Libro - raccolta di omelie di vari anni di Don Checco
Parole di un parroco di periferia
Queste pagine stampate vogliono essere solo un modo per ricordare tante ore passate insieme, cercando di pregare e di intuire qualcosa nelle Parole di Gesù.
E anche per dire un sincero grazie a tutti voi. Il primo ringraziamento a tutti coloro che mi hanno aiutato a scoprire qualcosa della luce di Gesù. Dicevo in una predica del 1996: “ Consegnavo, qualche giorno fa, dei fogli in cui sono scritte alcune prediche, ad una signora della nostra parrocchia; e le dicevo: "Queste, quando sarà il momento, le lasci in eredità a sua figlia e le dica che le cose più importanti che sono scritte qui le devo a lei!". Ed è vero! Devo a questa ragazza molte delle cose che ho potuto dirvi. Se questo è vero in modo particolare per lei, lo è anche per tanti altri: valga per tutti il nome di Mariangela, ma insieme a lei non scorderò le tantissime persone che in questi anni hanno arricchito la mia vita.
Il secondo ringraziamento alle nostre catechiste e ai nostri catechisti: senza di loro queste pagine non esisterebbero (si è cominciato anni fa a registrare le mie parole, perché fossero di qualche aiuto nel preparare con i bambini la liturgia della domenica): con la loro generosità e la loro passione hanno arricchito tante volte la nostra preghiera domenicale.
Un ringraziamento alla "zia Mimì", che con pazienza ha trascritto, in questi lunghi anni, parole a volte ripetitive e noiose e ad Anna Maria, Chiara e Flavia, che si sono sobbarcate la fatica di rileggere tutto il materiale, per scegliere quello che potesse rimanere in queste pagine.
Tutto quello che trovate qui non vuole insegnare niente a nessuno, vuol essere solo un ricordo e un ringraziamento: se poi qualcuno fosse spinto a pensare e cercare ancora, questo sarebbe un più che sufficiente compenso per la mia, non piccola, fatica nel tentare di dirvi qualcosa ogni domenica.
Ancora un grazie a tutti per aver, con pazienza, ascoltato anche le sciocchezze che ho detto e per avermi, con la vostra paziente attenzione, spinto a continuare.
Don Checco
NOTA
Abbiamo pensato di non dare alcun ordine, per temi o altro, a queste prediche, ma di lasciare l'ordine della preghiera domenicale. Sono cioè divise secondo i tre cicli liturgici: anno A, in cui si legge principalmente il Vangelo di Matteo, anno B, in cui si legge principalmente il Vangelo di Marco, anno C, in cui si legge il Vangelo di Luca.
Abbiamo anche lasciato l'ordine cronologico e i riferimenti alle letture di quella domenica che possono aiutare a ritrovare i vari testi del Vangelo.
Sono inevitabili ripetizioni e temi che ritornano in forme diverse, ma non si tratta certo di pagine da leggere in modo continuo: ogni predica è una cosa a sé.
Il libro è stato stampato in proprio nel luglio 2002 ed offerto in dono in occasione del congedo dalle attività parrocchiali.
"Vegliate... state pronti, perché I Domenica di Avvento - 29 Novembre 1992
...il Figlio dell'uomo verrà". Matteo 24, 37-44
Ogni uomo che vive deve avere una speranza dentro di sé, ogni uomo deve avere un sogno nel cuore, per poter camminare ancora. Chi avanza nel buio deve poter sperare nella luce, chi cammina nella notte aspetta con ansia l'alba, chi vaga nel deserto e sente crescere la sete, sogna con tutto sé stesso una polla d'acqua fresca e zampillante per dissetarsi, chi ha fame sogna con tutta la sua vita il cibo.
Chi cammina, per continuare ad andare avanti, ha bisogno di un sogno nel cuore, di un desiderio, di una speranza.
Vedete: i nostri padri hanno colmato per noi desideri importanti: noi non abbiamo più fame di pane (c'è ancora qualcuno che ce l'ha nel mondo, anzi c'è tanta gente: ci ricorderemo di loro in questo tempo di Avvento), noi non sogniamo più il cibo, un vestito nuovo con cui coprirci, una casa in cui abitare: queste cose le abbiamo, quanto basta per una vita più che dignitosa.
Ma rimangono nel nostro cuore i sogni più profondi, le speranze indispensabili per una vita degna di essere vissuta: noi, come il profeta Isaia, sogniamo un mondo in cui sia bandita ogni guerra, in cui non ci sia più l'ingiustizia, la disonestà, la violenza, l'intolleranza dell'uomo verso l'uomo. Queste cose che sciupano la vita le sentiamo ogni giorno intorno a noi, ma ce le portiamo dentro anche noi... Eppure conserviamo nel cuore il sogno di un mondo che sia diverso, il sogno di un mondo in cui, a cominciare da noi, abiti la pace, la tenerezza, la giustizia, la vita condivisa!
Gesù è venuto in mezzo a noi per mettere il sigillo di Dio sui nostri sogni, per dare il fondamento di Dio alle nostre speranze, perché noi possiamo credere che il sogno che ci portiamo dentro - il sogno di un mondo più giusto e più bello - non sia soltanto un'illusione.
Non è un'illusione perché Gesù è venuto a condividere la nostra vita.
Noi ci stiamo preparando al Natale, ci stiamo preparando ad accogliere Gesù, che viene a nascere su questa nostra terra, a camminare con noi nella polvere del nostro mondo, a condividere le nostre speranze di un futuro più giusto: all'orizzonte del nostro cammino non c'è il buio, ma la luce di Gesù: verso di Lui andiamo!
E allora ci ritroveremo qui, in queste domeniche di Avvento a pregare, a bussare, a insistere, non per cambiare Dio, ma per cambiare noi stessi: per accrescere nel nostro cuore il coraggio della speranza, per conservare nel cuore il sogno, il desiderio... Il desiderio di guardare verso Gesù, di aspettarlo, il sogno di un mondo che sia a misura di Lui!
Ecco all'orizzonte della nostra storia comincia a spuntare la luce, con coraggio, allora, ascoltiamo l'invito dell'Apostolo: scuotiamoci dal sonno, guardiamo lontano: è Gesù che ci viene incontro, è Lui che viene a portarci la conferma di Dio per i nostri sogni, a portarci la certezza che sperare in un mondo di giustizia, che sperare nella pace, che sperare nel bene, è possibile, perché Gesù viene, perché Dio si è impegnato sulla nostra strada.
Gesù ci viene incontro e verso di lui camminiamo, nella speranza.
"Il lupo dimorerà insieme con l'agnello" II Domenica d'Avvento - 10 dicembre 1995
"Razza di vipere, chi vi ha suggerito di Isaia 11, 1-10 - Matteo 3, 1-12
sottrarvi all'ira imminente?"
Un gruppo di genitori dei bambini che si preparano per la prima Comunione, si ritrovano insieme: hanno il compito di preparare qualche parola da dire, per aiutare i ragazzi - ed anche gli adulti - a pregare in questa seconda domenica d'Avvento. E prendono in mano le due letture che oggi abbiamo ascoltato: il sogno luminoso di Isaia e le severe parole di Giovanni il Battista. Scelgono le parole di Giovanni! E i commenti di queste mamme e di questi papà sono tutti improntati alla severità, ai rimproveri di Giovanni. Perché? La catechista mi diceva: "Non si preoccupi, don Checco, sono ancora alle prime armi: poi, pian piano, un po' di strada la faranno".
Perché, secondo voi, è più facile ascoltare le parole di Giovanni, ritrovarsi nelle sue minacce, nel suo grido, nei suoi rimproveri, che nelle parole luminose di Isaia? Ma, in fondo, la risposta non è troppo complicata.
Noi siamo abituati a sentire prediche che rimproverano, che minacciano, che annunziano il castigo: noi siamo abituati a fare la morale! Forse anche i papà e le mamme si comportano così coi loro figlioli: per loro è più facile rimproverare, promettere magari un castigo...
Siamo abituati a delle prediche così: il compito del predicatore non è quello di alzar la voce, di rimproverare? Forse era così anche al tempo di Giovanni il Battista: i Farisei e i Sadducei ascoltano le sue minacce e forse si son fatti battezzare lo stesso, dopo la predica...! Ognuno ha il suo compito, il suo ruolo: tutto rischia di diventare rituale e scontato, anche per noi, poi, magari, quando usciamo di chiesa, facciamo come se niente fosse...
E poi non è forse vero che è più facile fare la morale, è più facile lamentarsi, è più facile brontolare, che cantare e sognare? Il canto del poeta, il sogno luminoso del profeta ci sono meno familiari dei lamenti, dei rimproveri, delle minacce. Non è vero che, a volte, crediamo di aiutare i ragazzi a crescere, con le "prediche", i rimproveri, i castighi, perché siamo incapaci di metter dei valori, degli ideali nel loro cuore, di accendere una luce dentro di loro, di comunicare passione per la vita e il bene?
Isaia sogna un mondo in cui la giustizia sia giusta, in cui i piccoli siano difesi, sogna che la saggezza riempia la terra, come le acque riempiono il mare. Isaia sogna un mondo in cui il lupo dimori con l’agnello, la mucca e l'orsa pascolino insieme, nutrendosi entrambi di erba. Isaia sogna un mondo in cui bambini possano giocare sulla buca dei serpenti velenosi! Il sogno di un mondo giusto e pacificato!
Non lo dimenticate! Tutti coloro che hanno incontrato Gesù, lo hanno riconosciuto nelle parole luminose di Isaia e non nei rimproveri di Giovanni. Hanno sentito che Lui veniva a condividere i sogni più profondi degli uomini, il canto dei poeti, che veniva ad accendere un fuoco nel nostro cuore, a portare un tesoro dentro di noi.
Per questo noi abbiamo messo lì quel vecchio tronco: aspettiamo anche noi che spunti un germoglio nuovo, che Gesù nasca e rinnovi il nostro vecchio cuore, che ci porti ancora il Suo sogno, la Sua luce, la Sua passione per la vita, che faccia capaci, anche noi, di avere un tesoro nel cuore! Ci faccia capaci di consegnare un sogno ai bambini che crescono in mezzo a noi, il Suo sogno di un mondo più bello e più pacifico!
Dite stasera una preghiera per questi genitori - e per tutti noi - perché sappiano non soltanto brontolare, fare la morale ai ragazzi, ma sappiano consegnar loro un tesoro, tener vivo il sogno nel loro cuore: certo c’è bisogno di gesti concreti perché non siano solo parole, perché non resti una vuota utopia... e non è facile!
Per questo è venuto Gesù! Per questo Lo aspettiamo!
"Eccomi, sono la serva del Signore, Immacolata Concezione di Maria - 8 dicembre 1992
avvenga di me quello che hai detto" Luca 1, 26-38
Mi capitava in questi giorni, anche con qualche persona, di riflettere sulla preghiera: sulla mia preghiera e, penso, anche sulla preghiera di molti di noi. Vedete, la nostra preghiera spesso è una preghiera interessata: noi abbiamo tanti bisogni e nel nostro incontro con Dio, chiediamo a Lui le cose che ci servono, le cose di cui abbiamo bisogno. Mettiamo davanti al Signore i guai più o meno grossi della nostra vita, perché Lui venga a porci rimedio, venga a darci una mano, venga a consolarci.
E spesse volte, almeno nella mia esperienza, questa preghiera non è rivolta a Dio, direttamente, ma passa attraverso Maria. Ricordo che, quando ero ragazzo, mi dicevano di pregare la madonna con fiducia, perché lei è la Mamma e non dice mai di no. A volte ho provato - almeno se rivado indietro a tanto tempo fà, quando ero bambino - un po' di paura nei confronti di Dio, avevo maggiore fiducia nella Madonna! Mi raccontavano tante storie di guarigioni e di miracoli, ottenuti per sua intercessione, mi dicevano che se volevo una grazia dovevo fare una novena o andare in pellegrinaggio a qualche santuario...
E mi sorprendeva (è per questo vi faccio questo discorso stasera che è la festa di Maria) nel rileggere ancora una volta questa pagina di Vangelo, costatare come Maria sia invece un modello di totale gratuità! Lei, quando incontra Dio, non chiede nulla: sa soltanto sgranare gli occhi e dire: "Eccomi, sono pronta! Si faccia di me secondo la tua volontà!" Non una parola sui suoi problemi, sulle sue difficoltà: "Devo diventare madre, madre del Figlio di Dio! Cosa mi succederà? Dammi una mano; fa che gli altri non parlino troppo male di me!" Niente di tutto questo. Di tutto il discorso dell'Angelo sembra capire solo che c'è Elisabetta, la sua parente che aspetta un figlio: é anziana e quindi può aver bisogno di lei, allora si alza e parte.
Maria rimane il modello dell'incontro con Dio, nella gratuità, nella lode, nello stupore, nella contemplazione! Soltanto la meraviglia, la capacità di accogliere, il dire: "sono pronta!", l'alzarsi e il mettersi in cammino.
Forse tutti noi dovremmo imparare da Lei. Tutti noi, io per primo, continueremo a pregare per ottenere una grazia, continueremo a chiedere, a esporre a Dio i nostri bisogni. Ma forse Maria può prenderci per mano e condurci sempre più sulla strada della gratuità, sulla strada del dono di noi stessi, sulla strada dell'amore disinteressato, sulla strada dell'accoglienza!
Vedete, il Natale che viene ci porta il dono che è Gesù, ma ci chiede anche i nostri doni: l'impegno ad accogliere il Signore, l'impegno di moltiplicare i nostri gesti di amore, l'impegno di saper donare, di metterci al servizio gli uni degli altri. Come ha fatto Maria! Sia Lei il modello della nostra fede, il modello della nostra accoglienza: ci insegni a non chiedere per noi stessi, ma ad aprirci alla gratuità e all'amore!
Lei ci aiuti!
Dite agli smarriti di cuore: "Coraggio! Non III Domenica d'Avvento - 17 dicembre 1995
temete. Ecco, il vostro Dio viene a salvarvi". Isaia 35, 1-10 - Matteo 11, 2-11
"Andate e riferite a Giovanni ciò che avete
visto e udito".
Un po' per non saper cosa dirvi stasera, un po' perché sono giunto a quell'età della vita in cui si comincia a guardarsi indietro, mi veniva - preparando queste parole - di ripensare il mio rapporto con questa pagina del Vangelo. Sono riandato a quando ero bambino e mi colpiva l'immagine di Giovanni il Battista: avevo negli occhi la sua figura, come si vede in tanti degli straordinari quadri della nostra arte, di un profeta alto, magro, tutto coperto da una specie di folta pelliccia. Mi colpivano le sue parole severe, l’idea che fosse un uomo vero, non "una canna sbattuta dal vento". Non avevo difficoltà a pensare che Giovanni fosse molto inferiore a Gesù, perché Gesù - l’abbiamo letto stasera - fa tanti miracoli : fa risuscitare i morti, guarisce i sordi, risana i lebbrosi, etc.
Poi, andando avanti con gli anni, quando più di un dubbio si faceva strada nel mio cuore, mi colpiva questa pagina del Vangelo: perché qui c'è "il dubbio" di Giovanni. Manda da Gesù i suoi discepoli a domandargli:" Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro"? Mi sentivo vicino - nel mio crescere, nell'età dell'adolescenza - il dubbio di Giovanni.
Le persone autorevoli che ho incontrato, anche qualcuno dei miei preti, mi dicevano: "Guai, avere dubbi! Il credente è uno che non ha mai dubbi: li scaccia, come pensieri cattivi! Guarda tutti i miracoli che fa Gesù!". Ma non mi convincevano del tutto. Trovavo strano che, proprio quando si parla del dubbio di Giovanni, c’è l'elogio più straordinario di Gesù: "Giovanni è il più grande fra i nati di donna!". Io non ero certamente "il più grande fra i nati di donna"... Ero soltanto un ragazzo che cercava di crescere: "ma, se aveva i dubbi lui - pensavo - perché non potevo averli anche io? perché non si dava una risposta ai dubbi che mi portavo dentro?" Gesù, in fondo, tenta di rispondere a Giovanni... mi dicevano: "Sì, tenta di rispondere: ma risponde coi miracoli: e tu devi credere ai miracoli di Gesù!"... Ma io miracoli non riuscivo a vederne mai.
Poi, sono cresciuto ancora un po' e mi sono accorto che senza il dubbio non c'è fede autentica: che la fede, in fondo, è un continuo passare dal dubbio alla fiducia. Mi sono accorto che molti dei dubbi che avevo, me li facevano venire proprio quelli che mi dicevano che non dovevo aver dubbi... Perché spesso ho incontrato, nella vita della Chiesa, persone che dicevano parole grandi, altisonanti, cui non corrispondeva passione per la verità, ricerca delle cose giuste: cui non corrispondevano spesso comportamenti autentici: non mi aspettavo che fossero dei santi, ma che prendessero almeno un po’ sul serio le parole di Gesù!
Poi, soprattutto, ho scoperto che nel Vangelo i "miracoli" li fanno tutti! Ho capito allora che il miracolo non era un prodigio fatto per cacciare via i dubbi, ma qualche cosa di più semplice, qualche cosa che dovevo trovare intorno a me. Allora ho cominciato anch’io a vedere "i ciechi aprire gli occhi, gli zoppi camminare". Ho cominciato a capire Gesù!
Perché, vedete, io intorno a me ho trovato tante persone, che mi hanno aiutato a vedere. Non posso dirvene i nomi, perché la lista sarebbe lunga e qualcuno è anche qui in mezzo a voi: magari si meraviglierebbe di sentirsi citato dall'altare. Ma tanta gente - bambini, giovani, adulti, persone con i capelli bianchi - tanta gente mi ha aperto gli occhi, mi ha fatto vedere in Gesù e luce e liberazione e vita!
Perché tutte le volte che mi sembrava di non poter più camminare, che avevo voglia di fermarmi, ho trovato qualcuno che mi ha messo una mano sulla spalla, che mi ha rimesso in cammino, dandomi fiducia e speranza.
E quanti gesti ho visto intorno a me: di tenerezza, di pazienza, di attenzione, di dolcezza! verso di me, ma anche verso gli altri. Quando mi guardo intorno, anche qui (la vita di più d'uno di voi la conosco un po'), quando vedo tutti i gesti d'amore, di tenerezza, di rispetto, di accoglienza, ah! allora qualche dubbio se ne va! Posso dirvelo con tutta franchezza: se sono ancora qui, se ancora conservo la fede nel cuore, è perché, in questi lunghi anni, tanta gente mi ha fatto vedere e toccare con mano un riflesso della tenerezza e della bontà di Dio e di Gesù! Tanta gente concreta, tanta gente come voi...
Anch'io come Giovanni ho visto, anch'io non mi sono scandalizzato, anch'io ho continuato a credere! Non c'era soltanto il male intorno a me: non c'era soltanto la violenza, non c'era soltanto la cecità, non c'era soltanto l'ingiustizia! C'era, intorno a me, tanta gente che faceva il bene, tanta gente che amava la giustizia, tanta gente che mi ha fatto vedere non i "prodigi", ma i gesti concreti della tenerezza, della bontà, della speranza, della vita!
Tanta gente mi ha aperto gli occhi, mi ha aiutato a camminare, ha curato le mie ferite! E questi sono segni di Dio! Questi sono i segni che mi permettono di credere. E quello che è successo a me, forse è successo a molti di voi.
E allora non ci resta che ringraziare di tutto cuore il Signore: cantare anche noi, come Isaia, la gioia del Signore che fa saltare gli zoppi, che apre gli occhi ai ciechi! E ancora aspettare Gesù: perché, al di là dei nostri dubbi, porti nella nostra vita il coraggio di fare ancora di questi gesti, il coraggio di rendere ancora presente nel mondo un po' del Suo amore!
Il Signore ci aiuti a farlo!
"Giuseppe... prese con sé la sua sposa". IV Domenica d'Avvento - 20 Dicembre 1992
Matteo 1, 18 - 24
Eccoci ormai alle soglie del Natale: ci ritroveremo qui giovedì sera e sarà già Natale!
Ci siamo preparati, abbiamo fatto il nostro cammino d'Avvento, abbiamo ascoltato la voce potente e ruvida del profeta - ricordate? - era Giovanni il Battista che ci invitava a scuoterci, a convertirci, a fare un passo, la sua voce forte ci invitava a preparare la strada al Signore che viene.
Oggi, ormai vicini al Natale, le parole si spengono, è Giuseppe il grande silenzioso che ci viene incontro. Nel Vangelo, Giuseppe non dice nemmeno una parola: è un uomo che sa accogliere l'intervento di Dio, straordinario e inaspettato nella sua vita, che sa aprirsi alla novità, che sa fare spazio nella sua vita all'inatteso e al futuro. Sa accogliere questo figlio che nasce, questo figlio che - come ogni figlio del mondo - non è suo, sa accogliere la sua sposa che - come ogni sposa del mondo - cambia e non può mai essere proprio come noi la vorremmo, ma deve essere accolta nella sua diversità e novità, con meraviglia e stupore!
Vedete, a volte la vita è sorprendente: mi è capitato in questa settimana - mentre pensavo a questa pagina di Vangelo - di riflettere, quasi in ogni gruppo in cui ci riuniamo per leggere il Vangelo, sulla difficoltà che abbiamo spesso, noi uomini, di accogliere le cose inaspettate, di aprirci alla novità. Per vivere abbiamo tutti bisogno di certezze, di regole, di tranquillità e di sicurezza, ma a volte tutto questo diventa quasi una gabbia con cui ci difendiamo dalla vita. Un figlio che cresce, una persona che incontriamo: tutto rischia di metterci ansia nel cuore e spesso siamo incapaci di accoglienza e stupore.
Rischiamo di trasformare tutto in rito, in abitudini, in tradizioni: guardate l'Eucarestia - questo dono così nuovo e sconvolgente che Gesù ha posto nel cuore della nostra fede - noi l'abbiamo ricoperto di orpelli, di paramenti, di riti, di tradizioni, di parole: è il nostro modo di difenderci da Dio, dalla Sua novità, dalla Sua chiamata nella vita di ogni giorno!
Anche il Natale rischia di essere per noi solo una tradizione: le solite cose, i soliti riti, i soliti regali, i soliti pranzi, i soliti buoni sentimenti... E magari ci dimentichiamo che Natale è Lui, Gesù, che ci chiede di essere accolto nella nostra vita. Dio viene a condividere i nostri passi e ci chiede di accoglierlo, non solo in astratto, nei buoni sentimenti di questi giorni, ma concretamente in chi ci sta accanto ogni giorno, nelle persone che attraversano, a volte inaspettate, la nostra vita. Ci chiede di accoglierLo in un figlio che cambia o magari combina qualche guaio, in un anziano, che non ce la fa più e ha bisogno della nostra tenerezza o addirittura in qualche malanno che ci capita. Gesù chiede la nostra capacità di continuare a voler bene, la nostra capacità di continuare a dare una mano, anche quando le ginocchia si fanno fiacche, anche quando il cuore comincia a inaridirsi, anche quando il mondo che ci ruota intorno è così pieno di ingiustizie, di cose che ci fanno paura e ci mettono l'ansia nel cuore. Lo Spirito ci aiuti ad essere, almeno un po' come Giuseppe che, anche quando i suoi piani vanno all'aria, quando la sua vita è sconvolta, sa fare spazio a Gesù, sa accogliere Maria, la sua sposa, sa donare sè stesso, sa offrire la sua opera, sa farsi custode di Gesù, senza tante domande.
Il Signore ci aiuti perché il Natale che viene, non sia soltanto un rito o una tradizione, ma sia per tutti noi la gioia, la festa, la meraviglia, lo stupore, la capacità di accogliere Dio, la Sua novità nel nostro cuore, la capacità di fare spazio a Gesù, di farlo crescere nella nostra vita, di saperne riconoscere il volto in chi ci passa accanto ogni giorno!
"Oggi vi è nato un Salvatore... NATALE DEL SIGNORE - 25 Dicembre 1992
troverete un bambino avvolto in fasce..." Luca 2, 1-14
I nostri ragazzi hanno consegnato al nostro Natale un segno severo, ruvido: il presepio è vuoto. "Gesù non nasce qui - ci dicono - nasce fuori". E là fuori è allestita una baracca, come una delle innumerevoli baracche che popolano la nostra terra. Là nasce Gesù: fuori del tempio, fuori da uno spazio "sacro", all'aria aperta, al freddo, accanto alla gente più povera, alla gente in difficoltà, ai tanti uomini che tribolano sulla faccia della terra...
Non è - se ci pensate bene - soltanto una provocazione dei nostri ragazzi: è il cuore stesso della nostra fede! Vedete, l'uomo da sempre, da quando esiste sulla terra, ha cercato Dio nell'alto dei cieli, guardando la notte stellata o lo splendore del sole, ha cercato Dio sulla cima dei monti, tentando di avvicinarsi al cielo. Ha costruito, per incontrare Dio, tanti spazi sacri, recinti chiusi, separati dalla vita e dal mondo, per cercare là il Potente, Colui che può risolvere i problemi dell'uomo, venire incontro alla sua debolezza.
Ma Dio quando è venuto in mezzo a noi, non è salito in cima ai monti, non è andato in un tempio o in uno spazio "sacro", ma nel cuore della nostra vita di tutti giorni, dove l'uomo lavora, si affatica, tribola, gioisce, dove cerca di costruire il mondo.
Gesù è Dio che si è fatto uomo nel cuore della nostra esistenza, nel cuore dei nostri problemi di tutti i giorni, nel cuore della nostra vita: dove c'è gente che soffre, dove c'è gente che ha fame, dove c'è gente che lotta per la giustizia, dove c'è gente che cerca la verità.
Nel cuore della nostra esistenza di tutti i giorni, là, soltanto là, possiamo incontrare Dio. Il nostro ritrovarci qui in uno spazio "sacro", non può essere un isolarci dal mondo, un rifugiarci nelle belle parole o nei buoni sentimenti o nei segni, magari forti, come quello che i ragazzi ci hanno proposto: è solo un momento di riflessione, di contemplazione, di ringraziamento, di preghiera, un momento che ci porti poi ad incontrare Gesù nel volto dei nostri fratelli, nel volto di chi tribola, di chi è in difficoltà, nel volto di chi ci tende la mano, di chi ha bisogno - da parte nostra - di un sorriso, del nostro impegno, della nostra tenerezza, del nostro servizio, della nostra accoglienza.
Gesù nasce nel cuore della vita dell'uomo! Io spero che i ragazzi che hanno proposto a tutti noi questo segno, per primi loro, lo conservino nel cuore. Non si può giocare con Dio: non può essere questo soltanto un segno, quasi una provocazione, sbattuta in faccia a chi ha i capelli bianchi. O lo sentite nel profondo del vostro cuore, o mentite a voi stessi e a Dio! Deve essere un segno forte, prima di tutto per voi, che avete la vita davanti. Un segno che vi ricordi sempre l'impegno per la giustizia, per un mondo giusto e onesto, il coraggio della speranza: e ne avete bisogno! Ci annunciano tempi difficili, tempi di crisi per questo nostro paese: la crisi economica che moltiplica le povertà, la disillusione verso la vita politica e sociale, e il riaffacciarsi all'orizzonte dell'uomo di antiche violenze, di vecchi spettri, di terribili intolleranze.
Gesù è venuto nel cuore di questi problemi e là ci chiama tutti, ma soprattutto voi che siete più giovani! Voi che ci avete proposto questo segno, portatevelo nel cuore: è il vostro segno il segno di un Dio che ci chiama fuori, in mezzo alla gente, dove c'è qualcuno in difficoltà, dove c'è bisogno di speranza e di coraggio, dove gli uomini hanno bisogno di vita e di amore, dove c'è bisogno di tenerezza e di attenzione, dove c'è bisogno di un impegno serio per la giustizia e la verità, dove c'è un grande bisogno che, chi è più giovane, non lasci mai cadere dal cuore il sogno di un mondo più bello e più giusto.
Il mondo ha bisogno di voi! Dio ha bisogno di voi: Lui non viene a risolvere i nostri problemi con la bacchetta magica! Il Dio che conosciamo, non è un Dio lontano, onnipotente, nell'alto dei cieli, il Dio che possiamo cercare soltanto nei momenti di bisogno. Non invocatelo... Lui invoca noi! Lui chiama ciascuno di noi in mezzo alla gente: là dove è difficile vivere, nella nostra fatica di essere uomini là possiamo incontrare Dio, là dove è difficile amare, là Dio ci attende: attende il nostro coraggio, la nostra speranza!
Per questo Gesù è venuto a condividere la nostra vita. Non dimentichiamolo mai: ha vissuto per 30 anni nel silenzio di un piccolo e sperduto paese, le mani dure e callose del falegname, senza dire una parola, senza fare un segno straordinario: soltanto il lavoro e la fatica di ogni giorno, per testimoniare la vicinanza di Dio, nel cuore della nostra esistenza, della nostra vita.
Lui rimanga con noi per sempre e ci porti la Sua luce, la Sua speranza, il Suo coraggio, La Sua capacità di amare fino in fondo, la Sua vita!
"...vi annuncio una grande gioia: oggi vi è nato un Salvatore! NATALE - 1998
Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, Luca 2, 1-14
che giace in una mangiatoia".
Anche qualcuno tra voi, entrando in chiesa stasera, vedendo questo grande cartello: "VIENI SUPERGESÙ", avrà detto, come un amico la prima domenica di Avvento: "Mi sa che me manca qualche pezzo; me devo esser perso qualche puntata...". Non vi preoccupate, non vi siete persa nessuna puntata: è la provocazione dei nostri bambini. Vi augurano di tutto cuore di vincere i miliardi del superenalotto, anche se sarà difficile che vinciate tutti. Ma ci chiedono, chiedono a noi adulti, le cose che non sono il frutto di un colpo di fortuna, i valori che fanno grande e bella la vita!
Vedete che cascata di stelle: su ogni stella c'è uno dei loro sogni. Sognano un mondo in cui ci sia pace, amicizia, tenerezza, giustizia, accoglienza! Sono i valori che non dipendono da un colpo di fortuna, ma dalla passione della vita; e ci chiedono - a tutti - di mettercene un pizzico, perché possano credere nella vita, perché per i loro sogni sia Natale!
Permettete anche a me, allora, stasera, di fare una provocazione: ma forse si tratta della provocazione della pagina del Vangelo che abbiamo letto. Venite con me, in quella notte: anche noi, ritroviamoci con i pastori, intorno al fuoco; e arriva l'angelo a dirci: "Vi annuncio una grande gioia: è nato il Salvatore! Dio si è fatto uomo! Arriva la salvezza! Andate a vedere!". Certo, corriamo tutti. Arriviamo là: una capanna, una mangiatoia... ma dove sono Maria e Giuseppe? Eccoli là in un angolo. Cosa fanno? Stanno cambiando il pannolino del bambino...
C'è qualcuno di voi che può dare una mano? Si tratta di cambiare il pannolino a Gesù! Ci guardiamo negli occhi: "Come, cambiare il pannolino?! Siamo venuti a cercare la salvezza, a vedere Dio che nasce per noi!". Sì, fratelli: Dio che nasce per noi ha bisogno che gli cambiate il pannolino... Siete capaci? La maggior parte di voi, sì, lo avete fatto tante volte.
Ecco la provocazione, di cui forse più d'uno di noi, stanotte, ha bisogno. A volte ci aspettiamo un Dio forte, potente: non ci hanno detto tante volte che sappiamo che Gesù è Dio perché fa miracoli? Non ci hanno parlato tante volte di persone straordinarie, che diventano "Santi" proprio perché fanno "miracoli"? Guardate Dio: ha bisogno che gli cambiate il pannolino! Si è sporcato!
E c'è qualcuno di voi, ancora, che quando pensa a Dio, pensa al Giudice duro ed esigente; ancora parte di noi si portano nel cuore sensi di colpa: la sensazione di non essere adeguati, di non essere capaci, di non poter essere cristiani... Il dio che guarda con occhio severo, che scruta anche nel profondo del cuore, duro ed esigente, che carica il nostro cuore di sensi di colpa!
Guardate, accettate la provocazione di quella capanna: il Dio che nasce, l'unico Dio in cui noi crediamo, ha bisogno che gli cambiate il pannolino! Soltanto questo! Si è fatto uno di noi per condividere la nostra vita, per camminare con noi per le strade del mondo. E nasce come nasce un bambino. Se vogliamo accogliere Dio, abbiamo bisogno dello stupore dei bambini! dobbiamo saper apprezzare il fiore che sboccia, il sorriso di un bimbo appena nato! Guardatene tutta la tenerezza e sentitevi amati da Dio! tutti!
Dio ci ama tutti, come siamo! anche se non siamo eroi, anche se non siamo capaci di compiere imprese grandi e belle. Ci ama nelle piccole cose di ogni giorno e quello che ci chiede, non è di cambiare il mondo, di trasformarlo da un momento all'altro; quello che ci chiede è di cambiargli il pannolino! Un sorriso, la capacità di donare ed accogliere un sorriso, di condividere la vita; la tenerezza, lo stupore, la meraviglia; il saper prendere fra le mani un bambino, l'amore per la vita!
Questo è l'unico Dio che conosciamo. Allontanate il bisogno di un Dio grande e potente, che risolva i problemi del nostro mondo! Allontanate l'idea di un Dio che ci giudica con severità e che ci chiede conto di qualunque cosa facciamo! Guardate: vi tende le mani, vi chiede che gli cambiate il pannolino, vi offre un sorriso! È la vita condivisa con noi! Per questo è venuto Gesù: per amarci così come siamo, per camminare con noi! Lo Spirito santo ci dia la meraviglia dei nostri bambini, la capacità di stupirci ancora, la voglia di camminare, la passione per la vita!
Giuseppe prese con sé il bambino e sua madre... Santa Famiglia - 30 dicembre 2001
e si ritirò nelle regioni della Galilea, a Nazareth. Matteo 2, 13-15; 19-23
In questi giorni rischiate di fare indigestione di prediche: più pericolosa di quella da dolci, da cui penso vi guardiate, ed allora qualche cosa di semplice e leggero. Vi giro qualche domanda che ci facevamo l'altro giorno, passeggiando con un gruppetto di amici sui sentieri dell'Argentario: un posto splendido che spero più d'uno di voi conosca.
Secondo voi: "Se Maria e Giuseppe avessero avuto il bambino qui, nelle nostre case, avrebbero avuto diritto al "sussidio"? Qualcuno di noi sosteneva che non avevano diritto perché, in fondo, Gesù è nato fuori della famiglia. Qualcuno diceva che, però, l'aveva legittimato Giuseppe e quindi, forse, poteva avere diritto. Certamente, se invece che in Egitto fossero venuti qui esuli e stranieri, non avrebbero avuto alcun diritto. E la conclusione era unanime: "Ma quando la finiamo, noi cattolici, di ragionare per principi astratti, per concetti che non rispondono alla vita concreta delle persone"
Quando ero un giovane prete, bisognava scrivere sul registro se un figlio era legittimo o illegittimo. Ma non sono tutti figli? Non sono tutti bambini? Sembra un tempo lontano, ma si ripropongono distinzioni: quale famiglia è pienamente legittima, quale risponde pienamente alla "natura" della famiglia? Certamente, se i due sono regolarmente sposati in chiesa, anche se tra di loro magari manca il rispetto e c'è violenza. Ma se sono sposati solo in comune si può ancora parlare di famiglia? Un tempo erano definiti "pubblici concubini"! E se poi sono solo una coppia di fatto? Non parliamo poi se - orribile a dirsi - si tratta di una coppia formata da due maschi o da due femmine, che vogliono condividere la vita ed essere responsabili l'uno dell'altro. Questo sarebbe del tutto contro natura… e torna la domanda: "Ma quando la finiamo? Ma quando cominceremo a guardare negli occhi la gente?" Non abbiamo imparato niente dalla storia! Un tempo si diceva che la natura dei neri era quella di essere schiavi, perché non erano della stessa natura dei bianchi. Si parlava della superiorità dei maschi sulle femmine, per cui bisognerà forse aspettare ancora un migliaio di anni per vedere una donna celebrare la Messa. Qualcuno di voi ha tribolato nella propria vita matrimoniale, perché c'erano dei metodi "naturali" e dei metodi "non naturali": e di queste cose c'è gente che non ride, che le piglia ancora sul serio. Siamo all'inizio del terzo millennio, quando la finiamo?
Noi siamo discepoli di un Maestro che ha detto che "non è l'uomo fatto per il sabato, ma il sabato fatto per l'uomo". Le regole, le teorie, le astrazioni o sono al servizio dell'uomo, della gente o non servono; e al servizio della gente concreta, soprattutto della gente più povera. Perché dobbiamo dare spettacolo davanti al mondo Perché noi cattolici continuiamo a chiederci - anche quando si deve dare un sussidio a un bambino in difficoltà - se è figlio di una coppia regolare, naturale o non naturale? È figlio e basta! Ha bisogno e basta! Quando la finiamo? E non ci consoli il fatto che nel mondo c'è di peggio: c'è una mamma che rischia di essere lapidata perché ha avuto il figlio fuori del matrimonio.
Non sarebbe ora di cambiare? Sono domande che rivolgo anche a voi. Noi ce la facevamo di fronte a un mare splendido, in una giornata straordinaria, forse anche questo aiuta qualche volta a pensare e a dirci : "Sarebbe ora che cominciassimo a guardare le persone negli occhi, a tentare di portare intorno a noi un po' di saggezza, un po' di tenerezza, un po' d'amore per la vita e per la gente, senza porci problemi di ideologie, di principi astratti, di regole. La gente concreta… gli occhi di chi ha bisogno, gli occhi di un bambino, i bisogni di un bambino: e questo basta!
Bastava per Gesù, perché non basta per noi?
Il Signore ci aiuti.
Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo EPIFANIA DEL SIGNORE - 6 gennaio 2002
sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò Matteo 2, 1-12
sopra il luogo dove si trovava il bambino.
Noi siamo tutti abituati ai racconti di Natale, li abbiamo ascoltati più volte, li abbiamo anche visti rappresentati nei piccoli presepi che ci sono ancora in molte case. Quando però qualcuno comincia seriamente a leggere il Vangelo, rimane colpito dal fatto che i racconti dei due evangelisti Luca e Matteo - gli unici che parlano della nascita e dell'infanzia di Gesù - sono profondamente diversi. Sembra che raccontino due storie, l'una lontana dall'altra. In una si parla della grotta di Betlemme, dei pastori, degli angeli che cantano il "Gloria", là non c'è nessuna stella, non c'è Erode, non ci sono i Magi. In quello che abbiamo ascoltato oggi - il racconto di Matteo - ci sono i Magi, c'è Erode, ci sono i sapienti e la gente… Perché due racconti così diversi? Vedete, coloro che hanno scritto il Vangelo hanno poco interesse a raccontarci dei fatti; il loro interesse è darci il senso degli avvenimenti. Cosa significa quello che è accaduto per la loro - e quindi per la nostra - esperienza di credenti? Succede in tutti i racconti dei vangeli, ma soprattutto in questi due primi capitoli, sia del vangelo di Luca, sia del vangelo di Matteo, che sono stati scritti alla fine e in cui si vuole fare un po' il riassunto e si vuole dare il senso, il significato profondo di quello che, non soltanto la nascita, ma tutta la storia di Gesù, significa nella vita del credente. Non chiedetevi dunque: "Chi saranno stati mai i Magi, questi strani personaggi che sembrano venire da lontano?" I Magi siamo noi! Sono io, siete voi! Così come erano "Magi" i cristiani del tempo di Matteo.
Loro, quando scrivevano queste cose, erano ben convinti che essere dei credenti, significa essere come i "Magi", persone che vanno cercando la Luce, che seguono una stella, che inseguono dei sogni, dei valori, degli ideali e camminano senza stancarsi. Io, voi, tutti i credenti della terra, se vogliamo essere dei veri credenti, dobbiamo essere dei cercatori di Luce, degli inseguitori di ideali, di valori, dobbiamo tentare di camminare cercando, senza stancarci, nonostante le difficoltà, le cose esenziali della vita.
E avete ascoltato come Matteo ci ricorda - sono le stesse per la sua gente e per noi - le difficoltà che ci sono in questo cammino. Ne ha individuate tre: Erode, la violenza, il potere, i sotterfugi, le cose fatte di nascosto. Le ritroviamo anche noi, le ritrova ogni giusto in ogni angolo della terra.
L'altro ostacolo che incontrano nel cammino sono i sapienti, i maestri, coloro che sanno tutto: ce ne sono anche oggi, abbondano anche nella santa chiesa di Dio, quelli che hanno sempre una risposta pronta, sembrano sapere tutto di tutto, ma non si muovono, non cercano più.
L'antico profeta diceva: "Alzati Gerusalemme, rivestiti di Luce e cammina". Nessuno si alza, nessuno si muove, non cercano più. Ripetono antiche parole, che non hanno più calore, non hanno più la passione per la vita: ne incontriamo tanti. Troppo spesso ci capita di ascoltare, anche in televisione o alla radio, discorsi religiosi che ci ripropongono antiche parole, ma in cui manca la tensione verso la Luce, la voglia di cercare ancora.
C'è un terzo ostacolo grosso, per loro come per noi: la "folla". Si agita, fa rumore, brontola, protesta, ma anche lì nessuno cammina. È difficile continuare a camminare, a cercare, ad inseguire la Luce quando ti trovi davanti la forza del potere, del denaro; quando non c'è passione per la Luce, quando non c'è ricerca della giustizia, quando hai a che fare con quelli che sanno tutto e quando sei circondato da gente che sa solo brontolare, ma che se cerchi di muoverti e di fare qualcosa ti dice: "Ma chi te lo fa fare? Inseguire i sogni, cercare le stelle, queste non son cose per la gente seria: la gente seria si occupa di altre cose".
Ma - se ho letto bene questa pagina ed ho capito qualcosa - non sono nemmeno questi i più grandi ostacoli che i Magi incontrano sul loro cammino: ce ne sono altri due che trovano dentro di sé - non so se anche a voi è capitato di provarli -: a volte la Luce sembra sparire, cammini e ti sembra di trovarti nel buio, ti sembra di non capire più dove vai, che cosa cerchi, che cosa vuoi: il buio… la stella non c'è più, è scomparsa. Scomparsa forse perché ti sei scontrato con le difficoltà del vivere.
Ma c'è ancora un'altra difficoltà e forse la più grossa: "Hanno visto là nell'Oriente - dice Matteo - il segno del Re dei Giudei, il segno del Salvatore". Arrivano e trovano un Bambino. " UN BAMBINO!" Noi siamo venuti a cercare un re… un Bambino! Il credente si ferma davanti a quel Bambino e scopre lì il segno di Dio. È forse l'ostacolo più grande nel nostro cammino di credenti perché noi vorremmo, qualche volta, incontrare il Dio potente, il Dio che fa prodigi, il Dio che ci libera dalla violenza, dal male di questo mondo, che spazza via tutti quelli che parlano, parlano e non cercano nulla.
Ecco cosa ci comunica Matteo in questa pagina: non cercate nel cielo una stella; non ci sono stelle che si fermano, appaiono, scompaiono. Non chiedetevi chi sono i Magi: noi siamo i Magi! Io, voi! E se in quest'anno che ci sta davanti vogliamo continuare ad essere dei veri credenti, dobbiamo ancora tentare di camminare inseguendo la Luce, cercando Gesù, i suoi sogni, i suoi valori. Ecco, è il ricordo che vorrei rimanesse nel mio cuore e che mi auguro rimanga nel vostro cuore di queste feste: il ricordo dei Magi che inseguono la Luce, della "grandissima gioia" che provano nel rivedere la stella, la voglia di continuare a cercare Gesù senza stancarsi: non è semplice, lo so.
Il Signore ci aiuti.
Giovanni disse: "Io ho bisogno di essere BATTESIMO DEL SIGNORE - 13 gennaio 2002
battezzato da te e tu vieni da me?" Matteo 3, 13-17
Appena battezzato Gesù uscì dall'acqua
Ed una voce dal cielo disse: "Questi è il
Figlio mio prediletto, nel quale mi sono
compiaciuto".
Non credo sia una cosa grave, soltanto un segno del tempo che passa, del fatto che anch'io comincio a diventare vecchio: succede che, pian piano, mi sembra che alcuni pezzi delle tante cose che ho letto, ho studiato, ho conosciuto, si vadano perdendo e invece alcune parole, alcune immagini diventano sempre più forti nella mia esperienza di credente. E a queste immagini ricorro nel momento in cui mi è un po' più difficile credere, capire qualche cosa di quello che mi succede intorno.
Una di queste immagini che rimangono nel mio cuore - forse una delle più forti - è proprio quella che ci propone il Vangelo di oggi.
Vorrei tentare di comunicarvi questa immagine e anche l'importanza che ha nella mia fede, nel mio tentativo di credere. Prima di tutto uno sforzo di fantasia per vedere, anche con i vostri occhi, questa immagine che è importante in tutti i Vangeli. Dunque: andate con gli occhi della fantasia là sulle rive del Giordano dove Giovanni sta compiendo un rito che invita la gente a rinnovarsi, a immergersi nell'acqua quasi per rinascere, per una vita che sia nuova, diversa, più ricca. E immaginate una lunga fila di gente, gente che ha fame e sete di giustizia, gente che non è contenta di quello che è, di come vive, che vorrebbe qualche cosa di meglio. Gente che sente il bisogno dì rinnovarsi, di camminare, di cambiare, di cercare ancora. Guardate intorno! Ci sono là, probabilmente, dei soldati venuti forse a sorvegliare che non ci siano disordini: a quel tempo in Palestina c'era una gran paura di disordini. Ci sono i maestri della Legge, anche loro venuti a guardare con sospetto - come tante volte accade nel Vangelo - e a giudicare. Giovanni sta facendo qualcosa che è contro la tradizione, non sono le solite cerimonie del Tempio, è qualche cosa di nuovo e quindi di sospetto. E là intorno ci sono anche i "giusti" del tempo - ne incontreremo tanti leggendo il Vangelo - quelli che si sentono a posto e sanno solo puntare il dito e giudicare. Guardate, dunque, questa scena: una fila di gente che cammina, silenziosa, magari col capo chino, e intorno quelli che giudicano, quelli che condannano, quelli che sono lì solo per guardare. Ad un certo punto arriva Uno, nessuno lo conosce ancora. Guardate un momento il suo volto, scuro, bruciato dal sole, ha sempre lavorato all'aperto. Guardate le sue mani, mani callose di falegname, ha lavorato per quasi trent'anni aggiustando carri, mettendo a posto qualche ruota, costruendo una sedia, aggiustando un tavolo, riparando un aratro. Guardate i suoi piedi, piedi polverosi: è venuto da lontano, ha lasciato il suo paese, ha camminato a lungo per venire qui. E adesso silenziosamente si mette in fila con questa gente che va verso Giovanni: avete ascoltato le parole che gli Evangelisti gli mettono in bocca: là non c'erano i registratori come succede oggi e quindi tutto è ricostruito. È il tentativo di dare importanza a questa scena: gli Evangelisti fanno dire a Giovanni: "Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?". E Gesù: " Lascia fare per ora", e continua a camminare e si immerge nell'acqua.
In questo episodio i primi cristiani hanno visto la manifestazione di Dio: arriva la voce dall'alto: "Questi è il Figlio mio prediletto". Ecco, là in questo camminare, insieme a questa gente dal cuore pesante, sotto gli occhi di chi guarda solo per giudicare, là si manifesta Dio. Questa immagine di Dio che cammina con l'uomo, con l'uomo dal cuore pesante, con l'uomo che ha fame e sete di giustizia, con l'uomo che cerca, è diventata preziosa nella mia vita: ogni tanto ci debbo ricorrere.
Anche nei giorni passati mi è capitato di leggere qualche libro: la storia, la storia dei cristiani. Qualcuno "in nome di Dio " ha pensato di fare una "crociata". Qualcun altro è andato a conquistare le "Americhe" innalzando il Crocefisso. Qualcun altro ha accumulato denari: si è venduto di tutto nella lunga storia della Chiesa: il papato, le diocesi, le parrocchie, le indulgenze; si vendevano bolle per il perdono dei peccati… di tutto per arricchirsi! In nome di Dio hanno scomunicato, hanno bruciato. In nome di Dio qualcuno ha giudicato e ancora giudica. In nome di Dio qualcuno - anche magari in mezzo a voi - si sente escluso dalla Comunione. In nome di Dio!
Ed io, quando leggo queste cose, mi dico: in fondo è la storia dell'umanità o meglio di una parte di umanità, di quella parte che anch'io mi sento dentro. La voglia che ho anch'io alle volte di giudicare, di condannare, di non condividere, di non fare strada, di tenermi lontano da qualcuno. La storia dell'uomo che - come dice l'antica parola - vuole diventare come Dio, è ergersi su un piedistallo, mettere a proprio servizio e uomini e cose.
Ma Dio sta da un'altra parte! Gesù sta da un'altra parte! Vuole liberarci da questa storia, dalla storia dell'arroganza, dalla storia del potere, dalla storia del dominio sugli altri. Ecco perché è prezioso Gesù che si mette a camminare in questa fila di gente. Io lo sento camminare qui anche in mezzo a noi, perché io di gente, come quella che andava da Giovanni, ne ho conosciuta tanta. Non santi straordinari, non gente che fa prodigi, non gente che ha visioni, ma gente che cammina per il mondo tentando di capire, che si porta nel cuore la fame e la sete di giustizia, gente che cerca il bene, gente che non si sente giusta, che non si sente arrivata, che non si sente a posto: ce ne sono tanti anche in mezzo a voi. Gente che non si sente di giudicare gli altri, ma che vorrebbe - e non sempre ci riesce purtroppo - camminare con gli altri, condividere la vita, portare in mezzo agli altri sogni: sogni di giustizia, di pace, di un mondo più bello, più tenero, più dolce, più attento, più condiviso. Ecco Dio sta da questa parte! Dio si mette in fila con noi. Gesù si manifesta così: non con un prodigio, non con un miracolo, non con un'apparizione straordinaria ma mettendosi in fila, senza dire una parola, con la gente che ha il cuore pesante, ma che cerca, cerca qualche cosa di nuovo; cerca, cammina, vuole luce, vuole giustizia, vuole pace.
Gesù cammina con noi o meglio con quella parte di noi che è affamata e assetata di giustizia, che vuole camminare, che vuole cercare ancora. A condividere con noi il cammino, a camminare con noi, a sognare con noi, a cercare con noi, è venuto il Signore.
Ecco perché questa immagine diventa sempre più preziosa nella mia vita di credente. L'immagine a cui ricorro quando mi sento scandalizzato dal mondo o - se volete - anche quando mi sento scandalizzato da me stesso: allora sento il Signore che cammina con me, che cammina con me per cercare con me qualche cosa di più bello, di più luminoso, di più vivo.
Il Signore ci aiuti, aiuti tutti voi, perché credo sia prezioso conservare nel cuore questa immagine che era preziosa per i primi cristiani - tutti i vangeli la riportano - è stata preziosa per tanti credenti. Dio che cammina con noi senza parlare, senza prodigi, ma anche senza giudicare o, come diceva il profeta Isaia : senza gridare, senza alzare la voce, senza puntare il dito, senza condannare, ma facendo strada con chi sente di non essere giusto: con noi!.
E il Signore ci aiuti.
"Ecco l'agnello di Dio, ecco colui II Domenica del tempo ordinario - 14 gennaio 1996
che toglie il peccato del mondo" Giovanni 1, 29-34
Uno dei problemi seri di chi, come noi, cerca di credere, e si ritrova ogni domenica intorno ad un libro scritto ormai quasi 2000 anni fa, è che nel corso degli anni le parole, le immagini, i concetti, sono cambiati. Il nostro modo di parlare, di pensare, di esprimerci non è più quello di 2000 anni fa: certe parole, che noi ripetiamo spesso, rischiano di non avere più senso e valore per noi.
Questo, forse, per più d'uno di voi non è di grande importanza, perché siamo abituati a ripetere parole - lo facciamo fin da bambini - senza troppo preoccuparci di quello che sta dietro queste parole: poi riempiamo le parole con i nostri sentimenti, con la nostra fede. Ma il problema è serio per chi si pone domande, per un giovane, per chi si avvicina alla fede, per chi cerca spiegazioni.
Un consiglio che ho dato spesso - anche a voi, tante volte anche ai miei amici preti: ma non molto spesso viene seguito, a dir la verità, da parecchi di voi e soprattutto dai miei amici - è domandarsi di fronte alle parole - alla romana, perché la domanda sia più incisiva -: "Ma che vor di'?".
È quello che tento di fare con voi stasera, proponendovi una riflessione su una parola che abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi: una parola che tutti noi conosciamo, perché ogni volta che veniamo in chiesa la sentiamo ripetere nella Messa: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo".
"Toglie il peccato del mondo"? Magari! Non l'ha tolto dentro di me e non l'ha tolto intorno a me! Siete convinti di questo, sì? credo che non ci voglia molto... Se facessi questa obiezione a qualche studioso di cose antiche, mi direbbe: "Ma Checco, tu hai studiato queste cose! Dovresti sapere che "toglie" è una parola latina tradotta forse un po' sommariamente: "tollit" (ricordate il latino? chi ha i capelli bianchi, sì: "Ecce agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi", vero?). "Tollit" non vuol dire "toglie", ma "prende su di sé"; e poi si parla dell'agnello: l'agnello innocente che si carica i peccati del mondo e offre se stesso come vittima a Dio. Non t'hanno insegnato questo, quando andavi a scuola? ". "Sì, me l'hanno insegnato. Ma che vor di'?"
Noi non parliamo più così: se voi dite queste cose ad un ragazzo di oggi, vi guarda con occhi esterrefatti e vi chiede: "Ma che stai dicendo? È possibile che Gesù sia come un agnello sacrificato, offerto a Dio che vuole il sangue del suo Figlio, per perdonare i peccati degli uomini?! Ma chi è Dio, per te? una specie di moloch, che vuole il sacrificio e il sangue del figlio?".
Questi concetti - familiari alla nostra infanzia, almeno alla mia, ma penso anche a quella di molti di voi - sono orribili per un giovane di oggi! E per fortuna! perché si vede che la sensibilità degli uomini è cresciuta. Ma allora, che significano queste parole?
Qualcuno potrebbe dire: "Ma Checco, ne hai fatto e ne fai tante volte esperienza, quando vai a confessarti: esponi i tuoi peccati, il sacerdote ti assolve, e Gesù "toglie" i tuoi peccati". Ma che vor di'? I peccati sono forse specie di macchie, che in maniera magica il Signore mi leva, quando vado a confessarmi? Quando eravamo ragazzi pensavamo così ed andavamo fiduciosi. Ma, vedete: le file ai confessionali sono finite... Per i nostri ragazzi la confessione è spesso una cosa formale e senza significato, che non aiuta seriamente a combattere il male.
Allora, che facciamo? Chiudiamo il Vangelo e lo buttiamo? Queste parole non hanno più alcun significato? Per te, Checco - e finiscila di criticare il passato e dicci qualche cosa di positivo - per te che vuol dire questa parola: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo"? In che senso Gesù "toglie" il peccato?
Se sapessi rispondere a questa domanda e a tante altre domande... sarei un pezzo avanti! Io posso dirvi soltanto la mia esperienza.
In che senso, nella mia esperienza di credente, Gesù "toglie" il peccato? Non in maniera magica. Il peccato resta: resta dentro di me, resta nel mondo che c'è intorno a me! Ma, vedete, ogni volta che io apro il Vangelo, sento che Gesù contesta, con la sua parola e la sua vita, ogni egoismo, ogni violenza, ogni discriminazione, ogni intolleranza, ogni mancanza di giustizia, ogni mancanza di libertà. È come se io esponessi alla luce del sole il vetro opaco della mia finestra, della finestra del mio mondo!
Qualche volta vivo tranquillo, tiro a campare, cerco di dimenticare tutto il male che c'è nel mondo. Ma quando ascolto Gesù - quando mi parla della giustizia, della passione per la vita, della gratuità, quando mi parla di Dio - allora sento tutto il male, tutto il male che c'è dentro di me e intorno a me, tutto il bene che io non riesco a fare, che non si riesce a fare nel mondo! Ogni volta che incontro Gesù, sento un invito ad andare avanti, a contestare il male, l'ingiustizia, sento la voglia di camminare fino alla perfezione stessa di Dio: "Siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli".
Ma c'è un'altra cosa, che il Vangelo sottolinea tante volte: quando sento di avere sbagliato, quando sento un peso sul cuore e mi incontro con Gesù, non c'è una magica assoluzione che mi cancella il passato, ma la mano sulla spalla, che mi dice: "Coraggio, Checco, alzati e cammina di nuovo!". La parola rivolta alla donna, che gli uomini hanno trascinata sulla piazza - conoscete tutti l'episodio -: "Donna, nessuno ti ha condannata, nemmeno io. Alzati e va'. E non peccare più!". O alla Maddalena, che Gli bagna i piedi con le sue lacrime: "Alzati e va"'. Anche al paralitico, che gli portano sulla barella: "Alzati e va'!".
Incontrare Gesù è incontrare chi ti dà speranza, chi ti invita ad andare al di là del tuo peccato, chi ti vuole togliere i pesi dalla coscienza, chi vuole darti il coraggio di camminare ancora, la speranza di cercare ancora la giustizia e il bene!
Ecco, in questo senso - non nel senso dell'agnello sacrificale, che ha preso su di sé le mie colpe, non nel senso magico di chi mi cancella le macchie dell'anima - ma nel senso di chi mi aiuta a contestare ogni ingiustizia, dentro di me e fuori di me; di chi mi dà speranza di perdono e di vita e voglia di camminare ancora: Gesù è per me Colui che "toglie" il peccato dalla mia vita! Non in maniera magica, ma giorno dopo giorno, aiutandomi a camminare e a cercare la luce e il bene!
Il Signore lo faccia ancora, per me e per tutti voi!
Mentre camminava lungo il mare III Domenica del tempo ordinario - 21 gennaio 1996
di Galilea vide due fratelli che Isaia 8, 23-9,3 - Matteo 4, 12-23
gettavano la rete in mare e disse loro:
"Seguitemi, vi farò pescatori di uomini".
E subito lo seguirono.
Qualche giorno fa veniva nell'ufficio parrocchiale una ragazza, abbastanza giovane, con un bell'accento francese, che voleva vendere dei libri. L'ho ascoltata con attenzione, perché mi venivano in mente ricordi della mia gioventù: quando studiavo per diventare prete ho dovuto leggere più di un libro in francese, perché allora si vivevano nella chiesa tempi ancora più cupi e non si traducevano certi libri in italiano.
Ma i libri che mi offriva erano delle storie di santi: una serie di libri grandi, tutti illustrati, che dovevano essere piuttosto cari, ma non saprei dirvi quanto costavano perché le ho detto che non mi interessavano affatto. Anzi - se volete sorridere un po' - le ho detto: "Le insegno una frase che usiamo a Roma, qui dimo: "Nun ce ne po' frega' de meno!".
Potete immaginare gli occhi con cui mi guardava questa ragazza, interessata, fra l'altro, a vendere i suoi libri... Chiedeva: "Ma perché non Le interessano per niente queste storie dei santi?", "Ma - dico - vede, abbiamo i nostri santi, ne abbiamo tanti, e ci bastano e avanzano quelli che abbiamo". E lei "Ma quali sono questi santi?". "Guardi, non li può conoscere, perché è gente di tutti i giorni: sono la nostra gente, in mezzo a noi ci sono tante persone sante!". E continuo: "Vede, i personaggi della storia, i santi che stanno sul calendario, spesso sono persone strane, che hanno fatto cose lontane dalla vita di tutti i giorni. Alcuni di quelli erano anche persone poco per bene: intolleranti, violenti, desiderosi di dominare la coscienza del prossimo. A noi interessa più la nostra gente: la gente buona di tutti i giorni, che conosciamo". Lei mi guarda e prima di salutarmi mi fa: "Sa che forse Lei ha ragione?".
Io penso di aver ragione. Perché, vedete, tra i guai capitati nella lunga storia del Cristianesimo, c’è il fatto che spesso i modelli della vita cristiana sono stati i santi: cioè personaggi che hanno fatto cose straordinarie, cose spesso lontane dalla vita della gente. Oppure i modelli della vita cristiana sono stati i monaci: gente che non si sposava, che lasciava il mondo, che diceva di rinunziare ai soldi e al possesso delle cose - poi spesso non lo faceva - che si dedicava alla preghiera... Con il risultato che molti cristiani pensavano che la vocazione riguardasse soltanto qualcuno. Più volte mi è capitato (forse anche da qualcuno di voi) di sentir dire: "Ma allora io non sono cristiano: non sono in grado di seguire Gesù!".
Avete ascoltato il racconto di oggi: Gesù chiama dei pescatori, della gente semplice, di tutti i giorni; e li chiama - viene sottolineato per due volte - mentre stanno lavorando: "gettano le reti" oppure "rassettano le reti". E li troveremo ancora intenti a pescare, a rassettare le reti, ad offrire la loro barca a Gesù, quando ne ha bisogno per attraversare il lago. Devono lavorare: hanno moglie, hanno figli da mantenere, c'è bisogno del loro lavoro, un lavoro duro e faticoso, e i soldi non bastano mai....
E se leggeremo il Vangelo con un po' di attenzione, ci accorgeremo che non sono nemmeno persone esenti dalle debolezze della vita di ogni giorno! Ascolteremo le loro intolleranze, le loro incomprensioni, le loro incapacità. Ed è importante che teniamo tutto questo nel cuore! Perché, vedete, anche oggi, c’è chi pensa che per seguire Gesù occorre avere una certa cultura, aver fatto studi particolari, oppure seguire strane e complicate esperienze, lontane dalla vita di tutti i giorni; anche oggi vengono proposti come modelli di vita cristiana persone che fanno cose straordinarie, che costruiscono ospedali, o si dedicano ai drogati o partono per terre lontane...
Dovremmo sentire nel profondo che Gesù chiama tutti e ciascuno! Ciascuno di noi, chiunque che crede in Gesù, è invitato a seguirLo! E a seguirLo nel concreto della vita di tutti i giorni: bambini, giovani, anziani, padri e madri di famiglia, nelle venture delle proprie case; gente che va ogni mattina a lavorare, che si ritrova i problemi del lavoro, dei rapporti con gli altri, del far quadrare il bilancio!
In tutto questo noi siamo invitati a portare un po' della luce, della gratuità, dell'amore di Gesù! E non con gesti straordinari: non siamo chiamati a fondare ordini religiosi, a costruire ospedali! Siamo chiamati a vivere la vita di ogni giorno, a portare nella vita di ogni giorno semi di luce! E quando alla fine si faranno i conti, chi sa chi avrà di più contribuito a fare andare avanti il mondo: se gente come voi, gente di tutti i giorni: gente che si sveglia al mattino, che va a lavorare e cerca di farlo con onestà: che cerca di tirar su i figli, che cerca di portare un po' di speranza, un po' di serenità nel mondo; il cui nome non appare mai sui giornali! Gente che non fa storia!
Chi sa se non siate voi molto più importanti, per la storia del mondo, di tanti santi, i cui nomi sono scritti sul calendario, di tante persone che anche oggi sono spacciate per persone importanti! E badate: questi discorsi non valgono soltanto per la nostra storia religiosa, ma valgono anche per la nostra vita sociale, per la storia nostra politica. Di volta in volta, ascoltando la televisione, leggendo i giornali, sembra che la salvezza venga da personaggi mitici: il tessuto della vita di una nazione è fatto di gente di tutti i giorni: della fedeltà della gente di tutti i giorni, dell'onestà della gente di tutti i giorni! C’è bisogno da parte di tutti di attenzione ai problemi concreti, di studio, di ricerca, di passione, di impegno! Sarebbe importante che tutti noi riscoprissimo questa "chiamata" di Gesù, a vivere la nostra vita - giorno per giorno - con pienezza, generosità, coraggio!
Questa è la nostra "vocazione" di credenti, a questo ci chiama il Signore! Siamo noi, i chiamati alla santità, siamo noi i veri discepoli di Gesù!
Il Signore ci aiuti ad esserlo, sempre un po' di più!
Beati i poveri in spirito... IV Domenica del tempo ordinario - 31 gennaio 1993
Beati i misericordiosi... Matteo 5, 1-12
Beati gli operatori di pace...
C'è una domanda che mi ha inseguito - o potrei dire "perseguitato" - nella mia vita di prete, tanto che adesso qualcuno ci rimane male, quando me la pone, perché faccio gli occhiacci, come capita quando si è costretti a ripetere sempre le stesse cose. La domanda è questa: "Qual è la caratteristica del cristiano? Che cosa differenzia un credente da un non credente? Uno che crede in Gesù da uno che non crede in Gesù?" Oppure, se si parla di qualcosa di positivo che un cristiano fa, c'è spesso qualcuno che dice: "Ma questo lo fanno anche quelli che non sono cristiani: lo fanno anche gli uomini di buona volontà!" Qual è dunque - domandatevelo un momento - la differenza fra un cristiano e uno che non lo è? Tra un credente e uno che non è credente?
Vedete, ci sono tante cose che un credente fa diversamente da uno che non è credente: chi non crede non viene a Messa insieme con noi, non prega, non si fa il segno della Croce, non professa Gesù Cristo come Signore della storia.
Ma, se ci pensate, non è questo il nocciolo della nostra fede, non è questo l'essenziale del credente. L'essenziale lo ritroviamo in queste straordinarie parole, che abbiamo letto stasera. Rileggetevi a casa, quello che abbiamo letto stasera: non si nomina mai Gesù, non si nomina mai quello che facciamo qui, non si nomina mai la preghiera. "Beati i poveri, gli afflitti, beati i miti, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, beati gli operatori di pace, beati quelli che sanno fare misericordia": ce n'è in ogni angolo della terra! Ci ritroviamo accanto ad ogni uomo di buona volontà!
Vedete: quando arriviamo al nocciolo della nostra fede, al cuore del nostro seguire Gesù ci ritroviamo fratelli di ogni uomo. Ed è bello! Per me è stato sempre bello; mi ha dato sempre un senso di grande liberazione (anche perché la storia della Chiesa non è sempre andata in questa direzione): scoprire che l'incontro con Gesù non mi divideva da nessuno, se non dal male, dalla negatività che c'è nel mondo!
Quando vi ritrovate nel cuore della fede, vi ritrovate fratelli di ogni uomo che vive sulla faccia della terra: vi ritrovate accanto ad ogni uomo che ha fame e sete di giustizia, accanto ad ogni uomo che si porta nel cuore il desiderio della pace, accanto ad ogni uomo mite, misericordioso, pacifico. Che creda o non creda, che senta o non senta il nome di Gesù, che preghi o non preghi: importa quello che c'è nel profondo del suo cuore.
Vedete, non dovremmo mai dimenticare che le parole di Gesù - nel Vangelo di Matteo, almeno - si aprono con quello che abbiamo letto stasera e si chiudono con le parole che tutti conoscete: "Avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere, ero nudo e mi hai vestito...". "Ma quando, Signore, ti abbiamo visto affamato...?" Vedete, chi parla non è un credente, chi parla non sta qui con noi: chi parla appartiene forse alle sterminate moltitudini della Cina o dell'Africa; o fa parte dei vostri ragazzi, di qualcuno dei vostri figli, che non sono in Chiesa, qui con voi, ma che sanno fare le opere di bene!
Nel cuore della nostra fede Gesù scompare: non è più Lui il criterio di riferimento. Diventa l'amore che c'è nel cuore dell'uomo, la passione per la vita, la fame e la sete di giustizia, la mitezza, la misericordia! E se ci pensate, questa è una grande liberazione! Noi ci ritroviamo qui, fortunati di aver incontrato Gesù, fortunati di essere suoi discepoli, fortunati di poter pregare, di fare la Comunione; siamo qui per ringraziare dei grandi doni ricevuti, ma anche con la gioia che questo non ci separa da nessun uomo di buona volontà, non ci fa diversi dagli altri, ci fa sentire accanto a noi - e possiamo sentirli stasera vicini - tutti quelli che si portano nel cuore sentimenti di pace, quelli che sanno fare opere di pace, quelli che si portano nel cuore la fame e la sete di giustizia.
Fratelli di ogni uomo, fratelli universali! Questa è la nostra fede, questa è la grandezza di Cristo!
Il Signore ci aiuti a conservare queste parole nel cuore!
Beati i poveri in spirito... IV Domenica del tempo ordinario - 31 gennaio 1999
Beati i misericordiosi... Matteo 5, 1-12
Beati gli operatori di pace...
La pagina del Vangelo che abbiamo ascoltato stasera è certamente una delle più note, non soltanto tra i credenti, ma nel mondo intero. Una pagina a cui siamo tutti abituati; una pagina su cui, penso, voi abbiate ascoltate tante parole; nella mia vita ne ho ascoltate tantissime e ne ho dette tantissime, per tentare di interpretare, di capire questa pagina del Vangelo. E quindi mi è difficile adesso riassumere, in breve tempo, tutto quello che c'è in questa pagina; e forse quello che dirò non vi convincerà molto! Non è molto importante; spero di darvi qualche suggerimento che vi aiuti a cercare, a tentare di entrare dentro questa pagina, coperta di tanta polvere...
Vorrei cominciare con una provocazione. Noi abbiamo ascoltato stasera, sia nel Vangelo sia anche nel salmo, delle parole molto belle: ma fino a che punto sono vere? Se io dico ad un povero (tra voi forse ce ne sono pochi), se dico a voi quando piangete, quando avete una tribolazione o una sofferenza: "Beato te!", non avreste il diritto di darmi un ceffone? Il salmo dice: "Il Signore rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati, solleva l'orfano e la vedova"; ma se guardiamo la storia, questo è semplicemente falso. Non è vero, non è mai stato vero che il Signore abbia sollevato il povero e abbia umiliato il ricco; non è questa la realtà della storia, di quello che vediamo ogni giorno.
E se questo - come dice qualcuno - non è vero per il tempo ma è vero per l'eternità, non è questa l'offesa peggiore che si possa fare ad un povero, o l'illusione per i tribolati di questo mondo? Non è questo che gli hanno detto troppe volte: "Soffri, porta pazienza, adesso! subisci, umiliati! perché poi avrai la tua ricompensa, perché poi ci sarà il contrappasso"? Non è questa l'onta peggiore della religione, usata contro la povera gente perché abbassi il capo e subisca ogni umiliazione?
Ma, se tutto questo è vero, che senso può avere questa pagina? Qualcuno dice: "Questa pagina è la Legge, per il Cristiano: non valgono più gli antichi comandamenti ma c'è oggi una legge nuova: la legge delle beatitudini". Ma questo non significa mettere sul cuore della gente un peso ancora più grande? Non mi fa sentire - non ci fa sentire tutti - inadeguati di fronte al messaggio di Gesù? "Lui ci vuole così"; chi è capace di essere così?! e diventiamo ancora più poveri: poveri dentro, perché ci sentiamo in peccato! e magari andiamo cercando qualcuno che ci assolva...
Oppure in questa pagina qualcuno ha visto, francescanamente, l'esaltazione della povertà; ma aiuta il mondo esaltare il povero e alzare il dito contro il ricco? Aiuta questo mondo ad essere migliore?
Ma se non c'è tutto questo, in questa pagina, cosa c'è? La possiamo buttar via? Eppure in questa pagina gli uomini giusti di ogni tempo hanno trovato qualche cosa di importante per la loro vita, per il loro cuore. Il discorso a questo punto - penso che tutti lo intravediate - sarebbe lunghissimo. Io tento di dirvi alcuni spunti di riflessione. E vorrei partire da qui: sbagliamo quando pensiamo che questa pagina parli prima di tutto di noi, della nostra vita. Questa pagina è il tentativo di Gesù di parlarci di Dio: di Lui si parla, del Suo cuore! E allora permettetemi di fare un passo indietro.
Al tempo di Gesù tutti credevano - e molti di noi si portano dentro questa immagine anche oggi - che Dio sia il Grande Padre della storia degli uomini: è Lui che dispone uomini e cose, da Lui dipendono il benessere e la tribolazione, è Lui che premia il giusto e castiga il malvagio. Non abbiamo anche noi creduto benedetto da Dio colui che è sano, benestante, colui al quale le cose vanno bene? Non è capitato anche a voi - come ho fatto io, qualche volta - di dire: "Perché mi capita questo? che cosa ho fatto di male!?".
Non abbiamo sentito tante volte anche noi - come tutti al tempo di Gesù - interpretare un terremoto, una catastrofe, una malattia come il castigo di Dio? Mi capitava un giorno di sentir dire (l'ho ascoltato con le mie orecchie in una pubblica Chiesa), da un sacerdote, che pensava di aver fatto tanto del bene nella sua vita, imponendo le mani: "Io ne ho guariti tanti, con l'aiuto di Dio, da molte malattie, anche dai tumori. Ma dall'AIDS no! perché Dio non guarisce quelli cattivi!"... Ecco la conseguenza del pensare a Dio come a Colui che premia il buono e castiga il cattivo; del vedere quindi, nel male e nella disgrazia, la punizione di Dio!
Qui Gesù dice: "Avete sbagliato: Dio non è così! Non si può interpretare così la storia degli uomini".
Vedete: Dio ha affidato il mondo alle forze della vita; e poi alla libertà dell'uomo. E le forze della vita producono a volte sofferenza, dolore e morte: per andare avanti, il mondo ha bisogno della competizione, della lotta, in cui il piccolo soccombe, in cui il malato è destinato a scomparire. I due leoni lottano perché soltanto il più forte può trasmettere i suoi geni, i due caproni lottano perché soltanto il più forte può migliorare la specie. Il debole deve scomparire: non può contribuire al progresso della vita. E quando poi nella storia del mondo compare l'uomo, ancora la violenza e quindi la guerra, la sopraffazione,
"Dov'è Dio, in tutto questo?"- ce lo siamo domandato tante volte - "E perché non interviene? perché non punisce il malvagio? perché non castiga il violento?" Ed ecco la risposta che ci siamo sentiti dire tante volte: "Dio lo punirà; ma dopo, nell'altra vita; c'è l'Inferno, per lui! Intanto il povero sopporti e triboli". Gesù ci parla di un Dio che prende a cuore la nostra vita, ma la prende a cuore nell'unico modo che a Lui è possibile: si decide per noi, si fa uno di noi e si schiera, si mette accanto a colui che tribola: lì Lo trovate! E se leggete attentamente il Vangelo di Matteo, vedrete che i discorsi di Gesù cominciano con queste parole e finiscono (ma è alla fine! non lo dimenticate, non cominciate da là: per Matteo occorre cercare prima Dio e il suo volto, altrimenti la religione diventa solo morale e rischia di essere un peso): "Avevo fame e mi hai dato da mangiare". -"Quando, Signore?" -"Ogni volta che hai fatto questo al più piccolo, l'hai fatto a me".
Se vuoi cercare Dio Lo trovi là; ma si comincia dicendo che Dio si mette là, accanto al povero: quasi a difenderlo da chi dice: "Tu sei un castigato da Dio". E se leggete il Vangelo, vedrete quante volte Gesù ripete questo: quando cade la torre, gli dicono: "Chi ha peccato, lui o i suoi genitori?" -"Né lui né i suoi genitori". Quando gli portano il cieco, gli domandano: "Chi ha peccato?" "Né lui né i suoi genitori". E Lui stende la mano, per guarire. Ecco il Dio che si schiera, che si mette accanto all'uomo e all'uomo che soffre, che si fa compagno di strada! E tutto un mondo religioso viene rovesciato!
Ma in questa pagina Matteo cerca di dirci anche un'altra cosa: tenta di farci vedere qual è il cuore di Dio; e ci dice: "Dio è mite, misericordioso, affamato e assetato di giustizia, pacifico!".
Dio è così! E se noi siamo l'immagine di Dio, chi ha un cuore così è la Sua vera immagine! Guardatevi intorno: dove trovate un uomo che ha un cuore pacifico, dove trovate un uomo capace di mitezza, di misericordia, di tenerezza... là c'è un riflesso del cuore di Dio. Misericordia: com'è difficile per noi questa parola! sembra carica del senso di superiorità del forte sul debole! Don Milani che cercava di esprimere per la sua scuola il senso vero di questa parola, ha scritto sulle pareti: "I CARE", mi sta a cuore, mi preme. Ecco: a Dio preme la nostra vita, preme la nostra storia; e quindi viene a condividerla con un cuore appassionato, con un cuore tenero, con un cuore che non ama la violenza! Avete ascoltato il profeta Sofonia che parla del "giorno dell'ira del Signore!". Gesù ci parla di un Dio diverso: di un Dio che ama la festa, di un Dio che ci chiama alla festa, di un Dio che ama la tenerezza, di un Dio che cammina con noi, di un Dio che non ci fa violenza!
Di Dio si parla qui: si tenta di farci intravedere il Suo cuore! Si tratta di vedere chi è Dio: non come noi Lo immaginiamo, non come noi Lo vorremmo - il mago che risolve i nostri problemi, che colma le impotenze della nostra storia - ma il Dio che condivide con noi la passione per la vita, la voglia di tenerezza, il desiderio di pace, il coraggio di costruire la vita e il benessere, la voglia di tendere la mano e di prendere a cuore chi tribola tra noi!
Voi siete il sale della terra: V domenica del tempo ordinario - 4 febbraio 1996
voi siete la luce del mondo Matteo 5, 13-16
Come forse non vi è difficile immaginare, le parole che abbiamo ascoltato stasera - "Voi siete il sale... Voi siete la luce...non si mette la lucerna sotto il moggio, ma sopra il candelabro" - hanno avuto grande peso e larghissimo spazio nella mia formazione al sacerdozio. Per sette anni ho dovuto camminare, prima di diventare prete; e spesso abbiamo sentito ripetere queste parole. Ci veniva inculcato che noi eravamo la luce, messi come sopra un candelabro; e che il nostro dovere era quello di illuminare le persone che avremmo incontrato. Ci si voleva inculcare, forse, il senso del dovere, la responsabilità di essere "luce" per la gente.
Sono passati più di 40 anni e ancora mi domando se tutto questo fosse giusto o no. Non rimpiango niente del mio passato, ma mi domando se fosse giusto insistere così sull'essere "luce", sull'essere "sale"! Perché, vedete, andando avanti nella vita, questo discorso mi è pesato.
Mi è pesato, perché non hanno detto solo a me che il prete è come una luce posta sul candelabro, ma anche a molta gente. E molti mi dicevano: "Se tu sei prete; non puoi fare così". Quasi che il prete sia uno che non sbaglia mai, che non ha mai momenti di impazienza, di irritazione! Dovrebbe essere quasi una persona perfetta. E non è così! Siamo povera gente, come tutti.
Ma il rischio era molto più grosso: se prendevo troppo sul serio l'idea di essere luce, di essere illuminato dallo Spirito Santo, rischiavo di non cercare più, di non leggere e studiare più, di non accorgermi che intorno a me c'era altra gente che portava la luce; e forse se ne portava più di quanta ne avessi io! E vedete: questo è un rischio che nella Chiesa si corre in maniera molto profonda: troppe volte le autorità della Chiesa - preti, vescovi, papi, parroci - pensano di avere la luce, che smettono di cercare, di guardarsi intorno, di ascoltare la gente!
Se volete sorridere un po', ecco un episodio che, quando ero giovane prete, mi ha aiutato a capire queste cose. Ero nella Parrocchia di S. Luca, al quartiere Prenestino, una sera nel nostro gruppo di universitari: un gruppo piuttosto numeroso e vivace, è venuto il vescovo (adesso è in pensione, da tempo): veniva a fare la visita pastorale e doveva parlare a questo gruppo di ragazzi universitari. E parlò per mezz'ora, dicendo che lui era "il pastore", era "il padre", era "la guida" di questi giovani, lui era mandato dal Signore a portare la luce! Ha parlato per mezz'ora; alla fine un ragazzo - lo ricordo ancora bene, si chiamava Leo - ha alzato la mano: "Eccellenza! (così ci si rivolge ai Vescovi, forse qualcuno di voi non lo sa) Eccellenza! Io è la prima volta che la vedo: come può dire di essere per me padre, pastore e luce?! Io ho altri padri nella fede, altri pastori, altra gente che mi ha dato luce". E s'è rimesso a sedere. Come potete immaginare, l'unica conseguenza è stata che il Vescovo ha parlato per un'altra mezz'ora, dicendo che lui era la luce, il faro, mandato ad illuminare le menti un po’ dure di gente come Leo!
E vedete, purtroppo questo sentirsi luce, questo pensare di aver sempre ragione, questa incapacità di ascoltare gli altri, non capita solo ai vescovi o ai preti, a volte succede anche ai genitori o agli insegnanti, per non parlare di molti uomini politici... A volte capita di incontrare persone molto impegnate che pensano di essere sempre nel giusto e giudicano e condannano gli altri.
Vedete, nella mia vita - per fortuna! - ho incontrato tanta gente come Leo. Se posso dirvi qualche cosa che a voi appare sensato - non dimenticatelo mai! - lo dovete a tanta gente che ho incontrato nella mia vita e che per me è stata luce.
Consegnavo, qualche giorno fa, dei fogli in cui sono scritte alcune prediche, ad una signora della nostra parrocchia; e le dicevo: "Queste, quando sarà il momento, le lasci in eredità a sua figlia e le dica che le cose più importanti che sono scritte qui le devo a lei!". Ed è vero! Devo a questa ragazza molte delle cose che posso dirvi da qui.
Perché, vedete, in ogni uomo c'è la luce, in ogni uomo c'è un riflesso di Dio! E il compito di tutti è quello di cercare questa luce, di riconoscerla con stupore, di accoglierla con gioia!
Sono convinto che nel mondo di oggi c'è un grande bisogno di cercare i valori essenziali, per capire cos'è la vita, per renderla sempre più ricca e giusta. E se partissimo proprio da qui? Dalla convinzione profonda che in ogni uomo c'è un riflesso di Dio? E non soltanto nel singolo uomo, ma anche in ogni gruppo di uomini, in ogni nazione, in ogni cultura c'è della luce, c'è qualche cosa che dà senso e sapore alla vita! Se la cercassimo tutti insieme, appassionatamente! Se gli uomini fossero capaci di mettere in comune tutte le ricchezze di luce che ci sono in ogni parte del mondo, che non fanno rumore, di cui purtroppo non si sente quasi mai parlare in TV! Se tutti gli uomini sapessero mettere in comune i valori! Se tutti noi vivessimo il rispetto, la ricerca di questi valori! Se cominciassimo noi, all'interno della Chiesa... come sarebbe migliore la vita!
Chi sa che non sia meglio educare i nostri ragazzi - prima che al senso del dovere, che pure è importante - al senso dello stupore, della meraviglia, a riconoscere, in chi ci sta accanto, la luce, il sale che dà sapore alla vita! Pensateci un po'.
Se ci educassimo allo stupore, se sentissimo la ricchezza che abbiamo intorno, se la cercassimo insieme, forse saremmo capaci - tutti - di essere più luminosi!
Il Signore ci aiuti!
"Non sono venuto per abolire la legge, VI Domenica del Tempo ordinario - 11 febbraio 1990
ma per dare compimento. Avete inteso Matteo 5, 17-37
che fu detto... ma io vi dico."
Uno dei problemi più seri per chi legge il Vangelo oggi, è la distanza di quasi duemila anni dal mondo in cui queste pagine sono state scritte. È una distanza nel tempo e una distanza nello spazio: sono state scritte in Oriente, dove si ama il paradosso, le immagini forti, che colpiscono a volte come un pugno nello stomaco: ve ne sarete accorti tutti, si parla di un occhio cavato, di un braccio tagliato, di mettersi d'accordo con l'avversario lungo la strada. Se posso darvi un consiglio, rileggetevi a casa con calma questa pagina frase per frase cercando di andare al di là della scorza, fatta di un linguaggio che non è più il nostro. E tenete presente che ci troviamo di fronte ad un "collage" di frasi di Gesù.
Il mio compito sarebbe ora, quello di aiutarvi a capire: non so se ci riesco, seguitemi con un po' di pazienza. Cerco non di commentare frase per frase, ma, se mi riesce di darvene il senso globale, almeno come l'ho capito io, perché ci ho messo un bel po' di tempo a capire qualcosa.
La prima cosa di cui mi son reso conto è che Gesù non è venuto a portarci una legge nuova, più severa della prima. È stato detto: "se uccidi devi essere condannato". Ma io vi dico: "anche se dici al fratello "stupido" devi essere condannato". Penso che a tutti voi sia accaduto qualche volta di dire "stupido" a qualcuno e più di una volta: cosa è venuto a fare Gesù? a condannarci tutti?
Il senso di questa pagina è un altro: si tratta di superare la giustizia degli scribi e dei farisei, una giustizia basata sulla legge. Un'immagine mi ha aiutato a capire, ve la ripropongo, chiedendo scusa a chi l'ha già sentita.
Immaginate di essere in un grande spazio, uno spazio grande, vasto, libero. Questo spazio, lo spazio della nostra vita è circondato da un muro o da un fossato come preferite. Su questo muro sono scritte le leggi, le leggi che regolano la nostra vita: "Non uccidere, non rubare, non mentire, non tradire la moglie, il marito...". Un muro serio, importante: tutti noi facciamo esperienza, un'esperienza amara, di quello che succede quando questo muro viene valicato. Quando intorno a noi c'è gente che uccide, che ruba, la vita si rovina. Anche la piccola delinquenza, lo scippo quotidiano, come sciupa la vita soprattutto delle persone anziane!
Questo muro, la legge è una cosa importante per difendere la vita. E, se ci parliamo seriamente, è importante anche per ciascuno di noi: quante volte siamo rimasti onesti perché c'era la legge? Quante volte abbiamo evitato di fare una cosa per paura di andare in prigione o per non violare un comandamento del Signore? Dio ci ha dato i comandamenti, ha messo un limite intorno alla nostra vita, non per renderla schiava, ma per proteggerla, per farla più libera. Una cosa seria, dunque, la legge!
Ma immaginate di rimanere davanti a questo muro. Viene prima o poi la tentazione di andare al di là, di sperimentare quello che è proibito. A volte ci sembra che la legge sia lì proprio per impedirci di essere liberi, di godere la vita, di diventare grandi. Quando eravamo ragazzi, ricordate? dicevamo le parolacce perché la mamma non voleva e questo ci faceva sentire più grandi, oppure fumavamo di nascosto - qualche sciagurato lo fa ancora - una sigaretta per sentirci emancipati e cresciuti. Era il fascino delle cose vietate, il fascino del proibito, il credere che al di là del muro ci sia una terra più libera e fascinosa. Una terra di cose proibite che ti fanno sentire più grande e poi ti ritrovi soltanto più sciocco.
Ma c'è un'altra tentazione che si prova a restare davanti al muro: quella di sentirsi buoni. Noi in fondo la legge non l'abbiamo violata: possiamo guardarci in faccia con franchezza e dire. "io non ho mai ucciso, mai rubato...": Quante volte l'ho sentito dire in confessione: "don Checco io non faccio nulla di male, non rubo, non bestemmio, non faccio male a nessuno..."
Ecco rimanere davanti a questo muro, significa rimanere davanti alla legge o per sentirci a posto, o per subire il fascino del proibito.
Le parole di Gesù ci invitano a girarci: "Che stai a fare davanti al muro? Ti rendi conto che dietro le tue spalle c'è lo spazio della vita, della libertà, dei valori autentici? Non si tratta di non rubare, ma di credere nell'onestà, di scoprire la gioia di condividere i beni della terra con chi ha più bisogno. Non si tratta di non uccidere, non importa se non hai ammazzato nessuno: la vita è fatta di amicizia, di tenerezza, di amore, di generosità. Non si tratta di non giurare, ma di amare la verità e la limpidezza: il vostro parlare sia sì, sì, no, no, il resto lasciatelo al diavolo o alla sottili distinzioni dei politici. Tu impara ad amare la verità, perché è bella la verità!
Cambia il tuo cuore, fallo ricco di valori, comincia a salire la montagna e allora la legge sparirà, laggiù lontano. Comincia a salire verso spazi più ampi e sconfinati, non preoccuparti più di quello che è proibito, cercate di andare verso quello che è grande e bello, verso l'amore stesso di Dio"!
Pensate un attimo ad un santo come Francesco d'Assisi: lui sì che si è girato, che ha cercato la giustizia, l'amore, il bene, l'amicizia. Andate a dire a Francesco: "guarda tu non devi ammazzare, non devi rubare..." Vi dirà: "ma io ho tentato di voler bene a tutti, ho baciato il lebbroso, gli ho dato il mio saio, sono andato incontro al lupo... tutto quello che avevo l'ho donato e mi sento libero, libero come un uccello, libero di cantare la gloria di Dio".
Ve l'ho fatta lunga stasera! Non so se sono riuscito a comunicarvi che Gesù non è venuto a portarci una legge più severa, ma, come dice San Paolo, a liberarci dalla legge, a farci liberi di amare.
Rileggetevi questa pagina e il Signore vi aiuti a capire la gioia e la libertà di girare le spalle e di incamminarci verso la libertà che ci ha portato Gesù.
"Siate perfetti come è perfetto VII Domenica del tempo ordinario - 18 febbraio 1996
il Padre vostro celeste" Levitico 19, 1-2 - Matteo 5, 38-48
La sensazione di sentirsi piccoli, inadeguati, per noi uomini è spesso accompagnata da amarezza, fin da quando, bambini, i più grandicelli ci escludevano da qualche gioco perché eravamo troppo piccoli, o gli adulti non ci lasciavano. E questa sensazione di essere piccoli, inadeguati, si è ripetuta spesso nella nostra vita.
Ma se la vostra esperienza è almeno in parte simile alla mia, converrete con me che alcune delle sensazioni più belle, più forti sono state accompagnate dalla sensazione di sentirsi piccoli, proprio piccoli! Vi è capitato mai di arrivare in cima ad una montagna e di vedere davanti a voi - come su qualche vetta delle Dolomiti - una serie sconfinata di montagne, una più bella dell'altra, qualche cosa di straordinario, che si stendeva a perdita d'occhio; o siete mai stai su qualche picco delle alpi, circondati da immensi e splendidi ghiacciai; o sulla riva del mare quando il lontano orizzonte, al tramonto, si tinge di mille colori?! E ti senti piccolo piccolo, ma preso da tutto questo splendore! e vorresti far parte della bellezza della natura, della bellezza delle montagne!...
O vi è mai capitato - in montagna, perché qui, sulla riva del mare, è difficile vedere certi spettacoli - sedere di notte su una panchina a guardare il cielo stellato, quando si riempie tutto di stelle e sentire l'infinita grandezza dell'universo, sentire che anche la nostra terra è soltanto un piccolissimo granello nell'immensità dello spazio?! E guardare tutti questi mondi e immaginare che forse anche altri uomini popolino l'immensità dell'universo! E vi sentite piccoli piccoli, più piccoli di un granello di sabbia, ma perduti nello splendore e nell'immensità dell'universo!... Ecco, vedete, l'esperienza di sentirsi piccoli a volte si accompagna con l'esperienza della bellezza, dello splendore!
Oppure è capitato anche a voi, come a me, di andare a scuola e tribolare perché dovevate confrontarvi con il compagno più bravo, quello che prendeva sempre "nove" e voi facevate (ma forse voi siete più bravi di me) grande fatica a strappare il "sei" - e spesso a me capitava di non riuscirci. O vi è successo di sentirvi sempre inadeguati di fronte all'esame che si doveva superare; e bisognava studiare e studiare, con il rischio di non farcela... E vi è capitato, poi, di scoprire che era bello studiare, scoprire qualcosa di nuovo, non perché bisognava prendere un bel voto o sostenere un esame. Io mi sono, ad un certo punto della mia vita, innamorato della filosofia, innamorato del pensiero: ho provato l’ebbrezza delle grandi parole che cercano di cogliere il fondo dell’esistenza! E non mi importava più degli esami...sì, bisognava farli, era anche bello prendere un bel voto; ma non era quello che contava. Contava scoprire una cosa nuova, sentirsi partecipe delle grandi cose che avevano scritto i grandi spiriti dell’umanità. E ti sentivi sempre più piccolo di fronte all’immensità del sapere, ma ogni nuova scoperta ti arricchiva, ti dava piacere ed entusiasmo, allora era bello studiare!
O, se volete, un altro esempio: vi è capitato, quando eravate ragazzi, di essere paragonati con la sorella più brava, ordinata, che metteva tutto a posto e voi dovevate sentire i continui rimproveri della mamma, perché eravate sciatti, perché lasciavate tutto in disordine. O - quelli che hanno qualche capello bianco, come me - ricordate quando ci proponevano sempre l'esempio dei santi, di quelli che non sbagliavano mai; e noi ci trovavamo con tanti difetti... Vi ricordate quando ci ponevano davanti soprattutto la legge, il comandamento e il castigo e la paura dell'inferno e la ricerca del premio!...
E poi... e poi avete avuto la fortuna di scoprire il Vangelo, la libertà: "Siate perfetti...": com'è perfetto Dio! Non la sorella, non il santo: ma Dio, i Suoi valori, l’infinita bellezza che si riflette nel cielo stellato, nella bellezza della natura. Dio! la pienezza della vita, i valori! Allora non conta essere più bravo dell'altro, non importa più arrivare primo: importa ritrovarsi un po' della Sua luce, dentro, prendere parte alla vita di Dio, portarsi nel cuore un po’ della sua infinita bellezza: perfetti come Dio, che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti!
È la gratuità, è la luce di Dio, che attraversa la tua vita. E ti senti piccolo, inadeguato, ma libero! Libero dalla paura del castigo, libero dal cercare il premio, libero dal dovere di sostenere esami, libero dal confronto con gli altri, libero dalla paura di non farcela. Libero di cercare quello che è bello, quello che è giusto. Libero di portarti nel cuore un pizzico della luce e dell'amore di Dio!
È questo - se ho capito qualcosa - il senso del Vangelo che abbiamo letto stasera. Il Signore ci aiuti a capirlo sempre di più!
... e fu trasfigurato davanti a loro... II Domenica di Quaresima - 7 marzo 1993
...non videro più nessuno, se non Gesù solo... Matteo 17, 1-9
Io spero che la grande maggioranza di voi, se non proprio tutti, abbiate fatto esperienza che l'incontro con Gesù è un incontro di luce, un incontro che dà senso, un incontro che riempie la vita! Dico: spero che tutti abbiate questa esperienza, perché a volte ho incontrato qualcuno che ha paura del Signore, che lo sente contrario alla gioia di vivere, all'impegno di essere uomini, all'attenzione verso gli altri e verso i problemi di ogni giorno. Io ho avuto la fortuna - e spero di cuore che l'abbiate avuta tutti voi - di aver sempre ritrovato in Gesù ogni cosa bella, ogni cosa che dà gusto e senso alla vita. Ho avuto la fortuna di ritrovare in Lui tutto ciò che è buono, bello, luminoso in questo nostro mondo.
Se avete fatto almeno un po' questa esperienza potete comprendere il Vangelo di oggi: i discepoli raccontano di aver visto Gesù spendente come il sole, con le vesti diventate bianche come la luce. Chi sa cosa avranno visto... o forse non hanno visto nulla! Hanno solo fatto l'esperienza - che anche io e la maggior parte di voi possiamo raccontare -: qualche volta nella vita, Gesù si sente proprio vicino, sembra quasi di toccar con mano, la sua bontà, la sua esperienza, la sua Parola, capita, a volte, di vivere un momento magico in cui l'amore di Gesù, i suoi valori sembrano proprio evidenti, un momento in cui ci si trova lontano dalla folla e le parole di Gesù sembrano spendenti come il sole, "parole di vita eterna"!
Spero che tutti voi abbiate avuto momenti così: sono momenti preziosi nella vita. Ma, vedete, quando si sente tutto l'entusiasmo dell'incontro con Gesù, quando sembra quasi di toccare con mano la sua luce, il suo amore, viene la tentazione: è quella di pensare che la fede stia tutta nel sentimento, nell'entusiasmo e poi quando l'entusiasmo non c'è più e tornano i dubbi e si fa fatica a credere, sembra di non aver più fede. E la tentazione di fermarsi sul monte, di dimenticarsi della gente. dei problemi di ogni giorno... non ci hanno detto, qualche volta, di pensare solo a salvarci l'anima, al paradiso, di cercare la luce di Dio e non dar peso alle cose della terra.
Avete ascoltato Pietro: "Signore fermiamoci qui, facciamo le tende!" Perché tornare laggiù, in mezzo alla gente...?
Tutto sparisce. E abbiamo letto la frase più impressionante del Vangelo: "Non videro più nessuno: c'era soltanto Gesù!" Non vi sembra impressionante? Gesù diventa "nessuno"! Ma quante volte, anche a noi, nella fatica di vivere, Gesù è sembrato "nessuno"! Quante volte ci siamo guardati intorno e quello che avevamo sentito nel cuore - la bellezza dell'onestà, della giustizia, dell'amore - tutto sembrava un'illusione: magari andando in ufficio, o addirittura tra i parenti e gli amici, ci siamo a volte domandati: "Ma dov'è qui l'amore, dov'è l'onestà, il perdono, la tenerezza... la gente litiga, tutti cercano di farsi le scarpe, ognuno cerca di arrivare sempre primo..."
Se rileggete il Vangelo, vedrete che l'episodio di oggi capita in un momento di smarrimento e di paura, in cui il bene non sembra esserci più, i cui la gente rifiuta Gesù, quando si comincia a parlare di passione e di croce! Bisogna tornare a quei momenti in cui tutto sembrava vero e bello, in cui Gesù era luminoso come il sole, per trovare il coraggio di continuare a camminare, per vedere oltre la notte del Calvario, la luce di Pasqua.
Se capisco bene in questo momento in Italia, ne abbiamo tutti bisogno: rischiamo di scoraggiarci, di farci prendere dalla paura, di cedere alla tentazione di fermarci sulla montagna, nel guscio delle nostre chiese o delle nostre famiglie. È il tempo di ritrovare dentro di noi il coraggio della fede, di dire ancora: "Gesù ha ragione, noi ci crediamo, crediamo sul serio nell'onestà, nel bene, nella giustizia, nella verità!"
Aver fede non significa venir qui in Chiesa, cantare dei bei canti, ascoltare delle belle parole, provare dei buoni sentimenti: aver fede significa tornare nel posto dove lavoriamo, in mezzo alla gente, e continuare a credere nelle cose in cui ha creduto Gesù, nelle cose che Gesù ha amato, nelle cose per cui Gesù è vissuto.
LA LUCE: il cieco nato. IV Domenica di Quaresima - 24 marzo 1990
Giovanni 9, 1-42
Il Vangelo, lo avrete notato tutti, è pieno di ciechi. Ce ne sono seduti lungo il bordo della strada, che gridano verso Gesù: "Signore fa' che io veda!" Tanti ciechi che riacquistano la vista nell'incontro con Gesù. Evidentemente i primi cristiani, Pietro, Andrea, Giovanni, gli altri, quelli della prima generazione, esprimevano la loro esperienza di Gesù, proprio attraverso il simbolo della luce.
Forse anche qualcuno di voi, quando era piccolo, avrà provato qualche volta a chiudere gli occhi, magari anche a fare qualche passo nella stanza, per vedere cosa si prova ad essere ciechi, e poi, magari con un brivido di paura, avete subito riaperto gli occhi e guardato verso la luce, verso il sole. Non vedere più, rimanere all'oscuro! I primi cristiani dicevano: "Ecco, questa è l'esperienza che abbiamo fatto noi, eravamo come ciechi, non vedevamo, non capivamo il senso del mondo, i valori veri non sapevamo quali fossero, poi abbiamo avuto la fortuna di incontrare Gesù e Lui ci ha aperto gli occhi, ci ha fatto vedere uomini e cose in una luce nuova, ci ha portato il "lieto annunzio" di Dio, del suo perdono, della sua vita, ci ha fatto scoprire che eravamo fratelli, ci ha fatto riconoscere in chi cammina con noi, un amico, ci ha fatto sentire, tutti, figli di Dio.
È un'esperienza che abbiamo fatto anche noi. Non ci siamo convertiti da grandi come i primi cristiani, eravamo piccini quando il papà e la mamma hanno cominciato a parlarci di Gesù, a raccontarci qualche episodio del Vangelo.
Non so se tutti voi avete avuto la fortuna che ho avuto io - l'altro giorno me lo confermava una persona con cui ho parlato a lungo: per me, per questa persona, l'incontro con Gesù è stato come un aprire gli occhi, una luce, non venuta all'improvviso, ma che si è accesa, pian piano, per tutta la vita.
Diceva questa persona: "Ogni volta che apro il Vangelo, ogni volta che leggiamo insieme una pagina, mi accorgo di vedere qualcosa di nuovo, di scoprire un aspetto nuovo di Dio, di Gesù, della vita. Non c'è mai stata una volta che ho aperto il Vangelo senza sentire una parola, che dà più luce alla mia vita, che la rende più bella e luminosa". Forse è esagerato, dire "ogni volta che prende il vangelo", ma certo e io posso testimoniarlo, Gesù tante volte ha illuminato la mia vita.
Il giorno del Battesimo hanno consegnato a anche a me, come a tutti voi, una candela accesa e mi hanno detto: "Ecco, cammina nella luce di Gesù, non solo, ma sii anche tu luce per gli altri".
Dice Gesù, nel Vangelo: "Non si prende una lucerna per metterla sotto il secchio, non si nasconde la candela, ma deve far luce a tutti quelli che sono nella casa. La vostra luce risplenda davanti agli uomini".
Così la mia luce dovrebbe risplendere, come prete , come parroco - son messo addirittura accanto a questo facsimile del cero di Pasqua -, ma anche voi come genitori, come fratelli o amici, avete il compito di essere luce per gli altri. E qualche volta, lo sapete, capita a me, ma penso succeda anche a voi: la nostra luce è come un lucignolo che fumiga, sembra quasi che stia lì lì per spegnersi. A volte facciamo fatica a credere a riconoscere i valori di Gesù, ad aprire gli occhi, a vedere il mondo nella sua luce. Ma per fortuna abbiamo un Maestro che non spegne mai il lucignolo che fumiga, anzi ci da coraggio, ci da speranza, illumina la nostra vita, e anche stasera vuol farlo.
Gridiamo a lui, come il cieco del Vangelo: " Signore fa che io ci veda, fa che faccia esperienza della tua luce, fa che possiamo essere per chi ci sta accanto, per i figli, gli amici, per chi lavora con noi, una luce, una luce di generosità, di onestà, di tenerezza, di amicizia, di valori veri, di bellezza, di amore: una luce come lo sei stato Tu per noi".
Facciamo insieme questa preghiera al Signore nel nostro cuore!
Ora accendo questa Luce, simile al cero di Pasqua, e poi davanti a questo segno di Gesù, leggeremo un'antica preghiera che risale ai primi tempi della Chiesa:
A Te rivolgiamo il nostro grazie, o Cristo.
Parola di Dio, luce vera che illumina ogni uomo,
Dispensatore dello Spirito,
Tu hai dissolto l'oscurità,
e hai fatto brillare la luce,
dalla confusa materia hai fatto sorgere l'ordine, la bellezza del mondo.
All'uomo Tu doni la saggezza e la luce dell'intelletto,
perché in ogni cosa di questo mondo l'uomo scopra i raggi del tuo splendore,
e divenga lui stesso, e ognuno di noi, luce per i fratelli.
Per questo noi ti preghiamo, Signore Gesù,
nostra luce, che vivi nei secoli dei secoli.
…Gesù guardò in alto e disse a Zaccheo: V Domenica di Quaresima - 17 marzo 2002
"Scendi in fretta, perché oggi devo Luca 19, 1-10.
fermarmi a casa tua!"…
Ancora una volta Zaccheo nella nostra esperienza di credenti. Guardatelo un momento, Zaccheo, con gli occhi della vostra fantasia, ma soprattutto con gli occhi del vostro cuore. Zaccheo è soltanto un nome, un nome che penso ciascuno di noi possa riempire con la propria storia, la propria avventura di credente, che hanno tentato di farci rivivere in questa Quaresima.
Guardate Zaccheo: è l'uomo disprezzato da tutti perché un esattore delle tasse, uno "strozzino". Guardate il cuore di Zaccheo: si sente condannato dalla legge; si sente, forse, pieno di dubbi, sa di aver sbagliato qualcosa di importante nella vita.
Non solo il Vangelo dice che Zaccheo era piccolo: quando io penso a Zaccheo, penso a un uomo che sia un po' come me: un po' vigliacco, un po' pauroso, con tanti dubbi dentro, pieno di debolezze e incapacità.
Zaccheo sente però il bisogno di incontrare Gesù, di guardarlo negli occhi. Ha una folla davanti: la nostra folla, il rumore del mondo di cui abbiamo parlato, il male che c'è intorno a noi. Qualche volta si sarà detto (forse è capitato anche a voi: a me è capitato spesso): "Ma vale la pena? Ma chi me lo fa fare? Perché cercare ancora?". Eppure Zaccheo ha il coraggio di arrampicarsi sull'albero, di strapparsi da quella folla, di andare al di là delle proprie vigliaccherie, delle proprie paure. Ha voglia di incontrare Qualcuno! E cosa incontra Zaccheo?
Ecco l'esperienza che vogliono farci fare stasera! Zaccheo incontra gli occhi di Dio! Zaccheo è lassù, nascosto, tra le fronde dell'albero, forse ha paura che anche Gesù gli punti il dito contro, che anche Lui, come quella folla, lo giudichi uno strozzino, un malfattore, che gli dica di andare a fare penitenza, di pentirsi, di espiare; e si trova un Dio che non gli dice niente, che lo guarda soltanto. E forse per la prima volta nella sua vita, Zaccheo sente che qualcuno gli vuole bene gratuitamente e non gli chiede niente. Gli chiede soltanto di sedersi a tavola con Lui, di far festa con Lui.
È lo sguardo di Dio che incontra Zaccheo: uno sguardo che va oltre il giudizio della gente, uno sguardo che va oltre la condanna, che va oltre la Legge, che va oltre tutto, che va oltre la piccolezza, la pigrizia, che va oltre il peccato di Zaccheo, perché Zaccheo è un peccatore e lo sa! Ma lo sguardo di Dio sembra dimenticare tutto e negli occhi di Gesù, Zaccheo incontra Dio.
E scende pieno di gioia e va a casa ad organizzare la festa. E sembra che tutta la sua vita passata si sia persa negli occhi di Dio. È la festa di Dio che Zaccheo esperimenta! Per la prima volta si sente amato, rispettato per quello che è, cercato nel profondo del suo cuore. Per la prima volta fa esperienza della gratuità, forse per la prima volta Zaccheo fa esperienza della festa. Avrà partecipato a tanti festini, a tante baldorie… ma per la prima volta se ne va pieno dì gioia, fa esperienza della festa di Dio.
E allora è semplice per Zaccheo cambiare qualcosa. È semplice donare quello che ha, ormai è travolto anche lui dalla gratuità e dall'amore. Che non suonino parole retoriche! Il Vangelo non è mai retorico. Ciascuno di noi sappia tradurre l'incontro di Zaccheo con Gesù, nella propria esperienza di credente. Anche noi piccoli, paurosi, anche noi forse giudicati, anche noi ci portiamo dentro i sensi di colpa, anche noi che ci sentiamo lontani dal Signore. Che questa Pasqua sia l'incontro con gli occhi di Dio, con la festa di Dio! Sarà Pasqua se anche noi, come Zaccheo, scenderemo dal nostro albero e potremo conservare nel cuore i sogni di Dio, e saremo capaci di tradurli nel dono di noi stessi. Non si tratta di donare denari, non si tratta di donare quello che abbiamo rubato, noi forse non abbiamo rubato niente: si tratta di dare qualcosa di noi stessi, di essere capaci almeno un po' di condividere la vita, di condividere la gratuità di Dio, i sogni di Dio; di portare in giro la sguardo di Gesù, gli occhi di Gesù, la festa di Gesù: e allora sarà Pasqua!
Il Signore ci aiuti.
Mentre Gesù si trovava a Betania DOMENICA DELLE PALME - 28 marzo 1999
gli si avvicinò una donna con un vaso Isaia 50, 4-7 - Matteo 26, 6-13
di alabastro di olio profumato molto
prezioso e glielo versò sul capo
mentre stava a mensa.
Ci sono tanti nomi in questo racconto: Gesù, Simone il lebbroso e poi ci sono gli apostoli: conoscete i loro nomi: Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni e tutti gli altri. Ma di questa donna non c'è il nome: non ha un volto, non ha un nome. Come avete ascoltato, non pronuncia una parola: rimane di lei soltanto il suo gesto! Ma di questo gesto si dice: dovunque sarà annunziato il Vangelo ci si ricorderà di lei e di quello che ha fatto. Un gesto soltanto: non il volto, non una sola parola, non un nome; eppure questo gesto è - per chi ha scritto il Vangelo - la cosa più preziosa!
È importante per noi: viviamo in un mondo in cui sentiamo ripetere ogni giorno tante parole, siamo quasi sommersi dalle parole. Viviamo in un mondo in cui c'è gente che fa di tutto per mostrare il proprio volto, perché il proprio nome appaia, venga ricordato, si pronunzi in TV, alla radio, venga scritto sui giornali. In questo mondo di tante parole è importante ricordare il gesto silenzioso di questa donna.
Ma c'è di più secondo me: noi viviamo in un mondo in cui la parola non è usata soltanto per apparire, ma anche per comunicare, per cercare, per studiare. Viviamo in un mondo in cui è importante calcolare: calcolare per rendere possibile il progresso della scienza, calcolare per una giusta ripartizione della ricchezza. Viviamo in un mondo in cui è importante non sprecare - "perché tutto questo spreco?!" - : non dobbiamo sprecare le risorse della natura, non dobbiamo sprecare le risorse economiche: dobbiamo lavorare perché ci siano risorse per tutti, soprattutto per i giovani. In un mondo viviamo, in cui c'è sempre più bisogno di intelligenza, di ricerca, di studio.
Eppure, proprio in questo mondo c'è bisogno del gesto di questa donna. Guardatela un momento: lei sa accorgersi di chi in quel momento è il più bisognoso: e quando si accorge, non calcola: dona! È l'immagine della gratuità! Vedete: il mondo ha bisogno di intelligenza, ha bisogno di ricerca, ha bisogno di scienza, ha bisogno di attenzione, perché non si sprechi nulla. Ma se non c'è la capacità di amare, la capacità di donare, come potrò non amare soltanto chi mi è simpatico, chi è amabile, ma essere attento anche al più piccolo: alla persona anziana o invalida o segnata da un handicap?
Senza un pizzico di follia, di gratuità, senza la capacità di amare senza calcolare, che ne è della vita dell'uomo? Il mondo ha bisogno di intelligenza, di ricerca, di calcoli: ma soprattutto il mondo ha bisogno della follia dell'amore, del coraggio di amare anche quando non possiamo aspettarci di essere riamati, della capacità di amare anche l'ultimo, anche chi sbaglia, anche il vecchio, anche il debole, anche chi apparentemente è inutile. E questa capacità ce la dà soltanto la GRATUITÀ, nel profondo di noi stessi! Ed ecco la grandezza del gesto di cui parla il Vangelo: la donna sa vedere che in questa occasione è Gesù il più piccolo e dona senza calcolare!
Per questo il gesto di questa donna è così importante, per questo Gesù dice ai discepoli - che calcolano, che invitano a non sprecare e forse hanno ragione -: "Non tormentate questa donna! Ha fatto qualche cosa di grande che è importante ricordare in ogni tempo". È importante anche per noi! Nel nostro mondo così bisognoso di ragione e di calcolo, di intelligenza e di scelte razionali, c'è bisogno anche per noi di ricordare questa donna: la sua gratuità, il suo accorgersi dell'ultimo, il suo donare senza calcolare!
Il Signore conservi anche dentro di noi un cuore simile a quello di questa donna, senza nome, senza volto, senza parole, ma capace di amare!
..."Fate questo in memoria di me". CENA DEL SIGNORE - 4 aprile 1996
..."ho lavato i vostri piedi. Vi ho dato I Corinti 11, 23-26 - Giovanni 13, 1-15
l'esempio, perché come ho fatto io,
facciate anche voi".
Noi uomini pensiamo di aver bisogno di un Dio onnipotente, che possa venire incontro ai nostri bisogni, di un Dio grande e potente, che metta ordine nel mondo, che faccia giustizia sulla nostra terra. Gli uomini, specialmente quelli fra noi che hanno il potere, sono spesso tentati di usare il nome di Dio per difendere il loro potere, per dominare sugli altri.
Il Dio che conosciamo, il Dio che si è manifestato in Gesù di Nazareth, ha attraversato in punta di piedi la nostra storia: si è fatto piccolo, ha scelto un angolo del nostro mondo, si è presentato a noi fragile bambino indifeso, che tende le mani! Per 30 anni ha lavorato in un'oscura bottega di falegname, in un piccolo sperduto paese di questo nostro grande mondo: è stato sempre lontano dai centri del potere, non ha avuto mai niente a che fare con quelli che vogliono dominare la terra o che tentano di controllare le coscienze del prossimo.
Per qualche tempo ha annunziato in mezzo a noi Dio, la sua presenza nella nostra storia. Ma quando per la prima volta si è scontrato seriamente contro la violenza di questo mondo, è finito su una croce. Ecco, il Dio che è venuto in mezzo a noi è piccolo, inerme, impotente!
E quando, prima di andarsene, ci ha voluto lasciare un segno, ha preso forse il più piccolo che poteva trovare sulla terra: un po' di pane, un po' di vino, un gruppo di amici intorno alla tavola. Ci ha lasciato così il segno della sua vita donata, il segno di un amore che sa andare fino in fondo! Di fronte alla violenza di Erode e di Pilato, di fronte al tradimento di Giuda, di fronte alla vigliaccheria di Pietro (che è anche la nostra vigliaccheria!), Lui ci ha lasciato un po' di pane spezzato, il chinarsi a lavare i piedi dei suoi amici!
Piccolo, inerme, indifeso, in punta di piedi: così Dio viene ad attraversare la nostra storia. Il segno che ci ha lasciato non è un segno di forza, di gloria, di potenza: è un segno di vita donata: il pane che si spezza, la vita che si condivide! Si condivide nel quotidiano, nella normalità di ogni giorno, nel cuore degli avvenimenti.
Noi uomini abbiamo bisogno di difenderci da Dio: nel corso della storia, questo gesto così piccolo di Gesù è stato ammantato, ricoperto, tenuto lontano dalla gente: una lingua che nessuno parlava più, riti complicati. Chi ha studiato il catechismo sa quali concetti astrusi hanno avvolto questo pane e questo vino!
I potenti di questo mondo - molti di voi ne hanno fatto esperienza - hanno escluso spesso la gente dall'Eucarestia, l'hanno tenuta lontano da questo dono, che Gesù voleva collocare nel cuore della nostra vita. Digiuni, esclusioni, peccati, confessioni... per tener lontana la gente dal segno di Gesù! Eppure, questo segno è stato più forte di tutto: in questi 2000 anni tanta gente ha preso fra le mani questo pane spezzato, si è nutrita di Gesù! Tanta gente, nella vita quotidiana, nel cuore di ogni giorno, ha sentito Dio accanto a sé, invitare al servizio, a "lavare i piedi", a condividere la vita; il servizio nel tessuto quotidiano della vita!
Perché, vedete, l'Eucarestia non è per eventi straordinari, per i momenti eccezionali della vita dell'uomo: il pane e il vino li troviamo sulla tavola di ogni giorno. Anche oggi ci sono gli "Erodi e i Pilati" in questo mondo, anche oggi la violenza di Giuda, anche oggi - anche nel nostro cuore - la vigliaccheria di Pietro. Nella nostra vita, nel cuore della nostra speranza, nel nostro cammino di uomini, Gesù ci lascia questo segno: la Sua vita donata, il suo chinarsi per lavare i piedi, il coraggio dell'amore, al di là di tutto! È quello che viviamo oggi, è quello che continueremo a vivere domani, è il grido che canteremo nella grande notte di Pasqua!
Un Dio piccolo, indifeso, inerme, non-potente. Ma il Dio dell'amore, della vita condivisa. Il Dio che ci cammina accanto ogni giorno. Il Dio che vuole mettere speranza e tenerezza e amore e passione per la vita nei nostri giorni, nelle nostre ore quotidiane; al di là di ogni vigliaccheria e di ogni paura!
Lo faccia anche per noi! Lasciamoci prendere per mano da Gesù: TUTTI condividiamo il pane! TUTTI tentiamo di portare il Suo amore nella nostra vita di ogni giorno!
Ci aiuti a farlo, Lui che per noi si è fatto pane!
Erano assidui nell'ascoltare l’insegnamento II Domenica di Pasqua - 14 aprile 1996
degli apostoli e nell'unione fraterna... Atti 2, 42-47 - Giovanni 20,19-31
Tommaso non era con loro quando venne Gesù.
E se avesse ragione Tommaso? Se la fede in Gesù fosse arrivata fino a noi per i tanti "Tommaso" che hanno attraversato la storia?
Vedete, a molti di voi, come a me, hanno insegnato, quando eravamo bambini, che per credere occorre non pensare: si deve credere senza fare domande, senza avere dubbi, senza cercare. E purtroppo non succedeva solo molto tempo fà, l'altro giorno qualcuno mi diceva di aver ascoltato alla radio qualche sconsiderato - forse un vescovo - dire: "O si crede a tutto o non si crede a niente".
Anche a molti di voi, come a me, hanno presentato il brano degli Atti degli apostoli, della prima lettura, come la realtà ideale della prima comunità, il modello cui ispirare la vita cristiana.
Io devo a tutti i "Tommaso" che ho incontrato nella mia vita - e sono stato fortunato per averne incontrato molti - grande riconoscenza, per avermi aiutato a cercare, a pormi domande, a tentare di calare nel concreto della mia esperienza la luce di Gesù. Debbo a loro se, a fatica, ho capito che spesso quelli che dicono che bisogna credere a tutto, senza pensare, vogliono soltanto dominare la coscienza del loro prossimo, arrivando - se lo considerano eretico - a bruciarlo sul rogo. Ho capito, a fatica, che l'astratto ideale della prima comunità era usato spesso per mettere un peso sul cuore della gente: il peso di non essere come i primi discepoli.
Proviamo a guardare con gli occhi di Tommaso la bella descrizione degli Atti degli apostoli. "Uniti, come fratelli, assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli": ma era proprio così? Gli occhi disincantati di Tommaso notano che c'è anche tra loro il problema del potere, che c'è chi cerca di imporsi come il vero rappresentante di Gesù, chi rivendica il diritto di comandare fra i primi discepoli. E c'è spesso intolleranza e voglia di scomunica. Non sarebbe stato meglio ascoltare Tommaso e le sue domande e i suoi dubbi e cercare insieme cosa veramente voleva dire Gesù?
Più avanti leggiamo che i primi cristiani "vendevano tutto e mettevano ogni cosa in comune"! Tommaso avrà chiesto: "Vendere tutto? E perché?" "Ma come perché, non sai che il mondo sta per finire?" "Il mondo sta per finire? - avrà replicato Tommaso - aspettiamo un momento, forse Gesù voleva dire un'altra cosa, forse c'è un altro modo di aiutarci, senza dover vendere tutto" Sapete come è andata a finire: il mondo non è affatto finito e quei poveri illusi son finiti in miseria e i "Tommaso" - che spesso hanno il cuore tenero - han dovuto mettere la mano alla borsa, per sovvenzionare quei pazzi che avevano venduto tutto!
E ascoltate ancora: "erano pieni di timore per i segni e i prodigi e andavano al tempio ogni giorno a pregare". Il tempio, i segni e i prodigi?! Ma Gesù non aveva detto che era ora di finirla con tutto questo? che bastava l'Eucarestia? Ma loro erano osservanti, rispettavano l'antica tradizione, vivevano la religione così come si era sempre fatto, loro non avevano dubbi! E Tommaso: "Ma chi sa, forse Gesù ha detto che ci conviene allontanarci pian piano dal tempio; che Dio lo troviamo nel profondo del cuore, senza bisogno di tante strutture esteriori!". Ancora Tommaso, le sue domande la sua ricerca, la sua voglia di vedere, il bisogno di toccare!
Tommaso, arriva in mezzo ai discepoli, gli dicono: "Abbiamo visto il Signore!". Ma le porte son chiuse, loro sono pieni di paura: e Tommaso ha bisogno di vedere, di toccare con mano, ha bisogno di rendere concreta, nella vita di ogni giorno, la fede in Gesù!
Ecco la grandezza di Tommaso: il porre domande, il cercare, il non contentarsi di parole grandi ed astratte, che poi non dicono niente nella vita di ogni giorno! Il bisogno di portare, nel quotidiano, i valori di Gesù! Perché ci sono stati tanti "Tommaso" nella storia, il Cristianesimo è arrivato fino a noi: gente che non si contentava di parole, ripetute spesso per mettere un peso sul cuore della gente... Quanta fatica hanno fatto i "Tommaso", per portare pian piano, nel concreto della vita di ogni giorno - non in grandi parole, che son facili a dire, ma in gesti concreti, in cose che si possono toccare con mano - il messaggio di Gesù fino a noi!
Ringraziate, con me, tutti i "Tommaso" della storia! Forse avevano molto più ragione loro, dei tanti intolleranti che hanno parlato in nome di Gesù!
I discepoli sulla strada di Emmaus III Domenica di Pasqua - 3 maggio 1987
Luca 24, 13-35
Abbiamo ascoltato, o meglio, riascoltato, perché penso che tutti voi, come me, avrete sentito questa pagina di Vangelo tantissime volte. È uno dei racconti in cui l'arte di scrivere di Luca più si manifesta, una delle sue pagine, anche letterariamente più belle. Non sappiamo chi siano i due protagonisti di questo cammino, uno è un certo Cleopa, un nome sconosciuto nel Nuovo Testamento, non sono certo due degli apostoli. Luca può quindi immaginare in questa strada ogni cristiano e può, libero dai ricordi (solo nel Vangelo di Luca c'è questo racconto) dar spazio a tutta la sua arte di scrivere e di raccontare, attraverso i simboli, la vita cristiana.
Vorrei invitarvi (proprio perché ci aiuta a capire) a osservare, a notare - forse molti l'hanno notato, forse non tutti - una cosa strana in quello che abbiamo letto. I due discepoli se ne vanno! Non se ne vanno prima della Risurrezione, ma dopo! Luca insiste sulle parole dei due, l'avete ascoltato: "È vero, alcune donne sono andate al sepolcro, lo hanno trovato vuoto, hanno anche avuto una visione di angeli che parlano di Lui, che dicono che Lui è vivo, sono andati anche alcuni dei nostri (sappiamo dagli altri Vangeli che Pietro e Giovanni sono andati di corsa), hanno trovato come le donne avevano detto, ma Lui non l'hanno visto!"
E nonostante che il sepolcro sia vuoto, nonostante che le donne parlano di una visione di angeli, nonostante che i discepoli sono andati e hanno confermato che il sepolcro è vuoto, questi se ne vanno! Perché non restano? Perché non vanno a curiosare? Perché non sentono il bisogno di andare a toccare con mano il sepolcro vuoto? Perché non sono andati a vedere il lenzuolo ripiegato di cui parla il Vangelo di Giovanni? Cosa vuole dirci Luca in questa pagina? Ci sono tante cose in questa pagina straordinaria, ma una mi sembra particolarmente importante (provate a vedere poi se è importante anche per voi): Luca vuole ricordarci che essere cristiani non è il fatto di un momento "speciale", non consiste nel "toccar con mano" (ricordate Tommaso, domenica scorsa...), la vita cristiana è camminare lungo la strada, passo dopo passo, tentando di far rivivere, al di là dei dubbi e delle paure, la Parola di Gesù nel nostro cuore: "Non ci ardeva forse il cuore in petto quando Lui ci parlava delle scritture...".
Vivere da cristiani è tentare ogni giorno di ritrovare nel Vangelo il coraggio di credere e camminare. E un cammino in cui, ogni tanto, ci si ritrova intorno alla tavola per riconoscere e incontrare Gesù "nello spezzare il pane".
Vedete, fratelli, noi viviamo un momento della storia abbastanza difficile - ce ne sono stati tanti in questi duemila anni - un tempo di paure e di ansie. E nei momenti difficili l'uomo sente il bisogno, come Tommaso, di toccar con mano. Quando si sente dire che una Madonna è apparsa, come in questi giorni, sul vetro di una finestra tutti corrono. Quando si sente dire che una Madonna è apparsa o sta per apparire si radunano folle numerose. Quando si mostra un documentario sulla Sindone, anche i ragazzi delle nostre scuole spesso miscredenti, sono presi da grande curiosità.
Questo bisogno di vedere, di sentire, di toccare con mano, può anche essere una cosa buona, ma non dimentichiamo i discepoli di Emmaus: il loro lento cammino, la loro fatica a riconoscere Gesù, la Scrittura, il pane spezzato in cui ritrovano Gesù.
Non dimentichiamo fratelli che se anche apparisse qui il Signore, se avessimo un "segno", se anche noi come narrano le storie antiche, potessimo toccar con mano, che so, un libro bruciato, una corona, un'apparizione della Madonna, un lampo di luce... questo non cambierebbe niente della nostra vita. Noi qui abbiamo tutto quello che ci serve per essere cristiani: la Parola, il Pane che spezziamo ogni domenica. O siamo capaci di riconoscere il Signore qua e poi di viverlo ogni giorno o non c'è miracolo, apparizione, finestra che tenga. La vita cristiana è il cercare il Signore ogni giorno, passo dopo passo, il chiedersi cosa ci dice il Signore nella varie circostanze della vita, è cercare di incontrare Gesù, che per me si fa pane, nella gente che ho intorno ogni giorno.
Questa è la vita cristiana. Luca ce lo ricorda in questa splendida pagina che consiglio a tutti di leggere spesso.
Gli disse Filippo: "Signore, mostraci il V domenica di Pasqua - 2 maggio 1999
Padre e ci basta". Gli rispose Gesù: "Da Giovanni 14, 1-12
tanto tempo sono con voi e tu non mi
hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto
me, ha visto il Padre".
Ieri sera eravamo riuniti insieme con un gruppo di persone, a tentare di scambiarci qualche parola su questa pagina del Vangelo. Tutti colpiti dalla frase di Filippo, che chiede a Gesù di mostrare il Padre; e dalla risposta, soprattutto, di Gesù: "Filippo, da tanto tempo sei con me ... Chi vede me, vede il Padre". E ci scambiavamo, appunto, le nostre impressioni sulle immagini di Dio che ciascuno di noi si porta dentro. E qualcuno citava un articolo di giornale, di cui vorrei leggervi qualche frase: sono frasi dure, ma forse aiutano qualcuno di noi a riflettere su quello che ci portiamo dentro. Questo articolo parla dell'immagine di Dio che Carl Gustav Jung - uno dei grandi patriarchi della nostra cultura - si portava nel cuore. Provate ad ascoltare:
=="Il Dio al quale consacrò tutto se stesso, era il Dio possente, tremendo ed ambiguo, che si esprime in contraddizioni: egli è insieme buono e malvagio, una luce abbagliante e l'oscurità dell'abisso; ardente come Dioniso e freddo come la lontananza delle galassie; armonioso come la Provvidenza e ironico come il Caso. Animato da un pericoloso furore, da una incomprensibile crudeltà verso le proprie creature: induce Abramo a sacrificare Isacco, permette a Satana di tentare Giobbe, lascia condannare Cristo alla crocifissione; abbandona la natura in preda al male; induce l'uomo a peccare e lo spinge ad infrangere le Leggi che egli stesso ha stabilito" ==
Parole forti! Questo mi ha riportato alla mente l'esperienza forse più importante del mio cammino di fede. Sono passati ormai più di 30 anni: e ricordavo - ieri sera ed anche oggi passeggiando in pineta - le tante sere che io ho passato, in anni in cui il mondo stava cambiando rapidamente, nel '67 - '68, insieme ad un gruppo di giovani universitari (anch'io ero giovane, allora), intorno ad un tavolo, a riflettere su Dio, a scambiarci le nostre impressioni sull'immagine di Dio, che ciascuno di noi, si portava dentro.
Per qualcuno dio era il Grande Giudice, il Super-Io di cui parla a volte la Psicanalisi: colui che ci scruta con occhio severo, che ci chiede conto delle nostre azioni, che provoca in tanti di noi il senso di colpa, l'oppressione per non essere a posto. Per altri, invece, Dio era l'Amico in cui rifugiarsi, il consolatore delle proprie solitudini, a cui chiedere aiuto nel momento del bisogno. Per qualcuno di noi dio era freddo, lontano, impassibile di fronte al male del mondo. Per qualcuno invece era l'amorevole Creatore che ci aveva regalato gli alberi, i fiori, lo splendore della natura. Per qualcuno dio era il dio esigente, che chiedeva addirittura di sacrificare se stessi e la propria vita. Tante immagini di Dio! E riflettendo insieme ci rendevamo conto che queste immagini venivano dalla nostra educazione, dal rapporto che avevamo avuto con il nostro papà o con la nostra mamma: da certe cose che ci portavamo dentro, forse addirittura nell'inconscio di noi stessi. Era una ricerca appassionata: e per noi era diventata fondamentale questa frase del Vangelo, quando Gesù dice a Filippo: "Ma perché vuoi che vi mostri Dio? Chi ha visto me, ha visto Dio". E allora, vedete, abbiamo tentato di mettere da parte le immagini che ci portavamo dentro, per ritrovare, faticosamente, il Dio di Gesù Cristo.
E abbiamo scoperto il Gesù di Nazareth! Siamo stati educati a riconoscere Dio nel prodigio, nel miracolo, nella manifestazione potente (in questi giorni rischiamo di essere sommersi da ondate di miracolismo): e noi ci guardavamo negli occhi e dicevamo: "Ma il Dio che noi conosciamo è vissuto per 30 anni a Nazareth facendo il falegname, senza che nessuno si accorgesse di lui: condividendo la vita, passando i giorni a piallare assi, a fabbricare tavoli e sedie, ad aggiustare ruote di carri, conversando con gli amici..."
Il Dio in cui tentavamo di credere non poteva non passare attraverso le grandi immagini che Gesù ci ha comunicato per mezzo delle sue parabole! Non volevamo più pensare a Dio senza passare attraverso la parabola del Padre misericordioso! L'idea di un dio che punisce, che castiga, si stempera di fronte al Dio di cui ci parla Gesù: che sa rispondere al male con la festa, che sa buttare le braccia al collo, al figlio che torna, che sa preparare la festa per lui! Il dio onnipotente - di cui ci avevano parlato nel nostro crescere, perché ci rivolgessimo a lui nel momento del bisogno - passava attraverso la croce di Cristo! Il dio che ci era di scandalo, a cui domandavamo: "Perché non intervieni? perché non fai pace nel mondo? perché lasci morire i bambini?", abbiamo imparato a vederlo inchiodato sulla croce: non più il dio della potenza, della forza, del prodigio... ma il Dio con le braccia inchiodate! il Dio che chiedeva a noi di essere le sue mani, perché lui non poteva più muoverle. Il Dio della fedeltà, il Dio del coraggio, il Dio dell'amore alla nostra vita!
Quelle sere lontane! mi son rimaste dentro, se volete con due conclusioni. La prima: Dio è più grande di ogni nostra parola: nessuno può farsi un'immagine di Dio. Con quale passione, in quei giorni, abbiamo riscoperto il secondo comandamento: "Non nominare il Nome di Dio invano: non farti un'immagine di Lui". E ciascuno di noi un'immagine di Dio se la porta dentro, a volte inconscia, profonda. Dobbiamo sapere che di Dio non possiamo farci un'immagine: perché ogni immagine che ci facciamo di Lui è un idolo! pericoloso come tutti gli idoli. Dio è al di là di ogni parola, al di là di ogni immagine. Possiamo soltanto tentare di intuire qualcosa della sua Luce, di portarci dentro dei barlumi della sua tenerezza e l'invito a cercarlo sempre di più.
E la seconda cosa che da allora mi porto dentro: UN CRISTIANO NON PUÒ PARLARE DI DIO SE NON ATTRAVERSO L'ESPERIENZA DI GESÙ DI NAZARETH: attraverso i suoi gesti, attraverso le sue parole: attraverso tutto quello che Lui ci ha lasciato. Attraverso il pane, che noi spezziamo ogni domenica, noi facciamo esperienza di Dio! È qui il segno che Lui ci ha lasciato: il segno della vita donata, della vita condivisa!
Non dimenticatelo! Oggi, domani, quando sentirete ancora parlare di tanti prodigi, di tanti fatti straordinari, ricordate: Gesù ci ha lasciato un pane spezzato! Ricordate: è vissuto per 30 anni a Nazareth, per condividere la nostra ventura di uomini, per essere con noi, uno di noi, fino in fondo!
Che l'immagine di Dio passi attraverso Gesù! Che lo Spirito ci aiuti a capire, fino in fondo, queste parole del Vangelo: "Filippo, da tanto tempo sei con me... Chi vede me, vede Dio!".
Il Signore ci aiuti!
"Questi saranno i segni che ASCENSIONE DEL SIGNORE - 16 maggio 1999
accompagneranno quelli che Marco 16, 14-20
credono: nel mio nome scacceranno
i demoni, parleranno lingue nuove,
prenderanno in mano i serpenti..."
Sarà capitato anche a voi - perché in questi tempi succede spesso - di vedere alla TV qualche esorcista, qualcuna di quelle lugubri figure di cacciatori di diavoli; ma spero proprio che tutti voi avrete detto: "Noi con questo non c'entriamo niente". O vi sarà capitato di vedere alla TV qualche strano personaggio - che so, o dell'Africa o dell'India - che maneggia serpenti, anche velenosi; ma voi, se incontrate un serpente, state ben attenti a starne lontani. O, più semplicemente, avrete sentito qualche volta parlare dei pericoli che ci sono nel cogliere funghi: a volte se ne possono trovare di velenosi; ma a nessuno di voi è passato per la mente di mangiare funghi senza controllarli, nella folle sicurezza che, se bevete qualche veleno, non vi capiti alcun danno...
Spero che a nessuno di voi venga in mente di dire: "Ma tutto questo che c'entra con il Vangelo di oggi?". Come "che c'entra"? non avete ascoltato proprio adesso che "i segni che accompagnano i credenti" son proprio questi? "Cacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti, se berranno qualche veleno non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno". Avete mai imposto le mani ai malati, facendo guarire qualcuno? No. E allora che Cristiani siete?!...
Qui probabilmente si parla di qualche altra cosa e occorre la nostra fantasia per tentare di trovare ciò che CI riguardi da vicino: questo significa leggere il Vangelo. Perché, vedete, tutti quei segni che accompagnano i credenti ci riguardano. Non riguardano quelle lugubri figure che dicono di cacciare i diavoli: riguardano me, riguardano voi. Perché, se non cacciamo qualcosa del male che c'è nel mondo, che cristiani siamo?!
Affrontare il male è un compito che ci riguarda. E non pensate subito ai grandi mali del mondo, la guerra, la fame: di fronte a questi mali, purtroppo, non possiamo fare gran che, se non tentare di dare una mano a chi si trova nell'estremo bisogno. Ma pensate al male che ci sta più vicino: alle piccole intolleranze, alle piccole guerre di ogni giorno, a quello che succede nelle nostre case, o nel posto dove lavoriamo, o con la gente con cui viviamo ogni giorno. È là che possiamo tentare di cacciare un po' di male.
E quando si parla di prendere in mano i serpenti e di bere il veleno, senza subirne danno, pensate ai tanti veleni che rovinano la vita di ogni giorno, che rischiano di sciupare l'esistenza dei nostri ragazzi. E non pensate subito alla droga, che riguarda poche persone. Pensate al veleno della paura, dell'ansia per il futuro; pensate al veleno dell'indifferenza, che spesso attraversa anche la nostra vita. Sono questi alcuni dei veleni da cui un Cristiano deve sapersi difendere, da cui dobbiamo tentare di tener lontani i nostri ragazzi. Un ragazzo che oggi legge il giornale, guarda la TV, sente a volte parlare noi adulti, corre tanti rischi di essere avvelenato! Corre il rischio che la sua vita si intristisca, che perda i valori autentici.
E quando il Vangelo dice che "quelli che credono" sanno parlare lingue nuove, non pensate a qualche strana lingua da inventare: pensate al problema che abbiamo davanti di capirci tra adulti e giovani; pensate al problema che i nostri ragazzi vivranno nel secolo che sta per cominciare: il ritrovarsi accanto persone che vengono da tanti paesi diversi, con culture diverse, con atteggiamenti e modi di pensare diversi... e occorre capirsi: occorre inventare la lingua per parlarsi. Occorre costruire la lingua che permetta a tutti gli uomini di ritrovarsi in un unico, grande villaggio. Ormai ci siamo resi conto che facciamo parte, tutti, di un grande paese, che siamo legati gli uni agli altri. Ma quale lingua parlare? dove trovare le parole della giustizia e della pace? Come si possono inventare linguaggi nuovi? È questo il nostro compito!
Come è nostro compito guarire i malati. Voi direte: "Ma noi ne siamo capaci?". Ma sì, che ne siamo capaci! Lo abbiamo pure fatto. Vedete, al tempo di Gesù il mondo era pieno di ciechi: ce n'erano tantissimi, si incontravano ad ogni angolo di strada. Oggi, incontrate raramente dei ciechi; ma non perché qualcuno ha fatto dei miracoli... Il mondo non va avanti perché qualche santone, una volta ogni dieci anni, fa un miracolo. IL MONDO VA AVANTI PERCHÉ C'È GENTE CHE STUDIA, CHE CERCA: gente che ha guardato l'occhio e ha capito che è la cataratta che può rendere ciechi e ha imparato a toglierla: oggi se vi cala una cataratta nell'occhio, entrate al mattino all'ospedale (anche qui ad Ostia; una buona notizia: dicono che qui, al "Grassi", sia ottimo il reparto di Oculistica), e la sera uscite; e ci vedete meglio di prima! I nostri vecchi diventavano ciechi! Così come diventavano ciechi per il diabete! Oggi abbiamo imparato a curare tutto questo; come si sta cercando di curare sempre di più le grandi malattie: e se ogni tanto vi chiedono dei soldi, fate bene - se potete - a darli, perché continui la ricerca sul cancro , sulla leucemia e quant'altro.
Così si guariscono i malati! e vedete che questo è compito di tutti noi. È compito dei ragazzi che studiano, perché diventino sempre più bravi; è compito dei ricercatori, che sappiano inventare qualcosa di nuovo. È anche compito della nostra collaborazione. E speriamo che il secolo futuro si occupi non più soltanto delle malattie del corpo, ma anche delle malattie della mente e del cuore, che fanno tribolare tanta gente!
Ecco i nostri compiti! Ecco cosa significa essere credenti! Tentare di liberare il mondo dal male, dalla violenza, anche dalle piccole violenze quotidiane. Essere capaci di parlare lingue nuove che permettano a uomini di razze, culture, religioni diverse, di incontrarsi e rispettarsi. Riuscire a non essere corrotti dai tanti veleni del mondo; essere capaci di far progredire il mondo, di curare i malati... E questo non lo fa qualche Santone, che una volta tanto fa miracoli, illudendo tanta gente... Questo lo fa LA PASSIONE DI TUTTI NOI! Lo studio, la ricerca, il contributo economico, la voglia di far bene, la capacità di ascoltare e di parlare: tutto questo è compito nostro!
E allora vedranno che siamo credenti, che abbiamo ascoltato la parola di Gesù e che tentiamo di continuare la sua opera: questo è il compito che Lui ci ha affidato.
Il Signore ci aiuti!
Venne all'improvviso dal cielo un rombo PENTECOSTE - 25 maggio 1996
come di vento che si abbatte gagliardo Atti 2, 1-11 - Giovanni 20,19-23
e furono tutti pieni di Spirito Santo.
...venne Gesù e disse: "Pace a voi". E i discepoli
gioirono al vedere il Signore. Poi alitò su di loro
e disse: "Ricevete lo Spirito Santo!".
Nella vita della Chiesa - succede un po' anche nella vita di tutti i giorni - capita di ripetere parole che nel corso degli anni hanno perso valore e significato: non hanno più forza, vivezza, importanza per noi. Questo è accaduto ad una parola che è fondamentale nella festa che noi oggi celebriamo: lo "Spirito Santo". Noi ripetiamo questa parola ogni volta che ci segniamo: "Nel nome del Padre, del Figlio dello Spirito Santo"
Ma chi è lo Spirito Santo? Come è venuta fuori questa parola nella vita dei credenti? È sorprendente, leggendo il libro degli "Atti degli apostoli", vedere alcuni discepoli, che vanno in giro per il mondo, incontrano dei Cristiani e chiedono: "Avete ricevuto il Battesimo nello Spirito Santo?" si sentono rispondere: "Ma noi non abbiamo mai nemmeno sentito parlare dello Spirito Santo!". Come è possibile che dei credenti, non abbiano mai sentito parlare dello Spirito?
Questa era, allora, una parola nuova, che tentava di esprimere il senso di Dio, la presenza di Dio nella nostra vita; e non è cosa semplice! Ritorniamo un momento a quel tempo, cerchiamo di rivivere l'esperienza che hanno fatto i primi discepoli: hanno incontrato Gesù e la loro vita è stata veramente trasformata da quest'incontro.
Hanno scoperto in Gesù i valori che rendono ricca e bella la vita. Hanno sentito Gesù - e lo esprimono nel Vangelo - come "un fuoco" che divampa nel loro cuore! Hanno sentito Gesù come "luce" che illumina il volto degli uomini, che da senso alle cose; hanno sentito Gesù come "un vento" di libertà! Hanno creduto in Lui! Hanno condiviso con Lui il coraggio della gratuità, della libertà, dell'amore! Prima vivevano anche loro affannati e preoccupati di tante cose: in Gesù hanno scoperto i valori essenziali della vita. Sono diventati suoi amici, hanno camminato con Lui per giorni interi, per mesi, per anni!
Quando hanno visto Gesù inchiodato sulla croce, tutto sembrava finito, le cose in cui avevano creduto, sembravano perdute per sempre. E poi, pian piano, hanno sentito dentro di loro come una forza che li spingeva a continuare, a tentare di credere ancora, a conservare nel cuore quei valori, a conservare il coraggio di credere nella gratuità, nella libertà, nella vita! E dicevano: "Ecco Dio non ci ha lasciati soli! Dio continua a camminare con noi!". E cercavano una parola che esprimesse questa presenza di Dio... il "vento", il "soffio" di Dio, il "fuoco" di Dio. E poi hanno trovato una parola, forse per esprimere la differenza, la novità della loro esperienza: Gesù in "carne" ed "ossa" non c'era più, non potevano più sedersi a parlare a mangiare con Lui... ma rimaneva in loro il suo spirito: e lo hanno chiamato "lo Spirito di Gesù", "lo Spirito di Dio"!
E a noi, pian piano, è rimasta questa parola: lo Spirito Santo. E in questa parola c'è il tentativo dei primi Cristiani di esprimere la presenza di Dio, la forza che li spingeva a credere nei valori di Gesù, ad andare in giro per il mondo per testimoniare Lui!
Ma vedete, quando uno crede di avere Dio dentro di sé, corre una grande tentazione: quella di pensare di avere sempre ragione, di credere di essere, lui solo, dalla parte della verità. Se leggete gli "Atti degli apostoli", trovate spesso lo stupore, la sorpresa dei primi discepoli, di incontrare questo Spirito - che loro son convinti di aver dentro - anche negli altri: anche nei pagani! E dicono: "Ma allora lo Spirito di Dio è dato a tutti! Non è il monopolio nostro! Gesù non è venuto soltanto per noi: è venuto per tutti!".
Qualche cosa dei valori di Gesù, la sua ricerca di gratuità, di libertà, di amore, c'è nel cuore di molti uomini! La gioia di riconoscere lo Spirito di Dio diffuso su tutta la terra! La gioia di incontrare il soffio di Dio in giro per il mondo!
È importante per noi, oggi, ritrovare questo stupore: viviamo in un mondo in cui sembra diffondersi l'intolleranza, in cui sembra ritornare la voglia di scomunica, la voglia di sentirsi giusti e giudicare gli altri! Chi crede in Gesù si porta dentro la convinzione che Dio non è monopolio di nessuno, che lo Spirito di Dio soffia dove vuole, nel cuore di tanta gente, in ogni angolo della terra: dove c'è un palpito di verità, dove c'è un soffio d'amore, dove c'è una scelta di gratuità e di vita, là noi siamo convinti di trovare il soffio di Dio, di riconoscere la presenza di Dio!
Ma non è sempre facile! I primi Cristiani si rendono conto che, anche se credono nei valori di Gesù, non sempre sanno come applicarli nel cammino della vita: qualche volta ci riescono, qualche volta no! Per questo ogni tanto si ritrovano insieme, per gridare allo Spirito che li aiuti a capire, a interpretare il mondo, a vedere come è possibile calare i valori di Gesù nella vita di ogni giorno.
E noi continuiamo a farlo; e lo faranno i Cristiani fino alla fine del mondo. Vedete, Gesù ha messo nel cuore dei discepoli i valori che possono veramente trasformare la vita! Ma com'è difficile che questi valori diventino concreti nella nostra ventura umana! Vi faccio un solo esempio, per riuscire a spiegarmi. L'apostolo Paolo dice - e certamente lo dice nello Spirito! - : "Non c'è più né giudeo né greco; non c'è più né schiavo né libero; non c'è più né uomo né donna: ma tutti siamo una sola cosa in Cristo Gesù!". Vedete, i primi Cristiani ci hanno messo diversi anni, per riuscire a superare la distinzione fra ebrei e pagani e non hanno potuto evitare difficoltà e turbamenti. Ci son voluti quasi 1700 anni, per capire che non ci potevano essere più schiavi! Dobbiamo aspettare ancora chi sa quanti anni, ancora dovremo veder morire qualche Papa, perché non ci sia più distinzione, nella Chiesa, fra uomini e donne!
E molti altri traguardi appaiono ancora lontani, prima di veder realizzato, nella vita concreta, il Vangelo di Gesù! Per questo, dopo 2000 anni, come i Cristiani di allora, ci ritroviamo insieme per gridare allo Spirito che ci aiuti a capire, a portare nel mondo i valori di Gesù: la sua libertà, la sua pace, la sua gratuità, il suo amore!
Lo facciamo insieme qui. Lo fanno stasera i nostri ragazzi. Molti di voi non potranno essere stasera con i nostri giovani, a celebrare la festa di Pentecoste; ma ricordatevi di dire una preghiera per loro! Hanno preparato tante parole, per esprimere il desiderio di luce, di verità, di vita! Dite, stasera, prima di andare a letto, una preghiera: perché non siano - per questi nostri ragazzi - soltanto parole: che sia la passione della loro vita, perché il grido che rivolgono stasera allo Spirito sia veramente ricerca di Dio, ricerca di Gesù, dei valori suoi, della sua vita!
Ne ha bisogno ciascuno di loro! Ne ha bisogno la Chiesa! Ne ha bisogno il mondo intero!
"Dio ha tanto amato il mondo da dare il Santissima Trinità - 26 maggio 2002
suo Figlio unigenito, perché chiunque crede Giovanni 3, 16-19
in lui non muoia, ma abbia la vita eterna".
Una delle parole che hanno avuto un peso, un'influenza nella nostra educazione - almeno nella mia - è stata proprio la parola "mistero".
Quando ero ragazzo, dietro questa parola c'era qualche cosa di oscuro: si parlava dei misteri della notte, di persone misteriose, dei misteri dei delitti.... Insomma, sempre qualche cosa legata all'oscurità, a qualche cosa di non chiaro, di non comprensibile. E questa sensazione si accentuava in certe spiegazioni religiose che tentavano di darmi: mi dicevano che nella nostra fede ci sono dei misteri. Quello che capivo allora, era che ci sono delle cose che non si possono comprendere, su cui è bene non fare troppe domande, perché sono più grandi della nostra comprensione. E i misteri della fede, riguardano proprio Dio. Mi dicevano: "Tu non puoi capire Dio, perché Dio è mistero!
Quando eravamo ragazzi, qualcuno cercava di spiegarci, - non è successo solo a me - proprio il mistero della "Trinità": Padre, il Figlio, lo Spirito, tre persone, un solo Dio. E tentavano di parlarci del triangolo e del trifoglio per spiegarci come uno fosse tre e tre uno. Se facevamo qualche domanda in più, ci dicevano: "No, questo è mistero! Tu devi credere e non domandare". Mi sembrava di dover credere, con fede certa, a qualche cosa di oscuro, di non comprensibile, a qualche cosa che non si poteva capire.
Poi, andando avanti, mi sono accorto che, spesso, le persone che mi dicevano che Dio non si può comprendere, che Dio è mistero, sapevano sempre molte cose su Dio e parlavano di Dio in un modo che mi lasciava sempre più perplesso. Dicevano: "Dio ha ordinato questo e proibito quest'altro, Dio ha mandato il castigo là e ha premiato qua". Queste spiegazioni, man mano che mi ponevo delle domande, mi sembravano sempre più insopportabili. Questi cominciavano ad essere, per me, i veri punti oscuri.
"Perché questo è proibito e questo è lecito? Voi dite che l'ha detto Dio, ma quale dio ve l'ha detto? Dove l'avete letto che Dio parla così?" E le cose si complicavano! Finché qualcuno è riuscito a farmi vedere le cose in modo diverso. Mi hanno fatto capire che Dio è al di là delle nostre parole e la parola mistero poteva avere un senso completamente diverso.
Da allora ho cominciato ad amare la parola "mistero". Non è qualche cosa di oscuro, di incomprensibile su cui non val la pena far domande; ma è qualche cosa di talmente luminoso che è sempre oltre la mia ricerca, il mio domandare, il mio pensare. E più domande mi faccio, più tento di avere qualche risposta, più cerco, più mi interrogo, più lascio crescere dentro di me la passione per la luce, per la gratuità, per la bellezza, più mi avvicino a Dio, al Suo "mistero".
Quando credo di essere arrivato e di sapere qualcosa, so che Lui è sempre un passo avanti. E quando credo di sapere cosa Lui ordina o che cosa proibisce, chi premia e chi castiga, mi rendo conto di non aver capito niente, di dover ancora tentare di capire. Chi è giusto, chi ha ragione, chi sbaglia, chi è premiato, chi è sfortunato, chi fortunato nella vita: voi pensate di saperlo? Io no! C'è sempre un passo avanti da fare, c'è sempre un "oltre" da cercare: Dio è veramente più grande del nostro cuore. Ed è bello scoprire che queste cose sono scritte nel Vangelo, nel Nuovo Testamento. Le parole del Vangelo non si contentano mai di una risposta semplice. Sono sempre un invito a spalancare gli occhi davanti a Dio. Dio è la libertà, Dio è la luce, Dio è qualche cosa più grande di ogni parola. Sempre un passo avanti della tua ricerca. E questo passo avanti non è verso l'oscurità, ma verso la Luce.
Ma se volete intuire qualche cosa di quello che, in malo modo, ho tentato di dirvi, stasera, tornando a casa, guardate negli occhi un nipotino, la persona a cui volete bene, un figlio, guardatelo negli occhi: non c'è un mistero dietro quegli occhi, un mistero che è la cosa più bella della vostra vita?
Chi ha conosciuto fino in fondo quello che c'è in un bambino che cresce? In una vita che si sviluppa? Non è una cosa oscura! È qualcosa di straordinario, piena di luce, ma è una cosa che io non posso mai dire di aver compreso fino in fondo: solo un atteggiamento pieno di stupore ci permette se non di capire, almeno di intuire qualcosa del "mistero" di una persona!
Il cuore dell'uomo è sempre più grande del mio ragionamento, di quello che io posso intuire nei suoi occhi: è sempre un passo al di là. È il mistero! Questo è il fascino del camminare insieme. L'un per l'altro siamo mistero! L'un per l'altro siamo qualcosa di luminoso, da scoprire sempre di più. E se do per scontato tutto di chi mi sta vicino, è bene che lo saluti e me ne vada!
Se posso condividere l'amicizia, il camminare ancora, è perché non do niente per scontato, è perché so ancora guardare con occhi stupefatti, perché so ancora cercare della luce nell'altro.
E se questo è vero per il nipotino che mi cresce accanto, quanto più sarà vero per Dio? Lui è la Luce, non l'oscurità. Lui.... non sono quelle parole che s'intrecciano: Una, tre Persone, il trifoglio, il triangolo. Sciocchezze! Lui è il mistero della vita. Lui è la grandezza della gratuità, della luce. Lui è sempre "l'oltre" che io posso cercare, e posso cercarlo - badate - dentro di me, nella natura che mi sta intorno, nella gente che mi cammina accanto, nelle Parole del Vangelo, nei gesti di Gesù, nel Pane che spezziamo: perché, in fondo, Dio nessuno l'ha mai visto. Ne possiamo intuire le "tracce" in tutto quello che c'è di bello, di luminoso, di grande, dentro di noi e intorno a noi.
"Non temete coloro che uccidono XII Domenica del tempo ordinario - 23 giugno 1996
il corpo... Due passeri non si Matteo 10, 26-33
vendono forse per un soldo?
Eppure neanche uno di essi cadrà
a terra senza che il Padre vostro lo voglia".
Quello che noi ascoltiamo qui insieme la domenica, quello che ciascuno di noi può leggere personalmente a casa nel libro, diventa "vangelo" (cioè "lieto annunzio"), diventa "parola di Dio", quando risuona nel concreto della nostra vita, quando si colora delle nostre esperienze. È normale allora che alcune frasi del Vangelo, in certi momenti, diventino importanti nella nostra ricerca della fede; altre volte invece qualche frase viene quasi dimenticata. È normale che le nostre esperienze, ci aiutino qualche volta a scoprire il senso di una parola che troviamo scritta nel libro del Vangelo.
Per aiutare anche qualcuno di voi a ritrovare queste esperienze della propria fede, vorrei raccontarvi la mia esperienza su qualcuna delle frasi che abbiamo letto insieme stamattina. C'è una frase, di quelle che abbiamo letto, che non appartiene alla storia della mia fede, almeno fino ad un certo punto della mia vita. È una frase forte, che forse proprio per la sua forza - direi per la sua violenza - spesso è stata messa da parte; almeno io non l'ho sentita citare quasi mai dalla mia gente, dai miei genitori, dai preti che ascoltavo la domenica.
È la frase: "Non temete coloro che uccidono il corpo: temete piuttosto colui che può mandare e il corpo e l'anima nella Geenna". In questa frase c'è forse la paura della morte. Peggio: c'è forse la paura di Dio, paura di finire all'inferno (la Geenna è uno dei simboli antichi di questa paura). Forse per questo, forse per la violenza di questa frase, a me, quand'ero bambino, è stata evitata: io non l'ho sentita citare quasi mai nelle mie esperienze.
Quando qualche anno fa sono andato a passare una quindicina di giorni da un mio amico - che forse qualcuno di voi ha conosciuto - che era parroco nell'estrema periferia di Rio de Janeiro, questa frase del Vangelo era quella che, man mano che passavano i giorni, più sentivo citare. La coglievo nei discorsi tra i cristiani, negli incontri a cui ho partecipato, nelle pagine che i vari gruppi preparavano, qualche volta anche sui foglietti come quello che voi avete tra le mani, che aiutano a partecipare alla Messa. Mi rendevo conto che per loro era forse la frase più importante del Vangelo!
Questo, perché vivevano in un mondo carico di violenza: la violenza istituzionale, che aveva ucciso decine e decine di catechisti, di cristiani d'ogni giorno, di sacerdoti: l'elenco dei loro "martiri" quasi non finiva mai! Ed anche la violenza di ogni giorno: in un quartiere più o meno grande come quello in cui noi viviamo, si contavano ogni mese decine di morti: morti per rapina, morti per la violenza quotidiana, a volte gratuita!
Questa gente aveva bisogno di ripetersi questa frase del Vangelo! E non certo per paura di Dio o dell'inferno; ma per non lasciarsi coinvolgere nell'inferno quotidiano in cui si svolgeva la loro vita. La loro paura era di perdere la loro dignità di uomini, era di perdere la speranza, era di perdere la libertà e lasciarsi coinvolgere nell'odio e nella violenza in cui vivevano! La loro paura era di perdere la capacità di amare, di credere, di sperare! Questa parola li aiutava a radicare la loro vita nella fiducia in Dio, più grande di ogni cosa.
Un'altra frase, di quelle che abbiamo letto stamattina, è invece una di quelle frasi che mi hanno accompagnato, fin da quando ero bambino: una frase che a me - e forse anche a molti di voi, specialmente a chi ha i capelli bianchi - è stata sempre familiare. Ed è quella in cui si parla del passero, che non cade a terra "senza che Dio lo voglia". Anzi, la frase che sentivo spesso ripetere dai miei genitori era: "Non si muove foglia che Dio non voglia".
Ebbene, man mano che crescevo, sentivo crescere in me l'irritazione verso questa frase; perché, vedete, dietro queste parole c'era anche l'ignoranza del mondo contadino da cui venivano mio papà e mia mamma. Non capivano quasi niente, del mondo: perché il vento muove le foglie? Perché un chicco di grano caduto in terra può far spuntare una spiga e riempirsi di chicchi? Come spunta un fiore? Come nasce un animale? Tutto per loro era avvolto dal mistero, tutto trovava una spiegazione in Dio: era il frutto della loro ignoranza, del loro non-sapere!
Forse qualcuno di voi si meraviglierà, qualcuno forse no: ma quando ero bambino e andavo alle elementari, mi è capitato di discutere con un mio zio, un fratello del mio papà, perché io sostenevo che la terra era rotonda e lui diceva che non è possibile: la terra è piatta, altrimenti quelli dell'altra parte starebbero appesi a testa in giù... E io non sapevo come spiegare che quelli, pur stando appesi a testa in giù, potevano vivere tranquillamente come me; e continuavo a dire "Ma la mia maestra dice così!"
E non so ancora spiegare ancora tante cose: se voi mi domandate da dove viene il vento, che oggi ha spazzato tutte le nuvole che c'erano ieri, io non ve lo so spiegare; qualche volta ascolto le spiegazioni dei meteorologi, che parlano di alta pressione, di bassa pressione, di masse d'aria, della terra che gira... Ma io non so spiegarvi da dove viene il vento, come si forma, in che direzione può spirare. Ma c'è qualcuno che lo sa; ed è importante capire queste cose! Non basta dire: "Forse è opera di Dio".
Sento crescere in me, qualche volta, l'irritazione verso questo rifiuto dello studio, della ricerca, così diffuso, a volte, nella Chiesa. Mi capitava anche qualche settimana fa: sono andato a trovare un amico sacerdote, che ha più o meno la mia età, il quale mi diceva: "Più vedo documentari sugli animali e più mi rendo conto che non può essere tutto spiegato dall'evoluzione: troppa diversità, troppa varietà!". Dicevo: "Questo dipende dal fatto che tu non riesci a renderti conto del tempo: di quanto tempo c'è voluto perché tutto questo si compisse". E poi il nostro discorso s'è fermato lì, perché non interessava a nessuno dei due il discorso sugli animali.
Ma tornando a casa riflettevo: "Perché c'è sempre bisogno di ricorrere a Dio, quando non sappiamo spiegare una cosa?" È importante che qualcuno cerchi e studi e approfondisca. Anche in questi giorni siamo rimasti tutti colpiti dalle tragedie che hanno funestato l'Italia: queste tragiche alluvioni! Sentiamo lamenti, gente che grida, gente che si commuove... e poi tutto finisce come prima. E gli scienziati diranno invano: "Bisogna studiare; bisogna capire, bisogna prevenire! Altrimenti continueremo a gridare dopo ogni disgrazia e poi, dopo due giorni, non ci penseremo più!"
La vita non può essere affidata a Dio "che muove le foglie": è affidata alla responsabilità di noi uomini, alla nostra ricerca, alla passione per la vita che ci sta intorno! Ed è compito di tutti essere attenti a queste cose. E favorire chi studia, chi cerca, chi si preoccupa seriamente di prevenire e di curare il nostro mondo, che altrimenti rischia di diventare sempre più malato!
Sono discorsi seri, questi! Ma poi talvolta mi viene da pensare che dietro queste parole, che i nostri vecchi ripetevano tanto spesso, non c'era solo la loro ignoranza, ma anche la loro fiducia nella vita: anche il credere che al di là delle increspature della vita di ogni giorno, al di là dei drammi che a volte l'attraversano, la nostra vita ha radice, ha fondamento in un Amore che ci precede! La nostra vita non viene da un nulla, dal caso: ma dall'Amore di Dio! È Lui che ha dato origine a tutto! È Lui che troveremo alla fine della nostra storia!
Questa fiducia è forse il fondamento del mio vivere sulla terra: del mio continuare a cercare, a credere, a sperare.
E c'è (ma, brevissimamente) un'altra frase che ha avuto una storia nella mia vita, l'ultima: "Non vergognatevi di Dio, di Gesù mai!" Quando ero ragazzo (non a casa mia: lì era la prima frase che imperava) quando sono andato in parrocchia, continuavano a ripetermi - era il tempo dell'Azione Cattolica, qualcuno di voi forse lo ricorda - che dovevamo fare apostolato, che non dovevamo MAI vergognarci di Gesù, che dovevamo SEMPRE parlare di Lui! Ci convincevano - o tentavano di convincerci! - che noi eravamo buoni, che dovevamo fuggire i compagni cattivi e cercare di convertire tutti... E poi, vivendo, mi sono accorto che io non ero tanto buono e che gli altri non erano tanto cattivi e che qualche volta è meglio, di Gesù, parlare poco. Perché, se uno ci crede, la testimonianza non passa attraverso tante parole, ma attraverso la vita che ciascuno di noi vive! Ed anche questa frase si è colorata in maniera molto diversa nella mia vita. Credo che qualche cosa del genere sia successo anche a voi.
E allora, possiamo dire una preghiera, perché lo Spirito di Dio conservi nel nostro cuore il coraggio di sperare, la forza di credere ancora! Ci aiuti il Signore!
"Chi ama il padre o la madre, il figlio XIII Domenica del tempo ordinario - 27 giugno 1999
o la figlia più di me, non è degno di Matteo 10, 37-42
me... E chi avrà dato anche solo un
bicchiere d'acqua fresca ad uno di
questi piccoli..."
Sentenze brevi, secche, dure, paradossali: a più d'uno di noi sembrano lontane dalla nostra vita. Che senso può avere: "Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me" o "Chi perde la propria vita, la trova"? Non sono queste frasi incomprensibili per noi, lontane dalla nostra esperienza della vita? Così sembra, almeno ad un primo sguardo. Ma io ho provato a cercare se nella mia vita, nella mia esperienza concreta, ci fosse qualche episodio, qualche fatto che, in qualche modo, potesse avere a che fare con queste parole. E man mano che ricordavo episodi, avvenimenti, storie, ho trovato tante esperienze di vita, in queste parole, da rimanerne meravigliato. Tanto che, ad un certo punto, mi son dovuto fermare e ho dovuto fare delle scelte tra le cose da dirvi... altrimenti finiremmo domani mattina...
E quindi, prima di cominciare, un invito: provate anche voi ad andare indietro nella vostra vita per cercare tutto quello che in qualche modo corrisponde a queste parole. Quello che io vi dirò, sono fatti molto personali; ma forse può essere per voi uno spunto per pensare, una traccia per ritrovare, nella vostra vita e nella storia del mondo, tutto quello che corrisponde a questa pagina di Vangelo, che sembra così assurda e così lontana dalla vita, ad un primo sguardo.
E dunque, se volete, cominciamo da quando io ero un piccolo bambino: avrò avuto tre o quattro anni e la sera accompagnavo il mio papà - che faceva il portiere in un palazzo di Trastevere - a mettere dietro al portone una grande trave di legno. A me allora sembrava un gioco; quando son cresciuto ho capito: in quel palazzo si nascondevano degli ebrei. Lui era responsabile di questo; e doveva mettere quella trave per paura che di notte venisse qualcuno.. e una notte son venuti quelli delle SS e lui non ha aperto. E così facendo metteva a rischio la sua vita ed anche la vita di noi, dei suoi figli. Lui lo faceva senza farmelo pesare, come una cosa normale: rischiava la sua vita e rischiava la vita di noi bambini! A lui è andata bene; ma a quanta gente non è andata bene... Quanta gente la vita se l'è giocata davvero, per aiutare qualcun altro: per dare una mano a chi era perseguitato, a chi fuggiva impaurito!
Amare Dio più che i propri figli è forse qualche cosa di quotidiano, nella vita di tante persone del nostro Paese, di tante persone in giro per il mondo! C'è tanta gente nella lunga storia del Cristianesimo (ma anche dell'umanità in genere), che ha sacrificato la propria vita per amore degli altri, per amore della giustizia. Ha sacrificato la propria vita e la vita dei propri figli.
Quando ero un pochino più grande, ricordo che a volte bussava alla nostra porta un uomo alto alto, o almeno così sembrava a me, tutto vestito di nero, e tendeva la mano senza mai dire una parola. E mia mamma andava a prendere l'ultima mela o l'ultima arancia (erano tempi di guerra... ); ed io la vedevo sparire nelle mani di quel signore. La rabbia del bambino, che aveva magari sognato di mangiarsi una mela e la vedeva sparire nelle mani di un estraneo... E la mia mamma diceva: "Quando bussa un povero, bussa Gesù!". "Chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me": che sia solo riconoscere in un povero Gesù e condividere con lui qualcosa destinato ai figli? Allora queste non sono parole assurde! E quante persone nel mondo, hanno saputo condividere il pane e quello che avevano con gli altri, così semplicemente: per tenerezza o - chi crede - per fede, per avere ascoltato la parola di Gesù! E di queste cose, nel lungo cammino della mia vita, ne ho viste tante.
Quando ero già prete, un amico con cui avevo condiviso tante cose nella mia giovinezza, che era stato molto prezioso per me, ha deciso di partire per andare a fare il parroco nella periferia di Rio de Janeiro, in mezzo ai poveri di questa nostra terra. Io ho vissuto questo suo progetto come un tradimento della mia amicizia... ho cercato in tutti i modi di trattenerlo. Aveva ragione lui! Là ha potuto fare molto più bene di quanto avrebbe potuto fare qui... e questo non è vicino alle parole del Vangelo di oggi? E non ci sono tante persone, anche qui vicino a noi, che trascurano affetti e amicizie, per inseguire un sogno, un progetto, un arricchimento della propria cultura, per esser più utili all'umanità? E se queste parole di Gesù si riferissero anche a loro?
Avete ascoltato: "Chi non prende su la sua croce e non mi segue, non è degno di me": sembrano parole strane. Cosa significa prendere la propria croce? Io ho visto tante persone prendere su la propria croce: ho visto insegnanti rimanere fedeli ad una classe difficile, anche qui ad Ostia, restare in posti dove è difficile insegnare. Ho visto genitori dedicare con tenerezza e con passione la propria vita ad un figlio handicappato, per offrirgli tutte le possibilità di vita, sacrificando se stessi: il proprio tempo, le proprie vacanze, il proprio divertimento: tutto per amore di un'altra persona!
E se "prendere la propria croce" fosse soltanto questo? E quante croci avete visto nella vostra vita? e quanta gente che l'ha presa su con coraggio e fedeltà, la propria croce, per amore degli altri, per amore della vita? E se queste parole del Vangelo parlassero solo di questo?
E poi "un bicchiere d'acqua": quanti ne abbiamo ricevuti e forse anche quanti ne abbiamo dati? magari senza pensarci! Qualche anno fa, facevo proprio qui una predica sul "bicchiere d'acqua"; e dopo la Messa viene in sacrestia una donna e mi dice: "Si ricorda di me? Ci siamo conosciuti quando lei era nella mia parrocchia". Erano passati 20 anni; l'avevo lasciata che era una ragazzina di terza media; adesso era una donna matura con due bambini. E mi dice ancora: "Allora, anche a me Lei ha dato parecchi bicchieri d'acqua". Non l'ho più rivista... chissà quanti altri bicchieri d'acqua avrò dati, nella vita, senza accorgermene come nel suo caso... E se essere Cristiani fosse tutto qui?
Allora, vedete che queste parole - ad una prima lettura così assurde - forse possono essere molto più vicine di quanto immaginiate alla vostra esperienza di ogni giorno. Quello che ho fatto io - ripercorrere la mia vita cercando di trovarvi una eco di queste parole - perché non lo fate anche voi? Forse vi aiuta, come ha aiutato me, a dire "Grazie!" al Signore per la vita vissuta.
Il Signore ci aiuti!
Ti benedico, o Padre, perché hai XIV Domenica del tempo ordinario - 7 luglio 1996
tenute nascoste queste cose ai Matteo 11, 25-30
sapienti e le hai rivelate ai piccoli...
Parole - quelle che abbiamo ascoltato - fra le più straordinarie del Vangelo: basterebbero queste, perché il Vangelo diventi, per chi ascolta una "lieta notizia". Gesù canta la sua gioia, il suo ringraziamento al Padre, perché ha rivelato la sua presenza ai "piccoli" e non ai "sapienti", agli "intelligenti", a quelli che pensano di sapere tutto.
Non so se posso far risuonare in voi questo ringraziamento di Gesù, raccontandovi come io abbia colto, qualche volta, sulle labbra dei "piccoli", il canto della loro gioia per avere incontrato Gesù, per averLo conosciuto e amato! Vi racconto qualche storiellina, che ho avuto la fortuna di vivere.
Una mia zia - ormai è anche lei dall'altra parte della vita, presso Dio - si trovava a partecipare, qualche anno fa, ad una riunione di cristiani. Lei è sempre rimasta in campagna, nella sua piccola casa sperduta tra i monti, tutta presa dai lavori dei campi e della casa; ma qualche volta, essendo una donna di straordinaria intelligenza, di grande cuore ed anche di grande fede, andava in città ad ascoltare coloro che parlavano del Vangelo. In quella riunione, si parlava appunto della lettura e dello studio del Vangelo.
Ed una insegnante ha preso la parola, per dire che il Vangelo non è un libro semplice: soltanto chi ha compiuto degli studi, chi ha una certa cultura, può approfondirlo e conoscerlo veramente. Il grido di questa donna (si chiamava anche lei come la Madonna, Maria), il grido! Si è alzata proprio di scatto ed ha gridato: "Ma io il Vangelo l'ho ascoltato sulle ginocchia di mia zia Rosa, che non sapeva né leggere, né scrivere, e come mi parlava lei di Gesù, non me ne ha parlato più nessuno!".
Un altro ricordo: mi capitava, tempo fa, di partecipare qui vicino, a Spinaceto, ad una riunione in cui alcuni cristiani appartenenti a certi gruppi moderni - sapete, di quelli che parlano della necessità di ricominciare tutto da capo, di fare lunghi cammini, di conoscere a fondo la Bibbia - cercavano di spiegare agli altri queste nuove strade per essere veramente cristiani, come dicono loro. E la riunione era lunga: tante parole... E c'era, proprio di fronte a me, dall'altra parte della stanza, un signore di una certa età, che, vedevo, faceva una gran fatica a seguire il discorso: guardava con aria attenta ed intensa, cercando di capire .
Ad un certo punto - erano passati ormai parecchi minuti - s'è alzato quasi di scatto ed ha interrotto chi stava parlando, quasi gridando: "Ma che mi venite a raccontare, che io non ho mai creduto a Gesù, che non sono mai stato cristiano?! Io, da quando ero piccolo, ho sempre creduto a Gesù Cristo: me l'hanno fatto conoscere i miei genitori. Ed ho sempre creduto e cercato il Signore e gli ho sempre voluto bene!". E si è di nuovo seduto e non ha detto più una parola. Le persone "sapienti" che parlavano, hanno continuato come se niente fosse: chiusi nel loro mondo, nelle loro parole; lontani dal grido di questa persona semplice, ma che aveva sempre cercato il volto del Signore.
E quante persone così, ho conosciuto nella mia vita! Quanta gente semplice dal cuore appassionato, ho conosciuto! I "semplici" di cui parla il Vangelo di oggi. Badate: essere "semplici" non significa non essere persone, a volte, di straordinaria intelligenza e cultura.
Ma, vedete, uno dei drammi della vita della Chiesa è che ci sono dei gruppi di cristiani che si rinchiudono nelle loro parole, nel loro saper tutto, nel loro pensare di conoscere a fondo la Bibbia. E questo succede anche alle autorità della Chiesa: il Papa, i Vescovi non vivono forse all'interno delle loro Curie, circondati dai loro leccapiedi, pronti a dir loro che hanno sempre ragione? E vivono lontano dalla vita della gente, dalla gente che tribola, dalla gente che è affaticata e oppressa, che si porta nel cuore i dubbi, le difficoltà!
Ma c'è qualche cosa ancora di peggio: noi preti spesso veniamo educati all'interno di grandi mondi di parole "teologiche", di grandi costruzioni di idee, lontano dalla vita della gente, dagli affanni di ogni giorno, lontano dalle gioie e dai dolori della vita, lontano dalla fatica del lavoro, dai problemi quotidiani. Parole astratte, in cui tutto sembra logico e sicuro, ma in cui non c'è più la vita!
Io ho avuto la fortuna - nella mia vita di prete, ormai lunga - di incontrare tante persone di tutti i giorni, che mi hanno fatto fare esperienza di Gesù. Gente dal cuore semplice: a volte bambini, con la loro ingenua semplicità, a volte persone dai capelli bianchi, ricche di anni e di esperienza; gente a volte senza cultura, quasi analfabeta, a volte gente che aveva studiato a lungo, di grande intelligenza e cultura. Tutta gente dal cuore semplice, dal cuore appassionato; gente che si portava dentro i suoi dubbi, le sue incertezze, la sua passione per la verità e per il bene. Gente che era mille miglia lontana dal pensare di sapere tutto; gente che non si stancava di cercare ancora il volto di Gesù!
E nella mia vita ho incontrato anche tante persone con il cuore affaticato e oppresso, persone che avevano pesi dentro il cuore. Con loro ho cercato qualche volta il Signore: non sempre, purtroppo, c'è riuscito di trovarLo! Non sempre ho saputo aiutare chi aveva un peso sul cuore, chi si sentiva affaticato e oppresso, ad incontrare il Signore! Ma posso assicurarvi: le volte che insieme ci siamo riusciti, è stata un'esperienza di grande gioia! Perché veramente il Signore ha il cuore "mite e dolce" ed incontrare Lui, è incontrare la liberazione, la salvezza, la gioia! I ricordi più preziosi della mia vita sono quelli in cui, insieme a qualcuno che aveva il cuore pesante, ho potuto fare esperienza di Gesù: della sua vita, della sua gioia, della sua liberazione!
Non vi fate ingannare dalla gente che pensa di sapere tutto, da chi vive lontano dalla vita di ogni giorno e sa dire solo parole astratte e, a volte, pesanti. Ascoltate il grido del Signore! CercateLo con cuore appassionato e sincero, con tutta la tenerezza e la dolcezza del vostro cuore! E quando ciascuno di noi si porta un peso dentro, quando ci sentiamo "affaticati e oppressi", Lui non può deluderci: è venuto per questo, per accoglierci, per spalancarci le braccia! Per questo ha inventato di farsi pane; per questo ci raduna qui, ogni domenica: perché ciascuno di noi possa incontrare Lui, dal cuore dolce e mite.
Lo Spirito ci aiuti ad accoglierLo!
Il regno dei cieli si può paragonare a..." XVI Domenica del tempo ordinario - 19 luglio 1993
(il buon seme e la zizzania, il granellino Matteo 13, 24 - 43
di senape, il lievito)
Uno dei racconti che ha fatto più problema alla mia vita di fede è il racconto del "paradiso terrestre" - tutti lo conoscete - e non tanto per la storia ingenua della mela, dell'albero, del serpente: ho fatto presto a superare e a capire i simbolismi che c'erano dietro questi racconti. Ma quello che ha fatto problema per me è l'idea che sta dietro il racconto del paradiso terrestre: l'idea che l'uomo è uscito dalle mani di Dio perfetto!
Quando, parecchio tempo fà, studiavo, con parole difficili ci parlavano dei "doni preternaturali", i doni straordinari che quest'uomo, uscito dalle mani di Dio, aveva. Dietro questo c'è l'idea che Dio ama le cose perfette, compiute; e che si può solo andare indietro, si può solo decadere!
Pian piano ho scoperto le parabole del Vangelo di oggi: attraverso queste parabole (secondo me sono parabole straordinarie!) si cerca di intravedere chi è Dio. Dio ama le cose che crescono, che sbocciano; ama la primavera, le promesse del futuro! Il racconto del paradiso terrestre non è l'inizio, ma l'annuncio della meta, il progetto della casa da costruire; e in mezzo, tra l'inizio che è un boccio, che è un piccolo seme, e il progetto compiuto, c'è tutto il faticoso cammino dell'uomo.
Noi siamo nati, come umanità, come un granellino di senape. E a noi è stato affidato il compito di costruire la vita, la fatica di crescere, l'impegno di far nascere la realtà della tenerezza, dell'amore, della giustizia, del bene: tutto questo non c'è stato dato in maniera compiuta. Dio non è un mago che ha creato il mondo già compiuto e perfetto, popolato di tanti burattini!
E nel cammino dell'uomo c'è stata anche la "zizzania". Non dobbiamo andare a cercare lontano il "nemico" che ha fatto questo... Siamo noi: ci portiamo dentro li noi l'inimicizia per la vita, il senso della distruzione e della morte: basta che ci guardiamo intorno! E insieme a questo, c'è anche dentro di noi il seme di Dio: la promessa del futuro, come il lievito che fa fermentare tutta la pasta, come il piccolo seme che può diventare un albero.
E il compito di ogni generazione - non soltanto di credenti, ma di uomini - è quello di fare un passo verso l'albero fiorito e ricco di frutti, di fare un passo verso la pasta tutta lievitata! Ogni generazione di uomini non vedrà mai il pane cotto nel forno, caldo e profumato; soltanto il lievito: la speranza, il cammino verso il futuro... l'impazienza appartiene alla giovinezza della vita - un'umanità giovane ha scritto quell'antico racconto! - ma poi occorre accettare la fatica di crescere, occorre rinunciare all'impazienza che spesso genera l'intolleranza, occorre trovare il coraggio per la lenta e paziente costruzione della vita.
Tanta gente prima di noi ha camminato, credendo nel futuro, cercando di essere lievito, credendo che fosse importante far crescere il seme, che c'è dentro di noi. Vedete, qualche volta noi immaginiamo Dio come colui che fa tutte le cose perfette...e il mondo ci diventa incomprensibile! Dio ha affidato a noi, ha messo nel profondo della nostra vita, il Suo seme; e ci ha detto: "Questo è il progetto, questa è la verità della vita, questa è la meta!"
I racconti della Genesi ci indicano verso dove camminiamo: verso il progetto che Dio ha fatto per noi. E per noi è la fatica di crescere, la fatica di portare nel mondo la ricchezza del bene.
È questo il Dio in cui crediamo!
"Il regno dei cieli si può paragonare XVI Domenica del tempo ordinario - 18 luglio 1999
...al buon seme seminato nel campo: Matteo 13, 24-43
poi apparve anche la zizzania...
ad un granellino di senape... al lievito
che una donna ha impastato con tre
misure di farina perché tutta si fermenti".
Non credo che sia saggio per voi, cristiani di Roma o di Ostia, l'anno prossimo, nel grande giubileo, andare in pellegrinaggio, a visitare i grandi monumenti della tradizione cristiana. Credo che sia saggio lasciare l'opportunità alle migliaia - forse milioni - di persone, che verranno da lontano; voi avrete poi tanti anni per fare il vostro pellegrinaggio. Ma c'è forse un luogo, in cui non troverete tanti visitatori, che merita l'anno prossimo il vostro pellegrinaggio. E quindi ecco il consiglio che vorrei darvi per il prossimo giubileo.
Andate a Campo dei Fiori, c'è il monumento a Giordano Bruno, per ricordare che lì, 400 anni fa, quell'uomo è stato bruciato sul rogo: fate lì il vostro pellegrinaggio. Poi fermatevi nei dintorni, fra l'altro sono tra i più belli di Roma: piazza Farnese, piazza Navona, piazza della Cancelleria, i vicoli intorno a Campo dei Fiori. E girando tra tanta bellezza, provate a riflettere sulla tolleranza e l'intolleranza.
Perché sono problemi che oggi ci inquietano parecchio. Sentite parlare sui giornali dell'intolleranza di alcune tradizioni religiose; in questi giorni si parla dell'Iran degli Ayatollah, della severità della legge islamica; ne abbiamo sentito parlare a proposito della vicina Jugoslavia. Ma anche qui da noi: sentite parlare dell'intolleranza del Nord verso il Sud, di certi atteggiamenti "leghisti", dell'intolleranza verso gli immigrati; e quant'altro.
E d'altra parte sentite sui giornali citare come esempio la "tolleranza zero" del sindaco di New York; sentite delle riflessioni sul fatto che - anche nel nostro paese e forse sempre di più - ci sia una sorta di impunità per tanti reati minori: c'è il problema della delinquenza dei giovani, a volte dei giovanissimi, degli extracomunitari. Problemi che viviamo anche qui ad Ostia; di fronte ai quali spesso non c'è la tolleranza, ma il disinteresse; o per dirla alla romana il menefreghismo. Tutti ci richiudiamo nei nostri gusci e lasciamo che le cose vadano come vadano... E molti rischiano di vivere nell'impunità e di rendere sempre più complicata la vita, specialmente degli anziani...
Dove comincia l'intolleranza? dove finisce l'indifferenza? O viceversa: dove comincia l'indifferenza e finisce l'intolleranza?
E questi problemi non riguardano soltanto la società; ma - lo sapete - anche le nostre case. Fino a che punto bisogna essere tolleranti e consenzienti con i figli? E dove comincia la complicità con i loro comportamenti negativi? E quando invece siamo soltanto intolleranti verso una mentalità e dei comportamenti diversi dai nostri? Ed è un problema che riguarda anche le nostre scuole: fino a che punto è giusto essere tolleranti e permettere che i ragazzi facciano di tutto? Dove finisce l'intolleranza e dove invece comincia la serietà e la severità di un impegno educativo? Son problemi seri!
E poi vi conviene rileggere il Vangelo di oggi: per tentare di capire che forse il nostro vero problema non è di essere tolleranti o intolleranti, ma è quello di essere come un seme che cresce e pian piano diventa un albero e porta frutti di giustizia e di vita! Come il lievito che cerca di far fermentare i valori che arricchiscono la società e non si aspetta di vedere subito il risultato; ma che non si stanca, non diventa indifferente. Il lievito non si vede, sta dentro la pasta, sembra quasi non esserci... ma è tutto meno che indifferente: lavora, fa in modo che la pasta cresca.
Colui che è lievito, nella società, forse non sentirà mai il profumo del pane appena sfornato, ma potrà dire, andando la sera a dormire o al tramonto della vita: "Ho tentato di essere lievito, di far crescere i valori in cui credevo. Senza intolleranza, senza ergermi a giudice, ma facendo la mia parte senza indifferenza: tutto quello che potevo, perché il mondo fosse migliore!"
Ecco quello che mi sembra un buon consiglio per il prossimo giubileo: una visita al monumento di Giordano Bruno ed una riflessione sulla tolleranza.
Il Signore ci aiuti!
"Se qualcuno vuol venire dietro XXII Domenica del tempo ordinario - 29 agosto 1999
a me rinneghi se stesso, prenda Matteo 16, 21-27
la sua croce e mi segua".
Come avete ascoltato, le letture di oggi ci propongono il tema della croce, che riguarda anche oggi tante persone nel mondo e che a volte attraversa anche la nostra vita. Un tema forte e drammatico che mal si addice a queste ultime domeniche di estate, ad ascoltatori accadalti, come vedo dai tanti ventagli che agitate. E allora, cercando di farla corta, vorrei dirvi qualche cosa di marginale, ma che forse vi conviene ascoltare attentamente, perché può aiutarvi, riflettendoci sopra, a capire come a volte dei temi importanti, anzi fondamentali, del Vangelo possono venire distorti e, invece di aiutare a vivere, procurano guai nell'esperienza concreta delle persone.
Mi capitava questa estate di riflettere con due ragazze abbastanza giovani - che forse non si rendevano conto della gravità del problema - su quanto nella nostra società, soprattutto nella cultura medica del nostro paese, ci sia poca attenzione al problema del dolore. Non so se ve ne siete accorti, ma i nostri medici ritengono scontato che il malato soffra. Oggi gli studi hanno portato la medicina ad essere in grado di eliminare quasi completamente il dolore dalla vita delle persone; ma la maggior parte dei medici non se ne preoccupa: la sofferenza è considerata un fatto naturale. Non è forse uno dei frutti di una certa cultura cattolica? Non ci hanno fatto fare, quando eravamo bambini, tanti "fioretti"? non ci hanno detto che la sofferenza offerta a Dio è a Lui gradita? non ci hanno raccontato storie di santi che si flagellavano, che portavano il cilicio, che facevano lunghi digiuni e penitenze? Tutto questo porta ad una cultura in cui il dolore viene dato come normale, addirittura come qualche cosa di salvifico, gradito al Signore!...
Noi non dovremmo accettare questa cultura; dovremmo esigere dai nostri medici anzitutto che siano competenti su questo aspetto: spesso non ne sanno nemmeno loro gran che. La ricerca è andata molto avanti in questi campi. Un esempio: in Italia il parto indolore, con anestesia, viene praticato in pochissimi casi; in altre parti del mondo è una cosa normale. E non dite che molti dei nostri, medici non credono più al Signore o non praticano la religione: queste cose si stratificano nella cultura di un popolo e tutti noi abbiamo, io credo, il dovere di combattere: dobbiamo esigere - per noi e per i nostri familiari - di non soffrire. La sofferenza non è affatto gradita a Dio e non è affatto una cosa naturale! L'uomo ha il dovere di combatterla! Dobbiamo esigere dai nostri medici una competenza autentica su questi aspetti. Soprattutto su quell'aspetto, così trascurato nel nostro paese, che è la sofferenza psichica, spesso così pesante e devastante. Se avete - voi stessi o una persona che vi è cara - un problema di sofferenza psichica e andate dal medico di famiglia, ancora vi consiglia di fare un viaggetto, di distrarvi un po' e di portare pazienza!... Tutto questo è indegno di un paese civile ed è frutto, forse, di una cultura cattolica, che ha proclamato la salvezza che viene dal dolore e dalla sofferenza.
"Portare la croce" - come facilmente potete comprendere se ci riflettete un momento - è tutta un'altra cosa. È un problema estremamente serio, che riguarda l'uomo giusto che si trova ad affrontare la violenza, che gli impedisce di realizzare la giustizia sulla terra. E a volte questo comporta la croce, la sofferenza e la morte anche oggi! Ma accettare che un malato terminale stia nel letto con sofferenze indicibili, quando gli si possono togliere - e oggi la scienza è in grado di toglierle in maniera totale -, questo è insopportabile! Non ha nulla a che spartire con il Vangelo. Non ha nulla a che spartire con la croce. Non ha nulla a che spartire con il rispetto che si deve a Dio.
Allora, se posso darvi un consiglio: tutti noi abbiamo da portare delle croci nella vita; ma tutti noi dobbiamo esigere dai nostri medici che non ci facciano soffrire. Perché oggi si può.
Parlatene di queste cose: portiamo il peso di una cultura cattolica di cui siamo tutti responsabili! Non aspettate che di queste cose parlino coloro che scrivono libri, coloro che parlano dalle cattedre: è compito di tutti noi, che queste cose le viviamo, a volte, sulla nostra pelle.
Il Signore ci aiuti!
"Figlio dell'uomo, io ti ho costituito XXIII Domenica del tempo ordinario - 5 settembre 1999
come sentinella per gli Israeliti... " Ezechiele 33,7-9 - Matteo 18,15-20
"Se il tuo fratello commette una
colpa, vai e ammoniscilo... "
Come il profeta, anche noi siamo invitati ad essere "sentinelle", contro il male. E Gesù nel Vangelo ci esorta alla correzione fraterna: "Se il tuo fratello commette una colpa, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se non ti ascolta chiama due o tre testimoni..."
Quando si legge insieme questa pagina del Vangelo, c'è sempre qualcuno che si sgomenta. Sono parole che sembrano semplici; ma quando ci si domanda come le viviamo nella nostra vita concreta... È mai successo a qualcuno di voi di andare da un altro e ammonirlo "fra te e lui solo"?
A volte la gente non riesce nemmeno coi figli. Quando i ragazzi crescono e magari prendono una strada sbagliata, assumono un comportamento non giusto, a volte dire una parola non si può: si rischia di far peggio, di combinare dei guai, bisogna stare zitti. A volte è difficile anche fra marito e moglie dirsi qualcosa: si tiene il muso, ci si sfoga con qualche amico, ma è difficile parlare! È meglio certi argomenti non affrontarli, si rischia solo di litigare. A volte anche tra fratelli si creano delle situazioni difficili e spesso non si riesce a dire una parola, non si può correggere niente, è meglio tacere. E se provate a cercare aiuto da qualcuno, nessuno è in grado di darvelo. Altro che trovare due o tre testimoni per risolvere tutto!
Tutto questo sia detto a vostra consolazione: perché penso che molti di voi si siano trovati in queste difficoltà e abbiano sentito pesare sulla propria coscienza queste parole del Vangelo.
Non parliamo, poi, nell'ambito del lavoro o della società civile: a chi di noi è riuscito di correggere qualche comportamento sbagliato nel posto dove lavoriamo, nella nostra città, nel mondo in cui viviamo? E vedete, non succede soltanto a noi che viviamo nel 1999: era così anche per quelli che hanno scritto il Vangelo. Tanto che hanno aggiunto alcune parole per dirci: è vero, è difficile; però se non lo fate voi non lo fa nessuno. È questo, molto probabilmente, il senso della frase: "Tutto quello che voi legate sulla terra sarà legato anche in cielo; tutto quello che voi sciogliete, sarà siolto anche in cielo". Cioè non viene il Padreterno a risolvere i problemi: o li risolvete voi, o non li risolve nessuno.
E poi insistono: "Però non è semplice: tanto che se due o tre di voi si mettono d'accordo, il Padre li esaudirà". Il che significa che riuscire a mettersi d'accordo, anche nella propria casa, è quasi un miracolo!
Allora, consoliamoci a vicenda: mal comune - dicevano gli antichi - mezzo gaudio. Ma forse posso darvi anche una consolazione in più. Vedete, a volte certe cose ci sembrano difficili e poi, magari senza accorgercene, le facciamo. Tra di voi ci sono molti genitori che hanno avuto difficoltà nei confronti dei loro figli, che si sono trovati, in qualche momento, in profondo imbarazzo a dir loro qualcosa. Ma se ripensate alla vostra vita - magari chi ha i capelli bianchi - vi accorgerete che spesso siete riusciti a correggere un figlio, a dargli le indicazioni giuste, specialmente quando erano piccoli! Avete comunicato loro valori, li avete fatto crescere con il senso della giustizia, dell'onestà.
E anche sul posto del lavoro: molti di voi magari non sono riusciti a parlare, ma hanno dato testimonianza di fedeltà, di onestà, di impegno. Ed anche nella società... se il mondo va avanti è perché c'è tanta gente come voi che, senza brontolare troppo, continua a fare il proprio dovere.
Possiamo fare qualcosa di più? forse, ma non molto. Se posso aggiungere qualche banalità: non serve brontolare, lamentarsi (oggi lo fanno già in troppi), serve ancor meno giudicare e condannare: è molto meglio cercare di capire. E poi forse è meglio (nel mondo di oggi siamo sommersi da tante parole) che ci sia sempre più gente che parla poco, ma tenta di rimanere fedele, di agire concretamente, di fare qualcosa. E questo è forse il modo migliore per essere "sentinelle", per portare il nostro contributo a che nel mondo ci sia meno male. Non aiuta il mondo chi brontola, chi si lamenta, chi parla sempre, chi ha un giudizio su tutti; ma chi cerca, magari silenziosamente, di svolgere il proprio compito nella vita: con fedeltà, con pazienza, con coraggio!
Lo so che non è semplice... Per questo siamo qui, a chiedere l'aiuto del Signore!
"Signore, quante volte dovrò XXIV Domenica del tempo ordinario - 12 settembre 1999
perdonare al mio fratello, se Matteo 18, 21‑35
pecca contro di me? Fino a sette
volte?". E Gesù: "Non ti dico fino
a sette, ma fino a settanta volte sette".
Uno dei segni del tempo che passa, dei giorni che si sommano ai giorni, dei capelli che diventano bianchi, è - credo che siate in molti d'accordo con me - che si diventa insofferenti. Ed anche io mi accorgo di diventare sempre più insofferente verso tante cose. Tra queste ci sono le parole, i discorsi che mi appaiono vuoti, quando non addirittura falsi e ricchi di ipocrisia. Una di queste parole è proprio la parola "perdono". Mi è capitato più volte di dire che, se dipendesse da me, la toglierei dal vocabolario cristiano. Qualche esempio, per aiutarvi forse a riflettere, a domandarvi cosa può significare a volte chiedere perdono, perdonare, essere perdonati.
Mi capitava qualche tempo fa di ascoltare la notizia di un uomo, che aveva investito con la sua auto un bambino, non si era fermato; poi lo avevano cercato, finalmente preso; e in carcere aveva scritto una lettera ai genitori del bambino, per chiedere perdono per quello che aveva fatto. Che significa in questo caso chiedere perdono? E che cosa può significare per quei genitori concedere il perdono? Che senso ha? non vi sembra una parola del tutto vuota? Chi chiede perdono, è veramente cambiato dentro? Se gli dovesse capitare, un'altra volta si fermerebbe ad assistere il bambino? E per quei genitori... che significa perdonare? La richiesta di perdono non è un altro colpo alla loro vita? Se dicono: non perdono... non hanno più diritto di sentirsi cristiani? E se perdonano: che senso ha? Chi può ridare loro il figlio?!
Qualche tempo dopo queste domande, mi capitava di ascoltare, per l'ennesima volta, il Papa che, a nome della Chiesa, chiedeva perdono. Lo ascolti una volta, magari dici: "Oh che bella cosa! Finalmente nella Chiesa chiediamo perdono per gli errori del passato". Lo ascolti due volte, tre volte e ti domandi: "Ma che senso ha?". Che senso ha chiedere perdono se non si riflette sul perché di quegli errori; senza magari evitare di ripeterli ancora oggi! Che senso ha chiedere perdono per gli errori del passato, quando i protagonisti non ci sono più, quando non serve a cambiare nulla?!
Il prossimo giubileo sentirete tante volte richieste di perdono; magari con cerimonie solenni. Chissà, forse il 17 febbraio si andrà in pellegrinaggio a Campo dei fiori (stanno restaurando la statua di Giordano Bruno e tutta la piazza... Campo dei fiori diventerà bellissimo!): si farà forse una grande cerimonia, per chiedere perdono perché quell'uomo, 400 anni fa, fu bruciato sul rogo; ci batteremo il petto... o meglio: si batteranno il petto! Quando vedrete queste immagini alla TV, domandatevi: che senso ha? Perché tutto questo?! Non è un prendersi in giro chiedere perdono di cose successe 400 anni fa, senza chiedersi quali siano state le cause di quel rogo, magari con il rischio di ripeterlo ancora, anche se in modi meno cruenti?...
Forse - ma questo non lo vedrete l'anno prossimo: non sono ancora passati i secoli - bisognerebbe fare il bilancio di questo secolo e fare l'analisi dei tanti crimini commessi dai cristiani negli ultimi cento anni: i campi di concentramento, lo sterminio di milioni di persone... senza che coloro che andavano a messa la domenica si siano accorti di nulla! senza che preti, vescovi, cardinali e la maggior parte del popolo cristiano abbiano alzato la voce: contro Hitler, contro lo sterminio, contro l'olocausto!
Se facessimo grandi cerimonie di pentimento, se anche, come nei tempi antichi, andassimo per le strade d'Europa battendoci le spalle con verghe di ferro... a che servirebbe se non cerchiamo di capire che cosa è accaduto? perché della gente che legge il Vangelo ogni domenica, non ha capito nulla, anzi ha dato il proprio consenso alle cose più efferate di questo tempo?!
E che senso ha, allora, continuare a fare i nostri canti, le grandi assemblee, gli applausi, senza tentare di capire e cercare il modo che quelle cose non accadano anche oggi? Non succederà che nel prossimo giubileo qualcuno andrà in giro a chiedere perdono per quello che è successo nella vicina Jugoslavia o per quello che sta succedendo oggi a Timor, senza che noi siamo stati in grado di intervenire, di fare nulla? Forse non sarebbe bene che non chiedessimo più perdono? che guardandoci negli occhi ci chiedessimo seriamente se si può fare qualcosa?
Io vi ho proposto - ma l'ho fatto apposta - problemi grandi, che sfuggono alla vostra capacità di intervenire. Ma questi discorsi valgono anche per i piccoli problemi di ogni giorno Quando avete detto a vostro figlio: ti perdono, chiedetevi: che significa? che ho detto? che vuol dire?!... Quando dite a vostra moglie: Ti perdono, o quando le dite: mi devi chiedere perdono... che vuol dire?! se non cerchiamo di capire, di incontrarci, di guardarci negli occhi, di ritentare di camminare insieme!
Una proposta, inascoltata: cancelliamo la parola perdono! non usiamola più: è spesso solo ipocrisia. Cerchiamo di capire come la nostra vita può essere più ricca di attenzione, di tenerezza, di comprensione! Tentiamo di parlarci, anche delle cose di ogni giorno: forse qualcosa riusciremo a cambiare. Altrimenti continueremo a chiedere perdono al Signore ogni mattina, a chiedere perdono al Signore ogni sera. Siamo abituati a batterci il petto, a chiedere perdono... ma poi non cambia mai niente! Perché è difficile pensare, è difficile parlarsi, è difficile riprendere la strada. Ma son proprio queste cose difficili che hanno senso! Altrimenti le nostre parole sono sempre più vuote...
Il Signore ci aiuti!
"Il banchetto nuziale è pronto: andate XXVIII Domenica del tempo ordinario - 10 ottobre 1999
ai crocicchi delle strade e tutti quelli Matteo 22,1-14
che trovate chiamateli alle nozze".
Non ho mai avuto interesse per i gioielli, per le pietre preziose; mi sembrava - e in gran parte mi sembra ancor oggi - un modo di sciupare i denari. Eppure, ho visto che non solo nella storia degli uomini sono oggetto di grandi passioni, ma anche nel Vangelo sono uno dei simboli che possono aiutarci a capire Dio.
Mi è capitato a volte di guardare con curiosità qualche documentario in cui si racconta la fatica dei cercatori di pietre preziose: debbono setacciare montagne di terra; e avere l'occhio capace di intuire sotto la polvere e il fango la presenza di una pietra straordinaria. E quando qualcuno ne trova una vedete i suoi occhi illuminarsi: probabilmente cambia la sua condizione economica e la sua vita.
Un'esperienza simile mi sembra di aver fatto con qualche pagina del Vangelo: e specialmente con quella di oggi. Perché, vedete, a mio avviso ci troviamo di fronte ad una perla straordinaria; ma per scoprirla bisogna togliere via montagne di terra e liberarla da tutto il fango e le incrostazioni del tempo. E ce ne sono, fin dall'inizio. Non so se avete ascoltato con attenzione e sorpresa questa parabola. Si parla di un re che fa un banchetto di nozze: invita dei commensali e stranamente questi non solo non accolgono l'invito, ma addirittura uccidono coloro che vengono ad invitarli alla festa. E cosa fa il re? manda i suoi eserciti a distruggere e bruciare quella città e ad uccidere quegli invitati. Non vi sembra esagerato per una festa a cui qualcuno non ha voglia di partecipare? Ebbene, a me sembra che qui ci sia tutta la polvere degli uomini... e come meravigliarci se i sogni di Dio - se le perle di Dio - affidati a della gente come noi, vengono ricoperti di terra e di fango?!
Vedete, man mano che i primi cristiani raccontano questa parabola la caricano dei loro rancori, del loro desiderio di vendetta: quando vedono Gerusalemme in fiamme pensano che sia "la vendetta di Dio": è venuto l'esercito di Tito che ha portato distruzione e morte. E chi ripete questa parabola dice: "Ecco, non hanno voluto accettare l'invito del Signore, ma Dio ha mandato il suo esercito e ha distrutto tutto"... È la polvere, il desiderio di vendetta degli uomini, il rancore - giustificato per loro - perché molti di loro sono stati uccisi: c'erano (quando si radunavano come noi intorno alla tavola) delle mamme, dei papà ai quali i farisei, i capi del popolo, avevano ucciso i figli. Come non vedere la vendetta del Signore in quell'esercito? Ma per noi questo è insopportabile...
Ma c'è altra polvere in questa parabola: gli studiosi ci avvertono che oggi abbiamo ascoltato due parabole: la seconda è stata aggiunta dopo. Mentre parlano con gioia di una festa che si fa anche se i primi invitati non sono voluti venire, mentre si riconoscono nei nuovi invitati "ai crocicchi delle strade", i bravi maestri del tempo di Matteo sentono il dovere di aggiungere: "Attenzione, però! non basta essere invitati alle nozze: bisogna avere l'abito bello!".
E quanta terra, poi, su questa parabola! Quando ero ragazzo l'ho sentita raccontare tante volte. Mi dicevano: "Ecco, tu sei come questi invitati: invece di venire a Messa, te ne vai con gli amici a giocare a pallone". Oppure, prima di fare la comunione, sempre "a confessarsi: perché non puoi avvicinarti al Signore con l'abito sporco". Sempre il moralismo! quanto ne ho sentito! quanto ho dovuto scavare per trovare la perla straordinaria di questa parabola!
Vedete, qui c'è il sogno di Dio affidato a noi: Dio sogna una festa e se gli invitati non vogliono venire, la festa si fa lo stesso: perché è la festa di Dio! è il suo progetto per noi, è la sua passione per la nostra vita! è il suo sogno di giustizia e di pace, che DEVE attraversare la nostra storia! E Dio non si stanca di cercare questa festa; e bisogna andare in giro per il mondo e invitare più gente possibile. Perché è la festa di Dio, è il suo sogno per la vita degli uomini!
Il nostro compito, fratelli, è quello di cercare, di conservare nel cuore questo sogno. Non solo: ma di guardarci intorno per cogliere i segni di questa festa, che avanza nel mondo. E non è semplice: la TV, i giornali riempiono la nostra mente, il nostro cuore di notizie cattive, di cose che non vanno... e noi rischiamo di non accorgerci delle possibilità di vita che ci sono, della bellezza che c'è intorno a noi!
A cominciare dalla bellezza della natura: c'è gente, anche fra di voi, che non si accorge di questo splendido ottobre, giornate straordinarie; che non si accorge del bene che ci cresce accanto, della tenerezza dei nostri bambini, della dedizione e dell'amore di tante persone. Se vi capita di passare in uno di questi pomeriggi intorno al campo sportivo vedrete non soltanto bambini e ragazzi, ma anche moltissime mamme che sgambettano, che si danno alla ginnastica, che chiacchierano fra di loro, che si divertono. Quando mai mia mamma ha potuto far questo? quando mai? per loro la vita era solo lavoro, solo fatica, spesso sofferenza!
Se ascoltate la TV, vi ripetono spesso che l'aria è inquinata, l'acqua è inquinata, il cibo è inquinato: sembra che la nostra salute sia in continuo pericolo: dovremmo morire da un giorno all'altro Ai tempi di mio nonno la vita media degli uomini arrivava a 45 anni, ora supera i 75 anni; avevano il problema di vivere, noi abbiamo il problema di morire... nun ce fanno più morì!
È la passione di Dio per la nostra vita, che cammina nel mondo; e non ce ne accorgiamo! C'è gente che non sa più nemmeno guardare il sole, che non si accorge di tutti i gesti di tenerezza che si fanno: siamo rintronati da quella genia perversa che affligge la nostra vita: i giornalisti, la gente che ci parla sempre di cose negative...
Guardate le cose belle del mondo, spalancate gli occhi sul sole, guardate la gente che vi sta intorno; apprezzate l'amicizia, la tenerezza, la bontà che c'è e che non fa rumore: nessuno ne parlerà mai; ma c'è! Guardate le nostre donne che fanno ginnastica, guardate tutta la gente che va al mare, guardate tutti i giovani che si divertono, guardate i loro occhi ancora luminosi! È la passione di Dio per la nostra vita! Ci hanno ripetuto troppe volte che Dio lo si incontra nella sofferenza, nel sacrificio, nella rinuncia! Ci hanno detto che il segno della bontà è la sofferenza: ce l'hanno raccontato tante volte... Non date retta! Dio ama la festa, la gioia, il piacere, la vita! È impegnato con noi perché si faccia festa!
SI, anche a noi qualche volta capita di non partecipare alla festa, di non accogliere l'invito... Ma la festa si fa lo stesso: è la festa di Dio!
Il Signore ci aiuti!
"È lecito o no pagare il tributo a XXIX Domenica del tempo ordinario - 20 ottobre 1996
Cesare?" - "Rendete a Cesare Matteo 22, 15-21
quello che è di Cesare e a Dio
quello che è di Dio"
Stasera - ve ne sarete accorti dalla mia introduzione - è sera di domande con poche risposte. Qualcuno di voi dirà: "Come al solito, don Checco!". Sì, come al solito. Il mio rammarico, fratelli, non è quello di non sapervi dare risposte, ma quello di non sapervi fare le domande giuste, di non farvele con la forza sufficiente che vi aiuti a pensare. Penso che chi viene in chiesa per trovare risposte, ormai ha trovato altri lidi, altre persone capaci di dame.
Oggi qualche domanda più del solito, sperando che aiutino a pensare. Se poi per qualcuno queste domande sono pesanti o danno noia, porti un po' di pazienza: cercherò di fare il più in fretta possibile.
Ecco dunque, la domanda da cui vorrei cominciare: è forse vero, che a noi cattolici - e non soltanto qui in Italia - manca spesso il senso dello Stato, il senso della responsabilità civile, il senso dell'impegno verso la comunità, l'attenzione per le cose comuni? Avete ritrovato queste mancanze nella vostra personale esperienza?
E se questo, almeno in parte, è vero, da dove viene tale mancanza? Forse dipende proprio dal Vangelo, dove non si affrontano temi politici e sociali? Quello che abbiamo davanti è forse l'unico caso in cui nel Vangelo si affrontano questi problemi: "Si debbono o no pagare le tasse?". E come avete ascoltato, Gesù non risponde: non dice un Sì o un No; dice una parola tutta da interpretare, e nel corso della storia è stata - e pesantemente - interpretata.
Dipende forse dal fatto che il Vangelo è nato in un gruppo di persone che erano fuori dal gioco dello Stato, della società, perseguitati, e minacciati nella loro stessa esistenza e che quindi non potevano non chiudersi all'interno della loro fede, della loro pratica religiosa?
O forse dipende dal fatto che molto presto il Cristianesimo è stato influenzato da certi filoni della mentalità greca - pur così attenta nel periodo classico ai temi sociali e politici - in cui è forte l'opposizione tra la materia e lo spirito? O forse dall'eccessiva tensione verso l'aldilà, che porta a trascurare la vita di ogni giorno, i problemi del lavoro e della società?
O forse dipende dal fatto che fin dai primi tempi si sono impossessati della riflessione cristiana i monaci, che per principio vivevano separati dal mondo, tutti dediti all'incontro con Dio, tutti dediti alla preghiera? che rinunciavano - o pensavano di rinunciare - alle cose del mondo: al potere, alla vita sociale?
O forse questa mancanza dipende dal fatto che molti di noi sono stati abituati ad una preghiera lontana dalla vita: novene, visite ai santuari, voti, devozioni ai vari santi... e non ad una preghiera per i problemi della vita di ogni giorno, per le venture sociali e politiche del paese?
O forse dipende dal fatto che la maggior parte di noi è stata educata ad una morale strettamente personale, in cui il peccato sommo era il disordine sessuale (guai ad avere un pensiero impuro!); ma non ci si diceva nulla del rapporto nostro con la società, con il bene comune? Ho ascoltato tante confessioni, nella mia vita, ho ascoltato gente che confessava le parolacce, tante persone che dicevano di aver commesso atti impuri. Ma raramente ho sentito un ragazzo dire: "Ho rovinato un muro della mia scuola... ho distrutto una parte del bagno" o "Sono andato, durante la gita scolastica, a rubare al supermercato". Diventano sport di giovani e non colpe; perché la colpa è solo un fatto strettamente privato, personale!
O forse dipende dal fatto (sono tutte domande, ve ne siete accorti. Non voglio darvi risposte) o forse dipende dal fatto che nella tradizione cattolica l'attenzione si è posta sulla famiglia, sulla necessità di difenderla e custodirla e quasi mai una parola viene spesa sulla difesa dello Stato, del bene comune, della collettività? Con il rischio di caricare la famiglia di responsabilità eccessive e di farla sentire isolata e chiusa?
Non si dicono forse tante parole in difesa della scuola cattolica, del diritto dei genitori di mandare i figli ad una scuola scelta da loro; e poche parole perché la scuola di tutti sia ben fatta, curata, difesa, custodita, fatta crescere?
O forse dipende dal fatto che nella vita della Chiesa vige un assoluto potere teocratico, che impedisce alla gente di assumere responsabilità? Dovunque il potere è assoluto la gente non ha il senso della collettività: se vi capita di leggere qualche cronaca della Russia moderna, vedrete a quale devastazione porta, nella coscienza sociale, un potere assoluto. Non succede forse la stessa cosa anche all'interno della vita della Chiesa?
O non dipende dal fatto che noi, nella nostra tradizione cattolica, siamo portati a sacralizzare o demonizzare tutto? per cui nella coscienza di molta gente lo Stato è qualche cosa di lontano, una specie di entità strana e misteriosa, che ci minaccia e ci perseguita?
Ma non siamo "Stato" tutti? Non è "Stato" anche il postino che consegna la lettera? o la maestra che insegna ai nostri figli? o lo spazzino che pulisce le strade? Perché nella nostra tradizione parlare di "Stato" significa parlare di qualcosa di astratto, quasi una rappresentazione del demonio e non della vita, della responsabilità, della realtà di tutti noi, che - TUTTI - siamo in qualche modo "Stato"?
Tutte domande, nessuna risposta. Cercatele!
Io so che il mio Vendicatore è vivo che, ultimo, Commemorazione dei defunti - 2 novembre 1996
si ergerà sulla polvere... vedrò Dio! Io lo vedrò! Giobbe 19, 1.23-27 - Giovanni 6, 37-40
"Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me...
io lo risusciterò nell'ultimo giorno".
Qualche giorno fa mi capitava di parlare con un sacerdote, che aveva partecipato ad un grande congresso, in cui erano riuniti insieme tanti vescovi e cardinali di ogni parte d'Europa, per riflettere sulla fede e la vita cristiana; e mi diceva che molti di questi vescovi erano preoccupati perché la maggior parte dei Cristiani non crede più nell'aldilà.
E se è vero questo allora forse c'è, anche in mezzo a voi, qualcuno che si porta nel cuore la preoccupazione, l'ansia, di non riuscire più a credere nell'aldilà. Un'ansia una preoccupazione, che io ho colto tante volte sulla bocca dei credenti.
I vescovi, vedete, hanno un brutto vizio: quello di non domandarsi mai: "Fosse anche un po' colpa nostra, se la gente non crede più nell'aldilà?".
La nostra tradizione religiosa ha riempito l'aldilà di tante immagini: pensate a tutte le rappresentazioni dell'inferno, del purgatorio, del paradiso. Pensate a tutte le idee di premio e di castigo: di giustizia che Dio fa al di là della vita. O pensate alle grandi costruzioni filosofiche, che hanno parlato dell'immortalità dell'anima, della sopravvivenza dello spirito. Oppure pensate a tutto l'apparato di indulgenze, di suffragi, di offerte per i morti: una macchina gigantesca, messa in piedi, in gran parte, per fare denari...
Se qualcuno di voi non crede più a tutto questo, non si preoccupi!
Vedete, noi non crediamo più - la maggior parte di noi non crede più - a tante rappresentazioni dell'aldilà: al premio, al castigo. Pensiamo che Dio sia più grande di tutto questo! Per molti di noi, le idee della sopravvivenza dello spirito, dell'immortalità dell'anima, sono morte da tempo. Per molti di noi tutto l'apparato di preghiere, di "indulgenze" e di offerte per i defunti, è insensato: la maggior parte di noi non può credere più che Dio condizioni la sua tenerezza verso quelli che son morti, in base ai soldi che noi offriamo! Tutto questo appartiene, per noi, a un mondo che non c'è più. Noi non crediamo più a tutto questo, ma tentiamo di credere in Dio!
Chi è un credente? È uno che crede - o per usare parole che in questo tempo vanno di moda in Italia - "crede di credere" che prima della vita, prima di tutto quello di cui si occupa la scienza, prima della grande "esplosione" da cui quello che noi conosciamo sembra abbia avuto origine, prima dell'esistenza di tutto quello che vediamo intorno, non c'è il nulla, le pure forze del caso! Prima di ogni cosa c'è la tenerezza di un Amore: Dio, che non possiamo in alcun modo vedere e immaginare! E crediamo anche che dopo, quando tutto quello che vediamo sarà finito, non ci sarà il nulla, ma di nuovo quella tenerezza a cui affidiamo la nostra vita!
Non è importante che voi crediate nell'inferno, nel purgatorio, nel paradiso, nell'immortalità dell'anima: è importante che possiate dire, come Gesù sulla croce: "Padre, nelle tue mani affido la mia vita!". In Dio, noi crediamo; non nella sopravvivenza dell'uomo, non nell'immortalità dell'anima, non nelle indulgenze, non nei soldi che aiutano quelli che son morti.
In Dio, crediamo! Che "ultimo - come dice Giobbe - si alzerà sulla polvere!". E a Lui è affidata la nostra vita e l'esistenza dell'universo intero.
Quelli che son morti, non immaginateli: non cercate di captare le voci con il registratore, non pensate di vedere presenze intorno! Noi non crediamo in tutto questo: noi crediamo in Dio! Alle mani amorose del Padre è affidata la vita delle persone, a cui abbiamo voluto bene e che ci hanno voluto bene: senza che ci sia dato di sapere come, senza poter vedere e immaginare...
L'unica fede che ci guida nel cammino della vita: che al di là di tutto ci sia Dio! Dio che, "ultimo, si ergerà sulla polvere" e che ci accoglierà nella tenerezza della sua vita!
È questa la nostra fede e questa fede stasera ci riunisce qui. E possiamo tranquillizzare i nostri vescovi: non crediamo più nelle loro antiche parole, non ci interessano più, ma in Dio vogliamo continuare a crederci, nel Dio della vita speriamo di credere fino in fondo. A Lui affidiamo la nostra vita e quella dei nostri cari!
"Il regno dei cieli è simile a dieci XXXII Domenica del tempo ordinario - 7 novembre 1987
vergini che, prese le loro lampade, Matteo 25, 1-13
uscirono incontro allo sposo... ".
Molte parabole sono raccontate per colpire la fantasia, l'immaginazione della gente che ascolta! Si vuole attirare l'attenzione con la sorpresa, suscitando meraviglia. A volte questa meraviglia è provocata, almeno per la gente del tempo di Gesù, dalla semplicità del racconto, addirittura dalla banalità. Di fronte ad un raccontino semplice, semplice, la gente è portata a chiedersi: "cosa vuol dire, cosa c'è dietro?" Qualche volta, invece, come nel racconto che abbiamo letto stasera, sono alcuni aspetti della parabola che possono suscitare sorpresa. Ce ne sono tantissimi nella parabola di oggi che suscitano sorpresa, o meglio suscitavano sorpresa al tempo di Gesù. Voi non penso che siate stati sorpresi dal fatto che le ragazze debbano muoversi per andare incontro allo sposo: "quando mai, - avrebbe detto uno del tempo di Gesù - si va a cercare lo sposo, è lo sposo che deve venire a cercare la ragazza!" La ragazza aspettava in casa e lo sposo doveva venire lui, anche da lontano e guai se faceva tardi perché lo sposo deve arrivare sempre prima! Voi siete stati invece probabilmente sorpresi da un'altra cosa: avrete forse detto: "ma guarda un po' queste ragazze così cattive che non vogliono dare un po' d'olio alle altre! Perché non hanno diviso l'olio? Quelle che si erano portate il bricchetto dell'olio, perché non ne hanno dato un po' alle altre? Si tratta proprio di egoismo! Che vuole dirci il Signore? Vuole invitarci ad essere egoisti?" Gli antichi, ad ascoltare questi discorsi, vi avrebbero guardato come gente che viene da un altro pianeta, vi avrebbero detto: "Ma come, l'olio non si compra, quest'olio non si compra!" Ecco, vedete, questo forse vi aiuta a capire qual è il significato della parabola: si parla non tanto dell'olio che fa' luce, ma dell'olio simbolo dell'attesa amorosa, del desiderio.
L'olio per gli antichi era una cosa importante, perché loro vivevano la sera sempre alla luce di queste lucerne, specialmente d'inverno, quando il sole tramonta presto, qualche volta esponevano questa lucerna fori, accanto alla porta. La mamma, quando magari il figlio era uscito per andare dagli amici, lasciava questa lucerna. E doveva andare, ogni tanto, a mettere un po' d'olio nella lucerna perché non si spegnesse prima dell'arrivo del figlio. "Quant'olio mi hai fatto consumare per aspettarti!" Sarà successo anche a voi di restare in piedi con la luce accesa, senza dormire, ad aspettare un figlio che non tornava, guardando l'orologio continuamente. Era il vostro desiderio, la vostra ansia, la vostra preoccupazione per questo figlio, per questa figlia che non tornava all'ora stabilita. Questa attesa, questo desiderio, questo aspettare, era simboleggiato per gli antichi proprio dall'olio della lucerna.
Dunque quest'olio non si compra: è l'attesa amorosa, è il desiderio di Gesù che rimane vivo, anche quando Lui tarda a venire. È il desiderio della giustizia, è il desiderio del bene, è il desiderio della vita che qualche volta non si realizza.
Questo c'è in questa parabola! È uno dei problemi più grandi, per me e forse anche per voi, specialmente oggi, (e lo era anche per gli antichi per i quali è stata raccontata questa parabola): a volte quando ci impegniamo per qualche cosa, quando qualcuno di noi si dà da fare per fare il bene, per aiutare una persona: che cosa si aspetta? Di riuscire prontamente, di poter realizzare qualcosa di positivo e di essere anche accolto da quella persona. O quando gli insegnanti cercano a scuola di dare una cultura ai ragazzi, di farli crescere... vorrebbero vedere i risultati, vorrebbero vedere prontamente realizzarsi qualcosa; e così sul posto di lavoro, così nella vita parrocchiale... insomma, siamo tutta gente che vorrebbe vedere arrivare presto lo sposo, con il suo carico di giustizia, di vita. Non preghiamo ogni giorno : "Venga il Tuo Regno"?!
I più avveduti tra di noi sanno che questo Regno si realizza, lentamente e faticosamente, ogni giorno, nella vita dove siamo, nella nostra famiglia, nel posto dove lavoriamo. Per me che son parroco si realizza, nella mia parrocchia, tra la gente con cui vivo, nella Chiesa che mi circonda. E, qualche volta, voi lo sapete, cadono le braccia. Sembra di non realizzare mai nulla, sembra sempre che i problemi siano più grandi di noi e allora ci scoraggiamo, come dice la parabola di oggi: ci mettiamo a dormire un po', cominciamo a dire: "Chi me lo fa fare di continuare a cercare, a sforzarmi...". Quante volte ho sentito dire dalla gente: "Nel posto di lavoro io cerco, cerco... ma sembra che non cavi un ragno dal buco; mi sono stancato, non ce la faccio più".
Qualche volta succede anche nella famiglia, con i figli, nelle nostre relazioni, ci stanchiamo, l'olio finisce! Lo dicevo all'inizio: io mi sento spesso come una lucerna col lucignolo che fumiga, perché sento che, qualche volta, dentro di me, viene meno proprio il desiderio vivo della giustizia, del bene. Vorrei vederla realizzata prontamente in me e anche intorno a me... e i giorni passano, si moltiplicano gli sforzi, ma i risultati non vengono e allora ci si scoraggia. Ecco, la parabola è detta proprio per noi: l'importanza di tenere accesa la nostra lampada, la lampada della nostra speranza.
Tante parabole nel Vangelo parlano di questo: del desiderio vivo che ci deve essere dentro di me e che, spesso, non può realizzarsi oggi, ma deve essere come un seme che porterà i suoi frutti nel futuro.
Ma se non faccio questo, che faccio della vita? Se dalla mia lampada, dalla mia vita se ne va la speranza, il desiderio del bene, l'impegno per costruire il mondo intorno a me, con la gente che ho accanto, che ne è della mia vita?
Ecco, quando viene lo sposo io sarei trovato senz'olio: che non ci capiti mai! Cosa significa essere trovati senz'olio? Significa essere diventati gente che non spera più, che non cerca più, che non si sforza più di costruire il mondo. Per questo il Signore ci direbbe: "non ti conosco". Noi non vogliamo essere così!
Io credo che molti di voi siate come me: col lucignolo che fumiga, con la speranza sempre vacillante, con il pericolo di dire: "ma basta, chi me lo fa fare di cercare il bene nella vita..." Ecco, ogni volta che noi ci incontriamo con Gesù, Lui non spegne mai il nostro lucignolo, ma è sempre in mezzo a noi per metterci nel cuore un po' di speranza, è come un amico che ti mette la mano sulla spalla e ti dice : "coraggio, ci sono io accanto a te, cerca ancora, metti il tuo seme nella vita, niente del bene che fai andrà perduto, anche se non vedi i risultati subito, il bene che metti intorno a te, nella tua casa, nel posto dove lavori, tra la tua gente, tutto questo pian piano, porterà dei frutti, conserva nel cuore la speranza, ne va della tua stessa vita.
...un uomo, partendo per un XXXIII Domenica del tempo ordinario - 14 novembre 1999
viaggio, chiamò i suoi servi Matteo 25,14-30
e consegnò loro i suoi beni.
A uno diede cinque talenti,
a un altro due, a un altro uno...
Questa parabola è stata nella mia vita di credente una delle più importanti. Non è però una parabola semplice: è una parabola che ha due fuochi, due centri d'interesse; o forse sarebbe meglio dire che sono due parabole, legate ma profondamente diverse l'una dall'altra. Io tento di comunicarvi quella che è stata la mia esperienza, sperando che anche voi possiate ritrovarvi un po' della vostra e che questo vi aiuti comprendere queste due, non semplici, parabole. Ed anche a intravedere i pericoli che ci sono dietro questa parabola.
Dunque, la prima parte della parabola parla di due servi che hanno ricevuto dei talenti. La prima cosa da notare è che il talento è una misura molto grande: pensate che un talento corrisponde a diecimila denari; e il denaro è la paga di un giorno; quindi un talento corrisponde a diecimila giornate di lavoro, la paga di una vita! Sarebbero, oggi, centinaia di milioni, forse qualcosa di più. Ma non è questa la cosa più importante: quando si legge questa parabola con i ragazzi, subito chiedono: "Perché ad uno cinque, ad uno due, ad uno un talento solo? Non sarebbe meglio dare a tutti gli stessi talenti?". Forse sarebbe più giusto, ma certo non è così! Da quando ho cominciato a riflettere sulla mia esperienza, ho sempre compreso la verità di questa parabola: certamente non tutti hanno gli stessi talenti!
Ed io mi sono sempre sentito un uomo fortunato. Vedete, io sono nato in una famiglia che aveva poche cose: eravamo poveri, allora. Io sono nato nel '37: è venuta la guerra, eppure a noi non è mai mancato il pane; con grandi sacrifici da parte di mio papà e di mia mamma. Ma soprattutto a me non è mai mancata la tenerezza, l'affetto, il rispetto; a me non è mai mancata la possibilità di andare a scuola, di studiare; io ho letto biblioteche intere! Qualche volta ho incontrato dei ragazzi nati in una famiglia in cui c'era violenza, c'era sopraffazione; quanti ragazzi, quante ragazze hanno subito violenze in casa! a volte anche violenze sessuali, dai propri genitori! A me non è mai successo niente del genere...
Io sono stato circondato di affetto e di tenerezza; sono vissuto nell'onestà. Io ho avuto nella mia vita tante amicizie, tante possibilità. C'è gente che vive in famiglie in cui c'è il degrado più totale! come potevo io confrontarmi con loro? Come pensare che avessimo tutti gli stessi talenti? Io so di essere uno che ha ricevuto tanto! Ogni volta che mi metto a pregare, a riflettere, comincio sempre da qui: da tutto quello che ho ricevuto, da quanto io sono stato fortunato! E allora la conseguenza - di dover "trafficare i talenti", di dovere dare un po' - non c'è nemmeno bisogno di dirla, è una cosa naturale: se ho ricevuto tanto, come non dare un almeno qualcosa?! Il mio esame di coscienza nasce sempre da qui: ho sciupato qualcosa di quello che ho ricevuto! Ho ricevuto tanto e ho dato poco; a volte trovo di aver sciupato anche i doni di ogni giorno!
È stata questa una delle riflessioni più importanti della mia vita. Qualche volta ho provato a farla con qualcun altro e mi sono dovuto accorgere che dovevo fermarmi subito... Ho ascoltato tante volte delle persone venire da me a sfogarsi: "Continuano a ripetermi che non posso lamentarmi di niente, che c'è tanta gente che sta peggio di me, che non mi manca niente: che ho una bella famiglia... Eppure io sento di non aver niente!". Quanti ragazzi a volte provano un senso di profonda sfiducia di fronte alla vita! quanti ragazzi preoccupati e ansiosi! Pensano di non essere niente: di non essere belli, di non essere bravi, di non essere capaci. E se dite loro: "Ma di che ti lamenti! hai tutto, non ti manca niente; pensa a quelli che non l'hanno", mettete un peso sul loro cuore. Ecco perché è pericolosa, la parabola dei talenti!
Ma c'è di più: a qualcuno spesso viene chiesto di trafficare talenti che non ha, a molti la società, gli altri, impongono mete troppo alte. C'è addirittura chi è stato costretto a vivere contro la sua natura, a comportarsi, ad essere come non si sentiva di essere.
Ed ecco la seconda parte di questa parabola: anche questa è stata importantissima per me. È la parabola dell'ultimo servo. Badate bene: questo servo non è un delinquente, non ha rubato nulla; il suo talento l'ha soltanto nascosto sotto terra. E quando si presenta al suo padrone, può dirgli: "Ecco il tuo". Ma quello che è importante, è ciò che dice prima: "Io so che tu sei un padrone duro ed esigente; che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Per paura, io... ". La paura, il senso della colpa, il peso che schiaccia! Quante volte l'ho incontrato nella mia vita! Quante volte ho visto davanti a me gente impaurita: la paura di Dio, la paura della vita, la paura del confronto con gli altri! Questa parabola è un invito a riflettere sulla paura dell'ultimo servo.
Provate a confrontare queste parole -"so che tu sei un padrone duro ed esigente" - con il Vangelo: è forse così il padre della parabola del figlio che se ne va? Quello sì ha sciupato tutto! aveva ricevuto metà del patrimonio del padre e l'ha sciupato: è finito a fare il guardiano dei maiali! Lo si condanna? no: si fa festa per lui quando torna a casa! E Gesù dice: "Non son venuto a spegnere il lucignolo che fumiga, a spezzare la canna incrinata!... Non hanno bisogno i sani del medico ma i malati... Non son venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori". È questo il dio "duro ed esigente"? Questo servo ha paura! ha paura che, chi fa i conti, non conosca la misericordia, la tenerezza. Non sa che Gesù è venuto per lui! Chi gli ha messo tanta paura nel cuore? Gesù ha detto che chi fa perdere la fiducia ad uno di questi piccoli, sarebbe meglio per lui che si mettesse una macina da mulino al collo e si gettasse nel mare.
E questo si può applicare a tanti aspetti della vita. Quando eravamo ragazzi (forse è capitato anche a voi), ci capitava di dover andare dietro la lavagna; e magari ci mettevano un cappello con le orecchie d'asino in testa... I giovani non lo sanno; ma gli anziani forse lo ricordano, vero? Ci siamo finiti un po' tutti, dietro la lavagna. Ma chi era che ci finiva sempre? quello che aveva meno capacità, quello che era meno intelligente, la cui famiglia non era in grado di seguirlo nello studio. Si pensava di aiutarlo, di spronarlo... Gli si diceva soltanto: "Tu sei stupido, tu non sei capace". E gli si metteva paura: paura della vita! La vita diventava per lui "dura ed esigente"; con la conseguenza che non studiava più, che sotterrava il suo talento sotto terra. Don Milani ha passato una vita a togliere la paura dal cuore della sua gente. I suoi ragazzi, che vivevano in un ambiente di campagna, non avevano genitori acculturati, non parlavano la lingua, ma solo il dialetto e quando andavano a scuola tutti li buttavano fuori... Lui ha cercato di togliere la paura dal loro cuore e ne ha fatto degli Uomini! Degli uomini che adesso sono in posti di responsabilità. Perché ha dato loro il coraggio di sentirsi come gli altri, di provare a farcela. Ma ce la potevano fare soltanto se qualcuno gli toglieva la paura dal cuore! Ecco perché questa parabola è importantissima, perché ci aiuta a riflettere sulla paura che impedisce di vivere.
Ed io ho pensato fin da quando ero un giovane prete - e forse qualcuno qui me ne può dare testimonianza - che questo fosse il compito principale della mia vita di prete: togliere i sensi di colpa, togliere la paura dal cuore della gente; impedire che qualcuno avesse paura di Dio! Ho cercato di farlo con tutta la passione del mio cuore, perché credo che questo è quello che Gesù è venuto a fare sulla terra! Non disprezzate, però, chi non lo sa fare: anche lui, spesso, è un uomo a cui qualcuno ha messo paura! Dietro la tonaca di prete, ci sono spesso tante paure; e c'è chi, magari senza accorgersene, cerca di superarle dominando il cuore del prossimo!
Dio mi ha liberato da questo: mi ha tolto questa paura! per cui ho sentito come compito principale della mia vita di prete, tentare di continuare a fare quello che ha fatto Gesù: togliere i sensi di colpa, togliere le paure, non far vedere alla gente la vita come "dura ed esigente"; dare a tutti la possibilità di ricominciare e di sperare.
Gesù lo ha fatto sempre: quando gli hanno presentato la donna sorpresa in adulterio: "Neanch'io ti condanno"; alla Maddalena: "Vai, non peccare più!" Questo è Gesù!
Il Signore ci aiuti a capire un po' di più!
"Va', vendi tutto quello che possiedi, II Domenica d'Avvento - 5 dicembre 1999
dallo ai poveri ... Poi vieni e seguimi". Matteo 19, 16-22
Ma il giovane se ne andò via triste,
perché aveva molte ricchezze.
Può sembrare paradossale che i nostri ragazzi ci propongano una riflessione sulla solitudine, proprio in questo Avvento del 1999: le statistiche ci dicono che siamo arrivati a sei miliardi sulla terra! Come ci si può sentire soli in mezzo a sei miliardi di persone? Affollati, stretti... eppure qualche volta ci sentiamo soli.
Qualche volta a me è capitato di trovarmi imbottigliato in una lunga fila, o sulla Colombo (penso che questa esperienza l'abbiate fatta in molti) o sul Raccordo: tante macchine, tanta gente. Eppure sei solo, chiuso nella tua macchina, in mezzo alla folla.
E credo che un'esperienza simile facciano anche i nostri ragazzi, quando si ritrovano in tanti - addirittura a volte migliaia di persone - in una discoteca, tra il frastuono di una musica assordante, dove nessuno può nemmeno più rivolgersi una parola! Tanta gente... eppure anche lì fanno spesso esperienza della solitudine. E forse in qualcuno di quei ragazzi ci sarà la voglia che quella musica sparisca, che la gente se ne vada e che ci si possa ritrovare - se non proprio da soli - in due o in tre, per potersi parlare, per potersi incontrare, per potersi guardare negli occhi.
Potrebbero essere due simboli del nostro tempo, perché è vero - e i nostri ragazzi lo sentono - che ci sono tante solitudini intorno a noi. Ci sono anziani che si sentono soli, malati che si sentono soli, stranieri che si sentono soli; gente handicappata che non trova la comprensione di chi gli sta intorno; gente che si sente diversa e che non è accettata nella propria diversità... Tante solitudini!
Ma è anche vero - e i ragazzi ce lo hanno giustamente sottolineato - che a volte siamo noi che ci condanniamo alla solitudine. Mi è capitato di verificarlo spesso nella mia esperienza: a volte quelli che si lamentano di essere soli, lo sono perché non hanno avuto il coraggio di superare la paura di aprirsi agli altri: non hanno vinto la pigrizia per intessere relazioni. Ma a volte, peggio: hanno sacrificato i rapporti con gli altri alla carriera, alla corsa al successo, al denaro. Mi sembra giusta la scelta che i ragazzi hanno fatto oggi della pagina del Vangelo: il giovane ricco se ne va triste e solo, perché non ha saputo rinunciare a nulla!
Il Natale che viene ci invita a superare la solitudine: il Dio in cui noi crediamo, s'è fatto uomo per condividere la vita con noi, perché nessuno di noi si senta più solo! Ha scelto, come segno da lasciarci in memoria di sé, il pane condiviso: per invitarci a camminare insieme, ad accoglierci, ad aprire gli occhi su chi ci sta accanto!
Il Natale che viene ci trovi disponibili a tendere una mano, a provare a togliere un po' di solitudine intorno a noi, a superare le nostre solitudini! A volte ci sono solitudini nella stessa famiglia, nella stessa casa: tra marito e moglie, tra genitori e figli. A volte ci sono chiusure nella coppia che non sa aprirsi agli altri; a volte anche nella Chiesa ci sono gruppi, di persone che si ritrovano insieme, per chiudersi nei propri gusci, nell'apparente tranquilla sicurezza di sentirsi nel giusto e non sanno aprirsi agli altri.
Gesù è venuto per condividere la nostra vita, per tenderci la mano, per invitarci a tenderla a chi vive con noi!
In questa casa, dalla porta e le finestre serrate, simbolo delle nostre chiusure i ragazzi ci invitano ad aprire una finestra: l'aprirò per voi al momento dell'offertorio. Ma è soltanto un simbolo. Lo Spirito di Dio, il Natale che viene ci aiutino ad aprire qualche porta della nostra casa, del nostro cuore a chi vive con noi! Un po' meno solitudine... e il Natale sarà più vero!
Il Signore ci aiuti!
"...in mezzo a voi sta uno III domenica d'Avvento - 12 dicembre 1993
che voi non conoscete." Giovanni 1, 6-8; 19-28
"Chi sei tu? - domandano a Giovanni - sei forse il Cristo?" - "No, non lo sono." - "Sei il profeta, allora?" - "Non sono nemmeno il profeta." - "Sei Elia?" - "Non sono Elia." - "Perché allora battezzi? Chi sei?" - "Soltanto una voce che grida..."
Vedete, in quello che abbiamo ascoltato ritroviamo una delle esperienze che pesano sulla vita degli uomini. Spesso giudichiamo gli altri in base a schemi, a pregiudizi, spesso il nostro giudizio sugli altri è condizionato dalle nostre attese. Io non so se è capitato anche a voi: a volte ho sentito pesare sulla mia vita questo modo di giudicare. Qualcuno mi diceva: "Tu sei prete; allora devi fare così... devi comportarti in questo modo... devi essere così..." Gente che non guardava come io ero - con i miei limiti, con i miei difetti, con i miei pregi, con le mie qualità - ma mi giudicava in base ad un'idea che aveva -"Tu sei prete e allora devi fare il prete così..."- E questo, qualche volta, mi ha creato qualche tribolazione.
Vedete, io sono diventato prete a 25 anni, la mia personalità era in gran parte già formata, ma ho conosciuto dei ragazzi su cui le attese dei loro genitori hanno pesato veramente! A volte i genitori si aspettano qualche cosa dai figli, pensano che debbano essere così... che debbano crescere in un certo modo, che debbano realizzare i loro progetti... E quando il figlio cresce in maniera diversa... queste aspettative, questi giudizi, pesano sulle persone!
E quello, che vale nei rapporti fra gli uomini, a volte, vale anche nei rapporti con Dio. Ho incontrato molta gente, nella mia vita, che non riusciva più a credere, perché si aspettava un Dio che doveva comportarsi in un certo modo; e invece il Dio che avevano accanto non riuscivano a scoprirlo! Come dice Giovanni: "C'è uno in mezzo a voi, che non conoscete". Se rileggete il Vangelo, trovate che spesso il dramma del rifiuto di Gesù, dipende dalle tante attese di Dio, del Messia che la gente del suo tempo si portava dentro, dai tanti schemi con cui si aspettavano la manifestazione di Dio, anche sotto la Croce c'è chi dice a Gesù: "Se sei il Figlio di Dio, scendi! E allora crederemo...Se sei il Messia, salvati e salva anche noi! E allora crederemo." E non si è salvato, non è sceso dalla Croce... e non hanno saputo credere in Lui!
Vedete, una delle speranze che possiamo consegnare agli uomini degli anni 2000, è la capacità di andare al di là degli schemi, di giudicare uomini e cose senza lasciarci condizionare dai pregiudizi, dalle idee fatte; la capacità di aprirsi all'altro, di riconoscere l'altro; la possibilità di conservare nel cuore un desiderio di meraviglia, di stupore: la capacità di lasciarsi sorprendere da chi ci sta accanto, dalle cose che cambiano, dai ragazzi che crescono intorno a noi!
E questo, anche nella vita della Chiesa. È molto probabile che ci saranno delle novità anche nell'ambito della vita della Chiesa: è urgente, è importante che ci siano! Forse un domani ci saranno anche da noi, come nella Chiesa anglicana, delle donne che parleranno qui al posto mio: non ci sarebbe nulla di strano! Già ci sono delle persone che distribuiscono la Comunione: e qualcuno di voi non riesce ad accettare di prendere la Comunione dalle mani di una donna... Ho provato a volte a domandare: "Ma se venisse il papa a darti la Comunione?" "Magari!" Eppure Gesù è sempre Lui, chiunque me Lo dia! Il papa, il vescovo, una donna, un bambino... O sono capace di andare al di là delle forme esteriori, dei miei schemi, dei miei pregiudizi, per accogliere le cose essenziali della vita, o rischio di perdere Gesù! Chiunque me lo dia, l'importante è Lui!
È importante conservare l'essenziale della vita: nei nostri rapporti tra uomini, nei nostri rapporti con Dio. Una speranza per gli uomini del 2000, è la capacità di superare gli schemi, i pregiudizi; è la possibilità di conservare nel cuore la meraviglia, lo stupore! Lo Spirito ce ne dia in abbondanza, per consegnarli a quelli che vengono. Saper distinguere la "scorza" dalla "sostanza", saper riconoscere le cose che contano veramente, perché anche la nostra fede sia più viva, più aperta agli uomini che crescono in mezzo a noi.
Il Signore ci aiuti!
"Vi è nato un Salvatore, che è Cristo Natale del Signore - 25 dicembre 1993
Signore! Questo per voi il segno: Luca 2, 1-14
troverete un bambino avvolto in fasce..."
"Corre per il mondo la voce che l'Infinito si è manifestato in Gesù di Nazareth": così cominciava una straordinaria pagina di un Catechismo ormai vecchio: "Corre per il mondo la voce che l'Infinito si è manifestato in Gesù di Nazareth". Pensate a qualche uomo di terre lontane - che so? - un uomo che vive in Cina, che non ha mai sentito parlare di Gesù, a cui giunge questa notizia, questa voce: "L'Infinito si è manifestato in Gesù di Nazareth!" Immaginate che venga qui in mezzo a noi e ci chieda: "Dove posso vedere l'Infinito? Dove posso toccare con mano Colui che ha fatto il cielo e la terra?" Lo portiamo qui davanti: un bambino!...
Ma forse ci conviene non pensare a gente di terre lontane: forse sarebbe bene che tutti noi ci buttassimo dietro le spalle tanti anni di religiosità, tanti discorsi su Dio, tante idee religiose che ci portiamo dentro; ed anche noi sentissimo - con lo stupore di un cinese o di un uomo che vive nel profondo dell'Africa - questa notizia: "Corre voce che l'Infinito si è manifestato!" Andiamo! Andiamo a vedere l'Infinito che si è manifestato...: ci troviamo davanti un piccolo bambino, indifeso, inerme. Ci tende le mani: soltanto le mani può tendere, un bambino appena nato; forse non sa ancora nemmeno sorridere, forse può soltanto piangere!
Tende le mani: ha bisogno di tenerezza, ha bisogno di essere accolto, accettato; ha bisogno di essere protetto, di essere avvolto dal calore, dalla tenerezza degli uomini; ha bisogno del rispetto, dell'attenzione. Non potete chiedergli niente: non si chiede niente ad un bambino appena nato, gli si può soltanto dare, gli si può soltanto fare una carezza, gli si può donare tutta la passione per la vita, che ciascuno riesce a trarre dal proprio cuore! La passione per la vita, l'attenzione per l'altro, la tenerezza... forse per questo l'Infinito è venuto in mezzo a noi come un piccolo bambino inerme ed indifeso... e ci tende le mani: per risvegliare nel nostro cuore tutta la passione per la vita, tutta la capacità di tenerezza, tutta la capacità di stupore, di gratuità, che possiamo trarre fuori dal nostro cuore!
E vedete, non soltanto un bambino che tende le mani: un bambino che le tende dalla paglia! È ruvida, la paglia, punge...Il simbolo di tante "paglie" che ci sono intorno a noi. Non pensate soltanto alle cose terribili che succedono lontano, dove c'è la guerra: pensate anche alle "paglie" che ci sono intorno a noi, a volte nelle nostre case: là dove c'è la solitudine, là dove c'è la sofferenza del corpo e del cuore! Dio è venuto a tenderci la mano a nome di tutti quelli che tribolano nel mondo, ad invitarci accanto a loro.
Ma un bambino non tende soltanto le mani: è anche una promessa di vita, una speranza per il futuro. E se questo bambino è l'Infinito, se questo bambino è Dio, allora dal futuro scompare la paura: perché c'è Dio con noi, a condividere la nostra vita su questa terra, a condividere la passione per il domani, la passione per il bene, il coraggio della giustizia, il coraggio della verità! Ne abbiamo bisogno, in questo tempo come in tutti i tempi della storia: abbiamo bisogno che Dio ci venga accanto e ci gridi la speranza per il futuro, il coraggio di camminare verso la vita.
Un bambino è una promessa di vita, non si può fermare: bisogna camminare con lui, bisogna lasciarlo crescere, bisogna fare spazio alla vita. Sì, alla Vita! Via tutte le paure, le ombre che attraversano anche questa nostra Italia in questo momento: c'è la speranza di Dio con noi! C'è il coraggio della giustizia, il coraggio dell'onestà, il coraggio di guardare al futuro; il coraggio di costruire, il coraggio di rimboccarsi le maniche; il coraggio di amare la vita con tutta la passione del nostro cuore! Per questo Dio è venuto a condividerla.
Questo è Natale! Un bambino che ci tende le mani, un bambino che è promessa di vita, un bambino che è speranza, un bambino che toglie la paura, un bambino che porta la luce!
Questo è Natale! Lo stupore, la meraviglia, il coraggio di amare, dentro il nostro cuore, questo è Natale!
Quando ebbero tutto compiuto secondo la Sacra Famiglia - 29 dicembre 1996
legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, Genesi 15,1-6; 21,1-3 - Luca 2,22-40
alla loro città di Nazareth. Il bambino cresceva
e si fortificava, pieno di sapienza; e la grazia
di Dio era sopra di lui.
Sono passati più di 40 anni da quando cominciavo i miei studi per diventare sacerdote: ritorno a volte a quegli anni lontani per misurare la distanza tra quello che ho studiato su libri e quello che mi hanno insegnato l'esperienza e la vita. Sui libri - specialmente sui libri religiosi - tutto sembra semplice e chiaro, limpido e preciso. Uno dei temi in cui sento di più questa distanza è quello della famiglia.
Sui libri studiavo che la famiglia è una istituzione basata sulla natura: un uomo e una donna si incontrano, si amano, per mettere al mondo dei figlioli, li circondano d'affetto, li educano; i figli crescono nel rispetto e nell'ubbidienza ai genitori.
E questa famiglia, basata sulla natura, viene elevata da Gesù alla dignità di sacramento: il matrimonio è indissolubile, l'amore consacrato da Dio è stabile e fedele. E tutto quello che è al di fuori da queste regole è peccato.
In questi lunghi anni ho avuto la fortuna di incontrare coppie che hanno realizzato l'amore molto più profondamente di come avevo letto sui libri, ho conosciuto degli sposi, ormai alla fine della vita, che erano cresciuti insieme in una intesa sempre più profonda, basata sul rispetto, sulla tenerezza, sulla libertà. Conosco delle coppie che vivono insieme serenamente ormai da molti anni e che avevo sposato con molta trepidazione.
Ma ho anche visto tanti matrimoni falliti: matrimoni di persone che avevo conosciuto all'inizio della loro avventura matrimoniale e che mi sembravano fatti l'uno per l'altra e che si erano sposati con entusiasmo, in chiesa tra canti e suoni; eppure non son riusciti a volersi bene per più di qualche anno!
Ho visto fallire matrimoni benedetti dal Signore e andare avanti matrimoni celebrati soltanto al Comune. Ho visto persone che non avevano affatto celebrato il loro matrimonio, ma che si amavano molto di più di quelli che si erano sposati con tutti i crismi. Ho visto persone che dopo un'esperienza fallita hanno saputo costruire un amore solido e profondo. Ho conosciuto chi per tutta la vita non è riuscito a vivere un amore autentico.
Ho visto gente separarsi e gente che non poteva separarsi e che era costretta a vivere nella stessa casa una specie di inferno! Ho visto anche la fatica di molte coppie nel tentare di amarsi: gli "alti e bassi", a volte sul punto di lasciarsi, a volte ricominciare daccapo, faticosamente.
Ho conosciuto anche chi ha una natura diversa: persone che sono incapaci di avere una relazione con l'altro sesso, ma cercano qualcuno del suo stesso sesso: forse anche loro, al di là delle leggi, avrebbero diritto a volersi bene, a formare una famiglia!
Ho visto figli crescere sani e liberi in famiglie divise; e ho visto tribolare figli in famiglie che sembravano perfette.
La realtà è infinitamente più complessa di quello che è scritto sui libri! La vita va molto al di là delle regole e delle leggi!
È poi veramente naturale che un uomo e una donna vivano insieme per sempre? Nel mondo dei mammiferi, a cui apparteniamo, la coppia stabile e fedele è una rarissima eccezione. Da quando l'evoluzione ha dato alle femmine la possibilità di nutrire i figli con il proprio latte, non c'è più stato bisogno di una coppia fedele. Perché è una gran fatica!... Può essere soltanto una battuta, ma se vi guardate intorno, vedete quanta fatica si fa per vivere in coppia: bisogna trovare due caratteri che vanno d'accordo, bisogna armonizzare idee, sentimenti, scelte, modi di vivere; qualcuno dice che ci vogliono addirittura "geni" che vadano d'accordo.
Ascoltavo una volta alla TV un dibattito al quale partecipava Rita Levi Montalcini; e qualcuno le diceva che in America avevano scoperto il "gene del divorzio"... E lei rideva! Può esistere il gene del divorzio?! "Al più, diceva lei, può esistere il "gene" della fedeltà". È esattamente la stessa cosa: se uno non ha il gene della fedeltà, come fa ad essere fedele ad un'altra persona?
Forse non esiste il gene della fedeltà; ma se avete conosciuto parecchie coppie di sposi, sapete quanta fatica si fa per vivere insieme veramente! In Oriente dicono che scoprire una famiglia in cui ci si vuol bene veramente e totalmente, è il segno più certo della reincarnazione: perché non basta una vita, per conoscere fino in fondo una persona e volerle bene totalmente. Ce ne vogliono almeno due o tre!
Qualcuno di voi si domanderà: "Ma stasera dove vuole andare a parare don Checco?". Stasera volevo soltanto farvi sorridere, altrimenti fate indigestione di prediche, in questi giorni... E dirvi, però, una cosa che a me sembra importante: non servono le regole, non servono le leggi! Non servono le condanne e le scomuniche: è inutile ripetere che il matrimonio è indissolubile. L'amore, quando è vero, è indissolubile di per sé! Ma l'amore vero è una cosa non tanto a buon mercato, nella vita! Dipende da tanti fattori che sarebbe bene conoscere e studiare meglio, forse sarebbe anche opportuno che le famiglie si lasciassero più spesso aiutare da qualcuno al di fuori che ha competenza che può aiutare a capire.
E nella vita bisognerebbe essere un po' come Abramo: capace di avventurarsi, di cercare le strade nuove, di trovare l'essenziale, di ricominciare mille volte.
E tutti dovremmo munirci di un grande rispetto per chi fallisce il suo progetto d'amore; è inutile accusare e condannare chi non ci riesce, se si può è meglio dare una mano, invitare a ricominciare, a riprendere la strada, a vivere l'avventura della vita: come si può, giorno per giorno, fedeli a quello che siamo, a chi ci sta intorno, alle venture che ci capitano! Serve molto di più il coraggio di ricominciare ogni giorno - la speranza, la tenerezza, la voglia di andare avanti - che le leggi, che a volte costruiscono soltanto prigioni.
Se qualcuno di voi vive con difficoltà la propria vita matrimoniale, non è certo solo, in questo mondo. E avrebbe bisogno di tutta la tenerezza di chi gli sta intorno. Io non posso darne gran che. Ma farei una carezza soprattutto a chi, oggi, vive con difficoltà il proprio amore. Sappiatelo: non è semplice. E forse siete stati soltanto sfortunati.
Il Signore vi aiuti a credere lo stesso e a camminare nella Sua fiducia!
"Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio II Domenica dopo Natale - 2 gennaio 1994
unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato." Giovanni 1, 1-18
Parole un po' complesse, quelle di oggi! È l'inizio del Vangelo di Giovanni. Gli studiosi ci dicono che quello che abbiamo ascoltato è un antico inno: la comunità di Giovanni, quando si radunava, come noi, la domenica intorno alla tavola, cantava esprimendo la fede con queste parole, forse un po' lontane da noi. Ma l'essenza della fede è sempre la stessa ed è questo, che poi conta, non tanto il modo di esprimersi.
E il nocciolo della nostra fede è che noi possiamo fare esperienza di Dio, in Gesù di Nazareth! Nei gesti, nelle parole, nella vita di Gesù, noi possiamo toccare con mano qualche cosa della Luce inaccessibile di Colui che "ha fatto il cielo e la terra", di Colui che è il fondamento di tutta la nostra vita, di tutto quello che ci circonda, della nostra esperienza di uomini.
Vedete, fin dall'inizio gli uomini hanno cercato Dio, quasi a tentoni... e corrono un rischio! Quante volte ho sentito, nella mia, ormai lunga, esperienza di fede, questo discorso e queste domande: "Come possiamo conoscere Dio? Come possiamo fare, in qualche modo, esperienza di Lui...? Perché ciascuno di noi è tentato di farsi Dio un po' a propria immagine; di farsi Dio secondo i propri bisogni, i propri desideri..." Dio, in fondo, nessuno di noi Lo ha mai visto: abita in una Luce inaccessibile! Non so se anche voi vi siete fatta questa domanda: io l'ho sentita ripetere infinite volte.
Qualche piccolo suggerimento, all'inizio di questo nuovo anno, perché la vita del credente è sempre ricerca di Dio, del Suo volto, della Sua luce. Come possiamo sfuggire alla tentazione di farcelo, ognuno, a proprio uso e consumo, secondo quello che ci fa comodo? Alcune indicazioni, se riesco a dirvele in breve.
La prima: occorre avere dentro di noi, profondo, il senso - se non vi disturba la parola - del Mistero: il senso della grandezza di Dio, Dio più grande di ogni parola, di ogni immagine che l'uomo possa farsi. Occorre avere il senso della gratuità: cercare Dio non perché mi serve, ma perché è Lui: cercare la Sua luce, lo splendore della Sua gloria, il mistero ultimo dell'esistenza, da cui tutti veniamo! Occorre avere dentro di sé il senso dello stupore, della meraviglia, della ricerca gratuita: il senso della grandezza di Dio!
La seconda indicazione: è importante che noi, che siamo cristiani, cerchiamo Dio nel Vangelo: nei gesti, nelle parole di Gesù. È sorprendente trovare, talvolta, dei Cristiani che parlano di Dio, che si immaginano Dio a prescindere dal Vangelo! "Dio può far tutto, Dio sa tutto. Dio interviene di qua, Dio fà di là..." E poi, se leggete il Vangelo, trovate che il Dio che si è manifestato in Gesù di Nazareth, il Dio che ha parlato con parole simili alle nostre, è diverso da quello che noi immaginiamo! Qualcuno mi faceva notare: "E sì, però anche il Vangelo rischiamo di interpretarcelo a modo nostro: prendiamo soltanto quello che ci fa comodo...!" È vero anche questo. Ricordate sempre il I° punto: ci vuole la gratuità, nella ricerca! Se io vado cercando quello che mi fa comodo, non c'è rimedio possibile: se non metto gratuità nel mio cammino, non c'è speranza per me! Bisogna che io esca un po' dai miei bisogni, da quello che è soltanto il mio modo di vedere, da quello che mi è utile, per cercare ciò che è importante, ciò che è giusto. Gratuità, nella mia ricerca!
Ma poi, un'altra cosa importante è ascoltare la Chiesa: ma fate attenzione! la Chiesa. Guardatevi intorno. Non guardate la TV ...oh Signor, siete perduti! La Chiesa - non dimenticatelo mai - non è soltanto l'autorità della Chiesa, non sono solo quelli che parlano alla TV a nome della Chiesa! Rischiate di sentir parlare degli "Anticristi", della fine del mondo, come alla fine del primo millennio! Siamo alle soglie del duemila: molti cercheranno di mettervi paura. NO! In nome di Cristo, NO! Nessuno che vi metta paura, parla in nome di Dio, nessuno! chiunque sia.
Ascoltate i bambini che crescono in mezzo a noi: dalla loro voce ascoltate un riflesso della parola di Gesù! Ascoltate i giovani! Ascoltate la gente di tutti i giorni, la gente che vi sta accanto, la gente che cerca, che spera: che cerca di portare la luce di Gesù nella propria vita! Sono loro la Chiesa, la Chiesa vera, la Chiesa di tutti i giorni, la Chiesa che ci sta accanto, la Chiesa che occorre ascoltare, per sfuggire al rischio di farsi un Cristo a proprio uso e consumo.
La gratuità, dunque, l'ascolto del Vangelo, l'ascolto della Chiesa, della Chiesa concreta, fatta di gente che cresce col Vangelo, di gente di tutti i giorni, di gente dal cuore sincero: questo ci aiuta a cercare Dio nella nostra vita, ad allontanare dalla nostra ricerca ogni paura, ogni ansia, ogni timore di Dio... Un Dio che mette paura, un Dio che mette ansia nel cuore, non è il Dio di Gesù Cristo! Lui si è fatto bambino, si è fatto carne, si è fatto uno come noi, per portare la speranza nella nostra vita!
AccogliamoLo e cerchiamo di camminare nella Sua luce! Quest'anno che viene sia per tutti noi, ricerca della luce di Dio, del Suo volto: ricerca nella gratuità e nella serenità, nella passione per la vita!
Il Signore ci aiuti!
"In quei giorni Gesù venne da Nazareth Battesimo del Signore - 9 gennaio 1994
e fu battezzato nel Giordano da Giovanni". Marco 1, 7 - 11
Una delle immagini di Dio che gli uomini si portano dentro - sotto ogni cielo, non soltanto qui da noi - è l'immagine del giudice, di Colui che giudica gli uomini, che separa i giusti dagli ingiusti: pensate, se volete, al "Giudizio universale" di Michelangelo o, più semplicemente, pensate a certi discorsi che avete sentito intorno a voi, sul bisogno che Dio venga a giudicare e a mettere ordine, finalmente, sulla nostra terra. O, chi conosce il Vangelo, ripensi alle parole di Giovanni il Battista: lui si aspetta un Messia che venga finalmente a fare giustizia, a separare il grano buono dalla paglia e a bruciare la paglia con un fuoco senza fine. Ecco: un Dio che venga finalmente a fare giustizia, a separare i buoni dai cattivi, a bruciare tutto il male che c'è nel mondo e a far risplendere il bene!
Molti uomini si portano dentro questa immagine, perché, spesso, l'immagine che ci facciamo di Dio è la proiezione dei nostri bisogni e, in questo caso, dei nostri bisogni di giustizia. Spesso noi uomini sentiamo il bisogno che si faccia giustizia sulla nostra terra: in questo momento, forse, ce lo portiamo dentro tutti. Ma riflettete un po': non è un bel momento, per un paese, quando, per molti, l'Eroe, è un giudice: non più un ricercatore, uno scienziato o un poeta o un educatore..., ma un giudice! Esprimiamo così il nostro bisogno di giustizia, ma spesso è un bisogno di vendetta, un bisogno di giustizia sommaria, il bisogno di trovare dei "capri espiatori", di far piazza pulita, per vedere, quasi magicamente, risolti i nostri problemi, le nostre difficoltà. E talora, proiettiamo in Dio i nostri desideri: "Ah! venisse Dio! venisse Lui, che è sommamente giusto, e facesse finalmente giustizia!" Con un colpo di bacchetta magica, come se lo aspettava Giovanni il Battista!
I primi Cristiani hanno riconosciuto Dio, non nel giudice, ma nell'uomo di Nazareth: un lavoratore dalle mani callose, un uomo qualunque, un artigiano, che aveva passato trent'anni in un piccolo, oscuro paese, e veniva a mettersi in fila con la gente in cammino verso un rito di purificazione, che veniva condividere la strada con l'uomo che sente il cuore pesante, ma che esprime anche - nel suo camminare verso l'acqua - il bisogno di cambiare, di rinnovarsi. È venuto a mettere nel cuore di quest'uomo, la sua speranza, a dirgli: "Coraggio! C'è Dio che cammina con te! Non aspettarti magie, ma sta certo che nella tua lotta contro il male, nel tuo desiderio di giustizia, puoi contare su Dio, puoi sentirLo solidale con la tua strada!"
Per cambiare il mondo non ci sono soluzioni magiche: non lo può fare un giudice, non può farlo nemmeno Dio! Dobbiamo farlo tutti insieme, camminando con coraggio verso una maggiore giustizia, verso un maggiore impegno di onestà, di verità, di servizio degli uni verso gli altri; di vita civile vissuta insieme. Solo il coraggio di ciascuno, l'impegno di ciascuno, l'onestà di ciascuno, può cambiare il mondo! Altrimenti aspettiamo un "repulisti" - e credo che ci sia più di una persona, in questo paese, che l'aspetta - perché poi tutto ricominci come prima!
È giusto che vogliamo vedere le cose cambiare, è giusto che facciamo un passo avanti, ma lo dobbiamo fare tutti insieme, con il coraggio e l'onestà di ciascuno: occorre che ciascuno di noi ritrovi il coraggio di liberarsi da comportamenti sbagliati, da comportamenti ingiusti, da comportamenti disonesti! Ciascuno di noi, per quello che ci compete, per quello che possiamo fare! E Gesù è venuto per camminarci accanto, non per mettersi dalla parte del giudice, di chi divide buoni e cattivi, di chi fa giustizia sommaria. Accanto all'uomo che cammina: che cerca liberazione, che invoca giustizia; ma comincia Lui a farla, la giustizia, cerca di mettere i semi del bene e dell'onestà.
Se ci fosse qui, Gesù, sarebbe nascosto in mezzo a voi! Non sarebbe qui, dalla parte mia, nemmeno a predicare: sarebbe nascosto in mezzo a voi, per condividere la vostra vita di ogni giorno, il vostro cammino di povera gente alla ricerca del bene, aspetterebbe che lo riconosciate, per mettervi nel cuore il coraggio dell'onestà, la fame e la sete della giustizia!
AccogliamoLo, dunque, il Signore e cerchiamo di lasciarci prendere per mano da Lui, e camminiamo insieme con Lui verso un mondo un po' migliore! Se ci riesce... Ma dipende da noi!
Giovanni, fissando lo sguardo su Gesù II Domenica del tempo ordinario - 19 gennaio 1988
che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!" Giovanni 1, 35-42
E i due discepoli seguirono Gesù.
Andrea incontrò per primo suo fratello
Simone e gli disse: "Abbiamo trovato il
Messia" e lo condusse da Gesù.
A volte ci si rammarica dei cambiamenti che ci cono stati negli ultimi tempi nella vita della Chiesa. Mi capita, infatti, di sentire qualche persona che ha qualche anno di più (ma succede anche con gente più giovane) che rimpiange i tempi di una volta, quando la Messa era in latino, quando si facevano le feste, le processioni... e non si accorge, in questo rimpianto, in questo ripensare al passato, di quelli che sono i veri cambiamenti, profondi, che sono accaduti nel nostro tempo, all'interno della vita della Chiesa.
Ed è proprio su questo che vorrei attirare oggi la vostra attenzione. Posso parlare in maniera personale: sono nato in Trastevere, là sono cresciuto, la mia chiesa era S. Maria in Trastevere: spero che qualcuno di voi sia stato a visitarla perché è una delle più belle chiese di Roma. Chi è stato a visitarla sa che, rispetto alla nostra, è una chiesa immensa, molto vasta e ricordo che, quando ero ragazzo, la chiesa era sempre piena di gente. A quel tempo la maggiore parte della gente andava in chiesa. Io, fino a a 16, 18 anni, quando ho cominciato a leggerlo sui libri, non avevo mai incontrato una sola persona che avesse detto: "io non credo in Dio, non credo nella Madonna". Quando nel mio quartiere, si facevano le processioni, (quando ero bambino, adesso non si fanno più) tutto il quartiere partecipava in fila. Si era cristiani allora perché tutto il mondo intorno a noi, era cristiano.
Ricordo l'impressione profonda che mi fece quando avevo 15, 16 anni, il fatto di due miei cugini, due cugini un po' più grandi di me, che io guardavo con ammirazione quando andavo al paese dove sono nati i miei genitori, un piccolo paese sperduto sull'Appennino, come tanti altri paesi d'Italia. Ero dunque colpito dal fatto che questi due miei cugini più grandi di me, ogni sera andavano in chiesa, al Rosario e poi alla Messa. A me non garbava molto e quindi non ci andavo, anche perché mi era abbastanza noioso recitare il Rosario come facevano loro. Ma ero ammirato per questo Paese in cui tutti, la sera, quando tramontava il sole, dopo il lavoro e prima della cena, si radunavano in chiesa, pregavano, partecipavano alla Messa e al Rosario. La cosa che mi colpì profondamente è che quando questi miei cugini sono venuti a Roma per lavorare (sono stati qua un paio mesi), dal giorno del loro arrivo, fino al giorno in cui sono ripartiti, non sono più andati alla Messa. E questo, me ne ricordo ancora, mi aveva colpito profondamente e mi chiedevo: "cosa succede, perché questo, dove andiamo con la nostra religione?". Perché io a Roma, a 15, 16 anni, ero già abituato al fatto che molta gente non veniva alla Messa, ma io che ci andavo, ormai cominciavo a fare la mia scelta, diventava un fatto personale! Ma mi colpiva che questi miei cugini, che ritenevo migliori di me, perché andavano tutti i giorni alla Messa, quando sono venuti qua, non ci sono più andati. E quello che è successo a loro, è successo a tanti ragazzi, a tanti giovani in questo nostro paese. Quando io ero bambino, l'80% andava alla Messa, oggi va alla Messa il 10, 15% della gente. Allora, vedete, il cambiamento radicale che è accaduto nel nostro essere cristiani, è proprio qui: noi siamo ricondotti - ed ecco il perché di questo discorso - al tempo di Gesù Cristo, quando essere cristiani era una scelta, era la risposta ad una chiamata, non una cosa fatta per abitudine, perché così facevano tutti. Noi siamo ricondotti alla situazione in cui ciascuno di noi deve preoccuparsi di scegliere Gesù, di conoscere il Signore, di rispondere alla Sua chiamata.
È questa l'unica condizione che ci permetterà di essere cristiani e lo permetterà ai nostri figli e ai nostri nipoti. Non possiamo più contare sul fatto che il cristianesimo sia un fatto sociologico e credo che non valga più nemmeno la pena di rammaricarcene, perché quando la mia Chiesa era piena di gente, la maggior parte chiacchierava, non ascoltava (anche perché la Messa era in latino); c'era tanta buona gente sì, ma faceva le cose per abitudine. Oggi possiamo fare le cose soltanto per scelta e questa scelta esige però che ci rimettiamo nelle condizione di questi discepoli che cercano il Signore e Lui si volta indietro e domanda "che cercate?" e loro rispondono "Maestro, dove abiti, chi sei, che cosa fai, qual è la tua parola?" e Gesù dice: "Venite e vedrete!". Questo invito è rivolto anche a tutti noi: se vogliano continuare ad essere cristiani, dobbiamo andare e vedere e conoscere il Signore.
A volte sono colpito, quando mi trovo con qualche ragazzo, magari con quelli che si preparano per la Cresima, e domando: "Chi è per te Gesù? se dovessi parlare a qualcuno che non lo conosce, che cosa diresti? che cosa ha detto Gesù, che cosa ha fatto?" e vedo che mi guardano a bocca aperta, non sanno dire gran che. Allora mi domando: "come faranno a rimanere cristiani? Se non conoscono il Signore, se non lo cercano ogni giorno, se non cercano la sua parola?". Noi viviamo una situazione già vissuta dai discepoli - ce la ricordava il ritornello dell'alleluia - c'è stato un momento di crisi nel rapporto di Gesù con la gente: la gente cominciava ad andarsene e Gesù si rivolge ai discepoli e chiede: "volete andarvene anche voi?" e Pietro risponde "dove andremo, Signore, Tu solo hai parole di vita eterna". Ecco la condizione irrinunciabile per essere cristiani oggi: aver scoperto che Gesù ha parole di vita, ha parole che possono arricchire, illuminare, trasformare la nostra vita. Ecco allora l'esigenza per tutti noi di continuare a cercare il Signore, perché non è una ricerca che si fa una volta per tutte, lo si cerca per tutta la vita.
Io ho più di 50 anni e ho letto innumerevoli volte ormai il Vangelo, eppure posso assicurarvi che, ogni volta che lo leggo, scopro qualche cosa di nuovo. E poi non basta cercarlo, occorre anche testimoniare la sua vita, il suo amore, la sua parola. Io questo non ho saputo farlo, come dicono i nostri bimbi, sono un parroco un po' sciagurato; spero che voi siate un po' meglio di me, che possiate continuare a cercare veramente il Signore e a testimoniare la Sua vita e il Suo amore.
Il Signore ci aiuti a farlo.
Giovanni, fissando lo sguardo su Gesù II Domenica del tempo ordinario - 19 gennaio 1997
che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!" Giovanni 1, 35-42
E i due discepoli seguirono Gesù.
Andrea incontrò per primo suo fratello
Simone e gli disse: "Abbiamo trovato il
Messia" e lo condusse da Gesù.
Ieri tornava un amico da terre lontane e portava con sé delle fotografie: la fotografia di una tomba, piccola, semplice: la tomba di don Nino Miraldi. Nel lontano Brasile, fra i suoi poveri, c'è la sua tomba: è quello che ci rimane di lui! Lui è stato per me Giovanni, Andrea; e se siete qui stasera, tutti voi avete avuto un Giovanni, un Andrea, che vi ha indicato Gesù, che ve Lo ha fatto conoscere.
Per me, la persona forse più importante è stato proprio lui, Nino. Era il 1950: ero poco più che un bambino (facevo la terza media) e l'ho incontrato per la prima volta. Studiava medicina, allora; e veniva dai quartieri "nobili" di Roma, da Prati, a Trastevere per fare catechismo a noi ragazzotti sprovveduti.
Lui mi ha messo nel cuore il desiderio di conoscere Gesù, di cercare la Sua luce; mi ha messo nel cuore la voglia di cercare l'essenziale della Parola di Gesù, al di là delle regole, delle tradizioni; di scoprire in Gesù i valori che veramente contano, che fanno grande e bella la vita! E mi ha messo nel cuore la passione per la vita della Chiesa, la voglia del servizio verso gli altri.
Lui mi ha quasi preso per mano e mi ha portato a conoscere il Signore. E lui - è una cosa strana e forse per questo vi faccio questo discorso, stasera - come ha fatto Gesù con Simone, anche a me ha cambiato il nome. Nella mia famiglia tutti mi chiamano Francesco; qualche volta qualcuno dei miei parenti telefona in parrocchia cercando "don Francesco"; e gli dicono: "Ha sbagliato parrocchia".
Perché dai tempi di Nino, nella vita della Chiesa - non nella famiglia dove sono nato - tutti mi chiamano Checco. "Checco" è stato il mio nome di prete, il nome che mi ha accompagnato nella mia ventura di cercare Gesù, di testimoniare la Sua parola in mezzo alla gente, di mettermi al servizio degli altri.
Certo, la mia vita se non avessi incontrato Nino, sarebbe stata diversa: allora, tanto tempo fa, lui ha cambiato il corso dei miei giorni; ma io ho avuto la fortuna di incontrare lui e, attraverso lui, di incontrare Gesù!
E quando guardo indietro tutti questi anni e quello che ho potuto fare a servizio della gente - poca cosa per gli altri, perché quello che ho ricevuto è molto di più di quello che ho dato - scopro che la mia vita è stata pienamente arricchita dall'incontro con Gesù, dal tentativo di mettermi a servizio della gente, di camminare alla ricerca della luce!
E questo lo devo ad una persona che tanto tempo fa, come ha fatto Giovanni per gli apostoli, come ha fatto Andrea per suo fratello, mi ha detto: "Vieni! Ti faccio conoscere Gesù! Ti faccio cercare Lui, la Sua luce!".
Quando Nino se n'è andato via da Roma, dopo essere diventato prete, per andare laggiù, fra i poveri della periferia di Rio de Janeiro, l'ho sentito come un tradimento! Aveva ragione lui! Faceva bene ad andare lontano, a seguire la sua chiamata!
Io son rimasto qui... Ma conservo nel cuore la cosa più preziosa che Nino mi ha lasciato: il desiderio di incontrare Gesù, di cercare Lui e la Sua luce! Devo a Nino se ho potuto scoprire Gesù, i Suoi valori più profondi ed autentici, al di là di tutte le regole, di tutte le leggi, di tutti i sensi di colpa, di tutta la tradizione, di cui spesso si nutre la nostra avventura cattolica.
Credo che anche voi abbiate avuto la fortuna di incontrare qualcuno, che vi ha fatto conoscere Gesù veramente! Altrimenti, non saremmo qui. È una grande fortuna: penso che siate d'accordo con me: Gesù ha veramente arricchito la nostra vita!
E allora, dobbiamo ringraziare Lui per primo, ma anche tutti quelli che ce Lo hanno fatto conoscere!
"Passando lungo il mare della Galilea III Domenica del tempo ordinario - 24 gennaio 1988
Gesù vide...li chiamò... Marco 1, 14 20
e subito lasciarono... e lo seguirono".
Domenica scorsa abbiamo ascoltato un altro racconto della chiamata dei discepoli; gli stessi personaggi: Simone, suo fratello Andrea, Giacomo e Giovanni. Ma il racconto che abbiamo sentito domenica era profondamente diverso da quello che abbiano ascoltato oggi. Se ricordate, domenica abbiamo ascoltato che questi personaggi (Andrea, Simone, Giacomo e Giovanni) erano discepoli di Giovanni il Battista e lui ha indicato loro Gesù, con la parola che ripetiamo nella Messa "ecco l'Agnello di Dio". E questi discepoli hanno cominciato allora a seguire Gesù. Gesù si volta e chiede "chi cercate, cosa andate cercando?'' e loro domandano: "Maestro, dove abiti?" e Gesù dice: "venite e vedete". E quei discepoli sono andati e hanno cominciato a conoscerlo, a stare con Lui.
Oggi ascoltiamo un racconto diverso. Questi uomini, infatti, sono a pescare sul lago, a fare cioè il loro mestiere di pescatori e Gesù passa, - sembra che non lo abbiano mai conosciuto, a leggere il Vangelo di Marco, - e li chiama e loro lasciano le reti e lo seguono. Sempre, quando si legge il Vangelo con la gente, c’è chi domanda: "Ma come è possibile: non lo conoscono e subito lo seguono!" Se a noi capitasse che qualcuno che non abbiamo mai conosciuto ci chiami, ci inviti a seguirlo, risponderemmo: "dove? chi sei, perché mi chiami; cosa vuoi?". Invece nel Vangelo che abbiamo ascoltato oggi, tutto sembra straordinario: Gesù passa e i discepoli, appena sentono la Sua voce, subito lasciano tutto e vanno.
Perché hanno raccontato così? Le cose sono andate probabilmente come abbiamo ascoltato domenica scorsa. Ma perché, man mano che i discepoli raccontano la loro chiamata, sempre più mettono l'accento su questo fatto quasi straordinario che Gesù ha attraversato la loro vita, si sono sentiti chiamare e lo hanno seguito. Io non posso dirvi che cosa pensavano gli Apostoli quando hanno scritto queste cose: dico, come sempre, quello che penso io, evidentemente! Riflettendo su questo racconto, mi è venuto di ripensare alla mia vita, e questo può forse aiutare anche voi a ripensare alla vostra, perché se siamo qui tutti noi siamo stati chiamati, abbiamo ascoltato la voce del Signore. Mi è successo tante volte di sentire la fatica di cercare il Signore, qualche volta mi sembra di fare un grande sforzo a superare i miei dubbi, a riconoscere la Sua voce a prendere sul serio la Sua parola. Sembra che tutto dipenda dal tuo sforzo, dalla ricerca che fai, e ti dimentichi della fortuna che hai avuto perché Lui ha attraversato la tua vita. In fondo Gesù non ce lo siamo costruito noi, attraverso la voce per me di mio padre, di mia madre, della gente che ho conosciuto, del Vangelo che ho potuto leggere: ha attraversato la mia vita prima che potessi cercarlo, prima che potessi fare il mio sforzo, debbo rendermi conto della fortuna che ho avuto perché Lui mi ha attraversato la vita.
Ma qualche volta il discorso si fa più complicato, qualche volta a me è capitato di dire (forse a voi no, perché siete più bravi di me, ma forse è capitato anche a qualcuno di voi): "Ma perché mi è capitato di conoscere il Signore, perché ho cominciato a leggere il Vangelo? Forse vivrei meglio se non l'avessi mai conosciuto, ce non avessi mai ascoltato la sua Parola; vivrei pensando ai fatti miei, non impicciandomi degli altri; chi me l'ha fatto fare; perché non sono nato in un'altra parte del mondo e non ho mai sentito parlare di Lui? Poi ci ripenso e dico tra me: Ma cosa sarebbe la mia vita senza la luce del Signore? Senza la sua chiamata, senza quello che ho trovato in Gesù: l'annunzio della libertà, della vita, l'annunzio della tenerezza di Dio, del Suo perdono, l'annunzio del progetto del Regno... Cosa sarebbe la mia vita?
Vedete, a volte questo succede per tante cose della nostra vita: ci sentiamo dei grandi lavoratori, della gente che vive con grande impegno; a volte ci costa fatica vivere, anche in casa: sarà successo anche a voi qualche volta di lamentarvi per lo sforzo che fate per i vostri figli, la fatica che vi è costata per crescerli. Alle volte viene voglia di dire: ma se non avessi conosciuto questa donna, quest'uomo, forse sarei stato/a meglio poi ci ripensate e dite: "ma che dico; cosa sarebbe stata la mia vita senza i miei figli? Cosa sarebbe la mia vita senza mia moglie, mio marito? A volte lo sforzo che facciamo ci fa dimenticare la fortuna che abbiamo avuto perché certe persone hanno attraversato la nostra esistenza. Incontri che abbiamo fatto... la stessa cosa vale per Gesù.
Io vorrei invitarvi, oggi con me a questa riconoscenza: c'è tanta gente nel mondo che non ha avuto la fortuna di conoscere il Signore, di sentire la Sua parola, di camminare alla sua luce. Noi siamo persone fortunate che abbiamo sentito parlare di Lui, che abbiamo potuto ascoltare il suo appello, la Sua chiamata, la sua voce. Dovremmo avere una grande riconoscenza nel cuore, come l'avevano i discepoli.
Domenica scorsa la parola di Gesù era: "Chi cercate?" Sembra quasi che loro andassero cercandolo... man mano che raccontano, dicono: "Ci ha chiamati, Lui ha attraversato la nostra vita: è stata la nostra grande fortuna, ci ha cambiati dentro, ci ha trasformati, ci ha messo nel cuore la gioia di vivere, ci ha data il senso della vita"
Questa è stata la nostra fortuna! Allora diventiamo pescatori di uomini, allora ci sforziamo di dare agli altri il dono che abbiamo ricevuto. Allora sentiamo di essere creditori nei confronti della vita: abbiamo ricevuto tanto....
Tutti noi che siamo qui abbiamo ricevuto tanto dalla vita, e dono su dono: la gente che ci sta intorno, le persone che abbiamo amato, le persone che ci hanno voluto bene. Quanta gente nel mondo può dire così?... E la fede, l'aver conosciuto il Signore!
E allora se conserviamo questa gratitudine nel cuore, sentiamo anche l'esigenza di dare, di rendere amore per amore, di restituire alla vita un po' di quello che abbiamo ricevuto.
Il Signore ci aiuti a farlo.
...portarono il bambino a Gerusalemme Presentazione del Signore - 2 febbraio 1997
per offrirlo al Signore. Simeone... Luca 2, 22-40
prese il bambino Gesù fra le braccia e
benedisse Dio: "...i miei occhi hanno
visto la tua salvezza, luce per illuminare
le genti e gloria del tuo popolo".
Come avete capito dal Vangelo che ho appena letto, celebriamo la festa della presentazione di Gesù al Tempio: Simeone Lo proclama "Luce del mondo". Voi tutti conoscete questa festa come la festa della "candelora". E credo che tutti voi - almeno i più anziani - avrete, qualche volta, portato a casa la candelina benedetta il 2 febbraio: i nostri vecchi dicevano che bisognava accenderla, chi quando uno era malato, chi quando scoppiava il temporale, chi in punto di morte, chi per proteggersi la gola: tante forme della nostra tradizione popolare.
Quando ero giovane prete, rimanevo colpito da queste forme di devozione e mi chiedevo perché la gente avesse tanto bisogno di questi "segni". Tante volte abbiamo scherzato, in questa parrocchia sulla folla che c'è il giorno delle "palme": sulla lotta che, a volte, si accende per arraffare un rametto di palma; tanto che, negli ultimi anni, per risolvere il problema abbiamo dovuto portare quintali di rami d'ulivo, in modo che ce ne fossero in abbondanza per tutti e non si litigasse per portarne a casa un rametto...
Perché tutto questo? Da dove viene questo bisogno? Perché la gente ha bisogno di toccare con mano qualche cosa, che sia come un segno della protezione del Signore? Perché è così difficile andare al di là dell'oggetto per cogliere i grandi simboli della nostra fede?
Vedete, non è un fatto recente: era così anche ai tempi antichi. E' così anche nell'episodio che abbiamo ascoltato: non c'era nessun accenno, al tempo di Gesù, quando si portava il primogenito al Tempio, alla grande storia di Abramo, che mi permetterete di non commentare, perché fra due domeniche sarà già Quaresima e stiamo già pensando a come rivivere, quest'anno, i grandi segni, le grandi storie dell'Antico Testamento, allora ritroveremo anche la storia di Abramo e la sentiremo come uno dei simboli più profondi della nostra fede!
Ma avete sentito com'era ridotta al tempo di Gesù?! Si portava il bambino al Tempio per "purificarsi", si offrivano un paio di tortore o di colombi (se uno era più ricco ci voleva però un agnellotto); si ritornava a casa con la benedizione. I preti erano contenti perché avevano guadagnato un agnellotto; loro avevano la benedizione del Signore. Tutto a posto, tutto in ordine. Gesù ha tentato di spazzar via tutto questo... non c'è riuscito neanche Lui. Perché è difficile!
Ma perché è così difficile? Ve lo siete mai chiesto? Vedete, conservare nel cuore i grandi segni della fede significa pensare, cercare, sforzarsi, nella vita di ogni giorno, di portare avanti qualche cosa del progetto di Dio! E questo è faticoso. Meglio una candela, meglio un segno: abbiamo la benedizione del Signore, a casa portiamo un segno della sua protezione, ci sentiamo cristiani a buon mercato, senza il bisogno di sforzarci troppo. Dietro la porta di molte case c'era un tempo, adesso forse non più, un rametto di palma. Si sentivano bravi cattolici, si sentivano protetti dal Signore... tutto a posto! Quel ramo è un segno di pace, esige gesti concreti di pace... e costa tanto cercarla ogni giorno: è più semplice avere un rametto d'ulivo! Perché pensare è faticoso, perché cercare è difficile, perché comporta l'impegno della vita!
Ma ci avete pensato mai? Così facendo si paga un prezzo, il prezzo più alto e più grave che l'uomo possa pagare: è il prezzo della propria libertà, della propria dignità, del diritto di pensare con la propria testa! E tutti i potenti della terra han sempre cercato questo: che gli uomini non pensino! Son così i potenti di tutti i tempi: han sempre voluto che i loro sudditi portino le loro divise, che si mettano i loro distintivi. Anche oggi i potenti, anche nel nostro paese, hanno bisogno di "corti" intorno a loro: che magari si vestano alla stessa maniera, che leggano gli stessi giornali, che si sentano sudditi contenti di appartenere al gregge del capo, contenti di essere da lui protetti e guidati... e che non pensino, e non cerchino!
E non crediate che gli uomini religiosi non siano fra i potenti della terra... Anche loro vogliono che non pensiate! Per questo vi consegnano una candela; ma non vi invitano a cercare la luce di Gesù! La luce ce l'hanno loro: basta pensare come loro. A voi basta una benedizione, un segno di croce, qualche cosa da toccare con mano perché vi sentiate benedetti da Dio! E perché non pensiate, perché non cerchiate, perché non siate voi stessi, perché non andiate dove vi porta il vostro cuore e la vostra mente! Non è stato spesso ridotto a rito, a obbligo esteriore, anche il Segno più grande che Gesù ci ha lasciato: l'Eucarestia? Il segno del dono totale, della vita condivisa non si riduce a volte a rito vuoto, quando non addirittura a strumento per manifestare il potere o per far soldi!
Il segno esteriore... Il Signore ha affidato nelle nostre mani grandi simboli! Non ci sarà, in chiesa una candela da portare a casa: se vorrete, la troveremo qui la notte di Pasqua. E non la porteremo a casa come un segno di protezione del Signore: la lasceremo, intorno al grande Cero di Pasqua, sarà il simbolo della nostra passione per la ricerca della luce, del nostro desiderio di cercare Gesù, di portare intorno a noi la forza della Resurrezione! Perché questo è il senso della nostra fede: non un distintivo, che ci faccia sentire cattolici a buon mercato, non un segno della protezione di Dio... ma la passione della nostra vita nel cercare con tutto il cuore la luce del Signore, per portare un riflesso di Lui nella vita di ogni giorno. Questo è essere Cristiani! E questo i potenti della terra - anche i potenti della nostra religione - non lo vogliono.
"Il Signore tuo Dio susciterà IV Domenica del tempo ordinario - 30 gennaio 2000
per te, in mezzo a te, fra i tuoi Deuteronomio 18, 15-20 - Marco 1,21-28
fratelli, un profeta pari a me...."
A Cafarnao, entrato proprio di
sabato nella sinagoga, Gesù si
mise ad insegnare. Ed erano stupiti...
perché insegnava loro come uno
che ha autorità e non come gli scribi.
Vi ho suggerito di ascoltare con un po' di attenzione le frasi del libro del Deuteronomio, perché pongono uno dei problemi essenziali per un credente. Israele si rende conto che Dio non parla direttamente, non ci sono visioni, voci... ("che io non oda più la voce del Signore mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia": così si esprimevano gli Ebrei antichi). Dio non è a disposizione dell'uomo.
Mi è capitato l'altro giorno di vedere un documentario in cui una "sciamana", dopo una lunga serie di suoni e canti, entra in trance e dice di essere posseduta da una divinità, da uno Spirito; e parla con la voce di questo Spirito. Questo era molto diffuso nel mondo antico, ma oggi lo consideriamo del tutto estraneo alla nostra sensibilità religiosa.
Ma allora come possiamo ascoltare Dio, incontrare la sua luce, la sua parola? C'è nel Deuteronomio una promessa: un profeta; qualcuno che parlerà in nome di Dio. Ma come avete ascoltato c'è anche il rischio che il profeta non parli in nome di Dio. Chi mi dice allora se uno è un profeta vero o è un profeta falso? Sono io, a dover decidere. Ma voi lo sapete, io posso sbagliarmi, mi posso ingannare... Come usciamo da questo dilemma?
Badate, non ci sono risposte semplici a queste domande. Qualcuno potrà dirvi: Eh! però nella Chiesa basta ascoltare l'Autorità, basta rimanere fedeli alla dottrina ufficiale. Purtroppo non è così: nella storia ne abbiamo infiniti esempi.
Stamattina, era quasi l'ora di chiudere la chiesa, quando è arrivata una signora che aveva in mano un foglio di carta, datole da un suo amico. Lei forse si aspettava che io dicessi che era falso... su quel foglio c'erano alcune frasi (il suo giovane amico le aveva trovate su Internet) di un decreto del Santo Uffizio che nel 1860 dichiarava perfettamente legittima la schiavitù. "Nel 1860, com'è possibile questo? - diceva la signora - Cosa rispondo al mio amico?" Purtroppo ho dovuto dirle che quelle parole erano autentiche: la Chiesa nel 1860 - la Chiesa di Pio IX, del Cardinale Antonelli - era particolarmente retriva e tradizionalista. Era quella la verità? oggi tutti dicono di no. E allora, un povero cristiano del 1860 come faceva a sapere dove poteva trovare la parola di Dio? Non la può trovare in se stesso, perché rischia di ingannarsi. Non la può trovare nell'Autorità; non la può trovare certamente (nel 1860 forse non c'erano, ma oggi ci sono) nelle statistiche, che ci dicono quello che pensa la gente.
Un cristiano come me e come voi come può cercare la verità? come può sapere quello che dice Dio? Chi lo aiuta? Ve lo ripeto: per quello che ho capito io, non ci sono scorciatoie. Posso indicarvi tre tracce da seguire, che sono state importanti per me.
La prima: cercare di conservare il più possibile un cuore sincero e gratuito: un cuore assetato di giustizia e di verità, desideroso di luce; che non cerca soltanto quello che ci fa comodo, quello che è semplice e facile, ma quello che è giusto e vero. Poi, la seconda: fare un riferimento serio, profondo, al Vangelo: che Gesù diventi anche per noi - per me lo è diventato pian piano nella mia vita - "uno che ha autorità", capace di dire parole di vita, ricche di gratuità, tenerezza, libertà...
E la terza traccia (anche questo per me è stato molto importante): la gente intorno a me, le tante persone che con le parole, con l'esempio, mi hanno dato testimonianza di luce e di verità. Sono stati tanti: bambini, anziani, padri e madri di famiglia, giovani; persone di tutte le culture... mi hanno in qualche modo aiutato a cercare la luce! E non mi sono mai sentito solo, anche quando la pensavo un po' diversamente dalle voci ufficiali; mi sono sentito sempre in compagnia di gente che, come me, non si sentiva sicura, ma andava alla ricerca della luce!
Non dimenticate quello che dice oggi - alla sua maniera, un po' buffa per noi - Marco: chi sa quello che dice Dio, chi sa chi è Gesù, è il diavolo! Diffidate di tutti quelli che, nel cammino della fede, sanno sempre tutto, non hanno mai un dubbio, si dicono certi di ogni cosa. Marco direbbe: Non date retta! appartengono al mondo del diavolo! Appartengono cioè al mondo di chi pensa di possedere la verità e non si muove più a cercare.
Il credente è uno che si porta tanti dubbi, dentro; è uno che continua a cercare, desideroso di luce. È uno che ascolta, perché non è mai assolutamente sicuro della luce che ha, e quando intuisce qualcosa non lo vive come un "possesso", ma come un invito a cercare ancora... a cercare Dio, la sua luce; Gesù, il suo volto! Per questo siamo qui ogni domenica.
Il Signore ci aiuti!
Allora venne a lui un lebbroso: VI Domenica del tempo ordinario - 13 febbraio 2000
lo supplicava in ginocchio e gli Marco 1, 40-45
diceva: "Se vuoi, puoi guarirmi!"...
stese la mano, lo toccò e gli disse:
"Lo voglio, guarisci!". Subito la
lebbra scomparve ed egli guarì.
Il Vangelo di Marco, che ci accompagna in tutto quest'anno, è stato in questi duemila anni il più trascurato dei Vangeli, forse perché risultava, alla lettura dei credenti, un Vangelo troppo breve, stringato, senza discorsi di Gesù, tutto pieno di simboli. E forse, proprio per questo, è un Vangelo particolarmente difficile a leggere.
Nella mia esperienza, pian piano il Vangelo di Marco è diventato il Vangelo più importante. Tutta una serie di circostanze della mia vita mi hanno aiutato a scoprire la bellezza straordinaria di questo Vangelo; che, però, lo ripeto, non è facile. Cosa ci aiuta a leggere un Vangelo? Cosa può renderlo vivo per la nostra esperienza di credenti? Forse il racconto di oggi si presta - almeno si presta per me - ad aiutarvi a capire come lo si possa leggere.
Ci aiutano - almeno hanno aiutato me, ma potrebbero aiutare anche voi - i libri degli studiosi, i quali su queste pagine hanno consumato giorni e giorni della loro vita. Ci aiuta poi - ha aiutato me, almeno - l'incontro con le persone, il riflettere insieme su queste pagine. Ci aiutano, ancora - hanno aiutato me, almeno - le circostanze della vita. Vediamo come tutto questo può applicarsi al nostro caso, può aiutarci a capire questa pagina del Vangelo di Marco.
Pagina che, ad una prima lettura, sembra semplice. Almeno, la facevano semplice quando la spiegavano a me, quand'ero ragazzo: qui, come è suggerito anche dal Salmo e dalla frase dell'Alleluja, si parla del peccato; il lebbroso è il simbolo del peccatore... Il lavoro che ho fatto su questa pagina del Vangelo di Marco, mi porta a pensare che qui, del peccato, non si parla affatto. Qui, c'è solo l'incontro di Gesù con un lebbroso, un uomo malato, sofferente, allontanato da tutti. Non solo ma gli studiosi ci avvertono che qui c'è qualcosa di strano: abbiamo letto questa frase: In quel tempo venne a Gesù un lebbroso. Gesù, "mosso a compassione", stese la mano e lo toccò. Ma nel testo greco c'è anche un'altra parola, al posto di "mosso a compassione": una parola che si può tradurre con "preso da indignazione": Gesù si indigna davanti a questo lebbroso!
Spiego: voi sapete che un tempo il Vangelo non era stampato: come tutti i libri dell'antichità, occorreva, con pazienza ricopiarlo a mano. E il copista, o i copisti, di un tempo, non comprendendo il motivo dell'indignazione di Gesù davanti ad un povero lebbroso, hanno scritto "mosso a compassione". Ma gli studiosi che in qualche manoscritto leggono "preso da indignazione", pensano che Marco abbia scritto proprio così! (Per chi sa il greco: il termine usato da Marco - orghisteis - esprime proprio "indignazione").
Adesso ci vuole il secondo passo: perché Gesù si arrabbia? Come faccio a capire il senso di questa indignazione di Gesù? Per fare questo aiuta la lettura di tutto il Vangelo e aiuta il confrontarsi con le persone. Che cosa ho capito io? Gesù "si indigna" di fronte a questo lebbroso: e questa sua reazione la incontriamo più volte nel Vangelo; quando incontra l'uomo malato, l'uomo sofferente, Gesù prova un fremito: non si rassegna al dolore, alla sofferenza, al male! È un'offesa all'uomo, il dolore.
Ma qui c'è di più: Gesù "si indigna" perché quest'uomo, come avete sentito, deve andare in giro con le vesti strappate, gridando: Immondo! Immondo! È isolato da tutti, emarginato, messo da parte, escluso dalla vita comune...
Ma c'è un'altra cosa ancora più grave, che fa "indignare" Gesù: quest'uomo è ritenuto un peccatore. Infatti, come avete sentito, una volta guarito deve andare dal sacerdote, a fare la sua offerta per la purificazione; anche se è guarito, se è stato graziato, deve purificarsi dal suo peccato! Uno studioso diceva che questo è "'il capolavoro" della religione: non solo tu soffri, ma è colpa tua se soffri: soffri perché sconti la pena del tuo peccato. Per questo Gesù si indigna; e questa indignazione la trovate più volte, in tanti episodi del Vangelo. Dunque ho letto il Vangelo, ho cercato di capire perché Gesù si indigna. Adesso devo fare un altro passo.
Oggi non ci sono più lebbrosi, almeno tra noi; ma io posso condividere ancora questa indignazione di Gesù? Che senso può avere nella mia vita di oggi? Ecco: quest'anno le circostanze della vita mi hanno permesso di capire il senso di questa indignazione. A me è capitato quest'anno di assistere alla lenta malattia e agonia di persone care: l'impotenza, nonostante i tanti successi, della nostra medicina, di fronte a certe malattie! Mi è capitato quest'anno di partecipare alla ventura di due giovani sposi, il cui bambino è nato con un tumore! Si può nascere con un tumore?! Perché la nostra medicina ancora non può fare niente per impedirlo? Non si può non sentire un fremito di indignazione, di fronte a simili tragedie, che ancora accadono!
Ed ho poi notato che spesso si dà per scontato il loro dolore... La nostra cultura cattolica ritiene che la sofferenza in qualche modo è salvifica, fa parte del piano di Dio... Non è forse il dolore l'eredità di Adamo? Non è stato detto alla donna: "Tu partorirai con dolore"? Se una donna che sta per partorire si lamenta con il medico dei suoi dolori, le si dice che è naturale, per lei, soffrire... I nostri medici molte volte non hanno la cultura del dolore: se il malato si lamenta, è naturale che si lamenti... Eppure, oggi la medicina dovrebbe essere in grado di non permettere che le persone malate soffrano.
Ma c'è un'altra cosa che può suscitare oggi la nostra indignazione: ancora oggi, come al tempo di Gesù, tante persone vengono emarginate per la loro malattia. Pensate, per esempio, ai malati di AIDS, che vengono trattati come i lebbrosi di un tempo; o pensate ai portatori di certe forme di handicap, che vengono allontanati! Questa emarginazione che ancora c'è verso chi è malato, verso chi è anziano, verso chi perde il senno, verso chi contrae certe malattie, dovrebbe suscitare la nostra indignazione.
Qualcuno di voi dirà: "Ma oggi, almeno, nessuno ritiene che la malattia sia causata dal peccato". Un momento! perché quest'anno ho fatto anche questa esperienza: mi è capitato di incontrare delle persone che avevano problemi, seri, di malessere psicologico: pensate a certe forme di depressione, a certe forme di nevrosi. A casa che cosa dicono a chi ha questi problemi? "Datti da fare! Reagisci! Scuotiti!" E se va dal medico di base - spesso i nostri medici sono profondamente ignoranti, in questo campo, permettetemi di dirlo - anche il medico gli dice: "Muoviti! Datti da fare! Reagisci! Scuotiti!"; e se quello non riesce a scuotersi, che cosa si può concludere? Che è colpa sua, è peccatore! Non ci mette buona volontà. Perché, dirgli "Smuoviti, datti da fare!"? Non significa caricare quella persona, - spesso sono giovani - di un peso , di un senso di colpa? Non ha senso dire a queste persone (per questo io parlo di queste cose): "Va' a parlare col prete"... no! Non il prete! Non in chiesa, a pregare! Ma da qualcuno che possa aiutarti! Avrebbero bisogno di essere affidati ad uno specialista! Ma troppo spesso anche i nostri medici, non riconoscono come malattia la malattia psichica! E poi ci sono pochi specialisti veri in questo campo.
Ed anzi, nei confronti delle malattie psichiche c'è, nella nostra società, una sorta di disinteresse, come di rimozione. Voi avete spesso partecipato, e generosamente, alle raccolte per la lotta al tumore, alla sclerosi multipla, alla leucemia e quant'altro... Avete mai partecipato ad una raccolta per gli studi sulla depressione, per qualche forma di psicosi o di nevrosi? Ancora oggi c'è gente che parla di "esaurimento nervoso": parola del tutto generica e senza senso. Occorrono studi e ricerche per tentare di curare le tante forme di disagio psichico, che fanno soffrire ancora troppa gente, che spesso si sentono in colpa perché non riescono a sforzarsi di star meglio... Occorre anche qui tenere alto il livello della nostra insofferenza, della nostra "indignazione" verso la malattia, la sofferenza e il dolore.
Non so se sono riuscito nel mio intento: tentavo di dirvi come per leggere il Vangelo occorre l'aiuto degli studiosi e poi la riflessione personale e il confronto con altre persone; ma sono poi spesso le circostanze della vita che ci aiutano a capire perché Gesù si comporta in un certo modo e poi - forse è la cosa più importante - come posso vivere oggi l'atteggiamento di Gesù.
Il Signore ci aiuti a capire e vivere la sua parola.
Dio disse: "Il mio arco pongo sulle nubi ed I Domenica di Quaresima - 16 febbraio 1997
esso sarà il segno dell'alleanza tra me e la terra". Genesi 9, 8-15 - Marco 1,12-15
Gesù diceva: "Il tempo è compiuto.
Convertitevi e credete al Vangelo".
Come avrete visto da questo grande arco che attraversa la nostra chiesa, quest'anno l'attenzione - in questa Quaresima - cercheremo di porla più che sul Vangelo sulla prima lettura. Oggi proprio la prima lettura, come avete sentito, ci ha suggerito l'idea di quest'arco, che è un po' il simbolo del patto di alleanza tra Dio e Noè. E vorremo allora, in questa Quaresima, ripercorrere, quasi rivivere, l'antico concetto di "alleanza": questa antica idea, così importante nella nostra vita di credenti, eppure, a volte, così trascurata: voi sapete che nel cuore dell'Eucarestia, quando io alzo il calice, dico: "Questo è il calice della nuova ed eterna alleanza".
Alleanza è una parola che ha sapore antico; ma, come per le parole che hanno sapore antico, noi possiamo metterci qualche cosa della nostra vita di ogni giorno. Per gli antichi, l'alleanza era l'impegno che due persone prendevano l'una con l'altra, un patto che stringevano fra loro. E si basava sulla fiducia dell'uno verso l'altro, sull'impegno che l'uno verso l'altro prendeva, sulla ricerca di qualche cosa da avere in comune e condividere, sul desiderio di conservare la pace.
Ma l'alleanza esprimeva per loro anche lo stupore, la gioia dell'incontro, la festa perché si decideva di camminare insieme, di accogliersi, di rispettarsi nel profondo! Ed è anche questo che vorremmo, in questa Quaresima, ritrova, re nella nostra vita. Lo vedrete nelle domeniche seguenti: considereremo il recuperare - se volete, il ristabilire, il rinnovare, il riscoprire... trovate voi le parole che più vi serviranno in questo cammino - l'alleanza con gli altri, la alleanza con la legge, l'alleanza con la storia, l'alleanza con Dio!
Ma oggi, prendendo lo spunto dalla prima lettura, ci sembrava giusto cominciare dall'alleanza con la natura. E mi permetterete, in tutte queste domeniche - perché fa un po' parte di quello che io ho capito della mia fede - di non partire dall'impegno, dal proporvi comandamenti, ma dal rinnovare lo stupore.
Guardate quest'arco: avete visto qualche volta uno splendido arcobaleno nella natura? Abbiamo ancora occhi per guardare intorno a noi la bellezza del cielo, lo splendore del mare, gli alberi, la straordinaria varietà di questa natura? I nostri bimbi, abituati alla TV, a tanti strumenti moderni, sanno ancora stupirsi di fronte allo splendore del creato?
E noi tutti ci sforziamo di comunicare questo splendore? E prima di comunicarlo, ce l'abbiamo dentro? Abbiamo ancora la capacità di stupirci di fronte ad un fiore che sboccia, di fronte ad una foglia che si schiude?
Ecco: se conserviamo questo stupore, questa meraviglia, allora sentiremo l'impegno, l'esigenza di conservarla questa natura, di proteggerla, di custodirla, con tenerezza, con affetto. Anche nelle piccole cose di ogni giorno: noi sentiamo tanti appelli ripetuti alla TV - "Attenti a non produrre troppi rifiuti! Attenti a non buttare le buste di plastica per la strada, perché poi magari volano nel mare! Attenti a non rovinare la pineta!" - Sentiamo tanti avvisi, tante prediche, tanti consigli...Ma è importante che ciascuno di noi trovi, in questo cammino di Quaresima, qualche cosa di concreto che possa fare - proprio lui - per conservare questa natura, per insegnare ai piccoli a difenderla, a custodirla!
Noi non possiamo fare grandi cose; forse non possiamo difendere le foreste tropicali (anche se è giusto che qualcuno di voi, avendone la possibilità, si impegni anche per cose lontane); ma le piccole cose di ogni giorno, sì! Fare attenzione a non sporcare di più questa nostra città, a custodire questa splendida pineta che Dio ci ha regalato qui ad Ostia, a non sporcare troppo il mare di cui possiamo tutti godere. E questo può essere il primo degli impegni di questo nostro cammino quaresimale, verso la Pasqua!
Non pensiate che queste cose non c'entrino con la nostra), fede: Dio ha fatto un patto con Noè! il patto che la natura rimanga sempre la natura. Per millenni la natura è stata la natura e gli uomini hanno potuto stupirsi! Adesso la natura comincia ad essere sempre più nelle nostre mani: affidata al nostro coraggio di uomini. Bisogna che ci riconciliamo con il mondo che ci sta intorno! bisogna che facciamo pace con la natura! bisogna che siamo capaci di rispettarla veramente
Ma, prima di rispettarla, è importantissimo che tutti noi conserviamo nel cuore la meraviglia, lo stupore: al mattino guardare il sole e conservare lo stupore del sole, che ancora illumina la terra, che ancora ci riscalda!
Domani, per i bambini, qualcuno leggerà il "cantico delle creature" di san Francesco; leggetelo anche voi, come inizio di questa nostra Quaresima. Il primo passo dell"'alleanza": fare alleanza con il mondo che ci sta intorno e con la natura! E poi, verrà il seguito...
Il Signore ci aiuti!
Dio mise alla prova Abramo: "Prendi II Domenica di Quaresima - 23 febbraio 1997
il tuo unico figlio che ami e offrilo in Genesi 22, 1-2.9-13.15-18 - Marco 9, 2-10
olocausto". Abramo prese il coltello per
immolare suo figlio. Ma l'Angelo del
Signore disse: "Non stendere la mano
contro il ragazzo. Ora so che tu temi Dio".
Gesù si trasfigurò davanti a loro.
Allora Pietro disse: "Maestro, è bello
per noi stare qui; facciamo tre tende!"
Per molti di noi - ormai da parecchi anni - la prima lettura di oggi è diventata cara e preziosa. Abbiamo avuto la ventura di leggere e rileggere insieme, tante volte, queste parole scoprendone i molti aspetti che riguardano la nostra vita, i nostri rapporti con gli altri: il senso profondo del nostro essere uomini.
Si tratta di un racconto apparentemente semplice, che si sarebbe dovuto perdere nel corso dei secoli, come tante altre storie. All'inizio è stato scritto per dire che il Dio di Israele non vuole - o forse sarebbe meglio dire: non vuole più - nella maniera più assoluta sacrifici umani. Perché, vedete, uno degli orrori della religione, in tante parti del mondo, è stato proprio il sacrificio umano: sacrificio di bambini, di bambine più spesso; nei momenti più difficili l'uomo pensava di potersi ingraziare la divinità addirittura sacrificando una vita umana!
Israele cominciava ad avere orrore di tutto questo. E pian piano anche nei popoli intorno si perde la terribile abitudine di sacrificare persone. E allora ci si aspetterebbe che questo racconto, come in altre religioni, scompaia e si perda nella notte dei tempi.
In Israele non è così: pian piano questo racconto si approfondisce, si dilata. Noi ne abbiamo letto una versione parecchio ridotta, perché chi ha scelto questa lettura, forse, non dava troppa importanza al lungo racconto del cammino di Abramo con Isacco, verso la cima del monte. In questo racconto Israele coglie uno dei sensi più profondi della vita dell'uomo, un senso che ci riguarda tutti, e me e voi: che riguarda i genitori, i figli, gli amici, le persone che si vogliono bene. I figli, gli amici, le persone che amiamo, non sono nostre, ma prima di essere nostre, sono di Dio!
Le mamme che son qui sanno quanto costa mettere al mondo un figlio, tenerlo in grembo per nove mesi e poi vederlo, dolorosamente, staccarsi da sé! Ma sapete che non è tutto. Lasciare che un figlio se ne vada per la sua strada, rinunziare a quella inconscia sensazione che c'è dentro di noi, che l'altro sia il senso della nostra vita, che ci dia la felicità che andiamo cercando, lasciare che l'altro sia se stesso e non quello che noi vorremmo che fosse, questo a volte è doloroso come generare un figlio.
Ed anche i padri che son qui sanno che spesso c'è la tentazione di fare il figlio a propria immagine, di coltivare in lui i sogni che sono stati i nostri sogni, a volte anche i sogni che non siamo stati capaci di realizzare. E sapete che questo a volte è doloroso: rispettare il figlio per quello che è, come Abramo "sacrificarlo a Dio", perché sia se stesso: immagine della vita che lui si porta dentro e non quello che noi vorremmo che fosse!
Chi ha avuto dei fratelli sa che ognuno, portandoci via un po' dell'affetto dei genitori, ci infliggeva una ferita, perché li volevamo nostri e soltanto nostri.
E questo vale anche per due persone che si incontrano e che cercano di volersi bene. Se ricordate i primi tempi del vostro amore, sapete che c'era in voi la tentazione di fare, almeno un po', dell'altro la vostra immagine: di dominare l'altro, di plasmarlo secondo le vostre idee. E qualcuno c'è anche riuscito - forse anche qualcuno di voi - e sa quanto, poi, è stato faticoso - per vivere insieme - accettare l'altro non come noi volevamo che fosse, ma come lui era: accettare la voglia di camminare insieme, di condividere la vita, senza condizionare la libertà dell'altro.
E questo vale anche per l'amicizia. E questo valeva anche per gli apostoli. Avete sentito: vorrebbero trattenere Gesù tutto per loro... E Lui deve andare dove lo portava la sua libertà, il coraggio della sua testimonianza di vita!
E voi sapete che questo discorso non è affatto semplice. Perché se è vero che un padre e una madre debbono rispettare l'altro per quello che è, è anche vero che un padre e una madre hanno non soltanto il diritto, ma anche il dovere di educare un figlio, di condurlo per le vie della vita, di essere per lui testimoni di giustizia, di sincerità, di onestà, di verità.
Voi sapete che due persone che cominciano l'avventura di vivere insieme, hanno non soltanto il diritto, ma anche il dovere di educarsi a crescere insieme, di fare amalgamare i loro caratteri e le loro idee, per vivere insieme l'avventura di crescere come coppia. E dove finisce, allora, il rispetto dell'altro e dove comincia il dovere di aiutare l'altro a crescere? Non crediate che la risposta sia semplice.
A volte noi, come gli apostoli, ci vorremmo fermare "sul monte": non abbiamo voglia di combattere, di affrontare la difficoltà di far crescere un figlio, di condividere la vita, di vivere l'avventura, a volte così faticosa, di crescere insieme. Ci contentiamo di una carezza, di un bacio, di un momento di pace. Occorre scendere dal monte e vivere l'avventura della Alleanza vera e profonda: che è rispetto dell'altro, ma anche vita condivisa, l'avventura di incontrarsi e scontrarsi con l'altro! E non c'è una ricetta che semplifichi questo cammino nella vita.
Posso ancora raccomandarvi quello che io credo di aver capito: il segreto è conservare lo stupore, la meraviglia, di fronte all'altra persona; avere il senso profondo che l'altro rimane un dono per noi: un figlio, un amico, la persona che amiamo! Anche se a volte c'è costato tanto sforzo farlo crescere, convivere con il suo carattere, vivere l'avventura della vita: anche se questo a volte c'è costato sacrificio e impegno, l'altro - prima di tutto - è un dono che la vita ci ha fatto! È qualche cosa che noi non possiamo mai costruire, qualche cosa che dobbiamo accogliere e rispettare: nella tenerezza, nella meraviglia, nello stupore!
Il segreto dell'Alleanza è ancora questo: la capacità di stupirsi, la capacità di vivere la vita come un dono, la capacità di accogliere chi ci è accanto! Allora saremo anche capaci di sapere che lui, prima di essere nostro, è di Dio! Che si porta dentro di sé non la nostra immagine, ma l'immagine infinita di Dio!
Il Signore ci aiuti!
Due simboli: le due tavole della Legge III Domenica di Quaresima - 6 marzo 1994
e la sferza di cordicelle. Esodo 20, 1-17; Giovanni 2, 13-17
Dunque, abbiamo due simboli, in questa terza domenica di Quaresima, che ci guidano nel cammino verso Pasqua
Il primo vi è certamente familiare, specie chi ha qualche anno in più, ha visto più volte - anche rappresentate nelle immagini, a volte immagini straordinarie, di grandi artisti - le due tavole su cui è impressa la Legge.
La legge, una delle grandi conquiste dell'uomo! Vedete, l'uomo, quando ha incominciato a uscire dalla sua situazione di quasi scimmione, che andava vagando nelle savane africane, ha cominciato a sentire il bisogno di darsi delle regole, di difendere la vita umana, proteggendola con la legge, a volte anche con la severità della legge.
Nella Bibbia troviamo i primi oscuri tentativi, ricordate: "Occhio per occhio; dente per dente; vita per vita"; cioè: "Se qualcuno ti ha rotto un dente, solo un dente puoi rompergli! Non puoi cavargli l'occhio, che è una cosa molto più preziosa; altrimenti si innesca la violenza"
Poi, da questi primi oscuri tentativi, si è passati a leggi sempre più perfezionate e complesse, man mano che si arricchiva la vita sociale, sempre più si sentiva il bisogno di difendere la vita dell'uomo. E ne facciamo esperienza anche oggi: quando non c'è più legge, c'è il sangue, c'è la violenza, c'è la corruzione, a volte anche la morte! L'uomo ha inventato la legge per difendere la propria vita, per difendere soprattutto i più deboli: una cosa preziosa, dunque, la legge; una difesa della vita dell'uomo, della sua civiltà, della sua tranquillità, specialmente dei più deboli!
Israele vede, anche, nella legge, un dono di Dio; e colloca questa legge nel cammino della liberazione, avete sentito: "Io sono il Signore tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto". Israele ricorda l'Egitto come il luogo dell'orrore, il luogo della violazione della legge, il luogo in cui la dignità dell'uomo é calpestata, in cui si uccide, si fà ingiustizia, senza alcun rispetto. Israele esce da questo luogo dell'orrore, va verso la libertà; ma sa che questa libertà va difesa. E allora vive la legge come un dono di Dio, come un impegno con Lui: vive la legge come l'Alleanza con Dio, il dono che Dio gli fà, perché la sua vita sia protetta.
E sacralizza questa legge: come si usava allora, anche con tante promesse di premio e minacce di castigo. La legge, dunque, Israele la sente come un dono prezioso che Dio gli fà, la vive come l'impegno dell'Alleanza con Lui.
Ma io sto parlando a gente che, fino a qui, è pienamente d'accordo, vero? Voi siete tutti d'accordo sull'importanza della legge; anche perché, qui davanti: tutte persone oneste! Voi siete "gente per bene", voi non rubate, non uccidete, non fate violenza, rispettate gli altri; siete anche di quelli bravi - ormai siete rimasti in pochi - che rispettano la domenica: "Ricordati di santificare le feste" e voi siete tutti qui, a santificare la festa!
Allora, lasciate un momento da parte il primo simbolo: perché ce n'è un altro! Che è più inquietante per noi che siamo qui: Gesù che prende un po' di cordicelle, ne fà una frusta, e come un ciclone caccia via tutti dal Tempio! Eppure, è tutta gente osservante della legge. Perché era tutto regolare: nel Tempio si cambiavano le monete, perché sulle monete romane c'era l'immagine dell'imperatore, con scritto sopra: "Al divino imperatore". Non sia mai! avete sentito il comandamento di non fare immagini: non poteva entrare nessuna moneta pagana... Si vendevano le pecore, i buoi, per il sacrificio. I bravi, i fedeli, venivano e - come farete voi fra poco - mettevano mano al portafoglio, davano l'offerta Il prete prendeva sempre la "coscia destra", com'è giusto! Se no, che ci sta a fare il prete? La parte migliore spetta a lui Quindi i preti ci guadagnavano, si arricchivano; la gente se ne andava via contenta, perché aveva fatto il proprio dovere: aveva osservato la legge del Signore, si sentiva protetta da Lui. Tutto a posto!
Arriva Gesù e come un ciclone caccia via tutti! E se venisse qua? Che direbbe a noi, osservanti della legge? Forse non ci caccerebbe via, perché, in fondo, poi, Gesù era una brava persona, ma anche noi siamo brave persone; gli diremmo: "Buono! Fermo! Facci capire qualche cosa!".
Forse ci direbbe due cose: "Vedete, voi siete qui, osservate la legge, la legge del riposo festivo -"santificate la domenica"- osservate anche tante altre leggi. Attenzione, però, io son venuto per dirvi che, al di là della legge, è il cuore che conta! Se venite qui soltanto per sentirvi a posto, per sentirvi giusti davanti a Dio, sappiate che queste cose sono importanti, ma più importante è la misericordia, la tenerezza, la fedeltà!
"Io son venuto - vi direbbe Gesù - non per invitarvi soltanto ad osservare la legge esteriore (magari, come una abitudine...), ma a mettere l'amore, la giustizia, la passione per la vita, la tenerezza in tutte le cose che fate... E attenzione - direbbe ancora - guardate che l'osservanza della legge, spesso, diventa un piedistallo per giudicare gli altri".
Voi, che siete venuti a Messa, che avete avuto anche la pazienza di ascoltare la predica del parroco - un po' lunga, stasera, ma adesso finisco subito - poi andate a casa e magari rischiate di giudicare il figlio o il nipote: "Tu non sei venuto a Messa! Tu sei "un poco di buono", perché non vai a Messa!". E magari non capite che quello, forse, è anche migliore di voi!
C'è un rischio, nella legge: è l'abitudine, è l'esteriorità è il far le cose soltanto per avere un premio. E un rischio ancora peggiore: è il piedistallo per giudicare gli altri, che non ci fa mettere tenerezza nella vita E allora, vedete, oggi c'è un segno per tutti. Ma forse quello che più ci riguarda da vicino è il segno di Gesù!
Senza sensi di colpa, senza spaventarci! Ma accogliamo l'invito di Gesù, a riflettere: perché siamo qui? Che senso ha, per noi, essere persone oneste? Siamo capaci di voler bene fino in fondo? Sappiamo andare al di là dell'onestà esteriore della legge? Conserviamo nel cuore il desiderio del bene, della giustizia, la capacità di amare sul serio? E poi, riusciamo a non giudicare e condannare chi ci vive accanto? A non fare della nostra onestà un piedistallo, che ci impedisce di essere misericordiosi?
Il Signore ci aiuti!
Ciro, re di Persia, fece proclamare per IV Domenica di Quaresima - 9 marzo 1997
tutto il regno: "Il Signore, Dio dei cieli, 2Cronache 36, 14-23 - Giovanni 3, 14-21
mi ha comandato di costruirgli un tempio
in Gerusalemme. Chiunque di voi appartiene
al suo popolo, il suo Dio sia con lui e parta!"
"La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini
hanno preferito le tenebre, perché le loro opere
erano malvage. Ma chi opera la verità viene
alla luce, perché le sue opere sono fatte in Dio".
Il dramma non è che di volta in volta ci capiti di leggere sui giornali che ci sia in qualche parte una madonna che piange: dal tempo di Adamo, in ogni angolo della terra ci sono state statue di divinità o di santi che hanno versato lacrime: in ogni tempo, in ogni luogo. Non è questo il problema. Il problema è che c'è intorno a noi - e forse anche in mezzo a voi - tanta gente che pensa che sia giusto che la madonna pianga! Chi non è capace di guardare il mondo rendendosi conto di tutti i motivi di speranza che ci sono; chi non sa vedere tutta la gente che nel passato - e anche oggi - ha cercato di spingere l'uomo sempre più in avanti, verso orizzonti sempre più ampi di vita, di libertà!
Ecco perché vi dicevo all'inizio che l'Alleanza che dobbiamo fare oggi, quella con la storia, è forse più difficile di quelle che abbiamo fatto nelle domeniche precedenti. È difficile per molti saper guardarsi intorno, cogliendo gli aspetti positivi della vita. Noi siamo abituati a leggere sui giornali, a guardare alla televisione tanti fatti negativi. E c'è gente che pensa che l'umanità abbia poche speranze. E il guaio è che a volte lo pensano non soltanto persone con i capelli bianchi, ma anche dei ragazzi, dei giovani. E non c'è niente di peggio che strappare la speranza dal cuore di un ragazzo, togliere da lui l'orizzonte del futuro, il coraggio di guardare lontano! Nel Vangelo il peccato, il dramma più grande è togliere fiducia e speranza ad un ragazzo che cresce, sarebbe meglio mettersi una macina da mulino al collo e gettarsi nel mare.
Eppure, nonostante il Vangelo, spesso noi cattolici siamo incapaci di giudicare con ottimismo la storia, anche oggi, ci capita spesso di ascoltare l'autorità della Chiesa che parla contro ogni progresso, contro ogni novità. Forse perché giudichiamo la storia e la vita non a partire dai valori importanti ed eterni dell'uomo, - che Gesù è venuto a confermare - ma in base ai pregiudizi, alla tradizione, in base ad antichi tabù!
Non lo dimenticate: quando è venuto Galilei, che guardava il mondo con occhi nuovi, è stato condannato. E ci son voluti secoli per rendersi conto che la schiavitù fosse indegna dell'umanità. C'erano tanti teologi e maestri, che dicevano che Galilei sbagliava, perché la Bibbia, la tradizione avevano sempre affermato che il sole si muove e la terra sta ferma. E nel '700 c'erano tanti maestri, nelle università, che con la Bibbia in mano potevano dimostrare che i negri sono razza inferiore e che quindi possono essere fatti schiavi!
Il criterio di giudizio è la tradizione, è l'ideologia, sono i tabù antichi, non il rispetto dell'uomo, di ogni uomo che vive! E questo dovrebbe essere il criterio. Perché, vedete, la grande intuizione della Bibbia è che Dio lo si incontra nel cammino di libertà dell'uomo. Dove l'uomo fa un passo avanti nella vita, dove l'uomo trova la sua libertà, dove l'uomo è sfruttato di meno, dove l'uomo trova la gioia, trova il piacere, trova la salute: là c'è un segno di Dio!
Se verrete qui domani mattina troverete tutti i simboli che i nostri ragazzi hanno preparato per questa celebrazione: un grande mappamondo, il mondo che Dio ci ha affidato; e intorno tanti segni: la scatola della penicillina, il vaccino antipolio, dei trattati di pace, la radio che ha inventato Marconi, la rappresentazione della "Pietà" di Michelangelo, qualche quadro di Botticelli e tanti altri segni. E ci diranno: "Abbiamo cominciato un elenco, ma non possiamo finirvelo: arriveremmo alla prossima Quaresima!".
Quanta gente, quanta gente in ogni parte del mondo - magari gente che non credeva, magari gente che diceva parolacce, che non viveva del tutto secondo le regole - ha portato all'uomo ricchezza, arte, scienza, benessere, conoscenza! È gente a cui noi siamo debitori: dobbiamo sentirli nostri fratelli, uomini che hanno spinto avanti l'umanità, non è giusto che permettiamo che le loro opere siano dimenticate!
Io ho smesso (per non vergognarmi di essere uomo e di essere romano) di chiedere ai bambini - forse anche a qualche vostro nipote - se hanno mai visto la cupola di San Pietro: ci sono anche ad Ostia, oggi, dei bambini che non hanno mai visto la cupola di San Pietro! e credo che la metà di voi non abbia mai visto la Cappella Sistina... Non è giusto: diventiamo pessimisti, i nostri ragazzi perdono la speranza!
Allora fanno bene - ma fatelo anche voi - a fare ricerche su tutta quella gente, che nella storia ha fatto andare avanti l'uomo. E non soltanto nella storia: i nostri ragazzi, da 15 giorni leggono i giornali, guardano la TV, per annotare tutte le notizie positive che trovano. E domani le potrete trovare qui - tante, anche ad Ostia - e hanno fatto uno sforzo, perché purtroppo a loro raccontano ogni giorno tante cose negative. E loro hanno dovuto sgranare i loro occhi per trovare le notizie positive. E ce ne sono tante! E sono una piccolissima parte di tutte le cose positive che accadono nel mondo, che non appariranno mai sui giornali, perché, per fortuna, sono ancora cose normali!
Allora riconciliarci con la storia significa - se abbiamo capito qualche cosa della prima lettura di oggi - riconciliarci con tutti i "Ciro" della storia: con tutte le persone che in ogni angolo della terra hanno fatto fare un passo avanti all'uomo. Là dove l'uomo trova la libertà, là dove finisce lo sfruttamento, là dove c'è un pizzico in più di pace, là dove c'è un po' più di gioia, là dove c'è più piacere, là dove c'è arte, là dove c'è conoscenza, là dove l'uomo viene guarito... là c'è Dio! Là c'è lo Spirito di Gesù!
Con tutti questi noi dobbiamo riconciliarci, per essere capaci, anche noi, di mettere il nostro piccolo seme, che faccia fare un passo avanti al mondo: piccolo quanto volete, ma un passo avanti!
Il Signore ci aiuti!
"Questa sarà l'alleanza che io concluderò V domenica di Quaresima - 16 marzo 1997
con la casa di Israele, dice il Signore: Geremia 31, 31-34 - Giovanni 12, 20-33
Porrò la mia legge nel loro animo,
la iscriverò nel loro cuore".
"Se il chicco di grano caduto in terra
non muore, rimane solo; se invece muore
produce molto frutto... Io, quando sarò
elevato da terra, attirerò tutti a me".
È forse il momento più complesso della nostra Quaresima: tentare di vivere l'Alleanza con Dio, riconciliarci con Lui. I temi delle domeniche precedenti - lo ricordate - ci erano familiari: riconciliarsi con la natura (ce l'hanno detto tante volte), riconciliarsi con gli altri, con la legge, con la storia... Ma riconciliarsi con Dio, fare alleanza con Lui, che significa? Anche questo forse ce l'hanno detto tante volte: significa pentirsi dei nostri peccati, riconoscere il male che abbiamo fatto, chiedergli perdono e purificarci.
E se invece, più al profondo, ciascuno di noi avesse bisogno di permettere a Dio di riconciliarsi con noi? Non c'è in fondo al cuore di molti di noi il bisogno di chiedere conto a Dio? Non possiamo, almeno all'inizio, fare nostro il grido del profeta Geremia, che si rivolge a Dio dicendo: "Ci hai ingannato! Ci avevi promesso la pace ed eccoci con la spada alla gola"?
Noi possiamo allargare il discorso, possiamo metterci davanti a Dio e dirgli: "Ci avevi promesso la pace ed ecco la guerra; ci avevi promesso la salute ed ecco: molti di noi si sono ammalati, qualcuno è morto - anche in giovane età -; ci avevi promesso un mondo migliore ed ecco ancora c'è violenza e oppressione intorno a noi! Come ti giustifichi? Che Dio sei? Perché non pensi a noi? Perché preghiamo e non ci ascolti?"
Non avete qualche volta sentito anche voi questo grido? Non avete qualche volta anche voi alzato la voce, chiedendo conto a Dio del suo modo di agire o, se volete, del suo modo di NON agire?
Se vogliamo fare alleanza con Dio, andiamo anche noi sotto la croce. Lì il Vangelo di oggi ci invita ad alzare gli occhi e guardare... Guardate e provate a parlare: l'unico Dio in cui noi crediamo ha le braccia inchiodate sulla croce, sta esalando i suoi ultimi respiri... Non si può chiedere conto di nulla ad un uomo che muore! E che volete dirgli?!
E ascoltate: intorno c'è gente che grida, che non ha rispetto nemmeno per colui che muore: "Se sei Dio, scendi da quella croce e ti crederemo! Se sei Dio, salva te stesso ed anche noi e crederemo!" E fermatevi a guardare: non parla, non risponde; soltanto un grido e poi muore!
Potete chiedere a Lui la risposta alle vostre domande? Ormai non può più parlare; ormai ha reclinato il capo su quella croce! Eppure, è attraverso quella croce che passa la nostra alleanza con Dio: l'unico Dio che conosciamo ha le braccia inchiodate sulla croce!
Se ascoltate attentamente, magari attorno a voi qualcuno mormora le parole del Vangelo di oggi: "...come un chicco di grano, che caduto in terra muore per dare la vita!". "Chi ama, sa donare la vita...".
E allora forse cominciamo a capire: il Dio inerme e silenzioso, che vuole fare l'alleanza con noi, è venuto in questo mondo: il mondo che aveva affidato al nostro coraggio di uomini, il mondo che in parte il nostro egoismo ha rovinato, il mondo della natura spesso violentata, il mondo in cui spesso conta soltanto chi è forte, chi è potente, chi vince, chi ha successo; in cui il piccolo viene dimenticato, il mondo in cui chi ama spesso incontra un sorriso sarcastico: "Chi te lo fa fare! Credi ancora alle favole!"...
Eppure, se noi siamo qui, la nostra esperienza ci lascia intuire qualcosa: quelli che stimiamo grandi, quelli che consideriamo eroi, sono quelli che sono rimasti fedeli ai loro ideali, son quelli che hanno pensato agli altri prima che a se stessi, son quelli che hanno saputo dare la vita: una madre che si è sacrificata per l'ultimo dei suoi figli, un giudice che è rimasto fedele fino alla morte, chiunque nella vita ha saputo amare fino in fondo!
Ecco allora: su quella croce c'è Dio, che è venuto a condividere la nostra vita, che è venuto ad essere, in mezzo a noi, testimone di fedeltà, testimone di gratuità, testimone d'amore! È venuto come un chicco di grano a perdersi nei solchi della nostra storia, fedele fino in fondo agli ideali che si portava nel cuore, fedele ad ogni uomo, per dirci ancora che la vita non conta soltanto per chi ha successo, per chi è forte, per chi è potente: la vita conta per chi sa amare! E amare fino in fondo!
Non il Dio potente, forte e glorioso, non il Dio che risolve i problemi del mondo: ma il Dio che ci lascia tutta intera la responsabilità di costruire questa nostra terra! Il Dio che cammina con noi, per metterci nel cuore la passione per la vita, il coraggio d'amare!
Ecco: quando chiediamo conto a Dio, guardate: Lui non parla. Le braccia spalancate sulla croce, testimone di fedeltà e di amore, di una vita donata fino in fondo! Piccolo chicco, che si perde nei solchi della nostra storia!
Questo è l'unico Dio in cui crediamo: un Dio non ricco di forza, di potenza, un Dio non onnipotente! Il Dio inerme e indifeso, che dona se stesso; fedele fino alla fine agli ideali che si porta nel cuore, alla passione per la vita e per ogni uomo che vive!
Se vogliamo fare alleanza con Dio, dobbiamo lasciarci attirare, verso questa croce; lasciare che Lui ci cambi il cuore, che lo renda ricco di quello che conta veramente: della gratuità e dell'amore, per poterci riconciliare con LUI, che si riconcilia con noi !
Questo è il mio corpo... questo calice è CENA DEL SIGNORE - 27 marzo 1997
la nuova alleanza nel mio sangue... I Corinzi 11, 23-26 - Giovanni 13, 1-15
Fate questo in memoria di me".
"Ho lavato i vostri piedi, perché come
ho fatto io, facciate anche voi"
Abbiamo tanto parlato, in questa Quaresima, dell'Alleanza, per prepararci a questa Pasqua, per vivere questa Pasqua con tutta l'intensità che la nostra fede, il nostro stare insieme, ci permette. E stasera siamo qui proprio per celebrare questa Alleanza. Chi ha seguito il cammino quaresimale sa che l'Alleanza si vive ogni giorno, nelle vicende e nei rapporti della vita concreta; ma qui la celebriamo nel segno che Gesù ci ha lasciato.
Per vivere, per celebrare l' Alleanza ci vuole un cuore: il cuore della donna di cui ci parlava domenica il Vangelo: la donna che ha saputo spaccare il suo vaso di prezioso profumo, per un gesto di tenerezza. Occorre un cuore come il suo, ricco di gratuità, un cuore che sa guardare, che sa accorgersi, che sa riconoscere... e poi non calcola più!
Abbiamo invocato lo Spirito perché desse anche a noi almeno un po', un pizzico di questa gratuità e di questo amore. Allora possiamo celebrare il Segno di Gesù.
Ma attenzione: dovete adesso usare tutta la forza della vostra fantasia per celebrare l'Eucarestia! Per vivere questo segno che Gesù ci ha lasciato, dobbiamo uscire da questo tempio. Perché - vedete - noi abbiamo rifatto, della chiesa, un "tempio", un luogo dove si viene quando si ha bisogno di chiedere una grazia, dove spesso tentiamo di commerciare con Dio, un luogo dove si sciolgono i voti, dove si invocano le benedizioni del Signore, dove si viene per far memoria dei propri morti. Un luogo dove occorre purificarsi, dove qualcuno si sente escluso, dove ci sono gerarchie e divieti.
Usciamo! Non è questa l'intenzione di Gesù! Usciamo per il vasto mondo! Guardate il sole, lo splendore del cielo, gli alberi: perché è là che Gesù vuol farci celebrare l'Alleanza. Guardate il mare, sognate la bellezza delle montagne, guardate i fiori che sbocciano.
E poi la gente! Non solo chi sta qui, ma la gente del mondo, la tanta gente che ci ha preceduto nel cammino della vita: la gente che ha cercato, che ha studiato, che si è impegnata! La gente che ha costruito la vita, che è stata appassionata di pace. Tutti gli uomini di buona volontà, i poeti, gli scienziati, gli inventori, gli artisti, i cantori!
E non soltanto questi, ma anche la gente di ogni giorno: i miliardi di persone che in ogni angolo della terra lavorano, vivono, amano, cercano... È questo lo spazio dell'Eucarestia! Girate con la fantasia il mondo intero: non il mondo che vi fa vedere la TV, ma il mondo della gente di tutti i giorni: il mondo dove - è vero - ci sono i malvagi, i violenti, ma in cui c'è tanta gente di buona volontà. Gente come me, come voi; gente che lavora, che ama; gente che cerca la giustizia, che vive la tenerezza, gente di ogni cultura, di ogni pensiero, di ogni religione. Con tutti loro noi possiamo celebrare l'Alleanza.
Poi, quando avete girato il mondo, fermatevi un momento nel posto dove lavorate: guardate i colleghi di ufficio, gli operai che sono con voi. E poi fermatevi un momento nella vostra casa, nella casa di tutti i giorni: guardate negli occhi il marito, la moglie (chi ce l'ha), i figlioli, i nonni, gli anziani, i piccoli. È questo lo spazio dell'Alleanza!
E quando abbiamo girato il mondo, quando abbiamo guardato il cielo e la terra, la gente che ci ha preceduto, i miliardi di persone che vivono oggi; quando ci siamo soffermati nella nostra casa... allora possiamo tornare qui: le pareti, vedete, non ci sono più! Il nostro spazio è il mondo!
E dentro questo mondo, nel cuore della vita, un pezzo di pane un po' di vino! È il segno che Gesù ci ha lasciato per fare memoria viva di Lui: della sua vita, della sua passione per la giustizia e per la pace, per la libertà, del suo rispetto per l'uomo, per il più piccolo degli uomini! In Lui possiamo ritrovare i valori essenziali della vita, quello che veramente conta nella nostra ventura di uomini. E qui facciamo memoria della sua fedeltà ai valori che si portava nel cuore, del suo coraggio di andare fino in fondo, anche quando Lo insultavano e Lo disprezzavano; anche quando Lo hanno inchiodato sulla croce! Facciamo memoria di Lui, della sua vita donata, del suo amore totale!
E qui - lo avete ascoltato - facciamo memoria del suo chinarsi a lavare i piedi, del suo mettersi a servizio dell'uomo! E invita noi a fare altrettanto.
È questa l'Alleanza. Nel cuore della nostra esistenza - là dove lavoriamo, là dove amiamo, là dove viviamo; in questo grande mondo vasto e complesso, dove spesso è difficile amare - Gesù si fa presente nel pane spezzato, ci invita a sentire che Lui ci ama fino in fondo, che è fedele alla vita di ciascuno di noi!
E invita anche noi a vivere la gratuità: a "lavarci i piedi" l'un l'altro, a condividere la vita nell'attenzione ai più piccoli, ai più deboli, nella capacità di asciugare una lacrima, di fare un gesto di tenerezza! Il resto rischia di essere soltanto rito, cerimonia, tradizione. Potessi buttare via questi abiti! Potessimo togliere le pareti di questa chiesa! Potessimo sentire nella vita di ogni giorno la presenza viva di Gesù, la pienezza del suo amore! Potessimo portare, uscendo di qui, nella vita di ogni giorno, un pizzico di gratuità, la voglia di condividere la vita, il coraggio di amare!
Questo è celebrare l'Eucarestia! Questo è il dono che Gesù tenta di lasciarci! Lui ci aiuti a celebrarlo stasera e a viverlo ogni giorno!
"Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi II Domenica di Pasqua - 30 aprile 2000
e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto Atti 4, 32-35 - Giovanni 20, 19-31
la mia mano nel suo costato, non crederò".
E se avesse ragione Tommaso? Se fosse proprio lui l'autentico modello del credente? Vedete, la storia religiosa - non soltanto della nostra religione - è fatta spesso di folle credulone e fanatiche: di gente che insegue i prodigi e i segni, che accorre là dove c'è un santone che fa miracoli, dove c'è una madonna che piange, dove ci sono delle reliquie miracolose, dove c'è qualcuno che predice il futuro, qualcuno che ha le stimmate; c'è stata sempre tanta gente che si è lasciata incantare da fanatici predicatori che spingevano a fare crociate o grandi penitenze. E se fosse Tommaso, invece, - l'uomo del dubbio, l'uomo che continua a cercare, che vuole toccare con mano, che non si contenta, che vuole rendersi conto, che vuol capire - l'antidoto di ogni fanatismo e della facile creduloneria?
Molti di voi lo ricordano: quando eravamo ragazzi, quando la nostra intelligenza cominciava a porsi delle domande, se raccontavamo i nostri dubbi a qualche sacerdote o all'insegnante di religione ci sentivamo rispondere che per essere credenti non bisogna farsi tante domande, occorre credere fidandosi ciecamente di ciò che dice la Chiesa. È proprio questa la fede? Se il messaggio di Gesù è arrivato fino a noi lo dobbiamo ai tanti "Tommasi" - ed io ho avuto la fortuna di incontrarne parecchi - tante persone che volevano conoscere, capire, che continuavano a cercare, che non si contentavano di risposte facili e ipocrite.
Avete ascoltato anche voi la prima lettura: i discepoli vendevano tutto, mettevano tutto in comune, perché non ci fosse tra loro nessuno bisognoso. Ci hanno raccontato tante volte che ci sono nella Chiesa coloro che vendono tutto, che mettono tutto in comune: sono i frati, i quali rinunciano a possedere qualunque cosa. Chi di voi conosce la storia, sa che i conventi dei frati un tempo possedevano mezza Italia, che l'abbazia di Farfa in un certo periodo era più potente addirittura di Roma... Eppure continuavano a ripetere che loro seguivano l'ideale della prima comunità cristiana: rinunciavano a tutto... forse non conveniva chiedere la ragione di tanta ipocrisia ai contadini che spesso pativano la fame!
Ma non è forse questa idealizzazione ipocrita che rende noi cattolici incapaci, ancora oggi, di capire che cosa possiamo fare perché nel mondo ci sia meno gente bisognosa? Avete mai provato a cercare nella "dottrina sociale" della Chiesa qualche suggerimento per risolvere i grandi problemi della fame e dei tanti bisogni degli uomini?... trovate il vuoto o vaghe e astratte parole... eppure c'è chi continua a dire che basta credere, fidarsi; senza pensare, senza cercare, senza impegnarci!
E badate: questo non succede soltanto nell'ambito religioso. Stiamo concludendo un secolo e ancora non ci siamo chiesti seriamente: "Perché tanti cattolici, che leggevano il Vangelo e andavano a Messa ogni domenica, hanno applaudito Hitler? Perché in Italia folle "oceaniche" hanno applaudito Mussolini?". Piazza Venezia era piena di gente che applaudiva; le grandi piazze del Nazismo erano piene di gente fanatica... Ed ancora oggi nella Chiesa c'è tanta gente che non ha paura delle folle che applaudono acriticamente! Vi siete mai chiesto il perché?
Abbiamo bisogno di Tommaso. Abbiamo bisogno di chi non si contenta di quello che dicono gli altri: di chi vuole pensare, di chi vuole cercare, di chi vuole porsi le domande serie della vita! Essere credenti significa cercare Gesù senza contentarci di facili risposte! Che significa che Gesù è risorto, per me, per la mia vita? Come posso toccare con mano la presenza viva di Gesù nella mia esperienza di credente? Come posso capire cosa significa per me e per il mio cuore, la mia intelligenza, credere nei suoi ideali, inseguire i suoi sogni, perché la vita sia più bella, più ricca? Non servono facili applausi o fanatismi, occorre ascoltare la lezione di Tommaso: l'uomo del dubbio, l'uomo della ricerca. Lo sapete, non è semplice.
Il Signore ci aiuti!
Perché siete turbati e perché sorgono III Domenica di Pasqua - 7 maggio 2000
dubbi nel vostro cuore? Guardate le Atti 3, 13-19 - Luca 24, 35-48
mie mani e i miei piedi: sono proprio io!"
Ci sono in mezzo a noi alcune persone che hanno una fede tranquilla, serena, senza problemi: pregano, partecipano alle celebrazioni senza porsi tante domande, con grande senso di fiducia nel Signore. E ci sono, invece, altri che si portano nel cuore tanti dubbi, tante difficoltà a capire. Perché - come dice la prima lettura - anche oggi gli assassini se ne vanno liberi e invece dei giusti tribolano in un letto di ospedale o addirittura muoiono? E quando questo tocca qualcuno di noi da vicino, le domande si fanno più acute, più penetranti, più difficili. Com'è possibile comprendere il dolore di questo mondo? Dov'è Dio? Perché non interviene?
Per altri di noi il problema è diverso: è la difficoltà a capire cosa significa essere "testimoni" di Gesù nel concreto della vita di ogni giorno: cosa possiamo fare per essere testimoni della sua Resurrezione? Come rispondere al male, alla violenza, ai drammi del mondo con il bene, con l'amore? Cosa significa credere in Gesù quando vado a lavorare, quando mi incontro con gli altri, quando affronto i problemi del mondo? Tanti dubbi, tante difficoltà, cui non riusciamo, in molti, a trovare risposta.
Chi ha ragione? Qual è la vera fede? quella tranquilla, fiduciosa, serena, che si abbandona al Signore? o quella che si porta dentro tanti dubbi? Questa domanda, a mio avviso, è insensata. Non c'è un modello della fede; il modo di credere dipende dal proprio carattere, da come uno è fatto; o dalle circostanze della vita; perché a volte è la vita che ci mette dentro i dubbi, che ci pone delle domande.
Avete ascoltato il Vangelo: è tenero con noi, sembra non preoccuparsi di chi ha una fede tranquilla e serena, ma di chi ha i dubbi nel cuore. Il Vangelo di Luca - lo avete sentito - quasi balbetta: i discepoli sono sgomenti, impauriti, Gesù sembra loro un fantasma: - per la grande gioia ancora non credevano! - Come si può non credere per la gioia? Il Vangelo è dalla parte di chi ha difficoltà, di chi si porta dubbi nel cuore, di chi non riesce a capire la vita!
Se dunque c'è qui in mezzo a noi, stasera, qualcuno che ha il cuore particolarmente pesante, che ha avuto magari la vita bruciata da qualche avvenimento, che non riesce a capire il senso di quello che capita... non abbia paura, non si senta solo! Ha dalla sua parte il Vangelo: l'esperienza degli apostoli.
E noi ci ritroviamo qui ogni domenica con i nostri dubbi nel cuore, con le nostre difficoltà, con i guai che qualche volta capitano nella vita; qualche volta non riusciamo a capire, qualche volta ci piglia lo scoramento... come i discepoli di un tempo, "stupiti e spaventati" crediamo, a volte, che Lui sia un fantasma... Siamo qui per non perdere la speranza, per continuare a cercare quello che può essere giusto, quello che fa - per noi e per chi ci sta intorno - la vita più ricca e più pacifica. Non è facile per qualcuno di noi, lo so.. Per questo ci rivolgiamo a Gesù: perché ci aiuti a capire, perché spezzi ancora il pane con noi, perché lo sappiamo riconoscere presente in questo segno così povero! Ma è il vero segno della nostra fede! Nel pane che spezziamo, nella vita di Gesù che si dona per noi, c'è l'unico segno di Dio in mezzo a noi!
E Gesù continua a farsi pane per noi, per darci la forza di camminare ancora, per aiutarci a credere e sperare.
E quindi chi di voi si porta dubbi nel cuore, non abbia paura! Non significa che credete di meno perché non riuscite a capire, perché a volte fate fatica, perché a volte Gesù vi sembra un fantasma. Succedeva così anche ai discepoli; e non prima della Resurrezione: dopo la Resurrezione! Per questo vi dicevo che il Vangelo è tenero con noi: anche quando lo hanno visto risorto in mezzo a loro, "non riuscivano a credere"! Come succede a più d'uno di noi...
Il Signore ci aiuti!
Chiunque ama è generato da Dio e conosce VI Domenica di Pasqua - 4 maggio 1997
Dio, perché Dio è amore. I Giovanni - Giovanni 15,9-17
"Questo è il mio comandamento: che vi
amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi".
"Chi crede non si sente mai solo, perché sa di essere amato da Dio. Chi crede affronta con più facilità le sofferenze, le difficoltà, i problemi della vita, perché sa di poter contare sull'amore di Dio. Chi crede ha la gioia nel cuore, perché sa che la sua vita è sostenuta dall'amore di Dio." Penso che la maggior parte di voi sottoscriverebbe senza difficoltà queste affermazioni, non è vero?
Eppure, badate, queste affermazioni sono pesanti e offensive per i credenti, in certi momenti della loro vita: non so se anche a voi sia capitato di fare questa esperienza; ma molti cristiani vivono a volte, momenti di solitudine, di abbandono e quasi di disperazione. Non per niente i Vangeli mettono sulla bocca di Gesù le parole del Salmo: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!" Non possiamo dubitare della fede di Gesù; eppure Lui, là sulla croce o nell'orto degli ulivi, ha provato "paura e angoscia" si è sentito solo e non ha saputo affrontare facilmente il dramma della sua vita!
Se vi capita di leggere le "Vite" dei santi - ma quelle serie, scritte da loro stessi - trovate che la maggior parte di loro ha vissuto periodi - a volte lunghi - di sofferenza, di solitudine, di fatica nell'affrontare il dolore. Santa Teresa di Gesù Bambino esprimeva questo con un'immagine suggestiva: "Io so che c'è il sole al di sopra delle nubi; ma io vedo soltanto nubi, soltanto nebbia!"
La maggior parte dei grandi cristiani, che ho incontrato nella mia vita - persone che ho stimato profondamente - hanno attraversato momenti di solitudine, direi di disperazione: eppure era gente di profonda fede! Il fatto è, vedete, che a volte noi confondiamo la fede con il "sentire" la fede: la certezza che Dio esiste e circonda la nostra vita di amore, con il "sentire" questo amore. Noi non siamo padroni dei nostri sentimenti: e qualche volta ci capita di sperimentare momenti di solitudine, a volte sentiamo Dio lontano, assente dalla nostra vita, a volte ci sentiamo quasi disperati!
So che a molti di voi non capita di essere così: ringraziatene Dio! Ma c'è qualcuno - forse anche qui stasera - che sperimenta questo e magari ha incontrato chi, insensatamente, forse senza accorgersi di quale offesa facesse, ha detto che questo capita a chi ha poca fede!
Noi non siamo padroni dei nostri sentimenti: dipendono da tante cose. A ciascuno di noi può capitare di vivere momenti di notte, di solitudine, di fatica nell'affrontare i problemi della vita.
E anche per quel che riguarda i rapporti tra le persone ho visto gente tribolare perché confonde il sentimento con l'amore. Quante volte ho sentito delle nuore dirmi: "Don Checco, ho fatto tanto per mia suocera; ho fatto per lei più che per mia madre; eppure l'ho fatto senza amore!". Che significa?! Non sono forse amore i gesti di tenerezza e di servizio fatti senza risparmio e spesso, senza far trapelare sentimenti di antipatia, magari dovuti a vecchi torti, che ancora bruciano dentro?!
Quante volte ho sentito dei mariti o delle mogli dire: "A volte lo strozzerei! La strozzerei!". L'avete detto anche voi, penso, qualche volta, in un momento di rabbia!
Non siamo padroni dei sentimenti. Chesterton, uno scrittore inglese, diceva che "l'amore" di una mamma per un figlio è sempre lo stesso, ma il "sentimento" va dall'adorazione all'infanticidio! L'amore è fatto di gesti concreti, di servizi, di attenzioni: non solo di sentimenti. Vale tra noi e vale nei nostri rapporti con Dio. Essere credenti significa credere che al di là della nostra vita c'è l'amore e la tenerezza di Dio; ma qualche volta non lo sentiamo. Amarci tra di noi significa tentare di aiutarci, qualche volta di sopportarci, di metterci gli uni al servizio degli altri. Qualche volta lo facciamo con gioia, con entusiasmo - e ne ringraziamo Dio! -; qualche volta ci costa fatica! Qualche volta ci portiamo dentro - e non sappiamo perché - sentimenti di rancore, di rabbia, verso chi ci sta accanto. L'amore è un'altra cosa! L'amore è qualche cosa di più profondo: va al di là del sentimento.
Questo solo volevo dirvi, stasera, anche se l'ho fatta un po' lunga... Ma queste parole so che possono, forse, servire a consolare qualcuno di voi. Ed è la cosa più importante!
Il Signore ci aiuti!
"Andate in città...il padrone di casa CORPUS DOMINI - 5 giugno 1994
vi mostrerà al primo piano una sala... Marco 14, 12-16; 22-26
là preparate per noi la Pasqua".
Ho tentato di dire qualcosa, nelle domeniche precedenti, celebrando le feste, prima, della Pentecoste, poi, della SS.Trinità, invitandovi a riflettere sulle tentazioni religiose in ogni parte del mondo. Permettetemi oggi di concludere il ciclo tentando di mostrarvi qual è la conseguenza di quelle tentazioni - la tentazione, cioè di farsi Dio a propria immagine, la tentazione di ricorrere a Dio solamente nei momenti di bisogno, la tentazione di impossessarsi di Dio e di metterLo al proprio servizio -.
La conseguenza, che voi trovate in ogni religione, è la costruzione di uno spazio sacro: in cima alle montagne o, là dove non c’erano le montagne, costruendo delle grandi piramidi, l'uomo ha cercato di costruire degli spazi in cui incontrare Dio. E quando si va nello spazio sacro? Quando si ha bisogno di Dio... o per ottenere una grazia, un favore quando l’uomo si sente debole e fragile o per chiedere la guarigione da una malattia. È impressionante vedere come, nei templi antichi, di tutte le religioni c'erano tanti ex-voto: braccia, gambe, piedi... sono andato, circa un mese fa, a visitare un museo etrusco a Tarquinia e sono rimasto colpito nel vedere, tante vetrine, piene di organi sessuali, uteri, membri virili... Evidentemente a quel tempo il bisogno di avere un figlio era grande; e chi non riusciva, andava al tempio e portava un simbolo, sperando che Dio desse una mano.
Oppure si andava al tempio quando si sentiva l'esigenza di espiare un peccato; e non dimenticate: gli antichi credevano che una carestia, una pestilenza, fosse causata dal peccato di qualcuno e bisognasse espiare, moltiplicando i sacrifici, a volte addirittura sacrifici umani.
Oppure si andava al tempio quando bisognava, in qualche modo, interpretare il futuro, difendersi dal futuro: si doveva partire per un viaggio: "Chi sa come andrà a finire?! (specialmente i viaggi di un tempo); si andava nel tempio, magari si gettavano le sorti; oppure quando (un tempo succedeva spesso) si partiva per la guerra: "Chi sa se si ritorna?". Si andava nel tempio a tentare di interpretare il futuro.
Oppure - ne son pieni tutti gli spazi religiosi - si andava nel tempio per venerare i morti, per offrire per loro un sacrificio.
E lo spazio sacro si organizza: si costruiscono recinti, sempre più difficili da superare; e dentro i recinti, linguaggi complicati, quasi magici, lingue che spesso la gente non parla più da tanto tempo, là riti complessi, che soltanto gli esperti sanno celebrare. E dentro questo spazio sacro, una casta sacerdotale, sempre più articolata, con vesti speciali, con i pennacchi sulla testa. Com'è normale tra gli uomini, quelli che stanno nel tempio hanno sempre diritto alla "coscia destra": ci guadagnano, in qualche modo, nell'offerta del sacrificio!
E lo spazio sacro è sempre più separato dallo spazio profano; quando si entra nello spazio sacro, bisogna fare riti di purificazione sempre più severi e occorre lasciare fuori tutto quello che appartiene alla vita di tutti i giorni, tutti quelli che sono i problemi della fatica quotidiana. Perché lì si va per incontrarsi con Dio; e davanti a Dio ci si prostra in adorazione profonda! E non è importante guardarsi in faccia: a che serve guardarsi in faccia? Noi siamo venuti qui per guardare Dio, per venerarLo, con un senso di rispetto profondo, spesso di timore: perché Lui è il Potente, il Forte; da Lui aspettiamo la grazia!
E l'altra conseguenza - se ci pensate - è che, quando si entra nello spazio sacro, quando ci si mette davanti a Dio, quando si cerca la Sua grazia o si va a fare un'offerta per i defunti, non c’è più grossa differenza fra il capo-mafia e l'uomo più onesto del mondo: là, davanti a Dio, tutto si appiattisce: quello che conta è la maestà di Dio, quello che conta è prostrarsi. Le differenze non si vedono più: là non c’è il ricco e il povero: tutti si chinano, tutti si prostrano, tutti venerano Dio!
Questo, nel tempio di Gerusalemme, era stato portato - nella lunga tradizione del popolo ebreo - quasi alla perfezione. Voi potete vedere ancora le rovine del grande tempio di Gerusalemme, la costruzione più bella, più straordinaria che sia stata innalzata su quella terra dai tempi di Adamo sino ai nostri giorni.
Gesù ha tentato di portare la sua gente fuori da tutto questo: fuori da quello spazio sacro, fuori dai riti complicati, fuori dalle lingue esoteriche, fuori dallo spazio riservato ai sacrifici; e ha convocato la Sua gente - noi! - nel cuore della città: in una casa qualunque, intorno ad una tavola qualunque; e sulla tavola, le cose più semplici della vita: un po' di pane e un po' di vino.
Là nel cuore della nostra vita - fuori dagli spazi sacri, nella vita di tutti i giorni, dove si lavora, si combatte per fare quadrare i conti alla fine del mese, si tirano sù i figli, si cerca di essere persone oneste - là Gesù ha collocato la memoria di sé, memoria di vita donata! Là, intorno a quella tavola, bisogna guardarsi in faccia e condividere la vita, là occorre tentare di "far memoria" di Gesù, calare nella propria esperienza i Suoi valori, la Sua vita; e allora intorno a quella tavola, si distingue subito il mafioso dall’uomo più onesto del mondo, se non vogliamo ingannare se stessi. Perché là occorre confrontarsi con Gesù, con la Sua vita donata: là occorre portare, nel cuore della vita di tutti i giorni, il coraggio della libertà, il coraggio di amare, tutti i valori della vita di Gesù!
Era troppo per noi, lo potete capire facilmente!... Ci siamo accuratamente difesi: vedete? questo altare non somiglia ad una tavola qualunque, qui ci sono tutte cose ben sacre: vasi sacri, libri sacri, paramenti sacri, io sono sacro, voi siete tutti qui pieni di religioso rispetto, qualcuno anche di timore di Dio... e Gesù - mi permettete una parolaccia? - Lo abbiamo fregato! Non vogliamo che ci venga ad inquietare nella vita di tutti i giorni: "Stattene là; quando ci servi, veniamo!"; ma poi i nostri fatti ce li regoliamo da noi, combattiamo, lavoriamo...
E invece Lui voleva porre - voleva porre e lo vuole ancora: ci invita a farlo - voleva porre nel cuore della nostra vita, voleva porre nei nostri giorni, nei nostri spazi profani - quando andiamo a lavorare al mattino, quando facciamo i conti alla fin del mese, quando tiriamo su i figli, quando insegniamo a scuola - nella nostra vita di tutti i giorni voleva porre la memoria di Sé: i Suoi valori, la vita donata, il coraggio di voler bene. Perché Gesù voleva trasformare la nostra vita, voleva essere lievito che facesse fiorire, nella nostra vita di tutti i giorni, i Suoi valori, il Suo Regno. Voleva essere seme seminato nei solchi della nostra storia!
Chiediamo perdono per noi, per la lunga storia dell’Eucarestia; e chiediamo allo Spirito che ci aiuti a capire questo gesto di Gesù! Vedete, se voi leggete il Vangelo, più della metà è dedicato a capire quello che Gesù ha fatto: perché ha fatto questo? perché ci ha portati fuori dal tempio? perché ci ha riuniti attorno ad una tavola? Cosa cercava da noi?
Cercava solamente questo: condividere la nostra vita, essere lievito nella nostra vita di tutti i giorni, mettere il fermento della Sua presenza nel nostro quotidiano! E noi, cerchiamo di rinchiuderLo di nuovo in uno spazio sacro! Ma Lui continua a bussare alla nostra porta, non si stanca; fino alla fine. E alla fine - questa speranza ci riunisce qui - vincerà Lui! Avrà ragione Lui!
Il Signore ci aiuti.
"Un profeta non è disprezzato che nella XIV Domenica del tempo ordinario - 9 luglio 2000
sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua". Marco 6,1-6
E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù arriva nella sua patria, tra la sua gente e i suoi concittadini non credono in lui! Quando ero giovane e ingenuo avrei chiesto: "Ma non poteva fare qualche miracolo, di quelli grandi, per convincere i suoi concittadini a credere in lui?". Allora non conoscevo il Vangelo di Marco… avete ascoltato la brusca risposta di Marco: Non poteva fare prodigi a causa della loro incredulità. Quando ero giovane, quando c'era qualche mio compagno - che so? al ginnasio o al liceo - che non credeva, mi domandavo: "Ma Dio non potrebbe fare qualche miracolo, in modo che possa anche lui vedere e credere? Perché non c'è qualche segno che lo convinca?".
Era certo frutto della mia ingenuità; ma succedeva anche perché qualcuno mi aveva educato così. E penso che anche molti di voi siano stati educati così; perché mi son sentito rivolgere tante volte queste domande, nella mia vita di prete. Ci hanno insegnato che il miracolo è il segno di Dio. Ed infatti, se voi guardate in giro - alla TV, sui giornali, nelle riviste - spesso, quando si parla di religione, si parla di segreti di Fatima, di apparizioni di madonne, di statue che piangono o addirittura versano sangue, di prodigi, di miracoli... Quando ero giovane pensavo che questi racconti fossero una caratteristica del cristianesimo poi ho imparato che i prodigi, i miracoli, i racconti straordinari sono quanto di più comune si trovi nelle religioni di tutto il mondo... Nella religione romana o greca, come in tutte le altre, troverete infinite storie di prodigi, di miracoli, di apparizioni, di statue che parlano o piangono, di segreti da svelare…
Il vero "miracolo", - la presenza di Dio in mezzo a noi - non ha nulla di prodigioso: con gli occhi del corpo non riesci a vedere nulla, occorrono gli occhi della fede.
Gli abitanti di Nazareth che cosa dovevano credere? che cosa non riescono a credere? qual era il vero "miracolo" che attraversava la loro vita? Dio che si fa un falegname, che viene a vivere una vita normale: le mani callose di uno che lavora tutti i giorni intorno al legno; gli incontri, la sera, con gli amici; la sua testimonianza di vita, il suo cuore! Dio che viene a camminare con noi per le strade del mondo: questo è il VERO "miracolo"! e non si può dimostrare. O ascolti la sua parola, o lo guardi negli occhi, o capisci che là, in quell'uomo, si manifesta Dio... oppure non c'è prodigio che tenga.
E, se volete pensate all'altro VERO "miracolo" di cui ci parla il Vangelo: il Signore risorge! Sarebbe bello (o forse no) se i discepoli avessero potuto dire a qualche miscredente: "Tu non vuoi credere che Gesù è risorto? Vieni, eccolo qua. Parlaci! È proprio lui, quello che avete crocifisso!". Niente di tutto questo succede: ormai, vede Gesù solo chi ha fede... E se non hai la fede? Non puoi vedere nulla, non c'è segno o prodigio che ti permetta di credere…
Ma qui, sull'altare, guardate: c'è del pane; solo un po' di pane e un po' di vino. Fra poco io dirò le Parole e voi credete che - lì - Dio si fa pane, cibo del nostro cammino. Se viene qualcuno - che so? dal Giappone o dalla Cina - che chiede di poter vedere, voi gli mostrate una piccola ostia; e quello dice: "Ma questo è pane". "No, per me è Gesù". "Ma questo è pane: ha gusto e sapore di pane". Sarebbe bello (o forse no) se potessi fare qualche prodigio - che so: l'ostia che comincia a volare per l'aria - ma, voi lo sapete non ci accadrà mai nulla di simile; e poi, pensate che servirebbe per aiutarci a vivere l'Eucarestia? È vero, un tempo ci raccontavano la storia di quel prete che non credeva, ha spezzato il pane, usciva sangue... ma è pericoloso, specialmente oggi: io ho incontrato - per fortuna raramente - chi aveva timore che nel fare la comunione la bocca gli si riempisse di sangue...
Sciocchezze! Non vedrete mai uscire sangue da quell'ostia. Non ci sarà mai un prodigio che vi farà credere. O sentite che - lì - c'è Dio che si fa vicino alla nostra vita, che si fa cibo per noi... Ma questo, che è il vero "miracolo", si può vedere solo con gli occhi della fede!
Il prodigio non serve per credere. Quello che serve per noi, è domandarci: Che senso ha ciò che noi crediamo? Perché Dio è venuto a condividere la nostra vita? Che senso ha che il Signore è risorto? Che senso ha che Gesù si fa pane? Cosa significa, questo, per la mia vita di ogni giorno? Questo è avere fede! Il resto - i prodigi, i miracoli, le apparizioni, i segreti di Fatima, le madonne che piangono, i fatti straordinari - appartiene alla paccottiglia che c'è in tutte - tutte! - le religioni del mondo. Paccottiglia, sciocchezze: cose che oggi sono per molti di scandalo, che rischiano di far perdere la fede.
La fede è una cosa seria! È sentire Dio presente nella nostra vita, senza poter vedere NULLA! Senza poter toccare NULLA! Qui, in quel pane spezzato, sempre sentiamo sapore di pane, gusto di pane, consistenza di pane; eppure, con gli occhi della nostra fede, possiamo vedere Gesù che si fa pane, che nutre la nostra vita, che ci convoca come una famiglia intorno alla tavola. Dio che viene ad essere partecipe del nostro cammino sulla terra! Questo è il vero "miracolo", questa è la nostra fede; al di là di ogni prodigio. Il Signore aiuti anche noi a non essere come gli abitanti di Nazareth, ma a credere. Altrimenti, non potremo mai vedere prodigi...
Allora Gesù chiamò i Dodici e XV Domenica del tempo ordinario - 13 luglio 1997
incominciò a mandarli a due a due Amos 7, 12-15 - Marco 6, 7-13
e diede loro potere sugli spiriti immondi...
E scacciavano molti demoni, ungevano
di olio molti infermi e li guarivano.
Sapete cosa ci vuole per essere dichiarati "santi" nella Chiesa, per avere il proprio nome scritto sul calendario? Valeva un tempo, ma vale anche oggi: ci vuole qualche "miracolo" - cacciare qualche diavolo, guarire qualche malato - ma soprattutto ci vogliono molti soldi... Soldi che non tira fuori il "santo", chiaramente, ma quelli che vengono dopo - un ordine religioso, un gruppo di cristiani - a cui il "santo" serve per esaltare la propria ideologia o il proprio potere.
E se il Cristianesimo fosse totalmente un'altra cosa? Si capirebbe allora l'insistenza di Gesù: "né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa". Solo i sandali, nemmeno due tuniche, anche se fa freddo... Insiste, perché sa quello che minaccia il cammino della sua gente: la ricerca del potere, la sfiducia nella Sua Parola, il pensare che il Suo nome, i Suoi valori possano essere diffusi con la forza del denaro, con la potenza.
Nel corso di questi 2000 anni, non pochi hanno pensato che si potesse diffondere il messaggio di Gesù con la forza: hanno conquistando popoli e nazioni e con la Croce e la spada nella mano!
E, vedete, non è soltanto con la forza delle armi che si esercita il potere nella vita della Chiesa: se vi dicono: "In quel santuario c'è qualcuno che fa i miracoli; in quell'altro c'è qualcuno che scaccia, i diavoli". Pensateci: anche questo è potere, anche questo è voler esercitare il proprio potere sui bisogni, sui desideri, sul cuore della gente!
E se essere Cristiani fosse totalmente un'altra cosa? Se cacciare i "diavoli" non fosse faccenda di qualche strana pratica, di cui, talvolta, qualche buffo prete parla in TV, se fosse cosa di ciascuno di noi, nella vita di ogni giorno? Fosse combattere l'ingiustizia, l'intolleranza, la violenza nel nostro quotidiano, nel posto dove lavoriamo, nelle nostre case?
Se "guarire i malati" non fosse il prodigio, che succede una volta tanto, ma il chinarsi dell'uomo di buona volontà sulle tante sofferenze del mondo? Sofferenze del cuore, oggi che la medicina ha vinto tanti malanni del corpo: gente che ha bisogno di una tenerezza, di un conforto, di un aiuto per essere capace di vivere!
Se se essere discepoli di Gesù, fosse qualche cosa di tenero, di quotidiano, lontano da ogni forma di potere, da ogni ideologia, da ogni sopraffazione sugli altri? Se fosse il chinarsi su chi ci sta accanto? L'essere testimoni di giustizia, di onestà, di fedeltà, nella vita di ogni giorno? Il coraggio di "scuotere la polvere dai piedi", quando incontriamo qualche ingiustizia intorno a noi?
Se essere Cristiani è tutto questo, allora noi abbiamo i nostri Santi! Ce ne sono anche qui, in mezzo a voi; e ce ne sono parecchi! Qualcuno se ne comincia ad andare, perché anche la Parrocchia ormai diventa vecchia...
Abbiamo i nostri Santi in Paradiso! Non cercatene il nome sul calendario, eh? Non abbiamo i soldi... Ma nel cuore di Dio ci sono loro! E forse più avanti di tanti che hanno i nomi scritti sul calendario: molti di quei nomi (non lo raccontate in giro) erano dei delinquenti. "Quello era un gran Santo - vi dicono - ha organizzato una grande crociata, quell'altro ha fatto bruciare molti eretici!" I Santi che ho conosciuto io non hanno ammazzato nessuno! Hanno dato una carezza, quando potevano; ci hanno portato un sorriso quando potevano; hanno fatto l'amore, quando potevano; sono stati testimoni di giustizia e onestà; hanno resistito al male, ogni volta che hanno potuto!
Questi sono i Santi veri! Non serve fare prodigi, non servono fatti straordinari: è la fedeltà di ogni giorno! Noi ne abbiamo conosciuti tanti. E speriamo che tutti noi, anche io, possiamo fare qualche piccolo gesto sulla via della santità vera, dove ci chiama Gesù!
Il Signore ci aiuti!
Gesù rispose: "Trascurando il XXII Domenica del tempo ordinario - 31 agosto 1997
comandamento di Dio, voi Deuteronomio 4, 1-2.6-9 - Marco 7, 1-8.14-15.21-23
osservate le tradizioni degli uomini".
Una volta, tanto tempo fa, una signora mi diceva: "Don Checco, noi vorremmo che quando Lei predica non dicesse le sue opinioni, ma ci desse la dottrina sana, tradizionale, il pensiero della Chiesa, il pensiero di Gesù". Queste parole, quando le ascoltavo allora, mi turbavano un po', come potete immaginare. Poi, l'esperienza della vita mi ha insegnato tante cose: ho sorpreso spesso queste persone (come si dice a Roma) "col sorcio in bocca"... Chi parla cosi o è in mala fede perché vorrebbe che io dicessi come "parola della Chiesa" quello che lui pensa; o, più semplicemente, - ed era probabilmente il caso della signora - è stato ingannato.
C'è tanta gente, anche oggi, che cerca di impapocchiarvi facendo passare le proprie opinioni come opinioni della Chiesa o, addirittura, "parola del Signore"! Io ve l'ho detto tante volte e torno a ripetervelo ancora una volta: le mie sono soltanto parole di uomo; le mie sono soltanto opinioni personali. Ma chi vi dice il contrario, vuole ingannarvi. E guardatevene bene! Nessuno può togliervi il rischio di capire da soli cosa vuol dirci il Signore, qual è veramente la Sua parola e nelle concrete circostanze della vita. È, come avete ascoltato nel Vangelo di oggi, un problema antico: si tratta di distinguere le tradizioni degli uomini, le parole degli uomini, dalla "Parola di Dio".
Capita spesso, nella vita della Chiesa, che ci sia chi vuole educarvi a non pensare, ad accettare passivamente opinioni che sembrano venire da Dio e sono soltanto opinioni di uomini. Posso forse, a mo' di esempio, raccontarvi l'esperienza che ho fatto in questa vacanza.
Stavo, con un po' di altra gente, in un paesino dell'alto Adige, qualche volta ci capitava di sconfinare nel Veneto, incontrando, là, l'antica e veneranda tradizione cattolica di quelle regioni: grandi chiese (non sempre belle, per la verità), sulla porta i manifesti che annunciavano feste, processioni, tradizioni: un'antica cultura cattolica, forse più orientata all'ossequio, all'obbedienza, che alla ricerca, allo stimolo a pensare con la propria testa.
E, discorrendo, ci capitava di notare come in quelle regioni sembra prendere largamente piede ogni forma di "lega", o "liga". E qualcuno ricordava che anche al tempo del terrorismo, là c'era uno dei focolai più importanti che forniva uomini per il terrorismo.
Che sia questa una delle conseguenze della lunga tradizione cattolica, volta più all'ossequio e all'obbedienza, che a pensare con la propria testa? Se un giovane non è abituato a pensare con la propria testa, quando sente il bisogno di cambiare, rischia di andar dietro al primo mito che passa, di lasciarsi cogliere dalla prima avventura, per quanto assurda e pericolosa sia.
Vedete, noi ci prepariamo a festeggiare il giubileo: lo festeggeremo con pifferi, pennacchi ed ovazioni... Non sarebbe, secondo voi, il caso di festeggiarlo riflettendo su questo millennio? I Cristiani in questi mille anni hanno conquistato e dominato il mondo; ma non sempre l'hanno fatto nella tenerezza e nel rispetto! Non sarebbe importante riflettere su tutto questo tempo? Sulle tante cose che abbiamo fatto passare come "parola di Dio" ed erano soltanto tradizioni di uomini, se non addirittura voglia di potere e di dominio sul mondo?
Ci sarebbe molto da riflettere; ma... in questo giubileo non succederà. Aspetteremo quello del Tremila! Spero di non farvi offesa nel dirvi che noi non ci saremo: staremo affacciati a qualche balcone del cielo e guarderemo giù una Chiesa che finalmente avrà imparato a riflettere! Qualcuno di voi penserà che forse nel Tremila non ci sarà una Chiesa, forse non ci sarà il mondo. Non dimentichi: nel Mille erano molti a pensare cosi! Sono passati mille anni: siamo ancora qui... Quindi l'appuntamento è per il Tremila: assisteremo al giubileo dall'alto, affacciati ad un balcone del cielo. E speriamo che allora i Cristiani abbiano imparato a pensare con la propria testa, a cercare con il proprio cuore la Parola del Signore!
Intanto, se qualcuno di noi ne è capace, ci conviene cominciare a farlo.
Il Signore ci aiuti!
...gli condussero un sordomuto. XXIII Domenica del tempo ordinario - 7 settembre 1997
E portandolo in disparte lontano Isaia 35, 4-7 - Marco 7, 31-37
dalla folla ... disse "Effatà" cioè
"apriti". E subito gli si aprirono
gli orecchi e parlava correttamente.
Ho incontrato ancora una volta, in questa estate, lo stupore doloroso e scandalizzato di un giovane di fronte all'uso che noi facciamo della parola "miracolo". Ed è proprio l'incontro con questo stupore scandalizzato, che mi spinge stasera a farvi questo discorso.
E vi prego di prendere sul serio lo stupore di questo ragazzo, che è condiviso da tante persone come lui: è in gioco la loro possibilità di credere! E credo che sia compito di tutti noi - dei più giovani, ma anche dei più anziani - di fare in modo che sia possibile anche ad un giovane del nostro tempo - e soprattutto a quelli che hanno una sensibilità più acuta, un'attenzione più forte verso gli altri - credere ancora.
Perché questo ragazzo era scandalizzato? Il fatto lo conoscete tutti: un pullman di pellegrini va da padre Pio; due banditi assaltano il pullman; un colpo di pistola: un uomo viene sfiorato, l'altro ucciso. E colui che viene sfiorato - badate, non è un giudizio: chi scampa ad una disgrazia simile può dire qualunque cosa, lui, i suoi familiari... Ma noi siamo qui, tranquilli, a riflettere sulla nostra fede - ed è di questo che si parla, non di quella persona - e dunque, colui che è scampato dice: "Padre Pio mi ha fatto un miracolo!". E l'altro...? E colui che è rimasto ucciso?
E questo giovane diceva anche: "A volte, quando c'è un disastro aereo, tante persone morte, qualcuno scampa e dice: "Ho ricevuto un miracolo" E gli altri? Lui ha diritto di parlare così; ma noi abbiamo il diritto di parlare così? Si può ancora usare così, la parola "miracolo"?
Perché uno muore e l'altro vive? Perché tanti muoiono e altri vivono? La risposta a queste domande, che a volte si coglie nella tradizione popolare, o meglio, sulla bocca di qualche prete o di qualche santone, riempie di orrore la nostra fede. Di orrore: perché c'è sempre la colpa di qualcuno, perché si va a cercare di chi è la colpa di quella disgrazia. E non c'è niente di peggio, nel cammino della fede!
Ma qualcuno di voi mi può dire: "Don Checco, c'è tanta gente che continua ad andare ai santuari; anche tanti giovani ci vanno". E qui occorre un'altra riflessione: "tanti ci vanno". Per esempio, in pellegrinaggio da padre Pio vanno decine di migliaia di persone. 100 mila? 300 mila? un milione? Ma in Italia siamo 57 milioni di abitanti; e più di 50 milioni di persone non ci vanno. E di queste dobbiamo anche tener conto.
E spesso si vede tanta gente in TV - perché la TV è abituata a mostrarci le folle - anche nei prossimi giorni lo vedrete: un grande concerto, il Papa, tanti giovani. Vi diranno: "300 mila ragazzi"... Non dimenticatelo: 3 milioni di giovani non sono lì! E se le parole del Vangelo hanno un qualche senso, di questi 3 milioni dobbiamo preoccuparci!
È compito mio; ma è compito di tutti noi. Le nostre parole a volte impediscono a questi giovani di credere. E non ai peggiori, ma ai migliori! A coloro che davanti alla parola "miracolo" si domandano subito: "Perché a quello sì e a quell'altro no? Perché se il Santo poteva fare un miracolo, non l'ha fatto anche per l'altro? Perché se uno è scampato al disastro aereo, non sono scampati tutti? Se Dio poteva intervenire, se il Santo poteva fare qualcosa, perché non l'hanno fatto?".
Son domande serie: domande dei vostri ragazzi, domande della gente che ha il cuore sensibile! O ci decidiamo a prenderle sul serio, o non possiamo lamentarci se la gente migliore non crede più! Scusate se ho alzato la voce; ma, come forse avrete capito, il problema mi sta a cuore. Mi sta a cuore la fede dei nostri ragazzi!
Allora, o la parola "miracolo" non è più il privilegio di qualcuno, beneficato da Dio o dal Santo, non si sa perché, o la parola "miracolo" ridiventa - come nel Vangelo - una realtà quotidiana, qualcosa che ci riguarda tutti: i tanti miracoli, gli infiniti miracoli dell'amore del mondo! La gente che si china sul dolore del prossimo, le tante "suocere di Pietro" (per usare le parole del Vangelo), che si alzano per servire! O è meglio che cancelliamo dal nostro parlare la parola "miracolo".
O il miracolo esprime la nostra fede in Gesù che può aprire il nostro cuore alla speranza, la sua capacità - come per l'uomo del Vangelo di oggi - di portarci lontano dalla folla, dal rumore del mondo, dalle tante parole che ci rintronano la testa, per darci la capacità di ascoltare il segreto della vita... oppure è meglio che cancelliamo dal nostro vocabolario la parola "miracolo".
O il miracolo esprime lo stupore di fronte alla bellezza del mondo - il miracolo di un fiore che sboccia, del sole che spunta ogni mattino - o è bene che cancelliamo dal nostro parlare la parola "miracolo"!
Il miracolo non può essere il privilegio di Dio, ad uno dato e ad un altro no. Ma un fatto che ci riguarda tutti. Un Cristiano se non fa i miracoli, dice il Vangelo, che fa?! Quando ci alziamo per fare un sorriso, quando ci chiniamo sul dolore del prossimo, quando facciamo una carezza, quando siamo capaci di dare un momento di gioia... là avviene un miracolo! Il prodigio della vita! Fatto di tutti i giorni, fatto che ci riguarda tutti! Non eccezione voluta da un Dio o da qualche Santo, che a loro capriccio fanno quello che vogliono!
La fede, la fede di oggi, la fede dei nostri ragazzi, la sensibilità di chi ama e di chi spera, non è conciliabile con quest'uso della parola "miracolo". Forse sarebbe bene che tutti riflettessimo su queste cose!
Il Signore ci aiuti!
"Se qualcuno vuol venire dietro XXIV Domenica del tempo ordinario - 17 settembre 2000
di me rinneghi se stesso, prenda Marco 8, 27-35
la sua croce e mi segua".
Ci troviamo nel cuore del vangelo di Marco; e, come avete ascoltato, ritroviamo una delle intuizioni fondamentali della nostra fede. Quella intuizione sbocciata nel cuore di qualche personaggio del popolo ebraico, nella notte dei tempi, che ha cambiato radicalmente il modo di concepire la religione (e qualcuno dice "anche l'intera civiltà umana").
Questa intuizione consiste nel pensare che Dio non è soltanto la somma delle forze della natura, che magari può essere rappresentato dal sole e dalla luna, venerati in tante religioni del mondo. Dio non è soltanto una parte dell'eterno ciclo della natura, che continuamente si ripete; ma Dio è un TU che interviene nella storia, che chiama l'uomo, che lo interpella, lo invita a costruire un progetto di liberazione e di vita. Nel momento in cui Dio emerge come un TU che parla, emerge anche tutto il valore dell'uomo, che può rispondere. Emerge pian piano tutta la dignità della persona umana. Ogni uomo, non è più quindi soltanto una pedina della storia, una parte dell'umanità o della famiglia o del clan, ma è una persona con tutti i suoi diritti, con tutta la sua grandezza, con tutta la sua responsabilità.
Pian piano l'uomo sente che non basta credere che esista un Dio; ma che occorre credere IN Dio, fidarsi di Lui, in un rapporto profondo e personale, in cui nessuno può sostituire l'individuo, la persona. Se volete intuire qualcosa pensate ai vostri rapporti personali: non si crede che esista il proprio uomo o la propria donna: si crede IN loro, si crede A loro, in un rapporto di fiducia, di progetti fatti insieme… così accade per un figlio, un amico. Israele pian piano scopre che si crede in Dio in maniera intima e personale, ci si fida di Lui, si cammina insieme, si condivide un progetto di vita! È la storia di Abramo, di Giacobbe, di Mosè, dei tanti profeti dell'Antico Testamento.
Questa è la grande intuizione della fede di Israele, che - come avete ascoltato - ritroviamo nel Vangelo. Gesù domanda: "Chi dice la gente che io sia?"… ci sono tante risposte, che in fondo contano poco. E poi, la domanda fondamentale: "E voi chi dite che io sia?" E, come avete ascoltato, non possono rispondere insieme: ormai ciascuno deve assumersi il coraggio di rispondere in prima persona.
È Pietro che parla e, al di là delle parole, intende dire: "Sì, io mi fido di te. Voglio seguirti". E non sa, povero Pietro, che cosa significhi fino in fondo "seguire Gesù"... Quando Gesù comincia a parlare della croce, Pietro capisce tutto il suo dramma: lo prende da parte e con forza protesta. E si sente rispondere quella parola durissima: "Sta' lontano da me, Satana! Tu non pensi come Dio, ma come gli uomini".
Non è semplice prendere sul serio Dio, camminare con Lui. Ma ormai ciascuno - ciascuno di noi - non può che farlo in prima persona: con tutto il coraggio di scegliere. Ed è bello riscoprire tutta la nostra dignità e la nostra responsabilità in una società come quella odierna che tende a massificarci, a ridurci a numeri. Forse voi avete negli occhi quella moltitudine di giovani che si radunava intorno al palco, nella grande spianata di Tor Vergata: dicono due milioni di persone. Ebbene, ognuno di quei due milioni di giovani è interpellato direttamente da Gesù!
Non possono contentarsi che rispondano in coro i due milioni: in due milioni si possono battere le mani, in due milioni, ci si può addirittura illudere e pensare che, per credere, basti acclamare una figura vestita di bianco. Ciascuno di loro, nel profondo della propria dignità di uomo, deve dire il proprio "Sì" a Gesù, ai suoi valori. Come Pietro, hanno il diritto di sbagliare; come Pietro, devono ritrovare ciascuno - non "devono": "dobbiamo" io, tutti noi: io e ciascuno di voi - se vogliamo essere cristiani dobbiamo ritrovare nel profondo della nostra coscienza il coraggio, al di là dei nostri sbagli, di seguire Gesù, di credere in Lui!
Il coraggio di camminare con Lui; con il diritto di sbagliare: ha sbagliato anche Pietro, si è sentito dire: Sta' lontano da me, Satana. Non si è scoraggiato: ha continuato a cercare, ha continuato a tentare di seguire Gesù nel concreto della vita. E non soltanto quando era facile, quando tutto era semplice, là sul lago di Galilea. Ha affrontato il grande mondo, fin qui a Roma, fino a finire, anche lui, su una croce; conservando nel cuore il coraggio di seguire, di cercare Gesù, fino alla fine!
Essere cristiani è questo! Non possiamo soltanto far parte di un popolo, ripetere antiche parole. Non possiamo soltanto applaudire e ripetere preghiere. Essere cristiani significa nel profondo della propria coscienza scegliere Gesù: tentare di camminare con Lui, nel concreto della vita di ogni giorno. E lo sapete: non è semplice…
Per questo ci ritroviamo qui ogni domenica: continuiamo a nutrirci di Gesù, per tentare di continuare a credere e a seguirLo!
Il Signore ci aiuti!
XXVI Domenica del tempo ordinario
"Chi scandalizza uno di questi piccoli XXVI Domenica del tempo ordinario - 1 ottobre 2000
che credono, è meglio per lui che Numeri 11, 25-29 - Marco 9, 38-43. 45-48
gli si metta una macina da asino al
collo e venga gettato nel mare".
Abbiamo appena ascoltato una pagina del Vangelo particolarmente complessa e complicata, come del resto è complessa e complicata la vita. E voi non vi aspetterete certo che io vi renda semplice e facilmente comprensibile questa pagina del Vangelo, che sembra, ad una prima lettura, così contraddittoria. Il mio compito può essere soltanto quello di suscitare la vostra riflessione, di aiutarvi a calare queste parole nei fatti concreti della vita… e non è semplice.
Vedete, nei giorni passati mi è capitato più volte di ascoltare discorsi preoccupati e scandalizzati, di adulti ma soprattutto di giovani, di fronte alle prese di posizione del cardinal Ratzinger, che in un suo documento sembra ripetere antiche parole: che "fuori della Chiesa non c'è salvezza", che c'è soltanto una vera religione e tutti gli altri sono nell'errore; oppure la presa di posizione del cardinale di Bologna, che sembra dire che lo stato dovrebbe preoccuparsi di non fare entrare in Italia i musulmani, quelli che la pensano diversamente da noi, che appartengono ad un'altra religione.
I discorsi che ho ascoltato in queste ultime settimane erano, specialmente da parte dei giovani, particolarmente scandalizzati, sconcertati, di fronte a queste prese di posizione che sembrano riportarci indietro di secoli, ad una Chiesa chiusa ed intollerante. E non è stato facile per me aiutare dei giovani a capire che, al di là della condanna, è importante cercare di comprendere. Le prese di posizione di Ratzinger e di Biffi sono soltanto la punta dell'iceberg, di un atteggiamento largamente diffuso in mezzo a noi. Ed è un atteggiamento che spesso si ripete quando il mondo cambia rapidamente: gli uomini temono di perdere la propria identità, si lasciano prendere dalla paura, cercano di ritrovarsi tra i "nostri": tra quelli che la pensano in maniera uguale, che usano gli stessi modi di fare, che hanno le stesse regole, la stessa religione… E si diffonde la paura che il cambiamento metta in pericolo il nostro modo di pensare, la nostra religione, addirittura la nostra identità di popolo. E si rischia, presi dalla paura, di chiudersi e diventare intolleranti.
E di queste chiusure e intolleranze, nella Chiesa di oggi, ce ne sono molte: tanti gruppi in cui le persone si chiudono in piccole conventicole, in cui tutti parlano lo stesso linguaggio e "gli altri" sono tutti brutti e cattivi... Ma anche i giovani si ritrovano spesso in gruppi chiusi, dove si usano le stesse parole, gli stessi slogan, dove si veste alla stessa maniera: c'è spesso tra loro un gran bisogno di trovarsi tra i "nostri": che diano sicurezza e tolgano un po' dell'ansia e della paura di vivere. È lo stesso discorso che avete ascoltato nel Vangelo: è l'intolleranza di sempre, frutto di una paura che tutti ci portiamo dentro: la paura di perdere la ragione della nostra esistenza, che non si basa tanto sui valori, ma sul fatto che intorno a noi c'è gente che ripete le stesse parole, che fa gli stessi gesti, che si comporta allo stesso modo. E tutto quello che è diverso ci fa paura e pensiamo di difenderci. Ma la paura serve a poco!
Ma fino a che punto (ecco la complessità della vita), è soltanto paura e non piuttosto autentica indignazione per il male che ci circonda? Voi avete ascoltato, in questi giorni, le dure polemiche che ci sono state per questa faccenda - terribile! - della pedofilia: questi ragazzi tormentati, seviziati... Purtroppo adesso se ne parla molto, perché sono apparse delle immagini terribili (spero che voi non le abbiate viste, come me) in TV. La solita "moina" italiana; lunedì, vedrete, sarà tutto finito; si passa oltre... E lasceremo a qualche prete sprovveduto o a qualche giudice di buona volontà - speriamo che ci siano - il compito di continuare a combattere contro questi mali terribili.
A questo punto è giusto parlare ancora di intolleranza? O non dobbiamo ascoltare Gesù che nel Vangelo di oggi dice che a chi scandalizza un piccolo, sarebbe bene mettere una macina da mulino al collo e gettarlo nel mare? Dov'è il confine tra la tolleranza, il rispetto dell'altro, e il diritto, anzi, il dovere di gridare contro l'ingiustizia? Si possono accettare comportamenti che fanno violenza ad un bambino? Fin qui, siamo tutti d'accordo; ma, sapete, la vita è molto più complicata: nella vita di ogni giorno, dove finisce il confine delle nostre paure e delle nostre intolleranze e dove comincia il diritto ad affermare dei valori, a credere nel Bene? Chi di noi sa con certezza - non dico in questi casi estremi dove è semplice giudicare, ma nella vita quotidiana - che cosa è giusto e che cosa è sbagliato?
La vita è complessa e non ammette - come penso voi sappiate bene - scorciatoie. Nessuno di noi ha la ricetta in tasca; non serve chiudersi, non basta gridare e condannare! Si tratta, per ciascuno di noi, di conservare in cuore dei valori, di continuare a cercare con passione ciò che è buono e giusto, tentando di non aver troppe paure, tentando di capire ciò che ci capita intorno, avendo il coraggio di gridare quando c'è da gridare! ma per le cose importanti, per le cose essenziali, Quando c'è qualcuno che subisce violenza, quando c'è un bambino che subisce scandalo, quando i valori fondamentali sono messi in discussione… Ma non è semplice conservare nel cuore i valori essenziali in questo nostro mondo, che fa tutto diventare spettacolo, anche un bambino violentato ed ucciso! Tutto diventa spettacolo, tutto diventa televisione; per qualche minuto; e dopo non ci si pensa più! Chi ha il coraggio di continuare a cercare, con passione giorno per giorno, il rispetto della vita?
Dobbiamo farlo con coraggio: Gesù ci dice che dobbiamo tagliarci una mano o un piede o cavarci un occhio! È un modo per richiamare l'esigenza di cercare, con passione, le cose autentiche della vita. E non è semplice, perché la vita è complicata; perché a volte rischiamo di scambiare le nostre fisime, le nostre paure, le nostre opinioni con la Verità, con il Bene. Ecco perché è importante che tutti noi continuiamo a cercare con passione quello che è vero e giusto nel cammino della vita.
Il Signore ci aiuti a farlo!
Il Signore Dio plasmò con la costola, XXVII Domenica del tempo ordinario - 5 ottobre 1997
che aveva tolto all'uomo, una donna Genesi 2, 18-24 - Marco 10, 2-16
e la condusse all'uomo. Allora l'uomo
disse: "Questa volta essa è carne della
mia carne e osso delle mie ossa".
E i due saranno una carne sola.
"Lasciate che i bambini vengano a me...
In verità vi dico: chi non accoglie il regno di
Dio come un bambino, non entrerà in esso".
Qualcuno di voi, credo, ama come me, seguire qualche volta, alla TV dei documentari sulla vita degli animali. E avrà notato - forse con un certo stupore - che tra gli animali la coppia stabile di un maschio e una femmina è un fatto abbastanza raro, se tra gli uccelli capita in diverse specie, tra i mammiferi è una rarissima eccezione: a parte qualche sciacallo e qualche iena, non c'è nessun mammifero che vive in coppia per tutta la vita.
Ma noi apparteniamo al mondo dei mammiferi! Da dove viene, allora, nell'uomo il sogno di formare una coppia, in cui due persone crescano insieme, fino a diventare "una cosa sola"?
Avete ascoltato l'eco di questo sogno, sia nella prima lettura, sia nel Vangelo. Di dove viene il sogno d'amore di una coppia stabile e fedele, che va al di là della nostra natura di mammiferi?
Il fatto è, vedete, che la natura si basa sulla legge della conservazione: ogni individuo è programmato per conservare se stesso e la propria specie Ogni maschio deve trasmettere i suoi geni al maggior numero possibile di figli. Avrete quindi notato, nei documentari sulla natura, le lotte tra i maschi per il possesso di più femmine, per generare quanti più figli sia possibile.
Noi uomini abbiamo tentato di gettare il cuore al di là della natura: per noi uomini non è importante soltanto il trasmettere la vita, ma anche l'amore, la tenerezza, la gratuità, la bellezza di stare e di crescere insieme. Ma per fare questo bisognava andare al di là delle forze della natura... e non è stato semplice.
Se conoscete la storia degli uomini, sapete che molte volte, nelle società umane, le leggi sulla coppia erano basate sul diritto del maschio a trasmettere i suoi "geni": ci sono stati degli uomini che avevano molte donne (pensate agli harem dei re biblici e di tante parti della terra), e l'unione dell'uomo e della donna, era circondata da regole e leggi ferree: è sempre il maschio, che vuole essere sicuro di trasmettere i propri geni, come fa il leone, come fa lo stambecco, come fanno tutti i maschi. E ancora rimangono in tante parti del mondo: avete visto certe volte le donne coperte, con un velo fino ai piedi! Un tempo, quando avere molti figli era considerata una benedizione, per molti uomini la moglie era colei che faceva i figli... l'amica, l'amore, il sogno li cercava al di fuori, in qualche altra donna. Nell'antica Grecia addirittura l'amore vero era tra maschi. La donna era colei che fabbrica figli, com'è per tutti i mammiferi di questo mondo.
Oggi, in una coppia, figli se ne fanno uno o due, le leggi diventano sempre meno ferree: voi capite che sempre di più l'unione tra l'uomo e la donna è affidata alla libertà delle due persone, alla libertà di due esseri che si incontrano, si scelgono e che vogliono, al di là del mettere al mondo dei figli e di crescerli, formare una coppia, costruire insieme la loro vita: vogliono realizzare tra di loro la gratuità dell'amore! Come meravigliarsi se questa è un impresa quasi impossibile, se appartiene ai "miracoli" della vita?!
Come meravigliarsi, se intorno a noi si vedono delle coppie andare incontro a fallimenti?! Quando la vita è affidata alla libertà, quando è affidata al desiderio di stare insieme, quando è affidata alla voglia di costruire un sogno, un ideale, che va al di là delle forze stesse della natura... come meravigliarsi se ci sono dei fallimenti! E nella vita cristiana questi fallimenti non possono certo essere affidati ai soldi e agli avvocati dei processi rotali!
Cosa serve, allora, perché si realizzi questo sogno, questo ideale, nella vita dell'uomo? Beh! prima di tutto, se vogliamo essere sinceri, serve un pizzico di fortuna; anzi, forse, più di un pizzico di fortuna!
Bisogna incontrare la persona giusta (qualcuno dice che ci vogliono, addirittura i cromosomi adatti, i "geni" giusti). Poi, devono incontrarsi i caratteri; poi le due persone debbono crescere insieme e non in maniera troppo differenziata. Poi, nella struttura psicologica di queste persone non ci devono essere troppi guasti o difficoltà. Poi, bisogna avere un po' di benessere materiale: ci vuole un lavoro, una casa... E tutto questo non basta ancora...
Ci vuole buona volontà e impegno e la voglia di stare insieme e di condividere la vita; la capacità di dialogare, il desiderio l'uno dell'altro. Ci vuole la libertà e il rispetto, la fantasia e la tenerezza ed anche, lo sapete, una dose non piccola di pazienza!
Ma non dimenticate: al di là di tutto questo, c'è un "bambino" su questa strada! Qualcuno di voi dirà: "Ma che c'entra, un bambino?!". Perché Gesù ha preso un bambino e lo ha messo al termine di questo discorso sulla coppia umana? Perché - se ho capito qualche cosa della vita - affinché due persone riescano a vivere insieme per tutta la vita e ad amarsi sul serio, è importante che rimangano sempre un po' bambini! Che si guardino sempre con stupore, che si sentano donati l'uno all'altro!
Ci sono mille modi, per esprimere questo. Un giovane marito - giovane, si fa per dire: è arrivato ormai a 50 anni! - diceva l'altro giorno: "Dove troverei in tutto il mondo una donna capace di sopportare uno come me!". È anche questo un modo per esprimere lo stupore e la gioia per la persona, che ha avuto la fortuna di incontrare nel suo cammino.
Conservare questa gioia, questo stupore, questa meraviglia per l'incontro; sentire l'altro come un dono, è un po' rimanere bambini. Chi è il bambino? Se non uno che guarda la vita intorno a sé, con stupore, che si rinnova ogni mattina. Uno che sente che, al di là di quello che ha costruito (e un bambino ha costruito ancora poco), è tanto quello che riceve dalla vita!
La capacità di vivere in coppia per tutta la vita è, secondo me, basata proprio su questo stupore, su questa capacità di accogliersi l'un l'altro come un dono; su questa capacità di donarsi l'uno all'altro, di ricominciare ogni mattina, di essere un po' come bambini che affidano la propria vita alla speranza, alla voglia di ricominciare ogni giorno, al futuro! Che non danno mai le cose come scontate, tutto come fatto, tutto come costruito da noi! Che sentono che il vivere insieme è prima di tutto un dono, da accogliere nella meraviglia!
Il Signore ci aiuti!
Gesù nel Tempio osservava come XXXII Domenica del tempo ordinario - 12 novembre 2000
la folla gettava monete nel tesoro... 1 Re 17,10-16 - Marco 12, 38-44
una povera vedova vi gettò due
spiccioli... "tutto quello che aveva,
tutto quanto aveva per vivere".
Due semplici storie di vedove abbiamo ascoltato.
La prima, bella e preziosa secondo gli antichi, è ricordata più di una volta nei Vangeli: la vedova che abita a Zarepta di Sidone, in terra straniera, e che accoglie il profeta Elia e viene ricompensata per la sua generosità: "la farina della giara non venne meno e l'orcio dell'olio non diminuì". Eppure, più io rileggo queste pagine e più mi sembra che tra il racconto della vedova di Zarepta e il racconto del Vangelo di Marco c'è tutta la distanza che corre tra le favole e la vita. Sì, perché ho conosciuto tante persone che hanno dato con generosità, eppure… la farina della loro giara si è esaurita e l'orcio dell'olio si è svuotato.
Non è vero che colui che fa il bene ottiene sempre la benedizione del Signore. Non è vero che chi accoglie il profeta, non veda seccarsi più il suo olio nell'orcio, esaurirsi la farina della sua giara! Io ho conosciuto tanta gente che faceva del bene e che pure si è ammalata, che ha avuto dei guai nella vita, che non aveva più niente da dare a nessuno, perché era finita nella povertà.
Il Vangelo è un'altra cosa: questa vedova butta nel tesoro del Tempio gli ultimi due spiccioli. Lo fa nella più completa gratuità: non si aspetta nulla! Siamo alla fine del Vangelo di Marco: che sia questo il cuore di tutto ciò che voleva dirci? Che sia la gratuità il senso profondo di tutto il nostro rapporto con Dio, il senso stesso della vita: la "gratuità del dare", senza aspettarsi qualche cosa in cambio?
Ma c'è un'altra cosa, che Marco ci dice in quest'ultimo racconto del suo Vangelo: questa donna ha soltanto "due spiccioli" da buttare nel tesoro della vita. Sapete tutti che qui non si parla di denaro. Qui si parla della vita, della capacità di portare del bene intorno a sé. E capita a volte - capita anche a me, in tanti momenti della mia vita; penso che capiti anche a voi - di non aver gran che da buttare nel tesoro della vita: di avere soltanto due spiccioli, di non poter dare quasi nulla, di non riuscire nemmeno a capire che cosa può giovare a portare un po' di bene!
E allora rimane soltanto un po' di tenerezza, la capacità di fare un gesto di attenzione, di portare un sorriso e niente più! Eppure, davanti a Dio non conta la grandezza del tuo dono, non importa se hai solo due spiccioli… conta solo se lo dai senza aspettarti alcun contraccambio; se nel tesoro della vita butti quello che hai, con gratuità.
Ecco: se ho capito qualcosa, qui Marco ci porta al cuore stesso del suo Vangelo, al cuore stesso della vita: il sogno di Dio che cammina accanto a noi: la gratuità del dono… e non conta nemmeno se hai da donare soltanto due spiccioli, se non ti rimane che un sorriso, una carezza da fare!
Io penso che ogni cristiano dovrebbe conservare nel cuore questa straordinaria pagina del Vangelo di Marco: non avremo più paura dei maestri della Legge, di coloro che fanno lunghe preghiere, di coloro che cercano i primi posti, di coloro che vogliono soltanto gli applausi. Non avremo più paura di nessuno! Avremo nel cuore il sogno di Dio che cammina con noi: la gratuità del dono per quanto ci è possibile. E non importa se abbiamo soltanto due spiccioli da buttare nel tesoro della vita. Quello che conta, è un cuore che cerca di dare, con gratuità!
Il Signore ci aiuti!
"...quando già il ramo del fico si fa XXXIII Domenica del tempo ordinario - 16 novembre 1997
tenero e mette le foglie, voi sapete Daniele 12, 1-3 - Marco 13, 24-32
che l'estate è vicina. Cosi anche voi,
quando vedrete accadere queste cose,
sappiate che il Figlio dell'uomo è vicino,
alle porte. Il cielo e la terra passeranno,
ma le mie parole non passeranno".
Al tempo del profeta Daniele, al tempo di Gesù ed anche nel tempo nostro, quante paure attraversano il cuore dell'uomo! Quante paure, a volte, impediscono all'uomo di credere, di sperare, di gioire! Da dove viene la paura? Perché la paura?
Vedete, la paura è uno dei meccanismi fondamentali della vita: il bambino comincia, con le sue prime esperienze, a sapere che il fuoco brucia e che bisogna averne paura; comincia ad aver paura del vuoto, sa che non deve sporgersi, perché se cade di sotto...
La paura serve a difendere la vita: un strumento prezioso. Ma, come per tutte le cose preziose, c'è qualcuno che rischia di approfittarsene: per controllare, per dominare, per fare i propri interessi. È cosi fin dagli albori della storia e spesso anche la religione è stata sfruttata per alimentare la paura.
Nei tempi antichi, avevano mille paure: paura delle malattie, paura delle tempeste, paura del fulmine. E là, nel tempio, c'era qualcuno che diceva di poter fornire protezione da queste paure e sosteneva di poter offrire sacrifici che difendevano dai pericoli: ed è chiaro che quanto più un sacrificio è grande, tanto più è potente. Se poi pensate che al sacerdote spetta sempre "la coscia destra" dell'animale sacrificato, capite che ha tutto l'interesse a far crescere la paura, anche dipingendo la divinità, come potente e minacciosa. Spesso nel tempio c'era anche chi diceva di poter interpretare il futuro e descriveva il futuro con immagini catastrofiche. E magari vendeva un amuleto, capace di proteggere dai guai. E non è solo una questione di denaro, anzi i "migliori" tendevano a rendersi indispensabili, a rendere gli altri dipendenti dalla propria opera.
Sembrano cose che appartengono ad un tempo lontano; ma anche oggi - se vi guardate intorno - c'è tanta gente che ci vuol mettere paura. Molti di noi si portano dentro la paura delle malattie, dell'AIDS, della droga, dei sequestri, delle violenze, dell'inquinamento, del terremoto, della bomba atomica che può distruggerci tutti...
Vi siete mai domandati: "Perché tante paure?". Non capita anche a voi di notare che spesso alla TV, alla radio, sui giornali, si parla di cose catastrofiche, si mettono in evidenza le cose più brutte che ci succedono intorno? Non dipende, forse, dal fatto che il giornalista vuol rendersi indispensabile per noi e ci vuole dire: "Guardate che, se non ci sono io, voi tutte queste cose non le sapete e non potete capire il mondo"?
E tanta gente si porta dentro mille paure... Paure che impediscono di affrontare la vita per quello che è. Voi correte infinitamente più pericolo nell'andare in macchina da Ostia a Roma, di quanto corriate pericolo per l'AIDS, per la droga, per il terremoto, per i sequestri di persona, per la gente che tormenta i bambini. E rischiate di non essere attenti - come succede a molti - quando guidate sulla strada da Ostia a Roma. E accadono gli incidenti. E c'è gente che muore...
E non sono così, qualche volta, anche i medici? A sentire certi medici parlare, anche alla TV, sembra che siamo minacciati da mille malattie, da mille pericoli. Tutto sembra esporci a pericoli: il cibo che mangiamo, l'aria che respiriamo, l'acqua che beviamo. E poi ci accorgiamo, che la vita si allunga sempre di più. È che anche i medici vogliono essere indispensabili per noi e la gente, portandosi dentro la paura di prendersi chissà quali malattie, rischia di non essere più capace di curarsi sul serio, di far le cose giuste per conservare e custodire la propria vita.
E non è capitato anche a voi, qualche volta, di sentir ripetere dall'altare la minaccia più terribile: la paura, per voi e per i vostri cari, delle fiamme, dell'Inferno, del Purgatorio?
E - senza andare tanto lontano - non capita, a volte, nelle nostre case che il papà e la mamma, presi da tante ansie e da tante paure, cercando di custodire i figli, di difenderli da tutti i pericoli del mondo, li fanno crescere più fragili e più incapaci di affrontare i pericoli? Non è vero forse, che a volte i ragazzi più fragili, quelli che incappano veramente nei pericoli, sono quelli che hanno assorbito, fin da piccoli, le paure del papà e della mamma?
La paura è spesso generata da chi ci vuole fragili, indifesi, e rischiamo poi di non saper ragionare, di attaccarci al primo mito che passa, di lasciare che gli altri decidano della nostra vita!
Gesù è diverso! Lui, come avete ascoltato, dentro i timori e gli incubi del suo tempo, ci invita a non aver paura, ad essere lucidi e vigilanti, ci invita alla libertà e al coraggio e vuole conservarci nel cuore una certezza: "Il cielo e la terra, passeranno, ma le mie parole non passeranno!" I valori di Gesù, quello che fa grande e bella la vita non finisce e, al di là di tutto, tornerà Lui!
E questa speranza è affidata a due dei simboli più belli del Vangelo: "Guardate il ramo del fico. Quando si fa tenero e mette le gemme, voi sapete che l'estate è vicina...". E se leggete più avanti: "Non sono i dolori che generano la morte, ma le doglie del parto, che fanno nascere una vita nuova!".
Sì: il contrario della paura non è mettere la testa sotto terra, rifiutarsi di guardare i guai del mondo, far finta di niente, il contrario della paura è il coraggio della speranza: è l'occhio vigile e attento, è cercare di capire il mondo, dare una mano, per quanto si può, perché faccia un passo avanti. Il contrario della paura è la fiducia e la speranza; è la certezza che ognuno di noi si porta nel cuore: che Gesù sarà l'ultima parola della nostra esperienza!
Il Signore ci aiuti!
"...alzatevi e levate il capo, perché la vostra Prima Domenica d'Avvento - 3 dicembre 2000
liberazione è vicina". Luca 21,25-28.34-36
Mi è capitato, nell'ultima settimana, di ascoltare da più di una persona un episodio che hanno udito raccontare, non so se alla radio o alla TV. Forse più d'uno di voi conosce questo episodio.
In Palestina - in questi giorni una terra tormentata - un ragazzo israeliano ed una ragazza araba si vogliono bene e decidono, al di là di tutto, di sposarsi. Come immaginate, con l'opposizione delle due parti; soprattutto del mondo religioso: i rabbini e gli ayatollah dicono che non s'ha da fare, non è bene che si sposino una mussulmana ed un ebreo! E la domanda che ad essi rivolgono: "Poi, se avrete dei figli, in quale religione li educherete?" E la risposta dei due ragazzi: "Nessuna religione! perché la religione divide e noi non vogliamo che i nostri figli si sentano divisi da nessun uomo!"
I nostri ragazzi all’inizio del cammino d'Avvento ci pongono questa domanda: il Gesù che aspettiamo ci divide? La religione ha diviso tante volte i Cristiani dagli altri, nel corso della storia. Ma noi, aspettiamo un Gesù che ci divide, che oppone uomo ad uomo, che pone divisione tra noi e gli altri? Se è così, molti dei nostri ragazzi - come questi due che vivono in Palestina - hanno il diritto di dire: nessuna religione! O siamo capaci di comunicare ai nostri ragazzi una religione che unisce, che rispetta l'uomo, che lo fa crescere; oppure non è forse meglio che non abbiano religione?
E dunque, il Gesù in cui crediamo divide oppure unisce? Ci rende capaci di rispettare l'uomo nella sua vita, nei suoi problemi di ogni giorno, nella sua avventura di crescere? Oppure... Vedete, è in gioco la fede, il futuro della nostra religione.
Ecco perché è importante che in questa prima domenica d'Avvento ciascuno di noi rifletta: il Gesù in cui credo, aiuta a servire l'uomo, a farlo crescere, a renderlo libero? Aiuta ad unire la gente? Gesù è veramente venuto per tutti o soltanto per qualcuno? A sentire certi discorsi di uomini che pensano di parlare in nome della Chiesa - anche in questi giorni - sembra che credere in Gesù renda impossibile anche di curarsi della salute degli uomini! Sembra che non si possa rinunciare a qualche principio morale anche di fronte a milioni di morti! E allora mi chiedo: i giovani che ci crescono intorno, che cosa pensano quando sentono questi discorsi?! È questo il Gesù in cui credo? Di questo posso parlare ai nostri ragazzi e ai nostri giovani? Se ho capito qualcosa del Vangelo, tutto quello che è contro l'uomo, tutto quello che non aiuta l'uomo ad essere più libero, più unito, più solidale, a camminare insieme per le strade del mondo, è lontano da Gesù!
Io posso ancora parlarvi da qui, posso dirvi con tutta tranquillità che sono fiero di essere cristiano, perché non ho mai sentito nella mia vita, nemmeno una volta, Gesù che mi divideva da un uomo di buona volontà. Gesù può dividermi da chi fa il male, mai da chi ha fame e sete di giustizia, è mite, misericordioso, pacifico… Ed è per questo che posso ancora continuare a credere in Lui.
Dobbiamo essere capaci di testimoniare ai nostri ragazzi una fede che è al servizio dell'uomo: che aiuta gli uomini a camminare insieme, ad essere uniti, a rispettarsi l'un l'altro, a costruire insieme la pace.
Se la religione serve a dividere, hanno ragione i due ragazzi palestinesi: è meglio che i figli che nascono non abbiano religione! Se vogliamo ancora che fra mille anni ci sia qualcuno, qui, ad aspettare Gesù, è importante per noi che comunichiamo, ai ragazzi che crescono, una religiosità che sia interamente al servizio dell'uomo: mite, pacifica, capace di costruire la vita!
Il Signore ci aiuti!
"Preparate la via del Signore, II Domenica d'Avvento - 4 dicembre 1994
raddrizzate i suoi sentieri! Luca 3, 1 - 6
...Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio".
Avete sentito quanti nomi, all'inizio del Vangelo che abbiamo letto oggi? L'imperatore, tutti i piccoli regnanti - o, come li chiama Luca, i tetrarchi -: perché tutti questi nomi? Non so se ve lo siete domandato, ascoltando queste parole. Luca vuole che quello che lui sta per dire - l'annunzio di Gesù e, ancora prima, la voce di Giovanni - si radichi profondamente nella vita concreta della gente cui parla. Luca sa che c'è una tentazione per l'uomo religioso: di confinare queste storie - la venuta stessa di Dio! - nelle favole, nel mito, nelle cose lontane, lontane dalla vita di tutti i giorni. Tutti questi nomi, che Luca vi ha ricordato all'inizio (che voi non conoscete, ma per la gente del tempo erano persone ben concrete, persone della storia di tutti i giorni) sono un po' dei simboli, come gli alberi che hanno disegnato qui: vogliono esprimere la nostra vita concreta, non le favole, non i miti, non le cose lontane dal nostro quotidiano!
Vedete, io ho l'impressione che a volte il nostro parlare di peccato, di conversione, di sentieri da raddrizzare, sia pieno di favole, di storie... Un sacerdote spagnolo molto tempo fa - un amico, che è passato qui nella nostra parrocchia - diceva: "Don Checco, quando si vengono a confessare, io li lascio dire e poi finisco sempre così: "Adesso hai detto quello che pensavi che io volessi sentire, ma ora dimmi un po': che ti pesa sulla coscienza?". Io non ho mai fatto discorsi del genere, perché non mi sembrano troppo rispettosi di chi mi sta davanti; però penso che sia molto giusto. A volte, parlando del peccato, si ha l'impressione che la gente si porti dentro tanti sensi di colpa per delle "favole"!
C'è della gente che si sente in colpa (per fare qualche esempio, perché possiate capire quello che voglio dirvi stasera) perché prova dei sentimenti di simpatia, di antipatia, di rancore qualche volta, o di rabbia. Capita forse anche a qualcuno di voi di provare un senso di antipatia verso la nuora o la suocera: non c'è niente di più normale, in questo mondo! Noi non siamo padroni di questi sentimenti; non ci possiamo far niente! Non possiamo farci diventare simpatico uno che ci sta antipatico; al più possiamo non trattarlo male...
Oppure ci sono delle persone che si sentono in colpa, per le distrazioni nella preghiera, dicono: "Io, don Checco, comincio a pregare, ma poi la testa mi va in giro, chi sa dove". "Significa che non so pregare? - aggiunge qualcuno - significa che non ho fede?". Ma a tutti quelli che pregano, la testa, dopo un po', se ne va in giro di qua e di là... Oppure qualcuno si sente in colpa (questo, qualche volta, capita anche ai ragazzi ) per una fede incerta e dubbiosa... ma la fede senza dubbi non esiste!
Oppure, c'è gente che, qualche volta, si sente in colpa, perché glielo dicono gli altri. Ogni tanto capita di parlare con qualcuno che vive una situazione affettiva non del tutto ordinata; e dice: " Ha sentito cos'ha detto il prete tale... cosa c'era scritto sul giornale?!" si sentono in colpa, poveri!, per delle situazioni in cui cercano di fare quello che possono, di rispondere meglio che possono alla vita! Oppure qualcuno che usa dei metodi anticoncezionali... ogni tanto c’è qualche vescovo, qualcuno che alza la voce... e si sentono in colpa! Si sentono in colpa, perché l'hanno detto gli altri... favole, miti, che nulla hanno a che fare con il vero peccato della loro vita!
Oppure qualcuno che si porta dentro antichi sensi di colpa, magari per fatti accaduti quand'era bambino... E c’è anche chi - capita forse anche a qualcuno di voi - è andato al supermercato e gli hanno dato in resto 500 lire di più, e si sente in colpa! È bello, che si sentano in colpa; perché si vede che sono persone oneste! Ma si tratta anche di sciocchezze: prendi le 500 lire, le dai al primo povero che incontri e poi non ci pensi più. Invece, c'è gente che si mette in ansia, per queste cose.
Vedete, in ansia per cose che appartengono alle favole! ma questo, qualche volta, ci impedisce di riconoscere i veri "sentieri tortuosi" della vita di tutti i giorni! Non si tratta di domandarsi se ho detto qualche parolaccia in più, o se sono stato distratto nella preghiere, o se una volta non sono andato a Messa, la domenica. Si tratta di domandarsi se nel mio lavoro sono stato onesto, se ho vissuto con impegno le cose di tutti i giorni, se ho usato attenzione, tenerezza, buona educazione nei confronti di chi mi sta accanto! Se no vi capita - come capita a me qualche volta - di sentire: "Don Che’, c'è quella signora che va in chiesa quasi tutti i giorni e poi non ci si può nemmeno parlare! e poi disturba quelli che stanno sopra o sotto e fa sempre rumore, anche la notte!".
Posso darvi un consiglio? consiglio di uno che, strada facendo, ha perso quasi tutti i principi morali...Uno, credo sia importante conservarlo dentro di sé: "Ma quello che faccio, fa forse soffrire qualcuno? è forse di peso a chi mi sta accanto? E posso fare qualche cosa, per dare un po' di gioia, un po' di piacere, un po' di tenerezza a chi mi sta accanto?". Son le vere domande che occorre farsi per scoprire il proprio peccato.
Il Natale che viene ci trovi più attenti, più disponibili a chi ci vive accanto ogni giorno. Lasciate perdere le malinconie dei sensi di colpa! Guardiamoci tutti - io per primo - intorno: vediamo se qualche cosa possiamo fare, per togliere un pizzico di sofferenza dal mondo, per fare un sorriso in più, per dare un po' di gioia, un po' di piacere a chi ci vive intorno!
È questo il "cuore nuovo" che Gesù si aspetta di trovare, quando viene! È questo che possiamo fare, per convertirci un po’, in attesa di Lui!
Il Signore ci aiuti!
"Non temere, Maria, perché Immacolata Concezione di Maria Vergine - 8 Dicembre 1997
hai trovato grazia presso Dio: Genesi 3,9-15.20 Luca 1, 26-38
concepirai un figlio lo darai.
alla luce e lo chiamerai Gesù"
Allora Maria disse: "Eccomi,
sono la serva del Signore;
avvenga a me quello che hai detto".
Quando si è bimbi - credo che sia successo anche alla maggior parte di voi - si ha bisogno di miti, di eroi, di personaggi che non sbagliano mai, capaci di compiere imprese grandi e belle. È forse soltanto la proiezione dell'idea che abbiamo dei genitori: il papà e la mamma non sbagliano mai, sembrano quasi onnipotenti, quando si è bambini. Poi si cresce e sarebbe importante smettere di credere nei miti. Spesso invece continuano a proporci dei miti anche oggi: alla radio, alla TV, personaggi mitici, eroi capaci di compiere grandi imprese, di risolvere, quasi magicamente, i nostri problemi. Vi siete mai chiesto perché? Forse perché ci vogliono ancora bambini, forse perché vogliono che pensiamo il meno possibile...
E questo succede anche nella vita della Chiesa. A molti di noi - specialmente a chi ha i capelli bianchi - quando eravamo bambini proponevano tante immagini di "santi": persone straordinarie, persone che non avevano dubbi, che non sbagliavano mai, capaci di compiere prodigi! Perché ce le proponevano? Forse per farci sentire in colpa, forse per farci sentire il bisogno di una mediazione, forse per non farci pensare,
Ed anche Maria, se ricordate, ci veniva presentata come un mito: mai sfiorata nemmeno da un'ombra di peccato, di male; mai un dubbio, mai un'incertezza! Era Maria (non so se lo è stata anche per voi) un mito da contemplare da lontano, una "mamma" a cui rivolgersi nel momento del bisogno, un'immagine straordinaria, ma lontana dalla nostra vita di ogni giorno, dalla nostra ventura di uomini, dalla nostra ricerca.
Capite forse il mio stupore (non so se è stato così per molti di voi) quando, nel Vangelo, mi capitava di notare uno strano racconto: un giorno da Nazareth lei e i suoi parenti vanno a cercare Gesù, che se n'è andato da casa. E sapete perché lo andavano a cercare? Perché pensavano che fosse diventato matto. Non ve lo aspettavate da Maria, che andasse a cercare Gesù perché pensava che fosse diventato matto! È scritto nel Vangelo!
Quando mi sono fermato su questa storia, ho sentito Maria vicina a me, l'ho sentita vicina a mia madre, alle tante madri che ho incontrato: qualche volta andavano a cercare i figli, perché non li capivano più; cercavano di capire un figlio che se ne voleva andare, che inseguiva altre strade, che era diverso da come lei lo aveva sognato!
Anche Maria ha fatto fatica a capire suo figlio: provate ad immaginarla, là sotto la croce, quando lo ha visto con le braccia inchiodate sul legno? Non si sarà domandata anche lei: "Perché se n'è andato da casa?! Perché non mi ha ascoltato, perché non è rimasto con me?! Perché è finito su una croce?!" Per tutta la vita Maria ha cercato suo figlio! E il figlio che lei ha avuto il coraggio di accettare nella sua vita, non era un figlio normale, come me, come i vostri figli. Era un figlio straordinario, che si portava nel cuore la luce, la pienezza stessa di Dio!
Ecco perché Maria è il modello della fede del credente. Lei ha cercato suo figlio, l'ha saputo accogliere al di là dei suoi dubbi, ed anche quando non lo capiva più, gli è rimasta fedele. L'avete notato? Anche nel Vangelo che oggi abbiamo ascoltato, c'è il dubbio di Maria: "Com'è possibile?"; il suo sconcerto di fronte all'annunzio straordinario: "Tu diventerai la madre di Dio".
E poi, come spesso capita a noi, quando abbiamo qualche dubbio, si guarda intorno, per vedere se c'è qualcuno che ha bisogno di una mano: di tutto il grande discorso che Maria ha ascoltato dall'angelo, lei sembra capire una cosa sola: c'è la sua parente, è anziana e aspetta un figlio! Dando una mano, portando un sorriso, una carezza, un po' di tenerezza, forse anche i dubbi se ne vanno... e si riprende la strada.
Vedete, ho scoperto Maria così: vicina alla nostra ventura di Cristiani, anche lei come noi alla ricerca della luce, anche lei capace di accogliere suo figlio nella propria vita. È quello che tentiamo di fare anche noi!
Il cammino di Natale - ce l'hanno ripetuto i nostri bambini - è un cammino alla ricerca di Gesù: è cercare la sua luce, è tentare di accoglierlo nella nostra vita. E allora Maria può essere nostra compagna di strada, può essere la maestra della nostra fede!
Il Signore ci aiuti!
Ed ecco la stella... li precedeva, finché giunse Epifania del Signore - 6 gennaio 1992
e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Matteo 2, 1 - 12
I nostri antichi non sapevano soltanto scrivere parole alte e magari un po’ difficili come quelle che abbiamo letto nel Vangelo di ieri, ma sapevano anche raccontare delle storie, inventare racconti come quello che abbiamo appena ascoltato, storie ricche di simbolismo, ricche di immagini che ci aiutano a capire il senso di Gesù nella nostra vita.
Avete notato che oggi abbiamo letto un altro racconto della nascita di Gesù: lasciamo con questo racconto, il clima sereno e bello del Natale. Era il clima del Vangelo di Luca: la semplicità dei pastori intorno alla grotta di Betlemme, il canto degli Angeli: nessun contrasto, tutto è serenità e gioia. Come il Natale che abbiamo vissuto! Spero che tutti abbiate potuto viverlo in serenità e pace nelle vostre case.
Oggi, come avete sentito, il clima del Vangelo cambia: tutto si fa più drammatico, pieno di contrasti. I Magi, questi cercatori di luce, vengono da lontano, e che cosa trovano a Gerusalemme? Trovano il rumore della folla. La folla che si agita, ma è incapace di produrre alcunché nella sua agitazione. E poi trovano i sapienti, i maestri, i dottori della Legge: quelli che sanno tutto, quelli che hanno una risposta pronta per ogni cosa, ma che non si muovono. Trovano la violenza di Erode, l'inganno di Erode, la falsità del potente che dice: "Andate a cercare il Bambino, voglio venire anch'io ad adorarlo", e invece medita di ucciderlo. La strage degli innocenti: ecco il contrasto violento tra coloro che con semplicità vanno inseguendo la luce e l’indifferenza, l'arroganza e la violenza.
È la realtà della nostra vita, quello che domani troveremo intorno a noi. Riprende la vita normale, molti di voi ritorneranno alla loro vita di ogni giorno, riprenderemo a vedere la televisione e ancora sentiremo il rumore della folla, sentiremo l'arroganza di coloro che sanno tutto, che hanno sempre la risposta pronta, che sanno sempre cosa vuole il Signore e dove sta il vero e il falso. Ce ne sono in abbondanza in questo nostro mondo, ce ne sono tanti anche nella nostra povera Chiesa. La gente che ha sempre una risposta pronta, che pensa sempre di sapere dov'è la luce.
E l'indifferenza di tanta gente che anche noi, in parte, condividiamo. La gente che grida, che si lamenta, che si agita, che dice male di tutto, ma che poi non sa produrre granché. La violenza dei potenti, la potenza di chi ha in mano la forza delle armi.
Il Signore dia a ciascuno di noi di essere, con semplicità, dei cercatori di luce, ogni giorno! Qualche volta la luce se ne va, la vita si fa incerta e nebbiosa: lo Spirito ci dia la forza di continuare a cercare la luce!
Non ha ragione chi pensa di sapere sempre tutto, non ha ragione chi si lamenta sempre, non ha ragione chi fa violenza. Ha ragione chi sa cercare la luce! Chi si porta nel cuore fame e sete di giustizia! Chi, con cuore semplice, si domanda ogni giorno: “Che cosa vuole il Signore? Qual'è la luce di Gesù nella mia vita?” Ci sentiremo compagni di strada di tanti uomini di buona volontà, in ogni angolo della terra, di chi, come noi, va cercando la luce, con semplicità di cuore, senza arroganza, accettando con pazienza che, qualche volta, la luce se ne vada, e non si riesca più a vedere; ma continuando senza stanchezze a cercare la luce, a cercarla ogni giorno, portandoci nel cuore fame e sete di Gesù.
Se ho capito qualcosa del Vangelo, la prima caratteristica del cristiano è di non essere uno che pensa di sapere tutto, ma di essere una persona che spesso non vede la luce, ma che va mendicando la luce ogni giorno, uno che ha il cuore fragile, che ritiene di non saper niente più degli altri, che con gli altri vuole andare cercando, che si porta nel cuore la fame, la sete del bene, della giustizia, della pace.
Il Signore faccia di noi dei "Magi", della gente che va cercando e che sa anche offrire quello che può, con cuore semplice, per dare, a chi ci sta accanto ogni giorno, non "oro, incenso e mirra", ma un semplice bicchiere d'acqua, la vita condivisa, il dono di noi stessi.
Il Signore ci aiuti.
"...l'acqua diventata vino... II Domenica del tempo ordinario - 15 gennaio 1995
Così Gesù diede inizio ai suoi Giovanni 2, 1 - 12
miracoli in Cana di Galilea".
Sapete cos'è questa? una bottiglia di vino straordinario! Non pensate che sia frutto di qualche miracolo, eh? Niente di tutto ciò. Non era prima acqua e poi è diventato vino: è stato sempre vino.
Ieri sera eravamo con un gruppo di persone a leggere il Catechismo della Chiesa cattolica... e quando, verso la fine, eravamo tutti un po' brilli, ubriacati dalla lettura di quelle parole, in gran parte insensate, una coppia di amici, Ciccio e Tea, che venivano dalla Sicilia, ci hanno offerto due bottiglie di vino straordinario (una è rimasta ancora, perché ieri sera mancava qualcuno). E questo vino straordinario ha rallegrato il nostro stare insieme: un bicchiere di questo vino è un segno di Dio, infinitamente più prezioso delle tante ed inutili parole che avevamo lette su quel libro; e anche di quelle - un po' meno, forse, inutili - che ci eravamo dette fra di noi.
Vedete, per fare questo vino non c'è stato bisogno di un miracolo; ma Ciccio ha detto che ha dovuto raccogliere l'uva. Gli abbiamo chiesto: "Ma era uva speciale?" ‑"No, uva normale". Ma bisogna raccoglierne tanta e poi spremerla - con i piedi, alla maniera antica - poi prendere 50 Kg. di buon mosto, metterlo in una grande caldaia di rame, farla bollire con dei rami di amarena, per quasi tutto il giorno, finché non diventano, da 50, 25 Kg. Si aggiungono altri 25 litri di mosto fresco; si mette nelle botti, si lascia fermentare a lungo... e poi, alla fine, esce questa cosa straordinaria!".
Gesù ha fatto qualcosa di simile ad una festa di nozze e i primi Cristiani hanno riconosciuto in questo la manifestazione, il segno di Dio: Dio che viene in mezzo a noi come un bicchiere di vino straordinario! E manifesta - attraverso questo segno - la sua gratuità, il suo amore, la sua tenerezza per la vita degli uomini. Gesù viene a comunicarci la festa e la gioia di Dio!
Quando non saprò più cosa dirvi - ormai il tempo si avvicina perché sono 25 anni che predico a qualcuno di voi - spero di potervi offrire un bicchierino di buon vino e sarà un segno di Dio più importante e più profondo di tante parole che ho detto; per ora contentatevi soltanto di guardare. "Guardare e non toccare": come succede in tante occasioni della nostra vita! Anche noi preti, come gran parte degli uomini, a parlare siamo capaci: è anche facile! A fare, è un po' più difficile: offrire a tutti voi un bicchiere di questo vino, sarebbe una cosa un po' complicata...
Posso darvi un consiglio, però, se qualcuno in nome di Dio alza la voce, minaccia, promette castighi, invitatelo a bere un bicchiere di buon vino, se qualcuno vi esorta a fare un digiuno religioso, bevete un "gottolin" di vino! e se potete, condividetelo con qualcuno, che magari attraversa un momento un po’ triste: è molto meglio! I discepoli di Gesù non fanno digiuno: i discepoli di Gesù bevono il vino - poco, eh?! - come segno di festa, come segno di Dio; come segno del suo amore, come segno della sua tenerezza, come segno della sua gratuità!
...ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea. II Domenica del tempo ordinario - 18 gennaio 1998
Venuto a mancare il vino, la madre di I Corinzi 12,4-11 - Giovanni 2,1-12
Gesù gli disse: "Non hanno più vino".
E Gesù disse ai servi: "Riempite d'acqua
le giare, attingete e portate al maestro di
tavola" ... l'acqua era diventata vino.
Ho una buona notizia da darvi: i nostri bimbi hanno imparato a fare i miracoli! Ecco qua: nero su bianco; tutto scritto; non ci sono più dubbi.
Chiara dice: "Anche noi abbiamo imparato a trasformare l'acqua in vino. Facendo cosi: aiutando i nonni a sorridere; consolando un compagno che ha preso un brutto voto; rifacendomi il letto, per far faticare meno la mamma; consolando un bambino che è stato sgridato dalla maestra..."
Sono i miracoli! I nostri bimbi hanno imparato a fare miracoli!
Credo, fratelli, che sia importante, in un mondo in cui la religione sembra sempre più fatta di regole, di leggi, di divieti; oppure di fatti straordinari: madonne che lacrimano, santoni che fanno prodigi e altre cose di questo genere... ritrovare i nostri bambini che fanno i miracoli di ogni giorno: fanno spuntare un sorriso intorno a loro!
In un mondo in cui sembra che abbia ragione soltanto chi grida di più, chi alza la voce, chi occupa le strade... è importante ritrovare la semplicità dei piccoli gesti quotidiani dei nostri bambini.
In un mondo in cui ci sono ormai folle di malati che vanno alla ricerca di un farmaco prodigioso, spinti da giornalisti che cercano il clamore più che la verità, e da giudici che forse cercano ancora di essere protagonisti, rischiando, così, di esporre a rischio la vita, di vanificare lo sforzo - ormai più che trentennale - di gente che ha studiato pazientemente ogni giorno, che ha sperimentato, che ha cercato...
In un mondo - come accade in questi giorni nel nostro paese - in cui c'è tanta gente che va inseguendo il sogno di vincere dieci miliardi! Pare che le ricevitorie del Lotto siano, in questi giorni, prese d'assalto...
In un mondo così, è importante ritrovare i miracoli dei nostri bimbi; è importante ritrovare la nostra vita quotidiana!
Non vi sembra che il nostro mondo sarebbe più bello, se tutti noi - come ci suggeriva l'apostolo Paolo - riuscissimo a trafficare i doni che lo Spirito ci ha dato? Se cercassimo, tutti noi, di fare il piccolo "miracolo" quotidiano: della fedeltà al lavoro di ogni giorno, di svolgere ciascuno il proprio compito, magari facendo un po' più di silenzio?
Non dice, il Vangelo, che dovremmo diventare tutti "come bambini"? Non potremmo forse consigliare - al Papa, ai Vescovi, ai Cardinali - di stare zitti per 4-5 mesi? Non potremmo consigliare ai giudici, ai giornalisti, di tentare di fare le persone serie: ciascuno il proprio dovere - la vigilanza attenta della giustizia, della comunicazione - senza cercare il clamore, la prima pagina?...
Non sarebbe, questo, fare i veri "miracoli", cambiare l'acqua in vino: rendere più bella la vita degli uomini?
Intanto vi faccio il mio piccolo miracolo: la finisco qui! Pensate: se oggi tutti i parroci d'Italia facessero una predica più corta di 5 minuti, che tripudio di gioia salirebbe al Padreterno!
Il Signore ci aiuti! - È tutto, per oggi.
Ci fu uno sposalizio in Cana di II Domenica del tempo ordinario - 14 gennaio 2001
Galilea... e venne a mancare il vino... Giovanni 2, 1-12
Più leggo il Vangelo e più mi sembra di preferire certe pagine ad altre. Mi capita sempre più spesso di pensare - qualche volta anche di dire - che se anche si perdessero molte pagine del Vangelo, se restassero alcuni racconti basterebbe ed avanzerebbe per fare di questo libro la cosa più straordinaria di questo mondo (e quello che abbiamo letto oggi è proprio uno di questi racconti, che sento particolarmente vicino). Mi ripetono spesso che non bisogna leggere così il Vangelo: che non bisogna fare preferenze, si rischia di prendere soltanto quello che ci piace e ci fa comodo.
Quando ero giovane queste parole mi inquietavano: anche allora cominciavo ad avere le mie preferenze (non come adesso: adesso il Vangelo lo conosco un po' di più) e mi sembrava che fosse giusto quello che dicevano: che non si dovesse scegliere, che ogni parola del Vangelo dovesse essere presa così come era scritta e tutte accettate allo stesso modo, senza tentare di interpretarle.
Poi, crescendo, mi sono accorto che chi parlava così poi raccontava di santi, che facevano grandi digiuni, grandi penitenze, che predicavano la rinuncia a tutto! E mi domandavo: "Che c'entra questo con il Vangelo?" Le stesse persone parlavano spesso di apparizioni di madonne. In tante parti sembra che appaiano madonne: piangono sempre, non ridono mai; predicano sempre digiuni, penitenze, rinunce, sacrifici... annunciano disgrazie. Che c'entra tutto questo con la Mamma di Gesù, che per prima si accorge che manca il vino e prega il Figlio di fare qualcosa?
È successo ormai parecchio tempo fa: un sacerdote era stato invitato a celebrare un matrimonio: aveva letto questa pagina del Vangelo e poi, per 15 minuti, aveva inflitto a quei giovani sposi una lunga predica sui pericoli della famiglia, sul divorzio, sull'aborto, su tutto quello che dovevano fare, perfino nella camera da letto!... Che c'entrasse questo con questa pagina del Vangelo, forse nemmeno lui lo sapeva!
Chi dice che non bisogna interpretare il Vangelo, spesso parla di leggi, di regole di divieti… non ci hanno, anche nell'ultimo anno, parlato spesso di anticoncezionali e di preservativi?... Cosa c'entra questo con il Vangelo, me lo dovrebbero spiegare!
Chi sa se certi cristiani si sono mai accorti che Gesù si manifesta come Dio là dove cambia l'acqua in vino? E cambia l'acqua in vino non per risolvere qualche grave problema, perché erano - come avete ascoltato - già tutti un po' brilli. Mancava l'ultimo sorriso, mancava qualcosa perché il volto di quei giovani sposi non si accigliasse, alla fine del banchetto, perché non c'era più vino. Per un sorriso, Gesù ha fatto il suo primo segno, il suo primo straordinario intervento!
Date retta a me: io ho imparato a scegliere, nel Vangelo, le pagine che sento più vicine al mio cuore, alla vita. Ritengo di avere questo diritto e penso che l'abbiate anche voi. Ho imparato ad interpretare il Vangelo non cercando di scegliere quello che mi fa comodo, ma quello che mi sembra più vicino alla vita.
Date retta a me! Se un giorno vi capita di suscitare un sorriso in chi vi sta accanto, questo è infinitamente meglio di tutti i digiuni e i sacrifici che potete fare. Se vi capita di asciugare una lacrima o di suscitare un momento di gioia e di tenerezza in chi incontrate, questo è infinitamente meglio di tutte le preghiere, le novene e i pellegrinaggi che potete fare.
Non dimenticatelo: Dio si manifesta in un bicchiere d'acqua trasformato in vino, per un momento di gioia di gente già un po' brilla! Questo è il Dio che conosciamo, questo è il Dio di cui ci parla questa straordinaria pagina del Vangelo! Ed io vi auguro di portarvela nel cuore, come la porto io nel cuore: mi ha liberato da tante tristezze religiose! mi ha fatto credere e sperare nel Signore!
Ho incontrato tante volte - forse le avete incontrate anche voi - delle persone che ritengono che il Vangelo - che la fede, che la religione - sia soltanto precetto, proibizione, rinuncia, sacrificio, paura e quant'altro. Un segno di Dio è il sorriso, è un bicchiere d'acqua trasformato in vino per la gioia degli uomini!
Il Signore ci aiuti a capire!
-"Oggi si è adempiuta questa scrittura, III Domenica del tempo ordinario - 22 gennaio 1995
che voi avete udita coi vostri orecchi". Neemia 8, 2-10 - Luca 1, 1-4; 4, 14-21
-"Non vi rattristate, perché la gioia
del Signore è la vostra forza!".
Una delle ricchezze più preziose della mia vita di prete - e di uomo - è stata la lettura del Vangelo! L'ho letto tantissime volte: da solo, nei gruppi insieme con la gente (e anche con parecchi di voi); l'ho letto tantissime volte insieme con tutti, il sabato e la domenica, qui in chiesa. Ho studiato e ho amato con passione il Vangelo; e ho trovato nel Vangelo tesori di luce, di vita, di verità: il riflesso dello splendore di Dio! Credo che di questo un pochino voi possiate essere testimoni, voi che mi ascoltate, ormai, da tanto tempo: ho cercato di comunicare a voi, con semplicità, quello che potevo, della ricchezza di questo libro.
Questa premessa, perché stasera vorrei provare a mettervi in guardia, se mi riesce, dall'uso a volte distorto e ideologico che si fa del Vangelo: la cosa che più mi rattrista e mi addolora, - proprio perché lo amo, il Vangelo - è vederlo usato contro l'uomo, per parlare contro la sua vita, contro la sua libertà, contro la sua gioia! Qualche parola in più, per tentare ancora una volta di spiegarmi e di spiegare, se mi riesce, quello che ho capito del Vangelo.
Che cos'è il Vangelo? Come è stato scritto? Ci aiuta quello che abbiamo letto stasera. Non so se avete notato che prima abbiamo letto qualche frase, che è proprio all'inizio del Vangelo di Luca; poi abbiamo saltato 4 capitoli (quelli che abbiamo letto durante le feste passate) e poi abbiamo ripreso. In quelle prime righe Luca ci dice come ha scritto il Vangelo. Cominciamo dall'inizio e cerchiamo di capire.
Gesù è venuto su questa terra - la Parola eterna e infinita di Dio! - ed ha parlato agli uomini. Ha parlato, badate bene, col linguaggio, all’interno della cultura del suo tempo, dei problemi del suo tempo: al tempo di Gesù non c'erano né radio, né televisione, né automobili, né treni... niente di tutto questo. E il modo di parlare, di ragionare, i problemi che avevano intorno erano profondamente diversi dai nostri. Gesù parlava in quella cultura: e non poteva essere diversamente, perché altrimenti non sarebbe stato un uomo, non avrebbe parlato a delle persone concrete! Gli esempi, le immagini che si trovano nel Vangelo son tutte quelle del tempo di Gesù, a volte per noi lontane: si parla della semina, della mietitura, della pecore... tutte cose che i nostri bimbi fanno fatica ad immaginare, perché non le hanno mai viste (molti di voi, invece, hanno avuto la fortuna di vedere anche quel mondo).
Bene: Gesù ha parlato in quel mondo, un mondo profondamente diverso dal nostro. Ma - come ci ha ricordato Luca - Lui non ha lasciato scritto niente: qualcuno ha ascoltato le Sue parole e poi le ha ripetute. Ma voi siete gente avveduta e sapete che, quando uno ascolta e poi ripete, ci mette un po' anche del suo: ci mette la sua ricchezza; ma ci mette anche i suoi rancori, le sue rabbie, le sue incomprensioni!
Non solo: ma chi ha scritto - come Luca stesso vi dice - non ha ascoltato quello che Gesù diceva: ha ascoltato quelli che parlavano di Lui. Quindi, vedete, abbiamo tre passaggi: primo, Gesù che parlava nel mondo del suo tempo; poi coloro che hanno ascoltato e hanno parlato; in fine, qualcuno che ha ascoltato quelli che parlavano e ha scritto. Il risultato è quello che noi leggiamo oggi. La cosa è molto più complessa, in verità, ma non abbiamo tempo)
Allora c'è qui un problema, un problema grosso: che cosa appartiene al "messaggio" di Gesù e che cosa, invece, appartiene al "tempo" di Gesù? Cioè: quale è il nocciolo e quale la scorza, che riveste questo nocciolo? Che cosa è prezioso per noi?
E non solo: che cosa ha detto veramente Gesù e che cosa hanno aggiunto quelli che parlavano? che cosa ha aggiunto Pietro? che cosa Andrea, Giacomo, Giovanni? E poi ancora: che cosa ha aggiunto chi ha scritto? Luca ci ha messo qualcosa di suo? Voi capite facilmente che, chi si avventura nel tentare di rispondere a queste domande, in qualche modo interpreta! E allora voi (ci sono biblioteche intere che cercano di commentare il Vangelo) non vi meraviglierete di trovare qualcuno che dice una cosa, qualcuno che dice l'altra... È l'avventura di cercare di capire che cosa è essenziale e che cosa è marginale: quale è la sostanza e quale la scorza; che cosa ha veramente detto Gesù, che vale anche per noi adesso, e che cosa, invece, apparteneva alla mentalità di quel tempo.
È un'avventura! Ma è un'avventura indispensabile! Chi nega questa avventura vi inganna: anche la sua è un’interpretazione! La parola non è qualcosa di assoluto, di magico: bisogna cercare di interpretarla.
E non basta interpretarla: bisogna "attualizzarla"! Avete ascoltato oggi il Vangelo: Gesù si alza, apre il libro, legge e poi dice: "Oggi si è adempiuta questa parola!". Oggi, qui! E questo è un altro problema, molto più complesso: chi può dire che cosa dice Gesù oggi, qui, per me? Questa è ancora un'altra interpretazione, ancora un'altra avventura! E voi sapete che io... mi "avventuro" ogni domenica nel far questo: cioè nel tentare di rendere attuale e concreta la parola di Gesù, per noi, oggi! È chiaro, è normale che, se andate in un'altra chiesa, sentite uno che parla in maniera un po' diversa. Chi ha ragione? Chi ha la verità? Chi dice il giusto? Mettete un grande punto interrogativo e conservatelo! Perché - è quello che voglio dirvi oggi - diffidate sempre di coloro che vi dicono: "Gesù dice così. Questo è quello che Lui vuole".
È importantissimo, questo: noi siamo alla soglia del terzo millennio ed è fondamentale che i credenti, tutti i credenti, rinuncino a dire con sicurezza e arroganza: "Così dice Dio. Questa è la Sua volontà". Perché altrimenti diventiamo, anche noi, fautori di intolleranza, fautori di fanatismi! E il mondo non è più fatto di tanti piccoli villaggi come una volta: ormai è un villaggio globale! O diventiamo tolleranti, rispettosi di quello che pensano gli altri, oppure... Vi porto un esempio: ieri sera leggevamo il Catechismo della Chiesa cattolica, dove si dice, con grande solennità, che "non ci deve essere nessuna discriminazione in base alla cultura, al colore della pelle, al sesso, tra gli uomini, perché tutti gli uomini sono uguali". "Nessuna discriminazione": siete tutti d'accordo che non ci deve essere nessuna discriminazione? Penso di si. Spero di sì. Beh! provate ad andare da qualcuna delle autorità della Chiesa e dire: "Avete letto qui? Non ci deve essere nessuna discriminazione in base al sesso... Quindi, da domani, cerchiamo di preparare le donne a diventare preti". -"Ooh! Non si può!". -"Perché non si può?" -"Perché Gesù ha fatto così!".
Ecco: questa è la radice di ogni intolleranza! Tenetelo bene a mente. Quando vi parlano del fanatismo dei Musulmani (è giusto guardarlo con attenzione: è uno dei grandi problemi del nostro tempo) non dimenticate che noi nella nostra storia abbiamo mandato al rogo decine di migliaia di persone..."in nome di Dio"! perché "Dio dice così"! Questo è quello che io tento di dirvi: questo è l'uso strumentale e ideologico del Vangelo! Quando qualcuno vi dice: "Questo bisognerebbe fare... però Dio dice così!", voi cercate di capire. Questa - per quello che capisco io (scusate se dico... voi cercate di capire; voi capite molto più di me, probabilmente) questa è la radice del fanatismo, questa è la radice dell'intolleranza! In nome di questa intolleranza, e di questo fanatismo, i Cristiani hanno distrutto intere nazioni: "Noi abbiamo la verità, gli altri non l'hanno!".
"Così ha detto Gesù! Così ha detto Dio!": non si può dire con assoluta sicurezza, mai! Cosa ha veramente detto Gesù, cosa vuole da noi oggi, è cosa da cercare insieme, con passione, con attenzione, con gratuità, con rispetto del nostro prossimo. Deve essere questa - per quello che ho capito io...- la base del futuro, del secolo che ci sta davanti: il rispetto del nostro prossimo! Uno la pensa diversamente da me? prima di dire che "Dio sta con me", metteteci non uno, ma mille punti interrogativi: cercate di vedere la parte di ragione che lui si porta dentro. Perché non c'è una verità assoluta! Non c'è un Vangelo che magicamente ci permetta di affermare: "Così ha detto Gesù". Bisogna cercare di interpretarlo, cercare di capire che cosa dice Gesù a me, oggi!
Un'altra piccola cosa voglio dirvi: conservate nel cuore una delle frasi più belle della Bibbia, che avete ascoltato alla fine della prima lettura: dice così: "Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza!". Avete una chiave: chiunque vi rattrista nel nome del Vangelo, chiunque non cerca di comunicarvi un po' della gioia di Dio... Ascoltate un altro, datemi retta... Stasera non ho più la bottiglia del vino, ma abbiamo l’invito di Neemia: "Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci!".
"La gioia di Dio è la vostra forza! Noi abbiamo bisogno della gioia di Dio, della Sua libertà, della Sua tenerezza! (Non abbiamo bisogno delle Sue minacce, dei Suoi rimproveri... Non suoi, di coloro che si arrogano il diritto di parlare "in nome di Dio"!).
"Nessun profeta è bene accetto IV Domenica del tempo ordinario - 1 febbraio 1998
in patria ... C'erano molte vedove in Geremia 1,4-5.17- Luca 4,21-30
Israele al tempo di Elía, ma a nessuna
di esse fu mandato Elia, se non ad una
vedova in Sarepta di Sidone. C'erano
molti lebbrosi in Israele al tempo del
profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu
risanato, se non Naaman, il Siro".
Una inquietudine attraversa il Vangelo e quindi la fede dei primi Cristiani. Una domanda li preoccupa: "Perché la gente rifiuta Gesù?". Gesù, come avete ascoltato, aveva parole "piene di grazia": portava valori straordinari; eppure, lo hanno rifiutato. Perché?
La prima risposta che viene in mente, forse anche a voi, è la più semplice: erano cattivi; è la malvagità del cuore dell'uomo, l'egoismo, che spesso lo porta a non accettare il bene. C'è anche questa risposta, nel Vangelo. Addirittura, alla maniera antica, si dice c'è un destino ed alcuni sono destinati al male.
Eppure l'inquietudine continua: si rendono conto che non basta questa risposta, perché a volte rifiutano Gesù anche persone buone; allora si chiedono: "Non sarà anche un po' colpa nostra, se c'è gente, intorno a noi, che non accetta il Signore?".
E vedete, non è solo un problema antico: è anche un problema che ci riguarda, che riguarda le persone che ci vivono accanto: i giovani, la gente che incontrate sul posto di lavoro. Quando vi domandate: "Perché oggi c'è tanta gente che non riesce a credere in Gesù, in Dio?", voi sapete che la risposta non può essere "Sono cattivi". Non sono tutti cattivi. Chi parla così - e qualche volta c'è qualcuno che parla così, anche nella vita della Chiesa - sapete che non coglie tutta la verità.
I primi Cristiani cercano con passione una risposta: gli abitanti di Nazareth diventano il simbolo del rifiuto di Gesù: perché lo hanno fatto? Nei Vangeli di Matteo e di Marco, si mette l'accento sulla semplicità della vita di Gesù: era un falegname, un uomo di tutti i giorni, ha vissuto là, per 30 anni, la più banale quotidianità. Era stato il loro falegname, aveva aggiustato le loro sedie e le loro ruote! Se hanno parlato loro di un Messia grande e potente, che veniva a cambiare il corso della storia: come poteva essere lui, il falegname del villaggio?
Ma Luca - lo avete ascoltato - dice un'altra cosa, forse più profonda: a Nazareth si aspettano che lui faccia i miracoli che ha fatto anche a Cafarnao. "Abbiamo sentito che là ha fatto dei segni: perché non li fa anche qui? Medico, cura te stesso: cioè cura noi, che siamo i tuoi parenti, i tuoi amici!". Ecco, non accettano Gesù perché cercano "miracoli", cercano uno che risolva i loro problemi.
Dietro questa pagina c'è forse la domanda dei primi Cristiani: "E se fosse colpa nostra?! Noi parliamo di un Dio grande e potente, di un Dio che va incontro alla gente, che soccorre la debolezza dell'uomo, di un Dio che fa miracoli! Perché, allora, non li fa?". Gesù, avete sentito, cita antiche storie: in Israele c'erano molti lebbrosi, ma il profeta è andato a guarire un pagano; c'erano molte vedove, ma Elia è andato a Sarepta, vicino a Sidone, in terra straniera. "Che strano! Dio guarisce gli altri e non noi! Ma che Dio è questo?!".
Il problema ci riguarda: come parliamo di Dio? Forse anche voi portate nel cuore i ricordi dell'infanzia. Quando io ero bambino c'era un'immagine, che mi ha accompagnato e, se volete, consolato nelle mie paure di bimbo. C'era in casa mia, un quadro, che molti di voi conoscono: è un angioletto che tiene per mano un bambino che sta per cadere in un burrone. E mia mamma mi diceva di pregare ogni sera l'angelo custode, perché mi teneva per mano, mi impediva di correre i pericoli, Ed io pregavo volentieri il mio angelo custode e mi sembrava che mi proteggesse.
Poi son cresciuto; l'angelo custode era un po' troppo piccino e cominciavo a rivolgermi a Dio. Quanto l'ho pregato! Perché mi andassero bene gli esami, perché facessi bene i compiti, perché prendessi dei buoni voti... e poi gli altri prendevano dei bei voti e io no...
E, quando son venuti i primi turbamenti dell'adolescenza, mi accorgevo che pregavo, pregavo... ma Dio non mi ascoltava. Quel Dio di cui mi avevano parlato - il Dio onnipotente, il Dio che fa le grazie, il Dio che mi proteggeva e mi custodiva - stava per sparire dalla mia vita!
Io ho avuto - e penso che l'abbiate avuta tutti voi - la fortuna di incontrare qualcuno che mi ha fatto capire che non potevo cercare Dio perché mi facesse andar bene i compiti, perché guarisse l'amico che era malato! Mi ha fatto capire che dovevo cercare Dio nella gratuità: dovevo cercare in Lui i valori essenziali, il senso profondo della mia vita! Ho scoperto che quel Dio "onnipotente" di cui mi avevano parlato, che regolava gli uomini e le cose, non esisteva. I nostri vecchi dicevano: "Non si muove foglia che Dio non voglia"; io, con la mia mente di adolescente, cominciavo a capire che si muovono tante foglie in modo storto, per il mondo; che succedono tante tragedie; che ci sono bambini che muoiono ogni giorno... E io non lo potevo sopportare!
Non potevo sopportare che mi si parlasse di un Dio così, a cui mi potevo rivolgere perché non facesse morire i bambini, mentre i bambini continuavano a morire, a milioni! Di che Dio potevo continuare a parlare? In che Dio potevo credere? Se continuavo a cercare Dio perché mi facesse una grazia, perché mi servisse, perché mi aiutasse nei problemi concreti della mia vita... Dio stava per sparire dalla mia esperienza di uomo! Per fortuna, ho incontrato chi mi ha fatto conoscere il Dio della gratuità: il Dio che poteva appassionare la mia gioventù, il Dio che mi proponeva valori, che mi camminava davanti, che mi chiamava alla libertà, alla gratuità, a donare me stesso; il Dio che mi faceva scoprire, nel cammino della mia vita, i valori più autentici e più profondi! In questo Dio ho cominciato a credere. E di questo Dio tento ancora di essere testimone! Ma non è semplice, fratelli.
Non è semplice; perché se parliamo di libertà, di gratuità - e se ne vogliamo parlare con un po' dì coerenza - dovremmo vivere la libertà e la gratuità! E di questo credo di dovervi chiedere scusa: per non averlo vissuto, nella mia vita, fino in fondo; e quindi di non rendere credibili le mie parole! Perché le parole diventano credibili, solo quando si fanno vita, vita concreta.
A volte mi chiedono: "Ma, don Checco, perché non lasciare un punto di appoggio, la fiducia in qualcuno che può togliere la paura almeno ai bambini, una maniglia a cui aggrapparsi almeno nei momenti difficili"? Semplicemente perché non esiste: non esiste il Dio che tappa i buchi della mia povertà, il Dio che risolve i nostri problemi, il Dio che può impedire che i bambini muoiano... esiste solo il Dio che ci chiama tutti a vivere l'amore, a combattere - noi, con tutta la passione del nostro cuore - perché i bambini non muoiano più; che ci chiama - noi, con tutta la passione della nostra libertà e gratuità - a fare in modo che il mondo sia più bello! Sono soltanto parole, vuote, se non diventano, almeno un po', vita concreta!
Il Signore ci aiuti a farlo! Perché, a questo è affidata la possibilità - per chi viene dopo - di credere ancora.
"...abbiamo faticato tutta la notte V Domenica del Tempo Ordinario - 5 febbraio 1995
e non abbiamo preso nulla, ma Luca 5, 1 - 11
sulla tua parola getterò le reti".
"D’ora in poi sarai pescatore di uomini. "
Se ricordate, Luca ci diceva, nelle Domeniche passate, che lui non ha conosciuto né ascoltato direttamente Gesù, ha ascoltato quelli che parlavano di Lui e raccontavano la loro esperienza con il Maestro. Ho fatto con voi, più di una volta, un gioco di fantasia: cercare, cioè, di cogliere sulle labbra stesse degli apostoli il racconto dei loro incontri con Gesù. Vorrei farlo anche stasera. Vi invito a fare un viaggio con la fantasia, ad andare ad ascoltare l'apostolo Pietro.
Immaginate, allora, di trovarvi in una delle case, qui vicino, ad Ostia antica, tanto tempo fa - circa 1900 anni fa - in una piccola stanza in cui è venuto l'apostolo a far visita ad un gruppetto di Cristiani, che è lì riunito - come facciamo noi, ogni sette giorni - per spezzare insieme il pane e per parlare di Gesù. Di Gesù e della loro vita.
Stasera non ci sono tante cose da dire; il discorso è finito abbastanza presto. Allora un Cristiano, giovane, un po' curioso, si rivolge a Pietro e gli fa: "Pietro, dimmi un po': come mai Gesù ha chiamato proprio te? Dovevi essere il migliore!". Pietro lo guarda un momento: ormai è abituato a questa domanda, l'ha sentita tante volte... Le prime volte un velo di tristezza gli calava sul volto; ma adesso non più. Risponde alla domanda con una gran risata, una risata, da uomo cordiale, semplice. E poi, quando ha finito la sua bella risata piena di allegria, gli dice: "Tu non mi conosci! Se mi conoscessi bene adesso - e soprattutto se mi avessi conosciuto allora - non diresti certo che Gesù ha scelto me proprio perché ero il migliore: sono forse uno degli ultimi tra gli uomini! Io ho avuto una grande fortuna nella vita: la fortuna di incontrare Lui! Mi ha cambiato la vita, mi ha fatto una persona diversa...
E vedi, siamo stati in pochi ad avere questa fortuna. In pochi perché a quel tempo vivevamo in un piccolo villaggio: non era certo come qui, a Roma, dove c'è tanta gente, là nei nostri piccoli villaggi sulla riva del lago. Ma non è soltanto questo: siamo stati in pochi ad avere avuto la fortuna di conoscerLo veramente. Perché, - impara, tu che sei giovane - spesso giudichiamo gli uomini soltanto dall'esterno, li giudichiamo secondo schemi e pregiudizi. Anche per Gesù è successo così: qualcuno Lo considerava un maestro, come ce ne sono tanti; qualcuno un profeta, come quelli del passato; soprattutto le persone che si ritenevano perbene, soprattutto i maestri della legge che credevano di possedere tutta la verità su Dio, non Lo potevano vedere, Lui stava spesso con i peccatori, con le donne di strada, con gente ignorante come noi!
Io ho avuto la fortuna non soltanto di incontrarLo sulla mia strada, ma di conoscerLo! E ti posso assicurare: c'era in Lui una tale carica di vita, una tale carica di liberazione, una tale carica di forza, che mi ha veramente cambiato la vita! Sono più di 30 anni che parlo di Lui e non riesco a trovare le immagini... E’ stato per me come un ruscello di acqua zampillante, quando nel deserto hai proprio sete; come una luce che si accende nella notte; come un fuoco, che riscalda e dà calore! Questo ed anche di più è stato per me Gesù! Sono sempre più convinto che in Lui ho fatto esperienza di Dio, della infinita luce che è all’origine della nostra esistenza! In Gesù ho toccato con mano qualche cosa della tenerezza, della vita, della grandezza, dell'infinita grandezza di Dio!
E spesso mi diceva: "Adesso tocca a te, Pietro: devi continuare la mia opera. Io non starò qui tanto... tocca te, a ciascuno di voi!”. Scherzava sul mio mestiere: "Pietro non basta pescare i pesci tu devi diventare pescatore di uomini" "Sì - dicevo - per metterli in padella!" “Gli uomini hanno bisogno di vita, tu puoi comunicare loro luce e liberazione, speranza e vita!" Io gli dicevo: "Proprio io, Gesù? Ma mi conosci? Sai chi è Pietro?!".
E Pietro aggiunge: "Io ero allora - e in parte lo sono ancora - una persona intollerante e orgogliosa, uno che si arrabbiava facilmente! Anch'io volevo i primi posti, cercavo dappertutto il mio tornaconto... E non solo questo: io sono arrivato a tradirLo, a rinnegarLo il Maestro! Una cosa posso dirti: non ho mai sentito da Lui una parola di rimprovero, non mi ha mai puntato il dito contro! E proprio quando mi sentivo disperato, quando pensavo di non poter più tornare da Lui, ho incontrato i Suoi occhi! - Tu non hai visto gli occhi di Gesù! - E mi ha chiesto per tre volte se gli volevo bene... e mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha detto: "Coraggio, Pietro! Proprio a te chiedo di continuare la mia opera: a te, che hai il cuore fragile; a te, che credi di non potercela fare; a te, che mi hai tradito! A te chiedo di essere il testimone della mia luce, della mia bontà, del mio amore, nel mondo". Ho tentato di farlo, tento ancora di farlo, come posso, vedo ancora i suoi occhi pieni di tenerezza, sento ancora la sua mano sulla mia spalla...
E un altro Cristiano gli domanda: " Pietro, dimmi un po': ma secondo te hai ottenuto qualche risultato? Sei riuscito a portare nel mondo un po' della vita che Gesù ti aveva messo nelle mani?". Pietro lo guarda a lungo. "Sapessi - gli dice - quante volte mi son cascate le braccia, quante volte mi sembrava tutto inutile, come quando, là sul lago, lavoravamo tutta la notte senza pescare nulla! Ma poi, vedi, mi ritrovo qui, con gente come voi, posso parlare a voi di Gesù perché avete fame e sete di verità, passione per la vita! E ogni tanto sento che nasce una piccola comunità di Cristiani, anche a Corinto, e ad Efeso e ad Alessandria... Ormai c'è anche tanta gente che va in giro per il mondo a parlare di Lui e allora mi dico: Coraggio, Pietro, forse proprio invano non hai lavorato. E mi ricordo di Lui, che ci parlava di un chicco di grano, di un granello di senape! E ci invitava a non aver paura; ci invitava a tentare di seminare nella vita tutti i semi di amore, di bontà, di liberazione, che possiamo".
Ed un altro gli domanda: "Pietro, ma ti è costato seguire Gesù?". Pietro lo guarda e - stavolta sì - un velo di tristezza cala sul suo volto; e gli risponde: "Mi è costato! Ho dovuto lasciare la mia terra; mi hanno distrutto la barca; mi hanno bruciato la casa; son dovuto andar via! Non ho più una patria, ma sono diventato cittadino del mondo! E, credimi, l'incontro con Gesù mi ha messo dentro una tale carica di vita, che veramente ne è valsa la pena. Mi è costato, perché mi sono scontrato contro la violenza degli uomini; ma - te lo dico con tutta sincerità - se dovessi tornare indietro, vorrei rifare le stesse cose. Troppo grande, troppo straordinario, troppo bello è stato per me l'incontro con Gesù: mi ha veramente arricchito e riempito la vita! E finché avrò un filo di voce, finché avrò un po' di forze, continuerò a testimoniare Lui, a parlare di Lui, a portare nel mondo un po' di vita!...".
Non è soltanto la storia di Pietro: è la storia di ciascuno di noi, di chiunque abbia incontrato il Signore! Anche noi, al di là dei nostri limiti, al di là del nostro peccato, siamo invitati ad essere testimoni - per quello che possiamo - della Luce di Dio! Non sono cose straordinarie: è la vita di tutti i giorni. Si testimonia Dio anche con un sorriso, con una carezza, con un piccolo gesto: piccoli semi che fioriscono e fanno bella la vita!
Il Signore ci aiuti!
Alzati gli occhi verso i suoi discepoli VI Domenica del tempo ordinario - 15 febbraio 1998
Gesù disse: "Beati voi poveri, perché Geremia 17, 5-8 - Luca 6, 17.20-26
vostro è il regno di Dio. Beati voi che
ora avete fame, perché sarete saziati.
Beati voi che ora piangete, perché riderete".
"A cosa collegate Gesù Cristo? Quale parola vi fa venire in mente il nome di Gesù?": quasi un gioco, proposto qualche giorno fa ad un gruppo di giovani... e per l'ennesima volta, le risposte: "croce, rinuncia, sacrificio, sofferenza". E ti cadono le braccia! Anni e anni, che combattiamo in questa parrocchia, perché Gesù - il suo Nome santo e venerabile - non sia associato a qualcosa di negativo, che impedisce ai giovani di credere. Perché non è possibile a dei giovani associare Gesù con il concetto della libertà, della gratuità, della gioia, della pienezza di vita?
E poi ci pensi e ti rendi conto che siamo eredi di una lunga storia: una storia che ancora ci vive intorno e che noi siamo soltanto una piccola goccia nel grande mare del mondo!
Cosa sentono i ragazzi anche oggi alla TV, cosa vedono in giro? Tutte le chiese sono piene di croci, si ripetono le "Viae Crucis". Ascoltano racconti di madonne che piangono (sempre piangono le madonne!), che lacrimano sangue. Leggono sui libri di storia racconti di santi, che facevano grandi penitenze, che si flagellavano, che si mettevano il cilicio... E che devono pensare?!
Ascoltavo l'altra mattina alla radio un grande giornalista che ricordava (e mi sembra che consentisse) un episodio della vita di Paolo VI: qualcuno aveva domandato: "Santo Padre, perché non sorride mai?" Avrebbe risposto: "E secondo Lei, cosa avrei da sorridere!". Ora, vedete, nel Medio Evo, ad un capo così si mandava qualche giullare, a farlo divertire con smorfie e lazzi; oggi gli si potrebbe mandare un medico o, forse, una clinica psichiatrica potrebbe fare al caso suo. L'ultima cosa che può fare un uomo che non trova alcun motivo per sorridere, è diventare maestro di vita!
Qualcuno di voi mi dirà: "Ma, don Checco, lei sta commentando un Vangelo in cui abbiamo letto: "Beati quelli che piangono. Beati quelli che soffrono. Beati quelli che hanno fame". Ho letto questo Vangelo, ma chi parla così forse non lo ha ascoltato bene: "Beati quelli che piangono, perché rideranno". Quindi non si esalta il pianto ma la speranza di ridere! Non la fame, ma la speranza di essere saziati!
Allora, in queste parole Gesù ci chiama a compiere il miracolo: se, come spero, non credete più nella legge del contrappasso - chi tribola di qua, poi godrà dall'altra parte -; se quelle parole appartengono alla nostra vita concreta, allora c'è l'invito di Gesù - a tutti noi - a compiere il miracolo! I veri miracoli della vita: far sorridere qualcuno che piange, dar da mangiare a chi ha fame! Allora si manifesta il regno di Dio! Allora si può dire beato quello che piange, perché ha accanto a sé qualcuno a consolarlo... è Dio stesso che viene, perché possa sorridere. Allora si può dire beato chi ha fame, perché accanto a lui c'è qualcuno che lo sazia!
A questo miracolo ci chiama il Signore. Se crediamo in Gesù, dobbiamo tentare ogni giorno di compiere questo miracolo: provare ad essere testimoni di vita, di gioia, di piacere, di allegria!
Qualcuno ci proponeva, in questa settimana, di togliere tutte le croci dalla nostra chiesa; una catechista diceva: "L'ultima domenica di Quaresima, si balla in chiesa!". Forse è un po' eccessivo, che dite? Ci cacciano, se facciamo così!... Non ci faremo cacciare, non toglieremo tutte le croci: rimarranno. Ma, ricordiamoci tutti: chi ci cresce accanto ha bisogno di sentire che essere cristiani non è sinonimo di sofferenza, di rinuncia, di sacrificio, di negatività, di croce! Che incontrare Gesù è incontrare la libertà, la passione per la vita, il coraggio di asciugare una lacrima, l'invito a fare i miracoli. Che essere testimoni di Gesù significa essere testimoni - per quanto c'è possibile, nelle traversie del mondo - di gioia di vivere, di piacere, di allegria, di vita, di libertà!
Il Signore ci aiuti!
"Amate i vostri nemici" VII Domenica del tempo ordinario - 22 febbraio1992
Luca 6, 27-38
Nel dirvi qualcosa su queste che sono le tra le parole più complesse e ardue del Vangelo, tento una strada forse un po’ strana. Proprio perché strana non vuole essere un commento del Vangelo, ma un raccontino, fatto con un pochino di fantasia. Vediamo se posso essere di aiuto a qualcuno di voi. Se non sono troppo presuntuoso, qualcuno ricorderà come domenica scorsa avevamo immaginato di partecipare a una riunione dei primi cristiani, dove Pietro raccontava le parole del Signore e aiutava i suoi cristiani a capire il Vangelo. Vi inviterei anche stasera a fare un volo di fantasia.
Se volete, venite con me! Attraversiamo il tempo, quasi duemila anni e ci ritroviamo qui vicino, ad Ostia Antica, dove un piccolo gruppo di cristiani, un pugno di povera gente si riunisce, come noi, intorno alla tavola.
Oggi non è più tempo di far festa all'apostolo; si è trovato con loro già una volta e stasera hanno portato le cose più semplici: un po’ di pane, qualche oliva, le cose povere che usavano per la cena al tempo dell'antica Roma. C'è anche Pietro seduto con loro e dopo aver mangiato qualcosa si comincia, come facevano sempre, a parlare di Gesù. I cristiani avevano molte domande da fare all'apostolo, perché tante domande urgono nel cuore quando si incontra uno che è ha conosciuto da vicino Gesù.
Un cristiano comincia a dire: "Pietro, qualche volta ho ascoltato parole sconcertanti come dette da Gesù: "Se uno ti percuote su una guancia, tu porgi anche l'altra; se uno ti strappa il mantello, tu lasciagli anche la tunica. Amate anche i vostri nemici... Pietro, come è possibile amare anche i nemici?! Tu hai avuto dei nemici? Queste parole che senso hanno? ".
Pietro lo guarda e gli dice: "Hai ascoltato - è vero! - proprio parole di Gesù. Sono parole come le amiamo noi nell'oriente, parole forti, parole che rimangono nella mente, parole che servono a scuotere il cuore... ma non dimenticartene mai! Perché queste parole, a me, hanno salvato la vita! Tu mi domandi se ho avuto dei nemici; altro che nemici! A me hanno ammazzato il Maestro, lo hanno inchiodato sulla Croce e non solo hanno ammazzato il Maestro, ma hanno anche bruciato la mia casa, distrutto la mia barca, mi hanno costretto a fuggire dal bel lago della Galilea dove sono nato. Vedi le mie mani? Ho fatto il pescatore fin da quando ero bambino. Avevo costruito con fatica e sudore, una piccola barca. Era piccola, forse anche brutta... ma era la mia barca: me l'hanno bruciata! E c'era lì anche un amico, o almeno uno che io consideravo tale. È stato Lui che m'ha tradito! È stato lui che m'ha denunciato? Sono dovuto fuggire con la mia famiglia, andare a Gerusalemme - e sai? - lì, con gli amici abbiamo qualche volta meditato la vendetta. Tu non puoi saperlo, ma io quando ero giovane, portavo sempre la spada al mio fianco. Una volta l'ho tirata anche fuori, tentavo di difendere il Maestro. Pensavamo alla vendetta, pensavamo a vendicarci soprattutto di quell'amico. Non potevo sopportare quello che mi aveva fatto. Il proposito di vendetta, il rancore nel cuore era forte, poi ho ripensato a certe parole di Gesù e piano piano ho capito che quell'uomo non solo la barca mi aveva bruciato, ma mi stava distruggendo la vita. Perché vedi? Una barca è importante; quando ci ripenso mi vengono le lagrime agli occhi, la barca l'avevo costruita con le mie mani, così pure la mia casa; ma se mi strappavano dal cuore la capacità di voler bene, se mi vendicavo, se rendevo male per male, se mettevo l'odio nella mia vita... che era della mia vita? Ero perduto! Perdevo anche Gesù, la Sua luce, la capacità di amare e gioire: la cosa più preziosa.
Vedi perché dico che quelle parole m'hanno salvato la vita! Perché mi hanno impedito di vendicarmi! Il rancore qualche volta ancora lo porto nel cuore, qualche volta mi sveglio la notte con l'incubo della casa che brucia, della barca distrutta. Qualche volta mi viene davanti il volto di quell’amico, tu mi dici se gli ho perdonato: non riesco a dimenticarlo, vorrei farlo. Il perdono è un'altra cosa. Purtroppo con quell'amico io non ho potuto far pace, non ho potuto far pace! Ogni tanto ci ripenso e adesso - vedi? - sono arrivato a pregare per lui, perché vorrei che anche lui scoprisse quello che io ho nel cuore, che la vita è importante se si vuol bene, se si ama.
Che senso avrebbe se io facessi a lui il male che lui ha fatto a me, soffrirebbe come ho sofferto io... e che ne verrebbe al mondo! La cosa che desidero, perché so che anche Gesù desiderava questo, è che quell'uomo possa convertirsi, possa scoprire, anche lui, la bellezza di voler bene, la bellezza di non tradire un amico, la bellezza di ricostruire la vita perché, quello che conta nella vita è volersi bene. Ma riuscire a far pace succede raramente, purtroppo! A volte non si riesce anche se vorresti far veramente pace con qualcuno, perché per far pace bisogna essere in due.
Qualche volta succede! A noi è successo! Forse capiterà anche a voi di incontrarlo, perché ho saputo che sta per venire a Roma. Adesso si chiama Paolo. Allora si chiamava Saulo. Era uno di quelli che ci perseguitavano, era uno di quelli che ogni tanto veniva nei nostri villaggi per portare via quelli che si chiamavano cristiani. E tanti ne ha fatti mettere in prigione! E noi non potevamo pensare a lui senza un senso di orrore. E quando sono venuti a Gerusalemme a dirci che si era convertito, non ci volevamo credere. Nessuno di noi voleva parlare con lui, perché pensavamo che fosse un traditore. Eppure abbiamo visto il miracolo dell'amore! Forse anche voi avrete modo di incontrarlo, perché sta per venire qui a Roma, invitatelo! Vedrete come è diventato Paolo! Un uomo che ha il cuore travolgente, un uomo che è andato per il mondo e ha convertito tanta gente, lui più di me. Lui si è veramente convertito e con lui ho fatto pace. A lui ho potuto buttare le braccia al collo e insieme con lui ho camminato, lui ha veramente scoperto la vita e la gioia di amare. Anche per lui ho detto una preghiera, come mi aveva ingegnato Gesù. Ho pregato perché il Signore lo perdonasse e Paolo si è convertito. Con lui abbiamo fatto veramente la pace, con lui ci siamo abbracciati, abbiamo camminato insieme. Non si parla più non solo di vendetta, ma nemmeno di rancore. Come si può aver rancore per Paolo! Con Paolo siamo amici e spero che lo diventiate anche voi.
Con quell'amico là, con quello che mi ha tradito... vorrei dimenticarlo, ma non ci riesco. Vorrei che anche lui si convertisse, che anche lui diventasse come Paolo, ma non c'è nessuna speranza! L’unica cosa che mi resta da fare, adesso che sono vecchio, è pregare per lui e tentare di dimenticare. Chissà se anche questo è il perdono! Ma vedete, anch'io sono un povero uomo, non so far altro. Non riesco a dimenticare quell'uomo che mi ha fatto tanto male. Posso solo pregare per lui, ma quando verrà Paolo, vedrete, io lo abbraccerò davanti a tutti, perché con lui ho fatto veramente pace".
Un po' di fantasia anche stasera, speriamo che vi aiuti a rileggere questa pagina di Vangelo.
"Amate i vostri nemici... Siate VII Domenica del tempo ordinario - 19 febbraio 1995
misericordiosi... Non giudicate, Luca 6, 27 - 38
non condannate, perdonate..."
Abbiamo ascoltato - ve ne siete accorti tutti - parole tra le più forti e sconcertanti del Vangelo: nessuno si turbi, nessuno si spaventi! Sono parole, come amano gli Orientali: parole paradossali, parole che vogliono imprimersi nella memoria. Ci vorrebbe tanto tempo per dire soltanto qualche parola di commento; forse non basta una vita per tentare di entrare, almeno un po', in queste parole. Non voglio farlo, stasera, per due motivi: primo, perché forse non conviene fare troppi commenti al Vangelo e non bisogna fare mai prediche troppo lunghe; poi perché siamo a carnevale e conviene dire qualcosa di semplice e allegro. Ho cercato nella mia memoria l’esempio, il fatterello più semplice, più piccolo, che potesse avere un riferimento con questa pagina del Vangelo, lasciando poi a voi di trovare nella vostra esperienza i fatti e le avventure che possano arricchire la lettura di questa pagina del Vangelo.
Un fatto dunque piccolo piccolo, il più semplice che ho trovato: Chiara, è una bimba dolcissima, il Signore le ha fatto dono di un sorriso luminoso e allegro, che dispensa a tutti con grande generosità. Per tante Domeniche, in parrocchia, ci siamo rallegrati in molti, con il suo sorriso. Domenica scorsa no: è venuta in chiesa, attaccata al pantalone della mamma, con il visetto tutto imbronciato e serio. Ho chiesto: "Chiara, che hai?". Mi ha guardato con l'aria scura e non ha risposto. Allora la mamma ha spiegato: "Ha litigato con la mamma, per questo è arrabbiata". Ed io: "Come mai hai litigato con la mamma, Chiara?". Seguitava a guardarmi con la sua faccina sempre più imbronciata e severa. La mamma mi ha detto: "Eh, siamo andati a casa della nonna e quando Chiara va a casa della nonna non se ne vuol mai andare. Ma dovevamo venire in chiesa ed io l'ho portata via." E Chiara continuava a guardarmi con l'aria sempre più scura. Dico: "Chiara, sorridi! Facci vedere il tuo bel sorriso!"
No, in quel momento, eravamo "nemici", sia la mamma, sia io: la mamma non aveva fatto quel che lei voleva - cioè lasciarla a casa della nonna - ed io mi impicciavo (avrà pensato dentro di sé: "Che vuole don Checco? Che s'impiccia dei rapporti tra me e mia mamma?! Io ce l'ho con mia mamma: deve sapere che sono arrabbiata"). Eravamo due nemici! Chi sa quanto ci avrà messo Chiara, a far ritornare il suo bel sorriso sulla faccia! Forse sarà bastata una carezza della mamma... e alla fine della Messa, probabilmente, sarà uscita (io non l'ho più vista) tutta sorridente: era tutto passato!
Incontrerà altri nemici, Chiara, nella sua vita: più seri, come nemici, della mamma ed anche di me. L'ultima cosa che possiamo augurare a Chiara, è di lasciarsi prendere a schiaffi! L'ultima cosa che possiamo augurare ad una ragazza che cresce nel mondo di oggi, è di farsi mettere i piedi sulla testa, senza tenerla alta per difendere i suoi diritti! L'ultima cosa che possiamo augurare a Chiara, è di non esser capace di giudicare e di condannare, con serietà e severità, tutto il male che vede attorno a sé, di combatterlo con tutta la passione della sua vita!
Ma possiamo augurare a Chiara, di non vedere "nemici" tutti coloro che non fanno quello che a lei fa comodo. Altrimenti troverà "nemici" anche sua mamma, i suoi fratelli; e poi, crescendo, suo marito, i suoi figli, la gente che avrà intorno, i colleghi di lavoro... Possiamo augurare a Chiara, di non vedere in nessun uomo un "nemico": potrà trovare della gente da combattere, della gente diversa da lei, ma speriamo che non senta nessuno come nemico!
Quello che possiamo augurare a Chiara, è che conservi sempre la sua capacità di sorridere alla vita: che nessuno le metta nel profondo del cuore il rancore, la rabbia, l'odio, il desiderio di vendetta! Che nessuno le tolga il sorriso dal volto!
Possiamo augurare a Chiara, di fare - almeno un po' - esperienza di Dio: della Sua gratuità, della Sua misericordia! È il segreto per poter sorridere in questo mondo, in cui si incontra, quasi ad ogni passo, il male, la violenza. Un male ed una violenza da combattere; ma senza che ci porti il rancore nel profondo; senza che ci tolga, che tolga a Chiara il sorriso, cosi dolce e luminoso, dal suo volto! Speriamo che - fra cento anni! - la morte la colga ancora col sorriso sulle labbra: con la capacità di sorridere alla vita, con l’amore e la tenerezza nel cuore, senza avere "nemici" intorno a sé!
Il Signore aiuti anche noi!
Gesù, pieno di Spirito Santo, fu I Domenica di QUARESIMA - 1 marzo 1998
condotto dallo Spirito nel deserto dove, Luca 4, 1-13
per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo.
Forse molti di voi lo ricorderanno: vi avevamo chiesto, per questa Quaresima, di portare - chi volesse - il proprio contributo alla riflessione comune, cercando di individuare dei temi, degli spunti, per riflettere un po' sulla nostra vita: su quelli che sono i veri problemi del nostro comportamento, oggi. E, come vi dicevo già domenica scorsa, abbiamo ricevuto un centinaio di risposte: non sono tantissime, su 1500 foglietti distribuiti; ma il risultato è di una valanga notevole di suggestioni, di riflessioni, di domande, di interrogativi, che abbiamo tentato di sintetizzare in alcuni fogli, da cui abbiamo anche preso le parole che abbiamo ascoltato poco fa. E uscendo troverete, sulle sedie accanto alla porta, e potrete prendere liberamente questi fogli, sperando che vi siano di aiuto per porvi delle domande, per riflettere in maniera personale.
I vostri suggerimenti, sono stati raggruppati in quattro temi, come potrete vedere, ed io mi son trovato in difficoltà nell'affrontare il tema stabilito per questa domenica: il tema della responsabilità e del senso del dovere; perché ho trovato una tale massa di indicazioni, che, se devo dire una parola su tutto, finiamo domattina. E voi avete invece interesse a che io faccia il più in fretta possibile. E allora dovrò fare una scelta; ma è necessario che poi, a casa, ciascuno di voi possa trovare lo spunto più aderente alla propria vita.
A me sembra importante proporvi questa riflessione: da dove nasce, in fondo, il senso del dovere? Noi oggi non abbiamo più - la maggior parte di noi, soprattutto i giovani che ci crescono intorno - quel senso del dovere che viene da una imposizione esterna. Il senso del dovere lo sentiamo tutti scaturire dalla responsabilità verso qualcosa che sentiamo nostra, che fa parte dei nostri interessi, che entra direttamente nella nostra esperienza.
Allora, vedete, il mondo in questo senso è cambiato profondamente. Mio nonno, se voi gli dicevate: "Guarda che questa strada è la 'tua' strada", vi avrebbe guardato con gli occhi sbarrati: "Certo che è la strada mia: ne conosco ogni pietra; quando si rovina son pronto a mettere giù un po' di terra per ripararla e tenerla in buon ordine". Se dicevate a mio nonno: "Guarda che la chiesa è la 'tua' chiesa", vi avrebbe guardato con occhi meravigliati: "Come, la mia chiesa? L'ho costruita io con le mie mani; le nostre donne vanno a pulirla ogni settimana". Se gli aveste chiesto: "l'impiegata dell'ufficio postale (il minuscolo ufficio del suo paese) ti ha mai trattato come un numero?"- "Un numero?! La conosco da quando è nata!"
Per noi, oggi, è molto più difficile sentire che le cose che abbiamo intorno sono 'nostre'. Mi si diceva in questi giorni: "A volte non sentiamo come 'nostro' né l'appartamento di sopra, né quello di sotto. Per cui si dà il caso che spesso qualcuno dal piano di sopra (e mi dicevano ieri "Le dica 'ste cose, don Checco", probabilmente pensando che riguardassero qualcun altro), qualcuno di sopra sbatte i tappeti sulla testa di chi sta sotto! Vedo che molti annuiscono; spero che voi non lo facciate però... C'è gente (qualche volta mi è capitato di incontrarne) che se entrate in casa loro, trovate tutto oltremodo lustro; ma poi quando esce per strada, se deve sbarazzarsi di un pezzo di carta, lo butta per terra. Evidentemente la casa la sente come 'sua', ma la strada non la senta come 'sua'.
Un tempo tutti i nostri genitori - almeno dove abitavo io, a Trastevere - sentivano la scuola elementare come 'la loro' scuola: non si sarebbero mai sognati nemmeno lontanamente di difendere il proprio figlio di fronte alla scuola! I maestri, i professori avevano sempre ragione. E non sempre avevano ragione, né genitori né maestri. Oggi invece, mi dicono gli insegnanti, molti genitori non sentono la scuola come 'la loro' scuola: la sentono come la scuola del loro figlio; che è molto diverso. Sempre pronti a difenderlo e a dargli ragione. All'ufficio postale, in molti uffici pubblici e, a volte, anche all'ospedale si viene trattati come numeri...
E se non sentiamo più 'nostra' la strada, se non sentiamo più 'nostra' la scuola, come possiamo sentire 'nostra' la città, 'nostro' lo stato, 'nostro' il mondo?
E cosa succede spesso? Che ci ritiriamo nei nostri gusci, le nostre case, le nostre corporazioni: per gli adulti il nostro gruppo, il nostro "branco" per i ragazzi. Sentono forte il dovere nei confronti del loro gruppo, ma meno sentono il dovere nei confronti della scuola, perché non la sentono a volte come la 'propria' scuola. Guai ad imbrattare i muri della loro cameretta, guai a graffiare il loro "computer", poi, a scuola imbrattano i muri, perché non è la 'loro' scuola...
È possibile sentire un po' di più le realtà che ci stanno intorno come 'nostre'? Dovremmo tutti imparare a sentire che il condominio è il 'nostro' condominio e se viviamo civilmente ci stiamo tutti meglio; che la strada è la 'nostra' strada: se la teniamo pulita, è pulita per tutti, quindi anche per me; che la scuola è la 'nostra' scuola e se funziona bene, funziona bene per tutti, anche per mio figlio; se io continuo a difendere il "particulare" di mio figlio, non funziona né la scuola né mio figlio! E lo stesso vale per la città, lo stesso vale per il mondo.
Avete poi ascoltato un incalzante elenco di "doveri" e vi sarete chiesti: "Ma io, che posso fare?!". Provate a pensare quello che si può fare su questi doveri proposti dal decalogo per l'uomo del terzo millennio; e pensando, riflettendo, vedrete che qualche cosa si trova.
Si parla (per farvi qualche esempio; perché poi bisogna che la smetta, l'ho già fatta lunga...) del dovere di "garantire il lavoro"; e vi dite: "Io come posso garantire il lavoro"? Ma si provvede al lavoro, lo si garantisce, anche parlando, anche sostenendo, per esempio, che se uno ha tre lavori, forse anche due gliene bastano; perché facendone tre, toglie lavoro a qualcun altro. Allora vedete che il "dovere di garantire il lavoro" dipende anche da noi. Occorre che tutti sentiamo questi problemi come "nostri", per rifletterci insieme con gli altri, perché pian piano si fa opinione, pian piano si aiuta il mondo a prendere coscienza dei veri problemi, che ci stanno davanti per il terzo millennio.
Pensare quindi - come suggeriva quello che abbiamo letto poco fa - con una visione "globale", per poi agire nella concreta situazione "locale", fare quello che è nelle nostre possibilità. E tutti possiamo fare qualcosa: una carta per terra, possiamo non buttarla più; possiamo provare a guardarci negli occhi per non vedere più chi ci abita sopra o sotto, come un numero, ma come una persona... Non possiamo fare amicizia con tutti - è chiaro, non è nemmeno pensabile - ma guardare l'altro come un essere umano... fermarci alle strisce pedonali, quando guidiamo e vediamo che qualcuno vuol passare; i gesti di cortesia, di attenzione verso l'altro; una maggiore attenzione, quando si va a scuola, a sentire la scuola come scuola 'di tutti'; e via dicendo... Trovate voi i piccoli gesti quotidiani, che sono importanti.
Un'altra cosa soltanto - mi raccomandavano di dire e io bisogna che ve la dica - è questa: a volte un eccessivo senso di responsabilità fa male. Ed è vero! Io ho visto più gente tribolare per avere troppo senso di responsabilità, che poco. Non possiamo sentirci responsabili di tutto. Oggi la TV ci riversa addosso - e ne parleremo domenica prossima - valanghe di notizie. E se vi sentite responsabili di ogni bambino che piange, di ogni persona che viene uccisa, di ogni persona che tribola; di ogni difficoltà del mondo, non campate più! Se vi sentite responsabili, anche ad Ostia, di tutto quello che vi capita attorno, non campate più! C'è gente che ha troppo sofferto, per troppo senso di responsabilità, perché qualcuno gli ha messo sulle spalle pesi che non poteva sopportare!
Allora, il discorso della responsabilità e del dovere deve essere il più possibile un discorso sereno: ciascuno cerchi di trovare il proprio spazio, in cui può fare qualche cosa, magari piccola, perché il mondo sia più bello. Poi, tentiamo, tutti, di essere attenti ai problemi comuni: non perché io li possa risolvere, ma perché conoscendoli, parlandone, facendo mentalità intorno a me, io possa aiutare il mondo - il mondo che vedrà la luce nel tremila - ad essere migliore di quello di oggi. Ho detto tremila? è un po' lontano!... ma ci saranno altri. Noi facciamo la nostra parte.
Il Signore ci aiuti!
"Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che Quarta Domenica di Quaresima - 26 marzo 1995
è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi Giosuè 5, 9-12 - Luca 15, 1-3;11-32
perché questo tuo fratello era morto ed è tornato
in vita, era perduto ed è stato ritrovato!"
Quante volte nella mia vita, che ormai comincia ad essere lunga, ho incontrato "i figli" di questa parabola! L’ultima volta mi è capitato di fare quest'incontro due o tre giorni fa: una signora, che veniva a parlarmi a lungo del suo "fango" - o presunto tale, perché spesso così capita quando la gente parla dei suoi peccati, o di quelli che pensa siano i propri peccati - ma non era questo che mi ha colpito (l'ho sentito tante volte), quanto le ultime parole che mi ha detto. Prima di andarsene mi ha detto: "Un’ultima parola, padre (come suona male, questo titolo, come suona male stasera, dopo aver ascoltato questa parabola!), un'ultima domanda, padre: ma è vero che Dio punisce? Io ho sempre paura del castigo di Dio: quando faccio qualche cosa di male, ho paura che succeda qualcosa a mia figlia!".
Perché, dopo 2000 anni di Cristianesimo, dopo 2000 anni che leggiamo questa parabola, c'è ancora gente che pensa cosi?! Come i figli di questa parabola! Guardate un momento questi figli: ce n'è uno che se n'è andato di casa ed è finito in mezzo ai maiali, è finito nel fango...Ha rovinato e sciupato la sua vita; ha speso tutte le sue sostanze, quelle "cose" che tanto gli premevano! Perché a questo figlio premono le "cose”: vuole i suoi beni e quando ha perduto tutto si ritrova disperato: ma ancora cerca qualche "cosa": il pane - ha fame! - e vuol tornare a casa. non gli importa di essere "figlio", non gli importa la sua dignità di uomo: gli importa il pane! "Là hanno pane in abbondanza! Io qui muoio di fame...": torna a casa, per trovare il pane! Forse non gli importa più del Padre o del fratello, pensa sia giusto, che lo puniscano, che non lo guardino più... solo un po’ di pane.
E l'altro figlio: anche lui pensa alle "cose". "Questo tuo figlio - non lo chiama più "mio fratello"! - questo tuo figlio che ha sciupato tutte le sue cose e adesso tu gli dai ancora dell'altro! Ammazzi per lui il vitello e a me non hai mai dato nemmeno un capretto!". E vuole la vendetta, vuole la punizione, vuole che questo figlio, che è andato via, sconti il suo sciupare le cose: non si può spendere altra roba per lui, che ha sciupato tutto! Tutti e due presi dalle cose, presi dal rancore. Tutt'e due incapaci di guardarsi negli occhi.
Il padre no, Lui è diverso! Il padre ha assistito impotente alla rovina di un figlio: ha aspettato - inerme - che questo figlio tornasse. Ma quando questo figlio torna, e lui lo vede da lontano, corre e gli butta le braccia al collo! E non gli importa delle cose: "Portate il vestito bello! Portate il vitello grasso! Facciano festa!". E parla di lui: "Questo figlio era morto ed è tornato alla vita: s’era perduto e l'ho ritrovato!”. "Ma, le cose... - dice l'altro figlio - perché?...". "Figlio, tutto quello che è mio è tuo... che importano le cose? A me interessa questo figlio: per questo figlio, io voglio la festa, che torni a vivere e a sperare!".
Ecco il Dio di cui ci ha parlato Gesù! Un Dio che ha passione per noi, per la nostra vita: che vuole per noi la festa e la gioia di vivere! Noi possiamo sciupare la nostra vita: la volta scorsa - qualcuno lo ricorderà perché, lo so, è rimasto impresso a più d'uno di voi - vi leggevo parole severe sul mondo che si sciupa... Dio guarda, come ha guardato questo figlio che è andato lontano: guarda impotente, inerme! Ma Lui ci aspetta! Non per punirci, non per calcare la mano, non per gridare la sua vendetta, non per castigarci: ma perché noi ritorniamo alla vita, perché smettiamo di sciuparla, perché siamo capaci di nuovo di guardarci negli occhi, di vivere nella pace, di ritrovare la festa! Perché il Padre ama gli uomini, ama noi, ama me!
Perché una madre, dopo 2000 anni di Cristianesimo, deve aver paura che questo Dio la punisca nella figlia?! Perché? Perché non credere in un Dio che ama la sua gente, che non può sopportare che sciupi la vita? Sì, deve assistere inerme al nostro sciuparla: non può privarci della nostra libertà, anche di sciupare il mondo! Ma quando facciamo anche solo un gesto di tornare a Lui, ci sono le sue braccia spalancate! E la festa! La festa di Dio, la festa a cui ci invita ogni volta, qui! Come può dire qualcuno di voi: "Io non faccio la Comunione, per punirmi"?! "Punirmi" di che? Cristo s'è fatto pane proprio per la gente col cuore pesante, per chi sa di non essere buono. Perché, quando venite qui con cuore sincero, Lui non può che buttarvi le braccia al collo!
Ecco, qui c’è la festa di Dio per noi! Perché Dio ci ama e ci chiama alla festa! Ci invita ad amare la vita, a farla più bella, a non sciuparla mai, a condividerla! Ci invita alla gratuità e alla tenerezza, a non guardare le cose che abbiamo, con gelosia ed invidia gli uni verso gli altri, a non rinfacciare quello che non abbiamo avuto! Ma a guardarci negli occhi, perché siamo fratelli! Fratelli chiamati alla pace, chiamati alla festa, chiamati alla vita!
Questo è l'unico Dio in cui crede uno, che tenta di andare dietro a Gesù!
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. V Domenica di Quaresima - 2 aprile 1995
..."Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?" Isaia 43, 16-21 - Giovanni 8, 1-11
-"Nessuno, Signore" -"Neanch’io ti condanno;
va' e d'ora in poi non peccare più".
In un tempo in cui il fanatismo religioso sembra diffondersi e produce morte, sia nel lontano Giappone sia - vicino a noi - nel Medio-oriente; in un tempo in cui in tanti stati ed in tante coscienze, forse, anche qui da noi, si vuole ancora la pena di morte; in un tempo in cui tante madonne piangono, in un tempo in cui dobbiamo leggere encicliche severe, è bello ritrovare il Vangelo! È dolce incontrare Gesù! Avrete sentito, in questi giorni, tante parole: permettetemi di non aggiungere le mie.
Vi invito a venire con me, in quella piazza, a guardare negli occhi Gesù. Venite, andiamo! Stiamo un po’ lontani, però, per non confonderci, con questi uomini, che puntano il dito, ma guardate attentamente! Là in mezzo, la donna, a terra, umiliata, offesa; forse si porta sulla coscienza tutto il peso del suo peccato, ha paura per quello che ha fatto, ma soprattutto ha paura per gli sguardi che le pesano addosso: questi uomini che gridano contro di lei, che vogliono la sua morte! E guardate anche questi uomini col dito puntato: i maestri della legge, che pensano sempre di sapere tutto, che sanno sempre dove sta il bene e dove sta il male; gli uomini "giusti", che hanno fatto piedistallo della loro giustizia, per condannare e giudicare: gente che vuole giustizia, gente che pretende che si rimetta ordine con il sangue, e la punizione,. Gente che vuole vedere lapidata questa donna sorpresa nel peccato! Sentite tutto il peso della loro violenza, del loro odio. E non dimenticate: è in nome della legge di Dio, che invocano la vendetta, che chiedono la morte per questa donna!
Non si preoccupano del loro peccato - che pure hanno! -; si preoccupano sempre del peccato degli altri, del peccato di lei. Ah! se nel mondo, non solo di allora ma anche di oggi, tutti, dal primo all’ultimo, ci domandassimo qualche volta: "Ma fosse un po' anche colpa nostra, fosse un po' anche colpa mia?!". No: i "giusti" di tutti i tempi, i farisei e gli scribi, sanno solo puntare il dito, sanno solo condannare: hanno bisogno di alzare la voce, hanno bisogno di violenza e severità.
Gesù, no! Guardate i suoi occhi, perché abbiamo - tutti - un grande bisogno di incontrarci con Lui! Si china a scrivere per terra... e quando non c'è più nessuno, si avvicina: "Donna, nessuno ti ha condannata? Neanch’io. alzati e va' e non peccare più!". Forse per la prima volta questa donna incontra qualcuno che non pensa a quello che lei ha fatto, che non si domanda se è colpevole o no: qualcuno che la guarda negli occhi con tenerezza e le dice: "Alzati e va’! "; che rispetta nel profondo la sua dignità di persona, che la invita ad alzare la testa, ad essere libera, a camminare ancora! Forse per la prima volta questa donna si sente amata e rispettata e fa esperienza della tenerezza di Dio!
L’antica tradizione ha visto in questa donna colei che spezza il vaso di profumo e lo versa sui piedi di Gesù: l’unica che sa amare fino in fondo! Forse perché lei ha fatto esperienza della tenerezza di Gesù, forse perché lei si è sentita rispettata ed amata, può dare tutto senza calcolare!
Tutti noi, fratelli, nel cammino della nostra Quaresima, qualunque sia il peso della nostra colpa, abbiamo il bisogno di fare esperienza della tenerezza di Dio, di incontrare Gesù, per ritrovare in Lui il coraggio della libertà, la voglia di alzarci e guardare lontano! Allora anche noi saremo capaci di donare senza calcolare: forse non un vaso colmo di profumo, ma solo "due spiccioli", come la donna che incontreremo domenica prossima. Si, perché domenica prossima sarà già la domenica delle Palme; e ci introdurrà nella Pasqua, una vedova che getta nel tesoro del tempio due spiccioli! È tutto quello che ha: ma lo da senza calcolare. Anche noi, fratelli, possiamo donare qualcosa nel tesoro della vita, se facciamo, oggi, esperienza di Gesù, del Suo perdono, della Sua tenerezza!
Lo Spirito ci aiuti!
"È la Pasqua del Signore! Questo giorno CENA DEL SIGNORE - 13 aprile 1995
sarà per voi un memoriale, lo celebrerete Esodo 12, 1-8 . 11-14 Giovanni 13, 1-15
come festa del Signore, come un rito perenne".
Prima delle festa di Pasqua Gesù, dopo aver
amato i suoi... li amò sino alla fine..."Anche voi
dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato l’esempio..."
Guardate: una tavola apparecchiata; sulla tavola un po' di pane un po' di vino, un gruppo di gente, un gruppo di povera gente come siamo noi, e la memoria di Gesù: la Chiesa è tutta quì! Non abbiamo bisogno di altro: qui c'è il cuore della nostra fede. In questo pasto che Gesù ci ha lasciato, noi facciamo esperienza di Dio, della Sua presenza in mezzo a noi, della Sua passione per la nostra vita, della Sua gratuità, del Suo impegno con noi.
Qui, nel pane spezzato, noi facciamo memoria viva di Gesù: Lui, il Figlio, venuto a condividere la nostra ventura di uomini, a camminare con noi per le strade di questo mondo, per portarci la Sua luce, per guidarci alla ricerca dei valori essenziali della vita: il dono di sé, la gratuità, la pienezza dell’amore! Qui, nel pane che spezziamo insieme, nel nostro ritrovarci come fratelli intorno ad una tavola, facciamo esperienza di Dio. E non abbiamo bisogno di altro!
Poi, nella vita di ogni giorno, tenteremo di metterci l'uno al servizio dell'altro, di seguire l'invito di Gesù ad amarci come Lui ci ha amato. Ma non lo dimenticate: non è questa la cosa più importante per un credente. Un credente vive della certezza di Dio e del Suo amore, vive della Sua presenza! E non in un luogo "sacro", separato dalla vita: immaginate che io non abbia addosso questi paramenti; immaginate di essere in una delle vostre case, seduti alla tavola, semplicemente, come ogni giorno. Nel quotidiano della nostra esperienza: là dove nasciamo e moriamo, dove soffriamo e gioiamo; là dove ci impegniamo per costruire il mondo, dove facciamo esperienza di tenerezza e di amore, ma qualche volta anche di incomprensione e di fallimento!
Nel cuore della nostra vita, la certezza di Dio, della Sua gratuità, del Suo amore, della Sua passione per la nostra esistenza. Non siamo soli nella nostra ventura di essere uomini: c'è Dio con noi! Dio che si è fatto Pane! Dio che ci ha donato Se stesso! Questo è il cuore della vita della Chiesa. questa è la nostra Fede. E non abbiamo bisogno di altro: non abbiamo bisogno di miti, non abbiamo bisogno di personaggi grandi, che dicono parole forti o severe, non abbiamo bisogno di segni, di prodigi, di fatti straordinari. Perché qui, nel Pane che spezziamo, facciamo esperienza di Dio, viviamo la certezza che Dio vuole condividere la nostra vita di ogni giorno, la nostra ventura di uomini!
E tenteremo, poi, di vivere come Lui ci ha insegnato: tenteremo - come Lui ci ha detto stasera - di lavarci i piedi... e spesso non ci riusciremo! Ma ritorneremo qui e troveremo il perdono di Dio, la Sua tenerezza, la Sua festa. E l'invito, per tutti, a mangiare. E l'invito a camminare ancora, l'invito a credere e a sperare! Questo è essere credenti, solo questo! Il resto è paganesimo, è bisogno di vedere, di toccare, bisogno di segni, di parole grandi, di miti.
Gesù ha preso soltanto un po' di pane, l'ha spezzato e ha detto: "Prendete e mangiate! " Ora possiamo portare, nella vostra vita di ogni giorno, la certezza dell'amore di Dio, della Sua tenerezza, della Sua gratuità, della Sua passione! È quello che tentiamo di fare anche noi, stasera, fratelli, celebrando questo dono che Gesù ci ha lasciato, questo "segno" che ci ha messo tra le mani! Con tutta la nostra fede. Se abbiamo fede, anche solo come un granellino di senape, allora porteremo nella nostra vita di ogni giorno la certezza di Dio e del Suo amore. E questo basterà.
Dio c'è! Dio ci ama! Questo basta al credente, e non cerca altro. E poi tenta di vivere la gratuità; e se non ci riesce, sa che Dio è più grande del suo cuore! Sa che in Lui ritrova sempre la festa e il coraggio di credere e di camminare ancora! Il perdono, la festa, la gioia di Dio, la gratuità, la tenerezza, la presenza viva di Gesù! Tutto questo celebriamo insieme, stasera.
Allora Gesù gridò a gran voce: "Padre, Venerdì Santo - 13 aprile 2001
nelle tue mani affido la mia vita". Passione del Signore secondo Luca
Dopo queste parole morì.
Signore Gesù, eccoci ancora una volta a guardarTi lassù appeso sulla croce, sospeso tra cielo e terra, le braccia spalancate. Noi in questi lunghi anni abbiamo tentato di esorcizzare la Tua morte: abbiamo detto che faceva tutto parte di un progetto. Siamo arrivati a dire che Dio voleva il Tuo sangue per liberarci dai nostri peccati; abbiamo fatto del Padre - di cui ci hai parlato con parole dolcissime - il Moloch che esigeva il sacrificio e il sangue.
Siamo arrivati ad accusare tutto un popolo della Tua morte, per non voler pensare alla violenza di questo mondo, a tutto l'odio, al male che c'è sulla nostra terra; quel male che qualche volta ritroviamo anche dentro di noi. Non volevamo pensare; ci faceva comodo che fosse colpa soltanto di qualcuno; ci faceva comodo pensare che facesse parte del progetto di Dio!
Tu sei rimasto vittima della violenza: quella violenza che purtroppo non è finita con Te: ancora continua... Anche oggi ci sono bambini violentati, donne offese. C'è chi muore per la malattia, per la violenza, per la guerra. C'è chi è senza casa, chi è senza lavoro, chi ha fame...
È la Passione che continua; è la violenza del mondo. Non è Dio che vuole questo. Tu sei venuto per testimoniare in mezzo a noi la fedeltà e l'amore: per aiutarci a non scrollare le spalle, a prenderci - almeno in parte - la nostra responsabilità, perché non ci sia più violenza e dolore e sofferenza sulla nostra terra. Dipende da noi, dal nostro coraggio.
Ti preghiamo: donaci, almeno un po', il coraggio del Tuo cuore, la Tua voglia di amore, la costanza di andare fino in fondo, di occuparci degli altri, di tentare di liberare questa nostra terra dal male che la offende! Il Tuo Padre ci ha creati per la vita, per il bene, per l'Amore: non possiamo sciupare la Sua Creazione!
Ti preghiamo, Signore Gesù! cammina ancora con noi, metti nel nostro cuore la Tua fedeltà, il Tuo coraggio, la Tua speranza!
"Perché cercate tra i morti colui che RESURREZIONE DEL SIGNORE - 12 aprile 1998
è vivo? Non è qui, è risuscitato". Luca 24, 1-12
"Quanto dipende da noi la bellezza del mondo?": questa frase ci accompagna dall'inizio della Quaresima. Non so se è capitato anche a voi di ascoltare in questi giorni l'antica obiezione: "Ma questa non è una domanda cristiana. Questa domanda se la può fare ogni uomo che vive sulla terra; sono soprattutto i pagani che pensano alla bellezza del mondo. Noi dobbiamo pensare a servire Dio, a salvarci l'anima. Anzi, nella tradizione della Chiesa c'è spesso un po' di disprezzo per questo mondo e la sua bellezza. Noi guardiamo ad un altro mondo, ad una bellezza eterna, al di là di quella fugace dei nostri giorni".
A molti - spero non a voi - queste sembrano parole sensate, eppure, se ci pensate, noi stasera siamo qui tentando di celebrare Dio che è venuto a condividere la nostra esperienza, la nostra vita. È venuto a cantare con noi la bellezza del mondo, a tentare di costruire con noi un mondo più bello! Non è Lui che ha cantato la bellezza dei gigli del campo, degli uccelli del cielo? Non è Lui che ha detto: "Beati gli operatori di pace, i miti, i misericordiosi, i pacifici"?
Non è stato in mezzo a noi, testimone di valori essenziali, non è stato fedele fino in fondo a quello che aveva nel cuore: alla sua passione per la pace, per la giustizia, per la gratuità, per l'amore? La violenza dell'uomo Lo ha inchiodato su una croce. Ma il Padre ha dato ragione a Lui! L'ultima parola non è il male; l'ultima parola non è la morte; l'ultima parola non è la violenza. L'ultima parola è la vita, è il bene, è la bellezza!
Non siamo qui, stasera, a celebrare che la vita è più forte della morte, che l'amore è più forte dell'odio, che il perdono è più grande della vendetta, che la tenerezza è più forte della violenza, che la gratuità è più bella dell'egoismo? Non siamo qui a celebrare la vittoria della vita, della bellezza, su tutto quello che sa di morte, su tutto quello che sciupa la vita del mondo?
E cosa c'è di più bello, mentre celebriamo il cuore della nostra fede, di sentirci accanto a tutti gli uomini di buona volontà, senza esclusione alcuna? Dove c'è un uomo che fa un passo avanti sulla via della giustizia, lì è Pasqua! Dove c'è un uomo che crede nella vita, dove c'è un uomo che vive la gratuità e l'amore - a qualunque religione, a qualunque credo appartenga - lì è Pasqua! Dove c'è un uomo che sa asciugare una lacrima e donare un sorriso, lì è Pasqua!
La domanda sulla bellezza del mondo è la nostra domanda. E che sia la domanda di ogni uomo che vive sulla terra, questo non può che rallegrarci. Ed è bello, stanotte, sentirci fratelli di ogni uomo che vive, di ogni uomo che con noi cammina nella speranza.
Tra poco accenderemo una candela. A noi è affidata una luce; a volte la luce è flebile e tremolante; a volte anche noi, come i discepoli d'un tempo, facciamo fatica a credere nella resurrezione, nella giustizia e nel bene. Ma quella luce è affidata a noi, alla nostra fede, al nostro coraggio di uomini. Ed è bello sapere che tanta gente come noi, in ogni angolo della terra, accende stasera una candela e tenta di credere nella vita: come Gesù ci ha insegnato!
Il Signore ci aiuti!
Beati quelli che, pur non II Domenica di Pasqua - 23 aprile 1989
avendo visto, crederanno!" Giovanni 20, 19 - 31
La cosa peggiore che potrebbe capitare qua è che qualcuno o forse molti di voi se ne escano da quella porta stasera con un altro peso sulla coscienza: quello di non essere gioiosi. Io ve l'ho detto tante volte e ve lo ripeto a mio danno (qualche volta bisogna anche parlare contro se stessi) che un bravo predicatore non dovrebbe fare la morale, ma annunciare il Signore.
Ma posso garantirvi - voi non siete mai stati da questa parte, se non vi è capitato qualche volta con i vostri figli o con i vostri nipoti di fare anche voi la predica ma posso assicurarvi che è difficile predicare, molto difficile. E la cosa più difficile è questa: non far la morale, non dire alla gente: tu devi comportarti così o cosà, tu devi essere questo o quest'altro. Tentare di dare alla gente l'annunzio del Signore Risorto.
Perché ho fatto questa premessa? Perché, vedete, io stasera, seguendo il consiglio dei miei maestri, delle persone sagge che ho conosciuto, che dicevano che una predica è fatta bene quando il predicatore ha una cosa da dire, la dice e la pianta lì. (Il che significa che le prediche più belle son quelle più corte, ma non sempre è facile anche questo: farla corta.) Io aveva pensato stasera di dirvi una cosa soltanto: che il cuore del Cristianesimo non è la sofferenza ma la gioia. La fatica che fanno gli apostoli e Tommaso a credere nella Risurrezione è un po' la nostra fatica. Tommaso sa bene il dolore di Gesù e lo elenca tutto, avete sentito, agli altri apostoli: "...se non vedo le ferite della sua mano e non vedo le ferite dei suoi piedi, se non metto la mano nel costato..." Lui le ha contate tutte le ferite di Gesù. Sapeva bene la sofferenza del Signore, ma non vuole credere alla Sua gioia, non lascia esplodere dentro di sé la gioia della Resurrezione, la gioia della vita. Volevo dire a voi stasera: guardate, noi siamo abituati a fare tante Via Crucis, a vedere tante immagini del Signore crocifisso, intorno alla chiesa, vedete, ci sono tanti quadretti della Via Crucis, tante immagini della sofferenza di Gesù, tutti voi avrete sentito tante prediche sul dolore di Gesù, ma avete sentito poche prediche sulla gioia del Signore, sul grido della Sua Risurrezione: perché è difficile predicarlo.
Ma quando pensavo di dirvi questa cosa mi è venuto un dubbio: e se poi qualcuno di voi, anche io, forse, ce ne usciamo dalla chiesa con un peso in più: il peso di non essere gioiosi, con un altro rimorso: adesso don Checco ha detto che non solo bisogna campà, ma bisogna pure essere contenti, bisogna pure essere gioiosi e qualcuno di voi forse molti di voi dicono: io gioioso non sono. Qualcuno dice: come posso essere gioioso con questo guaio che mi è capitato... come posso avere la gioia dentro di me, come posso avere la gioia nel profondo del mio cuore. Qualcuno dirà ci sono tante cose che si sentono di questo mondo: come possiamo avere la gioia. E don Checco dice stasera che se uno non è gioioso non è cristiano.
Ecco allora io vorrei fermarmi qui per dirvi: chiediamo insieme al Signore la Sua gioia. Anche noi siamo come Tommaso, facciamo fatica a credere che il Signore è veramente Risorto. Chiediamo allora a Gesù, che per questo ha camminato, ha sofferto con noi, di darci la speranza della vita che non muore, di darci la certezza che alla fine quello che trionfa è la vita, il bene, l'amore. Chiediamo al Signore che un po' della gioia della Resurrezione si ripercuota nel nostro cuore. Chiediamo a Gesù questa grande grazia, che io non so comunicarvi, di poter credere, di poter sperimentare che il cuore del nostro essere cristiani non è la sofferenza, ma la gioia, la vita di Gesù, la vita di Dio.
"... Gesù si manifestò di nuovo ai III Domenica di Pasqua - 30 aprile 1995
discepoli sul mare di Tiberiade. Giovanni 21, 1-19
"Gettate la rete... e troverete."
"Venite a mangiare". "Simone di Giovanni,
mi vuoi bene?" "Signore, tu sai tutto, tu sai
che ti voglio bene!".
Abbiamo ascoltato una delle pagine più straordinarie del Vangelo di Giovanni, con dentro tanti simboli: perché - spero - tutti voi avrete notato che qui si tratta di simboli, non di fatti prodigiosi di tanto tempo fa, ma di qualche cosa che esprime nel profondo la nostra vita cristiana, il nostro quotidiano, il rapporto con il Signore, il nostro ritrovarci qui insieme. Sarebbe lungo soffermarsi simbolo per simbolo: vorrei - se mi riesce - con un po' di fantasia, farvi notare l’essenziale di questa pagina.
Allora seguitemi! Vi invito a fare un volo con la fantasia, a tornare indietro tanto, tanto tempo fa, nella comunità - probabilmente - di Efeso, dove è nato il Vangelo di Giovanni. Un gruppo di Cristiani, certamente non tanti come noi qui, un piccolo gruppo di gente che si ritrova intorno a Giovanni come facevano ogni domenica. Ma quella era una domenica speciale, era una festa grande: si voleva celebrare la conclusione della scrittura di un Vangelo! Era costata tanta fatica mettere insieme tutti i ricordi: tante discussioni, tante ricerche... ma finalmente ce l'avevano fatta. Guidata dall'apostolo Giovanni, tanta gente di buona volontà aveva studiato, cercato, discusso, messo insieme tutti i ricordi di Gesù: volevano scrivere qualche cosa di nuovo rispetto agli altri Vangeli, che già c'erano prima: il Vangelo di Marco, di Matteo, di Luca.
Un Vangelo un po' diverso, quello di, Giovanni, fatto di approfondimenti, di riflessioni: era costato tanta fatica, a questa gente! L'apostolo e gli altri erano contenti: finalmente si era scritta la conclusione, si era messo "punto". Il Vangelo era finito: bisognava ritrovarsi per far festa! E si son ritrovati una sera, come noi, intorno all'altare, hanno riletto qualche pagina del Vangelo appena concluso, quelle che sembravano le cose più importanti e la conclusione. Forse qualcuno di voi lo ricorda: noi la conclusione del Vangelo l'abbiamo letta domenica scorsa.
Ma ecco - mentre tutti erano contenti perché il lavoro era finito - uno alza la mano: "Giovanni, io ho un altro foglio". "Oh là! Sono mesi che discutiamo, sono anni che raccogliamo il materiale per questo Vangelo! Adesso, proprio quando abbiamo finito, abbiamo messo "punto", tu tiri fuori un'altra cosa!" - Immaginate quanta gente avrà brontolato, in quell’assemblea, soprattutto quelli che avevano lavorato di più! - Ma Giovanni, che era un uomo saggio, vecchio (dice la storia - o forse la leggenda - che quando Giovanni morì aveva più di 100 anni), dice: "Lasciamolo parlare, sentiamo che cosa ha da lire. Che abbia, lui, qualche cosa di nuovo da portarci, da aggiungere al Vangelo?". Ma ci sono molti che non vogliono accettare: "Abbiamo già messo "punto", abbiamo scritto anche la conclusione...".
Giovanni si guarda intorno con aria seria,: "Pazienza! Ascoltiamo prima cos'ha da lire. E non dimenticate mai che a Gesù hanno rimproverato, tante volte, di apportare qualche cosa di nuovo alla antica Scrittura: quante volte abbiamo sentito dire a Lui e quante volte hanno detto anche a noi: "Cosa portate di nuovo?! Abbiamo già la Legge e i Profeti, perché volete aggiungere qualche cosa?". E Giovanni continua: "Voglia il Signore che ci sia sempre qualcuno che abbia qualche cosa da aggiungere al Vangelo, che non ci si fermi mai dal cercare, dal trovare parole nuove, dall'esprimere in modo nuovo la Luce di Dio!". E conclude rivolto a chi aveva alzato la mano: "Dicci che cosa vuoi aggiungere al Vangelo!". E quel signore comincia a dire quello che abbiamo letto stasera! E parla dei discepoli che lavorano a lungo, "nella notte", senza pescare nulla. E della difficoltà dei discepoli a riconoscere Gesù e di Pietro che si ritrova nudo davanti al Signore. E di Gesù, che li invita a mangiare e prende il pane e lo spezza per loro. E di Pietro, che per tre volte ripete a Gesù che gli vuol bene!
Giovanni lo guarda a lungo con attenzione, poi si rivolge a tutti: "Vedete, molti di voi volevano non farlo parlare; ma lui ha detto cose più importanti di tante che abbiamo scritto nel nostro Vangelo. Quello che lui ha detto è straordinario! Chi di voi, non ha avuto qualche volta la sensazione di lavorare invano tutta la notte, di aver faticato a lungo senza concludere niente?! Chi di voi non ha avuto difficoltà a riconoscere Gesù nella propria vita?! E potevamo lasciare, nel nostro Vangelo, soltanto il triplice rinnegamento di Pietro?! Avete sentito come Pietro è morto a Roma, inchiodato anche lui su una croce! Era giusto, è giusto aggiungere al Vangelo il suo triplice "ti amo": perché Pietro l'ha amato sul serio Gesù! Che problema c'è? Invece di 20 capitoli, il nostro Vangelo ne avrà 21".
Verificate a casa: alla fine del capitolo 20, il Vangelo di Giovanni si conclude; ma poi si riapre, perché qualcuno ha pensato bene di aggiungere il ventunesimo capitolo, quello che abbiamo letto stasera, forse il capitolo più straordinario del Vangelo di Giovanni. Perché non si parla di gente di tanto tempo fa: si parla di noi! Si parla della nostra fatica "nella notte", delle nostre delusioni, si parla dell’affannarsi e del correre di tanta gente, ma quando guardiamo i risultati ci accorgiamo che poco abbiamo “pescato” dei valori essenziali della vita: la giustizia, la tenerezza, la pace. Si parla delle nostre incomprensioni, della nostra difficoltà a riconoscere Gesù, dell'esperienza - che facciamo qui - di Lui che si fa Pane, che è in mezzo a noi come Colui che serve, che ci invita a mangiare! Parla del Suo perdono, dell’invito a seguirLo, della nostra fede! Ne parla, come amavano gli antichi, attraverso i simboli, le immagini: immagini preziose! conservatele nel cuore! C'è tutta la vita cristiana, in questa pagina!
È il ventunesimo capitolo del Vangelo di Giovanni: quel capitolo che qualcuno ha aggiunto. E speriamo che qualcuno di voi sappia aggiungere, ogni giorno, qualche parola al Vangelo!
Perché, altrimenti, il Vangelo resta lettera morta...
...apparve una moltitudine immensa, IV Domenica di Pasqua - 7 maggio 1995
coloro che son passati attraverso la Apocalisse 7, 9.14-17
grande tribolazione. E Dio tergerà Giovanni 10, 27-30
ogni lacrima dai loro occhi.
"Le mie pecore ascoltano la mia voce
e mi seguono. Nessuno le rapirà dalla
mia mano...dalla mano del Padre mio".
È un dramma non soltanto per noi, ma per i credenti di tutti i tempi; lo era anche per i discepoli: il dramma, cioè, di guardarsi intorno e di fare esperienza della "grande tribolazione"! La tribolazione di ogni giorno: i giusti che pagano, che a volte sono uccisi; la tribolazione dei "guai", delle disgrazie che qualche volta attraversano la vita. E i credenti si domandano: "Ma dov'è Dio? Perché non ci protegge, non ci custodisce, non ci assiste? Perché Dio è lontano da queste nostre esperienze?". E i Cristiani hanno sempre trovato - non lo dimenticate, perché forse vi aiuta a credere - sul loro cammino chi diceva: "Ecco, se tribolate, se patite, è per colpa vostra, per colpa dei tanti peccati che ci sono nel mondo". I Cristiani hanno sempre trovato sul loro cammino qualche persona che diceva: "Verranno ancora castighi peggiori, verranno ancora guai peggiori!". E interpretavano in questo modo i "segni": una madonna che piange, un crocifisso che sanguina... Queste cose ci sono state sempre, nel corso della storia dei credenti!
E c'erano anche per i discepoli. Per loro il problema era più grave, perché subivano la persecuzione: li mettevano in carcere; qualcuno dei loro amici - qualche volta i figli, qualche volta i genitori - erano uccisi! Di fronte alla sventura anche loro si chiedevano: "Dov'è Dio?" e cercavano di ricordare le parole del Signore: e non trovavano mai una parola di minaccia, una parola in cui si accennasse al "castigo" di Dio! Trovavano solo parole contrarie, come quelle che abbiamo ascoltato insieme: "Nessuno potrà strapparvi dalla mano di Dio! Voi siete pecore del Suo pascolo, siete i Suoi figli; e un giorno Dio asciugherà le lacrime dai vostri occhi! " E si dicevano, spesso con fatica: "Adesso è il compito nostro combattere il male, con tutta la passione del nostro cuore".
Questo vale anche per noi, fratelli. Quando vi guardate intorno, anche voi, con occhi smarriti, quando sentite tutto il peso del dolore del mondo, quando non avete parole che vi possano consolare - specialmente quando il dolore vi tocca da vicino - non pensate mai di aver perso la fede! Conservate dentro di voi il grido, la non‑rassegnazione, la ribellione al dolore, al tormento del mondo! Mi capita, qualche volta di sentire - mi capitava anche in questi giorni, forse l'avrà sentito anche qualcuno di voi - qualche persona autorevole: nella fattispecie era un vescovo, che parlava alla radio, al mattino, del dolore del mondo; mi sembrava quasi di vederlo sorridere... Sentivo dentro di me come un grido! Perché io ho visto tante volte, attorno a me, gente che piangeva, gente con il cuore straziato, gente che faceva fatica a credere che Dio custodisse ancora la loro vita! Il dolore del mondo è un dramma, per chi crede!
E allora cercate anche voi di tenere nel cuore, se vi riesce, queste parole del Vangelo, la luminosa visione dell'Apocalisse; ascoltate la parola che Gesù cercava di dire alla Sua gente: la diceva Lui, che è stato crocifisso! Lui, che noi confessiamo morto ed anche risorto: "Non abbiate paura!".
Il nostro compito è di continuare a cercare la vita, la fedeltà alla giustizia, di combattere il male e il dolore, di costruire la pace e siamo nelle mani di Dio! Nessuno potrà strapparci dalle Sue mani - cioè dalla Vita, dalla pienezza della vita - se non in questo tempo, al di là della morte! Perché verrà un tempo in cui Dio asciugherà le lacrime dai nostri occhi: in cui non ci sarà più affanno, ne arsura, né dolore, né tormento! Ma nel cammino della vita il dolore, a volte, ci tocca da vicino. Ed anche a noi toccherà fare l'esperienza di Dio che non parla, che sembra lontano: ci sembrerà di non vederLo, ci sembrerà di non capire!.. Non abbiate paura! siete dalla parte di tutti i credenti della storia, di quanti hanno affidato la loro speranza - quasi con disperazione - a queste parole del Signore! Alla fedeltà di Dio al di là di tutto, al di là di ogni dolore! Fedeltà al di là del tempo!
La certezza che Dio ci vuol bene, perché Cristo ha donato la Sua vita per noi, ma non è venuto come un mago, a togliere il dolore dalla nostra esperienza! Purtroppo rimane; e nel dolore, a volte, rimane lo smarrimento del cuore e la nostra solitudine! E facciamo fatica a credere che siamo ancora nelle mani di Dio e che nessuno potrà strapparci da queste mani! La fede a volte è una fede dolorosa, è una fede faticosa. È il dire a Dio: "Sì! anche se non vedo, anche se non capisco, so che Tu ci sei e che sei un Dio di vita e non di morte". Ma - molti di voi ne hanno fatto l'esperienza - non è facile. Ecco perché i Cristiani si ripetevano queste parole di Gesù! Ecco perché ci ritroviamo in chiesa! Ecco perché guardiamo con occhi smarriti il Signore crocifisso!
E poi, non lo dimenticate: accanto alla Croce, c'è quel Cero: è il segno della Resurrezione! Ma, vedete, è una piccola fiamma, oggi quasi soffocata dalla luce del sole: è la fiamma della nostra fede, della fiducia nella presenza di Dio nella nostra vita! A volte tremula, come una fiammella di candela... Eppure, è li il segreto della nostra fede! È lì la certezza che Dio è dalla nostra parte, dalla parte della vita! E che un giorno parteciperemo anche noi, con questa "moltitudine immensa", a quel grande momento in cui "ogni lacrima sarà asciugata" e noi potremo sentirci, tutti figli di un unico Padre!
Il Signore ci aiuti a credere!
"... lo Spirito Santo che il Padre manderà VI Domenica di Pasqua - 24 maggio 1992
nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa Atti 15, 22-29 - Giovanni 14, 23-29
e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto".
Mi capita sempre più spesso di incontrare qualche cristiano - forse ce n'è anche in mezzo a voi - a cui è stato consigliato di leggere la Bibbia e poi quando la legge, rimane scandalizzato e dopo un po' la mette via, dicendo: "Ma come è possibile tutto questo sangue, tutta questa violenza!? Come è possibile che Dio ordini tutte queste stragi!?
Vedete, i preti hanno scoperto la Bibbia (molti di loro non l'hanno letta, non vi meravigliate di questo) e consigliano al povero popolo cristiano di leggerla. E a molti capita di scandalizzarsi. Perché questo scandalo? Vedete chi apre la Bibbia desidera trovare la Parola di Dio, ma spesso ingenuamente pensa di trovarsi di fronte ad una parola "magica", discesa direttamente dal cielo, gli hanno detto che la Bibbia è stata scritta "sotto l'ispirazione dello Spirito Santo" e allora chi legge pensa di trovare una parola perfetta, senza errori, scritta direttamente da Dio. Ma non abbiamo un Dio così!
Dio non ha mai parlato direttamente agli uomini, la sua Parola è arrivata a noi sempre dentro la nostra ventura di essere uomini, attraverso la ricerca, la fatica di povera gente come noi. Dio ha sempre accettato di fare strada con noi, di mischiarsi con le nostre esperienze di ricerca della luce e della vita. La Bibbia può essere letta soltanto - ed è allora un libro prezioso - come il lento, faticoso cammino dell'uomo che cerca di uscire dalla violenza, da un mondo crudele, per andare verso al luce, verso la liberazione, verso l'amore. Il fatto è che molti di noi non si rassegnano ad un Dio che rinuncia ad intervenire direttamente, in maniera "magica" nella nostra storia, capita anche a qualcuno di voi di andare in giro cercando "messaggi" di qualche santo, della Madonna o di Dio stesso... poi magari, quando leggete, vi accorgete che sono povere parole! Certo, perché Dio non ha mai parlato direttamente agli uomini: ha sempre parlato attraverso gente come noi. Attraverso le povere parole di gente come noi il soffio di Dio ha attraversato la nostra storia, la sua luce ha rischiarato il cammino degli uomini. E non ci meraviglieremo certo se gente come noi ha fatto dire qualche sciocchezza allo Spirito Santo, nella prima lettura avete ascoltato come gli apostoli dicono nella loro lettera, insieme a cose di fondamentale importanza, che hanno deciso - lo Spirito Santo e loro - che non si possono mangiare "animali soffocati", nessuno di voi è andato a comprare carne da un macellaio speciale, nessuno di voi crede che nel sangue ci sia la vita e non si possa mangiare e nessuno vi dice più che così ha deciso lo Spirito Santo...
Vedete, lo Spirito Santo soffia come un vento leggero. Nessuno può parlarci "in nome" di Dio. Nemmeno il prete dall'altare: molti di voi mi ascoltano da vent'anni e hanno purtroppo dovuto ascoltare parecchie sciocchezze, nessuno può pensare che io possa offrirvi la "Verità" di Dio. Eppure se mi ascoltate attentamente potete trovare anche nelle mie povere parole un barlume di luce, un riflesso, magari pallido, della "Verità" di Dio. E questo riflesso lo potete trovare in ogni angolo della terra, perché dovunque soffia lo Spirito. Mentre passeggiavo in pineta, pensando a qualcosa da dirvi, mi sono rivenute in mente tante persone che, nella mia vita ormai lunga, sono state per me testimoni di Dio. E mi passavano davanti tante facce: facce di ragazzi, a volte addirittura di bambini, facce di persone anziane, di uomini, di donne - molti di voi - che sono stati per me testimoni di Dio, che mi hanno portato un riflesso della sua luce, il soffio dello Spirito. E non soltanto credenti, anche gente che in Chiesa non viene mai. Mi son tornati in mente libri, scritti in ogni parte del mondo, in cui io ho trovato qualcosa della luce di Dio. Mai nella mia vita ho trovato una parola che veniva direttamente da Dio, ma la sua luce, il soffio sottile del suo Spirito diffusi in ogni parte del mondo.
Ecco, il credente non è uno che aspetta il Dio della magia, il Dio che invia messaggi... il credente è un cercatore di luce, un inseguitore dello Spirito, uno che tenta di scoprire le tracce di Dio, del Suo Spirito.
E attenzione, la luce, il bene non fanno rumore, lo Spirito è come un soffio leggero: bisogna aprire le antenne, bisogna guardare negli occhi la gente, bisogna ascoltare le voci che mormorano come un vento leggero, per captare la voce di Dio.
E allora scopriremo il soffio di Dio, la sua luce, lo scopriremo intorno a noi, nella gente che ci sta accanto, nella natura, negli animali, nelle voci dei bambini, nell'entusiasmo dei giovani, nella persona anziana che ti parla con tenerezza, nella voce dei poeti, nelle immagini degli artisti... dovunque c'è il soffio di Dio. Noi non crediamo nel Dio della magia, ma nel Dio della storia, in un Dio che fa strada con gli uomini, in un Dio che ci parla attraverso le nostre voci, attraverso il mondo che ci sta intorno. Se siamo cercatori di luce, se amiamo le voci che sussurrano allora troveremo le tracce dello Spirito.
Il Signore ci aiuti!
Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di PENTECOSTE - 31 maggio 1998
vento che si abbatte gagliardo... Apparvero loro Atti 2, 1-11 - Giovanni 14, 15-16 23-26
lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono
su ciascuno di loro: ed essi furono tutti pieni di
Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue.
Fermiamoci un momento sulla prima lettura che abbiamo ascoltato: chi ha scritto quella pagina deve aver fatto una esperienza straordinaria, se è capace di esprimerla attraverso tutti questi simboli - credo che tutti voi siate convinti che non abbiamo ascoltato una "storia", ma un racconto simbolico, in cui i primi Cristiani tentano di raccontare la loro esperienza: un'esperienza profonda, che li ha riempiti di entusiasmo. Tentiamo di ripercorrere questa esperienza.
I primi discepoli - lo sapete - erano tutti Galilei: qualcuno faceva il pescatore, qualcuno il pastore. Un piccolo mondo, il mondo che ritroviamo nel Vangelo, fatto di piccoli paesi, di pastori, di pecore, di barche, di esattori delle tasse, con le antiche tradizioni, con i riti di sempre, i sacerdoti, il tempio.
E questa gente ha dovuto, ad un certo punto, affrontare il grande mondo: il mondo della grande cultura greca, dell'arte, un'arte straordinaria; il mondo della filosofia: di un pensiero che aveva raggiunto vette altissime. Ha dovuto affrontare il grande mondo di Roma: un mondo fatto di commerci, di traffici; un mondo straordinariamente complesso: un mondo in cui il potere, il denaro erano al primo posto.
Ed era anche un mondo carico di violenza, in cui c'era la schiavitù: nel bacino del Mediterraneo i due terzi degli uomini erano schiavi, dovunque si doveva fare i conti con la forza delle legioni romane. La schiavitù nel piccolo mondo di Israele, nei piccoli paesi in cui questa gente era nata, era quasi sconosciuta. Era una vita difficile, la loro, ma una vita tranquilla, semplice: in cui non c'era un'eccessiva violenza, non c'era grande cultura, in cui il linguaggio era quello che si parlava tanto tempo prima, i riti, le tradizioni quelli di sempre.
Questa gente ha dovuto affrontare il grande mondo. E lo ha affrontato con sgomento, con paura. Ha dovuto affrontare il mare! Se leggete la Bibbia, vedrete che il mare per un ebreo è sempre stato il luogo del terrore, il luogo dei grandi mostri! Hanno attraversato il mare, hanno affrontato il mondo. E lì si sono accorti che sentivano dentro di sé come un vento che li spingeva verso la libertà: potevano lasciare il vecchio mondo, le loro antiche tradizioni, i loro vecchi riti e portarsi dietro l'essenziale dell'incontro con Gesù!
Sentivano che là - in quel mondo così carico di violenza - loro avevano una luce da portare. Sentivano che i valori di Gesù non era ostili alla grande cultura, alla grande arte, anzi li mettevano in grado di assorbire tutto quello che c'era di buono e potevano comunicare in una lingua nuova quel fuoco che sentivano nel cuore, quella luce che avevano dentro. Ecco i simboli: i simboli che abbiamo ascoltato: un vento impetuoso che spalanca le porte, che rende liberi, un fuoco che riscalda, una luce che illumina! E le tante lingue, tanta gente, che ritrova un linguaggio comune, le parole essenziali!
Fratelli, noi viviamo un momento del genere. La Chiesa sta vivendo un momento simile. E ancora riproviamo l'antica paura, lo sgomento che deve aver provato questa gente. Ci darà ancora lo Spirito la forza di fare un'esperienza ricca, entusiasmante? La darà soprattutto ai nostri ragazzi, alla gente che ci cresce intorno? Noi viviamo un momento in cui molti nella Chiesa sembrano aver paura delle parole nuove, della scienza, dei numeri, delle cose che cambiano, della complessità del mondo; sembra a molti che non ci sia altro modo per rispondere alla violenza e alla confusione del mondo che rinchiudersi nel proprio guscio, rifugiarsi nella retorica di parole vuote!
Saremo capaci di trovare le cose essenziali del messaggio che Gesù ci ha lasciato? Lo Spirito di Dio sarà ancora, per noi, luce, fuoco che riscalda, vento che ci fa liberi? Credere non è ripetere le vecchie formule, rimanere attaccati a vecchi riti, ad antiche tradizioni. Credere è portare nella cultura di oggi, nel mondo di oggi, nella complessità e nella vastità di questo mondo, i valori essenziali. Credere è ancora portare luce; è ancora portare calore, capacità di comunicare con gli uomini, nelle loro lingue, che oggi cambiano così rapidamente.
Oggi sentiamo parlare di cose lontane: dell'India, del Pakistan, delle bombe che si fanno scoppiare sottoterra; sentiamo parlare di bambini costretti a lavorare anche per noi. Ma anche di scoperte straordinarie, di un mondo che si fa sempre più capace di ricerca e di studio, sempre più ricco di cultura, di scienza e di tecniche, ricco di capacità di trasformare il mondo e di renderlo più bello!
Saremo capaci di non rimanere attaccati ai vecchi schemi, alla vecchia cultura? Se voi aprite il catechismo, c'è ancora il linguaggio che parlava S.Tommaso nel 1200... Non è possibile: il mondo di oggi parla un'altra lingua, ha un'altra filosofia, ha un'altra scienza; è infinitamente più complesso. Sapremo ancora aprirci allo Spirito, accogliere il Suo soffio? Ci farà ancora liberi, capaci di comunicare luce a calore? Fede non è ripetere le antiche parole di S.Tommaso, ma cogliere l'essenziale del messaggio di Gesù "dentro" il mondo di oggi. Pregare non è rinchiudersi nei piccoli bisogni di ogni giorno, ma invocare lo Spirito, perché sia ancora per noi, per la nostra Chiesa, un fuoco che dà vita, un calore che riscalda, una luce che illumina!
InvochiamoLo con fede, stasera: per noi, ma soprattutto - molti di noi hanno ormai i capelli bianchi - per i nostri ragazzi che si ritroveranno qui stasera ad invocare lo Spirito. Verso le 9 ricordatevi di loro: invocate lo Spirito per loro! invocateLo con tutto il calore del vostro cuore. Ne hanno bisogno! ne hanno bisogno perché la Chiesa continui ad essere viva, continui ad essere una luce, un fuoco per la gente che ci sta intorno, per i ragazzi che crescono: perché lo Spirito illumini il loro cuore, lo riscaldi e dia il coraggio ancora di credere e di sperare!
Il Signore ci aiuti!
Lo stupore per il mistero della vita, SS. Trinità - 10 giugno 2001
imprevedibile, inesauribile... Giovanni 16, 12-15
Quando ero ragazzo - penso sia capitato anche a chi tra voi ha i capelli bianchi - una delle parole più usate al catechismo era proprio la parola "mistero". Si parlava dei misteri della fede, della necessità di credere senza porsi troppe domande, senza troppi ragionamenti, abbandonando la propria mente al mistero di Dio. Ma questa parola "mistero" per me era qualche cosa di inquietante, una specie di buco nero, qualche cosa che non potevo capire.
E la cosa si complicava ancora di più quando tentavano di spiegarmi il mistero che celebriamo oggi, il mistero della SS. Trinità. Mi parlavano del trifoglio, del triangolo, per spiegarmi come tre fosse uno e uno fosse tre. E la mia mente si trovava come di fronte a qualche cosa di oscuro, di incomprensibile, a cui mi dicevano che dovevo credere, senza fare tante domande.
Qualche volta mi citavano l'episodio di Sant'Agostino, che sulla riva del mare, proprio qui ad Ostia, tentava di mettere tutto il mare nella piccola buca che lui aveva scavato nella sabbia. Ed era venuto l'angelo a dirgli che non poteva mettere il mare nella buca; e allo stesso modo non poteva far entrare i misteri di Dio nella sua piccola testa!
Tutte queste parole lasciavano in me un senso di inquietudine, di sgomento; non riuscivo a capire il perché di tanti misteri, e soprattutto perché non si potesse domandare, chiedere.
Poi, quando son cresciuto, mi sono accorto che la parola "mistero" poteva avere, nella nostra vita di ogni giorno, un significato completamente diverso. Non solo, ma che questa parola riguardava i fatti più profondi della nostra esperienza. Sentivo parlare di mistero da una mamma che stringeva per la prima volta tra le braccia il suo bambino; dal papà che vedeva per la prima volta il suo bambino sorridere. Il mistero della vita! Lo stupore di fronte ad una vita che sboccia, che comincia a sorridere!
Sentivo parlare di mistero quando due ragazzi parlavano del loro essersi innamorati: perché? perché proprio loro? Un uomo spinto verso una donna, a tentare di capire, a tentare di scoprire il mistero di un'altra persona, quello che c'è dentro di lei: e l'ultima cosa che si può fare è smettere di far domande, di continuare a cercare... Penso anzi che il segreto per cui un uomo e una donna possano vivere insieme a lungo è proprio il continuare a considerarsi un mistero, da cercare sempre, con stupore e meraviglia.
Oppure sentivo parlare di mistero di fronte alla bellezza della natura: ad uno stupendo paesaggio di montagna, alla grandezza del cielo stellato, alla profondità dell'universo!
E allora cominciavo a sentire che tutto questo poteva essere il riflesso di Dio: di una Grandezza infinita, che era luce, che potevo soltanto contemplare con immenso stupore! E la meraviglia del creato, la bellezza di un sorriso di un bambino, il muto linguaggio di occhi innamorati, potevano essere per me il riflesso del mistero della vita e del mistero di Dio, da cui tutto viene.
Poi, purtroppo, mi sono accorto che, di Dio, molti ne parlano troppo: tante parole per dire che Dio sta qui o sta là, che Dio vuole questo e proibisce quell'altro... Tanta gente che usa il Nome santissimo di Dio per affermare il proprio potere, la propria autorità. E lo fanno un po' tutti: qualche volta anche i papà e le mamme; più spesso i preti; non parliamo poi dei vescovi e dei Papi... Parlano di Dio senza stupore, senza meraviglia, senza porsi domande; pensando sempre di sapere dov'è Dio: dove Dio manda la Sua benedizione o tante volte il Suo castigo!
Ci siamo meravigliati, quest'anno, nel ritrovare queste cose persino nel Vangelo: i primi Cristiani pensavano di poter parlare della distruzione di Gerusalemme come dello scatenarsi dell'ira di Dio! Queste parole sono nel Vangelo! È questo che lascia interdetti: quando l'uomo tenta di impossessarsi di Dio, per farne uno strumento del proprio modo di pensare, di giudicare; anche della propria rabbia, del proprio desiderio di vendetta.
Non dimentichiamolo mai: sulle cinture delle SS era scritto: "Gott mit uns!" Dio è con noi! (Dio, con ogni probabilità, stava da un'altra parte... ).
Troppe volte nominiamo il Nome di Dio invano. Di fronte a Dio dovremmo conservare un senso di stupore, di meraviglia; continuare a porci domande, senza magari trovare risposte. Dovremmo cercare un riflesso di Dio in tutto quello che è bello e grande nella vita che ci circonda: nella bellezza della natura, nello splendore del sole e del mare, di fronte ad un paesaggio di montagna. E, soprattutto, di fronte al sorriso di un bambino, di fronte a sguardi innamorati! Là dove c'è l'amore, c'è un riflesso di Dio!
E possiamo conservare nel cuore tutte le nostre domande. Ma anche tutta la nostra meraviglia, tutto il nostro stupore.
Il Signore ci aiuti!
Il Signore Gesù, nella notte in cui SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO - 18 giugno 1995
veniva tradito, prese del pane ... I Corinzi 11, 23-26 - Luca 9, 11-17
prese anche il calice e disse:
"Fate questo in memoria di me".
Egli prese i 5 pani e i 2 pesci e,
levati gli occhi al cielo, li benedisse,
li spezzò e li diede ai discepoli perché
li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono e si saziarono.
Questa festa è un'occasione per riflettere un po’ sul nostro ritrovarci insieme ogni settimana; e proprio su questo vorrei attirare stasera la vostra attenzione, chiedendo magari scusa a chi questo discorso l'ha già sentito più volte. Ma secondo me si tratta di una cosa di particolare importanza e forse è bene ripetere, qualche volta, alcuni concetti. La domanda è proprio questa (una domanda che molti di voi, penso, si saranno sentiti fare dai figli, dai nipoti, o che magari qualcuno di voi avrà trovato dentro se stesso): perché andare a Messa una volta alla settimana? Non è meglio andare in chiesa quando uno si sente spinto a farlo, quando ne ha bisogno? Perché andare - quasi come una regola, che rischia di diventare un'abitudine - una volta ogni settimana?
Vedete, c'è in questo - se ho capito - la più grande, la più profonda delle intuizioni religiose di cui noi siamo figli. È questo che vorrei aiutarvi a capire, se mi riesce. Vedete, in ogni parte del mondo si va in chiesa - e in fondo lo facciamo spesso anche noi - si va al tempio, quando se ne ha bisogno, per le motivazioni religiose che, fondamentalmente, sono quattro: ce ne sono altre, ma permettetemi di semplificare un po'.
Si va in chiesa quando l’uomo fa esperienza del suo limite, quando si sente debole, stretto dalla malattia o dalla necessità. Noi adesso le sentiamo meno, queste necessità, ma pensate ai nostri nonni: al mattino si alzavano, magari da qualche giorno non pioveva; bisognava andare a raccomandarsi a qualche santo. Oppure c'era una vacca o un maiale ammalato, bisognava andare a pregare S. Antonio; c'era un figliolo ammalato, bisognava raccomandarsi a S.Rita o a qualche altro santo. Che altro si poteva fare?! Non avevano altri mezzi. In tutte le parti del mondo voi trovate nei templi - specialmente là dove gli scavi hanno portato alla luce le cose antiche - tanti e tanti ex-voto: piccole raffigurazioni di cuori, di braccia, di gambe, di mani, immagini di bambini... Tutti segni di persone che sono andate al tempio per invocare la protezione della divinità o per esprimere il ringraziamento, per una grazia ottenuta. Ecco, il primo motivo per cui si va nel tempio (o meglio si andava, perché adesso le necessità degli uomini sono molto limitate ) è per chiedere una grazia.
L'altro grande motivo per cui si va al tempio è il bisogno di scrutare il futuro, di proteggere il futuro; specialmente un tempo. Si partiva per un viaggio, si partiva per la guerra: si tornerà? non si tornerà? Bisognava andare al tempio, fare dei voti, offrire dei sacrifici, accendere le candele, fare una promessa, per invocare la protezione di Dio sul futuro: un futuro, per l'uomo, spesso ignoto e minaccioso. E nei templi c’erano sacerdoti che cercavano di scrutare il futuro, nelle viscere degli animali o nel volo degli uccelli.
Un altro motivo per cui si andava, e si va, al tempio è per santificare, per invocare la benedizione su alcuni passaggi fondamentali della vita dell'uomo: nasce un bambino? bisogna invocare la benedizione di Dio, festeggiare la sua nascita. La nascita, il matrimonio, la morte: si va nel tempio per "sacralizzare" in qualche modo questi passaggi della vita dell'uomo.
E un altro motivo per cui si va nel tempio in ogni parte del mondo, è far memoria di quelli che son morti: il papà, la mamma, il nonno non ci sono più; abbiamo bisogno di ricordarli, di sentirli vivi in mezzo a noi.
Si va al tempio, dunque, quando c'è un motivo, quando c'è un bisogno, quando c'è una necessità. Se posso riassumervi brevemente: si va al tempio per invocare una grazia, per invocare la protezione sul futuro, si va al tempio per sacralizzare un momento importante della vita (la nascita; il matrimonio...); si va al tempio per far memoria dei morti.
E nel tempio ci sono i preti, ai quali - come dice la prima lettura - bisogna lasciare "la decima": cioè la decima parte del raccolto, oppure, come dice la S.Scrittura, bisogna lasciare "la coscia destra" quando si fa un sacrificio: cioè la parte migliore dell'animale offerto. Ci sono i preti, che si approfittano di questi bisogni degli uomini... Quindi in ogni angolo del mondo ci sono dei templi in cui la gente va quando ne sente il bisogno; c'è tutta una casta sacerdotale che di tutto questo vive.
Ecco l'intuizione dei nostri padri, di cui noi siamo figli: non si va al tempio quando se ne ha bisogno; si va al tempio una volta alla settimana. E in mezzo a noi, un Libro! Un Libro in cui c’è l’esperienza di fede dei nostri padri; un Libro in cui troviamo, in qualche modo, la lettera che Dio ci scrive. E si va in chiesa, prima di tutto, non per chiedere, ma per ascoltare! Si va in chiesa per riflettere sulla propria vita, per cercare le cose essenziali del nostro vivere, per cercare la luce di Dio! Si va al tempio per fare esperienza di gratuità! È vero, noi siamo uomini: non possiamo andare al tempio dimenticando i nostri bisogni: se c'è una mamma che ha il figlio malato, non può stare ad ascoltare quello che dice la S.Scrittura, nemmeno il Vangelo: ha bisogno di parlare del suo figlio malato! Ma questa non è la normalità: la mamma non deve andare al tempio solo quando ha un figlio malato; deve andare in chiesa ogni settimana, per cercare Dio. Per cercarLo non a partire dai propri bisogni, ma a partire da Lui: per ascoltare la Sua parola, per cercare la Sua luce!
Non dimenticate: il popolo di Israele si è ritrovato ogni 8 giorni, come noi, intorno ad un leggio: sul leggio, un Libro! E tutti, almeno tutti i maschi (a quel tempo le donne, purtroppo, contavano poco), dovevano saper leggere. Una piccola parentesi: quando vi domandate perché nel popolo di Israele ci sono stati tanti geni, tante persone straordinarie, cercate la risposta in un Libro. In un mondo in cui il 90%, forse il 99% non sapeva leggere, tutti gli ebrei maschi adulti sapevano leggere: e non è poco! Avevano un libro fra le mani: è un fatto di estrema importanza per la vita e la cultura di un popolo.
Essere credenti significa saper aprire un libro, leggerlo e cercare. Cercare Dio, cercare la fede di coloro che ci hanno preceduti, cercare il senso della storia: cercarlo non a partire dai miei bisogni, ma a partire da Dio che mi parla! Non vado in chiesa prima di tutto per parlare, io, a Dio di quel che mi serve, ma per ascoltare Dio, che ha qualche cosa da dirmi! E quando noi ci troviamo qui, la domenica, dovremmo sapere che veniamo qui innanzi tutto per ascoltare Lui, che ha qualche cosa da dirci, per cercare la Sua luce!
E Gesù ha approfondito questo senso del nostro trovarci insieme. Vedete, anche al tempo di Gesù c'era a Gerusalemme un grande tempio, in cui c'erano i sacrifici, le caste sacerdotali, tutti i pennacchi e i paramenti e le liturgie...Gesù ha detto: "Lasciate perdere!". Niente di tutto questo: una tavola, un po' di pane, un po' di vino, per "fare memoria" di Lui! Noi abbiamo rimesso i paramenti, una casa speciale, a volte una lingua speciale, i preti ogni tanto hanno bisogno di chiedere i vostri soldi, per fare memoria dei morti, per i battesimi, per i matrimoni, ecc. ecc... Tutto questo forse serve, ma non è quello che ha voluto Gesù! Lui ha detto: "Trovatevi una volta la settimana, spezzate il pane per fare memoria di me! La vita donata, il senso della mia parola, il senso della mia vita, che illumini la vostra vita!" Per portare nella nostra vita di ogni giorno, non solo una risposta ai nostri bisogni immediati, ma il senso di Gesù: i Suoi valori, la Sua passione per la vita, la Sua gratuità, il Suo amore!
Per questo noi ci ritroviamo qui, ogni domenica. Il Signore ci aiuti a capirlo sempre un pochino di più!
..." vuoi che scenda un fuoco dal cielo?" XIII Domenica del tempo ordinario - 28 giugno 1998
"Il Figlio dell'Uomo non ha dove Luca 9, 51-62
posare il capo" - "Nessuno che poi si
volge indietro è adatto al Regno di Dio"
Qualche settimana fa mi capitava di andare in casa di una mia sorella; ho trovato su una mensola, vicino all'ingresso, 4 copie del Vangelo. Ho domandato con un po' di meraviglia: "Come mai queste 4 copie del Vangelo?" - "Sono venuti dalla parrocchia vicina ed hanno consegnato il Vangelo" - "Ma perché 4 copie?" - "Abbiamo detto che ne bastava uno; ma hanno chiesto: "Quanti siete in questa casa?" - "Quattro"; e ci hanno dato 4 copie del Vangelo". Evidentemente, zelanti, pensavano che fosse bene che ogni persona avesse la sua copia del Vangelo...
Qualche giorno fa, invece, qui in parrocchia, parlavo con un signore che sosteneva che il Vangelo va letto così com'è: senza aggiunte, senza commenti, soprattutto senza interpretazioni; e poi bisogna cercare di metterlo in pratica.
Non so se anche voi, con la vostra esperienza, avete imparato a diffidare di questi atteggiamenti. Vedete, in genere chi dice che il Vangelo va letto senza interpretazioni e senza aggiunte, è pronto a darvi la sua. State in guardia e magari chiedetegli di vivere questa pagina del Vangelo senza interpretazioni, senza commenti, senza aggiunte.
E non pensate che quelli che vogliono distribuire il Vangelo a tutti lo amino: in genere amano i segni esteriori. Il loro sogno sarebbe che in ogni casa, nella tasca di ogni persona ci fosse una copia del Vangelo; come sognano che ci sia un crocifisso in ogni aula scolastica, in ogni stanza d'ospedale, in ogni luogo pubblico o privato... Chi pensa così, in genere più che il Signore e il Vangelo, ama i segni della presenza, della potenza dei cattolici. Io spero che per voi non sia così. Il Vangelo è una cosa preziosa e seria. Ma non è a buon mercato!
Prendete la pagina di oggi: vi sembra possibile leggerla senza un commento, senza interpretazione? Non è possibile: va commentata, interpretata; e c'è di più: va resa attuale nella vita concreta di ogni giorno: e non è semplice!
E se a casa - perché qui non c'è tempo, e oggi il caldo si fa sentire - rileggete questa pagina, vi accorgerete che qui ci sono, espressi nei simboli così cari al mondo orientale, alcuni dei principi fondamentali, dei valori essenziali per la nostra fede alla soglia del terzo millennio.
Troverete una parola, di cui abbiamo un gran bisogno oggi, sull'intolleranza: questi discepoli vogliono che scenda il fuoco dal cielo! e Gesù si volta e li rimprovera!
Provate a leggere la parola sulla gratuità: "Ti seguirò dovunque" - "Le volpi hanno una tana, gli uccelli hanno un nido ma il Figlio dell'Uomo non ha dove posare il capo!". La gratuità nel rapporto con Dio non è semplice per noi che siamo abituati ad una religione basata sul bisogno e quindi a chiedere a Dio, sempre, qualche cosa. Mi son sentito dire più volte nella mia lunga vita di prete: "Se non posso chiedere a Dio qualche cosa, che vengo a fare in chiesa?".
Ma non vi sembra che oggi possiamo parlare di Dio solo nella gratuità? Se non si cambia atteggiamento, se la nostra preghiera non diventa più gratuita, rischiamo di non poter più parlare di Dio, di Maria, di Gesù ai giovani che crescono intorno a noi!
E nelle ultime parole, così sconcertanti, non c'è un invito a scegliere la vita, ad avere il coraggio di scegliere senza voltarsi indietro, quando si è fatta una scelta? Non vi sembra una parola essenziale per questo mondo in cui ai nostri ragazzi sembra quasi impossibile scegliere?
Ma cosa significa scegliere? Cosa significa non essere intolleranti oggi? Cosa significa vivere la gratuità nella fede di oggi? Ci sono da aggiungere parole di commento quante ne volete... Ma ciascuno di noi deve aggiungere le proprie parole: quelle che gli vengono da dentro, che si sente nel cuore! E diffidate di coloro che dicono che non bisogna interpretare il Vangelo: vogliono che seguiate la loro interpretazione! Diffidate di coloro che pensano che basti dare una copia del Vangelo: occorre prendere in mano queste parole straordinarie! Ma, proprio perché straordinarie, non sono a buon mercato. Lo sapete, anche quando andate a fare la spesa: le cose a buon mercato non sono di gran qualità. Non vale soltanto per i pomodori. Vale anche per le parole di Gesù!
"Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" SS. Pietro e Paolo - 29 giugno 2001
"Beato te, Simone figlio di Giona"… 2Timoteo 4, 6-8.17-18 - Matteo 16, 13-19
"Ho combattuto la buona battaglia, ho
terminato la corsa, ho conservato la fede".
Chi sono i "Santi"? Che posto hanno nella fede di un credente? Vedete, io sono nato e cresciuto in un ambiente semplice, popolare; quando ero bambino, se si perdeva qualche cosa mi dicevano di recitare qualche Padrenostro a sant'Antonio e avrei ritrovato quello che avevo perduto. Se c'era qualche faccenda particolarmente grave, che sembrava impossibile risolvere, mi dicevano di rivolgermi con fiducia a santa Rita: era lei la "santa degli impossibili"; quando scoppiava il temporale, mia mamma subito diceva: "Santa Barbara e Santa Elisabetta, scampateci dal fulmine e dalla saetta". Non so se dalle vostre parti si dicano cose simili.
E mi raccontavano dei "Santi" tanti fatti miracolosi; e c'era un Santo per ogni necessità, per ogni bisogno... Poi crescendo mi sono accorto che era così anche nel mondo pagano: c'erano tante divinità preposte alle varie necessità della gente; e sembrava non essere cambiato molto.
Le cose, invece, sono cambiate per me quando ho cominciato a leggere il Vangelo, la Bibbia. Ho cominciato a conoscere Pietro e Paolo: non erano associati a nessun bisogno particolare, potevano dire qualche cosa alla mia fede.
In Pietro ho scoperto soprattutto la gioia dell'incontro con Gesù: lui Lo ha conosciuto là, sulla riva del suo lago. È rimasto affascinato dalle parole del Signore ed ha cominciato a seguirLo. Ed anche quando non capiva, anche quando veniva rimproverato… se leggete solo poche righe dopo quello che abbiamo ascoltato stasera vedete che Gesù si rivolge duramente a Pietro: "Sta' lontano da me, Satana: tu non pensi come Dio, ma come gli uomini" - eppure Pietro non se n'è andato, non è stato lontano: ha continuato a seguire Gesù, a cercare le Sue parole, a stare con Lui!
Ed anche quando in un momento di paura, là nel cortile del Sommo Sacerdote, ha detto di non conoscere Gesù, poi non è andato via: ha continuato a cercare Gesù! Ha detto, anche lui, che soltanto in Gesù trovava parole straordinarie, "parole di vita eterna". Ecco, Pietro è il discepolo che scopre la gioia dell'incontro con il Signore; che, nonostante la sua fragilità e i suoi tradimenti, continua a cercarLo, ad andare con Lui, a tentare di scoprire quello che c'è nelle parole e nella vita di Gesù. E questo era quello che potevo tentare anch'io di fare, che ho cercato di fare nella mia vita.
Paolo, anche lui poteva insegnarmi qualcosa. Era stato addirittura un persecutore dei Cristiani: lui pensava che seguire Dio significasse perseguitare questa nuova dottrina. Metteva (lo racconta lui stesso) in prigione delle persone che credevano in Cristo. Ma poi, quasi all'improvviso, ha scoperto la luce di Gesù! Lui dice di aver avuto come una folgorazione (cfr. Atti 22, 6-11), sulla via di Damasco: qualcosa che gli ha aperto gli occhi. E si è sentito liberato! Liberato dalla tradizione, dagli esclusivismi, dal nazionalismo, dalle intolleranze.
Ed è diventato un appassionato di Gesù: della Sua luce, della Sua libertà! È andato in giro per il mondo tentando di annunziare il Signore.
Ecco: queste due persone nella mia vita, nel mio tentare di credere, sono state importanti, perché mi hanno aiutato non a ritrovare qualche cosa che avevo perduto (come ingenuamente credevo da bambino) ma a conoscere Gesù: a scoprire la Sua luce, a dare importanza alle Sue parole, a tentare di credere ed essere anch'io testimone di Gesù. E spero di continuare a farlo. E spero che anche voi sappiate, sempre di più, credere in Gesù, seguire la Sua luce!
Il Signore ci aiuti!
"Chi di questi tre ti sembra sia stato XV Domenica del tempo ordinario - 16 luglio 1995
il prossimo di colui che è incappato Luca 10, 25-37
nei briganti?"; quegli rispose: "Chi ha
avuto compassione di lui". Gesù gli
disse: "Va' e anche tu fa' lo stesso".
Quando ero un ragazzo, la figura del "buon samaritano" mi appariva una figura straordinaria, mitica: questo dipende forse dal fatto che qui si parla di briganti, di un uomo lasciato mezzo morto lungo la strada. E quando io ero piccolo non c'era la TV, non si vedevano tutte le immagini di dolore che un ragazzo di oggi vede. Non sapevo nemmeno cosa fossero i briganti e non avevo mai visto un uomo mezzo morto lungo la strada. Forse dipende da questo o forse, più probabilmente, dipende dal fatto che uno dei vizi di chi, come me, ha il non facile compito di predicare, è quello di dire sempre grandi parole, di farla complicata e difficile, per mettere pesi sulle spalle della gente, per far sentire colpevole il prossimo. E anch'io, quando ero piccolo, mi sentivo colpevole di non essere come il buon samaritano...
Poi, ho vissuto - ormai a lungo - di "samaritani" ne ho visti tanti! Posso dire che non sia quasi passato giorno, nella mia lunga vita di prete, in cui non abbia sentito delle persone raccontare di gesti di bontà, di attenzione verso gli altri, di servizio verso chi è ammalato, in difficoltà.
Ho sentito raccontare non solo di gesti di un momento - come succede qui nel Vangelo - per uno che si incontra per la strada e si porta in un albergo; ma di persone che per mesi, per anni, si sono dedicate con generosità, con pazienza, con attenzione, ad una persona malata. Ce ne sono tanti anche qui in mezzo a voi; e non soltanto un figlio nei confronti dei genitori, ma anche una nuora o un genero, nei confronti della suocera o del suocero, o dei nipoti nei confronti della zia. A volte sono estranei nei confronti di un vicino di casa o di gente incontrata per caso; che, senza dir niente a nessuno, senza far sapere, hanno dato molto del loro tempo, della loro vita, nel servizio degli altri. O, se la parola non vi piace, nell'attenzione, nel curare una persona malata, un anziano. (Oggi i medici son diventati bravi: ci fanno vivere a lungo - qualche volta anche troppo! - dovremmo riflettere un po' sulla fine della vita; forse è tempo per tutti noi di cominciare a farlo! Ma di questo, un'altra volta.)
C’è chi assiste una persona costretta su una carrozzella, o uno che ha perso la vista, o delle persone che perdono il senno (il che, forse, è la cosa peggiore) e le curano per mesi, per anni, con dedizione, con generosità, con delicatezza! Tanti gesti di amore quotidiano, non solo verso chi è malato, ma anche verso i bambini in difficoltà o verso i ragazzi che fanno fatica a crescere.
Vi sembra una cosa straordinaria? No! se sentite raccontare questi gesti, ve ne parlano come se fosse una cosa ovvia, normale: c'è una persona malata, c’è una persona che soffre: come non dare una mano?! E questo lo fanno persone che hanno non pochi anni e debbono chiedere alla vita le ultime energie; lo fanno anche i più giovani, anche i nostri ragazzi! Mi colpiva una volta, qui sul sagrato della chiesa, una delle nostre catechiste della Cresima, una ragazza giovane e bella, che parlava con una delle ragazze del suo gruppo, facendo tutti quei gesti che usano i muti per parlare. Dopo averla guardata a lungo con ammirazione e stupore, quando ha finito di fare tutti quei gesti, l'ho presa in disparte chiedendole: "Ma come hai imparato? Ma chi t'ha insegnato?". E lei ha detto: "Mi avete affidato questa ragazza; se volevo parlarle, dovevo imparare". Aveva imparato! E me lo diceva come se fosse la cosa più naturale del mondo, la più normale: e di questa "normalità" è piena la vita, se vi guardate intorno...
Se prestate attenzione, se girate fra la gente, il "samaritano" è forse la figura più comune che incontrate nella vostra esperienza di credenti, ma, forse, è meglio dire di uomini (certo non la incontrate in TV, non l'incontrate nei riti ufficiali!): la incontrate nei gesti quotidiani, nelle persone che vi stanno accanto. E lo avete fatto anche molti, molti di voi, spesso anche da voi sento questi racconti, magari, da qualcuno da cui non me lo sarei aspettato: eppure, l'ha fatto anche lui! Ringraziamone il Signore di vero cuore, perché questa è la ricchezza della vita: sono i tanti "samaritani" che riempiono la storia del mondo!
Vorrei aggiungervi soltanto qualche piccola considerazione, che forse serve a sollevare la coscienza di qualcuno di voi: a volte non è semplice sapere che cosa è bene fare per aiutare l'altro, a volte non riusciamo a capire come si può dare una mano; e qualche volta il buon cuore non basta! Vi porto qualche esempio, per capirci: ci sono, ormai da mesi, questi polacchi che giacciono sulla soglia della nostra chiesa, spesso ubriachi; e stanno qui perché qualcuno di voi dà il suo obolo. Ed è un incentivo all'ubriachezza, al vagabondaggio! Ma se qualcuno prova a dir qualcosa a chi lo fa, si sente rispondere: "Eh! poverini! mi aspettano!". "Ti aspettano..." ma per fare del bene, non per fare del male...
Per fare del bene occorre chiedersi: "giova quello che faccio, a questa persona, oppure no? O forse gli faccio del male? Lo spingo in basso, invece di aiutarlo ad essere più uomo, a vivere con più dignità?". Perché questo è importante; e qualche volta non è facile capire!
Ma un consiglio - piccolo - ve lo posso dare: uno scrittore inglese diceva che qualche volta un po' di sano egoismo è meglio dell'altruismo! Ho visto tanta gente, nella mia vita, tribolare per colpa di quelli che volevano farle del bene! Qualche volta, anche i genitori soffocano i figli per "troppo amore"... Cercare di capire! E quando non riesco a capire, non resta che, con pazienza, continuare a cercare.
Due cose vorrei sottolineare, a quelli di voi che possono pensare: la sofferenza fisica oggi noi sappiamo, in qualche modo, come gestirla; ma c'è una sofferenza mentale, le tante forme le forme depressive, quelli che - con una parola che non significa niente - si chiamano gli "esaurimenti nervosi", c’è tanta gente (e ci sono anche dei ragazzi!) che vivono in difficoltà, che hanno grossi problemi psichici. E qualcuno dice: "Basta un po' d'affetto, un po’ di calore umano, qualche buona parola...", Non bastano! Sono vere e proprie malattie, a volte malattie gravi! E dobbiamo aiutare quelli che studiano, i medici, gli psichiatri, a scoprire cause e rimedi; non serve fare sventatamente un po' di bene: occorrono centri specializzati, studiosi che si dedichino alla ricerca!
L'altra cosa che volevo dirvi, magari per sollevare qualcuno di voi: guardate in TV questa tragedia della Bosnia: cosa si può fare, là? Cosa si può fare, nessuno lo sa; siamo in tanti, in giro per il mondo, a guardare con occhi sgomenti e non sappiamo cosa fare! Occorre cominciare a pensare. Lasciate al Papa, ai vescovi, ai preti, ai predicatori - a quei terribili predicatori dei nostri giorni che sono oggi i giornalisti! - le tante parole, che servono solo a dare sensi di colpa. Voi domandatevi, con cuore semplice e sincero: "Ma se andassi io, se dovessi mandare un mio figlio, che cosa lo manderei a fare? a sparare? a bombardare? a farsi ammazzare? Cosa si può fare, là?"
E non fatevi carico di tutto quello che c'è nel mondo: non è possibile! Noi non possiamo prenderci il peso di tutto, altrimenti i più buoni tra di voi, quelli con il cuore più sensibile, vanno a dormire con dei pesi sulla coscienza, senza poter far nulla. Parlatene con semplicità; non guardate troppo la TV. Perché altrimenti il rischio è che ci abituiamo al dolore, alla sofferenza; e poi non ci accorgiamo di chi ci sta vicino!
Soprattutto ai bambini non fate vedere troppe immagini di gente che soffre, immagini di dolore e di morte! Prendeteli per mano e portateli a trovare un compagno malato: che sappiano perdere un po' di tempo con lui, che siano capaci di fargli una carezza! Altrimenti, andrà a dormire e sentirà il cuore stretto, oppresso, per aver visto questi bambini che soffrono; e poi, se vedrà accanto a sé qualcuno che tribola, non saprà che cosa fare! perché avrà il cuore appesantito, quasi abituato a tutto il male che c'è nel mondo.
Noi non possiamo sentirci responsabili di tutto: e spesso non sappiamo cosa fare! Ma non è che non lo sapete voi: non lo so io, non lo sa nessuno: non lo sa l'ONU, non lo sa la Società internazionale. Si tratta di - pian piano - capire: qualche cosa l'abbiamo risolta; per molte cose non sappiamo ancora cosa fare! Pian piano speriamo che i nostri nipoti, i nipoti dei nostri nipoti, un po' di più capiranno come si può alleviare il dolore del mondo.
Il Signore ci aiuti !
XVI domenica del tempo ordinario
Maria, sedutasi ai piedi di Gesù, XVI domenica del tempo ordinario - 23 luglio 1995
ascoltava la sua parola; Marta invece Luca 10, 38-42
era tutta presa dai molti servizi.
Domenica scorsa leggevamo la parabola del buon Samaritano: colui che si ferma a curare il malato (si china su di lui, lo unge con l’olio, lo carica sul suo asino, lo porta all'albergo) riceve l'elogio incondizionato di Gesù, tanto che lo scriba, che ha fatto la domanda, si sente rispondere: "Va' e anche tu fa' lo stesso". E Marta sembra aver ascoltato questo comando di Gesù - "Va' e anche tu fa' lo stesso" - e si dà da fare "impegnata in molti servizi". Ma questa volta è lei ad essere rimproverata ed è invece lodata la sorella, che non fa niente, che "s’è seduta ai piedi di Gesù". Maria riceve l'elogio e Marta un rimprovero - dolce, se volete -:"Marta Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa necessaria". Che succede qua? Domenica scorsa ci era facile capire; oggi forse lo è molto meno.
Perché Marta viene rimproverata? cos'è "essenziale"? qual è questa cosa "necessaria"? Se non è facile capire per voi, non è facile nemmeno per me. Io ho pensato di raccontarvi cinque piccoli esempi: se volete, non proprio storie, ma riflessioni. Badate, però: queste mie riflessioni non vogliono mettere pesi sul cuore di nessuno, non vogliono giudicare nessuno! È solo un invito a riflettere, a cercare di capire che cosa succede oggi nel Vangelo: perché Gesù privilegia Maria invece che Marta.
Il primo esempio che voglio dirvi è un'esperienza che io ho fatto più volte nella mia vita: - ormai comincio ad avere parecchi anni dietro le spalle - tante volte mi è capitato di conoscere delle coppie di sposi, anzi più d'una l'ho "sposata" io. Nel fidanzamento, nei primi anni di matrimonio c’è grande intesa tra i due, hanno molto tempo l’uno per l’altro; poi capita che nasce un bambino, magari due. Le mamme soprattutto sono "prese da molti servizi"; indispensabili! come si fa? Bambini piccoli: non ci si può fare staccare da loro: ci si deve dar da fare (voi, specialmente le mamme, lo sapete molto meglio di me): l'allattare, i pannolini, il lavare, il trafficare: tante cose. Passa 1 anno, 2 anni... i due sposi si accorgono di essere abbastanza lontani! È successo che, presi dalla nascita dei bambini, dai tanti servizi da fare per loro, hanno trascurato di guardarsi negli occhi, di sedersi l'uno accanto all'altra, di continuare a parlare, come facevano quando erano fidanzati! E si ritrovano un po' lontani: si trovano, non dico proprio come degli estranei, ma tanta parte della loro intimità, della loro unione, non c'è più! Perché? Se glielo domandate (io qualche volta l'ho fatto), vi dicono: "Eh! Avevamo tante cose da fare, avevamo da correre qua e là, di tante cose avevano bisogno questi bambini: dipendevano totalmente da noi! Tutta la nostra attenzione era per loro!". Specialmente le mamme dicono così. Chi sa, forse quei bambini sarebbero cresciuti più sereni se le mamme si fossero occupate meno di loro... Forse la cosa di cui ha più bisogno un bambino che cresce, è che papà e mamma continuino a parlarsi, a perdere tempo tra di loro!
Seconda storiella: mi capita sempre più di incontrare degli uomini - ma spesso anche delle donne - presi dai tanti affanni del lavoro di oggi. Ed è una fortuna incontrare queste persone, perché vedete che lavorano con passione, con impegno, con dedizione! Ed oggi spesso per lavorare ci vuole molta "grinta", perché c'è grande competizione nel lavoro: richiede, specialmente alle ragazze, molta aggressività. Pensate ad un commerciante, che deve sempre pensare in che modo possa migliorare il suo negozio; pensate anche a chi lavora in un ufficio, che deve gestire anche la concorrenza con altri uffici. Insomma, si lavora dalla mattina alla sera. E questo è uno dei motori del nostro benessere: queste persone bisognerebbe ringraziarle, far loro un monumento! (C'è tanta gente che lavora poco, in questo paese). Però anche loro, a volte, presi dal lavoro, dalla competizione, rischiano di trascurare gli aspetti più profondi della vita, di dimenticarsi della moglie, dei figli! E quando a qualcuno di loro parlate dei figli, vi dicono: "Ma che posso fare di più? Non gli faccio mancare niente: vogliono la bicicletta? gli compro la bicicletta; vogliono il motorino? gli compro il motorino: hanno tutto!". Hanno tutto: ma forse non hanno te! non hai perso un po' di tempo con loro, non ti sei seduto a giocare con loro, ad ascoltare le loro storie. "Ma avevo tanto da fare!" Un rimprovero dolce: "Marta, Marta, tu ti agiti per tante cose; ma una sola è la cosa necessaria". E badate però: se non ci fossero persone che lavorano così, saremmo tutti in miseria. Ecco perché non è facile capire! Ve l'ho detto al principio, ve lo ripeto: questo non serve per rimproverare qualcuno, ma per tentare di capire.
Un'altra cosa: guardiamo un momento il mondo che ci circonda: la natura. Noi l'abbiamo lavorata, rivoltata, trafficata, sfruttata; produciamo tutto quello che ci serve, in grande quantità... e poi, qualche volta, ci accorgiamo di averla anche un po' sciupata! Non ci manca forse il gusto di contemplare, di guardare, di stupirci di fronte alle cose? Senza pretendere sempre di manipolare, trasformare, trarre tutto quello che possono darci. Certamente la natura serve per sostenere la nostra vita, ma è importante saper contemplare, saper stupirsi, per lasciarla, almeno un po', così com'è: perché i nostri nipoti possano godere ancora della natura!
Un'altra cosa (adesso vado un po' di fretta, perché se no vi annoio, col caldo che avete!): l'informazione. Quando noi eravamo ragazzi, non sapevamo quasi niente: non sapevamo cosa succedeva dall'altra parte del mondo. Oggi ci vengono riversate addosso, ogni giorno, valanghe di informazioni: dalla radio, dalla TV, dai giornali. dai libri... E giustamente diceva un signore ieri sera: "L'informazione è uno dei motori del mondo, una di quelle cose che mandano avanti la vita". Ma se uno si lascia prendere da tutti i giornali, da tutti i servizi televisivi; se ogni volta che si mangia, in casa, si accende la TV..."Per vedere il telegiornale: dobbiamo sapere!". Sappiamo tante cose, ma forse non siamo più capaci di ascoltare chi ci sta accanto! Tra le tante notizie che ci riempiono la testa e ci turbano, rischiamo di non essere più attenti alle piccolissime storie di un bambino che ha avuto qualche problema a scuola...
E, per fare un altro esempio, anche il divertimento e le vacanze, sono a volte vissuti, specialmente dai giovani, come un consumo frenetico, cercando di sfruttare ogni momento e si rischia poi di essere incapaci di rapporti profondi, di godere a pieno e gli uomini e le cose.
E questo vale - se ci pensate - anche per la preghiera. Alcuni di voi sono stati abituati a moltiplicare le orazioni, a moltiplicare le Messe. "Perché servono!" - Mi capita di parlare con qualche persona che magari ha una certa età - "Dico un rosario per quello, poi un rosario per un altro, poi un rosario per un altro ancora. Poi faccio la Comunione per quella persona, poi la faccio per quell'altra". E poi forse ti dimentichi, a forza di dir preghiere, che la cosa più importante è mettersi in ascolto di Dio: sedersi, come Maria, ai piedi di Gesù, per cercare quello che è "essenziale"!
Vedete, noi non siamo qui riuniti, intorno alla tavola, per pregare per gli altri, per trovare la forza per fare i "tanti servizi" che la vita ci richiede, ma, fondamentalmente; per ascoltare Gesù e per cercare in Lui le cose essenziali della vita, per ritrovare la "sola cosa di cui c’è bisogno": la gratuità! Non basta "fare per", occorre "essere con", saper condividere la vita!
Non è semplice, come avete capito; ma, forse, in queste piccole storie che vi ho raccontato - e che vi prego di non prendere troppo sul serio; che, ripeto, non vogliono essere un rimprovero per nessuno - c'è anche per voi, come per me, un aiuto a capire questa pagina del Vangelo. Che non è una pagina semplice, ma, come avete sentito da Gesù stesso, è la pagina "essenziale".
Una sola è la cosa di cui c'è bisogno: di che cosa c'è veramente bisogno? Qual è "l'essenziale" della vita?
Il Signore ci aiuti a capirlo almeno un po'!
Maria, sedutasi ai piedi di Gesù, XVI Domenica del tempo ordinario - 22 luglio 2001
ascoltava la Sua parola; Marta Luca 10, 38-42
invece era tutta presa dai molti servizi.
Questa, come ho detto, è una delle pagine più importanti del Vangelo di Luca; anche se non sembra, apparentemente. Ci parla di Dio, dell'importanza della Sua parola; ci parla della gratuità, ci parla del fondamento stesso, forse, della nostra fede e del nostro rapporto con Dio. Ma son tutti discorsi molto grandi e complessi, che forse mal si addicono a questo tempo di estate. Allora io ho scelto di dirvi una cosa che forse con il Vangelo c'entra poco, che a più d'uno di voi sembrerà strana, ma che forse per qualcuno di voi è particolarmente importante.
Vedete, quando io ho cominciato a studiare per diventare prete credevo che uno dei compiti più importanti del prete, del predicatore, fosse quello di parlare di amore, di altruismo, di gratuità. Mi sono accorto - facendo un po' il bilancio della mia vita - che in questi 40 anni ho più parlato di egoismo (o di quello che noi chiamiamo "sano egoismo") che d'amore.
Mi è capitato infinite volte di consigliare alle mamme, che spesso si danno troppo da fare per i figli o per i mariti, di consigliare anche a qualche papà, di consigliare a qualche nonno nei confronti dei nipoti, di consigliare un po' di sano egoismo! Qualche volta sbattete la porta e andatevene, fate quello che vi piace. Perché molta gente veniva da me raccontandomi i suoi crucci, i suoi sensi di colpa! C'è gente che si dà molto da fare; poi, qualche volta perde la pazienza e ci rimane male e si sente in colpa! E pensano che hanno fatto troppo poco... e mi è capitato spesso di dire "Fate di meno". Molti dei nostri ragazzi, a mio avviso, crescono male perché i genitori fanno troppo per loro: le mamme si danno troppo da fare; se pensassero un po' più a se stesse, se avessero nella loro vita un po' più di "sano egoismo", il mondo probabilmente andrebbe meglio.
Tutti questi discorsi vi sembrano forse un po' strani, sentiti dire dall'altare, da un prete; ma se avete ascoltato con attenzione il Vangelo di oggi, Gesù sembra dar ragione a chi, invece di darsi da fare, di trafficare, si siede ad ascoltare, come Maria. E quando la sorella protesta con Gesù e dice: "Ma insomma, dille un po' che venga a darmi una mano!" Gesù risponde: "Lei ha scelto la parte migliore e nessuno gliela toglie".
In fondo Maria è stata un'egoista:si è seduta lì, a parlare con il Signore. Qualcuno di voi dirà: "Ma nel mondo c'è tanto egoismo e non c'è bisogno di predicarlo anche dall'altare!". Ma notate che io non predico al mondo: è troppo grande! non ho mai saputo parlare se non a voi, che mi state davanti. Io parlo a voi! E tra voi c'è molta gente che si porta dentro sensi di colpa per non fare abbastanza. Tra voi c'è molta gente che si dà troppo da fare, che pensa poco a se stessa, che poco si diverte. Tra voi c'è molta gente che poco si cura di sé, di riempire la propria vita di cose piacevoli! C'è troppa gente che troppo si dà da fare per gli altri! Io non parlo degli egoisti, che non vengono qui. Parlo non a tutti, certamente, ma a più d'uno di voi; e non vorrei che quello che sto dicendo suoni per qualcuno di voi un rimprovero e che quindi si senta di nuovo in colpa.
Io ancora non ho capito, perché noi Cristiani siamo abituati a sentirci in colpa sempre: qualunque cosa "lu prevete" dica dall'altare, c'è sempre qualcuno che si sente in colpa. Ecco, adesso non solo mi rimproverano perché non faccio abbastanza, ma anche perché mi diverto poco, anche perché penso poco a me. E qualche volta, invece, io mi son pentito perché ero troppo egoista... Adesso il Vangelo dice che lo sono stato troppo poco e vi sentite in colpa!
Sentirsi in colpa (almeno questo l'avrete imparato anche voi) non serve assolutamente a nulla! Serve solo ad amareggiarci la vita, a farci il cuore un po' più pesante, a farci meno capaci di fare il bene. Chissà perché qualcuno ci ha educato in modo tale che, qualunque cosa sentiamo o qualunque, cosa facciamo, ci sentiamo in colpa! Se volete, provate a fare, con qualche mamma o con qualche papà, il bilancio di come ha educato i figli: sentirete che sempre si sentono in colpa, sempre hanno sbagliato.
Provate a parlare con qualcuno che ha fatto di tutto per accompagnare un genitore sino alla fine del cammino della vita (qualche volta perdendo la pazienza, perché sapete come sono gli anziani: qualche volta diventano capricciosi come i bambini) provate dopo che si è fatto il funerale, a parlare con qualcuno di loro e sentirete che si sentono in colpa per non aver fatto abbastanza, per essersi arrabbiati qualche volta, per averli trattati male!
Chissà chi ha inventato il senso di colpa! Chissà chi vuole farci sentire male! Se questa è la religione, forse sarebbe meglio lasciarla da parte! Qualche volta mi è capitato non soltanto di parlare di "sano egoismo", ma anche di "sano ateismo" a chi della religione aveva fatto soltanto un peso per il proprio cuore!
Tutto quello che ho detto, con il Vangelo c'entra poco; ma forse per qualcuno di voi è importante. Se qualcuno di voi, riuscisse a buttar via qualche senso di colpa, qualche peso dal cuore, le parole dette hanno già il loro valore!
Il Signore ci aiuti!
"Quando sei invitato va' a metterti XXII Domenica del tempo ordinario - 2 settembre 2001
all'ultimo posto ... Quando offri un Luca 14. 1.7-14
banchetto invita poveri storpi zoppi
ciechi; e sarai beato perché non
hanno da ricambiarti"
Il Vangelo - come tutti sapete - è stato scritto tanto tempo fa, in una cultura molto lontana dalla nostra: il modo di pensare, di parlare, di scrivere era molto diverso dal nostro; per cui ci sono a volte pagine per noi difficili da digerire, ci sono pagine che, ad una prima lettura, sembrano incomprensibili, a volte addirittura odiose. Per me la pagina che abbiamo appena ascoltato è una di queste. Ad una prima lettura, sembra che Gesù esalti l'ipocrisia: "Quando sei invitato ad un banchetto, va' a metterti all'ultimo posto; così qualcuno viene a dirti: Sali più su". Avete conosciuto quelli che si mettono all'ultimo posto? Sono i peggiori. Aspettano sempre che qualcuno dica loro: Ma non stare qui; va' avanti!
Un invito all'ipocrisia, dunque? C'è di peggio: nella seconda parte sembra che Gesù ci inviti a disprezzare amici, parenti, fratelli: a non occuparci di loro e a prenderci cura dei poveri, per aspettarci poi la ricompensa alla fine del mondo. Dov'è la gratuità?
Ma se togliamo tutto questo, cosa resta di questa pagina del Vangelo? Ci ho pensato a lungo e forse vi meraviglierete: se togliamo tutto questo, resta forse la pagina più straordinaria del Vangelo di Luca, una delle pagine più belle: il canto di Gesù per gli ultimi! per la gente di tutti i giorni, per la gente comune.
Non so se a voi è capitato di parlare o di trattare con qualche personaggio importante; io ho avuto la fortuna di incontrarli molto raramente. Spesso sembrano persone senza cuore, preoccupate di difendere, di conservare, di aumentare il proprio potere; incapaci di guardarti negli occhi, di prendere sul serio te, la tua persona; per loro sei solo un numero. Quello che a loro interessa è solo il proprio potere, il posto a cui sono arrivati: difendere la loro posizione, la loro autorità.
Io per fortuna sono nato in mezzo alla gente semplice, tra gli ultimi della terra; e in queste vacanze mi è capitato di fare un'immersione nel mondo contadino, nel mondo della gente che non ha storia: della gente semplice, diciamo della gente comune. Forse della gente "non comune": quella gente per cui amicizia è amicizia, gratuità è gratuità; gente che è capace di guardarti negli occhi, che si accorge subito se hai bisogno di qualche cosa. La gente semplice delle nostre campagne. La gente anche delle nostre città: ce ne sono tanti anche in mezzo a voi...
Persone che amano i propri parenti, i propri fratelli, i propri amici; si ritrovano spesso a tavola con loro: non vanno certo ad invitare "zoppi e storpi" per la strada. Persone per cui la famiglia è la cosa più importante, anzi il fondamento stesso dell'esistenza; ma, se vedono una persona in difficoltà, sono capaci di mettere in gioco anche la propria famiglia e la vita stessa. Nelle nostre campagne, ma anche nelle nostre città, in molte parrocchie romane, quando c'era qualcuno che scappava, inseguito - che so? dai nazisti o da qualcun altro - c'era spesso una persona capace di guardarlo negli occhi e di metterlo in salvo, mettendo a rischio i propri figli e la propria vita. La gente comune, la gente di tutti giorni. La gente che conosce la gratuità, la gente che sa guardare l'altro negli occhi, che sa accorgersi di chi ha bisogno! La gente che non conta, di cui non si parla nei libri di storia. O forse non si parlava: perché negli ultimi tempi ho visto che c'è qualcuno che si preoccupa della gente di tutti i giorni: che cerca tutti i fermenti di vita che hanno animato la gente, gli aneliti di libertà, la passione per la giustizia che hanno attraversato spesso la storia. Le passioni, le ansie, le idee, la ricerca, lo studio di tante persone di ogni giorno, che ha cercato, spesso con disinteresse e gratuità, di rendersi utile.
Se ho capito qualcosa, questa è la VERA STORIA: la storia della gente che ha portato avanti il mondo; la storia della gente comune o - se volete parafrasare il titolo di un ultimo libro che ho letto su queste cose - la storia della gente "non comune": della gente che conservava la gratuità nel proprio cuore: gente che magari cercava il primo posto, cercava di emergere, di affermare se stesso, ma sempre nel rispetto degli altri, sempre conoscendo - e vivendo - le parole amicizia gratuità rispetto accoglienza tenerezza!
Chissà se i nostri ragazzi potranno ancora conoscere tutto questo! Loro hanno spesso davanti la TV: chi compare in televisione è spesso uno che cerca solo di far mostra di sé.
Guai al mondo se i ragazzi perdono la capacità di guardarsi intorno, di accorgersi degli amici, della gente che cammina con loro, della gente di tutti i giorni: della gente che non compare mai alla televisione, ma che si porta nel cuore la gratuità, la tenerezza, la voglia di giustizia, la passione per la vita! e ancora la capacità di guardarsi negli occhi, di tendersi la mano, di accorgersi dell'altro appena è in difficoltà. Tanta gente l'ha fatto, nella storia del mondo: una storia che si comincia a scrivere; e secondo me è l'unica storia che valga la pena di leggere!
Ecco: se questa pagina del Vangelo è il canto di Dio per gli ultimi della terra, per la gente comune - o, se volete, la gente "non comune" - questa diventa forse la pagina più bella del Vangelo di Luca. Non fermatevi alla scorza dunque, andate oltre! E ritrovate la vostra esperienza di vita. Forse qualche volta è capitato anche a voi di incontrare "il potente", colui che vi guardava come un numero, come una pedina. Ma avete incontrato - se siete qui - tanta gente che vi ha guardato negli occhi, che vi ha teso la mano; tanta gente per cui la parola amicizia è la parola amicizia. Ed è parola sincera ed è parola vera! Per tutta questa gente possiamo cantare il canto della gioia, il canto del ringraziamento, unirci al canto di Dio per la storia degli uomini, in cui non conta chi è forte, potente, grande.
Conta chi con passione, ogni giorno, si impegna perché il mondo sia più giusto e più bello; chi si porta nel cuore la gratuità e l'amore, la gratuità e il desiderio di libertà!
Il Signore ci aiuti a vivere tutto questo ogni giorno!
"Se uno non odia il padre, XXIII domenica del tempo ordinario - 10 settembre 1995
la madre... Chiunque di voi Luca 14, 25-33
non rinunzia a tutti i suoi averi,
non può essere mio discepolo".
Parole particolarmente sconcertanti (penso siate tutti d'accordo), quelle di stasera; parole incomprensibili. Cosa vuole il Signore da noi? Gli antichi ci consigliavano di invocare lo Spirito, per cercare di capire, pian piano, la volontà di Dio, nella nostra vita di ogni giorno. Stasera qui, insieme, cerchiamo, se ci riesce, di intuire qualche cosa di queste parole che abbiamo ascoltato.
Più che una spiegazione forse può aiutarci, come altre volte, un po' di fantasia: cerchiamo di cogliere sulla bocca di Gesù, in una situazione concreta della sua vita, le parole che abbiamo ascoltato. È chiaro per tutti che si tratta di fantasia; ma forse, qualche volta, è più utile di tanti discorsi, per intuire - se non proprio per capire - cosa c'è dietro ad una parola di Gesù.
Facciamo allora un volo nello spazio e soprattutto nel tempo: quasi 2000 anni fa! Andiamo a trovarci anche noi una sera, quando Gesù si riunisce con i suoi discepoli. Ormai lo hanno fatto tante volte: la sera, quando la gente se n'è andata, si ritrovano tra di loro, alla luce della luna, intorno al fuoco, per parlare a lungo. Per parlare di Dio, per parlare della vita, del mondo; per raccontarsi le loro storie, i fatti quotidiani; per farsi confidenze, ormai come vecchi amici; qualche volta soltanto per ridere e scherzare insieme...
Tante volte si son ritrovati insieme con Gesù: è lì che è cresciuta la loro amicizia; è lì che hanno fatto, sempre di più, esperienza del cuore di Gesù, di quello che si portava dentro! I discepoli ricorderanno per tutta la vita quei momenti, come i momenti più preziosi del loro stare insieme con Gesù: come amici, riuniti intorno al fuoco!
Ma, avvicinatevi in silenzio, perché stasera la atmosfera è profondamente diversa: devono radunarsi di nascosto, in una cantina: c'è soltanto un lume fumigante, che rischiara un po’; quasi fan fatica a vedersi l'un l'altro.
È già da parecchio tempo che Gesù si è messo in urto con i capi del popolo e ormai lo scontro è aperto: i soldati lo cercano, hanno mandato anche delle spie nel loro villaggio. I discepoli cominciano a dubitare addirittura dei parenti; si sentono perseguitati! Non solo, ma Lui ha detto che vuole andare a Gerusalemme, che vuole parlare anche là! Ne hanno parlato fra di loro, a gruppetti di due o di tre, hanno espresso l'un l'altro le proprie paure, le proprie ansie; ed hanno deciso che stasera ne parleranno a Gesù, Lo affronteranno. Basta! è ora di finirla; troppo pericolo, ormai!
In silenzio, dunque, un po' preoccupati... guardate: arriva Gesù! Ravvolto nell'ampio mantello, per non farsi vedere, come un congiurato! Si siede, guarda intorno i discepoli con la faccia tesa, preoccupata; e aspetta che parlino. Ed è Pietro, come al solito, il primo ad alzare la voce: quasi gridando, dice a Gesù: "Basta! Basta, non ne possiamo più! Ti rendi conto che qui stai mettendo in pericolo anche la nostra vita? Adesso dicono che vuoi andare anche a Gerusalemme... A far che? A scontrarti contro il potere di questo mondo? Non vedi? hanno le armi, sono potenti. Dove vuoi andare?! Là, rischi soltanto la morte e metti in pericolo anche noi".
Gesù lo guarda, aspetta che finisca; e poi, fissandolo negli occhi: "Pietro, cosa mi chiedi? di essere un vigliacco? di smettere? Le parole che vi ho detto... vuoi che non ci creda più? Abbiamo parlato di Dio, della giustizia, della libertà... e adesso, perché c'è pericolo, mi chiedi di smettere, di andarmene! Perché hai paura; perché avete paura, per voi stessi e per me.
No! Io voglio essere fedele sino in fondo! Io DEVO andare a Gerusalemme! È la mia missione, il compito della mia vita: devo gridare al mondo quello che mi porto dentro: le parole della giustizia, le parole della vita! Costi quel che costi. Capisco che metto a rischio anche voi; ma non posso far altro. È la giustizia, è Dio che mi chiama!".
Un altro dei discepoli, con voce più sommessa, perché Gesù ha quasi gridato, dice: "Ma non pensi a tua madre, ai tuoi parenti...". Non sa più quel che dice, balbetta. Gesù rimane un momento in silenzio, lo sguardo fisso nel vuoto, quasi perduto nei ricordi: "Sapessi quante volte ci ho pensato, a mia madre! Perché, vedi, lei era rimasta vedova, quando io me ne sono andato via dal villaggio. E mi chiedeva di restare: ero l'unico appoggio per la sua vecchiaia! Quante volte me l'ha detto: "Gesù, dove vai? Che vai in giro per il mondo! Rimani qui! Qui, siamo gente semplice, ma buona: rimani con noi. Io ho bisogno di te."
Anche lei all'inizio non capiva. E - anche voi lo sapete - è venuta a cercarmi anche qui, mia mamma! È venuta a cercarmi perché aveva paura per me, perché non voleva restar sola... E poi, pian piano, faticosamente, anche lei ha capito! Ha capito che doveva lasciarmi libero, che dovevo andare per la mia strada, che dovevo parlare di quello che avevo dentro: come un fuoco, che aveva bisogno di divampare, di ardere nel mondo! Ha capito. E - avete visto - adesso non viene più! Non mi raccomanda più di tornare a Nazareth! Lei sa! Sa che devo andare per la mia strada, sa che devo essere me stesso, sa che non posso essere un vigliacco!".
"E perché - riprende Gesù, guardando quel discepolo negli occhi - perché solo ora mi parli di mia madre? Perché non me ne hai parlato giorni fa, un mese fa? Perché non ti sei accorto che io, quando son venuto qui, tutto il tempo che ho passato con te, non l'ho passato con lei?! Adesso, perché hai paura, mi ricordi mia madre! No! Se ti facevo comodo prima, devo farti comodo anche adesso: adesso che sei in gioco anche tu; adesso che è in gioco anche la tua vita e non soltanto la mia!".
Un altro discepolo ha ancora il coraggio di alzare la mano: "Gesù, ma qui veramente è in gioco la tua vita! Se vai a Gerusalemme, lo sai che ti aspetta: ti mettono in croce! È finita per te! E se è finita, che senso ha tutto quello che hai detto? Finirai sotto terra, come tutti!". Gesù lo guarda e quasi gridando dice: "No, non sarà la fine! Nella lunga storia degli uomini, molti hanno rischiato e perso la vita: i profeti che hanno alzato la voce contro i potenti; i giusti, che hanno difeso e nascosto un uomo innocente che fuggiva impaurito; i soldati che hanno difeso la propria gente; i magistrati che hanno cercato la giustizia; chiunque ha difeso i diritti dei deboli! E noi li ricordiamo come eroi, è tutta questa gente che ha mandato avanti il mondo, la loro vita è stata preziosa! Certo sarebbe bello se nel mondo tutti credessero nella giustizia e nel bene, ma non è così...
Cosa mi chiedete: di essere un vigliacco? di tornare indietro? Se tra tanti anni si parlerà ancora di me, sarà perché avrò avuto il coraggio di essere fedele sino in fondo: non soltanto di dire parole, ma di crederci sino in fondo! Ed anche voi! Vi ricorderanno perché siete andati dietro ad uno che ci ha creduto sul serio, ad uno che è stato fedele sino in fondo: non ad un chiacchierone, ad uno che sapeva dire soltanto belle parole. La vita è degna di essere vissuta solo se uno ha nel cuore qualcosa per cui valga la pena di morire. E a volte gli sembrerà di dover “odiare”, il padre, la madre, i figli, gli amici... per restare fedele.
Io ho deciso: io vado a Gerusalemme. Voi pensateci. Se volete, venite con me!".
Gesù nella foga del discorso si è alzato in piedi: si è reso conto di aver gridato. I suoi discepoli hanno l'aria spaventata, impaurita. E allora, dopo un momento di pausa, riprende a parlare, quasi sottovoce: "Non abbiate paura, io so che avete parlato perché mi volete bene, perché volete difendere la mia vita, ma, vedete, ora troviamo in un momento drammatico e voi mi chiedete di rinunziare a me stesso! Ma altre volte vi sarà capitato, nella vita di ogni giorno, che, proprio pensando di voler bene - a vostra moglie, ai vostri figli - avete tentato di farli come voi, di far loro seguire le vostre idee, avete cercato di impedir loro di essere se stessi e di essere liberi sino in fondo!
Vedete, non so se posso aiutarvi a capire - continua Gesù - ma tutti noi abbiamo l'istinto di difendere la nostra vita, il nostro spazio vitale, le nostre idee, le persone a cui vogliamo bene. E qualche volta non ci accorgiamo che, con questa voglia di difendere tutto, difendiamo soltanto le nostre paure, difendiamo soltanto la nostra voglia di possedere uomini e cose!
Vedete, l'istinto di conservazione, è uno degli istinti più profondi, una delle molle fondamentali della vita! La materia, la natura, la vita si basano sull’istinto di conservazione! Guardate Dio! Dio è al polo opposto: Lui è dono totale, non vuole possedere niente: Lui è gratuità, è amore! Chissà se un po' dell'amore di Dio può attraversare la vostra vita! Sì, a volte costa! Ma lì è la pienezza della vita: la pienezza della vita non è quando ci difendiamo, quando siamo impauriti, quando cerchiamo di possedere uomini e cose! La pienezza della vita è quando viviamo la libertà, la gratuità, la pienezza dell'amore!
Così è Dio! Chissà che un po' della Sua vita possa attraversare anche la vostra vita".
...ed anche la nostra vita! Il Signore ci aiuti.
"I figli di questo mondo... XXV Domenica del tempo ordinario - 24 settembre 1995
sono più scaltri dei figli della luce". Luca 16, 1-13
Qualche piccola premessa prima di iniziare. Sabato sera e domenica, dopo ogni messa, c'è stato qualcuno che esprimeva perplessità sulle cose che avevo detto: le parole erano sembrate piuttosto paradossali e, soprattutto - quello che più d'uno mi ha detto - "erano solo domande, senza risposte". Vorrei farvi notare due cose, per capire un po' quello che dico ed anche il modo come lo dico.
La prima è banale: già da 25 anni sono qui e mi porto dietro, ogni volta che tento di dirvi qualche parola, l'incubo di ripetere sempre le stesse cose; di più: c'è da qualche anno qualcuno che scrive quello che dico; e prima di venire qui lo rileggo. Quindi ho sempre la preoccupazione di non dirvi cose già dette, per non annoiarvi più di tanto. È per questo che, nello sforzo di dire qualcosa di nuovo, talvolta mi capita di dire parole che suonano paradossali e provocatorie.
Ma è soprattutto una delle osservazioni che mi si facevano: "più domande che risposte", che merita una parola di commento. Dalla fede, dal Vangelo - ci torneremo anche oggi - e soprattutto da una predica non ci si dovrebbero aspettare prima di tutto risposte, ma domande, possibilmente quelle giuste, perché è compito di tutti noi cercare e trovare le risposte. Chi sono io, per dirvi quello che è giusto, per interpretarvi la Parola del Signore? Lo sforzo di capire deve farlo ciascuno di voi e nessuno può togliervi questa fatica.
E c’è una terza cosa che vorrei dirvi: se qualcuno ha qualche perplessità, dopo la Messa o durante la settimana, chi ha un po' di tempo, venga: magari possiamo spiegarci meglio; anche perché le prediche devono essere corte il più possibile. E poi, soprattutto, ciascuno di voi ha il diritto - e non glielo do io, glielo dà il Padreterno - di pensare quello che vuole, di non essere d'accordo con quello che dico. Quello che dico io non ha nessuna garanzia di verità, di autenticità: sono parole di un povero prete che cerca di dire quello che pensa e di dirlo il più semplicemente possibile.
Questo vale sempre. Vale anche di più stasera: perché mi avventuro nell'attualità, recente... e anche futura. E quello che dirò, forse, lascerà perplesso qualcuno di voi, e più d’uno non sarà d'accordo. È la cosa più normale di questo mondo; specialmente quando ci si avventura in problemi d'attualità.
Perché stasera vorrei riprendere con voi la provocazione che Gesù ci ha fatto. In fondo, che cosa ha detto Gesù attraverso questa parabola? Che spesso i "figli delle tenebre", cioè quelli che si preoccupano di far soldi magari rubando, rapinando, vendendo armi o trafficando droga, sono più astuti, più capaci capire quello che serve o nuoce al loro scopo, sono più capaci di interpretare i fatti, gli avvenimenti, dei "figli della luce", cioè di quelli che cercano (o dovrebbero cercare) il bene.
Ecco la domanda: perché tanto spesso noi Cristiani, noi Cattolici, non ci accorgiamo di quello che accade, non siamo capaci di interpretare la vita? E vorrei farvi due esempi, un po' scottanti forse; ed è per questo che il discorso si fa un po' complicato. E quindi ve lo ripeto - ma è scontato! - ciascuno di voi, se non è d'accordo, non si preoccupi: ha tutto il diritto di pensarla come gli pare.
Questa estate mi capitava di parlare con altre persone della faccenda di quell'ufficiale responsabile dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, che si cerca di far venire dall'Argentina. Ed io dicevo: "Sono passati 50 anni! Sarebbe ora di smetterla di andare a cercare i responsabili! Adesso è ora di cercare di capire". E dicevo: "Se fossi Papa (non vi preoccupate: questo è un pericolo che non correte), io scriverei una lettera ai Cristiani - prima di tutto ai tedeschi, ma poi forse anche a voi - per dire: "Gente, sono passati 50 anni: adesso, non pensiamo più a cercare il colpevole: cerchiamo di capire! Perché tanti Cattolici non si sono accorti di niente - cardinali, vescovi, preti, suore - e tanti Cristiani di tutti i giorni, non hanno capito ciò che accadeva? Non hanno saputo di campi di concentramento, dello sterminio di milioni e milioni di persone! Tanti Cattolici hanno creduto che il Nazismo fosse difensore della Chiesa, come da noi il Fascismo. Per tre anni - direi ancora - nella Chiesa non si parli di altro, ora cerchiamo tutti di capire perché tanti che leggevano il Vangelo ed andavano a Messa ogni domenica non hanno capito quello che accadeva? E non si trattava di qualche sciocchezza, ma di crimini gravissimi contro l’umanità". Perché sono stati sterminati milioni di persone nel silenzio, nell'indifferenza di tanti cristiani? C’è qualcosa che non va... è fondamentale capire; altrimenti, che ne facciamo delle parole del Vangelo?
Ma veniamo più vicino a noi: qualche cosa che, forse, è ancora più provocante per voi: ci prepariamo ad assistere al processo all'on. Andreotti. A me non interessa sapere se è colpevole o no: questo è compito dei giudici ed io, per fortuna, non son chiamato a giudicare, perché avrei molta difficoltà. Quello che mi interessa è capire.
Guardate: quest’uomo va a Messa tutte le mattine; e ricordi della mia gioventù mi fanno pensare che ci vada con cuore sincero, mi è capitato più volte di partecipare con lui alla Messa. Quest'uomo ha bazzicato, per tutta la sua vita, cardinali, vescovi, preti, suore, frati; ha ricevuto il consenso di milioni di Cattolici; era uno dei politici più ascoltati in Vaticano.
Perché non ha capito, lui per primo, e perché non hanno capito tanti altri, che certi suoi atteggiamenti, che un certo modo di far politica era pericoloso e poteva, oggettivamente, corrompere la vita sociale e favorire la mafia? Perché non si sono accorti di niente e i Papi, che lo hanno più volte benedetto, e i Vescovi, che lo hanno appoggiato, e tanti cristiani, che lo hanno votato: perché non abbiamo capito? Perché non ci siamo accorti di niente? Perché tutto questo è passato nel silenzio - se non nel consenso e nel compiacimento - di schiere numerose di cattolici?
Vedete che le domande sono serie! Forse ha ragione Gesù quando dice: "Non capite quello che vi succede intorno, non sapete guardarlo! Perché non siete capaci di leggere i segni dei tempi? Perché non vi accorgete di quello che accade?"
Qualcuno di voi dirà: "Ancora domande. E le risposte?". Le risposte, fratelli miei, non ci sono; o almeno io non ce l'ho. Ma provo a darvene qualcuna. Però attenzione! forse le domande sono serie, le risposte lo sono molto meno! Ma le dovete cercare voi, come tento di cercarle io.
Allora, la prima risposta al "Perché non ci accorgiamo?" è proprio questa: noi siamo abituati a cercare - nella Chiesa, nella fede, nei preti, nelle prediche - più le risposte che le domande. Invece una persona seria dovrebbe cercare domande e tentare, per quanto lui può, di dare risposte. Perché, se noi educhiamo un popolo (e questo è stato fatto per lunghi tempi, nella storia della Chiesa) ad avere soltanto risposte, ad avere dottrine prefabbricate, regole e leggi, senza che sia mai possibile far domande (quante volte, quando eravamo ragazzi e facevamo qualche domanda ad un prete ci siamo sentiti rispondere: "Sta' zitto, tu, che non capisci: è un mistero!") non possiamo meravigliarci se poi, tutti, non capiamo più niente! Se leggete il Vangelo, vi sono più domande che risposte.
La seconda risposta che ho tentato di darmi è questa: spesso nell'educazione cattolica si assiste ad una profonda dissociazione tra la coscienza individuale e la coscienza sociale e politica. Non ci hanno forse insegnato (ce lo insegnavano; ma in parte è vero anche adesso) che l’importante è guadagnarsi il paradiso, pensare a salvarsi l'anima; che i problemi dell'economia, del mondo del lavoro, del denaro, appartengono alle cose che passano! Noi non siamo abituati a porci domande su problemi di questo genere. Quello che conta è lo spirito, è l'interiorità! Non conta l’aldiquà: l’aldiquà appartiene alla gente del mondo, ai "figli delle tenebre"... Ma poi non ci dobbiamo meravigliare se i "figli della luce" non capiscono, se non si rendono conto di quello che accade!
Nella storia della Chiesa, strutture fondamentali della vita dell'uomo: il lavoro, l'economia, il denaro, la sessualità, la vita sociale e politica, sono state considerate di secondaria importanza, se non addirittura relegate nello spazio del peccato. È stata elevata a modello la vita dei monaci, che pensano solo allo spirito e disprezzano la vita materiale, che si tengono lontani da "tutte le cose del mondo". Allora è facile capire cosa ha portato molti cristiani all’incapacità di "leggere" la vita. Chi, come me, ha provato - anche quest'anno l’abbiamo fatto insieme - a cercare la "dottrina sociale della Chiesa", ha trovato soltanto una serie sconcertante di affermazioni banali, quando non delle autentiche sciocchezze.
E c'è ancora una terza risposta che io ho tentato di darmi, forse la più evangelica delle risposte: il non capire viene dal sentirsi buoni, dal sentirsi giusti; da quella che è la più devastante dottrina cattolica: quella dell'infallibilità, quando viene estesa alla vita di ogni giorno!
Mettetevi nei panni di un povero cristiano: che deve pensare un uomo che va a Messa tutte le mattine, che viene benedetto decine di volte da tutti i Papi che ha incontrato nella sua vita, che riceve il consenso di vescovi, preti, suore, frati e del popolo cristiano: che deve pensare, se non che è benedetto anche da Dio? Che deve pensare, se non che chi è amico suo, è amico anche di Dio? Se gli danno dei soldi - che magari spende, almeno in parte, per beneficenza o per aiutare tante parrocchie (a Roma tante parrocchie sono state aiutate così): che deve pensare, se non di essere benedetto da Dio e che anche questi soldi sono benedetti da Dio? "Ma forse vengono dalla mafia, forse Sindona non è una persona tanto per bene...". Sindona era di casa al Vaticano e allo IOR!... Allora, che deve pensare un povero cristiano?!
Sentirsi giusti, sentirsi dalla parte di Dio! Non dimenticate: sui cinturoni delle SS c'era scritto: "Got mit uns": Dio è con noi! Loro ne erano convinti. Ma anche milioni di Cattolici, erano convinti che Dio fosse con loro! Perché? ecco la domanda. E questi sono solo esempi: la domanda ci riguarda tutti nelle circostanze concrete della nostra vita: perché tanto spesso non riusciamo a capire?
Vedete: le domande che vi ho fatto forse sono serie; le risposte forse lo sono un po' meno: il discorso sarà per qualcuno risultato provocatorio. Se a qualcuno dà fastidio, porti pazienza! Senza pazienza, dicevano i nostri vecchi, non si va in paradiso! Chi è capace di pensare, tenti di pensare; perché sono domande essenziali!
E, se ho capito bene, non ve le faccio io: stasera è Gesù che ve le fa. Ci dice: "Guardate i figli delle tenebre! E voi, che volete essere figli della luce, perché non capite mai?".
Il Signore ci aiuti a capire almeno un po'!
Gli apostoli dissero al Signore: XXVII Domenica del tempo ordinario - 8 ottobre 1995
"Aumenta la nostra fede!". Luca 17, 5-10
Volete sorridere un po', stasera? Forse c'è ancora tra voi qualcuno così sconsiderato, che non sa di vivere in una parrocchia particolarmente fortunata. Perché? Perché il parroco fa miracoli! Quest'estate più di uno ha fatto esperienza che, avendo mal di stomaco, se beveva un bicchiere del tè fatto dal parroco, prontamente guariva... Qualcun altro ha fatto esperienza che, venendo dal parroco a chiedere una benedizione, una preghiera per qualche guaio o per qualche malattia, spesso otteneva la grazia e la guarigione; e se non guarisce dipende dal fatto che è cattivo: perché Dio (come sentivo in una specie di predica, tempo fà) non ama fare grazie a quelli che sono cattivi...
E qui bisogna che mi fermi: perché può esserci anche più d'uno, fra di voi, che non prende queste parole come barzellette, ma come discorsi seri... e magari poi mi vengono a chiedere una benedizione o di fare una grazia!
Il fatto è che c'è sulla faccia della terra tanta gente che si lascia imbrogliare così, tanta, troppa gente che approfitta, della credulità altrui, che sfrutta le debolezze e i bisogni degli uomini. Vedete, son discorsi da fare - e chiedo scusa se ho cominciato raccontando barzellette - con delicatezza e rispetto. Perché qui ci si avvicina al dolore, alla sofferenza, al bisogno dell'uomo; e questo va sempre fatto con grande delicatezza e rispetto.
Però, vedete, gran parte della religione è costruita proprio a partire dai bisogni dell'uomo: dalle sue debolezze, dalle sue malattie. In ogni angolo della terra l'uomo ha inventato, ha creato delle divinità, che venissero incontro ai propri bisogni, alle proprie debolezze, alle proprie malattie: delle divinità specializzate, chi nel guarire, chi nel far venire la pioggia, chi nel proteggere i viaggi, ecc...
E a queste divinità, che servono alla vita dell'uomo, bisogna pagare un prezzo. Com'è normale: perché noi siamo abituati a rapporti commerciali, con tutti: col negoziante... ma anche, qualche volta con gli amici, o addirittura con i figli. Ogni cosa ha un prezzo, ogni cosa si paga. Figuratevi se non si deve pagare qualche cosa a Dio! Magari con preghiere, sacrifici, offerte, digiuni. Si è arrivati, nella storia delle religioni, quasi in ogni angolo della terra, all'abominio di offrire a Dio sacrifici umani, quando la cosa da chiedere era di particolare importanza.
E in ogni angolo della terra c'è stato qualcuno che si è messo in mezzo tra la gente ‑ tra i bisogni della gente ‑ e la divinità: stregoni, sacerdoti, santoni di ogni genere, che pensano di guarire, di fare miracoli, di distribuire grazie in nome di Dio. -"Ma qualche volta Dio la grazia non me la fa!". -"Eh! è colpa tua: sei cattivo, oppure non hai saputo pregare abbastanza bene; oppure non hai fede! Oppure, come spesso succede, non hai pagato abbastanza: bisogna che paghi di più!"
Fratelli: a me piacerebbe potervi dire: "Sì, venite da me. Io vi do una benedizione e il Signore esaudirà la vostra richiesta; io vi do una benedizione e il malato che avete in casa guarirà". Ma non posso dirvelo, perché non è vero! Forse potrebbe essere utile che la religione fosse questo; ma è un'altra cosa!
Allora potreste chiedermi: "Che cos'è, allora, la fede?". Vedete, anche questo non so dirvelo fino in fondo. Non so se mi riesce, ma vorrei aiutarvi ad intuire qualche cosa, come l'ho intuita io!
Vedete, tutta la nostra vita è intessuta di bisogni, in ogni cosa cerchiamo il nostro interesse: di fronte ad uomini e cose, ci domandiamo sempre "A che cosa ci serve? A che cosa può essere utile? A che cosa mi servi tu? A che cosa mi è utile questo lavoro che faccio? E quanto devo pagare?". Viviamo quasi sempre dei rapporti commerciali, basati sull'interesse, sull'utile.
Ma pensateci un momento: le esperienze più profonde della nostra vita - quando ci sembrava di toccare con mano il fondo stesso dell'esistenza - non le abbiamo vissute quando abbiamo fatto esperienza di gratuità? Molti di voi hanno dei figlioli: non è vero che, quando avete avuto tra le mani per la prima volta il vostro bambino, non vi siete domandati a che cosa vi serviva?! Avete soltanto gridato la vostra gioia, il vostro stupore, la vostra meraviglia, per questa vita che avevate tra le mani!
Non v'è capitato qualche volta di fare - anche nell'amicizia o nell'amore, per chi l'ha vissuto fino in fondo - esperienza di gratuità? Quando vi sentivate amati e amavate l'altra persona così com'era: non perché vi serviva, al di là del bisogno e dell’interesse, con la sola gioia di condividere la vita, e di donarvi l'uno all'altro!
E non avete qualche volta fatto - anche di fronte alla natura - l'esperienza della bellezza? Di fronte ad un tramonto, di fronte al cielo stellato, di fronte alla grandezza del mare, non vi siete domandati se ne potevate ricavare qualche cosa: vi siete fermati a contemplare! vi siete stupiti! e avete toccato con mano qualche cosa del fondo dell'esistenza!
E non è vero che avete considerato un eroe chi aveva saputo vivere, non cercando solo il suo interesse - com'è naturale che lo cerchiamo - ma sapendo credere in qualche cosa, portandosi un ideale dentro, per cui vivere ed anche morire? Non avete ammirato chi aveva saputo donare la sua vita per qualcosa di più grande di lui: per la giustizia, per il bene degli altri, per l'amore che si portava dentro?!
Se queste sono le esperienze più profonde della nostra vita, non è giusto che anche la fede la mettiamo su questo versante? E non è bello per un credente incontrare Dio non a partire dai propri bisogni, dalle proprie debolezze, ma nella gratuità, nello stupore, nell’amore totale?
Guardate Gesù: ogni volta che Lo hanno cercato perché volevano dei prodigi, dei miracoli, Lui scappava! Lui, ha creduto e amato fino in fondo, anche quando gli è costato la vita! L'unico Dio in cui noi crediamo, è un Dio inchiodato su una croce: impotente, inerme: non può nemmeno staccare la mano! Gliel'hanno detto, sotto la croce: "Se sei Dio, scendi! e crederemo. Se sei Dio - dicevano quelli che erano crocifissi con Lui - salva te stesso ed anche noi!". Ma non li ha salvati e non ha salvato sé stesso: è rimasto là, inchiodato sulla croce, fedele fino in fondo, in un amore totale! Ed è l'unico Dio in cui noi crediamo.
No, non possiamo incontrare Dio in un rapporto commerciale - io ti do questo e tu...- e nessuno può mettersi in mezzo, fra noi e Lui! Io non posso dirvi: "Sì, rivolgetevi a me, e Dio vi farà le grazie che chiedete". No! Io posso essere - se mi riesce - in mezzo a voi, testimone di gratuità; posso aiutarvi a cercare la luce di Gesù! Perché è la luce che illumina, che trasforma, che fa bella la nostra vita!
Avere un briciolo di fede "che sposta le montagne" non significa operare prodigi e miracoli; significa essere capaci di conservare nel cuore la speranza, di continuare a credere nell'amore, nella gratuità, continuare a condividere la vita, a tendere una mano a chi ci sta accanto, a donare un bicchiere d’acqua! Essere capaci di continuare a credere che Gesù ha ragione, che è la Vita! Anche se, come succedeva al profeta Abacuc, le nostre preghiere rimangono inascoltate!
La nostra fede è fede nella gratuità, è fede nell'amore da cui tutti veniamo, è fede nella luce di Dio, che si è manifestata in Gesù di Nazareth!
Il mio tè forse è buono, perché è buona la bustina che ci metto dentro; forse ci metto zucchero e limone a sufficienza; ma niente di più... chi ha il mal di stomaco, purtroppo se lo tiene.
Io vorrei continuare ad essere (e per questo preghiamo insieme, stasera) in mezzo a voi testimone di speranza, della ricerca di Gesù: con cuore sincero, al di là di quello che possa servirci nell'immediato.
Il Signore ci aiuti!
Ma il Figlio dell'uomo... XXIX Domenica del tempo ordinario - 18 Ottobre 1992
troverà la fede sulla terra?" Luca 18, 1-8
Vedete anche a noi, alla maggior parte di voi, come a me, è capitato di essere stati educati come la gente del tempo di Luca: con l'idea - idea che si è radicata nel profondo di noi stessi - che pregare sia cambiare Dio, farlo volgere dalla nostra parte. C'è gente - fra di voi spero pochi - c'è tanta gente nel mondo che si ricorda di pregare solo quando ha bisogno di qualcosa, quando ha bisogno di una grazia e allora moltiplica le preghiere... Ogni tanto capita di trovare in chiesa qualche foglietto con su scritta una preghiera che bisogna scrivere per 13 volte o, qualche volta, addirittura per 25 volte! Quasi che a forza di insistere, come sembra dire il Vangelo di oggi, Dio (o i suoi santi) alla fine quasi seccato, come il giudice della parabola dica: "Beh facciamogli questa grazia! E venuto qui per 25 volte, ha scritto tante volte la sua preghiera, ha insistito...". Molti di noi si portano dentro questa immagine della preghiera. Molti di noi pensano che pregare sia cambiare Dio, piegarlo ai nostri desideri, a quello che ci sta a cuore; non dico a desideri di male, a desideri a volte giusti: le cose che ci premono, che ci sono care, che ci portiamo in fondo al cuore.
Questa - se ci pensate bene - è la preghiera pagana. In tutti i santuari del mondo antico si sono trovati tanti ex-voto, piccole raffigurazioni di braccia, gambe, teste: il segno della gente che andava nei templi a pregare la divinità perché si chinasse a guarire, perché si muovesse a compassione e venisse incontro ai bisogni espressi nella preghiera.
Noi, che crediamo al Vangelo, ci portiamo nel cuore l'idea che Dio non ha bisogno di essere cambiato: siamo noi che abbiamo bisogno di essere cambiati!
Luca tenta di dirci, attraverso la strana parabola che oggi abbiamo ascoltato, che rischiamo di paragonare Dio a questo giudice disonesto, che solo per non essere più scocciato si occupa della vedova.
Ma alla fine Luca ci fa intravedere il vero senso della nostra preghiera: "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà ancora la fede sulla terra". Ecco la vera ragione della preghiera: conservare la fede! Se credere è conservare nel cuore il senso della gratuità e dell'amore di Dio, se credere è conservare i valori di Gesù: l'onestà, la generosità, l'altruismo, lo spirito di servizio. Ah, allora è necessario pregare ogni giorno!
A quelli di noi che vanno ogni mattina sul posto di lavoro capita di trovare accanto a sé chi ha poca voglia di lavorare, chi si approfitta, chi prende tangenti, chi è disonesto... e corre il rischio di dire: "fanno tutti così, perché non lo faccio anch'io?" Ma se lo facciamo abbiamo perso la fede non ci portiamo più dentro il coraggio dell'onestà, la fiducia negli altri, il rispetto, il senso della giustizia... i valori di Gesù.
Noi ci ritroviamo in chiesa ogni domenica proprio per prenderci per mano, per sostenerci l'un l'altro, per aiutarci a conservare la fede, e soprattutto per incontrarci con Gesù, per guardare il suo amore, per nutrirci di Lui, per conservare nel cuore i valori per cui Gesù è vissuto.
Vedete allora la preghiera non diventa più l'espressione del bisogno che ciascuno di noi si porta dentro: chi ha le ossa che scricchiolano, chi ha un figlio un po' scapestrato, il ragazzo che domani ha un compito importante da fare... tanti bisogni e la preghiera rischia di farci più egoisti: ognuno pensa ai suoi bisogni e magari quello che fa comodo a me, non fa comodo a qualcuno di voi... La preghiera invece dovrebbe essere il nostro incontro con la gratuità e l'amore di Dio, il combattimento per conservare nel cuore i valori veri e profondi della vita. La preghiera non può cambiare Dio, può cambiare il mio, il nostro cuore, può conservarci la fede, la fede in Gesù e nei suoi valori.
Lo Spirito Santo ci aiuti a conservare la fede fino all'incontro con Gesù!
"...un uomo di nome Zaccheo XXXI Domenica del tempo ordinario - 4 novembre 2001
cercava di vedere Gesù, ma non Luca 19, 1-10
gli riusciva a causa della folla..."
Nella mia lunga esperienza di prete avrò raccontata questa storia di Zaccheo migliaia di volte. L'ho raccontata quasi sempre ai bambini che si preparavano alla prima Comunione; l'ho raccontata agli adulti, perché ritengo questa una delle pagine più belle del Vangelo di Luca.
Credevo quindi di non poter trovare nulla di nuovo in questa storia, invece questa volta mi ha colpito l'albero. Mi son chiesto: perché fanno salire Zaccheo su un albero? È una cosa strana! Immaginate: Zaccheo era probabilmente una persona anziana; lo fanno arrampicare su un albero e nascondersi tra le foglie del sicomoro. Se hanno scritto una cosa così curiosa, forse c'è qualcosa d'importante in quest'albero.
Quest'albero è importante, perché soltanto se sale sull'albero Zaccheo può vedere Gesù, può liberarsi dalla folla! Dobbiamo forse anche noi salire su un albero per vedere Gesù? Forse sì: perché anche noi abbiamo bisogno di andare oltre la folla! E tutti noi abbiamo una folla che minaccia di bloccarci: tutti noi viviamo in mezzo alla folla: il rumore di questo mondo! tante chiacchiere, tutte le mode che passano, la gente che grida; guardiamo la TV: ci propone cose di ogni genere...
Che spazio c'è per la ricerca di Gesù? Che spazio c'è per la ricerca della Luce? Dobbiamo, avere il coraggio, qualche volta, di andare al di sopra della folla, del rumore, del chiasso, delle tante voci che sentiamo. Ci sono cose che distraggono i ragazzi, presi dalle loro musiche, dai loro miti; ci son cose che distraggono gli adulti; forse cose che distraggono gli anziani!
Ma forse c'è un'altra folla: la folla delle tradizioni, la folla dei riti religiosi: ci siamo abituati e spesso è solo esteriorità. Belle processioni, grandi racconti di Santi, di miracoli: le cose che si son sempre fatte, le parole che abbiamo sempre ripetuto... Forse anche qui abbiamo il bisogno di salire su un albero, di ritrovare occhi nuovi, per chiederci: Gesù chi è? che dice alla mia vita? A volte diamo le tradizioni religiose per scontate: si è fatto sempre così! Ma io? che c'entro io con tutto questo? Forse debbo andare al di là della folla delle tradizioni, delle parole che si sono sempre ripetute.
E non basta: forse dobbiamo andare al di sopra anche dei nostri bisogni. Nella vita di ogni giorno abbiamo tante cose da fare: sempre a correre; il lavoro; poi bisogna preoccuparsi dei figli; poi bisogna far quadrare i conti alla fine della settimana... Tutte cose importanti, tutte cose che fanno parte della nostra vita, le cose di ogni giorno che ci prendono. C'è la possibilità di salire su un albero, di guardare il mondo, la vita, con occhi diversi? di trovare il senso intimo, profondo, di quello che facciamo, di quello che siamo? Rimane - nell'affanno di ogni giorno, nei tanti problemi - il tempo per cercare la Luce, per cercare i valori, per cercare l'autenticità del nostro ESSERE?
Non solo: spesso anche la nostra religiosità parte dai nostri bisogni: abbiamo bisogno di protezione, di qualcuno che ci custodisca. Quand'ero ragazzo mi facevano ripetere ogni tanto la "Supplica alla Madonna di Pompei", che dice: Se Voi non ci volete aiutare, diteci almeno a chi dobbiamo rivolgerci!
Noi abbiamo bisogno di qualcuno che ci protegga, che ci aiuti. Forse anche qui abbiamo bisogno di salire su un albero? di andare al di là del nostro bisogno? di cercare con gratuità Gesù e la Sua Luce?
Ma forse c'è ancora di più: forse in questo albero c'è l'esigenza, per chi vuole credere, di andare oltre: oltre tutto, di cercare l'ALTRO, nella gratuità totale; di cercare il Sublime, di cercare (spero che la parola vi piaccia, come piace a me) di cercare il MISTERO! una luce che è aldilà di tutto quello che vediamo; la pienezza, la bellezza assoluta, il Sublime, la Gratuità totale, l'ALTRO che è Dio! Forse Zaccheo proprio perché era spinto dal bisogno di andare OLTRE, è salito su un albero. Ed ha potuto incontrare Gesù ed ha trovato in Lui la salvezza!
Tutti noi siamo qui intorno alla tavola: abbiamo accolto come Zaccheo l'invito di Gesù. Forse possiamo chiederGli che aiuti anche noi a salire su un albero, abbiamo bisogno di andare aldilà del rumore di ogni giorno, dei nostri bisogni. Abbiamo bisogno di essere appassionati di Luce, di cercare il Signore, di cercare Dio! di cercare l'Assoluto, il fondamento stesso della nostra esistenza!
Abbiamo bisogno di cercare: mendicanti di luce, di senso, di gratuità! di cercare senza stancarci! E qualche volta non è facile...
Il Signore ci aiuti!
"Dio non è Dio dei morti, ma dei XXXII Domenica del tempo ordinario - 11 novembre 2001
vivi; perché tutti vivono per Lui" Luca 20, 27-38
Chi si occupa della storia delle religioni e tenta di confrontare le religioni tra di loro cercando di capirne le somiglianze e le differenze, si imbatte presto in un fatto abbastanza curioso: in quasi tutte le religioni del mondo la vita dopo la morte, l'aldilà, occupa un larghissimo spazio. Invece nella Bibbia se ne parla pochissimo: nell'Antico Testamento l'idea della vita oltre la morte è praticamente inesistente; ed anche il Vangelo è molto sobrio. Da cosa può dipendere questo?
Vedete, per quel che ho capito io, Israele pensa che Dio vada cercato nella vita di ogni giorno, in questa storia; in un cammino di liberazione e di vita; mentre dell'altra storia, essendo la storia di Dio, è bene parlarne il meno possibile. Noi non sappiamo nulla, dice Israele, né di chi sia Dio né di che cosa ci sia prima della nostra storia né di quello che ci sarà dopo. Il discorso dell'aldilà rischia di essere pericoloso. E quindi Israele preferisce non parlarne. Avete appena ascoltato che al tempo di Gesù ancora ci sono dei rappresentanti della religione ebraica che negano ogni vita oltre la morte. Perché? Perché anche il Vangelo è così sobrio nel parlare della vita oltre la morte?
Forse perché è uno degli aspetti della vita religiosa che più si presta a permettere a qualcuno di usare il nome di Dio, di servirsi di Lui per affermare il proprio potere o il proprio fanatismo. Una delle prime manifestazioni religiose, fin dalla lontana preistoria, sembra essere proprio il culto dei morti. Si credeva che gli antenati sopravvivessero e potessero in qualche modo entrare in contatto con i viventi. E nelle tribù primitive c'è sempre qualcuno che pensa di interrogare i morti: gli antenati parlano attraverso la voce dello sciamano. Il quale sciamano, lo potete facilmente immaginare, può far dire al morto quello che vuole: lo sapete bene, il morto non parla! Nel momento in cui il morto "parla", lo sciamano gli può far dire quello che vuole.
Altre tradizioni sembrano più raffinate: voi sapete che nell'estremo Oriente non si parla di resurrezione o di sopravvivenza, ma piuttosto di reincarnazione: dopo la morte ci si incarna di nuovo, una, due, tre, forse decine o centinaia di volte... A molte persone, anche della nostra civiltà occidentale, questa sembra un'idea molto più suggestiva e accettabile. Ma a ben pensarci è una dottrina che rischia di impedire ogni liberazione personale: chi nasce paria, paria rimane: porta nella nuova vita il "karma", il peso di quello che è ha fatto nelle vite precedenti. In ogni reincarnazione noi portiamo il peso di quello che siamo stati: come uno nasce, così deve morire, non si può passare da una casta all'altra, non c'è possibilità di miglioramento, di progresso.
Nelle religioni della cultura occidentale si afferma piuttosto l'idea di un castigo e di un premio oltre la morte, spesso descritti in termini molto vivi. Per i cattivi c'è l'inferno, ai buoni invece è promesso il paradiso. Il paradiso sarà particolarmente bello per chi si sacrifica per la propria religione e il proprio Dio: capite che una simile dottrina in mano ai fanatici di ogni tempo ha spinto dei giovani al suicidio, che spesso coinvolgeva anche la vita di altri. È accaduto a volte nella nostra religione e purtroppo continua ad accadere in altre religioni anche ai nostri giorni. Ma senza arrivare al fanatismo l'idea di un premio nell'aldilà, di una compensazione futura alle sofferenze del presente non è servita spesso ai potenti per tener buone moltitudini di povera gente? E l'idea del bene fatto in vista di un premio o per paura di un castigo non è contraria alla gratuità che dovrebbe animare chi cerca il bene?
Forse, potremmo aggiungere un'altra riflessione: ne parlavamo la settimana scorsa con un mio amico prete e, scherzando, dicevamo: "La più strepitosa invenzione dei frati e dei monaci della nostra tradizione è lo sfruttamento dell'idea del purgatorio". L'insistere sull'idea che le anime dei parenti, dei genitori, dei figli stessero ad arrostire nel fuoco del Purgatorio e che si potessero liberare dando delle offerte, ha permesso a migliaia di monaci, di frati di arricchirsi. Abbiamo costruito la basilica di San Pietro e tante altre Chiese con la storia delle indulgenze!
Vedete dove si va a finire quando si comincia a dire quello che succede "di là"!
Forse Israele aveva un po' di ragione a dire: Attenti! C'è qualcuno che se ne può approfittare. C'è qualcuno che vi sa dire quello che dicono i morti; c'è qualcuno che cerca di mettervi in contatto con loro e che si approfitta di questo, c'è qualcuno che vi dirà che non potete cambiare niente della vita, perché così è stabilito dalla legge della reincarnazione! Ci sarà qualcuno che vi dirà di sopportare con pazienza ogni tribolazione, aspettando la consolazione futura... chi arriverà a chiedervi di sacrificare la vostra vita per guadagnarvi il paradiso…
Ma il Vangelo di oggi, oltre a metterci in guardia dai pericoli dello sfruttamento religioso, ha da dirci qualcosa? Forse sì e a mio avviso è molto importante. Gesù ci invita a fermarci sulla soglia del mistero. E di fronte al mistero sarebbe bene che spalancassimo gli occhi... con la mano sulla bocca per impedirci di parlare. Gesù sembra dirci: noi crediamo nel Dio della vita! Il nostro Dio non è Dio dei morti ma dei vivi! A Lui affidiamo la nostra vita! Gesù sulla croce dice: "Padre, nelle Tue mani affido la mia vita!". Punto. Basta. Il cristiano si ferma qui: sa che ogni altra parola è rischiosa.
Ma c'è un'altra cosa che il Vangelo di oggi ha da dirci per la nostra vita qui su questa terra. Chiedono a Gesù di chi sarà moglie una donna che abbia avuto sette mariti, evidentemente pensando che sia impossibile che tutti la amino. Lui sembra invitarci a pensare che il nostro amore è a volte possessivo e geloso. Il suo sogno è di farci figli di Dio, capaci di camminare verso un amore libero dalla volontà di possesso e dalla gelosia. Io ho incontrato a volte delle donne, ma anche degli uomini a cui era venuto a mancare il marito o la moglie ancora giovani; e quando trovavano un nuovo amore sembrava loro di fare un torto a chi non c'era più, di fare una grave offesa se potevano voler bene ad un'altra persona. Per noi è quasi impossibile pensare che si possa voler bene a più persone nello stesso modo. Ma per Dio no!
Ecco, Gesù vuole che conserviamo la fede nel Dio dei viventi. Il nostro Dio è il Dio della vita! La nostra vita è affidata a Lui! Gesù vuole metterci nel cuore il sogno di un amore libero e gioioso… per noi non è facile.
Il Signore ci aiuti!