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OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 2002-2003 - Vangelo di Marco
INDICE
"Il Figlio dell'uomo infatti non è XXIX Domenica del tempo ordinario - 19 ottobre 2003
venuto per essere servito, ma per Isaia 53,2-3.10-11 - Marco 10,35-45
servire e dare la propria vita..."
Come Gesù… "come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito ma per servire". Siamo arrivati alla fine del lungo viaggio in cui Marco ha tentato di condurci in queste domeniche e adesso capiamo perché alcuni studiosi dicono che si tratta di un viaggio impossibile per noi: essere come Gesù. Siamo qui nel cuore della nostra fede e, forse, nel cuore stesso della vita. E troviamo una parola "servire". Una parola che a più d'uno di voi, forse, non piace. Cercate di sostituirla. Alcuni preferiscono: "prendersi a cuore", altri "condividere". Non sono tanto importanti le parole, ma occorre riempirle di contenuti che siano vicini alla nostra vita, alla nostra esperienza.
Qui troviamo, secondo Gesù, il cuore della vita, ma non è semplice, a buon mercato: la strada - come abbiamo detto - è quasi impossibile. Si potrebbero dire tante cose a commento di questa pagina del Vangelo, si potrebbero fare decine, forse centinaia di prediche tutte diverse. Tento di dirvi soltanto un paio di cose, forse semplici, ma che ritengo particolarmente importanti.
La prima mi è suggerita dalla particolare giornata che oggi si vive. Fra una mezz'ora comincerà la grande celebrazione di Madre Teresa di Calcutta: uno dei grandi personaggi, delle grandi icone del servizio nel nostro tempo. Questa donna straordinaria ha girato il mondo, fondando ospedali, coinvolgendo tante suore nel suo servizio, ha dedicato la sua vita ai più piccoli, ai più poveri: un'icona importante, un'immagine preziosa.
Ci rammaricavamo, nelle domeniche precedenti, che questi personaggi - ce ne sono tanti, anche se meno importanti di lei - noi, purtroppo, non li conosciamo… è dunque un'icona preziosa, importante, forse un po' troppo strumentalizzata dai vari poteri che ci sono nel mondo e nella Chiesa. Oggi si celebra anche la "Giornata Missionaria", le offerte saranno raccolte per questo.
Ma se Teresa di Calcutta, se i missionari diventano l'unico modello del servizio, questo corrompe la nostra fede e, credo, il Vangelo.
Voglio dire che se il servizio è qualche cosa che riguarda persone straordinarie, gente che lascia tutto e va in giro per il mondo e non è qualche cosa di quotidiano, questo ci mette - tutti noi che siamo qui - fuori dal Vangelo e dalla Fede. Noi non potremmo vivere il servizio, non potremmo collocarci nel cuore stesso dell'esperienza religiosa così come ce la propone Gesù.
Fate attenzione: Gesù è vissuto in mezzo a noi - non sappiamo bene quanto - per farla larga trentacinque anni. Bene! In questi trentacinque anni la stragrande maggioranza, più di trentadue, li ha vissuti nel segreto del suo villaggio di Nazareth, senza che nessuno lo conoscesse, senza che nessuno parlasse di Lui, senza fare nulla di eccezionale.
Dio è venuto in mezzo a noi per trascorrere trentadue anni facendo il falegname, condividendo la vita con un gruppetto di persone, in un piccolo sperduto villaggio della nostra terra. Quello, forse, non è servizio? Ripensatela questa vita! Percorretela un momento con gli occhi della fantasia: quando era bambino, ha fatto anche Lui la fatica di crescere, di andare a scuola, di tentare di imparare, dl relazionarsi con gli altri, a volte con i prepotenti che ci saranno stati anche nel suo piccolo villaggio. E poi imparare un mestiere: il duro lavoro con il legno che non è sempre semplice addomesticare, imparare a piallare, a segare.
Avrà provato anche Lui a mettere in gioco tutte le capacità delle Sue mani per essere il migliore, per essere il numero uno tra i falegnami del suo villaggio. Sì! Ha fatto anche questo, altrimenti non sarebbe stato un uomo sul serio. Provatelo a guardare mentre fatica dal mattino alla sera, a volte andando in giro per i villaggi vicini con una cassetta sulle spalle, con i suoi attrezzi, a riparare la ruota di un carro, a fare una sedia, un tavolo e guardate, forse avrà provato anche Lui a metterci un abbellimento in più, a fare le gambe di un tavolo un po' più tornite, perché rallegrassero la vita dell'uomo. Avrà provato a fare il tavolo migliore, un tavolo come non si era mai visto!
Guardatelo! La sera stanco dal lavoro, a cena con gli amici, magari all'osteria a bere un bicchiere di vino, forse a raccontare una barzelletta, a suscitare un sorriso. Guardatelo! Mentre ascolta qualcuno che ha una pena da riversare sul Suo cuore, guardatelo mentre mette la mano sulla spalla di un amico per dargli coraggio, per condividere il dolore.
Ha, pianto, ha sorriso, si è divertito, ha scherzato con gli uomini, ha vissuto con loro l'amicizia, la fatica di lavorare, di essere uomo. Tutto questo è servizio! Tutto questo è prendersi a cuore gli uomini!
E allora, anche per noi, la vita condivisa di ogni giorno, la fatica di crescere, il lavoro fatto con passione cercando di essere i primi e di mettere in gioco tutti noi stessi: questo è servizio!
E poi l'attenzione verso gli altri, l'ascoltare un amico che ha qualcosa da dirti, la pazienza di tirar su i figli, l'incontro con una persona in difficoltà. E poi anche quel pizzico di fantasia: il mettersi la cravatta più bella per far piacere alla moglie, il portare un mazzo di fiori, il trovare ancora un po' di entusiasmo per far l'amore con passione con la propria donna. Questo è servizio!
Tutto questo è servizio! Tutto questo è vita condivisa, a volte semplice, a volte costa fatica, a volte bisogna arrivare fino in fondo, fino a perdere la vita.
Ma qui c'è un'altra corruzione della Fede e del Vangelo. Qualcuno pensa che soltanto quello che costa sacrificio è vero servizio. C'è gente in mezzo a noi che quando arriva alla sera contento di aver fatto qualcosa di buono, di aver teso una mano, e si sente soddisfatto, gli viene il dubbio: forse l'ho fatto solo per me, per soddisfare il mio egoismo?
C'è gente che pensa che a Dio… - lo avete ascoltato nella prima lettura - sia gradita la sofferenza, il dolore. È assurdo! Dio ama la vita, Dio ama il piacere, Dio ama la gioia e per questo anche il servizio, la vita condivisa, il prendersi a cuore. Dio ama le carezze fatte con tenerezza. Dio ama tutto quello che di bello possiamo mettere nella vita. Dio ama la passione con cui vi amate e fate l'amore. Dio ama le barzellette raccontate con gusto. Dio ama tutto quello che c'è di bello e buono nella vita.
Tutte le volte che si può! Tutte le volte che si può con gioia, con piacere, con allegria! Purtroppo non è sempre così! Dio non ama il dolore, la sofferenza, ma ama il coraggio di chi sa andare fino in fondo, chi la vita sa spenderla anche quando costa e, a volte, costa anche nel quotidiano: anche voi avete conosciuto la fatica di dedicare la vostra vita ai figli, di ascoltarli, di portare pazienza.
Anche voi avete conosciuto il peso del lavoro, la sofferenza di non riuscire, di non essere capiti, di incontrare ostacoli, di dover continuare a stringere i denti per continuare ad essere utili a voi e alla società. Anche voi avete conosciuto la sofferenza di guardare il mondo con occhi smarriti e non saper che fare, perché questo mondo sia, almeno un po', migliore di quello che è. Tutto questo è servizio! Tutto questo è vita! È la nostra vita!
In tutto questo tentiamo di essere come Gesù! Non è come Gesù soltanto Madre Teresa di Calcutta. Non è come Gesù soltanto ogni missionario che va in giro per il mondo. Lo è ogni mamma, ogni papà, ogni nonna, ognuno che fa il proprio dovere, ogni ragazzo che tenta di studiare e di essere il primo e fa bene a cercare di essere il primo nella sua classe! Non per sopravanzare gli altri, ma per mettere in gioco tutto sé stesso, per cercare di trafficare tutti i talenti che Dio gli ha dato. Tutto questo è servizio! Tutto questo è vita condivisa!
Anche noi tentiamo ogni giorno di essere come Gesù. Lo so, è quasi impossibile, ma Marco ce l'ha detto e ce lo dirà ancora la prossima volta. Siamo alla fine del viaggio, abbiamo toccato la cima della montagna. Adesso cosa ci resta? Se seguite il Vangelo di Marco ci resta un "cieco" sulla strada che grida: "Signore, fa che io ci veda!". Siamo noi quel "cieco", noi che tentiamo di vivere e a volte non riusciamo ad essere "come Gesù", ma continuiamo a camminare e a tentare di spendere la vita come possiamo, perché dentro di noi e intorno a noi il mondo sia un po' più bello.
Il Signore ci aiuti!
...cominciò a gridare: "Gesù, abbi pietà XXX Domenica del tempo ordinario - 26 ottobre 2003
di me. Rabbunì, che io riabbia la vista". Marco, 10, 46-52
Abbiamo finito stamattina di leggere le pagine più straordinarie del Vangelo di Marco e, forse, - almeno per quello che ho capito - le pagine più straordinarie di tutto il Vangelo.
Nelle domeniche precedenti, Marco ha tentato di condurci sulla strada della vita cristiana, in un viaggio che, secondo lui, è il cuore stesso della vita. Vi ricordate le tappe di questo viaggio? La prima riguardava i rapporti tra di noi, soprattutto in famiglia: il sogno di essere una cosa sola, della vita condivisa, della fraternità, di un cammino fatto insieme, della mano sulla spalla che t'aiuta a camminare e vuol condividere con te la strada, le tue gioie, i tuoi affanni.
La seconda tappa poneva il problema dell'uomo che costruisce la sua vita - accumula ricchezze e si sente giusto - e Marco ci invitava alla gratuità, a vivere la vita come un dono. E, finalmente domenica scorsa - lo ricordate? - il "servizio", il prendersi a cuore, la vita condivisa; per arrivare a quello che, secondo Marco, è il culmine di questo cammino: come Gesù, "come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire". Come Gesù... una strada impossibile, dunque! Chi di noi può essere come Gesù?
E, se ricordate, Marco aveva messo all'inizio dei segnali, ci aveva dato dei simboli, per cominciare questa strada senza paura. Il primo simbolo era il sorriso di Gesù contro ogni intolleranza. Il secondo: un bicchiere d'acqua. Basta un bicchiere d'acqua su questa strada! E poi un "bambino"...
Ma oggi la sorpresa! Alla fine di questa strada - non all'inizio - troviamo un "cieco", un cieco che grida il suo bisogno di Luce. Siamo noi quel "cieco", e ogni credente è quel "cieco"! Il bisogno di camminare ancora, quando ci sentiamo stanchi, quando guardandoci allo specchio sappiamo di non avercela fatta, di non potercela fare ad essere come Gesù, quando abbiamo il bisogno di luce: allora siamo dei credenti, allora possiamo gridare. Ci vuole bene Marco! Il credente non è chi sa tutto, chi si sente giusto, chi pensa di essere arrivato, chi crede di essere buono. Il credente è colui che ha fame e sete di Luce, fame e sete di vita, fame e sete di giustizia.
Tante volte mi sono sentito rimproverare: "bisogna dare, specialmente al giovani, certezze, sicurezze". No! Non lo dico io, lo dice il Vangelo, lo dice Marco. I giovani hanno bisogno di passione per la Luce; le certezze, le sicurezze portano solo arroganza e intolleranza, sono fonte di integralismo.
C'è bisogno della voglia di cercare, di camminare ancora, anche quando tutti ti dicono: "Sta zitto! Chi te lo fa fare?". La passione per la Luce, il tentare ancora di seguire Gesù lungo la strada come un "bambino", come un bambino che non si sente arrivato e che ha ancora la vita davanti, che ha voglia di camminare, che non si sente giusto, che non pensa di aver adempiuto la "legge", di essersi arricchito anche di opere buone, oltre che di denaro, che non crede di sapere tutto, di possedere la verità, ma che questa verità la cerca, che ha la passione per la giustizia, il desiderio della Luce. Questo è il credente!
E dunque, se anche voi, come me, sentite che su questa strada siamo su un cammino impossibile e che come Gesù non riusciamo ad essere, che l'amore ogni giorno rischiamo di tradirlo… se siete come me, non vi spaventate! È il Vangelo che ce lo dice: come un "cieco" lungo la strada anche noi gridiamo la nostra passione per la vita, il nostro desiderio dei valori, il nostro voler ancora cercare e sognare, il tentativo di seguire Gesù lungo la strada, come questo "cieco", come tutti i veri credenti della storia, come quelli che ogni giorno hanno tentato di aprire gli occhi e di cercare la Luce, e quando non ci riuscivano gridavano al Signore e tentavano di camminare ancora: è questa - per quello che ho capito - la strada del credente.
Rileggetele, dunque, queste pagine! Sono pagine straordinarie e, alla fine, se vi sentite nel cuore il grido del "cieco", se sentite di non "vedere" e di non essere arrivati, allora, siete dei veri credenti, lontani dall'intolleranza e vi ritrovate come un "bambino" desiderosi di cercare ancora, di camminare ancora, di sperare ancora.
Il Signore ci aiuti.
...apparve una moltitudine immensa... TUTTI I SANTI - 1 Novembre 2003
"Beati i miti, i misericordiosi, gli operatori di pace. Apocalisse 7,2 – 4. 9-14 - Matteo 5, 1-12
È successo qualche anno fa, quando ancora mi dovevo trattenere qualche ora in ufficio per mettere a posto un po' di scartoffie. Ha suonato alla porta una ragazza, giovane, graziosa, con un bell'accento francese che vendeva libri con delle storie di santi: erano libri ricchi, con delle belle immagini, carta preziosa, ma non saprei dirvi quanto costavano perché le ho detto: "Guardi, non ce ne importa niente di questi libri". "Come non ve ne importa?!". "Guardi, se vuole, le insegno una frase che usiamo qui a Roma". In questi casi noi diciamo: "Nun ce po' fregà de meno!". È rimasta delusa perché aveva tutto l'interesse a vendere quei libri. "Ma perché non siete interessati a conoscere le storie dei santi?". "Vede, noi di santi ne abbiamo dei nostri, ne abbiamo tanti, ci bastano e ci avanzano". "Ma quali sono i vostri santi"? "Lei non li può conoscere; i nostri santi sono gente di tutti i giorni, gente che non ha fatto cose straordinarie, ma che ci ha insegnato a credere, persone che sono state per noi testimoni di pace, di giustizia, di amore; la nostra gente, quelli che abbiamo conosciuti, che ci hanno offerto la propria amicizia, il proprio esempio, la propria tenerezza".
Se n'è andata dicendo: "Sa, forse, lei ha ragione!". Sono convinto di avere ragione, forse qualcuno di voi pensa che io abbia torto, ma ripensate un momento a quello che abbiamo letto stamattina. La prima lettura parla di una "moltitudine immensa", di ogni razza, popolo e nazione.... I "santi" del calendario, quelli che erano scritti su i libri che quella ragazza mi offriva, non sono una "moltitudine immensa". E avete sentito il Vangelo? "Beati i miti, i misericordiosi, i pacifici, quelli che hanno fame e sete di giustizia"… e allora possiamo domandarci: chi sono i nostri santi; quelli che abbiamo conosciuto, quelli che per noi sono stati testimoni di pace, di mitezza, di tenerezza, quelli che ci hanno insegnato a credere, ad amare, a sperare?
Io comincio ad essere vecchio e, proprio in questi giorni ripensavo alla lista dei miei "santi" che si allunga sempre più: mio papà, quest'anno anche mia mamma, mio nonno, mio zio Pietro, mia zia Maria e poi Nino, Nicola, Luigi, Vittorio, Francesco, potrei seguitare… sono i miei "santi", molti di voi non li conoscono, avete ragione! Non sono persone che sono apparse mai in televisione, che hanno mai avuto il nome scritto sul calendario… e chi sono i vostri "santi"? Di questi oggi facciamo memoria. Chi è stato per voi testimone di pace, di tenerezza, di vita? Chi ha fatto per voi il "miracolo" quotidiano della vita e dell'amore? Miracoli semplici. I miracoli veri sono quelli della vita di ogni giorno, la vita vissuta con onestà, la dedizione al proprio lavoro, il servizio quotidiano, la tenerezza verso i figli, gli amici, le persone che ci stanno intorno. Noi abbiamo conosciuto i "santi". Voi avete i vostri "santi" io non li conosco, ma per voi sono stati preziosi e Dio conserva la loro vita nelle Sue mani, perché Lui ama quelli che hanno fame e sete di giustizia, di vita, di tenerezza, di amore, quelli che compiono il miracolo quotidiano del servizio, quelli che sanno regalarvi un sorriso, quelli che sanno condividere la vita, quelli che hanno camminato con voi e hanno reso la vita più bella e dolce.
Sono di questi i "santi" di cui facciamo memoria e sappiamo oggi, ma lo sapevamo anche prima, che ce n'è una "moltitudine immensa" in ogni angolo della terra. Quella gente di cui la televisione, i giornali non vi parleranno mai. La televisione vi parla degli assassini, degli uomini di potere, di quelli che spacciano la droga, di quelli che trafficano anche essere umani; ma dei "santi" di tutti i giorni, della gente che si porta dentro la voglia di pace, che vive la tenerezza; questa infinita schiera di gente silenziosa, pacifica, buona, che tenta di rendere come può - sbagliando, inciampando spesso nel camminare - il mondo un po' più bello, per regalare alla vita un sorriso, tenerezza, pace: di tutti questi oggi facciamo memoria. E ciascuno di noi faccia memoria dei propri "santi". E se la lista, per chi ha i capelli bianchi, si allunga, è normale, è la vita.
Chissà se un giorno qualcuno si ricorderà di noi dicendo: "Anche lui è stato un mio "santo". Speriamo! Ce lo auguriamo di cuore!
Il Signore ci aiuti.
"Colui che viene a me, non lo respingerò. Commemorazione dei defunti - 2 Novembre 2003
io lo risusciterò nell'ultimo giorno". Giovanni 6, 37-40
È successo ormai qualche mese fa… ho incontrato mia nipote: una donna moderna, arrivata ai quarant'anni, una donna in carriera di quelle che non hanno tempo per pensare alle cose della fede; è abbastanza normale: il battesimo della figlia, Natale e nemmeno Pasqua, perché a Pasqua si va in giro per il mondo… quindi, il rapporto con la fede è quello della tradizione e poco di più. Mi ha detto un po' meravigliata e un po' scandalizzata: "Sai, la nonna mi ha detto che ha paura di morire. E io: Ma come! Vai a Messa tutte le mattine e hai paura di morire. E sai che cosa mi ha risposto?. Nessuno è venuto dall'altro mondo a dirci come stanno le cose, per cui io ho paura".
Vedete, nelle parole molto semplici di mia mamma: "Nessuno è venuto dall'altro mondo a dirci... c'è una verità profonda che potete leggere sui libri o ritrovare nella nostra esperienza: ciò che è oltre la morte non appartiene alla nostra possibilità di immaginare, di pensare, di sapere. Chiunque tenti di parlarci dell'aldilà ci racconta, magari in maniera straordinaria - pensate a Dante - le sue idee, i valori, le cose in cui crede, le sue simpatie, le sue antipatie. Descrive con una strepitosa fantasia quello che è il mondo, ma non ci dice nulla sull'aldilà. Voi potete chiudere la Divina Commedia dopo avere letto pagine sublimi, ma non sapete nulla su quello che c'è oltre la morte.
Il libro di Giobbe ci ha detto: "Io senza carne e senza occhi, vedrò!". Come si può vedere senza occhi!? Noi non possiamo concepire cos'è una vita aldilà del tempo e dello spazio. Tutto questo non è possibile per noi. Chi ci parla di quello che c'è oltre la morte ci parla delle sue fantasie o dei suoi incubi, o in qualche modo vuole ingannarci.
Un'altra riflessione possiamo fare sull'esperienza di mia mamma. È normale per l'uomo, specialmente in certi momenti della vita, la paura della morte. A volte ci ripetono che se uno ha fede non deve aver paura della morte… forse anche voi sapete per esperienza... - io ne ho incontrati tanti - che ci sono molti che si sentono più cristiani di Gesù Cristo. Quando ero giovane ho avuto la fortuna di avere un padre spirituale - così si chiamava allora - che mi ha detto di andarmi a leggere - a quel tempo potevo farlo anche in greco - tutti i verbi che parlano dell'atteggiamento di Gesù di fronte alla morte, forse potete farlo anche voi nei vari Vangeli. Leggerete di paura, di tristezza mortale, di sgomento, di ansia. Anche Lui, che è venuto a condividere fino in fondo la nostra vita, anche Lui ha avuto paura di fronte alla morte. È una cosa normale! E se qualche cristiano - può capitare anche a voi - vi dice: "Se tu avessi fede non avresti paura". Guardatelo! Sorridete e poi dite, magari sottovoce: "Ecco un altro cristiano che pensa che Gesù non aveva fede". Sorridete perché è l'unico modo: di fronte all'arroganza di chi pensa che la fede risolva i problemi del nostro vivere, non c'è che il sorriso e poi la pazienza perché, qualche volta, questa paura diventa pesante.
Io ho trovato la paura della morte anche nei bambini ed ho provato un po' di sgomento, perché non avevo provato niente di tutto questo. Se c'è questa paura in un bambino bisogna preoccuparsi un po', forse c'è qualche turbamento psichico, forse bisogna ricorrere a uno psicologo. Ma quando uno come me comincia ad avere i capelli bianchi, quando il momento si avvicina, quando uno ha fatto un'esperienza forte, allora è normale questa paura.
A noi, di fronte alla morte, al credente, a chi crede sul serio, a chi non vive l'arroganza, l'integralismo, l'intolleranza della fede, non restano che le parole di Gesù: "Padre, nelle Tue mani affido la mia vita". Senza poter immaginare, senza poter vedere, sapere: è un puro atto di affidamento.
Noi affidiamo la nostra vita a Dio nel nostro esistere quotidiano e affidiamo a Lui la vita di quelli che ci hanno preceduto, senza poter fare alcuna esperienza; sarebbe bello parlare ancora con loro, ascoltarli… c'è qualcuno - sapete - che prende un registratore, lo accende di notte sperando di cogliere qualche voce. Anche questo è pericoloso, perché esclude dalla vita. No! Chi ha fede dice: "Addio". Avete mai riflettuto su questa parola? È una parola che i nostri antichi dicevano quando qualcuno si metteva in viaggio: si affidava la sua vita a Dio: è un saluto e un affidamento. Tante volte abbiamo detto intorno alla bara di un amico che se ne andava questa parola: "Addio!". Era un saluto, l'ultimo saluto, ma era soprattutto un atto di affidamento. Affidare la vita al di là della sensibilità, al di là di poter pensare, vedere e capire: affidare la vita a Dio, al Dio in cui crediamo, alle Sue mani forti e tenere.
A Lui affidiamo la vita dei nostri cari. A Lui affidiamo la nostra vita e se ci coglie la paura, non aggiungiamo il senso della colpa di non avere abbastanza fede! Occorre portare pazienza, come in tante cose della vita e, magari, bere un buon bicchiere di vino o andare a vedere un bel film, perché poi passa.
E noi continuiamo a vivere nella speranza, nella speranza dei valori autentici, tentiamo di vivere qui la tenerezza, la giustizia, la luce, l'amore e speriamo di ritrovarli nelle mani di Dio, al di là della nostra esperienza. Ma è un "oltre", un "oltre" la nostra esperienza, un "oltre" i nostri occhi, un "oltre" la nostra mente: è l'"oltre" di Dio a cui possiamo affidare noi stessi: "Padre, nelle Tue mani affido la mia vita e la vita dei miei cari". Punto! Il cristiano non dice di più. Chi dice di più vuol mettervi un peso sulla coscienza e, di fronte a chi vuoi mettervi un peso sulla coscienza, c'è una sola arma: il sorriso. Sorridete! Un altro cristiano che pensa che Gesù non avesse fede!
Il Signore ci aiuti.
"…quando già il ramo del fico XXXIII Domenica del tempo ordinario - 16 Novembre 2003
si fa tenero e mette le foglie, Marco 13, 24-32
voi sapete che l'estate è vicina; così…
quando vedrete accadere queste cose
sappiate che Egli è vicino, alle porte".
SOGNARE È VIVERE! Senza sogni la vita non ha senso! Questo era uno degli slogan che più piacevano ai nostri ragazzi, quando eravamo nella grande parrocchia. Senza sogni la vita non ha senso! Il sogno, la speranza, l'utopia, il futuro: una delle grandi eredità, forse la più grande, che la fede di Israele ha lasciato a tutti noi, all'intera civiltà occidentale. Vedete, Israele ha messo nel cuore della propria fede il futuro, partendo dal racconto che tutti conoscete: l'Esodo. Dietro le spalle c'è l'Egitto, la schiavitù, la fame. Davanti c'è la libertà, la promessa di una terra in cui ci sia giustizia; una terra in cui non ci sia più fame, una terra di pace: la terra - per usare le parole della Scrittura - dove scorre "latte e miele". Occorre andare verso questa "terra", conquistare senza stancarsi la terra della speranza, la terra del futuro: è l'invito di Dio, la promessa di Dio. Questo è il cuore della fede di Israele che celebriamo ogni Pasqua. Questa fede, questa speranza si è approfondita, è diventata l'attesa messianica, l'attesa di Qualcuno che venisse sulla terra a instaurare, finalmente, un regno di giustizia, di pace; a realizzare la pienezza dello "Shalom", la pienezza della festa per l'uomo.
I primi cristiani hanno visto in Gesù, il compimento di queste promesse e la loro fede era totalmente piena dell'attesa del Signore. Nell'ultimo orizzonte della storia, per chi crede, c'è Lui, c'è Gesù, i Suoi valori, c'è la pienezza della Sua giustizia, la Sua pace, il Suo spirito di servizio, la Sua tenerezza: un mondo in cui risplenda finalmente la Luce, in cui chi ha fame e sete di giustizia venga finalmente saziato. E il credente sa che la storia non può fermarsi finché non arriva alla dimensione di Gesù: questa carica di speranza, la fede di Israele e poi la fede cristiana ha tentato, e in parte è riuscita, a consegnare a tutta la civiltà occidentale.
Vedete, fin dall'inizio c'erano dei monaci, dei credenti, che tentavano di conservare la cultura, di far progredire l'agricoltura e la scienza: hanno tradotto e copiato i testi della poesia e della sapienza antica, hanno innalzato grandi edifici, ospedali, cattedrali, hanno promosso l'arte… e poi questa speranza è passata anche nel mondo laico, spesso anche in contrasto con la Chiesa, che rischiava di ripiegarsi su se stessa. Pensate a tutta la nostra storia dell'occidente. Pensate alle grandi conquiste della medicina, della scienza, della tecnica... pensate a Galilei, pensate a tutto il progresso, pensate a quanti ospedali abbiamo costruito nel mondo, a quanti istituti di ricerca, a tutte le Università. Ma pensate anche al Rinascimento, all'Illuminismo, alla Rivoluzione francese: nella nostra civiltà occidentale c'è la speranza! C'è l'attesa del futuro! È giusto - dunque - che i nostri ragazzi ritrovino nel proprio DNA lo slogan "SOGNARE È VIVERE". Senza sogni la vita non ha senso!
Ma in questo sognare… - lo sapete: in tutte le medaglie umane c'è il suo rovescio - ci sono dei rischi, non piccoli, che abbiamo corso pesantemente in questi duemila anni… Vedete, quando si aspetta qualche cosa, il primo rischio è quello dell'impazienza. Questo mondo nuovo non arriva! Non riusciamo a costruirlo e allora non ci resta che sperare in una altra vita, oltre la storia. Questa vita, è destinata alla fine: crollano - avete sentito - le stelle dal cielo, il sole si oscura, questa vita non ha più nessuna speranza: aspettiamo un'altra vita, un mondo nuovo in cui "abita la giustizia". Poi anche quest'altra vita, fatta di uomini e di cose concrete sparisce e si comincia ad aspettare un "Paradiso". Un Paradiso che bisogna guadagnarsi attraverso riti, preghiere, purificazioni; accumulando meriti. E insieme a questa attesa - lo avete ascoltato - c'è l'idea del "Giudizio": i buoni da una parte, nella Luce; i cattivi dall'altra in un fuoco che non ha fine. E insieme, al "giudizio" la paura: la paura del castigo, la paura della punizione. Una paura che ha riempito tante pagine della nostra storia.
Ma non è questa la cosa più drammatica! Non è questo il rischio più grave! Ci sono rischi peggiori: quando si aspetta il Messia, quando all'orizzonte della storia si aspetta un personaggio che venga a risolvere i nostri problemi… ci sono scorciatoie nell'attesa degli uomini: il personaggio lo vogliamo subito! L'uomo della provvidenza, l'uomo che pensa per noi, l'uomo che agisce per noi, l'uomo che vive per noi e allora la speranza di un'utopia finisce nei campi di concentramento o nei grandi "gulag" della sterminata Siberia! È la morte della speranza!
Ma c'è ancora un altro rischio… - forse più vicino a noi - quando avete un sogno nel cuore, se non state attenti, rischiate di volerlo imporre con la forza, pensando che sia l'unico sogno possibile e viene fuori l'intolleranza e l'integralismo: il sogno diventa distruzione e morte! Pensate alla nostra storia, pensate alle Crociate, pensate alla distruzione dell'America: hanno distrutto, con la Croce in mano, intere civiltà! Hanno bruciato centinaia di libri; tutta una cultura è sparita nelle fiamme perché non si volevano aspettare le altre fiamme, perché si pensava di avere, finalmente, tutta la verità e di doverla imporre con la forza.
L'utopia rischia di finire nel convincere un ragazzo a riempirsi di tritolo e farsi esplodere in mezzo alla gente! Ma non pensate a cose lontane pensate a noi: al modo con cui spesso viene proposta la nostra fede! Pensate ai nostri preti! Non a quelli lontani, perché siamo responsabili della nostra speranza. Siamo responsabili dei nostri ragazzi! E allora ecco la domanda: Come è possibile consegnare ai nostri ragazzi il coraggio della speranza? Come è possibile che continuino a sognare, che riempiano la loro vita di sogni, di sogni che rendano la loro vita degna di essere vissuta, ricca, coraggiosa, senza che diventino intolleranti?
Come si può consegnare ai nostri ragazzi il coraggio della pazienza? Perché senza pazienza non c'è speranza, non è possibile costruire con passione, giorno per giorno, il futuro. Come possiamo consegnare ai nostri ragazzi una fede che non sia soltanto un rito, il ripiegarsi sul passato, il ricordo di cose antiche, una fede fatta di regole, precetti, proibizioni; ma una Fede che sia attesa dei valori di Gesù, attesa dei Suoi sogni, impegno per la realizzazione di un mondo in cui ci sia giustizia, libertà, tenerezza, luce e pace?
Come si può consegnare questi sogni senza che diventino intolleranti, senza che si affidino al primo chiacchierone che passa, al primo parolaio che incanta i loro cuori ingenui?
Come si può consegnare ai nostri ragazzi la speranza insieme al coraggio di pensare, alla lucidità di capire il mondo, alla voglia, di costruirlo pazientemente ogni giorno con lo studio, con la passione?
Se mi chiedete cosa si può fare, forse potrei dirvi soltanto: "Oggi è la giornata per la ricerca sul cancro, date la vostra offerta!". Vedete i preti… mettete mano al portafoglio, pagate e tutto è risolto!
Il problema è immensamente più grande! È in gioco la vita, la possibilità per i nostri ragazzi di vivere una fede autentica. Ma non è affatto facile…
Il Signore ci aiuti.
"Il mio regno non è di questo mondo… CRISTO RE - 23 Novembre 2003
Per questo son venuto nel mondo: Giovanni 18, 33 - 37
per rendere testimonianza alla verità"
"Il mio regno non è di questo mondo"… Probabilmente se vi chiedessi: "Che significa questa frase?", più d'uno di voi risponderebbe come rispondevo io quando ero ragazzo: "Ma è evidente: il regno di Gesù non appartiene a questa terra, è il Regno dei cieli! Non appartiene al nostro mondo, è un altro mondo quello in cui regna Gesù!" Sembra una risposta assennata, ma se ci pensate nega la realtà più profonda della nostra Fede. Gesù non ha aspettato sul trono nel cielo che si svolgessero le vicende di questa nostra terra, ma è venuto qui a condividere la nostra vita, a camminare con noi per le strade polverose della nostra terra.
E allora guardate un momento, con gli occhi della fantasia, la scena che il Vangelo ci vuole proporre. Guardate... da una parte Pilato vestito di porpora, sul suo alto trono, il rappresentante del potere di Roma, il rappresentante della forza di Roma, anche della violenza di Roma. Dall'altra parte Gesù di Nazareth; guardate i suoi vestiti di lana grezza, guardate le Sue mani callose, mani di falegname, guardate sono incatenate.
Ecco di fronte, non il cielo e la terra, ma due modi di essere uomini; due realtà di questa nostra terra, di questo nostro mondo: da una parte il potere, la violenza, la forza. Da una parte il rappresentante di un impero che ha conquistato il mondo e ha reso schiavi i due terzi degli uomini nel bacino del Mediterraneo. Dall'altra parte il falegname di Nazareth, Colui che è venuto per condividere la vita. Colui che ha ripetuto: "Io non sono venuto per essere servito, ma per servire, per dare la vita".
Guardate! Da una parte colui che dispone di armate e di eserciti, dall'altra Colui che ha detto: "Beati i miti, i pacifici, i misericordiosi". Due modi di essere, due modi di vivere.
Noi siamo qui perché crediamo che in Gesù ci sia qualche cosa della verità: non una verità astratta, ma la verità concreta di chi ha colto nella nostra esperienza di uomini i valori essenziali: la tenerezza, il servizio, la passione per la vita, la fame e la sete della giustizia, l'attenzione verso l'altro, la vita donata e condivisa fino in fondo.
Noi siamo qui riuniti nel Suo nome e in mezzo a noi il segno che ci ha lasciato: un Pane spezzato, la vita donata. Siamo qui per cercare la Sua luce e tentare di essere nel mondo testimoni della Sua realtà; non testimoni di forza, di potere, di orgoglio, di sopraffazione dell'uomo sull'uomo ma testimoni di tenerezza, di servizio, di attenzione verso l'altro, di cammino fatto insieme, di vita condivisa.
Non è semplice, lo so! Ma per questo siamo qui e torneremo qui! Voi sapete che oggi finisce il ciclo della nostra preghiera. Nella preghiera della Chiesa questa è l'ultima giornata, ma Domenica prossima ancora ci ritroveremo qui e ascolteremo l'invito del Profeta ad alzare lo sguardo, a guardare lontano, a cercare ancora Gesù, ad aspettare che i suoi valori diventino concreti in mezzo a noi, che diventi concreta la Sua realtà; non la realtà di Pilato, non la realtà dei tanti Pilato che ancora oggi vogliono dominare e controllare il mondo, il Pilato della forza, di chi fa violenza ai bambini, di chi uccide senza conoscere chi muore dall'altra parte, senza il coraggio di guardare negli occhi la persona che hanno davanti.
Noi siamo qui per tentare di essere testimoni di Lui che è venuto a dirci che l'unica cosa sacra nel mondo è "L'UOMO", ogni uomo, anche il più piccolo degli uomini.
Siamo qui per continuare a tentare di dare un bicchiere d'acqua, di portare un sorriso, di essere testimoni di verità e di pace, di mitezza e di amore.
Non è semplice! Per questo torneremo qui, per questo tenteremo ancora di aspettare Gesù, di celebrare il Natale, di sentirlo nascere in mezzo a noi, testimone di "questa" vita. Non ci interessa accumulare meriti per "guadagnarci" il Paradiso: ci interessa vivere, vivere i valori di Gesù; vivere con tenerezza e passione, con rispetto e amore per quello che possiamo.
Il Signore ci aiuti.
"Credimi, donna, è giunto il momento in cui Dedicazione della Basilica di S. Giovanni
né su questo monte né in Gerusalemme in Laterano - 9 novembre 2003
adorerete il Padre... Ma è giunto il momento, I Pietro 2, 4-9 - Giovanni 4, 19-24
ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno
il Padre in spirito e verità. Dio è spirito e quelli
che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità"
A nessuno di voi, penso, sia accaduto stamattina di incontrare qualcuno che chiedeva: "Scusa, dov'è la chiesa?" Ma forse qualche volta vi è successo e credo che a nessuno di voi sia venuto in mente di dire: "Ecco, sono io la chiesa! Forse tu vuoi sapere dove puoi incontrare altri cristiani come me?". Voi avete saggiamente indicato la chiesa più vicina e, avete fatto bene! Ma se avete ascoltato con un po’ di attenzione la lettera di Pietro… la chiesa è fatta di "pietre vive": di gente come noi, che cerca di costruire lo spazio in cui si incontra qualche riflesso della luce di Dio. Una chiesa non fatta di mattoni, di cose, magari meravigliose, ma di cuori che cercano di inseguire i "sogni" di Dio.
E se una persona che viene da lontano, di un'altra religione, vi domandasse: "C'è a Ostia un luogo sacro?". Di nuovo voi gli indichereste una chiesa: "Sì, questi sono i nostri luoghi sacri".
La domanda potreste sentirvela rivolgere perché - vedete - in tutti i tempi e in tutti i luoghi, l'uomo ha avuto bisogno di uno "spazio sacro", di uno spazio concreto in cui, in qualche modo, incontrare e toccare con mano qualche cosa di Dio. Spesso questi spazi - come avete ascoltato anche nel Vangelo - si costruivano in cima al monte "Su quale monte dobbiamo adorare Dio, sul monte Garizim in Samaria o sul monte di Gerusalemme?". Sul monte l'uomo sale per cercare la divinità e là costruisce uno spazio. Gli archeologi hanno trovato i più antichi… per gli uomini primitivi bastava un cerchio di pietre, che separava lo spazio sacro dagli spazi profani.
E vi siete mai chiesti perché l'uomo va a cercare Dio? È spinto, spesso, dal bisogno: bisogno di protezione, bisogno di invocare una "grazia": forse ha fatto un voto e deve scioglierlo e, quindi, salire faticosamente sulla montagna. Forse ha bisogno di interpretare il futuro: gli uccelli del cielo o meglio, il fegato di un agnello, di un vitello (È meglio il fegato del volo degli uccelli, perché poi "o prevete" se magna l'agnello, o il vitello).
Oppure - lo facciamo anche noi - per far memoria dei morti: per sentirli vivi ci vuole uno "spazio sacro" qualche cosa da toccare. E si porta via un'immagine sacra, che so una statuina, un "santino" e lo si mette nel portafoglio perché ci protegga: ed è un'immagine "sacra". Quante volte mi sono sentito domandare: "Che ci faccio, padre, con queste immagini, le posso buttare? Mi hanno detto che non si può!". Cose sacre, cose che in qualche modo ci fanno toccare con mano Dio.
"Dov'è uno spazio sacro?" E voi rispondete: "Là, in chiesa!". A nessuno di voi viene in mente di dire: "Io sono lo spazio sacro!". L'unica cosa sacra nel mondo è l'uomo! Il cuore dell'uomo! Il cuore affamato e assetato di giustizia.
Noi abbiamo bisogno di costruzioni, di spazi, e spesso in questi luoghi ci sono stuoli di sacerdoti, vestiti magari, con abiti speciali, ci sono riti complicati e complessi, spesso in lingue strane perché sembrano dare il senso del mistero, e, prima di entrare in questi spazi sacri, grandi riti di purificazione: dovete lavarvi, purificarvi, lasciar fuori tutto lo sporco del mondo. E siete fortunati se lì non c'è qualche santone che vi obbliga a fare penitenza, a camminare sui ceci, (se siete saggi, mettete nelle scarpe ceci bolliti) per soffrire e scontare i vostri peccati.
Il Signore Gesù ha tentato di portarci fuori da tutto questo, ma in parte - come vedete - non c'è riuscito. Entrando in chiesa qualcuno ha preso in mano il foglietto e ha letto "Dedicazione della Basilica Lateranense". Che c'entriamo noi con la Basilica Lateranense? Che ci combina un uomo che vive nella Papuasia con la Basilica di San Giovanni in Laterano? È lo spazio sacro! La madre di tutte le chiese! Tutti devono sapere che a San Giovanni c'è la Cattedrale del Papa!
Era questo quello che Gesù voleva? Non ci ha lasciato un po' di pane e un po' di vino? Il segno della vita condivisa, il segno di una religione che non è basata sul bisogno, ma sulla gratuità, sulla ricerca della luce, sul servizio. Gesù ci ha lasciato la memoria di Sé nella Sua parola: "i veri adoratori adoreranno Dio in spirito e verità". Lo trovi nella bellezza del creato, nel sorriso di un bambino, nel cuore di chi ha fame e sete di giustizia, nel cuore di chi si porta dentro la voglia di pace, di tenerezza, di gratuità, di servizio: là incontri Dio!
Il segno per noi che siamo noi la Chiesa è solo una tavola comune, un po’ di pane da spezzare insieme: il segno della vita donata e condivisa. Per noi questo è troppo! Non giudicate il passato. Anche noi abbiamo bisogno, qualche volta, di toccare, di stringere. Quando eravamo nella vecchia parrocchia avevamo un incubo: la Domenica della Palme. L'assalto alla palma! Portare qualche cosa da stringere! Un segno della protezione di Dio! E se tentavi di dire: " il segno te lo porti nel cuore, oppure non c'è". "Sì, però…..". Siamo così! Abbiamo bisogno di vedere, di toccare, ma Gesù ci invita anche oggi "all'oltre", all'oltre dei Suoi sogni, all'oltre della Sua presenza nel nostro cuore, nell'universo infinito. Dio non può essere contenuto né in questa chiesa, né in nessuna chiesa del mondo. Dio è più grande di tutto e noi siamo qui per tentare di continuare a inseguire i Suoi sogni di gratuità e di amore.
Non è semplice! Ma continuiamo a farlo senza stancarci.
Il Signore ci aiuti.