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OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 2014-2015 - Vangelo di Marco
Vegliate: voi non sapete quando il padrone di I DOMENICA di AVVENTO - 30 Novembre 2014
casa ritornerà... fate in modo che, giungendo Marco 13, 33-37
all'improvviso, non vi trovi addormentati.
Comincia oggi il tempo d'Avvento, è il tempo dell'attesa che Gesù venga, nella nostra vita, nel nostro mondo, che si compia la pienezza del suo Regno.
Vedete - i primi cristiani pensavano che il Signore stesse per venire, che fosse questione di mesi, di anni... sappiamo da Paolo - nelle sue lettere - che è convinto di non morire perché, prima della sua morte, verrà il Signore glorioso a compiere la storia del mondo.
Più volte nel Vangelo trovate le parole: "non passerà questa generazione prima che tutto sia compiuto". Ne sono passate tante di generazioni e non è accaduto nulla. Non è venuto il Signore glorioso, il mondo non è cambiato! Loro aspettavano con impazienza questo momento in cui Gesù sarebbe tornato... un giorno terribile di giudizio, severo, ma anche il giorno della liberazione. Il giorno in cui finalmente sulla terra avrebbe trionfato la pienezza della vita, la libertà, la condivisione, la gioia. Ci sarebbe stata, finalmente, la pienezza della pace, lo "Shalom" come amano dire gli ebrei.
Aspettavano che dovesse accadere in tempi brevi, all'improvviso e noi...? Penso che ogni cristiano dovrebbe dire, per me, per ciascuno di noi: "questo è il tempo decisivo, non abbiamo altro tempo.. noi, qui, oggi possiamo vivere l'attesa del Signore, il desiderio che i suoi ideali si realizzino nella nostra vita, nel cammino faticoso della nostra esistenza e intorno a noi, concretamente in casa, nei rapporti, con i figli, con i nipoti, gli amici, gli altri, nella società… ed è un cammino lento, faticoso, difficile che esige da noi il coraggio della speranza, la convinzione profonda che Gesù ha ragione, che andiamo verso di Lui, che Lui è l'ultima parola.
Questa fiducia dovrebbe essere per un credente incrollabile aldilà di ogni turbamento della vita. I discepoli a volte si trovano sul "mare in tempesta"... sembra che Gesù dorma, ma è là! È qui nel nostro mondo e la fede è fondamentalmente fiducia nella realizzazione del Regno di Dio, dei valori di Gesù.
Un'altra considerazione vorrei aggiungere... Vedete - i primi cristiani pensavano che questa venuta del Signore sarebbe stata qualche cosa di magico. Lui sarebbe arrivato sulle nubi del cielo circondato dai suoi angeli. Ci sarebbe stata la grande catastrofe, il mondo sarebbe stato distrutto e poi ne sarebbe spuntato finalmente uno nuovo pieno di luce, di giustizia.
Oggi, penso che dovremmo essere convinti che questa magia non esiste, che non c'è un avvento glorioso, straordinario, ma - come suggerisce il Vangelo di Luca - il regno di Dio è già in mezzo a noi ed è compito nostro realizzarlo.
Vedete, uno dei problemi, che ho sperimentato più volte nel cammino della mia vita di prete, è la difficoltà che abbiamo a rinunciare a uno sguardo provvidenziale sulla vita dell'uomo. Al pensare che tutto dipenda da Dio, da quello che Lui vuole, che Lui dispone.
Qualche giorno fa una signora mi diceva: "Lei, don Checco, dice sempre di essere molto fortunato, ma non ringrazia... non ringrazia il Padreterno, non è tutto un dono di Dio?" E rispondevo: "Vede, io sono stato molto fortunato, ma pensi a un bambino dell'Africa che ha visto morire il padre e la madre, ha subito violenze, gli hanno messo in mano un fucile, vive una vita disperata... lui come può ringraziare, che Provvidenza c'è per lui, dov'è Dio là?".
È un problema drammatico… allora devo rinunciare a pensare che Dio a me vuole bene, che io sono il "figlio dell'oca bianca" e lui è il "figlio dell'oca nera", è stato sfortunato, Dio non gli vuole bene. Allora dobbiamo credere in un Dio buono e giusto e in un Dio cattivo e malvagio, che senza motivo distrugge la vita di qualcuno, perchè la vita di quel bambino è distrutta e non l'ha distrutta da sé, perché è un bambino...
Dobbiamo rinunciare a una visione provvidenzialistica della vita e dobbiamo convincerci che la provvidenza siamo noi.
Vedete - quando ero giovane credevo che quel grande capolavoro della nostra letteratura (vi consiglio, soprattutto chi ha una certa età, di rileggerlo accuratamente) che sono i Promessi Sposi... fosse un melenso racconto provvidenzialistico: tutto alla fine va bene... finché ho incontrato un saggio che conosceva bene Manzoni e mi diceva: "Ricordati, Checco, nella peste muoiono insieme il santo e il malvagio... fra Cristoforo e don Rodrigo e ricordati che quando attraversando il fiume, Renzo, si trova davanti un poveraccio che gli tende la mano, tira fuori la moneta e gli dice: "la c'è la Provvidenza, la c'è!"
La provvidenza è lui, la provvidenza siamo noi. A noi è affidato il compito di rendere presente, oggi, nella nostra storia, come possiamo, la realtà di Gesù, passo passo senza farsi venire sensi di colpa, ma chiedendoci quotidianamente: "che farebbe Gesù qui al posto mio? Quale valore di rispetto, di attenzione verso l'altro, di condivisione, di pace Gesù porterebbe qui, adesso, se fosse al posto mio?!"
Quello è il mio compito e mentre lo svolgo non posso non continuare a credere, con tutta la passione del mio cuore, che Gesù ha ragione: questo è essere credente. Gesù ha ragione! I suoi valori sono quelli veri e per questi valori sono chiamato a giocarmi la vita fino in fondo con fiducia, con coraggio... ci sono dei fallimenti, ma si va avanti in tutti i campi.
Quest'Avvento sia per tutti noi (so che qualcuno deve fare uno sforzo non indifferente) vivere il coraggio della fiducia. Abbiamo un disperato bisogno, in questo paese, di ritrovare la fiducia. La fiducia in noi stessi, in chi ci sta accanto, la fiducia nel futuro... perché crediamo che la giustizia è importante e dobbiamo tentare, ciascuno nel proprio ambiente, con coraggio, rinunciando anche a qualcosa dei nostri privilegi, di costruire un mondo più giusto e più vero.
Possiamo farlo diventare il tema del nostro Avvento: la fiducia, il coraggio della speranza, il prenderci noi la responsabilità di essere la "provvidenza" per questo mondo. Dio ci rispetta, ci vuole uomini liberi, responsabili... non dice: "Se non ci arrivate non vi preoccupate, dite un po' di preghiere e ci penso io".
No, Lui si fida di me e di voi! (per me non è una fiducia molto ben riposta, per voi un po' di più) e allora coraggio. Celebriamo l'Avvento pensando di essere noi la "provvidenza", cercando di aver fiducia e di rimanere convinti che Gesù viene, che Lui ha ragione e che i suoi valori si possono compiere nel cammino faticoso della nostra vita.
Il Signore ci aiuti.
Voce di uno che grida nel deserto: II DOMENICA di AVVENTO - 7 Dicembre 2014
preparate la via del Signore, Marco 1, 1-8
raddrizzate i suoi sentieri
Sia la prima Lettura, sia il Vangelo ci parlano del deserto... è nel deserto che bisogna preparare la strada del Signore.
Ora - vedete - il "deserto" prima di essere un luogo fisico, concreto, (credo che la maggior parte di voi non c'è mai stata) è un luogo mitico, simbolico, importante per l'antica tradizione di Israele e anche per la tradizione cristiana.
Perché è importante per l'antico Israele? Perché Israele ha fatto del cammino del popolo, dalla schiavitù dell'Egitto verso la "terra promessa" il modello della vita di un credente. È un cammino che lascia dietro le spalle la schiavitù, il male, l'oppressione, l'ingiustizia e va verso il "sogno" e si può fare solo nel deserto... perché nel deserto tutte le cose marginali, che non hanno importanza non si possono portare. Nel deserto si porta solo quello che è indispensabile, si cerca l'essenziale della vita dell'uomo e si cammina con una speranza nel cuore.
Ma il "deserto" è anche luogo della tentazione. La tentazione di fermarsi, di tornare indietro, di non sognare più. C'è anche la tentazione di una religiosità a buon mercato, che cerca gli idoli che possono proteggerci e custodirci, rinunciando a inseguire il Dio della speranza, della giustizia, dell'amore.
Il deserto è lo spazio dell'incontro con Dio, dell'ascolto della Parola. Il luogo in cui si cammina insieme, se uno lascia gli altri, nel deserto è perduto.
Vedete quanti valori Israele trova nel ripercorrere questo cammino nel deserto ed ecco perché ogni profeta dell'Antico Testamento invita a tornare al "deserto". Ecco perché nel Nuovo Testamento, Giovanni il Battista, va nel deserto e là comincia la sua predicazione: si veste di peli di cammello, una cintura intorno ai fianchi, mangia cavallette e miele selvatico: la sobrietà più totale.
Se leggete il Vangelo, anche Gesù ama il deserto, conoscete il racconto dei "quaranta giorni nel deserto", Gesù spesso va nel deserto, in un luogo solitario per riflettere, per cercare i valori essenziali del suo cammino e ha, anche Lui, la tentazione. Anche Lui deve cercare la volontà del Padre. Con i discepoli - spesso - va in cima al monte, lontano dalla folla per cercare Dio.
Dunque, sia Giovanni Battista, sia Gesù amano il "deserto", ma il Vangelo si preoccupa di notare la differenza tra Gesù e Giovanni Battista. Giovanni rimane nel deserto. Si veste in maniera strana, non come la gente di tutti i giorni: mangia cavallette, miele selvatico, fa digiuno...
Gesù è completamente diverso: non si ferma nel deserto. Gesù torna in mezzo alla gente, non si veste in modo strano, si veste come tutti. Gesù non fa digiuni e invita i suoi discepoli a non fare digiuno, per Lui è importante andare tra la gente con un compito che il Vangelo riassume in tre affermazioni: annunciare la Parola, curare i malati: chinarsi sulla sofferenza del mondo e cacciare i "diavoli": (lasciate perdere i diavoli) combattere il male.
Per Gesù bisogna vivere in mezzo alla gente e là non ha importanza il digiuno, il moltiplicare le preghiere, le pratiche religiose. Quello che è importante nella vita di tutti i giorni è il chinarsi sulle persone che uno ha vicino nel tentativo di vivere la tenerezza e l'amore.
Purtroppo nella vita della Chiesa il modello che è stato scelto (specialmente nei primi secoli) non è quello di Gesù, (ed è una cosa che mi colpisce sempre quando ci rifletto) ma quello di Giovanni Battista.
Tanti monaci... (forse qualcuno di voi ha letto i detti dei padri dei deserto) fuggivano dalla città, andavano lontano, vivevano una vita di estrema penitenza, di sacrifico e avevano dentro di sé un grande disprezzo del mondo. Non si poteva stare in questo mondo brutto, cattivo, pieno di violenza, di male... bisognava andare lontano. Là, nella penitenza, nel digiuno, nel sacrificio bisognava cercare solo Dio. È un modello che poi hanno vissuto molti conventi, molti monasteri...
Possiamo farci una domanda: "Fino a che punto questo modello è arrivato fino a noi? Fino a che punto, noi, ce lo portiamo dentro?". Domandatevi un po': "Qual è il vostro atteggiamento, oggi, di fronte a Roma?" Quanti di voi sentono dentro di sé il grido: "È uno schifo! Bisogna andar via, bisogna (scusate la parola) fregarsene di tutto... per noi che crediamo è importante ritrovarci in chiesa, fare qualche opera di penitenza, pregare, acquistare meriti presso il Signore".
Se pensiamo così, permettetemi di dirvelo, siamo fuori del Vangelo! Gesù ci invita a tornare nella "città", a guardarla con occhi lucidi, a scoprire tutto quello che c'è di male e a combatterlo con tutta la nostra forza, ma a guardare anche tutto quello che c'è di bene per costruire qualche cosa e non dobbiamo guardare solo lontano, ai grandi problemi sociali, civili che sono così difficili da affrontare... possiamo guardare ciascuno nelle nostre case, nel nostro comportamento... è là che ciascuno di noi può convertirsi: l'onestà, l'attenzione, il rispetto dello Stato, l'onestà nel pagare tutto quello che si deve, il fuggire da ogni forma di corruzione nella vita di ogni giorno, conservando nel cuore la speranza.
Un cristiano non può rassegnarsi! Come l'antico ebreo non poteva sedersi e tornare indietro verso "l'Egitto"... deve andare avanti, inseguire il sogno: ecco quello che Gesù è venuto a portare in mezzo a noi...
Dunque - vedete - anche a noi ora, come ai discepoli, Gesù dice: "Venite un momento in disparte, in un luogo deserto…". Se io taccio non si sente niente. Non c'è la televisione. Non abbiamo giornali tra le mani. Non sentiamo il rumore della "folla". Qui possiamo ascoltare il Signore, nutrirci di Lui, ma non possiamo rimanere qui. Non possiamo dire: io ha fatto un po' di digiuno, ho pregato e quindi sono a posto!
Conoscete la storia del fariseo e del pubblicano. Il fariseo che va nel tempio e dice: "Signore ti ringrazio, io faccio digiuno due volte alla settimana, pago tutte le decime e non sono come gli altri... ladri adulteri, come quel pubblicano laggiù in fondo". II disprezzo degli altri, il sentirsi giusti, il condannare tutto, il sentire soltanto disgusto… non ci porta poi a chinarci con tenerezza su questo mondo per curarne le ferite.
Il primo compito del cristiano - secondo Gesù e il Vangelo - è cacciare i "diavoli", (i diavoli, non le persone) tutto quello che è male, tutto quello che è corruzione, tutto quello che è ingiustizia, intolleranza...
Ecco il tema del nostro Avvento: anche noi siamo invitati a tornare nel "deserto", a cercare le cose essenziali del cammino della nostra vita, a lasciare almeno un po' tante nostre preoccupazioni, tanti affanni, per chiederci: "Cosa vuole veramente da me il Signore?" E ritrovare il coraggio della speranza, della giustizia, della ricerca del bene nella vita di ogni giorno, con le persone che abbiamo accanto, con i figli, con gli amici, nel lavoro, con la gente che vive con noi, tenendoci lontani da ogni forma di ingiustizia, di corruzione, ma tendendo la mano a tutta quella gente - e c'è ne è tanta - che come me vuole il bene di questo mondo, di questa società: ecco il senso del cammino dell'Avvento!
Tornare al "deserto", fermarsi un momento ad ascoltare il Signore, per poi tornare nel mondo a tentare di vivere la nostra fede.
Il Signore ci aiuti.
"Concepirai un figlio, lo darai IMMACOLATA CONCEZIONE - 8 Dicembre 2014
alla luce e lo chiamerai Gesù..." Luca 1, 26-38
Quando eravamo ragazzi, e anche un po' dopo, ci dicevano che ogni bambino nasce con il peccato originale, la colpa di Adamo ed Eva che ha attraversato i millenni fino ad arrivare ad ogni bambino che nasce sulla terra e soltanto il Battesimo può liberarlo da questo peccato, da questa colpa che i secoli hanno portato fino a lui e solo Maria, tra tutti gli esseri umani, è stata concepita senza questo peccato.
Forse è successo anche a voi di chiedere: (una domanda che ho sentito infinite volte, soprattutto dai ragazzi) "Ma che colpa ho io per il peccato di Adamo e di Eva. Perché le colpe dei padri e addirittura degli antenati ricadono sui figli?" E balbettavano risposte: "Ma è il progetto del Signore, la salvezza viene poi con Gesù"
A quel tempo ci dicevano anche che un bambino della Cina o del profondo dell'Africa che non era battezzato non poteva andare in Paradiso, non poteva vedere Dio. Per lui c'era un posto un po' speciale chiamato Limbo. (Adesso del Limbo non ne parla più nessuno) Allora domandavamo: "Ma come è possibile che un bambino che non ha nessuna colpa non possa godere come gli altri bambini?" Le risposte (forse vi è capitato di ascoltarne qualcuna) erano del tutto insufficienti per noi che cercavamo di capire.
Succede questo quando il mito, il racconto simbolico diventa il racconto di un fatto veramente accaduto. Qui si tratta di uno dei grandi simboli della storia dell'umanità.
Rifletteteci un momento... un bambino nasce innocente, (di questo penso ne siate tutti convinti, non ha fatto nulla di male, non poteva fare nulla di male) ma nasce in un mondo innocente? Il mondo in cui nasce... a volte la sua famiglia, a volte quelli che lo hanno preceduto sono innocenti?
Pensate (per fare degli esempi estremi) a un bambino che nasce in una famiglia mafiosa e fin da piccolo fa parte dell'ingiustizia dei suoi genitori, dell'ambiente in cui vive, ascolta le regole della mafia, anche il dovere di uccidere eccetera, eccetera. Questo bambino nasce e cresce profondamente segnato dal male che c'è intorno a lui. E succede per tutti noi, tutti siamo stati segnati, almeno un po', dal peccato dell'umanità.
L'umanità è stata attraversata da lotte, da guerre, da violenze, da sopraffazioni, da sfruttamenti, da schiavitù e quant'altro e - quindi - un bambino che nasce si trova a vivere in questo mondo, è circondato, condizionato dal peccato che può mettere radici anche dentro di lui. Può cominciare - anche lui - a farne parte e condizionare quelli che vengono dopo.
Quando fate questo discorso (apro una parentesi) per capire il tema del peccato originale, non dimenticate mai che c'è anche un "bene originale", perché - per fortuna - quelli che sono vissuti prima di noi non hanno fatto solo il male, ma - anzi - hanno fatto più bene che male e anche questo bene fa parte della nostra eredità.
Io che sono stato particolarmente fortunato (lo dico sempre) ho avuto l'eredità del bene, del rispetto, della tenerezza, dell'amore di mio padre, di mia madre, dei miei nonni e di tante altre persone. Noi siamo eredi di tutta una storia di bene… pensate a san Francesco, ma pensate soprattutto a tanta gente di tutti i giorni che cercava la pace, la giustizia, il bene, eccetera. (chiusa la parentesi)
Ogni bambino che nasce è innocente, ma il mondo in cui nasce non è innocente.
Non solo, il racconto che abbiamo ascoltato ci fa intuire qualche cosa di quello che è il peccato. Anche qui siamo in un racconto mitico, simbolico. Non potete pensare alla "mela"... c'è qualche cosa di molto più grosso... il male non consiste nel mangiare una mela. Quella "mela" è il simbolo della conoscenza del bene e del male. Più del conoscere il bene e il male è il simbolo dell'appropriarsi del bene e del male. C'è il peccato quando l'uomo ritiene di essere, lui, il criterio del bene e del male: "Faccio (per usare parole semplici) quello che mi pare e se qualcuno mi da fastidio lo faccio fuori... perché, io, sono il criterio. Quello che fa comodo a me, quello che piace a me è bene e quello che non piace a me è male e cerco di combatterlo".
Questo porta (come avete ascoltato nella prima Lettura) al conflitto, alla sfiducia. Adamo non si fida più di Eva. Eva non si fida più di Adamo e hanno paura. Entra la paura nel mondo nel mondo nel momento in cui l'uomo vuole essere l'arbitro del bene e del male. Non c'è più la fraternità. Non c'è più il prendersi per mano, il riconoscersi fratelli, il voler camminare insieme. Non c'è più l'ascolto di Dio e della sua Parola. Non c'è più la ricerca di quello che è veramente bene, aldilà di quello che fa comodo a me. Non sono io il centro del mondo! Non sono l'unico su questa terra. Ho intorno a me fratelli che hanno i loro diritti, la loro dignità di uomini... con loro non posso che camminare insieme.
Allora - vedete - nella pagina del Vangelo che abbiamo letto Maria diventa il simbolo del credente. Il simbolo - cioè - di chi riesce ad andare aldilà del male e come...? Accogliendo il progetto di Dio, accogliendo la volontà del Padre. Maria è capace di dire il suo sì. Ha paura, è sola, deve generare un Figlio, eppure: "Avvenga per me secondo la tua parola". Si dona a Dio. Si dona alla vita. Si dona a noi, al mondo. È lei il modello della donna giusta, di colei che sa andare aldilà del male, che sa superare il peccato in cui anche lei è coinvolta perché, anche Maria, il mondo del male lo aveva intorno e lo ha sentito profondamente nella sua vita: ha visto morire suo Figlio e forse non uno solo. Probabilmente due o tre dei suoi figli sono morti ammazzati e nonostante questo, fino alla fine ha detto il suo sì. Ha scelto il bene. Ha scelto la giustizia. Ha scelto l'amore. Non ha fatto di sé il centro del mondo. È stata capace di aprirsi, di donarsi e così è diventata la madre di Gesù e anche la madre della Chiesa.
Dunque in questo cammino verso il Natale, quando diamo (come abbiamo fatto anche ieri) uno sguardo al mondo, alla cattiveria dei mondo, al marcio che c'è intorno a noi e che - qualche volta - mette radice anche dentro di noi, guardando Maria possiamo dire: "Possiamo farcela".
Se ci apriamo a Dio e alla sua grazia, se diciamo anche noi il nostro sì, se ci riconosciamo fratelli possiamo anche noi portare nel mondo un po' di bene. Non facciamo parte più del "male originale" o almeno cerchiamo di non farne parte... cerchiamo anche noi di far parte del "bene originale", quelli che vengono dopo di noi, dovrebbero trovare - anche per merito nostro - il mondo un po' migliore. Un po' del peccato originale se ne va. Un po' del bene originale cresce ed è il compito di ogni credente. Maria ce lo ha insegnato e speriamo di seguirla.
Il Signore ci aiuti.
Giovanni rispose: "Io battezzo III DOMENICA di AVVENTO - 14 Dicembre 2014
nell'acqua. In mezzo a voi sta Giovanni 1, 6-8.19-28
uno che voi non conoscete..."
Ancora (come domenica scorsa) ascoltiamo Giovanni il Battista, questa volta nel Vangelo di Giovanni… quando leggo questa pagina mi colpiscono due parole: una la troviamo ripetuta quattro volte: Giovanni è il testimone, viene a dare testimonianza e poi l'altra: Giovanni dice: "In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete".
Queste parole (ormai da molto tempo) dentro di me hanno trovato uno spazio tutto particolare perché rappresentano - in qualche modo - la mia avventura di credente, il mio cammino di uomo che ha cercato di conoscere il Signore.
Vedete - ho avuto la fortuna, durante tutta la mia vita, di incontrare tanti testimoni che mi hanno fatto pian piano - in qualche modo - conoscere Colui che io "non conoscevo". E nella mia vita di sacerdote ho sperimentato tante volte che in mezzo al popolo cristiano c'è veramente uno che non conosciamo: Gesù di Nazareth.
Quando ero bambino mi facevano imparare a memoria le rispostine del catechismo ed ero bravo e le imparavo tutte e credevo di sapere, di conoscere: "Chi è Gesù?". "Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo". Gesù è Dio venuto in mezzo a noi… e credevo di sapere chi fosse Dio!
Dio è onnipotente, sa tutto. Dio ti conosce, ti giudica. Vedevo Gesù in quell'occhio un po' inquietante inserito nel triangolo (chi ha i capelli bianchi lo ricorderà) e da Lui mi sentivo giudicato e - qualche volta - condannato. A Gesù ricorrevo nel momento del bisogno. Credevo che custodisse la mia vita e mi facesse andar bene le cose, anche se non mi preoccupavo di farle andar bene.
Poi... poi ho incontrato delle persone straordinarie! Quando avevo sedici, diciassette anni ho avuto la fortuna di incontrare un gesuita dal quale andavo a confessarmi e che mi ha fatto leggere e rileggere nel Vangelo tutte le parole che ci descrivono la fragilità di Gesù, la sua paura davanti alla morte, il suo sgomento di fronte alla sua sofferenza, la sua ansia fino - addirittura - (per usare le parole del Vangelo) a "sudare sangue". Mi ha fatto contemplare Gesù (lo faremo anche noi il prossimo Natale) nella capanna di Betlemme piccolo, indifeso e sulla Croce soprattutto: tutt'altro che onnipotente! Dio si è manifestato a noi nell'impotenza più totale. È un Dio che non può far nulla, che ci tende le mani e ci chiede qualche cosa.
E mi ha fatto vedere che il giudizio che mi pesava e portava sensi di colpa dentro di me... era inutile - anzi - dannoso per il mio crescere. Mi ha fatto scoprire nel Vangelo Gesù che va incontro a chi ha sbagliato per mettergli la mano sulla spalla, per risollevarlo, per dargli la speranza di camminare ancora. Gesù è venuto veramente a cancellare ogni senso di colpa, così diffuso nella storia dell'umanità, dal cuore dell'uomo.
Quando ero ragazzo mi educavano all'ubbidienza... l'ubbidienza in casa... (era abbastanza scontata) ma soprattutto quando ho cominciato a interessarmi delle cose della Chiesa: l'ubbidienza all'autorità, al Papa, ai vescovi, anche al parroco, l'ubbidienza alla tradizione, l'osservanza di tutte le regole, l'ubbidienza ai dogmi: bisognava credere senza fare domande e poi...
Poi quando sono entrato in seminario per diventare prete ho incontrato uno straordinario vecchio, (così lo chiamavamo: il vecchio) un uomo che con la sua vita, prima ancora che con le sue parole, mi ha testimoniato che si può stare nella Chiesa soltanto a testa alta, rimanendo liberi, cercando le cose essenziali, avendo il coraggio di andare aldilà della tradizione, avendo il coraggio di "disubbidire". Non è l'ubbidienza la virtù, è la responsabilità, la ricerca delle cose essenziali… poi ho scoperto che nel Vangelo Gesù è il grande "disubbidiente". Ha disubbidito a tutti: alle autorità politiche, religiose. Ha disubbidito alla sua famiglia... se n'è andato di casa e lo vanno a cercare. Ha disubbidito ai suoi discepoli. Ha contestato il tempio, le tradizioni religiose sempre alla ricerca di quello che è essenziale: Gesù il grande "disubbidiente".
Poi son diventato prete e abbiamo cominciato a leggere insieme il Vangelo di Matteo e ricordo ancora (son passati quasi cinquant'anni) il discorso appassionato di un giovane universitario che ci parlava del Regno di Dio, qui, in mezzo a noi, del regno della giustizia, della ricerca della pace, della libertà che Gesù ci portava e dell'impegno nostro a costruire il Regno.
Poi ho incontrato i bambini e nella loro semplicità - forse più che in tanti discorsi letti sui libri - ho trovato la vicinanza di Gesù di Nazareth e ho intuito qualche cosa di fondamentale. Forse niente di più della frase di un bambino che alla domanda: "Cosa significa che Gesù è risorto?" Rispondeva: "Che aveva ragione Lui!" Forse niente di più si può dire sulla Risurrezione del Signore... la semplicità dei bambini che ti fanno intuire le cose essenziali.
Per sorridere un po'... nella mia esperienza mi dicevano - quando ero bambino - che per essere dei bravi ragazzi bisognava fare molti fioretti: osservare tutti i digiuni, fare delle rinunce, perché al Signore è gradita la sofferenza...
Poi ho avuto la fortuna di incontrare tante brave signore e anche dei signori che sapevano cucinare dei pranzi straordinari e ho scoperto che un buon pranzo loda il Signore molto più di decine di digiuni (i digiuni - purtroppo - poi te li fanno fare i medici). Un sorriso, un momento conviviale, il condividere un buon cibo o un buon bicchiere di vino è qualche cosa che fa piacere al Signore più di tanti digiuni. Credo che il Signore ami la gioia e non la rinuncia e la sofferenza. E poi ho letto nel Vangelo che Gesù mangiava e beveva e forse amava i buoni pranzi cucinati da Marta.
Quando ero giovane mi dicevano che fuori della Chiesa non c'è salvezza, che se uno non è battezzato e non crede in Gesù non può salvarsi.
Poi ho avuto la fortuna di incontrare tante persone che non venivano a Messa, che dicevano di non credere, ma che sapevano dare da mangiare e da bere, che sapevano chinarsi a curare i malati, che sapevano consolare gli afflitti e ho scoperto che nel Vangelo Gesù parlava di loro: "Ho avuto fame e m'hai dato..." "Quando, Signore?" Noi non lo possiamo dire: "Quando". Un pagano sì, uno che non conosce Gesù.
Quello che è importante non è pregare, avere fede, venire in chiesa. Quello che è importante è chinarsi sulla sofferenza dell'uomo e aiutare chi è in difficoltà: questo ci ha insegnato Gesù.
E per tutta la mia vita, fin da quando ero un piccolo bambino, mio padre e da mia madre e poi tante, tante persone giovani, adulti, anziani... la tenerezza degli anziani è qualche cosa di straordinario... quando ormai la vita si fa piccola resta soltanto la tenerezza e - qualche volta - il sorriso dolce che - forse - solo una persona che ha a lungo vissuto può comunicarti.
Tutte queste persone mi hanno comunicato la fame e la sete di giustizia, il desiderio dell'onestà, la mitezza, la capacità della misericordia, il rispetto dell'altro, il cercare la pace: ecco, la mia vita è piena di testimoni che, pian piano, mi hanno fatto conoscere Colui che io non "conoscevo".
Era in mezzo a noi, camminava con me, ma non lo "conoscevo". Quando mi guardo indietro e ricordo tutte queste persone (forse è la vecchiaia) non posso che commuovermi, molti di questi non ci sono più... sono stati per me i "testimoni" e mi hanno fatto scoprire il Signore.
Allora - vedete - per concludere... se qualcuno di voi pensa che io dica - quando predico qui - delle cose abbastanza assennate... oggi lo sapete, non è farina del mio sacco, ma lo devo a tante, tante persone che ho incontrato. Tante persone che sono state per me testimoni di Gesù. Spero che qualche cosa di simile sia successo anche a più d'uno di voi.
Il Signore ci aiuti.
"Rallegrati, piena di grazia: il Signore IV DOMENICA di AVVENTO - 21 Dicembre 2014
è con te... concepirai un figlio, lo darai Luca 1, 26-38
alla luce e lo chiamerai Gesù".
Mi corre l'obbligo di farvi una breve premessa alla predica di oggi. Quello di cui tento di parlare è l'attesa di un figlio. Noi aspettiamo Gesù per Natale, ci prepariamo ad accoglierlo nella nostra vita, a farlo nascere nel nostro cuore... chi più di una mamma e dell'esperienza di una mamma può aiutarci ad accogliere Gesù? Dunque dirò parole sull'attesa di un bambino.
Dopo la Messa precedente una signora (se ho capito bene ha una figliola che desidera avere un bambino, ma non riesce ad averlo) mi diceva: "Si ricordi anche di loro... di quelli che desidererebbero un bambino, ma non lo hanno".
Se c'è qualcuno tra voi che potrebbe, dalle parole che tenterò di dire stamattina, sentire un po' di dolore nel proprio cuore... non posso che chiedere scusa, ma non si può dire sempre tutto e della possibilità di vivere la paternità e la maternità anche senza avere un figlio proprio, parleremo un'altra volta. Oggi vorrei parlare per me e per voi dell'attesa di un bambino, perché noi siamo qui ad attendere Gesù.
Giovedì prossimo sarà Natale, aspettiamo il Signore che nasca nel nostro cuore, nella nostra vita. Chi meglio di Maria, di una mamma può insegnarci cos'è aspettare un figlio?
Vedete - nella mia lunga vita ho avuto la fortuna di condividere l'attesa di un bambino con tante giovani donne e di ascoltare le loro confidenze e per molte di loro era il primo figlio, ascoltando loro, mi è sembrato di capire un po' Maria e, riflettendo su questa pagina del Vangelo e su Maria, mi è sembrato di capire un po' loro.
Maria aspetta un figlio che è non totalmente suo: è Figlio di Dio! Viene da un'altra dimensione. Viene dalle profondità della vita.
"I vostri figli - dice una poesia di Gibran - non sono figli vostri, sono i figli e le figlie della forza stessa della vita". Quello che vale per Maria, vale per tutti, per tutte le mamme e l'ho sperimentato ascoltando le loro confidenze. Aspettare un figlio è vivere il mistero... qualche cosa che cresce dentro di te lentamente e non sai come e non puoi che vivere lo stupore... lo stupore totale, la meraviglia e non puoi fare altro che aspettare, guardare, sentire, provare sensazioni... il primo movimento, il battito del cuoricino. Lo stupore di una vita che nasce e che è infinitamente più grande di te.
Puoi preparare una buona minestra, ci puoi mettere tutto l'impegno; preparare un pranzo per gli amici... è una cosa allegra, importante... ma un figlio è totalmente un'altra cosa! Un figlio è mistero. Nel figlio c'è la vita, la vita che nasce, che si sviluppa e non può esserci che lo stupore, la meraviglia, il fare spazio, l'accoglienza.
Di più... ascoltando le confidenze di queste giovani donne ho partecipato alla loro ansia, ai loro dubbi: "Come sarà questo bambino? Sarà sano, sarà bello, crescerà forte e cosa diventerà?"
E anche i desideri che quel figlio sia in un certo modo, che - magari - ami la musica come la ama la mamma; che gli piaccia leggere; che diventi una persona importante; che ami studiare; che sia una persona ubbidiente, corretta, attenta… la tentazione di farsi un'immagine del figlio... un'immagine a propria somiglianza: "così ti vorrei" ed è rischioso, perché il figlio si accetta così com'è, ma questo me l'ho sentito dire molte volte: "Non mi importa se è maschio o femmina, non mi importa se è sano o non sano: è figlio!".
Questo comporta un'altra cosa che ho sperimentato con loro: un figlio ti chiede tutto. Un figlio ti pone esigenze totali... è quello che oggi molti giovani (per quello che ho capito) sentono. Vedete - un tempo, quando uno si sposava sentiva il senso dell'indissolubilità, un matrimonio è per sempre, oggi no. Oggi ci si può separare... ma un figlio no! Un figlio è per sempre. Un figlio ti chiede tutto. Un figlio vuole tutto da te. Un figlio vuole un impegno totale, l'impegno a seguirlo, a custodirlo, ad amarlo. Un figlio è per sempre. Un figlio chiede tutto.
Qualcuno sente che un figlio ti toglie anche un po' di libertà: 'Forse non potrò più ad andare a fare una crociera. Forse non potrò più andare a fare quei lunghi viaggi che facevo quando ero più giovane. Forse non potrò più... un figlio mi toglie anche un po' di libertà".
Eppure ho ascoltato da loro… il figlio ti da tutto! Un figlio ti fa diventare diversa. Un figlio completa la tua umanità. Un figlio ti fa sentire una donna che ha generato, che ha fatto nascere un'altra vita: cosa c'è di più bello e di più importante? Essere mamma! E qui capisco il discorso che ho sentito prima della Messa: "Pensi a quelli che non possono... Può essere una ferita nel cuore che si risana difficilmente non avere la gioia di avere un figlio". Un figlio ti chiede tutto, ma ti da tutto, ti da la pienezza della vita.
Ora - vedete - tutto questo potrebbe aiutarci a capire l'attesa del nostro Natale. Il Figlio che viene ci chiede tutto: "Chi perderà la propria vita per me, la salverà" - arriva a dire il Vangelo - Un figlio ti chiede tutto, ti chiede un impegno totale - a volte - addirittura di rischiare la vita, ma un figlio come Gesù ti da tutto, ti da la pienezza della vita, la libertà, ti da il senso che la tua vita abbia un valore assoluto, che sia ricca di umanità...
Questo Figlio che nasce ci chiede tutto, ma ci da tutto. Ci da il senso di essere figli: figli di Dio!
Anche noi come una mamma che aspetta, possiamo sentire e - forse - faremmo bene a sentirla l'ansia... "Ma chi sarà questo figlio, cosa vorrà da me, come nascerà nella mia vita?"
Vedete - noi siamo abituati alle rispostine del catechismo: "Il bambino che nasce è Dio" quindi è onnipotente, sa tutto, mi giudica - qualche volta - mi condanna. La tentazione della mamma è di sapere come sarà il figlio... occhi spalancati, non sappiamo come sarà questo Figlio in concreto nella nostra vita... non ci resta che fargli spazio, accoglierlo così com'è: questo Figlio viene da Dio. Questo Figlio viene dall'oltre, dalle profondità della vita e non può che suscitare in noi tutto lo stupore e la meraviglia di cui siamo capaci.
Ci ritroveremo qui (chi vuole) nella notte o nella mattina di Natale per guardare questo Bambino che nasce, che nasce per noi, che ci tende le mani; ci chiede la vita, ma ci dona la vita, la pienezza della vita. Maria ci insegni ad accoglierlo. Ci insegnino tutte le mamme del mondo ad aspettare un bambino, a farlo nascere nella nostra vita e nel nostro cuore.
Il Signore ci aiuti.
"…vi annuncio una grande gioia: oggi è nato NATALE del SIGNORE - 25 Dicembre 2014
per voi un salvatore, che è Cristo Signore Luca 2, 1-14
Questo per voi il segno: troverete un bambino
avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia"
La fantasia della comunità di Luca... una fantasia che ho sempre ritenuto straordinaria, ci ha consegnato questo stupendo racconto e noi, facendo appello a tutta la nostra fantasia, siamo invitati a rivivere questo momento e, allora, se volete provare, andiamo laggiù, lontano in quel piccolo angolo del mondo che è la Palestina.
Siamo al limite del deserto: gente povera, semplice... siamo fuori da Gerusalemme e nella notte andiamo nella campagna.
È notte... una notte in cui non c'è luce; non c'è luce intorno, ma in parte non c'è luce dentro di noi, perché ancora oggi come dice l'antico profeta: "Le calzature dei soldati marciano rimbombando". Anche oggi tenebre avvolgono la terra!
Queste tenebre ce le portiamo dentro camminando nella notte, le stelle brillano alte nel cielo, ma - forse - sono troppo alte per noi, non illuminano il nostro cammino… e - finalmente - scorgiamo un fuoco di poveri pastori che stanno lì a riscaldarsi, facendo la guardia al loro gregge. Ci fermiamo con loro perchè nella notte è bene avere qualcuno con cui scambiare una parola, condividere un pezzo di pane.
Ed ecco, a un certo, punto la luce e la voce dell'angelo: "È nato per voi il Salvatore. Vi annuncio una grande gioia". Andate e troverete Colui che aspettate. Troverete il Signore. Troverete Dio.
E ci incamminiamo con loro, forse ci aspettiamo di trovare un palazzo, un posto importante... una grotta e nella grotta una stalla, una mangiatoia... quanto di più povero... non c'è niente... La tradizione dice: un asino, un bue: gli animali semplici della vita di tutti i giorni.
Guardate un momento Maria: gli occhi stanchi, il sorriso disfatto, la fatica del parto. Guardate Giuseppe: si aggira tentando di far qualcosa (come spesso succede ai padri in questo occasioni) e non sa cosa fare e guarda e cerca - forse - un po' di acqua calda, ma non c'è nemmeno quella, non c'è niente!
Ora vi ci vuole una sforzo di fantasia ancora più grande perchè è bene che diamo uno sguardo al Bambino: è Lui che nasce per noi!
Ora guardate questo bambino che abbiamo messo nel presepe... secondo voi quanti mesi ha? Ho interrogato qualcuno... stavo con due nonni qualche giorno fa davanti a un presepe e uno mi diceva: "Otto o nove mesi - un altro - forse un anno" . Stamattina un dottore confermava: "Otto o nove mesi". I capelli già formati, gli occhi aperti, spalancati...
Molti di voi hanno visto un bambino appena nato. Non è così! Un bambino appena nato è piccolo, spesso bruttino, qualche volta macchiato dall'ittero, (mette un po' di ansia al papà e alla mamma) sporco di sangue: ecco guardatelo con gli occhi della fantasia quel Bambino, perché così si manifesta Dio!
Noi ci aspettiamo - a volte - un Dio onnipotente, un Dio che risolve i problemi del mondo, che cambia la storia e, se non proprio la storia, almeno un po' il nostro cuore. Guardatelo quel Bambino: ha bisogno di tutto! Ha bisogno di aria. Ha bisogno di latte. Ha bisogno di vestiti, ma - soprattutto - ha bisogno di noi.
A noi chiede... chiede la tenerezza, chiede l'accoglienza; vorremmo stringerlo tra le braccia quel Bambino, ma è troppo piccolo... non si può, lasciamolo alla mamma! La mamma tira fuori il suo seno e gli da il latte... le prime ciucciate, dopo gli strilli della nascita: comincia la vita! Dio viene a camminare con noi! Non siamo più soli, c'è Dio che cammina con noi per le strade del mondo.
Ci viene a portare la sua luce, la sua tenerezza, la sua gioia. L'angelo ci aveva promesso: "Vi annuncio una grande gioia". C'è in tutti noi gioia?
Forse c'è qualcuno tra voi, oppure avete qualcuno a casa... soltanto ieri ho incontrato qualcuno a cui è morta una persona cara, qualcuno che ha un figlio in difficoltà e - allora - è un Natale senza gioia... in nome di Dio, non dite a queste persone che se uno non è gioioso non è cristiano, non glielo dite nemmeno se lo dice il Papa!
Se siete capaci fate una carezza, solo una carezza e niente più. Fate sentire vicino la vostra tenerezza e non parlate di gioia. Forse c'è qualcuno tra voi stamattina che ha il cuore pesante... vorrei poter fare una carezza, ma non ne sono mai stato capace in tutta la mia vita e -allora - provate a sentire (se vi riesce) la carezza di Dio. Una carezza leggera, impotente, perché il Dio che si manifesta nella nostra vita è tutt'altro che onnipotente.
È un Dio che si affida a noi, che ci chiede di camminare con lui verso la terra della libertà, della vita, dell'amore, della condivisione. Ci chiede di camminare con Lui, compagno di strada e - allora - prendiamolo per mano... adesso ancora non possiamo, è troppo piccolo, ma poi crescerà e potremo camminare con Lui verso la terra del sogno, verso la terra della giustizia e del bene.
Sarà un cammino - a volte - faticoso e ancora conosceremo le tenebre, ma possiamo invocarlo perché conservi la sua luce dentro di noi.
Il Signore ci aiuti.
Quando furono compiuti i giorni della loro SANTA FAMIGLIA di GESÙ - 28 Dicembre 2014
purificazione, portarono il bambino a Luca 2, 22-40
Gerusalemme per presentarlo al Signore
Oggi celebriamo la festa della famiglia di Nazareth e sul vostro foglietto c'è come titolo: la famiglia di Nazareth un vero modello di vita.
Penso che molti di voi (come me) hanno ascoltato, nella loro vita, molte prediche sulla famiglia di Nazareth come modello di ogni famiglia.
Quando ero bambino - soprattutto - mi presentavano Gesù come modello di ubbidienza al papà e alla mamma... poi crescendo ho cominciato a scoprire un po' il Vangelo aldilà delle ricostruzioni un po' mitiche che ci propinavano quando eravamo ragazzi.
Ho visto (ma penso che lo avrete notato anche voi) che se c'è una famiglia scombinata è quella di Gesù: il padre che non è padre, la madre che è vergine, il Figlio che viene da un'altra dimensione e non solo, ma questo Figlio è un po' "screanzato" perché a dodici anni, quando va al tempio, (almeno a leggere più avanti il Vangelo di Luca) se ne va in giro per tre giorni, lasciando il padre e la madre e quando lo ritrovano risponde pure bruscamente.
A trent'anni lascia il lavoro, se ne va di casa, la madre e i fratelli sono preoccupati e devono andare a cercarlo perché pensano che sia diventato matto. Insomma se vi sembra questo un modello di famiglia...
Allora - forse - ci conviene ripensare a questa famiglia di Nazareth per guardarci intorno e chiederci: "Le famiglie di oggi come stanno?" E allora trovate famiglie sposate in Chiesa o solo in Comune o non sposate affatto, famiglie con una sola persona: il padre o la madre sono rimasti soli, il marito o la moglie si sono lasciati. Ci sono famiglie in cui si sono risposati due - qualche volta - tre volte. Ci sono famiglie in cui la coppia è composta da due donne oppure da due uomini.
Poi guardate i bambini: ci sono bambini che sono rimasti con un solo genitore. Ci sono bambini che ne hanno due, qualcuno ne ha tre, qualcuno quattro, si moltiplicano anche i genitori. Ci sono bambini che hanno una coppia di papà o di mamme. Ci sono famiglie che sono andate lontano dalla loro terra e - quindi - i nonni non possono più vedere i loro nipoti. Ci sono bambini che sono stati adottati, bambini affidati, bambini... (il mondo moderno è complicato) che sono stati - addirittura - fabbricati...
Ci sono gli uteri in affitto e cose di questo genere... si piglia l'uvulo da una donna di là, il seme di un uomo di qua, si trova un'altra donna che si presti a portare avanti la gravidanza e si fa un figlio: è figlio, è creatura di Dio! Allora, guardando questo mondo e ricordandoci della famiglia di Nazareth - forse - dobbiamo tornare all'insegnamento fondamentale di Gesù... (io, almeno, lo ritengo fondamentale).
Quello che conta non sono i modelli, le regole, le tradizioni... quello che conta sono le persone! Questa persona concreta, soprattutto se è in difficoltà... e una famiglia è la dove c'è affetto, tenerezza, amore.
Se sono uno o due o tre o quattro i genitori, se si vogliono bene, se hanno rispetto gli uni con gli altri, se si danno da fare per i figli, se sanno (in qualche modo) condividere la vita... allora lì c'è il bene, c'è la vita.
E poi i bambini se sono circondati di tenerezza, di affetto, crescono liberi e sani.
Gli antichi romani dicevano (scusate il latino): "Maxima debetur puero reverentia" Al bambino si deve un assoluto rispetto, anche se qualche volta sono un po' screanzati, proprio come Gesù di Nazareth!
Il Signore ci aiuti.
In principio era il Verbo, e il Verbo era II DOMENICA dopo NATALE - 4 Gennaio 2015
presso Dio e il Verbo era Dio... in lui era Giovanni 1, 1-18
la vita e la vita era la luce degli uomini...
Soltanto chi ha la mia età (ormai veneranda) forse ricorda che questa pagina del Vangelo un tempo veniva letta in tutte le Messe. Alla fine della Messa, prima del congedo (a quel tempo era tutto in latino) si leggeva questa pagina del Vangelo di Giovanni. Era - evidentemente - ritenuta dalla tradizione cristiana una pagina fondamentale, degna di essere letta ogni volta che si celebrava l'Eucaristia. Adesso si legge una volta l'anno e qualche volta nemmeno tutti gli anni.
Cambia la sensibilità e queste parole un po' astratte, a noi parlano con difficoltà. Per i primi cristiani erano parole importantissime: cercano di definire chi è Gesù.
Questa pagina del Vangelo tenta di rispondere alla domanda: "Chi è Gesù?" E danno (come avete ascoltato) delle risposte. Comincia qui quel lungo cammino (un cammino faticoso, complesso, a volte anche drammatico) che porta fino al Credo, che si recita normalmente la domenica.
Cerchiamo di vedere cosa questi primi cristiani tentano di comunicarci... ripeto... la domanda è: "Chi è Gesù?" E usano per rispondere a questa domanda l'Antico Testamento, la grande tradizione di Israele... usano anche la filosofia greca (questo ci complica un po' la vita) per tentare di definire, di dare una risposta, quasi una rispostina del catechismo.
Vorrei - oggi - attirare la vostra attenzione su tre parole... (poi ce ne è anche una quarta) tre parole che avete ascoltato più volte in questa pagina del Vangelo.
La prima parola è - purtroppo - una parola che non è stata tradotta e non so perché! Qualche volta, nella tradizione non si traduce il greco e il latino... La parola su cui voglio attirare la vostra attenzione è: Verbo. "In principio era il Verbo..." Se avessimo tradotto avremmo dovuto dire: "In principio era la Parola" (così si traduce in italiano "verbum").
Perché alla domanda: "Chi è Gesù?" la prima risposta é: "la Parola"?
Vedete, (se ci pensate un momento) la parola è qualche cosa di fondamentale nei nostri rapporti umani. Con la parola ci esprimiamo, ci capiamo, possiamo comunicare i sentimenti del nostro cuore, possiamo costruire insieme qualche cosa... se non avessimo inventato la parola saremmo ancora alla civiltà delle scimmie. È la parola che da spazio al progresso, alla civiltà umana, ai rapporti interpersonali eccetera...
L'antico Israele - allora - pensa che è fondamentale la "Parola" di Dio: (la parola ebraica è Dabar lahvè: "Parola di Dio") Dio parla, vuole comunicare qualche cosa alla sua gente. È una comunicazione sempre misteriosa, ma - in qualche modo - Dio tenta di entrare in contatto con l'uomo, di dire qualcosa all'uomo.
Voi ricordate (per esempio) il "roveto ardente" da cui Mosè ascolta la voce del Signore. Ricordate come sul Sinai Dio consegna a Mosè la sua legge. Dio parla!
Questa parola è anche una parola efficace, è la parola che libera, che fa uscire il popolo d'Israele dalla terra di Egitto, dalla terra della schiavitù, verso la libertà.
Di più... la parola per l'antico Israele è addirittura una parola che crea. Voi conoscete tutti il racconto della Creazione del mondo... Dio disse... e la luce fu. Dio disse... e il mondo fu creato. È la parola che crea il mondo.
Ecco - allora - i primi cristiani quando si pongono la domanda: "Chi è Gesù" La prima risposta che danno è: "La Parola". La Parola di Dio. La parola che salva, che comunica, che crea... si è finalmente fatta "carne". Ormai non è più una parola misteriosa che parla da un "roveto" in fiamme. Ormai parla le nostre parole. Ormai è parola diventata "carne"... uno di noi e possiamo ascoltarlo e possiamo attraverso le sue parabole, i suoi racconti intuire qualche cosa di Dio, di quel Dio che "nessuno ha mai visto". La parola di Gesù, anzi Gesù che è Parola, in qualche modo, ce lo fa conoscere!
La seconda parola che avete ascoltato è: "luce". Gesù è la luce. "La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta". La luce... Ecco per i primi cristiani Gesù è Colui che illumina il cammino dell'uomo. Mette in contatto l'uomo con i valori essenziali della vita, che fa conoscere il senso ultimo degli avvenimenti. Fa riconoscere il fratello: nell'uomo che ci sta accanto non possiamo vedere il nemico: è un fratello. La luce di Gesù illumina il volto dell'uomo. Ce ne fa scoprire il senso profondo, la sua intimità: Gesù è la Luce!
Di più... avete ascoltato: Gesù è la vita! I primi cristiani pensano che il credente vive di Gesù! Se leggete le lettere di Paolo trovate scritto che - secondo lui - il Battesimo è un passaggio dalla morte alla vita. "Voi siete morti con Cristo per vivere con Lui una vita nuova". Paolo arriva a dire: "Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me". È il sogno dei cristiani: vivere la vita stessa di Gesù. Rivestirsi di lui. Immedesimarsi in Lui, quasi a diventare dei "nuovi" Gesù, che vivano i suoi sentimenti, gli ideali del suo cuore, i sogni della sua vita.
Dunque... alla domanda che i primi cristiani si pongono: "Chi è Gesù?" danno delle risposte che forse per noi suonano un po' astratte, ma per loro sono risposte che vengono dal profondo della loro esperienza: "Chi è Gesù?" "Gesù è la Parola. Gesù è la Luce. Gesù è la Vita"
Nella grazia! Avete ascoltato anche questa parola... grazia. È gratis! È gratuito il rapporto con Dio. Gesù si dona a noi gratuitamente. Non ci chiede - come nell'antico Israele - i sacrifici, le rinunce, l'osservanza... è gratis! Il nostro rapporto con Dio è nella gratuità. Non è il Dio di cui abbiamo bisogno, che risolve le difficoltà della vita: è il Dio che incontriamo nella "luce". È il Dio che incontriamo nella capacità di vivere. È il Dio dell'amore. È il Dio della pienezza, della libertà. È il Dio della Parola. Parola che salva, che crea, che ci trasforma… ed è gratis.
Anche noi, in quest'anno che ci sta davanti, tenteremo di vivere Gesù come Parola, che ci parla; come Luce che illumina i nostri passi e il volto dei fratelli; come Vita che possiamo condividere con Lui nella gratuità.
Gratuità nel rapporto con Dio, gratuità nel rapporto con i fratelli: l'amore è gratuità.
Il Signore ci aiuti.
Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. EPIFANIA del SIGNORE - 6 Gennaio 2015
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria Matteo 2, 1-12
sua madre, si prostrarono e lo adorarono.
È successo anche quest'anno (almeno a me, ma forse anche a qualcuno di voi) di ascoltare in una trasmissione televisiva delle persone che si intendono di stelle, discutere su quale potesse essere la stella di cui parla il Vangelo di Matteo, una stella, un pianeta, una combinazione di pianeti...
Ora (secondo voi) si può andare a cercare fra le stelle o tra i pianeti, una luce che sorge da una parte, guida delle persone nel cammino, quando si entra in città sparisce, poi ricompare, guida queste persone fino a una casa, si ferma sulla casa.... Si può cercare nel cielo una stella così? Certamente no!
Questo è dovuto alla straordinaria ignoranza che c'è in questo paese nei confronti del Vangelo. Non ci hanno insegnato che cosa sia il Vangelo! Non lo hanno insegnato nemmeno ai preti! Non vi meravigli sapere che son diventato prete senza sapere che cos'è il Vangelo.
Il Vangelo è composto di racconti simbolici che non vogliono narrare fatti accaduti tanto tempo fa, ma vogliono esprimere il nostro rapporto con Dio e il rapporto di Dio con noi. Vogliono illuminare la nostra fede, aprirci al mistero. Aprirci al senso della nostra vita cristiana.
Il Vangelo di oggi è il frutto della fantasia della comunità di Matteo e - forse - avrete notato che è diverso dal racconto che ha composto la comunità di Luca: lo abbiamo letto la notte di Natale... è sempre il racconto della nascita di Gesù... Là c'erano i pastori, la campagna, là c'era la grotta, gli angeli che cantavano... qui niente di tutto questo! Qui ci sono dei Magi che camminano cercando, inseguendo la luce. Qui c'è la città. Qui c'è una casa. Qui offrono dei doni: oro, incenso e mirra. Qui ci sono i sacerdoti che "sanno". Qui c'è Erode: il terribile Erode... è tutta un'altra storia! Tutti altri simboli e questi simboli dovrebbero parlarci.
Non domandatevi - dunque - anche se ne sentite parlare alla televisione, chi possano essere questi Magi: i magi siamo noi! Questi Magi sono il simbolo del credente, dell'avventura di chi tenta di credere. Sono degli inseguitori della luce e il cristiano è un inseguitore di luce e va cercando il senso e continua a camminare senza stancarsi cercando i valori essenziali della sua vita, tentando di incontrare Gesù.
Il cristiano - come questi Magi - entra in "città" e in città trova coloro che "sanno". Sanno tutto! Rispondono prontamente, ma non si muovono, non cercano più! Nessuno di loro sente il bisogno di andare a Betlemme a vedere che cosa possa essere successo: sono i sapienti, quelli che pensano di possedere la verità e possedere la verità - o meglio - pensare di possedere la verità genera integralismo, intolleranza in tutte le religioni del mondo... anche nella nostra, anche in questo tempo. Trovate (mi dicono) in tante chiese - qualcuna anche qui a Ostia - delle prediche fortemente intolleranti.... Ci parla il Vangelo di oggi... guardatevi dagli intolleranti, andate oltre, continuate a cercare…
E non solo la pretesa di sapere che impedisce di andare avanti, ma anche la violenza. Erode è nel Vangelo il simbolo della violenza, della falsità, dell'inganno. Fra qualche riga trovereste il racconto della "strage degli innocenti"... probabilmente anche lì un racconto simbolico... non è nemmeno pensabile sterminare tutti i bambini per cercarne uno: un simbolo della violenza.
Questa violenza c'è sempre stata e c'è anche oggi nel mondo! Una violenza che uccide i bambini! C'è anche una violenza più quotidiana che incontriamo anche noi: la violenza del denaro, della corruzione, dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, dell'umiliazione di chi è povero, di chi viene da lontano: tutto questo attraversiamo anche noi.
Il credente è uno che in questo mondo continua ad inseguire la luce con coraggio, con testardaggine, senza stancarsi. Voi sapete che non è facile! Quando ci si guarda intorno in questo mondo ci si chiede, a volte con animo angosciato: "Dov'è la libertà? Dov'è la giustizia? Dov'è la pace?" Dopo duemila anni ancora dobbiamo cercare? Sì, ancora dobbiamo cercare!
Cercheranno anche quelli che vengono dopo di noi, se vogliono essere credenti continueranno a inseguire la luce, a cercare la giustizia, il bene e tenteranno di incontrare Gesù, di trovare in Lui la gioia dell'amore, della verità, della libertà... ma non è a buon mercato...
È cammino faticoso - a volte - nella "notte", quando si entra in "città" la stella sparisce. Ci sembra di non vedere più niente - eppure - il cristiano strappa dal profondo delle sue viscere il coraggio di credere ancora. Nonostante quello che trovo intorno a me, e qualche volta è pesante, continuo a credere che Gesù ha ragione. Continuo a credere nella giustizia, nella libertà, nell'amore senza stancarmi. E se mi riesce cerco di portare i miei doni: non oro incenso e mirra come i Magi, ma i piccoli gesti di ogni giorno.
Il Signore ci aiuti
Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu BATTESIMO del SIGNORE - 11 Gennaio 2015
battezzato da Giovanni nel Giordano Marco 1, 7-11
Nel giorno di Natale (qualcuno di voi forse lo ricorderà) vi invitavo a fare un viaggio con la fantasia per seguire, anche noi, come i pastori della notte di Betlemme, l'invito dell'angelo ad andare a vedere il Salvatore, Dio che viene a far parte della nostra vita.
E con la fantasia abbiamo tentato anche noi di metterci in cammino nella notte per andare a cercare... a cercare il Signore, il Salvatore, Dio che si manifesta tra di noi… siamo andati e abbiamo trovato la grotta, nella grotta una stalla e una mangiatoia e sulla quella mangiatoia un piccolo Bambino indifeso e vi invitavo a guardare questo bambino come doveva essere... non quello che mettiamo nel presepio che ha otto o nove mesi, ma un bambino appena nato piccolo, inerme...
E vi invitavo a partecipare allo stupore, alla meraviglia, (forse) allo sconcerto di quei pastori: "È qui Dio? È possibile che il Signore si manifesti così?" Sì, in quel Bambino si manifesta Dio! Dio è così: impotente, inerme, totalmente affidato alla tenerezza e al coraggio di chi gli sta intorno: la mamma, il papà e tutti noi!
Oggi vi invito a fare, con la fantasia, un altro cammino non meno sconcertante, là sulla rive del Giordano. Oggi abbiamo bisogno di più fantasia perché il Vangelo di Marco - lo avete notato - è estremamente sobrio: il Vangelo di Marco è così, ci accompagnerà molte volte in quest'anno. Lo leggeremo la domenica e impareremo a scoprire questo straordinario Vangelo anche nella sua estrema sobrietà. Dobbiamo tutto ricostruire con la nostra fantasia... è affidato a noi, al nostro cuore il Vangelo di Marco e - dunque - andiamo là sulle rive del Giordano...
C'è un profeta... da tanto tempo non si ascoltava più la voce di un profeta come i grandi della tradizione d'Israele. Giovanni Battista è tornato là sulle rive del Giordano... un luogo mitico perché il Giordano è il luogo del "passaggio" dall'Egitto verso la "terra promessa". Il passaggio dalla schiavitù, dall'umiliazione verso la terra della libertà, del benessere, verso la terra del "sogno".
Là bisogna immergersi nell'acqua per lasciare dietro le spalle tutto quello che c'è di male e vivere una vita nuova.
Ora immaginate anche voi di essere in fila con tutta questa gente che va per immergersi nel Giordano per fare questo rito di purificazione, per lasciare dietro le spalle il male, il peso della colpa, per camminare... e immaginate che a un certo punto accanto a voi possiate notare un uomo - secondo il Vangelo - di circa trent'anni.
Guardate le sue mani... sono mani callose, mani di un uomo che ha lavorato per tanti anni il legno: ha aggiustato tavoli, riparato sedie, costruito carri... le mani callose del falegname... il volto abbronzato dal sole perché - spesso - si lavorava all'aperto. Viene da Nazareth... un paesino sperduto che nessuno conosce e, a un certo punto, immaginate anche voi di ascoltare la voce dal cielo, quasi un grido: "È questo il Figlio prediletto!"
Qui trovate tutto lo sconcerto che i primi discepoli provano e affidano non a Marco, ma ai Vangeli seguenti: "Ma come... perché Lui si fa battezzare? È Lui che dovrebbe battezzare, è Lui il Signore!"
Lo sconcerto dei cristiani che fanno fatica ad accogliere Dio che si mette accanto, che non sta davanti, non giudica, non condanna. Non è venuto per giudicare, per condannare! Molti cristiani si portano nel cuore la paura di Dio. La paura del giudizio, della condanna. Molti cristiani si sentono esclusi dall'Eucaristia perché si sentono in colpa... quando eravamo bambini ci hanno presentato un "occhio" inquietante che ci seguiva in ogni angolo della nostra vita: il Dio che giudica!
Guardatelo Dio che ci viene accanto, che cammina lentamente anche Lui verso "l'acqua" per immergersi, per condividere con noi il "passaggio". Il passaggio dal mondo del male, della tenebra, della negatività, dell'egoismo verso la terra della libertà... non a giudicare, non a condannare, non a gridare, ma a camminare con noi, a camminare con me, a camminare con voi: in quest'uomo, così si manifesta Dio, questo è Dio!
Adesso vi inviterei (con un po' di attenzione) a un gioco di parole che ritengo fondamentale per la nostra fede. Abbiamo ascoltato la "voce": "Quest'uomo è Dio!" Quando sentiamo questa frase noi pensiamo di sapere chi sia Dio, tutta la tradizione ce lo dice: è onnipotente, sa tutto, è il giudice!
Adesso provate a rigirare la frase: "Dio è quest'uomo!" In quest'uomo si manifesta Dio. Non so se sono riuscito a spiegare la differenza profonda che c'è tra dire: "Quest'uomo è Dio" e dire: "Dio è quest'uomo" È fondamentale per noi!
Dovremmo sempre ritornare a questa frase perché noi abbiamo un unico modo non dico per conoscere, perché Dio non si può conoscere, ma per intuire Dio in Gesù di Nazareth.
In Gesù di Nazareth noi vediamo Dio come si manifesta... non onnipotente, non il Dio che giudica, che sa tutto, ma il Dio della gratuità, il Dio che viene a condividere la nostra vita, il Dio che cammina con noi, il Dio che - certo - non può fare pace con il male di questo mondo (e ce ne è tanto) ma cammina con noi per portarci verso la speranza, verso la liberazione.
Condivide la nostra vita: un Dio impotente, un Dio che si affida al nostro coraggio, alla nostra libertà e che ci vuole rendere uomini fino in fondo: questo è Dio!
In Gesù di Nazareth noi possiamo intuire qualche cosa di Dio e - allora - un'altra immaginazione. Immaginate che anche noi possiamo battezzarci non da bambini come è accaduto, (penso alla quasi totalità di noi) ma da adulti (come si battezzavano un tempo) e - quindi - invitati oggi a scendere nell'acqua... (Un tempo c'era la grande vasca, ci si immergeva nell'acqua… il passaggio dalla morte alla vita, dalla negatività al bene) e immaginate che Gesù ci prenda per mano per entrare con noi in quella vasca, per invitarci a scegliere, a fare la professione di fede e a camminare verso la luce e il bene.
Il Signore ci aiuti.
Giovanni fissando lo sguardo su II DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 18 Gennaio 2015
Gesù che passava, disse: "Ecco Giovanni 1, 35-42
l'agnello di Dio!"
"Chi è veramente Gesù?": è la domanda più importante per i primi cristiani. A un certo punto nel Vangelo la troviamo sulla bocca di Gesù che si rivolge ai discepoli e chiede: "Chi sono io per voi?". Pietro risponde prontamente: "Tu sei il Messia, il Cristo".
È il passaggio delicato tra il Gesù di Nazareth, il Figlio di Maria, il falegname che viene da un piccolo e sperduto paese e il Cristo della fede: chi è Gesù al di là delle apparenze? E non è un passaggio semplice. Quando Gesù si sente rispondere da Pietro: "Tu sei il Messia" dice: "Guardatevi bene di non dirlo a nessuno" e Pietro subito dopo, quando Gesù parla della croce, dice: "Non è possibile! II Messia non può finire sulla croce!" e si sente rispondere parole molto dure da Gesù: "Sta dietro a me, Satana! Tu non pensi come Dio, ma come gli uomini".
Ecco - vedete - questo passaggio dall'esperienza di Gesù di Nazareth al Cristo della fede (quel Cristo che professiamo ogni domenica) è un passaggio delicato e non privo di incomprensioni e - forse - non solo di incomprensioni perché si carica dei nostri bisogni e non viene più vissuto nella gratuità.
Un esempio... (ed è per questo che ho fatto questa introduzione) lo troviamo nel Vangelo di oggi, dove c'è una parola che ripetiamo ogni volta che celebriamo l'Eucaristia... è la parola di Giovanni: "Ecco l'agnello di Dio" o nella versione più lunga che trovate solo qualche riga prima nel Vangelo: "Ecco l'agnello di Dio che toglie i peccati del mondo".
Lo abbiamo ripetuto tante volte e - forse - non ci siamo mai chiesti: "Cosa significa? Che cosa abbiamo caricato su questa parola? Perché i primi cristiani sentono il bisogno di dire che toglie il peccato del mondo? E che significa togliere il peccato del mondo?".
Allora cominciamo da quello che può essere l'inizio. Gli apostoli vedono Gesù sulla croce. Sanno che è innocente. Sanno che è mite pacifico e dicono: "Ecco... un agnello". Un agnello immolato. Una creatura indifesa che non faceva male a nessuno e viene inchiodata sulla croce: il dramma della violenza dell'uomo!
Di agnelli immolati ce ne sono stati infiniti nella storia dell'umanità e ce ne sono drammaticamente anche oggi. Con occhi sgomenti guardiamo alla televisione storie di bambine che vengono imbottite di tritolo e fatte esplodere. Bambini costretti ad uccidere... agnelli innocenti: ecco Gesù viene a condividere questo dramma, anche lui "agnello" innocente inchiodato su una croce.
È il dramma... (fermatevi un momento qui) è il dramma della violenza, del male dell'uomo. È quella violenza che in parte abbiamo dentro di noi: l'intolleranza, lo sfruttamento degli altri, il disprezzo - addirittura - dei bambini.
I primi cristiani sentono il bisogno di fare un passo avanti e qui cominciano (secondo me) i guai. Non può essere che il Messia finisca su una croce. Lui è potente. Lui viene per salvare il mondo. Lui è l'onnipotente e non può essere ucciso come un bambino innocente… perché avviene?
Vedete, i primi cristiani (come noi) non riescono ad accettare lo scandalo di Dio che si fa uno di noi e finisce inchiodato su una croce. Dov'è l'onnipotenza? Perché Dio abbandona suo Figlio?
E allora... allora cominciano a dire: "Ci deve essere una spiegazione!" E la trovano: "Ecco l'agnello di Dio che toglie i peccati del mondo". Ma il peccato del mondo l'ha tolto? Magari! È pieno il mondo di peccato!
Ma non solo il mondo... io! Ho il peccato dentro di me, lo sento: la mia indifferenza, la mia pigrizia, la mia mancanza di gratuità e di amore totale... Che ha tolto?
I saggi preti (saggi?) della mia infanzia dicevano: "No... non aver paura perché se vai a confessarti il sacerdote che ha il potere di togliere i peccati in nome di Gesù ti dice: "Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". Uscivamo da lì tutti contenti. Abbiamo detto al prete: "Ho disubbidito alla mamma, ho detto le parolacce, non mi va di studiare". "Io ti assolvo dai tuoi peccati... dì tre Ave Marie". Tornavamo a casa e continuavamo a disubbidire alla mamma, a dire parolacce e a non studiare. Che aveva tolto? Niente!
Faccio un passo avanti, qualcuno dice: "C'è una traduzione sbagliata il latino "tollit" non significa "toglie"... non hanno tradotto bene... significa "prende su di sé", si carica dei nostri peccati e si offre a Dio vittima sacrificale".
Qui cadiamo dalla padella alla brace! In che Dio mi vogliono far credere? Nel Dio che è come un "moloc", che vuole il sangue, esige la sofferenza, la morte per concedere il perdono. Che senso ha tutto questo? Allora ci conviene abbandonare l'idea del sacrificio espiatorio di cui sentite parole ogni volta che celebriamo l'Eucaristia. Ci conviene abbandonare l'idea che la sofferenza in qualche modo è gradita a Dio, perché espia il peccato. La sofferenza va combattuta in tutti i modi possibili. Non possiamo giustificare il dolore in nessun modo. Non possiamo fare di Gesù un sacrificio espiatorio.
Ecco, ci conviene riscoprire Gesù che viene accanto a noi come un bambino innocente, che non toglie il peccato, ma come noi cammina cercando di andare aldilà del male e come noi - a volte - finisce vittima del male, della violenza che c'è nel mondo.
Allora è bene ascoltare le parole del Vangelo di oggi: i discepoli chiedono a Gesù: "Maestro dove dimori?" E Gesù risponde: "Venite e vedrete".
Ecco, siamo invitati ad andare e vedere, a restare con Lui. In tutto quest'anno cercheremo pazientemente (dovremo fare lo sforzo di superare tutte le sovrastrutture che ci portiamo dentro del nostro catechismo) di sederci ai piedi di Gesù, del falegname di Nazareth per guardarlo negli occhi e cercare di domandarci: "Cos'hai nel cuore? Che sei venuto a fare qui con noi? Cosa hai da dirci?"
Ecco, sederci con Lui come discepoli ignoranti, come bambini che, pian piano, cercano di sapere: "Chi sei veramente Tu? Mi hanno detto tante cose di Te, tante sovrastrutture hanno messo nel mio cuore, aiutami a toglierle. Aiutami a prenderti per mano, a camminare con Te, a tentare di capire che c'hai dentro al cuore, che vuoi comunicarmi, chi sei Tu per me"
Soltanto alla fine riempiremo di questo ascolto, di questa amicizia con Lui la nostra fede e potremo rispondere alla domanda che Gesù ci fa: "Chi sono io per te?"
Il Signore ci aiuti.
"Venite dietro a me, vi farò III DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 25 Gennaio 2015
diventare pescatore di uomini". Marco 1, 14-20
E, subito, lasciarono le reti
e lo seguirono.
Domenica scorsa (forse qualcuno di voi lo ricorda) stavamo sulle rive del Giordano e Giovanni indicava ai discepoli: "Ecco l'agnello di Dio" e loro chiedevano a Gesù: "Maestro dove dimori?" e Lui: "Venite e vedrete".
Oggi siamo sulle rive del lago di Galilea, Gesù passa e chiama i suoi discepoli. Domenica scorsa erano i discepoli che prendevano l'iniziativa, oggi è Gesù.
Voi tutti capite (senza troppa difficoltà, penso) che ci troviamo di fronte a dei racconti simbolici: non ci dicono che cosa sia accaduto là, ma ci comunicano l'esperienza più forte, più profonda della vita dei discepoli: hanno avuto la fortuna di incontrare Gesù!
Lui ha attraversato la loro strada. Si sono sentiti chiamati, invitati a stare con lui… e quello che accade ai discepoli accade a tutti noi.
Il credente è uno che ha avuto la fortuna di incontrare Gesù, di essere chiamato a camminare con Lui, a cercare di stare con Lui, per conoscere la sua realtà, i suoi gesti, i segreti del suo cuore: è un cammino che ciascuno di noi è invitato a fare ed è il cammino essenziale della vita cristiana.
Oggi avete un'indicazione... per seguire Gesù bisogna "lasciare" qualche cosa.
Questi discepoli quando Gesù li chiama lasciano le loro reti, le barche, il padre: è un simbolo, basta che leggiate qualche frase oltre nel Vangelo e li trovate ancora nelle loro famiglie... Pietro sta a casa della suocera, li troverete ancora a gettare le reti, fin dopo la Resurrezione.
Che cosa vuole comunicarci il Vangelo? Che c'è qualche cosa da "lasciare" se si vuole seguire il Signore! Cosa bisogna lasciare?
Vi indico tre cose che (secondo me) sono importanti.
Primo: occorre lasciare l'idea che si sa "tutto", che conosciamo Dio, che sappiamo qual è la strada. Bisogna mettersi in cammino, in ricerca. Chi pensa di sapere non fa strada. Chi pensa di sapere si ferma. Abbiamo il grande simbolo dei Magi che inseguono la "luce"...
Se posso dirvi la mia esperienza... c'è una frase in questa pagina del Vangelo che mi ha colpito. Quando ho cominciato a leggere questa pagina cercando di capirci qualcosa, mi sorprendeva il fatto che all'inizio è scritto: "Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea…". Mi chiedevo: "Ma che bisogno c'è che aspetti che Giovanni sia arrestato? Non è Colui che sa tutto? Non è Lui l'onnipotente? Non è Lui il Signore? Lui sa quando è il momento!". Poi ho pensato: "Eppure, forse è come un discepolo che si accorge che il maestro non può più e allora dice: è compito mio". Avrà avuto dubbi, perplessità, forse contrasti con la famiglia… poi è andato.
Come uno di noi, come succedeva a me! Una persona che ha avuto grande importanza nella mia vita, aveva scelto di diventare sacerdote e mi sono chiesto: "Perché non anch'io?" Dubbi, difficoltà… "Ne sarò capace...?" Forse gli stessi dubbi che hanno attraversato Gesù. Vedete... ho sentito Gesù vicino a me! Come un uomo, come un amico di vita, come qualcuno che condivideva la mia storia, i miei affanni, i miei dubbi, le mie perplessità, non dunque Colui sa tutto, il Dio onnipotente, il Dio che dirige le cose della vita... anche Lui vive la ricerca, la domanda, il dubbio: ecco, se vogliamo seguire Gesù (io credo) dobbiamo lasciare le nostre sicurezze, altrimenti diventiamo degli integralisti, della gente che pensa di sapere tutto... Sapere che cosa e giusto, che cosa è sbagliato, che cosa è morale, che cosa non lo è, chi è Dio, dove Dio interviene, dove punisce e dove premia... pensavo di sapere! Seguire Gesù significa mettersi in ricerca, sapendo di non sapere, cercando di scoprire.
I discepoli tante volte pensano di sapere e Gesù li sorprende.
C'è un'altra cosa che (secondo me) occorre "lasciare": la presunzione di essere giusti. Vedete... noi veniamo a Messa tutte le domeniche e non solo, credo che tutti siete persone che cercano di vivere con onestà la vita di tutti i giorni, di fare il proprio dovere... voler bene ai figli eccetera… e rischiamo di sentirci giusti e di giudicare e di condannare gli altri; di sentirci superiori, di non avere misericordia, di non cercare di capire le difficoltà degli altri...
A volte questo capita anche ai nonni nei confronti dei nipoti che stanno crescendo. I genitori nei confronti dei figli. Il marito nel confronto della moglie... Quando uno si sente giusto... rischia di non mettersi in discussione e di giudicare.
Volete che vi faccia una confidenza di qualcosa che mi ha meravigliato. Sapete chi sono le persone più maligne che ho incontrato nella mia vita? Alcune che venivano a Messa tutte le mattine! Il giudizio cattivo, maligno... il non avere nessuna capacità di capire le difficoltà dell'altro e anch'io dovevo sforzarmi di capire le loro difficoltà: erano persone deboli, che avevano avuto una vita complicata e avevano trovato nella fede quella certezza che gli permetteva di sentirsi giusti, di sentirsi a posto e di giudicare gli altri: è la radice dell'integralismo, dell'intolleranza.
Se vogliamo seguire Gesù dobbiamo sentirci povera gente, in ricerca non soltanto di quello che è vero, ma anche di quello che è giusto.
C'è un'altra cosa ancora più profonda (secondo me) che occorre "lasciare" se si vuole seguire Gesù: lasciare i propri bisogni, lasciare "l'io", l'affermazione di sé, il voler sopraffare l'altro, il mettere "se" al centro del mondo, per tentare di vivere, aldilà del bisogno, la gratuità.
Cerchiamo di andare dietro Gesù non per ottenere qualche cosa, per avere un premio... ma perché è giusto, perché ci comunica valori autentici, il senso della vita.
Andiamo con Lui nella gratuità e ci troviamo ad andare anche verso gli altri, con tenerezza, oltre il nostro egoismo, per condividere la vita, tentando di superere "l'io" per diventare un "noi"... un "noi" nella famiglia, un "noi" nel posto dove lavoriamo, un "noi" in questo mondo così complicato.
Ecco perché Gesù dice ai discepoli: "Venite, vi farò pescatori di uomini" Se andiamo con Lui, usciamo da noi stessi per tentare di incontrare l'altro... l'Altro che è Dio, che mi comunica valori fondamentali… e gli altri nella gratuità, per costruire insieme (per quanto ci è possibile) la giustizia e la pace.
Il Signore ci aiuti.
Gesù... insegnava loro come IV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 1 Febbraio 2015
uno che ha autorità. Marco 1, 21-28
"Egli insegnava loro come uno che ha autorità". Vi è capitato (come è capitato a me) di incontrare delle persone che hanno autorità? Che so un insegnante, un responsabile sul posto di lavoro, un amico, un sacerdote… non hanno bisogno di imporsi sugli altri, di gridare, di usare il premio, il castigo, le minacce, ma sanno comunicarti la passione per quello che fanno.
L'insegnante che ti comunica l'amore per quello che insegna e non ha bisogno di ricorrere alle minacce e ai voti, perché ha dentro quasi come un fuoco...
Lo stesso sul posto del lavoro. Se c'è una persona autorevole ti comunica la capacità di fare bene senza bisogno di alzare la voce, di minacciare punizioni e castighi...
Così può essere per un amico, così per un sacerdote, per una persona della nostra famiglia... "uno che ha autorità".
Questo deve essere successo in maniera straordinaria ai discepoli. Hanno incontrato Gesù e lo hanno sentito profondamente diverso dai loro maestri, dai loro scribi e deve essere stato molto forte l'impressione che Gesù faceva loro, perché gli sono stati fedeli fino in fondo. La maggior parte di loro ha perso la vita per la fedeltà a Gesù!
Non era uno come gli scribi che ripetevano stancamente antiche parole, che minacciavano il castigo, che mettevano la paura di Dio. Gesù comunicava loro i valori essenziali: la libertà, la gratuità, la tenerezza... Gesù permetteva loro di intuire qualche cosa "dell'oltre" in cui abita Dio. Permetteva di chiamarlo Padre. Gesù toglieva dal loro cuore la paura di Dio...
Se sbagliavano, se avevano paura... Gesù li prendeva per mano, li rialzava, li faceva camminare ancora con Lui: ecco "uno che ha autorità". Uno che non ha bisogno di imporsi, che ti fa sentire libero, che ti comunica con passione i sogni dei suo cuore, quello che ha dentro.
E voi...? Se doveste dire a un nipotino: "Gesù per me è uno che ha autorità" come glielo spieghereste? Che cosa è stato Gesù nella vostra vita - provate a chiedervelo - perché credete in Lui, che cosa vi ha comunicato, che cosa vi ha messo nel cuore, che cosa vi ha dato?
Se dovessi parlare in prima persona, fin da quando ero giovane, ho intuito qualche cosa di Gesù, ho sentito che mi faceva libero, che mi faceva incontrare Dio, che mi toglieva la paura dal cuore, che mi camminava accanto e se sbagliavo non sentivo le sue minacce, ma era per me come amico che tendeva la mano, mi rialzava, mi invitava a camminare ancora.
Ho sentito Gesù vicino a me nel cammino della vita mentre tentava di comunicarmi qualche cosa di fondamentale, gli aspetti essenziali del mio rapporto con gli altri, del mio rapporto con Lui, con Dio: ecco, Gesù è stato per me "uno che ha autorità".
Dovrei essere capace di comunicarlo fino in fondo, ma è quasi impossibile comunicare le esperienze più profonde della propria vita, aver sentito Gesù vicino come uno che veramente ti mette dentro qualche cosa.
Vedete... mi capita spesso di ascoltare qualche persona alla radio o qualche amico che propone delle cose come nuove, come essenziali per la vita e mi capita di dire o di pensare: "Ma queste cose già stanno scritte nel Vangelo, già le ha dette Gesù". Mi è successo fin da quando ero giovane! Tanti maestri… e trovavo in lui il Maestro, Colui che ha veramente qualche cosa di essenziale da comunicarti.
Un'altra cosa c'è (secondo me) di importante in questa pagina del Vangelo... (ce ne sarebbero altre, ma bisogna che vi abituate a leggerle - magari - a casa. Il Vangelo di Marco è così, breve ma essenziale e bisognerebbe fermarsi su ogni frase)
Vorrei fermarmi su una parola che per Marco è una - forse - delle più importanti, su cui insiste spesso. C'è qualcuno che pensa di sapere chi sia Gesù, chi sia il Santo di Dio, chi sia Dio, ma questo "sapere" è diabolico, deve stare zitto, sono i "diavoli" che "sanno".
Voi sapete (penso tutti) che il diavolo nel Vangelo è un simbolo: simbolo del male e qui c'è - forse - il simbolo di uno dei mali più profondi della storia dell'uomo. C'è qualcuno che pensa di sapere chi sia Dio, che cosa vuole Dio...
Nella storia è successo tante volte! Le religioni che pensano di imporre il loro potere come se venisse da Dio, in tutti i campi. Pensate (se volete) agli aspetti più drammatici! Al "Dio lo vuole", delle crociate, al "Gott mit uns, Dio con noi" sulle cinture delle SS.
Pensate a della gente che oggi in nome di Dio uccide e taglia la testa al suo prossimo. Non si può! Non si può parlare in nome di Dio. Non si può usare il nome di Dio contro l'uomo.
C'è nel Vangelo (per quello che ho capito io e Marco lo ripete più volte, lo vedrete) un principio fondamentale: "Non è l'uomo fatto per il "sabato", ma il sabato è fatto per l'uomo" E "sabato" è ogni regola, ogni legge, ogni tradizione, ogni principio, ogni autorità, ogni Stato, ma anche ogni religione. Anche il nome di Dio quando è usato contro l'uomo è falso! Dio ama l'uomo, Dio è sempre dalla parte dell'uomo, Dio vuole che l'uomo sia rispettato e amato, lo vuole da me, lo vuole da tutti!
E quando in nome di Dio si umilia l'uomo, si condanna l'uomo, si parla dell'uomo, senza rispetto... allora è il "diavolo" che parla, secondo il Vangelo.
Il Signore ci aiuti.
La suocera di Simone era a letto V DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 8 Febbraio 2015
con la febbre... Gesù la prese per Marco 1, 29-39
la mano, la fece alzare, la febbre
la lasciò ed ella li serviva.
Due temi ci propone oggi il Vangelo di Marco particolarmente cari alla sua comunità e - forse - essenziali per la vita cristiana... ce ne sono anche altri, ma penso che ormai abbiate capito che il Vangelo di Marco è così denso che bisognerebbe fermarsi ore su ogni pagina: qui c'è anche il tema della guarigione, quello della preghiera, ancora i "diavoli" che devono tacere e altro...
Il primo tema e quello del "servizio". Gesù va a casa di Pietro e lì c'è la sua suocera malata. Gesù la prende per mano, si alza e si mette a servire: è il primo segno, potremmo dire il primo miracolo, ma Marco non ama assolutamente che si parli di prodigi, di miracoli...
II primo segno... C'è una "febbre" nel popolo cristiano: l'incapacità di servire, di mettersi a disposizione degli altri, di condividere la vita... So che a molti di voi la parola "servizio" non piace, sembra ci si riferisca ai servi di cui spesso si parla con poco rispetto. Molti amano sostituire la parola servizio con condivisione, ma condivisione indica uno scambio: io ti do, tu mi dai, mettiamo insieme... è importante anche questo, ma per Marco qualche volta nel servizio tu dai senza aspettarti nulla indietro, nella più totale gratuità… forse vuole sottolineare la gratuità del servizio.
Quando pensate al servizio non pensate ad alcune storie eccezionali come - che so - quella del medico che è al servizio dei suoi malati e dovrebbe farlo con grande dedizione o agli insegnanti che si mettono al servizio dei loro alunni e non pensate alle suore, ai preti, ai missionari che vanno lontano... No! il servizio è qualche cosa che riguarda noi tutti i giorni. È il servizio della suocera di Pietro che avrà preparato una buona cena per questa gente, dandosi da fare, dimenticandosi la sua tosse, la sua influenza: il servizio quotidiano...
Il servizio dei genitori nei confronti dei figli, del marito nei confronti della moglie e viceversa. Il servizio sul posto del lavoro, il servizio verso la società - insomma - il mettere nel tesoro della vita tutte le possibilità che abbiamo, per essere utili agli altri, per costruire insieme qualche cosa di giusto.
Questo tema attraversa tutto il Vangelo di Marco, da questo primo segno fino in fondo. Gesù dirà: "Non sono venuto per essere servito, ma per servire" e fino sulla croce. Gesù arriva a dare la vita per gli altri.
Dare la vita qualche volta significa - addirittura - finire su una croce, ma più spesso significa vivere la vita di ogni giorno nell'attenzione verso l'altro, nel rispetto, nella tenerezza, nella capacità di condividere quello che abbiamo con chi ci sta intorno in una attenzione tenera e fedele.
C'è un altro tema importante, per Marco - forse - ancora più importante, perché lo ripete quasi in ogni pagina: la "folla".
Lo trovarono e gli dissero: "Tutti ti cercano!". Egli disse loro: "Andiamocene altrove": Gesu non vuole essere condizionato dalla folla che lo cerca.
La "folla" per Marco è il pericolo più grande per la vita cristiana e - forse - per la vita umana in genere.
La "folla" che mi condiziona quando cerco o sono tentato di cercare il consenso a tutti i costi; non cerco la giustizia, cerco l'applauso, cerco che tutti mi diano ragione e - questo - non vale soltanto per i politici, per le grandi cose... questo vale anche per la vita famigliare.
Oggi, uno dei problemi che affliggono il cammino dei ragazzi - dicono alcuni studiosi - è quello dei genitori che vogliono a tutti i costi il consenso dei figli. Vogliono a tutti i costi essere amici loro, rinunciando così al ruolo di adulti, di interpreti dei principi, dell'ordine, delle cose importanti… qualche volta bisogna entrare in conflitto con i figli... non si può sempre cercare il loro consenso, il loro applauso. Qualche volta non possono e - giustamente - applaudire perché devono vivere il loro conflitto.
Questo vale nei posti di lavoro. Questo vale nei rapporti quotidiani. Cercare il consenso degli altri, senza cercare quello che è giusto e vero può corrompere la vita.
C'è un altro aspetto... non noi che cerchiamo il consenso, ma qualcuno che cerca il consenso da noi e ci fa diventare "folla", incapaci di pensare, incapaci di ragionare con la propria testa, incapaci di scegliere!
È una riflessione che sulla grande tragedia dei secolo scorso ha fatto quella grande pensatrice e filosofa che è Hannah Arendt, la quale ha fatto una profonda riflessione parlando della banalità del male.
Colui che fa il male spesso non è un essere mostruoso; è un cittadino comune che si è lasciato condizionare fino al punto di non pensare più, di lasciarsi trasportare dalle folle oceaniche che applaudono, che gridano e in mezzo alla folla non si capisce più perché si grida!
Credo che vi sia capitato (anche in questi giorni) di vedere (ogni tanto ce li ripropongono) i comizi di Mussolini, di Hitler, di Stalin e quelle folle che gridavano entusiaste: applaudivano la guerra! La guerra che ha portato sessanta milioni di morti: la "folla" in cui non pensi più! E Eichman a cui è stata tolta la dignità di uomo, la dignità di pensare, ripete: "Ho solo ubbidito agli ordini, ho fatto quello che fanno tutti".
E se volete uscire da questi contesti drammatici pensate a quello che può succedere tra di noi in questo nostro paese. Le tasse (non è vero) non le paga quasi nessuno e anch'io cerco di non pagarle. La fattura dal dentista non la chiede nessuno: perché la devo chieder io? Facciamo come fanno tutti! Ma è giusto? Tutti fanno così!
Pensate ai nostri ragazzi che si lasciano portare a bere alcolici fino a perdere il senno, fino a star male e qualcuno ci rimette anche la pelle: la "folla", l'ambiente, il gruppo... il gruppo che ti condiziona, che ti stringe, che ti impedisce di "uscire".
Ecco nel Vangelo, per Marco, bisogna sempre "uscire" dalla folla, pensare con la propria testa, essere educati alla libertà e - questa - è una delle grandi responsabilità (secondo me) della Chiesa.
Ci hanno educati (almeno quelli che hanno la mia età) ad ubbidire. Guai a dire qualche cosa di contrario: "Sei eretico, (a me l'hanno detto tante volte, non vi meraviglierà, forse) non puoi pensare, devi dire quello che dice la Chiesa, quello che dicono tutti!"
Se si educa la gente a tacere, ubbidire e credere allora si rischia di applaudire Hitler e Mussolini... perché hanno imparato ad applaudire il Papa!
Ho raccomandato tante volte (lo raccomando anche a voi, di cuore) non applaudite il Papa, pensate prima di applaudirlo! Qualcuno notava (non so quanto sia vero) che in Parlamento nei giorni scorsi tutti applaudivano... anche se venivano rimproverati o addirittura ingiuriati... applaudono perché tutti applaudono! Ci si lascia condizionare dalla "folla".
Questo, per Marco, è un incubo! La "folla" (secondo lui) impedisce di incontrare il Signore, impedisce di cercare le cose giuste. Ti tolgono la dignità di uomo se ti impediscono di pensare, di essere un uomo libero: ecco perché Marco insiste tanto, perché è tanto preoccupato e ci consiglia tutti di "strapparci" dalla folla, di pensare con la nostra testa, di cercare quello che è giusto, di incontrare Gesù… e non è facile.
Il Signore ci aiuti.
Un lebbroso lo supplicava: VI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 15 Febbraio 2015
"Se vuoi puoi guarirmi". Ne Marco 1, 40-45
ebbe compassione... lo toccò:
"Lo voglio, sii purificato"
Se l'antico proverbio che dice: "Mal comune mezzo gaudio" ha qualche senso, allora oggi, abbiamo qualche motivo di rallegrarci, di provare anche noi un po' di gaudio, anche perché è l'ultima domenica di carnevale.
Vedete... in questa pagina c'è una cosa molto curiosa che ci mostra - ed è questo che ci può consolare - che anche i primi cristiani facevano fatica a capire il Vangelo.
Gli studiosi hanno trovato alcuni antichi manoscritti... sapete tutti (penso) che il Vangelo nei primi tempi... (non esisteva ancora la stampa) veniva copiato a mano lentamente. È stato copiato in un numero grandissimo di copie e qualcuna è arrivata fino a noi e, in alcune copie antiche, gli studiosi hanno trovato: "Gesù fu preso da indignazione" e concludono che molti copisti (evidentemente non capivano di che cosa si stesse parlando) hanno pensato che Gesù non poteva indignarsi davanti al lebbroso e hanno corretto: "ne ebbe compassione". Però, abbiamo letto subito dopo: "ammonendolo severamente; lo cacciò via subito"… era proprio arrabbiato!
Allora, conviene, quando c'è nel Vangelo qualche cosa che ci sconcerta, non correggere, ma cercare di capire... Perché Gesù è arrabbiato?
A volte ai cristiani da fastidio (l'ho sperimentato varie volte) vedere Gesù arrabbiato - come quando caccia i mercanti dal tempio - e invece vale la pena di soffermarsi. Gesù si è arrabbiato qualche volta: perché lo ha fatto? Oggi Gesù ha tre motivi per provare indignazione.
La prima indignazione è davanti all'uomo sofferente. Il dolore lo fa indignare. Secondo Lui Dio non ci ha chiamato alla sofferenza e al dolore, ma alla gioia, al piacere.
Ordina al lebbroso guarito di non dire niente a nessuno: il Vangelo di Marco non vuole che si parli di prodigi: è soltanto un simbolo per comprendere cosa c'è nel cuore di Gesù!
La seconda (forse ancora più seria) indignazione è di fronte all'esclusione. Avete ascoltato che questo lebbroso deve andare in giro con le "vesti strappate", isolato dalla comunità gridando: "Impuro, impuro". Tutti lo evitano, nessuno si preoccupa di lui. Forse qualcuno gli mette lontano un piatto con un po' di cibo.
La terza indignazione perché non solo è escluso, ma viene considerato impuro, cioè punito da Dio. Secondo Gesù non si può pensare che la disgrazia, la malattia siano causate da una punizione di Dio.
Allora ci conviene riflettere su questa pagina del Vangelo: siamo capaci di indignazione, di fronte al dolore, ci rendiamo conto che l'uomo non può accettare il dolore? È qualche cosa che sciupa la vita e, per chi crede, è qualche cosa contro Dio!
Dio vuole che viviamo la gioia, il piacere ed è compito nostro combattere con tutte le nostre forze il dolore, la sofferenza, il male. È importante conservare una sana indignazione contro tutto quello che fa soffrire.
In questi giorni avete ascoltato anche voi alla televisione, alla radio episodi in cui delle bambine sono morte per la burocrazia malata... è possibile accettare certe cose? Bisogna conservare un senso profondo di indignazione e non aspettarci il miracolo, il prodigio: è compito nostro! Spesso è vero non sappiamo cosa fare, ma almeno conservare una sana indignazione, comunicarla agli altri: tutto quello che fa soffrire l'uomo non dobbiamo accettarlo!
Vedete, c'è nella vita della Chiesa qualche cosa che almeno in parte ci ha corrotti... quando abbiamo interpretato la morte di Gesù come un sacrificio espiatorio per il peccato. Gesù si è sacrificato per i nostri peccati e - allora - ecco che la sofferenza serve a qualche cosa... serve a espiare i nostri peccati, magari i peccati degli altri e, in qualche modo, la sofferenza ha un valore, un valore salvifico e - allora - la si accetta passivamente, anzi si dice che è un bene e qualcuno arriva a procurarsi il dolore, a flagellarsi, fare digiuni, penitenze di tutti i tipi... ne abbiamo viste tante nel corso della storia della Chiesa: tutto questo dovrebbe farci indignare!
Indignare... anche perché con questa mentalità poi troviamo che l'Italia è uno degli ultimi paesi nel mondo civile per quel che riguarda la terapia del dolore. Uno degli ultimi paesi per quel che riguarda il parto indolore. Dio non vuole la sofferenza. Oggi ci sono i mezzi per cui si può non soffrire, ed è un dovere preciso del medico non far soffrire e quando si soffre bisogna conservare una sana indignazione!
C'è un'indignazione ancora più importante e più profonda che dovremmo avere: quella verso le esclusioni. Ci sono persone che sono escluse: gli stranieri, gli immigrati, gli zingari, c'è anche l'antisemitismo che si diffonde ancora per l'Europa, c'è l'esclusione degli omosessuali, c'è nella nostra Chiesa qualcuno escluso dalla Comunione, c'è anche l'esclusione delle donne.
Si esalta spesso - anche il Papa - il ruolo delle donne… solo parole… quando vedrete (voi no, non ci contate) una donna qui a parlare al posto mio... e parlerebbe meglio di me… ne conosco, qualcuna anche in mezzo a voi. Non ci sperate, ma anche questa è esclusione e dovrebbe farci indignare.
Ancora un altro motivo, così difficile a sradicare, è quello che fa pensare la disgrazia e il male come una conseguenza della punizione di Dio. Una delle frasi che più ho sentito ripetere nella mia vita di prete è questa: "Don Checco, che male ho fatto perché mi è capitato questo!?" Ecco, la mentalità che se mi capita il male, se c'è una malattia, in qualche modo me la sono meritata, è una colpa che devo espiare, qualche cosa che ho fatto di male.
Ho trovato delle donne che avevano paura di essere punite nei figli. Questa (secondo me) è una bestemmia nei confronti di Dio! Dio ama la gioia. Dio ama il piacere. Dio vuole che noi non sopportiamo la sofferenza, il dolore, l'esclusione. Non si può interpretare la sofferenza come un castigo di Dio... sono tutte cose che dovrebbero suscitare in noi una profonda indignazione.
Gesù si è indignato! Si è indignato di fronte al dolore, alle esclusioni, al vedere la punizione di Dio nel male. Dovremmo conservare anche noi questa indignazione.
Il Signore ci aiuti.
Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto, I DOMENICA di QUARESIMA - 22 Febbraio 2015
e rimase quaranta giorni, tentato da Satana Marco 1, 12-15
Il Vangelo di Marco (come avete imparato) è estremamente sobrio. Ci dice che Gesù dopo il Battesimo viene sospinto dallo Spirito nel deserto per affrontare il "diavolo". È chiaramente un simbolo e un simbolo non tanto della vita di Gesù quanto della vita di ogni battezzato. Secondo queste prime comunità cristiane il primo compito del battezzato è affrontare il combattimento contro il male.
Quando ero ragazzo mi dicevano che il "diavolo" veniva a tentarmi, qui no! Qui è lo Spirito che spinge Gesù, anzi la parola greca è molto forte, si potrebbe tradurre: lo Spirito "butta fuori" Gesù nel deserto, quasi un soldato spinto fuori dalla trincea per affrontare il nemico.
L'idea è che il cristiano non può rimanere rintanato nel suo guscio, impaurito... deve, con coraggio, affrontare il male dentro di sé e intorno a sé.
Qui - però - occorre fare attenzione a due grossi rischi che ho sperimentato nel corso della mia vita: (non solo io, forse anche voi) bisogna sapere che cos'è il male, che cosa veramente fa del male a me e agli altri!
Vedete... quando ero giovane, ho incontrato un amico che m'ha detto: (mi è rimasto impresso) "Ricordati, Checco, hanno sempre scomunicato quelli sbagliati".
Quando studiavo per diventare prete andavo per qualche giorno a fare un po' di ritiro, di silenzio, di preghiera da solo al monastero di Subiaco e lì (specialmente quando pioveva) si girava nel chiostro e c'era, in una piccola cornice, la fotocopia di una lettera di sant'Alfonso Maria De Liguori... viene considerato il padre della morale cristiana degli ultimi secoli, un vero maestro di morale!
In questa lettera sapete cosa c'era scritto? Sant'Alfonso, che era vescovo, si rivolge a un signorotto della sua diocesi e gli dice: "Sai, io ti ho fatto tanti piaceri, adesso tu devi farne uno a me. So che nelle tue terre sono venuti dei saltimbanchi, i quali fanno i loro esercizi sul filo, cacciali dalle tue terre! Ti diranno che sono delle brave persone, ma tu non credere perché, per il fatto che le donne portano i pantaloni, vengono dal diavolo!".
Vedete la moralità del maestro….. figuratevi i discepoli! Quest'uomo se la piglia con dei poveracci, che guadagnano qualche soldo rischiando la propria vita camminando su un filo, non solo, ma non si rende conto che quelle brave donne si mettevano i pantaloni per fargli un piacere, per non mostrare le gambe... questa è la morale!
Di questa morale siamo stati in parte vittime e non solo io, ma anche voi…
Quando eravamo ragazzi ci mandavano all'inferno per aver detto una parolaccia, una bestemmia. Ci mandavano all'inferno se una volta non andavamo a Messa la domenica e poi... poi tutta l'ossessione per la sessualità. Forse molti di voi hanno tribolato per il problema della limitazione delle nascite...
Ci hanno fatto tribolare per quello che male non era o - almeno - non era cosa importante. II male, (per quello che ho capito) quello che dobbiamo combattere è quello che sciupa la nostra vita e quella degli altri.
Il Comandamento dice: "Ama il prossimo tuo come te stesso". Quindi dobbiamo amare noi stessi, custodire la nostra vita, cercare di curare la nostra intelligenza, il nostro corpo, la nostra tranquillità, la nostra pace e poi guardare quello che fa soffrire gli altri, quello che manca di rispetto: questo è veramente male!
Poi è male tutto quello che ci impedisce di costruire un mondo più giusto, più onesto, più pacifico in tutte le dimensioni... dal lavorare onestamente, al pagare le tasse... tutto quello che sciupa la nostra convivenza civile: tutto questo dovremmo combattere e combattere con forza.
Potrei indicare le cose più banali: non buttare la carta quando si passeggia, raccogliere le feci dei propri cani perché i marciapiedi non si sporchino, curare la raccolta differenziata, essere attenti che le cose del condominio funzionino con serenità... le cose più banali!
Non voglio dilungarmi su questo, ho fatto soltanto qualche esempio che forse avrei dovuto evitare leggendo il Vangelo di Marco perché - sapete - i Vangeli di Matteo e di Luca individuano delle tentazioni. Marco no! "Cerca tu quello che è male, qual è il tuo "diavolo", (è un simbolo, lo sapete) qual è il male che tu puoi evitare, con cui tu puoi combattere intorno a te".
L'altra cosa a cui dovete fare grande attenzione è il senso di colpa. Quel senso di colpa che ti fa sentire inadeguato, che ti fa sentire sporco, che ti allontana dalla Comunione. Ho trovato tanta gente nella mia vita che dice: "Non posso far la Comunione, non mi sento degno, a posto". Ma Gesù, nel Vangelo, ripete tante volte: "Non sono venuto per i giusti, ma per i peccatori".
Quello che non ti fa sentire giusto, quello che non ti fa fare un passo in avanti... questo è il senso di colpa che schiaccia, che non serve a niente... e qualche volta diventa addirittura patologico. Incontrare il Signore, significa avere una spinta ad andare avanti, a fare quello che possiamo - magari - un piccolo passo.
Quando il Signore ci invita a convertirci, ci invita a vedere cosa c'è di male dentro di me, intorno a me e cosa posso fare. Magari una piccola cosa, perché il mondo sia più giusto, più onesto, con la fiducia di riuscire a fare un passo avanti.
Perché - avete notato - il Vangelo di oggi dice che Gesù va nel deserto, combatte contro il male, ma gli "angeli" lo servono (è un altro simbolo, chiaramente) significa che può vincere contro il male. Ci sono aiuti che vengono dal cielo e anche noi li abbiamo perché non siamo soli a combattere il male - a volte - troviamo degli amici che ci aiutano, ci danno una mano.
E poi "credete nel Vangelo"… ne parleremo ancora domenica prossima, perché per combattere il male bisogna credere. Credere nella giustizia, credere nel bene, allora soltanto possiamo sentire il bisogno di fare un po' meglio di quello che facciamo... poco, non bisogna essere degli eroi secondo il Vangelo, ma occorre sentire il bisogno di affrontare il combattimento del male: quello che sciupa la vita, che fa soffrire, che non rispetta il mondo intorno a noi... Cercare di fare tutto quello che possiamo perché il mondo sia più bello, più giusto, più onesto: questo è il compito di ogni cristiano.
Il Signore ci aiuti.
Gesù… li condusse su un alto monte. Fu II DOMENICA di QUARESIMA - 1 marzo 2015
trasfigurato davanti a loro e le sue vesti Marco 9, 2 - 10,
divennero splendenti…
Domenica scorsa (forse qualcuno lo ricorda) il Vangelo di Marco ci diceva che lo Spirito spinge Gesù nel deserto per affrontare il "diavolo", il combattimento col male: sono simboli (penso che ormai ne siate tutti convinti) e non tanto simboli della vita di Gesù, ma della vita cristiana. Il cristiano deve combattere il male con tutta la passione del suo cuore, dentro di sé e intorno a sé.
Ma, per combattere il male bisogna credere, credere nel bene, nella giustizia, avere una luce dentro, un fuoco nel cuore altrimenti non c'è la spinta ad affrontare il male.
Ed ecco che oggi, il Vangelo di Marco, ci porta in cima al "monte" a vedere la luce, la trasfigurazione di Gesù: le sue vesti diventano splendenti... sono simboli anche questi, non c'è nessuna montagna... Il simbolo del credente che in Gesù incontra la luce, i valori essenziali della vita, Gesù gli fa vedere che cosa è veramente bene, per che cosa vale la pena spendere la propria vita.
Nell'ascoltare Gesù, nella sua Parola, nella sua vita, nel camminare con Lui il cristiano intuisce qualche cosa del bene e, se prende passione per il bene, combattere contro il male sarà più semplice, ma se non ha questa luce, se non ha questo fuoco nel cuore... allora tutto diventa difficile, forse impossibile.
Lassù sul monte non solo c'è la luce, ma anche Elia e Mosè: sono i rappresentanti della grande tradizione di Israele... anche lì c'è la lunga ricerca del credente, ricerca della verità, della giustizia, della gratuità, del bene: un cammino lungo che troviamo nella Bibbia. Per i primi cristiani Mosè ed Elia sono importanti... vengono anche loro sulla "montagna" per mostrare che Gesù è il compimento di questa storia, ormai Lui la porta a perfezione.
Non solo Mosè ed Elia, ma la Voce dall'alto: "Questi è il Figlio mio, l'amato".
Ecco, in Gesù di Nazareth, nelle sue Parole, nei suoi gesti il cristiano scopre la luce, i valori essenziali e, per questi valori, è disposto a combattere.
C'è un rischio, però... un rischio che il Vangelo di Marco intuisce subito. Pietro si vuole fermare là... è tutto bello, ormai vede, sa tutto, ha conquistato la luce: ci fermiamo sulla "montagna". Facciamo della "luce" la nostra sicurezza: è un rischio grande, perché quando il credente pensa di sapere tutto, rischia di diventare intollerante, di non avere più attenzione verso l'altro, di non essere più capace di dialogo.
Trovate in questa pagina la frase più forte del Vangelo: (quella che io ritengo la più forte) "Non videro più nessuno se non Gesù solo con loro". Gesù diventa "nessuno"!
È la vicenda di noi cristiani - povera gente - che qualche volta intuiamo qualche cosa della fede, ma quando ci sentiamo sicuri siamo - ormai - lontano dal Signore, perché la fede è cammino, ricerca a volte confusa, senza capire fino in fondo che cosa è giusto, che cosa non lo è. È una ricerca appassionata, quotidiana. Qualche volta intuiamo qualche cosa. Qualche volta siamo pieni di dubbi. Qualche volta siamo sconcertati. Qualche volta non capiamo il mondo e allora...
Allora per il cristiano c'è una sola strada... prendere per mano Gesù anche se a volte... ci sembra "nessuno". Anche se ci capita di chiederci: "Ma ha veramente ragione Lui? I valori che vuole comunicarci in questo mondo sono valori autentici?"
Vedete, capita a tutti noi, (capita a me, penso che capiti a tutti voi) di avere dubbi, di essere sconcertati, di non capire: "Ma qui che cosa è giusto, cos'è sbagliato, quali sono i veri valori?" In tutti i campi: nella famiglia, nei rapporti con gli amici, con la città, nella politica, negli sguardi su questo mondo... e - allora - ci sentiamo un po' smarriti.
Ecco, il Vangelo di Marco ci dice: "Gesù rimane accanto a voi. Vi sembra "nessuno", prendetelo per mano, camminate con Lui".
La fede non è certezza, non è sicurezza, non è luce totale. La fede è intuizione, è cammino, è ricerca e - qualche volta - ti sbagli, ma non ti sgomentare perché Gesù ti mette sempre la mano sulla spalla e ti invita ancora a camminare con Lui.
La "luce" è alla fine, è il "sogno". II sogno - finalmente - di vedere, di capire. Noi, questo sogno, lo vediamo all'orizzonte. La nostra vita è cammino, ricerca - se volete - è pazienza, tentando di intuire e, quando abbiamo intuito qualche cosa, allora sì che possiamo combattere il male.
Se leggete soltanto qualche riga dopo quello che abbiamo letto stamattina... vedete che non solo non si può rimanere sul "monte" come vorrebbe Pietro, ma bisogna scendere "giù" e ci sono i "diavoli" cattivi, quelli che i discepoli non riescono a cacciare perché sono povera gente, come noi.
Gesù dice loro parole severe: "Perché non avete fede? Non siete capaci nemmeno di cacciare questi diavoli!".
I primi cristiani erano gente come noi. Qualche diavoletto lo possiamo cacciare, ma quelli piccoli; quelli grossi anche dentro di noi (lo sapete per esperienza) è difficile. È difficile scegliere la gratuità, il bene, la passione per la vita, la giustizia, la tenerezza, il rispetto per gli altri... è difficile seguire Gesù fino in fondo ma... questa è la certezza di questi primi credenti: Gesù rimane con noi ed è Lui la luce!
Non ci condanna, ci prende per mano, ci invita a cercare, a camminare ancora con fiducia senza paura, senza scoraggiarsi: camminare verso la "luce" in una ricerca che conosce i dubbi, gli smarrimenti ma, poi, si ritorna e Gesù ci accoglie.
Noi siamo qui! È un po' il nostro "monte" la domenica. Veniamo, ascoltiamo la Parola, ci nutriamo di Lui, intuiamo qualche cosa, poi usciamo... non possiamo rimanere qui! È là che incontriamo il male. È là che dobbiamo combatterlo e - purtroppo - ce lo portiamo anche un po' dentro di noi, ma Gesù cammina con noi, è Lui la luce: questo è il messaggio che la pagina di oggi ci vuole comunicare.
Il Signore ci aiuti.
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò III DOMENICA di QUARESIMA - 8 Marzo 2015
tutti fuori dal tempio con le pecore e i buoi… Giovanni 2, 13-25
Chi a Gerusalemme ha visitato la spianata del Tempio dice che quello che abbiamo letto oggi è il racconto di un fatto difficilmente accaduto... che un uomo solo cacci via tutti quelli che, nell'immenso cortile vendevano gli animali per i sacrifici: agnelli, vitelli, colombe e tutti quelli che cambiavano le monete (nel tempio non potevano entrare le monete pagane: c'era un'immagine e per Israele si era addirittura rei di morte se si portava un'immagine nel tempio).
I primi cristiani si interrogano sul perché Gesù ha qualche cosa contro il tempio. Non lo capiscono all'inizio. Forse lo capiscono soltanto quando il tempio di Gerusalemme è distrutto e, secondo la loro mentalità è la punizione di Dio, significa che Dio ha chiuso col tempio, non lo vuole più!
All'inizio i cristiani continuavano ad andare nel tempio, ma poi, pian piano, di fronte alla distruzione cominciano a riflettere e sono costretti a chiedersi: "Cosa c'è che non va?" e ripensano ad alcune parole che hanno ascoltato da Gesù, per capire. È importante anche per noi capire la polemica di Gesù nei confronti del tempio.
Immaginate il tempio: una serie di cortili concentrici. Nel primo cortile - la grande spianata di cui oggi sentiamo parlare - potevano entrare tutti: giudei, pagani, commercianti... c'era un grande traffico, il commercio... tutto legittimo, tutto importante per il culto del tempio. Poi c'era un recinto, lì potevano entrare solo gli ebrei: i pagani fuori! Poi c'era un altro recinto, lì solo gli uomini ebrei, non le donne. Poi un altro recinto, lì potevano entrare soltanto i sacerdoti. Poi l'ultimo dove poteva entrare soltanto il sommo sacerdote.
I primi cristiani si interrogano: "Gesù accetta tutte queste divisioni, non ci ha detto che siamo tutti uguali? Non ci ha detto che non c'è né uomo né donna e che davanti a Dio siamo tutti sullo stesso piano, che Dio è per tutti, anche per chi è fuori della religione ebraica. Per ogni uomo che vive sulla terra… perché tutte queste divisioni?
Voi - forse - ricordate l'episodio dell'incontro di Gesù con la Samaritana che gli chiede dove si deve adorare Dio sul monte Garizim come i Samaritani o a Gerusalemme come dicono i Giudei. E Gesù gli risponde: "Credimi, donna, né qui né là. Adesso Dio si adora in Spirito e Verità".
Crollano le mura del tempio, è l'universo e soprattutto la comunità dei fratelli che diventa lo spazio in cui si cerca Dio. Non c'è più distinzione tra cristiano, pagano, tra una religione e l'altra: abbiamo tutti da riconoscere lo stesso Dio senza distinzione. Distinzione tra cristiano e pagano. Distinzione tra uomini e donne. Ci sono ancora... (oggi è la festa della donna) qui c'è un maschio a predicare. Ci sono ancora barriere e Gesù era venuto per toglierle: non c'è riuscito - vedete - ci sono ancora distinzioni... questa è la prima riflessione, ma c'è ne è un'altra - forse - ancora più profonda.
Nel tempio non potevano entrare i malati, storpi, zoppi, ciechi, chiunque avesse una menomazione perché era considerato un castigo di Dio, un segno del peccato: per Gesù questo è intollerabile.
Se leggete il Vangelo di Matteo (nei vari Vangeli trovate diverse interpretazioni di questi fatti) Gesù entra nel tempio portandosi dietro tutti i malati, gli storpi, i ciechi... bisogna superare l'idea che il malato è punito da Dio, escluso.
Di più... bisogna superare il concetto che il peccatore è escluso da Dio e che non può incontrare il Signore, non può cercare la riconciliazione, una vita nuova.
Un'altra riflessione fanno i primi cristiani: il tempio può essere il luogo che ci fa sentire giusti e ci fa disprezzare e condannare il nostro prossimo.
Tutti ricordate l'episodio del pubblicano e del fariseo che vanno nel tempio. Il fariseo va davanti e dice: "Signore, ti ringrazio perché non come tutti gli altri uomini: non rubo, pago le mie tasse, faccio le offerte e non sono come quell'altro laggiù". E laggiù il pubblicano si batte il petto: "Pietà di me, Signore, sono un pover'uomo". Gesù dice: "Quello tornerà a casa giustificato, l'altro no perché ha fatto del tempio lo strumento del suo piedistallo per giudicare e condannare". È un rischio che corriamo anche noi!
C'è ancora un'altra riflessione che i primi cristiani fanno... Non si tratta tanto del commercio delle pecore, degli agnelli, dei vitelli... c'è un commercio nel tempio che distorce la nostra fede, se si va per ingraziarsi Dio. Quando si va nel tempio per procurarsi meriti. Quando si va nel tempio per fare un commercio con Dio: "Vedi? Io ti do... Ti faccio la mia offerta, le mie preghiere, i miei sacrifici e Tu mi darai in cambio..."
Per Gesù l'incontro con Dio è gratuità, non ricerca di protezione. L'incontro con Dio non parte dal nostro bisogno, ma dalla ricerca di quello che è giusto, dalla passione per il bene e, quando c'è questa gratuità, questa passione per il bene, di fronte al male che trovo dentro di me e intorno a me, sento il bisogno di combatterlo, di guarire le piaghe del cammino dell'uomo.
Non vado in chiesa per essere aiutato, ma per aiutare. Non vado in chiesa per commerciare con Dio, ma per vivere la gratuità e l'amore.
Quanti motivi i primi cristiani intuiscono per dire: "Bisogna superare il tempio. Adesso il tempio siamo noi. È la comunità dei credenti. È qui che possiamo incontrare Dio, nella nostra ricerca di Lui, nel nostro cammino, nella nostra fatica".
Per incontrare Dio dunque non bisogna accettare le divisioni: tra credenti e non credenti, tra uomini e donne, tra sacerdoti e laici. Le divisioni tra gente di un popolo e di un altro, tra una razza e un'altra, (terribile discorso: non esistono le razze) siamo tutti figli dello stesso Padre.
Nel tempio non si va per sentirsi giusti. Dal tempio non possono essere esclusi i peccatori e guai a pensare che chi è malato è punito da Dio. Nel tempio si va per vivere la gratuità.
Ogni cristiano è bene che conservi nel cuore il ricordo di Gesù che con una frusta in mano caccia tutti dal tempio. Non è un fatto, è un simbolo, ma un simbolo della nostra fede, uno dei più profondi che ci fa capire che cos'è pregare, venire in chiesa, avere fede.
Il Signore ci aiuti.
"Chi non crede in Lui è già condannato" IV DOMENICA di QUARESIMA - 15 Marzo 2015
Giovanni 3, 14-21
La pagina del Vangelo che abbiamo appena letto è molto complessa, come quasi sempre accade nel Vangelo di Giovanni.
Vorrei attirare la vostra attenzione soltanto su una frase: "Chi non crede in Lui è già condannato". Cosa significa credere e cos'è condanna? Vedete - nel corso della storia della Chiesa, ma penso nella storia di tutte le religioni si identifica la fede - spesso - con l'appartenenza ad un gruppo, con la partecipazione a dei riti, con l'affermazione di certe verità... chi non esegue quei riti, chi non dice quelle parole, chi non appartiene a quel gruppo è eretico e va considerato fuori, condannato, destinato alla punizione di Dio. Ma è proprio questo il senso della fede, proprio questo significa credere?
Vedete, nella storia della Chiesa sono stati - a volte - condannati dei personaggi... pensate (solo per fare un esempio, ma ce ne sono tantissimi) a Giordano Bruno, il quale è stato bruciato sul rogo non perché avesse commesso dei misfatti, ma perché aveva pronunciato parole diverse da quelle che si usavano pronunciare: parole (tra l'altro) straordinarie, anticipatrici di mondi sognati, piene di calore umano: lui è stato bruciato e tanti delinquenti (Papi compresi) venivano onorati e qualcuno - addirittura - fatto santo.
Allora dobbiamo domandarci: "Ma chi ha veramente fede?" A leggere il Vangelo non ha fede chi dice: "Signore, Signore..." ma chi fa la volontà del Padre, chi vive i valori di Gesù. Gesù è venuto a portare la luce... luce di giustizia, di onestà, di libertà, di verità, di tenerezza, di accoglienza del fratello, di condivisione della vita: non accettare tutto questo significa che la nostra vita è sciupata, rovinata. Il male è qualche cosa di serio.
Che significa "condannato"? Significa che va all'inferno, significa che di là non c'è speranza? È proprio questo quello che possiamo affermare? Dio non appartiene "all'oltre"? Come possiamo dire chi è, che cosa farà? Credo che quello che noi possiamo dire è qui, in questa vita! E quando parliamo di condanna, parliamo della serietà, della gravità del male. Il male sciupa la vita. Il male corrompe la vita e noi, che siamo stati educati (credo tutti, da piccoli) alla confessione... (adesso dico qualche cosa di eretico, ma state tranquilli, adesso non c'è più il rogo. A Campo de Fiori non si brucia più nessuno)
La Confessione può essere una raffinatissima educazione all'ipocrisia! Quando eravamo bambini andavamo a confessarci, dicevamo: "Ho detto le bugie, ho litigato con il compagno, ho disubbidito alla mamma, non ho studiato, ho detto parolacce. "Tre Ave Maria. Io ti assolvo dai tuoi peccati". Andavamo a casa - o meglio prima di andare a casa - litigavamo, dicevamo bugie, non studiavamo e disubbidivamo!
Quando vi domandate perché in questo paese c'è tanta corruzione… forse bisogna tornare qui, ad una certa educazione: "Sì, si può fare il male poi - però - non aver paura perché il Signore ti perdona. Basta che vai a confessarti, e chiedi perdono".
Vedete, nella grande fede prima di Israele, poi cristiana e anche mussulmana... il monoteismo è etico. Non fare il bene, non vivere la giustizia, l'onestà, l'attenzione verso gli altri, la condivisione della vita, la libertà, la gratuità significa disprezzare Dio. Questo ha una condanna severa da parte di Dio e dovrebbe avere - anche - una condanna severa da parte di tutti noi.
Questo che significa? Se faccio qualche cosa di male non ho più speranza? Devo rimanere schiacciato dal peso della mia colpa, specialmente se è una colpa grave? Ecco noi abbiamo - e tenetelo nel cuore - un simbolo straordinario che il Vangelo di Luca ci regala....
Sul Calvario c'erano tre croci e Luca inventa (sembra che sia una sua invenzione) che uno dei ladroni si rivolge a Gesù dicendo: "Salvami!". All'ultimo momento! Un ladrone - forse - un assassino eppure all'ultimo momento il sospiro, il desiderio della luce, l'aprirsi al pentimento trova l'accoglienza!
Qualunque cosa l'uomo ha fatto sa che può trovare in Gesù di Nazareth una mano tesa che lo rialza, lo rimette in cammino: questo significa che Gesù è venuto non per condannare, ma per salvare il mondo.
È venuto per tendere una mano, ma non per dire: "Tutto va bene". Lui, con il nostro male non può fare pace e finché rimaniamo nel male, viviamo l'ingiustizia, l'intolleranza non può fare pace con noi, la mano che ci tende dobbiamo accoglierla.
Allora da una parte dobbiamo conservare il senso severo, rigido della gravità del male. Abbiamo un grande bisogno in questo paese (secondo me) dell'onestà... c'è troppa corruzione! II senso rigido del rispetto del prossimo, ma non dobbiamo lasciarci mai schiacciare dal peccato, abbiamo sempre una speranza per ricominciare. Sempre la speranza di aprire il nostro cuore a Dio.
Possiamo prendere la mano di Gesù e farci portare da Lui verso il bene. Non può far pace con il nostro male, ma con noi sì, sempre... sempre! Se allarghiamo le braccia ci accoglie… non solo, viene a cercarci, perché ci liberiamo dall'ingiustizia, dal male, ci apriamo alla luce e al bene.
Il Signore ci aiuti.
"Se il chicco di grano caduto in terra V DOMENICA di QUARESIMA - 22 Marzo 2015
non muore rimane solo… Giovanni 12, 20-33
Chi ama la propria vita, la perde…"
Siamo all'ultima Domenica della nostra Quaresima. Domenica prossima sarà già la Domenica delle Palme e ci ritroveremo qui a leggere il lungo racconto della Passione e della Morte di Gesù. Quello che abbiamo letto oggi - forse - ci da la chiave di lettura, gli strumenti per capire quella storia. Allora anticipiamo i tempi, provate a fare uno sforzo di fantasia...
Immaginate di trovarvi anche voi là (lontano ormai nel tempo e nello spazio) sotto quella croce. Guardate un po' da lontano, intorno a quella croce, tutta la gente radunata che grida: "Se sei il Figlio di Dio, scendi!". Ci sono anche i capi dei sacerdoti, ci sono i farisei, gli scribi: "Se sei il Messia, scendi e crederemo!" Ma non scende! Perché?
Anche voi sentireste il bisogno di dire: "Scendi, facci vedere... Tu sei Dio, perché rimani su quella croce?"
E immaginate che accanto a voi ci sia un uomo dalla faccia bruciata dal sole; un pescatore che viene da lontano... parla un accento che non è di Gerusalemme e immaginate che sottovoce accanto a voi mormori, quasi tra sé e sé: "Se il chicco di grano caduto in terra, non muore, non porta frutto". "Chi ama la propria vita la perde e chi odia la propria vita, la salverà".
E immaginate che girandovi di scatto (come forse farei io) abbiate voglia di gridare: "Perché... perché il seme deve morire per portare frutto, perché bisogna odiare la propria vita, perché perdere la vita? Perché? Che senso ha tutto questo? Chi vuole così?"
Quell'uomo - forse - sempre sottovoce mi direbbe: "Ma a chi lo chiedi, a Lui? Guarda sta per morire, non parla più, non ti può rispondere e - forse - è una domanda che non devi fare a Lui... non c'è un progetto, non c'è una legge. La domanda la devi rivolgere al tuo cuore, alla tua mente, al cuore dell'uomo". Proviamo allora a chiedere alla nostra mente, al nostro cuore: perché?
Ripensiamo a tutti quelli che sono stati come semi che sembravano perduti nei solchi della storia umana… a tanti studiosi, scienziati, anche a tanti poeti, artisti, filosofi, teologi, giuristi... a gente che cercava di intuire qualche cosa di nuovo e veniva emarginata, messa da parte, portava frutti solo dopo anni e ci si accorgeva che avevano ragione loro. Perché?
Perché - probabilmente - noi uomini facciamo una gran fatica ad accogliere le novità. Ci radichiamo in quello che si è sempre detto, che si è sempre fatto. Quando uno ci sconcerta, ci dice qualche cosa di nuovo, ci apre prospettive diverse, allarga il cuore del nostro orizzonte... noi rimaniamo perplessi, facciamo fatica ad accettarlo, ma c'è di più...
Spesso quello che noi cerchiamo è il benessere, lo star tranquilli, il successo, il denaro, il potere; non vogliamo essere inquietati, non vogliamo cercare valori più alti ed è per questo - forse - che tanti "semi" sembrano perduti nel corso della storia e poi devono passare anni perché riprendano vita e portino frutti.
E poi... "odiare la vita". Non si può odiare la vita, ma si può amare la giustizia e il bene più della propria stessa vita e ce ne sono tanti che lo hanno fatto nel corso della storia.
Tante persone che non hanno anteposto la propria vita alla ricerca della giustizia, al bene degli altri... ce ne sono stati tanti in ogni angolo della terra, anche nel nostro paese e ce ne sono anche oggi. Eroi, persone straordinarie, ma anche gente di tutti i giorni. Ce ne sono stati tanti nel nostro paese che erano analfabeti, ignoranti e che quando guardavano qualcuno inseguito, nella guerra, da qualunque parte venisse, vedevano un ragazzo dagli occhi spauriti e lo difendevano a rischio della propria vita. Non persone straordinarie (anche mio padre lo ha fatto) ma persone di tutti i giorni.
Ci sono dei momenti in cui chi ama la giustizia, chi ama l'uomo, ha tenerezza per l'altro... deve mettere a rischio la propria vita perché c'è troppa ingiustizia, c'è violenza in questo mondo.
E anche nelle cose di ogni giorno, non soltanto quando la vita richiede atti eroici. Mi colpiva ieri una ragazza che conosco, giovane, bella che se ne andava a Bologna insieme a tante altre persone (ho saputo poi ieri sera che erano più di duecentomila) a manifestare contro la mafia, a dare solidarietà ai parenti di vittime della mafia, proprio perché cercava la giustizia e pensavo: "Ma non poteva andare a ballare, a divertirsi? Che cosa l'ha spinta là?" Ha perso qualche cosa, forse un incontro, una giornata di divertimento, di spensieratezza per andare a gridare la sua passione per la vita, la sua solidarietà a della gente: ecco questo significa "perdere la vita", amare la giustizia e il bene più di se stessi.
E poi guardatevi intorno... tante volte i "semi" che sembrano perduti poi portano frutto lentamente nel corso della storia.
Oggi (per fare soltanto un esempio) a Roma si corre la maratona, (qualche guaio, qualche strada interrotta) ma non c'è nessuno che va al circo a vedere gente che si uccide. Non c'è nessuno che va a gridare perché le belve vengano sterminate. Non c'è più nessuno perché tanta gente che ha seminato i semi della giustizia ha portato frutto.
Gesù che sembrava un "seme" perduto nella storia, morto solo là su quella croce, ci vede ancora qui riuniti intorno alla tavola e tanta gente, come Lui, nel corso della storia che sembrava perduta ha portato frutti di giustizia e di bene.
Quello che vediamo alla televisione è, molto spesso, un mondo negativo. Ci propinano sempre notizie che ci turbano il cuore, i giornalisti (è il loro mestiere, dicono) ci danno solo notizie straordinarie e il bene non te lo possono raccontare perché (per fortuna) è ancora una cosa normale.
Quanta gente anche tra di voi crede che il bene sia una cosa normale? Che i semi che abbiamo seminato (che avete seminato anche voi) portino frutti nella storia? Se è il seme giusto faticosamente, lentamente porterà i suoi frutti... anche i nostri semi.
E - allora - anche noi con coraggio dobbiamo mettere in gioco la nostra vita, le nostre comodità, le nostre pigrizie per cercare di amare la giustizia e il bene con la fiducia che il "seme", se è giusto, porta il suo frutto e chiunque spende la sua vita per il bene farà fare un piccolo passo avanti a questo nostro mondo così fragile, così difficile: per questo Gesù è venuto in mezzo a noi, per questo ha condiviso la nostra vita, ha accettato di essere come un seme che si perde nei solchi della storia, ma siamo ancora qui riuniti nel suo nome.
Il Signore ci aiuti.
Il primo giorno della settimana, Maria di RISURREZIONE del SIGNORE - 5 Aprile 2015
Magdala si recò al sepolcro di mattino… Giovanni 20, 1-9
e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Quando si leggono i racconti della Risurrezione si rimane sempre un po' perplessi: mentre tutti i Vangeli raccontano più o meno allo stesso modo la passione di Gesù fino alla morte, dopo ognuno sembra andare per conto proprio. Ogni comunità sembra avere i suoi ricordi, le sue storie da raccontare, a volte in contrasto le une con le altre.
Ma quello che soprattutto sorprende è che dove ci si aspetta l'esplosione della gioia pasquale sembra invece regnare l'incertezza, il dubbio. I discepoli non riescono a credere, a riconoscere il Signore: ricordate il racconto dei due discepoli di Emmaus che camminano con Gesù per circa undici chilometri senza riconoscerlo e anche gli altri discepoli che non si fidano né di loro, né delle donne. Maria di Magdala lo scambia per il giardiniere e poi tutti conoscete la storia di Tommaso che vuole mettere il dito.
Quando ero ragazzo pensavo che dipendesse dalla difficoltà di immaginare la vita dopo la morte, la condizione del corpo di Gesù risorto, poi ho capito che la difficoltà riguarda la nostra vita qui, ora. L'aldilà è del tutto al di fuori delle nostre capacità di comprendere, di intuire; per noi una vita al di fuori dello spazio e del tempo, in cui siamo immersi, è totalmente inimmaginabile. Ne possono parlare i poeti o i visionari, ma appunto si tratta di poesie o di fantasiose visioni. Alla fede del credente non resta che il sospiro di Gesù sulla croce: "Padre nelle tue mani affido la mia vita".
La vera difficoltà riguarda la nostra vita presente, la possibilità di credere che Gesù "ha ragione". Non hanno ragione la violenza, l'arroganza del potere, la malvagità che lo hanno inchiodato sulla croce. Ha ragione Lui, la sua vita donata, il suo amore, la sua tenerezza, il suo chinarsi sull'uomo che soffre, l'abbraccio del peccatore, il coraggio della libertà, la capacità di andare oltre la tradizione e l'applauso della folla, la ricerca della giustizia e della verità.
Credere in tutto questo è difficile per noi in questo mondo in cui spesso, anche in questi giorni, respiriamo la violenza, la guerra, la morte, la sopraffazione, l'odio. A volte guardare, anche solo per poco, la televisione ci mette angoscia nel cuore, rischiamo di essere sopraffatti dalla disperazione.
Cerco spesso di pensare che il bene non fa rumore e ce n'è tanto nel mondo, poi guardo voi - molti vi conosco - e vedo il desiderio di giustizia e di pace, la capacità di vivere ogni giorno la tenerezza e l'amore… questo mi aiuta a credere che Gesù ha ragione, che la vita è degna di essere vissuta se, almeno un po', è come la sua.
L'altra difficoltà che abbiamo è quella di rendere immortale la memoria di Gesù. Facciamo a volte fatica a mantenere vive le sue parole, a conservare nel cuore i suoi ideali, i sogni della sua vita.
Dopo duemila anni siamo ancora riuniti nel nome di Gesù: la memoria di Lui, delle sue parole, dei suoi gesti non può morire, per noi e per coloro che vengono dopo di noi, a cui siamo chiamati a testimoniare la fedeltà a Gesù.
Un'altra parola vorrei aggiungere. Non so se la vostra esperienza è simile alla mia: quando ero ragazzo non mi hanno mai spiegato cosa significasse "risurrezione della carne", mi parlavano dell'immortalità dell'anima, del valore dello spirito, dell' importanza delle idee, come ne parlavano, in fondo, i filosofi greci.
Ma perché parlare di "carne"? È possibile immaginare il corpo del Signore risorto? A leggere i vangeli, compare e scompare, attraversa i muri… che corpo è? Paolo prova a spiegare, ma sembra arrampicarsi sugli specchi, parla di un "corpo spirituale", ma per noi è una contraddizione: o è corpo o è spirito.
Ancora una volta non si tratta di concepire cosa accade oltre la morte ma di capire il senso della nostra fede. Ed ecco, allora, che "risurrezione della carne" ci parla della nostra vita concreta, dell'importanza e del valore non solo dello spirito, ma del corpo, della materia. Non è importante solo la preghiera, la professione della fede, le idee, la contemplazione, ma anche tutto ciò che riguarda la vita concreta, i sentimenti, le passioni, la corporeità, la sessualità, l'impegno nel lavoro, la capacità di essere vicini ai piccoli e agli anziani, l'economia, l'impegno sociale, la politica: in tutto questo spazio, materiale, concreto è possibile vivere la risurrezione, i valori di Gesù.
Ricordate certamente nel Vangelo di Matteo il discorso sull'ultimo giudizio: Gesù non ci chiede se abbiamo pregato, se siamo andati a Messa, se abbiamo fatto pratiche religiose, ma se abbiamo dato da mangiare e da bere, se abbiamo curato i malati… tutte cose molto materiali e concrete.
Per quello che ho capito, vivere la risurrezione di Gesù significa credere che Lui ha ragione, che la vita ha senso nella libertà, nella gratuità, nella tenerezza, nella condivisione, nel servizio, nell'amore.
Significa tentare di tenere vivi per noi e per chi ci sta accanto, i valori, le parole, le idee i gesti della vita di Gesù.
Significa vivere pienamente la nostra corporeità, i nostri sentimenti, il nostro lavoro, il nostro compito nella vita sociale e politica, perché sia ricerca di giustizia e di pace.
Il Signore ci aiuti.
E Gesù: "Beati quelli che non II DOMENICA di PASQUA - 12 Aprile 2015
hanno visto e hanno creduto!". Giovanni 20, 19-31
Gesù (per quello che ho capito io) deve aver avuto una grande simpatia per Tommaso perché - in fondo - erano della stessa pasta. Tommaso dubita della testimonianza degli altri apostoli.
Gesù ha dubitato di tutti! Ha dubitato della sua famiglia quando - forse - volevano che Lui, il primogenito, restasse in casa a fare il falegname, come il padre e Lui voleva andare da un'altra parte. Ha dubitato dei suoi discepoli quando volevano che non andasse a Gerusalemme. Ha dubitato della tradizione del popolo di Israele, per andare oltre, per superare tante cose che a Lui sembravano sciocchezze. Ha dubitato dei capi del suo popolo, religiosi, politici. Ha dubitato... (e questo è veramente sconcertante) addirittura della Parola di Dio. Quello che è scritto e che anche noi leggiamo e quando abbiamo finito diciamo: "Parola di Dio"… Gesù ne ha dubitato!
Se leggete con attenzione nel Vangelo di Matteo il "discorso della montagna" trovate che diverse volte dice: "È stato detto... ma io vi dico!" Ma quello che "è stato detto" era nella Bibbia, che era considerata Parola sacra. Lui pensava che bisognasse andare oltre. Dubitava della verità e della profondità di quelle parole. Ha messo in discussione - addirittura - la Parola di Dio.
Il dubbio, la ricerca: è questa la caratteristica di Tommaso, ma questa - in fondo - è la caratteristica di Gesù e, se ci pensate bene, di tutte le persone che hanno mandato avanti l'umanità, in tutti i campi: nella medicina, nella scienza, nella tecnica e perfino nell'arte, nella letteratura… c'è sempre qualcuno che ha dubitato di quello che si è fatto fino allora, del modo con cui si è costruita una macchina, con cui si è scritta una poesia o dipinto un quadro... Bisognava andare oltre, mettere in discussione quello che si era sempre fatto.
È quello che fa Tommaso ed è quello che dovremmo fare anche noi. Ne abbiamo un grande bisogno, specialmente in questo tempo, in cui siamo un po' tutti vittime della televisione, dei giornali, dei mezzi di comunicazione di massa...
Ci vogliono tutti allo stesso modo. Tutti disegnati con uno stampo. In molti vorrebbero che noi non pensassimo, che ci adeguassimo.
Gli antichi dicevano: "Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio". Dovrebbe essere il nostro motto in tanti campi.
Anche quando andate in chiesa, quando ascoltate le mie parole, se non siete sciocchi, dubitate: "Avrà ragione o sta dicendo sciocchezze?" Qualche volta, io, dico scemenze! Non me ne rendo conto se no non le direi. Le scemenze si dicono senza rendersene conto e voi, se siete cristiani saggi, dubitate e cercate e fatevi domande.
Volete un esempio...? Nella prima lettura abbiamo letto che i discepoli vendono tutto, mettono tutto in comune e nessuno ha bisogno di niente… sapete qual è la conclusione? Che avevano fame! E dovevano raccomandarsi agli altri. E Paolo doveva andare in giro per tutto il bacino del Mediterraneo a raccogliere un po' di soldi per questi sconsiderati cristiani di Gerusalemme che s'erano venduto tutto e non avevano più da mangiare. Il povero Paolo pare sia morto proprio per colpa di quegli sciocchi che avevano venduto tutto: erano degli idealisti, dei sognatori.
Allora, perché Gesù dice a Tommaso: "Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto?". C'è qualcosa che si può credere senza vedere, senza toccare con mano, secondo voi? C'è: le cose essenziali della vita!
Qui c'è qualcuno di voi che ha i capelli bianchi e - forse - ha vissuto il tempo della guerra. C'era la guerra, la pace non si vedeva - eppure - intorno a noi (noi eravamo troppo piccoli) c'era chi ha creduto nella pace. Ha creduto nella ricostruzione di questo paese distrutto. Ha creduto con tutta la passione del suo cuore "senza vedere".
Se vi trovate in una situazione in cui c'è l'odio e non riuscite a toccare con mano l'amore, allora, è il momento di credere senza vedere. Se c'è ingiustizia intorno a noi, allora, è il momento di credere nell'onestà, nella correttezza, senza poter toccare con mano: "Così fan tutti!". "Io no, perché io ci credo!" Credo che sia importante essere onesti, è fondamentale in questo momento nel nostro paese.
Noi siamo sempre vittime della televisione, dei giornali, sembra esserci tanta corruzione, forse ce ne è meno di quanto appare... basta che vi guardiate gli uni con gli altri, ma c'è! E molti di noi sono sgomenti e siamo tentati di dire: "Tutti rubano e rubo anch'io". No! Proprio quando non vedo l'onestà, allora è il momento di credere. È allora che non posso chiedere di mettere la mano e di toccare: "Fammi vedere l'onestà e poi sarò onesto anch'io!" No! Credo senza aver veduto! Credo nella pace anche se c'è la guerra. Credo nell'amore anche se c'è l'odio. Credo nella giustizia anche se trovo intorno a me l'ingiustizia.
I valori essenziali della vita - a volte - non si possono toccare con mano. Bisogna credere: ecco perché Gesù, che (secondo me) ha una grande simpatia per Tommaso, vuole prenderlo per mano e portarlo un po' più avanti.
È vero, Tommaso dubita, però non può dubitare delle cose essenziali, della pace, della libertà, della giustizia. Non può dubitare dell'amore anche se non lo può toccare con mano.
Il Signore ci aiuti.
...credevano di vedere un fantasma. Ma III DOMENICA di PASQUA - 19 Aprile 2015
egli disse loro: "Perché siete turbati e Luca 24, 35-38
perché sorgono dubbi nel vostro cuore?".
Domenica scorsa (molti di voi lo ricordano perché è uno degli episodi più noti del Vangelo) leggevamo di Tommaso che non riesce a credere, non si fida dei discepoli, vuole toccare, vuole mettere la mano.
E dicevamo che Gesù, che ha simpatia per Tommaso perché - in fondo - è molto simile a lui, però vuole portarlo oltre, a scoprire che i valori essenziali della vita - spesso - non si possono toccare con mano: bisogna credere senza vedere!
Quando c'è la guerra la pace non si vede, eppure c'è chi - anche nel nostro paese - ha creduto con tutta la passione del suo cuore nella pace. Quando c'è odio e violenza - spesso - l'amore e la tenerezza non si vedono, non si possono toccare con mano, ma è proprio lì che bisogna credere senza vedere. Quando c'è ingiustizia, corruzione è difficile vedere l'onestà e la giustizia ed è proprio allora che bisogna avere il coraggio di credere, senza poter toccare con mano.
Credo che Gesù volesse portare Tommaso anche un po' oltre, a ritrovare - cioè - la fiducia negli altri discepoli, a condividere con loro il cammino, la ricerca della fede.
I discepoli di Emmaus (non so se avete notato) vanno in due e, quando tornano, tra loro parlano: "Non ci ardeva il cuore in petto quando Gesù ci spiegava le Scritture?" Quando Gesù manda i suoi discepoli, li manda sempre due a due e anche ora i discepoli sono tutti insieme nel cenacolo a condividere la loro paura, il loro sgomento. Gesù sembra un "fantasma" e - forse - si stringono e si tengono per mano per cercare di trovare l'uno nell'altro la forza di andare avanti, di cercare ancora, il coraggio di credere. Condividono la loro rinnovata speranza come avevano condiviso lo smarrimento e forse la disperazione.
Vedete... la fede non è un sì o un no! Qualche volta ci hanno detto che la fede uno ce l'ha e uno non ce l'ha. Penso che la maggior parte di voi (come è successo a me quando ero ragazzo) quando ci dicevano che la fede è un dono di Dio ci siamo sempre domandati: "Ma perché a uno sì e a uno no?"
La fede non è un sì o un no! La fede è il tentativo di seguire Gesù. La fede è cammino, è ricerca, è scoperta. La fede è intuizione di qualche aspetto dei valori, degli ideali di Gesù ed è un cammino che non finisce mai. È un cammino in cui è fondamentale avere qualcuno che, con te, condivide questa ricerca e ti fa partecipe delle sue intuizioni, della sua luce.
Io sono stato molto fortunato nella mia vita. Fin dalla più tenera infanzia ho avuto qualcuno che ha condiviso con me il tentativo di andare dietro il Signore: mio padre, mia madre, alcune persone straordinarie che ho conosciuto proprio nella mia infanzia... poi sono cresciuto e ho incontrato tanta gente e con tanti ho condiviso il cammino della fede.
Persone straordinarie... studiosi che scrivevano libri molto profondi, ma anche e soprattutto la gente di tutti i giorni. La gente comune, giovani, anziani e poi i bambini... i bambini che - a volte - ti fanno intuire le cose essenziali molto più di un adulto che fa ragionamenti complicati. Il bambino va al cuore, ti porta a vedere l'essenziale del rapporto con Gesù, con la vita. Il bambino è capace di comunicarti la capacità di far pace: sa far pace più spesso e molto più in fretta degli adulti. Sa comunicarti i valori essenziali della tenerezza.
Dunque la fede è cammino, ricerca, tentativo di incontrare Gesù, di seguirlo, di camminare con Lui ed è un cammino che non finisce mai… e non si finisce mai di scoprire qualche cosa.
È accaduto anche a me in questa settimana. Con meraviglia mi è sembrato di aver intuito qualche cosa di fondamentale del mio rapporto con la fede. E non l'ho scoperto perché sono una persona geniale, ma perché qualcuno me l'ha fatto notare. E ho potuto condividere con lui un'intuizione, una ricerca di Gesù, una riflessione su cose essenziali.
Avere fede (ve lo ripeto) non significa credere che Gesù è Dio, il Figlio (anche questo, certo) non è questo l'essenziale. Credere significa condividere i valori di Gesù e cercarli ogni giorno e camminare con Lui, seguirlo.
E i valori essenziali (ve lo ripeto) - a volte - non si possono toccare con mano. Non puoi toccare con mano la pace quando c'è la guerra. Non puoi toccare con mano l'amore quando c'è l'odio. Non puoi toccare con mano la giustizia quando c'è ingiustizia e corruzione... e - allora - è importante che con te tante persone condividano il turbamento, lo sgomento di fronte a questo mondo - a volte - così violento e cattivo. Ma anche condividano con te la speranza, la voglia di cercare, il coraggio di non rassegnarsi, la capacità di credere ancora che Gesù ha ragione, la capacità di camminare con Lui.
Ecco perché nella mia vita, ma credo che nella vita di ogni cristiano sia fondamentale condividere, camminare insieme, scambiarsi idee, sentimenti, voglia di camminare con Gesù e di scoprire quello che Lui ha da dirci, cosa vuole comunicarci.
Non siamo soli. L'uomo non è un'isola. Condividiamo la vita. Camminiamo insieme.
Il Signore ci aiuti
Io sono il buon pastore, conosco le mie IV DOMENICA di PASQUA - 26 Aprile 2015
pecore e le mie pecore conoscono me, Giovanni 10, 11-18
e do la mia vita per le pecore.
Quando apro il foglietto della Messa che avete tra le mani, per preparare qualche cosa da dirvi... ormai da molti anni rimango sempre sconcertato nel leggere che oggi è la giornata delle vocazioni sacerdotali - cioè - la Chiesa è invitata a pregare per i suoi pastori, e mi domando: "Perché proprio oggi, quando - in fondo - si afferma che uno solo è il pastore?"
Nel Vangelo è detto con chiarezza: "Non chiamate nessun padre sulla terra perché uno solo è il Padre vostro. Non chiamate nessuno maestro sulla terra perché uno solo è il vostro Maestro: il Cristo". E oggi potremmo aggiungere: "Non chiamate nessuno pastore sulla terra, perché uno solo è il vostro Pastore".
A questo aggiungete che quando ero ragazzo mi insegnavano che il cristiano è come una pecora che segue attentamente il pastore. La pecora che descrivevano come un po' sciocca, sempre ubbidiente e - quindi - ci esortavano a seguire attentamente la voce non del Pastore, ma dei "pastori" e se facevamo qualche domanda ci dicevano che bisogna credere senza troppo pensare, senza farsi domande.
Bisogna ascoltare, credere, seguire quello che dicono il Papa, i vescovi, i parroci, senza troppe esitazioni, come le pecore seguono il pastore.
Ho avuto, tra le tante fortune della mia vita, quella di fare, per qualche giorno soltanto, il pastore e di andare con i miei cugini dietro le pecore... e sapete che succede? Che non sono le pecore che seguono il pastore, ma è il pastore che deve inseguire le pecore, specialmente quando ci sono quelle giornate uggiose, senza troppo sole. Le pecore si spargono per la montagna e bisogna camminare su e giù per cercare di radunarle perché ognuna va a cercare il meglio e qualche volta vanno nel pericolo, è evidente, ma più spesso sanno cercare l'erba migliore, i fiori più belli… soltanto così si può fare il formaggio buono.
Questi sono ricordi di gioventù, poi quando sono entrato in seminario ho conosciuto (per mia fortuna) straordinarie persone che mi hanno insegnato, con la vita prima che con le parole, che si può stare nella Chiesa soltanto a testa alta, pensando personalmente, cercando, tentando di intuire che cosa dice il vero Maestro della nostra vita: Gesù.
Cercando i valori che Lui ci comunica, i valori essenziali e scoprirli - a volte - faticosamente perché il mondo cambia. Ci aiuta il lungo cammino dell'umanità. Io posso dire cose, oggi, che al tempo di Paolo o di Pietro non si potevano nemmeno pensare, perché dietro di me c'è tanta gente... c'è san Francesco, c'è Galilei, c'è Leonardo, c'è Kant... ci sono tante persone che hanno cercato, che hanno pensato e non sono state come "pecore" sciocche e hanno condotto l'umanità a fare dei passi avanti, a interrogarsi anche sulla fede e a scoprire sempre qualche cosa che avvicina di più all'unico Maestro che è Gesù.
E - quindi - se vi capita - e qualche volta capita - di ascoltare che dico cose poco assennate, avete non solo il diritto (secondo me) ma il dovere di pensare con la vostra testa e - purtroppo - in giro ci sono (mi dicono) parecchi preti che di sciocchezze ne dicono parecchie.
Tornando da una Pasqua fuori Roma, mi diceva una mia nipote: "Ho dovuto tappare le orecchie a mio nipote, perché non sentisse le sciocchezze che diceva il prete". Non succede solo a lei, purtroppo.
Abbiamo il diritto anche quando ascoltiamo in televisione delle autorità religiose che predicano... di cercare con la nostra testa, di farci domande per seguire il vero Pastore, per scoprire quali sono i valori essenziali del nostro credere e della nostra fede e - allora - vedrete che pian piano certe cose che fanno parte della tradizione, certe regole, certe leggi scompaiono e non hanno più grande valore.
La storia, tante persone che hanno scritto grandi libri, la gente che incontriamo (almeno a me è successo) ci porta a scoprire sempre di più quello che è essenziale e quello che è trascurabile. A volte tante cose sono ridicole nelle nostre tradizioni.
Per quello che ho capito io essere cristiani significa seguire un solo Pastore, seguirlo a testa alta, senza mai rinunciare a pensare, cercando con il proprio cuore, senza mai rinunciare alle proprie passioni, per tentare di scoprire che cosa è giusto, che cosa è importante, vero nel cammino della nostra vita.
Possiamo sbagliarci certo, ma l'importante è non stare fermi e continuare a cercare, a tentare di scoprire cosa veramente Gesù ha voluto comunicarci.
Il Signore ci aiuti.
Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane V DOMENICA di PASQUA - 3 Maggio 2015
in me, e io in lui, porta molto frutto. Giovanni 15, 1-8
Ci sono, nel Nuovo Testamento, diverse immagini che cercano di farci intuire qual è il senso del nostro rapporto con Gesù di Nazareth. Sono immagini che vengono da lontano, fanno parte di un mondo che non è più il nostro: il pastore, la vite... ma sono immagini simboliche che - forse - possono darci il senso profondo del nostro rapporto con Gesù. Immagini che ciascuno di noi può far proprie e tentare di viverle nella propria persona e nell'ambiente in cui vive.
È chiaro che possono interpretarle diversamente un ragazzo, un giovane nel pieno delle sue forze, un adulto, un anziano che vede - ormai - la vita declinare.
Quali sono queste immagini? Oggi ne abbiamo ascoltata una, ma ce ne sono altre. Domenica scorsa era l'immagine del pastore che cammina davanti alle sue pecore ed esse lo seguono. Le pecore fanno parte di un gregge, camminano insieme.
Conoscete l'immagine così cara all'apostolo Paolo del "vestito". Nel Battesimo il cristiano si "riveste di Cristo". Un tempo i primi cristiani avevano come segno battesimale la "veste bianca" che portavano per tutta una settimana e l'apostolo dice: "Ti sei rivestito di Cristo". Rivestito di Lui, dei suoi valori, degli ideali della sua vita.
C'è un altro segno che noi viviamo qui ogni domenica. Anche qui si tratta di un simbolo. Ci nutriamo di Gesù, non soltanto ci rivestiamo di Lui, ma ci nutriamo di Lui.
C'è un'altra immagine che avete ascoltato più volte. Noi siamo come un corpo e Cristo è il capo e circola la stessa vita, lo stesso sangue. Ecco questo tenta di esprimere la nostra unità con Gesù, il nostro essere uniti con Lui, il nostro rivestirci dei suoi ideali, dei suoi valori, il nostro nutrirci di Lui... e questo (per quello che ho capito io) è l'essenza dell'essere cristiano... il resto: le tradizioni, le regole, i riti, i precetti, gli obblighi... sono tutte cose magari utili, importanti, ma se manca il rapporto profondo con Gesù, che ciascuno (ripeto) vive come può nel suo ambiente, nella sua relazione con gli altri, non siamo credenti.
Un'altra cosa che colpisce in queste immagini è che tutte ci mettono in comunione con i fratelli. Le "pecore" vanno insieme, la "vite" è una sola, i "tralci" sono attaccati alla vite, ci nutriamo insieme di Gesù. Il "corpo" è uno solo e Gesù è il capo.
Vedete, tutte immagini che dicono: tu sei unito a Cristo profondamente e sei unito ai fratelli e condividi la vita con loro.
C'è qualche altra cosa in questa pagina del Vangelo su cui vorrei attirare l'attenzione, qualche cosa di meno importante, forse di errato, almeno nell'interpretazione che - spesso - se ne da.
Avete ascoltato: "Voi siete il tralcio inserito nella vite. Se il tralcio non porta frutto si taglia e si brucia". Dietro questa immagine che i nostri padri hanno sentito ripetere ogni volta che andavano a Messa... c'è l'idea dell'inferno. L'immagine di Dio che può staccarti dalla "vite" e condannarti al fuoco - addirittura - un fuoco eterno: idea che a noi sembra assurda.
C'è un'altra cosa - forse - più sottile che abbiamo sentito ripetere più volte. Quelli che vuole che portino frutto, li pota, ma questo "potare" è stato - spesso - interpretato come la sofferenza: "la sofferenza ti matura,ti fa crescere, è Dio che ti invia qualche tribolazione perché tu possa crescere nella fede. Dio ti mette alla prova, ti stimola, ti fa soffrire, ma per migliorarti".
È un'idea che ritengo assolutamente inaccettabile, che ha pesato molto sulla vita cristiana.
Si diceva ai contadini, alla gente povera: "Tribola, sopporta, porta pazienza, sconti i tuoi peccati, poi il Signore ti premierà in Paradiso". No la sofferenza è sofferenza! È qualche cosa che l'uomo deve combattere con tutte le sue forze,- la sofferenza non porta miglioramento, fa soffrire e basta! Qualche volta se ne esce migliori, ma più spesso se ne esce'distrutti quando è sofferenza seria.
Nella mia vita c'è un episodio, (forse vi ho già raccontato, ma vorrei ripetere) che mi rimane impresso e che - ogni tanto - mi ritorna davanti, è qualche cosa che ha segnato profondamente il mio modo di concepire questo aspetto della vita.
Conoscevo, fin da bambina, una ragazza che mi sembrava deliziosa, dolce. Nell'adolescenza ha avuto dei gravi problemi, derivati proprio da certe situazioni che aveva subito quando era piccola. Un giorno parlavo con lei e mi raccontava tutta la sua sofferenza e gli dicevo: "Ma vedi... tutto questo soffrire - in fondo- ti ha fatto maturare. Certe cose che sei capace di esprimere adesso, prima non ne eri capace". Mi ha guardato con occhi che non scorderò più: "Sta zitto, tu, che non sai che cosa significa soffrire!" Era la prima volta in vita sua che mi da va del tu. La sofferenza non può essere giustificata.
È l'ingenuità dell'uomo che vede la provvidenza dappertutto e quando non può conciliare la sofferenza con un Dio buono e onnipotente, dice: "Ecco, il Signore ti prova, il Signore ti fa crescere, ti fa maturare, ti fa migliorare". È un'idea assurda, ma che ci siamo portati dietro fin nelle cose più banali. Qui siamo in parecchi ad avere i capelli bianchi... vi ricordavate quando andavamo a scuola le maestre avevano la bacchetta... quella quadrata e ci colpivano sulla punta delle dita ... la sofferenza fa crescere, migliora. Non si può far soffrire un bambino. Le maestre di oggi non usano più la bacchetta, ma se la maestra risparmia ai suoi alunni lo sforzo, l'impegno... se dicesse "anche se non studiate vi promuovo"... le cose importanti della vita si conquistano. Il problema (secondo me) dei ragazzi di oggi e che cerchiamo di far loro tutto troppo facile, non conquistano più niente, hanno sempre tutto fin da bambini. C'è una differenza profonda tra il far soffrire e l'aiutare la gente a impegnarsi, a cercare, mettendogli dentro - soprattutto - il desiderio di scoprire certi valori, le cose importanti.
Fa parte della tradizione cattolica pensare che la sofferenza - in fondo - è gradita a Dio, in qualche modo fa parte del progetto di Dio... questo ha anche delle conseguenze serie dal punto di vista sociale.
Il nostro paese (almeno esteriormente così cattolico) è agli ultimi posti per la terapia del dolore, per il parto indolore, perché la sofferenza - in qualche modo - ti fortifica, è gradita Signore. No! Abbiamo il diritto e anche il dovere di non soffrire: dobbiamo amare noi stessi ed evitare con tutte le nostre forze quello che ci fa tribolare e chiedere agli altri che non ci facciano soffrire fino alla fine della vita: la medicina oggi è in grado di farlo, almeno in parte.
Non possiamo mai giustificare la sofferenza. Il compito del cristiano è quello di affrontarla e toglierla per quanto è possibile.
Per concludere ritorniamo all'inizio, a quello che è il cuore del Vangelo che abbiamo letto. Noi siamo come "tralci" inseriti nella "vite" che è Cristo. Una cosa sola con Lui e con i fratelli. Noi siamo come "pecore" che insieme seguono il pastore, come un corpo di cui Gesù è il capo, ci nutriamo di lui: questo è l'essenza dell'essere cristiani. A volte tentare di seguire Lui ci mette in contrasto con certe regole che non capiamo, con certe tradizioni che non hanno più senso. Abbiamo diritto di cercare liberamente Gesù e i suoi valori, con tutta la passione del nostro cuore. Quello che conta è Lui, la mia unione con Lui e il condividere la vita con i fratelli.
Il Signore ci aiuti.
"Questo è il mio comandamento: che vi VI DOMENICA di PASQUA - 10 Maggio 2015
amiate gli uni gli altri come io ho amato voi". Giovanni 15, 9-17
Quello che cerco di dirvi stamattina forse interessa soltanto alcuni di voi, ma posso assicurarvi che ho incontrato tante persone (me compreso) per cui questi ragionamenti sono diventati importantissimi, specialmente in certi momenti della vita.
Vedete - il Vangelo che abbiamo letto oggi si potrebbe riassumere in tre parole: "Il cristiano è uno che si sente amato da Dio; il cristiano è uno che vive la pienezza della gioia; il cristiano è uno che sa amare"...e si sente qualche volta dire: "se uno non è cosi non è un vero cristiano".
L'esperienza che ho vissuto in tanti anni ormai della mia vita, è completamente diversa. Ci sono momenti in cui tante persone si sentono abbandonate da Dio e non riescono a vedere, a sentire il suo amore nella propria vita.
La nostra chiesa è dedicata a santa Teresa di Gesù Bambino. Lei, verso la fine della vita, in un momento di grave malattia che la faceva soffrire molto, dice: "So che sopra le nuvole c'è il sole, ma io vedo solo nuvole e buio, mi sento sola, abbandonata dal Signore".
Poi... l'esperienza che anche noi facciamo, - a volte da lontano - vedendo tutte le tragedie di questo mondo: la guerra, i bambini che sono uccisi, questi emigranti che annegano nel mare... tutta la violenza assurda... e qualche cosa che viviamo da vicino, mi parlavano stamattina di una ragazza che passa qualche ora vicino a un bambino di sette anni che sta morendo di tumore. Dov'è Dio? Cosa significa amore? Ci prendono in giro quando ci dicono che Dio ci ama?
Noi ci siamo fatti - a volte - un'idea di Dio che non corrisponde a verità. Se volete intuire qualche cosa di quello che può significare "amore di Dio" occorre avvicinarsi alla croce e vedere che Dio non è venuto... non può risolvere i nostri problemi, non è onnipotente. È venuto nella violenza del mondo! Questa violenza, di cui facciamo esperienza quasi ogni giorno, l'ha inchiodato sulla croce e - allora - quando ci sentiamo in momenti di desolazione... non possiamo che stringerci a quella croce e là sentire che Dio ci ama venendoci accanto, condividendo con noi, camminando con noi, subendo con noi la terribile esperienza della violenza nella vita dell'uomo.
Poi: la gioia. Il cristiano deve essere gioioso. È vero che il messaggio cristiano è un messaggio di liberazione, di vita, un messaggio di gioia, un lieto annunzio (come dicevano i primi cristiani) ma come si può vivere questo nella vita di ogni giorno? Cosa significa avere la gioia?
Qualche volta, (specialmente se capita qualche guaio) la tristezza accompagna la nostra vita. Qualche volta ci capita - addirittura - di cadere nella depressione (è una vera e propria malattia) e - allora - la vita si inaridisce e la gioia non c'è più. Se ci capita (a me è capitato qualche volta) di incontrare qualcuno di questi cristiani pieni di entusiasmo, con il sorriso che arriva alle orecchie e che dice che Dio è amore, è gioia, che il cristiano è gioioso... li guardi con occhi sconcertati: "Sei un cristiano o un fanatico?" Qualche dubbio mi viene! Io non sono cosi, la mia esperienza è fatta di alti e bassi. A volte sento tristezza dentro di me, a volte mi sembra che la vita non abbia senso... è vero... poi mi basta (come ieri) il sorriso di una bimba che compie il primo anno di vita, il sorriso luminoso di un bambino, a volte basta l'incontro con un amico, oppure uno splendido panorama al mare o in montagna... che ti fa ritrovare la gioia di vivere... ma certi momenti sono cupi, in cui la vita non scorre serena. Allora significa che non sono cristiano? È un'altra cosa essere cristiani!
Poi: amare. Che cosa significa amare? Ho trovato tante persone che mi hanno detto: "Padre, vede il mio problema è che non so amare". Una signora, parecchi anni fa (mi è rimasto impresso) veniva a confessarsi e diceva: "Padre - mi creda ho fatto per mia suocera molto più di quello che ho fatto per mia madre, le sono stata dietro in tutti i modi, ma l'ho fatto senza amore". "E che vuol dire, signora?" Quando hai fatto tutto quello che potevi, le sei stata vicino, quando hai curato... che cos'è amore?
A volte scambiamo il sentimento, l'entusiasmo con l'amore, con l'attenzione per cercare di fare quello che si può per l'altro. Un grande scrittore inglese diceva: "L'amore di una madre per un figlio è sempre lo stesso, ma il sentimento va dall'adorazione all'infanticidio". Chi ha fatto la mamma - forse - si ritrova in questa frase. L'amore è sempre quello, l'amore non è fatto solo di sentimenti, l'amore è qualche cosa di più profondo.
Poi: cosa significa amare? Cosa significa voler bene a questa persona concreta? Di che cosa ha bisogno?
Vedete - presentare il cristianesimo come una cosa sempre bella, luminosa: il Signore ci ama, noi ci amiamo, siamo pieni di gioia... per i poveri cristiani è una presa in giro! (per quello che è la mia esperienza) Si passano momenti della vita pesanti. Momenti della vita in cui non solo non c'è gioia, ma non si vede nemmeno Dio, ci si sente abbandonati e allora ci avviciniamo alla croce di Cristo, magari (come dice il Vangelo) la prendiamo sulle nostre spalle e tentiamo di rendere la nostra vita concreta, di fare quello che possiamo, accettando i momenti difficili, accettando i dubbi, gli scoraggiamenti, le delusioni, i momenti in cui Dio si sente lontano.
Si può avere una fede straordinaria ed essere persone fragili piene di paure, con momenti di depressione, di fatica, con la sensazione di essere abbandonati da Dio, di sentirsi lontani, di essere incapaci di amare. Non è questo essere cristiani! Essere cristiani è cercare il Signore, la verità della vita e tentare di fare quello che possiamo per gli altri. A volte ci riusciamo, a volte no. A volte capiamo quello che si può fare, a volte non lo capiamo e andiamo avanti fiduciosi che il Signore cammina con noi, non per risolvere i nostri problemi, non ci cambia la vita, ma ci vuole bene e ci sta vicino. È venuto a condividere con noi i bassifondi della storia, questa storia in cui - a volte – la crudeltà dell'uomo ci sembra troppo grande, ma c'è anche tanto amore nella storia dell'uomo. A volte la sentiamo vicina e a volte (lo ripeto) il sorriso di un bambino, l'incontro con un amico, lo spettacolo della natura ci fa sentire la bellezza della vita e - forse - ci fa sperimentare un pizzico di gioia, solo un pizzico.
Il Signore ci aiuti.
"Andate in tutto il mondo e proclamate ASCENSIONE del SIGNORE - 17 Maggio 2015
il Vangelo a ogni creatura" Marco 16, 15-20
Tentiamo stamattina di celebrare la festa dell'Ascensione, forse la festa più importante per il popolo cristiano. Qualcuno potrà dire: "C'è la Pasqua, la Pentecoste, il Natale"... è vero, ma sono feste che celebrano il Signore. Questa festa celebra noi, la nostra responsabilità, l'invito a prendere coscienza della nostra missione, a diventare "adulti", ad assumere il nostro ruolo.
Avete ascoltato... Gesù se ne va! Chi spezzerà ancora il pane per nutrire la gente? Chi curerà i malati? Chi caccerà il male? (i diavoli del Vangelo sono simboli del male) Chi annunzierà la Parola? Chi testimonierà i valori di Gesù? Adesso tocca a noi! È nostro compito.
Ma se è la festa più importante - forse - è la più difficile, perché noi uomini facciamo una gran fatica a "crescere", ad uscire dall'adolescenza, a sentirci responsabili della nostra vita e della vita che ci sta intorno.
Vale in tutti i campi, non soltanto nel campo della religione perché (l'ho ripetuto tante volte) il Vangelo non è soltanto un messaggio per l'uomo religioso, è un messaggio per l'uomo: assumere la propria responsabilità, non affidare tutto a qualcuno che può risolvere i nostri problemi...
La vita della Chiesa è stata attraversata da tanto provvidenzialismo... provvede il Padreterno; se non Lui, la Madonna; se non la Madonna, padre Pio, san Gennaro, qualcuno deve provvedere e noi...? È nostra la responsabilità. È nostro il compito di costruire il mondo, di rendere presenti i valori di Gesù.
Il cristiano dovrebbe tentare di avere un sogno nel cuore: il sogno che nel mondo si compia la realtà di Gesù. Dovrebbe tentare di rendere vivi i valori di Gesù... ed è compito nostro, non possiamo delegarlo.
Oggi sento la gente, i mezzi di comunicazione: il Papa (si chiama Francesco) porterà grandi cambiamenti nella Chiesa: non ci illudiamo, nessun Papa ha mai cambiato la Chiesa! La Chiesa la cambiamo tutti o non la cambia nessuno!
È compito di ciascuno di noi capire cosa significa essere cristiani oggi, in questo mondo così complicato e assumerci le nostre responsabilità, ciascuno le proprie.
Quello che vale per la Chiesa, vale per l'atteggiamento nel mondo. Non si può affidare a qualcuno la risoluzione dei problemi del mondo.
Ancora c'è in questa nostra Italia tanto "infantilismo". Basta che uno gridi più forte, che urli slogan... molti applaudono e gli vanno dietro.
Pensate se ci fossero stati cristiani e uomini responsabili nel secolo scorso... uomini folli come Mussolini, Hitler non avrebbero preso il potere, non avrebbero combinato gli sfracelli che hanno devastato l'Europa. Quanta gente li ha applauditi senza pensare, affidandosi a chi risolve i problemi al posto nostro.
Occorre diventare "adulti" e se vogliamo ritornare nel nostro mondo occorre che ciascuno, nel posto di lavoro, prenda le sue responsabilità, senza aspettare che faccia tutto il sistema, la legge.
Un insegnante a scuola è responsabile dei suoi alunni e aldilà delle strutture, aldilà delle difficoltà, quando ha davanti un ragazzo, dovrebbe tentare di fare quello che può per lui, può essere importante - anzi - in certe esperienze fondamentale.
Questo vale in casa... abbiamo in questo tempo giovinetti e giovinette sconsiderati che lasciano fare tutto ai genitori: "Tanto ci pensa papà o mamma" E il papà e la mamma gli rendono tutto semplice, facile. Oggi si rischia di diventare adulti a quarantacinque anni, se il padre e la madre muoiono, se no nemmeno a quell'età!
È compito di ciascuno di noi diventare adulti, crescere, assumerci le nostre responsabilità. Vale in tutti i campi della vita... ecco perché dicevo che questa festa è la nostra festa.
Gesù se ne va. Ci ha lasciato la sua Parola, i suoi valori e se siamo cristiani tentiamo di farli nostri, adesso: è la nostra grandezza, la nostra dignità. Adesso tocca a noi. Non possiamo cambiare il mondo, non facciamoci illusioni, ma una carezza la possiamo fare.
Compito di curare i malati è del medico, certamente. I medici quando hanno smesso di credere alla provvidenza hanno fatto grandi progressi, ma oggi ci dicono che è importante che ciascuno di noi faccia il suo compito per curare se stesso e anche per stare vicino a chi è malato.
A volte ci dicono che sono più importanti le attenzioni di chi sta accanto, di chi sa darti fiducia, delle medicine. Credo che sia vero, in parte. Le medicine sono indispensabili e ancora dovranno continuare a studiare, a cercare sempre di più: è compito dell'uomo. L'uomo che non si affida più a sant'Antonio, a santa Rita, a santa Lucia... si affida alla scienza. Poi c'è il compito - anche - di chi sta accanto al malato di fare quello che può.
A volte ci ritroviamo impotenti, non sappiamo cosa fare - eppure - continuiamo a vedere se c'è qualche spazio nella vita in cui possiamo vivere la nostra responsabilità. A volte soltanto un bicchiere d'acqua, a volte una carezza… Dio si fida di noi e ci affida questo mondo e noi stessi, ci chiama ad essere uomini liberi, ricchi di dignità e di responsabilità: questo è quello che tentiamo di celebrare oggi.
Domenica prossima celebreremo la festa dello Spirito, il "soffio" di Dio che - forse - può spingerci avanti, ma oggi celebriamo la nostra festa. È Gesù che ci manda in missione. È Gesù che ci affida la vita.
Il Signore ci aiuti.
Quando verrà lui, lo spirito della verità, PENTECOSTE - 24 Maggio 2015
vi guiderà a tutta la verità ... Atti 2, 1-11 Giovanni 15, 26-27; 16, 12-15
L'Evangelo è il lieto annunzio del futuro carico di speranza. L'Evangelo è sogno, è ricerca appassionata di luce e di giustizia, è l'invito a cercare e ad incontrare i fratelli. Quando - però - il Vangelo viene usato per sentirsi sicuri o peggio per affermare il proprio potere; quando viene usato pensando di possedere la verità e non una verità qualunque, la verità che viene dall'Alto; quando uno in nome del Vangelo si sente certo di principi assoluti e irrinunciabili e con questi giudica gli altri... allora, tutto rischia di diventare ridicolo e pericoloso.
Non so se anche voi avete fatto esperienze che vi hanno portato ad andare oltre questa concezione, così largamente diffusa nella vita cristiana, che chi crede possiede la verità, che lo Spirito guida la vita della Chiesa e degli uomini.
Quando ero ragazzo mi dicevano che nel conclave è lo Spirito Santo che guida i cardinali a scegliere il Papa. Ho ascoltato tante battute sullo Spirito. Conoscendo il lungo elenco dei Papi che hanno governato la Chiesa sentivo dire: "Lo Spirito dorme, è ormai troppo vecchio, pensa ad altro... tutto ha fatto meno che scegliere, in molti casi, le persone più giuste".
Ma c'è di peggio perché lo Spirito è stato - spesso - usato per cercare l'eretico - addirittura - per bruciarlo. L'autorità che si sente investita dello Spirito, che deve difendere la verità, scomunica, uccide, brucia in nome di Dio. Purtroppo non succede soltanto nella nostra Chiesa, ma nella nostra è successo in modo drammatico.
Ma se volete scendere da queste cose più grandi che grondano sangue, sono piene di ferocia, potete rifarvi alla vostra vita. Forse anche a voi, come a me, è capitato di incontrare cristiani integralisti che pensano di sapere sempre che cosa è giusto e cosa è sbagliato, che pensano di possedere una verità che viene dall'Alto, che vi parlano di principi irrinunciabili, che non sono aperti alla ricerca, a interrogarsi, a vivere i dubbi... guardate quanto è diverso l'Evangelo, l'annunzio che oggi abbiamo ascoltato!
Gli atti degli apostoli... arriva il "vento" di Dio, spalanca le porte, invita questi poveri discepoli sconcertati, impauriti ad uscire, ad affrontare il mondo, a guardare al futuro, a cercarlo con coraggio: è il "vento" di Dio che spinge in avanti, a cercare.
E c'è una "fiammella", una luce che scende, che non può essere mai posseduta, una luce che va cercata. La cosa sconcertante (non so se vi ha colpito nel Vangelo di oggi) è che Gesù dice ai discepoli: "Non ho potuto dirvi tutto". "Ma come, non basta Gesù?". "No, non basta! Deve venire un Altro. Deve venire il "soffio" di Dio che spinge in avanti". Perché il mondo cambia, perché cambia la gente… e occorre capire sempre di più chi è l'uomo, come si incarnano nel tempo che viviamo valori importanti.
Il mondo cambia, cambia la comprensione dell'altro, i principi cambiano, l'uomo non può che cercare la verità. La verità nessuno la possiede. La verità esiste, non si può dubitare che esista, ma noi uomini non la possediamo.
Ho sentito tante volte parlare (anche il Papa) contro il relativismo. Il relativismo non è una teoria, è un dato di fatto. Se qui ci confrontiamo vedete che uno la pensa in un modo, uno la pensa in un altro. Abbiamo tante opinioni diverse e l'unica strada è quella di accoglierci: "Tu che dici? Forse hai ragione tu più di me?". Per far questo non bisogna sentirsi possessori dello Spirito. Bisogna non credere di possedere la verità. La verità si cerca non si possiede.
Poi l'altra bella pagina ... (forse la cosa più straordinaria di questo racconto degli Atti degli Apostoli) avete ascoltato: "Tutti i popoli (avete sentito quanti popoli?) del Mediterraneo: l'Egitto, la Libia, Cirene..." Tutta questa gente che parla lingue diverse e finalmente si intendono: questo è il sogno, questo è l'Evangelo! Verso questo dovremmo tentare di camminare, aprirci, accoglierci, ascoltarci: verso questo lo Spirito ci spinge ed è realtà mai posseduta, il rischio del razzismo è sempre presente. Quel rischio terribile che ha portato allo sterminio di uomini non soltanto nel secolo scorso, ma anche nei secoli precedenti.
Il sogno... dovremmo cercare ciascuno di noi di averlo nel cuore, non è mai un possesso. Il sogno della fraternità, del sentirci una cosa sola, del poter parlare la stessa lingua, dell'ascoltarci, dell'essere attenti l'uno all'altro, del tentare di camminare insieme: questo è lo Spirito! Un "soffio" che ci spinge in avanti, un "vento" che ci sollecita a spalancare le porte, a cercare la luce, la verità, a cercare gli altri, a cercare Dio: questo celebriamo oggi.
Non sentiamoci possessori della verità. Un vero cristiano è uno che la verità la insegue, è uno che si sente spinto dallo Spirito ad andare avanti, a cercare - soprattutto - Dio e i fratelli.
Il Signore ci aiuti.
"Andate dunque e fate discepoli tutti i SANTISSIMA TRINITÀ - 31 Maggio 2015
popoli, battezzandoli nel nome del Padre Matteo 28, 16-20
e del Figlio e dello Spirito Santo".
Non so se la vostra esperienza è simile alla mia, probabilmente solo in parte. Cerco di comunicarvi la mia esperienza, che però ho condiviso con molte persone. Oggi cerchiamo di celebrare la festa della SS. Trinità, una festa che fa smarrire la mente. Quando ero ragazzo l'idea che Dio fosse uno e trino, una sola sostanza, tre persone… tre, uno, mi confondeva e mi capitava di chiedere a qualche sacerdote, a qualche catechista e mi rispondevano in genere che si tratta di un mistero, del mistero più grande della nostra fede, il mistero di Dio, che non possiamo conoscere. E mi raccontavano la storia, che penso abbiate ascoltato tutti voi, della visione di S. Agostino che vede sulla riva del mare un bambino che ha scavato una piccola buca e sta cercando di metterci tutta l'acqua del mare. "Non puoi mettere tutto il mare in questa piccola buca, guarda quanto è grande". E il bambino, che poi è un angelo: "Tu vuoi mettere il mistero infinito di Dio nella tua piccola testa!" Rimanevo convinto: la mia testa è veramente piccola, non posso capire l'infinito, il mistero.
Ma poi, crescendo, mi sono accorto che quei sacerdoti, quei catechisti pensavano di sapere quasi tutto di Dio: quello che permette, quello che proibisce, dove interviene e dove non interviene, a chi fa i miracoli a chi non li fa, chi premia, chi punisce… e rimanevo sconcertato: se è un mistero dovremmo più stare zitti che parlare.
Ecco perché nel lungo cammino della nostra vita parrocchiale a Stella Maris ad un certo punto è venuto fuori dalla nostra comunità, non ricordo bene come, un "Credo", che abbiamo amato, che ha accompagnato tutte le nostre notti di Pasqua e tanti momenti importanti: Battesimi, Prime Comunioni, Cresime, Matrimoni… Questo credo comincia così: "Non crederò mai in un Dio…" quindi con una negazione: ci hanno parlato tanto di Dio, anche nei secoli passati, abbiamo ascoltato su Dio tante, troppe parole in cui non possiamo credere.
Ve ne leggo alcune frasi (forse poi potete aggiungere le vostre): "Non crederò mai nel Dio che ama il dolore". Comincia così: troppe volte ci hanno parlato di un Dio che ama la sofferenza, il dolore, la rinuncia, la penitenza, il sacrificio…
Continua così: "nel Dio che gioca a condannare, nel Dio che esige dieci agli esami, nel Dio che non abbia mai pianto per gli uomini, nel Dio che preferisce la purezza all'amore, nel Dio che gioca con la vita degli uomini, nel Dio che con la bacchetta magica cambia la vita degli uomini…" Ci hanno parlato troppo spesso dei miracoli che Dio può fare, ma lo fa ad uno e non ad un altro.
E ancora: "Non crederò mai nel Dio che può essere pregato solo in chiesa…". Chi non va in chiesa, chi appartiene ad un'altra religione non può incontrare Dio… e ci accorgevamo che tanta gente nel mondo, senza venire in Chiesa, senza conoscere la SS. Trinità, incontra Dio, a volte, in una maniera più profonda di quanto sappiamo fare noi.
"Non crederò mai nel Dio che chiede all'uomo di smettere di pensare e di cercare, nel Dio che vede nella scienza un peccato di superbia". Quante volte ci siamo trovati in difficoltà parlando dell'inizio del mondo o dell'evoluzione… pensate a Galileo, a Darwin, ci sentivamo dire che non conta la scienza, ma l'infallibile Parola di Dio.
E nella notte di Pasqua non volevamo pensare alle grandi tragedie che hanno attraversato la storia dell'umanità, ma potete aggiungere "Non crederò mai nel Dio che benedice la guerra, la conquista, le battaglie (ne avete ascoltato un accenno nella Prima Lettura) che vuole le crociate. Non crederò mai nel Dio che vuole che si brucino gli eretici".
Quando studiavo, son passati quasi 60 anni, avevamo trovato in un documento ufficiale questa frase (allora parlavamo in latino, ma ve la traduco): "Se qualcuno osa dire che bruciare gli eretici è contrario alla volontà dello Spirito, sia scomunicato": insomma lo Spirito Santo vuole che siano bruciati gli eretici…
Potete aggiungere: "Non crederò mai in un Dio che può condannare un uomo all'inferno per sempre".
Ecco forse molti di voi non possono credere in tante parole che abbiamo ascoltato su Dio, da persone che pensano di sapere cosa Dio vuole e cosa no, chi ama e chi non ama, chi premia e chi castiga. È accaduto tante volte nella storia della Chiesa e in parte accade anche oggi sentir parlare del Dio della guerra, degli eretici da condannare, dell'inferno. Abbiamo il diritto e forse il dovere di non credere in un Dio così.
Le cose si complicano quando dal "Non credo" si passa al "credo". Quando si cerca di dire chi è Dio, di andare "oltre", di tradurre in parole il Mistero, l'infinita grandezza… l'uomo, almeno noi, non può che balbettare.
Ed eccoli i nostri balbettamenti: "Credo invece, nel Dio che è tutto ciò che l'uomo ama, è tutto ciò che l'uomo sogna, è al di là dei nostri sogni, più grande di ogni nostra parola, è la capacità di sorpresa dell'uomo". Vedete, povere parole che cercano di esprimere l'oltre, il mistero della bellezza infinita, della luce senza limiti, della pienezza della vita.
Poi aggiungevamo: "è un Dio che ci chiama sempre al suo banchetto per far festa, è un Dio che va sempre incontro a chi lo ha abbandonato". E qui ci sentite il Vangelo che ci aiuta a intuire qualcosa di Dio. Il Vangelo ci parla della festa a cui Dio invita tutti. Anzi per il figlio che è andato lontano prepara una festa come non s'era mai fatta. E la parabola del pastore che va in cerca della pecora che si è perduta.
Ecco il Vangelo ci permette di chiamare Dio col nome di Padre, anzi "Papà", come avete ascoltato dall'Apostolo Paolo, anche se non sappiamo bene cosa significa "Padre" quando parliamo di Dio.
Possiamo sentire Gesù come Maestro, fratello, amico, compagno di vita, nel nostro cammino in questa terra, così affannata e carica di dolore.
Possiamo invocare la Spirito come luce, fuoco, vento che libera e spinge in avanti. Allora possiamo sentire in qualche modo Dio vicino, parlare con Lui, aldilà delle grandi elucubrazioni teologiche, intuire qualcosa del Dio di cui ci ha parlato Gesù, credere in Lui, camminare con Lui.
Conclude così il nostro credo: "è un Dio che ci chiama alla pienezza della vita, è un Dio d'amore, è gratis, ed è per tutti. Nessuno lo può comprare o possedere. Perché l'amore non si compra e non si vende".
Il Signore ci aiuti.
Credo:
Non crederò mai: nel Dio che ama il dolore, nel Dio che gioca a condannare,
nel Dio che esige dieci agli esami, nel Dio che non abbia mai pianto per gli uomini,
nel Dio che preferisce la purezza all'amore, nel Dio che gioca con la vita degli uomini,
nel Dio che con la bacchetta magica cambia la vita degli uomini,
nel Dio che possa essere incontrato e pregato solo in Chiesa,
nel Dio che conquisto con le mie preghiere, nel Dio che ama solo quelli che dicono tutto va bene,
nel Dio che chiede all'uomo di smettere di pensare e di cercare,
nel Dio che vede nella scienza un peccato di superbia.
Credo invece, nel Dio che è tutto ciò che l'uomo ama, è tutto ciò che l'uomo sogna,
è al di là dei nostri sogni, più grande di ogni nostra parola, è la capacità di sorpresa dell'uomo,
è un Dio che ci chiama sempre al suo banchetto per far festa,
è un Dio che va sempre incontro a chi lo ha abbandonato,
è un Dio che ci chiama alla pienezza della vita,
è un Dio d'amore, è gratis, ed è per tutti.
Nessuno lo può comprare o possedere. Perché l'amore non si compra e non si vende.
"Questo è il mio corpo... CORPUS DOMINI - 7 Giugno 2015
Questo è il mio sangue…". Marco 14, 12-16. 22-26.
Tutti abbiamo detto tante volte: "Ho fatto la Comunione, sono andato a fare la Comunione". Ma - forse - molto raramente o - addirittura - quasi mai ci è capitato di riflettere sul senso di questa parola: Comunione. Che cosa significa? Cosa c'è dietro?
Quando ero ragazzo (credo sia successo alla maggior parte di voi) credevo che la Comunione fosse una prerogativa dei cattolici. Soltanto i cattolici fanno la Comunione. I protestanti un po' meno. Gli altri, in oriente, i mussulmani, nessuno fa la comunione. Solo noi facciamo la Comunione.
Poi mi sono accorto, studiando, ascoltando, che l'idea di comunione è una delle più diffuse sulla faccia della terra, anche aldilà dei recinti religiosi. Entrare in comunione con qualcun altro, sentirsi vicino a lui, partecipare di qualche cosa dei suoi valori è un sentimento che ha accompagnato l'umanità fin dall'inizio.
Vedete - quando un soldato uccideva un nemico che considerava particolarmente valoroso, capace, ne mangiava il cuore, ma non per nutrirsi (aveva tanti altri modi per nutrirsi), per il valore simbolico. Voleva - in qualche modo - unirsi a lui, impossessarsi della sua capacità, del suo valore, della sua potenza.
Oppure - quando l'uomo si avvolgeva nel mantello del nonno che era morto da poco, non voleva coprirsi perché faceva freddo: era un simbolo. Voleva - in qualche modo - rivestirsi del ricordo, ma più che del ricordo, dei valori del nonno. Voleva che in qualche modo il nonno rimanesse con lui, continuasse a far parte della sua vita: il simbolo era un mantello, nell'altro caso il simbolo era il nutrirsi. Vedete - il vestito, il mangiare: simboli di comunione.
Questo - poi - è entrato anche nel mondo religioso, ma non soltanto nel mondo religioso cristiano; in tutti i mondi religiosi. Si va nel tempio, si offre un sacrificio alla divinità e - poi - quello che si è offerto, in parte, viene condiviso e si ha la sensazione di unirsi alla divinità, quasi impossessarsi di qualche cosa del suo potere, ma anche in maniera più gratuita di unirsi a lui, di cercare qualche cosa di più grande: l'oltre.
E non solo ci si sente uniti alla divinità, ma - anche - con i fratelli. Si condivide insieme, ci si sente una sola cosa. Si entra in comunione con la divinità. Si entra in comunione con i fratelli. La stessa cosa è passata nel mondo ebraico e nel mondo cristiano.
Avete ascoltato nella prima lettura... un altro simbolo prezioso per gli antichi: il sangue... Il sangue per loro non si può toccare, il sangue è la vita. Avete sentito che una parte del sangue del sacrificio si versa sull'altare che è il segno di Dio in mezzo al popolo, una parte sul popolo: abbiamo la stessa vita, siamo uniti, siamo come una cosa sola, siamo dello stesso sangue noi e Dio e tra di noi siamo dello stesso sangue.
La stessa cosa Gesù ci propone nel Vangelo: "Prendete e mangiatene tutti, prendete e bevetene tutti". Voi venite qui e prendete un piccolo frammento di pane. Non venite - certo - perché avete fame, perché avete bisogno di nutrirvi, non basterebbe: è un simbolo. Un simbolo che avete un'altra fame. Fame di unirvi con Gesù. Fame di qualche cosa da condividere con Lui, di essere uniti a Lui: questo è il vero significato dell'Eucaristia. Unirsi con Gesù, nutrirsi di Lui, rivestirsi di Lui.
Il sogno del cristiano è quello che Paolo esprime alla fine della sua vita: "Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me".
Vedete quale dramma ne viene quando tutto questo viene travisato nella tradizione cristiana: si mette l'accento sul tabù, sulle regolette. Chi ha i capelli bianchi ricorda che non si poteva bere acqua dopo la mezzanotte, né mangiare, bisognava confessarsi e soltanto allora si poteva fare la Comunione e non tutti!
Mi raccontavano ieri (se volete sorridere) che recentemente in un funerale in una parrocchia di Roma una suorina (che fra l'altro i parenti dicevano deliziosa) diceva all'assemblea: "Chi non ha fatto la Confessione da un certo tempo, non faccia la Comunione, altrimenti i suoi peccati ricadono sul morto".
Se ho letto bene il calendario stamattina: 2015, confermate? Nel 2015 a Roma in una celebrazione eucaristica si sente ancora una parola del genere che è (secondo me) un'autentica bestemmia, superata da più di duemila anni. Gli ebrei avevano già superato il concetto che i peccati di uno ricadono sugli altri. Ognuno è responsabile dei suoi. Quel povero morto si doveva prendere i peccati di quelli che stavano lì.
È successo tante volte nella vita della Chiesa che si è usata la Comunione come strumento di potere: "Tu puoi farla, tu non puoi farla, tu puoi accostarti alla Comunione e tu no. Prima di fare la Comunione devi confessarti, chiedere perdono al Signore e non solo chiedere perdono (questo lo facciamo tutte le domeniche) ma confessare i tuoi peccati e ricevere l'assoluzione dal sacerdote" Ormai lo sapete, la Confessione è una specie in estinzione, prossimamente il "WWF" se ne occuperà. Il rapporto con il male è una cosa seria e proprio il fare la Comunione ci mette in condizione di dire: "Devo andare aldilà del male, con questo segno voglio rivestirmi di Gesù. Voglio nutrirmi di Lui, dei suoi sogni, dei suoi ideali, dei suoi valori. Voglio tentare di essere come Lui, di comportarmi come Lui, di essere una persona giusta, onesta, che cerca di fare tutto il bene che può".
Poi - anche - comunione con i fratelli. L'apostolo Paolo dice: "Voi che mangiate un solo pane siete una cosa sola: fratelli!" Cosa significa questo? Come possiamo essere fratelli? Qui siamo in tanti e molti non si conoscono nemmeno, ma non è qui che dobbiamo tentare di essere fratelli: in casa, con le persone che abbiamo accanto, i vicini, gli amici, le persone che conosciamo. Sentire anche un senso di fraternità in questo mondo così complicato, così affannato, così pieno di sofferenza. Sentire che siamo tutti nella stessa barca, che siamo tutti fratelli, tutti figli di Dio.
Cosa significa in concreto? È una ricerca che dovrebbe preoccupare il popolo cristiano perché questo è il senso dell'Eucaristia! L'Eucaristia che ci vede desiderosi di nutrirci di Gesù, di unirci con Lui, di sentirci una cosa sola e - allora - vedete che non ha senso dire: "Tu puoi farlo, tu non puoi!"
È una cosa che ho sempre fatto fatica a capire... perché fra poco leggerò, ma non leggerò una cosa che ho scritto io, leggerò parole che si trovano nel Vangelo: "Prendete e mangiatene tutti" In italiano (salvo che lo si voglia cambiare) tutti significa, tutti: "No, tu no" Ma Lui ha detto: "tutti" Chi ha il diritto di dire: "Tu, no"?
Vedete come si può ridurre a strumento di potere, di dominio delle coscienze il segno più sacro, più forte che Gesù ha voluto mettere nel cuore stesso della nostra fede: "Nutritevi di me, rivestitevi di me. Cercate di avere dentro di voi quelli che sono stati i miei modi di pensare, le mie idee, i miei valori, i miei sogni. Cercate di comportarvi come mi sono comportato io. Cercate di vivere come se foste una sola famiglia, sentendovi tutti fratelli".
Fratelli di Gesù e fratelli tra di noi, tutti figli dello stesso Padre. C'è un solo Dio e tutti siamo suoi figli: questo celebriamo qui la domenica, il sogno più grande della nostra vita, ma tutti i sogni di Dio sono più grandi della nostra vita: rivestirci di Gesù, essere una sola cosa con Lui, sentirci fratelli, rimarrà - finché vivremo - un sogno, un ideale.
Il Signore ci aiuti.
"Così è il regno di Dio: come un XI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 14 Giugno 2015
uomo che getta il seme sul terreno Marco 4, 26-34
...il seme germoglia e cresce..."
Forse, oggi, dovrei tacere e non aggiungere nulla a questa pagina del Vangelo che ritengo - forse - la più bella. Se è (a mio avviso) la più bella pagina del Vangelo è - forse - anche la più difficile, la più trascurata, quella che fin dall'inizio è stata censurata. Qualcuno di voi sa che il Vangelo di Marco è il primo e c'è questa straordinaria parabola del "seme che cresce da solo", ma gli altri Vangeli l'hanno cancellata. Non sembrava una parabola adatta al popolo cristiano: "Ma come... il seme cresce da solo? Bisogna lavorare, impegnarsi, vangare, pulire; tanto lavoro perché il seme possa crescere". È il moralismo!
Il moralismo che ha attraversato e attraversa la Chiesa cattolica. Insistere sempre sul dover fare, sull'impegno, sullo sforzo, sulla necessità di impegnarsi con tutte le forze... mettere sensi di colpa! C'è qualcosa d'altro che questa parabola tenta di comunicarci.
Allora diamo uno sguardo a questo contadino, guardatelo! Ha lavorato duramente sulla magra terra d'Israele intorno al lago. Ha usato l'aratro, faticosamente. Si è spezzato la schiena a zappare, a raschiare, a pulire; ha potato, ha sistemato, ha cercato di proteggere la sua terra dalla siccità o dall'eccesso dell'acqua, ha fatto di tutto e quasi non ce la fa più.
Adesso torna a guardare il suo campo... ed ecco vede spuntare i primi germogli e poi crescono e diventano una spiga e poi il seme nella spiga. Lui ne ha piantato uno e adesso ce ne sono dieci: come è possibile? Non sa! È pieno di stupore. Il suo lavoro è stato duro, faticoso, ma aldilà del lavoro: la spiga, il grano è un dono che viene dalle profondità della natura, della vita. È per lui un miracolo!
Non so se qualcuno di voi che ha i capelli bianchi ha avuto la fortuna di aver visto i vecchi contadini mettere le mani nel sacco pieno di grano dopo la trebbiatura: la gioia, la meraviglia, lo stupore per questo dono. Lui aveva zappato, ma il grano lui non lo sa fare, non lo può fare. Deve solo aspettare che da un grano ne vengano venti... come? Non lo sa! Non può che avere gli occhi spalancati e stupiti di fronte a quello che per lui è un miracolo della vita.
Ma se volete andare aldilà della parabola e rifarvi alla vostra esperienza - allora - non so se vi è capitato qualche volta di salire in cima a una montagna... si fatica a camminare, si suda, la sete diventa forte, le gambe fanno male; tanta fatica per arrivare in cima e poi ti siedi... davanti a te uno spettacolo meraviglioso. Tu hai fatto tanta fatica, ma di quello che vedi non hai fatto niente! È tutto un dono e - allora - non ti resta che allargare gli occhi, riempirli di tanto splendore, di tanta bellezza.
Oppure se volete pensare a opere degli uomini... non so se vi è capitato di andare alla Cappella Sistina. Magari siete andati presto (come faccio io) e avete corso, il cuore batte forte, perché siete voluti arrivare per primi, quando non c'è nessuno. Vi siete stesi sulla panca a guardare in alto e - forse - avete pensato a tutto il lavoro di Michelangelo: quanta fatica a testa in alto con la pittura che gli cala sugli occhi, la schiena che gli spezza... (lo dice lui nei suoi sonetti) tutto questo sembra niente di fronte allo splendore, alla meraviglia dell'arte, alla bellezza; i vostri occhi sono stupefatti.
Da dove viene tutto questo? E lo vivete come un dono. Un dono che non avete fatto voi. Voi avete corso, avete pagato il biglietto - magari - anche costoso, ma tutto questo è un dono che l'arte vi ha regalato.
Dopo la pittura c'è la Divina Commedia, un altro tipo di arte. Avete faticato, studiato - magari - con antipatia. Qualcuno ve l'ha fatta mandare a memoria: fatica, ripetere, ripetere… ma se poi non avete la fortuna di spalancare gli occhi di fronte alla grandezza di quella poesia tutto il lavoro è invano. Aldilà del lavoro, della fatica c'è lo splendore, la bellezza… la poesia!
Se volete uscire dall'arte venite alla vita vostra, alle esperienze più vicine, che fate quasi tutti i giorni. L'uomo, la donna, il marito, la moglie la mattina... preparano casa, poi vanno al lavoro: in ufficio, in fabbrica, a pulir le strade, ognuno al suo lavoro - a volte - faticoso, stancante, noioso, per portare i soldi a casa… poi si torna e ci si guarda negli occhi e - se siete fortunati - ancora provate lo stupore.
Guardare negli occhi i figli che crescono... non li avete fatti voi. Non si può fabbricare un figlio. Si può fare un tavolo, una sedia, un libro, ma un figlio no! Viene dalla profondità della vita, eppure "loro" hanno riempito la vostra vita, l'hanno arricchita, l'hanno fatta grande.
Oppure - pensate a tutte le volte che avete tentato di fare un po' di bene intorno a voi, che avete cercato di fare un po' di giustizia, di dare una mano a chi vi sta vicino, di vivere l'amicizia, la tenerezza con gli altri: ecco l'amico è un dono… non può che essere guardato con immenso stupore. Quando facciamo un po' di bene è più quello che riceviamo che quello che diamo.
Tutto nella vita è dono se guardato con lo stupore del "contadino" che affonda le sue mani nel sacco di grano.
Anche oggi in questo mondo così confuso, difficile, così complicato dovremmo conservare lo sguardo stupefatto di fronte alla vita. I nostri vecchi ne erano capaci. Quando durante la guerra vedevano un ragazzo che fuggiva, braccato, disperato, inseguito dalla morte… lo hanno nascosto nelle soffitte, nelle cantine, non era un nemico: era un figlio, era un uomo!
Oggi riusciamo ancora a vedere un uomo in queste persone che fuggono disperate e cercano un futuro, cercano la vita o li vediamo soltanto come nemici? Ci rimane lo stupore di fronte agli occhi disperati di un ragazzo, di fronte a un bambino che vuole vivere e desidera la vita?
Ecco questa parabola, la grandezza di questa parabola aldilà del moralismo che sentiamo ogni giorno: "Dovete fare, dovete fare, dovete fare..."
Prima di fare allargate gli occhi, stupitevi, guardate il mondo. Sentite che di questo mondo non abbiamo fatto quasi niente. Tutto ci è donato.
Gesù ci dice nel Vangelo: "Se non diventate come bambini, non entrerete nel Regno di Dio". Guardate qualche volta gli occhi di un bambino, il loro stupore. Per loro la vita è meravigliosa. Per loro tutto è dono. Non hanno fatto niente. Tutto ricevono. Tutto è stupore.
Questo è essere cristiani, secondo il Vangelo. Per questo (secondo me) questa pagina è la più bella del Vangelo. Le cose essenziali della vita: l'amore, la tenerezza, la giustizia, il bene non possono che essere guardati con infinito stupore, come qualche cosa che appartiene "all'oltre" della vita, appartiene a Dio, al traguardo ultimo di un'umanità che può camminare verso la bellezza e il bene.
Il Signore ci aiuti.
Ci fu una grande tempesta di XII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 21 Giugno 2015
ento e le onde si rovesciavano Marco 4, 35-41
nella barca... Egli se ne stava
a poppa sul cuscino, e dormiva.
Domenica corsa (qualcuno di voi lo ricorderà) leggevamo alcune parabole: la parabola del seme che cresce da solo; la parabola del seme piccolo come un granello di senape che diventa un cespuglio. Parabole ricche di speranza, di futuro.
Oggi, quello che abbiamo letto non sembra una parabola, ma il racconto di un fatto accaduto, ma è una parabola, tra le più significative, interessanti per la nostra vita cristiana e per la nostra fede.
Noi non sappiamo cosa sia successo sul lago. Se i discepoli si siano mai trovati nella tempesta. Certo è impensabile che quando si scatena una tempesta sul lago o sul mare qualcuno dorma tranquillo a poppa: sono immagini, simboli.
Simboli della nostra vita e simboli tra i più forti, tra i più inquietanti del nostro esistere. Chi di voi non ha mai attraversato un momento in cui si è sentito come sballottato nella tempesta, in cui sembrava di non vedere un futuro, in cui la disgrazia si avvicinava e i problemi sembravano insolubili? E ci siamo raccomandati a Dio, ai santi, a padre Pio, alla Madonna... non sapevamo a chi raccomandarci e "dormivano" tutti! Nessuno si preoccupava di noi: "dormivano"! Perché, perché "dormire"?
La parabola che abbiamo ascoltato ci dice che - a un certo punto - svegliano Gesù: si alza e il vento e il mare si calmano. Qualche volta sì, qualche volta no, a volte rimane a "dormire": questa è la vita! Una vita fatta di drammi, di silenzio di Dio. Questo è l'aspetto - forse - più inquietante della vita cristiana. Noi vorremmo avere in Dio una protezione sicura, tranquilla, la custodia del nostro vivere. Qualche volta facciamo l'esperienza drammatica che Dio non ci aiuta, non ci viene incontro, è lontano dalla nostra vita. Questa immagine ritorna più volte nel Vangelo. In un'altra tempesta sul lago, Gesù sembra un "fantasma" ai suoi discepoli
Che senso ha questa parabola? Forse ci vuole comunicare che Gesù è sulla nostra "barca", che, nonostante le tempeste e le difficoltà della vita, in Lui troviamo i valori che rendono vera, autentica, ricca l'esperienza degli uomini. Nonostante le difficoltà il credente tenta di buttare aldilà di tutto la sua speranza, la sua fede, la sua fiducia nel futuro, il suo credere che Gesù ha ragione. Non si rassegna ad accettare il male, la "tempesta" del mondo e continua a credere, a sperare. Nella tragedia del secolo scorso, tanta gente ha fatto esperienza di questa speranza. Sulle macerie si continuava a cercare di costruire la pace, la giustizia, il bene, l'uguaglianza tra gli uomini. C'era chi lo faceva con coraggio cercando di non avere paura. Ormai la paura era diventata cosmica. Non si sapeva più dove andare, dove c'era un futuro - eppure - c'era chi su quella "barca" in tempesta ha continuato ad avere fede.
Avere fede significa non avere paura. Non avere paura del futuro. Non avere paura degli altri. Non avere paura delle novità. Non avere paura dell'impegno. Credere con tutta la forza del proprio cuore che ci sono dei valori per cui l'uomo vive, lotta, in cui crede.
Vedete, la paura - spesso - attraversa la vita degli uomini. In questo tempo che ci è dato di vivere, la sperimentiamo quasi ogni giorno: la paura dell'altro, del diverso, la paura di questi disperati che costituiscono un problema per noi quasi impossibile da risolvere e non riusciamo a capire come se ne può uscire, cosa si può fare e ci attanaglia la paura.
L'ho vissuta molte volte questa paura e non soltanto nella società civile, ma anche nella vita della Chiesa. Qualcuno di voi forse lo ricorda, se vi siete interessati di queste cose, il Concilio: la paura della libertà religiosa. Cosa succede se diciamo che gli uomini sono liberi e devono seguire la propria coscienza? Non c'è più una verità assoluta! La paura del cuore dell'uomo, della sua libertà, della sua coscienza.
Oppure pensate alla Liturgia: la paura di cambiare qualche cosa. Quante discussioni quando si doveva usare l'italiano! Quante difficoltà! Quanta gente aveva paura del futuro! Nel mio cuore di giovane intollerante, dicevo: "Che gente senza fede! Perché devono governare la Chiesa quelli che non hanno fede?". Fede è avere speranza, avere il coraggio del futuro, il coraggio di cambiare.
Molti di voi (per fare altri esempi) hanno tribolato per la limitazione delle nascite: la pillola anticoncezionale. Tanti abbiamo tribolato quando si doveva approvare la legge sul divorzio e anche oggi... sentirete domani parlare dell' ecumenismo. I sogni della nostra gioventù... che finalmente i cristiani si ritrovassero insieme! No, la paura! La paura di perdere i propri poteri, la paura di perdere le proprie verità. Anche oggi troviamo la paura: la paura degli altri, la paura del diverso, la paura dei gay, dei matrimoni omosessuali. La paura ... sempre la paura che impedisce il rispetto dell'altro, il guardare l'altro negli occhi per chiedersi: "Quest'uomo chi è, chi è?! Come posso capirlo?!" Non si tratta di giudicarlo. Si tratta di capirlo. Si tratta di guardare negli occhi persone che amano la vita, la desiderano, che vogliono uguali diritti: ecco, la paura è il contrario della fede!
A volte sembra che certi "pastori" della Chiesa non abbiano fede e non hanno fede perché hanno paura. Paura del futuro, paura dei valori di Gesù, paura di credere come Lui ha creduto nell'uomo, nella libertà, nella giustizia, nel bene. La paura soffoca il cuore dell'uomo, impedisce di guardare avanti, di creare una società nuova. La paura della scienza. La paura delle innovazioni... sempre la paura!
"Perché avete paura? Non avete fede?" Conservatele nel cuore queste parole e ditele, ripetetele ai nostri ragazzi. Hanno bisogno di coraggio. Hanno bisogno di non spaventarsi in questo mondo. Il mondo sì, non dobbiamo negarlo è come un mare in tempesta. Gesù, sembra "dormire", ma è con noi a dirci: "Questi sono i valori autentici, tu nella libertà, nella giustizia devi credere. Il futuro è tuo. Non aspettarti la magia che risolve i problemi, fa appello al coraggio del tuo cuore. Credi nel bene, nel futuro, cammina verso un mondo più giusto e più vero in tutti gli aspetti della vita". Non è semplice. È il problema dei cristiani di tutti i tempi.
Portiamoci nel cuore questo dolce rimprovero di Gesù: "Perché avete paura? Non avete ancora fede?" La paura è il contrario della fede. Quando dico paura, non parlo dell'ansia che abbiamo tutti. Il cristiano è uno che tenta di buttare il cuore aldilà, di credere in Gesù: questa è la speranza. Non la speranza nel facile sorriso. I problemi sono veri, drammatici. Il "mare" è veramente in "tempesta". Il cristiano cerca di buttare il cuore aldilà di tutto questo, convinto che Gesù ha ragione, convinto che i suoi valori sono valori eterni e per questi valori noi possiamo vivere.
Il Signore ci aiuti.
"Fanciulla, io ti dico: alzati!" XIII DOMENICA del TEMPO OPRDINARIO - 28 Giugno 2015
E subito ella si alzò ... Marco 5, 1 - 43
Ho pensato stamane di farvi un regalo leggendo anche la prima parte del capitolo quinto, che non viene mai letta la Domenica, forse perché viene ritenuta un po' strana e difficile.
Quello che abbiamo letto sembra il racconto di tre avvenimenti distinti tra loro. È - se si legge attentamente - il catechismo dei primi cristiani sul Battesimo. I primi cristiani il catechismo lo facevano così, non come lo abbiamo imparato noi con domandine e rispostine e tutto sembrava chiaro. Loro raccontano simboli e - qui - (lo avrete notato) la comunità di Marco fa uno sforzo per farci capire che sono simboli.
Mi domando sempre: (perché ritengo questa pagina - forse - la più straordinaria del Vangelo) "come hanno fatto ad inventarsi un uomo che aveva dentro duemila diavoli, i quali vanno in duemila maiali che si precipitano nel lago?" Ci vuole proprio fantasia!
Fantasia per dirci: "Guardate, non leggetelo come una favoletta. Qui si tratta di un racconto simbolico, importante per voi: è la condizione per essere battezzati"
Per capire questo racconto dovete pensare (qualcuno di voi certamente lo sa) che per i primi cristiani il Battesimo è un passaggio dalla morte alla vita. Nella notte di Pasqua si immergevano nella grande vasca e leggevano l'apostolo che diceva: "Voi siete stati sepolti con Cristo, siete morti al peccato per risorgere a una vita nuova".
Ecco - il cristiano è uno che cerca di buttarsi dietro le spalle tutto quello che sa di morte per entrare nella vita, per seguire i valori di Gesù: la libertà, la gratuità, la pienezza dell'amore; tutto quello che c'è di bello nella vita dell'uomo.
Il cristiano - dunque - è uno che passa dalla morte alla vita e qui abbiamo letto tutti racconti di morte. Dell'indemoniato si dice per tre volte, (potete rileggerlo a casa) che vive tra le tombe, nei sepolcri: è un uomo che appartiene al mondo della morte. Anche la donna che perde sangue sta morendo: per gli uomini antichi il sangue è la vita. Anche la figlia di Giairo è morta.
Vediamo, un momento, il racconto dell'indemoniato. Guardate come descrivono il mondo della morte. Per loro è - soprattutto - violenza. Guardate quest'uomo che viene legato, spacca le catene, rompe i ceppi, va in giro urlando, si percuote, fa del male a sé e agli altri; violenza e forza irrefrenabile.
Non pensate subito alla violenza di oggi che pure c'è! Pensate prima a quella antica. Al tempo di Gesù, i Romani, avevano conquistato gran parte del bacino del Mediterraneo ed era una guerra di rapina, di violenza. Migliaia e migliaia di schiavi. Nel Colosseo si andava a vedere lo spettacolo della morte. C'era una violenza diffusa. Una violenza di cui tutti erano partecipi e a cui (come succede spesso) l'uomo si abitua.
Guardate anche la violenza di oggi e non solo quella che leggete sui giornali, pensate a quello che c'è dietro: alla violenza dello sfruttamento della povera gente, di territori immensi; pensate alla rapina della finanza, dei soldi che fanno soldi; pensate a tutto questo complesso mondo basato (in gran parte) sulla violenza e di cui soffre - soprattutto - la povera gente. Pensate anche alle piccole violenze quotidiane di cui a volte siamo protagonisti. Ora, secondo i primi cristiani, da tutto questo si può - anzi - si deve uscire. Il cristiano è uno che lascia dietro le spalle tutto quello che sa di morte, di violenza, tutto quello che sciupa la vita.
Ma c'è una condizione, per loro fondamentale: bisogna preferire l'uomo "sano" ai "porci".
I "porci" sono la ricchezza, il profitto, il potere.
Ora guardate la gente dei dintorni. Si sparge la notizia: è guarito! Vengono e lo trovano (Qui c'è un colpo di genio, secondo me, di questa comunità) seduto vicino a Gesù, calmo, vestito, ragiona bene… e si spaventano! Non si spaventavano all'inizio di fronte a quest'uomo che urla, colpisce con le pietre, spezza le catene... si spaventano adesso davanti all'uomo "sano", all'uomo che ragiona bene e perché? Perché il prezzo sono i "porci"! .
Se si preferiscono i "porci" all'uomo "sano", Gesù, non potete che cacciarlo via.
Vale anche per oggi... se vogliamo scegliere la pace, non possiamo preferire i "porci" all'uomo "sano". Non possiamo preferire i "porci" all'uomo libero, rispettato nella sua dignità.
Vado avanti... a quello che c'è sul foglietto (un po' veloce perché questo capitolo avrebbe bisogno di qualche ora).
C'è un'altra condizione che è affidata al racconto di questa donna che perde sangue e che sta in mezzo alla folla. Viene sottolineata (avete sentito) questa "folla". Lei in mezzo alla folla, per non farsi vedere, tocca Gesù. Gesù dice: "Chi mi ha toccato?" E i discepoli: "Guarda quanta folla, tutti ti stringono e come puoi chiedere: chi mi ha toccato?" Ma Gesù guarda per vedere chi lo ha fatto. Questa donna deve trovare il coraggio di uscire dalla "folla" per incontrare Gesù!
"La folla" ... La folla che ci opprime anche oggi, come opprimeva allora: il così fan tutti; il modo di pensare comune; tutti rubano e rubo un po' anch'io; nessuno paga le tasse e non le pago nemmeno io; tutti ci abituiamo a questa violenza; io chiudo gli occhi e guardo da un'altra parte; c'è chi grida e io - magari - vado dietro a quello che grida di più; rinuncio a pensare con la mia testa; divento "folla" . Folla che segue la televisione, i giornali senza pensare. Folla che si lascia intontire dalle ultime promesse di "bene" che la società ci offre.
"Bene" che sono telefonini, gli ultimi gadget, ci si stordisce nei megastore, nei grandi negozi: si compra e la vita sembra fatta di tutto questo e i valori rischiano di perdersi. La "folla"… se volete essere cristiani (secondo questa pagina) bisogna uscire da questa folla!
Ed ecco l'ultimo racconto, il racconto della "ragazza". (Non si tratta di una "bambina", come viene tradotto: aveva 12 anni, al tempo si Gesù ci si sposava a quell'età: un segno secondo me che pochi capiscono questa pagina). La ragazza è morta: il simbolo più forte. Di simboli si tratta!
Lei deve passare dalla morte alla vita! Gesù arriva! Tutti piangono, si disperano. Gesù dice: "Non piangete, non è morta, dorme". E lo deridevano! Non si può passare dalla morte alla vita!
Non lo sentite intorno a voi (anche oggi) questo "riso", un sorriso di compassione? Tu vuoi credere nell'amore nel mondo di oggi, ma come fai? Come si può credere oggi, in questo mondo così violento, tutto basato sui soldi, sulla ricchezza? Tu vuoi credere nella libertà, nella giustizia, nel bene, nell'amore? Ti prendono in giro se lo dici ad alta voce!
Ecco, anche di Gesù ridono, ma Lui è qui per dirci che ci crede e invita a crederci anche noi.
Ecco - dunque - la grande lezione di questo racconto straordinario. Se vogliamo essere cristiani, se vogliamo vivere il vostro Battesimo dobbiamo preferire l'uomo "sano" ai "porci". Se vogliamo essere cristiani dobbiamo uscire dalla "folla", pensare con la nostra testa, scegliere i valori. Se vogliamo essere cristiani dobbiamo credere nella vita e non "ridere". Non farci prendere dal "riso" che abbiamo intorno.
In Gesù troviamo i valori che rendono bella e ricca la vita. Essere cristiani significa seguire Lui! È questo il senso del Battesimo.
Il Signore ci aiuti.
Gesù disse loro: "Un profeta non è XIV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 5 luglio 2015
disprezzato se non nella sua patria, Marco 6,1-6
tra i suoi parenti, in casa sua".
Il Vangelo di domenica scorsa (non pretendo che ve lo ricordiate) finiva in maniera un po' strana. Ve lo rileggo: "Subito la fanciulla si alzò e camminava… E raccomandò con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare". Due cose strane... perché Gesù ordina che nessuno lo sappia e - poi - perché dice di darle da mangiare? Che motivo c'è di scrivere alla fine di un racconto in cui una ragazza risorge, passa dalla morte alla vita che bisogna farla mangiare?
Domenica scorsa dicevamo che quello che abbiamo letto non era una serie di racconti di fatti accaduti durante la vita di Gesù, ma un vero e proprio catechismo sul Battesimo e - allora - vi sarà facile comprendere che quando si conclude il capitolo dicendo: "disse di darle da mangiare", ne segue un altro in cui c'è un'altra catechesi: sull'Eucaristia.
Oggi e per le domeniche seguenti ascolteremo nel Vangelo la catechesi dei primi cristiani sull'Eucaristia, su quello che facciamo qui in chiesa.
Come avete ascoltato, comincia in maniera strana: parla di incredulità. Ci dice: "Guardate, non è facile credere, ci sono molti che non credono fuori di qui e - forse - anche qui". Per credere non bisogna basarsi sui miracoli. Avete ascoltato: "e non poteva compiere nessun prodigio…" perché non avevano fede - quindi - la fede viene prima del miracolo. A noi hanno sempre insegnato che la fede viene dopo, che si crede perché i miracoli di Gesù e dei santi sono le prove della fede… e - quindi - molta gente (forse anche qualcuno di voi, con tutto il rispetto da parte mia) va in giro per il mondo a cercare prodigi. Una Madonna che piange (avrete notato che le Madonne piangono sempre, non ridono mai, il che significa che le Madonne di cui ci parlano sono persone poco serie, perché uno che non ride non è una persona seria), il sole che ruota, prodigi di vario genere, strani segreti e quant'altro ...
Oggi, il Vangelo di Marco ci ammonisce: "Badate, la fede è un'altra cosa"
Quando vi ritrovate insieme per "spezzare il Pane" (così gli antichi chiamavano, l'Eucaristia) avete un Libro: la fede nasce non dal prodigio ma dall'ascolto, dal mettersi seduti accanto a Gesù e ascoltare che cosa ha da dirci, cercare di far nostri i suoi progetti, i sogni del suo cuore, quello che Gesù si porta dentro. La fede è essenzialmente questo: seguire Gesù, cercare di comprendere cosa vuole comunicarci, cercare di scoprire chi è Lui, che senso ha la sua presenza in mezzo a noi, nella nostra vita.
La fede precede il prodigio… Non facciamoci illusioni che si possa fare credere qualcuno attraverso il miracolo.
Qualcuno potrebbe pensare che sarebbe bello se potessi dire: "C'è qualcuno malato tra voi? Venga qui facciamo un rito di guarigione e torna sano". Nel mondo c'è chi fa cose del genere, ma prendono in giro il prossimo come quelli che danno medicine strane.
La fede è un'altra cosa (ve lo ripeto) è andare dietro Gesù! La fede non si basa sul prodigio, su cose straordinarie: è cammino, passo dopo passo, cammino - a volte - pieno di dubbi, di difficoltà; cammino per far nostro quello che c'è nel cuore di Gesù.
Il Vangelo di oggi ci dice - probabilmente - anche un'altra cosa, più seria per me e per voi. Abbiamo ascoltato "un profeta è disprezzato nella sua patria, tra i suoi parenti, in casa sua". Sembrerebbe che i parenti di Gesù non abbiano creduto in Lui, sappiamo dagli Atti degli Apostoli che non è vero: Giacomo il "fratello del Signore" è il capo della prima comunità. Ma quando Marco scrive il suo Vangelo è passato tanto tempo e a lui interessa far riflettere proprio quelli che "stanno vicini", quelli che celebrano l'Eucaristia.
Che vuoi dire, Marco, a me?: "Tu dici Messa tutte le mattine, tutte le Domeniche, fai pure le prediche, ma mica basta! La fede è un'altra cosa! la fede è qualche cosa di più profondo, potresti solo far finta. Potrebbe essere soltanto un rito, una tradizione, una cosa che si ripete stancamente. La fede è avere nel cuore i valori di Gesù e non basta averli nel cuore, occorre viverli ogni giorno".
Quello che vale per me, vale anche per voi. Venite a Messa tutte le domeniche, molti di voi - saggiamente - fanno la Comunione e se fosse solo un rito!? Una cosa a cui ci si abitua come - secondo Marco - i parenti di Gesù si sono abituati a Lui, tanto che poi non lo riconoscono come il Profeta? È un rischio che possiamo correre!
Ecco come Marco comincia il catechismo sull'Eucaristia, cerca di educarci a capire quello che noi facciamo qui. Attenzione, gente! La fede non è fatta di prodigi. La fede è un cammino passo dopo passo e - soprattutto - voi che venite in chiesa, che siete stati battezzati, che fate la Comunione ogni domenica... attenzione, perché non basta per credere. La fede è qualche cosa di più profondo: non basta dire parole, bisogna vivere: è questo il messaggio che questa pagina di Vangelo tenta di comunicarci. Niente miracoli, passo dopo passo per seguire Gesù... e non basta dire: "Signore, Signore" occorre fare la volontà del Padre.
Il Signore ci aiuti.
E ordinò loro di non prendere… XV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 12 luglio 2015
né pane, né sacca, né denaro… Marco 6, 7-13
Continua - in questa domenica - il catechismo della comunità di Marco sull'Eucaristia, lo avevamo cominciato domenica scorsa. (lo ricordate?) Abbiamo letto un episodio in cui si parla della mancanza di fede della famiglia di Gesù, della comunità di Nazareth. In quell'episodio - Marco - ci vuole indicare che l'Eucaristia è un fatto di gratuità, non serve per ottenere miracoli. A noi è dato soltanto un Libro, e un Pane da spezzare, non il prodigio.
Oggi Marco va avanti... non solo non possiamo contare sull'intervento prodigioso dall'Alto, ma nemmeno sulla nostra potenza, sul nostro denaro, sulle nostre forze: l'Eucaristia è veramente un fatto di gratuità, di gratuità totale, deve essere semplicemente offerta.
Non è stato facile nella storia della Chiesa. Spesso si è cercato, in terre lontane di chiamare all'Eucaristia offrendo cibo, di convincere la gente a diventare cristiani con le ricchezze del mondo occidentale senza offrire i valori essenziali... non solo, spesso si è usata l'Eucaristia come strumento di potere. Sono stati scomunicati uomini e donne nel corso della storia della Chiesa e mi diceva, tanto tempo fa, un amico che studiava storia: "Quasi sempre hanno scomunicato quelli sbagliati".
Hanno escluso dalla Comunione persone per bene e anche oggi... a volte rimango turbato quando sento che nella Chiesa si perdono ore e ore per discutere se dare o no la Comunione ai divorziati risposati. A mio avviso ci stiamo prendendo in giro. Stiamo ancora usando l'Eucaristia come strumento di potere, di affermazione di principi, di discriminazione della gente.
Forse in questa frase: "Senza pane, senza sacca, senza denaro" c'è anche un ricordo della lettera ai Corinzi di Paolo... è la lettera in cui per la prima volta abbiamo il racconto dell'Ultima Cena e Paolo lo ricorda perché nella comunità di Corinto c'è divisione tra ricchi e poveri e quando si radunano non sono capaci di mettere in comune quello che hanno... le parole di Paolo sono durissime: disprezzate la Chiesa di Dio!
Una comunità di credenti che non sogna, che non cerca, che non si impegna perché non ci siano troppe differenze e ci sia più condivisione dei beni della terra e del denaro - secondo Paolo - contraddice l'Eucaristia, le sue parole sono molto dure. (potete leggerle nella lettera ai Corinzi)
Marco in questa catechesi (forse ve ne siete accorti) ha raccolto frasi della tradizione; frasi staccate tra loro... a volte non sappiamo come Gesù le abbia dette ed è difficile capire il senso, ma qui mettendole insieme - Marco - cerca di usarle per farci riflettere sull'Eucaristia e le affida alla nostra interpretazione.
La seconda frase è quella che ho faticato di più a capire nella mia ricerca sul Vangelo, dice: "Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti". Perché fermarsi in una casa? Non è bello girare di casa in casa? Perché radicarsi, perché fermarsi? Poi ho capito che qui c'è - forse - il nocciolo centrale della vita cristiana.
Me lo ha fatto capire una frase dura, provocatoria di don Milani nella lettera a una professoressa, dice così: "I maestri (perché parla ai maestri) sono come i preti e le puttane; vanno con tutti e non vogliono bene a nessuno". È il rischio del prete; l'ho vissuto sulla mia carne, è il rischio dei maestri, è il rischio di tutti noi. Il rischio di non prendere sul serio chi ci sta accanto, di rinchiuderci nel proprio guscio, di sentirsi "altri", diversi: "Che m'importa di questi immigrati? Abbiamo altri problemi! Che m'importa degli zingari? Abbiamo altri problemi! Che m'importa dell'amico di mio figlio che è dislessico e trova difficoltà a scuola? Io guardo da un'altra parte, mi preoccupo della mia famiglia, mi preoccupo dei miei problemi".
Ecco - secondo Marco - occorre radicarsi... non si può "girare di casa in casa", non si può occuparsi soltanto di chi ci fa comodo; occorre prenderci a cuore le persone, quelli che ci stanno vicino...
Ma poi, subito dopo, Marco sembra contraddirsi perché dice: "Se non vi accolgono, scuotete la polvere dai piedi". Sembra una contraddizione... Debbo radicarmi con chi mi sta vicino o debbo scuotere la polvere dai piedi? È nella vita soltanto che si può risolvere questa contraddizione, perché c'è una cosa fondamentale per Marco: "Il credente, colui che spezza il Pane con il Signore non può aver niente a che fare con l'ingiustizia, con la disonestà".
Se nel posto di lavoro trovo disonestà io debbo scuotere "la polvere dai piedi", devo non avere niente a che spartire. E se nella società in cui vivo, trovo disonestà e corruzione devo "scuotere la polvere dai piedi".
Da una parte radicarsi, voler bene alle persone, prenderle sul serio e dall'altra la serietà, il coraggio di non aver niente a che spartire con tutto quello che sciupa la vita.
Poi l'ultima cosa ci dice Marco: (cosa da sogno, non vi preoccupate, non è possibile, quindi dovete interpretarvelo) "partiti di là, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano".
Siete capaci di scacciare "diavoli"? No?! Non guarite nessun malato? E che cristiani siete? I cristiani "devono" fare queste cose!
Convertire...? lo non ho convertito nessuno! Scacciato qualche "diavolo" ma piccoletto perché quelli grossi è difficile! Però il compito del cristiano è questo: cacciare il male, guarire i "malati", testimoniare Gesù. È il compito del credente e per questo ci nutriamo di Gesù ogni domenica che veniamo in chiesa.
Badate, non sono prodigi, è la vita di ogni giorno! Si tratta di fare in modo che dentro di me e intorno a me io combatta il male, magari piccolo, quello che posso... E poi guarire i "malati", i malati li guariscono i medici, ma anche loro ci avvisano che - molto spesso - conta di più la tenerezza di chi sta vicino, l'attenzione, la premura.
Poi non ci sono solo malati del fisico, ci sono anche malati del cuore e - anche questi - sono affidati alla nostra tenerezza, alla nostra cura e - quindi - questo è il nostro compito: cercare di combattere i male, guarire i "malati", testimoniare Gesù. Quasi impossibile, ma questo è essere cristiani o - almeno - tentare di esserlo e - per questo - ci nutriamo di Gesù.
Il Signore ci aiuti
Ed egli disse loro: "Venite in XVI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 19 Luglio 2015
disparte, voi soli, in un luogo Marco 6, 30-34
deserto e riposatevi un po'".
Nel catechismo sull'Eucaristia, oggi ci sembra di trovare una pausa, una sosta, un invito a fermarci. Se ho capito, appartiene a qualcosa di fondamentale del nostro ritrovarci qui ogni domenica: è l'invito di Gesù a venire in un luogo in disparte per riposarci un po', lontano dalla "folla", lontano dal rumore di ogni giorno, dal chiasso, dai tanti problemi che si agitano nel mondo quotidiano.
Lontano dai tanti racconti di gente che uccide, da tutte le parole, le mode che i mezzi di comunicazione riversano ogni giorno, che sono sì la vita, ma solo una parte, che rischia di soffocarci e di non darci più una visione giusta del mondo e di farci perdere ogni speranza.
Non solo, ma venire qui in un luogo in disparte per riposarci, significa anche di andare aldilà del nostro affanno di ogni giorno... il lavoro che per molti è frenetico, la corsa con le persone con cui ci confrontiamo ogni giorno, la preoccupazione per procurarci quello di cui abbiamo bisogno... tutte cose importanti, ma che - a volte - rischiano di travolgerci.
Ecco - allora - l'invito di Gesù: "Venite, fermatevi un momento, lontano dalla "folla", deponete per un po' l'affanno del vostro cuore"
Deponete l'affanno per guardare (se vi riesce) il mondo un po' dall'alto, allontanandovi dai problemi immediati, per guardare gli avvenimenti di ogni giorno un po' da lontano e soprattutto per cercare i valori essenziali, - in questo mondo così complicato, in questa corsa che è la vita - che cosa veramente conta nel rapporto umano.
Quanto è importante l'amicizia, la tenerezza, la condivisione della vita, la capacità di tenersi per mano, di sostenersi anche nei momenti di difficoltà?
Veniamo qui - soprattutto - per sederci ai piedi di Gesù, per stare un po' con Lui, per ritrovare in Lui quello che è veramente importante, per cercare di far nostri i pensieri del suo cuore, i sogni della sua vita, per nutrirci di Lui.
Il Vangelo di oggi ce lo dice con forza... non possiamo fermarci qui, c'è tanta gente che preme, che stringe, ci sono tutti i problemi di fuori... è giusto, è vero!
Ma intanto Gesù invita i suoi apostoli, invita me e anche voi: "Fermatevi un po', sedetevi un momento, guardate il mondo dall'alto, ricercate i valori essenziali, deponete un po' l'affanno, la corsa, la competizione di ogni giorno, allontanatevi dalla "folla", dal rumore, dal chiasso… un momento seduti per cercare le cose importanti".
Domenica prossima arriveremo al cuore del catechismo nel Vangelo di Marco e vedremo che è importante la gente di ogni giorno perché L'Eucaristia non si vive qui, si vive fuori. Ma io credo (lo ripeto) che sia fondamentale fermarvi un po' "qui".
Una sola cosa debbo aggiungere perché mi sembra importante. Se qualcuno e più di qualcuno di voi, non può "riposarsi" perché ha la mente frastornata, perché i problemi sono impellenti, gravi, perché non sa dove sbattere il capo... non si preoccupi! Ci sono momenti così nella vita.
Se uscite di chiesa e dite: "Non ho potuto pregare nemmeno un momento" State tranquilli!
Chiedete al Signore soltanto un po' di pace del cuore. Non è peccato non riuscire a pregare, non riuscire a parlare con Gesù. Non è peccato quando il tumulto della vita soffoca il nostro cuore, ma per quello che ci riesce deponiamolo ai piedi del Signore. Qualche volta ci riesce, ed è veramente importante trovare in Gesù un po' di riposo e di pace.
Il Signore ci aiuti.
Gesù prese i pani e, dopo aver XVII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 26 luglio 2015
reso grazie, li diede a quelli che Giovanni 6,1-15
erano seduti, e lo stesso fece
dei pesci, quanto ne volevano.
Ed eccoci arrivati al cuore del catechismo sull'Eucaristia che ci ha accompagnato (se ricordate) nelle due domeniche precedenti.
Oggi (purtroppo) ci fanno leggere questo racconto nel Vangelo di Giovanni e si rischia di perdere il collegamento con le due precedenti domeniche dove leggevamo il Vangelo di Marco. Non è importante perché questo racconto è l'unico di tutto il Nuovo Testamento che è ripetuto per ben sei volte. Lo riportano tutti i Vangeli e il Vangelo di Marco e di Matteo lo ripetono due volte.
Non solo, le parole che Gesù usa quando spezza il pane e lo benedice sono le stesse parole che si ritrovano nel racconto dell'Ultima Cena e (come avete ascoltato) c'è un accenno alla Pasqua del Signore.
Le prime comunità cristiane, in tutte le diverse tradizioni, vedono in questo racconto il senso dell'Eucaristia. Che cos'è l'Eucaristia? Ecco, secondo loro, ce lo dice questo racconto.
Guardiamo quello che c'è prima, (lo abbiamo letto domenica scorsa) Gesù si guarda intorno... sono andati sul "monte in disparte", ma tanta gente è accorsa. Gente che sono come pecore senza pastore, pecore sbandate e hanno fame.
Ecco, c'è intorno a noi gente che ha "fame", tanta gente che ha fame! Ma non pensate soltanto - anche, certamente - alla fame di pane, di beni materiali... sono "pecore sbandate" - quindi - c'è anche fame di valori, fame di libertà, fame di giustizia... c'è anche fame di cultura, fame di spiritualità, fame di Dio.
A tutta questa gente Gesù vuole dare da "mangiare". Marco ci aveva avvisato: "Non aspettatevi prodigi e miracoli"! Gesù dice ai discepoli: "Date voi da mangiare a questa gente"? "Come possiamo? Abbiamo solo cinque pani e pochi pesci! Cosa è questo per tanta gente?". "Portateli qui!". Nel momento in cui si mettono in comune, i pani si moltiplicano, la vita si moltiplica!
Ecco, questo è il senso profondo dell'Eucaristia, di quello che facciamo qui ogni domenica, che primi cristiani chiamavano: "spezzare il Pane". È un segno di condivisione, di vita spartita, condivisa con chi ci sta accanto ogni giorno.
Quando ero bambino (ma è successo - penso - anche a molti di voi) l'Eucaristia era circondata da tutta una serie di precetti, di regole; bisognava stare attenti a non bere acqua fin dalla mezzanotte, essere digiuni, confessarsi, stare attenti a non masticare l'Ostia e tante altre regole.
Poi, quando ho cominciato a studiare, (forse anche qualcuno di voi ha studiato il catechismo) le complicate elaborazioni teologiche sull'Eucaristia che si basavano sulle "apparenze" e la "sostanza": discorsi quasi incomprensibili e io avevo perso di vista il senso profondo che il Vangelo ci vuole comunicare.
La vita è condivisione e la domenica, ci ritroviamo insieme per porre questo Segno: condividiamo la vita come Gesù (lo si vede nel racconto dell'Ultima Cena) la condivide con noi.
Un segno, un simbolo, senza prodigi, senza forza, senza imposizioni... Gesù, quando lo cercano (lo avete ascoltato) per farlo Re, se ne scappa subito. L'Eucaristia è un fatto di gratuità, è un fatto di vita condivisa.
Cosa significa questo nella vita di ogni giorno? Una cosa diversa per ciascuno di noi! Perché non siamo uguali, le nostre vite sono diverse e - allora - in casa la mamma condividerà con i suoi la capacità di cucinare. Oggi - per fortuna - lo sanno fare bene anche molti papà. Il papà e la mamma condivideranno con i figli l'attenzione, il tentativo di educarli alla vita. Il maestro, l'insegnante tenterà di comunicare ai suoi alunni la cultura. Tutti noi cercheremo di condividere la tenerezza, l'amicizia, l'incontro con gli altri, il comunicare i valori, le cose che abbiamo dentro, i sentimenti del cuore: ecco, questo è l'Eucaristia!
Come abbiamo detto più volte l'Eucaristia non si vive qui, si vive fuori. Qui poniamo il segno. Qui - Gesù - è presente in mezzo a noi per dire: "Voglio nutrirvi perché sappiate condividere, camminare insieme". Allora il mondo sarà più ricco, perché se si condivide la vita si moltiplica, si arricchisce, diventa più piena: è quello che qui ci impegniamo a fare ogni giorno.
Qualche volta ci riusciamo, qualche volta no; significa cose diverse per ciascuno di noi nella nostra situazione e - a volte - è molto difficile, ma un credente, che la domenica viene a nutrirsi di Gesù, sa che il senso di questo è proprio la gratuità, la condivisione della vita, lo spartire con gli altri quello di ricco, di bello, di vivo che abbiamo. Anche cose materiali, certamente, ma anche tutte le nostre ricchezze del cuore, della mente e dello spirito.
Il Signore ci aiuti.
In pieno territorio della XXIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 6 Settembre 2015
Decapoli…Gli portarono Marco 7, 31-37
un sordomuto…
Molti di voi sono stati a Messa domenica scorsa e (se ricordate) si leggeva il Vangelo di Marco che racconta di una polemica tra Gesù e i maestri della legge, i capi dei sacerdoti. Una polemica a proposito della tradizione.
Nella tradizione degli Ebrei si possono mangiare alcuni cibi e altri no. Prima di mangiare bisogna fare delle abluzioni, dei riti di purificazione e poi bisogna lavare i piatti in un certo modo; divisi quelli della carne da quelli del latte, eccetera... tutta una serie di regole e di prescrizioni che fanno parte della tradizione antica e che - in parte - sono scritte nella Bibbia.
Gesù diceva ai farisei che bisogna superare la tradizione, che c'è qualche cosa di più importante della tradizione, qualche cosa che - secondo Lui - è fondamentale: il rispetto dell'uomo. Quello che conta non è quello che dice la religione, nemmeno quello che è scritto nella Bibbia: quello che conta è l'uomo, è fondamentale il concetto del rispetto della persona, di quello che è.
Oggi (forse non l'avete notato) è lo stesso problema! Ma non si parla più di bicchieri, di stoviglie, di carni da mangiare o no: oggi si parla di persone.
La chiave del racconto che abbiamo letto è nelle prime parole dove leggiamo che Gesù passa per Tiro e Sidone e viene in "pieno territorio della Decapoli". Vedete Marco sottolinea "in pieno territorio" della Decapoli.
Cosa significa questo? Che siamo in terra straniera e questo sordomuto è un pagano!
Si può guarire un pagano? È lecito a un ebreo? Se qualcuno di voi ha letto gli Atti degli Apostoli sa che Pietro è stato accusato e criticato perché parlava con il centurione romano Cornelio, perché - addirittura - è andato a mangiare a casa sua... lo rimproverano: "Non si può fare!" A maggior ragione non si può permettere che un pagano diventi cristiano!
Questo era il grande problema della prima comunità cristiana che ha rischiato di provocare grandi lacerazioni. Come si può rispondere a questa domanda?
Per noi - oggi - è una domanda scontata, ma tornate a quel tempo. C'è la tradizione - addirittura - è la legge che dice che non si può diventare ebrei e - allora - si può diventare cristiani? Il cristianesimo nasce dall'ebraismo.
I primi cristiani cercano la soluzione, con fatica e la trovano in questi racconti, che - probabilmente - inventano, ma che hanno la radice nel comportamento di Gesù. Per Lui non contano gli animali, non contano le stoviglie, non contano le diversità umane... per Lui c'è una sola cosa che conta aldilà della tradizione, delle regole, della legge: conta l'uomo, il rispetto dell'uomo, di ogni uomo e se la tradizione è contro l'uomo va superata. È un principio (per quello che ho capito io) fondamentale del Vangelo ma è - forse - il principio più difficile.
Provate a domandarvi: "A noi questi problemi non interessano, sono superati da secoli, ma quali sono i nostri problemi?"
I nostri problemi di contrasto tra le regole, le tradizioni, i modi di pensare e l'uomo e il rispetto dell'uomo!
Pensate alle relazioni... (Trovate voi gli esempi, se ne possono fare infiniti) pensate alla famiglia, alla relazione tra marito e moglie che ha delle tradizioni, degli schemi, ma che possono e in certi casi devono essere superati.
Pensate all'educazione dei figli. Pensate al rapporto dei nonni con i ragazzi che crescono.
Pensate alla scuola. Pensate alla società. Ci sono delle tradizioni che sono importanti e valide e ci sono quelle che - invece - vanno superate. Quali...? Come possiamo discernere?
Faccio solo l'esempio dell'educazione di un figlio... I figli cambiano, dove finisce il dovere di un genitore a educare, a indirizzare, a correggere e dove comincia - invece - il dovere di un genitore al rispetto?
Oggi nella nostra Italia, nella Chiesa si discute... (forse si discute troppo di sciocchezze) della famiglia, del genere di famiglia, degli omosessuali, delle coppie di fatto... le regole, le tradizioni; si è sempre fatto così, è scritto così... Ma l'uomo lo vogliamo rispettare, lo vogliamo capire? Questa persona che è diversa da me, che ha i suoi diritti, che ha la sua realtà.
Questo - per Gesù - è fondamentale: l'uomo, il rispetto dell'uomo.
Guardate - anche - gli enormi problemi, quasi insolubili (Non voglio farla facile perché i facili moralismi non servono a niente) che l'Europa ha davanti rispetto ai drammi della guerra: sono terribili e non abbiamo soluzioni, perché siamo troppi, non abbiamo lavoro da offrire e - allora - cosa si fa?
Come si può rispettare l'uomo? Qualcuno vi dice: "Anche i nostri padri sono emigrati...!" È un'altra cosa. Quando volete fare questo ragionamento pensate a quello che molti dei nostri padri hanno fatto. Quando a Roma c'era il pericolo dei bombardamenti, siamo scappati in campagna. Quando a Milano c'erano le bombe, si fuggiva. E i contadini...? ci davano un po' di patate... Questo è il problema di oggi! Non è un problema di immigrazione; è un problema di guerra, un problema di bombe e - allora - dove finisce il nostro diritto, il nostro dovere a pensare ai nostri figli, dove comincia il rispetto dell'altro, la comprensione dell'altro, l'attenzione al dolore dell'altro, alla paura dell'altro, allo sgomento dell'altro?
Per Gesù, il rispetto dell'altro è fondamentale! Se ho capito qualche cosa - questo - è il cuore del Vangelo. Non conta la tradizione, non conta la legge, non contano le regole: conta l'uomo, solo l'uomo.
L'uomo è più importante di tutto. È più importante della tradizione. È più importante della religione. Se ho letto bene la Bibbia - l'uomo - è più importante di Dio.
Se vi capita di dire qualche cosa contro l'uomo in nome di Dio, pentitevi subito! Non si può usare Dio contro l'uomo!
Non vorrei avervi fatto il problema troppo semplice. Se avete un po' di esperienza questi problemi sono difficilissimi. Capire dove è il limite, capire cosa è il rispetto e cosa è il lasciar correre e non prendere sul serio il problema.
Il rispetto significa prendere sul serio i problemi perché - altrimenti - non è rispetto, ma disprezzo dell'altro. Perché se posso aiutarlo e giro gli occhi non lo rispetto. Se sono troppo tollerante e lascio correr tutto, non rispetto quell'uomo.
Vedete - dunque - problemi immensi, ma non pensate ai grandi problemi del mondo e della società di oggi: problemi terribili, (scusate se ve la faccio troppo lunga, ma vorrei concludere) pensate prima di tutto ai vostri problemi... Il mio rapporto con il marito, con la moglie. Il mio rapporto con i figli. Il rapporto del docente con gli alunni: è qui che si pone il problema!
Dove finisce la tradizione, la legge, la regola e dove comincia il rispetto dell'uomo. Per Gesù (lo ripeto) il rispetto è fondamentale.
Il Signore ci aiuti.
"Ma voi chi dite che io sia?" XXIV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 13 Settembre 2015
"Tu sei il Cristo". Rimproverò Marco 8, 27-35
Pietro e disse: "Va dietro a me
Satana! Tu non pensi secondo
Dio, ma secondo gli uomini".
Quella che abbiamo appena ascoltato è - probabilmente - la pagina più difficile del Vangelo.
Una pagina in gran parte insopportabile per chi cerca di credere. Lo testimonia tutta la storia del cristianesimo. È "la porta stretta", stretta come la cruna di un ago, per cui bisogna passare se si vuole seguire Gesù.
Vedete... noi siamo abituati alla Croce! La abbiamo messa dappertutto: sulla cime delle montagne, nelle aule scolastiche, nei tribunali... ne abbiamo fatto - addirittura - un simbolo di potere e di conquista di popoli, ma la Croce - e Pietro in questa pagina ne è il testimone - rimane lo scandalo assoluto, insopportabile per chi crede.
Qui vengono - veramente - cambiate le tradizioni religiose, le idee che abbiamo di Dio.
Nelle domeniche precedenti (forse ricorderete) Gesù ci portava oltre le tradizioni che riguardano i cibi, le purificazioni, i riti, eccetera e non solo... domenica scorsa ci voleva portare anche aldilà delle tradizioni che riguardano gli uomini, che dividono uomo da uomo, che vedono uomini di prima e seconda categoria.
Oggi non si parla né di cibi, né di uomini: oggi si parla di Dio! È il modo di parlare di Dio che viene messo in questione.
Nelle grandi tradizioni religiose, soprattutto quelle popolari, Dio nasce in gran parte dal bisogno dell'uomo. Abbiamo bisogno di essere protetti, custoditi. Abbiamo bisogno di un essere onnipotente che guardi la nostra vita. Qualcuno a cui poterci rivolgere nel momento del bisogno.
La domanda che - forse - ha attraversato anche la vostra vita, come ha attraversato la mia è: "A cosa serve Dio?" Quando ero un giovane prete mi chiedevo spesso: "Cosa posso dire perché la gente capisca a che cosa serve Dio?".
Qui, la domanda si rivolta: "Non devo chiedermi a cosa mi serve Dio, ma come posso servire - io - a Dio! Come posso costruire il suo Regno, la sua giustizia? Come posso realizzare nel mondo i suoi ideali, i pensieri del suo cuore?" A me e alla mia responsabilità è affidata la vita.
Il Dio a cui Pietro è invitato ad andare dietro non è il Dio onnipotente che custodisce la vita degli uomini, ma è il Dio della croce, il Dio impotente, il Dio dalla parte degli ultimi, degli offesi. È il Dio dalla parte dei perseguitati... da quella parte - Pietro - dovrà camminare e non potrà aspettarsi che Dio lo salvi e anche lui finirà su una croce in maniera ignominiosa - dice la tradizione -.
Il Dio che siamo chiamati a seguire è il Dio che ci chiede di camminare con lui. È il Dio che non ci garantisce nulla. È il Dio della gratuità. È il Dio che ci chiede di saper amare, di saper donare la vita - addirittura - (come avete ascoltato) di saperla perdere. Perderla per andare aldilà del nostro egoismo, del nostro pensare soltanto a noi stessi, chiuderci nei nostri gusci... seguire Colui che ha saputo donare se stesso fino in fondo, donare la sua vita, il suo sangue.
Non è venuto per guarire il mondo, ma per guidare gli uomini sulla via della libertà e dell'amore. Spinti dal bisogno ci rivolgiamo a Lui... guardate tutte le chiese d'Italia e del mondo e se non possiamo rivolgerci a Lui, ci rivolgiamo ai santi... abbiamo bisogno.
Oggi il Vangelo ci dice: "Dio ha bisogno di te!" Dio ha bisogno di ciascuno di noi. Soltanto a noi ha affidato il compito di costruire la pace, la giustizia. Non è Dio che impedisce le guerre; possiamo impedirle noi. Non è Dio che guarisce le malattie; possiamo guarirle noi. Non è Dio che porta la giustizia, la pace, il rispetto, la tenerezza nel mondo; tutto questo è affidato al nostro coraggio.
Dio ha bisogno di noi! È il Dio della gratuità, è il Dio della vita, è il Dio che ci cammina davanti e ci invita a seguirlo, senza scoraggiarci. Gesù chiama Pietro Satana, ma poi gli dice: "Vieni dietro a me. Trova il coraggio di camminare con me, di seguirmi. Lo so che è difficile, ma non c'è altra strada". Questo è il Dio in cui tentiamo di credere, non il Dio onnipotente, non il Dio della gloria, della provvidenza, il Dio che custodisce il mondo, ma il Dio dell'amore. Il Dio che ci cammina davanti ci chiama a costruire un mondo giusto, un mondo d'amore. Non è facile, è quasi impossibile.
Il Signore ci aiuti.
"Chi accoglie uno solo di XXV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 20 Settembre 2015
questi bambini nel mio Marco 9, 30-37
nome, accoglie me... "
Il Vangelo di Marco che ci ha accompagnato in quest'anno liturgico volge - ormai - al termine.
C'è stata una svolta... i discepoli per bocca di Pietro hanno confessato la loro fede: Gesù è il Maestro, il Signore e hanno scelto di andargli dietro, di camminare con Lui.
C'è un fraintendimento (lo abbiamo visto domenica scorsa) perché Pietro e gli altri discepoli credono di andar dietro al Signore glorioso, al Messia che farà trionfare Israele, al Dio della potenza. Il Dio a cui vanno dietro è un Dio impotente, il Dio della Croce, il Dio che ha bisogno dei discepoli e loro (come avete ascoltato anche oggi) non capiscono però sanno, sentono che, nonostante tutto, devono andare con Lui, che la strada della vita è quella dietro Gesù.
Ora Marco si preoccupa di delinearci questa strada. Cosa significa seguire Gesù? Dove ci porta? Quale è il senso del cammino dietro di Lui? Quale è il senso della vita cristiana?
Marco ce lo dirà nelle domeniche seguenti alla sua maniera, non facendo un discorso astratto, filosofico, ma mettendo in fila episodi, frasi, simboli che gli vengono dalla tradizione. Lui li cuce insieme come una collana per cercare di delineare il cammino dietro il Signore.
E la strada (come avete ascoltato) comincia con un bambino: "Chi accoglie uno solo di questi bambini… accoglie me".
Quando pensate a un bambino non pensate ai nostri bambini coccolati, adorati, bambini che sono al centro di tutto, che - giustamente - sono rispettati, amati, seguiti in tutti i modi e qualche volta anche in maniera eccessiva e rischiano di diventare un po' viziati.
Quando pensate al bambino del Vangelo, pensate ai bambini del tempo di Gesù che oggi (forse) andiamo riscoprendo in quello che vediamo in televisione e ci mostra chi è un bambino in certe società: l'ultimo! Non viziato, ma sfruttato, che comincia a lavorare fin da bambino, che è violentato in tanti modi, che è messo da parte ...
Arrivano da noi tanti bambini senza genitori, abbandonati. Ci sono nel mondo tanti bambini di "strada" che non hanno nessuno: questo è il "bambino" di cui parla Gesù. Quando si accoglie uno di questi bambini non ci si può aspettare niente, è pura gratuità, è rinunciare ad affermare se stessi, al proprio interesse per voltarsi verso l'ultimo, verso il più piccolo, verso colui che non può darci niente: è la gratuità più totale!
Riflettete un momento... la gratuità è qualche cosa di non naturale! Tutto è costruito per conservarsi, per affermare se stessi fin dalle cose materiali: l'acqua scava la roccia, riesce a scavare solchi profondissimi per arrivare al mare.
Nella foresta ogni albero deve arrivare alla luce e - quindi - sopraffare gli altri. Nel mondo animale... nel nido del falco (tanto per fare solo un esempio) il pulcino più grande mangia il più piccolo perché deve vivere lui solo... La vita è basata sull'affermazione di sé. la vita è basata sulla sopraffazione dell'altro, sulla la morte dell'altro. Per vivere devo uccidere maiali, galline… e se siete vegani dovete mangiare fagioli, insalata, carote: tutta roba viva, che deve morire per farci vivere: questa è la natura!
Così è - qualche volta - nel mondo degli uomini, gli apostoli ne sono testimoni e discutono su chi di loro sia il più "grande", su chi stia avanti agli altri, domini sugli altri...
Gesù ci invita ad andare oltre! Non guardare davanti per affermarsi, per essere i primi: non è solo questo la vita (anche se - qualche volta - anche questo è importante) ma guardare dietro: all'ultimo, al più piccolo, a quello che non può darti niente: è la gratuità totale, ma è un miracolo. Un miracolo perché va contro la natura stessa. Solo così può cominciare il cammino dietro Gesù.
Gli studiosi chiamano questo viaggio: "Il viaggio dell'impossibile amore". Impossibile! Lo sentiremo ripetere in questo cammino dagli Apostoli e Gesù dirà: "Impossibile agli uomini, ma non a Dio. A Dio tutto è possibile!"
A Dio è possibile farci capaci di gratuità e di amore, ma non è facile e, quando pensate alla gratuità e l'accoglienza del piccolo, non pensate soltanto allo straniero, a qualcuno che può essere lontano dalla vostra vita... Il marito pensi alla moglie, la moglie al marito, i genitori ai figli.
A volte i figli - soprattutto - quando diventano adolescenti sono veramente i "piccoli", quelli che hanno bisogno di essere capiti. Pensate - forse soprattutto - agli anziani; sono loro spesso i "piccoli" nelle nostre case. Coloro che hanno bisogno di gratuità.
"Non puoi darmi più niente, non servi più a niente, ma proprio per questo mi prendo cura di te. Non mi preoccupo soltanto di chi mi può far fare un po' di carriera... anche questo può essere importante nella vita, ma mi preoccupo - soprattutto - di chi sta "dietro", di chi ha bisogno di me".
Dio ha bisogno di me e ha bisogno di me nel "bambino" che mi trovo accanto, nel povero, in colui che tribola e ha bisogno di me nella gratuità, perché - spesso, molto spesso - non posso aspettarmi niente. lo faccio così, gratuitamente. Sembra quasi impossibile!
Però - l'ultima riflessione - ripensate alla vostra vita. I momenti più belli non sono stati forse quelli in cui avete sperimentato la gratuità? In cui qualcuno vi ha voluto bene non perché si aspettava qualche cosa da voi, ma perché voleva voi?
I momenti più belli non sono stati quelli in cui un sorriso gratuito di un bambino che non poteva che darvi il suo sorriso, vi ha rallegrato la vita, ve l'ha riempita?
Ecco, la gratuità sembra un sogno ed è un sogno, ma - forse - il più bello della vita dell'uomo, e verso questo sogno, su questa strada Marco ci dice che Gesù vuole portarci.
Il Signore ci aiuti.
L'intolleranza XXVI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 27 Settembre 2015
Il bicchiere d'acqua Marco 9, 38-48
Lo scandalo
Il Vangelo di Marco ci propone tre "passi" del cammino che cerca di descriverci per seguire il Signore. Tre passi che per lui sono molto importanti.
Lo fa alla sua maniera, occorre abituarsi, perché Marco ha scritto duemila anni fa e non parla come noi. Abbiamo ascoltato - oggi - tre modi di parlare molto diversi.
Nel primo c'è un piccolo episodio quasi insignificante: Giovanni che vuole che altri non facciano qualcosa in nome di Gesù. Poi una frase che sembra semplice... solo un bicchiere d'acqua… e poi parole stranissime, paradossali: "Taglia la mano, il piede, cavati l'occhio.
Che senso hanno queste cose?
Marco ci indica qualcosa di fondamentale nel cammino che tentiamo di fare dietro Gesù.
Il primo punto che ci vuole presentare e credo che per lui sia molto importante: non bisogna essere intolleranti! L'integralismo, il fanatismo, il dividerci in noi e gli altri è quanto di più contrario al progetto di Gesù. A dirlo sembra facile.
Se guardate alla storia della Chiesa è quanto di più difficile. Il cammino dei cristiani, è stato contraddistinto da lotte, esclusioni, scomuniche... arrivavano anche a prendere le armi, ad uccidersi. La storia dei primi secoli del cristianesimo è impressionante, ma è così fino ai nostri giorni.
Molti di voi spero siano andati spesso a Campo de Fiori, perchè lì intorno ci sono tra i posti più belli di Roma e - quando andate - farete certamente un omaggio a Giordano Bruno: è stato bruciato vivo, perché qualcuno pensava di aver ragione e che lui avesse torto, ma lui diceva parole e non faceva male a nessuno, solo parole.
Questa intolleranza ha attraversato la Chiesa anche in un antisemitismo feroce… Quando - oggi - vi guardate intorno e vedete questo mondo segnato così profondamente dal fanatismo e dall'integralismo religioso che tanto sangue provoca, non dimenticate Giordano Bruno. Non dimenticate le Crociate. Non dimenticate le conquiste delle Americhe. In nome della Croce sono state sterminate popolazioni intere.
Gesù ci aveva avvertiti: "Attenzione al fanatismo, all'integralismo: il rispetto dell'altro è fondamentale".
Ma quando avete pensato ai primi secoli della Chiesa, quando avete pensato al fanatismo di certe religioni di oggi, non dimenticate di pensare anche alla Chiesa di oggi: c'è ancora tanto fanatismo, tanto integralismo, per quel che riguarda i laici, le donne, gli omosessuali. Per quel che riguarda i problemi del nascere e del morire. Tanta, troppa gente pensa di possedere la verità e non ascolta gli altri, non ascolta il popolo di Dio
Quando avete pensate all'integralismo della Chiesa di oggi, pensate al vostro integralismo perché c'è integralismo anche nelle famiglie. A volte i genitori si comportano come se sapessero tutto nei confronti dei figli, incapaci di ascolto, di dialogo e così - qualche volta - anche gli insegnanti. Guardate anche nella nostra società quanta mancanza di dialogo, quanta intolleranza c'è - a volte - feroce. Basta guardare qualche dibattito televisivo.
Il primo passo - dunque - no all'intolleranza.
Il secondo è quasi un passaggio dolce che il Vangelo di Marco ci propone: "Guardate, adesso devo dirvi cose molto dure… però basta un bicchiere d'acqua". Avete dato bicchieri d'acqua nella vostra vita, anche se non ve ne siete accorti? Un bicchiere d'acqua a chi ha sete non si nega mai… ma raccontare una barzelletta, fare una carezza, perdere un po' di tempo con un amico, giocare insieme a burraco o cose di questo genere: sono tutti bicchieri d'acqua, piccole cose che fanno bene agli altri e quando arriveremo davanti al Padreterno credo che la prima cosa che ci chiederà sarà: "Hai dato qualche bicchiere d'acqua? Passa, non c'era bisogno d'altro".
Marco forse lo dice per consolarci perché, poi, il terzo passo: "Guarda che devi tagliarti le mani e i piedi e cavarti l'occhio". "Oh Signore e che vuole adesso?". C'è nel cammino dietro il Signore un problema di scandalo. Puoi scandalizzare gli altri e puoi scandalizzare te stesso".
Cos'è lo scandalo? Qui siamo tutti di una certa età, quando andavamo in chiesa… una manica corta, la gonna alle ginocchia, una scollatura un po' più ampia… ma non accadeva solo in quel tempo, anche oggi: mi è capitato anche quest'anno di visitare qualche chiesa, di quelle turistiche e bisogna mettersi lo scialletto per entrare, non si può entrare con le braccia scoperte: è scandaloso! Lo scandalo per il Vangelo è una cosa seria, terribilmente seria!
Si scandalizzano i "piccoli" quando gli si fa perdere la fiducia: la fiducia nella vita, la fiducia in se stessi, nella giustizia, nell'amore. Da questo punto di vista, la televisione (qualcuno di voi la guarda spesso) è molto scandalosa perché fa perdere fiducia alla gente. Fa credere che tutto il mondo è male, che il male è molto più forte del bene. So che alcuni di voi lo pensano... (siete in buona compagnia, anche il Papa lo pensa) è quasi una bestemmia! Nel mondo c'è molto più bene che male se si guarda non le cose che fanno rumore, ma tutto il resto… le mamme e i papà che si curano dei figli, che lavorano, tante persone che si impegnano nel volontariato... guardatevi intorno quanto bene c'è! Quanto bene che non fa rumore. I giornalisti dicono: "Del bene non si può parlare perché è normale, noi parliamo solo di quello che non è normale"
Ma c'è uno scandalo che possiamo dare ai nostri figli, che gli insegnanti possono dare ai loro alunni: fargli perdere la speranza, la speranza di credere nella cultura, nel bene, nella giustizia.
Non solo - ci dice Marco - possiamo anche scandalizzare noi stessi... ed è la cosa peggiore! Se smetti di credere, non in astratto in qualche dogma religioso… se smetti di credere nella vita. Se smetti di credere nell'amore, nella giustizia, finisci nella discarica.
La "geenna" era la discarica di Gerusalemme, là bruciavano le immondizie per tutto il giorno, c'era sempre il fuoco: questa è la "geenna".
Finisci nella "geenna" se perdi il coraggio di sperare, di credere, di amare... allora se c'è qualche cosa che te lo impedisce, fosse anche un braccio, taglialo. Se perdi la speranza, se non credi più sei perduto.
Vedete che "passi" Marco ci mette davanti e - allora - quando ripensate a questa pagina del Vangelo, fatevi tre domande, semplici, ma fatele sempre davanti al Vangelo, con molta tranquillità, con molta calma. Se vi viene anche un piccolo senso di colpa, dite: "Ho fatto le domande sbagliate ne cerco qualcun'altra".
Chiedetevi: " Quando sono intollerante, giudico gli altri, li condanno se non la pensano come me? Penso di possedere la verità - soprattutto - una verità che viene da Dio?" Nessuno ha la verità, quello che è fondamentale è il rispetto!
E la seconda domanda: "Quanti bicchier d'acqua ho dato? Ne posso dare qualcuno in più? Perché Gesù ha detto che questo basta!"
E la terza: "Scandalizzo qualcuno? Rischio di far perdere la speranza e la fiducia? Sono troppo pessimista con i miei figli, i miei nipoti, gli metto l'ansia nel cuore, gli faccio perdere il coraggio di andare avanti… e perdo anch'io la fiducia e il coraggio?".
Ecco le domande, non facili, che questa pagina del Vangelo di Marco ci mette davanti: così si cammina dietro Gesù!
Il Signore ci aiuti.
"…diventeranno una carne sola" XXVII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 4 Ottobre 2015
"chi non accoglie il regno di Marco 10, 2-16
Dio come lo accoglie un
bambino non entrerà in esso"
Due "passi" ci propone oggi il Vangelo di Marco nel cammino che abbiamo chiamato, insieme a parecchi studiosi, il "cammino dell'impossibile amore".
Il primo passo - come avete ascoltato - ripropone il sogno più antico e profondo dell'uomo: il sogno di un amore stabile e fedele.
Il secondo passo, affidato a un piccolissimo episodio, che gli incoscienti che preparano le Letture da leggere la domenica, dicono: "Non ha importanza, potete trascurarlo". Se vedete sul foglietto c'è una versione breve e trascura la seconda parte: quella dei bambini. Secondo me è il cuore stesso del Vangelo. Qui c'è il segreto per poter camminare con Gesù sulla via "dell'impossibile amore". Bisogna diventare "bambini"!
Allora cominciamo dal primo. Al tempo di Gesù ci sono grandi discussioni sul ripudio: "È lecito ripudiare la moglie?" Certamente sì! Su questo tutti sono d'accordo perché è scritto. Mosè - come avete ascoltato - dice che il marito ha tutto il diritto di ripudiare la moglie: la discussione è solo sul motivo. Basta un qualunque motivo - anche sciocco - o ci vuole un motivo serio?
Gesù contraddice la Legge, cercando di riportare l'uomo al primo mattino del mondo: il sogno dell'uomo. Il sogno - come sapete - cantato da tutti i poeti, in tutte le culture. Il sogno di un amore stabile, fedele; un amore appassionato, tenero che duri tutta la vita: è un sogno, un ideale!
Quando questo sogno diventa "legge" è un dramma... lo sta ripetendo (non so con quanti risultati) il Papa Francesco in questi giorni: si perde il senso della misericordia. O forse meglio non si tratta di essere misericordiosi, ma solo di capire: spesso non c'è niente da perdonare.
Chi non riesce a realizzare questo sogno ha tutto il diritto e forse (secondo me) anche il dovere di riprovare un'altra volta con un'altra persona.
Ma se ho capito, questo sogno, non riguarda soltanto la coppia uomo-donna, ma ogni rapporto d'amore. Il rapporto dei genitori con i figli, dell'amico con l'amico: è il sogno di un affetto stabile, un rapporto che non finisce facilmente, che dura per la vita.
Un amico, se è un amico vero, speriamo che sia per la vita. Un figlio, certamente, è per la vita... così il sogno dell'uomo è che un amore sia stabile, per la vita.
Allora, se si vuole vivere questo sogno, bisogna essere capaci di fare "miracoli", perché nel mondo dei mammiferi, a cui noi apparteniamo, la coppia stabile e fedele è una rarissima eccezione... a parte qualche iena, qualche sciacallo, nessun mammifero ha una relazione stabile. Ci si accoppia, si mettono al mondo figli e poi si va.
Anche il rapporto con i figli non è un rapporto stabile e fedele. Un figlio si tira su, si accudisce e quando ha due o tre anni, un calcio nel sedere e via da un'altra parte, se vieni qui rischi di essere ammazzato, non ti vogliamo più, via!
Noi soffriamo quando questo rapporto (come qualche volta succede) si rovina, si sciupa. Noi vorremmo che il rapporto con i figli sia stabile, fedele. Noi vorremmo anche che i rapporti dell'amicizia siano stabili, ma se è così andiamo oltre la natura. La nostra natura di mammiferi è diversa: occorre "sognare", vivere il "sogno".
Io che sono vecchio posso testimoniare (l'ho fatto tante volte anche con i giovani) che questo sogno è possibile. Ho visto coppie anziane, ormai con gli occhi che ci vedevano poco, la mente un po' obnubilata, capivano poco del mondo, ma - tra loro - ancora si capivano. I loro occhi erano ancora incantati. Il loro sorriso, la loro tenerezza, il loro affetto, la loro unione, anche fisica, erano cresciuti nel tempo.
Ho visto con i miei occhi e posso testimoniare che questo sogno è possibile. È possibile viverlo, ma è un "sogno". Ripeto è un "sogno"! Se diventa "legge" si offendono le persone, è un sogno che vale per ogni rapporto umano, per ogni coppia di qualunque genere sia.
Speriamo che il Sinodo che comincia, sappia guardare il mondo. Sappia vivere la tenerezza. Sappia capire che cosa è - veramente - un rapporto umano e speriamo che abbia il coraggio di riproporre i sogni, gli ideali a tutti.
Il "sogno" che tentiamo di vivere, che Gesù ci propone: il sogno di un amore" impossibile". Il segreto di questo sogno è - forse - nell'ultimo breve episodio, nel secondo passo che oggi Marco ci propone: Bisogna diventare come bambini, lo ripete due volte: "A chi è come loro appartiene il Regno di Dio" "Chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso". È un invito a tutti noi a diventare "bambini", a vivere come bambini.
Chi è il bambino? Come possiamo vivere, soprattutto nei nostri rapporti affettivi, come bambini?
Il bambino è uno che non sa, che va scoprendo. Non sa la mamma chi è. Dice il verso latino "Comincia piccolo fanciullo a conoscere dal sorriso tua madre". È bello, il bambino non sa chi è la madre, cerca di scoprirlo, non sa cos'è il mondo, cerca di scoprirlo con le mani, con la bocca, con gli occhi, cercando, tastando; scopre che tutto è nuovo, tutto da scoprire.
Ma più diventiamo grandi, soprattutto se diventiamo intolleranti, più rischiamo di "sapere". Rischiamo di sapere chi è un figlio, come deve crescere. Crediamo di sapere come è un amico, come deve essere, cosa va e cosa non va e non abbiamo più la voglia di scoprire, di cercare e domandarci: "Chi è veramente? Cos'ha nel cuore questa persona? Qual è il mistero che un uomo, ogni uomo si porta dentro?"
Non sapere, non pretendere di possedere la verità - soprattutto - la verità dell'altro, ecco: "diventare bambini".
Ancora, per il bambino tutto è dono. Guarda il mondo con occhi incantati, tutto gli è donato; non ha fatto niente, non può accampare diritti, non può dire: "Io ho fatto...".
La mamma ha qualche diritto: "Ti ho portato in grembo nove mesi e sono lunghi e pesanti e poi non basta... mi devo svegliare la notte, ti devo allattare, custodire, coccolare e - quindi - io dei diritti ce li ho. Tu devi volermi bene, ma come voglio io, perché io ho fatto...". Eppure un figlio resta sempre un dono, anzi "il dono". Il dono che ha riempito la vita, quel dono su cui non posso accampare diritti perché è più grande di ogni cosa che ho potuto fare, posso fare un tavolo, una macchina, un satellite che va sulla luna... ma un figlio, un uomo non lo posso fare. Un uomo è frutto della vita e non posso che guardarlo con stupore immenso e sentirlo come un dono.
Un dono che è facile sentire quando è un cucciolo, ha due o tre anni e gli occhi dei genitori sono incantati, ma quando arrivano a quindici, sedici anni i ragazzi sono un po' più complicati, eppure quel figlio rimane per me un dono… e l'amico è un dono e il mondo intorno a me è un dono.
Ecco, il Vangelo di Marco ci dice: "Se volete camminare sulla strada dell'impossibile amore, diventate bambini. Sappiate di non sapere. Non accampate diritti. Non dite: io ho fatto. Cercate, scoprite, fatevi domande. Cercate di capire qual è il segreto dell'altro, vivete la vita come un dono e soprattutto le persone come un dono. Un dono che ci arricchisce. Senza le persone che abbiamo intorno, la vita nostra non varrebbe niente".
Ecco, come bambini ci invita a diventare Gesù, per poter vivere il sogno di un amore, di una tenerezza stabile e fedele.
Il Signore ci aiuti.
"Una cosa sola ti manca: XXVIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 11 Ottobre 2015
va', vendi quello che hai Marco, 17-30
e dallo ai poveri"
Ancora due "passi" ci propone il Vangelo di Marco sulla via che abbiamo chiamato "dell'impossibile amore" e oggi avete ascoltato questa parola: "impossibile" sulla bocca di Gesù.
Due "passi" che per Marco sono importanti. Chi ha preparato il foglietto ancora una volta ci dice: "Uno ne potete trascurare, potete farne a meno" e - forse - ci accorgeremo che è particolarmente importante anche il secondo passo. Adesso fermiamoci un momento sul primo.
Marco ritorna sul tema che ritiene importante - forse - fondamentale: l'invito ad essere come bambini e lo fa proponendoci il contrario del bambino: l'adulto. Abbiamo - qui - un uomo che va da Gesù... siamo abituati a chiamare questo il racconto del "giovane ricco", ma questo non è un giovane (lo avete visto bene anche voi) dice: "Queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza". Una giovinezza - probabilmente - lontana. Ha vissuto tutta la vita lavorando duramente per accumulare ricchezze e ci è riuscito: è un uomo molto ricco - probabilmente - anche lui è una persona che è vissuta pensando che un uomo vale per quello che possiede e questo gli permette di guardare gli altri dall'alto in basso, di sentirsi una persona importante.
E non solo, è un uomo onesto. Ha osservato scrupolosamente la Legge fin dalla sua giovinezza. Gesù gli ricorda la legge: "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non frodare…", "Ho osservato tutto, sono un uomo onesto". Qualcuno di voi direbbe: "Magari ce ne fossero oggi di persone così", ma anche per Gesù: magari ce ne fossero! Difatti "lo guardò e lo amò".
Ma, cosa gli manca ancora? Perché lo invita ad andare oltre? Fermatevi sulle parole che dice questo signore: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere? "Devo" "fare" per "avere"! È questa la sua logica... devo! Vive per fare tutto il suo dovere: "Devo fare, devo osservare le regole".
"Fare" per "avere". Non basta quello che ho, devo avere e avere: fare per avere!
Gesù gli rivolta la faccenda: "Diventa come un bambino, lascia tutto, cerca di vivere per essere, non per avere".
Gesù vuole portare quest'uomo negli spazi sconfinati della libertà, della gratuità, dell'amore, della capacità di condividere la vita con gli altri. È il progetto di un cammino che non finisce mai. Non sentirti giusto, arrivato, mettiti in ricerca, comincia daccapo, scopri i valori fondamentali della vita: è bello avere dei beni... ma c'è dell'altro!
C'è la gratuità, lo stupore, la meraviglia; non si vive soltanto per avere, non si vive soltanto per fare, non si vive soltanto di dovere... si vive di innamoramenti, di sogni, di ricerca, si vive di un cammino, di apertura agli altri... allora soltanto troverai il senso della vita.
"Diventa un bambino, ricomincia daccapo, lascia tutto: seguimi! È impossibile? Agli uomini sì, a Dio no! Dio può farti diventare un bambino. Può farti passare per la cruna di un ago".
Ecco, questo è il passo che Marco ci propone, passo - forse - per lui fondamentale: diventate bambini! Non conta soltanto quello che fate, non conta soltanto tutto il traffico della vostra vita: conta l'amore, la libertà, la gratuità, conta la condivisione. Guardatevi intorno e - allora - la vita sarà ricca e avrà un senso profondo.
E il secondo "passo". Un passo che è stato (per quello che ho capito io) drammaticamente trascurato in tutta la storia della Chiesa...
Vedete - fin dai primi secoli si è predicato il pauperismo, la rinuncia, l'esaltazione della sofferenza, del sacrificio. Hanno invitato la gente a flagellarsi, a battersi, a camminare a piedi scalzi, come se il sacrificio fosse gradito a Dio, come se l'ideale dell'uomo fosse sacrificarsi, rinunciare, soffrire, tribolare per guadagnarsi un altro mondo.
Qui è esattamente il contrario: "Se rinunciate... avrete già in questo tempo (rileggete il testo) cento volte tanto". Quindi l'ideale del Vangelo non è la povertà, è la ricchezza, certo per tutti. L'ideale del Vangelo non è la sofferenza, è la gioia e verso questo siamo invitati a camminare.
Se non ci riusciamo e se accanto a noi abbiamo qualcuno che non gioisce, non dobbiamo dire: (come dicono troppi preti) "Beato te, il Signore ti ha visitato, ti vuole bene" È una bestemmia! Il Signore vuole che quell'uomo sia felice e se tu puoi fare qualche cosa, fallo! Dio vuole che noi siamo felici!
Troppe volte ci hanno indicato come l'ideale a cui Gesù ci chiama la sofferenza, la rinuncia, il sacrificio.
Quante volte (voi - forse - nemmeno riuscite a immaginarlo) ho trovato delle persone che tornavano - magari - dall'aver fatto un' opera buona, dall'aver passato del tempo con un amico in difficoltà, oppure essere andati all'ospedale, alla mensa e venivano a dirmi: "Don Checco, ho uno scrupolo perché son tornato a casa e mi sentivo contento… allora l'ho fatto per me, non per l'altro". "Hai fatto un'opera buona e ti senti pure contento… e ti lamenti? Ma è un anticipo del Paradiso!"
Questo è il messaggio che questa piccola frase del Vangelo ci propone, tenetela a mente: "Se hai lasciato una casa, ne avrai cento". Perché se siamo capaci di condividere, lasciare, rinunciare al nostro egoismo... la vita si arricchisce, si fa bella. L'ideale è la ricchezza. L'ideale è la gioia. L'ideale è il piacere, non la sofferenza e la povertà: questo almeno io penso. Voi sapete che ci sono altri che la pensano diversamente e voi pensate come vi pare.
Il Signore ci aiuti.
"Il Figlio dell'uomo infatti XXIX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 18 Ottobre 2015
non è venuto per farsi servire, Marco 10, 35-45
ma per servire ... "
Eccoci alla fine del lungo viaggio che Marco ha tentato di delinearci nelle domeniche precedenti. Passo dopo passo ci ha portato verso quello che per lui è il cuore stesso del viaggio.
Marco mette in questione, qui, il potere dell'uomo, la sua volontà di dominare gli altri e ci propone il sogno più grande del cristiano: essere come Gesù, che è venuto non per essere servito, ma per servire.
Il sogno che molti credenti hanno fatto loro. Paolo dice alla fine della vita: "Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me".
Non ci resta, dopo questo lungo, "impossibile", cammino che il grido del "cieco" che faremo nostro domenica prossima. Il cammino di Marco finisce con un cieco che grida: "Signore, fa che io veda".
Per cercare di capire questo passo finale, decisivo per lui, del cammino bisogna fare una distinzione attenta.
Non è in questione il desiderio dell'uomo di essere "primo". Ogni pittore può desiderare di essere primo, forse "deve" desiderare di essere primo, di fare il quadro migliore. Così come ogni falegname dovrebbe desiderare di fare un tavolo migliore di tutti. Così lo spazzino potrebbe desiderare di essere il migliore, il più capace. Così l'insegnante, il migliore degli insegnanti. Così chi costruisce un ponte... Ciascuno di noi può e forse deve desiderare di essere il migliore.
Qui è in questione il desiderio di "avere" il primo posto, ed è una cosa completamente diversa. Avere il primo posto significa avere potere sugli altri, la capacità di dominare. "I governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono".
La storia del potere ha attraversato l'umanità ed è storia di potenti che hanno oppresso i loro popoli fin dai tempi più antichi: guerre di conquista, per fare schiavi altri uomini, il dominio dell'uomo sull'uomo, l'imporre la propria volontà, il proprio potere agli altri.
Pensate al secolo scorso - addirittura - il tentativo di farsi come Dio di alcuni dittatori che hanno causato terribili sofferenze nella storia del mondo. Pensate (se volete) a Hitler, a Stalin, a Mussolini... una storia terribile quella del secolo scorso.
Come è una storia terribile quella di tanta parte dell'umanità. Qui c'è - forse - anche (per quello che ho capito io) il potere degli storici, i quali ci parlano sempre degli uomini di potere e mai di quelli che del potere hanno sofferto.
Capita raramente di trovare un libro di storia che parli non degli oppressori, ma degli oppressi, che parli della povera gente, che cerca di vivere, di tirare su i propri figli, di custodirli, di dargli un futuro: vediamo drammaticamente anche in questi giorni povera gente, desiderosa di vita, della possibilità che i figli possano crescere e vivere in un mondo di pace.
Non c'è soltanto il potere politico o militare; c'è anche il potere della Chiesa, delle Chiese. Il potere delle religioni che non è meno forte: il desiderio di dominare le coscienze degli uomini.
Si manifesta nelle autorità della Chiesa. A volte, io l'ho incontrato in qualche prete, in qualche confessore, in qualche santone... ho visto tribolare delle persone perché non riuscivano a liberarsi da quella che è - forse - la libidine più profonda del potere: dominare non tanto i beni, il corpo dell'altro, ma il cuore, l'anima.
Non c'è solo il potere dei potenti, non ci sono solo le guerre, non c'è solo il potere dei Papi o dei santoni in questo mondo... c'è anche il nostro potere e - forse - di questo Marco, oggi, ci invita a parlare.
C'è il potere del marito nei confronti della moglie. Un potere che un tempo era anche violento, oggi - forse - un po' meno, ma soltanto un po'! Vediamo spesso alla televisione fatti di violenza, di chi vuole possedere l'altra, che ritiene sua, di chi non sa accettare la libertà dell'altra.
C'è anche il potere dei genitori sui figli; un tempo il potere del padre si esercitava con violenza. C'è anche il potere della madre - forse - più subdolo, ma non meno pericoloso. Tante madri per la volontà di possedere, di rimanere attaccate al figlio, gli impediscono di vivere.
C'è il potere dell'alunno nei confronti del professore e - qualche volta - è un potere forte. C'è il potere del professore nei confronti dell'alunno. C'è il potere dell'amico nel confronto con l'amico... ecco su questo - forse - ci conviene riflettere.
Gesù ci dice: "Aldilà del potere, il servizio". Questa parola: "servire" è una parola chiave nel Vangelo di Marco. A molti di voi non piace: sostituitela! Considerate che per Marco - questa - è la parola fondamentale. A molti non piace perché sembra che ci sia del servilismo, l'abbassarsi di fronte agli altri; non si tratta affatto di questo, cambiatela, usate la parola condivisione, attenzione verso l'altro, rispetto, vita vissuta insieme, usate la parola che volete, ma il cuore è questo
Il potere che ho non lo vivo per opprimerti, per farti mio, per possederti, ma per aiutarti a crescere, ad essere libero... e il compito di ogni madre, di ogni padre, di ogni insegnante è aiutare ad essere libero: "Tu devi essere te stesso. Io non ti voglio per me, non voglio condizionarti, non posso dire che sei mio, sei "tuo", della tua libertà, delle tue scelte, della tua personalità".
Ecco il potere che si fa servizio, attenzione all'altro, condivisione: è questo l'ideale che Marco ci propone dicendoci: "Quando rinunciate al vostro potere diventate come Gesù, che non è venuto per essere servito, ma per servire e donare la propria vita"
Essere come Gesù è il sogno del credente. È il sogno di tanti che hanno attraversato la storia della Chiesa, il mio sogno, poter dire alla fine: "Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me"
Vivo dei suoi sogni, della sua capacità di amare, di essere totalmente gratuito nei rapporti con gli altri. Marco ci aveva avvisato: è la strada dell'impossibile amore. Una strada - forse - più grande del nostro cuore, alla cui fine non si arriva mai, che bisogna ricominciare ogni giorno, per andare aldilà di se stessi, per incontrare l'altro, per condividere la vita… allora capite perché domenica prossima Marco ci proporrà il grido del cieco: "Signore, fa che io veda".
Anche perché - molto spesso - non riusciamo a capire cosa sia veramente "servire" un altro. Pensate - per farvi un esempio - al rapporto di un genitore con un figlio: dove comincia la sua responsabilità e quali ne sono i limiti e dove comincia il rispetto per questo figlio? Sono problemi vasti e - qualche volta - non riusciamo a capire. Cerchiamo, domandiamo e talvolta non ci accorgiamo che questi problemi nascono dalla nostra gelosia, dalla paura di perdere, che ci rende incapaci di amare. Gesù vuole portarci aldilà di tutto questo, ma (lo ripeto) è un sogno, è un cammino al limite dell'impossibilità; non ci si può fermare mai. Bisogna gridare con il "cieco", bisogna desiderare la "luce", la capacità di amare, di essere gratuiti nei rapporti con Dio e con gli altri.
Il Signore ci aiuti.
Gesù gli disse: "Che cosa vuoi XXX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 25 Ottobre 2015
che io faccia per te?" Il cieco Marco 10, 46-52
gli rispose:"Rabbunì, che io
veda di nuovo!".
"...e lo seguiva lungo la strada" così termina la pagina che abbiamo letto. Nelle domeniche precedenti Marco (la straordinaria comunità che ha scritto questo Vangelo) ha tentato di delinearci questa strada, questo cammino e lo abbiamo chiamato: il cammino dell'impossibile amore. La strada della gratuità, del dono, della condivisione della vita; la strada del servizio amoroso e su questa strada ci invitava a camminare dietro il Signore.
Adesso, alla fine della strada, sente il bisogno di mettere il grido del "cieco" e lo facciamo nostro: "Signore, fa che io veda".
Credo che anche noi - come la comunità di Marco - abbiamo qualche volta sperimentato la "cecità". Credo che anche a voi, come a me, sia successo più volte nella vita di chiedervi: "Ma è veramente questa la strada? È possibile in questo mondo, che a volte ci appare così pieno di violenza e di odio (siamo un po' tutti vittime della televisione e dei giornali) vivere la gratuità, l'amore?" La legge della vita è un'altra: che ognuno pensi a se stesso, difenda il suo angolo. Succede nella natura, nelle piante, negli animali... che ciascuno difenda la propria identità, il proprio spazio, la vita dei propri cari, disinteressandosi del mondo troppo grande, anche del mondo che - qualche volta - ci si avvicina. È possibile vivere il dono, il servizio amoroso? Qualche volta ci viene il dubbio che siano solo illusioni. Illusioni che, sì, possono essere belle, che i poeti possono cantare… ma la vita è un'altra cosa!
È vero che quando abbiamo fatto esperienza di gratuità, di tenerezza la vita ci sembrava più bella, più vera, ma poi altre volte tutto sembrava rabbuiarsi, si ricadeva nella notte: la mancanza di speranza.
C'è poi dell'altro perché - qualche volta - quando abbiamo cercato di fare le cose con attenzione, con amore e ci sembrava di essere pieni di sentimento verso l'altro, poi ci siamo accorti di aver sbagliato.
Succede nella coppia tra marito e moglie. Succede - qualche volta - ai genitori con i figli. Succede ai nonni con i nipoti. Succede - qualche volta - ai maestri, agli insegnanti nei confronti degli alunni... "Ho fatto tutto quello che potevo, ci ho messo tutto il mio impegno e mi sono sbagliato. Non sono riuscito a capire, non ho saputo vedere il vero bisogno dell'altro, ci ho messo tutto il mio amore, ma non era quello giusto!"
Ed ecco di nuovo il grido del "cieco": "Signore, fa che io veda. Fa che capisca che cosa significhi veramente amare. Vorrei, ma - qualche volta - non so cosa significhi"
E non basta perché qui - nel Vangelo - comincia un altro cammino... il cammino che sale da Gerico a Gerusalemme. È un cammino in salita ed arriva al Calvario, alla Croce.
Noi - quando facciamo il bene - ci aspettiamo una ricompensa: "Signore, faccio del bene perché Tu mi dia una mano, perché le cose mi vadano bene. Mi hanno detto tante volte che devo acquisire meriti davanti a Te e poi mi aspetto un premio. Mi aspetto - almeno - un po' di riconoscenza da parte degli altri e invece..." A volte tentare di fare il bene è solo sacrificio e non c'è ricompensa, non c'è nemmeno un "grazie", ma - allora - è possibile farlo davvero... ancora il grido del "cieco": "Signore, fa che io veda" .
Abbiamo intuito, che in Te ci sono parole di vita, ma - qualche volta - ci smarriamo nel "buio". Apri i nostri occhi, scalda il nostro cuore, dacci il coraggio di camminare con Te. Sappiamo che il bene va fatto perché è bene, che l'amore è l'essenza della vita. Apri i nostri occhi, scalda il nostro cuore, fa che camminiamo con Te costi quel che costi, perché la vita sia bella, ricca, abbia un senso vero, perché la vita ha senso soltanto nella gratuità e nell'amore.
Il Signore ci aiuti.
Ecco una moltitudine immensa di ogni TUTTI i SANTI - 1 Novembre 2015
nazione, tribù, popolo e lingua ... Apocalisse 7,2-4. 9-14 Matteo 5,1-12
"Beati i poveri... i miti... quelli
che hanno fame e sete di giustizia ...
Le straordinarie letture che abbiamo letto oggi ci permettono di guardare la storia con gli occhi di Dio e di rendere giustizia alla vera storia degli uomini, perché - vedete - gli storici si occupano - quasi sempre - dei personaggi importanti; di quelli che hanno conquistato terre, fondato imperi, vinto battaglie, compiuto cose straordinarie e - questo - vale anche per i santi.
La storia dei santi parla soltanto di quelli che hanno fondato monasteri, istituito ordini religiosi, fatto imprese eroiche… se poi considerate che la storia è sempre scritta dai vincitori, può capitarvi di trovare sul calendario, tra i santi, i nomi di Bernardo di Chiaravalle il quale indiceva Crociate e diceva che uccidere un non cristiano non è un omicidio, ma un "malicidio".
Oppure Roberto Bellarmino che ha firmato la condanna al rogo di Giordano Bruno. O Pio Decimo che nel suo furore antimodernista ha fatto tribolare e affamato migliaia di persone...
Guardiamo - invece - a questa "moltitudine immensa" di cui ci parla la straordinaria pagina dell' Apocalisse: "una moltitudine immensa di ogni razza, popolo, nazione, di ogni religione..." gente che ha camminato sulla terra cercando la giustizia. Uomini sconosciuti, di cui non sentirete mai parlare. Il loro nome sui libri della storia non comparirà mai, ma sono loro i "santi" veri che hanno fatto andare avanti - lentamente - l'umanità: sono loro gli affamati, gli assetati di giustizia, i miti, i misericordiosi, quelli che hanno cercato, con pazienza, di operare la pace; ce ne sono stati in tutti i secoli della storia!
Spesso sono stati vittime, vittime dei prepotenti, dei signori, di chi cerca l'oro, le ricchezze, il potere. Negli angoli delle loro case, spesso fuggendo, hanno cercato di volere bene ai loro figli, di lavorare, di procurarsi il pane per vivere. Hanno cercato di vivere la tenerezza, la gioia, il piacere, la bellezza dello stare insieme: sono questi i veri "santi" della storia.
"Una moltitudine immensa di ogni razza, popolo, nazione, di ogni religione..." Oggi queste pagine buttano - veramente - per aria tutti gli schemi.
Lo avrete notato anche voi... nel testo straordinario di Matteo "beati..." non si parla mai di quelli che vanno in chiesa, di quelli che credono, che sono cristiani... "Beati i miti, i misericordiosi, gli operatori di pace, gli affamati di giustizia... una moltitudine immensa".
Adesso vi consiglierei di mettere da parte anche la "moltitudine immensa" (lo abbiamo già fatto con i santi del calendario). Perché vi dico di mettere da parte anche la moltitudine immensa?
Perché penso che noi abbiamo oggi non solo il diritto, ma anche il dovere di far memoria dei "nostri" santi, quelli che sono stati per me, nella mia vita, testimoni: testimoni di giustizia, di tenerezza, quelli che mi hanno voluto bene, mi hanno incamminato sulla via del bene, mi hanno fatto libero...
Nei giorni passati quando pensavo a qualche parola da dirvi oggi, cercavo di far scorrere davanti ai miei occhi tutti i "santi" della mia vita e non finivo... voi non li conoscete… qualcuno ci è comune, ma la maggior parte sono per voi sconosciuti...
A cominciare da mio padre, da mia madre, da mio nonno, da alcuni zii quando ero ancora piccino e poi, crescendo, ho incontrato tanta gente e sono stato prete in tre parrocchie diverse e ho incontrato molti che erano per me veramente testimoni di tenerezza, a volte gente anziana, a volte bambini, testimoni di vita: sono i miei "santi", la maggior parte purtroppo (siccome sono vecchio) sono passati dall'altra parte, ma per fortuna ce ne sono ancora, perché i santi non sono solo di là, sono anche di qua, si è santi durante la vita, non dopo.
Quali sono i vostri santi? So che vi ci vuole un po' di tempo a ricordarli tutti, ma provateci! Non cercate eroi, gente che ha fatto cose straordinarie. Pensate a chi vi ha voluto bene e - soprattutto - è stato testimone di giustizia, di onestà, di tenerezza, di attenzione all'altro, di condivisione, quelle persone che vi hanno fatto vivere, che hanno fatto la vita nostra bella, ricca: di queste persone - oggi - facciamo memoria.
Non abbiamo bisogno della loro intercessione presso Dio, perchè Dio ci vuole bene a tutti, se no non è Dio... alla Sua maniera ci vuole bene, non come ce lo aspettiamo noi. Ci vuole bene chiamandoci a una vita e più vera e più libera e più giusta, camminandoci davanti e non dietro per tappare i nostri buchi.
I nostri santi sono quelli che hanno vissuto accanto a noi e ci hanno testimoniato la vita: di questi facciamo memoria, augurandoci che qualcuno - poi - consideri anche noi tra i suoi "santi". Vi auguro di cuore che i vostri figli, i vostri nipoti, le persone che avete incontrato nella vita, le persone che avete preso per mano, vi segnino tra i "santi" su quel calendario che non sarà mai stampato, ma è il nostro calendario: il calendario delle persone a cui abbiamo voluto bene e che ci hanno voluto bene.
Il Signore ci aiuti.
Venuta una vedova povera, XXXII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 8 Novembre 2015
vi gettò due monetine... Marco 12, 38-44
Il Vangelo di Marco - praticamente - finisce qui. Dopo (ne leggeremo qualche frase domenica prossima) c'è il grande discorso sulla fine del mondo e poi il lungo racconto della passione e della morte di Gesù: un racconto ormai tradizionale, quando Marco compone il suo Vangelo, lo abbiamo già letto in tempo di Pasqua.
Marco nelle domeniche precedenti, ci aveva portato su una strada che abbiamo chiamato "la strada dell'impossibile amore". Ci aveva posto davanti un ideale assoluto: essere come Gesù.
Domenica scorsa, non lo abbiamo fatto perché c'era la Festa dei Santi, ma avremmo letto quello che c'è subito prima: il Comandamento fondamentale: "Ama il Signore Dio tuo con tutte il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza, ama il prossimo tuo come te stesso".
Vedete, ideali altissimi e Marco conclude regalandoci questa piccola, straordinaria "perla", forse (almeno per me) la perla più preziosa del suo Vangelo.
Immaginate - dunque - questa povera vedova, ormai anziana- probabilmente - un po' curva, che faticosamente arriva fino al tempio ed è lì nascosta in un angolo e poi va nel tesoro e butta quello che ha: due monetine, un soldo soltanto. "Ha ragione lei - dice Gesù - ha dato più di tutti gli altri!"
Ne ho conosciute, mi hanno accompagnato nella vita queste vedove - ormai - anziane. Quando ho cominciato a dire Messa (la dicevo alle sette e mezza del mattino, la domenica) c'erano parecchie signore anziane con gli occhi un po' assonnati... avevano fretta, dovevano tornare a casa a preparare da mangiare per i nipoti, per i figli (ormai i mariti non li avevano più) eppure parlare con loro voleva dire fare esperienza della tenerezza. Di chi ha negli occhi una vita vissuta per gli altri. Di chi sa dirti parole dolci. Di chi sa passare avanti ai tuoi difetti. Di chi non ti giudica. Di chi ti fa sentire - veramente - la tenerezza di una vita.
Ma questa pagina del Vangelo non parla di loro, ad un certo punto della vita ho scoperto che parla di me ed è diventata per me la "perla" più preziosa del Vangelo.
Perché fin da quando ero giovane ho sentito di non avere grandi possibilità, non potevo fare grandi cose per il mondo. Non avevo nessuna capacità particolare: niente di speciale che potesse contribuire granché alla storia degli uomini. Il "tesoro" del mondo era troppo grande per me. Avevo - forse - soltanto qualche monetina da buttarci dentro e ho sentito Dio dalla mia parte.
Per Dio non è importante chi fa grandi cose. Chi riesce a salvare un'altra persona, chi riesce a compiere imprese eroiche o inventare cose straordinarie.
Per Dio è importante anche chi sa regalare un sorriso, sa fare una carezza, due passi con un amico, chi sa dare un bicchiere d'acqua...
Un solo "bicchiere d'acqua..." un'altra pagina straordinaria del Vangelo di Marco.
Per Dio... il capo dello Stato, il presidente del Consiglio è importante come l'ultimo bidello della scuola, come l'ultimo impiegato delle Poste... perché quello che conta è quello che c'è nel cuore e la capacità di essere attenti agli altri, di condividere la vita, di regalare quel poco che si ha - magari - solo un sorriso.
Quando si arriva alla fine della vita (l'ho visto più volte) un sorriso tenero, dolce, in cui c'è tutta l'esperienza di una vita: l'ultima "monetina" da gettare nel tesoro del mondo.
Ecco perché - per me - questa pagina del Vangelo è diventata la "perla" preziosa che conservo nel cuore, perché è la carezza di Dio... Non sei una persona importante? non importa! Non hai grandi capacita? non importa! Sei ormai vecchio, gli occhi sono appannati, non vedi quasi più, capisci poco, ti dimentichi tutto... : un sorriso, due monetine buttale nel tesoro della vita senza pensarci troppo.
Questa pagina del Vangelo mi ha accompagnato e se condividete qualche cosa tenetela anche voi nel cuore come la "perla" più preziosa del Vangelo di Marco.
È la consolazione di Dio, è la carezza di Dio sul nostro cammino di uomini che - spesso - non hanno grandi cose da gettare nel "tesoro" del mondo. Il mondo non lo cambiamo, è troppo grande, ma un sorriso, un bicchiere d'acqua è prezioso agli occhi di Dio...
Il Signore ci aiuti.
"Il cielo e la terra XXXIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 15 Novembre 2015
passeranno, ma le mie Marco 13, 24-32
parole non passeranno".
La pagina del Vangelo che abbiamo appena letto ci ripropone un tema fondamentale della fede che viviamo o tentiamo di vivere. Un tema che ha origini lontane e che caratterizza o dovrebbe caratterizzare il nostro modo di pensare a Dio e alla vita: è il tema della speranza, del coraggio di andare verso il futuro, di costruirlo.
Questo tema comincia dalla storia di Abramo che è considerato dalle tre grandi religioni monoteistiche il Padre, il Padre di tutti e chissà se un giorno potremo riconoscerci fratelli e figli di questo stesso Padre.
Abramo è invitato da Dio a lasciare la sua terra ed ad andare... andare a costruire il futuro, a cercarsi una nuova terra: una terra concreta fatta di campi, pascoli, ma soprattutto a cercare la terra in cui abiti la giustizia, ci sia il rispetto dell'uomo per l'uomo.
Lo stesso tema è fondamentale nel racconto dell'uscita degli Ebrei dall'Egitto. Mosè invita il popolo di Israele ad uscire dalla schiavitù, dalla terra del "male", ad andare verso la libertà, a conquistare la terra, la terra dove "scorre il latte e il miele". La terra - per usare la parola ebraica - dello Shalom, della pace, della pienezza della vita. È una parola grande: Shalom.
Non ci si può fermare al passato e quando gli Ebrei dicono: "Si stava meglio là, vogliamo tornare indietro..." La Parola del Signore li spinge ad andare avanti: non si può tornare indietro. Bisogna andare verso il domani per conquistare un mondo più bello e più giusto.
Questo tema è riaffermato con forza nel Vangelo di oggi e dovrebbe essere essenziale nella fede cristiana.
Il credente guarda al Signore che viene: è Lui l'ultimo traguardo del nostro cammino. Noi aspettiamo, desideriamo, sogniamo, cerchiamo di preparare un mondo che sia alla dimensione di Gesù, in cui ci sia la pienezza della pace, il rispetto dell'uomo per l'uomo, in cui ci sia la condivisione, la fraternità: un mondo - insomma - in cui i sogni, gli ideali di Gesù diventino concreti, vivi: verso questo andiamo.
Questa dimensione essenziale, (lo ripeto essenziale) della nostra fede è (se ho capito qualche cosa) una delle più difficili. Ci sono tentazioni gravi che la Chiesa e anche ogni cristiano vive.
La prima tentazione è quella di guardarsi indietro, dicendo: "Si stava meglio prima, i nostri avi vivevano meglio, c'era più pace, più serenità" e di non tendere più al futuro, di fermarsi a quello che si è sempre detto e fatto, di non avere più il coraggio della speranza.
La Chiesa ha vissuto tante volte questo radicarsi su quello che s'era sempre detto, sulla tradizione codificata. Ha cercato di difendere il suo potere… e le voci che aprivano al futuro sono state - spesso - condannate, se non addirittura bruciate sul rogo.
Il Concilio ci aveva riempito di speranza. Ci aveva dato il coraggio di guardare al futuro... Uno dei Padri conciliari - forse il più grande teologo del secolo scorso - Karl Rahner, ci diceva: "Attenti al conciliarismo. Non vi fermate al Concilio. Il Concilio non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza. Un cristiano guarda avanti, cerca di camminare". Purtroppo - invece - di guardare avanti sembra che in qualche cosa si sia tornati indietro!
Il Concilio voleva comunicarci questo coraggio della speranza anche nella Liturgia… voi forse non ve ne accorgete perché ripetiamo le parole senza pensarci troppo, ma quando io avrò alzato il Calice della Consacrazione, voi risponderete: "Annunciamo la Tua morte, Signore, proclamiamo la Tua resurrezione, nell'attesa della Tua venuta". Ecco la dimensione della nostra fede: l'attesa di Gesù, l'attesa che Lui venga, che si realizzi completamente, qui, su questa terra il suo Regno.
Non pensate "all'oltre", l'oltre è lo spazio di Dio. Occorre che qui, su questa terra, la dimensione di Gesù diventi concreta, viva.
E un altro rischio che avete sentito nella pagina che abbiamo letto: è il rischio dell'impazienza. Il Signore sta per venire? Allora viene subito, è questione di giorni, di mesi! San Paolo (qualcuno di voi lo ricorda) credeva di non morire prima che tornasse il Signore, che si realizzasse il suo Regno.
Non so se avete colto la contraddizione nella pagina che abbiamo letto, dicono: "Verrà presto, non ci farà aspettare, non passerà questa generazione prima che avvenga" Poi aggiungono: "Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli Angeli, né il Figlio, eccetto il Padre". Non lo sa nessuno! Ma se nessuno lo sa perché parli? Perché dici: in questa generazione?
È un modo per dire: "Non siate impazienti!". Chi è impaziente (per quello che ho capito io) non ha capito il Vangelo, perché (lo ricordate certamente) ci parla spesso del "seme" da seminare che poi porterà frutto. Ci parla dell'attesa paziente. Ci parla della capacità di leggere i "segni" di un mondo che, in qualche modo, cammina ed è proprio nei momenti difficili della vita, in cui il futuro sembra oscurarsi che dobbiamo guardare intorno e cercare i "segni".
I segni concreti di chi cerca la pace, di chi vuole un mondo più giusto. Guardatevi intorno... quante persone (anche a Ostia) fanno volontariato, cercano di aiutare gli altri in tutti i luoghi: nelle carceri, alla mensa, alla scuola... Tante persone di buona volontà che cercano di guardare "avanti", di costruire qualche cosa che realizzi i sogni di Gesù: questo è il coraggio della speranza.
Allora, se vogliamo essere credenti non guardiamo indietro, non arrocchiamoci sulle nostre posizioni, non abbiamo paura: il Signore verrà! È la nostra fede! Verso di Lui andiamo! Noi tentiamo di costruire il mondo, a sua dimensione. È affidato alle nostre mani. Non lo vedremo subito: il nostro compito è porre "semi" e guardarci intorno per scoprire i segni del futuro e dare una mano.
Ah, se i cristiani avessero saputo cogliere tutti i segni del futuro: i segni della scienza, della poesia, della filosofia... Se avessero ascoltato, che so Voltaire. Se avessero ascoltato tante persone che aprivano orizzonti nuovi, il mondo sarebbe migliore.
Rischiamo di arroccarci nelle nostre posizioni, di difendere i nostri poteri e non aspettare più Gesù.
Il Signore ci dia il coraggio della speranza.
"Il mio regno non è di questo mondo…" CRISTO RE DELL'UNIVERSO - 22 Novembre 2015
Giovanni 18,33-37
Oggi è l'ultima domenica dell'anno della nostra preghiera. Domenica prossima sarà già Avvento e cominceremo di nuovo ad aspettare il Natale e da molti anni - ormai - si conclude l'anno della preghiera con la festa di Cristo Re. Una festa che a noi dice poco, anche perché è l'ultimo tentativo di un Papa di riaffermare il potere temporale della Chiesa.
Avrei pensato di farvi ripercorrere - a volo d'uccello - il Vangelo di Marco che in quest'anno ci ha accompagnato nel nostro cammino alla ricerca di Gesù.
Il Vangelo di Marco è straordinario e potrei consigliarvi di leggerlo di nuovo preparandovi ad aspettare Gesù, purché lo leggiate non come una storia di fatti prodigiosi accaduti tanto tempo fa, ma come racconti simbolici di cui siamo i protagonisti: parla di noi il Vangelo o ci entriamo dentro, oppure, non è "Vangelo", cioè non è "buona notizia". Questo per Marco significa "Vangelo": annunzio di vita, di speranza, di gioia.
Dunque seguitemi in questo volo d'uccello sul Vangelo di Marco, poi magari ve lo rileggete.
Marco ci ha invitato ad andare a Nazareth, un piccolo sperduto paese, quasi sconosciuto. Là c'è un falegname che ha vissuto per una trentina d'anni, forse. Di Lui non sappiamo niente inquesti trent'anni… da lì è partito - forse - perché aveva dei sogni nel cuore. Non gli bastava più la piccola vita del suo villaggio, voleva andare...
Aveva sentito parlare di Giovanni ed è andato da lui e - là - lo abbiamo visto mettersi in fila con la povera gente, con chi ha il cuore pesante, con chi si batte il petto. Non sta davanti per giudicare, per condannare... in fila come l'ultimo, con il capo chino, compagno di strada e abbiamo cominciato a sentire Gesù come amico del nostro cammino, come fratello che cammina con noi alla ricerca della vita.
E poi Marco ci invitava ad andargli dietro: il primo passo ci ha portato nella casa di Pietro (un episodio piccolo, piccolo). Là c'è la suocera di Pietro che è malata, non può alzarsi, non può essere utile... Gesù la prende per mano e si alza per "servire". Andiamo dietro Gesù per servire. Marco ce lo dice all'inizio e ce lo ripeterà alla fine: condividere la vita, essere utili agli altri
E poi, una volta che ci siamo alzati ci porta incontro al lebbroso. Il simbolo allora della sofferenza dell'uomo e ci invita a chinarci su questa sofferenza per vedere se - in qualche modo - possiamo essere d'aiuto, tenendo ben presente (ce lo ripete) che la sofferenza non ha niente a che spartire con il castigo di Dio. Allora era normale che il lebbroso non fosse trattato solo come un sofferente, ma anche come un maledetto da Dio e purtroppo questa mentalità arriva fino ai nostri giorni. Spesso vediamo nella disgrazia, nel male il castigo del Signore. Gesù ha voluto portarci oltre, a chinarci sull'uomo che soffre, che ha bisogno del nostro tendere la mano, del nostro condividere con lui il cammino.
Ma non è soltanto della sofferenza che Gesù vuole parlarci… C'è - nel Vangelo di Marco - subito dopo il "paralitico". È l'uomo che vive nel male perché per Marco il male è "non fare", non essere utili, non essere capaci di condividere la vita, steso sul letto, incapace di bene e allora deve avvicinarsi a Gesù, ma Marco ci dice che c'è una "folla". La "folla" per Marco è un incubo che attraversa tutto il suo Vangelo. (Se lo rileggete cercate la folla, c'è dovunque) La folla che impedisce di arrivare al Signore… e sentiamo anche oggi intorno a noi, questa folla.
Questa "folla" che è carica di violenza. Questa folla che "ride" di chi cerca il bene, che dice: "Ma chi te lo fa fare". Ecco questa folla deve essere superata, ma non è facile, bisogna - addirittura - "scoperchiare il tetto" e ci vogliono degli amici, ma se poi arrivi a incontrare Gesù, allora, ti piglia per mano e ti dice: "Coraggio, alzati, cammina, credi alla vita e al bene".
E ti invita a "mangiare", tu peccatore, con Levi, con tutti gli altri pubblicani… e lo rimproverano e dice: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati, sono venuto a cercare chi ha il cuore pesante. Guai a chi si sente giusto, a chi non sente il bisogno di camminare ancora".
Poi ci ha ammonito: "Badate bene, non è l'uomo fatto per il sabato, ma il sabato è fatto per l'uomo". Ci ha proposto una polemica contro l'osservanza del "sabato", soltanto esteriore, senza cercarne il cuore; contro il digiuno, contro tutto quello che è la tradizione che può soffocare il cuore dell'uomo. Una tradizione che diventa una gabbia… anche oggi succede nella Chiesa. Gesù ci ha invitato a rompere tutto questo e a cercare le cose essenziali della vita, a cercare la gratuità, il rispetto dell'altro, la libertà, la pienezza della vita ... non è a buon mercato!
Qualche volta siamo impazienti di vedere realizzati questi sogni che Gesù si porta nel cuore. Lui ci parla del "seme". Il seminatore semina e sembra che il suo seme vada perduto, che tutto sia inutile, ma poi c'è la grande festa della mietitura. Il Regno di Dio è come un "granello di senape" piccolo piccolo, ma poi diventa un albero. Credi, metti il tuo seme e non aver paura!
Ma per credere, per seguire Gesù c'è un'esigenza che - per Marco - è fondamentale. Ce le racconta in una delle narrazioni più straordinarie di questo Vangelo (la conoscete poco). C'è un uomo che ha tanti "diavoli" dentro: duemila e chiedono di andare nei maiali e Gesù li lascia andare e si buttano nel lago. Vedete, è un racconto assurdo se credete che sia un fatto accaduto: è un simbolo di cui i protagonisti sono proprio i "maiali", perché gli uomini dei villaggi vicini - i proprietari dei maiali - arrivano e gli dicono: "Gesù, vattene, a noi interessano i maiali" "Ma quest'uomo lo avete conosciuto, era violento, terribile, ora è sano". "A noi degli uomini "sani" non ci interessa, noi vogliamo i maiali".
In questo mondo troppa gente, (forse anche noi) cerca i "maiali", i soldi, il potere, Gesù ci aveva ammoniti: "Se volete vivere, se volete credere nella pace, dovete rinunciare ai maiali". Occorre preferire l'uomo "sano" ai maiali. Prima mettete l'uomo sano poi - se è possibile - godete dei "maiali".
E c'è un'altra condizione... nel racconto che segue quello dei maiali, Gesù va nella casa di Giairo e là c'è una ragazza che è morta e Gesù dice: "No, è viva, la possiamo rialzare". E intorno tutta la gente "ride". E Gesù passa oltre la gente che ride e ci invita ad andare con Lui.
Questo "riso" lo sentiamo anche noi ogni giorno! È possibile credere nella pace, in questo mondo? L'amore, la gratuità non sono un'illusione? Non si può - secondo Gesù - "ridere". Bisogna credere con tutta la passione del proprio cuore nella vita, nella gratuità, nella possibilità di vivere e di amare.
Non è facile, però! A noi - ci racconta Marco - può capitare come singoli e come comunità di sentirci su un mare in tempesta... e la barca sta per affondare e Gesù ci ripete: "Non abbiate paura, ci sono io!" E qualche volta sul mare in tempesta sembra un "fantasma", ma si avvicina: "Sono io, non abbiate paura!" Tutti i cristiani di tutti i tempi hanno sentito ripetersi da Gesù - se lo hanno ascoltato - questa parola: "Non abbiate paura, coraggio, credete"!
Lo abbiamo poi visto "trasfigurato" sul monte. Ci ha invitato a condividere il pane. Ricordate il racconto della "moltiplicazioni dei pani?" C'è gente che ha fame, ci sono solo cinque pani e due pesci: "Portateli qui!". Nel momento in cui siete capaci di condividere la vita, allora si moltiplica.
E poi... poi nelle domeniche precedenti (forse lo ricordate) ci ha portato in un cammino da Gerico a Gerusalemme: il cammino che abbiamo chiamato "dell'impossibile amore".
I discepoli dicevano: "Come è possibile che un uomo e una donna si vogliano bene? Come è possibile rinunciare ai soldi, non voler essere i primi e dominare sugli altri? Preferire l'uomo... come è possibile?" A Dio tutto è possibile: "Coraggio, non abbiate paura. Diventate come bambini che non pensano di sapere tutto, che vivono la vita come un dono. Se non ce la fate? Gridate come il "cieco" e tentate, sognate, provate ad essere come Me!" "Come il Figlio dell'uomo - dice il Vangelo di Marco - che non è venuto per essere servito, ma per servire".
E poi l'ultima perla, il regalo del Vangelo di Marco: una povera vedova che, come me, non ha che pochi spiccioli da mettere nel tesoro della vita.
Abbiamo celebrato Gesù, nelle feste di Pasqua lo abbiamo visto inchiodato sulla croce dalla violenza del mondo, ma poi abbiamo gridato la Sua resurrezione. Ha ragione Lui. Non può avere ragione la morte, la violenza, il male. Ha ragione Gesù. Hanno ragione i sogni del suo cuore. Ha ragione la libertà, la gratuità, la pienezza della vita, l'amore: verso questo mondo andiamo.
Questo mondo è affidato alla nostra responsabilità, ma con la fede che Lui verrà, che l'ultima parola della storia non è la distruzione e la morte, ma la vita, la pienezza della vita.
Ecco, lungo questo cammino ci ha portato il Vangelo di Marco. (Ve lo ripeto) Chi vuole lo rilegga, ma non come un fatterello: sono simboli. Se non vi sentite coinvolti non è Vangelo. Se non sentite che si parla di voi, di me, di ciascuno, non è Vangelo. Vangelo è quando dentro questi simboli ci sono io. Sono io il "paralitico". Sono io la suocera di Pietro, la vedova del Tempio, io l'uomo che vive la "tempesta" sul mare, io che spezzo il "Pane". Sono io che cerco di camminare con Gesù e vivere con Lui nella pienezza della vita.
Il Signore ci aiuti.