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OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 2018-2019 - Vangelo di Luca
INDICE
Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire I DOMENICA di AVVENTO -2 Dicembre 2018
su una nube con grande potenza e gloria Luca 21,25-28.34-36
Celebriamo la prima Domenica d'Avvento. Cominciamo a guardare al Natale, ad aspettare Gesù, a desiderare che nasca nel nostro cuore, in mezzo a noi.
Vedete - avere fede non significa credere verità astratte, dogmi: avere fede significa vivere di Gesù, della sua Parola, dei suoi principi, dei sogni del suo cuore: per questo è venuto e Lui aspettiamo. Aspettiamo che nasca in mezzo a noi, nella nostra società, in questo nostro mondo, che qualche cosa della sua vita si realizzi concretamente: è questo prepararsi al Natale e non è semplice.
Il Vangelo di oggi - ce lo ricorda - questo sconvolgimento dei cieli, queste cose che sembrano addirittura tragiche, sono soltanto un simbolo. Simbolo di quello che a volte accade nella nostra vita.
Più avanti leggeremo nel Vangelo di Luca che Gesù, insieme ai suoi discepoli, sta con una barca sulle acque e il lago diventa tempestoso, la barca sta per affondare e Gesù dorme e i discepoli hanno paura. Gesù placa il vento e il mare, ma poi li rimprovera: "Perché non avete fede?".
Ecco avere fede, per Gesù, significa conservare la speranza, concretamente nella vita di ogni giorno anche quando, come nei tempi in cui ci capita di vivere, la speranza sembra scomparire dall'orizzonte del cuore dell'uomo, specialmente nei nostri ragazzi più giovani.
Tutti quelli di voi che possono cerchino di essere testimoni di speranza, di affermare, non solo con le parole, ma con la vita che crediamo in Gesù. Crediamo nei suoi valori, in quello che Lui ha detto, in quello che ha fatto, che tentiamo di vivere di Lui anche quando il mondo si fa oscuro, l'avvenire sembra non offrire luci, ma soltanto timori.
Ecco - vivere l'Avvento significa proprio questo: conservare dentro di noi la speranza, la certezza che Gesù ha ragione e che di Lui possiamo vivere giorno per giorno. Essere cristiani è questo! Non sono cose astratte, strane, complicate... non si tratta di ripetere preghiere, si tratta di vivere. Si tratta di conservare nel cuore concretamente la speranza di Gesù. È Lui la nostra vita. È Lui l'ultimo orizzonte del nostro cammino sulla terra. È Lui in cui crediamo.
A volte la gente fa domande: (ne ho ricevute parecchie) "Ma ho fede se non riesco a credere in qualche aspetto, a credere nell'aldilà, nella verginità della Madonna?".
Credere non significa credere in dogmi astratti. Credere significa riconoscere Gesù, la sua Parola, i gesti della sua vita come nostri, come facenti parte della realtà più profonda del nostro essere uomini, prima ancora che del nostro essere cristiani.
Quello che dice Gesù può valere per ogni uomo, molti non lo conoscono e noi ci auguriamo che sempre di più Lo conoscano, ma non deve essere una conoscenza fatta di parole, ma fatta di vita, di speranza, di speranze concrete che il mondo possa camminare verso la giustizia, la pace, la tenerezza, la misericordia...
Ci accompagnerà nel cammino di questo anno il Vangelo di Luca. Lo chiamano - alcuni studiosi - il Vangelo della misericordia. Ascolteremo pagine stupende. Vedremo la tenerezza di Gesù verso di noi, verso gli uomini e cercheremo di farla nostra per poterla anche noi vivere ogni giorno. Vivere la pace, il rapporto concreto con gli altri. Tentare di essere - come possiamo - testimoni di speranza. Non è una cosa semplice.
Vedete - anche su un mare in tempesta il cristiano conserva la sua fede e la sua speranza, anche quando Gesù sembra dormire, non intervenire concretamente nella nostra vita, il cristiano conserva la speranza. Ha ragione Lui. Essere cristiani, essere credenti significa, come possiamo, vivere di Lui, concretamente, nelle piccole cose di ogni giorno: vivere la speranza, l'attesa di Lui, la speranza che Lui possa ancora nascere nel nostro cuore e intorno a noi.
Il Signore ci aiuti.
Concepirai un figlio, lo darai IMMACOLATA CONCEZIONE - 8 Dicembre 2018
alla luce e lo chiamerai Gesù Luca 1,26-38
Non è facile per noi celebrare alcune feste, perché gli antichi parlavano in maniera diversa da noi, usavano simboli che per noi non sono semplici da capire.
Anche voi avrete avuto qualche difficoltà a capire la festa dell'Immacolata Concezione. Molti, forse anche qualcuno di voi, la scambiano con la festa della verginità della Madonna, che non c'entra. Qui celebriamo che Maria è stata esente dal peccato originale, ma le cose si complicano ancora: che cos'è il peccato originale? Che cosa significa non avere un "peccato originale? Un bambino nasce con un peccato...? Tante domande e non sono per noi facili le risposte.
Cominciamo a cercare di intuire qualcosa prendendo spunto dall'Antica Lettura. Il peccato che chiamiamo originale, il peccato di Adamo e di Eva. Avrete sentito anche qui tante interpretazioni diverse e magari vi sarete sconcertati. Qualcuno vi avrà detto: "Ma no, non si tratta di mela, si tratta della conoscenza del sesso". Qualcuno vi avrà detto che Dio impedisce all'uomo di conoscere, non vuole che l'uomo cerchi e tutto questo non c'entra niente.
Per gli antichi quel racconto è di fondamentale importanza, cercano di domandarsi: "Quale è il senso del male? Del male morale parliamo! Perché l'uomo certe volte si comporta male?" E si rispondono: "L'uomo è tentato di diventare come Dio, di farsi centro del mondo".
Vi ricordate la storia...? Il diavolo porge il frutto ad Eva e gli dice: "Mangialo, diventerai come Dio e conoscerai il bene e il male". Conoscere, nella Antica Scrittura, non significa sapere che cosa è bene e cosa è male, ma decidere che cosa è bene e cosa è male: "Tu diventerai come Dio, stabilirai tu che cosa è bene e che cosa è male, sarai tu il centro del mondo e tutti gli altri al tuo servizio!" È la tentazione dell'uomo. La tentazione del singolo, ma anche delle nazioni, degli Stati. Gli imperatori di un tempo pretendevano di essere come Dio, di dominare il mondo, anche i Papi della nostra storia qui a Roma, pensavano di sostituirsi a Dio, di imporre cosa è bene e cosa è male. Nel progetto di Dio non c'è nessuno che è al centro, siamo fratelli e il bene è la vita che si condivide, è il rispetto, è il servizio dell'uno verso l'altro, è - per usare una parola generica - la capacità di amare.
Questo farsi centro del mondo genera nel tempo sulla terra violenza, male, sofferenza, tribolazione di ogni genere: è questo il peccato originale.
Vedete - un bambino nasce innocente. Quando ero bambino... (qui c'è chi ha i capelli bianchi e vale anche per più d'uno di voi) pensavo che fossi nato con una specie di tunica bianca tutta macchiata da un peccato, fatto da quella "disgraziata" di Eva all'inizio della storia...
Poi mi sono accorto che era una sciocchezza. Non abbiamo nessuna tunica. Un bambino che nasce non può avere nessun male. Un bambino nasce innocente, ma ecco poi la verità profonda del peccato originale, importantissima per la vita dell'uomo... un bambino nasce certamente innocente, ma non nasce in un mondo innocente. Nasce in un mondo che è profondamente segnato dal peccato dell'origine... non di Adamo ed Eva che sono personaggi mitici, ma di tutti coloro che lo hanno preceduto. Un bambino che nasce - più o meno - si trova segnato da questo peccato dell'ambiente in cui vive.
Pensate a un bambino che nasce in un ambiente mafioso. Pensate ancora a un bambino che nasce oggi in Africa dove c'è la guerra, dove viene violentato in tutti i modi e dove gli mettono magari in mano un fucile e lo costringono a sparare: ecco il peccato originale!
Il peccato che può travolgere un innocente, e contro questo peccato originale, che condiziona, a volte profondamente, a volte irrimediabilmente, la vita dell'uomo, noi dobbiamo combattere. Dobbiamo cercare di resistere prima di tutto noi stessi, perché anche noi siamo condizionati magari non in maniera così drammatica, ma poi fare in modo, per quanto possiamo, che gli altri, specialmente i piccoli non siano condizionati...
In questo momento per esempio in Italia siamo condizionati dal clima di violenza, dal razzismo, dal clima di intolleranza sempre più forte che c'è. Come combattere tutto questo? Ce lo insegna Maria.
Maria (come avete ascoltato) è l'opposto di Eva. Lei non vuole farsi la prima, il centro del mondo, colei che stabilisce il bene e il male. Lei si fa l'ultima, la serva. Lei accetta la volontà del Padre: "Non la mia, ma la Tua volontà. Eccomi sono la serva del Signore, sia fatto di me quello che Tu vuoi". È questo che sceglie Maria. È questa la scelta che ci permette di andare aldilà del male.
Accettare nella nostra vita la volontà del Padre. Lo ripetiamo quasi ogni giorno quando recitiamo il Padre Nostro: "Padre sia fatta la tua volontà". Non la mia, non la volontà del mio egoismo, del prevalere sugli altri, ma la volontà della fraternità, della condivisione della vita, la volontà dell'amore.
Ecco, Maria ci insegna - lei - la donna di Nazareth che deve accettare una situazione difficile. Può avere paura che la insultino, addirittura a quel tempo rischiava di essere lapidata, lei che ha un Figlio senza che c'entri il marito, eppure non ha paura di niente. Quello che gli importa è mettere la sua vita al servizio dell'umanità.
Il suo "sì" ci ha donato Gesù, questo suo sì è la vera risposta al male del mondo. Una risposta che possiamo fare nostra, tentando anche noi nella vita di ogni giorno dire il nostro sì, al bene, all'amore, alla pace, alla vita.
Il Signore ci aiuti.
La Parola di Dio venne su Giovanni, II DOMENICA di AVVENTO - 9 Dicembre 2018
figlio di Zaccaria, nel deserto Luca 3,1-6
Vorrei attirare la vostra attenzione su una piccola frase della pagina che abbiamo letto e che rischia di essere trascurata. Eppure è una una frase (secondo me) fondamentale: "La Parola di Dio venne su Giovanni nel deserto". La Parola, il deserto.
Avete ascoltato come all'inizio Luca elenca tutta una serie di nomi: qualcuno lo conoscete: Tiberio, l'imperatore di Roma. Pilato, colui che ha messo in croce Gesù. Erode, colui che ha fatto decapitare Giovanni Battista e poi altri piccoli re dei dintorni della Palestina...
Un gruppo di gente che sono l'espressione del potere, della violenza, gente che vive nel lusso, che opprime, che non ha paura di uccidere. C'è anche il potere religioso: i sommi sacerdoti Anna e Caifa. Un potere che è diventato anch'esso oppressivo, che impedisce alla gente di cercare veramente Dio. Dall'altra parte la Parola e il deserto.
La Parola è un concetto che attraversa tutto l'Antico Testamento. La Parola che non è soltanto un articolare vocali e consonanti. La Parola che è quasi un Soffio che esce dalla bocca di Dio, addirittura sembra una persona, fin dall'inizio: Dio disse e la luce fu. Una Parola che è operativa, una Parola che fa, trasforma l'uomo, illumina la sua vita.
Una Parola che nel Nuovo Testamento è stata addirittura personalizzata. Voi tutti conoscete l'inizio del Vangelo di Giovanni: "In principio era il Verbo" non l'abbiamo tradotto e si dovrebbe dire: "In principio era la Parola", Gesù stesso è la Parola e anche lo Spirito è la personalizzazione del concetto dell'Antico Testamento: la Parola, il Vento di Dio che dà forza, che spinge in avanti, che illumina, dà coraggio, riempie la vita dell'uomo, la rende operativa: ecco la Parola!
La Parola a cui Giovanni deve aprire il suo cuore. La Parola che è rivolta a tutti noi. Quando veniamo qui la Domenica, ci ritroviamo intorno alla Parola. La Parola che non può rimanere lettere scritte su un libro, ma che deve diventare qualche cosa di vitale, di vivo per noi, per la nostra vita, luce per il nostro cammino.
Poi il "deserto". Il deserto che non è soltanto il luogo della solitudine dove qualche volta conviene ritirarsi lontano dalla frenesia della vita, dal lusso, dalla corsa, dal rumore di questo mondo: è anche questo, ma nel mito del deserto dell'Antico Israele c'è molto di più.
Il deserto appartiene al mito fondativo di Israele, è il passaggio dalla schiavitù dell'Egitto verso la terra promessa, la terra dove scorre il latte e il miele, la terra dello "Shalom", della pace, della pienezza della vita. Verso questa terra l'uomo cammina e Dio lo sospinge e gli cammina davanti e lo chiama.
Quando l'uomo è tentato di tornare indietro Dio lo invita ad andare, a camminare, a cercare il benessere, la libertà, la giustizia, il bene.
Giovanni si ritira nel deserto, quasi a dire alla sua gente: dobbiamo ricominciare daccapo. Dobbiamo ritornare agli inizi quando camminavamo seguendo il Signore, quando cercavamo il Signore.
Cercavamo di incontrarci con Lui… la salita di Mosè e il popolo che aspetta là sul monte Sinai per incontrare il Signore. Il deserto è il luogo dell'incontro con il Signore: un mito certamente, ma un mito che dovrebbe appartenere ad ogni cristiano: il cammino dal male al bene e non si può tornare indietro. Non si può accettare la schiavitù, il disprezzo dell'uomo, l'oppressione. Bisogna andare e cercare la terra dove scorre il latte e il miele, la terra della giustizia, della pace.
Ecco perché Giovanni ricomincia la sua missione nel deserto e ci invita a preparare la strada. Per vivere il "deserto" non bisogna andare lontano, ritirarsi in qualche eremo... nella vita di ogni giorno, siamo chiamati a vivere il "deserto". Siamo chiamati a camminare, alla ricerca di Dio, della sua Luce. Ci sono anche oggi: Erode, Pilato, il potere di Tiberio, il potere che qualche volta diventa oppressivo.
Il cristiano ha un'altra strada, ha la Parola, ha il coraggio di camminare nel deserto, di vivere la speranza, di cercare la "terra", la terra felice, la terra promessa, la terra che deve conquistare, dove scorre il latte e il miele, la terra della pace.
Il Signore ci aiuti.
"Maestro, che cosa dobbiamo fare?" III DOMENICA DI AVVENTO - 16 Dicembre 2018
Luca 3,10-18
Ci sono - tra le altre - due cose che da tempo mi colpiscono quando leggo i testi che usiamo per prepararci al Natale.
La prima cosa è che nel racconto dell'Annunciazione - non ci siamo fermati su questo - noto che del grande annuncio dell'Angelo che dice a Maria che sarà madre del Salvatore, addirittura del Figlio dell'Altissimo, che renderà Dio presente nella nostra storia... di questo grande annuncio - lei - sembra capire soltanto che Elisabetta, la sua cugina, che è anziana, sta per avere un figlio… può avere bisogno di lei e si alza e va.
Noi, che siamo persone sagge, le diremmo: "Ma dove vai Maria? Fermati! Preparati a questa grande missione, fermati a meditare, a pregare… e poi i pericoli, tu sei giovane, un viaggio così lungo con tante difficoltà e poi non sai come andrà la tua gravidanza, aspetta..."
Lei non si cura di niente, non pensa ai suoi interessi, ai suoi diritti, si alza e va. Dell'annuncio dell'Angelo sembra capire solo questo, che c'è qualcuno che ha bisogno di lei e va.
Prepararci al Natale significa proprio questo, probabilmente: tentare di fare qualche cosa di concreto senza pensare che sia sufficiente il canto, la preghiera, il ritrovarci qui insieme. Come Maria dovremmo imparare a fare qualche gesto semplice, concreto verso chi - in qualche modo - può aver bisogno di noi. A volte ci riusciamo, a volte non possiamo fare niente, purtroppo.
L'altra cosa che mi colpisce è quello che abbiamo letto nel Vangelo di oggi. I cristiani della comunità di Luca ricordano le parole di Giovanni Battista. Avete ascoltato: "Con tante altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo", però di tutto quello che insegnava Giovanni Battista, loro sembrano ricordare soltanto le cose che riguardano gli altri, non quello che può riguardare loro.
Vedete - la comunità di Luca è una comunità di gente povera: (lo vedremo per tutta la lettura del suo Vangelo) hanno fame, hanno bisogno di qualcuno che faccia l'elemosina. Quindi ricordano che Giovanni Battista diceva: "Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha e chi ha da mangiare faccia altrettanto"… è la loro speranza.
E poi i soldati si comportino correttamente, non facciano violenze. Gli esattori delle tasse, si chiamavano pubblicani a quel tempo, non esigano più di quanto è stato fissato… ma tra loro non ci sono né soldati, né pubblicani.
Vedete - tutte cose che riguardano gli altri. Ci domandiamo: "Perché non pensavano un po' a se stessi?". Non so se questo ci può consolare. Dicevano gli antichi: mal comune mezzo gaudio, anche a noi oggi capita che molti - forse un po' anche noi - si preoccupano di quello che devono fare gli altri e non di quello che debbono fare loro.
Mi capita di ascoltare la radio, la televisione e sentire che molti in questo paese chiedono che cosa devono fare gli altri: non mettere tasse troppo alte, che si diano soldi alle loro attività, pochi, si preoccupano di pagare le tasse che sono dovute. Pochi si preoccupano di capire a che cosa servono i soldi che paghiamo: quanto è giusto per sostenere la sanità, la scuola e tutto il grande complesso dello Stato che costa tanto e non possiamo che pagarlo noi.
In questo paese molti si lamentano della corruzione e poi cercano la raccomandazione, cercano - come si dice - qualche "santo" in Paradiso che possa mandare avanti i loro bisogni.
Se volete scendere dallo Stato a cose più semplici pensate alla scuola. Molti genitori si lamentano che i maestri non fanno quello che dovrebbero fare, che la scuola non funziona come dovrebbe, ma pochi si domandano: "Ma io che posso fare?". Lo stesso vale per gli alunni, almeno quelli un po' più grandi che dicono ai professori come devono comportarsi e poche volte si domandano: "Io che debbo fare?". Eppure è la domanda giusta.
Pensate a quanti si lamentano per quanto è sporca Ostia, dei rifiuti che non vengono raccolti. Pochi però si preoccupano di smaltire correttamente i rifiuti. Poche volte mi capita di sentire: "Ma io non debbo buttare niente per la strada e non solo, debbo cercare di curare che la parte davanti a casa mia si tenga pulita ". Anche i negozianti spesso non si preoccupano di tenere pulito davanti al loro negozio.
Questo vale anche per i rapporti tra genitori e figli: dicono al papà alla mamma: "ti devi comportare così, ho bisogno di questo". Ma poco pensano a cosa possono fare per il papà e per la mamma. Lo stesso vale anche tra marito e moglie, per gli amici...
Maria forse può insegnarci, lei che non pensa minimamente ai suoi diritti, a tutto quello cui avrebbe diritto dopo questo grande annuncio: diritto a riposarsi, perchè deve prepararsi alla maternità, evitare pericoli, fermarsi a contemplare, a meditare... non gli importano i suoi diritti, importa quello che lei può fare, lo sente come un dovere. È quello che tutti noi dovremmo tentare di vivere giorno per giorno.
La domanda giusta che ciascuno di noi dovrebbe rivolgere a Giovanni Battista, o meglio al Signore: "Io che devo fare, o meglio, che posso fare? Aldilà dei tanti diritti che ho, quali sono i miei doveri?" È una domanda seria, non tanto semplice qualche volta.
Il Signore ci aiuti.
"Benedetta tu fra le donne e benedetto IV DOMENICA DI AVVENTO - 23 Dicembre 2018
il frutto del tuo grembo!" Luca 1, 39-45
Domenica scorsa, Maria che dopo l'annuncio dell'Angelo ha qualche cosa da fare, si alza in fretta e va per aiutare Elisabetta, sua cugina che aspetta un figlio in tarda età, e Giovanni Battista ci esortavano a porci la domanda: "E noi che dobbiamo fare?".
Prepararci al Natale - dicevamo - significa fare qualche cosa di concreto, delle azioni magari semplici, piccole nella vita di ogni giorno.
Oggi qualche cosa che - secondo me - è straordinariamente più importante. Oggi i personaggi della pagina che abbiamo ascoltato ci invitano allo stupore, alla meraviglia, all'esultanza, a fare l'esperienza del dono che precede il "fare". Prima di fare bisogna avere l'esperienza che ci è stato donato tutto.
Guardate queste donne. Si incontrano, tutte due hanno in seno un figlio. Un figlio sperato ardentemente da Elisabetta ormai in tarda età. Un Figlio che Maria si ritrova in maniera del tutto non voluta. Un Figlio che viene a riempire la loro vita. Ecco un figlio è il "dono".
Vedete, a Natale ci prepariamo a scambiarci i doni, è una cosa buona, è bello il clima di Natale, però un figlio, un figlio è un'altra cosa...
Molti di voi ne avete fatto esperienza: un figlio ti riempie la vita. Un figlio ti dà veramente il senso dell'esultanza, dello stupore, della gioia, della meraviglia. Un figlio viene a riempire la tua vita. Hai tante cose da fare per lui, ma non c'è niente di paragonabile al dono di un figlio.
Ma se ci pensate, non soltanto un figlio, ma per noi, (per me che figli non ho) tutto è dono. È dono lo splendore del creato, il sole, la luce, la bellezza del mare, la pineta, lo splendore delle montagne... tutto è dono e non posso che guardarlo con stupore, con meraviglia, non posso che continuare ad ammirare la bellezza di quello che mi sta intorno
E non solo le cose, ma soprattutto le persone sono un dono. Le persone che abbiamo incontrato, le persone che ci hanno amato, le persone a cui abbiamo voluto bene, ed è un dono la tenerezza, il rispetto, l'accoglienza di cui abbiamo fatto esperienza: tutto è dono.
E se sentiamo profondamente dentro di noi il dono, allora siamo portati, senza nemmeno pensarci a rendere qualche cosa di quello che abbiamo avuto.
Tutto è dono, ma oggi siamo qui soprattutto per celebrare il dono assoluto: Dio, che viene a condividere la nostra vita e facciamo nostra - allora - l'esultanza di Giovanni Battista che addirittura nel seno di sua madre balza di gioia: è certamente un simbolo. Facciamo nostra l'esultanza di Elisabetta e soprattutto di Maria che canta il suo Magnificat: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore perché ha guardato l'umiltà della sua serva".
Ecco, nella nostra povera umanità, in questa umanità affannata, Dio viene ad incarnarsi per camminare con noi, per essere uno di noi, per portarci la sua luce, i sogni del suo cuore. A noi non resta che dilatare gli spazi del nostro cuore per accoglierlo, per fargli spazio dentro di noi, nella nostra vita concreta di ogni giorno.
Il Natale è questo: prima di "fare" è accogliere il dono. Prima di operare, è l'esultanza, lo stupore la meraviglia, la gioia, quando si può.
Natale è sentire il dono che viene dall'Alto. Dio che cammina con noi.
Il Signore ci aiuti.
"Oggi, nella città di Davide, è nato per voi NATALE del SIGNORE - 25 dicembre 2018
un Salvatore, che è Cristo, Signore..." Luca 2,1-14
Anche oggi con la nostra fantasia... una fantasia che sia ricca come quella che ha permesso di scrivere questa straordinaria pagina del Vangelo, cerchiamo di andare là nella notte di Betlemme.
Troviamo i pastori, hanno ricevuto l'annuncio dell'Angelo e ci mettiamo in cammino con loro. Avviciniamo uno di questi pastori, gli ultimi della terra, costretti - come avete ascoltato - tutta la notte a vegliare... ci sono le bestie feroci, i predoni e devono star svegli… proprio gli ultimi.
Camminiamo con uno di loro e proviamo a pensare: cosa s'aspetta, camminando verso il luogo indicato dall'Angelo? Forse si aspetterà qualche segno straordinario, qualche prodigio, forse più semplicemente che questo Signore glorioso, promesso - come avete ascoltato dal profeta Isaia - venga a liberarlo dalla sua condizione, che lo liberi dal dover star lì tutte le notti a vegliare? Forse si aspetta che possa venire la liberazione dall'impero di Roma, dall'oppressione, dalla violenza, dal male? Forse si aspetta che ci sia pace intorno a sé?
Noi camminando con lui, cosa ci aspettiamo? Forse abbiamo qualche problema in casa, qualcuno che sta poco bene, forse anche noi stessi siamo afflitti da qualche malanno e vorremmo che il Signore ci desse una mano, ci liberasse? Forse ci aspettiamo che il Signore dia un po' di saggezza a questo paese che ne avrebbe tanto bisogno? Forse che porti finalmente un po' di pace nel mondo, che non ci siano più bambini che muoiono per la guerra, per la fame?
Tante attese, tanti desideri, aspettiamo il Signore potente, che possa darci una mano, risolvere i problemi della nostra, a volte terribile, condizione umana.
Avviciniamoci con questo pastore alla capanna di Betlemme. Una mangiatoia, sì, soltanto una mangiatoia. Non è il posto per un bambino, eppure lì è nato il Bambino.
Quest'uomo si guarda intorno con occhi smarriti. Potete cogliere sul suo volto una delusione profonda: tutto qui? È questa la manifestazione della promessa di Dio?
E poi... poi si ferma a guardare il Bambino. Questo piccolo cucciolo d'uomo: un bambino è nato. Il cuore di fronte a un bambino appena nato si scioglie… e forse si chiede: "Ma Lui ha bisogno di me? Forse posso andare a cercare un po' di legna, per fare il fuoco, forse un panno per coprirlo? Insomma, Lui ha bisogno di me, ed io credevo di aver bisogno di Lui!".
Qualcuno ha scritto: "Dio ha bisogno degli uomini, Dio ha bisogno di noi". E allora fermiamoci a guardare quel Bambino: è il dono che viene dall'Alto, ma non è un dono che incarna la potenza, la forza, la capacità di risolvere i problemi del mondo.
In quel Bambino Dio si manifesta, ma non ci dona qualcosa, ci dona Se Stesso. Viene a condividere la nostra vita sulla terra, viene a camminare con noi. Lo vedremo crescere, ci porterà la sua Luce. Ascolteremo i suoi pensieri, i sogni del suo cuore e tenteremo di farli nostri, ma adesso fermiamoci soltanto a guardarlo: è il dono di Dio!
Forse potremmo chiedere a Maria se ce lo fa stringere un momento tra le braccia, sentirlo nostro, uno di noi e allora anche il nostro cuore potrebbe cantare e ascolteremmo anche noi, come i pastori, il canto degli angeli del cielo.
Il Signore ci aiuti.
"Figlio perché ci hai fatto questo? Ecco, SANTA FAMIGLIA - 30 Dicembre 2018
tuo padre e io, angosciati ti cercavamo" Luca 2,41-52
Quando ero giovane... (ma penso che è successo a tutti voi) ci proponevano la famiglia di Nazareth come modello di ogni famiglia... dico quando eravamo giovani, ma lo fanno ancora, l'avete ascoltato dall'orazione che abbiamo letto all'inizio: la famiglia di Nazareth, il modello di ogni famiglia.
Ma quando son cresciuto, a pensarci bene, mi sono accorto che è un modello veramente strano... una famiglia il cui padre non è padre, la madre è vergine, i fratelli non sono figli, il Figlio (come avete ascoltato) a dodici anni lascia i genitori e se ne va per conto suo e quando, dopo tre giorni, lo cercano angosciati, risponde pure male e dice che deve occuparsi delle cose del Padre suo.
Un Figlio che a trent'anni, quando dovrebbe continuare quello che ha fatto suo padre, probabilmente suo nonno, lascia tutto e se ne va, abbandona la sua casa e va in giro per il mondo a predicare. Vi sembra un modello di famiglia? Forse no!
Questo ci può aiutare però a comprendere il mondo di oggi. Perché viviamo in un tempo in cui molte famiglie sono strane, come quella di Nazareth e quindi in questo senso potrebbe essere un modello.
Oggi ci sono famiglie in cui ci sono due, a volte, addirittura tre padri, due madri, figli che non sono figli, figli che erano estranei e che son diventati figli... Ci sono coppie che, per loro fortuna, durano a lungo, spesso tutta la vita in un amore serio. Ci sono coppie che si dividono, qualche volta dopo qualche mese, qualche volta dopo anni.
L'idea di un matrimonio indissolubile rimane ormai soltanto in qualche mente che non si rende conto della realtà: di indissolubile c'è più ben poco nella nostra società così complicata.
Ci sono tanti che non sono sposati in chiesa, tanti che convivono senza essere sposati nemmeno in Comune. Ci sono famiglie di ogni genere. C'è molta gente che è sola. Ci sono degli anziani che, qualche volta, trovano di nuovo un amore, un affetto, una vita da condividere.
Ci sono oggi anche famiglie che sono fatte soltanto da due uomini o da due donne: sono anche queste famiglie perché basate sull'amore, a volte un amore (per quella che è la mia esperienza) più vero e più forte di quello che c'è in altre famiglie che son costrette a vivere insieme per forza.
Vedete - non esiste (secondo quello che ho capito io) un modello di famiglia. Ci sono tante famiglie, tanti quanti siamo. Quello che è importante è che dentro ogni rapporto ci sia il rispetto, la tenerezza, la capacità di condividere qualche cosa, la capacità anche in situazioni difficili di non litigare, di non mettersi l'uno contro l'altro.
Ma il Vangelo di oggi può insegnarci qualcosa di ancora più profondo. Vedete - Gesù dice che deve occuparsi delle cose del Padre suo. Gesù è Figlio di Dio, lo ripetiamo ogni volta che celebriamo la Messa ma, a pensarci bene, non è ogni uomo figlio di Dio? Non è ogni bambino che nasce, figlio di Dio? Figlio di Dio significa che prima di essere figlio dei genitori, è figlio di Dio e che nessun bambino può essere posseduto dai suoi genitori.
Ogni bambino è figlio di Dio, è figlio di se stesso, deve andare per la sua strada. Oggi, a volte, i genitori ritengono i figli un possesso da difendere ad ogni costo contro tutti e contro tutto: difenderlo contro i professori, come contro l'allenatore di calcio.
Quando ero ragazzo (forse è successo anche a qualcuno di voi) quando prendevamo un brutto voto a scuola cercavamo di non dire niente altrimenti erano rimproveri severi e talvolta qualcosa di più. Adesso se uno prende tre, i genitori vanno dal preside a brontolare e se la pigliano con la professoressa che lo ha trattato male... il mondo si complica e forse bisognerebbe ritrovare un po' di saggezza. Forse bisognerebbe riconoscere che un figlio non è totalmente nostro. Un figlio è figlio della vita. Un figlio deve andare per la sua strada, deve farsi le sue ossa.
Il fatto che Gesù a trent'anni se ne sia andato per conto suo, forse insegna a tanti ragazzi di oggi il coraggio di costruire il proprio futuro e a tante famiglie il lasciare i figli andare per la loro strada, a farsi la loro vita, a trovare il loro cammino. C'è troppo "familismo", la famiglia sembra rimasta in questo paese l'unico baluardo per la vita. Si perde il senso della comunità. Si rischia di perdere addirittura il senso della libertà e della dignità di un uomo.
Vedete dunque quello che cercavo di dirvi stamattina... la famiglia di Nazareth è tutto meno che un modello, ma forse può insegnarci il rispetto, la libertà, il fatto che tutti noi veniamo da Dio e da Dio abbiamo la libertà, la dignità e da Dio abbiamo la vocazione a fare il nostro cammino, a essere uomini liberi che vivono nel rispetto, nell'attenzione degli uni verso gli altri.
Ogni famiglia è una famiglia diversa, c'è tanta varietà, non ci sono modelli, ci sono uomini... uomini che devono rispondere alla chiamata del Padre che li chiama a vivere una vita... in cui ci sia rispetto, tenerezza, la capacità di amare e di condividere.
Il Signore ci aiuti.
Ed ecco la stella… li precedette e si fermò EPIFANIA del SIGNORE - 6 Gennaio 2019
sopra il luogo dove si trovava il Bambino. Matteo 2,1-12
Anche quest'anno (sarà successo anche a voi) mi è capitato di ascoltare disquisire su quale potesse essere la stella di Betlemme. Quest'anno si trattava di una astronoma, una donna.
Avete mai visto una stella che si ferma su una casa? Le stelle stanno su, non si fermano, girano... perché nel 2019 c'è ancora qualcuno che discorre su quale sia la stella di Betlemme?
Credo che ci sia in questo paese (non so negli altri) un grande tabù che fa pensare che se i racconti del Vangelo non vengono presi alla lettera, non si cerca di scoprire quale potesse essere la stella o chi potessero essere i Magi, si perda qualche cosa. Se il fatto non è accaduto, sembra a molti, anche delle autorità della Chiesa, che si perda qualcosa, secondo me (se ho capito) così si perde tutto. Si perde tutto perché, questa storia, non è scritta per raccontarci un avvenimento di tanti anni fa, ma per farci vivere - noi - oggi una chiamata, un invito a cercare, a inseguire la Luce.
Lo avevano capito anche loro! Quanti Magi avete messo nel presepe? Tre, ma mica c'è scritto! Avete notato che sono "alcuni" non tre! Alcuni, perché la comunità di Matteo probabilmente pensava che ognuno dei presenti potesse dire: "Io sono il Mago!". Ciascuno di noi! Essere cristiani significa proprio questo: tentare di inseguire la Luce, il senso della vita, i valori essenziali, la bellezza, la bontà. Inseguirla giorno per giorno senza stancarci in un cammino che è lungo e difficile, eppure essere cristiani significa continuare a cercare, nonostante tutto.
Avete ascoltato... i Magi entrano in Gerusalemme e trovano la città che si agita, Erode e i sapienti, quelli che sanno tutto. Vi sembra che le città che si agitano, Erode, i sapienti... non ci siano più? Basta che vi guardiate intorno con un po' di attenzione. Di sapienti è pieno il mondo, è piena la Chiesa, quelli che "sanno" ma, come questi dottori del Tempio, non si muovono, pensano di sapere tutto e non cercano più. Non inseguono più la luce, non cercano più il senso della vita.
E vi pare oggi che non ci sia la città che si agita? Guardatevi intorno! Viviamo in un mondo, (almeno in questo paese, non so gli altri) in cui si diffonde sempre di più la paura, il rancore, la sfiducia. Si perde il senso del futuro, il bisogno di inseguire la luce, ci si rinchiude in se stessi. Ci si lascia prendere dalla paura, dalla paura degli altri, paura spesso insensata, provocata ad arte per l'interesse di qualcuno. Aldilà di tutto questo il cristiano tenta di inseguire i valori autentici.
Vi sembra che Erode non ci sia più? Quanti bambini muoiono nel mondo ogni giorno per fame, per la guerra, per il disprezzo degli altri?
E anche da noi vi sembra che Erode non ci sia più? In questa Europa ricca si lascia della povera gente sul mare da giorni per paura di accogliere donne e bambini, gente indifesa, impaurita, c'è anche qui Erode, come c'è ancora purtroppo nella terra di Gesù.
Eppure nonostante i sapienti, nonostante la paura e il rancore, nonostante Erode... il cristiano è uno che continua a cercare. Continua a cercare la luce, continua a cercare i valori e il senso della vita, se si ferma è perduto! Non è più un credente, è uno che si è fermato, ha abbandonato il Signore, non cerca più la sua Luce, non insegue più la verità, il bene, la bellezza, non cerca più. Non cercare più significa avere perso la fede.
Allora - vedete - se in questo racconto leggiamo soltanto una bella storia scritta tanti anni fa e non ci sentiamo - noi - dentro questa storia, non sentiamo che noi siamo i protagonisti, oggi, di questa stessa storia... il Vangelo non lo abbiamo letto.
Siamo all'inizio dell'anno, non me lo fate ripetere tutte le Domeniche per favore, difendetevi dai tabù di questo paese, dai tabù religiosi. Non mi fate ripetere tutte le Domeniche che si tratta di simboli, che non si parla di gente vissuta duemila anni fa, si parla di me, si parla di voi.
Nel momento in cui ci rendiamo conto che il Vangelo parla di noi, allora lo leggiamo, altrimenti diventa soltanto una storia più o meno bella di tanti anni fa, che non ha valore per noi. Il Vangelo è vita e il Vangelo di oggi ci dice che è ricerca di Luce, è passione per la verità e per il bene, passione di ogni giorno.
Il Signore ci aiuti.
"Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te BATTESIMO del SIGNORE - 13 Gennaio 2019
ho posto il mio compiacimento" Luca 3,15-16.21-22
Man mano che i discepoli seguono Gesù sul suo cammino e scoprono sempre di più la sua grandezza, riconoscono in Lui l'Inviato del Padre, la presenza di Dio nella vita degli uomini... il Figlio che viene dall'Alto, raccontano con imbarazzo e difficoltà il suo Battesimo nel Giordano... poi pian piano, forse, riescono a capire due cose fondamentali.
Vediamo se riesco a spiegarmi... La prima... immaginate di trovarci - come succedeva un tempo - in fila per andare a confessarci. C'e là il confessionale, il sacerdote - il rappresentante di Dio - colui che giudica, ci dà una penitenza e noi in fila con il cuore un po' pesante, perché sappiamo che c'è qualche cosa che non è andato nella nostra vita... camminiamo e aspettiamo… se qualcuno ci domandasse: "Gesù dove sta?" Non avremmo dubbi: "È il sacerdote che lo rappresenta. Lui non il sacerdote ci giudica, è lui il giudice"
Siamo stati abituati (almeno io, ma credo anche voi) ad avere paura di Dio: paura del suo castigo, castigo concreto anche in questa vita. Una delle frasi che ho più ascoltato nel lungo mio cammino di servizio sacerdotale è: "Padre, che male ho fatto perché mi capiti questo?"
Pensavamo sempre - così ci avevano insegnato - di essere sotto l'occhio vigile e in qualche modo minaccioso di Dio. Sì, c'era una possibilità di premio, ma ancora di più di castigo. Ed ecco che, quando ci mettevamo in fila per andare a confessarci, non avevamo dubbi che Gesù stesse da quella parte, pronto a giudicare e qualche volta qualcuno di noi addirittura si è sentito negare l'assoluzione.
Il Vangelo di oggi ci dice un'altra cosa. I discepoli hanno scoperto che Gesù non stava "là", ma accanto a loro, che camminava con loro, non stava dalla parte di Giovanni. Se leggete il Vangelo di Matteo, fanno dire a Giovanni: "Ma perché tu vieni a farti battezzare da me, sono io che devo farmi battezzare da te".
Gesù "deve" essere il giudice e invece i discepoli si accorgono che Gesù ha camminato con loro, che è stato vicino a quelli che avevano il cuore pesante, che ha sempre teso la mano a chi era in difficoltà, che ha rialzato chi era caduto, ha aperto gli occhi a chi era "cieco", ha fatto camminare lo "storpio", ha ridato a tutti il coraggio e la speranza del cammino.
Quindi - Gesù - non dalla parte di chi giudica, ma dalla parte di chi cammina verso un momento di pentimento e di rinnovamento: Gesù accanto a noi.
Questo dovrebbe togliere dal nostro cuore la paura di Dio, la paura del castigo. Dio non sta là che ci guarda e ci giudica, ma ci cammina accanto, non perchè possa far pace con il nostro male, ma per spingerci a camminare, a cercare, ad andare avanti.
La seconda cosa che capiscono, come avete ascoltato in questa pagina del Vangelo, è che il Battesimo di acqua di Giovanni non basta! Ci vuole un altro Battesimo: lo Spirito Santo e il fuoco. Qui c'è forse un'anticipazione del racconto della Pentecoste che la comunità di Luca scriverà nel secondo Libro, gli Atti degli Apostoli. È lì in quel momento che per loro comincia il cammino della Chiesa, quando scende dall'Alto il fuoco e c'è il vento dello Spirito.
Ecco, il credente non si ferma alla richiesta di perdono, al battersi il petto, pentito dei propri peccati, no, cerca di andare avanti, cerca di avere dentro di sé il fuoco che viene dall'Alto. Gesù dice più avanti nel Vangelo, lo leggeremo: "Sono venuto sulla terra a portare il fuoco e come desidero che si accenda"
Un fuoco dentro di noi che ci riempia il cuore dei valori autentici, che ci dia passione per la vita, per il bene… essere cristiani significa ricevere, aprirsi al dono dello Spirito, è il Vento di Dio che ci spinge avanti. Non possiamo fermarci a guardare indietro dove abbiamo sbagliato, che cosa ci pesa sul cuore, l'importante è guardare avanti, l'importante è che il nostro cuore si apra al vento di Dio, al desiderio di giustizia, di bene, di pace che Gesù vuol mettere nel profondo di noi stessi.
Non basta più una legge esterna, il comandamento, il precetto, ci vogliono dei valori dentro, ci vuole un fuoco dentro, ci vuole la passione nel nostro cuore: la passione per la giustizia, per il bene, per la pace: questo è vivere il Battesimo cristiano.
Quando ero ragazzo mi dicevano che il Battesimo cancellava il peccato originale, toglieva via il "diavolo", si faceva addirittura un esorcismo... no, il Battesimo è il dono dello Spirito, il Battesimo è il fuoco di Dio, è il vento che viene dall'Alto e la vita del cristiano questo dovrebbe essere, non tanto un ripiegarsi su se stesso, sul proprio peccato e ancor meno la paura di Dio quanto invece la spinta in avanti, il vento dello Spirito, il fuoco che ci arde dentro: per questo è venuto Gesù.
Il Signore ci aiuti.
Vi fu una festa a Cana di Galilea II DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 20 Gennaio 2019
e c'era la madre di Gesù Giovanni 2,1-11
A volte qualcuno di voi pensa che io dica cose strane e addirittura provocatorie, ci son solo due cose da dire: che avete il diritto e anche il dovere di pensare che essendo io molto anziano sia un po' rimbecillito e quindi vi conviene continuare a credere come avete sempre fatto, ma si può aggiungere che a volte farsi sorprendere da una provocazione può portare a scoprire aspetti inaspettati e importanti.
Se mi avessero detto, quando ero giovane che si può incontrare Gesù solo aldilà della legge, delle regole e anche della decenza e della ragionevolezza, sarei rimasto molto sorpreso e sconcertato e avrei pensato che chi faceva tali affermazioni fosse molto lontano dalla fede. Poi mi sono convinto che questa pagina del Vangelo dice proprio questo, lo dicono alla loro maniera attraverso simboli. Oggi, come avete ascoltato è il primo dei segni con cui Gesù manifesta la sua gloria, eppure è un segno strano.
La prima considerazione... l'acqua che diventa vino non è un'acqua qualunque, ma è l'acqua per la "purificazione" dei Giudei. I Giudei sono oberati da regole, da leggi, da prescrizioni minuziose e hanno sempre il timore di cadere nel peccato, di essere lontani da Dio e quindi il bisogno continuo di purificarsi, di lavarsi.
Avevano tutta una serie di leggi complicate che riguardano il Sabato: quanti passi si possono fare e poi cosa si può mangiare, quanto si può mangiare... eccetera. Non solo ma c'erano anche delle preoccupazioni che si poteva diventare contaminati senza saperlo. Se passavi sopra una tomba rimanevi contaminato. Se tu stringevi la mano a una donna che aveva le mestruazioni, rimanevi contaminato anche se non lo sapevi… quindi il bisogno continuo di purificarsi, di lavarsi e quindi il senso di colpa che - come sapete - rischia di schiacciare la vita dell'uomo.
Sto parlando degli antichi Ebrei, ma posso parlare anche di me o forse anche di voi. Siamo stati educati con tutta una serie di regole, di leggi, di comandamenti, anche minuziosi, a volte pesi insopportabili e che qualche prete ci metteva sul cuore e ci portavamo dentro spesso un forte senso di colpa: il bisogno di confessarsi, qualcuno anche in maniera molto frequente.
Il Vangelo di oggi ci dice che Gesù quest'acqua la vuole trasformare in vino. Il vino che è un simbolo che attraversa tutto l'Antico Testamento: è il simbolo dell'amore, è il simbolo della passione, è il simbolo della festa.
Sì, le regole... ma se non hai passione nel cuore, se non senti amore, se non ci sono dentro di te dei valori, se non c'è una luce... tutto si riduce a senso di colpa, a paura di essere continuamente in peccato. Bisogna andare aldilà di tutto questo, oltre le regole, oltre la legge per trovare il coraggio dell'amore, della passione per il bene.
C'è un'altra considerazione! Vedete - questo miracolo che Gesù fa, sembra del tutto irragionevole, anzi aldilà della decenza, perché Gesù cambia l'acqua in vino quando (come avete sentito) tutti hanno bevuto molto, rischiano di finire ubriachi, di non tornare nemmeno a casa. Vi sembra giusto sprecare la forza di Gesù per fare una cosa del genere?
Sembra una cosa del tutto irragionevole, ma anche questo è un simbolo. Il simbolo più profondo di Gesù, perchè indica che è Lui lo Sposo, è Lui che è venuto a condividere la nostra vita e - a pensarci bene - sembra veramente irragionevole che Dio si sia fatto uno di noi e abbia preso la nostra carne. Non solo, che sia andato nascere in una mangiatoia e sia finito su una croce. La croce - non ve ne siete forse accorti - è ricordata in quello che abbiamo letto perché Gesù dice a Maria: "Non è ancora giunta la mia ora". "Quella" sarà la sua ora, l'ora in cui finalmente manifesterà la sua gloria, cioè il suo amore totale per noi.
Ma un Dio che viene a farsi uno di noi, a condividere la nostra vita, la vita degli ultimi, dei poveri, un Dio che finisce su una croce sembra a molti, non solo oggi anche a quel tempo, del tutto irragionevole.
Paolo, quando parla di questo dice: "È scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani". Ma poi aggiunge: "Ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini".
La follia di Dio è la follia dell'amore, del condividere la vita, di essere uno di noi, aldilà della ragionevolezza, aldilà di quello che sembra decente, Dio viene in mezzo a noi per essere lo Sposo. Ci ama appassionatamente e vuole che nel nostro cuore ci sia la passione per il bene e per la vita.
Ci porta oltre le regole, oltre le tradizioni a cercare l'essenziale, a far sì che nel nostro cuore ci sia luce, ci sia la passione per il bene, il desiderio vivo per la pace, la voglia di condividere la vita con gli altri.
Ecco, tutto questo è molto più importante di tante regole a cui siamo stati educati e soprattutto Gesù vuole condurci alla "festa", a gustare il "vino nuovo": il vino della gioia, il vino dell'ebbrezza. Vuole portarci aldilà del senso di colpa che qualche volta impedisce all'uomo di sorridere e di incontrare il Dio dell'amore, il Dio della vita.
Ecco, il senso profondo di questo Vangelo. Non vi sembri una provocazione, ripensateci qui c'è il senso vero della nostra fede. Qui Gesù si manifesta come lo Sposo appassionato che ci vuole portare sulle vie della vita e dell'amore.
Il Signore ci aiuti.
Gli fu dato il rotolo del profeta III DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 27 Gennaio 2019
Isaia... "Oggi si è compiuta questa Luca 1,1-4; 4,14-21
Scrittura che voi avete ascoltato"
Come forse avete notato abbiamo letto l'inizio del Vangelo di Luca e poi siamo passati al capitolo quarto, quello che c'è in mezzo l'abbiamo già letto: sono i racconti di Betlemme, del Battesimo di Gesù.
Aver letto l'inizio ci permette di fare una piccola riflessione su quello che è il Vangelo che leggiamo ogni domenica. Luca è l'unico degli Evangelisti che si preoccupa all'inizio di dirci che cosa ha fatto e come avete ascoltato ha fatto accurate ricerche, cercando quello che hanno scritto prima di lui.
Molte testimonianze gli permettono di risalire fino all'inizio, fino ai testimoni oculari, a quelli che hanno ascoltato Gesù.
Quello che leggiamo è stato scritto circa 40 50 anni dopo la morte di Gesù, in questo tempo tante persone hanno parlato, hanno testimoniato l'incontro con Gesù, non sono tanto preoccupati di raccontarci dei fatti, ma di dirci la loro esperienza profonda, di farci intuire chi è stato Gesù per loro, come ha cambiato la loro vita, ha arricchito il loro cuore, li ha trasformati da gente comune, che faceva vari lavori, in testimoni che hanno attraversato la terra, spinti come da un fuoco che avevano dentro, un fuoco che ha comunicato Lui.
Tutte queste testimonianze vengono pian piano scritte, perché il cristianesimo si diffonde rapidamente in larga parte dell'Impero Romano e c'è bisogno di avere qualche cosa di concreto da leggere quando ci si raduna prima il sabato e poi la domenica come facciamo noi.
Scrivono con una mentalità, un modo di parlare, di scrivere che è profondamente diverso da quello che usiamo noi oggi, come è normale essendo passati ormai quasi 2000 anni.
C'è quindi per noi un problema, un problema di interpretazione ma, come potete facilmente immaginare, anche loro hanno interpretato: il messaggio passa attraverso molta gente e quelli che scrivono colgono ognuno un aspetto diverso, qualche volta anche in contrasto tra di loro, tutto questo viene elaborato, raccolto e confluisce nel Vangelo che leggiamo e non c'è che da aspettarci di trovare interpretazioni diverse, atteggiamenti diversi di fronte alla Parola di Gesù.
Come non dobbiamo meravigliarci se la parola di Gesù, pienamente luminosa, passando attraverso varie bocche di uomini si sia un po' sporcata, abbia incontrato il rancore e il desiderio di vendetta di queste persone che erano perseguitate e molti hanno perso la vita: gli Apostoli, molti altri.
Quindi quello che leggiamo è il frutto di tutto questo cammino e noi dobbiamo tentare di interpretare, non è semplice perché siamo tutti diversi per fortuna, quindi se oggi aveste la fortuna o sfortuna di ascoltare dieci prediche diverse su questa pagina del Vangelo sentireste probabilmente dieci interpretazioni diverse, ma è importante che siamo capaci di ritrovare aldilà della diversità quello che il Vangelo ci dà, cioè la realtà profonda e intima del Signore.
Siamo diversi ma per tutti noi Gesù dovrebbe essere portatore di luce, di vita, capace di accendere nel nostro cuore un fuoco, di farci intuire il volto di Dio e di comunicarci la passione per il bene e la giustizia, la capacità di riconoscere in ogni uomo un fratello.
Una seconda considerazione vorrei farvi passando al capitolo quarto: avrete notato che Gesù va come ogni sabato in Sinagoga a leggere l'Antica Scrittura. Noi siamo eredi della grande tradizione di Israele che ha intuito qualche cosa di fondamentale del nostro rapporto con Dio.
Dico queste cose con particolare piacere oggi che celebriamo il ricordo della Shoah, la giornata della memoria. Troppe volte i cristiani hanno pensato che ci fosse una profonda differenza tra Antico e Nuovo Testamento, ho ascoltato tante volte cristiani che pensano che il Nuovo Testamento presenti un Dio buono misericordioso e l'Antico Testamento invece un Dio severo che punisce, che addirittura proclama la guerra: è soltanto una caricatura. Dovremmo sempre ricordarci che Gesù era un ebreo, oggi l'abbiamo visto con chiarezza: va ogni sabato nella sinagoga e nel profondo di se stesso si è nutrito dell'Antica Scrittura. Gli apostoli erano tutti ebrei, tutti eredi della grande tradizione che ha intuito qualche cosa di profondo della realtà di Dio, della sua luce, che ci ha trasmesso l'idea di un Dio trascendente, il cui nome non si può pronunciare, e il monoteismo etico: Dio prima di tutto esige la giustizia, l'uomo passa prima di tutto, anche della religione, anche di Dio, se si vuole amare Dio si deve amare l'uomo. Sono tutte cose che ci vengono dall'eredità straordinaria che questo popolo ci ha lasciato, è bene che ce lo ricordiamo sempre perché nella storia purtroppo del Cristianesimo sempre ci sono stati dei rigurgiti di antisemitismo, accusando questo popolo di aver tradito Dio, di essere addirittura deicida: sono delle bestemmie, dovremmo sempre ricordare che Gesù era un ebreo, i primi cristiani erano ebrei, tutti eredi della grande tradizione di Israele, una grande tradizione che dovremmo, molto più di quanto facciamo, fare nostra, sentirci eredi di questo grande popolo che ha saputo intuire qualche cosa di straordinario del volto di Dio.
Per concludere soltanto qualche domanda: avete visto che Gesù si riconosce in queste parole del profeta Isaia, dice: "Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete ascoltato", si è compiuta in Lui. I primi cristiani riconoscono in queste parole la realtà di Gesù, la loro esperienza di Lui.
E noi? Provate a domandarvi: Gesù è stato colui che mi ha portato il lieto annuncio, l'annuncio della gioia, della liberazione, è Lui che mi ha tolto dal cuore la paura di Dio? Gesù è per me la luce, è stato Lui che ha aperto i miei occhi, ha illuminato la mia vita, mi ha comunicato i valori essenziali, il senso del nostro stare sulla terra, del nostro rapporto con gli altri?
Gesù è stato colui che mi ha liberato dalle mie pigrizie, dalle mie incomprensioni, che mi ha fatto sentire libero di amare?
Ecco sono domande che vorrei conservaste nel cuore, con gratitudine, riconoscendo come anche per noi Gesù è stato veramente liberazione e luce e vita e fuoco e calore e valori e ideali e speranze e voglia di amare Dio e il prossimo: domande fondamentali per un cristiano.
Il Signore ci aiuti.
"In verità io vi dico: nessun profeta IV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 3 Febbraio 2019
è bene accetto nella sua patria..." Luca 4,21-30
Se vi capitasse di andare a Nazareth non cercate il ciglio del monte da cui gli abitanti vogliono buttare giù Gesù, non c'è! Nazareth è un paese di pianura. Ancora una volta debbo ricordarvi che quello che leggiamo nel Vangelo sono in gran parte racconti simbolici.
Simboli, attraverso i quali le comunità che scrivono cercano di esprimere qualche cosa di fondamentale per loro e questo racconto, per la comunità di Luca, è particolarmente importante.
Vedete, il rifiuto di Nazareth c'è anche nei Vangeli di Matteo e di Marco, ma è messo molto più avanti. Luca lo sposta quasi al principio e lo dilata. Gli altri Vangeli si fermano a dire che "Nessun profeta è bene accetto in patria".
È una storia universale. In tutte le culture spesso i profeti, quelli che vedono il futuro, non sono accettati, magari dopo gli si fanno i monumenti.
Ma il Vangelo di Luca si preoccupa di capire perché il Profeta, perché Gesù non è stato accettato. Raccontano questa storia con un senso di gratitudine, perché il rifiuto di Israele ha portato loro, che sono in gran parte pagani, ad ascoltare il messaggio di Gesù.
Questo messaggio che si era propagato nelle piccole cittadine di Israele, ad un certo punto, esplode nel mondo. Ma perché - secondo Luca - gli abitanti di Nazareth, che sono un simbolo del popolo di Israele, non accolgono Gesù? Lo avete ascoltato sia dalle parole di Gesù, sia dal ricordo di antichi profeti. Gli abitanti di Nazareth dicono: "Perché non fai qui, non fai per noi, che siamo i tuoi concittadini, quello che hai fatto per gli altri?".
E Gesù dice: "Ricordate la storia del profeta Elia? C'erano molte vedove, quando c'era carestia in Israele, ma Elia andò soltanto da una straniera, una vedova in Sarèpta di Sidòne". Non in Israele, ma fuori è portata la salvezza.
Così accade per il profeta Eliseo. C'erano molti lebbrosi in Israele, ma uno solo fu guarito: Naamàn, il nemico, il Siro, l'ateo - lo dice chiaramente l'Antica Scrittura.
Per la comunità di Luca è particolarmente importante: Gesù ha messo nel loro cuore il principio per cui potevano uscire dal"noi", dal nostro piccolo gruppo, dalla nostra tradizione per aprirsi al mondo. Ve l'ho ripetuto più volte. Il principio fondamentale del Vangelo... uno dei principi fondamentali è: "Non è l'uomo fatto per il sabato, il sabato è fatto per l'uomo", Il Sabato è la tradizione, la pretesa di essere "noi" i depositari unici della Parola del Signore.
Gesù dice: "No! l'uomo viene prima". Il messaggio che comunica ai suoi può essere portato in giro per il mondo: si spalancano le porte, si aprono gli spazi. Il Vangelo può essere annunziato in tutto il mondo e i cristiani di Luca lo sentono e lo vivono.
Loro sono dei pagani che hanno avuto la fortuna di conoscere Gesù, di ricevere il Lieto Annunzio, di far parte anche loro, senza diventare ebrei, della grande tradizione di Israele, ma soprattutto è la fede di Gesù che accolgono nella propria vita, con senso di gratitudine.
Si rammaricano e un po' anche accusano il popolo di Israele di aver rifiutato Gesù. Questa accusa peserà su questo popolo fino ai nostri giorni, ma loro... loro vivono la gioia, loro sono gli "altri", sono i diversi, sono i pagani... i pagani che hanno finalmente potuto accogliere il Signore.
Vorrei concludere dicendo che questa pagina, quando l'ho riletta in questi giorni; mi ha particolarmente impressionato. A volte le circostanze in cui si vive ti danno del Vangelo uno sguardo diverso, sconvolgente.
Vi riassumo il Vangelo di oggi. Elia non si occupa dei "suoi", ma degli "altri". Eliseo non guarisce i "suoi", ma gli "altri". Gesù non si occupa dei suoi paesani, ma degli "altri". Non noi, gli "altri".
In un tempo in cui per il nostro paese gira continuamente la frase: "Prima noi, prima gli italiani" noi, non gli altri, c'è da domandarsi: "Ma che Vangelo leggiamo in questo paese?" o forse meglio: "Perchè non prendiamo almeno un po' sul serio il Vangelo del Signore?"
Il Signore ci aiuti.
"Non temere d'ora in poi V DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 10 Febbraio 2019
sarai pescatore di uomini" Luca 5,1-11
Nei vari Vangeli c'è l'episodio della chiamata da parte di Gesù dei discepoli, mentre stanno a pescare sulla riva del lago, lasciano - come avete ascoltato - tutto e lo seguono.
Linguaggio simbolico che esprime l'esperienza fondamentale degli apostoli, ma anche dei cristiani, che scrivono il Vangelo.
Tentano di dirci quella che dovrebbe essere anche la nostra fondamentale esperienza.
Abbiamo avuto la ventura di incontrare Gesù. Ha attraversato la nostra strada, siamo rimasti incantati, almeno loro sono rimasti incantati dalla sua Parola, dalla sua persona, dai valori che portava dentro e lo hanno seguito: è stata la loro fortuna. Hanno scoperto un mondo nuovo, valori che non conoscevano, sono rimasti incantati dalla realtà di Gesù che camminava con loro verso un mondo nuovo, diverso.
Il Vangelo di Luca - è l'unico che lo fa - si preoccupa di ampliare questo discorso inserendo l'immagine (evidentemente anche questa simbolica) di una pesca straordinaria. Tentano di dirci che Gesù non era uno qualunque, era una persona eccezionale. Lui era capace veramente di cambiare la vita. Lui capace di farci fare la "pesca" miracolosa.
Avete ascoltato però che insistono su Pietro, il quale quando Gesù gli dice: "Buttate le reti" risponde: "Maestro abbiamo pescato tutta la notte, non abbiamo preso niente, vuoi che andiamo adesso di giorno? non si pesca di giorno!".
Esprime così - Pietro - la sua sensazione che finora ha vissuto invano, non ha conosciuto la via della giustizia, non ha scoperto la luce della vita, i valori essenziali... ma c'è di più, Pietro dice: "Abbi pietà di me, Signore, sono un pover'uomo, sono un peccatore, allontanati da me".
Pietro quasi vuole allontanare Gesù, ma Gesù è venuto per lui, come è venuto per tutti i cristiani, come è venuto per noi che siamo povera gente e a Pietro dice: "D'ora in poi sarai pescatore di uomini".
Qui c'è una cosa curiosa Luca inventa una parola, invece di usare la solita parola per dire "pescatore" che tutti conoscevano, ne inventa un'altra che si potrebbe tradurre: "prendi gli uomini vivi", oppure, meglio, "prendi gli uomini per la vita". Il pesce si prende per metterlo in padella, gli uomini no.
Vedete, nella tradizione ebraica, l'acqua del lago, del mare è qualche cosa di oscuro, di pericoloso, può essere un simbolo del male. Pensate al Mar Rosso che gli Ebrei debbono attraversare, ma l'acqua si deve aprire. Devono passare, come dicono loro, a piede asciutto e poi, quando l'acqua si ricopre sull'esercito del faraone, tutti periscono. L'acqua può essere anche un segno di morte.
Ecco, questa è d'ora in poi la missione di Pietro: trarre fuori gli uomini dal mondo della morte, farli entrare nel mondo della vita, dare loro la speranza, la luce, i valori autentici.
Quando leggevo questo mi veniva in mente un episodio, accaduto ormai tanti anni fa. Durante il funerale di un mio amico, l'amico forse più prezioso della mia vita. Abbiamo studiato insieme, è stato prete qui a Roma, poi è andato a fare il parroco nella periferia del mondo, in Brasile tra la gente più povera. Durante il suo funerale un uomo ha detto: "Quest'uomo santo mi ha tratto fuori dal fango". Era un'immagine certamente, non era caduto in una pozza di fango lo aveva tirato fuori dal male.
Queste son cose che fanno i santi! Tutti noi però abbiamo il compito di aiutare gli uomini, come possiamo, ad uscire dal male.
Prima di tutto certamente noi stessi, perchè se non ne usciamo noi, non posiamo aiutare nessuno, ma il compito di un credente è quello di combattere il male, di aiutare gli uomini di andare aldilà del male. Il male che è aggressività, violenza, disprezzo degli altri, egoismo, incapacità ad aprirsi e amare.
Un male che c'è sempre stato nel mondo e non l'abbiamo vinto dopo duemila anni, ancora ogni credente ha il compito di aiutare gli uomini suoi fratelli e se stesso ad uscire dal male.
Gesù ci dice: "Con me, con la mia Parola..." Pietro dice: "Sulla tua Parola getterò le reti" Ecco, sulla Parola di Gesù, sugli esempi di Gesù, con la vita di Gesù che può entrare dentro di noi con la sua luce, con la passione del suo cuore, anche noi possiamo essere in grado di portare intorno a noi libertà e tenerezza e vita e capacità di accoglienza, di apertura agli altri e desideri di pace e di giustizia... possiamo insomma tentare di liberare questo mondo, come ci riesce, dal male.
Un compito quasi impossibile, ma il cristiano ha fiducia in Gesù e non si stanca di continuare a provarci. Qualche volta riusciamo a fare qualche piccola cosa, più spesso riusciamo a fare poco o niente, ma l'importante è continuare a cercare sempre con un cuore infinitamente grato per aver conosciuto Gesù, per aver incontrato la sua luce, i suoi valori che danno senso alla vita. Senza di Lui si pesca invano. Senza di Lui la vita rischia di essere inutile, priva di senso, priva di valori. Con Lui troviamo la luce e la vita.
Il Signore ci aiuti.
"Beati voi, poveri, perché VI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 17 Febbraio 2019
vostro è il regno di Dio" Luca 6,17. 20-26
Tutti voi, penso, avete nella mente e nel cuore le Beatitudini come le leggiamo nel Vangelo di Matteo: "Beati i poveri in spirito, Beati i miti, quelli che hanno fame e sete di giustizia, i misericordiosi, gli operatori di pace". Qui, come avete sentito, il tono è molto diverso. Solo quattro Beatitudini per i poveri, per chi piange, per chi è perseguitato e quattro "guai".
La maggior parte dei cristiani preferisce le Beatitudini di Matteo e - secondo me - anche a ragione. Ma, vedete, gli studiosi ci avvertono che forse la formulazione più antica non è quella, ma questa.
Noi non sappiamo che cosa effettivamente abbia detto Gesù, forse frasi, discorsi in condizioni e in tempi diversi che poi qualcuno ha raggruppato insieme, ma sembrerebbe che la versione più antica sia quella più difficile, ma forse è anche quella più profonda e più importante.
Prima di cercare (se mi riesce) di farvi intuire qualche cosa di questa pagina bisogna sgombrare il campo da equivoci che hanno attraversato la storia della Chiesa e purtroppo ancora la attraversano.
Non c'è - qui - una esaltazione della povertà, della miseria, della sofferenza, della persecuzione. Troppo volte i cristiani hanno pensato che Dio amasse la sofferenza, che a Lui fosse gradito il dolore... c'era gente che arrivava a flagellarsi, a fare grandi digiuni: tutte cose che appartengono a un mondo insensato che dovrebbe essere lontano.
C'è ancora di più. Molte volte sono state usate queste parole per dire alla povera gente: "Pazienta, sopporta, non ribellarti, abbassa la testa, perché poi avrai una ricompensa nel mondo futuro". È quanto di più offensivo ci possa essere per chi soffre, per chi tribola! Forse per questo si aggiunge qui quattro volte: "guai". Guai a chi non è capace di donare, a chi - come dice questa pagina - ha già ricevuto la sua consolazione, si è contentato di soldi e non è capace di condividere la vita e di amare.
Qui - secondo la comunità di Luca - c'è una scelta fondamentale, radicale che Dio fa. In Gesù di Nazareth Dio si schiera dalla parte dei sofferenti, di chi ha fame, di chi tribola, di chi è perseguitato.
Quando mi capitava di dire queste cose, soprattutto ai bambini, dicevano subito: "Dio non può schierarsi, Dio deve voler bene a tutti". E allora bastava dire: "Se una mamma ha tre figli e uno si ammala - secondo te - dalla parte di chi si schiererà la mamma?" "Ah! certamente dalla parte di chi è malato". E non vuol dire che agli altri vuol meno bene. Così fa Dio!
Si schiera dalla parte di quelli che sono poveri, di quelli che soffrono, che sono perseguitati e, quando pensate alla povertà, non pensate soltanto alla povertà di soldi. Pensate anche alla povertà della salute: c'è gente malata. Pensate alla solitudine, c'è chi si sente solo e abbandonato. Pensate a quelli che sono perseguitati. Pensate alla povertà della cultura. Pensate - addirittura - alla povertà di giustizia e di bene. Gesù - dice il Vangelo - non è venuto per i giusti, ma per i peccatori.
Ecco, gli uomini della comunità di Luca che si sentono poveri, affamati, a volte perseguitati sentono che Gesù si è schierato con loro, che cammina con loro.
Ma come una mamma che sta accanto al bambino non vuole che resti malato, ma che guarisca, così Dio schierandosi accanto a chi soffre non vuole che resti nella sofferenza, che continui ad avere fame... vuole che finalmente possa godere anche lui il benessere.
L'ideale del Vangelo non è la sofferenza, ma la gioia. L'ideale del Vangelo non è la povertà, ma la ricchezza, la pienezza della vita, per tutti evidentemente.
Dio - dunque - in Gesù di Nazareth si schiera dalla parte di chi è in difficoltà e invita tutti noi a schierarci. Una persona che non si schiera dalla parte di chi è in difficoltà, dalla parte di chi è sofferente, chi vive nell'indifferenza e non si cura degli altri, non può dirsi cristiano. Così come uno Stato che non si occupa dei più piccoli, dei più poveri, che non si occupa di quelli che hanno poca cultura, di quelli che stanno in carcere... non può dirsi uno Stato e una società cristiana.
Noi siamo invitati da Gesù di Nazareth a schierarci dalla parte degli ultimi. a volte con gesti semplici. A volte in casa abbiamo qualcuno che si sente solo, a volte qualcuno che è malato, a volte basta soltanto portargli una tazza di latte quando ha la febbre: anche questo è schierarsi con Gesù dalla parte dell'ultimo. Non perché continui a star male, ma perché guarisca, perché torni a godere della bellezza della vita.
Schierarsi anche dalla parte di chi ha sbagliato, di chi ha il cuore pesante, perché possa ritrovare il gusto e la bellezza del bene: è questo il compito di ogni credente a cui Gesù ci chiama. Chiama tutti noi, ogni cristiano a schierarsi come Lui accanto a chi tribola. Ci chiama a condividere la vita, a spartire quello che abbiamo, a donare noi stessi come possiamo.
Il Signore ci aiuti.
"Sarete figli dell'Altissimo, VII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 24 Febbraio 2019
perché Egli è benevolo verso Luca 6,27-38
gli ingrati e i malvagi"
Una piccola considerazione per poter commentare questa pagina del Vangelo... Vedete, voi avete quasi tutti tra le mani il foglietto con scritto su il Vangelo che ho appena letto. A casa penso la maggior parte di voi abbia il libro del Vangelo e può leggerlo quando vuole. Al tempo di Luca nessuno aveva in mano il Vangelo, c'era solo una copia quando si radunavano insieme, una copia preziosa che costava un sacco di soldi, bisognava addirittura togliersi il pane di bocca per poterla avere: tutti potevano soltanto ascoltare, nessuno poteva leggere.
Che cosa significa questo? Che la cultura in cui il Vangelo è scritto è una cultura orale. Cosa significa una cultura orale? Significa che spesso ci sono frasi paradossali, provocatorie che servono a rimanere impresse, a essere conservate nella mente e nel cuore, a essere meditate, rivoltate nella propria mente per cercare di capire: cosa vuol dire questa frase che a una prima lettura sembra così strana, così assurda?
Pensate a quello che abbiamo appena letto... "Se uno ti dà uno schiaffo, porgi anche l'altra guancia". È assurdo! Un invito a fare il male, un fomentare l'odio del prossimo. "Se uno ti strappa il mantello, dagli anche la tunica". Parole insensate! "Amate i vostri nemici". Che vuol dire? Come si può amare un nemico? Che facciamo allora di queste parole, le buttiamo?
Vedete, se buttate queste parole, voi buttate il cuore stesso del Vangelo, i sogni di Dio per la vita dell'uomo e addirittura quello che può essere lo strumento per intuire qualche cosa del volto e del cuore di Dio, perché qui in questa pagina c'è proprio questo! Il sogno di Dio per l'umanità e qualche cosa del suo cuore.
Dio sogna per l'umanità un mondo pacifico. La storia degli uomini è stata attraversata dalla violenza, dall'odio, dalla sopraffazione, dalle guerre, spesso tanta gente ha tribolato... noi non ce lo ricordiamo quasi più perché sono ormai più di settanta anni che in questo paese non c'è la guerra, ma non era mai successo, fino ai nostri giorni.
La violenza, il nemico... ancora oggi abbiamo bisogno di rileggere queste parole, perché sembra diffondersi il rancore nella nostra società, si cerca di fabbricate il nemico: il diverso, lo straniero, addirittura l'ebreo. Si ritorna all'antisemitismo! Allora abbiamo bisogno di queste parole. Abbiamo bisogno di ritrovare il sogno di Dio che cerca la riconciliazione, la pace.
Ma qui c'è anche un modo di intuire il volto di Dio. Non so se avete ascoltato con attenzione: "Sarete figli dell'Altissimo, perché Egli è benevolo verso..." Verso chi è benevole Dio? Tutti noi penseremmo che Dio è benevolo verso le persone perbene, verso i buoni, verso quelli che vengono in chiesa. "Dio è benevolo verso gli ingrati e i malvagi".
Nel prossimo mese leggeremo ancora una volta la parabola del Padre misericordioso: il figlio "ingrato e malvagio" che torna a casa e non trova il rimprovero, la punizione, ma la festa e l'abbraccio di Dio.
Ecco il cuore di Dio! Ecco quello che Dio vuole che noi tentiamo di incarnare nella nostra vita, cercando di vivere come possiamo la riconciliazione, l'accettazione dell'altro, la possibilità di andare oltre il male, anche nelle nostre case, nei rapporti tra di noi, con gli amici.
Qui c'è anche qualche cosa di più. C'è l'invito a una gratuità totale: "Date senza aspettarvi nulla in cambio". Vedete, sembrano parole strane, ma pensateci un momento. Le esperienze più belle che abbiamo fatto nella nostra vita sono quelle in cui abbiamo fatto esperienza di gratuità, di qualcuno che ci ha voluto bene senza aspettarsi niente in cambio, a cominciare da quando eravamo bambini piccini piccini e che non potevamo dare niente al papà e alla mamma, soltanto qualche sorriso. Ci volevano bene, si sacrificavano per noi in maniera assolutamente gratuita, senza aspettarsi niente in cambio.
Non solo, penso che molti di voi hanno fatto esperienza sia dell'amore coniugale, un amore che quando è autentico non si aspetta niente in cambio, che avete fatto esperienza dell'amicizia... cosa c'è di più bello che trovare degli amici che ti vogliono bene per quello che sei e, quando ti donano qualche cosa, non si aspettano niente in cambio: ecco i sogni di Dio per la nostra vita, per la vita dell'umanità e ne abbiamo bisogno.
Queste parole paradossali, queste parole che sembrano strane, sono parole che stanno nel cuore stesso di Dio, ci aiutano se le portiamo dentro di noi a tentare, come possiamo, di incarnarle nella nostra vita. Cosa significa la gratuità, la condivisione, la riconciliazione, l'andare incontro a chi ha sbagliato, l'aiutare a chi è caduto nel "fango" ad uscirne? Che cosa significa? Ciascuno di noi vive la sua vita e può domandarsi quale senso possano avere queste parole.
Una cosa vorrei raccomandarvi. Non confondete la volontà di riconciliazione e di amore con il rancore. Noi, dei nostri sentimenti, non siamo padroni. Se qualcuno mi fa un'offesa grave è normale che io conservi un rancore, qualche volta un rancore che non riesce ad andarsene nonostante che passino i giorni, i mesi e gli anni... eppure io posso non vendicarmi, non rispondere al male con il male! E non solo, posso fare qualche cosa per questa persona nonostante il mio rancore.
Mi diceva una volta una signora, mi è rimasto molto impresso: "Padre, ho fatto per mia suocera molto più di quello che ho fatto per mia madre, ma l'ho fatto senza amore"."Che vuol dire, signora? Lei l'ha fatto nonostante tutto, nonostante il rancore".
Questa donna aveva ricevuto torti gravi quando era giovane. Lo ha fatto lo stesso, andava aldilà del suo rancore, questo è amore! Gratuità, condivisione… il rancore, la rabbia è un'altra cosa: noi non ne siamo padroni. Quindi se qualcuno di voi porta rancore verso un'altra persona, non è di questo che parla il Vangelo di oggi.
Il Vangelo dice: "Non vendicarti, prega per lui che si converta e viva. Se puoi fare qualche cosa per riconciliarti, fallo con cuore disponibile. Cerca di avere un cuore grande come il cuore di Dio che prepara la "festa".
Vivere la gratuità, la condivisione, l'amore giorno per giorno. Qualcuno di voi dirà: "Sono sogni". Sì, sono sogni, non abbiate paura di dirlo. Il Vangelo è sogno, senza sogno la vita dell'uomo non ha senso, viviamo la piattezza dei giorni che passano.
L'uomo, il credente è uno che sogna, anche se non riesce realizzare pienamente il suo sogno, ma continua a cercarlo, continua a cercare la bellezza, la vita, la pienezza, il piacere, la gioia per sé e per quelli che stanno intorno senza stancarsi mai.
Il Signore ci aiuti.
Togli prima la trave dal tuo occhio VIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 3 Marzo 2019
e ci vedrai bene per togliere la Luca 6,39-45
pagliuzza dall'occhio di tuo fratello
Avete ascoltato una serie di immagini: il cieco, il maestro, la trave e la pagliuzza, l'albero che produce frutti buoni o frutti cattivi, il tesoro del cuore... tutte immagini che noi non useremmo mai. Nessuno di noi parlerebbe di una trave nell'occhio - un'immagine paradossale - loro parlano così! Parlano per immagini.
Immagini che siamo invitati a fare nostre, a conservare nel cuore, per elaborarle, tradurle e tentare di comprendere che cosa possano significare nella nostra vita. Noi usiamo le nostre parole. Attraverso queste immagini la comunità di Luca cerca di dirci tre cose che per loro sono molto importanti, forse fondamentali.
La prima cosa che tentano di dirci è: "Attenzione, tu rischi di essere un "cieco", rischi di avere una "trave" nell'occhio". È il rischio di ogni religione. È il rischio che i cristiani hanno attraversato nella storia.
Quando ero giovane dicevo a un mio amico: "La Chiesa dovrebbe ritrovare la forza della scomunica". Pensavo alla mafia, alla corruzione. Lui mi diceva: "Ricordati, Checco, hanno scomunicato sempre quelli sbagliati!".
Perché si scomunicano quelli sbagliati? Perché anche noi rischiamo di condannare quelli sbagliati? Perché presumiamo di sapere, di essere giusti, non ci accorgiamo di essere "ciechi", cerchiamo di vedere il difetto dell'altro e non ci accorgiamo della "trave" che c'è nel nostro occhio, e la trave che ci impedisce di vedere è proprio quella di presumere di essere gente che ci "vede", che sa tutto, che si sente giusta, che giudica gli altri.
Nella storia della Chiesa questa indicazione di Gesù è stata troppe volte disattesa. Si sono condannate spesso persone perbene, favorendo invece persone malvagie.
La seconda cosa che vogliono dirci è che il credente è uno che, se non vuole diventare "cieco", deve continuamente essere alla ricerca. "Il discepolo non è più del maestro, ma ognuno che sia ben preparato..." ecco occorre cercare di essere preparati. Prepararsi - secondo la comunità di Luca - significa continuare a cercare la luce, continuare a seguire le ispirazioni che lo Spirito ci mette nel cuore. Ecco, per avere un tesoro nel cuore, questo, è fondamentale.
Se nel nostro cuore non ci sono dei valori importanti, non c'è la passione per la giustizia, per la pace, per la gratuità, per il bene... non siamo più in grado di giudicare. Ecco, in grado di giudicare.
Perché dobbiamo giudicare! Dobbiamo capire quali sono i frutti buoni e quali quelli cattivi. L'albero - dice l'immagine - si riconosce dai frutti. Puoi distinguere una mela da un frutto velenoso, ma come fai a riconoscere i frutti buoni nella società? Dipende - secondo loro - dal tesoro che c'è nel tuo cuore. Dipende dal senso di responsabilità che tu hai, dalla libertà del tuo cuore, dalla tua ricerca.
Vedete, noi (siamo in molti ad avere i capelli bianchi) purtroppo siamo stati educati più che alla ricerca e alla responsabilità all'ubbidienza e all'applauso. Fin da quando eravamo bambini abbiamo sempre applaudito e ci dicevano: "Bisogna ubbidire, bisogna credere: è un mistero. Devi fidarti del Papa, del prete".
Vedete, l'applauso al Papa è identico all'applauso a Mussolini e ad Hitler. Se non hai il senso della responsabilità, della capacità di discernere il bene dal male, applaudi travolto dalla folla. Il Vangelo ci invita a pensare con la nostra testa, a tentare di essere liberi.
Quando eravamo giovani (tanto tempo fa) e studiavamo con un gruppo di amici avevamo trovato un documento ecclesiastico che dice: "Non date il Vangelo in mano ai laici, altrimenti diventano liberi".
Qualche persona di potere nella Roma del potere temporale aveva capito la pericolosità del Vangelo. Ecco, il Vangelo ci esorta a prenderci la nostra responsabilità, a giudicare il mondo. Il Vangelo di Luca lo ripete più volte, forse ricordate la frase: "Voi sapete riconoscere i segni del cielo e della terra. Voi capite quando farà bel tempo o quando pioverà..." Un tempo c'erano i proverbi contadini che avevano un certo valore. Oggi abbiamo delle previsioni meteorologiche affidate a macchine complicatissime che ci dicono quasi con sicurezza che tempo farà domani.
"Perchè sapete giudicare i fenomeni del tempo e la vita non la sapete giudicare? Perché non giudicate da voi stessi che cosa è buono e cosa è giusto?" Sono parole che trovate nel Vangelo di Luca.
Ecco, il compito del cristiano è cercare di giudicare questo mondo, di capire che cosa è bene e che cosa è male.
Vi ricordo i presupposti, queste immagini ce lo hanno detto con chiarezza: attenzione, rischiate di diventare "ciechi", di avere una "trave" nell'occhio. Cercate di conservare un tesoro nel cuore e poi... e poi dovete giudicare il mondo e poi impegnarvi perché il mondo sia migliore e perché il mondo possa essere migliore dovete essere capaci di discernere che cosa è giusto e che cosa non lo è. Che cosa fa progredire la pace, la giustizia, la gratuità, il bene e che cosa invece è il contrario...
In tutti i campi della vita: nella famiglia, con gli amici, nel posto di lavoro, come nella società.
Un vero cristiano è uno che sa leggere la storia, che sa leggere i tempi e, avendoli letti con attenzione, dare - come può - il suo contributo perché il mondo sia almeno un po' migliore.
Il Signore ci aiuti.
Gesù… era guidato dallo Spirito nel deserto, I DOMENICA di QUARESIMA -10 Marzo 2019
per quaranta giorni tentato, dal diavolo Luca 4,1-13
Subito dopo il Battesimo di Gesù, che per i primi cristiani diventa il simbolo, il modello del nostro Battesimo, Gesù viene spinto nel deserto per affrontare la tentazione.
Secondo i primi cristiani il primo compito di un credente è quello di combattere il male dentro di sé e intorno a sé. Ciascuno dovrebbe capire che cosa è il male nel concreto della sua vita. Il Vangelo di Marco lascia tutto questo alla nostra riflessione.
I Vangeli di Matteo e di Luca o forse qualcuno prima di loro, si chiedono quali possono essere le tentazioni di un cristiano e tentano di rispondere - come avete ascoltato - in maniera totalmente paradossale: "una pietra che diventi pane, tutti i regni della terra, buttarsi nel vuoto". Nessuno di voi ha queste tentazioni.
Ma avete imparato a leggere il Vangelo… usano un linguaggio paradossale, provocatorio perché ciascuno di noi si domandi: "Qual è la mia tentazione? Che ho - io - a spartire con queste immagini che il Vangelo mi propone?". Pietra che diventa pane non mi riguarda!
Ma la tentazione che il "diavolo" (è un simbolo, tutto è un racconto simbolico e credo che non facciate fatica a comprenderlo) propone a Gesù: "Tu puoi usare i tuoi poteri per te stesso... hai fame? puoi fare tutto quello che vuoi, trasforma le pietre in pane!" Gesù si rifiuta! Il suo potere, le sue capacità sono per gli altri, per essere condivise. Lui non trasformerà le pietre in pane, ma moltiplicherà il pane (tutti conoscete l'episodio), ma non lo farà per sé, ma per dare da mangiare.
Ecco allora una domanda che possiamo farci all'inizio di questa nostra Quaresima: "Quali sono le nostre capacità?". Ciascuno di noi ne ha, perché riguarda la vita di ogni giorno, l'impegno con il mondo, con la società… e siamo tutti diversi e ciascuno di noi ha la sua possibilità, la sua capacità. Cerchiamo di trafficarla? Ricordate la parabola dei Talenti? Chi ha un solo talento, lo nasconde. È quello - secondo il Vangelo - il male! Non mettere a disposizione della vita, del prossimo le proprie capacità, tutte diverse, ma ciascuno fa quello che può cominciando dalle cose più semplici... Abbiamo un mondo che si sciupa e mi preoccupo di raccogliere la bottiglia di plastica perché non inquini. C'è una tensione in casa? Mi preoccupo di fare quello che posso perché ci sia pace. C'è un mondo civile, sociale che rischia di sciuparsi, cerco di dare come posso il mio contributo. Rinchiudersi nel proprio guscio, non fare niente: questo è il male e questa è la nostra tentazione.
La tentazione di essere pigri, di dire: "Ma chi me lo fa fare? Perchè preoccuparmi degli altri? Penso ai fatti miei, a custodire la mia vita! Abbiamo un'età, qualche acciacco… devo occuparmi di me stesso!"
Eppure ciascuno di noi ha - dice il Vangelo - qualche possibilità, magari piccola, l'importante è metterla a disposizione del prossimo, perché è con le piccole cose che il mondo diventa migliore.
La seconda tentazione è quella del potere. Nessuno di voi penso aspiri a dominare tutti i regni del mondo. Non siete né Alessandro Magno, né Gensis Kan ma, se ci pensate, ciascuno di noi ha il suo piccolo potere. Il marito sulla moglie, i genitori sui figli, i figli (oggi forse ancora di più) sui genitori, gli alunni nei confronti dei professori forse più dei professori su gli alunni...
Esercitare il potere, voler possedere e uomini e cose: questa è l'altra tentazione che ciascuno di noi è invitato a tradurre nella propria vita chiedendosi: "Cosa significa per me, in concreto?".
La terza tentazione per Luca è la più importante, difatti la mette per ultima, mentre per il Vangelo di Matteo è la seconda. Perché per Luca è così importante? Perché lui ha dedicato molta della sua riflessione alla fede, alla preghiera.
Che rapporto abbiamo con Dio? Chi è Dio per noi? Il "diavolo" invita Gesù a buttarsi dal punto più alto del tempio: "Buttati giù, tutti vedranno il miracolo e crederanno"
Il Vangelo è attraversato da questa richiesta di un segno: "Vogliamo vedere un segno, altrimenti non possiamo credere".
Molti di noi hanno i capelli bianchi. Siamo stati educati (almeno io, ma credo anche voi) alla fede attraverso tanti racconti di miracoli. La Domenica quando andavo in chiesa il parroco aveva sempre un miracolo da raccontare. Per lui il miracolo era la prova della fede. Il miracolo è un fatto rarissimo. Nel Vangelo sono soltanto racconti simbolici, quello che conta non è il prodigio, ma la vita di ogni giorno. Gesù lo ha detto chiaramente: "Non sono venuto per essere servito, ma per servire" A chi gli chiede un segno si rifiuta: "Io sono il segno - dice Gesù - la mia parola, i gesti della mia vita". A questi occorre aprirsi per conservare la fede.
Noi abbiamo bisogno di Dio, che ci protegga e possiamo sperare nel miracolo. Se voi vi guardate in giro in questo nostro paese ricchissimo anche di tante opere d'arte, vedete quante statue di santi. Se andate nei santuari vedete quanti ex voto, sembra che tutta la nostra religione sia basata sul miracolo, sull'attesa di un miracolo, sulla possibilità di un miracolo. Se ci sei - Dio - aiutami e se non mi aiuti mi viene qualche dubbio che tu ci sia o che mi voglia bene. Siccome a Dio ci sembra troppo difficile rivolgerci, allora ci rivolgiamo a qualcuno che ci raccomandi. Voi a chi vi raccomandate? Chi si raccomanda a un santo, chi a un altro. Perché non vi raccomandate direttamente al Padreterno? Perché siete abituati alla raccomandazione! E se questo dipendesse dal culto dei santi? Quale è una frase che avete sentito tante volte nella vita? "Se vuoi un posto di lavoro, se vuoi fare un passo avanti nella tua carriera, devi avere qualche "santo" in Paradiso".
E se la corruzione dipendesse dal culto dei santi? La fede è un'altra cosa! La fede è credere nei valori di Gesù. La fede è cercare di far nostri i sogni del suo cuore, cercare di prenderci cura di chi ci sta accanto, di noi stessi, del creato, degli sviluppi politici del nostro mondo per quello che possiamo, senza farci scrupoli perché ciascuno di noi ha le sue possibilità, a volte molto piccole: la fede è questo!
È il cammino, l'impegno di ogni giorno, sono le scelte quotidiane. Dio ci è accanto per spingerci avanti. Ci dona il suo Spirito. Non fa miracoli per noi. Ci dona un Vento, un Soffio che ci spinge a cercare, a fare quello che possiamo perché il mondo sia più bello, più pacifico: per questo è venuto Gesù, per starci accanto.
Non fa prodigi, non si butta dal punto più alto del tempio per farci credere. No, crederemo in Lui se lo seguiremo passo passo, fin quando si chinerà a lavarci i piedi. È lì che lo riconosceremo, non nel prodigio, ma nel gesto più semplice della vita: lavarci i piedi e a questo siamo invitati, a lavarci i piedi gli uni con gli altri, a lavare i piedi del mondo, di questo mondo che sembra diventare sempre più fragile.
Il Signore ci aiuti.
Mentre pregava il suo volto cambiò d'aspetto II DOMENICA di QUARESIMA - 17 Marzo 2019
e la sua veste divenne candida e sfolgorante Luca 9,28b-36
Questo racconto, lo avrete notato, è una specie di sacra rappresentazione: lassù sul monte Gesù si manifesta nella sua gloria.
In questo racconto i primi cristiani esprimono certamente la loro professione di fede, ma probabilmente anche qualche cosa della loro esperienza, che è comune a molti cristiani di tutti i tempi, forse anche a voi, certamente a me.
Vediamo prima la professione di fede. Otto giorni prima, dice il Vangelo, Gesù ha annunciato la sua morte: andrà a Gerusalemme sarà inchiodato sulla croce.
Quella croce, quell'uomo appeso in croce secondo la Legge è la maledizione di Dio, ecco i discepoli professano la loro fede: Lui invece è la Benedizione di Dio, l'eletto, il santo, il Signore, il Figlio.
È Colui che viene a compiere le attese di tutta la storia di Israele rappresentata qui, come avete ascoltato, dalle due figure mitiche: Mosè, il grande legislatore, Elia, il profeta, che rappresentano i due aspetti fondamentali dell'Antico Testamento: da una parte la Legge, le regole, la tradizione, dall'altra il profetismo, la critica, il sogno, l'apertura a quello che verrà, alla speranza, al futuro.
Tutto questo secondo i primi cristiani si compie in Gesù di Nazareth: quell'uomo che finirà su una croce, che faremo fatica a capire e ad accettare là inchiodato, è per loro veramente il Signore, il Figlio.
Il Dio che si manifesta là su quella croce non è il Dio potente e glorioso, che aspettavano da tanto tempo che venisse a cambiare questo nostro mondo, a salvarci da ogni guerra, dalla fame, dal dolore.
È il Dio impotente che viene a condividere la vita degli uomini, a camminare per le strade polverose di questo mondo, a subirne la violenza, come tanti sulla terra. Dio dalla parte degli ultimi tra gli uomini, ucciso dalla violenza di questo mondo, eppure è Lui che dona la vita, è Dio che si manifesta in mezzo a noi: questa è la loro professione di fede.
Ma insieme, in questo racconto, c'è, se ho capito qualcosa, (Ma forse parto dalla mia esperienza personale, non so se è anche la vostra) l'esperienza dei discepoli che devono aver vissuto nell'incontro con Gesù qualche momento magico, trovandosi insieme, ascoltando con occhi incantati le parole di Gesù, devono aver sentito, quasi con certezza, che Gesù ha ragione, che la vita sarebbe tutta un'altra cosa se si vivesse come vive Lui, se si vivesse l'amore, la giustizia, la condivisione, il dono di sé, la fraternità.
Ci sono momenti magici in cui si sale "sul monte", ci si ritrova magari con degli amici, tutto sembra chiaro, luminoso, bello e ci si vorrebbe fermare lì. È una sensazione che ho provato anch'io nella mia vita: perché preoccuparsi del mondo, perché non facciamo il nostro piccolo gruppetto in cui stiamo bene, ci vogliamo bene, ci coccoliamo? Il mondo lo lasciamo andare per la sua strada… non si può: tutto sparisce e rimane Gesù "solo" e l'invito a camminare con Lui ad ascoltarlo, a seguirlo.
Quei momenti magici finiscono, ritornano i dubbi, ritorna la paura e la fatica di camminare con Gesù per le strade di questo mondo, anche perché scendendo dal monte, se leggete poco avanti il Vangelo, vedete che giù ci sono i "diavoli cattivi", quelli che è difficile combattere, laggiù c'è il male del mondo, non possiamo rimanere quassù: è un'illusione.
Qualche volta ci ritroviamo qui in chiesa la domenica, le parole del Vangelo ci colpiscono, ci incantano, forse ci piacerebbe fermarci qui, pensare che tutto sia bello e luminoso, poi lo sapete dobbiamo uscire e fuori c'è la violenza, c'è il dolore, il male.
Qualche volta ci domandiamo: "Ma Dio dov'è?". Ecco, il Vangelo di oggi ci dice: lo trovate inchiodato sulla croce, in Gesù di Nazareth, ma è Lui che ha ragione, sono i suoi valori, i sogni del suo cuore che siamo chiamati, passo per passo, a tentare di realizzare nella vita di ogni giorno, noi povera gente, che qualche volta abbiamo paura, che ci portiamo dubbi nel cuore, eppure cerchiamo di strappare dal profondo della nostra fede il coraggio di seguire Gesù, di camminare con Lui, di credere che Lui abbia ragione, che Lui è la ragione ultima della vita.
Il Signore ci aiuti.
O quelle diciotto persone sulle quali cadde III DOMENICA di QUARESIMA - 24 Marzo 2019
la torre di Siloe e le uccise, credete che Luca 13,1-9
fossero più colpevoli…? No io vi dico.
Gesù e il Vangelo tentano nella pagina che abbiamo appena ascoltato un'impresa disperata, che finora non è riuscita (spero che riesca almeno per voi): separare la disgrazia, la sciagura, la malattia dal peccato, in molte religioni e anche nella tradizione di Israele spesso si vedeva la disgrazia come una punizione di Dio.
Qui (avete ascoltato) ci sono due fatti, uno che dipende da Pilato, dalla sua ferocia, ha fatto uccidere delle persone addirittura nel Tempio, tra l'altare e il santuario. L'altra è invece una disgrazia della natura: la torre di Siloe, forse per un terremoto, è caduta e ha ucciso diciotto persone. È forse una punizione di Dio? No - dice il Signore - seccamente!
Il discorso dovrebbe essere concluso. Eppure - vedete - nella mia vita la frase che ho più ascoltato è questa: "Padre, che cosa ho fatto di male perché mi capiti questo?". Forse l'avrà detto anche qualcuno di voi in un momento in cui è capitato qualche guaio: "Che male ho fatto perché mi capiti questo?"
Non solo, ma ho ascoltato delle persone che avevano incontrato il "santone" di turno che aveva detto: "Se nella vostra famiglia vostro padre ha un tumore, qualcuno ha peccato". E, come succede in questi casi drammatici, ce se la piglia con il più debole della famiglia, spesso una donna. Oppure: "Se tua figlia ha la leucemia, qualcuno ha peccato". Non era una persona di secondaria importanza nella storia passata della comunità cristiana.
Abbiamo ascoltato qualche cardinale dire che l'AIDS è il castigo di Dio per l'immoralità del nostro tempo. A me è capitato di incontrare e non una volta sola, delle donne che avevano paura di essere punite nei figli per il loro peccato. Che idea di Dio abbiamo!?
Perché non siamo riusciti nonostante il Vangelo, nonostante Gesù, nonostante la croce a liberare la disgrazia, la malattia dal peccato? Se c'è un innocente, è Lui, eppure è finito sulla croce.
Rompere questo legame è difficile, perché l'uomo ha bisogno di Dio, della sua provvidenza e quindi, se qualche cosa va male, pensa subito che qualcuno abbia peccato. In tempi passati... pensate alle processioni in cui si flagellavano e facevano digiuni... oggi sembrerebbe tutto passato e invece - come vi ho appena detto - non è passato quasi niente.
Ma Gesù aggiunge un'altra cosa: "Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo".
Una volta che un cristiano si è convinto che Dio non punisce i peccati, questo non significa affatto che il peccato è una cosa indifferente. Il peccato produce fatti terribili: guerre, carestie, distruzioni, morte... Non è Dio che ci punisce, siamo noi, è la nostra incapacità di custodire la vita che produce sciagure e disgrazie...
Oggi lo sentiamo in maniera forte perché ce lo dicono non più i preti soltanto... ce lo dicono gli scienziati: "Guardate che se non cambiate questo mondo va a remengo... "
Ci sono alluvioni che fanno centinaia di morti. (Lo abbiamo sentito in questi giorni) Ci sono siccità che durano mesi e distruggono raccolti. Ci sono tempeste che abbattono gli alberi... il mondo sta cambiando, si sta rovinando, si sta sciupando... non è la punizione di Dio per qualche peccato che abbiamo fatto, siamo noi che stiamo rovinando il mondo... se non ci "convertiamo" il mondo si rovina e non c'è futuro per i nostri nipoti.
Oggi (come avete visto in questi giorni) molti dei nostri ragazzi scendono in piazza per difendere il pianeta: è una cosa bella… Però se vi capita di parlare con qualcuno di loro, chiedetegli: "Ma tu sei attento al mondo che ti sta intorno? Non basta parlare, gridare, alzare cartelli, bisogna fare! Ti preoccupi di non sciupare l'acqua, di non inquinare il mondo? Ti preoccupi di non farti accompagnare tutte le mattine a scuola in macchina anche se abiti solo a un chilometro di distanza…
Non basta dire, bisogna fare! È il compito di tutti noi. Tutti noi dobbiamo prenderci cura di questa terra: è la nostra terra, non ne abbiamo un'altra, siamo un piccolo granello sperduto nell'universo, fragile, delicato... si sta sciupando rapidamente, così ci dicono persone che la studiano.
C'è un'altra parte del Vangelo che abbiamo letto oggi è "l'albero di fichi". Una pagina bella. C'è l'albero che sono tre anni che non porta frutti! E il padrone dice: "Taglialo, che sta a fare qua?" E il contadino dice: "Aspetta, metto il concime, zappo, annaffio, lo custodisco e chissà forse l'anno prossimo porterà frutto".
Potete immaginare che l'anno prossimo se ritornano, il contadino farà la stesso discorso. È un'immagine, un simbolo certamente, ci dice che non possiamo mai perdere la speranza che l'uomo cambi, che si possa diventare migliori, per usare la parola che oggi abbiamo sentito tante volte... che ci si possa "convertire".
E questo vale per tutti. Noi oggi sappiamo o dovremmo sapere che non si può condannare nessuno a morte perché significa non dargli più nessuna speranza di portare frutto in futuro: frutti di bene, la capacità di capire cosa è la vita, di rendersi conto della possibilità di essere liberi e di amare. Dobbiamo sapere che ciascuno di noi ha questa possibilità di riprendere sempre la strada, qualunque male abbia fatto.
Non c'è mai la fine, l'impossibilità di riprendere la strada, di portare "frutti", frutti di opere buone.
Ecco il messaggio del Vangelo di oggi: a noi è affidato questo mondo, dobbiamo custodirlo con le nostre azioni concrete di ogni giorno. Noi dobbiamo avere sempre... sempre la speranza per noi e per gli altri che si possa cambiare e portare frutti di bene. Noi soprattutto - ve lo raccomando - non dobbiamo mai parlare di una punizione di Dio. Dio non punisce. Dio ci chiama a cambiare, a convertirci, a custodire il nostro mondo e noi stessi, perché questo mondo sia ricco di pace e di felicità.
Il Signore ci aiuti.
"Un uomo aveva due figli…" IV DOMENICA di QUARESIMA - 31 Marzo 2019
Luca 15,1-3.11-32
Quando ero giovane (tanto tempo fa) pensavo che questa parabola fosse una delle più belle del Vangelo e anche una delle più semplici, delle più facili a comprendere. Adesso che l'ho letta centinaia di volte penso ancora che sia una delle più belle, ma anche che sia la più difficile, forse addirittura incomprensibile per noi.
Tento - allora - di dirvi qualcosa e se non riesco a spiegarmi e se non capite tutto non è colpa vostra, ma mia, proprio perché ci troviamo di fronte (a mio avviso) alla pagina forse più difficile del Vangelo. Cerchiamo di vedere un momento... tento di dirvi quello che ho capito io.
Cominciamo a dare un primo sguardo a questo padre: ha due figli, li ha educati, li ha cresciuti... gli san venuti male tutti e due! Il fallimento del Padre... ma qui si parla di Dio. Forse meglio potremmo dire l'impotenza di Dio di fronte alla nostra libertà!
Perché Dio non è capace di cambiarci il cuore? Perchè c'è nel mondo gente che uccide, che fa violenza ai bambini? Perché ci sono guerre? Perchè c'è tanta malvagità? Perché Dio è impotente? Perché non può fare qualche cosa per cambiare il cuore dei suoi figli? L'impotenza di Dio di fronte alla nostra libertà! Siamo liberi... ! Liberi anche di sbagliare, liberi anche di far del male.
E adesso guardiamo un momento questi due figli! Tutti e due venuti male in modo molto diverso. Il primo figlio è un delinquente.
Quando pensate al primo figlio non pensate - come spesso succede e credo sia successo anche a molti di voi - a un ragazzo che vuole la sua libertà, la sua indipendenza dalla famiglia, che vuole affrontare il mondo, andare in giro... no, non si parla di questo! Che un ragazzo voglia la sua indipendenza dalla famiglia, emanciparsi dai suoi, dalla sua routine, che voglia affrontare il mondo... questo non è solo un suo diritto, ma un suo preciso dovere. Ogni giovane deve andare lontano da casa, deve farsi la sua vita... no, qui si tratta di un delinquente, di uno che ha sciupato la vita, che l'ha buttata via, di uno che è finito, per usare il loro linguaggio (qui dovete fare uno sforzo per capire il linguaggio di quel tempo) a fare il guardiano dei maiali... l'ultimo gradino della società. Sapete che per gli Ebrei il maiale è un animale impuro. Se volete pensare oggi a qualcuno, dovete pensare a un mafioso, a un assassino, a uno spacciatore di droga, a uno che ha stuprato un bambino... ecco di questo si parla di un vero e proprio delinquente, il quale è incapace di amare.
Se ne va via dal padre senza nemmeno salutarlo. Si rovina la vita, finisce nel fango insieme ai maiali... ma ha fame! Sa che a casa c'è da mangiare e vuole tornare. Non torna per cercare il padre, anzi gli dirà: "Non sono più tuo figlio". Torna per cercare un tozzo di pane e si mette in cammino, è disperato, è uno che pensa soltanto alle cose materiali, incapace di amare.
Torna a casa e comincia a dire al Padre: "Non sono più tuo figlio, non trattarmi come un figlio, dammi solo un tozzo di pane". Il Padre non lo fa nemmeno finire!
L'altro figlio... è il contrario. È il figlio che è rimasto sempre a casa. È il figlio ubbidiente, osservante della Legge. È il figlio che ha sempre vissuto la vita come un peso, come un obbligo, abituato - come è successo a più d'uno di noi - ad ubbidire, a seguire la Legge, magari sentendola come un carico, senza essere mai capace di apprezzare la bellezza della vita, la dolcezza di amare, di avere rapporti veri con chi ci sta intorno.
Anche questo figlio è attaccato al denaro, ai soldi. Si lamenta perché il Padre ha ammazzato il vitello grasso e gli dice: "A me non hai dato niente per far festa con gli amici". Ma il Padre aveva diviso tra loro le sostanze. Se non ha mai fatto festa con gli amici è perché non ama la "festa", perché è incapace di festa, è incapace di condivisione, di amore. È uno che osserva la Legge, le tradizioni e - questo - lo fa sentire sicuro, lo fa sentire forte, lo fa giudicare e condannare il prossimo.
Questo fratello che torna non è più suo fratello. Lo avete sentito come parla con il padre: "Tuo figlio ha sperperato tutto ed è tornato". Il Padre gli dice: "Tuo fratello è tornato, era perduto e s'è ritrovato".
Ecco il Padre! È l'unico che ha soltanto una cosa da offrire, un amore totale che non si arrende mai, che va ad accogliere il figlio che torna e che va a cercare l'altro figlio. Lui vuole che questi figli, tutti e due, partecipino alla festa, che accolgano il dono del suo amore che finalmente si scoprano fratelli, che scoprano la bellezza della vita, la bellezza d'amare, che condividano il suo cuore, il cuore di Padre.
Non gli importa delle "cose", gli importa dei figli, appassionato dei figli. Un Padre che sa rispondere al male del figlio, che ha sciupato tutto, con la "festa"... questo - per noi - se ci pensate un momento è incomprensibile.
Se oggi, uscendo, leggete sul giornale che hanno arrestato un mafioso, uno che ha sulle spalle numerosi assassini, che ha fatto del male a un bambino... che cosa vi aspettate? Che riceva un severo e giusto giudizio e che soffra in galera e, se siete persone severe, che si chiuda la cella e si butti la chiave!
Noi siamo fatti così! Non abbiamo altro strumento. Noi pensiamo che al male si possa rispondere soltanto con la sofferenza, con la privazione della libertà... il Padre no! Il Padre sogna di poter rispondere al male con la "festa" perché a Lui non interessa che il figlio che torna, sia rimproverato, punito, castigato, messo da parte... a Lui importa che questo figlio torni ad amare. È l'unica cosa che gli interessa: l'amore del figlio. È il sogno di Dio quasi impossibile per noi.
Ecco perché vi dicevo che questa parabola è quasi incomprensibile.
Voglio lasciarvi con una domanda, perché riflettiate su questa parabola. Secondo voi, il figlio che è tornato ha veramente partecipato alla festa? È stato veramente capace di amare? È veramente cambiato il suo cuore? Il Vangelo non ce lo dice! Il Padre prepara il banchetto, ma questo ha cambiato il cuore del figlio?
E l'altro figlio, quello che non vuole entrare e che il Padre è uscito a pregare, a insistere: "Torna, vieni, riconosci tuo fratello!". Alla fine è entrato? Ha vinto il Padre? Vince l'amore? È una domanda seria.
Il Signore ci aiuti.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero V DOMENICA di QUARESIMA - 7 Aprile 2019
una donna sorpresa in adulterio Giovanni 8,1-11
Quando si studia il Vangelo a volte verrebbe da ridere se non fossero cose tragiche. Vedete, questa pagina del Vangelo è stata per quasi cento anni esclusa dai Vangeli.
Le prime comunità cristiane non riuscivano ad accettarla. Gli studiosi che studiano i codici antichi (sapete a quel tempo tutto era scritto a mano) trovano questa pagina del Vangelo qualche volta nel Vangelo di Luca, qualche volta in quello di Giovanni, magari alla fine, insomma dopo un secolo finisce dove l'abbiamo trovata noi, ma (secondo gli studiosi) appartiene originariamente al Vangelo di Luca. Che cosa è successo...?
È successo che i "maschi" delle prime comunità cristiane questo racconto proprio non volevano accettarlo. Si può perdonare un pubblicano, ma un'adultera, no!
Come potete facilmente immaginare non si tratta di un peccato sessuale: un maschio ebreo poteva andare con qualunque prostituta, con una donna straniera. Qui è una questione di diritto: il diritto esclusivo del maschio sulla sua donna, quasi un diritto di proprietà: "è mia e di nessun altro!". E la pena (come avete ascoltato) è gravissima: la lapidazione.
Sembrerebbero cose di duemila anni fa, ma se leggete i giornali, vedete che anche oggi ci sono troppi, anche in questo paese, "maschi" che ritengono la donna un loro possesso esclusivo.
Troppe volte ascoltiamo storie di "femminicidi" ed è solo la punta dell'iceberg! Ci sono maltrattamenti, percosse che fanno parte del quotidiano di molte, troppe donne.
Vedete anche Gesù non riesce a cambiare la storia del mondo, la cultura degli uomini, il potere del maschio sulla femmina.
Fermiamoci adesso un momento su quella piazza a guardare questa donna.
Probabilmente è una ragazza molto giovane, a quel tempo ci si sposava a dodici, tredici anni. Si è sposata, costretta! Tutti i matrimoni a quel tempo erano combinati, probabilmente era innamorata di un altro e ha seguito il suo cuore. L'hanno sorpresa! Lui, il"maschio" è scappato! Doveva esserci anche lui, qui. Anche lui doveva essere lapidato perché ha violato il diritto del marito di questa donna, ma non lo hanno preso o l'hanno lasciato fuggire.
Rimane solo lei. Guardatela un momento negli occhi. Questa giovane ragazza, disperata con negli occhi il terrore della morte, la paura, l'angoscia e probabilmente nel cuore anche un pesante senso di colpa e intorno a lei...
Guardate, un momento, negli occhi anche questi uomini, pieni di rabbia... è stato violato il loro diritto: il diritto di possedere, il diritto di avere l'esclusività sulle loro donne. Sono pieni di rancore, ma anche pieni di ipocrisia, perché anche loro hanno peccato e Gesù riesce a smascherare la loro ipocrisia: "Chi è senza peccato scagli la prima pietra" e se ne vanno tutti. Se ne vanno, il Vangelo suppone, davanti all'autorità di Gesù.
Anche qui sembrano cose passate, ma se leggete i giornali, vedete che spesso, c'è gente che si sente giusta e giudica gli altri. Per fare l'esempio più banale c'è gente che se la piglia, a volte con rabbia, con quei poveracci che rubano delle mele al supermercato, ma se andate a vedere è gente che ha sottratto qualche migliaio di euro di tasse che avrebbe dovuto pagare: ipocriti, incapaci di capire che le Leggi dovrebbero essere osservate tutte e che non si può giudicare, soprattutto non si può giudicare chi è umiliato, avvilito, offeso.
E - adesso - guardate Gesù, i suoi occhi. Il Vangelo dice che si china a scrivere per terra, nessuno sa il significato di questo gesto, forse vuol lasciare passare il tempo, ma finalmente rimane solo con questa donna.
Lui, il giusto. Lui che avrebbe diritto di tirare il sasso ordinato dalla Legge, ma per Lui la Legge di fronte all'uomo si ferma. La legge non vale di fronte a una donna umiliata, offesa, impaurita e tremante. La Legge non vale più!
Badate è la legge di Dio. È la Legge scritta, data da Dio, secondo la tradizione ebraica, a Mosè sul monte Sinai, eppure Gesù dice: "No, prima della Legge c'è l'uomo". prima della Legge c'è questa donna. Prima della legge c'è la tenerezza, la comprensione e se la parola vi piace perché è bellissima: la compassione, la passione per e con l'altro, il patire con questa donna, il sentire con lei tutto il suo dramma… allora la prende per mano, la alza: "Và, non peccare più".
È capace di ridarle fiducia nella vita, il coraggio di alzare la testa, di guardare lontano, di sentirsi nuova. Non ha nemmeno bisogno di perdonarla, non c'è bisogno di perdono qui. C'è bisogno soltanto del coraggio di alzare la testa, di superare il senso di co
Allora entrò anche l'altro discepolo che era RISURREZIONE del SIGNORE - 21 Aprile 2019
giunto per primo al sepolcro e vide e credette Giovanni 20,1-9
Se andate in qualche casa degli Ebrei in questa settimana, troverete sulla tavola il pane azzimo, il pane senza lievito. Anche qui sulla nostra tavola c'è il pane senza lievito: è il pane della fretta. Non si può rimanere un momento soltanto nella schiavitù, nell'oppressione.
Spesso i cristiani si dimenticano che la nostra Pasqua è anche la Pasqua ebraica. Nel cuore della fede di Israele c'è l'Esodo, l'uscita dall'Egitto, ma c'è anche nel cuore della nostra fede.
L'Esodo cambia il senso della storia. Dietro le spalle non c'è il tempo dell'età dell'oro, il tempo bello da cui l'uomo lentamente decade. Dietro le spalle c'è la schiavitù, l'oppressione, la violenza e bisogna "uscire"! Dio ci chiama fuori e in fretta, non si può aspettare soltanto un momento, ecco perché non c'è tempo di lievitare il pane, bisogna partire, andare... andare verso il futuro, la libertà, verso una terra nuova, la terra "dove scorre il latte e il miele": la terra dello Shalom...
Lo Shalom è una parola grande per gli Ebrei, non è soltanto l'assenza della guerra: è la pienezza della vita, la pienezza della libertà, della felicità, del piacere, dell'abbondanza, della vita nel senso più completo della parola... verso questo futuro bisogna andare senza stancarci mai.
E, durante il cammino, si fa l'Alleanza. Dio offre al suo popolo il "patto", sarà con lui, camminerà davanti a lui, lo spronerà sempre ad andare verso il futuro, a non ripiegarsi, a non tornare indietro e chiede al suo popolo di osservare la Legge, la giustizia, di vivere il coraggio di condividere la vita, di saper amare.
Questo, per noi che crediamo, trova in Gesù la pienezza... Anche Lui è passato dalla violenza, dal male, dalla morte alla vita. Su quella Croce vediamo rappresentata tutta la violenza, a volte stupida, inutile dell'uomo, ma non è l'ultima parola...
L'ultima parola non è la violenza, la schiavitù, l'oppressione, il disprezzo dell'uomo soprattutto del più piccolo degli uomini: la Verità è Lui, la sua capacità di amare, di donare la vita, di chinarsi a lavare i piedi, di mettersi al servizio di tutti noi, di tutti gli uomini e là ci chiama! Chiama anche a noi vivere la Risurrezione.
I primi cristiani passavano nella grande vasca piena d'acqua, si immergevano e risuonava la voce dell'apostolo Paolo che dice: "Voi siete stati sepolti con Cristo nella morte e siete risorti con Lui". Dietro le spalle c'è tutto quello che sa di morte, che sciupa la vita, che rovina l'esistenza umana: l'indifferenza, la schiavitù, il disprezzo, il rancore, la rabbia, il non riconoscere nell'altro il fratello: tutto questo dovrebbe essere dietro le spalle.
Davanti a noi un futuro diverso. In questo cammino non possiamo mai rassegnarci... è Gesù che ci chiama e ci invita a fare con Lui una Nuova Alleanza. Lo ripeterò tra poco durante la Messa: "La nuova Alleanza nel suo sangue". Alleanza che ci impegna a camminare con Lui, a osservare il suo comandamento. Noi qualche volta lo dimentichiamo. Abbiamo una sola Legge che Lui ci ha lasciato: "Amatevi come io vi ho amato": ecco, questo è il senso della Pasqua!
Dietro le spalle tutto quello che sa di male, tutto quello che rovina la vita, davanti il futuro di Gesù. Portarci nel cuore i suoi valori, i sogni del suo cuore, della sua vita. Il sogno della giustizia, della condivisione, del servizio, l'essere capaci anche noi di chinarci a lavare i piedi di chi vive con noi ogni giorno.
Non si tratta di fare gesti eroici, straordinari, ma di vivere quotidianamente la passione per il bene, per la giustizia, per la libertà, il rispetto dell'uomo, la tenerezza, la condivisione, la ricerca di tutto quello che fa felice chi ci sta accanto, la ricerca del piacere, della felicità, della gioia, della bellezza: tutto questo è la Pasqua!
Qualche cosa di concreto che riguarda la nostra vita: a questo ci chiama il Signore. Per questo Gesù è venuto. Ha accettato di scendere nei bassifondi della storia e di morire come l'ultimo dei bambini innocenti, ma è Lui l'ultima parola: è la vita, la Parola vera e a questa vita noi siamo chiamati con tutta la passione del nostro cuore.
Il Signore ci aiuti
lpa, l'angoscia, la paura e di guardare ancora in faccia la vita, di ritrovare la pienezza della vita: è questo quello che Gesù può dare a questa donna.
Può darlo anche a noi se abbiamo sul cuore un peso, se sentiamo un senso di colpa. Il Signore che abbiamo davanti non è Colui che minaccia e punisce, ma che ci tende la mano per rialzarci. Tante volte nel Vangelo lo dice: al paralitico, a chi è cieco, a chi è sordo "Alzati e và". Vivi la libertà, la dignità, la gratuità, la pienezza della vita: è quello che Gesù dice a questa donna e a tutti noi.
Il Signore ci aiuti.
"Beati quelli che non hanno II DOMENICA di PASQUA - 28 Aprile 2019
visto e hanno creduto!" Giovanni 20,19-31
Quando ero ragazzo (penso sia capitato anche alla maggior parte di voi) ho sentito molte prediche sul dubbio di Tommaso. Veniva rimproverato questo apostolo che non vuole credere, che ha bisogno di mettere la mano, di toccare e questo rimprovero era rivolto anche a me e ad altri come me.
Ci dicevano che dovevamo credere senza farci troppe domande, senza pensare troppo, senza voler vedere, toccare, provare. Se provavamo a fare qualche domanda ci rispondevano: È un mistero, sei come san Tommaso, non vuoi credere".
Ci parlavano così i preti delle nostre parrocchie, ma qualche volta ascoltavamo anche le critiche a Tommaso da parte di vescovi, da parte del Papa (a quel tempo era Pio XII).
Poi, crescendo mi sono accorto che questo racconto non era per me, per i miei dubbi, per le mie incertezze, per il mio essere come Tommaso, ma per loro. Perché?
Vedete, Tommaso non riesce a credere che Gesù è risorto perché i testimoni non sono credibili. I discepoli gli dicono: "Abbiamo visto il Signore", ma sono chiusi nel Cenacolo, hanno paura, niente fa presentire l'esplosione della gioia di Pasqua: la speranza, il futuro, la passione per la vita, l'uscire, l'andare in giro... chiusi nel piccolo ritrovo del Cenacolo, impauriti... come può credere Tommaso?
Anche per me era così, anche per noi era così. Ci avevano testimoniato una fede fatta di paure, di obblighi, di doveri, di liturgie di cui noi non capivamo niente. Qualche volta il senso del peccato, lo scrupolo, la paura addirittura del sacrilegio, ci sentivamo spesso in colpa. Quasi nessuno ci comunicava la gioia di Pasqua: la passione per il futuro, la ricerca dei valori di Gesù, il tentare di far nostri i sogni del suo cuore, la passione per la vita, la gratuità, la libertà, la ricerca del bene di tutti, la condivisione della vita e soprattutto la gioia, la ricerca della felicità: tutto questo non ci veniva testimoniato e la nostra fede non poteva che rimanere incerta, vacillante.
Mi ricordo quando ero un giovane prete (tanto tempo fa) andavo ad insegnare nelle scuole la religione e le prime volte domandavo ai ragazzi: "Che significa per voi essere cristiani?" E scrivevo sulla lavagna tutte le loro risposte, riempivo una "lavagnata" di risposte, poi mi giravo e dicevo: "Voi non potete mai essere cristiani. Per voi la religione e soltanto negatività, soltanto obblighi, doveri, paure, soltanto bisogno di protezione di Dio. Non c'è nelle vostre risposte la passione per la vita, la ricerca dei valori di Gesù, la ricerca della felicità, della pienezza della vita".
Ecco perché Tommaso non può credere. Non può credere perché i testimoni non sono credibili, perché, vedete, i valori di Gesù non si possono dimostrare con un teorema, non si possono toccare con mano, bisogna sentirli dentro. Non si possono avere prove. La fede non è fatta di prove, ma di testimoni, sì.
Noi - Gesù - non lo abbiamo in mezzo a noi, non possiamo vederlo. Lo incontriamo soltanto attraverso le persone che abbiamo intorno.
Io sono stato fortunato, ho incontrato tanti testimoni di Gesù nella mia vita. Testimoni appassionati che credevano veramente in Lui, nella vita, nell'uomo, nei valori. Se non ci sono i testimoni è impossibile credere.
Allora, quando ero ragazzo, credevo che questo racconto fosse un rimprovero per chi mi aveva testimoniato la fede, adesso che sono vecchio, arrivato all'età di ottantadue anni, mi guardo indietro e mi chiedo: "Ma io sono stato un testimone della Pasqua, dei valori di Gesù?". E mi rispondo: "In gran parte, no!".
E poi trovo una scusa, una giustificazione perché è difficile - vedete - testimoniare i valori.
Anche chi predica... (qualcuno di voi ne ha fatto lunga esperienza) è facile fare la morale, è facile dire: "Bisogna comportarsi così". Quello che è difficile è comunicare la passione, il desiderio dei valori, il desiderio della gratuità, del futuro, la ricerca della giustizia, il credere che Gesù ha ragione, che Lui ha valori fondamentali per la nostra esperienza...
Testimoniare tutto questo, testimoniare la ricerca della gratuità, della felicità, della gioia, la ricerca del futuro, la ricerca del bene di tutti, non è facile comunicarlo!
Ecco perché senza troppi sensi di colpa vi posso confessare che io non sono stato un grande testimone della Pasqua, spero che voi abbiate fatto meglio di me.
Il Signore ci aiuti.
Allora Simon Pietro… trasse a terra la rete III DOMENICA di PASQUA - 5 Maggio 2019
piena di centocinquantatre grossi pesci… Giovanni 21,1-19
Domenica scorsa (forse non lo ricordate) abbiamo letto una conclusione del Vangelo di Giovanni. Originariamente aveva soltanto venti capitoli, ma poi giravano per la comunità questi racconti che qualcuno ha pensato di mettere insieme e credo che con una certa fatica ha convinto gli intolleranti teologi che hanno curato il Vangelo di Giovanni ad aggiungere un nuovo capitolo: non si riapre un Vangelo, è chiuso!
Questo, per molti cristiani della comunità di Giovanni, erano dei racconti molto importanti. Avrete notato tutti, sono dei simboli, anche molto strani ...
I discepoli vanno a pescare tutta la notte e non prendono niente. Gesù compare sulla riva, non lo riconoscono. Uno dei discepoli dice: "È il Signore" Pietro è spogliato e si veste, per fare? Per buttarsi in mare! Tutte cose strane.
Poi Gesù prepara il fuoco sulla spiaggia, arrostisce il pesce, prepara il pane... chissà dove l'ha preso! Poi dice: "Portate... " e portano la rete piena di centocinquantatre grossi pesci e Gesù per tre volte dice a Pietro: "Mi vuoi bene?" Pietro (come avete ascoltato) è morto. Forse è un modo per rendere onore a Pietro e fargli ripetere per tre volte: "Ti voglio bene". Lui che aveva detto per tre volte: "Non ti conosco".
Vedete quanti simboli, quante cose ci sono in questa pagina del Vangelo e vi consiglio di rileggerle a casa.
Io vorrei fermare la vostra attenzione soltanto su un particolare che però ritengo, specialmente nei tempi che ci è dato di vivere, piuttosto importante.
"Centocinquantatre grossi pesci", perché 153 e non 150? Forse perché gli Ebrei usano aggiungere qualcosa per la festa, la gioia: una pesca straordinaria, una pesca che chiamiamo miracolosa. Come sapete il racconto della pesca straordinaria c'è anche nel Vangelo di Luca, solo che lo mette prima della morte di Gesù.
Quando si legge questa pagina molti dicono: "Sì, sulla parola del Signore si fa una grande pesca" (Significa: abbondanza di opere buone, frutti di bontà, di giustizia, di amore) tante volte mi son sentito dire: "Ma dove - don Checco - sta tutto questo bene nel mondo?".
Vedete - oggi noi, come ieri siamo condizionati dai mezzi di comunicazione: pensateci un momento. Sentiamo a volte parlare di genitori che maltrattano i figli, di mamme o di papà che arrivano addirittura ad ucciderli e ci sconvolge la notizia, ma ci dimentichiamo di tutti quei genitori e sono una infinità che si curano dei figli, che dedicano loro molto tempo, che si impegnano, che lavorano, che si sacrificano in tutti i modi per loro, in ogni angolo della terra e sono la stragrande maggioranza.
Ci sono dei nonni (ne parlavamo dopo la Messa precedente) che corrono dietro ai bambini... credevano di stare in pensione, ma hanno da fare più di prima... sono tanti e sono la maggioranza. C'è tanto bene intorno a noi!
Sentiamo qualche volta parlare di insegnanti che maltrattano gli alunni a scuola: qualche caso e la televisione ce lo ripropone subito e rischiamo di dimenticare che ci sono centinai di migliaia di insegnanti - in questo paese - fin dalla scuola materna e poi alle scuole superiori, che dedicano la loro vita ai loro alunni. Spesso sono pagati relativamente poco. Lavorano con passione, con amore... chi più capace chi meno, ma cercano di darsi da fare. Cercano di educare i ragazzi, a volte con fatica, perché spesso i genitori non riescono a farlo attentamente.
A volte sentiamo parlare di episodi di malasanità e ce ne sono, ma quanti medici, quanti infermieri, in questo paese, in ogni angolo cercano di curarci nel miglior modo possibile, nonostante le cose che sentiamo. A detta di chi sa fare i conti la nostra sanità è una delle migliori del mondo e speriamo che continui a rimanerlo con lo sforzo di tutti.
Con lo sforzo di tutta questa gente che cerca di dedicare la propria vita, a volte anche le proprie notti al nostro bene, a curarci: sono tanti e sono la stragrande maggioranza.
Qualche volta sentiamo parlare di medici che in giro per il mondo prestano gratuitamente la loro opera per curare persone in terre dove non c'è nemmeno un ospedale, non c'è chi si preoccupa di far nascere i bambini, come si deve... ce ne sono tanti anche di questi!
A volte sentiamo anche parlare di episodi di crudeltà dei nostri ragazzi. Abbiamo ascoltato ultimamente in Puglia... Ma quanti ragazzi ci sono in questo paese che studiano, si danno da fare, fanno sport, sono ragazzi normali e crescono con le difficoltà del crescere e anche quanti di loro fanno volontariato!
Si impegnano per gli altri, a curare gli anziani, i più poveri... qualcuno, anche qui a Ostia va in giro ad occuparsi di quelli che dormono di notte per strada: quanti ce ne sono! Se leggete i numeri del volontariato in questo paese, sono impressionanti!
Qualche volta sentite parlare di qualche scandalo nella Chiesa: scandali gravissimi, la pedofilia è uno dei mali peggiori che affligge questo mondo, ma non possiamo dimenticare la moltitudine di preti, di frati, di suore che in ogni angolo della terra dedicano la vita, rinunciando anche a molto della loro esperienza umana, per il bene degli altri.
E lo fanno a volte con tenerezza, con attenzione con più o meno capacità, perché siamo per fortuna tutti diversi, ma molti di buona volontà. Io ne ho conosciuti tanti e penso che anche voi ne abbiate conosciuto qualcuno.
Tante persone - dunque - che fanno del bene e sono la stragrande maggioranza. Non voglio dirvi che non ci sia il male nel mondo: c'è ed è grave, ma se ci dimentichiamo anche di tutto il bene che c'è sulla faccia della terra, che vediamo intorno a noi, quello che conosciamo con i nostri occhi... allora, rischiamo di cadere nel pessimismo o, peggio ancora, nella paura e nel rancore.
Il Signore ci aiuti.
"Le mie pecore ascoltano la mia voce…" IV DOMENICA di PASQUA - 12 Maggio 2019
Giovanni 10,27-30
Una piccola frase del Vangelo di oggi mi permette di condividere con voi una riflessione sulla religione. La frase è: "Le mie pecore ascoltano la mia voce".
Vedete - la religione esiste fin dai tempi più remoti, in ogni angolo di questa terra gli uomini hanno sentito il bisogno di invocare "qualcuno" al di sopra: un essere supremo o tanti esseri che avevano possibilità di proteggere, di custodire, di aiutare il suo popolo, la sua gente.
A queste divinità gli uomini hanno moltiplicato le invocazioni, le preghiere, le acclamazioni, i riti, facendo voti, offerte, sacrifici, eccetera...
Quando succedeva qualche disgrazia pensavano che la divinità, che pensano onnipotente e buona, fosse arrabbiata e quindi bisognasse in qualche modo placarla, moltiplicando i sacrifici: si è arrivati - addirittura - ai sacrifici umani.
Insomma, gran parte della religione era basata sul parlare dell'uomo a Dio. L'uomo parla, invoca, prega, chiede sperando di essere esaudito.
Il Vangelo di Matteo chiama questo una preghiera pagana. Dice: "Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole".
Dovrebbe essere cosa remota, ma se vi guardate in giro in questo paese, quasi su ogni piazza trovate la statua di qualche santo. Trovate tanti santuari. Nei santuari trovate gli ex voto, cuoricini, ce ne sono ormai anche a Ostia purtroppo e tanta gente va a invocare il Signore, a chiedere, a pregare, a insistere... a volte con grande intensità perché i bisogni dell'uomo sono tanti: una religiosità basata sul parlare. Io mi rivolgo a Dio, a Lui ho bisogno di chiedere aiuto spesso.
La grande tradizione di Israele ha saputo rovesciare questo modo di pensare. Non siamo noi che parliamo a Dio, ma Dio parla a noi! E il compito nostro è soprattutto l'ascolto, il prestare attenzione alla voce che viene dall'Alto.
Se leggete la Bibbia Dio parla ad Abramo, lo invita ad uscire, ad andare. Dio parla ad Isacco, a Giacobbe. Dio parla soprattutto a Mosè, nel roveto che brucia. Gli parla sull'alto del monte. Parla a tutto il popolo donando la Legge e lo invita ad ascoltare. Poi i Profeti: tutto questo è scritto nel Libro. Il popolo di Israele è il popolo del Libro, perché è un popolo che deve ascoltare, prima ancora di chiedere.
Questo per noi che crediamo in Cristo trova in Lui compimento. Lui è la Parola... Tutti conoscete l'inizio del Vangelo di Giovanni, noi leggiamo: "In principio era il Verbo" ma si sarebbe dovuto tradurre: "In principio era la Parola". Gesù per noi è la Parola, è venuto per parlarci e noi siamo (come dice il Vangelo di oggi che usa immagini antiche) le pecore che ascoltano la sua voce!
Vedete - io ho parecchi anni dietro la spalle, ho conosciuto tanti cristiani, molti mi parlavano dei loro santi preferiti... ci sono santi e santoni di varie specie nella nostra tradizione religiosa. Quando chiedevo: "Ma cosa sapete di lui?". Mi raccontavano storie di prodigi, di miracoli, a lui ci si poteva rivolgere con fiducia perché aiutasse chi ne avesse bisogno.
Ma se mi capitava di domandare: "Ma, hai mai letto il Vangelo?". Poche volte mi sono sentito rispondere: "Sì". La maggior parte dei cristiani che ho conosciuto non hanno mai letto il Vangelo dalla prima parola all'ultima! Dicono: "Ma non basta quello della Domenica?".
Quello della Domenica lo leggiamo insieme e dovete sopportare, più o meno, le spiegazioni del prete... ma son sempre povere parole di un cristiano a voi in parte estranee, perché non sono le vostre parole, i vostri pensieri. Potete essere più o meno d'accordo, ma leggere un Vangelo da soli significa trovarsi direttamente a confronto con Gesù, con la sua Parola che troviamo, con tutti i limiti, perché è una Parola scritta da uomini come noi, raccolta nel Vangelo.
Allora, se posso darvi un consiglio, provate a leggere, se qualcuno di voi non l'ha mai fatto, o se lo ha fatto a rileggere qualche Vangelo dalla prima parola all'ultima. Cominciate - magari - dal Vangelo di Matteo che è il più semplice o dal Vangelo di Luca... Poi potrete leggere il Vangelo di Marco, secondo me è il più bello, ma anche il più difficile. Il Vangelo di Giovanni è molto complesso, ma il Vangelo di Matteo e il Vangelo di Luca possono essere letti credo da ogni cristiano, basta che pensi che se qualche cosa non la capisce la capirà quando la rileggerà la seconda o la terza volta".
E soprattutto un Vangelo va letto pensando che sono in gran parte racconti simbolici e soprattutto con una domanda: "Cosa c'entro io, qui?". Il Vangelo parla di un cieco, posso pensare: "Che mi riguarda? lo ci vedo benissimo!". No, parla di me, che qualche volta non vedo i valori di Gesù, non capisco che cosa è importante nella vita, non vedo che cosa è giusto che io faccia con questo mio fratello... marito, moglie, figli, vicini…
Ecco perché io mi ritrovo nel "cieco" a cui Gesù ridona la vista, per scoprire i valori autentici, per capire la propria situazione nel mondo.
Ecco, se tenete presente queste cose, simboli, racconti che parlano a me, io mi ci devo trovare dentro, allora vedrete che la lettura del Vangelo fatta con calma... magari una pagina per volta, ma dalla prima parola all'ultima, può essere molto bella. Non tutto è semplice, ma molte cose sono alla portata di tutti e possono arricchire la nostra vita cristiana.
Vorrei ripetervi, concludendo, che la nostra fede è basata non sul nostro parlare a Dio, ma sull'ascolto di Dio che ci parla. Per noi soprattutto sull'ascolto di Gesù che ha da dirmi qualche cosa, ha da comunicarmi i suoi valori, i sogni del suo cuore, i pensieri della sua mente.
Lui parla a me, alla mia vita, vuol dirmi qualche cosa che è fondamentale per il mio stare nel mondo, per il mio comprendere che cosa mi succede attorno. Poi viene la parte più complicata, ma quella è complicata per tutti, non basta soltanto ascoltare bisogna anche mettere in pratica, ma in questo voi riuscite meglio di me.
Il Signore ci aiuti.
"Vi do un comandamento nuovo: V DOMENICA di PASQUA - 19 Maggio 2019
che vi amiate gli uni gli altri". Giovanni 13,31-33a.34-35
Siamo nell'Ultima Cena, le ultime parole di Gesù e (come avete ascoltato) un comandamento nuovo. Sembra che l'intenzione di Gesù sia quella di lasciare come testamento ai suoi il superamento dell'Antica legge, degli antichi Comandamenti. Non più tante regole, ma un solo comandamento: l'amore.
Ma - vedete - l'amore non si può comandare. Posso scrivere della legge: non rubare, non uccidere, paga le tasse... ma nessuna legge al mondo dice: ama!
Amare non può essere una legge, è un ideale, un sogno, un cammino, anzi per noi un cammino impossibile perché Gesù ci dice: "Amatevi come io ho amato voi". Dovremmo essere come Lui. Un cammino - dunque - che non ha limite, che non può mai raggiungere la perfezione, che è sempre un passo dopo l'altro alla ricerca di essere, almeno un po', come Gesù.
Ma come Gesù ci ha amato? Come Gesù ama la sua gente? Ho cercato di ripercorrere tutto il Vangelo domandandomi: "Cosa significa amare come Gesù, come ama Gesù?"
Ho individuato alcune cose... voi leggendo il Vangelo, potete trovare altro, forse anche di meglio.
La prima cosa che mi colpiva è che l'amore di Gesù è fatto non di parole o di sentimenti, ma di gesti concreti: chinarsi sulla sofferenza della gente, avvicinarsi agli uomini, condividere con loro la vita di ogni giorno, anche un banchetto festoso...
L'amore di Gesù si manifesta in un simbolo che il Vangelo di Giovanni ci riporta nell'Ultima Cena, quello di chinarsi a lavare i piedi: il lavoro più umile, il lavoro dello schiavo, un simbolo certamente, ma significa che amare è fare qualche cosa per l'altro, mettersi al suo servizio, aiutarlo soprattutto nei momenti di difficoltà.
Un'altra cosa che colpisce è che Gesù ama a cominciare dai più piccoli, dai più poveri, dai malati, dai sofferenti, da coloro che hanno un peso sul cuore: non soltanto la malattia fisica, ma anche la malattia del cuore.
Gesù ama i peccatori, non può amare il loro peccato, ma il peccatore, sì, per ridargli la speranza, il desiderio di alzare il capo, di uscire dal "fango", di ritrovare la capacità di essere un uomo libero, libero di amare.
Amore - dunque - che si rivolge soprattutto ai "piccoli", anche ai bambini, anzi ci dice che dobbiamo diventare come loro, capaci di futuro, di speranza, senza pensare di possedere la vita.
L'amore di Gesù è un amore libero, libero dalle convenzioni, dai condizionamenti della società, dalle regole, libero anche dalla religione. Quando il comandamento dice che di sabato non si possono fare certe cose, Gesù lo supera senza difficoltà perché quello che conta per Lui è l'uomo, ogni uomo, il più piccolo degli uomini. Per Lui l'unica cosa sacra di questa terra è questa persona che ho davanti e di fronte a questa persona l'ideologia, la legge, le regole, le tradizioni, la religione, tutto deve fare un passo indietro perché quello che conta è questa persona concreta che ho davanti.
Non solo l'amore di Gesù è un amore libero, ma è anche un amore che libera, che fa l'uomo capace di essere se stesso, di ritrovare la propria dignità.
Quando a Gesù chiedono. "Come mi devo comportare?" Risponde seccamente: "Chi sono io per dirti quello che devi fare? Sei tu!" Dice ai suoi discepoli: "Quando vedete il cielo che si annuvola, dite: pioverà. Quando soffia lo scirocco, dite: farà caldo... perché non sapete capire da voi stessi che cosa è giusto, cosa è buono?".
È un amore che vuol farci liberi, responsabili, capaci di gestire la nostra vita e la nostra moralità. Purtroppo nella storia della Chiesa i cristiani sono stati abituati troppo ad ubbidire, a chinare la testa, a dire sì, a farsi dire dagli altri che cosa è giusto e cosa non lo è. Per Gesù doveva essere il contrario.
Ciascuno di noi deve trovare dentro se stesso i valori che lo fanno capace di giudicare tempi, momenti, persone, fatti, quello che è buono e quello che buono non è.
L'amore di Gesù vuole non "pecore", ma uomini liberi, non gente abituata a dire sempre sì, ad applaudire, ma gente che può alzare il capo, pensare con la propria testa, sentirsi veramente libera nel profondo.
L'amore di Gesù non è mai un amore intollerante che pensa che soltanto chi ama come Lui possiede la verità. Quando i discepoli vogliono impedire a qualcuno di far del bene perché non sono con loro, Gesù si volta e li rimprovera. Quando Giacomo e Giovanni invocano il "fuoco dal cielo" Gesù li rimprovera severamente.
Amare non significa pensare di essere solo noi quelli che son capaci di amare: significa essere capaci di riconoscere l'amore in chiunque si china sul suo prossimo, sull'uomo che soffre, aldilà di ogni ideologia, di ogni religione, di ogni modo di pensare: quello che conta ancora, non sono le parole e i pensieri, ma i fatti, i gesti concreti: è questo che fa libero l'uomo!
L'ultima cosa che mi viene da dirvi è che l'amore di Gesù è un amore assolutamente gratuito: "date, prestate, senza aspettarvi che vi diano in cambio niente". Amore senza aspettarsi un premio, amore che non ha paura di un castigo se non fa qualche cosa. Amore che è dono di se stessi, che è vita condivisa, capacità di donare, di spendersi senza aspettarsi il contraccambio: la gratuità!
Quando facciamo e penso che tutti voi abbiate fatto nella vita qualche volta esperienza di essere amati gratuitamente fin da quando eravamo bambini e succhiavamo il latte di nostra madre, fin da allora, quando abbiamo fatto esperienza di chi ci ha amato gratuitamente, abbiamo fatto esperienza dell'amore vero, e forse anche noi qualche volta siamo stati capaci di amare senza pensarci su, senza aspettarci il contraccambio.
Come vedete tutto questo non può essere una legge, non può ridursi ad un obbligo: tutto questo è speranza, sogno... sogno che non ha un confine, che non ha una meta, non si arriva mai, non si può essere mai perfetti come Gesù. Quello che conta non è arrivare, ciascuno di noi fa quello che può e se poi non riesce si sente accanto Lui con una carezza, non con la minaccia e il castigo, ma con il desiderio che riprendiamo la strada cercando di essere anche noi, come Lui, capaci almeno un po' di amare.
Il Signore ci aiuti.
"Lo Spirito Santo che il Padre manderà VI DOMENICA di PASQUA - 26 Maggio 2019
nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa…" Giovanni 14,23-29
Avete ascoltato la promessa di Gesù: il Padre manderà lo Spirito Santo che insegnerà ogni cosa, ricorderà quello che Gesù ha detto.
Un'obiezione che mi sono sentito rivolgere tante volte nel corso di questi anni è: "Ma che bisogno c'è dello Spirito Santo? Non bastava Gesù?" Ecco, assolutamente Gesù non basta!
Non basta perché Gesù è venuto in un certo tempo, in un certo contesto. Parlava a della gente che viveva nei piccoli villaggi della Galilea, in un mondo in cui non c'erano automobili, aerei, computer, internet... niente di tutto questo! La Parola di Gesù deve invece risuonare in "questo" mondo, deve diventare attuale, deve diventare viva altrimenti rimane lettera morta.
Fare quello che Gesù ha fatto, in senso materiale, per noi è impossibile. Dobbiamo cogliere lo Spirito di Gesù, i suoi valori, i sogni della sua vita per renderli attuali e vivi nella nostra quotidianità, soltanto allora la presenza di Gesù diventa qualche cosa di vivo, che non appartiene al passato, ad un mondo che non c'è più.
Ecco, perché i primi cristiani pensano che debbano ogni giorno invocare lo Spirito Santo, glielo ha detto Gesù! Ricordate la parola del Vangelo: "Chi di voi, se un figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra, se gli chiede un pesce, gli darà un serpente? Se dunque voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre Celeste darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono".
Ecco, per il Vangelo l'essenza della preghiera è una ricerca continua dello Spirito, della luce che viene dall'Alto, del soffio che viene da Dio, del fuoco che illumina e scalda la nostra vita. È un cammino che non può mai fermarsi, è ricerca... e quando, nella lunga storia della Chiesa si è smesso di cercare lo Spirito, tutto diventava fermo, abitudine, incapacità di capire il mondo che cambiava e non si capiva più cosa significasse vivere la presenza reale di Gesù nella vita di ogni giorno.
Un paio di esempi possono aiutarvi, forse, a comprendere questo discorso. Il primo lo avete trovato nella prima Lettura. Avete visto come la prima comunità cristiana rischia di essere lacerata da un problema grande... Gesù è sempre vissuto tra gli Ebrei, ha sempre parlato solo agli Ebrei, è rimasto tra loro e con loro, è vissuto ed è morto da ebreo, ma adesso (come avete ascoltato) ci sono alcuni dei pagani che desiderano accogliere il Vangelo.
Cosa fare con loro? Gesù era un ebreo, debbono diventare ebrei anche loro? Ma è necessario che diventino ebrei? Per Gesù l'uomo viene prima di tutto, prima delle tradizioni, prima dei popoli, prima delle abitudini, addirittura prima della religione. C'è uno scontro, anche abbastanza duro, con quelli che vengono dal mondo dei pagani che dicono: "Perché dobbiamo accettare tutte le regolette del mondo ebraico? Perché dobbiamo circonciderci? Non sono cose essenziali!".
Il confronto è stato lungo, invocano lo Spirito Santo e poi (come avete ascoltato) hanno il coraggio di decidere: "È parso bene allo Spirito Santo e a noi di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie…" ed è interessante anche che alcune di queste cose "necessarie" che impongono sono (secondo Paolo) delle sciocchezze, ma lui accetta. Impongono di non mangiare la carne offerta agli idoli. Paolo dice: "Gli idoli non esistono, la carne delle offerte è come tutta l'altra". Poi di non mangiare animali soffocati: tutti voi avete mangiato animali soffocati.
Vedete, anche quando in nome dello Spirito, la comunità cristiana crede di intuire qualche cosa della Verità, deve saper poi andare oltre, non può fermarsi, c'è sempre qualche cosa di nuovo da comprendere e da rendere attuale alla luce di quelli che sono i principi di Gesù che debbono diventare vivi oggi.
Un'altra esperienza che ho fatto quando ero giovane... (non so quanti di voi l'hanno vissuta intensamente) è quella del Concilio. Vedete, sono stato educato in una Chiesa in cui tutto veniva dall'autorità. Il Catechismo era quello di Pio X, il Vangelo quasi non si conosceva, la Messa era tutta in latino, tutta la liturgia era fissa, ferma da secoli, tutto sembrava immobile, immutabile...
E, poi la geniale intuizione di un Papa, Giovanni, che credeva nello Spirito, ha detto: "Non possiamo fermarci, dobbiamo fare in modo che la Chiesa si apra al mondo, che trovi linguaggi nuovi, che incontri le genti del mondo".
Gli Ebrei, che erano considerati "perfidi" nella tradizione cristiana, diventavano i nostri fratelli maggiori. Il linguaggio cambiava. Tutto perché in un momento particolare, la Chiesa aveva avuto il coraggio di aprirsi allo Spirito, di invocare la luce dall'Alto, di cercare ancora.
E ricordo ancora che quando ero un giovane prete ascoltai, durante il Concilio, la conferenza di un grande teologo del secolo scorso Karl Rahner, il quale diceva: "Attenti: il grande pericolo del Concilio è il conciliarismo: non potete fermarvi qui. Il Concilio non è un punto di arrivo, è un punto di partenza perché la Chiesa deve continuare a cercare, a invocare lo Spirito, a rendere viva, attuale, presente la Parola di Gesù senza stancarsi mai".
Ecco, il cuore della fede cristiana è invocazione dello Spirito di Dio, invocazione della luce che viene dall'Alto, ricerca che non finisce mai. Una verità che non si possiede mai. Guai a pensare di essere arrivati, di possedere la Verità: si diventa solo degli intolleranti.
Il cristiano autentico è uno che guarda avanti, che invoca lo Spirito, che cerca la Luce, che cerca che le Parole di Gesù siano vive nella propria vita e intorno a sé, può cambiare il modo di esprimere i valori di Gesù, ma sono sempre gli stessi, dobbiamo capirli sempre meglio e renderli vivi, oggi.
Il Signore ci aiuti.
Mentre li benediceva, si staccò da ASCENSIONE del SIGNORE - 2 Giugno 2019
loro e veniva portato su, in cielo. Luca 24,46-53
Abbiamo ascoltato la fine del Vangelo di Luca e l'inizio degli Atti degli Apostoli scritti tutti e due - questi libri - dalla stessa comunità. C'è una differenza (l'avrete notato) tra il primo racconto e il secondo, parlano tutte e due dell'Ascensione: nel primo racconto sembra che siano passati quaranta giorni. Nel racconto invece del Vangelo tutto succede la Domenica di Pasqua. Gesù sale al cielo dopo quaranta giorni o lo stesso giorno? Sono domande importanti? Secondo me assolutamente no! Perché per loro questi numeri sono simbolici, indicano un senso di pienezza, il compimento di un avvenimento, di una storia.
Così come non è (a mio avviso) una domanda importante quella che ho sentito rivolgermi qualche volta nel corso della mia vita: "Ma Gesù adesso dove sta, e il suo corpo com'è, e cos'è il cielo?". Vedete - gli antichi avevano una visione molto semplice di questo mondo. C'era in basso la terra, il mondo in cui ci muoviamo, sopra la grande cupola del cielo e sopra il Regno e lo spazio di Dio.
Oggi, per noi, il mondo non è più così ingenuo. Sappiamo quanto è infinito il mondo e qualcuno si chiede: "Dove sta Gesù? E il suo corpo come è fatto?". Sembrano domande importanti, interessanti, ma non lo sono! È un modo di raccontare semplice e ingenuo dei primi cristiani per comunicarci il messaggio, è importante che in queste Letture cerchiamo di cogliere il messaggio, quello che ci riguarda e qui (secondo me) c'è un messaggio importantissimo
Vedete - questo episodio dell'Ascensione segna per i primi cristiani il passaggio dalla storia di Gesù: la sua presenza su questa terra, le sue Parole, i fatti della sua vita e la nostra storia. La nostra storia che dovrebbe continuare quella di Gesù. Avete ascoltato: "Voi siete testimoni: andate per il mondo, convertite il mondo". È il nostro compito!
Qualche volta noi cristiani pensiamo di avere bisogno di Dio: è Dio che ha bisogno di noi! Pensiamo che siamo noi a pregare Dio. Molti di noi lo pregano... lo pregano per il benessere, per la salute e quelli che hanno il cuore più generoso per la salvezza del mondo, per la pace, per il bene delle nazioni...
Oggi, queste Letture ci dicono che non siamo noi a pregare Dio, è Dio a pregare noi! È Dio che ci chiede qualche cosa, è Dio che ci supplica: "Questo mondo è vostro, custoditelo, curatelo, convertitelo, fatene un mondo migliore". Un compito troppo grande? Certamente un compito immenso, ma ciascuno di noi può fare la sua parte, cercando di chiedersi: "Cosa posso fare io perché si realizzino, qui, in questo tempo i valori di Gesù?". È quello che Dio ci chiede!
Se volete immaginare come facevano gli antichi - noi non siamo più così ingenui -potete immaginare che il Padreterno si inginocchi qui: "Vi prego, fate, qualche cosa, questo è il vostro mondo, il mondo che vi ho affidato, il mondo che dovete custodire, amare".
Vedete - (se capisco qualche cosa) in questo momento in Italia - che mi è più vicina, ma forse anche nel mondo - gli uomini rischiano di incattivirsi, rischia di esserci sempre più rabbia. I nostri giovani sembrano mancare di speranza ed ecco - allora - la preghiera che Dio ci rivolge: "Fate quello che potete perchè il mondo sia più buono, perché non prevalga il rancore, la cattiveria, la divisione, ma sappiamo invece accoglierci, camminare insieme, costruire insieme le vie della pace, ciascuno può farlo nell'ambito in cui vive".
Molti di noi hanno i capelli bianchi, ci capita qualche volta, forse adesso raramente, di parlare con qualcuno più giovane... cerchiamo di trasmettergli il senso della fiducia, di togliere quel senso di rancore che oggi sembra diffondersi, c'è troppa gente che soffia sul fuoco, che vuole che diventiamo sempre più cattivi, che costruiamo nemici. Non possiamo avere nemici, dobbiamo avere fratelli con cui tentare di camminare insieme.
Ecco, il senso della festa che oggi celebriamo. Ecco il messaggio che queste Letture ci danno.
Non chiedetevi: "Dove è il Signore?". Son cose che non possiamo nemmeno immaginare, chiediamoci: "Cosa ci chiede Dio?". È Lui che ci prega. È Lui che ci chiede. È Lui che ci cammina davanti. Gesù è venuto, ha camminato con noi, ha parlato per noi, ha vissuto per noi, ha donato la sua vita per noi, ma adesso è il nostro tempo...
A noi lascia il compito di essere testimoni di Lui, dei suoi valori, della sua vita perché il mondo sia più bello.
Il Signore ci aiuti.
Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre PENTECOSTE - 9 Giugno 2019
manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa… Atti 2, 1-11. Giovanni 14,15-26
Dopo la drammatica esperienza della croce, che vede i discepoli sconvolti e dispersi, faticosamente trovano il coraggio di ritrovarsi insieme e pian piano di rendersi conto che Gesù è vivo.
Sembrano (se leggete i Vangeli) fare grande fatica a riconoscerlo, ma poi pian piano si rendono conto che Gesù non è morto, vive... soprattutto vive in loro qualche cosa dell'energia di Gesù, la sua Parola, i gesti della sua vita. Le ore che hanno trascorso con Lui hanno lasciato qualche cosa nella loro mente e nel loro cuore. Qualche cosa dell'energia, della forza vitale di Gesù è rimasta in loro.
In questo vedono realizzarsi la promessa, che si legge nell'Antica Scrittura, che Dio manderà alla fine dei tempi il suo Spirito. Loro sentono l'energia di Gesù nel loro cuore e la chiamano "Spirito", perché così è scritto. Questa è un'energia che viene dall'Alto e che sentono nel profondo di loro stessi.
Sentono che la Parola di Gesù, la vita di Gesù continua a vivere in loro, a dare loro forza, coraggio e cercano di esprimere tutto questo in simboli che avete ascoltato nella prima Lettura. Simboli suggestivi che ci dicono qual è la fede di questi primi cristiani… e potrebbe essere anche la nostra fede. Vedete se anche voi ritrovate nella vostra esperienza di credenti qualche cosa di quello che hanno espresso i primi cristiani in questi simboli.
Il primo simbolo che avete ascoltato è quello di un vento impetuoso. Un vento che spalanca le porte. I discepoli sono chiusi nel Cenacolo, impauriti, timorosi di affrontare il mondo, tristi e sentono che Gesù ha comunicato loro una forza che spalanca le porte, che rende liberi... liberi dalla tradizione soffocante, da quello che si è sempre detto e fatto, liberi di aprirsi al futuro, ma soprattutto liberi dalle loro paure, dai propri egoismi, dalle proprie incapacità di voler bene e di comprendere il prossimo.
Sentono in loro una forza che li spinge a spalancare le porte, ad uscire, ad andar per il mondo, ad essere testimoni di Lui.
Un altro simbolo con cui tentano di esprimere quello che sentono è questa fiammella che scende su ciascuno di loro. Una fiamma che è nello stesso tempo luce e calore. Sentono che Gesù con la sua Parola ha illuminato la loro mente. Li ha invitati a vedere con occhi nuovi e uomini e cose, a scoprire, a intuire i valori essenziali della vita.
Sentono anche un fuoco dentro, qualche cosa che dà loro passione per la giustizia, per il bene, per la libertà. Ricordate i due discepoli che tornano da Emmaus e dicono: "Non ci ardeva forse il cuore e il petto mentre Lui ci parlava?!".
Ecco, sentono che la Parola di Gesù è come un fuoco che riscalda il loro cuore, che li fa capaci di condividere la vita, di amare, di ritrovarsi insieme, di affrontare i pericoli che ci sono senza scoraggiarsi. Sentono qualche cosa dentro, qualche cosa di forte, lo chiamano: "Lo Spirito di Gesù, la forza di Gesù".
Un altro simbolo quello a cui (come avete ascoltato) dedicano maggior attenzione è quello del sogno forse più grande dell'umanità, che Gesù sembra aver comunicato loro: il sogno di un mondo in cui tante persone diverse, di tanti popoli diversi, che parlano lingue diverse, ritrovano gli stessi valori, si riscoprono fratelli, possono condividere lo stesso cammino sulla terra.
È un sogno che dopo quasi duemila anni non vediamo ancora realizzato. Qualche passo avanti lo abbiamo fatto. Siamo riusciti a pubblicare la "dichiarazione dei diritti dell'uomo", ma ancora su questa terra ci sono troppe divisioni.
Divisioni, non diversità perché la diversità è bella. Avete sentito... tutti parlano lingue diverse, ma intendono lo stesso messaggio, scoprono gli stessi valori. Su questa strada dovremmo continuare a camminare anche noi.
Parliamo lingue diverse, siamo tutti diversi… e per fortuna. Il mondo è bello nella diversità, ma dovremmo scoprire qualche cosa che ci accomuna, i valori che possiamo condividere insieme: valori di giustizia, di libertà, di rispetto dell'uomo.
Valori che Gesù ha voluto comunicare ai suoi discepoli e che loro sentono dentro di loro come un soffio vitale, come un'energia che viene da Lui. Ecco, questi valori li sentiamo anche noi e dovremmo camminare su queste strade e fare quello che possiamo perché questi sogni si realizzino sulla nostra terra.
Certo - lo sapete - lo Spirito non può essere mai un possesso. Non possiamo mai pensare di avere raggiunto la Verità, di possedere la giustizia e il bene... è sempre un cammino, una ricerca.
Lo Spirito... i cristiani continuano a invocarlo senza stancarsi, a cercarlo ogni giorno, a tentare di sentirlo, nutrendosi della Parola e del Pane che spezziamo qui la Domenica, per nutrirci di Gesù, di quello che Lui ha fatto, di quello che Lui ha detto perché la sua Parola in noi sia luce e calore e ci spinga verso un mondo in cui veramente ci sia la pace, per dirla con il termine degli Ebrei: lo Shalom, la pienezza della vita, dello stare insieme, la pienezza di condividere, di tenersi per mano, di riconoscersi fratelli...
Sogni... ma il Vangelo è sogno. Gesù è sogno. Sogno sempre all'orizzonte del nostro cammino, ma sogno concreto che ciascuno di noi è invitato come può, giorno per giorno, a tentare di realizzare.
Il Signore ci aiuti.
"Quando verrà lui, lo Spirito di verità SANTISSIMA TRINITÀ -16 Giugno 2019
vi guiderà a tutta la verità…" Giovanni 16,12-15
Celebriamo oggi la festa della Santissima Trinità. Questa parola ricorda a me tempi lontani (non so se posso coinvolgervi, forse è anche l'esperienza di qualcuno di voi). Quando ero ragazzo avevo difficoltà a capire la Trinità e i catechisti, i sacerdoti con cui venivo in contatto cercavano di spiegarmi attraverso un "triangolo": tre lati, una sola figura, il trifoglio, ma mi sembrava un teorema di matematica e a me la matematica è stata sempre profondamente antipatica e quindi non capivo niente, rinunciavo anche a domandare perché mi dicevano sempre: "È un mistero, non puoi capirlo".
Credevo invece di sapere abbastanza chi fosse Dio perché avevo imparato a memoria le rispostine del catechismo: "Dio è il creatore del cielo e della terra, Dio è l'Essere perfettissimo, Dio è Colui che sa tutto, che conosce tutto, che vede tutto, Dio è Colui che provvede alla vita dell'uomo..." eccetera.
Poi una esperienza forte che ricordo ancora lucidamente (son passati più di cinquant'anni) ha cambiato il mio modo di fare una ricerca su Dio.
Avevamo cominciato a leggere con un gruppo di ragazzi: giovani universitari, lavoratori... il Vangelo di Matteo e lo avevamo fatto con una premessa: "Per quest'anno nessuno di noi nominerà più il nome di Dio finché non avremo intuito qualche cosa di Lui attraverso Gesù di Nazareth".
Non so se lo avevamo fatto perché avevamo conosciuto l'antico comandamento che dice che non si può parlare di Dio. Noi lo abbiamo banalizzato: "Non nominare il nome di Dio invano". È il comandamento fondamentale dell'antico Israele. Non si può parlare di Dio, non si può usare il nome di Dio. Probabilmente no, perché non conoscevamo la Scrittura.
Abbiamo pensato questo perché avevamo fatto esperienza che ognuno di noi aveva la propria immagine di Dio e se le mettevamo insieme ne veniva fuori una gran confusione e allora abbiamo detto: "Qui ognuno di noi rischia di farsi il proprio idolo, cerchiamo di rinunciare a pronunciare il nome di Dio finché non intuiremo qualche cosa di Lui attraverso Gesù di Nazareth" e abbiamo cominciato a leggere il Vangelo.
Pensavamo, in molti, che Dio fosse un giudice severo, ci guardava con "l'occhio" attento, a volte da un grande triangolo, pronto a punire, addirittura con l'inferno e poi ci accorgevamo, leggendo il Vangelo, che la parabola parla di un Padre che quando il figlio torna... il figlio delinquente, che ha sciupato tutto, non solo non fa un rimprovero, non dà una punizione, ma addirittura prepara una festa: una cosa incomprensibile, ma certamente l'opposto di quell'idea che ci portavamo dentro che forse era una proiezione del nostro pensare la figura del padre, padri autoritari a quel tempo, adesso le cose sono molto cambiate.
Pensavamo anche che il nostro rapporto con Dio si dovesse basare - così ci avevano detto - soprattutto sulla preghiera, sulla pratica religiosa, sul culto e che dovevamo essere molto attenti alla professione di Fede, a non dire cose eretiche... a quel tempo non si bruciavano più sul rogo, ma in tempi passati succedeva anche quello.
Poi leggendo il Vangelo ci siamo accorti che questo sembrava - per Gesù - di nessun interesse. Ricordate le parole: "Beati i miti, i misericordiosi, quelli che hanno fame e sete di giustizia, quelli che operano la pace...". Non c'è nemmeno una parola sulla preghiera e sulla professione di Fede.
E il discorso finale del Vangelo di Matteo: "Avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere" Non c'è mica scritto:"Hai pregato o non hai pregato, hai recitato il Credo o non lo hai recitato". "Avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e m'hai dato da bere".
Ci dicevano che solo noi cristiani possediamo la Verità, che gli altri non l'hanno, addirittura qualche prete ci diceva, ancora alla maniera antica, che fuori dalla Chiesa non c'è salvezza e ci accorgevamo che nel Vangelo invece il prototipo della persona perbene era lo straniero, il diverso, colui che era di un'altra religione: il samaritano (conoscete tutti la parabola del samaritano)... lui era colui che doveva darci l'esempio e non era uno dei nostri, era uno di fuori! E ci accorgevamo allora che Dio non era il "nostro" Dio, ma il Dio di ogni uomo che vive sulla terra.
Poi abbiamo cominciato a fare esperienza di Gesù di Nazareth. Pensavamo di saperne qualche cosa perchè avevamo studiato nel catechismo che Gesù è Dio e quindi sappiamo molto di Lui. Se è Dio sa tutto, è onnipotente, Lui può darci ogni grazia...
Poi leggendo il Vangelo ci accorgevamo che Gesù appare nel Vangelo tutt'altro che onnipotente. Nasce in una mangiatoia, vive come un falegname, muore sulla croce... tutt'altro che onnipotente! Il Dio che è venuto a condividere la nostra vita nei bassifondi della storia, accanto agli ultimi e non il Dio che ci donava qualcosa, ma ci chiedeva qualcosa di noi stessi.
Aveva da donarci soltanto se stesso e niente di più. Se stesso, il suo amore.
Ci avevano detto che essere cristiani comportava il rinunciare a pensare con la propria testa. Dovevamo seguire gli insegnamenti dell'autorità, del Papa, dei vescovi, le cose scritte e ci accorgevamo che Gesù se aveva un rimprovero da fare ai suoi discepoli era proprio quello di non riuscire a pensare.
Ricordate le parole: "Voi sapete riconoscere i segni del tempo, sapete quando verrà caldo, quando pioverà... perché questo tempo non lo sapete giudicare? Perché non capite da voi stessi che cosa è giusto e cosa è sbagliato, quali sono le cose importanti? Perché non lo capite da voi stessi?". È (come vedete) un invito a pensare, a cercare, ad essere liberi e Gesù voleva che fossimo uomini liberi!
Eravamo abituati a vivere nell'ubbidienza. Guai a disubbidire a quello che dice il parroco, il vescovo, il Papa e Gesù ha messo nel cuore dell'Evangelo il discorso del "sabato". L'autorità, la legge, i precetti tutto è fatto per l'uomo: l'unica cosa sacra è l'uomo, ogni uomo che vive sulla terra: liberi, quindi! Liberi di non ubbidire, liberi di cercare con passione che cosa giova veramente alla vita dell'uomo. Se i cristiani avessero vissuto questo non avrebbero mai accettato le leggi razziali e anche oggi avrebbero molto da contestare.
Dello Spirito Santo abbiamo parlato Domenica scorsa. I primi cristiani ce lo lasciano intuire attraverso simboli: il vento impetuoso, il fuoco, la luce. Fuoco che scalda il cuore, luce che illumina il cammino e poi il sogno di diventare tutti una cosa sola.
Vedete, non è che avevamo - alla fine della lettura del Vangelo - compreso Dio. Non si può comprendere Dio. Avevamo soltanto intuito qualche cosa. Sono passati cinquant'anni e per questi cinquant'anni ho continuato a cercare Dio nel Vangelo. Ho cercato Dio nell'esperienza che andavo facendo, piano piano, sempre più approfondita di Gesù di Nazareth.
Mi ha fatto libero. Libero di pensare con la mia testa. Libero di cercare Dio. Libero di cercare la Luce. Libero di sentirmi fratello con ogni uomo. Libero...!
Il Signore ci aiuti.
"Questo calice è la nuova SS. CORPO e SANGUE di CRISTO - 23 Giugno 2019
alleanza nel mio sangue" Prima ai Corinzi 11,23-26. Luca 9,11-17
Celebriamo oggi (come sapete) la festa del Corpus Domini, la festa dell'Eucaristia. Questo ci permette una riflessione su quello che facciamo qui ogni Domenica e oggi vorrei mettere l'accento su un aspetto che spesso viene trascurato nell'insegnamento della Chiesa. Credo che ci sia qualcuno di voi che non ne abbia mai sentito parlare.
Il tema su cui vorrei attirare la vostra attenzione è quello dell'Alleanza. Lo avete sentito ripetere tante volte, forse senza pensarci: "Questo è il Calice della Nuova ed Eterna Alleanza". Quindi c'è un'Alleanza nuova, come c'era un'Alleanza antica! L'Alleanza - dunque - è un aspetto fondamentale della nostra Fede, come lo era dell'antico Israele.
L'idea dell'alleanza si è formata in tempi molto remoti. Quando la vita dell'uomo era molto diversa da quella di oggi, si è formata ai limiti del deserto: c'erano delle tribù che spesso erano in guerra tra loro e ogni tanto qualche persona saggia diceva: "Perché la guerra? Facciamo la pace, facciamo l'alleanza, stringiamo un patto, un patto serio in cui tutti e due ci impegniamo ad osservare delle regole, a rispettarci. Possiamo sentirci non come estranei, ma come fratelli".
E, come succedeva a quei tempi, celebravano questo con un rito e spesso era un rito di sangue perché, per gli antichi, il sangue è la vita. Per noi il sangue è tutta un'altra cosa, ma per gli antichi era qualche cosa di sacro. Il sangue era per loro quello che rappresentava la vita dell'uomo.
Fare un rito con il sangue era per loro profondamente significativo e quindi quando facevano questa alleanza fra due tribù... a volte i capi si incontravano, facevano un graffio sul braccio, univano il loro sangue e dicevano: "Ecco, abbiamo lo stesso sangue, siamo come fratelli, ci impegniamo a rispettarci, a osservare le regole che ci siamo dati, a camminare insieme come camminano insieme i fratelli".
Israele ha avuto la grande intuizione di pensare che Dio stesso offriva loro un patto di Alleanza. Dio si impegnava con il suo popolo a camminargli davanti, ad essere la sua luce, il suo punto di riferimento, ma chiedeva anche al popolo di cercare la giustizia, di vivere la pace, la fraternità, di camminare insieme: un patto - quindi - reciproco tra Dio e l'uomo.
Un patto in cui Dio si impegna con l'uomo e l'uomo si impegna con Dio e anche con tutti i propri fratelli.
Questo - Israele - voleva celebrare e ha inventato un rito... (per noi sarebbe qualche cosa di orribile, ma loro vivevano in un altro mondo) se leggete la Bibbia, ai piedi del Sinai si raduna tutto il popolo d'Israele, si fa una grande festa e si offre il sacrificio, si raccoglie il sangue degli agnelli nel catino e poi questo sangue si sparge in parte sull'altare - che è il simbolo di Dio - e in parte su tutta la gente.
Voi... se vi bagnassi col sangue scappereste tutti di chiesa. Per loro il sangue era una cosa sacra: era il simbolo della vita. Cosa volevano dire con questo? Ecco, noi e Dio ormai viviamo la stessa vita, siamo una cosa sola: Dio si è impegnato con noi e noi ci impegniamo con Dio, ci impegniamo a vivere con Lui, a seguire i suoi comandi, la sua luce, a cercare la giustizia.
Per spiegarmi meglio, per aiutarvi (se posso) a capire la differenza che c'è tra questo modo di vedere la religione e a quello a cui siamo più abituati: pensate al "voto". Molti di voi, forse, nella vita hanno fatto un voto. (Sono sempre cose pericolose, evitatele accuratamente... fonte di innumerevoli scrupoli, ho combattuto tutta la vita contro i voti).
Sembra anche il voto un patto con Dio: "Se Tu mi fai questa grazia io mi impegno a fare qualcosa: una penitenza, un pellegrinaggio… se tu mi dai questo, io faccio questo". Vedete - è quasi un rapporto commerciale: "Io ti do, tu mi dai!". Molto della vita cristiana è basata su un rapporto commerciale con Dio. "Io ti offro un sacrificio e tu mi aiuti, se tu mi aiuti poi compio il mio voto". È un rapporto commerciale, che ha poco a che spartire con il rapporto di Alleanza.
Qui si tratta di momenti. Lì si tratta di vita: "Tu sei con me, io sono con te. Io mi impegno non soltanto ad andare in pellegrinaggio, mi impegno ad essere onesto, ad essere giusto, a cercare la giustizia e il bene. Mi impegno alla fraternità...".
È una cosa completamente diversa. Non riguarda un momento della vita, riguarda tutta la vita! (non so se sono riuscito a spiegare la differenza) Altro è un rapporto commerciale: "Io ti do, tu mi dai. Io ti chiedo e tu mi dai. Io ti faccio una promessa se tu mi fai questa grazia". Altro è l'Alleanza: è un patto di vita. Ci impegniamo con Dio e Lui con noi. Siamo una cosa sola.
Vorrei dirvi ancora un'altra cosa di cui riflettevo ieri... sempre sul rapporto commerciale che noi abbiamo con Dio.
Vedete - noi siamo abituati a chiedere grazie a Dio, ma siccome Dio lo consideriamo un po' troppo in alto, siamo abituati a rivolgerci ai santi. Voi sapete che i santi non fanno le grazie, i santi ci raccomandano presso Dio. Quindi, nella nostra religione viviamo di raccomandazioni. Vi siete mai raccomandati a sant'Antonio di Padova, a santa Rita, a santa Lucia? Penso di sì, anch'io mi sono raccomandato! Viviamo di raccomandazioni! Vi siete mai chiesti perché in questo paese, in molti campi si vive di raccomandazioni… e se fosse per colpa della nostra religione? Conoscete il detto: "Se vuoi un posto di lavoro, se vuoi ottenere qualche cosa devi avere qualche santo in paradiso". Ma mica quelli con l'aureola, qualche santo qui, qualcuno che ha potere... e se rinunciassimo ai santi per rinunciare alla raccomandazione, per diventare un popolo serio... perché è questo che chiede il "patto" che Dio ci propone: diventare gente seria, in tutta la vita. Gente che cerca la giustizia, il bene e non solo che ha bisogno di raccomandarsi quando gli fa male un braccio: Dio ci chiede che la vita sia una vita di impegno, una ricerca della giustizia, del bene.
Tutto questo trova il compimento in Gesù di Nazareth: la Nuova Alleanza. Perché Nuova? Perché adesso Dio si è fatto uno di noi, non soltanto ci ha detto Io sarò la vostra luce, ma io sarò con voi, camminerò con voi, a fianco a voi, accanto agli ultimi di voi per essere per voi nutrimento, cibo.
Cosa celebriamo qui la Domenica? Gesù che si è fatto per noi Cibo, cibo nella Parola che ascoltiamo ogni Domenica. Cibo nel Pane che spezziamo. Ci ha donato se stesso, ci ha donato la sua vita e cosa ci chiede? Una cosa sola! Un solo comandamento ci ha lasciato per la Nuova Alleanza: "Amatevi come io vi ho amato".
Questa è la fede cristiana: Dio è con noi. Gesù con noi che ci dona la vita e noi che ci impegniamo con Gesù a vivere l'amore. Amore tra di noi, per sentirci fratelli, camminare insieme, tentare di essere, come dice l'apostolo Paolo, una cosa sola: "Voi che mangiate un solo Pane siete una cosa sola".
Ecco il cuore della vita cristiana che celebriamo qui ogni Domenica! Ricordatelo, ogni volta che venite qui, venite per rinnovare l'Alleanza, un patto con Dio. Gesù - è Lui il protagonista - ci dona se stesso, la sua vita e ci chiede: "Vivete come fratelli, amatevi". Soltanto così la vita è bella: questa è l'Eucaristia. L'Alleanza è il cuore della nostra fede ed è il cuore anche della fede dell'antico Israele.
Il Signore ci aiuti.
"Lascia che i morti seppelliscano XIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 30 Giugno 2019
i loro morti…" Luca 9,51-62
È passato ormai tanto tempo, mi è capitato anni fa, con un amico sacerdote, di discutere perchè lui sosteneva che non si possono fare scelte radicali, non si può credere totalmente senza diventare - almeno un po' - intolleranti e fanatici.
Io sostenevo che Gesù era riuscito... non si può dubitare che Lui abbia creduto totalmente, eppure è assolutamente contrario all'intolleranza e al fanatismo.
Ne abbiamo una prova nella pagina che abbiamo appena letto. Lo avrete notato, è una pagina contraddittoria. All'inizio Gesù sembra essere totalmente a favore della tolleranza. I due discepoli, quando vedono che i samaritani non vogliono far entrare Gesù perché è in cammino verso Gerusalemme, gli dicono se possono invocare il fuoco dal cielo. Gesù si volta e li rimprovera.
Tante volte i cristiani hanno invocato il fuoco dal cielo, ma - sapete - i cristiani non si fidano molto di Dio e - quindi - invece di aspettare che venga il fuoco dal cielo lo accendono loro e arrostiscono qualcuno. Sempre in nome della tolleranza!
C'è un'altra pagina del Vangelo in cui i discepoli dicono a Gesù: "Ci sono delle persone che fanno del bene in nome tuo, glielo impediamo?". Gesù di nuovo si volta e li rimprovera. È la tolleranza: "Lasciate che le persone facciano del bene, cercate di andare aldilà del fatto che siano dei nostri o non dei nostri, se ci impediscono di andare a Gerusalemme passando di qui, passiamo da un'altra parte, chissà che hanno per la mente!".
Più volte - nel Vangelo - ritorna il tema della tolleranza, del rispetto, dell'attenzione all'altro, ma la seconda parte del Vangelo sembra assolutamente contraria. Una pagina addirittura provocatoria, assurda se ci pensate.
Avete ascoltato che uno và e dice a Gesù: "Voglio venire con te". Gesù gli risponde bruscamente: "Guarda che io non ho dove posare il capo. Gli uccelli hanno il nido, le volpi le tane, ma io non ho niente. Se vuoi venire con me non aspettarti niente, non aspettarti nessuna ricompensa, nessun contraccambio. La gratuità più totale. La tua è una scelta radicale. Scegli il bene perché ritieni che sia bene e non per aspettarti qualcosa".
La seconda frase è ancora più forte: "Signore vengo con te, ma lascia che prima vada a seppellire mio padre". Chi impedirebbe a qualcuno di andare a seppellire il padre! Gesù risponde con una frase assurda: "Lascia che i morti seppelliscano i morti, tu vieni con me". È una frase simbolica, (lo capite tutti) se c'è una cosa che un morto non può fare è seppellire un altro morto!
Questa - per i cristiani - era una delle frasi più forti della loro esperienza cristiana. Cominciava dal loro Battesimo. Nel Battesimo passavano attraverso la vasca, ascoltavano le parole dell'apostolo: "Voi siete morti con Cristo per risorgere con Lui". Morti al peccato, lasciano alle spalle tutto quello che sa di morte, tutto quello che sciupa la vita, che umilia l'uomo. È una scelta radicale a cui ogni cristiano è invitato! Non possiamo accettare nulla che fa soffrire l'uomo, che umilia l'uomo, che non aiuta l'uomo ad essere libero e pieno di vita.
L'ultima frase ancora è una frase decisa: "Voglio venire con te, ma lasciami prima andare a salutare i miei". "Non andare! Chi mette mano all'aratro e si volge indietro non è degno del Regno di Dio". Vedete, anche qui una scelta radicale. Non si può guardare indietro, non ci si può voltare.
Ecco, da una parte questa pagina ci parla di tolleranza, di rispetto, occorre non diventare mai fanatici, cercare di capire gli altri... dall'altra la capacità di compiere scelte radicali. Il cristiano è uno che sceglie il bene per il bene, nella più totale gratuità, senza aspettarsi nulla. Il cristiano è uno che ha lasciato dietro di sé - o cerca di farlo - tutto quello che sa di morte, tutto quello che sciupa la vita, che umilia l'uomo. Il cristiano è uno che si mette alla ricerca del bene, non si ferma mai, non torna indietro... qualche volta riesce, qualche volta no, ma continua a camminare senza stancarsi: ecco quello a cui Gesù ci invita... da una parte alla tolleranza, dall'altra parte a credere totalmente a fare scelte radicali nella nostra vita. Non ci riusciamo spesso (direi quasi mai) ma è quello a cui Gesù ci chiama ogni volta che ascoltiamo la sua voce.
Il Signore ci aiuti.
In quel tempo, il Signore designò XIV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 7 Luglio 2019
altri settantadue discepoli e li inviò… Luca10,1-12. 17-20
Se ho capito qualcosa, il problema che la comunità di Luca pone in questa pagina del Vangelo, dopo quasi duemila anni non è stato ancora risolto.
Questa pagina si trova solo nel Vangelo di Luca, è opera di questa comunità. Se qualcuno di voi conosce un po' bene i Vangeli, dice: "Ma come, queste parole stanno anche negli altri Vangeli". Sì, ma nel Vangelo di Luca ci sono due volte, un doppione. La prima volta riguarda i dodici discepoli che vengono mandati... quasi le stesse parole, ma Luca dice: "No, non solo dodici, altri settantadue". Settantadue è un multiplo di dodici, potrebbe significare quasi tutti.
La comunità di Luca sembra dire: "Non è giusto che il potere nella Chiesa sia riservato soltanto a qualcuno, bisogna che venga partecipato da tutti". Sono duemila anni che il potere nella Chiesa è riservato a maschi celibi, i quali hanno ogni potere nella Chiesa, agli altri nulla. È così anche oggi, perché? È la tradizione! Ma è giusta questa tradizione? E se il Vangelo di Luca avesse ragione!? E se occorresse urgentemente fare qualche cosa?
Vedete - sono passati più di trent'anni... domandavo ad un mio amico che era parroco nella periferia di Rio de Janeiro, tra la gente più povera di questo mondo: "Ma - secondo te - è necessario che siano ordinati preti anche uomini sposati!". Mi ha risposto senza pensarci un attimo: "Non domattina, stasera e noi abbiamo persone già pronte!". Sono passati più di trent'anni e non è successo niente e credo che ne dovranno passare ancora molti!
Non ci si accorge che anche Ostia si va riempiendo di preti che vengono da lontano, da culture profondamente diverse che mal si conciliano alla nostra. Spesso fanno fatica ad integrarsi, a capire, ci vogliono anni per integrarsi in una cultura diversa dalla propria.
E poi, le donne... perché le donne no? Nella mia vita di parroco, ho avuto la fortuna di conoscere tante donne straordinarie. Sono convinto che avrebbero fatto il parroco molto meglio di me. (a dir la verità non ci vuole molto). Ho conosciuto persone straordinarie, perché non potevano stare loro al posto mio? E perché non c'era nella comunità cristiana una molteplicità di compiti, di impegni stabili, regolarizzati da parte dell'autorità della Chiesa... perché solo il prete, il parroco ha il potere su tutto nella parrocchia e così il vescovo e così il Papa? È giusto che sia così?
Se ho capito qualcosa il Vangelo di Luca dice: "Non è giusto! Non solo i dodici, altri settantadue. C'è spazio per tanta gente, fate spazio!". Son passati duemila anni e forse ne passeranno altri duemila… ma a volte nella Chiesa le cose cambiano molto in fretta come ho visto nella mia vita, pensate al latino nella liturgia.
C'è un rovescio della medaglia, che forse vi riguarda di più, un rovescio fondamentale. Luca ci dice: È compito di tutti testimoniare l'Evangelo di Dio. Non può essere delegato a qualcuno, ciascuno di noi è mandato nel mondo, come "agnelli in mezzo ai lupi" senza potere, senza spada, senza bastone.
Testimoni di Gesù, per portare la sua pace. In qualunque casa entriate dite: "Pace a questa casa". Ecco il compito nostro è di essere testimoni di pace: pace che è fatta di rispetto, di attenzione all'altro, di vita condivisa... non solo, siamo anche mandati a guarire i malati. Qualcuno può dire: "Guarire i malati è compito dei medici"… Ci sono tante malattie, malattie del cuore, della mente che non curano i medici. Il male del mondo può essere curato da tutti noi facendo quello che possiamo perché i giovani vivano una vita più serena, perché ci sia meno male intorno a noi, perché ci sia meno intolleranza, meno arroganza, meno violenza anche nelle parole, in questo nostro tempo che è caratterizzato da una violenza verbale sconcertante.
Curare il male è compito di tutti noi, testimoniare i valori di Gesù è compito di ciascuno di noi: è quello che il Signore ci chiede mandando anche noi in giro per il mondo e quando torniamo (lo avete ascoltato sono parole - secondo me - importantissime)… i discepoli si rallegrano (non so che hanno fatto: sottomettono i demoni) Gesù dice: "Non rallegratevi perché avete avuto successo, rallegratevi perché il vostro nome è scritto in cielo".
Non è il successo il criterio della vita - secondo Gesù - il criterio è l'onestà del cuore. Ho fatto quello che ho potuto, ho fatto poco, qualcuno aveva molte più capacità di me; ha fatto cose straordinarie - non importa niente - non conta quanto sei riuscito a fare nella vita, ma quanto amore sei riuscito a mettere nelle cose della tua esistenza.
C'è chi ha fatto grandi cose, chi ha compiuto imprese mirabili, chi ha inventato cose straordinarie per la vita del mondo... molti di noi hanno fatto poco: un sorriso, una carezza, un gesto di tenerezza, un piatto di pastasciutta ben preparato: questo conta agli occhi di Dio.
Più di quelli che hanno conquistato il mondo, più di quelli che hanno convertito continenti, forse quelli si sono pure sbagliati, se fate un buon piatto di minestra, non vi sbagliate. Quello che conta non è il successo - secondo Gesù - quello che conta è fare quello che possiamo con cuore sincero perché il nostro nome sia scritto in cielo.
Ecco il compito che Gesù dà a ciascuno di noi, non solo a me, io potrei essere sostituito da più d'uno di voi. Il compito che Gesù dà a tutti noi è quello di essere testimoni di Lui, della sua pace, di curare il mondo, di curarlo con attenzione, con coraggio, con amore.
Il Signore ci aiuti.
"Chi di questi tre ti sembra sia XV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 14 Luglio 2019
stato prossimo per colui che è Luca 10,25-37
caduto nelle mani dei briganti?"
A mio avviso, quella che abbiamo appena letto è forse la più chiara delle pagine del Vangelo, forse anche la più impegnativa.
Questo mi permette di fare qualche considerazione un po' estemporanea - non ci sarebbe da aggiungere nulla a quello che abbiamo letto - e di avventurarmi un po' nel contemporaneo, cosa sempre pericolosa!
Questo significa che ciascuno di voi può ascoltare con attenzione e con pazienza e poi se non è d'accordo non c'è problema; conviene riflettere sempre, ma è possibile e in qualche caso doveroso non essere d'accordo.
Vedete - il cuore di questa parabola sta nelle due domande che fanno, da una parte il maestro della legge e dall'altra Gesù. Il maestro della legge domanda: "Chi è il mio prossimo?". Gesù dice: "Chi è stato prossimo per lui?". Non so se notate la radicale differenza! Da una parte io e chi è prossimo a me: mio fratello, i miei parenti, quelli della mia nazione, quelli che la pensano come me, i cristiani come me.
Dall'altra parte la domanda di Gesù: "Chi è stato prossimo per lui?!". Indipendentemente da tutto: il samaritano è un pagano, appartiene ad un'altra etnia, a un'altra religione.
Chi è stato prossimo per lui, non chi è il mio prossimo! Questa frase dovrebbe risuonare in ogni chiesa ogni giorno, specialmente in questo tempo in cui sentiamo ripetere, come uno slogan: "Prima i nostri, prima gli italiani, prima i polacchi". "No - dice Gesù - prima chi soffre!".
Perché nella Chiesa di Dio e soprattutto nelle regioni in cui più si frequenta la Messa, (pensate in Italia al Veneto, alla cattolicissima Polonia) proprio in quelle regioni c'è la maggioranza degli intolleranti, di quelli che ripetono: "Prima noi, prima gli italiani, prima i polacchi…"? Che Vangelo leggono?
Probabilmente non leggono il Vangelo. Gli ripetono il catechismo o, forse ancora più che il catechismo, la devozione dei santi, il richiedere la protezione del Signore, l'intercessione, la raccomandazione presso Dio, oppure una liturgia che è diventata un rito vuoto, che serve soltanto a sentirsi giusti: sono andato a Messa, sono buono e posso anche criticare il Papa...
Una cosa scandalosa per me di questo tempo è che nella Chiesa ci sia una polemica forte contro questo Papa. Criticare il Papa c'è sempre stato fin dal tempo dell'apostolo Pietro. Se leggete san Paolo, litiga seriamente con Pietro. Questa volta si critica il Papa perché predica il Vangelo! È una cosa veramente scandalosa e non sono pochi nella Chiesa di Dio!
Perché? Che succede... che succede alla nostra fede? Perché il Vangelo non è il cuore della vita cristiana su tutta la terra? È una domanda imbarazzante!
Vorrei aggiungere una seconda considerazione che ritengo importante. Avrete notato che in questa pagina del Vangelo Gesù dice due volte parlando del samaritano: "Si prese cura di lui, lo fasciò con l'olio, curò le ferite e poi lo portò all'albergo e disse all'oste: prenditi cura di lui".
Credo che quello che è mancato nel nostro paese, in cui sono state accolte non poche persone, sia proprio il "prendersi cura" di queste persone. Non abbiamo offerto loro un'alternativa seria al non far niente, al bighellonare sfaccendati sulle piazze del nostro paese.
È possibile che si offra a qualcuno un letto, un piatto di minestra senza chiedergli niente in cambio? Significa non educare le persone! Se ti accolgo, se ti offro da mangiare, da dormire, ti chiedo qualche cosa: di coltivare un campo, di prenderti cura del benessere di una città, eccetera.
E mi prendo cura di te, cerco di integrarti nell'ambiente in cui ti sei venuto a trovare, di fare un po' di mediazione culturale, perchè spesso chi arriva ha una cultura profondamente diversa dalla nostra deve imparare ad osservare le nostre regole, le nostre leggi; leggi a volte molto più giuste di quelle da dove loro vengono. È il prendersi cura che è fondamentale in questa parabola.
L'ultima considerazione... dimenticatevi dei grandi problemi dell'emigrazione, questa parabola ci riguarda tutti, perché la persona in difficoltà la troviamo qualche volta nelle nostre case, qualche volta in chi abita al piano di sopra, in qualche amico, al piano di sotto magari abita una persona anziana sola che ha bisogno di una parola di conforto, di qualcuno che gli vada a fare un po' di spesa, che bussi alla porta e gli chieda: "Come stai?". Ho sentito più volte delle persone anziane lamentarsi di questo: "Nessuno bussa e chiede: come stai?". Nello stesso palazzo.
Siamo in una società in cui spesso non ci si preoccupa del nostro prossimo. Ciascuno vive la propria vita. Ciascuno si preoccupa dei "suoi". Allora questa parabola non riguarda soltanto i grandi problemi che travagliano non soltanto il nostro paese, ma tutta la terra in questo tempo difficile, ma è una parabola che riguarda ciascuno di noi, perché ciascuno di noi può incontrare nella sua strada il bisognoso e senza guardare se è dei nostri o non dei nostri, se è bianco o se è nero, se è credente o non credente, se è giovane o se è vecchio... quello che conta è che è un uomo ferito, ferito magari nel cuore, ferito dall'età, ferito nei suoi bisogni... a lui tendo - come posso - la mano. Semplice a dire, vero? Molto più difficile a fare!
Il Signore ci aiuti.
"Maria ha scelto la parte XVI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 21 Luglio 2019
migliore che non le sarà tolta" Luca 10,38-42
Il Vangelo di Luca è veramente straordinario e più volte cerca di colpirci mettendo delle pagine in contraddizione, almeno apparente, l'una con l'altra.
È successo in queste due domeniche... ricordate domenica scorsa leggevamo la parabola del buon samaritano, tutta impostata sul servizio, sul prendersi cura dell'altro, sul fare qualcosa per l'altro.
Oggi sembra il contrario. Marta si affanna a servire, va dà Gesù a lamentarsi: "Dì a mia sorella che venga ad aiutarmi". E Gesù sembra dire: "No, quello che conta è quello che fa Maria". Allora, il servizio non vale niente? Assolutamente no! Il servizio rimane sempre fondamentale. Se volete sorridere quando si legge questa pagina del Vangelo, insieme con qualcuno, c'è sempre qualche signora che dice: "Sì, potete dire quello che vi pare, ma le chiacchiere stanno a zero, se non c'è Marta nun se magna!". Effettivamente se non c'è Marta non si mangia!
Ma allora cosa aggiunge la parola di oggi? Qualche cosa di fondamentale! Prima di fare qualche cosa per qualcuno bisogna "essere" con qualcuno. Bisogna essere capaci di ascoltare, di condividere, di immedesimarsi in lui, di tentare di capire chi è, di cosa ha veramente bisogno, che cosa pensa, che cosa vuole, che cosa giova per lui e questo si può ottenere soltanto con l'ascolto attento, con la pazienza, con il cercare di guardarsi negli occhi.
C'è una frase della Scrittura, dell'Antico e del Nuovo Testamento, che tutti conoscete che, secondo me, è profondamente equivoca: "Ama il prossimo tuo come te stesso". Ma se il prossimo non vuol essere amato come io amo me? Cosa significa amare questa persona concreta come io amo me? Lui probabilmente è completamente diverso. Lui pensa in altro modo. Lui vive in altro modo. Lui ha bisogno di cose di cui io non ho bisogno... per capire posso solo ascoltare, cercare di immedesimarmi in lui.
Vedete - per spiegarmi meglio - qualche tempo fa mi capitava di parlare con uno psicologo il quale diceva: "Vengono da me ogni tanto dei papà, sono - magari - dei negozianti, i quali lavorano tutto il giorno, hanno qualche difficoltà con il loro figliolo e mi dicono: "Io per mio figlio faccio tutto, lavoro dalla mattina alla sera, qualche volta non ci dormo, gli ho dato tutto quello che potevo, non gli ho fatto mai mancare nulla". E lo psicologo dice: "Ma ti sei seduto qualche volta ad ascoltarlo, a cercare di capire cosa gli succedeva, a vedere come cresceva?". E si sente rispondere: "Ma io ho fatto tutto per lui, lavoro dalla mattina alla sera". E diceva: "Dopo un po' devo rinunciare perché non riesco a fargli entrare in testa che prima di "fare per" bisogna "essere con" bisogna ascoltare, occorre capire".
Quello che vale nei rapporti interpersonali vale anche nel rapporto con la società che ci sta intorno. Oggi siamo abituati a delle notizie che si susseguono incessanti, che colpiscono, ma poche volte siamo invitati a "sedere", a cercare di capire, a fare i conti con i numeri.
Se volete divertirvi provate a fare una piccola ricerca. Quanti immigrati ci sono in Italia, quanti in Francia, quanti in Germania... provate a domandarvi o a domandare: i delitti in questo paese, negli ultimi anni, sono cresciuti, diminuiti e di quanto? e vedrete che la gente ha idee completamente diverse dalla realtà.
Perché quasi mai si fermano a pensare, a leggere un po' più in profondità, a cercare di capire questa società in cui viviamo. Nel mondo la povertà aumenta o diminuisce e di quanto? In Italia i boschi aumentano o diminuiscono e di quanto? Provate a fare queste domande! E se conoscete le risposte avrete risposte completamente assurde che non hanno niente a che fare con i numeri, con la realtà.
Ecco, anche qui, se vogliamo fare qualche cosa per il nostro paese, per la nostra società, se non altro, se vogliamo parlare correttamente con chi ci sta intorno dobbiamo "sederci" e informarci e cercare di capire e ascoltare, ma ascoltare quelli seri, quelli che parlano per numeri e non quelli che ti propongono l'ultimo fatto terribile che è accaduto... quelli ti sconvolgono la mente e nient'altro!
Ma la parte fondamentale di questa pagina del Vangelo non è quello che ho detto finora. Qui, Maria è per noi il modello, perché si siede ai piedi di Gesù; si siede di fronte al Maestro e ascolta, cerca di far proprie le sue Parole, le sue idee, i sogni del suo cuore, cerca di fare propria la luce di Gesù: questo è fondamentale per la vita cristiana.
L'essenza dell'essere cristiani e proprio questo: ascoltare Gesù, cercare di far nostri i suoi valori, quello che Lui pensa, quello che Lui ha fatto e - vedete - noi ogni domenica ci sediamo intorno al Libro: qui c'è la Parola di Gesù, qui possiamo ascoltare Lui!
Badate bene - ascoltare Lui, non ascoltare me! Io qualche volta dico delle sciocchezze, qualche volta me ne accorgo, qualche volta no, dovete accorgervene voi, dovete far vostra la Parola di Gesù, cercare di entrarci dentro: cosa significa per la mia vita...?
L'essenza della vita cristiana è proprio questo: nutrirsi di Gesù, della sua Parola, dei suoi valori, far propria la sua luce... soltanto allora saremo capaci di essere del mondo autentici servitori. Avremo capito i valori più veri, più profondi e saremo stati capaci di ascoltare veramente l'altro, ascoltarlo nel profondo... allora potremo fare il bene.
Il Signore ci aiuti.
"Quanto più il Padre vostro XVII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 28 Luglio 2019
del cielo darà lo Spirito Santo Luca 11,1-13
a quelli che glielo chiedono"
Ancora una volta, se ricordate l'ha già fatto domenica scorsa, il Vangelo di Luca, ci sconcerta, ci sorprende, vuole parlarci della preghiera, ma lo fa - almeno per noi - in una maniera assolutamente sconcertante.
Avete ascoltato il finale che abbiamo letto: "Chi di voi se un figlio gli chiede un pesce gli darà un serpente? O se gli chiede un uovo gli darà uno scorpione? Se dunque voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono?". Lo Spirito Santo? E che è? E chi lo ha mai chiesto?
Ci darai lo Spirito, ma allora forse non abbiamo capito niente della preghiera! Noi ci aspettiamo che tu ci guarisca quando siamo malati, che ci dia una mano quando siamo in difficoltà per qualche problema economico, che metta un po' di pace su questa terra: questo ci aspettiamo da te! E tu ci dai lo Spirito Santo, anzi ci inviti a chiedere, a cercare, a inseguire lo Spirito Santo... e se la preghiera fosse tutta un'altra cosa? Se la preghiera fosse ricerca di senso, ricerca della luce: questo è lo Spirito! Il fuoco che riscalda dentro, la capacità di cercare la giustizia, i valori autentici, la realtà profonda del mondo, quello che giova alla bellezza e alla bontà su questa terra... se la preghiera fosse questo!?
Vedete, anche al tempo di Luca, come succede ai nostri giorni, c'erano molti templi, molti sacerdoti e si moltiplicavano le preghiere, le offerte e sembrava essere un po' come dice il brano che abbiamo letto prima: Se uno è a letto e viene un amico e bussa per chiedere un pane dice: "Sono a letto con i bambini, non posso alzarmi". Si alzerà per la sua insistenza. Sembrerebbe questa la preghiera che c'è su tutta la terra. Si insiste, si prega, si fanno novene, si moltiplicano lo orazioni e se non è sufficiente ci si flagella, si fanno digiuni, si fanno voti, si fanno processioni... si fa tutto per cercare di muovere Dio dalla nostra parte!
E se fosse il contrario? Se non fossimo noi quelli che abbiamo bisogno di Dio, ma Dio ha bisogno di noi? Dio ha bisogno di ciascuno di noi perché la vita sia per tutti ricca di senso, di luce, di bellezza, di giustizia, di tenerezza, di valori: ecco lo Spirito!
Ecco quello che il Signore ci dà. Ecco quello che - secondo il Vangelo - noi dobbiamo senza stancarci inseguire, cercare. La preghiera è una ricerca più che una domanda: è ricerca di quello che fa la vita giusta e bella, quello che ci fa sentire insieme, fratelli: una ricerca incessante.
Questo è confermato dalla preghiera che Gesù insegna ai suoi. La preghiera che ripetiamo ogni domenica, (molti di noi ogni giorno) oggi l'avete ascoltata nel Vangelo di Luca un po' diversa da quella del Vangelo di Matteo. Noi siamo abituati a pregare come è scritto nel Vangelo di Matteo.
Avete ascoltato, Luca è più semplice: "Padre" non aggiunge "che sei nei cieli" forse perché per lui i cieli sono troppo lontani, dobbiamo sentirlo vicino, il Padre. Dobbiamo sentire la sua tenerezza, la sua vicinanza. Dobbiamo sentire la sua chiamata, il suo desiderio che la nostra vita sia vera. Dobbiamo sentire un Padre che ci viene incontro, ci sollecita, ci spinge alla bellezza e alla pienezza del nostro vivere.
"Sia santificato il tuo nome". Che tu sia Dio, che tutti ti riconoscano come Dio, il Dio di cui parla il Vangelo: il Dio della tenerezza, della misericordia, il Dio che dimentica il peccato, non il Dio di cui si sente spesso parlare: il Dio che punisce, minaccia castighi, il Dio dell'Inferno.
Per Luca Dio è un'altra cosa, diciamo - per Gesù - Dio è un'altra cosa! Lui è venuto a mostrarci il volto di Dio e questo volto noi siamo invitati a cercare...".
"Venga il tuo Regno": il Regno di Dio lo ha manifestato Gesù, sono i suoi valori, la pienezza della vita di Gesù nel nostro vivere quotidiano.
Poi: "Padre dacci... vedete c'è dacci, non dammi il pane quotidiano". Non ci dimentichiamo, pensando ai valori, che l'uomo prima di tutto ha bisogno di pane, di mangiare, ha bisogno di cultura, di libertà, di giustizia, non soltanto per me, ma per tutti!
La mia preghiera è ricerca di quello che si può fare perché il mondo sia più giusto, perché ci sia pane per tutti
E poi la riconciliazione... noi siamo povera gente, non possiamo vivere insieme senza il desiderio di riconciliarci sempre... qualche volta sbagliamo, qualche volta ci offendiamo, ma Dio ci invita sempre a riprendere la strada: "Rimetti a noi, come noi rimettiamo ai nostri debitori...".
E poi: "Non abbandonarci alla tentazione" - hanno cambiato un po' la traduzione - fa che non cadiamo nella prova, perché il mondo è complicato, perché anche noi - a volte - siamo tentati di dire: "Ma chi me lo fa fare, chi se ne importa...!" Anche noi siamo tentati di fare il male, di offendere qualcuno, oppure qualche volta per noi diventa difficile sopportare la malattia, la divisione... fa che non ci lasciamo sopraffare dalla prova, dalla tentazione, che possiamo sempre riprendere la strada, cercare quello che è bene per la nostra vita: ecco - secondo il Vangelo - il senso della preghiera.
Vedete, non vorrei che ci sconcertassimo. Tutti noi siamo come bambini. Il bambino quando ha bisogno chiama la mamma e quando è proprio piccolo strilla perchè vuole il latte, solo il latte e nient'altro.
Anche noi siamo così, anche noi qualche volta chiediamo al Padre: "Aiutaci, dacci una mano". Ma la preghiera è anche e forse - secondo il Vangelo - soprattutto un'altra cosa: è ricerca di Dio, dei suoi valori, è ricerca che la realtà di Gesù diventi viva e concreta nella nostra vita, è ricerca del suo Regno.
Il Signore ci aiuti.
Quando sei invitato da qualcuno XXII DOMENICA del TEMPO ORINARIO - 1 Settembre 2019
non metterti al primo posto… Luca, 14,1.7-14
Ancora una volta una pagina del Vangelo di Luca strana e provocatoria, ma ormai penso che siate tutti abituati, Luca è così, vuole invitarci a interpretare, a pensare, a cercare di capire qual è il messaggio.
Dicevo una pagina provocatoria, avete ascoltato la prima parabola: "Quando sei invitato mettiti all'ultimo posto, così viene il padrone e ti dice: vieni più avanti". Sembra l'esaltazione dell'ipocrisia, avete mai conosciuto qualcuno di quelli che si mettono all'ultimo posto? Penso che li abbiate fuggiti come la peste. C'è chi dice: "Non sono capace, mi metto all'ultimo posto, non voglio prendermi responsabilità, io non sono nessuno…" sembrerebbe questo il messaggio della parabola. Assolutamente no, questo non è il messaggio del Vangelo.
Il Vangelo ci invita a trafficare tutti i nostri talenti, a mettere in gioco tutte le nostre capacità per affermare la nostra vita. Quando eravamo ragazzi uno degli slogan dell'Azione Cattolica era: "Primi in tutto per onore di Cristo Re". Ciascuno di noi doveva cercare di essere il primo… un insegnante deve cercare di essere il migliore degli insegnanti, così vale per un ingegnere che lavora in una fabbrica, così per lo spazzino che pulisce le strade, così per un pittore, così per chiunque.
Ciascuno di noi deve cercare di mettere in gioco tutte le proprie capacità per arrivare primo, ma per servire, per mettere le proprie capacità a disposizione del prossimo, per aiutare il mondo ad essere migliore.
Con chi ce l'ha allora questa parabola? Ce l'ha con il carrierismo, con chi vuole arrivare prima per dominare gli altri, con chi pretende di essere l'unico, con chi cerca solo il potere, con chi vuole governare, dominare il mondo… ne abbiamo avuti esempi e ne abbiamo ancora purtroppo sulla terra.
La seconda parte della pagina che abbiamo letto è ancora più provocatoria: "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini… invita poveri, storpi, zoppi, ciechi e sarai beato perché non hanno da ricambiarti". L'avete mai fatto? Penso di no, è una cosa impossibile quella che ci chiede il Vangelo. Ma si tratta di una provocazione un invito a non pensare soltanto ai propri parenti, a se stesso, alle proprie amicizie… il mondo è grande e ci sono tanti bisogni sulla terra e secondo Gesù ogni persona che incontri è tuo fratello.
È un messaggio importante in questo tempo in cui troppe volte anche tra i cattolici si dice: "Prima noi, dobbiamo pensare a noi, ai nostri fratelli, ai nostri amici, ai nostri compaesani".
C'è tanta gente disperata nel mondo… sono uomini come noi, dovremmo sentirli fratelli. Capisco, perché non sono del tutto sciocco, che i problemi che ci si presentano sono drammatici: c'è troppa gente disperata sulla terra, perché la terra si è fatta piccola e fra l'altro la stiamo sciupando e quindi risolvere gli enormi problemi che ci si presentano è quasi impossibile, ma certo non si risolvono dicendo: prima noi, devo pensare ai miei, devo pensare ai miei parenti, ai miei amici, degli altri non mi importa niente.
Questa parabola è un invito alla gratuità: "Dona senza aspettarti il contraccambio" e questo non vale soltanto per i grandi problemi del mondo… qualcuno che ha bisogno di noi e che non può ricambiarci lo potete trovare al piano di sotto, lo potete trovare in un amico, in un parente che è in difficoltà, che ormai non è più capace di darvi niente, che potete aiutare solo perché vivete la gratuita, il dono di voi stessi. A questo ci invita il Signore ad essere gratuiti, a dare senza aspettarci il contraccambio.
Un'ultima piccola annotazione: purtroppo il Vangelo (Non so cosa ha detto Gesù, forse se lo sono scordato) non è arrivato a dirci che dobbiamo fare il bene senza aspettarci nessuna ricompensa. Avete ascoltato come si conclude la parabola: "Sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti". No! Il bene si fa perché è bene non per avere ricompense, allora soltanto conosceremo la vera gratuità. Allora soltanto saremo come Dio, che ci ha amato senza aspettarsi niente in cambio da noi, ci ha donato l'esistenza per pura gratuità… così dovremmo tentare di essere anche noi, un'impresa quasi impossibile lo sapete, ma questo è il sogno del Vangelo al quale questa pagina di Luca ci chiama.
Il Signore ci aiuti.
"Se uno viene a me e non XXIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 8 Settembre 2019
mi ama più di quanto ami Luca 14,25-33
suo padre, la madre…"
Le parole che abbiamo ascoltato sembrano incredibili e quasi assurde. Lo sembrerebbero ancora di più se pensiamo che chi ha tradotto ha addolcito il linguaggio di Luca. Lui parla addirittura di odio: "Se uno non odia il padre, la madre, la sua stessa vita non può essere mio discepolo". Sapete, il linguaggio di Luca è paradossale, ma queste parole rimangono sempre per noi incomprensibili.
Eppure per molte persone, nella storia dell'uomo fino ai nostri giorni, sono state drammaticamente reali. Vorrei, per questo, invitarvi stamattina a far memoria, a ricordare, a onorare e - anche in qualche modo - a ringraziare il Signore perché a noi non capitano situazioni così drammatiche.
Vorrei cominciare raccontandovi un piccolo fatto della mia vita. Era il 1944, i primi mesi, vivevo in uno stabile in cui c'erano degli ebrei nascosti. Mio papà era il portinaio. Una notte sono venuti quelli delle S.S. a bussare al portone e lui si è rifiutato di aprire, ma la mattina dopo doveva andare a fare la spesa, io dovevo andare a scuola... ha messo in pericolo la sua vita, la mia vita e se sono qui è perché per me è andata bene.
Mio padre non era un eroe, non era una persona straordinaria, era un uomo che veniva dal mondo contadino per cui l'ospitalità è sacra. Credo che senza pensarci nemmeno, certamente senza pensare a questa pagina del Vangelo, lui sapeva nel profondo del suo cuore che prima della sua vita e della sua famiglia veniva la giustizia.
Prima della sua vita, della sua famiglia veniva Dio, l'obbedienza alla volontà di Dio, veniva l'uomo, il rispetto per l'uomo, non si poteva permettere che un innocente fosse ucciso.
A noi è andata bene, ma a quanta gente non è andata così! In quel tempo nelle nostre campagne, nelle nostre città molti hanno difeso persone innocenti, hanno nascosto ebrei, fuggiaschi... a molti è andata male, interi paesi sono stati sterminati: queste parole per loro erano realmente drammatiche, le hanno vissute.
Non soltanto durante la guerra, ma se pensate poi in questi lunghi anni quante persone: magistrati, giudici, operai, sindacalisti hanno perso la vita perché hanno preferito la giustizia, il rispetto dell'uomo alla propria stessa vita. Di tutti questi vi invito a far memoria e a onorare la loro presenza in mezzo a noi.
C'è anche il drammatico rovescio della medaglia se vogliamo capire queste parole. Molti criminali sia nazisti, sia italiani (non dimentichiamo, ne abbiamo molti anche italiani: la guerra in Etiopia è stato qualche cosa di tragico e di tremendo) si difendevano dicendo: "Ubbidivo agli ordini, se non avessi ubbidito mi avrebbero fucilato". Prima degli ordini, prima della propria vita, per chi crede, c'è Dio, c'è la giustizia, per chi non crede, c'è il rispetto dell'uomo, c'è l'impossibilità di uccidere un innocente.
Volevo anche invitarvi a fare un ringraziamento perché a noi questo non capita e speriamo che non capiti ancora. Ricordate e ricordatelo anche a chi vi sta intorno: sono più di settant'anni che in questo paese non c'è la guerra, che non dobbiamo fare gesti drammatici, che mettono in pericolo la nostra vita, per salvare qualcuno. Ricordiamolo ora in cui tanta gente si lamenta e parla male del tempo in cui viviamo e provoca odio e rancore, fino a vedere gesti incredibili... un uomo che prende a calci un bambino di tre anni: siamo arrivati a questo per paura, per rancore e non ci ricordiamo di quello che i nostri padri hanno vissuto.
Io ero un bambino piccolo, ma mio padre no e tanta gente come lui ha vissuto il dramma della guerra ed era altro di quello che succede oggi! Erano cose terribili che mettevano in gioco la vita di chiunque credesse nella giustizia e nel bene.
Dopo aver fatto memoria e onorato e ringraziato non possiamo dimenticare che queste parole non riguardano solo momenti drammatici della vita dell'uomo, ma anche la vita di tutti i giorni. Tutti i giorni siamo invitati a preferire gli altri, il bene a noi stessi: alle volte non facciamo del bene soltanto perché non ci fa comodo.
Queste parole ci invitano a prendere su le nostre responsabilità che qualche volta sono pesanti. Il Vangelo non ci invita ad amare la sofferenza, il dolore... sarebbe una follia, ma ci invita a prendere sul serio il nostro ruolo sulla terra, qualunque esso sia, anche quando costa, anche quando si fa fatica a vivere la propria responsabilità.
Così il Vangelo di oggi ci invita a non basare la nostra vita sui soldi. Alle volte, magari senza accorgercene diamo troppa importanza al denaro. Ho visto fratelli litigare, con odi che durano mesi, anni, per una piccola eredità, per qualche piccola cosa. Prima del denaro c'è la vita, prima del denaro ci sono gli affetti, prima del denaro ci sono gli altri: tutto questo e forse anche altro ci dice il Vangelo di oggi.
Il Signore ci aiuti.
"Chi di voi se ha cento XXIV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 15 Settembre 2019
pecore e ne perde una…" Luca 15,1-32
Questa pagina del Vangelo (forse qualcuno lo ricorda) l'abbiamo già letta e commentata in tempo di Quaresima, permettetemi quindi di non ripetere, ma di condividere con voi qualche riflessione su una delle parole che ritengo più equivoche nel linguaggio cristiano: la parola "perdono".
Cominciamo prima a notare qualche cosa di quello che abbiamo letto. Abbiamo tre parabole in cui qualche cosa si perde e si ritrova e il figlio che se ne va torna a casa. Se usciamo dalla parabola... (sapete che il Vangelo ama le parabole, sono simboli) se qualcuno diventa un delinquente, può tornare ad essere capace di amare, di voler bene, di condividere la vita. In tutte e tre le parabole si ritorna all'inizio, si ritorna alla capacità di amare.
La seconda cosa che notate in queste tre parabole è che c'è sempre la pienezza della gioia. Pieno di gioia il pastore si mette la pecora sulle spalle. La donna è tutta contenta perché ha trovato la moneta. Il padre addirittura prepara un grande banchetto per il figlio che è tornato: "Si fa più festa in cielo per un solo peccatore che si converte…". Un grande clima di gioia!
Per noi, come stanno le cose? Qual è stata la nostra educazione?
Vedete - la maggior parte di noi è stata educata al tema del perdono attraverso la Confessione. Ricordate...? Adesso ci si confessa più poco, ma un tempo... quando eravamo bambini andavamo, dicevamo i nostri peccati (sempre gli stessi) il prete ci diceva: "Io ti assolvo dai tuoi peccati..." uscivamo e ricominciavamo come prima: non cambiava niente nella nostra vita... non si tornava, non ci si convertiva: sembrava soltanto che il Signore avesse detto: "Va beh, fa niente, ricominciamo da capo!".
Ho passato migliaia di ore in confessionale e ho ripetuto tante volte: "Io ti assolvo dai tuoi peccati nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". Credo che ve lo siete sentito ripetere varie volte!
Poi mi sono accorto che queste parole che ho ripetuto tante volte non significano quasi niente. Immaginate che (è successo varie volte) sia venuta una persona: un marito o una moglie che dice: "Ho litigato con mia moglie, con mio marito". "Dì tre Ave Marie. Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo".
Due son le cose... o quello ha fatto già pace con la moglie e allora le mie parole sono inutili, o quello non ha fatto pace e le mie parole non significano niente perché, finché non fa pace,non ritorna indietro, non si realizza il perdono.
Sembra una battuta quello che dico, ma - vedete - qualcuno ha detto (secondo me non del tutto a torto) che la Confessione è stata una raffinatissima educazione all'ipocrisia e forse anche peggio… "Non pago le tasse, tanto poi vado in chiesa e mi confesso. Faccio qualcosa che non è giusto... poi mi confesso". Anche i mafiosi si confessano. Eh no, non basta! Bisogna convertirsi, bisogna cambiare, bisogna ritornare ad essere capaci di amare! Bisogna superare il male che si è fatto.
La seconda cosa che vi facevo notare è che qui quando si parla di peccato si parla sempre di gioia, di festa. Noi siamo stati educati a tutto il contrario. Quando ci capitava di fare qualche peccato avevamo paura della punizione di Dio. Una delle frasi (ve l'ho detto tante volte) che più mi son sentito ripetere in questi anni è: "Padre, che male ho fatto perché mi capiti questo?!".
Ho trovato delle mamme che avevano paura di essere punite nei figli per dei peccati che avevano fatto. Si può pensare ad un Dio così? È una cosa assurda! Non solo, ma ci dicevano che se avevamo delle sofferenze e se facevamo dei sacrifici era in sconto dei nostri peccati. Lo hanno detto pure a voi come lo hanno detto a me, vero? "Sopporta a sconto dei tuoi peccati!". Quasi che i peccati si scontassero soffrendo. No, il peccato non si sconta soffrendo, si sconta amando. Il peccato si sconta facendo del bene.
A Dio dispiace se noi soffriamo. Lui vuole, desidera che noi torniamo a "casa", che sulle spalle di Gesù come la pecora che s'è perduta, torniamo a fare il bene: questo interessa al Padre.
Un'ultima considerazione sulla frase che siamo abituati a dirci qualche volta: "Io ti perdono". Avete mai riflettuto su questa frase? Cosa significa?: faccio finta di niente, non ci penso più come se niente fosse accaduto. Ma si è realizzato il perdono? Se non siamo ritornati indietro, se non abbiamo fatto pace quella frase non significa niente. Non solo, ma quella frase può diventare drammatica.
Vedete - uno dei delitti che non riesce a diminuire in questo paese, diminuiscono quasi tutti meno il femminicidio. Ci sono troppe volte delle persone che credono di amare, che uccidono una donna (più raramente succede il contrario) e che cosa succede... che queste donne molto spesso hanno sopportato di tutto dicendo: "Ma io gli voglio bene, io gli perdono". Non ha senso dire: "Ti perdono". È un'istigazione a delinquere, a continuare a fare il male. Il perdono si realizza soltanto quando si fa veramente pace.
Quando ero giovane (tanto tempo fa) ascoltai con grande sorpresa (a quel tempo capivo poco) uno psicologo che diceva che nel rapporto di amore o di amicizia non bisogna sopportare niente! Come sopportare niente, come facciamo a vivere se non si sopporta qualche cosa, tutti abbiamo dei difetti? Sì, tutti siamo diversi, abbiamo dei difetti, a volte sbagliamo, dobbiamo accettarci, dobbiamo capirci, ma non sopportarci senza capire.
Quando si sopporta senza capire, senza spiegarsi, senza mettersi in condizione di accoglierci così come siamo... si creano nel rapporto delle grandi "macchie nere" che pian piano ci allontanano, ci rendono incapaci di condividere la vita.
Quindi - non è sopportare, il perdono. Il perdono è riconciliarci. Il perdono è essere capaci di far "festa". Voi tutti, penso, avete fatto esperienza che, magari dopo un po' di tempo che siamo stati con il muso lungo, che abbiamo litigato, riusciamo a far pace e ci viene voglia di far festa, magari una cena fuori, andiamo a fare un po' di festa.
È bello riconciliarci, non è bello sopportare. Non è giusto dire: "Ti perdono" se a questo non corrisponde un vero cambiamento del cuore.
Il Signore ci aiuti.
Il padrone lodò XXV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 15 Settembre 2019
quell'amministratore Luca 16,1-13
disonesto perché aveva
agito con scaltrezza.
Non mi è mai capitato di leggere questa parabola con alcune persone senza che non ci fosse qualcuno che avesse qualcosa da ridire, perché qui ci troviamo di fronte a qualche cosa di strano: il padrone (che poi sarebbe Gesù, Dio) loda addirittura una persona disonesta.
La loda per la sua scaltrezza, forse la difficoltà viene da questa parola "scaltrezza". Non so se anche qualcuno di voi è rimasto scandalizzato da questa parabola stamattina, ma era così anche per i primi cristiani perché questa parabola ce l'ha solo Luca, gli altri l'hanno tralasciata.
Vedete, Luca ritiene di avere qualche cosa di importantissimo da dirci, ci ha provato in tutti i modi ed ora tenta l'ultima carta, una vera provocazione, sembra dirci che altro non possa fare.
Cos'è così importante per Luca? Per lui essere cristiani significa cercare di capire il tempo in cui si vive, interpretare gli avvenimenti, il senso di quello che ci accade intorno, per essere capaci di discernere quello che giova a una vita più giusta, di trovare i modi e gli strumenti per fare tutto il bene possibile.
Qui tenta l'ultima carta ci dice: "Guardate la gente disonesta, quelli sono più furbi di voi (forse è meglio togliere la parola furbizia) sono più capaci di voi".
Se vogliamo tradurre questa parabola in termini moderni potrei dirvi, forse lo farebbe anche Luca, guardate quelli della mafia, quelli della Ndrangheta che vogliono occupare il territorio, avere potere, sempre più soldi, come sono capaci di capire quali sono tutti gli strumenti per ottenere i loro scopi disonesti. Guardate cosa si inventano per esempio per spacciare la droga, per farla venire da un lontano paese: hanno uno scopo e cercano di capire qual è la strada migliore per realizzarlo e ci riescono.
Oppure guardate le grandi multinazionali: hanno come scopo soltanto il profitto e per far questo sfruttano addirittura l'economia di popoli interi, cercano tutte le strade per impossessarsi di nuovi spazi eccetera… sempre per fare più soldi.
Oppure guardate anche nel nostro paese quelli che vogliono il consenso, il potere, cercano di capire come possono sfruttare i sentimenti della gente: la paura il rancore, anzi cercano di aumentarli, cercano tutte le strade per aumentare il loro potere e non per preoccuparsi del bene comune.
Luca ci dice e voi, che siete o almeno dovreste essere figli della luce… quelli sono figli delle tenebre, gente disonesta, che pensa solo al potere, ai soldi, voi che pensate o almeno dovreste pensare al bene cosa fate?
Il mondo si sciupa, si rovina, vi siete ridotti - ci direbbe Luca - a raccomandarvi ai bambini, avete perso la fiducia negli scienziati, nella gente che capisce, che studia. Perché non siete capaci di trovare tutti gli strumenti per salvare la terra?
Nell'ambiente in cui vivete si diffonde sempre più la paura, il rancore, un linguaggio astioso, perché non sapete creare un clima di maggiore tenerezza, di maggiore comprensione, rispetto, accoglienza?
Avete problemi enormi con l'immigrazione, ma vi rendete conto che molti di questi che vengono disperati li avete resi schiavi, ne avete fatto persone che lavorano in condizioni disumane, vi rendete conto che senza stranieri in questo paese i vostri vecchi non saprebbero a chi rivolgersi, non saprebbero più cosa fare, eccetera…
Voi che vi ritenete figli della luce sapete leggere i segni dei tempi, sapete capire quello che è giusto, sapete trovare gli strumenti per realizzare un mondo un po' migliore?: ecco cosa ci direbbe Luca.
Ho parlato di problemi troppo grandi, troppo vasti, ma ciascuno di noi nella vita di ogni giorno trova spesso problemi, situazioni più semplici: cosa posso fare sul posto di lavoro, come posso aiutare questo parente, questo amico? A volte in famiglia un figlio ha dei problemi, cosa posso fare per lui, so trovare gli strumenti per aiutarlo? Cerco di fare il bene, di farlo nel miglior modo possibile, cerco di usare tutta la mia intelligenza, la mia capacità, come fanno sempre quegli altri, "i figli delle tenebre"?
Insomma la parabola di oggi è una parabola forte, provocatoria ci dice di guardare la gente disonesta che a volte è più capace di noi, sa capire che cosa giova per loro, quali sono gli strumenti per realizzare le loro intenzioni disoneste ci invita a darci da fare, a cercare di capire che cosa è possibile fare, concretamente, giorno per giorno perché la vita sia migliore.
Se fosse qui Luca avrei (forse anche voi) una cosa da dirgli… e ti sembra facile?
Il Signore ci aiuti.
"C'era un uomo ricco… Un XXVI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 29 Settembre 2019
povero, di nome Lazzaro…" Luca 16,19-31
Questa parabola è una delle più conosciute del Vangelo, penso che tutti l'abbiate sentita più di una volta. Forse qualcuno si meraviglierà nel sapere che a Luca di questa parabola non gliene importa niente.
Questa è per Lui una storiella che si trova un po' in tutte le religioni e le tradizioni della terra, se ne son trovate simili in Egitto, come nel Medio Oriente. Non c'è invece qualcosa di simile nell'antica tradizione di Israele.
Avete ascoltato il profeta Amos?: "Andranno in esilio in testa ai deportati, cesserà l'orgia dei dissoluti…" Amos non crede che ci sia un'altra vita, il castigo deve avvenire qui.
Luca, questa storiella la conosce e ce la riporta. Non so se si rendesse conto di quanto questa storia sia, o meglio sia stata pericolosa nel corso della storia: è sempre servita ai potenti della terra, ai ricchi per dire alla povera gente: "State buoni, sopportate, tanto poi ci sarà il Paradiso". Questo lo hanno predicato anche i preti in gran parte dell'Europa.
Non so se Luca si rendesse conto di quanto fosse pericolosa questa storia, ma certo per lui la fede è un'altra cosa!
Come avete ascoltato, per tentare di farci capire qualche cosa... conoscete ormai Luca, ama provocarci un po'. Fa in modo che i protagonisti di questa storia cambino non soltanto nel senso economico: il povero diventa ricco, sta nella felicità e il ricco diventa povero. Cambiano anche, in senso morale: il povero che è buono diventa cattivo nell'altra vita e quello cattivo diventa buono.
Chi di voi se uno che sta nelle fiamme gli chiede una goccia d'acqua gliela rifiuterebbe, fosse anche il peggiore della terra: nessuno! Abramo e Lazzaro, sì! E quel delinquente che aveva trattato male Lazzaro si preoccupa dei suoi fratelli e dice: "Manda Lazzaro ad avvisare i miei fratelli perchè non vengano qui anche loro". Abramo risponde: "Hanno Mosè e i Profeti, ascoltino loro". "No, Padre, se uno dei morti andrà...", "Se non ascoltano Mosè e i Profeti non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti".
Ecco, questo è quello che interessa a Luca. Tenta di farci capire che cosa è la fede. È stata un'impresa disperata quella di Luca, fallita quasi completamente.
La fede non è basata sul miracolo, sul prodigio, sull'evento straordinario. La fede è basata sull'ascolto della Parola, sulla ricerca dei valori essenziali, sulla ricerca di Dio, sulla passione per la verità e per il bene.
Se girate l'Europa, forse anche il mondo intero, anche il mondo antico, lo trovate pieno di santuari dove si va a chiedere il miracolo, la protezione di Dio. Anche ad Ostia... - e mi si stringe il cuore quando lo vedo - ci sono delle chiese che si riempiono di cuori e cuoricini per grazia ricevuta.
Non è questa la fede! La fede è un'altra cosa! La fede è passione per la giustizia, per la verità. La fede è ricerca di Dio. La fede è ascolto della Parola. Noi siamo qui, non per chiedere grazie soprattutto, ma per ascoltare, per cercare in Gesù i valori essenziali della nostra vita, per cercare quello che è giusto: questo interessa a Luca!
"Guardate - ci ripete - la religione non è basata sul bisogno, sulla ricerca del prodigio, sulla ricerca della protezione di Dio... la fede è basata sulla passione per il bene, per la giustizia, è ricerca di Dio per quello che è. È ricerca del bene non per avere un premio, è evitare il male non per paura del castigo, ma perché si ama il bene, perché si sono cercati con tutta la passione del cuore i valori importanti, le cose essenziali".
È questo il messaggio che Luca ha da darci in questa parabola.
Voi lo sapete, come lo so io, tutti noi siamo povera gente. Quando ci troviamo in difficoltà ci raccomandiamo al Padreterno, abbiamo bisogno anche noi e vogliamo sperare, a volte, in un miracolo, in un aiuto provvidenziale che magari la medicina non può darci: siamo povera gente, è giusto che sia così, è bene che sia così, ma ricordiamoci che per Gesù, per Luca la fede è un'altra cosa. La fede dipende dalla nostra passione, dalla nostra ricerca. La fede dipende dall'ascolto. La fede dipende dalla parola, dalla Parola che Gesù ci ha portato.
Lui è venuto in mezzo a noi per condividere la vita, per donarci Se Stesso e chiama anche noi a donare noi stessi, a vivere l'amore, la gratuità, la tenerezza come possiamo nella vita di ogni giorno: non è semplice!
Il Signore ci aiuti.
"Se aveste fede quanto XXVII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 6 Ottobre 2019
un granello di senape…" Luca 17,5-10
Oggi sembra proprio che Luca voglia prenderci in giro: (non so se è sembrato anche a voi) "Se aveste fede come un granello di senape potreste dire a questo gelso: (qui davanti i gelsi non ci sono, ma qualche tamerice, c'è) "sradicati e vai a piantarti nel mare ed esso vi ascolterebbe" ci avete mai provato? Spero di no, però non ci provate!
Oppure alla fine...: "Quando avete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo inutili servi"… Almeno un grazie! No, nemmeno quello!
Cosa vuole dirci Luca? Prima di tutto una premessa. Sono convinto che se Luca avesse saputo l'uso che della sua prima frase: "Se aveste fede quanto un granello di senape..." è stata fatta nel corso di questi duemila anni da tanti santoni, guaritori che pretendevano di fare grazie, miracoli e anche da molti preti, non l'avrebbe scritta.
Non so se anche a qualcuno di voi è capitato di sentirsi dire, quando aveva pregato magari con intensità per una guarigione, per sé o per una persona cara: "Eh, non hai ottenuto perché non hai saputo pregare bene, perchè non avevi sufficiente fede". Non c'è offesa più grande che si possa fare ad un uomo che tribola che dirgli: "Non solo triboli, ma è colpa tua perché non hai fede". Luca pensava ad altro! A cosa secondo me?
Vedete - questa parola è per tempi drammatici e i discepoli devono averne vissuti nel seguire Gesù, quando tutto sembrava buio, tutto sembrava finito, quando la loro predicazione trovava contrasti di qua e di là, quando sembrava che la Parola di Gesù non avesse nessuna possibilità di affermarsi nel mondo... si son sentiti dire da Gesù: "Non scoraggiatevi, abbiate fede come un "granello di senape" e potrete "smuovere le montagne".
Immaginate cosa devono aver provato i discepoli sotto la Croce, quando lo hanno visto là inchiodato sul legno morire in quella maniera così atroce: tutto sembrava finito per loro. Ogni speranza se ne era andata, eppure hanno avuto il coraggio di riprendere la strada, di continuare a credere che Gesù avesse ragione, a fidarsi di Lui, a tentare di essere testimoni e lo hanno visto e lo hanno sentito presente nella loro vita.
Quello che è successo ai discepoli è successo tante volte nel corso della storia della Chiesa e dell'umanità. Nei momenti bui quando tutto sembra perduto... pensate al secolo scorso ai nostri padri... l'ltalia, l'Europa erano distrutte, sembrava che non ci fosse speranza eppure... eppure hanno avuto il coraggio di credere nella possibilità di ricostruire, nella possibilità di un paese civile, democratico, libero. Hanno avuto il coraggio della speranza e hanno saputo "spostare le montagne".
Così a me è capitato di vedere a volte delle persone che con tutto il coraggio e la loro passione per la vita hanno saputo aiutare un ragazzo, una ragazza in difficoltà che sembrava non avesse speranza nella vita, sembravano perduti... il coraggio di prenderli per mano, con tenerezza, con cocciutaggine, con caparbietà per ridargli speranza e vita.
La speranza, il credere nell'uomo: questo può "smuovere le montagne", può compiere cose straordinarie.
Anche a noi, in questo tempo in cui vediamo grossi problemi, anche nel nostro paese, di civiltà, di rapporti umani, in un mondo che si sciupa, è richiesto il coraggio della speranza. Non lasciamoci prendere dalla disperazione, dallo scoraggiamento. Se se ne va anche l'ultimo "granello di senape" della nostra fede il mondo non ha più speranza.
Credere, questo significa: conservare la speranza. Avere il coraggio di credere che Gesù ha ragione, che i suoi valori siano quelli importanti, che val la pena di credere nella giustizia, nella libertà, nell'amore. Val la pena di crederci ogni giorno. Allora anche se abbiamo una fede piccola come un "granello di senape" possiamo "spostare le montagne" possiamo fare qualche cosa intorno a noi.
E l'ultima frase: "Quando avete fatto tutto, dite: siamo servi inutili" ci ripete un insegnamento che Luca ci ha trasmesso in molte pagine per ricordarci la gratuità, la possibilità di fare del bene anche quando non possiamo aspettarci nemmeno un grazie.
Ce ne sono anche tra voi molti che fanno del bene, che si occupano di persone malate e anziane in difficoltà, che non sono in grado più di dire nemmeno grazie, che qualche volta addirittura reagiscono malamente eppure... eppure lo si fa perché si crede nell'amore, perché si crede nell'altro, perché si vuole bene e si vuole bene con gratuità.
Il bene si fa anche quando costa, anche quando non puoi aspettarti niente, anche quando non ti possono dire nemmeno grazie È questo quello che Luca vuole dirci. Il coraggio della fede si manifesta nella gratuità.
Se spostare "il gelso nel mare" volesse dire questo?: essere capaci di fare il bene anche quando non si riceve nemmeno un grazie: questo è la fede tenta di dirci oggi il Vangelo di Luca.
Il Signore ci aiuti.
"Non ne sono stati purificati XXVIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 13 Ottobre 2019
dieci? E gli altri nove dove Luca 17,11-19
sono?"
Ancora una volta Luca sembra divertirsi a sorprenderci. Ricordate...? Domenica scorsa ci diceva che un credente deve essere capace di fare il bene anche senza aspettarsi un grazie. Oggi sembra che Gesù, se qualcuno non viene a dire grazie, si lamenta.
È una contraddizione apparente perchè qui non è in gioco una regola di buona educazione, un grazie, qui, come avete ascoltato dall'ultima frase che abbiamo letto, è in gioco la fede.
Che cos'è la fede? Come nasce la fede? Al Samaritano che ritorna Gesù dice: "Alzati e va', la tua fede ti ha salvato". La fede è nata adesso, adesso che è tornato pieno di gratitudine.
Gli altri come mai non sono tornati? Gli studiosi cercano di interpretare: forse perché - avete ascoltato - devono andare dai sacerdoti che erano coloro che sorvegliavano e dovevano dare il permesso di rientrare nella comunità da cui i lebbrosi sono esclusi. C'era da offrire il sacrificio, da fare tanti riti e forse - addirittura - siccome sono degli Ebrei, convinti della grande tradizione di Israele, si sentono un po' in diritto di essere aiutati da Dio, di essere guariti.
Il Samaritano, niente di tutto questo! Non è distratto da nulla. Lui sente soltanto un grande, profondo, bisogno di gratitudine e viene per ringraziare. E il suo ritorno è pieno di gratuità: non viene perché ha bisogno di qualcosa, viene a cercare Lui, la sua Parola, la sua vita.
Ora - vedete - il verbo che usa il Vangelo per dire che il Samaritano ringrazia è: "Eucharistein". Vi è familiare questa parola, siamo qui a celebrare l'Eucaristia, è una parola greca che non hanno voluto tradurre, forse perché è più grande del solo dire un grazie: è il sentimento di gratitudine che dovrebbe accompagnare il credente, il sentimento da cui scaturisce la fede e la gratuità.
La fede nasce dalla capacità di dire grazie, dal sentirsi in debito per tutto. Qualche scrittore diceva: "Tutto è grazia". È grazia la vita che non ci siamo dati. È dono lo splendore del mare, la bellezza del cielo, questa bella giornata, gli alberi... soprattutto sono dono le persone che abbiamo la fortuna di incontrare. Le persone che ci hanno voluto bene fin da quando eravamo bambini, le persone a cui abbiamo voluto bene, il cuore di una persona dovrebbe essere pieno di gratitudine e allora da questa gratitudine sgorga la gratuità.
Come il Samaritano, siamo venuti a cercare Dio, a cercare Gesù non per bisogno... lui aveva bisogno di essere guarito dalla lebbra, noi abbiamo forse tanti bisogni nella vita, ma siamo qui, per ringraziare di tutto e per cercare Lui, per cercare la sua Parola, per nutrirci di Lui, per cercare la sua vita: questa è la gratuità! Non cerchiamo Gesù perché ci serve, cerchiamo Gesù perchè è Lui.
E questa gratuità siamo chiamati a viverla ogni giorno, a cercare le persone che abbiamo intorno non perché ci servono, ma perché sono "loro", perchè sono compagni della nostra vita, perché condividiamo con loro l'esistenza, perché rallegrano e rendono più bella e più viva la vita, il nostro stare insieme sulla faccia della terra. E dovremmo anche tra di noi saperci più spesso dire grazie.
Per chi crede tutto è dono e - quindi - scaturisce naturalmente la gratuità, la capacità di donare senza aspettarsi il contraccambio.
Vorrei aggiungervi una cosa per me importante... se uscendo di qui trovate qualche persona che vi dice: "Io non posso dire grazie, la mia vita è tutta un disastro, non c'è niente di bello nella mia vita". A volte si attraversano momenti di disperazione... a volte c'è la depressione (un malanno cattivo assai)… se incontrate una di queste persone non ditegli che non ha fede, mettetegli una mano sulla spalla gratuitamente, condividete un po' della vostra vita con lui. Strappategli (se siete capaci) un sorriso, un sorriso alla vita, alla bellezza.
Qualche volta sarà difficile, ma noi che possiamo dire grazie uscendo da questa chiesa portiamoci dietro l'incontro con Gesù, l'aver ascoltato la sua Parola, l'esserci nutriti di Lui e se uscendo guardiamo lo splendore del sole o se volete fare due passi sulla riva del mare, allora che scaturisca dal cuore la gratitudine: tutto questo farà di noi degli uomini di fede, che sanno vivere la gratuità, che sanno andare incontro agli altri senza aspettarsi un grazie, uomini capaci di amare senza condizioni come ci ha insegnato Lui.
Il Signore ci aiuti.
"Ma il Figlio dell'uomo XXIX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 20 Ottobre 2019
quando verrà troverà la Luca 18,1-8
fede sulla terra?"
Quando ero in parrocchia i nostri catechisti che preparavano i ragazzi alla Cresima, erano anche loro piuttosto giovani, amavano molto il racconto della Prima Lettura. Lo avete notato... c'è la guerra tra gli Ebrei e gli Amaleciti e Mosè va sul monte a pregare, è anziano Mosè quando tiene la mani alzate gli Ebrei vincono, se gli cadono vincono gli Amaleciti. Allora vengono addirittura due giovanotti che gli sostengono le mani finché Israele vince e gli Arnalèciti sono sconfitti.
I giovani catechisti vedevano in questo racconto una bellissima immagine della preghiera: l'insistenza a invocare il Signore, a pregare per ottenere la vittoria. Loro non pensavano alla vittoria, pensavano a cose di giustizia e bastava per sorprenderli un po' dire loro: "Ma chissà cosa ne pensano gli Amaleciti?". Gli Amaleciti son quelli che perdono, quelli che vengono uccisi a fil di spada, poveri!
In molte regioni della terra la preghiera purtroppo è questo: il tentativo (credo inutile) di invocare Dio perché ci faccia vincere, perché ce la mandi buona.
Il Vangelo di Luca ha fatto una lunga riflessione sulla preghiera e cerca di comunicarcela alla sua maniera, che ormai conosciamo, cercando di stupirci, di sorprenderci, di provocarci.
Ricordate... già un'altra volta abbiamo parlato della preghiera, Luca diceva: "Cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto... Chi di voi se un figlio gli chiede un pane gli darà una pietra?... Se dunque voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre Celeste darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono". "Lo Spirito Santo...? Ma noi chiediamo la vittoria, noi chiediamo il benessere! Che cos'è lo Spirito Santo?". Ecco, per Luca la preghiera è ricerca incessante dello Spirito!
Oggi, la provocazione - come avete ascoltato - è ancora più forte. Non siamo solo noi poveri peccatori i protagonisti, ma addirittura questo giudice disonesto: una figura disgustosa che non teme Dio, che non si preoccupa di nessuno, ma c'è questa vedova che continua ad infastidirlo tutti i giorni e alla fine, per non essere più disturbato, l'aiuta e gli fa giustizia.
Il nostro rapporto con Dio è così? Dio è come un giudice che ha bisogno di essere disturbato a lungo prima che ci esaudisca? Luca, alla fine mette una frase sconvolgente: "Ma il Figlio dell'uomo quando verrà troverà la fede sulla terra?". Ah, ma allora, per Luca ancora una volta la preghiera è tutta un'altra cosa!
Là era invocazione dello Spirito, qui è il combattimento giornaliero: pregate sempre senza stancarvi mai per conservare la fede.
Vedete - conservare la fede non significa continuare a credere che Gesù sia il Figlio di Dio, sia presente qui nell'Eucaristia, (queste son cose che fanno parte della nostra religiosità) conservare la fede significa conservare nel cuore i valori di Gesù, la ricerca della giustizia, del rapporto con gli altri, della gratuità, del servizio, del dono di noi stessi.
In tanti tempi della storia i cristiani hanno fatto una grande fatica a conservare la fede nel cuore. Quando il mondo si riempiva di violenze, quando la vita era fatta solo di paura, quando i bisogni materiali erano impellenti, quando la società veniva attraversata da ondate di odio per i nemici, addirittura si parlava di difesa della razza... i cristiani autentici hanno fatto una grande fatica a conservare la fede e purtroppo non sono riusciti in molti forse perché non hanno "pregato sempre, senza stancarsi mai".
Anche noi oggi viviamo tempi difficili. Anche a noi oggi cercano di mettere paura... paura di chi ci sta intorno, paura della criminalità che sembra sempre crescere in questo paese mentre diminuisce. Paura dello straniero, paura del diverso, paura delle novità, della scienza... e quando c'è paura si perde la fiducia e perdere la fiducia significa perdere la fede, la fede nei valori, nella realtà di Gesù, in cosa Lui ha fatto e detto: ecco perché Luca ci invita a pregare, a pregare sempre, ecco cos'è per lui la preghiera: invocazione dello Spirito, di Dio dentro di noi, ricerca appassionata per conservare la fede e la fiducia.
Il sogno del credente è, o dovrebbe essere, quello di Paolo: "Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me". Sono i valori di Gesù, i sogni del suo cuore che vivono dentro di me. Per questo prego ogni giorno e pregare non è recitare formule, pregare è domandarsi giorno per giorno: "Se Gesù fosse qui cosa farebbe? Che cosa direbbe? Come si comporterebbe?".
Ecco, la ricerca quotidiana del cristiano, che si fa continuamente, quando si è sul posto di lavoro, in casa, quando si parla con gli amici, sempre per il cristiano quello che dovrebbe avere davanti agli occhi, è: "Gesù cosa farebbe? Non sono più io che vivo, è Lui che vive in me". Questo è il nostro sogno di credenti.
Il Signore ci aiuti.
"Due uomini salirono al XXX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 27 Ottobre 2019
tempio a pregare: uno era Luca 18,9-14
fariseo e l'altro pubblicano"
Ancora una provocazione da parte di Luca. Immaginate, con un po' di fantasia, che sia qui stamattina e ci chieda: "In mezzo a voi ci sono due persone. Una è una persona perbene che osserva tutte le regole, tutte le leggi, una persone zelante che fa di più di quello che dovrebbe. Paga le decime su tutto anche su quello a cui non sarebbe tenuto, digiuna non soltanto una volta l'anno come stabilito, ma due volte a settimana e quindi è una persona che fa quello che deve e anche di più. Dall'altra parte c'è un peccatore, un ladro, uno che lavora per gli stranieri o, per arrivare nel mondo moderno, uno che è colluso con la mafia… e ci chiederebbe: voi da parte di chi state?" Penso saremmo tutti tentati di dire senza pensarci su: "Dalla parte della persona perbene". Poi ci accorgiamo che Gesù sta dall'altra parte e allora diremmo a Luca: "Sarà... ma anche noi siamo dalla parte del pubblicano".
Aggiungerebbe: "Siete veramente convinti di stare dalla parte del pubblicano? Non capita anche a voi quando uscite di chiesa di sentirvi giusti e di giudicare e condannare senza cercare di capire, di immedesimarvi nell'altro, senza saper condividere? Guardate che nel corso dei secoli la maggior parte dei cristiani sono sempre stati dalla parte del fariseo e non si sono limitati come il fariseo della parabola a ingiuriare. Hanno condannato, scomunicato, bruciato sul rogo, hanno invaso popoli stranieri, perchè inferiori, perché non erano credenti, hanno sterminato popolazioni intere... quindi pensateci due volte prima di dire con sicurezza che state dalla parte del pubblicano".
Perché Gesù sta dalla parte del pubblicano? Perché - vedete - il fariseo che è uno che osserva le regole, ma ha fatto di questa sua osservanza un piedistallo per giudicare gli altri. Osserva la legge, si sente giustificato dall'osservanza della legge, ma non ha la misericordia, la tenerezza, la capacità di condividere con l'altro: sa solo sentirsi superiore e condannare e ingiuriare. È un uomo che si sente arrivato, che si sente sicuro, che si sente giusto, buono e questo lo fa sentire in diritto di giudicare e condannare.
Dall'altra parte un pover'uomo che è sì un delinquente, ma ha il cuore fragile, sa di aver sbagliato ed è aperto al futuro. Vorrebbe cambiare, migliorare, è un uomo che ha bisogno di rivedere, di ripensare alla sua vita. È un uomo che non si sente di giudicare nessuno perché prima di tutto deve giudicare se stesso e - quindi - Gesù sta dalla sua parte, perché lui si affida alla misericordia di Dio.
Perché sa che Dio gli dà speranza e fiducia, quella fiducia che l'altro non ha e forse non l'ha mai avuta perché si è basato soltanto sull'adempiere le leggi, sull'osservare i minimi precetti, sul fare anche di più di quello che è comandato.
Guardate che questi problemi non riguardano soltanto il mondo della religione... pensate a che cosa è successo nel secolo scorso. Si pensava addirittura... - non lo pensava soltanto qualcuno, ma intere popolazioni in Germania, in Italia - di essere superiori soltanto per razza.
Noi abbiamo i capelli biondi, gli occhi azzurri e gli altri sono dei barbari, non sono nemmeno degli uomini, possiamo sterminarli addirittura e la cosa drammatica è che ancora oggi in Italia, in Germania semi di razzismo si vanno diffondendo sempre di più.
È sempre la solita storia: gente che si sente migliore, giusta e che giudica e condanna gli altri per razza, per religione...
Pensate ai neri, spesse volte offesi in questo nostro paese. Pensate ai mussulmani che sembrano invadere questa nostra terra, sono soltanto il cinque per cento, quasi nessuno lo pensa e sembrano chissà quanti e vengono giudicati diversi e cattivi: è il giudizio di chi si sente una persona perbene, di chi si sente giusto e questo prende nel mondo cattolico delle forme paradossali e ripugnanti.
Avete ascoltato in questi giorni che alcuni cattolici zelanti hanno buttato nel fiume le immagini dei popoli dell'Amazzonia... cosa c'è di più disgustoso? Gente che in nome di Dio disprezza gli altri, le loro credenze, il loro modo di vivere, il loro modo di essere. Chi sa che vangelo leggono? Forse non lo leggono affatto.
Ecco perché Gesù sta dalla parte del pubblicano e ci invita a stare da quella parte, perché anche noi corriamo il rischio di vivere senza misericordia, di non essere capaci di comprendere gli altri, di non metterci dalla parte degli altri: secondo Gesù questo è l'essenziale!
Dio sta dalla parte sempre di chi ha il cuore fragile, di chi sa di non essere giusto, di chi non ha fatto un piedistallo della sua osservanza delle regole per giudicare. Dio sta vicino anche a noi se sappiamo, se sentiamo di non essere a posto, se ci manca qualcosa. Non siamo giusti, ma Dio ci sta accanto, sta dalla parte nostra, ci invita a guardare al futuro, a sentirlo accanto a noi, a sentirci da Lui giustificati nel nostro cammino verso la luce e la bontà.
Il Signore ci aiuti.
Un uomo di nome Zaccheo XXXI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 3 Novembre 2019
capo dei pubblicani e ricco… Luca 19,1-10
Ancora un pubblicano... se ricordate domenica scorsa lo abbiamo trovato fermo in fondo al tempio che si professava un povero peccatore.
Oggi un altro pubblicano, ma questo è in cammino, ha da fare un viaggio, anzi, un lungo viaggio non tanto un viaggio materiale, quanto spirituale. Zaccheo è quanto di più lontano da Gesù ci possa essere!
Lui è un pubblicano, un collaboratore dei Romani, un traditore del suo popolo. Come dice lui stesso: è un ladro, ha rubato molto, è un capo ed è ricco, molto ricco. Ha passato tutta la vita a cercare il potere, la ricchezza e ci è riuscito.
Adesso però, probabilmente perché gli anni vanno declinando, sente che gli manca qualcosa e rimane colpito da questo giovane Maestro che viene dalla Galilea che è l'opposto di lui. Non ha niente, non ha potere, è povero, per vivere deve cercare l'ospitalità presso qualcuno, eppure, mentre Zaccheo non ha amici, è praticamente solo, ha intorno parecchie persone, tutti i suoi dipendenti hanno paura di lui, è un uomo potente, ma affetti non ne ha.
La gratuità, l'amore nella vita non l'ha conosciuti forse mai. Cosa c'è di più lontano da Gesù?! Eppure sente che mentre lui ha nel cuore un'inquietudine, l'Altro sembra pieno di gioia, di entusiasmo, ha tanti amici intorno, gente che lo cerca, affascinata dalla sua Parola e Zaccheo decide di andare a incontrarlo e si mette in cammino.
Un cammino lungo ha da fare per incontrare Gesù e sul suo cammino incontra la "folla". La folla è una costante del Vangelo.
I primi cristiani devono averla sperimentata fortemente. La folla è la mentalità comune, quello che la gente pensa. Zaccheo sente intorno a sé il disprezzo, sente che se vuole cambiare tutti gli diranno: "Ma come... tu sei ricco, potente, cosa ti manca?". Sente che molta gente pensa come lui che siano importanti solo i soldi e il potere. Una folla pesante, che gli impedisce di incontrare il Signore, gli impedisce di aprire gli occhi sui valori di Gesù ed ecco allora che il Vangelo di Luca ci fa immaginare questa persona bassa, probabilmente anziana che si arrampica sull'albero di sicomoro.
Si nasconde tra le foglie forse un po' impaurito, ma vuole vedere Gesù, se riesce a scoprire nei suoi occhi il segreto della sua vita così diversa dalla propria. Gesù si ferma sotto la pianta, alza gli occhi, lo vede, cosa dirà, cosa si aspetta Zaccheo, forse parole di rimprovero, forse addirittura minacce, forse Colui che viene da lontano gli annuncerà il castigo di Dio: niente di tutto questo!
"Zaccheo, scendi, voglio fermarmi a casa tua" e forse per la prima volta nella sua vita, Zaccheo si sente guardare negli occhi, sente qualcuno che lo accetta così come è aldilà di quello che ha fatto. Non gli importa se è un capo, se è un ricco, gli importa lui, con lui vuole condividere la vita.
Con lui vuole scambiare qualche cosa che c'è nel cuore e Zaccheo sente esplodere la gioia dentro di sé. Finalmente ha guardato il mondo con altri occhi, finalmente vede quello che non ha mai visto e si ferma a mangiare con Gesù e dice: "La metà dei miei beni la do ai poveri, se ho rubato restituisco quattro volte tanto". Sembra non importargli più il denaro. Ha scoperto la vita, ha scoperto la gratuità, ha scoperto la capacità di essere accettati per quello che si è.
La capacità di condividere, di guardarsi negli occhi, di camminare insieme e tutto questo è qualche cosa di radicalmente nuovo per Zaccheo. Qualche cosa che lo trasforma, ne fa un uomo diverso. Per la prima volta forse nella vita sa che cosa significa amare e essere amati.
Noi possiamo fare anche un passo avanti e immaginare che stamattina mentre ci sciacquavamo il viso o facevamo la doccia sia passato Gesù a dirci: "Voglio venire a cena con te, oggi". E siamo qui riuniti intorno a Lui. Noi non partiamo così da lontano come Zaccheo, ma siamo anche noi qui per incontrare Lui, per guardarlo ed essere guardati negli occhi, per condividere con Lui la vita. Anche per noi c'è una "folla" da superare... quelli che ti dicono: "Ma chi te lo fa fare".
La folla di questo mondo così carico di indifferenza, di violenza che ci impedisce di vivere la gratuità, l'amore, la condivisione della vita, la serenità del cammino su questa terra. Una "folla" che ci impedisce di incontrare il Signore, di provare la gioia.
Purtroppo le nostre assemblee non esprimono come dovrebbero la gioia dell'incontro con il Signore. Cercate di ritrovarla nel profondo del vostro cuore, stamattina. Cercate di sentirvi come Zaccheo in un'esplosione di gioia. La gioia per aver incontrato Lui, i suoi valori, la gioia per essere amati, per condividere la vita con chi ci sta insieme, la gioia di scoprire i valori autentici, di andare aldilà della violenza, dell'odio, del male di questa terra, della ricerca affannosa del successo, del potere... per scoprire la gratuità, la bellezza della vita condivisa. Per scoprire il segreto della gioia nella profondità del cuore.
Il Signore ci aiuti.
"Dio non è dei morti, ma XXXII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 10 Novembre 2019
dei viventi, perché tutti Luca 20,27-38
vivono in Lui."
Ancora una pagina sorprendente e sconcertante del Vangelo di Luca. Propongono a Gesù il tema della risurrezione dei morti, il tema dell'aldilà e ci aspetteremmo da Lui una risposta chiara...: come, quando, dove, che cosa succederà... niente di tutto questo!
Le sue parole sono estremamente sobrie e ci parlano più dell'aldiquà che dell'aldilà. Che cosa succede in questa pagina del Vangelo?
Vedete - arrivano da Gesù dei Sadducei: sono i tradizionalisti, quelli che fanno riferimento all'Antica Scrittura… e qui c'è un'altra cosa sorprendente forse per più d'uno di voi. Nella Bibbia non si crede nella risurrezione dei morti fino quasi al tempo di Gesù.
Israele ha messo nel cuore della sua fede l'uscita dall'Egitto e l'Egitto è il luogo della schiavitù, del male e se c'è qualche cosa che caratterizza l'Egitto è il culto dei morti, l'ossessione dell'aldilà: l'imbalsamazione, il libro dei morti, i vari dei che presiedono, i riti che bisogna fare... Per Israele tutto questo è una sciocchezza.
Quello che conta è questa vita, è qui che dobbiamo conquistare la libertà, è qui che dobbiamo costruire una terra dove scorre il latte e il miele: una terra dell'abbondanza, del benessere, in cui si sia capaci di condividere la vita, di essere liberi, responsabili del proprio cammino sulla terra.
Israele pensa che la sopravvivenza di un uomo sia in un figlio ed ecco che c'è la legge di Mosè (lo avete ascoltato) che dice: "Se un uomo prende moglie e non ha figli, il fratello deve fare un figlio per il fratello morto" - una specie di finzione giuridica - perché quello possa sopravvivere, perché per Israele si sopravvive soltanto nei propri figli.
Poi pian piano, nel corso della storia, si perde un po' della fiducia in questa vita, si comincia a guardare all'aldilà e si guarda soprattutto all'aldilà per rispetto dei martiri, (come avete ascoltato nella prima lettura) quelli che hanno sofferto, quelli che sono stati uccisi... è possibile che non vengano salvati da Dio?
Questo è l'antico Israele e forse (se posso fare una parentesi) sarebbe bene che conservassimo qualche cosa della loro antica fede perché - vedete - nel corso dei secoli della nostra storia cristiana, troppe volte l'aldilà è stato usato per dire alla povera gente: "Pazientate, sopportate, soffrite perché poi avrete un premio nell'altra vita". Oppure per mettere paura alla gente. Paura di Dio, paura del castigo, dell'inferno e anche (sia detto sottovoce) per fare soldi. Perché con il Purgatorio, con le indulgenze, le donazioni perché l'anima sia suffragata (come si diceva un tempo) si sono arricchiti monasteri e tante parrocchie in questo paese nei tempi passati. Adesso molto di questo è finito.
Dovremmo ricordarci che il nostro compito è di qua, è qui che noi possiamo costruire la vita, è qui la nostra responsabilità. L'aldilà è affidato alle mani del Padre.
Gesù sulla croce ha una sola parola: "Padre, nelle tue mani affido la mia vita." Un atto di puro affidamento che è consegnato a noi senza poter vedere, capire, sapere, intuire nulla.
Gesù che cosa ci dice in questa pagina del Vangelo, due cose... che ci riguardano direttamente: "Voi non concepite che una donna possa essere moglie di sette mariti perché avete un concetto sbagliato dell'amore. Voi avete un amore geloso, possessivo: è mio, è solo mio". E questo sapete a quali tragedie può portare
Il sogno di Dio è che il vostro amore sia grande, libero, che possiate amare una, due, dieci mille persone, come Dio per cui siamo tutti suoi figli e ci ama tutti allo stesso modo.
La seconda cosa che dice Gesù è che Dio è il Dio dei vivi non dei morti. A Lui possiamo affidare la nostra vita. A Lui posso affidare la mia vita, la vita dei miei cari, come anche voi potete affidare la vostra vita e la vita dei vostri cari.
Devo aggiungere un'altra sola parola: se c'è tra voi qualcuno, forse più che qualcuno, forse molti, forse, come succede in Italia, la maggior parte, che non crede nell'aldilà non si preoccupi, non vuol dire che non avete fede... vuol dire soltanto che come ogni uomo sulla terra non riuscite a vedere, a capire, a immaginare niente.
Per noi, fuori del tempo, non c'è possibilità di immaginare: come, quando, dove, in che modo... non sappiamo nulla. La nostra fede è un puro affidamento, un salto mortale, è un buttarsi nelle mani di Dio, è affidare la nostra vita nelle mani del Padre.
Il Signore ci aiuti.
"Con la vostra perseveranza XXXIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 17 Novembre 2019
salverete la vostra vita." Luca 21,5-19
Parole per tempi drammatici, per tempi difficili. Quando si scrivono queste cose il tempio di Gerusalemme è già distrutto, non è rimasta pietra su pietra e per gli Ebrei - questo - è la fine del mondo. Non solo, ma la Palestina è devastata dall'esercito romano. Molti sono portati via come schiavi, alcuni sono costretti a fuggire, si rischia la disperazione.
La violenza si diffonde nel mondo e non basta, c'è la persecuzione! Vengono portati davanti ai tribunali, alle sinagoghe e c'è ancora di peggio: il tradimento all'interno della Chiesa: i padri contro i figli, i figli contro i padri.
La situazione è assolutamente drammatica, Gesù dice: "Coraggio, con la vostra perseveranza salverete la vostra vita". È dentro le situazioni drammatiche che il cristiano cerca con tutte le sue forze, con tutta la passione del suo cuore di conservare la fede: la fede nei valori di Gesù, la fede nelle cose che Lui ha detto e ha fatto, il coraggio della giustizia.
Mi capitava di leggere ancora ieri, in una celebrazione le Beatitudini del Vangelo di Matteo: "Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, beati i miti, i misericordiosi, gli operatori di pace".
Nei tempi difficili non è semplice conservare nel cuore il coraggio di credere e di vivere questi valori. E momenti difficili la comunità cristiana ne ha attraversati attraverso i secoli e sempre tanta povera gente, il cui nome non c'è nella storia, ha saputo conservare la fede, ha saputo conservare la mitezza, il coraggio di ricostruire ogni volta che tutto sembrava distrutto, la forza della speranza nel proprio cuore.
A noi, in questo momento in Italia nel 2019, non è dato (per fortuna) di vivere momenti così drammatici, ma - se ho capito - anche per noi sono tempi difficili. Si va diffondendo nel nostro paese il rancore, la violenza verbale, l'intolleranza... di più si va diffondendo la sfiducia... la sfiducia non soltanto nella politica, ma anche nella scuola - addirittura -la sfiducia nella scienza.
Si fa spazio l'intolleranza, la maldicenza, il parlare male di tutto e di tutti: di fronte a tutto questo il cristiano ha un solo compito come singolo e come comunità: conservare la speranza, il coraggio della fede, il mantenersi fedeli ai valori di Gesù.
Non è impresa facile anche perché oggi assistiamo anche a lacerazioni, a contrarsi all'interno della Chiesa. Molte volte i cristiani, nel corso dei secoli, hanno dovuto parlar male del Papa, ma in questo momento in Italia e nel mondo ci si divide da un Papa soltanto perchè predica il Vangelo: l'accoglienza, il rispetto degli altri e ci sono cardinali e vescovi e cristiani che lo contestano, fedeli che contestano i loro parroci se cercano di fare qualche iniziativa a favore dei poveri e degli stranieri: è il dramma che attraversa in questo momento la Chiesa italiana.
Allora, l'unica possibilità che abbiamo è conservare la speranza e non farci travolgere da questi sentimenti di rancore, di mancanza di fiducia l'uno nell'altro e stringerci intorno ai valori di Gesù.
Gesù è la nostra vita e soltanto con i suoi valori noi conserveremo la dignità di essere uomini, altrimenti diventeremo nemici gli uni degli altri, ci guarderemo con diffidenza, non saremo più capaci di stringerci la mano, di camminare insieme.
Tanti cristiani, nel corso della storia lo hanno saputo fare e anche oggi qui da noi ci sono tanti che cercano di ribellarsi alla maldicenza comune, alla violenza, al rancore, cercano di conservare la capacità di rispettare l'altro, di condividere la vita, di vivere la gratuità: è quello che possiamo fare anche tutti noi, stringendoci insieme ogni domenica, sentendoci vicini, tentando di camminare insieme, di conservare la fede in Gesù.
Il Signore ci aiuti.
"Non sei tu il Cristo? Salva CRISTO RE - 24 Novembre 2019
te stesso e anche noi" Luca 23,35-43
A volte si rimane colpiti, (o almeno io rimango colpito) dalla distanza che c'è tra il messaggio, la vita di Gesù e l'esperienza della Chiesa.
Un esempio lo trovo sempre quando mi accingo a celebrare questa festa. La festa di Cristo Re è una festa recente. È stata istituita nel 1929 da Pio XI. Un tentativo di riaffermare il potere, l'autorità suprema di Gesù e quindi della Chiesa: un potere spirituale, dottrinale, anche materiale, un potere politico.
Questa festa - secondo lui - doveva curare il mondo da quello che chiama la peste del suo tempo: il laicismo, il tentativo dell'uomo di pensare con la propria testa, di ragionare, di scegliere e, in qualche modo, anche di emanciparsi da dottrine che non sono a favore dell'uomo: essere liberi, cercare.
Molte delle autorità della Chiesa: il Papa, molti vescovi hanno sempre cercato di contrastare la libertà... bisogna ubbidire più che pensare, bisogna seguire la dottrina dell'autorità... "loro" sanno quello che è il bene per il popolo cristiano, loro sanno ciò che è vero e ciò che non lo è, loro sanno che cosa giova alla vita sociale e civile: insomma un vero cristiano è uno che ubbidisce alla gerarchia, a quella gerarchia (sia detto tra parentesi) che soltanto qualche tempo dopo dichiarava Mussolini "l'uomo della provvidenza".
Se ci pensate in quest'anno nel Vangelo abbiamo letto più volte che Gesù dice ai suoi discepoli: "Perchè non capite da voi stessi quello che è buono. Voi sapete giudicare il tempo, sapete quando piove, quando fa caldo, (noi lo sappiamo con più precisione) perché non sapete giudicare questo tempo?".
Ecco, è il compito dell'uomo che dovrebbe essere educato alla ricerca, allo spirito critico, alla libertà. Succede raramente nella storia della Chiesa. Oggi forse le cose un pochino sono cambiate.
L'altro aspetto su cui questa festa insiste è il potere di Gesù su tutto l'universo, sulle cose materiali anche sulla politica e il potere di Gesù significa per il Papa il potere suo, il potere della Chiesa.
Ora - vedete - come possiamo parlare di potere di fronte alla croce? Noi lo riconosciamo come re, lo avevano scritto anche nel cartello sopra la croce: il Re. Ma guardate che re strano, ha una corona, ma è una corona di spine: è la manifestazione dell'assoluta impotenza. Le mani inchiodate sulla croce e quando sotto lo insultano: "Salva te stesso". E i ladroni: "Salva te stesso e noi". Nessuna salvezza!
Sulla croce muore rantolando come l'ultimo degli uomini, come i poveracci che ai nostri giorni muoiono nel mare o sotto le bombe: la grande violenza che c'è nel mondo.
Il Dio che conosciamo è dalla loro parte, è il Dio impotente, incapace di salvare il mondo. Noi, qualche volta, lo vorremmo, lo preghiamo che ci dia la pace, che cambi questo mondo, che lo faccia più giusto, più buono e non succede niente!
E potremmo scoraggiarci e rischiare di perdere la fede e non ci accorgiamo che l'impotenza di Dio, che riconosciamo quando guardiamo la croce, significa anche la nostra grandezza e la nostra responsabilità perché Dio, quando siamo nati, e là sulla croce ha affidato a noi il compito di costruire il mondo. Ha affidato a noi la ricerca della pace. Noi... vuole che siamo uomini affamati e assetati di giustizia, miti, misericordiosi, pacifici, che ci prendiamo cura di questa nostra terra, che tentiamo di renderla più accogliente, più tenera, più ricca di gratuità, di rispetto l'uno dell'altro: è compito nostro!
E il Dio che conosciamo è un Dio impotente. È un Dio che si affida a noi, che ci tenderebbe la mani se potesse staccarle da quella croce, ma non può! La sua ricchezza non è il potere, ma l'amore, il dono della propria vita, il dono di se stesso. Lassù c'è il supremo gesto di amore di Dio che è venuto in mezzo a noi a camminare per le strade polverose della nostra terra ed è rimasto vittima della violenza di questo mondo per insegnarci che aldilà di tutto, aldilà della violenza, della guerra, della distruzione, della miseria... quello che conta è donare se stessi.
"Il figlio dell'uomo - dice a un certo punto - non è venuto per essere servito, ma per servire" per dare la sua vita e invita anche noi a donare la nostra vita. Siamo poveri, non possiamo contare sull'onnipotenza di Dio. Il Dio che conosciamo è un Dio impotente, ma ci chiama, affida a noi il mondo, si affida alla nostra responsabilità, al nostro coraggio, alla nostra capacità di amare.
Con la festa di oggi si chiude l'anno della nostra preghiera. Domenica prossima sarà già la prima domenica d'Avvento e ricominceremo ad aspettare Gesù, a cercare Lui nel cammino della vita cristiana. Cercare Lui, i suoi valori, i sogni del suo cuore, non la sua potenza. Cercare che Gesù nasca dentro di noi perché possiamo essere testimoni del suo amore nella vita di ogni giorno.
Il Signore ci aiuti.