dice che le donne devono sottostare ai mariti, prima dice qualche cosa che vale dal tempo di Adamo e varrà fino alla fine del mondo: "Rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di mansuetudine, di magnanimità e al di sopra di tutte le cose rivestitevi della carità (noi diremmo dell'amore) che le unisce tutte in modo perfetto".
Ecco, comunque sia la famiglia sposata non sposata, solo uomini, solo donne non ha importanza. L'importanza - secondo Gesù - secondo l'apostolo è che si viva l'amore. Un amore fatto di tenerezza, di rispetto, di accoglienza.
Un'ultima cosa vorrei dire... avete notato - secondo il Vangelo di Matteo - Maria, Giuseppe e Gesù sono dei profughi che fuggono dalla violenza e oggi ce ne sono tanti e qualcuno, ma solo qualcuno, arriva qui da noi.
Ce ne sono tanti nel mondo... pensate alla Siria, alla Libia, a tante altre parti del mondo... gente che fugge spaventata dalla violenza, come sono fuggiti i nostri padri durante la guerra.
Gente che fugge dalla violenza e che avrebbe tutto il diritto all'accoglienza, alla tenerezza. Se vi capita di sentire che qualcuno arriva qui da noi... ebbene, ricordatevi di Maria, di Giuseppe e di Gesù: anche loro sono fuggiti dalla violenza. Anche loro hanno trovato qualcuno che li ha accolti e gli ha poi permesso di ritornare nella propria terra, di vivere come una famiglia normale o quasi normale come era la loro.
Il Signore ci aiuti.
In principio era il Verbo e il Verbo II DOMENICA dopo NATALE - 5 Gennaio 2020
era presso Dio e il Verbo era Dio Giovanni 1,1-18
Avrete tutti notato la profonda differenza che c'è tra la pagina che abbiamo letto oggi e quella del giorno di Natale o quella che leggeremo domani nel racconto dei Magi.
Là erano simboli, la fantasia... qui il tentativo di precisare, di teorizzare chi sia Gesù. Il Vangelo di Giovanni è stato scritto da una comunità, da un gruppo di studiosi, quasi un convento di gente che viveva insieme, di intellettuali che tentavano di approfondire la fede, di precisarne i termini… e fanno uso di tutta la loro cultura che viene dal mondo greco: il Verbo voi avete ascoltato, ma la parola greca è "Logos": è una parola molto usata nella filosofia greca, cerca di esprimere addirittura la realtà di Dio, la razionalità dell'universo.
L'altro concetto che guida questi studiosi è la Parola di Dio, per usare il termine ebraico: "Dabar Jahvè..." Parola quasi personificata. Una Parola che è attiva, che fa, trasforma, crea, rende ricco il mondo: ecco, tutto questo - per loro - trova la pienezza in Gesù di Nazareth e esprimono la loro fede attraverso queste parole solenni, complesse. A noi dicono relativamente poco perché tra noi ci sono pochi studiosi, soprattutto della filosofia e della tradizione ebraica antica.
Ci rimangono un pochino estranee, ma se ci pensate è bello che persone diverse esprimano con parole diverse, con idee diverse la loro fede.
Le cose si complicano quando queste parole si impongono come le uniche che possono essere usate per esprimere il mistero di Dio. Nel corso della storia queste sono diventate le parole ufficiali, a cui non si poteva rinunciare, le parole con cui siamo stati educati... specialmente noi che abbiamo una certa età e abbiamo imparato le domandine del catechismo di Pio X: "Chi è Dio"'. "Dio è l'essere perfettissimo... " "Chi è Gesù?" "La seconda persona della SS. Trinità, il Figlio di Dio fatto uomo". Parole astratte!
Un tempo il modo di educare i cristiani era il catechismo e il Vangelo non si poteva leggere almeno in italiano... cosa che per noi suona come incredibile! La traduzione in lingua volgare, in italiano, in francese, in tedesco era messa nell'indice dei libri proibiti. I cristiani non potevano leggerlo perché tutto si doveva basare sul catechismo, su queste parole che nel corso della storia si sono sempre più precisate e chi non pronunciava queste parole era considerato eretico, qualcuno finiva addirittura bruciato sul rogo.
A questo punto non c'è più la bellezza della varietà, della possibilità di esprimere la propria fede con parole diverse, manca la voce dei poeti, dei sognatori, dei cantori, la voce di chi sa esprimere con simboli, con parole sognanti la realtà profonda e intima della presenza di Gesù nella vita del mondo e soprattutto nella nostra vita e nel nostro cuore.
Un altro dei problemi che vengono (secondo me) da questa pagina del Vangelo è che dice: "Venne tra i suoi e i suoi non l'hanno accolto" e quindi la tentazione di dividere il mondo in chi accoglie Gesù e chi non lo accoglie.
Avete fatto anche voi (almeno in parte) l'esperienza che ho fatto io? Ho conosciuto tante persone che dicono di non credere in Gesù, eppure hanno accolto i suoi valori e la sua luce molto più di me... perché accogliere i valori e la luce di Gesù non significa moltiplicare parole sempre più complesse, ma avere nel proprio cuore sentimenti, valori e soprattutto metterli in pratica nella vita di ogni giorno, renderli concreti: allora soltanto hai accolto Gesù, allora soltanto Gesù è diventato qualche cosa di vivo nella tua vita.
Ecco, è bello che ci siano espressioni, parole diverse per dire chi è Gesù. La cosa che ripeto (secondo me) non è bella è quando si dice: "C'è solo un modo di parlare, di esprimere il mistero".
L'altra cosa importante che sembrerebbe banale, ma non lo è purtroppo: il cuore della fede per un cristiano è Gesù di Nazareth. Se guardate la tradizione religiosa in questo paese, troverete che tra i credenti c'è chi crede molto di più in padre Pio, nei santi, nella Madonna, che in Gesù e attraverso Gesù, in Dio.
Avete ascoltato le ultime parole: "Dio nessuno lo ha mai visto" soltanto Lui, soltanto Gesù di Nazareth nella semplicità dei suoi gesti, delle sue parabole, dei suoi simboli ha cercato di farci intuire qualche cosa dell'Oltre in cui abita Dio, perché Dio noi non possiamo vederlo e non possiamo costringerlo in parole come tentano di fare alcuni.
Dio è più grande del nostro cuore, delle nostre parole, più grande della nostra vita. La sua Luce va inseguita, cercata... ma questo ce lo diranno meglio i Magi domani perché domani è l'Epifania e ascolteremo parole diverse. Ancora ascolteremo la voce dei poeti, la voce di chi è capace di sognare e di immaginare e cercheremo di sognare anche noi, di camminare anche noi con i Magi alla ricerca di Dio e della luce di Gesù.
Il Signore ci aiuti.
Al vedere la stella provarono EPIFANIA del SIGNORE - 6 Gennaio 2020
una grandissima gioia Matteo 2,1-12
Lasciamo oggi le alte, profonde parole del Vangelo di Giovanni che ieri hanno caratterizzato la nostra celebrazione per tornare alla fantasia del Vangelo di Matteo.
Leggiamo oggi un altro racconto della nascita di Gesù, diverso da quello che abbiamo letto il giorno di Natale. Là era un racconto sereno, c'era il senso della pace della notte di Natale. Qui è un racconto drammatico, complesso.
Ecco, con la fantasia che la notte di Natale ci ha permesso di unirci ai pastori nel cammino verso la capanna di Betlemme... oggi uniamoci ai Magi nel cammino verso la casa di Betlemme.
I pastori, sappiamo più o meno chi sono, i Magi no. Sono persone sconosciute, qualcuno li chiama re, qualcuno sapienti... ci mettiamo in cammino con loro senza preoccuparci troppo.
Ma, mentre i pastori erano vicini alla capanna di Betlemme, i Magi vengono da lontano e anche noi siamo invitati a guardare lontano: un cammino lungo, anche faticoso. Come i Magi anche noi siamo alla ricerca del senso, della Luce. Ci guida uno strano bagliore che ci cammina davanti, ci traccia la strada, ci porta fino a Gerusalemme, ma là entriamo nella "città" e la città è complessa.
Ci sono i sapienti, quelli che sanno tutto, che pensano di sapere tutto, ma che non cercano più, non si muovono. Sapienti che credono di avere il senso della vita e della storia... ne abbiamo tanti anche oggi! Oggi si moltiplicano perché ci sono i mezzi di comunicazione e ci sono i giornalisti che pensano sempre di sapere che cos'è il mondo e ne vedono solo il male, non sono capaci di indicare la strada, di prevedere il futuro, di dare una luce per quello che verrà: sanno solo e quasi sempre parlare male di tutto e di tutti! Così sono spesso i sapienti, anche quelli che incontrano i Magi.
Ma non solo i sapienti, la "folla", la folla che - come avete ascoltato - si agita, pronta a seguire il primo parolaio che li incanta e gli cammina davanti, pronta a lasciarsi prendere dalla paura e quindi dal rancore, dalla rabbia, da un desiderio di violenza e di rifiuto.
La "folla" che troviamo anche intorno a noi e non solo la folla, anche Erode: il simbolo della violenza: anche oggi c'è Erode! Anche stamattina sentivamo alla radio che nel mondo si agitano venti di guerra, che ci sono potenti che pensano al loro potere e non si curano del benessere della gente: nonostante tutto questo i Magi e noi con loro non ci fermiamo.
Camminiamo ancora e andati oltre la "città" ritroviamo con grandissima gioia quella Luce che ci ha guidato e si ferma: è un simbolo chiaramente. Si ferma su una casa e là troviamo un piccolo Bambino, ancora Lui, il Bambino di Betlemme, che abbiamo contemplato la notte di Natale.
I Magi sanno che in quel Bambino c'è la salvezza, c'è la Luce. A Lui offrono doni come fosse un Re, come fosse la divinità: oro, incenso, mirra, i doni più preziosi del tempo. Riconoscono in Lui la Luce, che può dare la vita e illuminare il cuore dell'uomo e hanno doni da offrire.
Noi non abbiamo oro, incenso e mirra, abbiamo qualche cosa di molto più prezioso che siamo invitati ad offrire oggi: noi stessi, il nostro coraggio, il nostro desiderio di cercare la luce e il bene. Quello che possiamo offrire a Gesù che è molto di più dell'oro: è il cuore che abbiamo, è il desiderio della luce, è la voglia di camminare ancora, di seguire Gesù.
Lo vedremo crescere, ascolteremo le sue parole, cercheremo di farle nostre, convinti sempre che nelle sue parole c'è la luce che traccia la strada, che ci fa vedere con occhi diversi il mondo e soprattutto le persone. Ci farà capaci di riconoscerle come fratelli e non come nemici, come gente che mette paura e Gesù camminerà con noi. Lo sentiremo accanto in quest'anno che ci sta davanti e ancora senza fermarci continueremo a cercare Lui, la sua Luce, come i Magi, come gente che cammina senza stancarsi, che non si lascia impaurire dal mondo, né dai sapienti, né dalla folla, né dai violenti perché abbiamo dentro una luce che viene dall'Alto, perché abbiamo con noi Gesù.
Il Signore ci aiuti.
In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al BATTESIMO del SIGNORE - 12 Gennaio 2020
Giordano da Giovanni, per farsi battezzare Matteo 3,13-17
Con ogni probabilità i primi discepoli hanno incontrato Gesù da Giovanni. Giovanni era un profeta che aveva una grande fama, tanta gente accorreva da lui. Un profeta severo, che annunciava la fine dei tempi e soprattutto chiedeva il rinnovamento del suo popolo.
Giovanni va nel deserto, sul Giordano non soltanto per desiderio di penitenza - c'è anche quello - ma soprattutto perché il Giordano è il luogo del "passaggio": il passaggio dalla schiavitù dell'Egitto verso la "terra promessa". Bisogna ritornare alle origini, al fondamento della nostra fede. Dice Giovanni: "Noi eravamo in Egitto, schiavi del male, dell'oppressione e Dio ci ha chiamato fuori versò la terra della libertà, verso la terra del bene e questo cammino bisogna sempre riprenderlo. Bisogna tornare là, di nuovo immergersi nell'acqua, lasciare dietro le spalle tutto quello che c'è di negativo, tutto quello che è male".
Nel cuore della fede di Israele c'è il "passaggio". Ma se ci pensate - questo - c'è anche nel cuore della nostra fede. Per questo i primi cristiani continuano a battezzare. È diventato qualche cosa di diverso, ma anche lì è un passaggio, in cui si lascia dietro le spalle il mondo del male e ci si unisce a Gesù.
Paolo, nella sua lettera ai Romani dice: "Voi lo sapete: siete morti con Cristo al peccato per risorgere con Lui a una vita nuova".
Passaggio dal male al bene, ricerca continua di una vita più giusta: questo è il Battesimo cristiano.
I primi cristiani hanno visto Gesù di Nazareth immergersi nel Battesimo e in quel gesto hanno visto l'inizio della sua missione. Poi hanno riconosciuto in Lui il Signore, l'Inviato dal Padre, il Figlio amato e prediletto che veniva a condividere la nostra vita. Lui ormai occorreva seguire, anche perché Giovanni era stato ucciso e allora Gesù ne prendeva il posto.
Con Gesù bisognava continuare a seguire il cammino di Giovanni, bisognava continuare ad attraversare il "fiume", a lasciare dietro le spalle il male.
Ma c'è un'altra cosa che i cristiani hanno visto in quel gesto. Lo avete sentito sulle parole di Giovanni Battista che probabilmente gli mettono in bocca... qui più che al racconto di un fatto ci troviamo di fronte ad una professione di fede.
Avete sentito che Giovanni dice: "Sono io che devo essere battezzato da te, e tu vieni da me?". Gesù gli dice: "Lascia, dobbiamo compiere ogni giustizia".
I primi cristiani si interrogano: "Che cos'è questa giustizia? Perché Gesù ha voluto compiere anche Lui questo rito di passaggio, di purificazione? Lui non ne aveva bisogno!". E allora capiscono… capiscono che il Figlio che è venuto, Dio che viene a condividere il nostro cammino, non condivide con Giovanni la severità, la minaccia, il castigo.
Gesù: - per usare le parole del profeta Isaia, bellissime, che abbiamo ascoltato questa mattina - "Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta".
Ecco, in Gesù i primi cristiani hanno visto non un giudice severo che condanna, non l'annunciatore della fine, ma Colui che si metteva accanto a chi ha il cuore pesante, a chi si sente come una canna incrinata, a chi si sente fragile, non ce la fa a vivere sempre il bene, per camminare con Lui, dalla sua parte. Non sta davanti, non è Colui che giudica, ma Colui che ti si ferma accanto, che cammina con te.
Non solo, ma non è Colui che ti invita al digiuno, alla penitenza, a batterti il petto, a flagellarti... ma ti invita alla "festa" perché sa che il bene si fa non con la paura, ma con la festa. Si fa con la capacità di amare, di avere dentro di sé dei valori, quasi un fuoco che scalda, l'amore per la vita, per ciò che la rende bella... è allora che sei capace di camminare, è allora che non ti stanchi e se ti fermi e se cadi, puoi rialzarti e camminare ancora, perché con Gesù hai un fuoco dentro, qualcosa che ti riscalda l'anima e che ti permette di andare... e Lui cammina con te, non davanti per giudicarti, condannarti, ma accanto, per metterti la mano sulla spalla: questo i primi cristiani hanno intuito nel Battesimo di Gesù.
Lui non ha battezzato, Lui si è fatto battezzare, Lui ha camminato con noi, Lui ha condiviso con noi l'immersione nelle acque del Giordano per avviarci, senza stancarci, aldilà del male verso una vita migliore, verso la pienezza del bene, ma anche verso la pienezza della festa... la festa di Dio, la gioia di Dio che - come dice l'antica scrittura - è la nostra forza.
Il Signore ci aiuti.
"Ecco l'agnello di Dio, colui che II DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 19 Gennaio 2020
toglie il peccato del mondo!" Giovanni 1,29-34
Quello che leggiamo nel Vangelo - spesso - più che il racconto di un episodio accaduto tanti anni fa, è la testimonianza dei primi discepoli... testimonianza di cristiani che è anche la mia e (se posso coinvolgervi) forse anche la vostra testimonianza.
Vedete - abbiamo ascoltato in questo racconto per due volte Giovanni il Battista dire: "Io non lo conoscevo". Ma Giovanni non è il figlio di Elisabetta? Maria, al momento dell'annunzio dell'Angelo ha ascoltato che la sua cugina era incinta di sei mesi e si è alzata ed è corsa. Gesù - dunque - è il cugino di Giovanni Battista, come può dire che non lo conosceva?!
Non lo dice Giovanni Battista, lo dicono i primi cristiani, lo dico io e potete dirlo anche voi: "Io non lo conoscevo".
I primi cristiani non conoscevano Gesù, era gente che faceva vari mestieri... poi a un certo punto Gesù ha attraversato la loro vita e sono stati incantati da Lui, presi dal fascino della sua persona, dei valori che aveva dentro, colpiti dal suo sguardo, dalla bellezza delle sue parole, dai suoi gesti e hanno cominciato a seguirlo e Gesù ha cambiato la loro vita.
La stessa cosa è successa per me: quando son nato, non conoscevo Gesù. Ho avuto la fortuna di incontrarlo nella vita e la ritengo una grande fortuna perché - vedete - sulla terra la maggior parte degli uomini non ha mai sentito parlare di Gesù: questo non significa che molti di loro non siano migliori di me, ma io ritengo una grande fortuna aver incontrato Gesù. Lui, per me, è stato un amico, un compagno di strada, Uno che mi ha comunicato dei valori essenziali.
E come ho conosciuto Gesù? Avete ascoltato un'altra parola ripetuta due volte in questa pagina: Giovanni testimonia Gesù. Gesù si conosce attraverso i testimoni! Fin da quando ero bambino... mio papà, mia mamma, poi tante persone che ho incontrato, alcuni preti... ma poi diventato prete, tanti bambini, tanti ragazzi, tanti giovani, tanti adulti e tante persone anziane che forse sono quelle che più profondamente ti aiutano a cogliere alcuni aspetti del messaggio di Gesù.
Poi ho avuto la fortuna - anche questa non frequente - di conoscere abbastanza bene il Vangelo. L'ho letto e riletto (ormai credo) qualche migliaio di volte, anche insieme alle persone e sempre c'era qualche cosa di nuovo ed ecco che ritorna per me importante la frase che abbiamo ascoltato due volte: "Io non lo conoscevo". È un'esperienza che ho fatto: quando credevo di conoscerlo, poi mi accorgevo che c'era sempre qualche cosa di nuovo, che bisognava sempre continuare a cercare di capire, di scoprire i segreti del suo cuore... ma - se ci pensate - non è una cosa tanto strana, questa. Quale genitore può dire di conoscere fino in fondo suo figlio. Se lo conoscesse totalmente non sarebbe una persona, sarebbe una macchina. Le persone cambiano, si muovono, presentano aspetti diversi. Un marito non conosce mai pienamente una moglie, a maggior ragione non possiamo conoscere fino in fondo Gesù. C'è sempre qualche cosa di Lui che mi sorprende. Non c'è stata volta (credo) che abbia letto il Vangelo e non ci sia stato un aspetto nuovo che mi ha sorpreso, colpito, arricchito, specialmente quando intorno trovi dei testimoni, della gente che vive il Vangelo.
E l'altra cosa che la pagina di oggi ci dice è che l'incontro con Gesù porta a fare qualche passo (io ne avrei potuti fare molti di più) di liberazione dal male: ecco (secondo me) il senso che ha avuto nella mia vita la frase di Giovanni: "Ecco, l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato nel mondo". Gesù non ha certo tolto il peccato dalla faccia della terra, basta guardarsi intorno.
Ma nel cammino della mia vita, quanto più facevo mio il messaggio di Gesù, tanto più mi sembrava di acquisire maggiore consapevolezza dell'importanza che avesse il rispetto dell'altro, il cercare il bene di chi incontravo: e questo è diventare un po' migliori, liberarsi dalla pigrizia, dal non fare il bene, perché il vero peccato è questo: far soffrire la gente, non aiutare chi è in difficoltà.
Il rispetto, la tenerezza verso tutti forse soprattutto verso chi sbaglia: è questo che Gesù ha comunicato alla mia, alla nostra vita e ci fa migliori: ecco in che senso l'incontro con Gesù ci toglie un po' dal cuore il nostro male, le nostre pigrizie, la nostra incapacità di amare, di rispettare il nostro prossimo, di condividere la vita.
Ecco - allora - che il Vangelo di oggi ci dice: "In quest'anno che abbiamo davanti, continuate a cercare Gesù, non lo conoscete fino in fondo". Avremo tante domeniche e leggeremo il Vangelo di Matteo, un Vangelo che ha delle pagine straordinarie e ci aiuteranno a conoscere sempre meglio Gesù e se faremo attenzione, credo che scopriremo qualche cosa di più e sentiremo che Gesù ci comunica qualche cosa di vivo, di bello che arricchisce la nostra vita.
Allora ci sentiremo come i primi cristiani, fortunati di aver incontrato Gesù e sentiremo come loro tutta la gioia, tutto lo stupore, tutta la loro meraviglia e tutta la loro gratitudine per aver avuto nella vita la fortuna di incontrare Gesù, di camminare con Lui, di sentirlo amico, di condividere i suoi passi sulla terra verso un mondo sempre migliore: è quello che cercheremo di fare anche noi in quest'anno che ci sta davanti.
Il Signore ci aiuti.
E disse loro: "Venite dietro a III DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 26 Gennaio 2020
me vi farò pescatori di uomini". Matteo 4,12-23
Gesù quando sente che Giovanni è stato arrestato, forse pensando che sia ormai arrivato il suo momento, che deve sostituire il maestro che non c'è più, lascia Nazareth e comincia la sua predicazione.
E un giorno - come avete ascoltato - passa sulle rive del lago... ci sono alcune persone che sono lì intente a pescare: "Venite con me..." lasciano tutto e lo seguono. Sembra una storia incredibile. Uno passa, sconosciuto, chiama e lo seguono. Non è una storia, è l'esperienza della vita cristiana. In pochissime parole il Vangelo di Matteo ci descrive cosa significa essere cristiani, qual è l'essenza.
La prima cosa che ci dice è che siamo cristiani perché abbiamo ricevuto una "chiamata" a seguire il Signore. Abbiamo conosciuto Lui, abbiamo sentito l'invito a camminare con Lui, a far nostri i suoi valori, la sua luce, a sentirlo come compagno di strada, come Colui che ci indica la via, ci comunica i valori importanti: la vocazione è proprio questa! Cercare di far nostra la vita, la realtà, i pensieri, i sogni di Gesù, cercare di diventare come Lui.
Un'altra cosa ci dice questo brevissimo episodio... che la "chiamata" è qualche cosa che si verifica, che si realizza nel concreto della vita di ogni giorno.
Avete ascoltato come viene sottolineato: "alcuni gettano le reti, altri le riparano". Non ci sarebbe motivo di sottolinearlo... eppure qui ci vogliono dire che la chiamata ci riguarda tutti e ci riguarda nel nostro cammino quotidiano, nel nostro lavoro, nei nostri rapporti famigliari, nella vita di ogni giorno.
Quando ero giovane sentivo parlare di vocazione, di chiamata che riguardasse i missionari che andavano in terre lontane, oppure i monaci, le suore. Questa pagina ci dice che la vocazione è di tutti. Tutti siamo chiamati e nel concreto del nostro essere quotidiano: lavoratori in una parte, in un'altra, padri di famiglia, nonni, insegnanti... ciascuno nel proprio lavoro è chiamato a testimoniare Gesù, perché (come avete ascoltato) ci chiama a essere "pescatori di uomini".
Pescatori di uomini significa essere testimoni di Lui per chi ci sta accanto. Cercare di comunicare i valori che abbiamo intuito e scoperto in Gesù. Cercare di condividere la vita con gli altri, di comunicare qualche cosa di importante ogni giorno.
Un'altra cosa che ci dice il Vangelo di oggi è che per seguire Gesù occorre "lasciare" qualche cosa.
Un tempo mi dicevano che per seguire Gesù bisognava lasciare tutto: la propria famiglia, la professione… una vocazione straordinaria, no. "Lasciare" è qualche cosa che ci riguarda nella vita di ogni giorno. Si tratta di lasciare il nostro egoismo, le nostre pigrizie, il nostro attaccamento alle cose, il volerci preoccupare soltanto di quello che ci fa comodo, tutto quello che è negativo, che sciupa la vita, fa soffrire, fa del male agli altri.
Le lettere di Paolo hanno un'immagine ancora più forte. Lui parla di morte e risurrezione. Il cristiano è uno che ha accettato nel Battesimo di morire con Gesù a tutto quello che è male, a tutto quello che è negativo per risorgere a una vita nuova, per scegliere il bene, la Luce, il servizio degli altri, l'amore
Un'altra cosa ci dice questa pagina del Vangelo che non dobbiamo soltanto lasciare le cose, ma anche le persone. Cosa significa "lasciare le persone"?
Un tempo mi dicevano che la vocazione riguarda quelli che lasciano la famiglia, il padre la madre per scegliere una vita dedicata totalmente al Signore. Se leggete più avanti, nel Vangelo, trovate che i discepoli, tutti, hanno ancora la loro famiglia, anche dopo la morte di Gesù vanno in giro per il mondo - dice Paolo - e ognuno ha con sé la sua famiglia: è normale!
Ma allora cosa significa "lasciare"? Se ho capito vuol dire lasciare la nostra volontà di potere sugli altri, della moglie sul marito, del marito sulla moglie, dei genitori sui figli, dei nonni sui nipoti o dei figli nei confronti dei genitori. Noi siamo tentati di possedere gli altri, di volere che gli altri siano come noi li vorremmo.
Lasciare le nostre immagini degli altri, quello che pensiamo che sia giusto per gli altri, per vivere profondamente il rispetto dell'altro, sapendo che l'uomo è sempre un mistero che non possiamo mai conoscerlo fino in fondo, che c'è sempre qualche cosa di nuovo, che esige da noi non la condanna, il rifiuto, il tentativo di cambiare, ma il rispetto, l'attenzione, la condivisione: ecco cosa significa "lasciare" le persone.
Lasciare non loro, ma la nostra idea che rischiamo di farci di loro, la nostra volontà di essere al di sopra, di sapere quello che è giusto e quello che è sbagliato.
Ecco cosa ci dice questa pagina del Vangelo. Se vuoi essere cristiano scegli di seguire Gesù ogni giorno nella tua vita quotidiana, qualunque lavoro tu faccia, nella tua casa. Seguire Gesù, i suoi valori, i sogni del suo cuore e testimoniarli, come puoi, agli altri, cerca di "lasciare"... lasciare le tue pigrizie, il tuo egoismo, il tuo attaccamento esasperato alle cose. Cerca di lasciare la tua volontà di dominare gli altri, di controllare gli altri, vivi il dono di te, la gratuità, il rispetto e cerca di camminare sulla strada dell'amore e condividi la tua esperienza con tutti quelli che puoi: è il cammino della vita cristiana che questa pagina del Vangelo ci dice in pochissime parole. Le parole sono poche, la vita è più lunga, più complessa e capire cosa significhi seguire Gesù è la ricerca che ci viene affidata giorno per giorno.
Il Signore ci aiuti.
"Luce per rivelarti alle genti e PRESENTAZIONE del SIGNORE - 2 Febbraio 2020
gloria del tuo popolo, Israele…" Luca 2,22-40
Ricordiamo oggi (come avete ascoltato) due episodi della vita di Gesù e di Maria che mi permettono di fare una riflessione che ritengo utile e forse anche importante per voi, perché siamo in un tempo in cui ci sono nella vita della Chiesa istanze di cambiamento, voglia di cambiare qualche cosa... se avete ascoltato, negli ultimi giorni si parla del problema del matrimonio dei preti, oppure della possibilità delle donne di diventare sacerdote. C'è chi dice che non si può cambiare niente, che così è stabilito, fa parte della tradizione, che la religione è una e immutabile fin dai tempi più antichi.
Quello che ricordiamo oggi mi permette di dire che la religiosità è un continuo cammino di evoluzione in cui i credenti pian piano scoprono cose nuove, si accorgono che certe cose che son sempre state fatte, è necessario cambiarle, perché c'è un modo nuovo di vedere il mondo, la vita e soprattutto le persone e il rapporto con Dio.
Oggi celebriamo due avvenimenti... il primo: la purificazione di Maria dopo il parto. La legge di Israele stabilisce che quaranta giorni dopo il parto, la donna che ha partorito, che è impura, deve andare nel tempio a fare la sua purificazione ed fare un'offerta... Maria e Giuseppe sono poveri e quindi bastano due colombe.
Un rito di purificazione perché nella tradizione ebraica, c'era il tabù del sangue. Ogni volta che si perde sangue c'è qualche cosa di oscuro, che contamina, ha bisogno di essere purificato: questo vale per le mestruazioni: la donna che ha le mestruazioni è impura, questo vale per il parto dove c'è sempre un po' di spargimento di sangue. Un tabù del sangue che noi non abbiamo più! Sono cose che riteniamo appartenere al passato, un passato lontano, oscuro e quindi nel corso della storia della Chiesa si è abbandonato questo rito, non completamente...!
Quando ero un giovane prete, veniva ancora qualche signora che chiedeva la benedizione dopo il parto, offriva la candela e recitavo la preghiera che era una vera preghiera di purificazione.
Oggi ricordiamo anche un altro avvenimento: Maria e Giuseppe vengono a presentare il Bambino Gesù al Tempio, perché la legge dice che il primogenito appartiene a Dio, a Lui deve essere sacrificato e devono riscattarlo.
Questo è qualche cosa di arcaico e in Israele sembra - secondo gli studiosi - che all'inizio della storia ci fosse il sacrificio del figlio. Il primogenito doveva essere sacrificato alla divinità per proteggere il clan, per favorire tutte le nascite.
A un certo punto Israele si accorge che è una cosa assurda e che il sacrificio del figlio... (ricordate la storia di Abramo e di Isacco) deve essere sostituito con la capra. Non si offre più il bambino, il bambino viene riscattato, si offre al suo posto un animale.
Oggi tutto questo per noi è incomprensibile. Noi non dobbiamo più riscattare un figlio. Dio non è Colui che esige che gli venga sacrificato il figlio. Quindi - vedete - cambiamenti profondi nella mentalità nel modo di comprendere Dio e il nostro rapporto con Lui.
Quando si fanno dei passi avanti (per quello che ho capito io) non conviene buttare via tutto, perché (per esempio) nell'idea che nel parto ci sia qualche cosa di misterioso, qualche cosa di sacro sarebbe bene che lo conservassimo anche noi. Oggi, i parti avvengono non in casa, in un clan famigliare con tutte le donne che si affannano intorno, ma in un ambiente asettico, in ospedale e si rischia di essere tutti presi dagli strumenti medici e di perdere la sacralità della nascita di un bambino, quello che c'è di stupefacente, di meraviglioso in un bambino che viene al mondo.
Così come nell'offerta del figlio a Dio, c'è qualche cosa che gli antichi hanno intravisto, qualche cosa che è essenziale anche per noi: un figlio non appartiene ai genitori, un figlio è di Dio, un figlio deve andare per la sua strada. Il papà e la mamma non possono fare quello che vogliono del proprio bambino, devono lasciarlo crescere come vuole Dio, seguendo le sue aspirazioni, deve essere libero.
Un altro cambiamento che c'è nel Vangelo di oggi, un cambiamento per noi fondamentale è messo in bocca al vecchio Simeone, il quale dice: "Gesù è la Luce per illuminare tutte le genti". Questo, per la mentalità di Israele e per i primi cristiani è stata una svolta radicale e che è costata anche fatica e qualche volta dolore.
La Parola di Dio, il messaggio di Dio non era più riservato ad un popolo, ma ad ogni uomo che vive sulla terra. Ormai la Luce di Cristo è la luce per le nazioni, per tutti ed è stato fatto un passo avanti decisivo.
Noi oggi siamo qui a far memoria di Gesù perché allora hanno avuto il coraggio di dire: "Non solo un popolo, ma tutti".
Oggi abbiamo fatto un passo avanti... Gesù non è soltanto per quelli che sono battezzati, ma è per tutti! Un tempo quando studiavo ancora vigeva un'antica parola latina: "Extra ecclesiam nulla salus" "Fuori della Chiesa non c'è salvezza!" Oggi sappiamo che c'è salvezza, c'è giustizia, c'è libertà, c'è ricerca dei valori in, ogni angolo della terra, in ogni atteggiamento religioso e anche in molte persone che atteggiamento religioso non hanno. Vedete come cambiano le cose!
Prima sembrava che l'incontro con Dio potesse essere fatto solo da Israele, poi dai cristiani e oggi per noi si allarga ai confini della terra, al di là di ogni religione: dovremmo essere capaci di riconoscere i valori, che noi sentiamo vivi in Gesù, in tanti uomini che vivono sulla faccia della terra e che magari Gesù non l'hanno mai sentito nominare o - addirittura - lo bestemmiano.
Un'altra cosa vorrei farvi notare in quello che abbiamo letto oggi, che il vecchio Simeone dice che Gesù è la "gloria del suo popolo Israele". È importante che ce lo ricordiamo oggi in cui ritornano rigurgiti di antisemitismo che hanno attraversato la storia cristiana fin dai primi tempi: una cosa terribile...!
Eppure Gesù è stato un ebreo, nato ebreo, osservava - come avete ascoltato - la legge ebraica, è la "gloria" del popolo di Israele, è vissuto come ebreo, ha pregato come ebreo, è morto come ebreo... qui dovremmo sentire il popolo di Israele come i nostri padri, coloro che ci hanno trasmesso la Luce del Signore, una luce che si è manifestata pienamente in Gesù di Nazareth.
Ecco quello che volevo dirvi oggi... le cose cambiano, a volte lentamente. La religione non è una cosa fissa, cresce con l'uomo, con le sue scoperte.
Vedo che qui c'è qualche ragazzo, ma credo che nemmeno lui vedrà mai una donna diventare prete o Papa! Ma chi sa! I nipoti dei nipoti dei nipoti... mettete quanti nipoti vi pare forse un giorno vedranno... - come si dice con solennità - sul soglio di Pietro una donna: sarebbe un passo avanti notevole per l'umanità.
Dire che questo è impossibile, dire che la religione non cambia è un'autentica sciocchezza. lo penso che il Vangelo di oggi lo dimostri ampiamente e - quindi - occorre essere aperti al futuro. Se i vostri figli, i vostri nipoti vedono le cose in modo diverso, prima di condannare e giudicare... ascoltate! Forse c'è qualche cosa di nuovo, qualche cosa che bisogna cambiare nella nostra mentalità, per aprirci sempre di più - questo sì che è essenziale - alla luce di Gesù! Una Luce che è per me, per voi, ma per ogni uomo che vive sulla terra.
Il Signore ci aiuti.
"Voi siete il sale della terra… V DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 9 Febbraio 2020
"Voi siete la luce del mondo… Matteo 5,13-16
Ci sono delle frasi del Vangelo che rischiano di essere molto pericolose se non vengono interpretate correttamente. Oggi ne abbiamo qualcuna...
Vedete - dire ai cristiani: "Voi siete la luce, voi siete il sale che da senso alla vita" rischia di portare molta gente a pensare di possedere la Verità e di doverla imporre agli altri.
È successo tante volte nella storia della Chiesa che popoli interi siano stati costretti a convertirsi al cristianesimo con la forza. Se io sono la "luce" devo portarla, costi quel che costi, agli altri e c'è mancanza di rispetto, di volontà di capire chi è diverso da me.
Ma non riguarda soltanto la storia lontana... Vedete - quando io ho studiato e, come me, tanti altri preti ci dicevano che noi siamo la "luce", che dobbiamo essere un faro e ci assicuravano che la discesa dello Spirito ci avrebbe dato la possibilità di conservare questa luce dentro di noi, di possederla. Una luce - quindi - che non andava cercata ogni giorno, ma la sicurezza di essere nella luce: questo porta molti preti a pensare di sapere tutto, a non dialogare con la gente, a fare affermazioni che gli altri fanno fatica a condividere. Ne ho fatto esperienza anche in questa settimana! È (per quello che ho capito) una mancanza di educazione e di rispetto. Rispetto verso l'altro, verso la difficoltà di avvicinarsi alla uce, di cercarla... una luce che va cercata insieme, che nessuno può pretendere di possedere.
Quello che vale per la storia, quello che vale per i preti, vale anche per la vita di tutti i giorni, vale per gli insegnanti, per i genitori. Pensare di possedere la luce è non essere attento all'altro che magari cambia, che la vede in modo diverso… le cose si muovono, il tempo diventa più complesso e ci vuole attenzione e ricerca fatta insieme e non pretendere di possedere e, soprattutto, non cercare di imporre agli altri quello che secondo noi è la luce, il senso della vita.
La luce è multiforme, ce ne sono tanti aspetti. Il senso della vita non è mai possibile coglierlo tutto insieme, se ne può cogliere qualche aspetto, qualche barlume: è importante cercarlo insieme, genitori e figli, insegnanti, alunni, persone che si incontrano, amici... senza mai pensare di sapere, di imporre il proprio modo di vedere agli altri.
Ma c'è un altro pericolo in queste parole del Vangelo... è quando capita (forse anche a qualcuno di voi) di domandarsi: "Ma io per chi sono stato luce nella mia vita?". E quando si fanno queste domande, in genere, viene la malinconia, se non addirittura il senso di colpa.
Ho incontrato tante volte, nella mia esperienza di prete, delle mamme, dei papà che dicevano: "Vengo a Messa tutte le domeniche, ma i figli non vengono più. Non sono stato capace, evidentemente, di testimoniare loro Gesù, il Vangelo". E domando spesso: "Ma sono delle persone perbene?" "Oh sì, anche meglio di me!". "E, allora, che vai cercando!".
La luce di Gesù non è fatta di preghiera, di riti, ma di valori, è fatta di gratuità, di servizio, di attenzione verso gli altri... ma qualche volta può anche succedere che un figlio non abbia nemmeno quei valori, che prenda una strada sbagliata... è colpa dei genitori? Ma la vita è oggi estremamente complessa... ci sono tante interferenze, tante componenti, ci sono i mezzi di comunicazione... c'è il cinema, la televisione, i compagni, le mode che passano... come si fa a crescere bene un figlio? E chi lo sa?!
Quindi, se vi viene di domandarvi, come capita a me qualche volta: "Sono stato luce?". E ti vengono i sensi di colpa: potevo fare molto meglio di quello che ho fatto? Certamente sì! Ma che vale domandarselo adesso? Quello che è fatto è fatto, non si torna indietro!
Quello che è importante nella vita cristiana è affidarsi alla misericordia di Dio e guardare avanti e tentare di essere - come si può - persone che fanno il bene, perché è questo che dà testimonianza... non sono tanto le parole. Dice il Vangelo: "Perché gli uomini vedano le vostre opere buone e diano gloria a Dio".
Sono le opere, è la tenerezza che può testimoniare qualche cosa della luce di Gesù. Una luce che va sempre cercata e nessuno di noi può mai possedere pienamente, ma dobbiamo guardare avanti con fiducia senza farci prendere dai sensi di colpa, senza metterci pesi sulla coscienza perchè la vita è complessa… ciascuno di noi cerchi di fare quello che può.
Forse una cosa importante che potremmo fare oggi è quella di ricordare tutti quelli che per noi sono stati "luce" e probabilmente, se per voi almeno in parte successo come per me, sono stati tanti fin da quando ero un bambino piccolo piccolo. Tante persone che con il loro cuore, con i loro gesti, con la loro tenerezza mi hanno dato una testimonianza di luce: tutti questi ci conviene oggi ringraziare guardando avanti e continuando a fare quello che possiamo per testimoniare Gesù senza rimorsi, senza sensi di colpa con grande serenità, che viene dall'affidarsi a Dio e alla sua tenerezza.
Il Signore ci aiuti.
"Non sono venuto ad abolire VI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 16 Febbraio 2020
ma a dare pieno compimento…" Matteo 5,17-37
Una pagina (come avete ascoltato) particolarmente lunga e complessa. Il più grande torto che gli si possa fare è pensare che Gesù sia venuto a rendere la legge più dura, più severa, più difficile da osservare.
Il Vangelo ha tentato di dircelo usando il linguaggio orientale che ci aiuta a capire... si parla di "occhi strappati, di mani tagliate", che senso ha tutto questo?! Allora occorre capire qual è il senso di questa pagina.
Gesù non è venuto a togliere la legge. La legge è importante, è frutto del lungo cammino dell'uomo, serve a difendere la sua vita, ma per Gesù occorre andare oltre. Andare oltre in un doppio significato... primo: sarò capace di capire il senso della legge, se avrò dentro di me dei valori, qualche cosa di importante in cui credo, qualche cosa che mi fa dire che è giusto fare così, non perché me lo dice qualcun altro, non perché lo comanda la legge, ma perché lo sento dentro di me, perchè ho capito quanto sia importante e allora ecco che quello che deve cambiare è il cuore.
È stato detto: "Non uccidere" ma io vi dico: "Non dire a uno che sia pazzo". È il rispetto dell'altro, è l'attenzione da chi è diverso da te, è il non considerare nessuno con occhio severo.
È stato detto: "Non commetterai adulterio" ma io vi dico: "Chiunque guarda una donna per desiderarla e per possederla ha già commesso adulterio". È il rispetto verso di lei che conta, è il sentire che è un'altra persona davanti alla quale io non posso che vivere l'attenzione, il rispetto. È fondamentale oggi questo! Andrebbe scritto su tanti muri invece di tante sciocchezze che si scrivono. Anche ieri sentivamo l'ultima storia di un femminicidio! Se non c'è rispetto per l'altro, se non cresciamo nel rispetto fondamentale per un'altra persona... si arriva anche ad uccidere. Quello che conta è che cambi il cuore.
È stato detto: "Non giurare il falso" ma io vi dico: "non giurare affatto, sia il vostro linguaggio "sì, sì" "no, no". Non si tratta di osservare una legge, si tratta di amare la sincerità, la verità: ecco il senso di questa pagina, aldilà della legge.
E il secondo aspetto: non basta dire no, occorre dire dei sì. Occorre essere capaci di amare, di condividere la vita
"Se il tuo occhio ti fa giudicare con severità un'altra persona, sarebbe meglio che lo togliessi via". Se il tuo occhio è invidioso, se il tuo occhio è geloso, se il tuo occhio giudica il fratello un nemico, se non ti fa rispettare chi è diverso, se giudica lo straniero qualcuno di cui aver paura: caccia l'occhio.
Se la tua mano non è capace di tendersi a chi ha bisogno: tagliala e buttala via: ecco il senso di queste pagine che sembrano così sconcertanti e forti.
Ma c'è qualche cosa che ci riguarda più da vicino, noi che ci ritroviamo qui a celebrare. Queste pagine ci dicono: occorre andare oltre il culto.
"Se stai per presentare la tua offerta all'altare e ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all'altare e va a riconciliarti". Potrebbe avere senso per noi: se stai per fare la Comunione e ti ricordi che qualcuno ha qualcosa contro di te... - non solo se hai fatto male a qualcuno - lascia di far la Comunione e va prima a riconciliarti! Non può essere una regola! Fare regole del Vangelo è quanto di più capace di tradirlo.
Il Vangelo è "sogno" e come sogno va vissuto. Un sogno in cui non si arriva mai in fondo e che deve essere sempre rinnovato: ecco quello che è il Vangelo.
Vedete - è importante capire che siamo qui non per adempiere un obbligo... Quando ero ragazzo mi dicevano: "Se non vai a Messa la Domenica vai all'inferno" e non mi spiegavano che essere qui significa compiere un rito che ha senso se mi spinge a condividere la vita, ad essere attento agli altri, a vivere la pace: ecco il senso del nostro stare qui.
È un senso morale, profondo: se non si capisce questo non ci si può stupire che poi si vada a dire la Messa nel covo del boss della mafia o se le processioni si fermano davanti alle case dei capi della camorra.
Il culto non può essere soltanto osservanza di riti, di leggi, di regole... deve essere qualche cosa che esige da noi, dal nostro cuore il rispetto, la vita condivisa, la ricerca appassionata della pace: ecco il Vangelo è "sogno", siamo qui ogni domenica non per adempiere un precetto, ma per rinnovare la nostra fede nel "sogno", nella bellezza di vivere l'amore, di condividere la vita, di cercare la pace e non è cosa semplice!
Il Signore ci aiuti.
"Siate perfetti come è perfetto VII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 23 Febbraio 2020
il Padre vostro celeste" Matteo 5,38-48
Ancora una volta (come avete ascoltato) parole particolarmente paradossali nel Vangelo di Matteo: "Porgere l'altra guancia. Se uno ti prende la tunica, lasciagli anche il mantello...". Il Vangelo usa questo linguaggio paradossale per farci comprendere che non è una legge, una regola, ma un "sogno", un progetto da inseguire, cercando di intuire che cosa possa significare nella vita di ogni giorno: è il progetto della pace, della capacita di rispondere al male con il bene, di condividere la vita, di saper vivere la gratuità... un sogno! Un sogno che ciascuno di noi può tentare di incarnare concretamente nella propria vita.
Guardate - sembrano parole astratte, ma se ci pensate un momento, nella storia molto spesso abbiamo visto la capacità degli uomini - magari dopo una guerra - di fare pace, non solo di fare pace, ma di aiutarsi a ricostruire la vita distrutta perché non ricominciasse la guerra.
Abbiamo visto nel nostro paese, in tante carceri, il tentativo di rispondere al male, rieducando attraverso il teatro, la poesia, la musica, la cultura, il lavoro... così succede anche in posti degradati del nostro paese... tante persone di buona volontà che si danno da fare per aiutare chi vive in un ambiente rovinato, distrutto, in cui c'è violenza e male a recuperare gli spazi della vita attraverso tanti strumenti anche semplici come il coltivare un orto.
C'è tanta gente che ha fantasia... fantasia per rispondere al male con il bene, con il tentativo di far comprendere che cos'è la vita condivisa, il vivere in pace, l'aiutarsi l'uno con l'altro, il godere della cose belle della vita... e quello che vale per la società, per la storia vale anche per la famiglia, nei rapporti tra gli amici...
A volte si litiga ed è bello quando c'è qualcuno che sa fermarsi e sa rispondere al male, all'arrabbiatura con il senso della pace, con l'ironia, con la dolcezza... a volte si trova la strada per vivere insieme in maniera pacifica.
Ecco - vedete - il Vangelo è così: ideale, sogno e poi ciascuno deve domandarsi che cosa significa, nel concreto della propria vita, vivere questo giorno per giorno e la radice è quella di considerare gli altri come nostri fratelli.
Avete inteso ricordare il comandamento che tutti conoscete: "Ama il prossimo tuo come te stesso" ma se ci riflettete un momento... è un comandamento equivoco perché - lo trovate nel Vangelo - il rabbino che concorda pienamente, dice: "Chi è il mio prossimo?". Solo quelli del mio clan o solo quelli del popolo di Israele? Gesù deve raccontare la parabola che tutti conoscete del "Buon Samaritano"... Il prossimo è anche il nemico, il prossimo può essere colui che è ateo, che appartiene ad un'altra religione, il prossimo è "l'altro". È fondamentale ricordarcene in un tempo in cui siamo tentati - lo sentiamo spesso ripetere - di dire: "Prima i cattolici, prima gli italiani, prima quelli del nord", no, prima l'uomo, l'uomo in difficoltà, l'uomo che ha bisogno e anche, per usare le parole di Gesù: prima quello che sbaglia, per andargli incontro, per tendergli la mano, per fare, se ci riesce, qualche cosa per lui.
Ricordatevi... non sono regole, non sono comandamenti, è il tentativo di esprimere nella nostra vita di ogni giorno quei valori che abbiamo dentro di noi: desideri di pace, di gratuità, di vita condivisa.
C'è un'ultima parola che è stata preziosa per la mia vita e che vorrei condividere con voi: il discorso della montagna - forse una della pagine più belle del Vangelo - finisce con delle parole assurde: "Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste". Da quando ho capito qualche cosa di questa parola, l'ho sentita come una grande liberazione perché - vedete - quando ero ragazzo mi dicevano che dovevo essere sempre migliore e magari facevano qualche confronto: "Guarda quello, guarda quell'altro..." quando andavo a scuola c'era molta gente più brava di me e qualche volta me li ponevano come modelli, come esempi e questo, qualche volta, mi faceva sentire frustrato, incapace.
Quando ho scoperto che invece il Vangelo mi dice: "Non essere bravo come san Paolo o san Francesco, devi essere perfetto come Dio". "Ah, allora sono un uomo libero!". Allora non ho più un modello da raggiungere, allora ho soltanto da camminare, perché se c'è una cosa che non potrò mai fare è essere perfetto come Dio. Allora è come salire su una montagna, ma una, montagna che non ha cima, in cui non si può mai arrivare, in cui non c'è chi sta più avanti e chi più indietro, non c'è chi arriva primo e chi secondo… l'importante è camminare e qualche volta si cade, qualche volta ci si sente stanchi e si riprende il cammino e ci si rialza con fiducia, fiducia nel Signore, nei valori che abbiamo dentro: l'importante non è arrivare, l'importante è camminare. Perfetti come Dio non lo saremo mai, ma faremo quello che potremo per essere almeno un po' come Lui che come avete ascoltato in una bella immagine di oggi: "Fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti". Un Dio per tutti, un Dio che ci ama tutti come fratelli, che ama me come ogni uomo che vive sulla terra e tutti noi invita a camminare verso un mondo in cui ci sia pace e gratuità e tenerezza: è questo il Vangelo di oggi, un "sogno" che ciascuno di noi cerca... - come può - di rendere concreto nella propria vita senza mai scoraggiarsi, sempre affidandosi alla tenerezza di Dio.
Il Signore ci aiuti.
Gesù fu condotto nel deserto I DOMENICA di QUARESIMA - 1 Marzo 2020
per essere tentato dal diavolo… Matteo 4,1-11
Le Letture di questa Quaresima sono quelle che hanno accompagnato il cammino di coloro che si preparavano al Battesimo fin dai tempi più antichi.
Il Battesimo - come forse sapete - si celebrava nella notte di Pasqua e per i catecumeni (allora erano tutti adulti) la Quaresima era l'ultimo momento, era stato preparato un cammino per avvicinarli al Battesimo e tutta la comunità cristiana seguiva questo cammino ed era invitata a ripensare il proprio Battesimo. Ripensare il Battesimo significa ripensare la vita cristiana: cosa significa essere cristiani, seguire Gesù? Che scelta avremmo dovuto fare se fossimo stati battezzati da adulti?
Il cristiano è chiamato a rinnovare ogni giorno la propria vita e soprattutto in tempi particolari, come quello di preparazione alla Pasqua... quindi l'invito che la Chiesa ci fa: prepariamoci alla Pasqua, ripensiamo la nostra vita cristiana, faremo diversi passi.
Il primo passo indispensabile, secondo la tradizione ebraico-cristiana, è una riflessione sul male: che cosa è male? Perché facciamo il male? Cosa ci spinge a fare il male?
I primi cristiani si ponevano questo problema. Qualcuno di noi forse potrebbe domandare: "Ma non bastano i comandamenti? Non basta ascoltare quello che dice il Papa o il prete la domenica, le loro indicazioni morali?". Secondo i primi cristiani assolutamente, no! La morale non può venire dal di fuori, deve venire da dentro di noi e dobbiamo cercare di capire chi siamo, cosa ci spinge al male, che cos'è veramente il male, senza lasciarci condizionare da quello che ci dicono gli altri, anche perché il male è diverso per ciascuno di noi... quello che è male per me, nella mia situazione concreta, nei miei rapporti con le persone che incontro e con il mondo che mi circonda, non è uguale a quello che è per ciascuno di voi: siamo tutti diversi e la morale deve essere autonoma, deve venire da dentro di noi, non può venire da fuori. Deve venire da scelte che facciamo noi, convinti dei valori che abbiamo.
E - allora - il Vangelo di oggi ci propone una riflessione...: Che cosa ci spinge al male? Il Vangelo (come avete ascoltato) parla del "diavolo". Non so se voi crediate al diavolo, io, no, voi fate come vi pare, evidentemente, mi sembrano cose che appartengono a tempi lontani, ma ci sono ancora molti cristiani che ci credono.
Qualcuno di voi mi dirà: "Ma se non credi al diavolo, allora il male non c'è!". No, io credo non a un diavolo, ma a moltissimi diavoli e qualcuno ne ho anche dentro di me! Diavoli cattivi, eh! Il "diavolo" non è una cosa astratta, non è un personaggio misterioso che da fuori ci spinge, c'è qualche cosa dentro di noi che - forse - deriva addirittura dal nostro cammino dal mondo animale che ci spinge a fare il male e poi c'è intorno a noi tutto un mondo che rischia di condizionarci ed impedirci di fare scelte di bene.
Il Vangelo di oggi ci propone tre aspetti. (ce ne potrebbero essere altri, li cercherete da voi).
Il primo è l'invito (che credo sentiamo un po' tutti) a farci i fatti nostri, a non preoccuparci del prossimo. Abbiamo delle capacità, abbiamo dei poteri, usiamoli per noi! Il "diavolo" (è un simbolo nel Vangelo, chiaramente) dice a Gesù: "Vedi queste pietre, tu puoi trasformarle in pane, hai fame, fallo!" Gesù dice: "No!". Moltiplicherà il pane, non lo farà per sé, ma per gli altri.
Ecco quello che possiamo avere dentro di noi: penso a me, al più ai miei figli, alla mia famiglia... degli altri, del mondo, di un mondo che magari si sciupa, delle cose che non funzionano nel mondo della politica, della società... beh, io penso per me... è troppo faticoso, mi pesa troppo occuparmi degli altri, occuparmi del mondo, occuparmi della vita.
La seconda spinta che possiamo avere dentro di noi è quello di "mostrarci", di pensarci come ci pensano gli altri e di adattarci a quello che dicono gli altri. Quante volte (forse anche noi) ci siamo fermati nel fare qualcosa pensando: "Chissà che ne penseranno gli altri?". Oppure quante volte abbiamo cercato di fare qualcosa perché gli altri ci dicessero: "Guarda quello come è bravo!".
Il criterio di Gesù è un altro, non è quello di mostrarsi, di apparire, di buttarsi dal "pinnacolo del tempio" per fare un prodigio. La sua scelta è il servizio quotidiano: si chinerà a lavare i piedi alla sua gente.
E se abbiamo dentro di noi questa spinta ad "apparire", ancora di più lo vediamo intorno a noi, una società in cui tutto sembra apparenza, non soltanto chi si esibisce in teatro... ma i politici, a volte i preti, a volte le autorità della Chiesa, sempre per farsi applaudire, più che per rispondere alla verità, ai bisogni del popolo...: "Cosa dirà la gente, cosa penseranno di me, come posso accattivarmi le loro simpatie" invece di cercare che cosa è giusto e vero.
C'è un'altra tentazione che ci riguarda, forse: è la tentazione di cercare una religione fatta di prodigi, di ricerca della protezione divina, "gli angeli ti sostenteranno". La religione è fatta di ricerca appassionata della verità, della verità di quello che siamo, di quello che possiamo fare nella vita di ogni giorno.
Potremmo dire con le parole di un antico: "Non siamo noi che abbiamo bisogno di Dio, è Dio che ha bisogno di noi". Dovremmo sentirlo nel nostro essere uomini religiosi. È Dio che ha bisogno di noi perché il mondo sia migliore!
E l'ultima tentazione (forse ci riguarda di meno, ma... ) è la tentazione del potere, dell'avere. Il mondo che ci sta intorno è dominato da questa tentazione: avere sempre di più, possedere, arricchirsi... tutta l'economia del mondo contemporaneo è basata sulla moltiplicazione del denaro. Le politiche dei popoli si basano sull'acquistare potere: potere economico, politico...
Il potere... anche noi a volte nel nostro piccolo cerchiamo il potere... il potere del marito sulla moglie, del padre sui figli... ecco quello su cui il Vangelo ci invita a riflettere. Non sono precetti, niente di quello che ho detto è un comandamento, è un invito a cercare: "Quali "diavoli" ho dentro? Intorno a me, in questo mondo così complicato, quanti diavoli ci sono? Chi ci spinge al male?"
È una considerazione forse dovremmo tenere presente, io almeno l'ho sempre sentita per la mia vita. Io di "diavoli" nel mio cammino intorno a me ne ho avuti pochissimi fin da quando ero bambino... mio padre, mia madre mi hanno circondato di affetto e di onestà, ma pensate a quanta gente nel mondo cresce circondata da "diavoli".
Pensate a certi ragazzi dell'Africa o certi bambini che vivono in quartieri degradati del nostro paese, dovremmo avere verso di loro uno sguardo di rispetto, di attenzione, pensare che forse non è sempre colpa loro se sbagliano, perché quello che hanno intorno li ha troppo condizionati: ecco - vedete - quante riflessioni questa pagina del Vangelo ci propone alla ricerca del "diavolo", non quello con le corna e con la coda e i piedi forcuti... alla ricerca di quello che ci spinge al male, in parte dentro di noi e intorno a noi, quello che spinge tanta gente in questo mondo, contro tutto questo dovremmo con tutte le nostre forze combattere. Non è facile.
Il Signore ci aiuti.
E fu trasfigurato davanti a loro: II DOMENICA di QUARESIMA - 8 Marzo 2020
Il suo volto brillò come il sole… Matteo 17,1-9
Domenica scorsa, all'inizio del cammino in cui la chiesa ci invita a riscoprire il nostro battesimo e quindi la nostra vita cristiana, ci soffermavamo sul problema del male: cos'è il male, da dove viene, cosa ci spinge al male, cosa c'è dentro di me e cosa fuori di noi che sciupa la vita.
Oggi dobbiamo andare avanti perché è pericoloso fermarsi a riflettere sul male che facciamo, si rischia di ripiegarsi su se stessi, si rischia il senso di colpa, l'incapacità di vedere oltre.
Se ci soffermiamo su tutto il male che c'è nel mondo rischiamo la sfiducia, lo scoraggiamento, la mancanza di coraggio.
Oggi il Vangelo di oggi ci invita a salire, a cercare la luce… possiamo anche noi come gli apostoli salire sul monte e vedere Gesù, trasfigurato, pieno di luce. In lui la nostra fede riconosce il Figlio, l'amato e siamo invitati ad ascoltarlo e seguirlo.
In Lui troviamo la luce che ci permette di guardare il mondo dall'alto e, aldilà della corsa e dell'affanno di ogni giorno, di cogliere i valori essenziali la libertà, la giustizia, la gratuità, la ricerca di Dio che Gesù ha vissuto pienamente.
Incontrare Lui, la sua luce non ci permette di diventare intolleranti, ma ci chiede di accogliere anche chi è diverso, chi non crede, chi sbaglia, solo così possiamo avere in noi gli stessi sentimenti di Gesù, far nostra la sua vita.
Lo vediamo lassù trasfigurato, ci sono Mosè ed Elia: la grande tradizione dell'Antico Testamento che in Gesù trova il suo compimento e che noi possiamo intuire nelle parole che leggiamo ogni domenica e in queste parole siamo invitati a trovare la luce di Gesù, la luce di Dio.
Quando ci ritroviamo a volte ci capita di provare lo stupore degli apostoli, la gioia nel vedere la luce e tutto può sembrarci luminoso e sicuro, ci sembra di guardare il mondo un po' dall'alto di intuire i valori essenziali e potremmo avere la tentazione di fermarci qui, di pensare che la vita cristiana sia qui, che è bello cantare, pregare, ascoltare Gesù, sentire che Lui ha pienamente ragione, ma non possiamo fermarci qui, dobbiamo ritornare giù nella vita di ogni giorno, portando più dietro i valori di Gesù.
Qualche volta si ritroviamo dentro l'amara sensazione che esprime questa pagina: "non videro nessuno, se non Gesù solo", qualche volta Gesù sembra nessuno, i suoi valori sembrano riempirsi di dubbi, di difficoltà, facciamo fatica a vederli reali nella vita di ogni giorno, eppure non possiamo fermarci sul monte, dobbiamo tornare tra la gente e lì dobbiamo fare nostri i valori di Gesù sentirli dentro nel nostro cuore, tentare di essere testimoni della luce che abbiamo intravisto con quelli che incontriamo nella vita di ogni giorno.
Non basta dare sguardi al male, non basta dire no a quello che rovina la vita, occorre dire sì a tutto quello che è bello, grande, buono, occorre dire sì alla pace, alla gratuità, all'amore… è quello che tenteremo di fare in questo cammino di Quaresima, nella vita di ogni giorno, cercando di avere Gesù e la sua luce dentro di noi.
Il Signore ci aiuti.
"Io sono con voi tutti i ASCENSIONE del SIGNORE - 24 Maggio 2020
giorni", dice il Signore Matteo 28, 16-20. Atti degli Apostoli, 1, 1-11
L'ascensione era per i primi cristiani una festa particolarmente importante, lo era anche per noi qualche tempo fa, la celebravamo il giovedì 40 giorni dopo la Pasqua, ma poi perché non facessimo troppi ponti ci hanno consigliato di celebrarla di Domenica e rischia di diventare una Domenica come le altre.
Per i primi cristiani segnava un momento di passaggio, quasi un passaggio di testimone: Gesù sale al cielo, lascia la nostra vita sulla terra, entra nello spazio in cui abita Dio e lascia a noi il compito di continuare la sua missione.
Non chiedetevi dove sia adesso Gesù, in quale in quale parte del cielo, come sia il suo corpo, che forma abbia, sono tutte domande che non hanno senso. Per i primi cristiani il mondo era piccolo, in alto sopra il firmamento c'era lo spazio divino, per noi l'universo è diventato quasi infinito, pieno di galassie e di mondi, immaginare un corpo umano in questo immenso spazio ci è quasi impossibile.
Per chi crede le domande e i tentativi di rispondere sono altri: Gesù ha ragione è Lui la vita, la verità, la sua parola, i suoi gesti, i suoi ideali, i sogni del suo cuore sono l'ultimo orizzonte della vita del credente. Il Cristiano sa di essere testimone di lui, di avere l'incarico di rendere presente Gesù nella vita di ogni giorno.
La comunità di Luca ha composto il Vangelo e gli Atti degli Apostoli, il primo parla della vita di Gesù, il secondo della vita della Chiesa, del credente, il racconto dell'Ascensione è il cardine tra i due libri. Lo trovate alla fine del Vangelo e poi di nuovo all'inizio degli Atti: è quello che abbiamo letto oggi. Questo racconto segna il passaggio tra la vita di Gesù e la Chiesa, tra Lui e il credente, adesso siamo noi i testimoni, coloro che devono rendere presente Gesù nella vita di ogni giorno.
A volte mi hanno chiesto: perché Gesù non è rimasto con noi, sarebbe bello se potessimo averlo qui e chiedergli che cosa è giusto, che cosa dobbiamo fare concretamente nella vita di ogni giorno, secondo me non sarebbe affatto bello, perderemmo la nostra dignità di uomini, la nostra responsabilità, la nostra libertà.
Gesù affida a noi il compito di testimoniare i suoi valori: è la nostra responsabilità di uomini liberi. Dobbiamo scoprire noi, con coraggio, nella ricerca di ogni giorno, cosa è giusto, cosa è importante nel concreto della nostra vita. Gesù non ce lo dice e se non ce lo dice Lui non ce lo può dire nemmeno il prete che parla dall'altare, né vescovo e nemmeno il Papa, anche se oggi abbiamo un Papa particolarmente saggio, nessuno può dirci come incarnare nella nostra vita i valori di Gesù, la sua presenza.
L'Ascensione ci ricorda che è il tempo del nostro coraggio, delle nostre scelte, soltanto noi possiamo rendere presente nella vita di ogni giorno la realtà di Gesù, nelle nostre case, con gli amici, nel posto di lavoro, nella società, spetta a noi ed è la nostra ricchezza di credenti, la nostra dignità, la nostra importanza: siamo noi nel mondo i testimoni di Gesù, siamo noi che dobbiamo incarnare nella nostra vita i sogni, gli ideali, la Parola di Gesù.
Qualche volta non riusciamo a capire, abbiamo dubbi ce lo ricorda anche il Vangelo di oggi: dopo la Risurrezione, alla fine tra i discepoli "alcuni però dubitavano"… Qualche volta sbagliamo, ma, come abbiamo ascoltato, Gesù rimane con noi, per darci coraggio, per risollevarci, per rimetterci in cammino ogni volta.
Non possiamo parlare concretamente con Gesù, ma ci resta la sua Parola che leggiamo nel Vangelo, ci resta il Pane che spezziamo ogni Domenica, segno della fraternità, della comunione, della vita condivisa, dell'amore donato, della gratuità: di tutto questo siamo i testimoni, i responsabili nella nostra libertà di credenti: é la nostra ricchezza davanti a Dio e agli uomini
Il Signore ci aiuti.
Gesù disse loro: "Pace a voi!" Poi soffiò DOMENICA di PENTECOSTE - 31 Maggio 2020
e disse: "Ricevete lo Spirito Santo... " Atti 2, 1-12. Giovanni 20, 19-23
C'è una frase del Vangelo che sconcerta particolarmente i cristiani di oggi, questo almeno secondo la mia esperienza, penso che la ricordiate tutti, si trova nel Vangelo di Luca: "Se un figlio vi chiede un pane gli darete forse una pietra, se vi chiede un pesce gli darete forse una serpe, se dunque voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono".
In genere i cristiani si guardano in faccia gli uni gli altri: lo Spirito Santo e chi è? Nessuno ci ha mai insegnato a pregare per chiedere lo Spirito, ne abbiamo sentito parlare tanto poco nel nostro cammino di credenti…
Se avete fatto attenzione alle letture che abbiamo letto per i primi cristiani non era affatto così, per loro lo Spirito è una dimensione essenziale della vita cristiana, va chiesto, invocato, cercato, inseguito. Lo Spirito è nello stesso tempo un dono che viene dall'alto, un dono che Gesù ci lascia e anche una ricerca costante, che non finisce mai, per questo il Vangelo di Luca dice che la preghiera deve essere incessante ed è ricerca, inseguimento dello Spirito.
Chi è lo spirito, cosa chiediamo? Potrei farvi un lungo discorso, ma capirei poco io e forse capireste poco anche poi, preferisco farvi notare quello che cercano di comunicarci i primi cristiani: loro non parlano attraverso lunghi discorsi, raccontano storie, si esprimono con i simboli.
Il racconto degli Atti degli Apostoli che abbiamo ascoltato nella prima Lettura, il racconto della Pentecoste si esprime per simboli: i discepoli sono rinchiusi nel Cenacolo, ancora pieni di paura, incerti e un viene come un rombo e un vento che spalanca le porte… quasi una tempesta che spazza via le cose vecchie, toglie la paura, apre al futuro, li fa uscire andare per il mondo.
È un vento che toglie la paura degli altri, delle difficoltà, del futuro e forse soprattutto la paura di Dio.
È il vento della libertà, della ricerca, che non permette più di accontentarsi delle cose passate, di quello che si è sempre detto: bisogna cercare cose nuove e cercarle continuamente. Se un cristiano, se una Chiesa, come purtroppo è successo varie volte, si stanca di inseguire lo Spirito rischia di fermarsi, di rinchiudersi, di non riconoscere più il mondo che cambia.
Noi come singoli credenti e come comunità cristiana dobbiamo inseguire il futuro, cercare di rendere presente Gesù nella vita di ogni giorno.
Vorrei, ad esempio, farvi notare una cosa a cui di solito non si pensa: se leggete il primo capitolo degli Atti vedrete che sono riuniti tutti insieme, con gli Apostoli c'è anche Maria, la madre di Gesù, i suoi fratelli e alcune donne, vedete, se ho capito, possiamo cogliere qui uno dei primi frutti del vento dello Spirito: nell'ultima Cena non c'erano le donne, adesso ci sono, adesso è tornata Maria, adesso ci sono le donne: è il mondo che cambia, c'è qualcosa di nuovo… vi rendete conto che siamo ancora indietro, che qui ci sono io, che sono maschio e non avete mai visto una donna qui, eppure nei primi giorni del Cristianesimo c'erano le donne a ricevere lo Spirito.
Un altro simbolo è la fiamma, che è luce, luce che va inseguita, cercata, che apre gli occhi e ci fa vedere uomini e cose con l'occhio di Gesù, che ci fa riconoscere nell'altro un fratello, nel povero qualcuno a cui dobbiamo andare incontro, tendere la mano, nel nemico non qualcuno da odiare e combattere, ma a cui andare incontro per cercare pace e riconciliazione… è lo Spirito che troviamo nel Vangelo.
La fiamma è anche fuoco che scalda il cuore, è passione per il bene, capacità di amare, di condividere la vita: è questo il frutto dello Spirito ed è dono e ricerca appassionata e continua nella vita del credente.
Poi l'ultimo simbolo, quello su cui la pagina che abbiamo ascoltato insiste di più, avete notato quanti popoli vengono nominati… che bisogno c'è di ripetere i nomi di quasi tutti i popoli che allora conoscevano? I primi cristiani cercano ricomunicarci qualcosa che ritengono fondamentale, lo avete sentito anche nella lettera di Paolo: siamo tutti diversi, ci sono tanti popoli, tante tradizioni, tante culture, tante religioni sulla faccia della terra, il sogno che lo Spirito ci mette nel cuore è che siamo capaci di intenderci nelle nostre diversità, avete notato che non si unificano le lingue, tutti ascoltano lo stesso messaggio, ciascuno nella propria.
Tutti diversi, con capacità, con possibilità diverse, come dice l'apostolo Paolo, eppure tutti uniti nelle cose essenziali, nel cercare di cogliere i valori fondamentali… è il soffio dello Spirito, il vento di Dio, che dovrebbe animare continuamente la vita del credente, che dovrebbe spingerci avanti, illuminare i nostri passi, scaldare il nostro cuore, per camminare insieme come una comunità di fratelli diversi, ma che si riconoscono, si tengono per mano, cercano di capirsi, inseguono insieme i valori fondamentali… sogni, ma l'ho ripetuto tante volte la vita cristiana è sogno o per usare le parole di oggi inseguimento dello Spirito, che è sempre un passo avanti, che non si raggiunge mai, che dobbiamo sempre continuare a cercare con tutta la passione del nostro cuore. Spirito che è il dono che Gesù ci ha promesso, ma che deve essere anche la nostra appassionata ricerca di ogni giorno.
Il Signore ci aiuti.
Dio, non ha mandato il Figlio nel mondo SANTISSIMA TRINITÀ - 7 Giugno 2020
per condannare il mondo, ma perché il Giovanni 3, 16-18
mondo sia salvato per mezzo di lui.
Sono passati più di 50 anni, ero un prete alle prime armi e cominciammo con un gruppo di giovani studenti, lavoratori a leggere il Vangelo, con una premessa: per quest'anno non pronunceremo più il nome di Dio, finché non avremo intuito qualche cosa attraverso Gesù di Nazareth.
Avevamo già capito che la Scrittura proibisce addirittura di nominare il nome di Dio - conoscete il comandamento - avevamo capito che Dio non si può conoscere fino in fondo, abita l'oltre, di Dio possiamo solo intuire qualche cosa e quindi dovevamo fare una ricerca attraverso Gesù.
Anche perché venivamo dalla nostra educazione cristiana basata non sul Vangelo, ma sul catechismo ci avevano parlato anche della Trinità - oggi la celebriamo - ci sembrava un mistero complicato… uno, tre, cercavano di spiegarcelo con il triangolo, tre lati tutti uguali e molti di noi avevano davanti agli occhi l'immagine del triangolo con un grande occhio in mezzo e dietro questo triangolo c'era il modo con cui ci avevano parlato di Dio: un Dio onnipotente, che sa tutto, che vede tutto, un Dio che giudica, condanna, che può mandarti addirittura all'inferno in una pena eterna.
Tutto questo faceva parte della nostra educazione e cominciava a starci stretto: erano tempi quelli in cui il mondo stava cambiando, anche nella vita della Chiesa si cercavano strade nuove e noi avevamo pensato di cercarle imparando a leggere il Vangelo, cosa che non avevamo mai fatto in maniera sistematica ed è stata la scoperta che ha arricchito la nostra fede.
Il Dio che si manifesta in Gesù di Nazareth è tutt'altro che un Dio onnipotente, nasce nella paglia, muore sulla croce, è un Dio impotente che si affida alle vicende della vita umana, alla crudeltà dell'uomo che gli toglierà in modo atroce la vita.
In Gesù trovavamo non il Dio potente, lontano, che scruta ogni momento della nostra vita, che giudica e punisce, ma Dio vicino che ci cammina accanto, ci tiene per mano, cerca di comunicarci i suoi valori, di invitarci a credere nel futuro, a conquistare la nostra libertà, cercando con Lui i valori essenziali della vita.
In Gesù abbiamo incontrato Dio che come un pastore va a cercare la sua pecora che si è perduta e non è contento finché non la trova. L'immagine del pastore arricchiva il nostro cuore, sentivamo vicino il Dio del perdono, della riconciliazione, della pace.
Eravamo stati abituati ad una religione fatta di obblighi, di regole, di riti, tutto era regola anche la Messa: bisognava essere digiuni, confessarsi… conoscete tutto questo perché anche voi avete vissuto questa educazione, e scoprivamo in Gesù colui che ci voleva portare aldilà dei riti, delle pratiche… Lui ci diceva: siete beati se siete miti, misericordiosi, assetati e affamati di giustizia, pacifici, noi forse ci aspettavamo che ci dicesse siete beati se andate a messa tutte le domeniche, se recitate molti rosari, se fate molti fioretti, non l'ha detto mai. Ci diceva che su una cosa saremo giudicati non su quante Comunioni abbiamo fatto ma… avevo fame e mi hai dato da mangiare avevo sete e mi hai dato da bere eccetera.
Poi ci parlava del Padre, ma molto diverso da quello che sentivamo dentro con l'occhio severo, che vede dappertutto il peccato, sentivamo il Padre che ci invita alla festa: la parabola del Padre misericordioso l'abbiamo letta e riletta, forse senza mai arrivare a capirla fino in fondo, perché lì c'è veramente l'oltre di Dio, la capacità di rispondere al male non con la punizione, con il castigo, ma con la festa e ci domandavamo come hanno potuto per 2000 anni leggere questa parabola e parlarci dell'inferno e metterci paura di Dio. Gesù ci parla del Padre che qualunque cosa abbiamo fatto ci accoglie, ci corre incontro, ci butta le braccia al collo e fa festa per noi.
Gesù ci parlava dello Spirito ce l'aveva promesso… ne abbiamo parlato Domenica scorsa è inutile che mi ripeta, lo Spirito che è luce, è fuoco, speranza, ricerca appassionata del futuro, libertà. Questa è la sua promessa e dovevamo cercare, invocare, inseguire lo Spirito, la luce di Dio.
La nostra religione non era più, nel modo più totale, religione della paura, ma della libertà della responsabilità, della ricerca di Dio, dei suoi valori.
Dio continuavamo a nominarlo poco, perché Dio abita l'oltre, è bene non parlarne, ma in Gesù di Nazareth abbiamo intuito qualche cosa della sua Luce, abbiamo sentito un Dio vicino, amico, padre, fratello compagno di strada, un Dio che ci affida il mondo è che cammina con noi per le strade di questo mondo, un Dio che ci invita sempre a cercare i valori essenziali, la pace, la fraternità la vita condivisa, il Dio di chi ha fame e sete di giustizia, di chi è mite, pacifico, lo sentivamo vicino al nostro cuore.
Questo volevo ricordarvi oggi in cui celebriamo la festa della Trinità, oggi non parliamo più di questi misteri della fede così come ce li avevano proposti… oggi ho sentito che nemmeno il Papa ne parla più, ma non possiamo perdere la ricerca del volto di Dio, ma se ho capito qualcosa, questo volto possiamo intuirlo soltanto in Gesù di Nazareth, cercando di far nostro il suo Vangelo, la sua lieta notizia
Il Signore ci aiuti.
"Io sono il pane vivo disceso dal SS.MO CORPO e SANGUE di CRISTO - 14 Giugno 2020
cielo. Se uno mangia di questo Giovanni 6, 51-58
pane vivrà in eterno..."
Essere credenti, essere cristiani significa fondamentalmente avere un rapporto profondo, intimo con Gesù. I Vangeli si sforzano in tutti i modi, usando parole, simboli, per comunicarci questo profondo rapporto che abbiamo con Lui.
La prima parola che usano è: discepolo, gli apostoli riconoscono in Gesù un maestro che parla in modo straordinario, sono chiamati ad andare con Lui, a stare con Lui, per ascoltarlo per camminare con Lui e condividere la sua Parola.
Un'immagine che il Vangelo usa è quella del pastore, a quel tempo c'erano molti pastori oggi non userebbe certamente questa immagine e dice che il pastore conosce le sue pecore una per una e le sue pecore conoscono Lui e ascoltano la sua voce.
Un'altra parola è "amico". Gesù dice. "Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamato amici": essere credenti significa diventare amici di Gesù, in un rapporto con lui di familiarità, di condivisione della vita.
Ma il Vangelo è ancora più profondo non solo amici, ma "fratelli, sorelle e madre", ricordate l'episodio: arriva la famiglia di Gesù, Maria e i suoi parenti e dicono a Gesù che sta riunito, con molte altre persone, in casa: "Fuori ci sono tua madre i tuoi fratelli e le tue sorelle che ti cercano" e Gesù si volge intorno e dice "Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli? Chi fa la volontà del Padre è per me fratello sorella e madre". Siamo per Gesù "fratello, sorella, addirittura madre", tanto è intimo il rapporto che il Vangelo ci suggerisce di avere con Gesù.
Ci sono delle immagini ancora più forti: l'immagine della vite e dei tralci. Gesù è la vite e noi siamo come tralci inseriti in Lui e come il tralcio si nutre della linfa della vite, così anche noi dovremmo essere uniti a Gesù, condividere con Lui la stessa vita.
San Paolo insiste su questa strada e ci dice che noi nel giorno del Battesimo ci siamo rivestiti di Cristo, Lui è come un vestito che noi indossiamo, ci rivestiamo di Lui, della sua Parola. Paolo alla fine della vita arriva a dire: "Non sono più io che vivo, è Gesù che vive in me", dovrebbe essere l'ideale di ogni credente.
Ma il simbolo forse più forte di questo nostro rapporto con Gesù lo ha inventato Lui ed è quello che celebriamo oggi. Gesù ha inventato di farsi carne, di farsi cibo per noi… voi siete persone intelligenti sapete che non è un fatto fisico, ma simbolico, significa che un credente si nutre di Gesù, delle sue parole, dei sogni della sua vita, della sua realtà totale. E si nutre non come accade nel Battesimo che si riceve una volta sola, ma ogni Domenica siamo invitati qui e si spezza il Pane e ci viene offerto e lo mangiamo… simbolo che ogni giorno noi dovremmo tentare di nutrirci di Gesù, di far nostri i suoi valori, gli ideali della sua vita, Lui dovrebbe alimentare costantemente la nostra vita. Ecco il senso dell'Eucaristia, ma in fondo della nostra fede: essere credenti significa essere uniti a Gesù, credere in Lui, seguire Lui, nutrirci di Lui.
Vorrei aggiungere una cosa che è forse preziosa per qualcuno di voi… a volte nella mia lunga vita di prete, sono ormai quasi 60 anni, ho trovato delle persone che mi dicevano di avere dei dubbi su alcuni dogmi della chiesa, non riuscivano a capirli, anche certi aspetti della morale sembrano eccessivi… pensavano addirittura di aver perso la fede, ho sempre chiesto: "Ma per te Gesù è importante, è veramente il cuore della tua vita di credente?". Perché questo è quello che conta, credere è credere in Gesù, il resto fa parte della periferia. Se non credi in qualche aspetto non ha importanza, l'importante è che Gesù sia il punto di riferimento della tua esistenza, sia Colui che ti dà il senso della vita, degli altri. È di Gesù che vuoi nutrirti, cerchi di essere una cosa sola con Lui: questa è la fede il resto è di secondaria importanza. Se avete dei dubbi, se pensate a volte di non credere, di aver perso la fede, chiedetevi soltanto: per me Gesù chi è, quanto conta nella mia vita, cerco di ascoltare la sua Parola, continuo a cercarlo, a tentare di nutrirmi di Lui? Questo è il cuore della nostra fede… quel prete dice cose che non mi piacciono, ma quel prete non è Gesù, qualche volta anche i Papi nel corso della storia hanno detto cose che lasciavano sconcertati i cristiani del loro tempo, ma il Papa non è Gesù.
Il vero rapporto del credente è con Gesù, un rapporto intimo, quello che conta è la ricerca di Lui, il nutrirsi di Lui, non una volta, ma continuamente, attraverso la Parola e il Pane che spezziamo e ci fa entrare in comunione con lui.
Ecco fare la Comunione significa entrare in comunione con Lui e anche con tutti i fratelli… ma di questo parleremo un'altra volta, Paolo dice: "Poiché c'è un solo Pane, noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo", ci uniamo con Lui e quindi necessariamente tra di noi, ci riconosciamo fratelli, figli dello stesso Padre, amici di Gesù che cercano di condividere la vita con Lui.
Il Signore ci aiuti.
"Non abbiate paura di quelli che XII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 21 Giugno 2020
uccidono il corpo... abbiate paura Matteo 10, 26-33
piuttosto di colui che ha il potere
di far perire l'anima ... "
Ci sono delle frasi del Vangelo che si leggono diverse volte, ma passano come acqua sul vetro, non ci fai caso, forse anche perché sono un po' difficili, inquietanti.
A me per lungo tempo, nella mia esperienza di credente, è successo per una frase che abbiamo appena ascoltato, non avevo mai dato peso a questa frase, poi mi sono accorto che per molti cristiani è stata ed è fondamentale, la frase: "Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo temete piuttosto chi può uccidervi l'anima".
Quando - ormai sono passati parecchi anni - sono andato a trovare in Brasile un mio amico carissimo, che faceva il parroco nella periferia di Rio de Janeiro, raccoglievo i foglietti della Messa, come quelli che non potete usare in questo periodo, all'inizio c'è una piccola introduzione... ne avevo raccolti 5 o 6, in almeno tre avevo trovato la frase: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, allora ho chiesto al mio amico: "Perché ripetete sempre questa frase, perché è importante per voi?". Mi ha risposto senza nemmeno pensarci: "Vedi, noi abbiamo un elenco di martiri che non finisce più, ci sono dei vescovi, dei sacerdoti, dei catechisti, dei sindacalisti, dei giovani, degli insegnanti che sono stati uccisi dalla violenza del potere… noi dobbiamo non aver paura di chi uccide il corpo, dobbiamo temere chi rischia di ucciderci l'anima, di farci finire nella geenna - la geenna era la discarica di Gerusalemme, dove ardeva sempre il fuoco - non possiamo permettere che la nostra anima diventi spazzatura, non possiamo perdere il senso della giustizia, della libertà, non possiamo perdere la nostra dignità di uomini e di credenti".
Riflettevo poi che, per fortuna, queste parole non mi hanno mai toccato da vicino, come penso molti di voi, ma per mio padre no, per papà questa frase è stata importante: lui era portiere in uno stabile in cui c'erano rifugiati degli ebrei e doveva preferire il coraggio di affrontare la morte al vendersi l'anima, al denunciare queste persone, anche se rischiava la vita e non solo la sua anche quella dei suoi figli.
"Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo…" questa frase non è stata nel secolo scorso importante soltanto per mio padre, ma per tante persone come lui, in tante parti di questo nostro paese. Nelle campagne e in città tanta gente ha nascosto degli ebrei, ha protetto chi fuggiva, non si è rifiutata di dare una mano a chi era in difficoltà, a chi si trovava in pericolo: è gente che non ha avuto paura di chi uccideva il corpo, ma di perdere l'anima, di perdere il senso della giustizia, la dignità.
Non solo nel secolo scorso, nel tempo della terribile guerra, ma anche in tempi più recenti quanti giudici, quanti avvocati, giornalisti, poliziotti, quanti sindacalisti, studiosi, hanno dovuto, per il terrorismo o la mafia, preferire il coraggio di mantenere viva l'anima e non aver paura di chi uccidesse il corpo e purtroppo molti di loro hanno perso la vita, ma essere uomini significa conservare la dignità al di là della paura.
Purtroppo, lo sapete, sia durante la guerra e anche oggi, c'è troppa gente che perde l'anima e non solo a volte per paura di perdere la vita, ma per un pugno di riso, per ottenere un favore, tradisce qualcuno.
Dunque queste frasi per i primi cristiani erano fondamentali perché erano perseguitati, rischiavano la vita se volevano conservare la fede… e si accorgevano che salvavano anche il messaggio cristiano: Tertulliano diceva che il sangue dei martiri è seme di cristiani.
Una frase che per me aveva poco significato e penso poco anche per voi e vi auguro che continui ad averne poco, che non dobbiate mai scegliere tra la morte e la fedeltà alla vostra dignità di uomini, è stata per molte persone, cristiani e no, fondamentale.
Ma forse posso aggiungere qualche cosa: in questi ultimi due o tre mesi abbiamo avuto paura di un virus che poteva ucciderci e forse ne avremo ancora paura… facciamo attenzione a che non ci uccida o non ci sciupi anche l'anima, non ci faccia diventare i rancorosi, sfiduciati, impauriti gli uni degli altri, speriamo di essere capaci di andare oltre, di conservare il senso della condivisione, del tendere la mano, di aiutare chi ha bisogno: ne abbiamo avuto tanti esempi in questi giorni, ma cosa succederà dopo, rimarrà la paura, il rancore, la rabbia, la sfiducia? Il virus ci avrebbe sciupata l'anima e non soltanto il corpo.
Frasi che sembrano incomprensibili, estranee, diventano frasi fondamentali per tanti cristiani in questi 2000 anni e possono esserlo anche per noi... il Signore ce l'ha ripetuto oggi tante volte: non abbiate paura, non dobbiamo aver paura, il Signore cammina con noi, per conservare la dignità della nostra anima, il coraggio di essere uomini liberi e capaci di amare.
Il Signore ci aiuti.
"Chi avrà dato da bere anche XIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 28 Giugno 2017
un solo bicchiere d'acqua Matteo 10, 37-42
fresca... in verità io vi dico:
non perderà la sua ricompensa"
Abbiamo ancora una volta - l'abbiamo già ascoltate domenica scorsa - parole paradossali: bisogna per seguire Gesù amarlo più del padre, della madre, dei figli, amarlo più di se stessi rischiare addirittura la vita, prendere la croce, affrontare le difficoltà
Abbiamo visto domenica scorsa che queste parole per molta gente in questi 2000 anni sono state concrete e c'è chi ancora oggi nel mondo rischia la propria vita, la vita dei figli per seguire la giustizia.
Amare Gesù, amare Dio significa amare la giustizia, la fraternità, avere rispetto dell'altro, non poter mai rovinare la vita di qualcuno, anche a rischio della propria, di quella dei propri figli: abbiamo parlato di questo domenica scorsa.
Oggi non voglio più affligervi: allora per essere cristiani bisogna proprio essere degli eroi? E se uno è come me e non ce la fa? Per i don Abbondio della storia non c'è nessuna speranza, per chi è un vigliacco, per chi non ce la fa ad essere un eroe, per chi non è capace di compiere azioni grandi, che cambiano il mondo, non c'è speranza?
Gesù ha oggi per noi una parola di infinita tenerezza: "Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d'acqua fresca… in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa".
Io che non sono certo un eroe, non lo sono mai stato, ho avuto consolazione e conforto da un episodio curioso che vorrei raccontarvi e che forse può essere di consolazione anche per qualcuno di voi.
Sono passati ormai parecchi anni, era una domenica in cui si leggeva questa pagina del Vangelo e avevo fatto la predica sul bicchiere d'acqua, dopo la Messa è venuta in sacrestia una signora con due ragazzetti: "Don Checco si ricorda di me?" "Ma veramente no" "Sono Annamaria… a Monteverde". Erano passati più di 30 anni l'avevo conosciuta quando faceva la seconda media.. "A me, quando ero ragazza, qualche bicchiere d'acqua lo ha dato". Erano 30 anni che non la vedevo e non l'ho più vista, l'ho considerata come un angelo mandato dal cielo, dopo tanto tempo ha sentito il bisogno di venire a dirmi che qualche bicchiere d'acqua a lei l'avevo dato.
Poi mi sono ricordato di lei, quando era in terza media aveva perso la mamma e io ho trascorso con lei parecchie ore per stargli vicino, per cercare, come si può, di dare un minimo di consolazione… quindi, quando Gesù mi interrogherà, potrò dire che qualche bicchiere d'acqua l'ho dato, ho i testimoni: Annamaria. Poi, dopo che ho raccontato questa piccola storia, qualcun altro mi ha detto di aver ricevuto qualche bicchiere d'acqua da me.
Io di bicchieri d'acqua ne ho dati pochi, voi probabilmente ne avete dati molti di più… la bellezza della vita non è fatta soltanto dagli eroi, è fatta dai gesti di tenerezza, di amore, di servizio di tutti i giorni: i genitori che si occupano dei figli e fanno fatica a crescerli soprattutto quando sono adolescenti e devono avere molta pazienza e portare un po' la croce… i figli che si occupano dei genitori anziani, il lavoro di ogni giorno a volte faticoso e monotono…
Questo è quello che conta nella vita, sui libri, sui giornali si parla soltanto degli eroi, ma della gente di tutti i giorni, di chi quotidianamente da qualche bicchiere d'acqua non parla mai nessuno e forse è giusto che sia così, qualcuno diceva: "Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi". Sarebbe bello che nessun popolo sulla terra avesse bisogno di eroi, perché tutti fanno quello che possono perché la vita sia ricca, tenera, affettuosa, rispettosa, piena di amore.
Voi qualche bicchiere d'acqua certamente l'avete dato e molto più di me, allora oggi non vi resta che ringraziare Gesù, che ha detto che basta un bicchiere d'acqua… non sono stato un eroe, non ha importanza, l'importante è aver dato quello che potevo, qualche bicchiere d'acqua a chi ha vissuto con me nelle mie giornate.
Il Signore ci aiuti
"Venite a me, voi tutti che XIV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 5 Luglio 2020
siete stanchi e oppressi, Matteo 11, 25-30
e io vi darò ristoro... "
Quella che abbiamo letto è, secondo me una delle pagine più straordinarie, più belle del Vangelo di Matteo, ma, come avete notato, forse anche una delle più complesse, ci vorrebbe molto tempo per soffermarsi su ogni aspetto. Permettetemi quindi soltanto qualche rapida annotazione perché poi possiate a casa a leggere questa pagina: la trovate nel Vangelo di Matteo al capitolo 11, potrete leggerla e magari rileggerla e trovarci dentro qualcosa della vostra esperienza di credenti.
Io dentro questa pagina ritrovo quasi tutta la mia esperienza cristiana, ormai lunga, fin da quando ero un piccolo bambino ancora in fascia: sì perché la prima esperienza che io ho fatto di Gesù e di Dio l'ho fatta proprio con la gente più semplice, con mio padre mia madre… avevano fatto appena la quinta elementare e poi mio nonno, alcuni zii che facevano i contadini e vivevano in un piccolo paese, eppure sapevano comunicarti l'essenza del rapporto con Gesù, la sua esigenza di amore, di libertà, di rispetto, molto più di tante persone che pensano di sapere tutto.
Ho incontrato nella vita i dotti, i sapienti quelli che sanno sempre tutto, che hanno una risposta a ogni domanda, che pensano di sapere cosa è giusto e vero, che cercano di importi il loro modo di vedere… non sono loro che ti fanno incontrare veramente Gesù è la gente semplice e ho avuto la fortuna di incontrarne tanta nella mia vita… ricordo fin dai primi anni in cui ero prete il rapporto, per me sorprendente con le persone anziane, a volte senza grande cultura, che ti davano il vero senso di Gesù, dei suoi valori, della sua vita e ti facevano sentire la tenerezza dell'incontro con il Signore e poi ho incontrato bambini, giovani, adulti che con semplicità mi facevano intuire qualcosa di Gesù.
Ho avuto anche la fortuna di incontrare dei veri geni, ma anche loro erano dei "piccoli", anche loro non sapevano tutto, anzi ti dicevano che dovevano sempre continuare a cercare. Attraverso tanta gente ho fatto esperienza di Gesù, più che sui libri, più che attraverso le grandi parole che qualche volta mi capitava di ascoltare anche da parte dei Papi o dei Vescovi, l'esperienza mia del rapporto con Gesù l'ho fatta soprattutto con i piccoli, con i semplici, con la gente di tutti i giorni, che mi hanno fatto innamorare di Lui.
La seconda annotazione, per me fondamentale la trovate in queste parole: "Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il figlio vorrà rivelarlo", vedete io come penso molti di voi sono stato educato con il Catechismo in cui sembrava tutto chiaro, sembrava di poter sapere chi fosse Dio…"Chi è Dio? Dio è l'essere perfettissimo creatore e signore del cielo e della terra" rispondevo senza nemmeno pensarci e non capivo niente e poi ho letto anche i libri di teologia che cercavano di spiegare con formule sempre più complesse i grandi misteri della fede, poi, pian piano, ho capito che se volevo intuire qualche cosa di Dio - non si può mai conoscerlo totalmente - dovevo cercarlo attraverso Gesù di Nazareth, soltanto attraverso le sue parole, i suoi gesti possiamo intuire qualche cosa dell'oltre di Dio, quell'oltre che non ci sarà mai possibile conoscere interamente.
E dobbiamo anche ricordarci di una cosa importante che esprime la frase: "Nessuno conosce il Figlio se non il Padre" dovremmo essere tutti convinti che Gesù non lo conosciamo mai fino in fondo, nessuno di noi può dire: adesso so veramente chi è Gesù, l'ho scoperto totalmente, questo, secondo me non posso dirlo nemmeno delle persone che conosco, figuratevi se posso dirlo di Gesù, nell'altro c'è sempre un mistero e la vita del credente è una continua ricerca di Gesù: chi sei, cosa porti nella mia vita, dov'è la tua luce, dove mi puoi condurre?
L'ultima annotazione che vorrei farvi riguarda le ultime parole: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi darò ristoro, prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per la nostra vita, il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero" parole bellissime in totale contrasto con il Dio che mi avevano fatto sperimentare, quando ero ragazzo alcuni membri della Chiesa, alcuni sacerdoti: il Dio severo, che punisce, che ti scruta in ogni momento della tua vita, il Dio esigente, che ama la sofferenza, che vuole da te sacrifici e sforzi e poi mi sono accorto da queste parole che Gesù ama la gente semplice che qualche volta ha il cuore pesante, che non ce la fa, che si sente affaticata e oppressa, che continua a cercare. Ho capito che non impone carichi pesanti come fanno fin troppi nella la vita cristiana
Una delle cose che più mi ha sconcertato nel corso della mia vita di prete è stato l'incontro soprattutto con i ragazzi che mi dicevano che essere cristiani non è possibile, è troppo difficile, bisogna fare sacrifici, pratiche complicate e pesanti, rinunciare a ogni gioia, rinunciare alla propria libertà, sempre con la paura di essere in peccato e di essere puniti.
Seguire Gesù, prendere, come dice Lui, il giogo della sua Parola, significa prendere il giogo della libertà, della tenerezza, dell'amore, nella semplicità della vita di ogni giorno e come ci diceva il Vangelo di Matteo domenica scorsa basta un solo bicchiere d'acqua fresca, quindi se qualcuno di voi avesse ancora nel cuore un po' di paura di Dio - ne ho incontrati tanti - le parole che abbiamo appena ascoltato la allontani da voi: "venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi darò ristoro… imparate da me che sono mite e umile di cuore". Questo è Gesù questo siamo invitati a conoscere sempre di più, ad amare e seguire.
Il Signore ci aiuti.
Quel giorno Gesù disse: "Ecco, XV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 12 Luglio 2020
il seminatore uscì a seminare..." Matteo 13,1-9
Questa piccola parabola è stata preziosa per tanti cristiani nella storia dell'umanità e può essere preziosa anche per noi e per tanti uomini di buona volontà.
Noi abbiamo un problema con questa parabola, perché non abbiamo più un rapporto con il mondo contadino e la forza straordinaria che aveva questa parabola per la gente di un tempo, penso a mio nonno, a tanti contadini, per noi non l'ha più. Non so se riesco a comunicarvi un po' della mia esperienza, perché io, che non le ho vissute direttamente, queste cose le ho viste quando ero ragazzo con lo stupore e la meraviglia di chi vive in città.
Ho visto anzitutto i magri campi del nostro Appennino, molto simili a quelli della terra di Palestina, sulle colline intorno al lago: terra povera, piena di pietre, se girate in tante parti del nostro paese trovate dei campi, ormai abbandonati, con grandi cumuli di pietre, i contadini si sforzavano di toglierle una per una per trovare un po' di terra in cui poter seminare, a volte in cima alle montagne ed erano campi attraversati da strade, perché erano piccole proprietà e c'erano i rovi e poi si temevano tanti pericoli: troppa acqua, troppo sole, la grandine, i parassiti, insomma il povero contadino che seminava il campo d'autunno, spesso da solo, quando il tempo era grigio piovigginoso e spargeva lentamente il suo seme su questa terra arida, aveva il cuore stretto: riuscirà questo seme a portare il suo frutto, potrò alla fine a dar da mangiare ai miei figli, cosa succederà, molto di questo seme sembra andare disperso, vengono gli uccelli e lo mangiano, crescono i rovi devo lavorare, lavorare, ma poi ci sarà il raccolto?
Non so se qualcuno di voi ha avuto la fortuna di partecipare alla grande festa della mietitura e della trebbiatura: si vedeva negli occhi dei contadini la gioia per il raccolto, c'erano i sacchi di grano in cui mettevano le loro mani con infinita soddisfazione: avevano provveduto il pane per i propri figli, il seme aveva portato un frutto abbondante.
Questa è una parabola carica di speranza, Gesù cercava di dire ai discepoli: voi andate in giro, parlate, predicate e vi sembra che la gente sia arida, che nessuno vi ascolti, che il cuore della gente sia duro, ma non abbiate paura se il seme è buono piano piano porterà il suo frutto. E i discepoli avranno cercato di riempire con fatica, perché la speranza costa fatica, il loro cuore di speranza, di coraggio, per continuare a portare la Parola di Gesù, i suoi valori e questo si è ripetuto infinite volte nella storia.
Forse questa parabola è preziosa anche per voi… quante mamme quanti papà ho conosciuto che, soprattutto nel tempo dell'adolescenza in cui i ragazzi diventano più turbolenti, più difficili, in cui non si capisce più che strada prendono, molte volte mi sono sentito dire: ho fatto tanto, ce l'ho messa tutta, ma mi sembra che mio figlio vada per un'altra strada, che non gli rimanga niente di tutto quello che gli ho dato, intorno a lui ci sono come i rovi, questo mondo è così confuso, quello che ho fatto io sembra perduto… e poi si accorgevano, quando i ragazzi avevano superato il momento difficile ed erano cresciuti che i semi che avevano posto avevano portato frutto e frutto abbondante, avevano continuato a sforzarsi di donare qualche cosa di se stessi, dei propri valori quando tutto sembrava inutile e ora potevano guardare indietro e vedere qualche frutto.
Questo vale anche per gli insegnanti, quanti mi è capitato di trovarne che dicevano: cerco di fare tutto il possibile, ma a volte mi pare di seminare su un terreno arido, poi si accorgevano magari dopo anni che qualche ex alunno si ricordava ancora di loro e delle cose che aveva ricevuto.
Ecco questo succede anche per i poveri preti come me, anch'io spesso ho detto: che faccio, cosa combino? Ho spesso dichiarato fallimento, mi sembrava di lavorare invano… poi ti accorgi che qualche cosa è rimasto anche in gente che magari non viene più in chiesa, che non vedi più da tempo e ti dicono: mi ricordo, qualche cosa lei m'ha dato, qualche valore me l'ha comunicato, perché vedete il Vangelo non è soltanto religiosità, non è soltanto preghiere, venire alla Messa, quello che conta sono i valori di Gesù, la capacità di amare, di condividere la vita, credere nella giustizia, nel bene, nella libertà, sono questi semi che tentiamo di continuare a spargere con la fiducia che porteranno frutto. Un frutto che non dipende principalmente da noi, dai nostri sforzi, ma dal valore, dalla capacità del seme e i valori di Gesù sono un seme straordinario, un seme che se mette un po' di radice nel cuore di un uomo porta frutto e frutto abbondante.
Rileggete questa parabola, conservatela nel cuore, magari evitate di leggere il commento che segue nel Vangelo, fermatevi qui e ripensate la vostra vita: forse anche a voi è sembrato a volte di seminare invano, di non vedere i frutti, ma se il seme era giusto qualcosa certamente è rimasto.
È la forza di questa parabola, la forza della speranza, la forza che Gesù è venuto a portare su questa nostra terra: Lui parlava per i suoi discepoli, ma oggi parla per me e per voi, parla per tanti uomini sulla faccia della terra, anche per quelli che non hanno mai conosciuto il Signore eppure continuano ad essere testimoni dei suoi valori, a seminare i semi della giustizia e del bene.
Il Signore ci aiuti.
"Signore non hai seminato XVI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 19 Luglio 2020
del buon seme nel tuo campo? Matteo 13, 24-30
Da dove viene la zizzania... ?"
Ancora tre parabole che ci parlano di speranza, evidentemente per Gesù la speranza, la fiducia nel bene, nei valori sono fondamentali.
Per noi la solita difficoltà a sentire la forza simbolica di queste parabole, nessuno di noi pensa al seme di senape, il più piccolo dei semi che diventa quasi un albero, quasi nessuno ha visto la grande madia in cui la donna impastava la farina con un pugno di lievito, lasciandola poi riposare tutta la notte per poi fare il pane, nessuno di noi semina il grano e deve combattere con le erbacce in modo che non lo soffochino, dobbiamo ricorre alla fantasia perché questi simboli ci dicano ancora qualcosa.
Per i primi discepoli la parabola del granello di senape faceva parte dell'esperienza che venivano facendo: un gruppo di poche persone, in un piccolo sperduto paese di questa nostra terra, lontano dalle grandi strade della civiltà, non solo, Gesù è morto abbandonato da tutti, sembrava tutto finito eppure noi siamo ancora qui riuniti nel suo nome e come noi milioni di persone nel mondo e ci sono tanti uomini che pure senza più nominare il suo nome vivono i suoi valori… il piccolo seme è veramente diventato come un grande albero.
Il lievito che Gesù ha messo nel mondo ha fatto fermentare la pasta ed ora è compito di ogni credente continuare, con fiducia a tentare di essere lievito, a testimoniare i valori di Gesù. Molti lo hanno fatto in questi duemila anni e ancora possiamo vederne i segni, anche se faticosamente, l'umanità è cresciuta, i valori di Gesù hanno fermentato la vita di molti uomini.
La parabola della zizzania pone il problema del male: non solo le pietre, i rovi, le tante difficoltà, ma l'erba cattiva, il male e ce n'è molto nel mondo e con questo male dobbiamo convivere, portando nel cuore la speranza che non sarà il male a trionfare, ad aver l'ultima parola.
Anche nei momenti più bui della storia tante persone di buona volontà hanno continuato a credere nel bene e hanno tentato di costruire un mondo migliore. La parabola tenta di conservare nel nostro cuore la speranza che, nonostante tutta la zizzania, alla fine il raccolto si farà, il bene sarà maggiore del male.
La parabola aggiunge anche un invito alla tolleranza, spesso gli uomini e anche i cristiani sono tentati di sradicare il male con la forza. Se avessero ascoltato l'ammonimento di questa parabola non ci sarebbero state le crociate, l'inquisizione, la caccia alle streghe, Giordano Bruno e tanti altri… hanno quasi sempre scomunicato quelli sbagliati.
Non val la pena scomunicare, il male si combatte o si cerca di combatterlo testimoniando il bene, resistendo nel bene, continuando a crederci, sradicare il male spesso non è possibile e rischiamo di far male invece a chi è giusto: è successo tante volte nella storia e non solo nella storia cristiana, nella storia dell'umanità, quindi il coraggio che dovremmo tentare di avere è quello di conservare la speranza, di credere che il bene avrà l'ultima parola, convinti che il lievito che riusciamo a mettere anche noi nella nostra vita, anche se piccolo, porterà il suo frutto, farà crescere il bene intorno a noi.
Conserviamo dunque nel cuore queste parabole di Gesù, sono dette per noi, parabole preziose che ci parlano di speranza, così importante nella vita dell'uomo e del credente.
Il Signore ci aiuti.
Il regno dei cieli è simile XVII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 26 Luglio 2020
a un tesoro nascosto, a una Matteo 13, 44-52
perla di grande valore.
Siamo alla fine del capitolo del Vangelo di Matteo dedicato alle parabole e qui troviamo il cuore di tutto il capitolo: come si può seminare il seme giusto, che magari incontra molte difficoltà, ma alla fine porterà il suo frutto?
Per tentare di spargere semi di bene, per costruire il mondo occorre - ci dice Gesù - avere un tesoro nel cuore, cercare una perla preziosa, per cui vale la pena di vendere tutto.
Vedete tutti noi, ogni uomo, abbiamo qualche perla nel cuore: ci sono coloro che pensano che la cosa più importante sia il successo, disposti a sacrificare molto della loro vita per ottenerlo, altri pensano al denaro, altri al potere, altri, più saggiamente, pensano al benessere della propria famiglia, a curarla, altri a star bene, a custodire la propria vita, altri, per esempio un insegnante, che la cosa più importante sia educare i ragazzi, comunicare la cultura e occorre un po' di passione, questo vale per uno scienziato che ha nel cuore la passione per la scienza che vuole comunicare agli altri o per un medico… ecco dentro di noi diverse perle, tanti tesori, per cui siamo disposti a sacrificare molte altre cose, a spenderci la vita, qualche volta saggiamente, qualche volta meno.
Gesù ci invita ad alzare lo sguardo: c'è la perla più preziosa, il tesoro più grande è il Regno che Lui ci ha annunziato. Cos'è questo Regno, quale perla dobbiamo avere nel cuore ce lo ha detto con parole straordinarie: "Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, beati i miti, i misericordiosi, gli operatori di pace…". Ecco la gratuità, il rispetto, la tenerezza, la passione per la giustizia, la ricerca della pace: questi sono i valori che dovremmo avere dentro di noi, il tesoro del nostro cuore, la perla che andiamo cercando, senza stancarci.
Possiamo fare un'altra piccola riflessione: questo tesoro, come il contadino, lo troviamo per caso nel campo, oppure come il mercante dobbiamo andare in giro per tutto il mondo a cercare la perla preziosa? Tutte e due le cose, se ci pensate bene: il messaggio di Gesù, i suoi valori li abbiamo in gran parte trovati, li abbiamo ricevuti dalle nostre famiglie, dalle persone che abbiamo incontrato e che ce li hanno testimoniati con le parole, ma soprattutto con la vita, con i gesti della loro esperienza.
Ma non è solo qualche cosa che abbiamo trovato, che c'è stata donata, è anche il frutto di una nostra ricerca che non finisce mai: quali sono veramente i valori che Gesù ci ha trasmesso, cosa significa ogni giorno renderli concreti, cosa è veramente importante e prezioso, per che cosa vale la pena spendere la vita? Ecco tutte queste domande ci pongono queste due piccole parabole che sono il cuore di tutto il discorso: se non hai un tesoro nel cuore non c'è speranza.
Posso aggiungere qualcosa della mia esperienza, fin da quando ero giovane, qualcuno me l'ha insegnato: non bastano le regole, le leggi: un genitore deve dare delle regole ai propri figli, sono indispensabili, un insegnante deve dare delle regole ai suoi alunni, deve anche mettere voti, deve anche punire, ma se non riesce a mettere qualche piccolo tesoro nel cuore non può fare niente: non è la legge che cambia il cuore dell'uomo è avere un tesoro dentro, è avere dei valori, qualche cosa di importante in cui credi, qualche cosa per cui sei disposto a spendere la vita.
Come avete ascoltato il discorso così affascinante delle parabole si chiude con una parabola stranissima quando ero più giovane e del Vangelo capivo meno, mi chiedevo perché alla fine si parla di una rete gettata in mare che viene tirata a riva piena di pesci di ogni genere e a questa assomiglia il Regno di Dio. Poi ho capito, tenetela da conto è una parabola fondamentale, perché chi crede di avere un tesoro nel cuore rischia di diventare un fanatico e un intollerante, chi crede di sapere tutto, di possedere la verità è pericoloso.
Il tesoro non si possiede mai interamente, bisogna sempre cercarlo e siamo tutti diversi, ciascuno di noi ha il suo modo di credere e ci sono tanti che non sono cristiani che hanno nel cuore i valori di Gesù, diventare intolleranti, integralisti è il rischio di chi pensa di aver finalmente trovato la verità, la giustizia, il bene e vuole imporli, magari con la forza.
Siamo come una rete che prende pesci di ogni genere, più grande più piccolo, più bello, più brutto, più intelligente, meno intelligente, più buono, meno buono, lasciamo fare a Dio la cernita dei pesci, noi, come ci diceva anche la parabola la volta scorsa, rischiamo di buttare via i pesci buoni e conservare quelli cattivi. Ma soprattutto siamo tutti diversi, nessuno di noi possiede la giustizia e la verità, ognuno di noi ne ha una parte, una scintilla, e non possiamo che rispettarci e dialogare e cercare insieme.
Il Signore ci aiuti.
"Se il tuo fratello commetterà XXIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO -6- Settembre 2020
una colpa contro di te, va' e Matteo 18, 15-20
ammoniscilo tra te e lui solo..."
Mi è capitato quest'estate di andare a Messa, come si conviene a un bravo cristiano, in un piccolo paese delle Marche, ero insieme a mia sorella, ho trovato un prete che come altri - mi dicono che sono parecchi - pensa che fare una predica significa aprire bocca e dargli fiato, ha parlato per 20 minuti di tutto e di qualche cosa di più, senza capo né coda, senza alcun ordine, dopo la Messa ho pensato: bisogna che vada dirgli qualche cosa, poi mi son detto ma se capisce quello che gli dico non ne avrebbe bisogno, siccome ne ha bisogno è inutile che ci vada tanto non capisce. È giusto o è solo pigrizia? Qualche giustificazione l'avevo, perché questo sacerdote non lo conoscevo affatto e quindi mi avrebbe guardato come una persona maleducata, che non capisce, viene da lontano, ma mi chiedevo: perché i suoi parrocchiani non vanno qualche volta a dirgli qualche cosa?
La mia esperienza di parroco per tanti anni mi dice che è difficilissimo, ho trovato pochissime persone che sono state capaci di venirmi a dire dopo una predica guardi che lei ha sbagliato, ha detto qualche cosa di esagerato, sono veramente casi rarissimi, alcuni ne ricordo molto bene, ricordo alcune persone, ormai qualcuna non c'è più, con grande gratitudine perché chi ti dice qualcosa ti aiuta a crescere, a capire dove hai sbagliato, ti fa un favore e non puoi che ringraziare.
Ora vedete quello che riguarda le prediche è cosa di relativa importanza, le prediche servono, come voi fate esperienza, quasi a niente, ma questo discorso è molto serio quando riguarda i nostri rapporti quotidiani tra marito e moglie, tra genitori e figli, sapete quanto a volte è difficile dire qualche cosa senza arrabbiarsi, senza parlare dietro le spalle, parlando invece quietamente "tra te e lui solo", qualche volta non basta, il Vangelo suggerisce di prendere due o tre persone o addirittura di dirlo a tutta la comunità, sapete che questo nelle nostre comunità è assolutamente impossibile, ma non si tratta di una ricetta, il Vangelo non si può ridurre a formulette, si tratta di conservare nella propria mentalità, nel proprio cuore, l'idea che siamo responsabili di chi ci sta accanto e dobbiamo trovare il coraggio di parlare quando c'è qualche cosa che non va, di confrontarci serenamente.
Questo che vale in famiglia vale anche nella scuola, nel mondo del lavoro, e vale anche nei confronti della società, anche qui non ci sono formule, dovremmo essere, come dice il Profeta Geremia, come sentinelle, capaci di guardare quello che succede, di giudicare, e di fare, per quella che è la nostra parte, quello che possiamo perché la nostra società sia migliore.
Qualche volta è possibile fare qualcosa, ma, come ci suggerisce il vangelo - e badate che è una cosa molto importante - quando hai provato una, due o tre volte poi basta, piantala lì, non portarti dietro - ne ho visti tanti - sensi di colpa, scrupoli, perché non riesci a far pace in famiglia, a volte non è possibile, per far pace bisogna essere in due.
C'è un'altra cosa importante in questa pagina del Vangelo la frase: "Tutto quello che legherete sulla terra sarà legato anche in cielo, tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto anche in cielo" qualche domenica fa l'avete già ascoltata al singolare rivolta a Pietro: tutto ciò che scioglierai sulla terra… di questa frase la tradizione cristiana ha fatto strumento di potere, perché in questa frase si è vista la possibilità del prete di assolvere: la confessione. Ma qui si parla di tutti i discepoli, non basta che vada dal prete a chiedere il perdono di Dio, se io sciolgo, si scioglie anche presso di Lui, se non sciolgo non si scioglie. Se vado a confessarmi e dico: "Ho litigato con mia moglie, con mio marito" il prete - l'ho fatto per tanti anni - mi dice: di dire tre Ave Maria e poi: io ti assolvo nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, sono parole che non hanno nessun senso, perché o ho già fatto pace e allora già si è sciolto davanti a Dio o non l'ho fatta e allora finché non sciolgo io non si scioglie presso Dio: non ci sono scorciatoie, la vita è una cosa seria siamo responsabili della nostra vita, responsabili degli altri.
L'ultima frase del Vangelo ci suggerisce di cercare l'accordo: "Se due di voi si metteranno d'accordo per chiedere qualche cosa il Padre mio che è nei cieli ve la concederà" se ci mettiamo d'accordo in qualche modo la cosa è già ottenuta, il Padreterno ci ha dato la capacità di metterci d'accordo, di fare qualche cosa insieme, perché pregare significa impegnarsi a fare, il Signore ci dona il suo Spirito che può spingerci avanti, ma dipende da noi fare qualcosa e insieme.
Questa pagina del Vangelo ci dice una cosa semplice: siamo responsabili della nostra vita non ci sono scorciatoie, a volte abbiamo imprese difficilissime quasi impossibili, ma non possiamo rinunciare, ne va della nostra dignità di cristiani, della nostra dignità di uomini che si rendono responsabili della vita, della propria vita e di chi ci sta accanto, l'ho già detto non è facile.
Il Signore ci aiuti.
"Signore, quante volte dovrò XXIV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 13 Settembre 2020
perdonare al mio fratello?" Matteo 18, 21-35
Credo che coloro che hanno composto questa pagina del Vangelo fossero consapevoli dell'estrema complessità di un discorso sul perdono, cercano di farcelo capire usando per esempio numeri incredibili: diecimila talenti è una cifra enorme, da bilancio di Stato, nessuno può avere un debito così grande, ma ancora di più, forse, mettendo una contraddizione tra la prima e la seconda parte - non so se l'avete notato - nella prima parte Pietro domanda a Gesù: quante volte devo perdonare? e si sente generoso, fino a sette volte, Gesù risponde non fino a sette volte fino a settanta volte sette, ma poi troviamo una parabola in cui c'è un re che ha un servo che ha un grande debito, si raccomanda, chiede perdono e lui lo perdona, poi questo servo non perdona un suo compagno, il re secondo la prima la prima parte dovrebbe perdonarlo fino a settanta volte sette, lo perdona una volta sola, ma allora quante volte si deve perdonare settanta volte sette o basta una sola come fa il re?
Penso da tempo che la parola perdono andrebbe abolita dal linguaggio religioso perché significa infinite cose.
Pensate, se c'è una persona che riceve un offesa da un amico cosa fa? magari alza le spalle dimentica, cose da poco, domani sarà tutto passato, oppure vuole che gli chieda scusa e poi si fa pace, tutto ritorna come prima, in questo caso forse si può parlare di perdono, forse nemmeno, basta una risata.
Pensate al caso in cui una persona ha ricevuto torti gravi e, a volte, a lungo… a me è capitato spesso di ascoltare le storie di alcune nuore o di alcune suocere e si portavano dentro un rancore profondo e dicevano: non riesco a perdonare. Cosa significa qui perdonare, non si può più fare una risata, a volte sono cose passate e magari chi è stato sfortunato ha trovato qualcuno che gli ha detto: tu non sei un buon cristiano, perché non sai perdonare, ma nessuno di noi può togliere il rancore dal proprio cuore, è un istinto e non siamo in grado di comandare ai nostri istinti, se sento rabbia è inutile che mi dica: non devi arrabbiarti, chi sente il rancore per qualche torto subito, a volte molto grave, e non riesce a toglierlo, magari vorrebbe, perché senza rancore si vive in pace, eppure ogni tanto ritorna, qui si può parlare di perdono? forse no.
Oppure pensiamo alla mamma che ha un ragazzo che fa qualche cosa di sbagliato e lo perdona, se fa un'altra volta una cosa sbagliata ancora lo perdona, ma se per settanta volte sette fa una cosa sbagliata, quella madre, se continua a perdonare, è un'incosciente, è custode di suo figlio, dovrebbe cercare il modo di educarlo.
Andiamo al di là dei rapporti personali: in una scuola c'è un gruppetto di ragazzi che sono dei bulli, fanno violenza sugli altri: cosa si fa, si fa finta di niente, come spesso succede? Si cerca di dare qualche punizione senza che niente cambi, ma allora la scuola non ha rinunciato al suo compito di educare?
Oppure pensate a qualche cosa di più di una scuola: sono stati celebrati l'altro giorno i funerali di quel ragazzo che è stato ucciso in maniera barbara da quattro coetanei, che sembra siano stati arrestati più volte per atti violenti. Che stato è quello che magari tiene uno in carcere per un giorno e poi tutto continua come prima, è uno stato capace di perdonare o uno stato incosciente che non sa impedire di continuare a delinquere?
Possiamo fare un altro esempio che riguarda il mondo religioso: molti di noi, quando eravamo ragazzi - qualcuno lo fa ancora - eravamo abituati ad andare a confessarci, elencavamo una serie di colpe che ci sembrava di aver fatto, a volte non erano nemmeno colpe, il sacerdote si assolveva, uscivamo come sollevati e tutto ricominciava come prima, dicevamo Dio ci ha perdonato: che significa questa parola se non è cambiato niente, cos'è il perdono? Vedete perché secondo me la parola perdono è una parola estremamente complessa, forse sarebbe bene abolirla.
Penso che uno dei problemi nostri sia che quando parliamo di perdono ci riferiamo a degli atti, a dei gesti, a delle colpe e non a delle persone, pensate un momento alla parabola del Padre misericordioso, forse la più bella del vangelo, in cui si parla di perdono, il figlio che torna a casa non ha da fare un elenco delle colpe che ha commesso, sembra che al Padre non gliene importi niente, a Lui importa solo quel figlio, ma gli importa che partecipi al banchetto della vita, che diventi un'altra persona, solo così quello che è stato si cancella.
Le persone, non i fatti dovrebbero essere al cuore di ogni rapporto umano, di ogni famiglia, della società, della scuola e dello Stato. Lo Stato ha le sue regole e le sue leggi: se uno commette un crimine deve scontare la pena, ma ci si preoccupa che questa sia rieducativa, ci siamo sforzati di educare questa persona perché fosse capace di vivere da uomo e non da delinquente?
Il perdono si realizza soltanto quando io cambio, quando l'altro cambia, allora, anche se ci siamo offesi, siamo capaci di riconciliazione, di riabbracciarci, ma finché non cambiamo tutto resta ipocrisia, parole insensate, far finta di niente, il perdono, se vogliamo ancora chiamarlo così, come dice il Vangelo, è una cosa seria.
Secondo Gesù la disposizione di ognuno di noi al perdono o direi meglio alla riconciliazione dovrebbe essere totale, non dovremmo mai rinunciare a tentare di cercare la pace con l'altro anche quando sembra difficile, quasi impossibile.
La famiglia, la scuola, lo stato non dovrebbero mai rinunciare a cambiare chi sbaglia, soltanto così ci può essere la riconciliazione e la pace o, se volete usare la parola, il perdono.
Il Signore ci aiuti.
"Questi ultimi hanno XXV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 20 Settembre 2020
lavorato un'ora soltanto Matteo 20, 1-16
e li hai trattati come noi
che abbiamo sopportato
il peso della giornata e il caldo".
Leggere insieme il vangelo è a volte strano: domenica scorsa ricordavamo la parabola del Padre misericordioso, quando si legge questa parabola la maggior parte dei cristiani la ritengono la più bella del Vangelo, relativamente semplice da capire, quando invece si legge la parabola che abbiamo letto oggi viene quasi da tutti rigettata, sembra a molti una parabola ingiusta: il padrone non può fare quello che vuole dai suoi soldi, non può dare agli ultimi arrivati la stessa paga di quelli che sono arrivati per primi, eppure secondo me le due parabole sono praticamente identiche.
Perché allora questa difficoltà? forse perché non è semplice leggere il Vangelo, vedete nella prima parabola si parla di un figlio giovane che se ne va di casa e in genere viene facilmente interpretato come un ragazzo desideroso di avventurarsi nel mondo, di scoprire la vita, di liberarsi dalla presenza del padre, magari ritenuta oppressiva e poi a volte imbocca una strada sbagliata: tutto questo succede, è facile da capire e poi c'è un padre che ama teneramente il figlio e lo attende con ansia e quando il figlio torna gli butta le braccia al collo, anche questo è per molti facile da capire e poi c'è il figlio più grande il quale è geloso della festa che il padre ha fatto per il figlio più piccolo, a lui sembra una cosa del tutto immeritata, invece nella parabola di oggi non si parla di figli, di padri si parla di lavoro, di soldi, di paga e questo crea difficoltà perché quando si parla di soldi noi esigiamo la giustizia, che chi lavora di più venga pagato di più.
La difficoltà dipende dal fatto che noi conosciamo poco i grandi simboli della tradizione ebraico-cristiana: vivere nella casa del Padre, lavorare nella vigna è praticamente la stessa cosa: è il simbolo dell'onestà, della giustizia, del servizio fatto gli altri, lo spazio dell'amore, della generosità del dono di sé, dell'impegno per costruire un mondo migliore, perché chi ci sta intorno viva meglio, sia più felice.
E poi c'è il padre che aspetta il figlio, ma qui abbiamo addirittura un padrone che va a cercare e più volte al giorno e non si stanca di cercare chi nella vigna non è venuto a lavorare, in tutti e due i casi abbiamo un simbolo dell'amore di Dio che non si rassegna ad accettare che un figlio sciupi la vita.
Nel primo caso non si tratta di un figlio che cerca la libertà, ma di un delinquente di uno che non sa vivere il bene, che sciupa tutto e anche nella seconda parabola si parla di gente che non ama la giustizia, l'onestà: dicono che nessuno li ha chiamati, ma dov'erano quando il padre veniva a cercarli? forse all'osteria a bere, forse impegnati in qualche malaffare, fatto sta che non c'erano quando il padrone andava di cercarli.
E poi c'è il fratello più grande che non accetta la generosità del padre, come qui quelli che hanno lavorato fino alla prima ora non accettano che tutti vengano pagati allo stesso modo, entrambi vivono lo stare nella casa, il lavoro come un peso. A me è successo di vedere, troppo spesso, anche tra i giovani, che il vivere cristiano è sentito come un peso, una serie di obblighi, di divieti, di imposizioni e a volte quasi si invidia chi non pensa al prossimo, cerca farsi solo i fatti propri, chi pensa soltanto a divertirsi.
Invece al padre e al padrone che sono un'immagine di Dio interessa che si viva nella casa, che si vada a lavorare nella vigna, interessa cioè il dono di sé, la gratuità, l'amore e per Lui è importante che sia fatto con gioia, non come un peso, ma si scopra la bellezza di donare qualcosa di sé, di cercare di costruire il mondo, è la gratuità che viene esaltata in queste parabole e la bellezza del fare il bene, di amare, di donare.
A Dio non interessa a che ora si cominci a lavorare nella vigna, l'importante è che prima o poi quell'ora arrivi e non si stanca di andare a cercare chi non c'è, non gli interessa nemmeno rimproverare e punire, l'importane per Lui è che tutti scoprano finalmente la bellezza del bene, della vita, dell'amore e dovrebbe interessare anche a noi, dovremmo, come il Padre, sentire il peso e il dolore del figlio che non è in casa che si sta perdendo, e dovremmo come il padrone della vigna tentare, se c'è possibile, di andare a cercare chi sbaglia, di riportarlo nella casa, di aiutarlo a lavorare nella vigna, a comprendere che una vita vissuta nella mancanza di rispetto, nel rubare, nell'odiare, nel farsi solo i fatti propri è una vita che non ha senso, una vita sciupata, che non vive la bellezza dell'amore.
Noi dovremmo sentire la pena, il peso di quelli che non sono con noi nella casa, a lavorare la vigna e sentire con gioia la fortuna di essere stati chiamati, di essere amati, di aver potuto scoprire la bellezza di una vita giusta e onesta e ricca di amore e del dono di sé.
Ecco perché secondo me queste parabole sono molto simili, se non identiche ed ecco perché sono preziose, il dono di Dio che ci chiama ad amare, alla gratuità e quindi alla gioia, alla felicità del dono.
Il Signore ci aiuti.
"Figlio, oggi va' a lavorare XXVI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 27 Novembre 2020
nella vigna". Rispose: no. Matteo 21, 28-32
Ma si pentì e vi andò.
Domenica scorsa si parlava sempre della vigna, ma i protagonisti erano il padrone, il padre oggi i protagonisti sono i figli. Sono due uno è pronto a dire sì: vado, ma poi non va e l'altro che dice: no, non ho voglia, ma poi si pente e va… chi fa la volontà del padre? Sembrerebbe una risposta banale e scontata eppure qui abbiamo una forte polemica dei primi cristiani contro il mondo dei farisei, dei capi del popolo, dei sacerdoti e in fondo un po' contro tutto il popolo di Israele, sono loro secondo chi scrive il Vangelo che a parole, da secoli, dicono sì, hanno risposto alla chiamata del Signore, ma adesso si rifiutano di lavorare nella vigna, di accogliere Gesù, i suoi valori, di fare il bene.
È venuto Giovanni e non lo hanno ascoltato, invece lo ascoltano i pubblicani e le prostitute. I primi cristiani si identificano in questi ultimi, tra di loro ce ne sono: pensate a Matteo a Zaccheo, pensate alla Maddalena e quindi è questa una pagina polemica, ma credo che molto presto i primi cristiani hanno cominciano a guardarsi tra di loro dicendo: e noi, che adesso abbiamo detto sì a Gesù, lavoriamo veramente nella vigna? Perché lavorare nella vigna significa comportarsi bene, non basta pregare, leggere il Vangelo, andare in chiesa, bisogna essere persone che fanno il bene, che vivono la gratuità, l'amore: noi lo facciamo? Qualche dubbio credo che gli venga.
Qualche dubbio possiamo farcelo venire ripercorrendo qualche episodio della storia della Chiesa: secondo voi chi lavorava nella vigna il cardinale Bellarmino, che fra l'altro è pure santo, e ha firmato la condanna a morte di Giordano Bruno, credendo di difendere la verità, oppure Giordano Bruno che sognava mondi, che aveva soltanto parole da dire e da scrivere?
Oppure chi lavorava nella vigna del Signore Pio XI che diceva che Mussolini era l'uomo della Provvidenza o coloro che - non erano in molti - dicevano che era invece un dittatore tirannico?
Chi lavorava nella vigna il cardinale Florit, arcivescovo di Firenze, che si sentiva difensore dell'ortodossia oppure Don Dilani, lassù sperduto in quel piccolo villaggio di Barbina?
Per noi è semplice rispondere, ma allora non era così semplice significava, a volte, andare contro la mentalità comune, non era semplice ritenere Mussolini un dittatore autoritario, al tempo di Milani molti, anche tra i preti, lo ritenevano un rivoluzionario, uno che era fuori dalla vigna, che metteva disordine.
Ma non conviene soltanto ricordarci del passato, noi in casa, sul lavoro, siamo sicuri di lavorare nella vigna? È difficile, a volte, capire chi lavora nella vigna e chi no, occorre fare attenzione a non giudicare facilmente.
Oggi abbiamo anche problemi più complicati, più difficili a capire: pensate per esempio al problema che oggi si pone sempre di più nel mondo delle distinzioni di genere, capita in qualche paese di sentirsi chiedere se sei maschio o femmina o altro, molti di noi si scandalizzano, come altro? o si è maschio o femmina, oggi alcuni ritengono di essere altro, di essere né maschio né femmina, sono fuori dalla vigna, sono gente che tradisce la natura umana, oppure soltanto gente diversa che ha diritto al rispetto?
Oggi abbiamo a confrontarci con i problemi dell'aborto: lavorano nella vigna gli obiettori di coscienza tra i medici, alcuni dei quali poi magari lo fanno a pagamento da un'altra parte, oppure quei pochi che pensano di dover andare incontro a chi ha bisogno?
Oppure l'eutanasia: lavora nella vigna chi scomunica, proibisce addirittura il funerale, o chi accompagna un uomo disperato in Svizzera?
Non è semplice rispondere, spesso io non so rispondere, in certi momenti della storia e bene non saper rispondere, ma allora bisogna cercare e dialogare ed essere attenti a non giudicare facilmente e cercare di capirsi.
Poi è certo importante che ciascuno di noi per quanto riesce a capire, si sforzi di lavorare nella vigna, di fare quello che quel bene che riusciamo a vedere e quello che non riusciamo a vedere lo cerchiamo, ascoltando, dialogando con pazienza, soprattutto con grande rispetto e tenerezza verso il nostro prossimo e non è sempre semplice.
Il Signore ci aiuti.
"Quando verrà il padrone XXVII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 4 Ottobre 2020
della vigna, che cosa farà Matteo 21, 33-43
a quei contadini?".
Secondo me quella che abbiamo appena letto è una parabola scandalosa, trovo qui quello che da tempo chiamo il peccato del Vangelo, ma come, dice qualcuno, può esserci peccato nel Vangelo, può esserci lo scandalo, non è parola del Signore, non è stato ispirato dall'alto?
Il Vangelo è stato scritto da gente come noi, che si portava dentro le proprie paure, le proprie ansie, i propri rancori, desideri di vendetta e i primi cristiani ne avevano motivo, perché erano perseguitati, qualcuno aveva visto uccidere il proprio padre, qualcuno il proprio figlio, la propria moglie e quindi se esprimono il loro desiderio di vendetta non c'è da meravigliarsi.
Ma così non tradiscono il messaggio di Gesù? Certo non sarà l'ultima volta, troppo spesso nel corso dei secoli i cristiani hanno tradito il messaggio di Gesù, che non è a buon mercato, cerca di andare oltre le paure, i rancori, i desideri di vendetta, gli egoismi per cercare la riconciliazione.
Ma perché dico che questa parabola secondo me è scandalosa? Avete ascoltato nella prima lettura l'Antica parabola del profeta Isaia: il lamento appassionato di Dio nei confronti del suo popolo, ne parla come di una vigna che ha piantato su un fertile colle e ha custodita in tutti i modi, che altro poteva fare e non ha fatto chiede, eppure si aspettava che producesse uva buona e invece ha prodotto uva selvatica, si aspettava la giustizia, la pace e trova l'ingiustizia, la guerra, la violenza: è il lamento appassionato di Dio, il suo desiderio di vedere il suo popolo che cambi, si converta.
I primi cristiani riprendono questa parabola quasi con le stesse parole, come avete ascoltato, ma la cambiano, ne fanno l'interpretazione della lunga storia dell'incontro del popolo con Dio, ripercorrono la storia parlando dei tanti servi che vengono inviati, uno per uno e vengono rifiutati e qualcuno bastonato e qualcuno ucciso: è la storia dei molti profeti di Israele che sono stati rifiutati e perseguitati, ma ora secondo chi scrive siamo arrivati alla fine, Dio ha mandato il suo Figlio a cercare di salvare il suo popolo, ma, come avete ascoltato è stato rifiutato: "lo cacciarono fuori della vigna e lo uccisero", certamente si parla della morte in croce di Gesù, di cui ritengono responsabile tutto il popolo d'Israele.
Che cosa farà Signore della vigna? "farà morire miseramente quei malvagi": è l'interpretazione che i primi cristiani danno della distruzione e del massacro di Gerusalemme da parte dell'esercito di Tito, pensano che sia la vendetta di Dio per la morte del suo Figlio.
È dunque facile concludere - lo fanno la maggior parte degli studiosi - che questa parabola non è stata detta da Gesù, almeno così come la leggiamo, ma è stata rivisitata quando tutto era già successo, quando Gerusalemme era distrutta, molti degli ebrei erano stati uccisi. Ma allora ci presentano un Dio incapace di perdonare un Dio, che deve vendicarsi della morte del Figlio facendo perire quei contadini, non è questo contrario allo spirito del Vangelo, non stravolge il messaggio di Gesù?
Ecco perché ritengo questa parabola scandalosa, ma questa parabola può insegnarci che anche noi rischiamo di tradire il messaggio di Gesù, rischiamo di tradirlo per rancore, per paura, perché vogliamo rinchiuderci in noi stessi. Il secolo scorso, per fare solo un esempio, ha visto grandi tradimenti della parola del Signore da parte di molti cristiani per paura di perdere quello che si ha, perché manca la fiducia nel futuro, si creano nemici, ci si affida a qualcuno che ci salvi, che sia capace di risolvere i problemi quasi con un colpo di bacchetta magica e ci si ritrova nelle mani di dittatori che magari ricevono un grande consenso e conducono a una violenza inaudita, come quella che abbiamo visto nel secolo scorso.
Tutto questo deve essere insegnamento per noi: la paura, in questi tempi anche la paura di questa pandemia, rischia di farci chiudere in noi stessi, di vedere negli altri un pericolo e rischiamo così di tradire il messaggio di Gesù, che è messaggio di amore, di condivisione della vita, di servizio, di attenzione agli altri, di gratuità.
Ecco perché questa parabola può essere preziosa per noi, ci mette in guardia: anche noi possiamo rischiare di tradire il Signore, il messaggio del suo cuore, che invece dovrebbe essere la luce che illumina i nostri passi.
Il Signore ci aiuti.
"Il regno dei cieli è simile XXVIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 11 Ottobre 2020
a un re, che fece una festa Matteo 22, 1-14
di nozze per suo figlio..."
Abbiamo ascoltato, secondo quelli che studiano il Vangelo, non una, ma due parabole: la prima come avete ascoltato, nella sua drammaticità, è molto simile a quella che abbiamo ascoltato domenica scorsa, anche qui il Re si indigna e fa uccidere quegli assassini e dà alle fiamme la loro città: la distruzione di Gerusalemme, la vendetta di Dio.
La seconda parabola invece è una aggiunta fatta più tardi dalla comunità di Matteo preoccupata che non capissimo bene la prima, quelli di Matteo erano un po' moralisti non si fidavano molto del popolo cristiano, sentivano il bisogno di aggiungere un'altra parabola in modo che nessuno fraintendesse la prima.
Abbiamo detto degli aspetti drammatici della parabola del banchetto di nozze, ma oggi ci permette di cogliere anche gli aspetti positivi, riprende come avete ascoltato l'antico canto del Profeta Isaia: il banchetto di grasse vivande, di vini eccellenti, di cibi succulenti a cui potranno partecipare tutte le genti: la grande festa a cui Dio chiama la sua gente, tutti noi e se avete letto un po' il Vangelo sapete quante volte presente è presente il banchetto: Matteo dopo che ha lasciato il suo banco, Zaccheo, le cene con i peccatori e i pubblicani, la moltiplicazione dei pani perché ci sia cibo per tutti, le nozze di Cana, sembra che si sia quasi continuamente a tavola, a far festa: un simbolo, la vita cui Gesù ci chiama è la festa, la festa dell'amore, della gratuità, della bellezza, dell'abbondanza, della felicità.
Troppo spesso, nel corso dei secoli - anche io sono stato educato un po' così quando ero bambino - la religione, la fede è stata vista come una serie di rinunce, di sacrifici, di obblighi, di riti pesanti e noiosi, spesso si sottolineava il peccato, c'era in molti, il senso di colpa e non c'era quasi mai il senso della gioia, il sentirsi una comunità di gente che fa festa, che partecipa con pienezza alla vita e anche la liturgia che celebriamo qui è il banchetto a cui Dio ci invita, non solo ma Lui si fa pane per noi e dovrebbe essere un segno festoso, purtroppo molto spesso non lo è, vedete siamo incapaci di fare segni che esprimono veramente il messaggio di Gesù, non è un messaggio di penitenza che fa chiudere l'uomo in sé stesso, che lo riempie di sensi di colpa, che invita a fare penitenza, punirsi, flagellarsi, allontanarsi dal mondo, Gesù ci chiama alla festa della vita, della bellezza, dovremmo tentare di esprimerlo, non ci riesce, proviamo a portarcelo nel cuore questo sentimento di festa quando veniamo qui: partecipiamo al banchetto di Dio, Gesù stesso si fa pane per riempirci dei sogni del suo cuore, per darci il senso della giustizia, della gratuità, dell'amore.
A questa festa siamo invitati tutti, avete ascoltato che il re manda i servi ai crocicchi delle strade a invitare tutti, e come dice l'antico profeta tutti i popoli verranno e si raduneranno su questo alto monte: la festa, il banchetto di Dio è per tutti, a me fa tristezza quando vedo, distribuendo la Comunione che c'è qualcuno che non la fa e non capisco perché, quando si è invitati a una cena festosa, specialmente a una festa di nozze non si può non mangiare, uno deve stare proprio male, eppure ci hanno educato: tu sì, tu no, tu hai fatto quella colpa non puoi fare la comunione e non sentiamo che Gesù al suo banchetto non invita quelli bravi, invita Matteo, Zaccheo, invita tutti i peccatori, i pubblicani, perché tutti partecipino alla festa.
Poi c'è la parabola del invitato trovato senza veste nuziale, è secondo la maggior parte degli studiosi una parabola aggiunta dalla comunità di Matteo, perché c'è solo in questo Vangelo, è una comunità preoccupata: si l'invito è per tutti, ma come ci si sta? Ecco il moralismo: prima di sederti comincia a farti un po' di esame di coscienza, forse non sei degno di stare qui, non ti comporti abbastanza bene, ma Gesù è venuto per me, per chi non si sente buono, è venuto per chi ha bisogno di festa, di resurrezione e di vita e quindi se potessi parlare a quelli della comunità di Matteo gli direi di tutto cuore, è giusto quello che dite, sì dobbiamo sempre stare attenti, dobbiamo preoccuparci di come ci comportiamo, però lasciateci sognare, la fede sogno, sogno di un mondo diverso, sogno della bellezza della vita, dell'amore, della gratuità della fraternità e anche sogno della gioia, del piacere, della felicità. Lasciateci sognare, perché se sogniamo veramente, se sentiamo questo invito alla festa, allora ci sarà anche più facile essere brave persone, tenteremo di farlo, ma io penso che sapremo farlo soltanto se sapremo sognare, se sapremo accettare l'invito di Dio al suo banchetto, alla sua festa.
Il Signore ci aiuti.
Amerai il Signore tuo Dio con XXIX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 18 Ottobre 2020
tutto il tuo cuore..." "Amerai il Matteo 22, 34-40
tuo prossimo come te stesso"
Le parole: "Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" o come dicevamo una volta: "Date a Cesare quello che è di Cesare…" sono tra le parole più conosciute del Vangelo, ma anche quelle più usate e abusate, fraintese, in questi duemila anni di storia tutti cercavano di tirarle dalla loro parte, nei tempi antichi il papa, le autorità ecclesiastiche dicevano a noi spetta il potere, perché siamo i rappresentanti di Dio, quindi dare a Dio significa ubbidire all'autorità ecclesiastica, dargli ogni potere, ci sono state le Crociate, c'è stato lo Stato Pontificio, dall'altra parte l'imperatore che rivendicava il potere e anche lui in nome di Dio, le guerre tra i guelfi e i ghibellini hanno insanguinato a lungo l'Europa, le cose sono un po' cambiate nei tempi più vicini a noi, ma lo stesso si pone il dilemma a chi bisogna ubbidire alla Chiesa o allo stato, abbiamo avuto nel secolo scorso dei regimi tirannici che rivendicavano un potere assoluto e la coscienza di alcuni, forse troppo pochi, cristiani ha avuto il coraggio di ribellarsi.
D'altra parte nel secolo scorso abbiamo visto molte volte l'autorità ecclesiastica combattere contro ogni forma di libertà, contro la libertà di coscienza, di opinione pensando che ubbidire a Dio significa ubbidire all'autorità ecclesiastica, che sola sa interpretare ciò che appartiene a Dio.
Allora cosa significa dare a Dio quello che è di Dio e allo Stato quello che è dello Stato, l'autorità della Chiesa interpreta sempre la volontà di Dio e le leggi dello stato vanno sempre osservate?
Forse ci conviene superare queste parole, è difficile dire da qui: superiamo le parole del Vangelo, ma forse conviene che rimettiamo al centro non tanto il potere dello Stato o l'autorità ecclesiastica, ma la comunità degli uomini, la gente e tra la gente soprattutto i più deboli, i più poveri, gli ultimi sono loro che hanno diritto al rispetto, all'attenzione, al servizio.
Potremmo dire: pago le tasse regolarmente non tanto per ubbidire alle leggi dello Stato, ma per essere utile alla mia comunità, perché la mia comunità soffre se tutti non paghiamo le tasse, perché dalle tasse dipendono le scuole, la sanità e tanti altri servizi pubblici, dovremmo anche noi pensare come diceva una volta un uomo di questo paese che le tasse sono belle, non perché ubbidisco alla legge dello Stato, ma perché le sento come un servizio alla mia comunità, così anche metterci le mascherine non lo facciamo per ubbidire al decreto del presidente del consiglio, ma per rispetto dei nostri fratelli, della comunità. E questo vale per tante altre cose, dovrebbe essere la comunità il criterio, se l'autorità politica impedisce a dei poveri disgraziati di sbarcare sulla nostra terra e rischiano di annegare nel mare o non è ancora in grado di fare una legge sul fine vita e condanna chi pensa di aiutare un uomo disperato, allora devo dire no, perché lo stato non è un potere assoluto quello che conta è sempre l'uomo, il più debole degli uomini.
Dall'altra parte se l'autorità ecclesiastica parla del bene comune, della difesa del creato, se organizza servizi a favore dei poveri darò volentieri il mio consenso e se posso la mia collaborazione, ma se comincia a dirmi che chi è divorziato e risposato non può fare la Comunione, se non è capace di dare uguale dignità alle donne, se comincia ad opporsi come è successo in questo nostro paese alle leggi dello Stato nei referendum sul divorzio, sull'aborto, penso di avere non solo il diritto, ma anche il dovere di dire no, di disubbidire, perché cerco di pensare a quello che è il bene della comunità.
Tutto questo significa, se sono riuscito a spiegarmi, rimettere al centro l'uomo che è il cuore stesso del Vangelo: Gesù è venuto per dirci che l'unica cosa sacra è l'uomo, ogni uomo, il più piccolo degli uomini e a lui dobbiamo tutta la nostra dedizione e il nostro servizio, ce lo ricorda bene la parabola del Samaritano: il sacerdote, il levita devono andare al tempio e pensano di dovere osservare la legge di Dio e quindi non devono rischiare di contaminarsi con il sangue del ferito e lo abbandonano in mezzo alla strada, il Samaritano d'altra parte non dovrebbe avvicinarsi, perché è un nemico e forse è vietato, ma non gli interessa se sia nemico o amico, non si preoccupa della legge, ma si ferma a dare il suo aiuto: quello che conta è l'uomo, ecco perché vi dicevo che forse queste parole che tanto hanno pesato nella storia della Chiesa: "Date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio" faremmo bene ad abbandonarle per dire quello che conta è la comunità, il nostro servizio all'uomo e quello che stabilisce il criterio del bene e del male è l'attenzione, il rispetto, l'amore verso chi ci sta accanto, verso i nostri fratelli, verso la comunità, soprattutto verso i più deboli, questo dovrebbe essere il cuore della nostra fede, come credo che sia il cuore del messaggio di Gesù.
Il Signore ci aiuti.
Amerai il Signore tuo Dio con XXX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 25 Ottobre 2020
tutto il tuo cuore..." "Amerai il Matteo 22, 34-40
tuo prossimo come te stesso"
Avete ascoltato ancora una volta parole tra le più conosciute del Vangelo: "Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, ama il prossimo tuo come te stesso" nella mia lunga esperienza ho trovato queste parole profondamente equivoche, che suscitano spesso difficoltà, mi sono sentito tante volte dire: "Padre io non riesco ad amare Dio, non sento niente, qualche volta prego, ma mi sembra di sentire che Dio sia lontano, non c'è calore dentro di me". Vedete l'amore non è fondamentalmente un sentimento, ma qualche cosa d'altro, molti santi ci dicono di aver sperimentato il silenzio e la lontananza di Dio, Santa Teresa di Gesù Bambino scriveva: "So che sopra le nubi splende il sole, ma io vedo solo buio".
Ma non è soltanto questo, ho incontrato tanta, troppa gente che aveva paura di Dio. Gli avevano parlato di Lui come di un giudice severo, che condanna e punisce, ho trovato delle mamme che avevano paura di essere punite nei loro figli per qualche colpa che avevano fatto.
Spesso ho incontrato persone - anch'io quando ero giovane - che pensavano che Dio fosse l'artefice di tutto, che il mondo dipendesse dalla sua provvidenza, che tutto dipendesse da Lui e anch'io ho ripetuto, ma lo ripetevano soprattutto i nostri vecchi, quando capitava qualche guaio: "Sia fatta la volontà di Dio" con l'aria rassegnata di chi deve sopportare una batosta che veniva sempre da Lui.
È questo quello che dice l'antico comandamento, perché non è un comandamento del Vangelo, ma ha attraversato i secoli della storia di Israele? Cosa significa amare Dio? Se ho capito qualche cosa toglierei la parola amare che ritengo equivoca, direi che occorre cercare Dio, cercare l'assoluto, la bellezza, la luce, la verità, i valori essenziali della vita, cercare di uscire da sé dalle chiusure del proprio egoismo, per guardare in alto, cercare una forma di spiritualità che vada aldilà delle cose materiali, dell'affanno e della corsa di ogni giorno, cercare qualche cosa di grande, di gratuito, di libero, di bello. Kant dice che lo si trova qualche volta nella bellezza dell'universo: "il cielo stellato sopra di me", qualche volta nel profondo del proprio cuore dove sentiamo una legge morale, un bisogno d'amore, in cui vediamo qualche cosa della luce e dell'amore di Dio.
Qualche volte sentiamo nello splendore della natura, nel sorriso di un bambino, qualche volta nella tenerezza di chi ci vuole bene un riflesso di qualche cosa di grande, di infinito, un riflesso di Dio che dobbiamo sempre cercare.
Noi che leggiamo il Vangelo abbiamo la fortuna di poter sentire Dio più vicino, di potergli, con grande prudenza, dare del Tu, di leggere la parabola del Padre misericordioso e di sognare un Dio che ha un amore più grande di quello che noi possiamo immaginare, ecco tutto questo forse possiamo mettere dentro queste parole che sembrano semplici: ama il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore.
Poi c'è il secondo comandamento anche questo è equivoco: ama il prossimo tuo come te stesso, ma il mio prossimo vuole essere amato come io mi amo? Molto spesso no, siamo tutti diversi, amare significa accettare le diversità degli altri, rispettare, accogliere l'altro, anche quando è diverso da me e se posso stendere una mano e fare qualche cosa per lui lo farò, perché l'amore è fatto anche di gesti concreti non solo di sentimenti, spesso c'è anche il sentimento, il trasporto, l'affetto, la tenerezza, ma soprattutto, l'amore è fare, donarsi e qualche volta il fare costa sacrificio.
Mi è sempre rimasta impressa una signora che mi diceva: "Padre mi creda, ho fatto per mia suocera, molto più di quello che ho fatto per mia madre, ma l'ho fatto senza amore". Che vuol dire che l'hai fatto senza amore? L'ha fatto senza trasporto, senza affetto, aveva addirittura, me l'ha detto, ricevuto dei torti non piccoli dalla suocera eppure lei è passata sopra tutto e si è dedicata con pazienza e magari non è riuscita a togliersi un po' di rancore dal cuore, allora pensava di averlo fatto senza amore, ma cos'è l'amore? Amore, per usare la parola del Vangelo che a qualcuno non piace, è servizio, è dono di se, è vita condivisa.
Ritornando a casa ripensate alla vostra vita e chiedetevi cosa ha significato per voi, nel vostro cammino, amare Dio e amare il vostro prossimo.
Il Signore ci aiuti.
Una moltitudine immensa che nessuno poteva TUTTI I SANTI - 1 Novembre 2020
contare, di ogni nazione, popolo e lingua… Matteo 5, 1-12. Apocalisse 7, 2-4. 9-14
"Beati i poveri in spirito, beati i miti...."
Sono passati tanti anni, ma lo ricordo ancora bene: una mattina ero seduto nell'ufficio parrocchiale a Stella Maris e venne una ragazza, giovane, con un bel accento francese, che presentava dei libri con le storie dei Santi, quattro bei volumi, carta patinata, immagini raffinate, voleva che li acquistassi, come una cosa preziosa per la parrocchia, gli risposi: "Signorina adesso le insegno un modo di dire romano: nun ce ne po' fregà de meno". Mi ha guardato un po' stupefatta: "Come mai non vi interessano i Santi". Le ho risposto: "No, non ci interessano, noi abbiamo i nostri Santi" "E quali sono?" "Lei non li può conoscere sono i nostri Santi, quelli che abbiamo conosciuto, con cui abbiamo vissuto, quelli che sono stati per noi testimoni di Gesù".
Sono passati tanti anni, ma sono ancora convinto che se mi capitasse ancora risponderei allo stesso modo, perché vedete i Santi del calendario la maggior parte di noi, se non tutti, non li conosce, se non per il fatto che fanno miracoli: ci sono quelli specializzati, Santa Lucia si occupa degli occhi, San Biagio della gola, San Rocco della peste, Sant'Antonio abate degli animali, poi ci sono quelli degli impossibili, come Santa Rita o Sant'Antonio di Padova, che va bene per tutto. Nella piccola chiesa del paesino dove sono nati i miei genitori c'è una statua di Sant'Antonio e sotto c'è scritto in latino "Si quaeris miracula: se cerchi miracoli" poi ho scoperto che è l'inizio di una canzone, potete trovarla, se volete su internet, la leggete e potete divertirvi un po'.
Ho provato qualche volta a domandare a chi mi parlava di qualche Santo se sapeva qualcosa della loro vita, di quello che avevano detto o fatto oltre i miracoli: non sapeva nulla.
Quelli che, come me, che hanno studiato un po' di storia sanno che alcuni ci creano problemi, ci sono Santi che hanno proclamato crociate, Santi che hanno bruciato eretici, Santi che hanno perseguitato e fatto soffrire molte persone il nome della loro presunta verità.
Insomma noi preferiamo i nostri Santi, nella mia lunga vita in parrocchia ne ho conosciuti tanti, adesso molti di loro non ci sono più, sono stati i testimoni della fame e sete della giustizia, della tenerezza, della mitezza, del desiderio di pace, sono stati testimoni della gratuità, del servizio, dell'amore, sono loro che sono stati per molti di noi i testimoni di Dio, di Gesù, dei suoi valori.
Vi inviterei stasera a fare memoria ciascuno dei propri Santi, perché, vedete, i miei Santi la maggior parte di voi non li conosce, come io non conosco i vostri, sono i miei, quelli che ho conosciuto fin da quando era un piccolo bambino, che mi hanno accompagnato nella vita con la tenerezza, l'affetto, la gratuità, ho condiviso con loro tanti momenti, se c'è qualche cosa di buono in me è tutto merito loro, il male è solo colpa mia, sono loro che sono stati per me testimoni di giustizia, di verità, soprattutto di servizio, di dedizione, di tenerezza. Penso che li abbiate tutti sennò non sareste qui, siamo qui perché abbiamo incontrato delle persone che ci hanno voluto bene gratuitamente, che hanno condiviso con noi la vita, che ci hanno donato parte di se stessi, molti, penso, anche per voi - in molti abbiamo i capelli bianchi - non ci sono più, abbiamo, penso il dovere di ricordarli con affetto e con infinita gratitudine.
Io la sento questa gratitudine quando ripenso alle tante persone che ho conosciuto, io sono stato fortunato perché ho conosciuto anche dei Santi che dicevano di non credere, che non venivano mai a Messa, non pregavano, qualcuno di voi può meravigliarsi: come ci sono Santi che non credono? Ma avete ascoltato le parole del Vangelo: non c'è una sola parola sulla fede, sulla preghiera, sul venire a Messa: "Beati i miti, beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, beati i misericordiosi, beati gli operatori di pace", ce ne sono per fortuna in tutto il mondo, spesso sono nascosti, non si vedono, molti di loro non credono o credono in un altro Dio, eppure possiamo tutti sentirli come fratelli, perché sono nel mondo testimoni degli stessi valori per cui Gesù è vissuto, che è venuto a condividere con noi.
Dunque facciamo memoria, domani è il giorno dei morti, ricordiamo con affetto e gratitudine e tenerezza tutti i Santi che abbiamo incontrato nel nostro cammino, Santi che non hanno fatto miracoli o meglio hanno fatto l'unico vero miracolo: quello di amare, di vivere donando se stessi, perché questi sono i veri miracoli sulla faccia della terra.
Il Signore ci aiuti.
"Il regno dei cieli è simile XXXII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 8 Novembre 2020
a dieci vergini che, prese Matteo 25, 1-13
le loro lampade, uscirono
incontro allo sposo"
Non so se è capitato a qualcuno di voi di leggere questa pagina del Vangelo con dei bambini o dei ragazzi dicono subito: "Certo che queste vergini saranno pure sagge, però sono delle belle egoiste, che ci vuole a dare un po' d'olio invece di mandarle dal venditore?".
Un ragazzo del tempo in cui è stato scritto il Vangelo avrebbe sorriso, come hanno sorriso, un po' amaramente, le persone - mi è capitato più di una volta - a cui ho detto di provare ad andare al mercato a cercare qualche banco in cui comprare un paio di chili di pazienza.
La pazienza non si vende, come non si vende l'olio per le lampade: è l'olio dell'attesa amorosa, della vigilanza, della speranza, è un simbolo, non c'è mercante che lo venda, come non c'è banchetto al mercato che possa vendere un po' di pazienza.
Piuttosto il ragazzo del tempo avrebbe detto: "Ma che sposò è questo che arriva a mezzanotte un incosciente, se non proprio un delinquente?". A me è capitato di avere aspettato qualche sposa anche per un'ora, ma lo sposo in genere arriva per tempo, poi uno sposo che arriva a mezzanotte proprio non si può accettare e non solo arriva a mezzanotte, ma quando quelle ragazze ritornano le butta fuori perché sono arrivate un po' in ritardo.
Quella che leggiamo è una parabola che per i primi cristiani esprime tutto il dramma del momento in cui vivono e del loro rapporto con Gesù, perché - vedete - dopo la morte del Signore la maggior parte di loro ha capito che sarebbe tornato presto a distruggere questo mondo così pieno di malvagità e a portarne uno radicalmente nuovo, a fare finalmente il grande banchetto di nozze a cui l'umanità è invitata.
San Paolo pensava di non morire, prima della sua morte sarebbe ritornato il Signore glorioso e avrebbe finalmente fatto trionfare la giustizia e il bene, ma gli anni passano, San Paolo è morto e nulla cambia, il Signore non ritorna, allora cominciano a capire che forse c'era qualcosa che non andava nel loro modo di intendere il messaggio di Gesù, non si trattava di aspettare qualche cosa di magico, un evento straordinario, il ritorno glorioso del Signore, ma occorreva con pazienza, speranza, vigilanza tentare di costruire quel mondo in cui si realizzassero piano piano i sogni di Gesù, quel mondo che Lui si è impegnato a costruire con noi, ma che ha affidato al nostro coraggio.
Il dramma dei primi cristiani è, io credo, almeno in parte il dramma dei cristiani di tutti i tempi e anche un po' il nostro: perché non siamo riusciti ancora dopo tanti secoli a togliere, la violenza, l'umiliazione del prossimo, perché ci sono ancora nel mondo tante persone che soffrono e hanno fame, perché le donne spesso sono trattate male, perché c'è tanta ingiustizia? Certo il mondo siamo riusciti a farlo un pochino migliore rispetto ai tempi di Gesù, oggi non si va più al circo a vedere spettacoli di morte, non ci sono più schiavi almeno ufficiali, ma c'è tanta gente che soffre, qualche passo avanti l'abbiamo fatto, ma rischiamo sempre di fermarci, rischia di venir meno la speranza, la vigilanza, la fiducia, il coraggio, viene a mancare l'olio delle nostre lampade, questa parabola parla di noi, a noi è affidato il mondo, perché diventi migliore, corrisponda almeno un po' agli ideali di Gesù, il mondo che Gesù sognava, che è venuto a testimoniare, a condividere con noi.
E questo vale per le cose di tutti i giorni, per la famiglia, a volte ci sono delle difficoltà, a volte ho trovato dei genitori preoccupati nel vedere crescere i loro ragazzi, eppure non si può perdere la speranza, se sei credente la lampada deve essere sempre accesa.
E anche oggi, se posso concludere così, in cui viviamo momenti così difficili, in cui ci domandiamo perché il virus si moltiplichi così rapidamente e c'è tanta gente incosciente, qualcuno di noi rischia di lasciarsi andare, di non essere più attento, di lasciarsi prendere dalla paura e dalla sfiducia, in tutti gli aspetti della nostra vita dobbiamo sentire che il compito del credente è quello di tenere accesa la speranza e non solo, anche la vigilanza, il coraggio, l'impegno a cercare di rendere il mondo migliore, a fare quello che si può nel concreto di ogni giorno: di questo parla questa strana parabola che esprime il dramma dei primi cristiani, ma forse anche il nostro, vorremmo che il mondo cambiasse, diventasse migliore, ma non ci sono magie, non vengono miracoli dal cielo, dipende da noi: è la nostra lampada che deve rimanere accesa, non può mancare l'olio, che non si può comprare, deve venire da dentro di noi, dalla nostra fede, dal nostro coraggio, dal nostro credere veramente nel bene, per cercare di renderlo concreto giorno per giorno, non è affatto semplice.
Il Signore ci aiuti.
"A uno diede cinque XXXIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 15 Novembre 2020
talenti, a un altro due, Matteo 25, 14-30
a un altro uno…".
Ci sono nei Vangeli due parabole dei talenti: quella che abbiamo appena ascoltato nel Vangelo di Matteo e un altra nel Vangelo di Luca, c'è una differenza: nel Vangelo di Matteo come avete ascoltato il Signore dà a uno cinque talenti, a un altro due, a un altro uno solo, nel Vangelo di Luca invece dà a tutti dieci talenti, se volete divertirvi potete chiedere a qualche bambino, ma forse non solo a un bambino, chi dei due ha ragione Matteo che da parla di cinque due e un solo talento o Luca in cui il Signore dà a tutti dieci talenti? Rispondono tutti ha ragione Luca: a tutti lo stesso e poi potete chiedere: ma sei convinto che nella tua classe tutti avete gli stessi doni, le stesse possibilità, avete tutti una famiglia unita che vi vuole bene, vi aiuta e pensi di avere gli stessi doni che ha un bambino che nasce in Africa, nella guerra e c'è la malattia, la violenza? Allora cominciano a guardarti con occhio perplesso e a capire che la vita è ingiusta, che non abbiamo tutti le stesse possibilità, gli stessi talenti, siamo tutti diversi.
Quando si parla di talenti di cosa si parla? Vedete, se devo parlare di me e mi chiedete tu che talenti pensi di avere? direi: me ne mancano molti, per esempio non ho nessun talento per la pittura, nessuno per la musica, non parliamo poi della matematica, non ho mai capito niente e potrei elencarne molti altri e quindi potreste concludere che ho pochi talenti, se invece vi raccontassi tutta la mia vita, a cominciare dalla salute che mi ha accompagnato, almeno fino ad ora, dal benessere di cui ho sempre goduto, se potessi parlarvi di tutte le persone straordinarie che ho incontrato, dalle esperienze che ho fatto, dei libri che ho letto, dei tanti incontri in cui abbiamo letto insieme il Vangelo, allora devo dire che ho ricevuto veramente tanti talenti, la mia vita è stata molto ricca, se penso ad altre persone che ho conosciuto o che vivono in tante parti di questa terra allora mi sento - mi sono sempre sentito - molto fortunato, perché i talenti sono tutti i doni, le capacità che abbiamo ricevuto, non portandoli con noi dal seno di nostra madre, ma in tutta la vita, in tutte le esperienze che abbiamo fatto.
Allora potrei avere due sentimenti: uno di invidia per chi ha i talenti che io non ho, qualche volta ho provato questa invidia, ho degli amici che capiscono bene la musica, che sanno dipingere, ma più spesso che l'invidia ho provato piacere per loro, per le loro capacità e poi l'invidia come sapete non serve a niente.
Se invece penso a quello che ho ricevuto posso correre un altro rischio, quello di aver paura per non saper dare abbastanza, per non aver fatto tutto quello che potevo, di non essere capace di mettere a frutto tutte le capacità che la vita mi ha offerto, ora, vedete, questa parabola, se avete fatto attenzione, mette l'accento sulla paura: paura di Dio e significa anche paura della vita, avete ascoltato il servo che dice: penso che tu sia un padrone severo che raccogli dove non hai seminato… ma chi gli ha detto questo, dove ha trovato nel Vangelo un Dio così? Gesù si è manifestato non come colui che viene a giudicare, che punisce, non è piuttosto colui che ha invitato a mangiare i peccatori, che ha fatto festa con loro, non ci ha raccontato la parabola del Padre misericordioso, come si può avere paura di questo Dio, e allora chi ha messo paura a questo servo?
Ecco uno dei rischi che corriamo è quello di mettere paura al nostro prossimo: un rischio che corro io qui dall'altare ogni volta che prendo la parola e rischio di dire qualche cosa di troppo pesante per chi mi ascolta e se gli mettessi un po' di paura nel cuore, sarebbe, secondo quello che abbiamo letto, molto grave.
O pensate a un insegnante che invece di stimolare colui che ha meno capacità, di stargli vicino gli mettesse paura di non farcela, un tempo succedeva, oggi forse un po' meno. Quando insegnavo religione a scuola, per pochi anni per fortuna, perché tra i miei talenti non c'è quello di saper insegnare ai ragazzi, mi capitava agli scrutini finali che qualche insegnate dicesse: questo è scemo ma non possiamo scriverlo, dobbiamo dire che è timido: se pensi che sia scemo poi gli metti paura, non trafficherà il suo talento.
Questo può succedere anche con i figli, può succedere con lo stato: in questo periodo c'è troppa gente che cerca di metterci paura, di farci rinchiudere in noi stessi, di allontanarci gli uni dagli altri: è vero dobbiamo stare lontani, dobbiamo prendere tutte le precauzioni, ma la paura, la paura fa male, sciupa la vita.
Soprattutto fa male la paura di Dio eppure ho incontrato nella mia vita tante persone, tanti cristiani che avevano paura di Dio: perché gli hanno messo paura? Questo forse è il peccato più grande che si può fare, perché se uno ha paura non traffica nemmeno i pochi talenti che ha, Gesù è venuto per darci fiducia, per dar fiducia all'ultimo, al piccolo, per dar fiducia a chi ha sbagliato, a chi è andato lontano e pensa di non potercela fare, perché solo così possiamo fare un passo, dare quello che possiamo.
Abbiamo ricevuto cinque talenti, due, uno solo, conta poco, l'importante è che quello che abbiamo ricevuto riusciamo in qualche modo a condividerlo, a offrire quello che possiamo di bene a chi ci sta intorno, ma per far questo non bisogna aver paura.
Il Signore ci aiuti.
"In verità io vi dico: tutto quello che CRISTO RE DELL'UNIVERSO - 22 Novembre 2020
avete fatto a uno solo di questi miei Matteo 25, 31-46
fratelli, più piccoli, l'avete fatto a me"
È l'ultima domenica dell'anno della nostra preghiera, certo nessuno di noi si aspettava nel dicembre scorso, quando abbiamo cominciato l'Avvento e ad aspettare Natale che anno sarebbe stato quello che abbiamo vissuto: abbiamo dovuto lasciare la nostra piccola Chiesa in cui stavamo vicini vicini, ci potevamo guardare negli occhi, abbiamo dovuto metterci le maschere, guardarci attraverso lo schermo di un computer, stare lontani, non potevamo andare a trovare gli amici e magari fermarci a cena, nemmeno, come suggerisce il Vangelo di oggi, potevamo andare a trovare i malati all'ospedale, eppure in quest'anno abbiamo visto tanti gesti di generosità, di servizio, di attenzione agli altri: negli ospedali dove medici e infermieri hanno, a volte anche oltre le loro forze, messo il loro tempo, la loro attenzione e loro cura a servizio di tanti malati, spesso con grande tenerezza, ma anche nelle nostre case i nonni si sono dovuti occupare dei nipoti, i vicini si sono aiutati, gli insegnanti hanno dovuto inventarsi un modo di fare scuola. Nel nostro paese, ma penso anche nel resto del mondo tante persone hanno messo la loro opera al servizio degli altri, le attività di volontariato si sono moltiplicate, ovunque ci sono stati tanti gesti di attenzione, di amore che possiamo ricordare e celebrare oggi in questa festa di Cristo Re.
Una festa strana questa, non ha ancora un secolo di vita, è una festa che l'autorità ecclesiastica ha istituito nel tentativo, uno degli ultimi, di riaffermare la propria autorità sulla società intera: se Gesù è il re di tutto l'universo la gerarchia ecclesiastica che lo rappresenta può affermare il suo potere sulla società, anzi sul mondo intero.
Certo si sono serviti per affermare se stessi di un Re un po' strano: ha sul capo una corona ma è di spine, ha detto che non è venuto per essere servito, ma per servire, per donare se stesso, la propria vita. Ci aiuta riconoscere questo Re il Vangelo che abbiamo ascoltato.
Il Vangelo di Matteo è straordinario fa cominciare le parole di Gesù con il discorso che certamente tutti ricordate, il discorso della montagna: beati i poveri, gli afflitti, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, i miti, i misericordiosi gli operatori di pace e le fa concludere con le parole che abbiamo ascoltato oggi: avevo fame e mi avete dato da mangiare avevo sete e mi avete dato da bere… quando mai? ogni volta che avete fatto questo al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me.
Ecco il nostro Re non vuole esercitare autorità o potere, non vuole nemmeno essere riconosciuto, vuole sparire dietro l'ultimo degli uomini, dietro il più piccolo degli uomini: è la che possiamo incontrarlo. È venuto per mettere al centro l'uomo, l'attenzione soprattutto per i più deboli per quelli che sono in difficoltà, per i malati, per gli ultimi, se ci pensate in nessuno di questi due testi si dice che saremo giudicati per la nostra fede, per quante preghiere avremo detto, quante immagini di Gesù ci sono nella nostra casa, quanti pellegrinaggi abbiamo fatto. Il senso della vita per Gesù è l'attenzione agli altri, il servizio, il dono e allora stasera celebrando il nostro Re possiamo sentirci fratelli di tanta gente in ogni angolo della terra, di ogni popolo, di ogni lingua: dappertutto c'è gente che riesce a mettere la sua vita a servizio degli altri a condividerla e questo secondo Gesù il vero senso della nostra esistenza, non conta la religione, il modo di pregare, se uno ha fede o no, conta il servizio, l'attenzione, il dono di sé.
Spesso le autorità di questa terra cercano per sé gli onori, il potere, la gloria, Gesù vuole sparire dietro l'ultimo degli uomini e là ci invita ad andarlo a trovare: questo secondo lui è il senso della vita.
Quindi chiudendo quest'anno della nostra preghiera possiamo ringraziare il Signore per tutto il bene che c'è nel mondo, per le tante persone che dedicano la propria vita al servizio degli altri, cercano di essere attenti a chi ha bisogno, ai più piccoli, ai più poveri, tante persone che credono, non credono, pregano in un modo o nell'altro o non pregano affatto, per tutto il bene che hanno fatto: questo è quello che conta davanti a Dio, questo è il vero senso della vita dell'uomo. Per questo ringraziamo il Signore e cominceremo domenica prossima un nuovo anno di preghiera, ad aspettare che Gesù nasca di nuovo, sperando che l'anno nuovo sia migliore.
Il Signore ci aiuti.