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OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 1998-1999 - Vangelo di Matteo
INDICE
Vieni, Super-Gesù! I Domenica d'AVVENTO - 29 novembre 1998
Isaia 2, 1-5 - Matteo 24, 37-44
Anche quest'anno - come ormai succede da qualche tempo - ci lasciamo guidare, nel nostro cammino d'Avvento, dai segni dei nostri bambini. Qualcuno di voi, forse più d'uno, sarà rimasto sconcertato da questa strana scritta che c'è in mezzo alla chiesa: Vieni, Super-Gesù! Sì, proprio come pensate: lo spunto l'hanno preso dall'ultimo gioco, dall'ultima mania che attraversa il nostro paese: il super-enalotto. Voi direte: "Che c'entra il Natale col super-enalotto?" Adesso cerco di spiegarvi la fantasia delle nostre catechiste e dei nostri bambini.
Vedete, è lontano dalla nostra mentalità il moralismo che affligge i nostri tempi: oggi ci sono predicatori di ogni genere che parlano attraverso tutti i mezzi di comunicazione - giornali, radio, TV etc. - e ci affliggono con le loro sconsiderate prediche e i loro sconsiderati rimproveri. Noi da tutto questo siamo, per fortuna, lontani. Le nostre catechiste ritengono che giocare al superenalotto sia... un gioco! Molte di loro lo hanno fatto, scherzando insieme col marito o con i parenti; magari sognando di vincere parecchi miliardi e vedere la loro vita cambiata. Un gioco, soltanto un gioco. Ogni tanto è bello giocare!
Ci sono - forse ne parleremo le prossime settimane - dei giochi tragici: vorrei accennarvi soltanto agli ultimi due di cui mi capitava di sentire parlare ieri: i nostri ragazzi, con la connivenza dei loro insegnanti, cominciano a fare i soliti giochi: occupazioni di scuole, proteste, marce... i giochi dei politici che promettono da 30 anni di riformare la scuola e che continuano a rimandare sempre questa riforma, che è urgente da 30 anni! Oppure le nostre autorità della Chiesa, che giocano con le indulgenze ed il purgatorio... e sarebbe ora di smetterla: sono secoli che questo allontana la gente dalla fede. Questi sì sono giochi tragici, perché riguardano la scuola dei nostri ragazzi o la fede di tutti noi.
Con la vita non bisognerebbe giocare: questo vogliono dirci le nostre catechiste e i nostri bimbi; possiamo giocare all'enalotto, ma la vita è una cosa seria! E sarebbe compito di tutti noi cercare i tesori che la fanno ricca. Vedete questo scrigno qui, ben chiuso? Diranno, domani, i bimbi: "Là dentro ci sono i tesori che Gesù ci ha portato!" Tesori per tutti, non soltanto per qualche fortunato che riesce a vincere qualche cosa che potrebbe cambiare la propria vita... Tesori che rendono ricca la vita di tutti; ma che sono affidati alla nostra passione, alla nostra ricerca, al lavoro di ogni giorno. E tutti noi possiamo cercare questi tesori.
Abbiamo imparato - qui siamo in molti ad avere ormai i capelli bianchi - che anche quando abbiamo attraversato qualche momento in cui i soldi erano pochi e la vita si faceva difficile, se però in casa respiravamo un clima di rispetto, di pace, di tenerezza, si era felici lo stesso. Son questi, forse, i valori autentici che dobbiamo cercare: i valori dell'onestà, i valori della tenerezza, i valori della giustizia, il coraggio di fare le cose importanti della vita!
Allora, in questo tempo d'Avvento, cerchiamo anche noi, come faranno i nostri bimbi, di andare a vedere in quel tesoro: ciascuno cerchi il proprio. Forse chi ha qualche anno di più, tante cose non le può fare; tanti tesori ormai la vita non li offre più ... Ma forse anche noi un pizzico di fiducia, un po' di ottimismo, un sorriso possiamo portarlo. A volte i nonni sanno portare, intorno a sé, quella pace, quella tenerezza, quel gusto della vita che i giovani vanno cercando e non trovano ancora. Raccontate poi, ai vostri nipoti, la bellezza della vita presa sul serio, l'impegno per costruirla ogni giorno; parlate dell'onestà che vi ha guidato, per lunghi anni, raccontate del lavoro fatto con dedizione e rispetto, dell'amicizia e dell'amore che hanno arricchito i vostri giorni! Raccontatelo a chi gioca, a chi prende la vita scherzando: la vita è una cosa seria e, con il coraggio di tutti, può diventare più bella! Son questi i tesori, che il Natale che viene potrebbe portarci.
Poi non preoccupatevi se i moralisti vi rimproverano per i troppi regali: un regalo in più, un giocattolo in più, un paio di scarpe in più, una maglietta in più, forse permette a qualche famiglia, che so, in Thailandia di mangiare un piatto di riso in più! Comprate i giocattoli, perché questo fa lavorare la gente. Non preoccupatevi di spendere i soldi che avete: i soldi son fatti per spenderli. Ma i tesori della vita sono altri ed è importante che li cerchiamo con passione. Non servono le prediche di coloro che rimproverano e brontolano... lasciatelo fare a quelli che fanno i predicatori di professione, a quelli che hanno sempre da dire, da parlar male o da mettere pesi sulla coscienza della gente. Voi... spendete e spandete! Ma cerchiamo poi nella vita i valori autentici: cerchiamo la tenerezza, la pace, la giustizia, il voler bene.
Allora Natale sarà Natale! E se mangeremo qualche panettone in più, se compreremo qualche regalo in più, sarà ancora più bello.
Il Signore ci aiuti!
...facciamo un po' di pulizia in casa: II domenica di AVVENTO - 6 dicembre 1998
gettiamo via le sciocchezze... Isaia 11, 1-10 - Matteo 3,1-12
Abbiamo ascoltato le luminose parole di Isaia, i sogni del profeta, ma che a più d'uno di noi sembrano ingenue illusioni; e poi le aspre, minacciose parole di Giovanni il Battista, parole che a molti di noi oggi suonano insopportabili. Cosa può aiutarci a preparare il Natale? Cosa può aiutare noi - gente di tutti i giorni - abituati ad ascoltare promesse - magari belle e luminose - mai mantenute; abituati alle grida di gente che usa parole sempre più forti, a volte anche minacciose?.. Noi ameremmo il parlare sommesso, le parole che ci aiutino a camminare, che ci mettano una speranza dentro!
Forse possono aiutarci le parole dei nostri ragazzi e dei loro genitori, che ci invitano, a fare un po' di pulizia nella casa, a buttar via quello che sciupa la vita. Forse parole semplici, parole di bambini, possono aiutare ciascuno di noi a capire che cosa può fare, per essere un po' migliore. Anche perché i rimproveri, le parole forti, le ascoltano sempre quelli che non dovrebbero ascoltarle; e rischiano di mettere un peso sul cuore, di far crescere il senso di colpa... E, lo sapete ormai, i sensi di colpa non servono proprio a nulla. Quello di cui avremmo bisogno è un po' di coraggio, un po' di speranza, per pensare come mettere qualcosa di migliore nella nostra vita.
Vi leggo, allora, le parole dei bambini - ed anche dei loro genitori -: chissà che qualcuno di voi non trovi qualche spunto per preparare un po' meglio il Natale.
Ci invitano a "gettar via i litigi per delle sciocchezze, che non ci fanno star bene con gli altri"; a "buttar via l'antipatia del carattere e la tristezza, che ci fa sentir soli". Ci invitano a "fare a meno dei capricci che, a volte, ci fanno sciupare alcuni momenti della vita"; a gettar via "la malinconia e la noia, che non ci fanno giocare e sorridere"; a "non giudicare le persone guardandole soltanto, senza conoscerle".
E adesso qualche parola dei genitori. Una mamma dice: "Vorrei potermi render conto dei miei errori per provare a non ripeterli; vorrei riuscire a chiedere scusa, se questo può servire a stringere di nuovo una mano; vorrei sentire uguale a me anche chi sento diverso, accettare e accogliere chi da me è diverso. Vorrei aiutare i miei figli a crescere sereni, senza ergermi al di sopra di loro; vorrei non chiudermi nelle mie certezze, quando credo di aver ragione".
E un papà dice: "Troviamo il coraggio di fare le nostre scelte; diamo giusto valore alle cose; liberiamoci dell'inutile e del vuoto. Buttiamo via la superficialità in generale: dello studente che non approfondisce le lezioni, di chi si limita alle apparenze, di chi giudica senza sapere, di chi parla senza pensare, di chi, comunque, non entra mai nel merito delle cose. Ma, oltre che buttar via, cerchiamo anche di riacquistare qualcosa: riappropriandoci del nostro tempo, di un piccolo spazio per riflettere, per pensare, per far posto alle cose veramente importanti, per aprire il nostro cuore ai doni preziosi che Gesù ci porta!"
Ed un altro dice: "Signore, aiutaci a fare a meno del desiderio di 'apparire', spesso più forte della voglia di 'essere'; a gettar via tutti i 'far finta di'; aiutaci a riscoprire l'autenticità dei sentimenti".
Ecco, non so se a queste parole - parole semplici, parole di gente come noi: non i grandi sogni del profeta e nemmeno le minacce di Giovanni il Battista - posso aggiungere un altro spunto di riflessione, forse importante per qualcuno di voi. Qualche domenica fa, dopo la Messa, una ragazza mi portava dei ritagli di giornale, con un articolo che l'aveva particolarmente colpita. L'articolo sosteneva che noi cattolici siamo abituati ad una "morale del premio e del castigo": ci hanno tante volte parlato del paradiso che ci dobbiamo conquistare e dell'inferno che dobbiamo evitare, che spesso non sappiamo più fare le cose perché è bene farle, perché sono giuste. Manca, a qualcuno di noi, il senso del dovere. E quindi, nel nostro paese, sembra che se non c'è un tornaconto, se non c'è un utile, se non c'è almeno una medaglia, le cose non si fanno. È un rimprovero da prendere sul serio!
Così pure, nell'articolo, si diceva che la nostra morale è spesso una morale individuale: ciascuno di noi è attento a salvarsi l'anima, preoccupato dei propri pensieri, delle idee, delle preghiere; al più, attento a vigilare sulla propria famiglia. Per cui uno dei difetti della nostra morale è la mancanza del senso della collettività, del senso del bene comune. Ci manca il senso dello stato! Forse le ultime discussioni sulla scuola sono il sintomo di questa mancanza del senso del bene comune.
Su queste cose è bene riflettere. Chissà che il Natale che viene non ci porti un po' di più il senso del dovere, della gratuità, il senso del bene di tutti: il senso di una morale più giusta, più aperta, più libera, come la voleva Gesù!
Il Signore ci aiuti!
"Eccomi, avvenga di me Immacolata Concezione di Maria - 8 dicembre 1998
quello che hai detto" Luca 1, 26-38
Domenica scorsa, dicevo la mia preferenza - che è condivisa da molti di voi - per le parole semplici, facili; parole come quelle che amano dire i nostri bambini. E possiamo trovare conforto, proprio nella pagina di Vangelo che abbiamo letto oggi.
I Cristiani riconoscono, da tempo, in Maria la maestra della fede: trovano, nelle sue parole semplici, il modello dell'accoglienza, vedono in lei il modello di chi crede veramente, di chi sa stupirsi, di chi sa accogliere Dio nella propria vita. Avete notato? non si ferma, all'annuncio dell'Angelo, a discutere; non chiede se è o non è capace di adempiere un compito così alto, quali sono le condizioni della missione che le viene affidata; non chiede nemmeno se ci guadagna qualcosa, se ne avrà merito davanti a Dio. Dice soltanto: "Eccomi".
E delle grandi parole che l'Angelo le dice, sembra capire una cosa sola, la più semplice: sua cugina Elisabetta aspetta un figlio, è ormai al sesto mese: forse può aver bisogno di lei. E se leggete le righe seguenti, vedrete che si alza e va. Va a dare una mano, va ad aiutare la cugina che ha bisogno di lei. Forse, non ne è nemmeno sicura che ne abbia veramente bisogno... Delle parole dell'Angelo - che le annunciano che sarà la donna più straordinaria della storia del mondo - sembra capire soltanto questo!
E se la fede fosse tutta qui: la capacità di dire "Eccomi", di intravedere la chiamata del Signore nelle occasioni di bene, che capitano anche a noi nella vita di tutti i giorni? Se essere credenti significa fidarsi di Dio, della sua presenza nella storia, della sua mano che si tende, dietro chi, intorno a noi, ha bisogno di un nostro aiuto: che ci fermiamo un momento, che sappiamo ascoltare, che sappiamo condividere la vita?
Ecco: forse non ci sono parole più semplici di quelle che dice Maria: "Eccomi". E poi si alza e parte. La sua attesa di Gesù comincia con un gesto di servizio, di tenerezza, verso la cugina che può aver bisogno di lei!
Queste parole del Vangelo sono state importanti nella mia vita: ogni volta che ho dovuto fare delle scelte, ogni volta che mi sembrava che la vita mi mettesse davanti un compito importante, a cui magari non mi sentivo adatto, ho riaperto questa pagina del Vangelo, per tentare anch'io di dire: "Eccomi"; senza tante domande, senza chiedermi troppo se ero o non ero capace di fare quella cosa, senza domandarmi che cosa mi sarebbe successo. Il coraggio di vedere Dio negli avvenimenti, il coraggio di rispondere di sì alle occasioni di bene che ci capitano ogni giorno: forse essere credenti è tutto qui!
Il Signore ci dia un cuore come quello di Maria: capace di stupirsi, di accogliere, di fare spazio a Gesù nella nostra vita!
Una cascata di stelle... III domenica di AVVENTO - 13 dicembre 1998
Un tesoro di valori! Isaia 35,l-10 - Matteo 11, 2-11
Domenica scorsa i nostri bimbi ci invitavano a fare un po' di pulizia nella nostra casa, a mettere un po' in ordine nell'attesa di un ospite importante. Oggi hanno aperto per noi lo scrigno che questo ospite ci porta: vedete che cascata di stelle ne è uscita! E su ciascuna di queste stelle, vedete - più piccola, più grande - i nostri bambini hanno scritto il valore importante per ciascuno di loro.
Per voi, che cosa è importante? che cosa fa bella la vostra vita? Provate a rispondere anche voi a questa domanda: se vi dessero una di queste stelle e vi chiedessero: "Scrivici sopra il valore che per te è importante, il tesoro della tua vita", che cosa vi scrivereste? quanto fareste grande la vostra stella?
I bambini, vedete, hanno scritto là i valori che loro hanno conosciuto, di cui hanno fatto esperienza: la tenerezza, l'accoglienza, l'onestà, l'amicizia, la generosità, la pace, la gratuità; il sentirsi accolti da chi sta loro intorno, il sentirsi amati! Sono i valori che riempiono la vita, i valori per tutti.
Anche in questi giorni qualcuno spererà di vincere i tanti miliardi del superenalotto; io, se potessi, lo augurerei a tutti voi. Ma poi, al di là di questo, lo sappiamo, sono quelli indicati dai nostri bimbi, i valori che hanno arricchito la vita: se voi siete qui, è perché qualcuno vi ha arricchito la vita. Volete pensarci un momento, stasera: chi è stato per voi il testimone dei valori? Vi faccio questa domanda perché per me è più semplice; per me è complicato domandarmi se io sono stato, per gli altri, testimone di valori. Chissà, forse nella mia vita ormai lunga per qualcuno anch'io sono stato, qualche volta, capace di accendere una stella nel cuore!
Perché, poi, è questo quello che conta: avete ascoltato il Vangelo di stasera: Giovanni in carcere ha un momento di dubbio e si chiede: "Ma è veramente Gesù l'inviato di Dio, o dobbiamo aspettare un altro? È Gesù colui che deve venire?" E che cosa gli manda a dire Gesù? "Guardati intorno, vedi quello che succede: ci sono dei ciechi che riacquistano la vista, dei sordi che cominciano ad udire, degli zoppi che camminano".
Chi vi ha aperto gli occhi? nella mia vita ho incontrato tante persone che mi hanno fatto scoprire le cose belle della vita. Chi vi ha messo, in un momento di difficoltà, la mano sulla spalla e vi ha fatto rialzare, vi ha invitato a camminare ancora? Sono questi i prodigi della vita di ogni giorno: è allora che una stella ci si accende dentro! Io credo che, se siamo qui stasera, è perché tutti noi abbiamo incontrato nella vita qualcuno che ci ha aiutato ad aprire gli occhi, qualcuno che ci ha aiutato a camminare, qualcuno che ci ha messo la speranza dentro, qualcuno che ci ha acceso una stella nel cuore! Ricordiamole, stasera, le tante persone che hanno reso la presenza di Gesù viva, concreta nella nostra vita!
Perché Natale è quando una stella si accende dentro, quando uno ci fa scoprire i valori che rendono bella la vita, quando ci nasce la speranza nel cuore!
Quello scrigno è pieno di stelle: i bambini le distribuiranno a tutti e inviteranno ciascuno a scriverci sopra il valore più importante; a mettere questa stella sull'albero di Natale e soprattutto a cercare di vivere quel valore.
Ed io stasera vorrei salutarvi così: immaginate che uno dei nostri bambini venga a donarvi una stella e vi dica: " Noi bambini vi salutiamo e vi lasciamo le stelle che ognuno potrà attaccare al proprio albero di Natale. Non dimenticate di scriverci il valore per voi più importante, ma soprattutto, impegnatevi a viverlo".
Perché Natale sarà veramente Natale se chi ti vive accanto ha una speranza dentro, scopre qualcosa di bello, sente la voglia di camminare. Ed è come se il cieco recuperasse la vista e lo zoppo camminasse di nuovo...
È quello che Gesù viene a fare in mezzo a noi: Natale è quando una stella ci si accende dentro! Il Signore l'accenda in tutti noi e chi ci sta accanto possa vedere i valori che abbiamo dentro: li possa vedere non soltanto nelle nostre parole, ma nei gesti della nostra vita di ogni giorno!
Il Signore ci aiuti!
...gli apparve in sogno un angelo del IV domenica di AVVENTO - 20 dicembre 1998
Signore e gli disse: "Giuseppe non temere... Matteo 1, 18-24
Maria partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù".
Uno strano cammino ci hanno fatto fare, quest'anno, i nostri ragazzi per prepararci al Natale: siamo partiti da lontano, addirittura dal superenalotto. Era la provocazione che ci rivolgevano all'inizio di questo tempo di Avvento: il superenalotto, un premio straordinario, che molti di voi si augurano di vincere - ed è cosa buona augurarsi di avere tanti soldi - ma un premio dovuto alla fortuna, un premio per pochissimi, che probabilmente non riguarderà nessuno di noi.
I ragazzi ci invitavano a guardare a qualcosa che invece potesse riguardarci tutti: a cercare quei valori che fanno bella la vita, quei valori che non dipendono da un colpo di fortuna, ma che sono il frutto della ricerca, della passione della vita, che tutti possiamo avere nel cuore. E domenica scorsa hanno aperto quello scrigno, facendo piovere questa cascata di stelle! Su ogni stella è scritto un valore, i valori importanti per i nostri ragazzi: l'amore, la giustizia, la tenerezza, l'amicizia, l'accoglienza, la pace...
Oggi, vedete, hanno aggiunto una STELLA sola, grande: Gesù non è venuto soltanto a portarci dei doni, dei valori da vivere, ma ci porta SE stesso! Il dono che Dio vuol farci è il dono della sua presenza, il dono della sua persona. E sono i doni più preziosi della nostra vita, le persone! Dio viene a condividere la nostra esperienza, ci fa ci dono di se stesso, viene accanto a noi!
Vedete, per Natale, tutti avete preparato dei doni; ed è bello che sia così: è bello il clima festoso di Natale, è bello anche andare in giro a cercare un dono per le persone a cui si vuol bene. Ma, se ci pensate un momento - e stasera è bene pensarci - è soltanto un simbolo. Quello che dovrebbe riempire di stupore il nostro Natale sono le persone, che condividono la nostra vita; e sarà bello allora, ancora una volta, guardarsi negli occhi. Io penso che tutti voi abbiate qualche persona a cui volete bene e che vi vuol bene: il dono più prezioso, al di là di quello che possiamo regalarci l'un l'altro, il dono più prezioso, quello che ha veramente cambiato e arricchito la nostra vita, sono proprio le persone! Ed ecco, Dio ci fa dono di se stesso!
Ma tutti voi forse avrete fatto anche l'esperienza che spesso le persone sono un po' diverse da come ce l'aspettiamo. In questo tempo di Avvento mi è stato dato di fare più volte questa esperienza, a volte anche abbastanza dura... È capitato, nella nostra parrocchia, che nascessero dei bambini: i più, sani e liberi, ma qualcuno con qualche problema, a volte un problema grosso... Allora si vede la difficoltà di questi genitori, di accettare il figlio... una mamma che lo ha portato in grembo per nove mesi... un papà che lo ha a lungo sognato... e poi, è diverso da come se lo aspettava! Occorre tutto lo stupore, la meraviglia, la forza della vita per accoglierlo e fargli spazio.
Ma non soltanto un bimbo che nasce: anche quando un ragazzo cresce. Mi è capitato di parlare con dei genitori, preoccupati perché il figlio è diverso da come lo vorrebbero; qualche volta giustamente, qualche volta forse non troppo: perché il figlio vuole solo andare per la sua strada.
Ecco, è l'esperienza di Giuseppe: avete ascoltato la sua storia. Guardatelo un momento negli occhi: anche lui sogna di avere un figlio, come tutti gli uomini del suo tempo; è innamorato della sua donna, non vede l'ora di sposarla! Ma succede qualche cosa che lui non capisce. E Giuseppe è stretto fra la legge: perché lui è un uomo giusto e deve rimandare la sua donna, anzi deve denunziarla davanti al tribunale: forse è rea addirittura di lapidazione! Ma è innamorato di lei... E cosa fa povero Giuseppe? quello che spesso facciamo anche noi: scappa, se ne va; decide di rimandarla in segreto, che non si sappia niente... che si arrangi! Non ha il coraggio né di difenderla, né di accusarla: tenta di fuggire, non capisce niente. E deve venire l'angelo a dirgli che c'è bisogno di lui: che ha una missione nella vita, un compito da adempiere. C'è bisogno delle mani di Giuseppe, del suo lavoro, della sua capacità di portare i soldi a casa ogni giorno. E non solo di questo: c'è bisogno della sua tenerezza, della sua capacità di accoglienza, della sua capacità di fare spazio ad un figlio che, come ogni figlio che nasce, non è del tutto suo: viene da un'altra dimensione!
Cosa significa per noi accogliere Gesù? Qual è la nostra vocazione? Una ragazza domandava ieri sera: "Don Checco, chi mi dice qual è il mio compito? Che posso fare io, perché Gesù nasca nel mondo di oggi? Dove trovo i miei angeli? Chi mi dice qual è la mia vocazione? Perché Giuseppe aveva un angelo ed io non l'ho?". È la domanda di ciascuno di noi. Non abbiamo angeli, ma abbiamo tante persone intorno a noi - io almeno ne ho incontrate tante - che possono farci vedere qual è il nostro compito; che possono aiutarci a far luce, che possono farci capaci di vivere la nostra missione, di accogliere chi ci sta accanto, di far crescere la vita.
Perché Gesù nasce quando la vita cresce intorno a noi, quando c'è più tenerezza, più amore; quando ciascuno di noi sa vivere fino in fondo la sua vocazione. Anche a noi, come a Giuseppe, il Signore dilati gli spazi del cuore: ci faccia capaci di accogliere Gesù che viene, Gesù che nasce! E allora, sarà Natale anche per noi!
Il Signore ci aiuti!
"...vi annuncio una grande gioia: oggi vi è nato un Salvatore! NATALE - 1998
Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, Luca 2, 1-14
che giace in una mangiatoia".
Anche qualcuno tra voi, entrando in chiesa stasera, vedendo questo grande cartello: "VIENI SUPERGESÙ", avrà detto, come un amico la prima domenica di Avvento: "Mi sa che me manca qualche pezzo; me devo esser perso qualche puntata...". Non vi preoccupate, non vi siete persa nessuna puntata: è la provocazione dei nostri bambini. Vi augurano di tutto cuore di vincere i miliardi del superenalotto, anche se sarà difficile che vinciate tutti. Ma ci chiedono, chiedono a noi adulti, le cose che non sono il frutto di un colpo di fortuna, i valori che fanno grande e bella la vita!
Vedete che cascata di stelle: su ogni stella c'è uno dei loro sogni. Sognano un mondo in cui ci sia pace, amicizia, tenerezza, giustizia, accoglienza! Sono i valori che non dipendono da un colpo di fortuna, ma dalla passione della vita; e ci chiedono - a tutti - di mettercene un pizzico, perché possano credere nella vita, perché per i loro sogni sia Natale!
Permettete anche a me, allora, stasera, di fare una provocazione: ma forse si tratta della provocazione della pagina del Vangelo che abbiamo letto. Venite con me, in quella notte: anche noi, ritroviamoci con i pastori, intorno al fuoco; e arriva l'angelo a dirci: "Vi annuncio una grande gioia: è nato il Salvatore! Dio si è fatto uomo! Arriva la salvezza! Andate a vedere!". Certo, corriamo tutti. Arriviamo là: una capanna, una mangiatoia... ma dove sono Maria e Giuseppe? Eccoli là in un angolo. Cosa fanno? Stanno cambiando il pannolino del bambino...
C'è qualcuno di voi che può dare una mano? Si tratta di cambiare il pannolino a Gesù! Ci guardiamo negli occhi: "Come, cambiare il pannolino?! Siamo venuti a cercare la salvezza, a vedere Dio che nasce per noi!". Sì, fratelli: Dio che nasce per noi ha bisogno che gli cambiate il pannolino... Siete capaci? La maggior parte di voi, sì, lo avete fatto tante volte.
Ecco la provocazione, di cui forse più d'uno di noi, stanotte, ha bisogno. A volte ci aspettiamo un Dio forte, potente: non ci hanno detto tante volte che sappiamo che Gesù è Dio perché fa miracoli? Non ci hanno parlato tante volte di persone straordinarie, che diventano "Santi" proprio perché fanno "miracoli"? Guardate Dio: ha bisogno che gli cambiate il pannolino! Si è sporcato!
E c'è qualcuno di voi, ancora, che quando pensa a Dio, pensa al Giudice duro ed esigente; ancora parte di noi si portano nel cuore sensi di colpa: la sensazione di non essere adeguati, di non essere capaci, di non poter essere cristiani... Il dio che guarda con occhio severo, che scruta anche nel profondo del cuore, duro ed esigente, che carica il nostro cuore di sensi di colpa!
Guardate, accettate la provocazione di quella capanna: il Dio che nasce, l'unico Dio in cui noi crediamo, ha bisogno che gli cambiate il pannolino! Soltanto questo! Si è fatto uno di noi per condividere la nostra vita, per camminare con noi per le strade del mondo. E nasce come nasce un bambino. Se vogliamo accogliere Dio, abbiamo bisogno dello stupore dei bambini! dobbiamo saper apprezzare il fiore che sboccia, il sorriso di un bimbo appena nato! Guardatene tutta la tenerezza e sentitevi amati da Dio! tutti!
Dio ci ama tutti, come siamo! anche se non siamo eroi, anche se non siamo capaci di compiere imprese grandi e belle. Ci ama nelle piccole cose di ogni giorno e quello che ci chiede, non è di cambiare il mondo, di trasformarlo da un momento all'altro; quello che ci chiede è di cambiargli il pannolino! Un sorriso, la capacità di donare ed accogliere un sorriso, di condividere la vita; la tenerezza, lo stupore, la meraviglia; il saper prendere fra le mani un bambino, l'amore per la vita!
Questo è l'unico Dio che conosciamo. Allontanate il bisogno di un Dio grande e potente, che risolva i problemi del nostro mondo! Allontanate l'idea di un Dio che ci giudica con severità e che ci chiede conto di qualunque cosa facciamo! Guardate: vi tende le mani, vi chiede che gli cambiate il pannolino, vi offre un sorriso! È la vita condivisa con noi! Per questo è venuto Gesù: per amarci così come siamo, per camminare con noi! Lo Spirito santo ci dia la meraviglia dei nostri bambini, la capacità di stupirci ancora, la voglia di camminare, la passione per la vita!
Giuseppe prese con sé il bambino e sua madre... Santa Famiglia - 27 dicembre 1998
e si ritirò nelle regioni della Galilea, a Nazareth. Matteo 2, 13-15; 19-23
Vi siete mai chiesti perché nel mondo religioso si privilegiano gli aspetti prodigiosi e miracolistici? A mio avviso dipende in parte dalla nostra pigrizia: in fondo è comodo il prodigio, il miracolo; ci risparmia di pensare, di cercare, di domandarci che cosa certi racconti abbiano a che fare con la nostra vita. E d'altra parte alle autorità in genere, ed anche alle autorità religiose, fa comodo che noi non pensiamo, che ci disponiamo soltanto ad ubbidire e a credere.
Non so se la vostra esperienza corrisponda alla mia: ogni volta che abbiamo cercato, insieme con tante persone - ormai ho parecchie esperienze dietro le spalle - di calare i racconti del Vangelo, le storie straordinarie della vita di Gesù, nel quotidiano, nella nostra esperienza di ogni giorno, ci è sembrato di cogliere i valori essenziali della vita. La famiglia di Nazareth può essere un esempio per questo. Il discorso sarebbe lunghissimo ed io devo fare in fretta, altrimenti in questi giorni vi capita di ascoltare troppe prediche... Qualche spunto, che forse può aiutare qualcuno di voi a riflettere e a pensare.
Maria e Giuseppe ascoltano dall'angelo che quel figlio viene da un'altra dimensione: è figlio di Dio, è opera dello Spirito! Ma non è ogni bambino che nasce figlio di Dio? E l'atteggiamento fondamentale dei genitori, di fronte al bambino che nasce, non è lo stupore e l'accoglienza, la convinzione che il figlio non è "loro", non può essere "posseduto"? non possono farlo a propria immagine, ma occorre rispettare in lui l'immagine di Dio!
E provate a pensare all'esperienza di Maria e Giuseppe: ad un certo punto Giuseppe si accorge che la sua donna è incinta, è radicalmente cambiata. Ma non avete notato anche voi che nel vivere in coppia la difficoltà maggiore è forse proprio quella di rispettare i cambiamenti dell'altra persona? Spesso si vive secondo degli schemi, dei modi di pensare e non si è capaci di accorgersi dei cambiamenti, nel maturare, nel crescere dell'altra persona. Questa incapacità di accoglienza è spesso causa di incomprensione e a volte porta alla rottura. Giuseppe ha avuto bisogno di un angelo... e qualche volta noi non incontriamo un angelo capace di farci capire le persone che cambiano.
Oppure, pensate un momento all'episodio di Gesù che a 12 anni lascia i genitori e va nel Tempio. Quando io ero piccolo, mi parlavano di Gesù che insegnava ai dottori... a 12 anni, è difficile insegnare! Non si può leggere in quell'episodio, la semplice storia di un ragazzo che cresce e comincia a cercare la sua strada? ed è diverso, spesso, da come i genitori se l'aspettano; e fanno fatica a capirlo. Anche Maria ha fatto fatica a capire il suo figlio. Il Vangelo dice che una volta è andata a cercarlo lontano da Nazareth, insieme con i suoi parenti. Pensavano che fosse diventato matto! Non succede qualche volta anche ai genitori, quando i ragazzi crescono, di pensare che stiano diventando matti, che perdono il senso della vita? È successo anche a Maria! e questo forse può consolare l'avventura di qualche genitore.
Gesù ad un certo punto se n'è andato di casa: la casa - il piccolo guscio domestico, la bottega di Nazareth - non gli bastava più! Aveva bisogno di affrontare il mondo! Non sarebbe questo il destino di ogni figlio che cresce? Un figlio non ha come dimensione il mondo? Qualche volta, nella nostra tradizione cattolica, esaltiamo la famiglia, il piccolo guscio domestico, le virtù familiari. E forse ci dimentichiamo che siamo nati per essere cittadini del mondo!
Gesù ad un certo punto se n'è andato di casa; e quando gli hanno detto: "Ci sono fuori tua madre e i tuoi fratelli che ti cercano", ha risposto: "Chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli? Chi fa la volontà di Dio!". Il vasto mondo...
Vedete, quando si cerca di calare il Vangelo nella dimensione della vita di ogni giorno, quante domande, quanti valori si possono forse scoprire! Anche a qualcuno di voi questi spunti possono suggerire qualche riflessione, che aiuti a scoprire l'essenziale della vita in famiglia.
Il Signore ci aiuti!
Signore, grazie per tutte le ricchezze Ringraziamento di fine anno - 31 dicembre 1998
che metti dentro di noi; aiutaci ad Luca 2, 16-21
avere speranza e coraggio.
Maria serbava tutte queste cose,
meditandole nel suo cuore.
Ieri sera accompagnavo un gruppetto di catechisti che avevano fatto una loro riunione, protrattasi - com'è loro solito - a lungo; e mentre andavamo verso il cancello, il solito "botto" di questi giorni ci ha fatto sussultare. Io ho cominciato, allora, le mie recriminazioni, forse da persona che ha qualche anno di più - ma spero che le condividiate anche voi - sulla stupidità degli uomini, che sciupano soldi per sparare botti, magari col rischio di farsi male... E mentre esprimevo queste considerazioni, una ragazza, che ha preparato la celebrazione di stasera, ha detto: "Ma noi dobbiamo parlare di speranza, domani!".
Vedete, forse c'è bisogno dei ragazzi per ricordarci, di fronte alla stupidità di certi atteggiamenti, l'importanza della speranza. Ma, ripensandoci, è tutto il tessuto della vita quotidiana che invita alla speranza; e i ragazzi lo hanno espresso così bene nelle parole preparate per questa celebrazione.
Se ci pensate, le cose essenziali della vita non fanno rumore, in fondo nemmeno la nascita di un bambino fa un "botto": non si sente se non qualche pianto, qualche strillo; eppure nasce una vita! Così non fanno rumore i lavori di ogni giorno: non si sentono le mamme che trafficano in casa, tirando su i figlioli e - come oggi accade spesso - lavorano anche fuori; non si sentono i ragazzi che faticano sui libri; non si sente il lavoro del medico, come il lavoro dello spazzino. Non si sentono tutte le attività di ogni giorno, la fatica di vivere, la ricerca dei valori.
Non si sentono, non fanno rumore nemmeno tutte le piccole azioni quotidiane: tutti i gesti di bene che riempiono anche la nostra vita. Penso che anche voi li conosciate (io sono in un osservatorio un po' privilegiato, perché conosco tanta gente): ci sono anche nella nostra parrocchia tanti gesti di tenerezza, di amore, di attenzione verso gli altri; di servizio semplice, gioioso, nel quotidiano, nella vita di ogni giorno. Sono cose che non fanno rumore, che non compaiono nemmeno alla TV, dove ci sono altri rumori, altri botti, altre notizie, che spesso danno fastidio e ci mettono angoscia nel cuore, che ci fanno pensare alla stupidità degli uomini e del mondo che ci circonda.
È importante, in questa ultima sera dell'anno, che guardiamo anche a tutto quello che arricchisce la vita: a tutta quella capacità di intelligenza, di speranza, di ricerca, di studio, di tenerezza! Che c'è, nella vita di ogni giorno: non fa rumore, non si sente, eppure c'è! Ed è quello che dà speranza, per andare avanti.
Se poi a questa speranza aggiungete (come adesso ci diranno i nostri ragazzi, o meglio ci inviteranno a dire tutti insieme) la nostra fiducia in Dio, in Dio che si fa bambino, che nasce per noi, di cui, come fa Maria, conserviamo la memoria nel cuore; e se, poi, aggiungiamo la fede nel domani, la fiducia nell'uomo, il credere in noi stessi, che siamo qui riuniti, nei nostri desideri di pace, nei sogni che ci portiamo nel cuore... allora, vedete, abbiamo tanti motivi per ringraziare! Ed anche per cominciare l'anno nuovo con un pizzico di speranza.
Ci saranno ancora guai, incontreremo ancora la stupidità... ma per fortuna c'è tanta gente che ogni giorno cerca di mettere nella vita qualche cosa che la rende più bella e più ricca. Siamo dunque qui: per dire il nostro "grazie!" al Signore e per cercare di camminare ancora nella Sua luce, conservando la speranza nel cuore!
Il Signore ci aiuti!
In principio era il Verbo II domenica dopo Natale - 3 gennaio 1999
e il Verbo era presso Dio Giovanni 1, 1-18
e il Verbo era Dio.
È mai capitato a qualcuno di voi di sentirvi fare - da un nipote o forse da un figlio o da un amico - la domanda: "Chi è Dio? Chi è Gesù?" A chi come me ha ormai i capelli che diventano bianchi, forse son venute in mente le rispostine del catechismo, che abbiamo imparato quando eravamo bambini: "Dio è 1'Essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra"; "Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo".
Ma queste risposte vi son morte in bocca: vi siete subito accorti che, se provavate a ripetere quelle formulette, non avrebbero capito nulla. Non che non siano vere, queste risposte; ma appartengono ad un mondo che non è più il nostro, ad un mondo lontano che si sforzava di concentrare in risposte brevi e concise l'intima verità non solo delle cose ma anche delle persone.
Provate, se volete capire, ad immaginare di domandare ad un uomo a cui, da qualche tempo, è morto il papà: "Chi era tuo padre?". Se lui vi risponde: "Mio papà era un uomo, era un medico (che so, un insegnante o un operaio)", certo vi dice la verità, ma voi pensate non voglia parlarvi di lui, che non voglia rispondere alla vostra domanda. Oppure se domandate ad una mamma: "Chi è tuo figlio?" e la mamma vi risponde "È un ragazzo, studia", cosa pensate? che non voglia parlarvi di lui, non voglia dirvi nulla, che avete fatto una domanda indiscreta. E se volesse rispondervi, probabilmente comincerebbe a parlare e forse non la finirebbe più ...
Ci vuole un mese, un anno, forse una vita, per rispondere alla domanda: "Chi è tuo padre? chi è tuo figlio?". E se tentassero di rispondervi, vi racconterebbero delle storie, degli avvenimenti, degli incontri, delle parole; forse vi mostrerebbero una fotografia. E voi, alla fine di un discorso che magari dura per ore, avreste forse qualche idea, qualche intuizione, di chi era quell'uomo, quel padre per suo figlio o quel figlio per sua madre.
E se questo è vero quando si parla del papà che non c'è più o di un figlio che cresce, quanto a maggior ragione questo vale per Dio. Se quindi, quando un nipote o un figliolo o un amico vi chiede: "Chi è Dio?", sentite le parole che vi muoiono in bocca, non vi preoccupate: è la cosa più normale del mondo. Dio è al di là di ogni parola... E noi possiamo tentare soltanto di dare qualche barlume, di raccontare la nostra esperienza.
Forse, però, è bene qualche volta porci queste domande: Chi è per me Dio? Qual è il mio rapporto con Gesù? E forse è bene che ciascuno di noi trovi le sue parole o che le cerchiamo in giro: parole di poeti, o forse parole di bambini! Chi sa se la frase che i nostri bambini hanno scritto quassù non sia più importante, oggi, delle grandi parole che avete ascoltato nel Vangelo di Giovanni: "Il principio era il Verbo - e il Verbo era presso Dio - e il Verbo era Dio". Se io domani ripetessi queste parole ai bambini, penso che mi guarderanno con l'aria perplessa di chi ascolta una lingua a loro del tutto estranea... E se poi tentassi di dir loro Chi è per me Dio, potrei non finirla più o forse sarebbe meglio che tacessi del tutto...
Per cui, la finisco qui; raccomandandovi soltanto due cose, molto semplici. La prima: non preoccupatevi se non sapete rispondere a queste domande. Sono domande più grandi di noi. È bene che conserviamo nel cuore il senso del MISTERO di Dio, che è più grande di ogni parola! È bene ricordare che di Dio non si parla con parole astratte, ma forse narrando la nostra esperienza o meglio con i gesti concreti della nostra vita! La seconda cosa che voglio suggerirvi è: cercate qualche volta di domandarvi: chi è Dio per me? che senso ha Dio nella mia vita? che rapporto ho io con Gesù? la sua parola è per me LUCE (come lo era per chi ha scritto le parole che abbiamo ascoltato stasera)?
Sono domande importanti!
Il Signore ci aiuti!
Al vedere la stella, i Magi provarono EPIFANIA DEL SIGNORE 1999
una grandissima gioia. Entrati nella Matteo 2, 1-12
casa, videro il bambino con Maria
sua madre e prostratisi lo adorarono.
Forse anche a qualcuno di voi sarà capitato, in questi giorni, di assistere alla TV o alla radio a qualche dotta disquisizione - o almeno passava per tale - in cui si cercava di capire chi fossero i Magi o quale fosse la stella apparsa nel cielo quando è nato Gesù: se si trattasse di una cometa o di "supernova" o di una congiunzione di pianeti o di qualche cosa d'altro. Con la considerazione (che sentivo fare uno di questi giorni) che Matteo è una persona seria e non vuole ingannarci; e se parla di una stella, ci deve essere una stella nel cielo ed occorre continuare a cercarla. Matteo è certamente una persona seria e non vuole ingannarci, ma parla d'altro.
Vedete, se voi dite in giro che la nostra chiesa, in questo Natale, si è riempita di stelle, penso che nessuno venga a cercare qui qualche astro del cielo! La stessa cosa succede per Matteo: non parla delle stelle del cielo, parla della sua esperienza di credente, dell'esperienza dei Cristiani che, come lui, sono partiti da lontano, inseguendo un sogno, cercando la luce. E hanno scoperto Gesù, hanno fatto esperienza di Lui: hanno provato la "grandissima gioia" di sentire Dio vicino, nella propria vita!
E vedete, questa esperienza la possiamo rifare in ogni Natale. Quest'anno ci hanno aiutato i nostri bambini che hanno riempito la nostra chiesa di stelle: non sono le stelle del cielo, sono simboli, simboli di luce, simboli dei loro sogni. E ci invitavano a cercare la luce, ad inseguire i loro sogni, a renderli credibili!
Adesso anche noi, come i Magi, ritorniamo al nostro paese: alla vita di tutti i giorni; l'Epifania si porta via tutte le feste e ricomincia la vita normale. Ma come i Magi possiamo conservare nel cuore la "grandissima gioia" dell'incontro, con i sogni dei nostri bambini. Domani faremo sparire tutte queste stelle; ma sarebbe bello che tutti noi le portassimo nel cuore: è l'invito dei nostri ragazzi ad inseguire la luce, a portarci nel cuore dei sogni: sogni di fraternità, di giustizia, di tenerezza, di amore! E soprattutto sarebbe bello se riuscissimo a conservare nel cuore la certezza della presenza di Gesù nella nostra vita e l'invito a cercare ancora la Sua luce.
Certo, dobbiamo seguire l'invito dell'angelo: non possiamo tornare da Erode: non possiamo farci vincere dalla violenza di questo mondo; la incontreremo ancora nel nostro paese; non possiamo piegarci ai sotterfugi e alla falsità. Non possiamo nemmeno ascoltare tutti quelli che, come gli scribi di un tempo, pensano di sapere tutto, ma non si muovono, non cercano più. Non possiamo nemmeno - forse è il pericolo più grande per noi - rimanere intrappolati nella folla, capace solo di agitarsi e brontolare...
Il cristiano è uno che cerca la luce, che insegue dei sogni; che cerca di rendere credibili, nella vita, i valori che si porta dentro. Abbiamo fatto esperienza, anche in questo Natale, di Gesù: della sua vicinanza alla nostra vita, della sua luce. E allora possiamo tornare nelle nostre case, al nostro paese, alla vita di ogni giorno; tentando anche noi di rendere credibili i sogni, le stelle: di rendere possibili i sogni dei nostri bambini, di permettere loro di credere ancora, di sperare ancora, in un mondo che sia più giusto e più bello!
Il Signore ci aiuti!
...non griderà, non spezzerà una canna BATTESIMO DEL SIGNORE - 10 gennaio 1999
incrinata, non spegnerà uno stoppino Isaia 42,1-4. 6-7 - Matteo 3, 13-17
dalla fiamma smorta...
Gesù dalla Galilea andò al Giordano
per farsi battezzare da Giovanni
Nel commentare, venerdì sera, le letture di oggi tutti siamo rimasti colpiti dal contrasto tra la prima lettura - dove si dice che il servo di Dio su cui scenderà il Suo spirito "non griderà... non spezzerà la canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta" - ed il Salmo. Un salmo impressionante, l'avete ascoltato: "Il Signore tuona sulle acque, il Signore tuona con forza, il Dio della gloria scatena il tuono". E ci domandavamo: "Chi ha scelto questo salmo? perché proprio questo?". Forse nelle parole di Isaia vedeva un'immagine troppo parziale e inadeguata di Dio e del Suo Spirito.
Vedete, in questo salmo c'è qualcosa di inconscio, di ancestrale, che forse ci portiamo tutti dentro: l'idea del dio della potenza, della forza. Pensate all'uomo primitivo che va nella savana, dietro ai suoi animali e ad un certo punto vede scatenarsi la tempesta: il vento, il tuono, i fulmini. E quindi, la paura! Ma soprattutto la manifestazione di una forza straordinaria contro la quale, specialmente a quel tempo, gli uomini non potevano far nulla. Oppure pensate all'uomo che assiste all'eruzione di un vulcano. Questi grandiosi fenomeni naturali facevano sentire l'uomo piccolo e lo inducevano a pensare che, all'origine del mondo, ci fosse una potenza straordinaria, una forza eccezionale; e di questa forza, di questa potenza l'uomo ha bisogno: deve poter contare su qualcuno a cui ricorrere nel momento del bisogno. Un dio potente, anzi onnipotente, a cui chiedere aiuto; e che è anche - è il prezzo da pagare - un giudice severo, della cui condanna bisogna aver paura. Quale contrasto con le immagini del profeta Isaia, che esprimono forse la più alta riflessione su Dio a cui arriva il popolo di Israele nella sua storia.
Il Dio che noi conosciamo non si manifesta nella potenza, nella forza; lo Spirito di Dio viene per sostenere la nostra fedeltà, ci chiede il coraggio di testimoniare la giustizia anche quando costa. E quando non ci riusciamo, non spegne lo stoppino dalla fiamma smorta, non spezza la canna incrinata.
È l'immagine che ci consegna il Vangelo: Gesù si manifesta, il Figlio di Dio finalmente si fa conoscere al di fuori della cerchia della sua famiglia, del piccolo paese di Nazareth. Immaginate di essere lì anche voi: c'è della gente che va da Giovanni; va a ricevere un segno, un segno di rinnovamento, di conversione. E in mezzo a questa folla c'è uno che voi non conoscete: viene da Nazareth, se lo guardate ha le mani callose del falegname; un uomo di tutti i giorni, un uomo comune. Non si mette a gridare, non alza la voce, non giudica, non si mette nemmeno dalla parte di colui che battezza. No, lui si mette accanto alla gente: alla gente che ha il cuore pesante, alla gente che è come una canna incrinata, come lo stoppino dalla fiamma smorta; per camminare con loro!
Non è semplice, se ci pensate, accettare un Dio così! Non sarà semplice domani, quando leggerete i giornali e vi domanderete "Perché Dio non fa niente? Perché permette che i bambini muoiano ancora? Perché tanta ingiustizia nel mondo?"... Non è semplice, quando sentirete ancora gli uomini di Chiesa alzare la voce, gridare, giudicare... Non sarà semplice, quando sentirete parlare di miracoli, di prodigi, di apparizioni; non sarà semplice quando vedrete grandi folle applaudire i miti della nostra religione... riconoscere Dio in Gesù di Nazareth! in quell'uomo dalle mani incallite, che si mette in fila con la gente dal cuore pesante; che non alza la voce, che non grida, ma si fa compagno di strada!
Eppure, questa è la grandezza della nostra fede! Noi crediamo che Dio cammina con noi, non per risolvere, come un mago, i nostri problemi, non per giudicarci e condannarci, ma per condividere la nostra vita: per mettere anche dentro di noi il soffio del suo Spirito, il coraggio di cercare la pace, di portare la giustizia intorno a noi, di essere testimoni di luce e di vita.
Il Dio che noi conosciamo non è il dio del tuono, della potenza, della forza; non è il dio del prodigio, del miracolo, che risolve i nostri problemi. È il Dio che viene a metterci la mano sulla spalla; che viene a camminare con noi per vivere con noi l'avventura della vita; che non viene a spezzare la nostra canna anche quando è incrinata, che non spegnerà mai il nostro lucignolo quando fumiga, che metterà sempre la speranza dentro di noi!
Il Signore ci aiuti ad accogliere un Dio così! Non è semplice, per noi...
Giovanni disse: "Ecco l'agnello di Dio! II Domenica del tempo ordinario - 17 gennaio 1999
Io non lo conoscevo, ma ho visto lo Giovanni 1, 29-34
Spirito scendere su di lui...
Il mio compito è quello di aiutare ciascuno di voi a leggere il Vangelo e non è un'impresa facile. Perché, vedete, il Vangelo risente di tutta la distanza che c'è tra noi e chi ha scritto queste parole quasi 2000 anni fa; e certe cose che per loro erano scontate, per noi non lo sono affatto.
Vedete, per esempio, oggi abbiamo letto un brano di una complessità straordinaria; e molti di voi avranno cercato di immaginare Giovanni parlare o la colomba scendere su Gesù, senza rendersi conto che si tratta di immagini simboliche, delle espressioni della fede dei primi credenti: cosa volevano comunicarci? Quali domande dovremmo farci per comprendere il Vangelo? Il discorso sarebbe molto lungo, ed io debbo fare in fretta.
Vorrei attirare la vostra attenzione su una frase: avete ascoltato per due volte Giovanni il Battista che, parlando di Gesù, dice: "Io non lo conoscevo". Forse qualcuno di voi si è chiesto: "Ma Giovanni non è il cugino? non è il figlio di Elisabetta? Come può dire che non lo conosce?!" Molti di noi hanno negli occhi le immagini straordinarie di tanti nostri pittori, in cui si vede Gesù Bambino giocare con il cuginetto. Che significa che non lo conosce? Come può aver detto una cosa del genere?!
Il fatto è, vedete, che qui non parla Giovanni Battista, le cui parole si son perse nel tempo (allora non c'erano microfoni, registratori ecc.). Qui c'è la voce dei primi Cristiani, che mettono queste parole in bocca a Giovanni. E perché lo fanno? cosa c'è dietro la frase "Io non lo conoscevo"? Provo a darvi le mie risposte, ma ciascuno provi a darsi le proprie: così si rende vivo il Vangelo!
Secondo me dietro questa frase c'è lo stupore di un incontro! I primi Cristiani - forse è accaduto anche a qualcuno di voi - hanno scoperto Gesù a un certo punto della propria vita: prima non lo conoscevano e l'incontro con Lui ha riempito la loro vita: esprimono qui la riconoscenza e la meraviglia, anche perché tanta gente, intorno a loro, non ha conosciuto Gesù! Ma se ci pensate è così anche per noi: al mondo ci sono 6 miliardi di persone: quanti di questi hanno avuto la straordinaria fortuna di incontrare il Vangelo e di conoscere veramente Gesù?
E c'è una seconda cosa a cui, secondo me, i primi Cristiani dovevano pensare: si può vivere una vita accanto ad un uomo senza conoscerlo! Parlano di Giovanni che ha passato la sua infanzia e la sua giovinezza accanto a Gesù, ma forse pensano a tanti loro amici... Ma non avete l'impressione che anche oggi tanta gente, che sente fin dall'infanzia parlare di Gesù, che vede in ogni aula di scuola un crocifisso, che incontra su tutte le nostre montagne una Croce, che vede alla TV il Papa, che magari ha fatto il catechismo della prima comunione, non ha VERAMENTE mai conosciuto Gesù? non ha mai fatto un incontro VERO con Lui?
Ma domandiamoci ancora: chi di noi può dire di conoscere pienamente Gesù? Dovremmo tutti renderci conto che Gesù non Lo si conosce mai a sufficienza... Sono ormai più di 40 anni che leggo il Vangelo, anche insieme alla gente; e ogni volta scopro qualche cosa di nuovo. Dovremmo tutti renderci conto che Gesù non è mai un possesso acquisito, non possiamo mai dire: "Siamo arrivati: adesso sappiamo veramente chi è!". Io credo che essere Cristiani significhi proprio questo: continuare a cercare Gesù, il Suo volto, la Sua amicizia! Altrimenti, vedete, il Cristianesimo diventa un'abitudine, un rito, preghiere che si ripetono stancamente, riti vuoti, applausi rivolti al Papa, sconcerto per discorsi e fatti che si ripetono nella vita della Chiesa, sensi di colpa e pesi sulla coscienza... Gesù è venuto a portarci la luce, la libertà, i valori essenziali della vita.
Nelle prossime domeniche ascolteremo: "Beati i poveri di spirito, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, beati gli operatori di pace...". Chi di noi può dire di conoscere veramente Chi ha saputo pronunciare queste parole straordinarie?! Soltanto quando saremo arrivati alla fine e i nostri occhi si apriranno sull'eternità, potremo dire di avere veramente conosciuto Gesù!
Fino ad allora è importante continuare a cercarLo senza stancarci: anche noi, come Giovanni, potremmo dire stasera: "Io non Lo conoscevo!" e poi, anche noi, tenteremo di vedere e testimoniare Gesù e la Sua luce!
Il Signore ci aiuti!
Gesù si ritirò nella Galilea presso III Domenica del tempo ordinario - 24 gennaio1999
il mare e vide due fratelli pescatori: Matteo 4, 12-23
"Seguitemi"; ed essi subito, lasciate
le reti, lo seguirono. Vide altri due
fratelli nella barca con il padre e li
chiamò. Ed essi, lasciata la barca
e il padre, lo seguirono.
Stasera c'è bisogno di un po' di comprensione da parte vostra: tento un'impresa difficile, quasi disperata, cioè quella di rendere vicine alla vostra esperienza le parole che abbiamo ascoltato nel Vangelo.
Penso che tutti sappiate che non abbiamo letto il racconto di un avvenimento, ma i simboli di un'esperienza. Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, guardandosi indietro verso la fine della vita, dicono: "Un giorno Gesù è passato e ci ha chiamati e noi lo abbiamo seguito: Abbiamo ascoltato la sua chiamata, abbiamo seguito la sua vocazione". Ho usato due parole - vocazione, chiamata - che avete ascoltato tante volte, ma che penso sentiate lontane dalla vostra esperienza.
Se io dico "vocazione", la maggior parte di voi pensa subito a qualche cosa di eccezionale: qualcuno che è chiamato a farsi prete; oppure, come ricordava una signora stasera, quella top-model che si è fatta suora di clausura. Ma voi, con tutto questo, che c'entrate? Se la vocazione è questo, tutti voi potete dire: "Noi non abbiamo avuto mai vocazioni". Oppure, qualcuno pensa che avere la vocazione significa che ad un certo punto della vita c'è stata una svolta, un cambiamento radicale, il vedere una luce che ha cambiato l'esistenza: solo qualcuno di voi può raccontare un'esperienza simile; la maggior parte di noi non ha avuto svolte, non ha avuto momenti di illuminazione: non c'è stato un tempo in cui viveva nelle tenebre e poi, ad un certo punto, ha visto la luce che gli ha cambiato la vita. Niente di tutto questo.
Non solo, ma forse c'è qualcuno fra voi che pensa che le parole "chiamata, vocazione" riguardino gli avvenimenti della vita. Molti di voi, quando dicono il Padre nostro e ripetono le parole "sia fatta la tua volontà", pensano che questo riguardi i fatti della vita, la pazienza che ci vuole per sopportare qualche guaio, qualche tegola che ci cade sulla testa.
Di più: c'è qualcuno che ritiene che rispondere alla chiamata di Dio sia qualcosa che limita la libertà dell'uomo, la pienezza della vita. Ci sono purtroppo molti, anche tra i giovani, che pensano così: e questo - è chiaro - impedisce di essere cristiani!
Se tutto questo è vero, vedete come la mia impresa sia disperata: come posso calare quello che abbiamo letto stasera nella vita di tutti noi, nell'esperienza quotidiana, nella nostra avventura di credenti? Io proverei a dirvi qualcosa, ma non so se son cose giuste; voi metteteci tutto l'impegno, poi, per ritrovare il senso della parole del Vangelo nella vostra vita di tutti i giorni.
Vedete: che cosa determina la nostra vita? molto spesso le circostanze. Noi siamo nati in quella famiglia, in quell'anno; siamo andati a scuola là; avevamo dentro delle inclinazioni. Abbiamo incontrato quelle persone; per fortuna abbiamo trovato quel lavoro; poi abbiamo conosciuto quella persona; la maggior parte di voi si sono sposati, ha messo al mondo dei figli... Sono gli avvenimenti della vita! Da cosa dipendono? Caso, fortuna, inclinazioni, scelte... E credo sia bene tener fuori Dio da tutto questo, altrimenti non si capisce più nulla.
Ora possiamo fare un passo avanti: io penso che, se siete qui, nella vita avete cercato di metterci dei valori, non solo di lasciarvi vivere ma di cercare le cose giuste. Ognuno di voi ha il proprio lavoro - chi è casalinga, chi lavora fuori, chi in ufficio, chi insegna, chi pulisce le strade, chi fa l'operaio; ecc... Penso che tutti voi siate convinti che dentro questo lavoro bisogna mettere dei valori: non si può vivere tirando a campare, soltanto per prendere lo stipendio alla fin del mese! Se vogliamo essere uomini, dobbiamo metterci dentro quello che ci sembra giusto.
Qualcuno dirà: "Ma questo lo fa anche chi cristiano non è!" E per fortuna! C'è tanta gente al mondo che vive secondo dei valori, che crede in qualcosa di bello. Ci sono tante persone - io lo dico per me, ma forse qualcuno di voi può dirlo anche per sé - che non credono in niente, eppure sono migliori di me. Io ne ho incontrate tante, nella vita: persone che dicevano di non poter credere in Dio, in Gesù Cristo... e che erano migliori di me: più ricche di valori, più ricche di interiorità e più capaci di produrre frutti di opere buone.
Ma allora, che cosa significa essere credenti? Vedete, questo per me significa poter dire come Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, che ho avuto la fortuna di incontrare Gesù! In Lui ho scoperto dei valori; Lui mi ha tenuto gli occhi aperti, ha illuminato il mio cuore. E quando leggo il Vangelo, è Lui che arricchisce la mia vita, mi aiuta a scoprirne i valori essenziali; è Lui che in qualche modo mi chiede di vivere la vita con tenerezza, con impegno, con dedizione, con altruismo! E non solo mi chiama, ma anche mi cammina davanti; e quando mi sento stanco mi mette una mano sulla spalla!
Ecco la mia fortuna di credente: posso dire: "Io ho conosciuto Gesù"; senza che ci sia mai stato, nella mia vita, un momento di svolta, di cambiamento radicale: è stato così fin dalla mia infanzia, perché così mi hanno educato mio papà e mia mamma. Loro mi hanno insegnato a conoscere Gesù; loro mi hanno trasmesso alcuni dei suoi valori. E questi valori mi hanno accompagnato per tutta la vita! E io mi son sentito chiamato non perché ad un certo punto son diventato prete (queste sono state le circostanze della mia vita): io mi son sentito chiamato perché Gesù mi invitava a mettere nella vita di ogni giorno (e questo non succede soltanto per me, che son qui a predicare, ma succede anche per tutti voi) valori di pace, di tenerezza, di giustizia! Noi li abbiamo incontrati in Gesù; qualcuno li ha incontrati in Budda; qualcuno li ha incontrati in un qualche personaggio che ha ha avuto influenza nella sua vita. Che importa? Se io sono credente, posso dire: "Sì, Gesù mi ha chiamato; anzi mi chiama ogni giorno: mi tiene aperti gli occhi, cammina con me, mi invita a seguirLo, perché la mia vita sia ricca". E non c'è niente che l'abbia limitata, la mia vita, nel seguire il Signore! Anzi l'ha fatta più ricca.
L'ha fatta più ricca tutte le volte che sono stato capace di seguirLo. A volte non ci sono riuscito: per pigrizia, per vigliaccheria, per cattiveria... Ma tutte le volte che ho saputo rispondere a questo invito di Gesù la vita è stata più bella: per me e per chi mi stava intorno.
Chissà se questo vi aiuta a capire un po' il Vangelo di oggi, il senso del nostro essere credenti. Provate a ragionare su queste cose, fatevi da voi la predica e ditevi quello che io non son riuscito a dirvi.
Il Signore ci aiuti!
Beati i poveri in spirito... IV Domenica del tempo ordinario - 31 gennaio 1999
Beati i misericordiosi... Matteo 5, 1-12
Beati gli operatori di pace...
La pagina del Vangelo che abbiamo ascoltato stasera è certamente una delle più note, non soltanto tra i credenti, ma nel mondo intero. Una pagina a cui siamo tutti abituati; una pagina su cui, penso, voi abbiate ascoltate tante parole; nella mia vita ne ho ascoltate tantissime e ne ho dette tantissime, per tentare di interpretare, di capire questa pagina del Vangelo. E quindi mi è difficile adesso riassumere, in breve tempo, tutto quello che c'è in questa pagina; e forse quello che dirò non vi convincerà molto! Non è molto importante; spero di darvi qualche suggerimento che vi aiuti a cercare, a tentare di entrare dentro questa pagina, coperta di tanta polvere...
Vorrei cominciare con una provocazione. Noi abbiamo ascoltato stasera, sia nel Vangelo sia anche nel salmo, delle parole molto belle: ma fino a che punto sono vere? Se io dico ad un povero (tra voi forse ce ne sono pochi), se dico a voi quando piangete, quando avete una tribolazione o una sofferenza: "Beato te!", non avreste il diritto di darmi un ceffone? Il salmo dice: "Il Signore rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati, solleva l'orfano e la vedova"; ma se guardiamo la storia, questo è semplicemente falso. Non è vero, non è mai stato vero che il Signore abbia sollevato il povero e abbia umiliato il ricco; non è questa la realtà della storia, di quello che vediamo ogni giorno.
E se questo - come dice qualcuno - non è vero per il tempo ma è vero per l'eternità, non è questa l'offesa peggiore che si possa fare ad un povero, o l'illusione per i tribolati di questo mondo? Non è questo che gli hanno detto troppe volte: "Soffri, porta pazienza, adesso! subisci, umiliati! perché poi avrai la tua ricompensa, perché poi ci sarà il contrappasso"? Non è questa l'onta peggiore della religione, usata contro la povera gente perché abbassi il capo e subisca ogni umiliazione?
Ma, se tutto questo è vero, che senso può avere questa pagina? Qualcuno dice: "Questa pagina è la Legge, per il Cristiano: non valgono più gli antichi comandamenti ma c'è oggi una legge nuova: la legge delle beatitudini". Ma questo non significa mettere sul cuore della gente un peso ancora più grande? Non mi fa sentire - non ci fa sentire tutti - inadeguati di fronte al messaggio di Gesù? "Lui ci vuole così"; chi è capace di essere così?! e diventiamo ancora più poveri: poveri dentro, perché ci sentiamo in peccato! e magari andiamo cercando qualcuno che ci assolva...
Oppure in questa pagina qualcuno ha visto, francescanamente, l'esaltazione della povertà; ma aiuta il mondo esaltare il povero e alzare il dito contro il ricco? Aiuta questo mondo ad essere migliore?
Ma se non c'è tutto questo, in questa pagina, cosa c'è? La possiamo buttar via? Eppure in questa pagina gli uomini giusti di ogni tempo hanno trovato qualche cosa di importante per la lorovita, per il loro cuore. Il discorso a questo punto - penso che tutti lo intravediate - sarebbe lunghissimo. Io tento di dirvi alcuni spunti di riflessione. E vorrei partire da qui: sbagliamo quando pensiamo che questa pagina parli prima di tutto di noi, della nostra vita. Questa pagina è il tentativo di Gesù di parlarci di Dio: di Lui si parla, del Suo cuore! E allora permettetemi di fare un passo indietro.
Al tempo di Gesù tutti credevano - e molti di noi si portano dentro questa immagine anche oggi - che Dio sia il Grande Padre della storia degli uomini: è Lui che dispone uomini e cose, da Lui dipendono il benessere e la tribolazione, è Lui che premia il giusto e castiga il malvagio. Non abbiamo anche noi creduto benedetto da Dio colui che è sano, benestante, colui al quale le cose vanno bene? Non è capitato anche a voi - come ho fatto io, qualche volta - di dire: "Perché mi capita questo? che cosa ho fatto di male!?".
Non abbiamo sentito tante volte anche noi - come tutti al tempo di Gesù - interpretare un terremoto, una catastrofe, una malattia come il castigo di Dio? Mi capitava un giorno di sentir dire (l'ho ascoltato con le mie orecchie in una pubblica Chiesa), da un sacerdote, che pensava di aver fatto tanto del bene nella sua vita, imponendo le mani: "Io ne ho guariti tanti, con l'aiuto di Dio, da molte malattie, anche dai tumori. Ma dall'AIDS no! perché Dio non guarisce quelli cattivi!"... Ecco la conseguenza del pensare a Dio come a Colui che premia il buono e castiga il cattivo; del vedere quindi, nel male e nella disgrazia, la punizione di Dio!
Qui Gesù dice: "Avete sbagliato: Dio non è così! Non si può interpretare così la storia degli uomini".
Vedete: Dio ha affidato il mondo alle forze della vita; e poi alla libertà dell'uomo. E le forze della vita producono a volte sofferenza, dolore e morte: per andare avanti, il mondo ha bisogno della competizione, della lotta, in cui il piccolo soccombe, in cui il malato è destinato a scomparire. I due leoni lottano perché soltanto il più forte può trasmettere i suoi geni, i due caproni lottano perché soltanto il più forte può migliorare la specie. Il debole deve scomparire: non può contribuire al progresso della vita. E quando poi nella storia del mondo compare l'uomo, ancora la violenza e quindi la guerra, la sopraffazione,
"Dov'è Dio, in tutto questo?"- ce lo siamo domandato tante volte - "E perché non interviene? perché non punisce il malvagio? perché non castiga il violento?" Ed ecco la risposta che ci siamo sentiti dire tante volte: "Dio lo punirà; ma dopo, nell'altra vita; c'è l'Inferno, per lui! Intanto il povero sopporti e triboli". Gesù ci parla di un Dio che prende a cuore la nostra vita, ma la prende a cuore nell'unico modo che a Lui è possibile: si decide per noi, si fa uno di noi e si schiera, si mette accanto a colui che tribola: lì Lo trovate! E se leggete attentamente il Vangelo di Matteo, vedrete che i discorsi di Gesù cominciano con queste parole e finiscono (ma è alla fine! non lo dimenticate, non cominciate da là: per Matteo occorre cercare prima Dio e il suo volto, altrimenti la religione diventa solo morale e rischia di essere un peso): "Avevo fame e mi hai dato da mangiare". -"Quando, Signore?" -"Ogni volta che hai fatto questo al più piccolo, l'hai fatto a me".
Se vuoi cercare Dio Lo trovi là; ma si comincia dicendo che Dio si mette là, accanto al povero: quasi a difenderlo da chi dice: "Tu sei un castigato da Dio". E se leggete il Vangelo, vedrete quante volte Gesù ripete questo: quando cade la torre, gli dicono: "Chi ha peccato, lui o i suoi genitori?" -"Né lui né i suoi genitori". Quando gli portano il cieco, gli domandano: "Chi ha peccato?" "Né lui né i suoi genitori". E Lui stende la mano, per guarire. Ecco il Dio che si schiera, che si mette accanto all'uomo e all'uomo che soffre, che si fa compagno di strada! E tutto un mondo religioso viene rovesciato!
Ma in questa pagina Matteo cerca di dirci anche un'altra cosa: tenta di farci vedere qual è il cuore di Dio; e ci dice: "Dio è mite, misericordioso, affamato e assetato di giustizia, pacifico!".
Dio è così! E se noi siamo l'immagine di Dio, chi ha un cuore così è la Sua vera immagine! Guardatevi intorno: dove trovate un uomo che ha un cuore pacifico, dove trovate un uomo capace di mitezza, di misericordia, di tenerezza... là c'è un riflesso del cuore di Dio. Misericordia: com'è difficile per noi questa parola! sembra carica del senso di superiorità del forte sul debole! Don Milani che cercava di esprimere per la sua scuola il senso vero di questa parola, ha scritto sulle pareti: "I CARE", mi sta a cuore, mi preme. Ecco: a Dio preme la nostra vita, preme la nostra storia; e quindi viene a condividerla con un cuore appassionato, con un cuore tenero, con un cuore che non ama la violenza! Avete ascoltato il profeta Sofonia che parla del "giorno dell'ira del Signore!". Gesù ci parla di un Dio diverso: di un Dio che ama la festa, di un Dio che ci chiama alla festa, di un Dio che ama la tenerezza, di un Dio che cammina con noi, di un Dio che non ci fa violenza!
Di Dio si parla qui: si tenta di farci intravedere il Suo cuore! Si tratta di vedere chi è Dio: non come noi Lo immaginiamo, non come noi Lo vorremmo - il mago che risolve i nostri problemi, che colma le impotenze della nostra storia - ma il Dio che condivide con noi la passione per la vita, la voglia di tenerezza, il desiderio di pace, il coraggio di costruire la vita e il benessere, la voglia di tendere la mano e di prendere a cuore chi tribola tra noi!
"Voi siete il sale della terra... V Domenica del tempo ordinario - 7 febbraio 1999
Voi siete la luce del mondo..." Matteo 5, 13-16
Due riflessioni vorrei farvi, su questa pagina di Vangelo; riflessioni che per me sono importanti. Forse potrebbero esserlo anche per qualcuno di voi.
Gesù dice ai suoi discepoli (e quindi anche a noi): "Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo". Noi siamo stati educati a vedere ovunque un imperativo morale e leggiamo: "Voi dovete essere la luce del mondo, il sale della terra".
Ora vedete, se io guardo indietro la mia vita e comincio a chiedermi: "Per chi io sono stato luce? il mio sale non ha forse perso il sapore? forse potevo far meglio?", viene subito l'ansia, rischio di sentirmi in colpa, di provare paura.
Se invece provo a chiedermi: "Chi è stato SALE per me? chi è stato LUCE? chi ha dato gusto alla mia vita?", il discorso diventa molto più tranquillo, senza alcuna ansia.
Io comincio a riandare alla mia infanzia: al papà, alla mamma, alla tenerezza con cui mi hanno accolto; ai fratelli, agli amici con cui giocavo: sono loro che mi hanno dato il gusto della vita! E nella mia vita, ormai lunga, quanta tenerezza mi ha circondato! quante persone che mi hanno voluto bene, quanta amicizia, quante persone che mi hanno dato il gusto di vivere! Io sono stato molto fortunato!
Ma penso che anche voi, se vi guardate indietro, potete stasera, con un senso di gratitudine profonda, pensare a chi è stato luce per voi. Forse non avete avuto, come me, dei grandi "fari" nella vita; ma a cominciare dal papà, dalla mamma, che a me hanno dato il senso dell'onestà, della dignità, della libertà! Io ho incontrato tante persone che mi hanno aiutato a vedere, che hanno illuminato i miei passi: a volte persone semplici, a volte persone di tutti i giorni, a volte dei ragazzi, a volte dei bambini! A volte anche delle persone che con un po' di ruvidità mi hanno fatto notare che stavo sbagliando in certi atteggiamenti... Lì per lì, come il sale messo su una ferita, ti brucia! Ora li ricordo con riconoscenza; perché mi hanno aiutato a capire cos'è importante nella vita.
Vedete come il discorso si fa ricco di ringraziamento, di riconoscenza; se volete, ricco di nostalgia: si ripercorre la vita andando a ricordare, con gratitudine, tutti quelli che nel corso degli anni hanno dato gusto e sapore, bellezza e luce alla mia esperienza di uomo. E allora posso anche domandarmi, con cuore tranquillo: "Ma se gli altri lo sono stati per me, forse anch'io per qualcuno sono stato sale e luce; forse, come gli amici sono stati per me persone che hanno dato gusto alla vita, io lo sono stato per loro". E posso anche concludere, se volete; ma vedete che se n'è andata ogni ansia, ogni preoccupazione, ogni timore. Forse potevo fare un po' meglio; forse potrò fare un po' meglio; forse potrò ancor più arricchire la vita di chi mi sta intorno!
Ma c'è un'altra riflessione che secondo me potrebbe essere preziosa per voi. Quando io dico ad un cattolico: "Tu devi essere luce", spesso - anche perché questa è l'educazione che ci portiamo dietro da anni - pensiamo di avere la Verità, di possederla in base ai nostri principi. E pensiamo di dovere educare e cambiare e convertire gli altri che vivono nelle tenebre! E questo non ci fa capaci di essere attenti alla luce che c'è anche negli altri, non ci aiuta a cercare la Verità. Chi pensa di possedere la Verità, rischia di non cercarla più, di non rispettare la luce del prossimo.
Guardate gli ultimi avvenimenti, le ultime discussioni in questo nostro paese: si parla di vita, si parla di famiglia, si parla di fecondazione. E i cattolici, in base a principi astratti, pensano di avere la Verità! Sembra che sappiano sempre tutto, che abbiano una risposta chiara per ogni problema, una risposta che viene da Dio!
Quando io mi trovo con dieci cattolici a parlare di fecondazione omologa o eterologa, ne trovo tre schierati da una parte, tre schierati da un'altra; due che hanno qualche dubbio, che non sanno che pesci pigliare; un altro mi dice che sarebbe bene approfondire il problema... Perché quelli che parlano in nome dei cattolici sanno sempre tutto? da che dipende? non sarà che la nostra educazione porta alla ruffianeria? Che alcuni pensano di dover sempre dire, vendendosi la coscienza, quello che hanno detto il Papa o qualche Vescovo? Io penso che si possa restare nella Chiesa solo se ci si può stare a testa alta, se si è liberi di pensare seguendo la propria coscienza.
Ma un cristiano non ha il diritto di pensare con la propria testa? di cercare la luce negli altri? di affrontare i problemi ragionando, pensando, discutendo, considerando che gli altri potrebbero aver ragione? Perché certi cattolici non si chiedono mai: "E se avessero ragione gli altri?! Se certi nostri principi fossero fasulli?!".
Ecco, vedete: quando io penso di essere luce, rischio di perdere il senso della ricerca, la passione per la Verità; il senso che gli altri possano avere luce; rischio di non credere più che in tutto il mondo c'è lo Spirito di Dio, che, per fortuna, suscita gente che pensa, che cerca, che ama! e a volte più di noi, più di me... Io ho avuto la fortuna di incontrare, nella mia vita, a cominciare da mio papà e da mia mamma, delle persone che mi hanno aiutato a rispettare il mio prossimo; a domandarmi "E se avessero ragione gli altri?! Se anche loro portassero un pizzico di Verità dentro di sé?!". E come sarebbe bello se tutti quelli che si richiamano al nome di Cristo si portassero nel cuore il desiderio della luce! Non la certezza di possederla, ma il desiderio di cercarla insieme, la voglia di ragionare sui problemi, il rispetto degli altri, anche di chi la pensa diversamente!
È in gioco la nostra fede: il credere che Dio è Padre di tutti, che lo Spirito è donato a tutti, che non è monopolio di nessuno! Che la Verità non è monopolio di nessuno!
Che non c'è né papa, né vescovo, né parroco, né prete, che possa sempre sapere quello che è giusto!
La Verità, la Giustizia, la dobbiamo cercare tutti, insieme, con passione! Non è semplice...
Il Signore ci aiuti!
Storielle di poveri cristiani VI Domenica del tempo ordinario - 14 febbraio 1999
sprovveduti, smarriti fra i Matteo 5, 17-37
saloni vaticani e le sottigliezze
degli alti prelati...
Uno dei segni che il tempo passa (forse qualcuno di voi se n'è accorto) è che la mente si obnubila. A me è successo, in questa settimana, di credere che ci fosse ancora tempo per la Quaresima, che non fosse già arrivato il Carnevale; e allora cercavo di preparare qualche cosa da dire su questa pagina del Vangelo che, come avete ascoltato, è di straordinaria complessità. Poi qualcuno mi ha fatto notare che non c'era un'altra domenica di carnevale: questa era l'ultima.
Allora la vita mi si è semplificata. Mi son detto: "Oggi, invece di cercare di spiegare questa pagina - che affido alla vostra ricerca, perché è una parte importantissima del Vangelo - siccome è carnevale: raccontiamo qualche barzelletta". Quindi, di barzellette si tratta: disponetevi al sorriso; non sono cose serie! Gli antichi dicevano "A carnevale ogni scherzo vale": e qui di scherzi di carnevale si tratta, da non prendere sul serio (adesso capirete perché).
Allora, la prima barzelletta: un povero cristiano sprovveduto - di quelli di tutti i giorni, non abituati a frequentare i sacri palazzi del Vaticano - sente il desiderio di confrontarsi con qualcuno dei capi, di quelli che "sanno tutto". Non lo mandiamo dal Papa perché pare brutto; lo mandiamo dal Cardinal Ratzinger. Sapete chi è? è colui che sorveglia la fedeltà alla fede della Chiesa in ogni angolo della terra. E allora questo povero cristiano sprovveduto entra nel palazzo - è quello dell'ex S.Uffizio, accanto a S.Pietro (forse qualcuno di voi l'ha visto: un palazzo che potrebbe raccontare antiche e complicate storie; c'erano anche le prigioni negli scantinati).
Entra con un po' di timore, attraversa i saloni carichi di storia e si trova davanti al Cardinal Ratzinger, con un po' di titubanza: ha qualche problema da chiarire, anche sulla riforma della Chiesa. E comincia: "Eminenza, non Le sembra che ormai il mondo moderno esiga che anche le donne possano diventare Sacerdoti?" - "No! Non si può, risponde secco il Cardinale, Lei conosce il Vangelo: Gesù non ha ordinato nessuna donna; quindi non sarà possibile, né ora né mai, che le donne possano diventare Sacerdoti". E allora il cristiano, un po' spaventato dalla reazione del Cardinale, timidamente riprende: "Ma forse allora, Eminenza (così ci si rivolge ai Cardinali, non lo dimenticate!), forse allora, Eminenza, potremo fare in modo che siano ordinati sacerdoti degli uomini sposati?" -"No! non si può". -"Ma Gesù non ha ordinato tutti uomini sposati? Pietro, Andrea, Giacomo Matteo, non avevano tutti la moglie ed anche dei figli?". Il Cardinal Ratzinger è stanco, gli pesa il controllo della fede in ogni angolo della terra, si ferma un momento a guardare il povero cristiano sprovveduto; e rischia di non misurare le parole: "Son 2000 anni che non ce ne importa niente di quello che ha detto e fatto Gesù Cristo: vuoi che ce ne cominciamo a preoccupare proprio adesso?!..." È questa la prima barzelletta; voi direte "Che c'entra con il Vangelo di oggi?".
Ascoltate la seconda: una povera cristiana, anche questa un po' sprovveduta (ma questa, purtroppo non è una barzelletta: è un fatto vero), ha un problema grande nella sua vita: era stata parecchi anni fa sposata; ma poi il marito se n'è andato con un'altra donna: praticamente l'ha ripudiata. E lei cosa doveva fare? dopo un po' ha trovato un'altra persona e con essa s'è anche sposata in Comune (perché certo in Chiesa non ci si può più sposare, una volta divorziati). E adesso è andata a consultare vari sacerdoti, ma tutti le dicono che non può più fare la Comunione!
La poverina non sa come fare; non si rassegna. Allora chiede consiglio e qualcuno la indirizza ad un vecchio e saggio sacerdote, di quelli buoni, che hanno il cuore tenero! E va da lui, questa signora, e gli dice: "Come devo fare? Tutti mi dicono che non posso più fare la Comunione. Non c'è proprio alcuna speranza, per me?" - "Eh no! purtroppo no. Hai divorziato, sei stata ripudiata da tuo marito. Capisco che non ne hai colpa; però è chiara la parola del Vangelo: Chi sposa una ripudiata, commette adulterio. Non c'è niente da fare! Eppure, soggiunge, forse una soluzione ci sarebbe: rivolgersi alla Sacra Rota (non ridete, voi laggiù. Fate le persone serie!) sì, rivolgersi alla Sacra Rota. Ma, sa, la faccenda è un po' complessa: bisogna provvedersi di un buon avvocato e ci vogliono un paio di testimoni che giurino". -"Che debbono giurare, i due testimoni?" -"Debbono giurare che, quando ti sei sposata, non avevi l'intenzione di sposarti con tutti i crismi". -"Ma questo è falso!" -"È falso, capisco; però trova due persone disposte a giurare". "Ma nel Vangelo non c'è scritto che non bisogna giurare? Perché vogliono che si giuri? E poi, addirittura, perché Lei mi consiglia di spergiurare?! di trovare qualcuno che giuri il falso! Non Le sembra una cosa sbagliata, giurare il falso?" - "Ma insomma, vuoi ottenerlo questo annullamento di matrimonio? vuoi tornare a fare fare la Comunione sì o no? Se vuoi fare la Comunione, trova due persone che giurino il falso! E non ci pensare troppo".
Qualcuno diceva, qualche tempo fa, che se i preti e soprattutto i cardinali e i papi si sposassero, il divorzio sarebbe un sacramento; ma siccome loro non si sposano, è assolutamente proibito... Qualcuno, un po' maligno, ieri sera suggeriva che molti cardinali e papi hanno avuto mogli e figli ma non si sono sposati, e così hanno risolto ogni problema... E adesso - anche voi sarete d’accordo - è ora di finirla; se no, ce ne cacciano, vero?
Sono scherzi di carnevale, vi avevo avvertito. Però, talvolta c'è un po' di saggezza anche negli scherzi di carnevale. Vedete dove si arriva, quando il Vangelo si riduce a regoletta? quando se ne piglia un pezzo - magari quello che ci fa comodo - o se ne fa una legge severa soltanto perché riguarda qualcun altro?... Non lo dimenticate: se i preti i vescovi i cardinali e i papi si sposassero, il divorzio sarebbe un Sacramento! Ma non si sposano... E quindi capita a qualche povero cristiano di non poter fare la Comunione! Scherzi di carnevale... quando tutto vale!
Allora Gesù fu condotto dallo Spirito I Domenica di QUARESIMA - 21 febbraio 1999
nel deserto per essere tentato dal diavolo. Genesi 2,7-9; 3,1-7 - Matteo 4,1-11
Succede un po' in tutte le religioni del mondo - ma forse succede in tutti i gruppi di uomini, in tutte le associazioni, anche le più laiche, le più giocose - che le intuizioni profonde che hanno dato origine ad una religione, ad un gruppo, ad una associazione, si trasformino lentamente in regole, si cristallizzino in riti, che rischiano di far perdere il senso dell'intuizione originale.
Perché dico questo? Riflettete un momento (qui siamo in molti ad avere i capelli bianchi): a che cosa era - ed in parte è - affidata per molti la Quaresima? A dei riti: pensate alle Ceneri, alla Via Crucis, ai digiuni... Se domandavamo, un tempo, che senso avesse la Quaresima ci ripetevano: "dopo il carnevale, c'è un tempo di digiuno, un tempo di penitenza, di rinunce". Ma è questo il significato vero? Poi, quando si voleva cambiare, ci hanno detto che la Quaresima è il tempo in cui si rivive il proprio Battesimo: ma per voi, per noi, che cos'è il Battesimo? Un rito che abbiamo fatto tutti quando eravamo piccini; un rito fatto, in genere, perché così si deve fare. Se chiedete ai genitori che chiedono il Battesimo per il proprio figlio perché lo fanno, potete sentirvi rispondere che altrimenti il bambino non è normale oppure corre il rischio, che so?, di andare al Limbo, di avere qualche malattia. Se sono persone che conoscono il catechismo magari vi rispondono che serve a togliere il Peccato Originale...
Ed ecco un altro problema per noi: cosa ci dicono le antiche letture che abbiamo ascoltato stamane? Pensate alla prima: l'albero, la mela, il serpente... Forse le domande che quando eravate bimbi vi portavate nel cuore: "Che c'entriamo noi con Adamo ed Eva? se quelli hanno mangiato la mela, perché ci dobbiamo andare di mezzo noi?!".
Ed è la stessa cosa, in fondo, nel Vangelo: anche lì tutto appare una cosa quasi magica: il diavolo che trasporta Gesù da una parte all'altra, che gli offre "la mela"... Eppure in questi racconti così lontani da noi, ci sono i tentativi dell'uomo di domandarsi che cos'è il Male. Eva non mangia una mela ma vuole "conoscere" il bene e il male: non per sapere cos'è il bene e cos'è il male, ma per decidere, a partire dal suo comodo, che cos'è bene e che cos'è male. Vuole essere il centro del mondo, vuole decidere cos'è giusto e cos'è ingiusto a partire da sé. E l'altro diventa un mezzo per la propria affermazione, per il proprio piacere, per la propria ricchezza. Si perde - lo vedete, se leggete attentamente - lo stupore dell'uomo verso l'uomo, il senso della gratuità e della convivialità... "Si accorsero di essere nudi". La vita si corrompe, quando l'uomo non ha più gli occhi pieni di meraviglia, ma vuole usare l'altro per il proprio bene. Che significa questo, nella vita di ogni giorno?
E cosa può dire a noi il racconto che i primi Cristiani fanno delle "tentazioni" di Gesù? Noi a volte, quando pensiamo a Gesù (anche qualcuno diceva in questi giorni: "Ma come può essere "tentato" Gesù?!) lo pensiamo lontano dalla nostra esperienza di uomini. Eppure i discepoli, che avevano fatto amicizia con Lui, hanno visto qualche volta in Lui la tentazione, lo smarrimento, la difficoltà di capire la vita. Qualche volta cercano di distoglierlo dal suo cammino: una volta è la mamma che se ne viene da Nazareth e quasi gli corre incontro: "Perché non torni a casa? Chi te lo fa fare!"; una volta è Pietro che gli dice: "Perché vai a Gerusalemme? Fermati qui, con noi". Ecco la tentazione concreta: fino a che punto si può rischiare? fino a che punto bisogna lasciare il comodo guscio delle nostre sicurezze, per affrontare la vita, per donare qualcosa agli altri?
E questo salire sul pinnacolo del Tempio? Che cos'è la religione, che cos'è anche la nostra fede? Non siamo anche noi come quelli che sotto la Croce dicono: "Se sei il Figlio di Dio, scendi e allora crederemo". Siamo tentati di credere soltanto quando c'è il prodigio, quando (come ricordava qualcuno oggi pomeriggio) il sangue di san Gennaro si liquefa, magari per proteggere i traffici, forse non sempre leciti, del Cardinale e della Curia della città. Anche per noi la fede non è a volte esteriorità, rito, fanatismo?... E anche noi, a volte non viviamo per apparire, per mostrarci agli altri? A volte non ci preoccupiamo di come ci vestiamo, di come ci presentiamo, di come parliamo, più che di come siamo, dei valori che abbiamo dentro?
E poi l'ultima tentazione di Gesù: fino a che punto ci riguarda? il potere, il successo, la ricerca del denaro... quanto invece siamo appassionati di verità, di giustizia?
Ecco, vedete, la Quaresima potrebbe essere un momento per ripensare la nostra fede, il nostro rapporto con Dio e con la vita, a cominciare dal primo passo che le letture di oggi ci propongono, se anche noi - come hanno fatto gli antichi scrittori della Genesi e poi i discepoli di Gesù - tentiamo di capire che cos'è il male, per noi, nella nostra vita: che cosa la corrompe, che cosa la sciupa. Perché, esser Cristiani è un combattimento che non finisce mai, contro il Male che c'è anche dentro di noi e intorno a noi; è il tentativo di ricercare le vie della giustizia, perché anche noi possiamo produrne i frutti! Dobbiamo renderci conto che anche noi, come ci dicono i bambini, siamo un po' come quest'albero, a volte quasi secco: senza frutti, senza portare giustizia, senza valori dentro! Dobbiamo riempirlo, quest'albero, di gemme, di fiori, di frutti, perché la vita sia più bella!
È questo il cammino a cui ci invita la Quaresima: perché anche per noi Pasqua sia Pasqua!
Il Signore ci aiuti!
Il Signore disse ad Abràm: "Vattene dal tuo II Domenica di QUARESIMA - 28 febbraio 1999
paese... verso il paese che io ti indicherò". Genesi 12, 1-4 - Matteo 17, 1-9
Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e
Giovanni e li condusse su un alto monte.
E fu trasfigurato davanti a loro...
I discepoli caddero con la faccia a terra,
presi da grande timore. Sollevati gli occhi
non videro più nessuno, se non Gesù solo.
Nel cammino verso la Pasqua, nel tentativo di rivivere i momenti fondamentali del Battesimo, questa era una domenica importante: un invito ai Cristiani a riflettere sulla fede: cosa significa credere? cos'è la fede? Le due letture di oggi ci offrono spunti importanti; io cerco di darvi qualche suggerimento per riflettere; poi, magari, voi continuerete per vostro conto.
La prima lettura parla di Abramo: perché la storia di Abramo è così importante? Perché i credenti delle grandi religioni del mondo occidentale riconoscono in lui il padre della fede? Cosa c'è di fondamentale nelle storie che parlano di lui? Vedete, in tutti i popoli della terra - ma ce lo portiamo dentro anche noi - Dio è colui che sta dietro le spalle, colui a cui, nel momento del bisogno, noi possiamo rivolgerci per invocare protezione ed aiuto. Ce lo ricordava anche il salmo, che fa parte della nostra vita: "L'occhio del Signore veglia su chi lo ama, per salvarlo dalla morte, per proteggerlo in tempo di fame". Questa può essere la preghiera di chi parte per la guerra: perché il Signore mi protegga, mi salvi dalla morte!
L'uomo antico - ed in parte anche l'uomo moderno - ha tanti bisogni: cerca di soddisfarli come può; poi, quando non ce la fa più, si volge indietro, cerca qualcuno a cui appoggiarsi, qualcuno a cui rivolgersi, qualcuno di cui chiedere la protezione, invocare il soccorso. Tant'è vero che, in ogni angolo della terra, voi trovate templi (in tutte le religioni, non soltanto nelle nostre chiese): sui muri del tempio sono appesi cuori, ex-voto, ricordi di grazie ricevute e che invitano i credenti a chiedere ancora altre grazie. La storia di Abramo, come avete ascoltato, è completamente diversa.
Abramo incontra Dio che gli dice: "Alzati e va'. Lascia la tua terra e va'". Abramo va verso il futuro, verso l'avventura, verso la conquista dei valori; va per costruire un mondo più giusto. Quindi, non il dio che tappa i buchi della nostra debolezza, non il dio che viene in soccorso al nostro limite; ma il Dio che sta davanti, che ci provoca alla libertà, che ci invita al cammino! La stessa storia la celebreremo nella notte di Pasqua: dietro le spalle l'Egitto, davanti, il Dio che chiama verso la libertà, il Dio che invita alla vita, il Dio che ama la vita e che vuole che l'uomo la costruisca con passione, con amore! Vedete come cambia l'atteggiamento religioso: Dio non sta più dietro, a cui rivolgerci quando abbiamo bisogno; ma sta davanti e ci invita e ci chiama!
Il Vangelo ci suggerisce un'altra riflessione: quello che avete ascoltato non è il racconto di un fatto accaduto: è la professione di fede dei primi discepoli. Pietro, Giacomo, Giovanni arrivano a credere (e lo esprimono alla loro maniera: con dei simboli) che Gesù è l'erede della storia antica: di Mosè, il rappresentante della Legge, e di Elia il rappresentante dei Profeti; ma di più, che in Gesù si è manifestato Dio: "Questi è il mio Figlio prediletto...". Ecco: così i primi Cristiani professano la loro fede: Gesù non è un uomo qualunque, non è uno dei tanti sapienti della storia: Gesù è Dio venuto in mezzo a noi!
Ma riflettete un momento: come Pietro, Giacomo e Giovanni hanno riconosciuto Dio in mezzo a loro? Seguendo "Gesù solo". Forse non l'avete notato, ma quando Pietro dice: "È bello stare qui!", tutto sparisce: "...e non videro più nessuno, se non Gesù solo". E Gesù raccomanda: "Non parlate a nessuno... finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti". Questa è la loro storia: hanno conosciuto Gesù facendo amicizia con Lui, ascoltando le sue parole, vivendo con Lui i dubbi, le preoccupazioni, le incertezze; i momenti di gioia e di entusiasmo ed anche i momenti di delusione, la difficoltà d'andargli dietro, fino a vederlo morire sulla croce! E pian piano, nella sua vita, nelle sue parole, nei suoi gesti hanno riconosciuto Dio!
Non vi sembra che noi, invece, a volte pensiamo di sapere bene chi è Gesù, perché pensiamo di conoscere Dio? Non è capitato anche a voi di incontrare persone che vedono in Gesù il giudice che condanna o colui che sa tutto, che tutto dispone, colui che è onnipotente e può aiutarci? Ma è veramente questo il Dio del Vangelo? Abbiamo provato anche noi a "risciacquare" la nostra fede nel Vangelo? Avete provato anche voi? A me è costato, tanto tempo fa, molta fatica dire: "Io voglio scoprire Dio attraverso Gesù: solo attraverso le sue parole, la sua vita, i suoi gesti". E quando ho fatto questo cammino, ve lo posso garantire, non ho più avuto paura di Dio, non mi sono più sentito giudicato. Mi sono sentito, come i discepoli, chiamato a seguirLo; come Abramo, chiamato alla vita, alla libertà!
Che lo Spirito di Dio aiuti tutti noi a credere.
Gesù, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. III Domenica di QUARESIMA - 7 marzo 1999
Arrivò una donna di Samaria ad attingere Esodo 17, 3-7 - Giovanni 4, 5-42
acqua. Le disse Gesù: "Dammi da bere".
Come avete ascoltato, oggi si parla di acqua. In tutte le tradizioni religiose e culturali dei popoli, in ogni angolo della terra, l'acqua è uno dei grandi simboli della vita dell'uomo: nei miti dei popoli, c'è spesso una fontana da cui zampilla l'acqua della vita, l'acqua dell'immortalità, l'acqua della conoscenza. Ed anche in tutte le religioni ritroviamo il simbolo dell'acqua.
E, come spesso succede, quando le religioni cominciano a stabilizzarsi, a formalizzarsi, l'acqua diventa soprattutto simbolo della purificazione. Lo trovate - l'avrete visto qualche volta in TV - nel lontano Oriente: gli Indù che si bagnano nel Gange, per purificarsi, per liberarsi dal peccato; lo trovate nella religione musulmana: fuori delle moschee c'è sempre la vasca per fare le abluzioni. Perché, vedete, uno dei meccanismi religiosi è far sentire la gente in colpa: e quindi il bisogno di lavarsi, di purificarsi ...
Le grandi libidini dei sacerdoti di tutte le religioni! Una è quella di avere "la coscia destra": cioè le offerte dei sacrifici che diano loro da vivere (anche da star bene, molto spesso). Ma questo riguarda soprattutto i sacerdoti di bassa lega: quelli "seri" possono anche rinunciare al denaro pur di dominare la coscienza del prossimo. E per controllare la coscienza del prossimo, il modo migliore è suscitare il senso di colpa: più vi sentite in colpa e più avete bisogno di essere lustrati, purificati, più diventa indispensabile la mediazione del ministro sacro, specialmente se al senso di colpa è associato il timore del castigo. Ed ecco che l'acqua, in quasi tutte le religioni, diventa il simbolo della purificazione, della possibilità di lavar via la colpa! Ma qualcuno di voi potrebbe dire: "Anche nella nostra è così". Se domandate a dei Cristiani: "Perché l'acqua nel Battesimo?", la stragrande maggioranza vi risponde: "Per lavar via la macchia del peccato, per pulire l'anima dal peccato originale". Non risponderebbe così anche la maggior parte di voi?
Forse avrete notato che nelle letture di oggi non c'è nessun accenno a quest'aspetto: né l'antica parola dell'Esodo, né il Vangelo parlano di un'acqua che purifica. Ed è proprio a queste letture antiche che noi dobbiamo tornare, per capire il senso dell'acqua, su cui vogliamo riflettere nel nostro cammino verso Pasqua.
Avete ascoltato la prima lettura: là si parla di acqua (ma la vera acqua la ritroveremo nella notte di Pasqua: è l'acqua del mar Rosso, attraverso la quale bisogna passare, lasciando alle spalle l'Egitto - la schiavitù, la negatività - per andare verso la libertà, verso il futuro!).
L'acqua di oggi è l'acqua che permette di non tornare indietro: il popolo si lamenta: "Perché ci hai portato qui, nel deserto, a morire di sete? Meglio l'Egitto!"; ma l'Egitto è la schiavitù! Non si può tornare là; bisogna camminare ancora. Ed ecco che dalla roccia scaturisce l'acqua! l'acqua che permette di cercare ancora, di camminare ancora, di andare ancora verso il futuro, verso la Terra Promessa!
E il Vangelo: Gesù si siede sul pozzo della donna di Samaria e si fa assetato: "Ho sete: dammi da bere". Vuole suscitare in lei la vera sete: sete di un'acqua che zampilla, sete di un'acqua viva! E Gesù può dare quest'acqua! Allora, vedete, l'acqua del Battesimo è il simbolo di Cristo, della sete che abbiamo di Lui: sete dei suoi valori, sete di verità, di gratuità, di giustizia, di tenerezza, di amore! E Gesù non è venuto solo per saziare la nostra sete, ma per metterci nel cuore ancora sete: più ci dissetiamo alla sorgente dei suoi valori e più si ha sete: perché sono valori che non arrivano mai a compiersi totalmente, che non finiscono mai! Il desiderio della vita, il desiderio della luce, il desiderio della libertà, della tenerezza, della gratuità... non può che crescere nell'animo dell'uomo. E Gesù continua a sedersi sul nostro pozzo, per suscitare in noi questa sete e per donarci qualcosa della sua vita.
Ma il Vangelo di oggi accenna anche a dei problemi che i primi Cristiani ritengono vitali, ad alcuni valori essenziali per la vita, che l'incontro con Gesù aiuta a riscoprire: qui il discorso si fa lungo e io posso soltanto darvi alcuni rapidi suggerimenti, pregandovi, se volete, di rileggervi a casa questa pagina del Vangelo. E anche noi, come i Cristiani d'un tempo, potremmo chiederci quali sono i valori essenziali che Gesù vuole suscitare in noi.
Ci sono vari aspetti che in questa pagina sono messi in evidenza: il rapporto con Gesù porta a superare la differenza fra Giudei e Samaritani. Non so se lo avete notato: "Perché parli con me, che sono una donna samaritana?"; e aggiunge il Vangelo: "Giudei e Samaritani non andavano d'accordo". Che cosa potrebbe significare, all'inizio del terzo millennio, per noi che viviamo in un mondo in cui si incontrano e si scontrano popoli di ogni razza e stirpe; e dovremo tentare di convivere in una umanità sempre più unita e solidale? Provate a pensarci: l'incontro con Gesù porta a superare divisioni e contrasti tra popoli diversi: che significa per noi, oggi?
Ma c'è anche da superare la divisione uomo-donna: quando i discepoli tornano al pozzo, si meravigliano che Gesù parli con una donna: non era bene, a quel tempo la società era totalmente maschilista: quali sono le divisioni che ancora attraversano la nostra società?
Ma avete forse notato un'altra divisione: la donna chiede: "Dove bisogna adorare Dio, a Gerusalemme o qui sul monte Garizim?" E Gesù: "Credimi, donna: è giunto il momento in cui conta lo Spirito e la Verità: né qua né là". Cosa significa per noi, oggi, in questo mondo in cui si incontrano uomini di tante religioni, "cercare Dio in Spirito e Verità"? È possibile superare tradizioni e riti così diversi?
E che senso ha per noi questa donna, che ha una storia travagliata e che tuttavia può diventare testimone di Gesù? E non dimenticate: nel Vangelo di Giovanni, chi vede per prima Gesù e dà l'annunzio della resurrezione, è una donna, Maria Maddalena: la donna che ha molto peccato, ma che può essere trasformata in una creatura nuova!
Vedete: così i primi Cristiani parlano di Gesù, acqua che disseta, dei valori che si scoprono nell'incontro con Lui. Quali sono i problemi importanti per noi, oggi? Cosa significa "incontrare Gesù", avere sete di vita, oggi? Quali sono i problemi che attraversano la nostra società? Cosa significa essere credenti? Cosa significa per noi che non c'è né Giudeo né Samaritano né Greco? Cosa significa per noi che non c'è più né uomo né donna? Cosa significa, per noi, che non si deve adorare Dio né qui né là, ma cercarLo "in Spirito e Verità"? Cosa significa per noi, nonostante le debolezze del nostro cuore, essere testimoni di Gesù e della sua vita?
Ecco: domande per il nostro cammino verso Pasqua. Il Signore ci aiuti!
"Quell'uomo che si chiama Gesù ha fatto IV Domenica di QUARESIMA - 14 marzo 1999
del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi Efesini 5, 8-14 - Giovanni 9, 1-41
ha detto: "vai a Siloe e lavati!". Io sono
andato e, dopo essermi lavato, ho
acquistato la vista"...
"Tu credi in quell'uomo?"... "Io credo,
Signore!"; e gli si prostrò innanzi.
Un po' lunga, avrete notato, questa pagina del Vangelo; ma stasera ho voluto leggervela senza... sconti; raccomandando forse, a chi vuole, di rileggerla a casa per cercare di vedere tutti i significati, su cui io non posso soffermarmi, che i primi Cristiani affidano a questa pagina. Penso che tutti voi sappiate bene che quello che abbiamo ascoltato non è il racconto di un fatto accaduto ma è un simbolo, con cui i Cristiani cercano di esprimere il senso della loro fede e anche, se volete, le difficoltà di credere.
Avete ascoltato Paolo: "Un tempo eravate tenebra; ora siete luce nel Signore". Questa esperienza, che i primi Cristiani hanno raccontato tante volte nei Vangeli, che Paolo racconta nell'episodio della via di Damasco, ora che sono passati quasi 50 anni, si esprime ancora nel lungo racconto del cieco che comincia a vedere. Questo cieco è il simbolo del credente: di colui che, incontrato Gesù, scopre di essere cieco: scopre di esser vissuto senza vedere i valori essenziali della vita.
Avete notato: quando lo incontra, Gesù gli mette del fango sugli occhi, quasi a sottolineare (a fargliene prendere coscienza) la sua cecità. Non vede: non ha scoperto ancora le cose essenziali della vita, non conosce la libertà, la gratuità, la bellezza dell'amore; va, si lava e torna che ci vede!
Ma - forse se lo rileggete lo noterete - quest'uomo che ci vede non è arrivato a conoscere il Cristo. Quando gli domandano: "Di dove viene Gesù?", risponde "Non lo so"; e poi, pian piano arriva a dire che Gesù "è un profeta"; poi dice che "viene da Dio"; e alla fine dice: "Io credo". Tutto questo, per esprimere che la fede non è una cosa che c'è o non c'è: è una conquista di ogni giorno; che la nostra ricerca della Luce non finisce mai; che essere credenti non significa non avere mai un dubbio, ma continuare a cercare di scoprire in Gesù la luce: le cose essenziali della vita, i valori di fondo della nostra esistenza. E questa esperienza di ricerca, questo cammino alla ricerca della luce, dura per tutta la nostra vita di uomini che tentano di credere.
Ma in questa pagina i primi Cristiani dicono un'altra cosa: non vi sembri semplice credere in Gesù! A volte bisogna combattere contro le difficoltà che vengono dal mondo; a volte chi crede viene emarginato, messo da parte, preso in giro e forse questo ci riguarda. Questo ruolo è assegnato ai genitori del cieco. Li avete ascoltati: non vogliono parlare; dicono: "Domandatelo a lui; che parli lui di se stesso". Questo dicevano - aggiunge il Vangelo - perché avevano paura dei Giudei. E noi? abbiamo qualche volta "paura dei Giudei"? È capitato anche a voi qualche volta, come a me, di non saper affermare dei valori, di non avere il coraggio di prendere posizione, per paura di essere derisi? di non essere considerati? Non succede anche a voi, qualche volta, di rifiutare la luce di Gesù, per pigrizia, per mancanza di coraggio?
E poi ci sono anche i Farisei, che sanno tutto: quelli che non cercano, quelli che hanno la verità in mano e non si fanno, come il cieco, mendicanti di Luce! e alla fine ricevono la durissima condanna. Non c'è anche in noi, qualche volta, la convinzione di sapere tutto, di essere arrivati, che ci spinge a non cercare più?
Ma in questa pagina del Vangelo (e qui finisco, consigliandovi ancora una volta di rileggervela) c'è anche, per noi, l'invito a domandarci: cosa significa "credere in Gesù"? In che senso ci ha "aperto gli occhi"?
E i primi Cristiani ci suggeriscono due temi, per loro di fondamentale importanza. Il primo lo ritroviamo all'inizio e alla fine: domandano i discepoli: "Chi ha peccato, lui o i suoi genitori?" E Gesù: "Né lui né i suoi genitori". E alla fine, in bocca ai Farisei è messo: "Che vuoi sapere tu, che sei nato tutto nei peccati?!" : nato nei peccati, perché è cieco! Questo legame tra la sofferenza, la malattia, la disgrazia e la colpa attraversa quasi tutte le religioni del mondo. Gesù è venuto per spezzare questo legame. Ma domandatevi un po': fino a che punto lo ha spezzato anche dentro di noi? fino a che punto noi crediamo che Dio non c'entra nulla con la malattia, con il castigo, con la sofferenza?!
L'altro discorso che ci suggerisce questa pagina è quello del "sabato": "Costui non viene da Dio, perché lo ha guarito in giorno di sabato". Il Vangelo è attraversato dalla polemica del sabato. Ma anche per noi, non esistono i sabati? la religione, qualche volta non si riduce a delle formule esteriori, a delle osservanze, a delle regole? Siamo anche noi convinti che l'unica cosa sacra è l'uomo? Dice il Vangelo: non è l'uomo fatto per il sabato, ma il sabato per l'uomo. È l'uomo, è la sua vita quello che deve essere al centro di tutto! E Gesù è venuto per metterci nel cuore questo rispetto per l'uomo: a volte anche per noi le regole, le osservanze, le esteriorità, le formalità - a volte anche il denaro. a volte la politica - valgono più dell'uomo. Vedete: Gesù ci apre gli occhi, quando rimettiamo al centro di tutto l'uomo!
Allora, se posso riassumervi: il cieco è uno che ha incontrato Gesù, ha scoperto la sua cecità, ha cominciato a cercare la luce e a vedere: e la vita del credente è una continua ricerca della Luce! Ma per far questo, occorre avere il coraggio di prendere posizione di fronte a chi, magari, ci deride per questo. Occorre anche non credere di sapere tutto.
E poi domandatevi: in che senso Gesù ci ha aperto gli occhi? Se voi siete qui è perché avete scoperto in Gesù la Luce: come Gesù è stato Luce per voi? e come può esserlo sempre di più? I primi Cristiani ci suggeriscono due temi: il rapporto con la sofferenza e il sabato. Cercate anche voi quello che è importante nell'incontro con Gesù.
Il Signore ci aiuti!
"Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi riuscito V domenica di QUARESIMA - 21 marzo 1999
dalle vostre tombe... e rivivrete". Ezechiele 37,12-14 - Giovanni 11,1-45
Poi gridò a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori!"
Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in
bende e sul volto un sudario. Gesù disse:
"Scioglietelo e lasciatelo andare"
L'antica parola del profeta Ezechiele ci aiuta a comprendere come pian piano nel mondo ebraico si è formato un linguaggio in cui si parla di uscire dal sepolcro, del passaggio dalla morte alla vita, della risurrezione. Ezechiele, come avete ascoltato, parla ai suoi connazionali che sono lontani, in terra straniera, forse in schiavitù. A loro promette il ritorno in patria, una vita nuova, la possibilità di vivere in pace.
Questo linguaggio arriva fino al Nuovo Testamento: nelle Lettere di Paolo si parla del Battesimo come di un passaggio dalla morte alla vita: "Non sapete che voi siete stati sepolti con Cristo nella morte, per risorgere con Lui ad una vita nuova?". Come va dunque interpretato il lungo racconto della risurrezione di Lazzaro?
Vedete, dal tempo di Gesù fino ad oggi, non c'è stata mai una generazione di Cristiani che, di fronte ad una bara, abbia pensato di pregare perché quella bara si aprisse e la persona morta potesse vivere di nuovo. Non si parla quindi della possibilità che una tomba si apra: mai questa pagina del Vangelo è stata interpretata così! Qualcuno di voi dirà: forse si tratta allora della risurrezione finale. Ma avete notato che nemmeno di questo si parla: nel dialogo con Marta, Gesù dice: "Tuo fratello risorgerà" e Marta prontamente: "So che risorgerà nell'ultimo giorno". Questa è una cosa pacifica ormai, al tempo di Gesù, per tutti i suoi discepoli e per Lui: c'è la risurrezione finale, che riguarda tutti quelli che non ci sono più.
E dunque, l'unico modo per interpretare questa pagina del Vangelo, è parlare di noi, del nostro Battesimo, della nostra vocazione cristiana. Ogni cristiano è chiamato a CREDERE NELLA VITA: a lasciarsi alle spalle tutto quello che la sciupa, tutto quello che "manda cattivo odore", tutto quello che impedisce all'uomo di essere libero. Anche oggi ci sono tante cose che sciupano la vita: pensate a tutto quello che sciupa l'ambiente in cui viviamo, alla natura che si corrompe; ma soprattutto a quello che impedisce agli uomini di essere liberi. Quante schiavitù anche oggi, quante guerre, quanto disprezzo per l'uomo!
Ma il Vangelo di oggi sottolinea che non è facile: avete sentito quanta insistenza su questa morte che sembra portare disperazione: è già da 4 giorni nel sepolcro, manda cattivo odore, c'è una grande pietra che chiude la tomba... Come si può credere nella vita?! come si può avere speranza?! È un discorso che oggi sentite, qualche volta, anche sulla bocca dei vostri ragazzi, dei giovani che ci stanno intorno: sembra che non abbiano più speranza nel futuro, che non possano più credere nella vita.
E il racconto di Lazzaro sottolinea anche che credere nella vita qualche volta significa mettere a rischio la propria. Avete ascoltato: quando Gesù dice: "Andiamo da Lazzaro", i discepoli protestano: "Come, vai in Giudea?! I Giudei cercano di ucciderti"... "Andiamo lo stesso". Tommaso, il dubbioso Tommaso, ha il coraggio di dire: "Andiamo anche che noi a morire con Lui!".
Credere nella vita esige tutta la passione dell'uomo, il coraggio di credere anche nei momenti in cui sembra che il futuro non ci sia più. Per farvi un esempio, che renda più concreto questo discorso, pensate ad un uomo che vive in un ambiente in cui impera la mafia: la mafia che impedisce di costruire onestamente la società, di essere liberi, di vivere in pace... Come può credere nella vita? come può credere che ci può essere un futuro diverso? che l'uomo può essere libero? Non è semplice!
Ecco i primi Cristiani direbbero: se incontri Gesù, Lui ti dà il coraggio di crederci! Ma lo sai: se ci credi sul serio, se impegni la tua vita per la libertà, se metti il tuo coraggio al servizio della vita per un mondo nuovo, rischi! Come rischia chi oggi ha il coraggio di combattere la mafia; come rischia, oggi, chi ha il coraggio di combattere per la giustizia, in tante parti di questo mondo!
Ecco, essere Cristiani - di questo si parla in questa pagina del Vangelo - significa credere nella vita con tutta la passione del proprio cuore; andare al di là di quella disperazione che alle volte non ti permette di credere e sperare che la morte possa cambiarsi in vita: come un sudario sugli occhi, come delle bende che ti tengono legato, che ti impediscono di essere libero!
Anche a noi Gesù dice: "Vieni fuori!" Anche per noi ordina: "Scioglietelo, lasciatelo andare!" Toglietegli il sudario dagli occhi: che veda! che creda! che speri! Essere Cristiani non è partecipare ad una Messa qui in chiesa, non è conoscere a memoria le formule del catechismo, non è ripetere preghiere: ma CREDERE NELLA VITA con tutta la passione del proprio cuore! Anche quando costa: credere nella vita, anche quando intorno a noi sembra che si rida della vita, anche quando ci sono tante cose che la sciupano. Credere anche sull'orlo della disperazione! Così hanno fatto tutti i credenti che ci hanno preceduto. I credenti più grandi che ho incontrato nella mia vita, mi hanno testimoniato proprio questo: che l'incontro con Gesù ti dà il coraggio di credere e di sperare, anche quando sembra che all'orizzonte non ci sia più luce, che tutto sia buio! Incontrare Gesù è ritrovare nel cuore una lampada, una forza che ti fa credere nella vita, che ti fa cercare di diffonderla intorno a te. O, se preferite le immagini dei nostri ragazzi: che ti fa capace di portare ogni giorno fiori, frutti, che rendano più bella la vita!
Lo faccia per noi lo Spirito del Signore!
Mentre Gesù si trovava a Betania DOMENICA DELLE PALME - 28 marzo 1999
gli si avvicinò una donna con un vaso Isaia 50, 4-7 - Matteo 26, 6-13
di alabastro di olio profumato molto
prezioso e glielo versò sul capo
mentre stava a mensa.
Ci sono tanti nomi in questo racconto: Gesù, Simone il lebbroso e poi ci sono gli apostoli: conoscete i loro nomi: Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni e tutti gli altri. Ma di questa donna non c'è il nome: non ha un volto, non ha un nome. Come avete ascoltato, non pronuncia una parola: rimane di lei soltanto il suo gesto! Ma di questo gesto si dice: dovunque sarà annunziato il Vangelo ci si ricorderà di lei e di quello che ha fatto. Un gesto soltanto: non il volto, non una sola parola, non un nome; eppure questo gesto è - per chi ha scritto il Vangelo - la cosa più preziosa!
È importante per noi: viviamo in un mondo in cui sentiamo ripetere ogni giorno tante parole, siamo quasi sommersi dalle parole. Viviamo in un mondo in cui c'è gente che fa di tutto per mostrare il proprio volto, perché il proprio nome appaia, venga ricordato, si pronunzi in TV, alla radio, venga scritto sui giornali. In questo mondo di tante parole è importante ricordare il gesto silenzioso di questa donna.
Ma c'è di più secondo me: noi viviamo in un mondo in cui la parola non è usata soltanto per apparire, ma anche per comunicare, per cercare, per studiare. Viviamo in un mondo in cui è importante calcolare: calcolare per rendere possibile il progresso della scienza, calcolare per una giusta ripartizione della ricchezza. Viviamo in un mondo in cui è importante non sprecare - "perché tutto questo spreco?!" - : non dobbiamo sprecare le risorse della natura, non dobbiamo sprecare le risorse economiche: dobbiamo lavorare perché ci siano risorse per tutti, soprattutto per i giovani. In un mondo viviamo, in cui c'è sempre più bisogno di intelligenza, di ricerca, di studio.
Eppure, proprio in questo mondo c'è bisogno del gesto di questa donna. Guardatela un momento: lei sa accorgersi di chi in quel momento è il più bisognoso: e quando si accorge, non calcola: dona! È l'immagine della gratuità! Vedete: il mondo ha bisogno di intelligenza, ha bisogno di ricerca, ha bisogno di scienza, ha bisogno di attenzione, perché non si sprechi nulla. Ma se non c'è la capacità di amare, la capacità di donare, come potrò non amare soltanto chi mi è simpatico, chi è amabile, ma essere attento anche al più piccolo: alla persona anziana o invalida o segnata da un handicap?
Senza un pizzico di follia, di gratuità, senza la capacità di amare senza calcolare, che ne è della vita dell'uomo? Il mondo ha bisogno di intelligenza, di ricerca, di calcoli: ma soprattutto il mondo ha bisogno della follia dell'amore, del coraggio di amare anche quando non possiamo aspettarci di essere riamati, della capacità di amare anche l'ultimo, anche chi sbaglia, anche il vecchio, anche il debole, anche chi apparentemente è inutile. E questa capacità ce la dà soltanto la GRATUITÀ, nel profondo di noi stessi! Ed ecco la grandezza del gesto di cui parla il Vangelo: la donna sa vedere che in questa occasione è Gesù il più piccolo e dona senza calcolare!
Per questo il gesto di questa donna è così importante, per questo Gesù dice ai discepoli - che calcolano, che invitano a non sprecare e forse hanno ragione -: "Non tormentate questa donna! Ha fatto qualche cosa di grande che è importante ricordare in ogni tempo". È importante anche per noi! Nel nostro mondo così bisognoso di ragione e di calcolo, di intelligenza e di scelte razionali, c'è bisogno anche per noi di ricordare questa donna: la sua gratuità, il suo accorgersi dell'ultimo, il suo donare senza calcolare!
Il Signore conservi anche dentro di noi un cuore simile a quello di questa donna, senza nome, senza volto, senza parole, ma capace di amare!
... preso un asciugatoio, se lo cinse attorno CENA DEL SIGNORE - 1 aprile 1999
alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino I Cor. 11, 23-26 - Giovanni 13, 1-15
e cominciò a lavare i piedi dei discepoli.
...prese del pane, lo spezzò e disse:
"Questo è il mio corpo che è per voi:
fate questo in memoria di me".
"Nella notte in cui fu tradito, Gesù prese il pane e lo spezzò": di fronte all'amico che tradisce, di fronte alla violenza di questo mondo che inchioda Gesù sulla croce, l'unica risposta sembra essere un pane spezzato, il chinarsi a lavare i piedi ai discepoli, dicendo: "Fate anche voi così". Ma non c'è qui tutta l'esperienza del fallimento dell'uomo, della sua incapacità di voler bene? Com'è possibile inchiodare su una croce Gesù? Com'è possibile che un amico tradisca Gesù? E la risposta di Dio può essere soltanto un pane spezzato e il chinarsi a lavare i piedi?
Ci sono dei momenti, nella vita, in cui si sente tutto lo scandalo del male di questo mondo e dell'impotenza di Dio di fronte a questo male. Ci tocca assistere, in questi giorni, ancora allo strazio di innocenti. la cosiddetta "pulizia etnica": migliaia e migliaia di persone che fuggono, stragi di gente innocente, gli occhi terrorizzati dei bambini... E il mondo sembra che non sappia o non possa rispondere se non con altra violenza: con bombe e morte! Non è il fallimento della nostra umanità? E non è anche il fallimento di Dio?! È possibile, di fronte a tutto questo, soltanto il pane spezzato, il chinarsi a lavare i piedi dei suoi?!
Eppure, l'unico Dio in cui noi crediamo ha saputo soltanto chinarsi a lavare i piedi ai suoi e dire: "Fate anche voi così". Ha saputo soltanto spezzare il pane: "Questo pane è la mia vita donata per voi". Vedremo ancora una volta gente che parte per dare una mano, che tenta di lavare i piedi: vedremo decine e decine dei nostri medici andare a curare ferite: vedremo gente che moltiplica - e lo farete anche voi - il proprio impegno per dare un pezzo di pane, per portare un po' di aiuto. Ma fino a quando l'uomo continuerà a compiere violenze? Quando impareremo a costruire un mondo in cui ci sia pace?
E il Dio in cui noi crediamo non compie il prodigio di darci la pace: si china soltanto a lavare i piedi, in silenzio: spezza il pane e ci invita a mangiare. È tutto qui. È lo scandalo del silenzio di Dio, della impotenza di Dio; è lo scandalo di un amore inerme, che si china a lavare i piedi, che dona la sua vita. Non abbiamo altro. Non abbiamo altro!...
Soltanto così possiamo celebrare, anche quest'anno, il nostro Giovedì Santo: una tavola apparecchiata, il pane e il vino: Gesù che spezza il pane e si china a lavare i piedi e ci dice: "Fate altrettanto". Così dobbiamo vivere lo scandalo del nostro mondo, dell'impotenza del nostro amore e della impotenza di Dio! Fino a quando?!
Lo Spirito apra i nostri occhi: ci faccia comprendere il gesto di Gesù, ci faccia sopportare lo scandalo di ritrovarci ancora, dopo 2000 anni, intorno ad una tavola per spezzare il pane e non poter fare altro! E ancora sognare e sperare un mondo di pace, quando pace non c'è!
"In verità io vi dico, uno di voi PASSIONE E MORTE DEL SIGNORE - 2 aprile 1999
mi tradirà". Matteo 26, 14-27,61
"Così non siete stati capaci di
vegliare un'ora sola con me?
"Dio mio, Dio mio, perché mi
hai abbandonato?!"
Poi emesso un alto grido, spirò.
"Se sei il Figlio di Dio, scendi... Se sei il Messia, salva te stesso... Ha confidato in Dio, ha detto di essere suo figlio: lo liberi Dio, adesso!". Come un ritornello martellante, si ripete, sotto questa croce, l'invocazione che diventa un insulto: "Se sei Dio, scendi".
Ma non è sceso... E questo per noi non è facile da sopportare! Anche noi vorremmo che scendesse, che liberasse il mondo dalla violenza, che facesse questo mondo capace di pace: un mondo in cui i giusti, gli innocenti non debbano più morire. Ma il Dio in cui noi crediamo ha le braccia spalancate e le mani inchiodate su quella croce. E sotto quella croce, l'invito a scendere diventa una bestemmia.
La nostra fede, sotto la croce, non può essere che una fede smarrita e dolorosa, incapace di capire: com'è smarrita e dolorosa la nostra fede di fronte alle tante violenze di questo mondo: di fronte ai bambini innocenti, ai loro occhi sgomenti e terrorizzati! Il Dio in cui noi crediamo non è un dio onnipotente: ha le mani inchiodate su una croce. Vuole testimoniare in mezzo a noi il CORAGGIO DELLA FEDELTÀ, il coraggio di amare fino in fondo! E ci invita a seguirLo. A credere in Lui: alla sua fedeltà alla nostra vita; e non è una fedeltà potente, che sa compiere prodigi: è la fedeltà di chi sa condividere la sorte degli ultimi, sa farsi compagno di strada, sa essere con noi fino in fondo, anche nei momenti più drammatici della nostra vita. E quando noi vorremmo che intervenisse con la sua forza, che liberasse il mondo, Lui è accanto a noi: a soffrire e morire con noi!
Questo dice la nostra fede. Ma aggiunge anche che la morte non è l'ultima parola! Domani notte celebreremo la VITTORIA DEL SIGNORE: non è rimasto inchiodato sulla croce! Aveva ragione Lui! E potremo gridare anche noi l'ALLELUJA di Pasqua!
Ma per ora - un'ora che sembra non finire mai - guardiamo ancora quella croce: il nostro Dio che muore per noi!...
...l'angelo disse alle donne: "Non RISURREZIONE DEL SIGNORE - 4 aprile 1999
abbiate paura! So che cercate Gesù Matteo 28, 8-10
il crocifisso. Non è qui. È risorto!"
Con timore e gioia grande le donne
corsero a dare l'annunzio ai suoi discepoli.
Abbiamo avuto più d'uno, stanotte, un sussulto quando si è spenta la luce e siamo rimasti al buio. Poche volte, forse, ci è capitato di sentire così l'asprezza del buio intorno a noi: il buio di questo mondo, il buio della notte della violenza! Guardate quest'albero: i nostri bambini lo hanno riempito di foglie, di fiori, di frutti: tutto splendente di colori. Com'è lontano quest'albero dalla notte di questo mondo! Come sono lontani i sogni dei nostri bambini, dalla triste realtà che ci tocca vedere, che tocca vedere anche a loro, ai nostri bambini spaventati!
Quando io ero bambino, si parlava in questi tempi di pulizie pasquali. Ed era una festa, a casa mia: mia mamma ci coinvolgeva tutti nello sbattere tappeti, rivoltare materassi... le grandi pulizie di Pasqua! Tutto doveva essere nuovo.
Che terribile parola: la "pulizia etnica"! Decine, centinaia di migliaia di persone che fuggono terrorizzate, gli occhi dei bambini spaventati... E il mondo che non sa rispondere - o non può rispondere - se non con altra violenza e con altre paure.
Come celebrare la Pasqua?! Abbiamo sentito, accendendo la nostra piccola candela, come fosse fragile quella luce, come fosse debole la nostra speranza, come fosse difficile credere nella vita! E siamo tentati di sfiducia, stanotte!
Stringiamola forte quella candela, stanotte! Quella piccola luce tremolante sia la nostra speranza. E quando le metteremo tutte insieme attorno al cero, vedremo che può essere qualcosa di più che una sola fragile luce. E mettiamo lì tutta la nostra speranza, tutta la nostra passione per la vita, tutto il nostro desiderio di pace!
E sentiamo, stasera, in fondo al cuore, che Dio è dalla nostra parte. Non è un dio potente, non è un dio che può compiere il miracolo che tutti vorremmo. È un Dio inerme: Lo abbiamo contemplato l'altro giorno crocifisso! È il Dio dalla parte delle vittime, è il Dio impotente, il Dio in cui noi crediamo. Ma è il Dio che ha dato ragione a Gesù! ha dato ragione alla sua passione per l'uomo, al suo rispetto per l'altro, al suo desiderio di pace.
Sì, Dio è dalla nostra parte. Non il Dio che vorremmo, non il Dio che può cambiare il mondo con un colpo di bacchetta magica: ma il Dio che è venuto a condividere la nostra vita, a schierarsi dalla parte degli ultimi, a morire per noi su una croce! Ma aveva ragione Lui: ha ragione la vita, non ha ragione la morte; ha ragione la pace, non la violenza; l'amore, non l'odio!
Quella fragile luce che teniamo tra le mani stanotte, portiamola nel cuore, con tutta la nostra passione per il bene, con tutto il coraggio che chiediamo allo Spirito di Dio! Qui dobbiamo - lo dobbiamo con tutto il nostro coraggio di uomini - non perdere la fiducia, non smettere di cercare la pace, la tenerezza! Dobbiamo togliere la paura dagli occhi dei nostri bambini, di tutti i bambini del mondo! I loro sogni - i sogni che quest'albero esprime - hanno diritto di vivere! Ce lo chiede Dio venendo in mezzo a noi: ce lo chiede Dio dando ragione alle nostre speranze!
Il Signore ci aiuti!
"Abbiamo visto il Signore!" - "Se non metto II domenica di Pasqua - 11 aprile 1999
il dito nel posto dei chiodi non crederò". Giovanni 20, 11-31
Venne Gesù a porte chiuse: "Metti qua il tuo
dito e non essere più incredulo ma credente!".
Rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!".
Quante prediche, quando ero ragazzo, ho ascoltato su Tommaso! E forse non è successo solo a me, ma anche a molti di voi. Quante volte sono stati rimproverati i nostri dubbi! Quante volte ci dicevano che bisogna credere senza dubitare, che bisogna fidarsi ciecamente di coloro che ci parlano di Gesù!
Quante prediche ho sentito su Tommaso, finché non mi sono accorto che questo racconto è proprio il sigillo del Vangelo di Giovanni: come avete ascoltato, l'ultima frase ci ricorda che il Vangelo - almeno nella prima stesura - si chiudeva qui: e che Tommaso era IL SIMBOLO DEL CREDENTE: poteva dunque ben rappresentare la mia fede, il mio incontro con il Signore. Qual è il problema di Tommaso? La testimonianza dei discepoli non è credibile, povero Tommaso! Gli dicono: "Abbiamo visto il signore!", ma lui non può credere: sono ancora impauriti, le porte sono ancora chiuse. Non si vede nulla della gioia della Risurrezione! E come può Tommaso credere alla loro testimonianza!?
Mi sono accorto, ad un certo punto, che questa era la mia esperienza, quando, nell'adolescenza, cominciavo a guardarmi intorno e mi chiedevo: "Dove sono i testimoni di Gesù?". Sentivo raccontare storie di Inquisizione, storie di nefandezze di Papi, di Vescovi, di frati, di credenti... Cercavo intorno a me i Cristiani animati da una grande fede, testimoni di giustizia e di vita... non erano credibili!
Quante volte, quand'ero ragazzo, ho ripetuto "Noi non crediamo ai preti: crediamo in Gesù Cristo". Mi avevano insegnato a rispondere così alle persone che parlavano male della Chiesa, che giustamente criticavano le tante lacune della storia cristiana... Quante volte ho ripetuto: "Io non credo ai preti, ma a Gesù Cristo".
Ma - se ci pensate bene - non è solo questo: la storia di Tommaso ci ricorda anche che la testimonianza dei discepoli non può essere sufficiente: occorre che anche lui incontri personalmente il Signore Risorto, che accetti le sue piaghe. Ed anche a me, se nella mia vita avessi incontrato tutte persone "sante", questo non sarebbe bastato: perché occorre che ciascuno di noi incontri direttamente Gesù, faccia esperienza della sua vita, scelga liberamente i suoi valori. E questa è una scelta che ciascuno di noi deve fare in prima persona: non possono farla gli altri, per nostro conto.
Certo, io sono qui perché mio papà, mia mamma mi hanno parlato di Gesù: io sono qui perché ho incontrato persone straordinarie nella vita, che mi hanno fatto - in qualche modo - incontrare il Signore, mi hanno dato testimonianza di Lui. Ma io ho dovuto personalmente fare esperienza di Gesù: ho dovuto scegliere liberamente di seguire Lui. E non è una scelta che si può fare una volta per tutte: occorre continuare a farla ogni giorno. Non posso credere solo perché altri mi hanno parlato di Gesù: non posso credere perché la fede mi è stata trasmessa da chi mi sta intorno, dalla comunità!
Ecco l'importanza di Tommaso: Tommaso non riesce a credere a chi gli parla della risurrezione, perché non sono testimoni credibili: hanno troppa paura. A Tommaso non basta la fede, pur così preziosa, di chi sta insieme a lui: Tommaso ha bisogno di fare, lui, la sua scelta personale. Ed è la nostra vita - se ci pensate - è la nostra avventura di credenti! Se voi siete qui è perché qualcuno vi ha parlato di Gesù: ma ciascuno di voi è stato invitato ad incontrare direttamente il Signore! Tutti siamo invitati ancora a cercare il Signore, a tentare - liberamente - di credere in Lui! E nessuno può farlo, al posto nostro.
Ecco perché siamo qui: ancora a tentare di camminare insieme, cercando Gesù e la sua Luce!
Il Signore ci aiuti!
Ed ecco, in quello stesso giorno due di III domenica di Pasqua - 18 aprile 1999
loro andavano verso Emmaus. Mentre Luca 24, 13-35
discorrevano Gesù in persona si accostò
e camminava con loro. Ma i loro occhi
erano incapaci di riconoscerlo...
Quando fu a tavola con loro prese il pane,
lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono
loro gli occhi e lo riconobbero.
Questa pagina del Vangelo l'abbiamo letta e commentata tantissime volte. Permettetemi stasera di usare un metodo strano, per tentare - se mi riesce - di farvi intuire qualche cosa di importante. Quello che penso di fare è di raccontarvi una storia che vuol essere una parabola: o, se volete, una parabola che somiglia ad una storia. Deciderete voi.
C'era, qualche tempo fa, un ragazzo, una gran brava persona, che aveva studiato con impegno, poi aveva faticato un po' per trovare un lavoro e ora ne aveva uno che svolgeva con passione e gli dava grandi soddisfazioni. Era riuscito anche a comprarsi una casa, a vivere per conto suo. Gli mancava una cosa sola e l'andava sognando: gli mancava un affetto, un amore, una persona con cui condividere la vita. Sognava di trovare una brava ragazza: che venisse a colmare la sua solitudine, che fosse per lui una compagna, capace di coccolarlo, di riempire la sua casa di calore, di attenzioni. S'era immaginato questa ragazza, l'aveva sognata per giorni e giorni. E finalmente l'aveva incontrata! Il colpo di fulmine: si era innamorato di lei perdutamente. Aveva preparato con grande entusiasmo il matrimonio: aveva immaginato, inseguendo i suoi sogni, la vita con questa ragazza, Si sono sposati ed hanno cominciato a vivere insieme.
Ma col tempo si andava accorgendo che i suoi sogni, le sue speranze non corrispondevano alla realtà: incomprensioni, noia, stanchezza, ogni tanto scoppiava anche qualche litigio... La moglie cercava ogni tanto di parlargli, di fargli sentire le sue esigenze, di raccontargli cosa c'era nel profondo del suo cuore, quali erano anche le sue speranze. Ma lui non era capace di ascoltare: ancora inseguiva i suoi sogni: voleva, quando tornava a casa la sera, trovare tutto in ordine e una donna ricca di entusiasmo e di amore, disposta ad ascoltarlo, a cui poter raccontare le sue pene, i problemi del lavoro. Ma la ragazza qualche volta sembrava distratta: cercava forse di raccontare a lui la sua vita in casa, i suoi problemi, forse di chiedere la sua collaborazione. Ma lui non si accorgeva, non si accorgeva di lei, delle sue richieste di comprensione e di affetto.
Così, il loro stare insieme pian piano diventava abitudine. Scorreva così, fra qualche litigio e la monotonia di ogni giorno, sempre più grigia. E il ragazzo vedeva sfumare sempre di più i suoi sogni! Aveva desiderato questo matrimonio con tutta la passione del suo cuore, aveva sperato tanto! Ma adesso era quasi arrivato al punto di chiedere una separazione: la sua delusione era grande! Camminava spesso per le strade col volto basso, con gli occhi a terra ripensava ai suoi sogni, ormai svaniti: lo diceva a qualcuno dei pochi amici che aveva: "Ho sperato tanto che questo amore cambiasse la mia vita. Ma rimane soltanto abitudine, qualche litigio e niente di più!"
Una sera torna a casa e si accorge che sua moglie ha preparato un dolce un po' particolare e ha messo sulla tavola dei fiori. Ha guardato meravigliato tutto questo: perché? Era l'anniversario del matrimonio e lui non se n'era ricordato! Ma questo gesto di tenerezza l'ha toccato e per la prima volta ha guardato veramente negli occhi la sua donna! Mentre lei spezzava quella torta, ha capito che, in tutti questi anni, aveva inseguito i propri sogni e non aveva mai guardato negli occhi sua moglie: non aveva cercato di capire chi lei fosse, che cosa si portava dentro, quali fossero i suoi valori. Non aveva mai guardato la realtà della sua persona! Aveva sempre cercato di colmare i propri bisogni, di realizzare i propri desideri!
Quel giorno, guardando quei fiori e lei che spezzava la torta, aveva capito che, al di là della proprie speranze, c'era una persona in carne ed ossa, che in quegli anni aveva tentato di parlargli del suo amore! Ma lui non l'aveva ascoltata, inseguendo i suoi sogni e le sue illusioni...
Quali sogni, quali speranze avevano i discepoli di Emmaus, quando dicevano: "Noi speravamo che fosse Lui a liberare Israele!"? Cosa aspettavano? Cosa speravano? Forse speravano che Gesù fosse un grande liberatore, che ridesse ad Israele la sua gloria... Forse speravano che avrebbe finalmente risolto la storia del mondo, che fosse Lui "il Signore degli ultimi tempi", che avrebbe fatto il giudizio sulla storia?... Molti discepoli speravano questo.
Ma - senza pensare ai discepoli di un tempo lontano - noi che speranze abbiamo, quando parliamo di Dio? Quando veniamo qui in chiesa, che cosa cerchiamo? Il nostro stare qui non diventa un po' come un matrimonio, per certe persone: abitudine, attese non realizzate, speranze non colmate? Non ci capita, qualche volta, di pensare che Dio dovrebbe rispondere alle nostre speranze? che Gesù dovrebbe essere come noi Lo sogniamo: colui che viene a risolvere i nostri problemi, che ci porta la pace, che ci ascolta quando Lo preghiamo?
E non ci dimentichiamo spesso, anche noi, di guardarLo negli occhi? di accogliere Gesù così com'è: piccolo seme perduto nei solchi della nostra storia, che viene a portarci i suoi valori, a condividere la vita, a chiedere di guardarci negli occhi, di camminare insieme, al di là delle nostre attese, della nostra religione, della nostra speranza?
E se anche il nostro stare qui rischiasse di diventare un'abitudine? E se anche noi avessimo bisogno di aprire gli occhi e riconoscere e accogliere GESÙ CHE SPEZZA IL PANE, che vuole condividere la vita, che vuole scaldarci il cuore, riempire la nostra esistenza dei suoi valori?
Una storia? una parabola? Non so se vi ha aiutato a rileggere questa pagina del Vangelo. È una pagina bella, però: provate magari a rileggervela da soli, a casa.
Il Signore ci aiuti!
Il pastore chiama le sue pecore una per una; IV domenica di Pasqua - 25 aprile 1999
e cammina innanzi a loro: e le pecore lo Giovanni 10, 1-10
seguono. perché conoscono la sua voce.
Quando io ero ragazzo, dire ad uno di noi: "sei una pecora" suonava come una ingiuria: chissà perché le pecore erano considerate come animali un po' stupidi, ma soprattutto remissivi e senza personalità. Poi crescendo ho sentito tutto il peso di far parte del gregge, ho scoperto l'importanza di uscire dalla massa, di avere il coraggio di pensare con la propria testa, il coraggio di essere diverso dai modelli correnti. L'immagine, dunque, del pastore, del gregge, era più di disturbo che di aiuto nel mio rapporto con Gesù.
Nella mia vita io ho avuto tante fortune, fra cui anche quella di conoscere un po' il mondo dei pastori, delle pecore. E mi farebbe piacere, portare i nostri bambini a conoscere un vero gregge e un vero pastore: mi piacerebbe vedere i loro occhi stupefatti nel constatare che il pastore conosce le pecore una per una e che ogni pecora ha la sua personalità e che non sono affatto degli animali stupidi... Credo che anche un bambino di oggi potrebbe comprendere il messaggio di questa pagina del Vangelo.
Forse proprio per questo i primi Cristiani amavano l'immagine del pastore e delle pecore: poteva esprimere il loro rapporto con Gesù, un rapporto personale e vivo; Gesù è per loro "il pastore che chiama le sue pecore una per una e cammina davanti a loro" e quelle ascoltano la sua voce e lo seguono.
Ecco, questo può essere importante anche per noi; soprattutto per i nostri ragazzi: è importante sentire che chi vuole essere cristiano, chi vuole conoscere Gesù, occorre che esca dal "gregge", che ascolti - lui personalmente - la voce del Signore e che non si lasci condizionare dalle tante voci di questo mondo: voci che parlano di violenza, di sopraffazione, di corsa al successo, di ricerca affannosa del denaro o del divertimento. Occorre andare al di là delle tante mode che passano, spesso così superficiali, per ascoltare una voce che aiuti a scoprire, dentro di sé e intorno e a sé, i valori autentici e fondamentali della vita.
Gesù è venuto proprio per parlare a ciascuno di noi, per aiutarci a non essere come il mondo di oggi (ma, in fondo, come il mondo di sempre) ci vuole: gente appiattita sui luoghi comuni del posto dove lavoriamo, del mondo in cui viviamo. Gesù ci chiama ad assumerci, in prima persona, il coraggio di seguirLo, di credere nei valori che è venuto a testimoniarci, camminandoci davanti!
È proprio il contrario di quello che io pensavo, quand'ero ragazzo, del gregge e delle pecore. Il Vangelo di oggi ci parla proprio di persone che LIBERAMENTE CERCANO GESÙ, tentano di ascoltare la sua voce, scelgono liberamente di camminare con Lui, scoprendo i valori autentici della vita!
I pascoli a cui Gesù ci vuole condurre sono i pascoli della autenticità: la fame e la sete di giustizia, il desiderio di tenerezza, la voglia di amore, il coraggio di cercare ogni giorno la luce. È l'invito che ci facciamo anche noi stasera, l'un l'altro: ascoltiamo la voce di Gesù! Ci chiama uno per uno, ci vuole condurre sulla via della Vita!
Il Signore ci aiuti!
Gli disse Filippo: "Signore, mostraci il V domenica di Pasqua - 2 maggio 1999
Padre e ci basta". Gli rispose Gesù: "Da Giovanni 14, 1-12
tanto tempo sono con voi e tu non mi
hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto
me, ha visto il Padre".
Ieri sera eravamo riuniti insieme con un gruppo di persone, a tentare di scambiarci qualche parola su questa pagina del Vangelo. Tutti colpiti dalla frase di Filippo, che chiede a Gesù di mostrare il Padre; e dalla risposta, soprattutto, di Gesù: "Filippo, da tanto tempo sei con me ... Chi vede me, vede il Padre". E ci scambiavamo, appunto, le nostre impressioni sulle immagini di Dio che ciascuno di noi si porta dentro. E qualcuno citava un articolo di giornale, di cui vorrei leggervi qualche frase: sono frasi dure, ma forse aiutano qualcuno di noi a riflettere su quello che ci portiamo dentro. Questo articolo parla dell'immagine di Dio che Carl Gustav Jung - uno dei grandi patriarchi della nostra cultura - si portava nel cuore. Provate ad ascoltare:
=="Il Dio al quale consacrò tutto se stesso, era il Dio possente, tremendo ed ambiguo, che si esprime in contraddizioni: egli è insieme buono e malvagio, una luce abbagliante e l'oscurità dell'abisso; ardente come Dioniso e freddo come la lontananza delle galassie; armonioso come la Provvidenza e ironico come il Caso. Animato da un pericoloso furore, da una incomprensibile crudeltà verso le proprie creature: induce Abramo a sacrificare Isacco, permette a Satana di tentare Giobbe, lascia condannare Cristo alla crocifissione; abbandona la natura in preda al male; induce l'uomo a peccare e lo spinge ad infrangere le Leggi che egli stesso ha stabilito" ==
Parole forti! Questo mi ha riportato alla mente l'esperienza forse più importante del mio cammino di fede. Sono passati ormai più di 30 anni: e ricordavo - ieri sera ed anche oggi passeggiando in pineta - le tante sere che io ho passato, in anni in cui il mondo stava cambiando rapidamente, nel '67 - '68, insieme ad un gruppo di giovani universitari (anch'io ero giovane, allora), intorno ad un tavolo, a riflettere su Dio, a scambiarci le nostre impressioni sull'immagine di Dio, che ciascuno di noi, si portava dentro.
Per qualcuno dio era il Grande Giudice, il Super‑Io di cui parla a volte la Psicanalisi: colui che ci scruta con occhio severo, che ci chiede conto delle nostre azioni, che provoca in tanti di noi il senso di colpa, l'oppressione per non essere a posto. Per altri, invece, Dio era l'Amico in cui rifugiarsi, il consolatore delle proprie solitudini, a cui chiedere aiuto nel momento del bisogno. Per qualcuno di noi dio era freddo, lontano, impassibile di fronte al male del mondo. Per qualcuno invece era l'amorevole Creatore che ci aveva regalato gli alberi, i fiori, lo splendore della natura. Per qualcuno dio era il dio esigente, che chiedeva addirittura di sacrificare se stessi e la propria vita. Tante immagini di Dio! E riflettendo insieme ci rendevamo conto che queste immagini venivano dalla nostra educazione, dal rapporto che avevamo avuto con il nostro papà o con la nostra mamma: da certe cose che ci portavamo dentro, forse addirittura nell'inconscio di noi stessi. Era una ricerca appassionata: e per noi era diventata fondamentale questa frase del Vangelo, quando Gesù dice a Filippo: "Ma perché vuoi che vi mostri Dio? Chi ha visto me, ha visto Dio". E allora, vedete, abbiamo tentato di mettere da parte le immagini che ci portavamo dentro, per ritrovare, faticosamente, il Dio di Gesù Cristo.
E abbiamo scoperto il Gesù di Nazareth! Siamo stati educati a riconoscere Dio nel prodigio, nel miracolo, nella manifestazione potente (in questi giorni rischiamo di essere sommersi da ondate di miracolismo): e noi ci guardavamo negli occhi e dicevamo: "Ma il Dio che noi conosciamo è vissuto per 30 anni a Nazareth facendo il falegname, senza che nessuno si accorgesse di lui: condividendo la vita, passando i giorni a piallare assi, a fabbricare tavoli e sedie, ad aggiustare ruote di carri, conversando con gli amici..."
Il Dio in cui tentavamo di credere non poteva non passare attraverso le grandi immagini che Gesù ci ha comunicato per mezzo delle sue parabole! Non volevamo più pensare a Dio senza passare attraverso la parabola del Padre misericordioso! L'idea di un dio che punisce, che castiga, si stempera di fronte al Dio di cui ci parla Gesù: che sa rispondere al male con la festa, che sa buttare le braccia al collo, al figlio che torna, che sa preparare la festa per lui! Il dio onnipotente - di cui ci avevano parlato nel nostro crescere, perché ci rivolgessimo a lui nel momento del bisogno - passava attraverso la croce di Cristo! Il dio che ci era di scandalo, a cui domandavamo: "Perché non intervieni? perché non fai pace nel mondo? perché lasci morire i bambini?", abbiamo imparato a vederlo inchiodato sulla croce: non più il dio della potenza, della forza, del prodigio... ma il Dio con le braccia inchiodate! il Dio che chiedeva a noi di essere le sue mani, perché lui non poteva più muoverle. Il Dio della fedeltà, il Dio del coraggio, il Dio dell'amore alla nostra vita!
Quelle sere lontane! mi son rimaste dentro, se volete con due conclusioni. La prima: Dio è più grande di ogni nostra parola: nessuno può farsi un'immagine di Dio. Con quale passione, in quei giorni, abbiamo riscoperto il secondo comandamento: "Non nominare il Nome di Dio invano: non farti un'immagine di Lui". E ciascuno di noi un'immagine di Dio se la porta dentro, a volte inconscia, profonda. Dobbiamo sapere che di Dio non possiamo farci un'immagine: perché ogni immagine che ci facciamo di Lui è un idolo! pericoloso come tutti gli idoli. Dio è al di là di ogni parola, al di là di ogni immagine. Possiamo soltanto tentare di intuire qualcosa della sua Luce, di portarci dentro dei barlumi della sua tenerezza e l'invito a cercarlo sempre di più.
E la seconda cosa che da allora mi porto dentro: UN CRISTIANO NON PUÒ PARLARE DI DIO SE NON ATTRAVERSO L'ESPERIENZA DI GESÙ DI NAZARETH: attraverso i suoi gesti, attraverso le sue parole: attraverso tutto quello che Lui ci ha lasciato. Attraverso il pane, che noi spezziamo ogni domenica, noi facciamo esperienza di Dio! È qui il segno che Lui ci ha lasciato: il segno della vita donata, della vita condivisa!
Non dimenticatelo! Oggi, domani, quando sentirete ancora parlare di tanti prodigi, di tanti fatti straordinari, ricordate: Gesù ci ha lasciato un pane spezzato! Ricordate: è vissuto per 30 anni a Nazareth, per condividere la nostra ventura di uomini, per essere con noi, uno di noi, fino in fondo!
Che l'immagine di Dio passi attraverso Gesù! Che lo Spirito ci aiuti a capire, fino in fondo, queste parole del Vangelo: "Filippo, da tanto tempo sei con me... Chi vede me, vede Dio!".
Il Signore ci aiuti!
"Io sono nel Padre e voi in me e io in voi. VI domenica di Pasqua - 9 maggio 1999
Chi accoglie i miei comandamenti e li Giovanni 14, 15-21
osserva, questi mi ama".
In questi giorni, come penso possiate immaginare facilmente, nei vari gruppi in cui ci siamo ritrovati per commentare le letture di oggi, è venuto quasi spontaneo parlare delle tante ore di trasmissione televisiva, a cui molti avevano assistito, su padre Pio: con alcune considerazioni che forse possono aiutarci a capire qualche cosa di essenziale della nostra fede, del Vangelo che abbiamo appena ascoltato.
Qualcuno notava che alcuni di quelli che parlavano, a volte con grande entusiasmo, di padre Pio, che raccontavano i suoi prodigi, non erano noti per una grande limpidezza morale: c'erano degli attori, dei giornalisti importanti, ma non tutti nel loro modo di comportarsi erano delle persone di specchiata virtù... Poi qualcuno raccontava, con stupore e apprensione, la brutta notizia ascoltata lunedì mattina: un uomo aveva ucciso la moglie e le due figlie e tornava proprio da un pellegrinaggio per la beatificazione di padre Pio. E qualcuno ricordava che, qualche tempo fa, quando era stato arrestato uno dei grandi boss della mafia - che in casa aveva una grande cappella privata - anche questa cappella era costellata di immagini di padre Pio.
Tutto questo ci portava a fare una riflessione seria sul rischio che corre la nostra fede, il nostro modo di credere. Anch'io, riandando indietro nella mia esperienza ormai lunga, notavo che a volte persone che vengono in chiesa, che dicono molte preghiere e molti rosari, hanno un animo maligno, molto più di tante persone che non vengono mai in chiesa. Ma se volete andare a qualche cosa di ancor più traumatico, spesso gli eserciti che andavano alla conquista di altri popoli - pensate agli Spagnoli che, per conquistare il nuovo mondo, hanno distrutto interi popoli dell'America latina - andavano con la croce in mano, invocando la benedizione del Signore... E ancora: sui cinturoni delle SS era scritto "Gott mit uns" - Dio è con noi...
Vedete, una delle grandi intuizioni della fede di Israele è che il Dio in cui noi crediamo è un Dio che esige un comportamento morale nella vita di ogni giorno. Il Dio in cui noi crediamo chiama il popolo di Israele ad uscire fuori dall'Egitto, dalla terra della schiavitù: e sul monte consegna a Mosè le tavole della Legge e chiede al popolo di stabilire un'alleanza con Lui, basata proprio sull'attuazione della giustizia, sull'osservanza dei comandamenti! Il nostro è - per usare una parola forse un po' difficile, ma che vi conviene conservare nella mente - un MONOTEISMO ETICO: cioè il Dio che noi incontriamo ci chiede rettitudine e giustizia nella vita di ogni giorno. E, se capisco qualcosa, è qui una delle differenze fondamentali fra il paganesimo e la nostra fede.
Vedete, il mondo antico, il mondo pagano, è pieno di santuari in cui l'uomo va a chiedere la protezione della divinità: prima di intraprendere un viaggio, quando ha paura di una malattia, quando sta per nascergli un bambino, l'uomo si sente debole e si rivolge a dio, perché lo protegga. E capite che anche il soldato che sta per andare a fare la guerra, a conquistare un altro popolo, va a chiedere nel santuario la benedizione del Signore, la garanzia di tornare sano e salvo: senza porsi la domanda se è giusto quello che fa. Così anche il commerciante che parte per un lungo viaggio chiede protezione e sicurezza, senza porsi il problema della correttezza morale dei suoi commerci. Il Dio della Bibbia invece prima di ogni cosa ci chiede di impegnarci per la giustizia: se vuoi essere fedele a Dio, devi osservare i comandamenti. È vero che può esserci anche il rischio di creare sensi di colpa o di qualcuno che si sostituisca a Dio nel dire ciò che è lecito o no; ma se la religione non pone esigenze etiche non mi sembra autentica.
E Gesù ha ripetuto la stessa cosa: "Se mi amate, osserverete i miei comandamenti" e poi "Vi lascio un comandamento: amatevi come io vi ho amato... beati voi quando avete fame e sete di giustizia, quando siete operatori di pace..." La vita di ogni giorno è quello che conta. E allora, se ho capito qualcosa, c'è un metodo per capire la differenza fra una religiosità che è più vicina al mondo pagano e la fede di Gesù e di Mosè: nella religiosità basata sul bisogno e sulla protezione divina, continuano a raccontare di prodigi, di miracoli, di fatti straordinari: è chiaro che quando voi avete bisogno di chiedere la protezione di un dio, più potente è la divinità cui vi rivolgete, più ha fatto prodigi e più voi andrete con fiducia a interpellarla. Se invece quello che conta è la vostra vita di ogni giorno, allora c'è bisogno di insegnamenti per la vita quotidiana, dell'invito alla gratuità, all'amore. Quello che conta non è il prodigio che capita nella vita di una persona su un milione, ma LA VITA DI OGNI GIORNO!
E allora il Vangelo è fatto di parabole, di insegnamenti, di inviti alla giustizia, di ricerca appassionata della pace, più che di cose straordinarie e di prodigi. E noi, ci ritroviamo qui intorno alla tavola, non per invocare prima di tutto la protezione di Dio, per compiere un rito, ma per rinnovare un impegno, per stringere una Alleanza con Gesù, per continuare a portarci nel cuore la fame e la sete di giustizia, il desiderio della verità, il coraggio di operare la pace. Per questo Gesù ci invita intorno alla tavola e si fa pane per noi!
È nella vita di ogni giorno che Gesù si è calato, per invitarci a viverla nella gratuità e nell'amore! Non è semplice, per noi. Per questo ci ritroviamo qui ogni domenica e tentiamo di nutrirci di Lui!
Il Signore ci aiuti!
"Questi saranno i segni che ASCENSIONE DEL SIGNORE - 16 maggio 1999
accompagneranno quelli che Marco 16, 14-20
credono: nel mio nome scacceranno
i demoni, parleranno lingue nuove,
prenderanno in mano i serpenti..."
Sarà capitato anche a voi - perché in questi tempi succede spesso - di vedere alla TV qualche esorcista, qualcuna di quelle lugubri figure di cacciatori di diavoli; ma spero proprio che tutti voi avrete detto: "Noi con questo non c'entriamo niente". O vi sarà capitato di vedere alla TV qualche strano personaggio - che so, o dell'Africa o dell'India - che maneggia serpenti, anche velenosi; ma voi, se incontrate un serpente, state ben attenti a starne lontani. O, più semplicemente, avrete sentito qualche volta parlare dei pericoli che ci sono nel cogliere funghi: a volte se ne possono trovare di velenosi; ma a nessuno di voi è passato per la mente di mangiare funghi senza controllarli, nella folle sicurezza che, se bevete qualche veleno, non vi capiti alcun danno...
Spero che a nessuno di voi venga in mente di dire: "Ma tutto questo che c'entra con il Vangelo di oggi?". Come "che c'entra"? non avete ascoltato proprio adesso che "i segni che accompagnano i credenti" son proprio questi? "Cacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti, se berranno qualche veleno non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno". Avete mai imposto le mani ai malati, facendo guarire qualcuno? No. E allora che Cristiani siete?!...
Qui probabilmente si parla di qualche altra cosa e occorre la nostra fantasia per tentare di trovare ciò che CI riguardi da vicino: questo significa leggere il Vangelo. Perché, vedete, tutti quei segni che accompagnano i credenti ci riguardano. Non riguardano quelle lugubri figure che dicono di cacciare i diavoli: riguardano me, riguardano voi. Perché, se non cacciamo qualcosa del male che c'è nel mondo, che cristiani siamo?!
Affrontare il male è un compito che ci riguarda. E non pensate subito ai grandi mali del mondo, la guerra, la fame: di fronte a questi mali, purtroppo, non possiamo fare gran che, se non tentare di dare una mano a chi si trova nell'estremo bisogno. Ma pensate al male che ci sta più vicino: alle piccole intolleranze, alle piccole guerre di ogni giorno, a quello che succede nelle nostre case, o nel posto dove lavoriamo, o con la gente con cui viviamo ogni giorno. È là che possiamo tentare di cacciare un po' di male.
E quando si parla di prendere in mano i serpenti e di bere il veleno, senza subirne danno, pensate ai tanti veleni che rovinano la vita di ogni giorno, che rischiano di sciupare l'esistenza dei nostri ragazzi. E non pensate subito alla droga, che riguarda poche persone. Pensate al veleno della paura, dell'ansia per il futuro; pensate al veleno dell'indifferenza, che spesso attraversa anche la nostra vita. Sono questi alcuni dei veleni da cui un Cristiano deve sapersi difendere, da cui dobbiamo tentare di tener lontani i nostri ragazzi. Un ragazzo che oggi legge il giornale, guarda la TV, sente a volte parlare noi adulti, corre tanti rischi di essere avvelenato! Corre il rischio che la sua vita si intristisca, che perda i valori autentici.
E quando il Vangelo dice che "quelli che credono" sanno parlare lingue nuove, non pensate a qualche strana lingua da inventare: pensate al problema che abbiamo davanti di capirci tra adulti e giovani; pensate al problema che i nostri ragazzi vivranno nel secolo che sta per cominciare: il ritrovarsi accanto persone che vengono da tanti paesi diversi, con culture diverse, con atteggiamenti e modi di pensare diversi... e occorre capirsi: occorre inventare la lingua per parlarsi. Occorre costruire la lingua che permetta a tutti gli uomini di ritrovarsi in un unico, grande villaggio. Ormai ci siamo resi conto che facciamo parte, tutti, di un grande paese, che siamo legati gli uni agli altri. Ma quale lingua parlare? dove trovare le parole della giustizia e della pace? Come si possono inventare linguaggi nuovi? È questo il nostro compito!
Come è nostro compito guarire i malati. Voi direte: "Ma noi ne siamo capaci?". Ma sì, che ne siamo capaci! Lo abbiamo pure fatto. Vedete, al tempo di Gesù il mondo era pieno di ciechi: ce n'erano tantissimi, si incontravano ad ogni angolo di strada. Oggi, incontrate raramente dei ciechi; ma non perché qualcuno ha fatto dei miracoli... Il mondo non va avanti perché qualche santone, una volta ogni dieci anni, fa un miracolo. IL MONDO VA AVANTI PERCHÉ C'È GENTE CHE STUDIA, CHE CERCA: gente che ha guardato l'occhio e ha capito che è la cataratta che può rendere ciechi e ha imparato a toglierla: oggi se vi cala una cataratta nell'occhio, entrate al mattino all'ospedale (anche qui ad Ostia; una buona notizia: dicono che qui, al "Grassi", sia ottimo il reparto di Oculistica), e la sera uscite; e ci vedete meglio di prima! I nostri vecchi diventavano ciechi! Così come diventavano ciechi per il diabete! Oggi abbiamo imparato a curare tutto questo; come si sta cercando di curare sempre di più le grandi malattie: e se ogni tanto vi chiedono dei soldi, fate bene - se potete - a darli, perché continui la ricerca sul cancro , sulla leucemia e quant'altro.
Così si guariscono i malati! e vedete che questo è compito di tutti noi. È compito dei ragazzi che studiano, perché diventino sempre più bravi; è compito dei ricercatori, che sappiano inventare qualcosa di nuovo. È anche compito della nostra collaborazione. E speriamo che il secolo futuro si occupi non più soltanto delle malattie del corpo, ma anche delle malattie della mente e del cuore, che fanno tribolare tanta gente!
Ecco i nostri compiti! Ecco cosa significa essere credenti! Tentare di liberare il mondo dal male, dalla violenza, anche dalle piccole violenze quotidiane. Essere capaci di parlare lingue nuove che permettano a uomini di razze, culture, religioni diverse, di incontrarsi e rispettarsi. Riuscire a non essere corrotti dai tanti veleni del mondo; essere capaci di far progredire il mondo, di curare i malati... E questo non lo fa qualche Santone, che una volta tanto fa miracoli, illudendo tanta gente... Questo lo fa LA PASSIONE DI TUTTI NOI! Lo studio, la ricerca, il contributo economico, la voglia di far bene, la capacità di ascoltare e di parlare: tutto questo è compito nostro!
E allora vedranno che siamo credenti, che abbiamo ascoltato la parola di Gesù e che tentiamo di continuare la sua opera: questo è il compito che Lui ci ha affidato.
Il Signore ci aiuti!
Venne all'improvviso dal cielo un rombo PENTECOSTE - 23 maggio 1999
come di vento che si abbatte gagliardo... Atti 2, 1-11 - Giovanni 20, 19-23
apparvero loro lingue come di fuoco...
ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo
e cominciarono a parlare in altre lingue ...
Tutti avrete notato il senso di meraviglia e di stupore che pervade la prima lettura: sono i sentimenti dei primi cristiani. Vedete: in quella terribile sera del Venerdì hanno visto Gesù morire inchiodato sulla croce, ucciso dalla violenza degli uomini: tutto sembrava finito, le sue parole perse nel buio di quella notte. Poi hanno visto che l'avventura di Gesù non era del tutto finita, anzi la sua parola, i suoi valori si diffondevano nel mondo con una rapidità impressionante. Nel giro di pochi anni non solo in Palestina, ma in tutto il bacino del Mediterraneo c'è chi crede in Gesù; e non solo ebrei, ma gente di ogni razza e popolo. Sembra che gli uomini ritrovino la capacita di parlare un unico linguaggio: stupefatti credono di assistere al ricomporsi della tragedia di Babele: là le lingue si erano confuse e gli uomini non si capivano più; ora sembra ritrovino la capacità di parlare lo stesso linguaggio, di credere negli stessi valori e i primi cristiani esprimono tutta la loro meraviglia e il loro stupore.
Ma è anche il loro sogno! Certamente sanno che non si è ancora compiuta l'unità, che c'è una lunga strada da fare, perché Babele sia completamente superata, perché gli uomini ritrovino il coraggio di parlare, di costituire un'unica, grande famiglia in cui si ritrovino tutti figli dello stesso padre.
E, se ci pensiamo, questo sogno è anche il nostro: alla fine di questo millennio - quando il mondo ormai s'è fatto piccolo, quando ogni sera vediamo alla TV immagini di cose che succedono dall'altra parte del globo - sentiamo sempre di più il bisogno di una umanità che parli lo stesso linguaggio, che si capisca, in cui gli uomini si ritrovino fratelli, in cui non ci siano più le schiavitù, le miserie, la fame, le guerre! È il sogno! il sogno che accompagna il nostro cammino di uomini e di credenti, il sogno che vorremmo consegnare ai nostri figli.
Ma la prima lettura di oggi ci vuole comunicare qualche cosa di più. I primi Cristiani dicono: Badate! Voi avete dentro di voi lo Spirito di Dio che vi spinge: occorre che Gli facciate spazio. Avete dentro di voi il soffio di Dio che Gesù ci ha lasciato: occorre che Lo lasciamo operare! È come un fuoco che ci scalda dentro; è come una luce che illumina i nostri passi; è come un vento che vuol tirarci fuori dai nostri gusci, che vuole spalancare le nostre porte. Occorre lasciarLo fare! perché dentro di noi ci sia qualcosa di grande in cui credere! Occorre che facciamo spazio dentro di noi ai valori di Gesù!
È questo il senso dell'invocazione che stasera tutti siamo invitati a fare. Più tardi, alle 21, la faranno i nostri ragazzi: hanno preparato con cura la celebrazione. Molti di voi non potranno esserci; ma unitevi con loro, perché i nostri ragazzi e i ragazzi di tutto il mondo si portino un fuoco, una luce, dentro, continuino a credere, non rimangano chiusi nell'indifferenza, nella paura dei propri gusci, non si lascino assorbire dalle superficialità e dalle banalità delle cose di ogni giorno... Che conservino nel cuore dei sogni grandi! che ancora continuino a credere nella possibilità di una umanità più solidale, di una maggiore giustizia tra gli uomini, di un vero rispetto per tutti! Che continuino a sognare un mondo in cui non ci siano più schiavi, non ci sia più gente che muore di fame, non ci siano più guerre!
È importante che tutti noi conserviamo questi sogni nel cuore, tentando, come possiamo, di costruire un mondo in cui si realizzino i valori di Gesù: è questo il compito che ci ha affidato: "Come il Padre ha mandato me, io mando voi". Ricordandoci che se non riusciamo noi a togliere il male dal mondo non può farlo nessuno: "A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi": questa non è una parola magica che riguarda il potere di qualche sacerdote: questo è il cammino di ogni uomo che vive sulla terra! A noi è affidato questo mondo. a noi è affidata la possibilità di liberarlo dai suoi mali. a noi è affidato il compito di costruire un mondo più giusto.
Per questo dobbiamo fare spazio al soffio di Dio, che ci spinge verso la giustizia, dobbiamo permettere allo Spirito di conservare e difendere la fame e la sete di verità e d'amore, che Gesù tenta di mettere nel nostro cuore! Per questo siamo qui: per chiedere che lo Spirito ci spinga ancora in avanti, che ci dia ancora calore, che illumini ancora i nostri passi, perché tutti noi possiamo dare il nostro contributo per un mondo più bello, in cui gli uomini si ritrovino fratelli, in cui ci sia giustizia e pace!
Il Signore ci aiuti!
Dio ha tanto amato il mondo da dare SANTISSIMA TRINITA - 30 maggio 1999
il suo Figlio unigenito, perché Giovanni 3, 16-18
chiunque crede in lui non muoia,
ma abbia la vita eterna.
Quando io, ragazzo, venivo educato alla fede - ma penso che questo sia successo anche per molti di voi - il libro usato, anche più del Vangelo, era il Catechismo; e i nostri maestri tentavano di spiegarci le verità della fede, soprattutto i misteri della fede. Ed io ricordo ancora i loro tentativi per farci comprendere il mistero della Trinità: si affannavano con la figura del trifoglio (una foglia formata da tre foglioline), oppure ricorrevano al triangolo, che ha tre lati nella sua figura; e altre immagini di questo genere, che non ci permettevano certo di capire granché (allora si ricorreva a S. Agostino e alla sua piccola buca da riempire con il mare); a me davano un certo senso di fastidio, anche quando ero bambino, perché ho avuto sempre poca simpatia per la matematica e le materie affini.
Quando poi sono diventato più grande e ho dovuto compiere lunghi studi per diventare prete, ho studiato poco - pochissimo! - il Vangelo, ma ho passato molto tempo a studiare le profonde elucubrazioni sulla SS.Trinità: la natura, la sostanza, la realtà, le processioni ("il Figlio procede dal Padre, lo Spirito dal Padre e dal Figlio"), le relazioni... Tutto questo mi sembrava che avesse poco a che spartire con la mia vita di ogni giorno e con la mia fede. Poi con il passare degli anni mi accorgevo che non solo io, ma anche la maggior parte dei miei amici sacerdoti andavano lasciando cadere quelle antiche parole.
È stato con una certa sorpresa che anni dopo, leggendo un libro di storia, ho intuito l'importanza che avevano avuto, per gli uomini di tanto tempo fa, le lunghissime discussioni che avevano tentato di approfondire il mistero della Trinità. Forse può aiutare anche voi a capire il perché - nel lungo percorso della vita della Chiesa - di certi discorsi, che poi, come spesso succede, diventano "sacri" ed è difficile cambiare. Il doversi confrontare con l'idea che c'è un solo Dio, ma tre "persone", li ha spinti ad approfondire il concetto di "persona".
Per noi è un concetto abbastanza scontato, ma non era così per gli antichi. La parola "persona" in latino significava la "maschera" indossata dagli attori nel teatro (fra l'altro serviva ad amplificare la voce). Non era approfondito, nel mondo antico, il concetto dell'individuo, della persona singola, con le sue peculiari caratteristiche, con i suoi inalienabili diritti. Nel bacino del Mediterraneo due terzi degli uomini erano schiavi: quindi non "persone".
Per comprendere come si parlava genericamente di "umanità", di natura umana e non dei singoli individui, pensate che si può leggere, nell'antica Scrittura, l'idea che per il peccato di Adamo tutti noi, solidali con lui, ci portiamo quando nasciamo, una colpa... Questo, per noi uomini moderni, non è facilmente comprensibile.
Così come era difficile, per loro, concepire l'individuo non legato ad una "famiglia": voi leggete nella Bibbia - penso, con sorpresa - che le colpe dei padri ricadono sui figli fino alla terza e alla quarta generazione: se provate a dire una cosa del genere ad uno dei nostri ragazzi, subito lo sentirete protestare: "Ma io che c'entro con quello che ha fatto il mio bisnonno?!". Eppure, per gli antichi questo era normale, perché mancava loro il concetto di persona, di individuo.
Quando i cristiani cominciano a parlare di un Dio in tre persone, debbono approfondire il concetto di persona; e sempre di più cresce in loro la convinzione che c'è, nella persona, qualcosa di unico, di irrepetibile, che ognuno ha responsabilità e diritti inalienabili. Una tappa importante, sembra, nel lungo cammino che ha portato a sentire intollerabile l'idea che un uomo diventi schiavo.
E chi conosce un po' di arte sa che questo si manifestava anche nella pittura. Se guardate (anche a Roma) gli stupendi mosaici dell'epoca bizantina, trovate tutte figure molto simili: ci sono colori straordinari, ma i volti sono tutti uguali! sono degli stereotipi che si ripetono... Se osservate invece la pittura del '400 e poi del '500 (e non parliamo del '600), vedrete il tentativo di rappresentare le singole persone nella loro diversità. Diventa importante il Singolo e non più l'umanità.
Tutto questo, a ben pensarci, è ancora importante anche per noi, oggi; e quindi dobbiamo essere grati a coloro che, parlando della Trinità, hanno approfondito il concetto di persona. Non sembra anche a voi che in certi discorsi si parli genericamente - che so? - delle donne (ultimamente si dice che abbiano il cervello migliore degli uomini... Io ho conosciuto tanti uomini stupidi, ma anche tante donne stupide... Non è vero che tutte le donne hanno il cervello migliore degli altri, perché ognuno ha il suo cervello e per fortuna!).
Oppure capita di sentir parlare genericamente di stranieri, di extracomunitari, come se fossero tutti uguali! Nessuno è uguale all'altro. Si sente parlare di meridionali e di settentrionali, come se i meridionali (o i settentrionali) fossero tutti uguali. Forse anche noi abbiamo bisogno di RITROVARE IL SENSO DELLA UNICITÀ E IRRIPETIBILITÀ DELLA PERSONA.
Ma c'è un'altra cosa che vorrei considerare con voi: nel corso della storia, il modo di parlare degli uomini - e quindi anche di Dio - cambia; e se a molti di noi le parole antiche non sembrano più dire qualche cosa, abbiamo il diritto di cercare altre parole che possano aiutarci ad esprimere la nostra fede ed a crescere. Qualcuno si meraviglia perché non usiamo recitare il Credo antico ("Dio da Dio, luce da luce, Dio vero... generato, non creato, della stessa sostanza del Padre"); perché a molti di noi queste parole antiche - frutto di riflessioni e di controversie che non ci appartengono più - dicono poco; tentiamo di esprimerci con parole che ci sono più familiari, che sono vive per noi! A noi, oggi, quelle parole, che sembrano elucubrazioni filosofiche - così importanti, se sono riuscito a spiegarmi, nel cammino dell'umanità - dicono poco... e abbiamo tutto il diritto di esprimerci con le nostre parole. Per noi Dio è soprattutto Mistero! Sappiamo che è al di là delle nostre formule, al di là di quello che riusciamo a dire, più grande di ogni nostra parola! E noi tentiamo di cercare la sua Luce! E noi, diversamente da quando io ero bambino, Lo cerchiamo soprattutto nel Vangelo: nelle parole, nella vita di Gesù ci sembra di intuire qualche cosa di Dio!
Ed è per questo che adesso, invece di ripetere l'antico Credo, tento di invitarvi a professare la fede con parole che forse ci sono più vicine, che per noi dicono qualche cosa di più di quello che ci dicono le antiche parole.
Non dimenticare il Signore tuo Dio, SS. CORPO E SANGUE DEL SIGNORE - 6 giugno 1999
che ti ha fatto uscire dal paese Deuteronomio 8,2-3;14-16 - Giovanni 6,51-58
d'Egitto, dalla condizione servile;
che ti ha condotto per questo
deserto grande e spaventoso, che
nel deserto ti ha nutrito di manna...
"Chi mangia la mia carne e beve
il mio sangue dimora in me ed io in lui".
Il deserto è uno dei grandi simboli della fede di Israele: interpreta la realtà della vita dell'uomo, l'avventura del credente sulla terra. Il deserto "grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz'acqua", è per i credenti dell'antico Israele il grande simbolo dello spazio tra la schiavitù e la libertà, tra la sfiducia e il coraggio di guardare lontano verso il futuro e il sogno; tra la disperazione e il realizzarsi della speranza! Ed è spazio duro, faticoso, in cui c'è sempre la tentazione di tornare indietro: di tornare a sedersi là, dove almeno c'è un piatto di cipolle, anche se c'è la schiavitù. Camminare, continuare a sognare, continuare a cercare senza stancarsi... spesso è faticoso e si rischia di venire accusati di essere degli illusi, di non essere realisti.
L'antica immagine degli Ebrei colpisce molto anche i nostri ragazzi, a volte, credo, in maniera eccessiva: il mondo appare loro arido, totalmente privo di valori, di ideali, fanno a volte anche fatica a stabilire relazioni autentiche e rischiano di cadere nella sfiducia.
Come possiamo aiutarli? Il popolo d'Israele vede nel deserto non soltanto "la terra arida e senz'acqua", ma anche la terra in cui hanno camminato insieme, in cui si sostenevano a vicenda, in cui INSIEME cercavano di sperare e di camminare. E quando qualcuno si fermava, gli altri si fermavano ad aspettarlo. E quando qualcuno era tentato di voltarsi indietro, gli davano una mano, per aiutarlo a proseguire. Come possiamo aiutare i nostri ragazzi a credere ancora, a sperare?
Vedete, noi ci ritroviamo qui ogni domenica perché Gesù è venuto in mezzo a noi proprio per essere il cibo del cammino: "Chi mangia di me, vivrà per me". Occorre allora che la nostra messa non sia soltanto un rito, un'abitudine, un obbligo, ma un reale nutrirci di Gesù, dei suoi valori, per essere con Lui testimoni di speranza, della voglia di camminare, di costruire un mondo migliore.
In questi giorni sentiamo tutti il bisogno della pace: ascoltiamo rumori di guerra proprio qui vicino: bombe, "pulizia etnica"... parole terribili! I nostri ragazzi fanno fatica a credere in un mondo più giusto: a loro sembra un sogno irrealizzabile; perché ancora, dopo 2000 anni, si sente il fragore delle bombe, si assiste al dilagare della violenza! È possibile credere nella pace?!
Ma se guardiamo più vicino a noi, è possibile credere in un mondo in cui ci sia un po' più di tenerezza, un po' più di giustizia? È possibile credere che l'uomo riesca a sconfiggere i mali del mondo? Sarà possibile non vedere più soffrire i malati? Sarà possibile trovare rimedio ai tanti disagi psichici, di cui soffrono anche i nostri ragazzi? A volte si ripiegano su se stessi, o vivono la depressione; e se ricorrete ad un medico, non sa come aiutarli... È possibile continuare a cercare, perché la vita degli uomini sia più giusta, più bella, più ricca? Per questo siamo qui!
Non siamo qui per compiere un rito, per osservare un precetto, per fare un rito magico. Ma per conservare la speranza: per camminare su questa terra conservando i sogni nel cuore, continuando a cercare perché i mali del mondo siano superati!
Ricordate: il deserto è la terra tra la schiavitù e la libertà, tra la disperazione e la speranza, tra la sfiducia e il coraggio di camminare con un sogno nel cuore! È il senso della Messa! Gesù si fa pane per nutrirci di Sé, perché continuiamo ad avere una luce dentro, a camminare senza stancarci! Per essere capaci - chi ha i capelli bianchi - di comunicare un po' di speranza ai nostri ragazzi.
Ne hanno bisogno! A volte hanno la sensazione di camminare in un deserto "arido e senz'acqua"... Dobbiamo far sentir loro la nostra vicinanza, tentare di camminare con loro, anche se non è semplice.
Il Signore ci aiuti!
Il Signore ci dice: "Gratuitamente XI domenica del tempo ordinario - 13 giugno 1999
avete ricevuto, gratuitamente date". Matteo 9,36 - 10,1-8
"Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date": le ultime parole del Vangelo di oggi mi hanno suggerito, ancora una volta, una riflessione sul concetto di GRATUITÀ in cui mi sembra di cogliere uno dei fondamenti della mia esperienza, della mia fede, della mia vita. È possibile, per noi uomini, la gratuità? e che significa in concreto, nella nostra vita?
Se ci pensate un momento, tutto quello che noi siamo - i nostri occhi, i nostri capelli, le nostre mani, i nostri piedi - tutto è frutto di una evoluzione, che su tutto è basata meno che sulla gratuità. Quello che spinge avanti e modella la vita è la ricerca dell'utile: non esiste gratuità nel lungo cammino della vita. Nemmeno le splendide piume degli uccelli o le ali della farfalle sono frutto della gratuità, ma di progressivi adattamenti per sopravvivere, per propagare la specie.
E non vi sembra che anche gran parte delle scoperte tecniche e scientifiche che arricchiscono la nostra vita non sono frutto di gratuità, ma dell'interesse (lo scienziato voleva guadagnare o cercava la fama); o addirittura della guerra, del desiderio di conquistare il mondo?
Ed anche nelle nostre relazioni, nei rapporti più teneri, tra genitori e figli, tra marito e moglie, c'è veramente la gratuità? Non siamo, quasi sempre, spinti dall'interesse, dal bisogno dell'altro, di cui non possiamo fare a meno? E anche nel nostro rapporto con Dio quanto c'è di gratuità? Se ci chiediamo francamente "perché siamo qui?", non è, in fondo, perché cerchiamo da Dio protezione e aiuto per la nostra vita? È possibile la gratuità per noi uomini, impastati come siamo di bisogno, di interesse, di ricerca dell'utile?
Eppure, se ripenso alla mia vita, le esperienze più belle che io ho fatto, sono proprio esperienze di gratuità! Vedete, io ho studiato poco e la gran parte di quello che ho studiato - specialmente quando andavo alle medie e al liceo - l'ho fatto per il voto o per paura di essere bocciato. Ma quando ho scoperto la bellezza di cercare la verità, quando mi sono appassionato a qualcosa non per un voto scolastico, tutto diventava molto più bello!
Così, quando nella mia esperienza con gli altri, ho fatto esperienza di amicizia gratuita, quando mi sono sentito accettato e accolto perché "ero io" con i miei limiti e i miei difetti, quando ho potuto voler bene non per interesse, questo mi sembrava qualche cosa di straordinario: quasi un andare al di là delle forze della natura, cogliere il senso profondo della vita, addirittura fare esperienza di Dio!
E forse qui è l'esperienza più profonda della mia fede. Anch'io, come tutti gli uomini della terra, credo, mi sono avvicinato a Dio quando cercavo un aiuto, una protezione. Quando si è bambini, non si può fare altro. Ma poi ho scoperto il Dio della gratuità: è il Dio di cui ci parla Gesù! Anzi sono arrivato a pensare che se a noi è impossibile la gratuità, in Dio ce n'è la pienezza! Come si può rispondere al male con la festa?! Io non ne sono capace! Forse voi nemmeno. Dio lo può! La parabola più straordinaria del Vangelo è quella del Padre che, quando il figlio ribelle torna, sa rispondere al male con la festa, con la gioia, con il banchetto straordinario. E se fosse questa la pienezza della gratuità? E se fosse questo il vero volto di Dio ed anche il segreto più intimo della nostra vita?
Ma poi tornano le domande: che significa per me? Nella mia esperienza concreta di ogni giorno, mi è possibile la gratuità, impastato come sono di bisogni, di desideri, della ricerca dell'utilità?
Forse la gratuità è possibile solo a Dio; noi possiamo solo cercarne i barlumi, le tracce, senza stancarci. Intuisco che sarebbe bello se potessi viverla ogni giorno... ma poi mi fermo! perché non so che significa; e so che molte volte non mi sembra nemmeno possibile. Per questo credo che l'avventura di noi credenti sulla terra è l'avventura di povera gente, che va inseguendo Dio - la gratuità, la pienezza dell'amore - senza poterci nemmeno riuscire...
Non si capisce molto? Ma non vi preoccupate: è la vita che non si capisce molto...
Il Signore ci aiuti!
"E non abbiate paura di quelli che XII domenica del tempo ordinario - 20 giugno 1999
uccidono il corpo, ma non hanno Matteo 10, 26-33
potere di uccidere l'anima... Non
abbiate timore: voi valete più
di molti passeri"
Vediamo se un po' di fantasia, ci aiuta a rendere più vicine a noi, più familiari, queste parole che certo sono molto lontane dalla nostra sensibilità, dal nostro modo di parlare ed anche dalla nostra esperienza di vita. Cerchiamo di cogliere il momento in cui Gesù può aver detto ai suoi discepoli parole simili. È chiaro che è un gioco di fantasia; ma a volte può aiutarci a capire. Vi invito a venire con me, a fare un volo con il pensiero, lontano nel tempo e nello spazio.
Ci ritroviamo insieme ai discepoli in una sera d'inverno: fuori piove, è una giornata triste; i discepoli sono rintanati in una delle grotte che là, sulla collina intorno al lago, servono a riparare le greggi durante la notte. Hanno acceso il fuoco, si sono seduti su delle pietre, parlano tra loro. Son lì non soltanto per fuggire dal tempo inclemente, ma anche perché arrivano cattive notizie da Gerusalemme: ormai i capi del popolo hanno deciso di far fuori Gesù; mandano dei soldati a cercarlo, delle spie per sapere dov'è. E loro son costretti a nascondersi su per le colline.
E i discorsi - come spesso succede in questi casi - si fanno pesanti. C'è qualcuno dei discepoli che dice a Gesù: "Perché non ce ne torniamo a casa? ormai è chiaro che la nostra missione si avvia al fallimento. Vedi? rischi di finire su una croce! Perché non te ne torni a Nazareth, a fare il falegname? Perché non lasci anche noi tornare a fare i pescatori? Perché non la piantiamo qui?". Gesù li lascia sfogare: conosce la loro paura, la sente anche dentro di sé...
Ma poi prende a dire: "Vedete, se torno a casa permetto loro di uccidermi l'anima! Possono uccidermi il corpo, possono inchiodarmi su una croce; ma se io fuggo, se rinunzio, se lascio tutto, mi uccidono l'anima. E non posso permettere che mi strappino l'anima! Ho lasciato Nazareth perché avevo dentro qualcosa da dire: un fuoco che mi spingeva ad essere testimone di giustizia e di verità! Non posso tornare indietro: non posso permettere che mi strappino l'anima! Ed anche voi, non abbiate paura! Un uomo vale per quello che ha dentro: vale per i valori di cui cerca di essere testimone. Voi quando andate al mercato potete acquistare per pochi soldi gli uccelli presi in trappola. La vita di un uccello, così preziosa nella bellezza della natura, vale pochi soldi... Ma voi valete di più: valete per quello che avete dentro, per i valori che vi portate nel cuore. Non lasciate che vi strappino l'anima! Noi siamo qui per essere testimoni di vita e di speranza, anche nel momento della persecuzione. Per questo restiamo!".
Uno dei discepoli dice: "Qualche volta, Gesù, proprio non ti capisco. Quando ti perseguitano, ci dici di restare; quando la gente ti cerca per applaudirti, ci dici di scappar via! Ti ricordi? Quando venivano a cercarti addirittura per farti re, dopo che avevi moltiplicato il pane, ci hai fatto preparare in fretta la barca per scappare sull'altra riva del lago. Tu scappi di fronte alla gente che ti applaude e vuoi restare quando rischi di finire in croce... Io questo non riesco a capirlo!". Gesù lo guarda fisso negli occhi e gli dice: "Ti può uccidere il corpo chi ti inchioda su una croce; ma se hai coraggio, non ti strappa l'anima! Rischia invece di strapparti l'anima chi ti applaude, anche la folla che viene a cercarti soltanto perché insegue un mito, un simbolo. La folla, l'applauso possono fare di te un ruffiano!".
E guardando gli apostoli: "State attenti! Verrà un giorno in cui potrete parlare sulle piazze, in cui magari verranno a cercarvi perché sarete dalla parte del potere. State attenti: state lontano dagli applausi della folla: può strapparvi l'anima; mentre non può strapparvela chi vi perseguita e vi inchioda su una croce. A volte, per il futuro del messaggio, per i valori che volete testimoniare nel mondo, è più pericoloso l'applauso della folla che la persecuzione violenta".
E un altro si rivolge bruscamente a Gesù: "Ma siamo seri, una volta tanto! Guardiamoci in faccia. Vedi? siamo quattro gatti, rintanati in una grotta, al buio, soltanto un fuoco... Che ne è del nostro messaggio?! Che ne sarà delle tue parole?!". Gesù lo guarda e con pazienza riprende a parlare: "Non abbiate paura! Verrà anche per voi il tempo che le cose che ascoltate qui, al buio e nel silenzio, potrete dirle in mezzo alla gente. Verrà per voi il tempo in cui potrete portare in mezzo alla gente il mio messaggio. Verrà il tempo di andare lontano da qui, da questa piccola terra: potrete parlare anche a Roma, potrete parlare nel vasto mondo! Ma non sarà più semplice. Anche allora correrete il rischio dell'insuccesso; anche allora troverete gente che ritiene insignificante il vostro messaggio e non vi ascolterà. Il Padre non ci ha mandati per una missione gloriosa e trionfante: ci ha chiesto di essere lievito, di continuare a credere nelle cose che abbiamo nel cuore, di continuare ad essere testimoni di verità e di giustizia, anche quando non otteniamo il successo, anche quando rischiamo di rimanere solo quattro gatti. Non abbiate paura! Continuate a credere, a cercare e a sperare! Voi valete più di molti passeri! Le cose che avete nel cuore sono preziose per gli uomini".
Questi discorsi - frutto di un po' di fantasia - non valgono soltanto per i discepoli vissuti tanto tempo fa, ma anche per noi. Anche a noi qualche volta la speranza vien meno e il coraggio di fare il bene se ne va! Per questo ci ritroviamo qui ogni domenica e tentiamo, anche noi, di ascoltare Gesù!
Il Signore ci aiuti!
"Chi ama il padre o la madre, il figlio XIII Domenica del tempo ordinario - 27 giugno 1999
o la figlia più di me, non è degno di Matteo 10, 37-42
me... E chi avrà dato anche solo un
bicchiere d'acqua fresca ad uno di
questi piccoli..."
Sentenze brevi, secche, dure, paradossali: a più d'uno di noi sembrano lontane dalla nostra vita. Che senso può avere: "Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me" o "Chi perde la propria vita, la trova"? Non sono queste frasi incomprensibili per noi, lontane dalla nostra esperienza della vita? Così sembra, almeno ad un primo sguardo. Ma io ho provato a cercare se nella mia vita, nella mia esperienza concreta, ci fosse qualche episodio, qualche fatto che, in qualche modo, potesse avere a che fare con queste parole. E man mano che ricordavo episodi, avvenimenti, storie, ho trovato tante esperienze di vita, in queste parole, da rimanerne meravigliato. Tanto che, ad un certo punto, mi son dovuto fermare e ho dovuto fare delle scelte tra le cose da dirvi... altrimenti finiremmo domani mattina...
E quindi, prima di cominciare, un invito: provate anche voi ad andare indietro nella vostra vita per cercare tutto quello che in qualche modo corrisponde a queste parole. Quello che io vi dirò, sono fatti molto personali; ma forse può essere per voi uno spunto per pensare, una traccia per ritrovare, nella vostra vita e nella storia del mondo, tutto quello che corrisponde a questa pagina di Vangelo, che sembra così assurda e così lontana dalla vita, ad un primo sguardo.
E dunque, se volete, cominciamo da quando io ero un piccolo bambino: avrò avuto tre o quattro anni e la sera accompagnavo il mio papà - che faceva il portiere in un palazzo di Trastevere - a mettere dietro al portone una grande trave di legno. A me allora sembrava un gioco; quando son cresciuto ho capito: in quel palazzo si nascondevano degli ebrei. Lui era responsabile di questo; e doveva mettere quella trave per paura che di notte venisse qualcuno.. e una notte son venuti quelli delle SS e lui non ha aperto. E così facendo metteva a rischio la sua vita ed anche la vita di noi, dei suoi figli. Lui lo faceva senza farmelo pesare, come una cosa normale: rischiava la sua vita e rischiava la vita di noi bambini! A lui è andata bene; ma a quanta gente non è andata bene... Quanta gente la vita se l'è giocata davvero, per aiutare qualcun altro: per dare una mano a chi era perseguitato, a chi fuggiva impaurito!
Amare Dio più che i propri figli è forse qualche cosa di quotidiano, nella vita di tante persone del nostro Paese, di tante persone in giro per il mondo! C'è tanta gente nella lunga storia del Cristianesimo (ma anche dell'umanità in genere), che ha sacrificato la propria vita per amore degli altri, per amore della giustizia. Ha sacrificato la propria vita e la vita dei propri figli.
Quando ero un pochino più grande, ricordo che a volte bussava alla nostra porta un uomo alto alto, o almeno così sembrava a me, tutto vestito di nero, e tendeva la mano senza mai dire una parola. E mia mamma andava a prendere l'ultima mela o l'ultima arancia (erano tempi di guerra... ); ed io la vedevo sparire nelle mani di quel signore. La rabbia del bambino, che aveva magari sognato di mangiarsi una mela e la vedeva sparire nelle mani di un estraneo... E la mia mamma diceva: "Quando bussa un povero, bussa Gesù!". "Chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me": che sia solo riconoscere in un povero Gesù e condividere con lui qualcosa destinato ai figli? Allora queste non sono parole assurde! E quante persone nel mondo, hanno saputo condividere il pane e quello che avevano con gli altri, così semplicemente: per tenerezza o - chi crede - per fede, per avere ascoltato la parola di Gesù! E di queste cose, nel lungo cammino della mia vita, ne ho viste tante.
Quando ero già prete, un amico con cui avevo condiviso tante cose nella mia giovinezza, che era stato molto prezioso per me, ha deciso di partire per andare a fare il parroco nella periferia di Rio de Janeiro, in mezzo ai poveri di questa nostra terra. Io ho vissuto questo suo progetto come un tradimento della mia amicizia... ho cercato in tutti i modi di trattenerlo. Aveva ragione lui! Là ha potuto fare molto più bene di quanto avrebbe potuto fare qui... e questo non è vicino alle parole del Vangelo di oggi? E non ci sono tante persone, anche qui vicino a noi, che trascurano affetti e amicizie, per inseguire un sogno, un progetto, un arricchimento della propria cultura, per esser più utili all'umanità? E se queste parole di Gesù si riferissero anche a loro?
Avete ascoltato: "Chi non prende su la sua croce e non mi segue, non è degno di me": sembrano parole strane. Cosa significa prendere la propria croce? Io ho visto tante persone prendere su la propria croce: ho visto insegnanti rimanere fedeli ad una classe difficile, anche qui ad Ostia, restare in posti dove è difficile insegnare. Ho visto genitori dedicare con tenerezza e con passione la propria vita ad un figlio handicappato, per offrirgli tutte le possibilità di vita, sacrificando se stessi: il proprio tempo, le proprie vacanze, il proprio divertimento: tutto per amore di un'altra persona!
E se "prendere la propria croce" fosse soltanto questo? E quante croci avete visto nella vostra vita? e quanta gente che l'ha presa su con coraggio e fedeltà, la propria croce, per amore degli altri, per amore della vita? E se queste parole del Vangelo parlassero solo di questo?
E poi "un bicchiere d'acqua": quanti ne abbiamo ricevuti e forse anche quanti ne abbiamo dati? magari senza pensarci! Qualche anno fa, facevo proprio qui una predica sul "bicchiere d'acqua"; e dopo la Messa viene in sacrestia una donna e mi dice: "Si ricorda di me? Ci siamo conosciuti quando lei era nella mia parrocchia". Erano passati 20 anni; l'avevo lasciata che era una ragazzina di terza media; adesso era una donna matura con due bambini. E mi dice ancora: "Allora, anche a me Lei ha dato parecchi bicchieri d'acqua". Non l'ho più rivista... chissà quanti altri bicchieri d'acqua avrò dati, nella vita, senza accorgermene come nel suo caso... E se essere Cristiani fosse tutto qui?
Allora, vedete che queste parole - ad una prima lettura così assurde - forse possono essere molto più vicine di quanto immaginiate alla vostra esperienza di ogni giorno. Quello che ho fatto io - ripercorrere la mia vita cercando di trovarvi una eco di queste parole - perché non lo fate anche voi? Forse vi aiuta, come ha aiutato me, a dire "Grazie!" al Signore per la vita vissuta.
Il Signore ci aiuti!
"Ti benedico, o Padre, perché hai tenute XIV Domenica del tempo ordinario - 4 luglio 1999
nascoste queste cose ai sapienti e agli Matteo 11, 25-30
intelligenti e le hai rivelate ai piccoli....
Venite a me, voi tutti, che siete affaticati
e oppressi e io vi ristorerò".
Mi capitava nei giorni passati di riflettere, ancora una volta, con qualche persona, sul senso di colpa che molti cristiani si portano nel cuore. A molti di noi, fin da quando eravamo piccini, è capitato di ascoltare parole che ci facevano sentire in colpa, inadeguati davanti al Signore, colpevoli di offenderLo! A quanti di voi hanno detto: "Se dici una bugia fai piangere Gesù"?; quanti di voi son rimasti, davanti alla croce, perplessi perché si sentivano dire: "È colpa tua se Gesù è ferito così"? Vi ricordate? quando eravamo bambini avevamo scrupolo anche a lavarci i denti, per paura di non poter poi fare la Comunione. E spesso ci proponevano un modello - un santo - con cui confrontarci... Tante preoccupazioni, tanta paura di offendere il Signore, di essere inadeguati davanti a Lui!
E poi, quando si è diventati più grandi - lo ricorderanno molti di voi - ogni pensiero, ogni fantasia di carattere sessuale portava un senso di colpa, ogni gesto un senso di sporcizia: la paura di offendere il Signore! E poi, lo ricorderete: avere un dubbio, non credere pienamente, anche questo ci faceva sentire in colpa! E ci ripetevano che essere credenti significa credere ciecamente a quello che dice Dio e i suoi rappresentanti sulla terra! La preoccupazione di avere qualche incertezza nel cuore... E poi la paura di non saper pregare: quante volte ho sentito ripetere, anche da molti di voi: "Io non so pregare! Chissà se il Signore ascolta le mie preghiere... Non riesco a rivolgermi a Dio!" (Come se ci fosse un modo di pregare e non bastasse l'intenzione di incontrare il Signore).
Avevamo un rimedio: la Confessione! A molti di noi ha detto bene, qualcuno di noi ha incontrato dei sacerdoti che l'hanno aiutato a capire; ma molti si sono sentiti giudicare con parole severe, si son sentiti mettere un carico sul cuore; a volte anche con urla e minacce di finire all'inferno! Quando ero giovane prete, nella parrocchia di San Luca, spesso mi è capitato di passare per mago o per indovino: perché, quando qualcuno mi raccontava qualche strana avventura in confessionale, dicevo: "Sei stato a confessarti a Santa Maria Maggiore" - "E come lo sa?" - "So tante cose". Erano storie che mi capitava di sentire una settimana sì e l'altra pure.
E se poi qualcuno è incappato in qualche santone - di quelli che pensano di poter scrutare il cuore dell'uomo - mal glien'è incolto per il resto dei suoi giorni!
Qualcuno - molti, mi dicono, nel nostro tempo; e forse ce n'è anche qualcuno in mezzo a voi - ha cercato in dottrine orientali, andando lontano, a cercare là qualcosa che lo liberasse dal senso di colpa. E al principio sono stati magari colpiti da una religiosità che sembrava più tollerante, più serena nell'affrontare la sessualità, più libera dal senso di colpa. Poi si son trovati di fronte alla dottrina del Karma, la terribile dottrina per cui qualunque cosa ti succeda è colpa tua: se non hai fatto del male in questa vita, lo hai fatto nella vita passata! Qualunque incidente, qualunque cosa ti capiti, qualunque tua situazione, è sempre colpa tua. E non c'è nemmeno un prete a cui poter andare a chiedere perdono!
E se qualcuno è andato più a fondo, si è dovuto confrontare con dottrine per le quali la stessa vita può essere male e l'unica strada è liberarsi dalla vita: liberarsi da tutto quello che è passione, desiderio, per finire in un totale nirvana, in una liberazione da tutto, dalla vita stessa... (È chiaro che si tratta di grossolane generalizzazioni, come lo sono quelle sulla nostra religione: ma qui si tratta solo di porre il problema del senso di colpa).
Ci sono i nostri ragazzi che oggi pensano di liberarsi da tutto questo, abbandonando ogni forma di religiosità. Ma, siccome la vita è complicata, anche loro non si liberano dai sensi di colpa. Ne avete conosciuto qualcuno? Hanno anche loro i modelli cui uniformarsi: se non si vestono in un certo modo, se non si fanno decine di buchi negli orecchi e nel resto del corpo, se non possono avere il motorino, si sentono inadeguati; se non sono abbastanza aggressivi, se non sono sufficientemente brillanti, anche questo li fa sentire in colpa, in qualche modo inadeguati ad affrontare la vita. Si rischia di cadere sempre dalla padella nella brace...
E se fossimo capaci, almeno un po', di ascoltare Gesù? Noi che ci crediamo, se fossimo capaci di testimoniare Lui? In Lui c'è veramente la liberazione e la vita! Se hai il cuore pesante perché hai una colpa, sei invitato a camminare ancora; se ti senti paralitico, ti prende per mano e ti dice: "Alzati e cammina!"; se hai un dubbio, ti dice che non è importante sapere tutto, ma continuare a cercare! Se non hai ancora realizzato la giustizia, se ti senti inadeguato, ti dice "Beato! perché ne hai fame e sete!" E non ci chiama a confrontarci con un modello, a raggiungere una meta: il modello, la meta è la perfezione stessa di Dio... "siate perfetti come il padre vostro"... e dunque non è importante arrivare ma camminare....
Ogni volta che incontri Lui ti senti invitato a cercare ancora, a camminare, a conservare ancora i suoi sogni nel cuore, ad avere speranza! Qualunque peso ti porti dentro, Lui ti invita a mangiare e ti ripete: "Non son venuto per i giusti, ma per i peccatori: non hanno bisogno del medico i sani, ma i malati". E chi di noi non è in qualche modo malato? chi non si porta un'oppressione nel cuore, un po' di senso di colpa?
Incontrare Lui è incontrare la dolcezza, la vita! Altro che i rimproveri, altro che le minacce dell'inferno, altro che la paura, altro che il senso di colpa! È LA LIBERAZIONE E LA VITA CHE POSSIAMO INCONTRARE IN GESÙ! Fossimo almeno un po' - noi che diciamo di crederci - essere capaci di testimoniare tutto questo!
Il Signore ci aiuti!
"Ecco, il seminatore uscì a seminare". XV Domenica del tempo ordinario - 11 luglio 1999
Matteo 13, 1-23
No, non l'aveva mai fatta la fatica di seminare, Gesù; anche se aveva vissuto gran parte della sua vita in un paese di contadini. Lui faceva un altro mestiere, il mestiere del padre, il falegname: aveva passato la vita ad aggiustare aratri e ruote, a sistemare carri, a riparare tavoli e armadi. Alla festa della mietitura sì, invece, aveva partecipato, come tutti nel paese. Erano i giorni più belli dell'anno! Sulle varie aie, dopo la lunga giornata di lavoro, quando tutti davano una mano - chi a falciare il grano, chi a raccoglierlo in covoni, chi a trasportarlo - la sera ci si radunava per far festa. Anche lui avrà cantato i canti della tradizione, avrà ballato con le ragazze più belle del paese, nella grande festa della mietitura! Avrà visto gli occhi lucidi dei contadini, mentre mettevano la mano nei sacchi pieni di grano: il risultato della dura fatica dell'anno, la sicurezza del cibo per la famiglia!
Ma del lavoro della semina aveva soltanto sentito parlare. Tante volte i contadini - mentre lui era lì, ad aggiustare l'aratro o una ruota del carro e loro stavano a guardare - gli avevano parlato a lungo della fatica del seminare, del terreno difficile, delle spine che rischiavano di soffocare i semi, dell'ansia per il raccolto, dei tanti pericoli: che non piovesse o che piovesse troppo, o che venissero i bruchi. E soprattutto gli avevano parlato dell'importanza di scegliere bene il seme: si doveva mettere da parte il grano migliore, e occorreva conservarlo con cura, difenderlo dai topi; perché l'anno successivo ci fosse ancora da seminare e si potesse fare il raccolto!
Non aveva mai fatto la fatica di seminare. Ma quando ha lasciato Nazareth e ha cominciato a parlare alla gente, qualche volta si sarà seduto sotto un albero, mentre i suoi discepoli stavano a pescare. E guardando un contadino, lassù, sulle colline intorno al lago, che seminava, avrà pensato: "Adesso tocca a me". Non si trattava di seminare il grano, ma tentare di seminare parole, valori; di mettere dei sogni nel cuore della gente. E quanta fatica! E quanto sembra arido il terreno! Ed anche quei suoi pescatori pieni di entusiasmo, di buona volontà, quanta fatica a capire! E la gente sembrava presa da tante preoccupazioni e così superficiale! E a volte il seme sembrava perduto... e chissà se avrebbe mai visto la mietitura! Quante volte si sarà fermato sotto l'albero a guardare il seminatore; quante volte avrà pensato che adesso era importante che Lui scegliesse i semi giusti e le parole adatte a comunicare i sogni che aveva nel cuore! Quante volte avrà cercato nella preghiera al Padre il conforto e la speranza!
E chissà se ha potuto vedere... noi: che dopo 2000 anni siamo ancora qui, ad ascoltare la sua parola, a cercare di conservare nel cuore i suoi sogni. Chissà se ha potuto vedere tutte le persone a cui - in questi lunghi secoli - ha messo nel cuore la speranza, la fiducia nei suoi valori! Forse no; perché al seminatore è dato soltanto di sognare il raccolto; spesso non può vederlo.
E quello che vale per Gesù, vale anche per noi: per me, per voi. Vale per i genitori nei confronti dei figli: semini, semini... e ti sembra di non vedere mai i frutti del raccolto. Vale per i nonni nei confronti dei nipoti; vale per gli insegnanti. Vale per tutti noi che tentiamo, in questa società, di essere testimoni di giustizia, di pace, di tenerezza; e a volte ci sembra che i nostri sforzi si perdano nel vuoto! Anche noi siamo come Gesù; anche noi dobbiamo cercare, come il contadino di un tempo, di scegliere il seme migliore, di crederci, in questo seme! Anche noi dobbiamo tentare di conservare la fiducia dentro di noi, la speranza che i semi giusti, in qualche modo, porteranno il loro frutto.
Siamo alla fine di questo secondo millennio: noi siamo ancora qui, perché Gesù ha seminato i semi giusti! Siamo qui riuniti nel suo nome! Ed ancora il nostro compito all'inizio di un nuovo secolo, di un nuovo millennio, è quello di seminare. E non vedremo la festa della mietitura, come Gesù...
Lui ci aiuti ad essere testimoni, a conservare nel cuore la speranza e la fiducia!
"Il regno dei cieli si può paragonare XVI Domenica del tempo ordinario - 18 luglio 1999
...al buon seme seminato nel campo: Matteo 13, 24-43
poi apparve anche la zizzania...
ad un granellino di senape... al lievito
che una donna ha impastato con tre
misure di farina perché tutta si fermenti".
Non credo che sia saggio per voi, cristiani di Roma o di Ostia, l'anno prossimo, nel grande giubileo, andare in pellegrinaggio, a visitare i grandi monumenti della tradizione cristiana. Credo che sia saggio lasciare l'opportunità alle migliaia - forse milioni - di persone, che verranno da lontano; voi avrete poi tanti anni per fare il vostro pellegrinaggio. Ma c'è forse un luogo, in cui non troverete tanti visitatori, che merita l'anno prossimo il vostro pellegrinaggio. E quindi ecco il consiglio che vorrei darvi per il prossimo giubileo.
Andate a Campo dei Fiori, c'è il monumento a Giordano Bruno, per ricordare che lì, 400 anni fa, quell'uomo è stato bruciato sul rogo: fate lì il vostro pellegrinaggio. Poi fermatevi nei dintorni, fra l'altro sono tra i più belli di Roma: piazza Farnese, piazza Navona, piazza della Cancelleria, i vicoli intorno a Campo dei Fiori. E girando tra tanta bellezza, provate a riflettere sulla tolleranza e l'intolleranza.
Perché sono problemi che oggi ci inquietano parecchio. Sentite parlare sui giornali dell'intolleranza di alcune tradizioni religiose; in questi giorni si parla dell'Iran degli Ayatollah, della severità della legge islamica; ne abbiamo sentito parlare a proposito della vicina Jugoslavia. Ma anche qui da noi: sentite parlare dell'intolleranza del Nord verso il Sud, di certi atteggiamenti "leghisti", dell'intolleranza verso gli immigrati; e quant'altro.
E d'altra parte sentite sui giornali citare come esempio la "tolleranza zero" del sindaco di New Jork; sentite delle riflessioni sul fatto che - anche nel nostro paese e forse sempre di più - ci sia una sorta di impunità per tanti reati minori: c'è il problema della delinquenza dei giovani, a volte dei giovanissimi, degli extracomunitari. Problemi che viviamo anche qui ad Ostia; di fronte ai quali spesso non c'è la tolleranza, ma il disinteresse; o per dirla alla romana il menefreghismo. Tutti ci richiudiamo nei nostri gusci e lasciamo che le cose vadano come vadano... E molti rischiano di vivere nell'impunità e di rendere sempre più complicata la vita, specialmente degli anziani...
Dove comincia l'intolleranza? dove finisce l'indifferenza? O viceversa: dove comincia l'indifferenza e finisce l'intolleranza?
E questi problemi non riguardano soltanto la società; ma - lo sapete - anche le nostre case. Fino a che punto bisogna essere tolleranti e consenzienti con i figli? E dove comincia la complicità con i loro comportamenti negativi? E quando invece siamo soltanto intolleranti verso una mentalità e dei comportamenti diversi dai nostri? Ed è un problema che riguarda anche le nostre scuole: fino a che punto è giusto essere tolleranti e permettere che i ragazzi facciano di tutto? Dove finisce l'intolleranza e dove invece comincia la serietà e la severità di un impegno educativo? Son problemi seri!
E poi vi conviene rileggere il Vangelo di oggi: per tentare di capire che forse il nostro vero problema non è di essere tolleranti o intolleranti, ma è quello di essere come un seme che cresce e pian piano diventa un albero e porta frutti di giustizia e di vita! Come il lievito che cerca di far fermentare i valori che arricchiscono la società e non si aspetta di vedere subito il risultato; ma che non si stanca, non diventa indifferente. Il lievito non si vede, sta dentro la pasta, sembra quasi non esserci... ma è tutto meno che indifferente: lavora, fa in modo che la pasta cresca.
Colui che è lievito, nella società, forse non sentirà mai il profumo del pane appena sfornato, ma potrà dire, andando la sera a dormire o al tramonto della vita: "Ho tentato di essere lievito, di far crescere i valori in cui credevo. Senza intolleranza, senza ergermi a giudice, ma facendo la mia parte senza indifferenza: tutto quello che potevo, perché il mondo fosse migliore!"
Ecco quello che mi sembra un buon consiglio per il prossimo giubileo: una visita al monumento di Giordano Bruno ed una riflessione sulla tolleranza.
Il Signore ci aiuti!
"Il regno dei cieli è simile a un XVII Domenica del tempo ordinario - 25 luglio 1999
tesoro nascosto in un campo... Matteo 13, 44-52
a una perla di grande valore...
a una rete gettata nel mare,
che raccoglie ogni genere di pesci..."
Il problema di questo 13° capitolo del Vangelo di Matteo, che contiene una serie di parabole, è che a più di una parabola segue un commento. Molti di voi avranno notato la difficoltà di leggere questi commenti. Se qualcuno non l'avesse fatto, può provare a rileggere a casa tutto questo capitolo per distinguere le parabole dalle spiegazioni. I commentatori del Vangelo dicono che queste spiegazioni sono delle riflessioni della prima comunità cristiana; una comunità che credeva che il mondo stesse per finire; e aspettava questa fine con una certa ansia, una certa paura; perché vedeva, alla fine, il giudizio - severo - di Dio. E un'eco di questa paura la trovate nella immagine così forte e brutale degli angeli che si siedono e, come dei pescatori... un pesce buono nel canestro, un pesce cattivo nella "fornace ardente"! Essere trattati come pesci, alla fine del mondo, credo che non rallegri nessuno di noi... Ed è per questo che, quando si arriva alla fine del 13° capitolo del Vangelo di Matteo, con un certo senso di fastidio, si salta quest'ultima parabola. Questo non succede soltanto a me: succede anche a quelli che scrivono commenti del Vangelo in grandi libri.
Questa volta, anche per non ripetere sempre le stesse cose, mi son chiesto se non ci fosse qualche cosa di importante anche in questa parabola. E mi sono fermato allora (è la prima volta che mi capita, in tanti anni) proprio sulla parabola della rete piena di pesci di ogni genere.
Provate ad immaginarla, questa rete calata nel mare che viene tirata su piena di pesci; pesci di ogni genere: grandi, piccoli, di ogni colore, buoni, cattivi qualcuno addirittura velenoso.... Non sembra, questa immagine, il contrario di quello che abbiamo letto subito prima? "Il regno di Dio è come un tesoro nascosto in un campo; come una perla preziosa: due immagini di bellezza e di perfezione!... Perché un contrasto così forte, fra un tesoro, una perla preziosa e una rete piena di pesci di ogni genere?
Forse qui c'è qualche cosa di importante per tutti noi. Perché, vedete, il regno di Dio è come un ideale, un sogno, un progetto: il progetto stesso di Dio nella nostra vita! Ma questo progetto è affidato a noi! Se confondiamo il progetto di Dio - il suo regno, il sogno verso cui camminiamo - con la realizzazione che noi siamo, con la chiesa concreta che vive sulla terra, rischiamo di non capire più. Quello che noi siamo, somiglia ad una rete piena di pesci: diversi gli uni dagli altri.
Nel lungo cammino che io ho fatto all'interno della comunità cristiana, ho sempre più notato questa profonda diversità. Siamo tutti diversi: per l'aspetto, l'età, il carattere... e non solo, abbiamo anche modi diversi di pensare, di parlare, di credere, di comportarci...
Non solo: non siamo solo diversi, ma siamo anche pieni di imperfezioni. Il bene e il male non stanno soltanto fuori di noi, ma anche dentro di noi! Quando ero giovane sognavo una chiesa perfetta! sognavo anch'io di diventare santo! Poi mi sono accorto che ero un pover'uomo - in mezzo ad altri poveri uomini - che tentava di conservare dei sogni nel cuore!
È importante quest'ultima parabola! E forse proprio quest'ultima parabola spiega le altre. Perché, nonostante quello che noi siamo, nonostante le nostre diversità ed anche le nostre imperfezioni, È IMPORTANTE CHE NON PERDIAMO LA SPERANZA! che conserviamo nel cuore il desiderio del tesoro, che è il progetto di Dio; della perla preziosa, che è la realtà di Gesù nel nostro mondo! I sogni di Dio sono affidati alle nostre mani! Ma non dobbiamo perdere la speranza, pur così come siamo con le nostre imperfezioni: povera rete piena di pesci di ogni genere... E continuare a sognare i valori di Gesù, a tentare di costruirli nella nostra vita!
Il Signore ci aiuti!
"Se qualcuno vuol venire dietro XXII Domenica del tempo ordinario - 29 agosto 1999
a me rinneghi se stesso, prenda Matteo 16, 21-27
la sua croce e mi segua".
Come avete ascoltato, le letture di oggi ci propongono il tema della croce, che riguarda anche oggi tante persone nel mondo e che a volte attraversa anche la nostra vita. Un tema forte e drammatico che mal si addice a queste ultime domeniche di estate, ad ascoltatori accadalti, come vedo dai tanti ventagli che agitate. E allora, cercando di farla corta, vorrei dirvi qualche cosa di marginale, ma che forse vi conviene ascoltare attentamente, perché può aiutarvi, riflettendoci sopra, a capire come a volte dei temi importanti, anzi fondamentali, del Vangelo possono venire distorti e, invece di aiutare a vivere, procurano guai nell'esperienza concreta delle persone.
Mi capitava questa estate di riflettere con due ragazze abbastanza giovani - che forse non si rendevano conto della gravità del problema - su quanto nella nostra società, soprattutto nella cultura medica del nostro paese, ci sia poca attenzione al problema del dolore. Non so se ve ne siete accorti, ma i nostri medici ritengono scontato che il malato soffra. Oggi gli studi hanno portato la medicina ad essere in grado di eliminare quasi completamente il dolore dalla vita delle persone; ma la maggior parte dei medici non se ne preoccupa: la sofferenza è considerata un fatto naturale. Non è forse uno dei frutti di una certa cultura cattolica? Non ci hanno fatto fare, quando eravamo bambini, tanti "fioretti"? non ci hanno detto che la sofferenza offerta a Dio è a Lui gradita? non ci hanno raccontato storie di santi che si flagellavano, che portavano il cilicio, che facevano lunghi digiuni e penitenze? Tutto questo porta ad una cultura in cui il dolore viene dato come normale, addirittura come qualche cosa di salvifico, gradito al Signore!...
Noi non dovremmo accettare questa cultura; dovremmo esigere dai nostri medici anzitutto che siano competenti su questo aspetto: spesso non ne sanno nemmeno loro gran che. La ricerca è andata molto avanti in questi campi. Un esempio: in Italia il parto indolore, con anestesia, viene praticato in pochissimi casi; in altre parti del mondo è una cosa normale. E non dite che molti dei nostri, medici non credono più al Signore o non praticano la religione: queste cose si stratificano nella cultura di un popolo e tutti noi abbiamo, io credo, il dovere di combattere: dobbiamo esigere - per noi e per i nostri familiari - di non soffrire. La sofferenza non è affatto gradita a Dio e non è affatto una cosa naturale! L'uomo ha il dovere di combatterla! Dobbiamo esigere dai nostri medici una competenza autentica su questi aspetti. Soprattutto su quell'aspetto, così trascurato nel nostro paese, che è la sofferenza psichica, spesso così pesante e devastante. Se avete - voi stessi o una persona che vi è cara - un problema di sofferenza psichica e andate dal medico di famiglia, ancora vi consiglia di fare un viaggetto, di distrarvi un po' e di portare pazienza!... Tutto questo è indegno di un paese civile ed è frutto, forse, di una cultura cattolica, che ha proclamato la salvezza che viene dal dolore e dalla sofferenza.
"Portare la croce" - come facilmente potete comprendere se ci riflettete un momento - è tutta un'altra cosa. È un problema estremamente serio, che riguarda l'uomo giusto che si trova ad affrontare la violenza, che gli impedisce di realizzare la giustizia sulla terra. E a volte questo comporta la croce, la sofferenza e la morte anche oggi! Ma accettare che un malato terminale stia nel letto con sofferenze indicibili, quando gli si possono togliere - e oggi la scienza è in grado di toglierle in maniera totale -, questo è insopportabile! Non ha nulla a che spartire con il Vangelo. Non ha nulla a che spartire con la croce. Non ha nulla a che spartire con il rispetto che si deve a Dio.
Allora, se posso darvi un consiglio: tutti noi abbiamo da portare delle croci nella vita; ma tutti noi dobbiamo esigere dai nostri medici che non ci facciano soffrire. Perché oggi si può.
Parlatene di queste cose: portiamo il peso di una cultura cattolica di cui siamo tutti responsabili! Non aspettate che di queste cose parlino coloro che scrivono libri, coloro che parlano dalle cattedre: è compito di tutti noi, che queste cose le viviamo, a volte, sulla nostra pelle.
Il Signore ci aiuti!
"Figlio dell'uomo, io ti ho costituito XXIII Domenica del tempo ordinario - 5 settembre 1999
come sentinella per gli Israeliti... " Ezechiele 33,7-9 - Matteo 18,15-20
"Se il tuo fratello commette una
colpa, vai e ammoniscilo... "
Come il profeta, anche noi siamo invitati ad essere "sentinelle", contro il male. E Gesù nel Vangelo ci esorta alla correzione fraterna: "Se il tuo fratello commette una colpa, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se non ti ascolta chiama due o tre testimoni..."
Quando si legge insieme questa pagina del Vangelo, c'è sempre qualcuno che si sgomenta. Sono parole che sembrano semplici; ma quando ci si domanda come le viviamo nella nostra vita concreta... È mai successo a qualcuno di voi di andare da un altro e ammonirlo "fra te e lui solo"?
A volte la gente non riesce nemmeno coi figli. Quando i ragazzi crescono e magari prendono una strada sbagliata, assumono un comportamento non giusto, a volte dire una parola non si può: si rischia di far peggio, di combinare dei guai, bisogna stare zitti. A volte è difficile anche fra marito e moglie dirsi qualcosa: si tiene il muso, ci si sfoga con qualche amico, ma è difficile parlare! È meglio certi argomenti non affrontarli, si rischia solo di litigare. A volte anche tra fratelli si creano delle situazioni difficili e spesso non si riesce a dire una parola, non si può correggere niente, è meglio tacere. E se provate a cercare aiuto da qualcuno, nessuno è in grado di darvelo. Altro che trovare due o tre testimoni per risolvere tutto!
Tutto questo sia detto a vostra consolazione: perché penso che molti di voi si siano trovati in queste difficoltà e abbiano sentito pesare sulla propria coscienza queste parole del Vangelo.
Non parliamo, poi, nell'ambito del lavoro o della società civile: a chi di noi è riuscito di correggere qualche comportamento sbagliato nel posto dove lavoriamo, nella nostra città, nel mondo in cui viviamo? E vedete, non succede soltanto a noi che viviamo nel 1999: era così anche per quelli che hanno scritto il Vangelo. Tanto che hanno aggiunto alcune parole per dirci: è vero, è difficile; però se non lo fate voi non lo fa nessuno. È questo, molto probabilmente, il senso della frase: "Tutto quello che voi legate sulla terra sarà legato anche in cielo; tutto quello che voi sciogliete, sarà siolto anche in cielo". Cioè non viene il Padreterno a risolvere i problemi: o li risolvete voi, o non li risolve nessuno.
E poi insistono: "Però non è semplice: tanto che se due o tre di voi si mettono d'accordo, il Padre li esaudirà". Il che significa che riuscire a mettersi d'accordo, anche nella propria casa, è quasi un miracolo!
Allora, consoliamoci a vicenda: mal comune - dicevano gli antichi - mezzo gaudio. Ma forse posso darvi anche una consolazione in più. Vedete, a volte certe cose ci sembrano difficili e poi, magari senza accorgercene, le facciamo. Tra di voi ci sono molti genitori che hanno avuto difficoltà nei confronti dei loro figli, che si sono trovati, in qualche momento, in profondo imbarazzo a dir loro qualcosa. Ma se ripensate alla vostra vita - magari chi ha i capelli bianchi - vi accorgerete che spesso siete riusciti a correggere un figlio, a dargli le indicazioni giuste, specialmente quando erano piccoli! Avete comunicato loro valori, li avete fatto crescere con il senso della giustizia, dell'onestà.
E anche sul posto del lavoro: molti di voi magari non sono riusciti a parlare, ma hanno dato testimonianza di fedeltà, di onestà, di impegno. Ed anche nella società... se il mondo va avanti è perché c'è tanta gente come voi che, senza brontolare troppo, continua a fare il proprio dovere.
Possiamo fare qualcosa di più? forse, ma non molto. Se posso aggiungere qualche banalità: non serve brontolare, lamentarsi (oggi lo fanno già in troppi), serve ancor meno giudicare e condannare: è molto meglio cercare di capire. E poi forse è meglio (nel mondo di oggi siamo sommersi da tante parole) che ci sia sempre più gente che parla poco, ma tenta di rimanere fedele, di agire concretamente, di fare qualcosa. E questo è forse il modo migliore per essere "sentinelle", per portare il nostro contributo a che nel mondo ci sia meno male. Non aiuta il mondo chi brontola, chi si lamenta, chi parla sempre, chi ha un giudizio su tutti; ma chi cerca, magari silenziosamente, di svolgere il proprio compito nella vita: con fedeltà, con pazienza, con coraggio!
Lo so che non è semplice... Per questo siamo qui, a chiedere l'aiuto del Signore!
"Signore, quante volte dovrò XXIV Domenica del tempo ordinario - 12 settembre 1999
perdonare al mio fratello, se Matteo 18, 21-35
pecca contro di me? Fino a sette
volte?". E Gesù: "Non ti dico fino
a sette, ma fino a settanta volte sette".
Uno dei segni del tempo che passa, dei giorni che si sommano ai giorni, dei capelli che diventano bianchi, è - credo che siate in molti d'accordo con me - che si diventa insofferenti. Ed anche io mi accorgo di diventare sempre più insofferente verso tante cose. Tra queste ci sono le parole, i discorsi che mi appaiono vuoti, quando non addirittura falsi e ricchi di ipocrisia. Una di queste parole è proprio la parola "perdono". Mi è capitato più volte di dire che, se dipendesse da me, la toglierei dal vocabolario cristiano. Qualche esempio, per aiutarvi forse a riflettere, a domandarvi cosa può significare a volte chiedere perdono, perdonare, essere perdonati.
Mi capitava qualche tempo fa di ascoltare la notizia di un uomo, che aveva investito con la sua auto un bambino, non si era fermato; poi lo avevano cercato, finalmente preso; e in carcere aveva scritto una lettera ai genitori del bambino, per chiedere perdono per quello che aveva fatto. Che significa in questo caso chiedere perdono? E che cosa può significare per quei genitori concedere il perdono? Che senso ha? non vi sembra una parola del tutto vuota? Chi chiede perdono, è veramente cambiato dentro? Se gli dovesse capitare, un'altra volta si fermerebbe ad assistere il bambino? E per quei genitori... che significa perdonare? La richiesta di perdono non è un altro colpo alla loro vita? Se dicono: non perdono... non hanno più diritto di sentirsi cristiani? E se perdonano: che senso ha? Chi può ridare loro il figlio?!
Qualche tempo dopo queste domande, mi capitava di ascoltare, per l'ennesima volta, il Papa che, a nome della Chiesa, chiedeva perdono. Lo ascolti una volta, magari dici: "Oh che bella cosa! Finalmente nella Chiesa chiediamo perdono per gli errori del passato". Lo ascolti due volte, tre volte e ti domandi: "Ma che senso ha?". Che senso ha chiedere perdono se non si riflette sul perché di quegli errori; senza magari evitare di ripeterli ancora oggi! Che senso ha chiedere perdono per gli errori del passato, quando i protagonisti non ci sono più, quando non serve a cambiare nulla?!
Il prossimo giubileo sentirete tante volte richieste di perdono; magari con cerimonie solenni. Chissà, forse il 17 febbraio si andrà in pellegrinaggio a Campo dei fiori (stanno restaurando la statua di Giordano Bruno e tutta la piazza... Campo dei fiori diventerà bellissimo!): si farà forse una grande cerimonia, per chiedere perdono perché quell'uomo, 400 anni fa, fu bruciato sul rogo; ci batteremo il petto... o meglio: si batteranno il petto! Quando vedrete queste immagini alla TV, domandatevi: che senso ha? Perché tutto questo?! Non è un prendersi in giro chiedere perdono di cose successe 400 anni fa, senza chiedersi quali siano state le cause di quel rogo, magari con il rischio di ripeterlo ancora, anche se in modi meno cruenti?...
Forse - ma questo non lo vedrete l'anno prossimo: non sono ancora passati i secoli - bisognerebbe fare il bilancio di questo secolo e fare l'analisi dei tanti crimini commessi dai cristiani negli ultimi cento anni: i campi di concentramento, lo sterminio di milioni di persone... senza che coloro che andavano a messa la domenica si siano accorti di nulla! senza che preti, vescovi, cardinali e la maggior parte del popolo cristiano abbiano alzato la voce: contro Hitler, contro lo sterminio, contro l'olocausto!
Se facessimo grandi cerimonie di pentimento, se anche, come nei tempi antichi, andassimo per le strade d'Europa battendoci le spalle con verghe di ferro... a che servirebbe se non cerchiamo di capire che cosa è accaduto? perché della gente che legge il Vangelo ogni domenica, non ha capito nulla, anzi ha dato il proprio consenso alle cose più efferate di questo tempo?!
E che senso ha, allora, continuare a fare i nostri canti, le grandi assemblee, gli applausi, senza tentare di capire e cercare il modo che quelle cose non accadano anche oggi? Non succederà che nel prossimo giubileo qualcuno andrà in giro a chiedere perdono per quello che è successo nella vicina Jugoslavia o per quello che sta succedendo oggi a Timor, senza che noi siamo stati in grado di intervenire, di fare nulla? Forse non sarebbe bene che non chiedessimo più perdono? che guardandoci negli occhi ci chiedessimo seriamente se si può fare qualcosa?
Io vi ho proposto - ma l'ho fatto apposta - problemi grandi, che sfuggono alla vostra capacità di intervenire. Ma questi discorsi valgono anche per i piccoli problemi di ogni giorno Quando avete detto a vostro figlio: ti perdono, chiedetevi: che significa? che ho detto? che vuol dire?!... Quando dite a vostra moglie: Ti perdono, o quando le dite: mi devi chiedere perdono... che vuol dire?! se non cerchiamo di capire, di incontrarci, di guardarci negli occhi, di ritentare di camminare insieme!
Una proposta, inascoltata: cancelliamo la parola perdono! non usiamola più: è spesso solo ipocrisia. Cerchiamo di capire come la nostra vita può essere più ricca di attenzione, di tenerezza, di comprensione! Tentiamo di parlarci, anche delle cose di ogni giorno: forse qualcosa riusciremo a cambiare. Altrimenti continueremo a chiedere perdono al Signore ogni mattina, a chiedere perdono al Signore ogni sera. Siamo abituati a batterci il petto, a chiedere perdono... ma poi non cambia mai niente! Perché è difficile pensare, è difficile parlarsi, è difficile riprendere la strada. Ma son proprio queste cose difficili che hanno senso! Altrimenti le nostre parole sono sempre più vuote...
Il Signore ci aiuti!
Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto XXV Domenica del tempo ordinario - 9 settembre 1999
le mie vie sovrastano le vostre vie. Isaia 55, 6-9 - Matteo 20,1-16
Disse il padrone della vigna:
"Non posso fare delle mie cose
quello che voglio?".
Non so se mi riesce di aiutarvi; ma a me sembra che in questa parabola si possa cogliere qualcosa di essenziale per la nostra fede. Vorrei non certo spiegare, ma aiutarvi ad intuire un aspetto fondamentale del nostro credere. Non solo: ma cogliere quest'aspetto è oggi particolarmente urgente, perché sono cambiati profondamente la nostra mentalità e il nostro modo di vedere la vita. Mi sembra che sia in gioco qui, specialmente per i nostri ragazzi, la possibilità di credere.
Vediamo la parabola di oggi: c'è un padrone che, alla fine della giornata, fa i conti con i suoi operai e dà a tutti lo stesso salario. Quelli che hanno lavorato tutto il giorno si ribellano: "Com'è possibile! questi hanno lavorato un'ora soltanto, sono dei fannulloni, e li tratti come noi?". Il padrone risponde: "I soldi sono miei; ne faccio quello che mi pare". No! Tu, padrone, non puoi fare quello che ti pare e piace: devi osservare la giustizia. Un tempo i padroni facevano quello che volevano - anche oggi, in gran parte - ma a noi non sembra giusto.
Se poi considerate che qui non si parla della giusta paga agli operai, che questa è una parabola della vita... allora il discorso si fa più grave e complesso. Perché, se Dio è il Signore della vita noi non accettiamo più che faccia come gli pare. C'è un passo del libro di Giobbe che io ho tante volte ascoltato citare da persone per cui avevo un grande rispetto e ritenevo profondamente giuste. Conoscete la storia di Giobbe: ad un certo punto Giobbe, il giusto, perde tutti i suoi beni e tutti i suoi figli. Agli amici che vanno a consolarlo dice: "Il Signore ha dato, il Signore ha tolto! Sia benedetto il nome del Signore!". Un tempo guardavo con ammirazione chi poteva ripetere queste parole; ma poi ho incontrato tanta gente che diceva: "Questo è profondamente ingiusto! Dio non può dare e togliere come gli pare. Non può accadere che delle persone malvage ridano e godano e dei giusti, come Giobbe, perdano i beni, i figli, qualche volta la vita stessa!".
Quante volte ho sentito gridare: "Perché tanta ingiustizia nel mondo? Perché tante disgrazie? Dov'è Dio? Perché fa come gli pare?" Se Dio è il Signore della vita, se dipendono da Lui i fatti che accadono, se è Lui che premia e castiga, noi ci sentiamo in diritto di chiedergli conto di ciò che accade. Noi non sappiamo (o non possiamo) più dire come gli antichi: "Il Signore ha dato, il Signore ha tolto"; noi chiediamo conto a Lui della giustizia: noi vorremmo un Dio che governi il mondo con giustizia! Dov'è il Dio che governa il mondo, dov'è la sua giustizia?!
E se questo Dio non ci fosse? Se Dio non avesse nulla a che spartire con gli accadimenti della nostra esistenza? Se Dio con le malattie, le disgrazie, i terremoti, le guerre... non c'entrasse? E se un minor numero di ingiustizie dipendesse soltanto da noi, dalla nostra passione?
Noi cerchiamo in Dio la protezione e il benessere, la sicurezza e il premio... e se Dio stesse da un'altra parte? Noi gli chiediamo aiuto e sicurezza, un compenso per le nostre opere buone... e Lui ci parla di gratuità, di giustizia e di impegno... Al Signore della parabola non interessa il premio e il castigo: a Lui interessa che la gente venga a lavorare; e non si stanca di andarla a cercare!
E se nel Dio in cui crediamo potessimo cercare solo il senso di quello che noi siamo, il valore autentico del nostro cammino sulla terra, i valori essenziali della nostra vita? Se Dio lo potessimo trovare solo nella gratuità, nell'impegno per costruire il mondo, nel lavoro per la vigna, senza preoccuparci del denaro che riceveremo?
Troppo spesso ci hanno insegnato a cercare in Dio aiuto e sicurezza, troppe volte ci hanno detto che Dio premia e castiga... Occorre che mi aiutiate tutti; perché altrimenti devo dire alle persone (come mi è capitato tante volte), che a volte un po' di "sano ateismo" è molto meglio di una "fede distorta"!
Non è facile per noi, intrisi come siamo di tanti bisogni... E Isaia ci ha avvertito: le vie di Dio sono alte sulle nostre vie, come il cielo è alto sulla terra...
Il Signore ci aiuti!
"Che ve ne pare?... Chi dei due ha XXVI Domenica del tempo ordinario 26 settembre 1999
compiuto la volontà del padre? ... Matteo 21, 28-32
In verità vi dico: i pubblicani e le
prostitute vi passano avanti
nel regno di Dio".
La parabola di stasera è fin troppo semplice. E proprio per questo vien la voglia di capire. Provate a chiedervi: Perché uno dice sì e poi non va, un altro dice no, poi si pente e va? Forse può aiutarci a capire l'esperienza capitata ad un mio amico qualche tempo fa. Nel posto dove lavorava si trovavano spesso a fare una riunione per organizzare il lavoro, per cercare di mandare avanti, in qualche modo, l'azienda. E quest'amico si accorgeva che un suo collega a volte diceva delle cose, che sembravano non avere gran che a spartire con l'argomento del giorno, con quello su cui si stava discutendo. Una volta, due volte, tre volte... Si domandava perché dicesse delle cose così strane; che fra l'altro sembravano essere apprezzate dal capo. Ne parla con un altro collega che, con un sorriso, gli dice: "Ma come sei ingenuo! Non ti accorgi che quello dice sempre l'ultima cosa di cui, due o tre giorni prima, ha parlato il capo?". Allora ha cominciato a capire: quell'uomo, più che essere attento ai problemi dell'azienda e del lavoro, si preoccupava di quello che diceva il capo, di come apparire gradito ai suoi occhi, di dire il suo sì. Non solo ma, a conoscerlo bene, gli sembrava che fosse in buona fede, che gli sembrasse giusto comportarsi così! E il bello è - diceva il mio amico - che il capo gradiva; e quando s'è trattato di proporre qualcuno per una promozione, ha proposto proprio lui; anche se in fondo non era un gran lavoratore e si preoccupava poco del benessere dell'azienda; si preoccupava più di dire il proprio "SI" al capo!...
Il Vangelo di oggi ci dice che Dio non è così. Se ricordate, la volta precedente il Vangelo ci diceva che Dio non ama il premio e il castigo, la ricompensa, ma chi lavora con gratuità e impegno. Oggi ci dice che Dio non ama l'adulazione, coloro che dicono sì, coloro che vogliono soltanto apparire; ma chi, con gratuità, si interessa del lavoro nella vigna, chi prende passione per il bene!
E badate: non è facile per noi, perché viviamo in una società in gran parte basata sull'apparire più che sull'essere. E qualche volta non ce ne accorgiamo, proprio perché abituati a questo apparire. Sentiamo tante volte parlare alla TV persone importanti, giornalisti, preoccupati di apparire simpatici, più che di dire le cose che son giuste e vere. Non parliamo, poi, del mondo politico, che deve catturare la nostra benevolenza e la nostra attenzione.
E anche a scuola, gli insegnanti a volte sembrano privilegiare, chi sa rendersi gradevole; ed anche in famiglia a volte, per mancanza di dialogo, i figli son costretti a far finta di dire il proprio sì, per poi cercare di non fare ciò che non ritengono giusto. Ma anche la nostra educazione religiosa non è spesso volta ad essere graditi a Dio con preghiere, riti e invocazioni? Avete notato che spesso nella Chiesa c'è più apparenza che sostanza? Pensate a certe celebrazioni dei matrimoni o, che so, della prima Comunione; o a certe processioni, o a certe grandi feste, o a certe manifestazioni solenni: a volte è molta apparenza e poca sostanza ...
E se Dio fosse diverso? Se a Lui premesse non che gli diciamo il nostro sì, che moltiplichiamo le nostre preghiere, le nostre processioni, le nostre feste... ma che prendiamo passione per la vita, per il bene, per la costruzione del mondo?... Dio non ama l'adulazione: non ama quelli che vogliono soltanto apparire, quelli che dicono "sì". Dio ama la gratuità, l'impegno, l'amore disinteressato, quelli che fanno! Per noi non è facile!
E, chissà, forse vi conviene anche riflettere su quello che il Vangelo dice alla fine: che le prostitute sono le prime a poter accorgersi di un annunzio nuovo e convertirsi! Costrette per mestiere e per denaro a far finta, ad apparire, a dire sì, possono più facilmente scoprire che c'è un'altra realtà, che c'è la gratuità, le cose fatte non per apparire o per sentirti dire "bravo!", non per adulare i potenti... ma che si può vivere con un pizzico di passione nel cuore, con la voglia di gratuità, il bisogno di libertà, di scegliere la vita e il bene!
Non è facile, per noi. Il Signore ci aiuti!
Canterò per il mio diletto il mio XXVII Domenica del tempo ordinario - 3 ottobre 1999
cantico d'amore per la sua vigna... Isaia 5, 1-7 - Matteo 21, 33-43
Da ultimo mandò loro il proprio figlio...
ma quei vignaioli, presolo, lo
cacciarono fuori dalla vigna e l'uccisero.
Noi siamo qui intorno alla tavola - è Gesù che ci convoca ogni domenica - per incontrare Dio, per cercare il suo volto, per tentare di intuire chi è Dio per noi. E' il compito essenziale del credente: cercare Dio, tentare di capire - o se non proprio di capire - di intuire chi sia Dio. E non è facile per noi: veniamo qui con tutti i nostri bisogni, con tutte le nostre idee di un Dio grande e onnipotente.
Oggi abbiamo ascoltato tre parabole che tentano di parlarci di Lui; potremmo chiamarle le parabole del fallimento di Dio.
La prima parabola è del profeta Isaia: Dio è come un contadino, che ha "una vigna su un fertile colle ... l'ha vangata, ha piantato scelte viti... aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica". Avessero raccontato questo a mio nonno, avrebbe detto: "Ma qualcuno gli insegni a fare il vino! Evidentemente non ha saputo innestare le viti o non le ha potate al momento giusto o non ha zappato come si doveva. Non è un buon contadino!". Ma se qualcuno gli avesse detto: "Attento, nonno: qui non si parla delle viti che tu sai coltivare così bene; qui si parla degli uomini". Ah! allora il nonno si sarebbe fatto più perplesso. Era uomo saggio, aveva tanta esperienza; sapeva che con gli uomini è diverso che con le viti. Non basta mettere tutto il proprio impegno: a volte gli incontri che si fanno, le esperienze... possono deviare un figlio. Eppure, se ci avesse ripensato, mio nonno avrebbe detto: "Ma io ho avuto sette figli; son riuscito a farli crescere tutti retti e giusti. Come mai Dio non è stato capace di far così con la sua gente?! Perché "si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi"?
E il Vangelo ci parla di un padrone, anzi di un padre... anche lui ha la sua vigna. E manda prima i suoi servi e poi suo figlio. E vengono uccisi i servi, buttato fuori della vigna il figlio... Che padre è, che non sa custodire i suoi servi, che mette a rischio della vita suo figlio?! Ancora, il suo fallimento. E l'ultima parabola: Dio accetta che la pietra fondamentale sia scartata dai costruttori.
Ecco: il Dio di cui ci parlano le parabole di oggi è un Dio che non sa coltivare la sua vigna, che non sa proteggere suo figlio, che accetta di essere "pietra scartata" nella lunga storia dei suoi uomini! Chi è Dio? Noi ci aspettiamo un Dio potente, forte, che custodisca il mondo... ci portiamo queste idee nel cuore perché pensiamo di averne bisogno e poi ci hanno tante volte parlato di un Dio onnipotente, forse perché chi come me predica dall'altare pensa che un po' della onnipotenza di Dio possa coinvolgere anche la propria persona. Gesù non ha bisogno di parlarci di un Dio così, ci parla del fallimento di Dio... forse non possiamo parlare di fallimento; ma di debolezza di Dio, sì!
Il Dio che conosciamo è un Dio che muore sulla croce, è un Dio che accetta che i suoi figli vadano per altre strade; è un Dio che non riesce ad impedire la violenza di questo mondo. Il Dio che noi aspettiamo si scontra con le immagini di oggi: ci presentano il Dio dell'impotenza, della debolezza; il Dio che si affida a noi, che provoca la nostra libertà... ma è il Dio che continua ad amarci, a cercarci anche quando noi non lo accettiamo! il Dio che continua con passione a cercare gli uomini, a provocare la loro libertà! Lui continua a farlo dall'alto di una croce.
Tutti noi stasera ci portiamo nel cuore una preghiera: vorremmo che Dio intervenisse nella nostra vita, che cambiasse la nostra storia o cambiasse il mondo... E Lui, eccolo qui: le braccia inchiodate sulla croce, spalancate fra cielo e terra! Noi tendiamo le mani verso di Lui e Lui continua a provocarci, a chiedere - Lui, a noi - l'amore, il coraggio della vita, i frutti del bene! Non è facile per noi. Ma l'unico Dio che conosciamo è questo: il Dio di cui ci parlano le parabole di stasera. Non è facile per noi accettarlo! Ma non c'è un altro Dio, se non il Dio di Gesù Cristo; non c'è un altro Dio che il Dio che muore per noi sulla croce!
Il Signore ci aiuti a capire, ad intuire qualcosa di Lui, della sua vita!
"Il banchetto nuziale è pronto: andate XXVIII Domenica del tempo ordinario - 10 ottobre 1999
ai crocicchi delle strade e tutti quelli Matteo 22,1-14
che trovate chiamateli alle nozze".
Non ho mai avuto interesse per i gioielli, per le pietre preziose; mi sembrava - e in gran parte mi sembra ancor oggi - un modo di sciupare i denari. Eppure, ho visto che non solo nella storia degli uomini sono oggetto di grandi passioni, ma anche nel Vangelo sono uno dei simboli che possono aiutarci a capire Dio.
Mi è capitato a volte di guardare con curiosità qualche documentario in cui si racconta la fatica dei cercatori di pietre preziose: debbono setacciare montagne di terra; e avere l'occhio capace di intuire sotto la polvere e il fango la presenza di una pietra straordinaria. E quando qualcuno ne trova una vedete i suoi occhi illuminarsi: probabilmente cambia la sua condizione economica e la sua vita.
Un'esperienza simile mi sembra di aver fatto con qualche pagina del Vangelo: e specialmente con quella di oggi. Perché, vedete, a mio avviso ci troviamo di fronte ad una perla straordinaria; ma per scoprirla bisogna togliere via montagne di terra e liberarla da tutto il fango e le incrostazioni del tempo. E ce ne sono, fin dall'inizio. Non so se avete ascoltato con attenzione e sorpresa questa parabola. Si parla di un re che fa un banchetto di nozze: invita dei commensali e stranamente questi non solo non accolgono l'invito, ma addirittura uccidono coloro che vengono ad invitarli alla festa. E cosa fa il re? manda i suoi eserciti a distruggere e bruciare quella città e ad uccidere quegli invitati. Non vi sembra esagerato per una festa a cui qualcuno non ha voglia di partecipare? Ebbene, a me sembra che qui ci sia tutta la polvere degli uomini... e come meravigliarci se i sogni di Dio - se le perle di Dio - affidati a della gente come noi, vengono ricoperti di terra e di fango?!
Vedete, man mano che i primi cristiani raccontano questa parabola la caricano dei loro rancori, del loro desiderio di vendetta: quando vedono Gerusalemme in fiamme pensano che sia "la vendetta di Dio": è venuto l'esercito di Tito che ha portato distruzione e morte. E chi ripete questa parabola dice: "Ecco, non hanno voluto accettare l'invito del Signore, ma Dio ha mandato il suo esercito e ha distrutto tutto"... È la polvere, il desiderio di vendetta degli uomini, il rancore - giustificato per loro - perché molti di loro sono stati uccisi: c'erano (quando si radunavano come noi intorno alla tavola) delle mamme, dei papà ai quali i farisei, i capi del popolo, avevano ucciso i figli. Come non vedere la vendetta del Signore in quell'esercito? Ma per noi questo è insopportabile...
Ma c'è altra polvere in questa parabola: gli studiosi ci avvertono che oggi abbiamo ascoltato due parabole: la seconda è stata aggiunta dopo. Mentre parlano con gioia di una festa che si fa anche se i primi invitati non sono voluti venire, mentre si riconoscono nei nuovi invitati "ai crocicchi delle strade", i bravi maestri del tempo di Matteo sentono il dovere di aggiungere: "Attenzione, però! non basta essere invitati alle nozze: bisogna avere l'abito bello!".
E quanta terra, poi, su questa parabola! Quando ero ragazzo l'ho sentita raccontare tante volte. Mi dicevano: "Ecco, tu sei come questi invitati: invece di venire a Messa, te ne vai con gli amici a giocare a pallone". Oppure, prima di fare la comunione, sempre "a confessarsi: perché non puoi avvicinarti al Signore con l'abito sporco". Sempre il moralismo! quanto ne ho sentito! quanto ho dovuto scavare per trovare la perla straordinaria di questa parabola!
Vedete, qui c'è il sogno di Dio affidato a noi: Dio sogna una festa e se gli invitati non vogliono venire, la festa si fa lo stesso: perché è la festa di Dio! è il suo progetto per noi, è la sua passione per la nostra vita! è il suo sogno di giustizia e di pace, che DEVE attraversare la nostra storia! E Dio non si stanca di cercare questa festa; e bisogna andare in giro per il mondo e invitare più gente possibile. Perché è la festa di Dio, è il suo sogno per la vita degli uomini!
Il nostro compito, fratelli, è quello di cercare, di conservare nel cuore questo sogno. Non solo: ma di guardarci intorno per cogliere i segni di questa festa, che avanza nel mondo. E non è semplice: la TV, i giornali riempiono la nostra mente, il nostro cuore di notizie cattive, di cose che non vanno... e noi rischiamo di non accorgerci delle possibilità di vita che ci sono, della bellezza che c'è intorno a noi!
A cominciare dalla bellezza della natura: c'è gente, anche fra di voi, che non si accorge di questo splendido ottobre, giornate straordinarie; che non si accorge del bene che ci cresce accanto, della tenerezza dei nostri bambini, della dedizione e dell'amore di tante persone. Se vi capita di passare in uno di questi pomeriggi intorno al campo sportivo vedrete non soltanto bambini e ragazzi, ma anche moltissime mamme che sgambettano, che si danno alla ginnastica, che chiacchierano fra di loro, che si divertono. Quando mai mia mamma ha potuto far questo? quando mai? per loro la vita era solo lavoro, solo fatica, spesso sofferenza!
Se ascoltate la TV, vi ripetono spesso che l'aria è inquinata, l'acqua è inquinata, il cibo è inquinato: sembra che la nostra salute sia in continuo pericolo: dovremmo morire da un giorno all'altro Ai tempi di mio nonno la vita media degli uomini arrivava a 45 anni, ora supera i 75 anni; avevano il problema di vivere, noi abbiamo il problema di morire... nun ce fanno più morì!
È la passione di Dio per la nostra vita, che cammina nel mondo; e non ce ne accorgiamo! C'è gente che non sa più nemmeno guardare il sole, che non si accorge di tutti i gesti di tenerezza che si fanno: siamo rintronati da quella genia perversa che affligge la nostra vita: i giornalisti, la gente che ci parla sempre di cose negative...
Guardate le cose belle del mondo, spalancate gli occhi sul sole, guardate la gente che vi sta intorno; apprezzate l'amicizia, la tenerezza, la bontà che c'è e che non fa rumore: nessuno ne parlerà mai; ma c'è! Guardate le nostre donne che fanno ginnastica, guardate tutta la gente che va al mare, guardate tutti i giovani che si divertono, guardate i loro occhi ancora luminosi! È la passione di Dio per la nostra vita! Ci hanno ripetuto troppe volte che Dio lo si incontra nella sofferenza, nel sacrificio, nella rinuncia! Ci hanno detto che il segno della bontà è la sofferenza: ce l'hanno raccontato tante volte... Non date retta! Dio ama la festa, la gioia, il piacere, la vita! È impegnato con noi perché si faccia festa!
SI, anche a noi qualche volta capita di non partecipare alla festa, di non accogliere l'invito... Ma la festa si fa lo stesso: è la festa di Dio!
Il Signore ci aiuti!
"Rendete dunque a Cesare quello che è XXIX Domenica del tempo ordinario - 17 ottobre 1999
di Cesare e a Dio quello che è di Dio". Matteo 22,15-21
Tentavo di preparare, nei giorni scorsi, qualcosa di sensato da dirvi su questa pagina del Vangelo - o meglio, su questa frase, perché, come avete visto, tutto il problema è centrato su questa frase - quando è arrivata sullo schermo del mio computer - perché adesso la posta viaggia anche così - una lettera che mi ha fatto intuire qualche cosa di importante, che potrebbe essere dietro questa frase di Gesù. Facendo una piccola scorrettezza - perché non ho potuto chiedere il permesso a chi ha scritto questa lettera - vorrei leggervela, invitandovi a seguire con un po' di attenzione e a calare questa situazione nella situazione di ciascuno di voi; perché credo che il problema sia universale. Dunque, provo a leggere:
=== Mi chiedevo un po' di tempo fa il senso di un lavoro come quello della ricerca in campo scientifico. La mia domanda proveniva da alcune cose che ho visto e vedo e che non riesco a capire. Vede, quando ho deciso che volevo tentare questa strada, in realtà ero animata da un sogno. Lei può pensare che non siamo tutti uguali: non c'è sempre bisogno di essere guidati dai sogni per far qualcosa nella vita. Però penso che per un mestiere come questo, in cui ci si etichetta nel campo di "ricerca contro il cancro", be' per come son fatta io non si può fare a meno di volere davvero dare un contributo in questa crociata contro la sofferenza...e questo io l'ho vissuto come un Sogno, un progetto per me, qualcosa in cui sentivo che volevo spendere le mie energie, sacrificando altre cose magari, ma perché sentivo che questo poteva dare un senso alla mia strada.
Qui ho visto altre cose. Ho visto che fare ricerca contro il cancro è come fare qualsiasi altro lavoro, ma non è questo il problema, non sono ingenua fino a questo punto. Il fatto è che qui ho visto anche tanto cinismo, e tanta sete di potere. E tante lotte per avere questo potere, per essere i primi, dimenticandosi che forse altro era l'essenziale di questo lavoro. So che è umano. Ma non mi piace l'ipocrisia e qui di ipocrisia ne vedo tanta, grazie alla facile demagogia che si può giocare quando ci si copre dietro l'etichetta altisonante di Ricerca sul cancro, che tanto fa presa sulle persone. Probabilmente è un po' tutto cosi, ed io non faccio che registrare queste sensazioni nel settore di lavoro che mi sono scelta, ma altrove sarebbe uguale. E in fondo non è neanche questo il problema. Posso accettare con più o meno amarezza ma con sano realismo, che il mondo va così, ma nonostante tutto è importante non scordarsi che va comunque avanti e che c'è qualcuno (tanti) che riesce a dar colore e sapore e ripagare di tanto cinismo. Ma non riesco a capire, a trovare, un modo, il modo, di vivere dentro questo realtà "teatro" senza diventarne personaggio mio malgrado, senza cadere nel gioco delle parti e perdere di vista l'essenziale. Sento forte il contrasto tra i valori in cui sono cresciuta, la mia fede, e la vita, quella di tutti giorni, quella del compromesso, quella in cui sembra che devi difenderti da tutto e tutti perché se sei fragile sei finito...
Un mio amico mi diceva un po' di tempo fa che se sei ingenuo, onesto, per molta di questa gente sei un cretino e da cretino ti trattano. Insomma in questo mondo non c'è più posto per l'ingenuità, non c'è più posto per la trasparenza, tutto è basato su calcoli precisi, dài tanto per avere tanto, se ti muovi male sei finito... Mi son detta che forse bisogna accettare le regole del gioco e viversi i valori là dove c'è posto per farlo. Ma è assurdo per me accettare di essere me stessa solo per poche ore al giorno, quelle in cui sono in parrocchia o con degli amici, per poi rimettermi la maschera durante la maggior parte del tempo che spendo qui. Probabilmente a caldo vedo le cose in modo esagerato e le esaspero, ma mi è difficile riuscire a cogliere la chiave: la chiave che permette di vivere la tua fede, i tuoi valori, dovunque, senza sentirti fuori luogo, senza provare disagio. Voglio credere che esista il modo di sfuggire al livellamento di certi ambienti.... che si possa urlare in silenzio ciò che per noi è importante senza dover sempre aver la sensazione di essere un po' dei "diversi"... ===
Questa è la lettera di quella ragazza. E voi, cosa avreste risposto? E non vi sembra che il suo problema sia proprio il problema che Gesù ci presenta in quella frase così secca: "Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio"? Se a Dio non appartiene soltanto qualche momento di preghiera - come il nostro stare qui la domenica -; se a Dio non appartengono, come qualche volta si è detto, le cose della Chiesa, (in fondo il potere ecclesiastico è come quello di Cesare); se a Dio appartiene tutta la vita - e quindi anche il lavoro di questa persona - allora il dilemma di questa ragazza è il dilemma di Gesù. Com'è possibile accettare questo mondo, la logica di questo mondo, a volte indispensabile (lei, come avete ascoltato, essendo giovane è esigente e quindi un po' pessimista), ma in questo mondo anche dietro la ricerca più nobile, come quella contro il cancro, ci sono i denari, l'interesse, il desiderio delle persone di far carriera. Chi investe denari nella ricerca vuole ricavare un utile, chi ci lavora desidera riconoscimenti, anche economici, e avanzamenti di carriera. E se questo non c'è, non si fa ricerca. Come si può conciliare la logica del profitto, dell'interesse con la propria fede? Com'è possibile accettare la logica di questo mondo, la logica di Cesare, conservando nel cuore i sogni? I sogni di Dio: la gratuità, il disinteresse, la generosità?
È il problema di questa ragazza, ma è il problema di Gesù: il problema di accettare la logica di questo mondo: di dare a Cesare quello che è di Cesare, senza fuggire, senza cedere alla tentazione di abbandonare tutto, senza rifugiarsi in un piccolo gruppo, senza scuotere la polvere; accettando di sporcarsi le mani, di vivere dove si lavora e si costruisce il mondo! Ma portando in questo mondo - magari in tempi lunghi, con pazienza, accettando di vederne realizzate soltanto le briciole - i valori, le cose in cui credi, la tua fede, i sogni stessi di Dio! Non è Dio la gratuità, la passione per la vita, come abbiamo detto tante volte?
Questa ragazza non può che vivere il compromesso di ogni giorno, tentando di accettare le regole del suo lavoro, di vivere la sua situazione fino in fondo, con coraggio, senza sentirsi diversa, ma cercando di non farsi prendere completamente dalle logiche di Cesare, conservando nel cuore i sogni di Dio! Non solo ma cercando di fare strada insieme a tutti gli uomini di buona volontà: il profeta Isaia oggi ci ricordava che anche al di fuori della Chiesa, anche tra i non credenti ci sono uomini che lavorano per la liberazione e la vita, anche loro in fondo si portano nel cuore i sogni di Dio, anche se non lo conoscono.
Diceva una volta un autore - non ricordo chi -: "Tutti nasciamo come originali: Dio fa degli esemplari unici! E dobbiamo fare in modo di non diventare delle copie". Chissà se questa ragazza ci riuscirà: a rimanere "originale", a conservare nel cuore la sua fede, i suoi sogni, la sua speranza! A mettere in questo mondo - a volte cinico, a volte crudele - i sogni della gratuità e dell'amore! Glielo auguriamo di tutto cuore; come lo auguriamo a tutti quelli che tentano di credere!
Il Signore ci aiuti!
"Amerai il Signore Dio tuo... Questo è il XXX Domenica del tempo ordinario - 24 ottobre 1999
più grande e il primo dei comandamenti. Matteo 22,34-40
E il secondo è simile al primo: Amerai
il prossimo tuo come te stesso"
Le parole del Vangelo di oggi sono a tutti noi molto familiari: le abbiamo sentite ripetere tante volte. Forse, però, se per molti è semplice comprendere - almeno in teoria - cosa possa significare il secondo comandamento: Ama il prossimo tuo come te stesso, a più d'uno rimane difficile comprendere perché tanta insistenza sul primo: Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente. Perché è il più grande e cosa significa nella vita e nell'esperienza di un credente?
Ora, non so se mi riesce di aiutarvi a intuire qualcosa. Provate a fare un passo indietro, a quando i comandamenti sono sorti nella esperienza del popolo di Israele. Come ormai tutti sapete, Israele ha messo nel cuore della sua fede la Pasqua, l'esodo, l'uscita dall'Egitto. Forse anche molti di voi hanno potuto visitare l'Egitto: chi torna da quel paese è rimasto colpito dal numero, dalla bellezza, dalla grandezza dei templi che ci sono. Templi che hanno sfidato i secoli: grandiosi, bellissimi. E dovevano essere ancora più belli nel tempo antico, quando erano ricchi di colori e di pitture straordinarie.
Il popolo di Israele viene da quell'esperienza: ha visto quei templi; ha assistito alle fastose cerimonie che vi si svolgevano; ma in quei templi ha visto anche le grandissime statue dei Faraoni, che venivano considerati quasi come divinità. Ma loro da quei faraoni erano stati fatti schiavi. Il Dio in cui hanno creduto, li ha portati fuori da quella terra! Credere in Dio, amare Dio, significava per loro uscire da quella terra, avventurarsi nel deserto. E occorreva farlo con tutto il cuore e con tutta l'anima: quando erano tentati di tornare indietro, là dove c'era in qualche modo la sicurezza - le pentole di carne -, loro hanno sentito che Dio li chiamava verso la libertà, verso una terra nuova, la loro terra, in cui ci fosse la giustizia, in cui scorresse "il latte e il miele"!
Allora il popolo di Israele pian piano comincia a comprendere che seguire Dio è cercare di individuare, di scoprire, di inventare i valori essenziali della vita: la libertà, la giustizia, la gratuità! Verso questo camminavano, cercando Dio, il suo volto, la sua volontà! Ed era volontà di libertà, di autenticità, di pienezza di vita. Certo Israele si rendeva anche conto che ci sarebbe stato sempre qualcuno che avrebbe tentato di impossessarsi del Nome di Dio. Per noi il secondo comandamento è: "Non nominare il Nome di Dio invano"; provate a leggerlo nella Bibbia, vedrete che è molto più lungo: non solo non bisogna nominare Dio, ma nemmeno farne una immagine, un simbolo! Ricordavano che le immagini che c'erano nei templi erano immagini del Faraone... Avevano orrore dell'idea che qualcuno potesse mettersi al posto di Dio! potesse dire - in nome di Dio - che cosa è giusto e che cosa è sbagliato! Facendo esperienza della vita, cominciano a sapere che l'uomo ha la tentazione di farsi dio. Pensate, che so, al "pater familias" di un tempo, al capo della casa che dettava la sua legge; o a Luigi XIV, che poteva dire: "Lo Stato sono io"; o agli imperatori romani, che si consideravano quasi divini...
Ubbidire a Dio significa cercare un riferimento assoluto, cercare la giustizia, cercare la libertà, l'autenticità della vita; contro ogni tentazione di farsi Dio, di costruirsi un idolo. Oggi forse non c'è più Luigi XIV, non c'è più il Cesare a Roma. Ma ciascuno di noi rischia di farsi un idolo del denaro, del successo, della carriera. Forse - ancora di più oggi - della moda, degli ultimi modelli proposti dalla TV o, se volete, del quieto vivere, del menefreghismo.
Ecco, allora, che Israele ci ricorda: "DIO!". Cercare Dio significa cercare le cose più autentiche della vita, cercare i valori più veri, cercare la gratuità, la giustizia! nella vita di ogni giorno, nel quotidiano! E allora capite che il secondo comandamento "è simile" al primo: Ama il prossimo tuo come te stesso. Ho cercato in Dio cosa possa voler dire amare se stessi, la propria libertà autentica, e chi sia il prossimo da amare... non solo chi mi fa comodo o chi mi è simpatico.
E poi vengono le domande vere: cosa significa, nel concreto di ogni giorno, questo "amare Dio e amare il prossimo"? Questo non ce lo dicono parole astratte; non ve lo posso certo dire io da qui. Questo ce lo dirà soltanto la vita, gli avvenimenti di ogni giorno! Capiremo lì, nel concreto della nostra vita quotidiana - in ufficio, a casa, con gli amici, con la gente; anche domani andando a votare - cosa è giusto fare. Lì, cercando di sfuggire alla tentazione di fare soltanto ciò che ci fa comodo, ci domanderemo: cos'è importante? cos'è autentico? Dove c'è vita, dove c'è gratuità, dove c'è giustizia? Perché amare Dio, in fondo, significa questo: cercare i valori autentici della vita!
E che cosa vuole Dio da noi, se non che la nostra vita sia bella, ricca, libera, felice? Ma ci è difficile sapere ogni giorno che cosa giovi alla bellezza e alla ricchezza della vita... Ma questo significa amare Dio! non basta venire qui a dire qualche preghiera. Qui veniamo per incontrarLo, quasi per "ricaricarci", come dicevano gli antichi; ma poi è fuori - a casa, con la gente, al lavoro, cercando la libertà, la giustizia - che amiamo veramente Dio, i valori autentici che Lui ci chiede di vivere ogni giorno! Lo so, non è facile!
Il Signore ci aiuti!
"Ma voi non fatevi chiamare "rabbì" XXXI Domenica del tempo ordinario - 31 ottobre 1999
perché uno solo è il vostro Maestro, Matteo 23, 1-12
il Cristo, e voi siete tutti fratelli.
E non chiamate nessuno "padre"
sulla terra, perché uno solo è il
Padre vostro, quello del cielo".
Quando si ascoltano queste parole è facile vederci quasi un ritratto di certi aspetti della nostra società: del modo di comportarsi - che so - di certi politici o di certe autorità sia dentro, sia fuori la Chiesa: le persone che dicono e non fanno, che amano i saluti, gli ossequi, i battimani; persone che si impalcano ad essere "maestri". È facile guardare lontano.
Mi colpiva, invece, nei giorni passati, la riflessione di più d'una delle persone con cui ho letto questa pagina, che dicevano: "Ma in fondo queste parole ci riguardano tutti". Chi di noi non ha la tentazione di sentirsi maestro, padre: cioè di pensare di possedere, in qualche modo, la verità? Ve ne siete certamente accorti: qualche volta succede alla moglie nei confronti del marito, o al marito nei confronti della moglie; succede ai genitori nei confronti dei figli o agli insegnanti nei confronti degli alunni. Succede a tutti noi, perché pensiamo spesso di avere ragione, di essere noi i maestri. Spesso ci costruiamo un palco da cui giudicare gli altri. E quanti pesi, a volte, anche senza accorgercene, mettiamo sulla coscienza della gente! Quanti sensi di colpa! Ve ne siete accorti?
Io ormai comincio ad avere i capelli bianchi, son quasi 40 anni che faccio il prete; sapeste quante persone ho incontrato che si portavano pesi sul cuore, sensi di colpa! Venivano a volte dal rapporto con il papà e la mamma, perché proponevano degli ideali troppo grandi, o perché spingevano ad un confronto con la loro vita, perché volevano essere troppo 'amici' dei figli... Quanti ragazzi ho visto soffrire, perché il papà e la mamma volevano essere a tutti i costi loro amici, volevano la loro confidenza! E non si accorgevano che in questo modo imponevano dei pesi sul loro cuore, e rendevano la vita complicata. Quante volte ho visto dei ragazzi soffrire perché a scuola si sentivano confrontati con altri più bravi! e questo non li spingeva a mettere più impegno, ad andare avanti; ma spesso li faceva sentire inutili, aridi, squalificati, nel cammino della vita.
Il peso sulla coscienza delle persone! A volte lo mettono gli amici nel cuore degli amici: cosa, secondo voi, spinge alcuni dei nostri ragazzi a bucarsi le labbra o la lingua o a mettersi un anello nella pancia o su un capezzolo, se non 'la legge del branco': il dover essere, a tutti i costi, come gli altri? Non è anche questo un peso sulla vita di una persona? quasi un obbligo, che ti costringe a fare delle cose, che non vorresti fare, ma che devi fare, perché qualcun altro ti ha messo un peso sul cuore!
E poi perché, a volte, ci lasciamo condizionare così? Perché si incontra spesso della gente che parla come il giornale che legge? Perché tanti si lasciano condizionare dalla TV o dalle mode ricorrenti? Perché anche nella vita della Chiesa ci sono dei gruppi in cui tutti parlano lo stesso linguaggio, usano gli stessi slogan, ripetono le stesse parole? Perché è così difficile pensare con la propria testa? Perché abbiamo sempre bisogno di maestri? Perché non cerchiamo da noi stessi - come ci suggerisce Gesù in un'altra pagina del Vangelo - quello che è giusto, quello che è buono?
E poi - se vogliamo leggere ancora questa pagina - chi di noi qualche volta non ha la tentazione di non fare tutto quello che dice? chi di noi è coerente fino in fondo? Non soltanto io, che parlo qui: è troppo facile che guardiate me... ciascuno provi a guardare la propria vita!
Ed anche questa nostra società, quanto è basata sull'apparire, sul mostrarsi? L'applauso - o, che so, il palco - non lo cercano soltanto i nostri politici o i nostri vescovi: il palco lo cerchiamo un po' quasi tutti, a volte, nel piccolo mondo in cui viviamo. Vogliamo essere apprezzati, gratificati dagli altri. A volte ci interessa più come appariamo che come siamo; ci interessa più l'applauso e il consenso, che la ricerca appassionata della giustizia e della verità.
Credo, allora, che la riflessione che ho fatto io (perché qualcuno me l'ha fatta fare: perché mi hanno detto che era troppo facile, quando si legge questa pagina del Vangelo, pensare agli altri, o magari pensare alla storia - anche alla storia della Chiesa - e che invece era bene che ciascuno di noi pensasse a se stesso) sia bene, con semplicità, comunicarvela, perché la facciate anche voi. Vi conviene forse rileggere a casa questa pagina del Vangelo, anzi tutto il capitolo 23, perché dopo di queste ci sono parole ancora più severe e siamo tutti tentati di pensare che riguardino gli altri!
È vero: riguardano gli altri, ma forse un po' riguardano anche noi tutti. Perché Gesù non ama chi pensa di sapere tutto, chi pensa di mettersi al centro, di farsi un piedistallo, da cui giudicare il prossimo! Gesù non ama, soprattutto, chi mette pesi sul cuore della gente. E a volte, purtroppo, lo facciamo anche noi!
Il Signore ci aiuti!
"Il regno dei cieli è simile a dieci XXXII Domenica del tempo ordinario - 7 novembre 1999
vergini che, prese le loro lampade, Matteo 25, 1-13
uscirono incontro allo sposo... ".
Alla maggior parte delle signore che son qui - come penso, alla maggior parte delle donne di casa - è successo, qualche volta, che una vicina sia venuta a bussare alla porta dicendo: "Non me ne sono accorta... è finito l'olio! Me ne presti un po'?"; e certamente l'ultima cosa che vi è saltata per la mente, è dire "No; vattelo a comprare"; e avete subito prestato un po' d'olio.
È forse per questo che la maggior parte delle persone, con cui ho letto questa parabola del Vangelo, si meraviglia di questo racconto: "Queste ragazze saranno pure sagge, ma certo sono delle belle egoiste!". Questo dipende dal fatto che questo racconto è stato scritto molto tempo fa, in una cultura completamente diversa dalla nostra. A noi l'olio serve per condire l'insalata; allora l'olio era una cosa estremamente preziosa, soprattutto per fare un po' di luce di notte. Aveste espresso anche ad un bambino del tempo la vostra perplessità sul rifiuto delle ragazze, vi avrebbe risposto sorridendo: "Oh, ma che dici! Quest'olio non si compra". Non si può comprare l'attesa, il desiderio, la speranza, lo sguardo rivolto al futuro di Dio! Avrebbe riso il bambino del tempo di Gesù, come ridono le signore che qualche volta vado a trovare, quando dico loro: "Ci vorrebbe un po' di pazienza! peccato che non ci sia nessuno, al mercato, che venda la pazienza!". Avete mai provato a cercare, per il mercato, un banchetto dove si vende la pazienza? Vi riderebbero in faccia...
Quest'olio ci consegna una delle più belle immagini del credente: uno che cammina nella notte, tenendo in mano una piccola luce, incontro al Signore! E questo esprime una delle dimensioni fondamentali della nostra fede: il cammino verso il futuro, l'attesa di un mondo diverso, la insoddisfazione per quello che c'è intorno a noi, per quello che noi siamo. L'attesa di un mondo che abbia la dimensione di Gesù! Lo ripetiamo ogni volta che diciamo il Padre nostro: "venga il tuo regno, si compia la tua volontà!": che finalmente questo mondo diventi un mondo ricco di giustizia, di pace, di vita! Al credente, a volte, il mondo sembra immerso nel buio, e tenta di conservare accesa la sua luce accesa; e - lo sapete - qualche volta questa luce diventa flebile come un lucignolo che fumiga... per fortuna Gesù ci assicura che non è venuto a spegnere il "lucignolo fumigante".
Ma quello di cui voi forse non vi siete accorti - ma che avrebbe invece fatto sobbalzare un uomo del tempo di Gesù, anche un bambino - è il ritardo dello sposo: avete ascoltato? uno sposo che arriva a mezzanotte! incoscienza assoluta! Fa aspettare non soltanto la sposa, non soltanto le dieci ragazze, ma tutto il paese... un'ora, due ore, tre ore e lo sposo non arriva!
Questo sposo è Gesù! e questa immagine dello sposo, che arriva a mezzanotte, esprime tutto il dramma dei credenti: "Noi aspettavamo il regno... ". Noi aspettiamo la giustizia, la pace, la pienezza della vita... l'ingiustizia c'è dappertutto, la guerra c'è ancora, i bambini muoiono ancora! Ci aveva promesso, il Signore, che sarebbe venuto; i primi cristiani lo aspettavano da un momento all'altro... e non arriva! Si rischia di perdere la speranza, di veder cadere le braccia...
E qualche volta il problema, per noi, è anche più acuto: lavoriamo, ci impegniamo, ma sembra che non si riesca mai a cavare un ragno da un buco. Un mio amico diceva: "Lavoriamo... e sembra di mettere acqua in un secchio sfondato". Quando eravamo giovani ci dicevano che nel Regno di Dio i frutti non si vedono perché si realizzano dall'altra parte del mondo. E lui diceva: "Come mai non c'è qualcuno che lavora dall'altra parte del mondo, in modo che possa vedere anch'io qualcosa qui?!" Perché i frutti di quello che facciamo non li vediamo quasi mai? Perché chi cerca la giustizia non la vede realizzata mai? Perché le promesse del Signore non si avverano?
È questo il dramma che questa parabola esprime; per questo si conclude con le parole "Vegliate dunque...!". Non ci è dato di vedere realizzato pienamente il regno! L'importante è che ciascuno di noi metta i semi della giustizia, conservando la speranza nel cuore, la vigilanza, il desiderio di un mondo più giusto e più bello!
Non è semplice... e per questo ci ritroviamo qui ogni domenica: per mantenere accesa la nostra luce, per conservare la speranza, per andare anche noi incontro al Signore che viene, per continuare a credere!
Il Signore ci aiuti!
...un uomo, partendo per un XXXIII Domenica del tempo ordinario - 14 novembre 1999
viaggio, chiamò i suoi servi Matteo 25,14-30
e consegnò loro i suoi beni.
A uno diede cinque talenti,
a un altro due, a un altro uno...
Questa parabola è stata nella mia vita di credente una delle più importanti. Non è però una parabola semplice: è una parabola che ha due fuochi, due centri d'interesse; o forse sarebbe meglio dire che sono due parabole, legate ma profondamente diverse l'una dall'altra. Io tento di comunicarvi quella che è stata la mia esperienza, sperando che anche voi possiate ritrovarvi un po' della vostra e che questo vi aiuti comprendere queste due, non semplici, parabole. Ed anche a intravedere i pericoli che ci sono dietro questa parabola.
Dunque, la prima parte della parabola parla di due servi che hanno ricevuto dei talenti. La prima cosa da notare è che il talento è una misura molto grande: pensate che un talento corrisponde a diecimila denari; e il denaro è la paga di un giorno; quindi un talento corrisponde a diecimila giornate di lavoro, la paga di una vita! Sarebbero, oggi, centinaia di milioni, forse qualcosa di più. Ma non è questa la cosa più importante: quando si legge questa parabola con i ragazzi, subito chiedono: "Perché ad uno cinque, ad uno due, ad uno un talento solo? Non sarebbe meglio dare a tutti gli stessi talenti?". Forse sarebbe più giusto, ma certo non è così! Da quando ho cominciato a riflettere sulla mia esperienza, ho sempre compreso la verità di questa parabola: certamente non tutti hanno gli stessi talenti!
Ed io mi sono sempre sentito un uomo fortunato. Vedete, io sono nato in una famiglia che aveva poche cose: eravamo poveri, allora. Io sono nato nel '37: è venuta la guerra, eppure a noi non è mai mancato il pane; con grandi sacrifici da parte di mio papà e di mia mamma. Ma soprattutto a me non è mai mancata la tenerezza, l'affetto, il rispetto; a me non è mai mancata la possibilità di andare a scuola, di studiare; io ho letto biblioteche intere! Qualche volta ho incontrato dei ragazzi nati in una famiglia in cui c'era violenza, c'era sopraffazione; quanti ragazzi, quante ragazze hanno subito violenze in casa! a volte anche violenze sessuali, dai propri genitori! A me non è mai successo niente del genere...
Io sono stato circondato di affetto e di tenerezza; sono vissuto nell'onestà. Io ho avuto nella mia vita tante amicizie, tante possibilità. C'è gente che vive in famiglie in cui c'è il degrado più totale! come potevo io confrontarmi con loro? Come pensare che avessimo tutti gli stessi talenti? Io so di essere uno che ha ricevuto tanto! Ogni volta che mi metto a pregare, a riflettere, comincio sempre da qui: da tutto quello che ho ricevuto, da quanto io sono stato fortunato! E allora la conseguenza - di dover "trafficare i talenti", di dovere dare un po' - non c'è nemmeno bisogno di dirla, è una cosa naturale: se ho ricevuto tanto, come non dare un almeno qualcosa?! Il mio esame di coscienza nasce sempre da qui: ho sciupato qualcosa di quello che ho ricevuto! Ho ricevuto tanto e ho dato poco; a volte trovo di aver sciupato anche i doni di ogni giorno!
È stata questa una delle riflessioni più importanti della mia vita. Qualche volta ho provato a farla con qualcun altro e mi sono dovuto accorgere che dovevo fermarmi subito... Ho ascoltato tante volte delle persone venire da me a sfogarsi: "Continuano a ripetermi che non posso lamentarmi di niente, che c'è tanta gente che sta peggio di me, che non mi manca niente: che ho una bella famiglia... Eppure io sento di non aver niente!". Quanti ragazzi a volte provano un senso di profonda sfiducia di fronte alla vita! quanti ragazzi preoccupati e ansiosi! Pensano di non essere niente: di non essere belli, di non essere bravi, di non essere capaci. E se dite loro: "Ma di che ti lamenti! hai tutto, non ti manca niente; pensa a quelli che non l'hanno", mettete un peso sul loro cuore. Ecco perché è pericolosa, la parabola dei talenti!
Ma c'è di più: a qualcuno spesso viene chiesto di trafficare talenti che non ha, a molti la società, gli altri, impongono mete troppo alte. C'è addirittura chi è stato costretto a vivere contro la sua natura, a comportarsi, ad essere come non si sentiva di essere.
Ed ecco la seconda parte di questa parabola: anche questa è stata importantissima per me. È la parabola dell'ultimo servo. Badate bene: questo servo non è un delinquente, non ha rubato nulla; il suo talento l'ha soltanto nascosto sotto terra. E quando si presenta al suo padrone, può dirgli: "Ecco il tuo". Ma quello che è importante, è ciò che dice prima: "Io so che tu sei un padrone duro ed esigente; che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Per paura, io... ". La paura, il senso della colpa, il peso che schiaccia! Quante volte l'ho incontrato nella mia vita! Quante volte ho visto davanti a me gente impaurita: la paura di Dio, la paura della vita, la paura del confronto con gli altri! Questa parabola è un invito a riflettere sulla paura dell'ultimo servo.
Provate a confrontare queste parole -"so che tu sei un padrone duro ed esigente" - con il Vangelo: è forse così il padre della parabola del figlio che se ne va? Quello sì ha sciupato tutto! aveva ricevuto metà del patrimonio del padre e l'ha sciupato: è finito a fare il guardiano dei maiali! Lo si condanna? no: si fa festa per lui quando torna a casa! E Gesù dice: "Non son venuto a spegnere il lucignolo che fumiga, a spezzare la canna incrinata!... Non hanno bisogno i sani del medico ma i malati... Non son venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori". È questo il dio "duro ed esigente"? Questo servo ha paura! ha paura che, chi fa i conti, non conosca la misericordia, la tenerezza. Non sa che Gesù è venuto per lui! Chi gli ha messo tanta paura nel cuore? Gesù ha detto che chi fa perdere la fiducia ad uno di questi piccoli, sarebbe meglio per lui che si mettesse una macina da mulino al collo e si gettasse nel mare.
E questo si può applicare a tanti aspetti della vita. Quando eravamo ragazzi (forse è capitato anche a voi), ci capitava di dover andare dietro la lavagna; e magari ci mettevano un cappello con le orecchie d'asino in testa... I giovani non lo sanno; ma gli anziani forse lo ricordano, vero? Ci siamo finiti un po' tutti, dietro la lavagna. Ma chi era che ci finiva sempre? quello che aveva meno capacità, quello che era meno intelligente, la cui famiglia non era in grado di seguirlo nello studio. Si pensava di aiutarlo, di spronarlo... Gli si diceva soltanto: "Tu sei stupido, tu non sei capace". E gli si metteva paura: paura della vita! La vita diventava per lui "dura ed esigente"; con la conseguenza che non studiava più, che sotterrava il suo talento sotto terra. Don Milani ha passato una vita a togliere la paura dal cuore della sua gente. I suoi ragazzi, che vivevano in un ambiente di campagna, non avevano genitori acculturati, non parlavano la lingua, ma solo il dialetto e quando andavano a scuola tutti li buttavano fuori... Lui ha cercato di togliere la paura dal loro cuore e ne ha fatto degli Uomini! Degli uomini che adesso sono in posti di responsabilità. Perché ha dato loro il coraggio di sentirsi come gli altri, di provare a farcela. Ma ce la potevano fare soltanto se qualcuno gli toglieva la paura dal cuore! Ecco perché questa parabola è importantissima, perché ci aiuta a riflettere sulla paura che impedisce di vivere.
Ed io ho pensato fin da quando ero un giovane prete - e forse qualcuno qui me ne può dare testimonianza - che questo fosse il compito principale della mia vita di prete: togliere i sensi di colpa, togliere la paura dal cuore della gente; impedire che qualcuno avesse paura di Dio! Ho cercato di farlo con tutta la passione del mio cuore, perché credo che questo è quello che Gesù è venuto a fare sulla terra! Non disprezzate, però, chi non lo sa fare: anche lui, spesso, è un uomo a cui qualcuno ha messo paura! Dietro la tonaca di prete, ci sono spesso tante paure; e c'è chi, magari senza accorgersene, cerca di superarle dominando il cuore del prossimo!
Dio mi ha liberato da questo: mi ha tolto questa paura! per cui ho sentito come compito principale della mia vita di prete, tentare di continuare a fare quello che ha fatto Gesù: togliere i sensi di colpa, togliere le paure, non far vedere alla gente la vita come "dura ed esigente"; dare a tutti la possibilità di ricominciare e di sperare.
Gesù lo ha fatto sempre: quando gli hanno presentato la donna sorpresa in adulterio: "Neanch'io ti condanno"; alla Maddalena: "Vai, non peccare più!" Questo è Gesù!
Il Signore ci aiuti a capire un po' di più!
"In verità vi dico: ogni volta che FESTA DI CRISTO RE - 21 novembre 1999
avete fatto queste cose ad uno Matteo 25, 31-46
solo di questi miei fratelli più
piccoli, l'avete fatto a me".
Riflettevamo, qualche giorno fa, su questa pagina del Vangelo con un gruppo di persone; ed uno dei presenti ci raccontava una sua esperienza che gli è rimasta impressa fin da quando era ragazzo: durante una confessione, dopo la solita lista dei peccati, aveva detto di non aver approfittato di qualche occasione di fare del bene che gli si era presentata ed il sacerdote lo aveva interrotto: "No, no: questo non c'è bisogno di dirlo; i soli peccati e basta". Noi ci siamo guardati in faccia... nessuno aveva ricevuto una simile risposta; ma per il semplice motivo che non c'era mai passato per la mente, andando a confessarci, di dire: "Questa settimana c'era un compagno malato, ma non siamo andati a visitarlo: c'era un'occasione per fare del bene, ma non l'abbiamo fatto".
Perché quello che eravamo abituati a dire, in confessione, era: "Ho detto le parolacce, non sono andato a Messa la domenica, ho detto bugie, ho avuto dei pensieri cattivi..."; ma nessuno di noi si accusava mai del bene che non era stato capace di fare.
Eppure, il vero criterio, che il Vangelo di oggi ci pone davanti, sembra essere proprio questo: avevo fame e non mi hai dato da mangiare, avevo sete e non mi hai dato da bere. Perché non vi facciate qualche scrupolo, penso che tutti sappiate che non siamo davanti a regolette: solo la vita concreta ci può dire cosa significa, per noi, vivere l'attenzione e l'amore verso gli altri.
E c'era un altro problema che veniva fuori, mentre riflettevamo insieme su questa pagina del Vangelo. Quando eravamo ragazzi (adesso le cose son cambiate, in parte almeno) ci dicevano che al di fuori della Chiesa non c'era salvezza: in latino, quante volte l'ho sentito ripetere: "Extra Ecclesiam, nulla salus!". Fuori dalla Chiesa non c'è salvezza: se uno non è battezzato, non può essere gradito al Signore. Si parlava allora del resto dell'umanità come di una "massa dannata"!
Eppure nel Vangelo di oggi sembra non esserci distinzione tra chi crede e chi non crede, tra chi appartiene ad una religione e chi ad un'altra. L'unica cosa che conta è il servizio del più piccolo: Gesù si nasconde, sparisce dietro l'ultimo degli uomini, il più piccolo degli uomini! È lui l'unico criterio: il più piccolo!
E penso che vi domanderete: "Da dove viene allora l'abitudine a quel tipo di confessione? Perché quell'idea che fuori dalla Chiesa non ci sia salvezza?" Beh, questo ci aiuti, tutti, a riflettere sulla nostra vita. Non è vero che spesso noi uomini abbiamo bisogno di abitudini, di riti, di schemi, di regolette da osservare? Questo anche in famiglia, a volte; questo a scuola, questo negli uffici statali e non statali: quante formalità, quanta burocrazia, quante firme! Abbiamo bisogno di regole. E questo, qualche volta, ci porta a trascurare le cose essenziali della vita. Anche i nostri ragazzi, che si sentono tanto liberi, non hanno i loro riti collettivi, a volte anche pericolosi? Non indossano a volte scarpe che, a chi ha qualche anno di più, sembrano bruttissime e scomodissime?
E non è anche vero che tutti noi tendiamo a identificarci in un gruppo? Quelli che la pensano come me, quelli che fanno parte del mio clan; anche i ragazzi, spesso si riconoscono ciascuno nel proprio branco... e nel mondo quante divisioni in nome della razza, della nazionalità, della lingua, della religione... ognuno pensa di essere nel giusto e che per gli altri non ci sia "salvezza"!
Com'è straordinaria questa parola di Gesù! l'unico criterio è l'ultimo del mondo. Il Maestro, il Capo, il Signore sparisce! Non ci sono regole, non ci sono riti da osservare. Non conta appartenere ad una religione, o ad un'altra. L'unica cosa che conta è l'attenzione e la tenerezza verso il più piccolo. Questo è il Maestro a cui andiamo dietro! E queste sue parole hanno arricchito il cuore di tante persone di buona volontà, nei lunghi anni della storia del Cristianesimo.
Vedete, mia mamma - che ormai ha 91 anni, la cui vita si riduce pian piano - non solo va a Messa ogni giorno, ma dice tanti rosari e se non riesce a dirli tutti ha paura di non fare tutto il suo dovere. E a volte si lamenta che non trova un prete che la confessi. Poi ogni tanto mi dice: "Ma ripeto sempre le stesse cose... che devo dire?"... Che volete che dica alla sua età? Lei ha una visione del mondo arcaica, le hanno messo tanti scrupoli, tante paure nel cuore... qualche settimana fa è nato un suo pronipote: se qualcuno le dice che è figlio di Dio si affretta a dire che non lo è ancora perché non è battezzato... Ma quando noi eravamo bambini e bussava un povero alla porta e tendeva la mano in silenzio, lei andava a prendere qualche cosa (era tempo di guerra, c'era così poco); e diceva: "Quando bussa un povero, bussa Gesù!".
È il Vangelo di oggi: la gente semplice, la gente dal cuore sincero, in ogni tempo, capiva che qui c'è il vero criterio per essere graditi al Signore! l'essenza stessa della vita! Poi tanti scrupoli, tanti riti, tante preoccupazioni, tante regole da osservare, idee che a noi sembrano assurde... Ma, poi, quello che veramente conta: "Quando bussa un povero, bussa Gesù!".
E se il Vangelo fosse tutto qui?
Il Signore ci aiuti a capire!