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OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 1991-1992 - Vangelo di Luca
INDICE
1991
Le parole che abbiamo ascoltato sembrano, a prima vista, mettere paura alla gente, e invece sono le parole della nostra speranza, della suprema speranza: la certezza che viene il Signore, la certezza che all'ultimo orizzonte della nostra storia c'è Lui. Abbiamo bisogno di questa speranza.
Noi cominciamo l'Avvento, quest'anno, in un momento particolare della nostra vita. Ci sono intorno a noi tanti segni inquietanti che rischiano di caricare, come al tempo in cui sono state scritte queste parole, di ansia e di paura la nostra vita.
Tutti voi avete, penso, ancora negli occhi le immagini di una guerra, quella del Golfo, che anche uomini della nostra patria hanno combattuto. E vicino a noi, questa terribile guerra della Croazia, che riempie le immagini dei nostri telegiornali. L'inquietudine che viene dai paesi dell'Est, in cui crollano gli imperi, e non si sa più che cosa succede, non si sa più chi ha il controllo delle bombe atomiche. E la gente che viene di volta in volta a invadere la nostra terra, gente che viene dal sud, dall'est, dal nord. Non sappiamo più che cosa fare per loro. E tutto questo mette inquietudine. E se guardiamo più vicino, quello che succede in casa nostra: il degrado della nostra vita politica. C’è ormai poca gente che riesce a credere nella vita pubblica, nella convivenza civile. Segni inquietanti, dal Presidente della Repubblica e giù giù, fino a tutta la gente che vive sulla nostra terra.
Domani qualcuno di voi, pochi, andranno a votare, ma senza speranza: ci sono le elezioni per la scuola. Un tempo avevano suscitato tante speranze, sembrava di poter cambiare il mondo, e adesso tutto sembra ripiegarsi, e in qualche modo ritornare nella paura e nello scoraggiamento. E intorno a noi la delinquenza che cresce, la mafia che sembra inarrestabile, che invade la vita anche intorno a noi. Il rischio del cristiano è quello di ripiegarsi su se stesso, di rincantucciarsi nella propria paura, di chiudersi e non essere più capace di rimanere al proprio posto con fedeltà e coraggio.
Vedete? È tempo di Avvento, è tempo di ridirci quello che ci riunisce qui: la fede nel Signore che viene. È Lui l'ultima parola. È tempo di ridirci la passione di Dio, che si manifesta a Natale: Gesù che viene a condividere questa nostra vita, con tutti i suoi problemi. Non viene a condividerla come un mago che risolve i problemi, ma come Uno che cammina con noi, per aiutarci a portare intorno a noi quello che si può di vita. Noi andiamo verso una luce che non muore, verso un amore che ha sconfitto la morte. Noi non andiamo verso il buio, verso il vuoto, verso la paura, ma verso Gesù. È Lui che ci viene incontro. È Lui che dobbiamo accogliere nel Natale, piccolo, Bambino, che si affiderà alle nostre mani, che vuol crescere in mezzo a noi.
Ecco, questa speranza, la certezza di Gesù, la certezza dell'amore di Dio nella nostra vita, può farci accogliere l'invito del Vangelo di Luca: "Alzatevi e levate il capo perché la vostra liberazione è vicina, perché il Signore viene, andiamo verso di Lui".
È l’invito che io rivolgo a tutti voi. Coraggio! Non lasciamoci prendere dalla paura: è il Signore che viene, andiamo incontro a Lui, conserviamo nel cuore, accesa, la speranza.
1991
Avete ascoltato, all'inizio del Vangelo di oggi, una serie di nomi che forse vi sono sconosciuti in gran parte; ma alcuni li avete sentiti nominare: Tiberio, il grande imperatore di Roma, il potere che occupava, allora, tutto il bacino del Mediterraneo, che, quando queste pagine di Luca sono state scritte, aveva distrutto Gerusalemme portando rovina e morte per tutta la Palestina. Altri li conoscete ancora di più: Pilato, colui che s'è lavato le mani nel momento del processo di Gesù. Erode, il figlio del grande persecutore, anche lui un tiranno e un despota. Ecco il potere politico del tempo di Gesù, la corruzione, la violenza e anche la corruzione del potere religioso al tempo dei sommi sacerdoti Anna e Caifa. Voi non potete sentire, ma forse potete immaginare, la forza che c’è in queste parole: così è ridotto il mondo religioso ebraico, addirittura due sommi sacerdoti. È come se io dicessi che ci sono due papi. Voi direste subito: "Come è possibile che ci siano due papi!" La stessa cosa doveva pensare un ebreo quando sentiva parlare dei due sommi sacerdoti. Ed era vero! Perché il potere dei sommi sacerdoti, che si trasmetteva di padre in figlio, era diventato un potere corrotto. Il vero grande patriarca era Anna; Caifa era soltanto un burattino che faceva le veci del sommo sacerdote, le veci di chi comandava sul serio. Ed era, non un servizio per la religione, ma un'oppressione, era il potere della famiglia che imperava nel Tempio.
Di fronte a tutto questo, la risposta qual è? Un profeta che ascolta la parola di Dio e comincia a dire: "Prepariamo la strada! Viene il Signore! Se c'è qualche colle, abbassiamolo!" Ciascuno di noi faccia quello che può. Dove sono i nostri burroni? Dove sono le nostre valli da riempire? Dove sono le montagne da abbassare?
Già domenica scorsa vi dicevo che questo nostro Avvento, può essere importante per recuperare la nostra speranza in un mondo che è, sì, molto migliore di quello del tempo di Gesù, in cui Luca scrive il suo Vangelo, ma che anche a noi dà spesso inquietudine e paura e rischia di toglierci la speranza.
Le tante inquietudini che sentiamo intorno a noi: la violenza della guerra che abbiamo sperimentato; la corruzione che c'è, e che sentiamo anche qui, a Ostia; la corruzione della nostra vita politica, un momento in cui sembra avere ragione colui che grida più forte, colui che dice l'ingiuria più grande, e intorno a noi sembra che il mondo si corrompa. È come al tempo di Gesù, sembra suggerirci Luca nel Vangelo di oggi. Allora, abbassiamo la voce, smettiamo di gridare e ciascuno di noi cominci a domandarsi: Io cosa posso fare? È importante che ciascuno rimanga al suo posto! Trovare il coraggio di essere fedele! Questo mi chiede la parola del Signore! Non serve che continuiamo a lamentarci, non serve che continuiamo a dire: Basta...
Smettiamo di parlar male dell'uno, dell'altro, di chi ci governa, di chi fa la guerra, di chi è violento, di chi spaccia droga. È inutile! Non serve a niente se ciascuno di noi non si domanda: Io che cosa posso fare? Qual è il mio posto? Qual è il compito della mia fedeltà? Qual è il coraggio che debbo trovare nella mia vita?
Fermiamoci un momentino. Ciascuno di noi si ponga, anche durante questa Messa e poi durante questa settimana, la domanda che Giovanni Battista ci farà la prossima volta, o meglio, che faranno gli altri a lui: "E io che cosa posso fare?": e io nella mia vita, nel concreto della mia situazione, che cosa posso spianare? Quale burrone posso riempire per fare spazio al Signore che viene?
Forse anch'io mi sono fatto prendere dalla rabbia, dalla voglia di gridare, dalla voglia di protestare, dalla stanchezza, dalla sfiducia. Anch'io ho voglia di dire: Basta! Chi me lo fa fare? Anch'io non sento più dentro di me l'esigenza forte della fedeltà, il desiderio vivo della pace, del bene. Anch'io, forse, ho qualche montagna da abbassare per fare spazio a Gesù. Domandiamocelo con cuore sincero, perché Gesù è venuto proprio per darci la forza, la voglia, la speranza, la fiducia, il coraggio, la gioia di camminare ancora, per essere fedeli alla nostra vita e a Lui.
1988
Non c’è molto da aggiungere a quello che abbiamo ascoltato. Vorrei rivolgere a me, prima di tutto, e a voi che siete qui, ancora, l’invito di Giovanni a convertirci.
Vedete, nel Vangelo, nella Bibbia, il deserto ha molte risonanze: io vorrei però prenderne solo una per me e per voi. Il deserto è anche il luogo della solitudine, è un luogo lontano dalla "città", dal suo rumore. Ci sono qui in mezzo a noi tante persone che vivono nella città: il lavoro, la confusione, il rumore, il correre sempre, aver sempre da fare: "cosa ci chiede ancora, Don Checco? ". Non sono io che chiedo, ma il Signore: il Natale che viene chiede a ciascuno di noi di fermarci un momento, di guardare la nostra vita, altrimenti non soltanto corriamo, ma ci lasciamo anche travolgere dalle cose più superficiali, dalle cose che passano, che corrono via. Non ci fermiamo ad interrogarci su cosa facciamo, sul senso che ha il nostro modo di lavorare.
Non capita forse qualche volta che il lavoro, le cose da fare passano davanti a me stesso, agli affetti che ho, alle persone a cui voglio bene? Non capita a volte che il lavoro che faccio, le corse, mi portano a trascurare cose importanti: l’amicizia, l’attenzione alle persone, il pregare, il voler bene...
Vorrei allora rivolgere un invito, a me prima di tutto e poi a ciascuno di voi: fermiamoci un momento prima di Natale; troviamoci un po' il nostro deserto, fermiamoci a guardare la nostra vita. Si fermi soprattutto.... no, non mi rivolgo a quanti di voi si portano dentro sensi di colpa, che si interrogano e si domandano "ma sarà giusto, ma non sarà peccato?" (c'è gente fra di noi che sembra sempre carica di peccati!); non è per voi che parlo, ma per chi, proprio per il lavoro, la vita frenetica, è portato a non pensarci mai, a non pensare mai un momento, a non fare mai qualche volta - come dicevano i nostri padri - l'esame di coscienza. Magari fare in questo tempo una confessione seria, che non sia il solito elenco delle cose che ripetiamo da bambini.
È importane fermarsi un po’, mettersi davanti a se stessi, alla propria vita, a Dio, e domandarsi: "tutto quello che faccio che senso ha, dove porta, cosa ho trascurato di importante, cosa potevo fare e non ho fatto, cosa manca di bene nella mia vita?" Poi, magari, celebrare il perdono di Dio e la riconciliazione! Questo è il consiglio che sento di dare a me stesso e a voi; ma non è mio il consiglio: è la voce di Giovanni che ci chiama, è il Natale che viene che ci invita a far questo.
Se volete cominciamo adesso a fare il nostro deserto: qualche momento di silenzio perché ciascuno di noi possa rientrare in se stesso e domandarsi che cosa vuole il Signore, cosa è possibile cambiare nella propria vita, quale collina si può abbassare, dove è possibile mettere un po' di bene, quale valle colmare.
1988
La prima lettura che abbiamo ascoltato oggi fa certamente parte dei grandi racconti simbolici della Bibbia. Non si parla infatti dei primi uomini, che si perdono nella lontanissima notte dei tempi, ma di noi e del mondo che ci circonda; di me, di ciascuno di voi, dell'ambiente in cui viviamo, dei tanti no che diciamo a Dio. Anche noi vogliamo metterci al centro di tutto, utilizzare gli altri che ci stanno accanto, spesso senza accorgercene; e le conseguenze le abbiamo sentite descritte molto bene in questo antico racconto: la paura, la diffidenza reciproca. È quello che ci ritroviamo intorno anche oggi, quando l'uomo crede di potere far da solo.
D’altra parte nel Vangelo abbiamo, invece, ascoltato il sì di Maria, il suo farsi disponibile, il suo accettare la volontà del Padre.
Andare incontro al Natale, celebrare il Natale, per un credente significa proprio questo: tentare ancora una volta di far spazio a Dio nella propria vita, di accettarLo, di accettare la Sua luce, il Suo progetto.
In questo cammino verso il Natale, ci viene incontro Maria, proprio per darci speranza. La sua vicenda fa risuonare anche per noi la parola dell’angelo: "il Signore è con te". Questo non vale soltanto per Maria, vale anche per noi che siamo qui. Non siamo soli nel nostro cammino verso il bene, verso la gioia, verso la vita: c'è il Signore impegnato con noi. Questa certezza dovrebbe comunicarci Maria: lei ha saputo crederci, ha saputo fidarsi di questo annuncio che veniva dall'alto. "Il Signore è con te". "Lo Spirito Santo scenderà su di te". Non siamo soli, c’è Dio con noi, impegnato nella nostra terra accanto a noi. Il nostro compito è quello di fargli spazio, di accogliere nella nostra vita la Sua volontà. Non può essere che volontà di vita, di gioia, di bene.
Andavamo riflettendo domenica scorsa, vi ricordate, sui nostri no, oggi cerchiamo di accogliere il sì di Maria. Lasciamoci prendere per mano da Lei, lasciamoci insegnare da Lei a far spazio a Gesù, a fargli spazio nella nostra vita, così semplicemente. Maria è stata una donna semplice ed ha vissuto con coraggio e fedeltà la sua vita di tutti i giorni, ha saputo accogliere il Figlio, ha saputo fargli spazio, ha saputo farlo crescere.
È quello che dovremmo fare ciascuno di noi!
1991
Spero che abbiate aperto bene le orecchie e che abbiate messo tutta la vostra attenzione nell’ascoltare le due prime letture, perché è difficile per un predicatore annunciare la gioia, suscitare la gioia in chi ascolta. A noi, a tutti quelli che predicano, è più familiare il Vangelo, rispondere cioè alla domanda: "e noi, cosa dobbiamo fare?" Oggi tutti ci dicono che cosa dobbiamo fare e, spesso, lo dicono per gli altri: lo dicono le mamme e i papà ai bambini; ce lo dicono i maestri e poi i professori quando andiamo a scuola. Adesso basta aprire la televisione e sentiamo parlare un giornalista che ci dice cosa dobbiamo fare. Tutti fanno prediche! Ieri sera stavamo fuori dalla porta della chiesa, ed è arrivata una persona a chiedere l’elemosina e anche lui ci faceva la predica e ci diceva che cosa dovevamo fare: "voi che andate a Messa, come non fate l’elemosina a un povero che non ha lavoro". Tutti ci fanno le prediche, ma sempre le stesse. Anche io faccio le prediche: dico spesso a voi quello che dovete fare, poi magari io non lo faccio, come fanno quasi tutti i predicatori.
Dicevo stamattina ai bambini "vi insegno un segreto - per la mia rovina - per riconoscere un predicatore vero: è quello che sa predicare sulle prime due letture di oggi, non quello che sa predicare sul Vangelo che abbiamo appena ascoltato". E io, come ho ripetuto già tante volte, non so farlo: mi riesce difficile, anche se ho già provato, comunicare a voi la speranza, la gioia, la certezza della presenza del Signore, la lieta novella! Altrimenti il Vangelo può sembrare una cosa triste, un annuncio di sacrificio, di sofferenza, di rinuncia... e non una lieta novella, l'annuncio della gioia per la venuta e la presenza del Signore.
Allora, non mi resta che rivolgervi ancora l’invito: ascoltate con attenzione le prime due letture di oggi, magari rileggetevele dopo, con calma. L’invito che l'antico profeta, e poi l'apostolo, ci fanno a rallegrarci, a riempirci di gioia perché viene il Signore. Poi il resto, il far del bene, il "cosa dobbiamo fare" verrà di conseguenza, quasi naturalmente.
Forse voi non ve ne siete accorti, perché la maggior parte di voi non conosce il greco, ma quello che abbiamo letto oggi nella prima lettura, lo abbiamo ascoltato quasi con le stesse parole nel Vangelo di giovedì scorso: Luca mette in bocca all'angelo le stesse parole che abbiamo ascoltato dal profeta. L’annuncio a Maria è proprio questo: "rallegrati, Maria, riempiti di gioia, il Signore è con te". E poi riprende ancora la parole del profeta "non aver paura Maria perché viene lo Spirito per te" . E Maria ha saputo accogliere l’annuncio di gioia, che sconvolge e trasforma la sua vita. Anche molti di voi hanno provato - magari in circostanze più favorevoli di Maria - la gioia di ricevere l’annunzio della nascita di un bambino. Ricordate: la gioia vi ha riempito la vita, le ha dato senso, vi ha trasformati, vi ha cambiati e vi ha fatto sentire più buoni.
Se tornate alla pagina di Vangelo che abbiamo ascoltato giovedì scorso, vi accorgete che Maria dell'annunzio dell'angelo, (l’annunzio sconvolgente che nascerà da lei un Bambino e non un bambino qualunque, ma il Figlio di Dio!), lei sembra capire una cosa sola: che sua cugina, là sulla montagna aspetta anche lei un bambino, è già arrivata al sesto mese: la gioia di Maria si trasforma subito nel preparare la sacca del viaggio e correre, correre là dove qualcuno, forse, ha bisogno di lei. È il suo modo di esprimere nei fatti la gioia e quando incontrerà Elisabetta canterà la sua riconoscenza e la sua esultanza: "l’anima mia magnifica il Signore, l’anima mia esulta in Dio, mio Salvatore". La pienezza della gioia si trasforma in bontà, in gesti di amore.
Ed ora invochiamo tutti lo Spirito di Dio perché noi e ogni uomo siamo riempiti di gioia, nella certezza del Signore che viene... e allora diventeremo tutti più buoni. Sapessimo l'un l'altro comunicarci la lieta novella, la certezza della presenza del Signore, fossimo l'un l'altro testimoni di gioia! allora il mondo cambierebbe. Non abbiamo bisogno di predicatori: abbiamo bisogno di annunciatori e di testimoni di gioia, di speranza e di vita.
Chiediamolo insieme al Signore.
1991
In questo tempo d'Avvento, tutti noi, penso, abbiamo fatto qualche piccola cosa, qualche piccolo gesto: un gesto di riconciliazione, un po’ di attenzione verso gli altri, un po’ di carità. Abbiamo fatto qualcosa per prepararci al Natale che viene. Come Maria! Maria, quando ha sentito l'annunzio dell'Angelo che le diceva che sarebbe diventata mamma, ha preso le sue cose e in fretta è andata in cima alla montagna, in un paesino sperduto, a trovare sua cugina Elisabetta che aspettava un figlio: un gesto di servizio, di disponibilità, di attenzione. Anche noi, in questo tempo d'Avvento lo abbiamo fatto, come lei!
Adesso ci resta ancora da fare una cosa: lasciare spazio nella nostra vita all'accoglienza di Gesù, allo stupore, alla meraviglia, alla gioia! Perché - avete sentito? - quando Maria va a trovare Elisabetta, quando ha fatto la sua strada, quando ha fatto il suo gesto di servizio: c’è spazio per l'esultanza, c'è spazio per la gioia; addirittura il bambino nel seno di sua madre sobbalza di gioia, perché arriva Gesù.
Ecco, per poter sobbalzare di gioia occorre che ciascuno di noi faccia spazio allo stupore, alla gioia, alla meraviglia. Le letture di oggi ci vogliono condurre alla capacità di meravigliarci, alla capacità di andare oltre gli schemi. Betlemme è un piccolo paese insignificante, eppure di lì nascerà il Messia! Il bambino nel seno di sua madre non può sentire niente, eppure sobbalza di gioia. La vecchia Elisabetta, la sterile, partorisce! Maria, la vergine, diventa madre! Ecco, quello che non può succedere, succede. Occorre che ciascuno di noi vada al di là degli schemi, al di là di quello che si immagina degli altri, della vita, del Signore. Ce lo aspettiamo in un certo modo e Lui verrà in modo diverso. Un Bambino che si consegna nelle nostre mani, un Bambino in cui credere, l'amore si fa carne e diventa possibile, Dio che viene nella vita di ciascuno di noi. Ecco, se allarghiamo il nostro cuore, se lo facciamo capace di stupore, di meraviglia, se non siamo attaccati al nostro schema, alle nostre abitudini; allora possiamo anche noi sperimentare la gioia, esultare. Anche chi ha i capelli bianchi ed è molto lontano dall'essere bambino può, nel profondo, sperimentare la gioia perché Dio viene nella nostra vita, viene a camminarci accanto, viene a condividere con noi l'avventura di essere uomini.
Il Signore ci dia la gioia del Natale.
1988
Ecco l'ultima predica prima di Natale, in cui dovrei aiutare me stesso, e poi voi, a celebrare il Natale. Quando si deve predicare, la domanda che uno si fa è: "a chi parlo? a chi mi rivolgo?" Tante persone diverse e si rischia sempre di dire delle cose a chi non servono e non dirle a chi servono, magari cominciando da se stessi e viene spesso non solo a me, ma anche ad altri predicatori, la voglia di star zitto; poi qualcosa bisogna pur dire, forse non sempre le parole sono giuste, ma voi siete così saggi da rileggervi il Vangelo e lasciare che le parole di oggi, che sono molto belle, parlino a ciascuno di voi. Tutta questa premessa perché non so a chi andrebbe rivolto il discorso di stasera, ma forse a tutti.
Vedete, io penso qualche volta che noi uomini di oggi siamo vittime dei giornalisti, della televisione, dei giornali. Una notizia quando finisce sui giornali, deve essere una notizia straordinaria, altrimenti non ci finisce sui giornali.
La vita di tutti i giorni, la gente che lavora, che fa il suo mestiere, che tira su i figli, i piccoli gesti di amore, di bontà, non finiscono sul giornale; ma gli atti eroici, oppure una grande disgrazia, chi uccide, chi viene incarcerato perché spaccia, insomma i grandi guai o le cose straordinarie, queste vanno sul giornale. E allora succede anche dal punto di vista religioso che molti uomini di oggi cerchino anche nella fede lo straordinario.
Ogni tanto si sente parlare di uno che profuma di rose, allora il popolo cristiano a frotte va là, si riempiono le chiese, magari bisogna ingrandirle; a volte si sente che una Madonna appare in qualche parte e grandi masse di cristiani vanno là, cercando lo straordinario, cercando di vedere se sia possibile assistere ad un miracolo, sentire qualche cosa, fosse anche soltanto un profumo di rose.
Delusione, allora, quando leggiamo il Vangelo dell'infanzia di Gesù in cui tutto è riportato a dimensioni molto semplici. Avete sentito anche oggi, Maria ha ricevuto il grande annuncio che ha cambiato la storia degli uomini: "nascerà da te un Bambino, il figlio di Dio" e che cosa fa? l'avete sentito: si è alzata in fretta ed è andata sulle montagne di Giuda (sono più di 100 chilometri, da fare a piedi a quel tempo) per dare una mano a sua cugina e quando si incontrano, si abbracciano, si salutano, e cosa dice Elisabetta?: "Beata te che hai creduto", e Maria: "l'anima esulta nel Signore, perché Lui si è chinato sull’umiltà della Sua povera serva, ecco io sono la serva del Signore".
In una piccola casa, in un piccolo paese sperduto, due donne si incontrano per accogliere, per tentare di credere, per tentare di fare spazio a Dio, di preparare la Sua venuta. Maria cerca di dare una mano ad Elisabetta, rimane con lei circa tre mesi, tre mesi spesi nel semplice servizio, non nel prepararsi a questo evento straordinario!
Quando ci ritroveremo sabato prossimo, nella notte di Natale, ascolteremo anche noi l'annuncio dell’Angelo: "andate, troverete un Bambino, questo è il segno". Un bambino come i vostri, un bambino che nasce in una stalla, lontano dalla folla, dalla gente, e là siamo invitati a cercare Dio.
Nella semplicità della nostra vita, non nelle cose straordinarie. Chi vuole cercare Dio oggi, almeno secondo me, non deve andare a cercare i profumi di rose, i segni miracolosi, le apparizioni, i fatti straordinari, ma deve tentare di leggere nella sua vita, nella semplice vita di ogni giorno, i segni di bontà, di amore, di affetto, le cose semplici della vita di tutti i giorni, quello che Dio ci chiede; deve tentare, chi vuole cercare Dio oggi, di credere nella presenza di Gesù, nella semplicità, nella povertà, nella vita di ciascuno di noi. Lontani dallo straordinario, nei semplici gesti di amore, di carità, di bontà, nella fede viva, là possiamo incontrare Dio, altrimenti incontriamo soltanto qualche cosa di magico, di straordinario.
Impariamo da Maria: lei non è andata a cercare qualche cosa di straordinario, lei è andata a mettere tre mesi del suo tempo, così semplicemente, a disposizione della cugina che aveva bisogno di lei; in questo modo si è preparata a far nascere Gesù. Un modo che a molti di noi sembra troppo semplice, eppure Dio possiamo incontrarlo soltanto così!
Maria ci aiuti a prepararci sul serio al Natale che viene.
1991
Quest'anno ci aiuta a celebrare il Natale questo nuovo presepe: delle statue solenni fatte dalle abili mani di un artigiano, se non proprio di un artista. Un segno di bellezza! Dei volti dolci, materia preziosa come il legno, la cura di chi le ha sistemate, le luci: ecco la bellezza! ecco la gratuità!
E come sempre, quando c'è la bellezza, la gratuità, la festa, c'è un po’ di sciupio, un pizzico di follia, come un vaso di profumo spezzato per dar gloria al Signore, per celebrarLo; perché qui, stanotte, noi celebriamo la follia di Dio, la gratuità di Dio. Dio che viene per essere con noi, non per fare qualche cosa per noi, ma per condividere la nostra vita. La follia di Dio che si spoglia della Sua grandezza, si fa un Bambino, piccolo, indifeso, in una culla.
Quasi tutti voi avete visto un bambino appena nato: non può nemmeno sorridere, può solo, qualche volta, piangere, far sentire la sua voce potente, nient'altro! Un Bambino indifeso, un Bambino che si consegna nelle nostre mani, la follia di Dio, la vita condivisa. Dio viene a condividere il cammino di questa nostra terra, cammino a volte faticoso, e Lui l'ha fatta tutta la fatica di vivere accanto a noi, condividendo la nostra strada, venendo ad essere uno di noi. Ecco, abbiamo bisogno di tutto il nostro stupore, di tutta la nostra capacità di meravigliarci, di sentire la bellezza, la gratuità, per andare, anche noi, stasera, alla notte di Betlemme.
Noi, qualche volta, ci aspettiamo un Dio potente, un Dio forte, un Dio che risolva i problemi del mondo; gli chiediamo tante cose, anche questa notte avremmo tante cose da chiedergli, noi che fatichiamo a vivere, e c'è davanti a noi soltanto un Bambino appena nato, un Bambino che non può nemmeno sorridere, un Bambino che è venuto a condividere con noi questa vita: la follia di Dio che si è spogliato di tutto per camminare con noi.
Ecco, chiediamo a Dio tutto lo stupore, la meraviglia, la capacità di contemplare, di sentire la gratuità nel profondo di noi stessi, per vedere che cosa Dio ha fatto per noi. Poi, cercheremo di rispondere, di domandarci che cosa ci chiede, gli faremo spazio perché possa crescere in mezzo a noi; ma adesso accogliamo nel profondo di noi stessi la gioia di Natale, la gioia di non essere più soli nella fatica di essere uomini; perché c'è Dio che cammina con noi. Dio che si fa un Bambino, Dio che si consegna nelle nostre mani, Dio che viene a condividere la nostra vita, Dio che viene a camminare con noi. È Natale! È la gioia di Natale! Auguriamocela l'un l'altro, auguriamola al mondo intero. Nella vita degli uomini, in mezzo a noi, Dio ha piantato la Sua tenda.
1988
Chi non ha potuto vedere entrando, lo vedrà magari dopo, uscendo: quest’anno chi ha fatto il presepe, ha fatto nascere Gesù fuori, in mezzo alla strada: aspetta un presepe e vedete ci tende la mano, perché lo cerca da noi un presepio, perché ciascuno di noi possa fare il suo presepio! E non ci sono nemmeno i personaggi del presepe, mancano i pastori, la gente solita, perché dobbiamo essere noi i personaggi del presepio, non possiamo lasciare là il presepe in un tempo lontano, in un luogo immaginario: Gesù vuol venire nelle nostre case, in mezzo a noi, con la gente che ci sta intorno, è là che dobbiamo fare il presepe. Il Bambinello quest'anno cerca il presepe e lo cerca da noi e per noi, perché per noi nasce, a noi vuole portare l'annunzio della sua speranza, della sua gioia, e lo cerca nel quotidiano delle nostre case.
Vedete, ancora noi cristiani, dopo 2000 anni, non abbiamo ancora assorbito lo scandalo di un Dio che nasce in un piccolo sperduto paese di questa nostra terra. Oggi sappiamo che anche la nostra terra è una piccola cosa nell’immenso universo.
In un piccolo paese sperduto... e per 30 anni che cosa fa? Il muratore, il falegname! Noi che crediamo di saper tutto, andremmo lì volentieri a dire: "Ma ti rendi conto? tu che sei Dio, vieni in mezzo a noi e con tutti i problemi che ci sono nel mondo, te ne stai lì per 30 anni a fare il muratore, sconosciuto a tutti".
Noi pensiamo spesso di sapere tutto, ma forse ci conviene oggi farci semplici come i pastori, come i bambini, per accogliere Gesù, il Bambino di Betlemme, che vuole entrare nel quotidiano nella nostra vita, nelle nostre case, in mezzo alla gente che lavora, in mezzo alla gente che è emarginata. Gesù lo possiamo incontrare nella gente che abbiamo accanto ogni giorno, nella gente che incontriamo per la via, in chi ha problemi, è in difficoltà. Dentro la vita di tutti i giorni, nel quotidiano, nelle nostre case, tra la gente che ci vive intorno, Gesù ci invita a costruire il Suo Regno; è là che Gesù vuole che portiamo il Suo messaggio di speranza, di servizio, di vita donata, di amore vero, il Suo messaggio di pace, di cui ciascuno ha bisogno nel profondo del proprio cuore! Nelle nostre case, intorno a sé, nell'ambiente del lavoro, nelle città, tutti insieme dobbiamo far spazio a Gesù. Ci chiede di nascere, di fare noi il Suo presepio, di costruire un luogo che lo accolga, che lo accetti, che gli faccia spazio; allora è veramente Natale. Gesù ci chiede oggi di fargli noi la culla, la capanna, di essere noi i personaggi, di essere noi i pastori, a cui l'Angelo porta l’annuncio della gioia, della speranza.
Lo Spirito di Dio ci dia di accoglierlo nel profondo della nostra vita e di trasmetterlo a chi ci sta intorno. Allora sarà Natale!
1991
Qualche cosa di veloce e di allegro, se mi riesce, perché in questi giorni ci vediamo spesso e fare indigestione di prediche è quanto di peggio possa capitare nella vita di un cristiano; e poi anche perché parlare sulla famiglia è una delle cose più complicate che ci siano.
Per prepararmi ho letto alcune cose: chi la tira da una parte, chi la tira dall'altra... mi sono soffermato a riflettere proprio su questo. Anche nell’anno passato, leggendo insieme il Vangelo... c'è sempre qualcuno che si meraviglia che il Vangelo abbia tante interpretazioni: chi gli fa dire una cosa, chi mette l'accento su un'altra. Se leggete i commenti su questa pagina: qualcuno dice che Gesù rompe i tabù della famiglia, va al di là dei legami di sangue. Qualcuno mette l'accento sul fatto che i Suoi genitori non comprendevano, e ci sono i figli che spesso non si sentono capiti dai genitori. Qualcuno mette l'accento sulla sottomissione, sull'ubbidienza di Gesù.
Conoscerete tutti la barzelletta a proposito di questo Vangelo: il papà che raccomandava sempre al figlio di essere ubbidiente come Gesù, ma quando il figlio ha letto questa pagina ha detto: "Vedi? Altro che ubbidiente! Gesù se n'è andato di casa, addirittura per tre giorni lo hanno cercato!". Il papà, rimasto perplesso, si è voltato al Crocifisso e ha detto: "Ma vedi che fine ha fatto, però!"
Al Vangelo succede spesso così, ciascuno se lo tira dalla sua parte e i bravi cristiani come voi domandano: "Ma allora chi ci dice dove sta la verità? Che cosa è giusto? Chi ha ragione?" Ma vedete, probabilmente non ha ragione nessuno e hanno ragione tutti. La verità non è una scatola, la verità ha tante facce diverse, ognuno ne possiede un pezzettino. Noi siamo un pallido riflesso della infinita verità di Dio e questo vale soprattutto per le persone. Hanno ragione i figli che crescono e cercano la loro libertà e la loro strada, ma hanno ragione anche i genitori che si preoccupano di guidare i figli sulla strada giusta. L'importante, anche nella famiglia, è il rispettarsi, l'accettarsi gli uni gli altri. Il rispetto che qualche volta nel nostro mondo sembra mancare ma, se mi ricordo, mancava in parte anche prima. Soprattutto le donne che stanno in casa, che lavorano da mattino a sera, avrebbero bisogno, secondo la mia esperienza, di più comprensione, di più attenzione da parte di tutti; da parte dei figli, da parte dei mariti. In una casa si riesce ad andare avanti nella pace, se c'è in tutti la passione per la pace e il bene, la ricerca della verità; ma se nessuno crede di possederla, se nessuno si fa piedistallo della verità che pensa di aver trovato e se tutti insieme ci si rispetta nel profondo, ci si accoglie nelle diversità; perché grazie a Dio siamo tutti diversi! Anche nella famiglia di Nazaret erano diversi, anche lì, qualche volta, facevano fatica a capirsi, anche lì ognuno sentiva di dover andare per la sua strada: la strada di Dio prima della strada degli uomini. Accettarsi così come siamo, non voler imporre agli altri il proprio modo di vedere le cose: forse questo è il segreto della pace.
Il Signore ci aiuti.
1988
Soltanto una parola perché penso che tutti vi accingiate a festeggiare con gli amici, con le persone che vi sono care, l'ultima sera dell'anno, aspettando l'anno nuovo. Siamo riuniti in questa ultima sera, per dire il nostro grazie al Signore; glielo diremo anche dopo, facendo festa con le persone a cui vogliamo bene: forse quello è il modo migliore per dire grazie al Signore, far festa insieme con le persone a cui si vuole bene.
L'invito che faccio - ma non ne avete bisogno - a me e a tutti voi, è quello di dire grazie al Signore per la vita che abbiamo trascorso in questo anno, che ci ha dato da vivere. Certo alcuni di voi - forse più che alcuni - non è che abbiano molto da ringraziare alla fine dell'anno. È stato per alcuni un anno faticoso, un anno pesante, qualcuno ha incontrato in quest’anno la malattia, qualcuno anche qualcosa di peggio. Ma tutti, penso, abbiamo trovato in quest'anno che il Signore ci ha dato da vivere, delle cose buone: pensate soprattutto all'amore che abbiamo avuto intorno, ai gesti di tenerezza, d'accoglienza, alla gente che è cresciuta con noi, con cui abbiamo condiviso la vita e che ci ha voluto bene. È impagabile l'amore di una persona, di un figlio, di un marito, di un papà, di una mamma e anche chi è rimasto solo ha trovato intorno a sé un sorriso, una parola buona... Di questo diciamo grazie! E in più diciamo grazie del bene che abbiamo potuto fare, tutti ne avete fatto certamente: tutti avete potuto tendere la mano a qualcun altro, molti di voi hanno speso quasi tutti gli attimi della vita per gli altri, e di questo diciamo grazie!
E vedete anche qui insieme, per la vita parrocchiale, ci ripensavo proprio ieri... di che cosa una Parrocchia dice grazie? E mi ritornavano in mente tutti i gesti di amore che in quest'anno io ho visto. Perché, vedete, capita anche a me di sentire la radio, di guardare la televisione - è un discorso questo che faccio spesso, che sento profondamente - mi capita di sentire tante brutte notizie; ogni tanto riesco a chiudere gli occhi e a guardare voi, la gente che conosco, la gente che c'è qui... i tanti gesti d'amore di cui sono testimone. Credo che la cosa preziosa di una Parrocchia sia quella! Qualche volta in una Parrocchia si deve costruire una chiesa - è capitato anche a noi - e ci vuole tempo e fatica, ma non sono quelle le opere che contano davanti al Signore. Quello che veramente conta sono le persone che tutti i giorni spendono la vita per gli altri: ho davanti agli occhi delle mamme che hanno un figlio handicappato, quanto amore c'è là; delle persone che si occupano di un vecchio, il cui senno se ne è andato... quanta attenzione, quanta delicatezza! Dei genitori che aiutano i figli a crescere quando arrivano ad una certa età... quanta pazienza e comprensione ci vogliono!
Quanti gesti di bontà, di attenzione... sono cose che diamo per scontate, tutti diciamo "si debbono fare queste cose", eppure quanto di vita, di preziosità c'è nei gesti di ogni giorno, quanta gente c'è in questa Parrocchia che va all'ospedale a dare un sorriso, una mano, quanta gente si occupa dei più poveri, quanta gente che tenta di insegnare un po' di catechismo agli altri, quanta gente che non pensa troppo a se stessa. Certo tutti siamo pieni di peccato, non ci sono “santi” in mezzo a noi (quando leggo le vite dei Santi, qualche volta distolgo gli occhi per guardare qualcuno di voi perché mi sembrate molto meglio; sapete, qualche volta leggo che qualche Santo ha bruciato diversi eretici, noi siamo gente che non si è mai nemmeno sognata di bruciare qualcuno) solo persone che cercano di voler bene a quelli che possono. In mezzo a noi c'è tanta gente che fa il bene che può, nelle piccole cose di ogni giorno; se il mondo va avanti è perché c'è tanta gente come voi che ogni giorno si dà da fare, fa quello che molti chiamano "il mio dovere": ma questo dovere è così carico di tenerezza, di bontà, di attenzione verso gli altri, di amore vero: per questo dovremmo dire grazie al Signore!
Sarebbe già una cosa molto bella se una Parrocchia facesse solo questo: voi fate anche di più: per questo diciamo grazie al Signore!
È inutile che vi dica i numeri di quanta gente è nata, di quanta gente... lo trovate sul giornalino parrocchiale che uscirà prossimamente, così sulla porta della Chiesa trovate il bilancio: anche quest'anno è molto positivo e per fortuna non succede come dicono certuni "Quando aumentano i soldi, diminuisce la fede", in mezzo a voi c'è tanta fede e tanto amore.
Diciamo quindi grazie al Signore per tutto questo.
1992
L’altro giorno mi capitava di andare, per una triste circostanza, nella parrocchia di S. Nicola, la chiesa che è nella pineta, davanti all’ospedale. Lì, in sacrestia ho visto delle carte "Gloria", era tanto tempo che non mi capitava più di vederle. Forse qualcuno di voi saprà cosa sono le carte "Gloria". Sull'altare, un tempo, c'erano tre piccoli quadri, tre cornici, con dentro delle parole scritte; ed erano molto ben lavorate, molte erano d'argento e anche quelle lì erano particolarmente belle. Dentro una di queste tre cornici c'era proprio il Vangelo che abbiamo letto stasera. Lo ripetevamo in latino ogni volta che celebravamo la Messa: "In principium erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum". Chi ha i capelli bianchi ricorda queste parole, si dicevano in tutte le Messe.
Che cosa significa questo? Significa che questa pagina del Vangelo era considerata dal popolo cristiano una delle pagine più importanti di tutto il Vangelo, tanto da volerla ripetere in ogni Messa. Vi ho detto questo all'inizio, per chiedere scusa a quelli tra di voi che amano questa pagina. Chiedo scusa, perché? Perché, vi confesso che a me questa pagina non piace più.
Quando ero giovane ci ho sudato sopra parecchio: a quel tempo, a scuola si parlava e si studiava in latino e dovevamo approfondire frase per frase, adesso queste parole grandi, queste parole quasi filosofiche mi dicono poco.
Penso, almeno per me, che essere cristiani significa andare alla capanna di Betlemme e guardare Gesù come lo guarderebbe un bambino, con l'animo stupito di chi ama le cose semplici. Io non amo più le grandi parole ricche di filosofia: le amavo quando ero giovane. Adesso amo di più le parti narrative, i racconti che narrano la presenza di Gesù in mezzo a noi. Amo i simboli, i tanti simboli che ci sono nel Vangelo. Preparando questa predica, mi domandavo: Che cosa è rimasto in me, nella mia vita di credente, di queste grandi parole? Ecco, vi ho detto che queste grandi parole, proprio perché sono grandi, non le amo più: ma posso testimoniarvi con cuore sereno che in tutta la mia vita - ormai son più di cinquant'anni di vita che penso o che tento di pensare - ogni volta che ho incontrato Gesù, per me Lui è stato luce, è stato vita, ha portato ricchezza nella mia esperienza di uomo.
Io ho avuto fortuna - so che molti di voi non hanno avuto questa fortuna - Gesù, per me, non è mai stato una figura severa, che mettesse paura, che desse inquietudine. La Sua presenza nella mia vita, l'incontro con Lui, nel Vangelo, nella Parola che ho ascoltato, nella preghiera, è stato sempre per me fonte di luce, di speranza, di coraggio. È stato per me esperienza di vita, perché i valori di Gesù, la vita di Gesù mettevano nella mia esperienza, nei miei giorni, il coraggio di vivere, il coraggio di voler bene, la voglia e la forza di andare avanti.
Gesù mi ha fatto sentire Dio come Padre, mi ha fatto sentire figlio, mi ha fatto fare esperienza dell'amore di Dio, che veniva a condividere la mia esperienza di uomo, mi ha fatto sentire che non ero solo perché Dio mi voleva bene. In Gesù ho fatto esperienza - e questo lo sento sempre di più - di grazia, di gratuità, di vita data per donare, di vita data per essere condivisa. Non perché Lui da me si aspettasse qualche cosa, ma proprio perché mi voleva bene; Lui mi voleva bene gratuitamente, mi voleva bene per camminare con me, per condividere la mia vita.
Certo! e vi chiedo ancora scusa: queste non sono le grandi parole che Giovanni ha saputo trovare. Molti di voi amano queste parole; allora, rileggetevele a casa; io amo le parole più semplici, parole, però, che vengono dalla mia esperienza di cristiano.
Ciascuno di voi, oggi, trovi le sue parole per dire grazie al Signore, per dire grazie alla sapienza di Dio che si è fatta folle fino a farsi per noi un Bambino, fino a venire a condividere la nostra vita. Questa è la sapienza di Dio! Dio non è rimasto nell'infinita grandezza della Sua gloria, ma si è fatto uno di noi per portare nella nostra vita luce, amore, vita, gratuità.
1992
I nostri antichi non sapevano soltanto scrivere parole alte e magari un po’ difficili come quelle che abbiamo letto nel Vangelo di ieri, ma sapevano anche raccontare delle storie, inventare racconti come quello che abbiamo appena ascoltato, storie ricche di simbolismo, ricche di immagini che ci aiutano a capire il senso di Gesù nella nostra vita.
Avete notato che oggi abbiamo letto un altro racconto della nascita di Gesù: lasciamo con questo racconto, il clima sereno e bello del Natale. Era il clima del Vangelo di Luca: la semplicità dei pastori intorno alla grotta di Betlemme, il canto degli Angeli: nessun contrasto, tutto è serenità e gioia. Come il Natale che abbiamo vissuto! Spero che tutti abbiate potuto viverlo in serenità e pace nelle vostre case.
Oggi, come avete sentito, il clima del Vangelo cambia: tutto si fa più drammatico, pieno di contrasti. I Magi, questi cercatori di luce, vengono da lontano, e che cosa trovano a Gerusalemme? Trovano il rumore della folla. La folla che si agita, ma è incapace di produrre alcunché nella sua agitazione. E poi trovano i sapienti, i maestri, i dottori della Legge: quelli che sanno tutto, quelli che hanno una risposta pronta per ogni cosa, ma che non si muovono. Trovano la violenza di Erode, l'inganno di Erode, la falsità del potente che dice: "Andate a cercare il Bambino, voglio venire anch'io ad adorarlo", e invece medita di ucciderlo. La strage degli innocenti: ecco il contrasto violento tra coloro che con semplicità vanno inseguendo la luce e l’indifferenza, l'arroganza e la violenza.
È la realtà della nostra vita, quello che domani troveremo intorno a noi. Riprende la vita normale: molti di voi ritorneranno alla loro vita di ogni giorno, riprenderemo a vedere la televisione e ancora sentiremo il rumore della folla, sentiremo l'arroganza di coloro che sanno tutto, che hanno sempre la risposta pronta, che sanno sempre cosa vuole il Signore e dove sta il vero e il falso. Ce ne sono in abbondanza in questo nostro mondo, ce ne sono tanti anche nella nostra povera Chiesa. La gente che ha sempre una risposta pronta, che pensa sempre di sapere dov'è la luce.
E l'indifferenza di tanta gente che anche noi, in parte, condividiamo. La gente che grida, che si lamenta, che si agita, che dice male di tutto, ma che poi non sa produrre granché. La violenza dei potenti, la potenza di chi ha in mano la forza delle armi.
Il Signore dia a ciascuno di noi di essere, con semplicità, dei cercatori di luce, ogni giorno! Qualche volta la luce se ne va, la vita si fa incerta e nebbiosa: lo Spirito ci dia la forza di continuare a cercare la luce!
Non ha ragione chi pensa di sapere sempre tutto, non ha ragione chi si lamenta sempre, non ha ragione chi fa violenza. Ha ragione chi sa cercare la luce! Chi si porta nel cuore fame e sete di giustizia! Chi, con cuore semplice, si domanda ogni giorno: "Che cosa vuole il Signore? Qual'è la luce di Gesù nella mia vita?" Ci sentiremo compagni di strada di tanti uomini di buona volontà, in ogni angolo della terra, di chi, come noi, va cercando la luce, con semplicità di cuore, senza arroganza, accettando con pazienza che, qualche volta, la luce se ne vada, e non si riesca più a vedere; ma continuando senza stanchezze a cercare la luce, a cercarla ogni giorno, portandoci nel cuore fame e sete di Gesù.
Se ho capito qualcosa del Vangelo, la prima caratteristica del cristiano è di non essere uno che pensa di sapere tutto, ma di essere una persona che spesso non vede la luce, ma che va mendicando la luce ogni giorno, uno che ha il cuore fragile, che ritiene di non saper niente più degli altri, che con gli altri vuole andare cercando, che si porta nel cuore la fame e la sete del bene, della giustizia, della pace.
Il Signore faccia di noi dei "Magi", della gente che va cercando e che sa anche offrire quello che può, con cuore semplice, per dare, a chi ci sta accanto ogni giorno, non "oro, incenso e mirra", ma un semplice bicchiere d'acqua, la vita condivisa, il dono di noi stessi.
Il Signore ci aiuti.
1992
Più vado avanti nella vita e più mi sorprendo di come spesso le nostre immagini religiose, le nostre immagini di Dio, le immagini di Dio che riempiono il nostro parlare, o almeno il parlare di molta gente, siano lontane dal Vangelo, anche quando diciamo di essere cristiani e di credere nelle parole di Gesù. La maggior parte di voi, di fronte al male, alla cattiveria, al peccato che c'è nel mondo, se sentisse parlare qualcuno che, in nome di Dio, minaccia flagelli, castighi, non si meraviglierebbe. Siamo abituati a questo. Anche nelle "apparizioni" che di volta in volta qualcuno crede di avere, si minacciano castighi, flagelli, pestilenze, guai: tutto questo come conseguenza del peccato. E per molti una bella predica, anche se non minaccia castighi e flagelli, deve dire come ci si comporta, come non si deve fare il male, come bisogna fare il bene, ecc... Non ci sorprende certo chi, in nome di Dio, rimprovera, grida, minaccia, urla. Sentiamo tanti protestare, contro il male che c'è nel mondo.
Fermatevi un momento a considerare il Vangelo che abbiamo letto oggi: Gesù diventa adulto, comincia la Sua missione, viene a contatto con il male che c'è nel mondo; perché quando uno viene a contatto con gli uomini - e non andate tanto lontano, quando viene a contatto con me, ma, se posso coinvolgervi, anche con voi - viene a contatto con il male, con la pigrizia, con l'intolleranza, con tutto il male che ci portiamo dentro, con l'incapacità di fare il bene. Ebbene! Gesù viene e non dice una parola! Si mette in fila, si fa compagno di strada, compagno di quelli che, come noi, hanno il desiderio di cambiare, sentono il bisogno di andare a ricevere un segno di purificazione e di rinnovamento. Non una parola, non un grido, non una minaccia! Si mette a fianco e cammina con noi, pian pianino, per metterci ancora nel cuore la speranza di combattere il male, di diventare finalmente liberi, di fare un passo verso il bene.
Non ci minaccia castighi: non servono a niente! Non ci fa le prediche: servono ancora meno! Non ci rimprovera, ma si mette al nostro fianco e cammina con noi: la mano sulla spalla, la voglia di ricominciare insieme, la speranza che ti viene comunicata. Questo è Dio! Ditelo a tutti! Gridatelo alla gente! Raccontatelo ai vostri figli, perché possano ancora credere. Quando vi dicono che ha parlato qualcuno in nome di Dio "fosse anche un Angelo" - dice S. Paolo - che vi dice qualcosa di contrario al Vangelo, gridate: "Niente a che fare con il Vangelo se tu non parli come Cristo!" quando qualcuno vi dice: "Ecco questo è un castigo di Dio", quando qualcuno vi minaccia in nome di Dio... No! Gesù s'è messo in fila con i peccatori, ha camminato con noi, non ha gridato, non ha minacciato. Quando qualcuno vi fa la predica, quando avete anche voi la voglia di lamentarvi di tutto e di tutti, di dire che tutto va male, che intorno a noi c'è solo corruzione e ingiustizia... cercate di fare un passo, magari piccolo, nel silenzio, con fedeltà, con coraggio, conservando nel cuore il desiderio della giustizia. Questo è lo stile di Gesù! Non minacce, non castighi, non lamentele, non gridi; ma la voglia di camminare, la voglia di cambiare, la voglia di mettere la speranza nel cuore della gente.
Il Signore ci aiuti.
1992
Domenica scorsa vi invitavo a una riflessione su come spesso l'immagine di Dio, l'immagine religiosa della divinità che ci portiamo dietro, sia lontana dal Vangelo. Domenica scorsa dicevamo che quando l'uomo religioso incontra il peccato, la realtà del male del mondo, in genere si invocano i castighi di Dio, o si fanno prediche e rimproveri. Vi facevo invece notare che Gesù, quando si manifesta nella realtà degli uomini e del loro peccato, non fa che mettersi in fila, silenziosamente, con la gente che fa un passo verso la giustizia.
Oggi vi inviterei a continuare questa riflessione: Gesù compie il Suo primo segno. "Così iniziò - dice il Vangelo di Giovanni - a manifestarsi Gesù". E come ci aspetteremmo, secondo la nostra tradizione, che Gesù si manifesti? O nel Tempio, facendo una grande celebrazione, una grande cerimonia; o nel momento di una festa, una prima Comunione; o, se ci si aspettassimo che si manifestasse proprio in un matrimonio, ce lo aspetteremmo che fa una bella predica, una bella esortazione, che dice quello che bisogna fare o che non bisogna fare anche nella vita matrimoniale: siete abituati a sentirne tante di queste storie da quelli che parlano in nome di Gesù. Niente di tutto questo! Gesù fa il Suo primo segno a una festa di nozze. E come lo fa? Cambiando l'acqua in vino. E non all'inizio, perché la gente non ha vino, ma alla fine: quando - come dice il Vangelo - sono tutti un po’ brilli, manca soltanto l'ultimo pizzico di gioia e Gesù cambia l'acqua in vino.
Quanto è lontano questo dalle immagini che ci hanno dato della vita religiosa dei Santi! I Santi che ci hanno proposto sono sempre dei grandi digiunatori, degli asceti che fanno dei sacrifici inenarrabili, che non toccano né vino, né niente. Gente che digiuna sempre. E chi è che invita Gesù a cambiare l'acqua in vino? La Madonna! Aspetto di andare a qualche apparizione della Madonna, quando finalmente dirà che ci ha portato il vino. Ma non lo fa mai! Ci dice sempre: "Fate digiuno, non mangiate, non bevete, non toccate niente!" Gesù non era così! Gesù è venuto a portarci il vino, la gioia di vivere, la gioia di essere uomini, la festa di Dio. Facessimo veramente esperienza di questa festa nei nostri giorni, nella nostra vita! Perché la gente deve aver paura di Gesù e del Vangelo?! Non è forse, qualche volta, anche colpa nostra? I nostri catechisti fanno esperienza di come spesso la gente abbia paura del Vangelo, paura di Dio, paura di Gesù perché Lui chiede sempre sacrifici, perché la religione sembra una cosa cupa, minacciosa, oscura... Gesù è invece venuto a portarci la gioia! Non dimenticate il miracolo di Cana! Dio viene a portarci la Sua tenerezza, a sposarsi con noi, a condividere la nostra vita, a cambiare l'acqua in vino, a darci la gioia di sorridere anche quando siamo un po’ brilli.
Il Signore ci aiuti.
1992
Chi conosce il Vangelo di Luca, avrà subito notato la strana unione di frasi che abbiamo letto oggi. Si unisce l'inizio del Vangelo di Luca, con alcune frasi del capitolo quarto, in mezzo ci sono i capitoli che abbiamo letto nelle feste e nelle domeniche precedenti. Questa unione è fatta proprio per farci riflettere sulla Parola del Signore, su quello che facciamo qui ogni domenica.
All'inizio Luca ci racconta come ha scritto il suo Vangelo, facendo ricerche, raccogliendo tutto quello che avevano scritto prima di lui. Poi nella seconda parte di quello che abbiamo ascoltato, si narra come Gesù andando, "come il Suo solito di Sabato nella sinagoga", ha aperto il rotolo e letto il libro del profeta Isaia e poi ha detto: "Oggi si adempie questa Scrittura".
Un invito, dunque, a riflettere su quello che facciamo qui insieme: ne ho parlato tante volte, ma vediamo se oggi mi riesce di dirvi ancora qualche cosa, semplicemente, perché il discorso è un po’ complicato. Quasi tutti voi siete abituati a ritrovarvi qui domenica dopo domenica: questo ritmo settimanale, questo ritrovarsi abitualmente nella chiesa, non soltanto in momenti straordinari ma nella vita quotidiana, per noi è una cosa normale; ma se ci pensate un momento, questo non è normale in quasi nessuna religione del mondo. Non era normale nelle religioni dei Greci, dei Romani; non è normale, oggi, in tante religioni del mondo: nell'induismo, per esempio, ma in tanti altri popoli. Il ritrovarsi settimanalmente è una cosa normale soltanto nelle religioni che dipendono dall’ebraismo, le cosiddette religioni del "Libro".
Perché questa intuizione? Perché un "Libro"? Perché nel quotidiano?
L'atteggiamento religioso serve a colmare alcuni bisogni dell'uomo. L'uomo ha bisogno di sacralizzare alcuni momenti importanti della sua vita: la nascita, un po’ tutte le religioni hanno dei riti della nascita simili più o meno al nostro Battesimo, l'accoglienza di un bimbo, l'invocare su di lui la benedizione della divinità; poi il passaggio tra l'infanzia e l'adolescenza, quello che corrisponde per noi alla prima Comunione e alla Cresima; il Matrimonio e la morte. Anche qui in mezzo a noi dove la religione è abbastanza diffusa, c'è molta gente che si ritrova in chiesa soltanto al momento di un Battesimo, della prima Comunione, del Matrimonio, della morte. Si sente il bisogno di sacralizzare questi momenti e alcuni lo fanno con intensa partecipazione. Oppure la religione viene incontro all'uomo che ha bisogno e che non sa più a chi rivolgersi, quando c'è un malattia, un guaio ecc... I nostri padri si rivolgevano a Dio quasi per tutto: se c’era un vitello malato si rivolgevano a Lui, o almeno a S. Antonio abate, o a S. Rita, o a tutti i Santi specializzati.
L'uomo religioso ha bisogno di qualcuno che possa essere invocato nel momento del bisogno, non quotidianamente, ma quando serve. Un tempo la religione serviva anche per indovinare il futuro. A Roma, al tempo di Gesù, c'erano dei sacerdoti specializzati nello scrutare le viscere degli animali o gli uccelli del cielo; per dire cosa sarebbe successo domani. Uno dei bisogni grandi dell'uomo è cercare di avere un po’ di garanzia per il futuro. Oggi tutti vi fanno gli oroscopi, basta leggere un giornale, noi preti queste cose non le facciamo più, ma subito ci pensa qualcun altro. La religione si insinua in tutti gli aspetti della vita.
Un altro aspetto per cui serve la religione è quello di far memoria di quelli che non ci sono più, di quelli che sono morti. Allora se posso riassumere: sacralizzare alcuni momenti della vita; trovare qualcuno a cui ricorrere nel momento del bisogno; cercare di esorcizzare il futuro; ricordarsi di quelli che sono morti. Come vedete c'è uno spazio sacro, un recinto quasi, in cui nella vita l'uomo ha bisogno di entrare: quando l'uomo ha bisogno di una di queste cose allora va in chiesa.
Per noi non è così! Noi andiamo in chiesa anche quando non abbiamo bisogno, anche quando non c’è un momento da sacralizzare. Gesù ci invita a trovarci qui ogni sabato, ogni domenica: un incontro settimanale, un incontro gratuito con la Parola di Dio e per che cosa?! Perché questa Parola sia luce, sia liberazione, sia vita per il nostro quotidiano. La maggior parte degli uomini di questa generazione rischia di non avere più bisogni "religiosi"; i giovani facciano attenzione perché, o cercate di portare questa fede nel mondo, o la religione sparirà, ormai è una specie in estinzione perché voi che siete giovani e forti, non avete più bisogno di ricorrere al Padreterno per gran parte della vostra vita, rischiate, come mi diceva un signore l'altra sera, di andare in chiesa soltanto per i Battesimi, le prime Comunioni, il Matrimonio e la morte. Non ha senso una religione così! O in Dio troviamo una luce, una forza, una speranza per il nostro quotidiano, per la vita di tutti i giorni, per quello che facciamo, per la società in cui viviamo; oppure non ha più senso, per noi, essere uomini religiosi.
Non abbiamo bisogno di uno spazio sacro! Gesù ci ha convocato intorno a un "Libro" ogni domenica, ci convoca intorno a una tavola e sulla tavola noi non portiamo cose strane, ma portiamo un po’ di pane e un po’ di vino. Se ci pensate, sono le cose più semplici e quotidiane della nostra vita, perché Gesù vuole che la Sua Parola, la Sua vita sia luce, liberazione, speranza, forza per il nostro quotidiano, per i giorni che viviamo, per le ore del nostro lavoro, per il rapporto che abbiamo con la gente perché, come dice la bellissima conclusione della prima lettura: "la gioia di Dio sia la nostra forza".
Il Signore lo faccia per noi.
Festa della "Candelora": Gesù è presentato al Tempio (Luca 2, 22-40) 2 febbraio 1992
La festa che celebriamo, nella tradizione popolare, che tutti voi certamente conoscete, è la festa della "Candelora". Quelli di voi che hanno i capelli bianchi, saranno spesso tornati a casa il 2 di febbraio con una piccola candela. Qualcuno avrà ascoltato anche i consigli della nonna o della mamma su quando si deve accendere la candela.
Mercoledì scorso i nostri anziani raccontavano tra di loro tutte le diverse tradizioni, nelle varie parti d'Italia, su quando si accende la candela. In alcune regioni si dice che questa candela si accende in punto di morte, altri dicevano come si doveva accendere quando uno si ammalava, altri, che si doveva accendere quando c'era il temporale, altri dicevano per proteggersi dal mal di gola, insomma tutte le varie tradizioni; quelli che hanno qualche anno di più possono ricordare qual è la propria tradizione, quella che hanno ascoltato dai propri nonni.
Se ci pensate un momento, quasi mai in queste tradizioni si fa riferimento al Vangelo, si fa riferimento al Battesimo. Oggi, ascoltando il Vangelo potete chiedervi: perché questa candela? da dove viene la "Candelora"? Viene proprio dalle parole di Simeone che abbiamo appena ascoltato: "I miei occhi hanno visto la tua salvezza... luce per illuminare le genti". Ecco, da questa luce viene la candela: segno, non di protezione dal temporale o dai malanni, ma un segno di Gesù: è Lui la nostra luce. La nostra vita ha senso se è vissuta nella luce. Se leggete il Vangelo, specialmente il Vangelo di Luca, vedete quante volte si parla della "luce".
In questa settimana, leggevamo insieme proprio il capitolo undicesimo del Vangelo di Luca e mi colpiva questa bella frase: "Sta attento perché la tua luce non diventi tenebra". Ecco, il cristiano è proprio un uomo che cerca la luce di Gesù, che cerca che la sua vita sia sempre illuminata dai valori, dalla tenerezza, dall'amore del Signore. Per questo il giorno del Battesimo ci hanno consegnato una candela e ci hanno detto: "Ricevi la luce di Cristo", proprio perché i nostri giorni, il nostro camminare sia un andare nella luce del Signore, e la nostra vita sia rischiarata dalla luce di Gesù.
Quello a cui dobbiamo stare attenti è proprio che questa nostra luce non diventi tenebra, che i valori che abbiamo nel cuore non diventino falsi. Per questo ci ritroviamo ogni domenica a pregare e ad ascoltare la parola di Gesù, per questo abbiamo bisogno di incontrarci con Lui: perché la nostra luce non si spenga. A volte è solo un lucignolo che fumiga: ma, senza scoraggiarci, tentiamo di tenere accesa la lampada di Gesù. I Suoi valori, il Suo amore, la Sua bontà, la Sua speranza, la Sua gioia riempiano la nostra vita. Ecco perché nella Chiesa ci sono tante volte i segni della luce.
Domani qualcuno troverà la "candela" in qualche chiesa, noi non la usiamo più perché vogliamo riservare la candela alla notte di Pasqua. Molti di voi sanno con quanta intensità viviamo quella notte: ricordando il nostro Battesimo, teniamo accesa una candela e la portiamo qui intorno all'altare; non possiamo farlo tante volte l'anno. Ma è importante non dimenticare che la vita cristiana non può essere che una ricerca della luce di Gesù, una ricerca dei valori di Gesù.
Oggi, se abbiamo mal di gola, non abbiamo più bisogno d’incrociare le candele, i medici hanno trovato medicine più efficaci della candela; ma non c’è medico sulla terra che possa metterci nel cuore i valori veri della vita, le cose che sono veramente importanti, le cose che fanno la vita degna di essere vissuta: questo può farlo soltanto Gesù, la Sua parola, il Suo amore, la Sua luce.
La luce del Signore illumini i nostri passi
1992
Voglio richiamare la vostra attenzione sulla prima lettura, perché vi sarete accorti che è molto simile al Vangelo. Ci narra qual è, quale potrebbe essere, la nostra esperienza di credenti. Il credente è un uomo che fa esperienza forte di Dio, della Sua santità; che sente la Sua infinita bontà, l'esigenza della Sua giustizia, della Sua verità, del Suo amore.
Anche gli apostoli nel loro incontro con Gesù - che per noi è la presenza, la manifestazione di Dio - facevano esperienza di quanto grande fosse il Suo amore, scoprivano tutta la bellezza e la pienezza della vita, sentivano l’esigenza della Sua giustizia, della Sua verità e sentivano allora tutta la loro povertà e la loro debolezza; come un vetro, attraversato da un raggio di luce, mostra ogni traccia di polvere, così loro vedevano tutte la loro incapacità di amare fino in fondo.
Isaia grida: "Povero me! Sono un uomo dalle labbra impure". Pietro si butta in ginocchio davanti a Gesù: "Abbi pietà di me! Sono un peccatore".
Questa esperienza, forte, molti di voi l'hanno fatta; ma purtroppo, spesso, nella nostra tradizione ci si ferma qui. E questa constatazione della santità di Dio e della esigenza della Sua Giustizia, porta spesso come conseguenza o la paura di Dio, o la sensazione di essere inutili, incapaci, o addirittura, per qualcuno, la convinzione di non poter essere cristiani.
Quante volte ho sentito dire: "Allora io non sono cristiano!" Sono ormai più di trent'anni che sono prete e quello che ho sentito dire più frequentemente dalla gente è: "Allora io non sono capace, allora io non sono cristiano". E c’è sempre qualcuno che invita a moltiplicare le pratiche di espiazione, a ripetere sacrifici e rinunce.
Quello che abbiamo ascoltato è profondamente diverso: a Pietro che sente le grandi esigenze di Dio, che sente l'esigenza profonda dell'amore, della giustizia, che si sente piccolo, che sa di aver lavorato invano, all'uomo che si sente peccatore, Gesù dice: "Tu sarai pescatore di uomini, va nel mondo e diventa testimone di Me".
Dio chiede: "Chi manderò?". E Isaia risponde: "Eccomi, manda me!"
La conseguenza dell'incontro con Dio non è la paura, il credere di non essere capaci, non è il credere di non essere cristiani, ma è l'umile accettazione del compito di essere testimoni di Lui, di portare nel mondo la vita.
Nonostante tutte le proprie debolezze, nonostante il proprio peccato, Pietro riceve l’invito ad essere "pescatore di uomini!" Luca ha inventato qui una parola che in greco non esiste, almeno per quel che riguarda la pesca. Si dovrebbe tradurre: portare la vita agli uomini, dare la vita agli uomini.
Non si tratta di compiere imprese grandiose per cui servono degli eroi, gente capace di compiere grandi cose. Portare la vita può significare solo essere capaci di fare un sorriso, di fare una carezza a chi ci sta accanto.
Essere testimoni di Dio non esige, normalmente, fare azioni eroiche e straordinarie: può richiedere solo vivere ogni giorno il nostro lavoro, la nostra vita in casa, con la moglie, con i figli, - con i nipoti per molti di voi - sul posto di lavoro per chi va a lavorare, e cercare di portare lì un pizzico di giustizia, un pizzico di verità: senza paura! Senza paura, perché Dio si fida di noi!
Noi qualche volta non ci fidiamo, né di noi stessi, né degli altri, diciamo di non essere capaci, come Pietro diciamo al Signore: "Lavoriamo invano tutta la notte, non riusciamo a prendere nulla". E Gesù proprio a Pietro dice: "Tu sarai pescatore di uomini!"
Quello che dice a Pietro lo dice a me e a ciascuno di voi. Questo Vangelo non è un Vangelo soltanto per i preti, per i missionari o per le suore; è il Vangelo per tutti noi.
"Ma io non so fare niente, io ho le gambe che non mi reggono". Non importa! Anche tu puoi portare un po’ di vita intorno a te, un sorriso, un buon consiglio con la saggezza che viene dall’età, l’esempio della pazienza, l’accettazione degli altri, lo spirito della tolleranza, la capacità di dare un bicchiere d'acqua, di condividere la vita. È questo essere testimoni di Gesù! Non è altro! Non crediate che quelli che hanno il primo posto davanti al Signore sono quelli che hanno fatto grandi azioni. Non crediate che i primi nel Regno di Dio sono i santi che hanno il nome scritto sui libri di Storia. Tra i primi c'è qualcuno in mezzo a voi, qualcuno che nessuno conosce, qualcuno che solo Dio conosce. Quando qualcuno di voi sarà davanti a Gesù, si sentirà dire: "Tu sei stato testimone di Me, tu hai portato nel mondo un po’ del sorriso di Dio, un po’ della Sua vita".
A questo ci chiama il Signore. Ci aiuti!
1992
A me piace talvolta immaginare la prima comunità cristiana, quando il Vangelo non era ancora scritto, ma si andava formando attraverso i ricordi degli apostoli. Ho tentato di farlo anche con la pagina che abbiamo letto oggi, quindi vi inviterei a fare con me un volo di fantasia per recarci, attraverso duemila anni di storia, in una piccola stanza, in uno dei vicoli della vecchia Roma. Possiamo andare allora! Se volete, seguitemi! Un gruppetto di cristiani è già riunito: entriamo senza far rumore, ci sediamo in un angolo.
È una delle prime comunità cristiane che si è formata a Roma, un gruppetto di povera gente radunato intorno alla tavola. C'è un po' di agitazione stasera, perché verrà l'apostolo Pietro: è arrivato a Roma da poco e lo hanno invitato a venire nella loro comunità, a sedersi con loro per parlare di Gesù.
Pietro arriva, si siede, si comincia a parlare tranquillamente. Ciascuno ha portato, come si usava a quel tempo, il proprio fagottello per far cena, hanno messo insieme le loro povere cose. Qualcuno sente il bisogno di scusarsi con Pietro: "Vedi, noi siamo poveri, non abbiamo gran che, abbiamo fatto del nostro meglio per farti un po' di festa; ma sai, viviamo tempi duri, tra noi parecchi sono schiavi, molti vivono in miseria, qualcuno ha perso il lavoro, qualche volta viviamo della carità degli altri. Poi, come sai, Pietro, a Roma c'è la persecuzione: a volte ci portano davanti al tribunale, parlano male di noi, ci calunniano spesso, ci fanno accuse infamanti. Scusaci dunque per queste poche cose che abbiamo messo insieme, ma siamo molto contenti perché tu sei qui e puoi dirci qualcosa di Gesù, tu l'hai conosciuto bene, vero?" Un altro cristiano, seduto in un angolo comincia a dire: "Pietro, tutti questi guai, non sono forse il segno che Dio ci ha dimenticati o che ce l'ha con noi? Che abbiamo fatto di male? Se Dio pensasse a noi forse non avremmo tutte queste difficoltà, o almeno un po' di persecuzione verrebbe meno!" Qualcun altro comincia a parlare e sono parole tristi. Pietro li lascia sfogare, sa che questa gente ha ragione a lamentarsi. Vivono momenti veramente difficili. Poi prende la parola e con tutta la dolcezza che può comincia a dire: "Vedete, Gesù è venuto in mezzo a povera gente come siete voi. Guardate me. Ero un povero pescatore. Anche noi, tutti, eravamo poveracci. Gesù non è certo andato nelle case dei potenti, nei palazzi dei ricchi; è stato sempre in mezzo alla povera gente, a gente che faceva ogni giorno la fatica di vivere e anche lui era uno di noi, fino in fondo. E venuto a farci sentire Dio dalla nostra parte, a portarci il suo grido di speranza e di beatitudine. Beati voi! Non valete per i soldi che avete, per il posto che occupate nella società: valete per ciò che avete dentro, per la vostra fame e sete di giustizia, per il vostro cuore pacifico, misericordioso, desideroso di pace. Vedete, anche io sono stato perseguitato, sono dovuto fuggire dalla mia patria, ho dovuto lasciare il mio bel lago, la mia gente: ma Gesù è stato sempre dalla mia parte; non sempre gli uomini hanno ragione. Gesù è accanto a ciascuno di voi per difendervi contro chi vuol mettervi nel cuore la paura e la sfiducia".
Un cristiano alza la mano e dice: "Vedi, Pietro, il mio problema è questo: io ho tanti dubbi nel cuore. A volte mi sembra di essere convinto della parola di Gesù, mi sembra che Lui abbia veramente ragione; poi altre volte, tutto mi sembra un'illusione. Intorno ha me c'è qualcuno che mi rimprovera di non aver fede, qualcuno che sa sempre tutto, che non ha mai un dubbio. Vedi, il mio problema non è tanto quello di essere povero - ormai ci sono abituato - il mio problema e di avere tanti dubbi: non so mai se credo o non credo. Cerco la luce, a volte mi sembra di averla trovata, poi mi ritrovo al buio, mi sembra di essere sempre in cammino senza mai poter arrivare..."
Pietro lo guarda fisso e dice: "Beato te! Guai a quelli che sanno sempre tutto, guai a quelli che si credono giusti, guai a quelli che non cercano più! Gesù è venuto proprio per metterci nel cuore il desiderio della luce, la voglia di camminare. Quando vivevamo in Palestina, c'erano alcuni farisei, gente per bene, sai, ma pensavano di essere giusti, pensavano di saper tutto di Dio e della sua volontà, non avevano mai un dubbio; soltanto contro di loro Gesù ha alzato la voce. Sono loro che lo hanno messo in croce. Beato te, dunque, perché ti senti in cammino, beato te perché vai cercando la luce! Beato te perché ti porti nel cuore tanti dubbi, beato te che non ti senti sicuro quasi di nulla. Beato te perché ti porti nel cuore la fame e la sete di giustizia, di luce, di pace! Continua a cercare e, anche se qualche volta non te ne accorgerai, Gesù camminerà sempre con te".
C'è un altro che alza la mano e dice: "Pietro, quello che tu dici mi sembra di averlo capito: io prima di venire qui sono stato in una famiglia dove c'era una persona malata: non sono venuti stasera, anche perché attraversano un momento di grande difficoltà e si vergognavano, non avevano proprio nulla da portare per condividere e far festa. Io sono stato lì e ho cercato di consolarli, mi sembra di aver detto tante belle parole: state tranquilli, ho detto, il Signore vi ricompenserà, anche se ora soffrite, un giorno, in Paradiso, sarete contenti avrete la ricompensa da Dio. Le vostre difficoltà finiranno, si tratta di soffrire in questa vita per poi meritare l'altra..."
Pietro, si ferma, lo guarda fisso, poi con una smorfia di sofferenza che gli segna il volto dice: "Forse avresti fatto bene a rimanere là. Alla gente che tribola, non servono tante parole. Gesù, quando è venuto accanto a noi, non ci ha detto solo parole: si è chinato ogni volta che ha potuto con tenerezza, sull'uomo sofferente e malato".
Aggiunge ancora Pietro: "Forse, non dovrei dirtelo, ma avresti fatto meglio a non venire nemmeno Tu, qui, stasera, forse avresti fatto meglio a fermarti da quella gente a condividere la loro malattia, a spartire con loro il tuo bel fagotto che hai portato per la cena. Forse qui qualcuno avrebbe anche pensato male di te, si sarebbe lamentato per la tua assenza; ma vedi, quando si è veramente dalla parte di Dio si rimane fino in fondo dalla parte di chi tribola, con i gesti concreti; le belle parole rischiano di non servire a nulla o forse finiscono con l'offendere la povertà. Un gesto, magari piccolo, è meglio di tante parole..."
Un po' di fantasia, ma forse anche un po' di Vangelo. Il Signore ci aiuti a capirlo sempre di più.
1992
Nel dirvi qualcosa su queste che sono le tra le parole più complesse e ardue del Vangelo, tento una strada forse un po’ strana. Proprio perché strana non vuole essere un commento del Vangelo, ma un raccontino, fatto con un pochino di fantasia. Vediamo se posso essere di aiuto a qualcuno di voi. Se non sono troppo presuntuoso, qualcuno ricorderà come domenica scorsa avevamo immaginato di partecipare a una riunione dei primi cristiani, dove Pietro raccontava le parole del Signore e aiutava i suoi cristiani a capire il Vangelo. Vi inviterei anche stasera a fare un volo di fantasia.
Se volete, venite con me! Attraversiamo il tempo, quasi duemila anni, e ci ritroviamo qui vicino, ad Ostia Antica, dove un piccolo gruppo di cristiani, un pugno di povera gente si riunisce, come noi, intorno alla tavola.
Oggi non è più tempo di far festa all'apostolo; si è trovato con loro già una volta e stasera hanno portato le cose più semplici: un po’ di pane, qualche oliva, le cose povere che usavano per la cena al tempo dell'antica Roma. C'è anche Pietro seduto con loro e dopo aver mangiato qualcosa si comincia, come facevano sempre, a parlare di Gesù. I cristiani avevano molte domande da fare all'apostolo, perché tante domande urgono nel cuore quando si incontra uno che è ha conosciuto da vicino Gesù.
Un cristiano comincia a dire: "Pietro, qualche volta ho ascoltato parole sconcertanti come dette da Gesù: Se uno ti percuote su una guancia, tu porgi anche l'altra; se uno ti strappa il mantello, tu lasciagli anche la tunica. Amate anche i vostri nemici... Pietro, come è possibile amare anche i nemici?! Tu hai avuto dei nemici? Queste parole che senso hanno? ".
Pietro lo guarda e gli dice: "Hai ascoltato - è vero! - proprio parole di Gesù. Sono parole come le amiamo noi nell'oriente, parole forti, parole che rimangono nella mente, parole che servono a scuotere il cuore... ma non dimenticartene mai! Perché queste parole, a me, hanno salvato la vita! Tu mi domandi se ho avuto dei nemici; altro che nemici! A me hanno ammazzato il Maestro, lo hanno inchiodato sulla Croce; e non solo hanno ammazzato il Maestro, ma hanno anche bruciato la mia casa, distrutto la mia barca, mi hanno costretto a fuggire dal bel lago della Galilea dove sono nato. Vedi le mie mani? Ho fatto il pescatore fin da quando ero bambino. Avevo costruito con fatica e sudore, una piccola barca. Era piccola, forse anche brutta... ma era la mia barca: me l'hanno bruciata! E c'era lì anche un amico, o almeno uno che io consideravo tale: è stato lui che m'ha tradito! È stato lui che m'ha denunciato. Sono dovuto fuggire con la mia famiglia, andare a Gerusalemme - e sai? - lì, con gli amici abbiamo qualche volta meditato la vendetta. Tu non puoi saperlo, ma io quando ero giovane, portavo sempre la spada al mio fianco. Una volta l'ho tirata anche fuori, tentavo di difendere il Maestro. Pensavamo alla vendetta, pensavamo a vendicarci soprattutto di quell'amico. Non potevo sopportare quello che mi aveva fatto. Il proposito di vendetta, il rancore nel cuore era forte; poi ho ripensato a certe parole di Gesù e piano piano ho capito che quell'uomo non solo la barca mi aveva bruciato, ma mi stava distruggendo la vita. Perché, vedi? una barca è importante; quando ci ripenso mi vengono le lagrime agli occhi, la barca l'avevo costruita con le mie mani, così pure la mia casa; ma se mi strappavano dal cuore la capacità di voler bene, se mi vendicavo, se rendevo male per male, se mettevo l'odio nella mia vita... che ne era della mia vita? Ero perduto! Perdevo anche Gesù, la Sua luce, la capacità di amare e gioire: la cosa più preziosa.
Vedi perché dico che quelle parole m'hanno salvato la vita! Perché mi hanno impedito di vendicarmi! Il rancore qualche volta ancora lo porto nel cuore, qualche volta mi sveglio la notte con l'incubo della casa che brucia, della barca distrutta. Qualche volta mi viene davanti il volto di quell’amico; tu mi dici se gli ho perdonato: non riesco a dimenticarlo, vorrei farlo. Il perdono è un'altra cosa. Purtroppo con quell'amico io non ho potuto far pace, non ho potuto far pace! Ogni tanto ci ripenso e adesso - vedi? - sono arrivato a pregare per lui, perché vorrei che anche lui scoprisse quello che io ho nel cuore, che la vita è importante se si vuol bene, se si ama.
Che senso avrebbe se io facessi a lui il male che lui ha fatto a me? soffrirebbe come ho sofferto io... e che ne verrebbe al mondo? La cosa che desidero, perché so che anche Gesù desiderava questo, è che quell'uomo possa convertirsi, possa scoprire, anche lui, la bellezza di voler bene, la bellezza di non tradire un amico, la bellezza di ricostruire la vita; perché quello che conta nella vita è volersi bene. Ma riuscire a far pace succede raramente, purtroppo! A volte non si riesce anche se vorresti far veramente pace con qualcuno, perché per far pace bisogna essere in due.
Qualche volta succede! A noi è successo! Forse capiterà anche a voi di incontrarlo, perché ho saputo che sta per venire a Roma. Adesso si chiama Paolo. Allora si chiamava Saulo. Era uno di quelli che ci perseguitavano, era uno di quelli che ogni tanto veniva nei nostri villaggi per portare via quelli che si chiamavano cristiani. E tanti ne ha fatti mettere in prigione! E noi non potevamo pensare a lui senza un senso di orrore. E quando sono venuti a Gerusalemme a dirci che si era convertito, non ci volevamo credere. Nessuno di noi voleva parlare con lui, perché pensavamo che fosse un traditore. Eppure abbiamo visto il miracolo dell'amore! Forse anche voi avrete modo di incontrarlo, perché sta per venire qui a Roma; invitatelo! Vedrete come è diventato Paolo! Un uomo che ha il cuore travolgente, un uomo che è andato per il mondo e ha convertito tanta gente, lui più di me. Lui si è veramente convertito e con lui ho fatto pace. A lui ho potuto buttare le braccia al collo e insieme con lui ho camminato, lui ha veramente scoperto la vita e la gioia di amare. Anche per lui ho detto una preghiera, come mi aveva insegnato Gesù. Ho pregato perché il Signore lo perdonasse e Paolo si è convertito. Con lui abbiamo fatto veramente la pace, con lui ci siamo abbracciati, abbiamo camminato insieme. Non si parla più non solo di vendetta, ma nemmeno di rancore. Come si può aver rancore per Paolo! Con Paolo siamo amici e spero che lo diventiate anche voi.
Con quell'amico là, con quello che mi ha tradito... vorrei dimenticarlo, ma non ci riesco. Vorrei che anche lui si convertisse, che anche lui diventasse come Paolo, ma non c'è nessuna speranza! L’unica cosa che mi resta da fare, adesso che sono vecchio, è pregare per lui e tentare di dimenticare. Chissà se anche questo è il perdono! Ma vedete, anch'io sono un povero uomo, non so far altro. Non riesco a dimenticare quell'uomo che mi ha fatto tanto male. Posso solo pregare per lui, ma quando verrà Paolo, vedrete, io lo abbraccerò davanti a tutti, perché con lui ho fatto veramente pace".
Un po’ di fantasia anche stasera, speriamo che vi aiuti a rileggere questa pagina di Vangelo.
1992
Quando io ero piccino, e poi anche quando sono diventato giovanotto, spesso, in questi giorni di carnevale i nostri bravi preti vociavano contro il carnevale, contro quelli che andavano a divertirsi; chiamavano il carnevale, (e qualche volta le vacanze) "le vendemmie del diavolo", il luogo in cui il diavolo catturava tante persone.
Poi crescendo, mi sono accorto che quelle persone che erano andate a ballare a carnevale erano anche migliori di me. Le prime volte me ne sono accorto con stupore; perché vedevo che quello che mi veniva descritto come una cosa molto cattiva, in fondo la gente lo faceva con molta serenità.
A proposito di questo carnevale, mi ritornavano in mente proprio queste parole di Gesù: l'invito a guardare prima dentro il proprio occhio, se per caso, non ci fosse una trave. Noi siamo abituati, spesso, a guardare la pagliuzza che c'è negli occhi di chi ci sta accanto: i giovani guardano le pagliuzze negli occhi degli anziani, gli anziani negli occhi dei giovani, i cattolici guardano la pagliuzza di quelli che non vengono in chiesa ecc... E il rischio è quello di non guardare le proprie pagliuzze, e di non riconoscere le intolleranze, le incapacità di capire gli altri. Qualcuno di voi dirà: "Ma non dobbiamo giudicare?"; Sì che dobbiamo giudicare! Ma dobbiamo giudicare a partire dalle cose serie! L'invito del Vangelo di oggi è: giudicare "l'albero dai suoi frutti, da quello che sa produrre". I frutti che sono i frutti autentici del bene, della bontà, della tenerezza, del servizio, dell'attenzione verso gli altri. I frutti delle cose che veramente sono quelle che ci ha insegnato Gesù. Ho sentito tante volte dire, e questo anche a qualcuno di voi, il rammarico perché i frutti.....Qualcuno pensa subito ai figli, dice: "Mio figlio non viene in chiesa! Allora io che cosa ho saputo produrre? Non sono un albero buono se non sono riuscito a far questo! ". E quando domandate: "Ma i suoi figli non sono persone brave?" "Sì, certo! Sono persone oneste, sono persone buone". Ecco i frutti! I frutti veri, quelli che Gesù ci chiederà quando arriveremo davanti a Lui. Non sarà per quante volte siamo venuti in chiesa, per quanti rosari o quante preghiere abbiamo detto. "Avevo fame e mi hai dato da mangiare; avevo sete e m'hai dato da bere, ero triste e m'hai consolato ero in carcere, sei venuto a trovarmi".
A volte, quelli che non sono qui - quelli che non vengono a Messa, i figli di molti di voi - fanno, opere di servizio, di attenzione verso gli altri, di onestà, si comportano bene sul posto di lavoro. Questi sono i frutti! I frutti che dobbiamo portare, i frutti da cui si giudica un albero.
Voi, forse, ai vostri figli non avete insegnato a pregare molto bene, ma avete messo nel cuore il senso dell’onestà, il senso della giustizia. Avete messo nel loro cuore un tesoro: di attenzione verso gli altri, di amore per la propria famiglia, di servizio verso i propri figli, di capacità di accorgersi degli amici, il senso della fedeltà nell'amicizia. Questo è il tesoro che ciascuno di noi deve portarsi nel cuore. Questi sono i frutti che il Signore ci chiederà.
Allora cerchiamo di non giudicare nessuno, cerchiamo di non giudicare la gente dal fatto che sia qui con noi o no. Cerchiamo di avere nel nostro cuore un tesoro di bene. Preghiamo perché tutti ce l'abbiano, giudichiamo la gente dai frutti di bontà, di attenzione che sa portare.
Il Signore ci aiuti.
1992
Il cammino della Quaresima comincia con il racconto che abbiamo ascoltato: Gesù viene tentato dal diavolo e vince la tentazione. La prima comunità cristiana ha riassunto in questo racconto, come in una rappresentazione, tutte le tentazioni della vita di Gesù, che sono poi le tentazioni fondamentali della vita di ogni uomo, quello che sciupa e corrompe la sua vita: il pensare solo a se stessi, l'indifferenza, l'egoismo, la brama del possesso, il tentativo religioso di servirsi di Dio... Gesù è passato in mezzo a noi, uomo come noi, ma ha saputo vincere la tentazione: è stato giusto fino alla fine, ha saputo amare fino in fondo.
Ma quando volgiamo lo sguardo su noi stessi, allora riconosciamo che, molto spesso, noi non abbiamo saputo superare la tentazione, abbiamo sciupato la nostra vita.
Vi dicevo all'inizio che in questa Quaresima il Vangelo di Luca ci invita a rivivere la Parabola del Padre misericordioso, del figlio che è andato via di casa: ora vorrei invitarvi, come il figlio che è finito a fare il guardiano dei maiali, a fermarvi un momento, a prendervi la testa tra le mani e a domandarvi: "Che cosa ho fatto? Dov'è il mio peccato?"
Cos'è il peccato? Peccato, male, è ciò che sciupa, rovina la vita. Vedete, a volte noi ci confrontiamo con la legge, con i comandamenti o peggio ci confrontiamo con gli altri: se lo fa lui, ci capita di dire, perché non anch'io? e allora rischiamo di non capire più nulla o di cadere nel senso di colpa.
Io vi inviterei stasera ad una riflessione seria e serena, a confrontarci con noi stessi e la nostra vita di ogni giorno: Che cosa sciupa la mia vita, che cosa impedisce alla mia vita di essere più ricca di amore, di bontà, di tenerezza? Che cosa fa del male, cosa dà dispiacere a me o a chi mi sta intorno?
Vedete, ci sono tante cose che sciupano la nostra vita: le malattie, gli acciacchi dell'età che avanza, i guai che ci procura la gente che ci sta intorno, i tormenti che ci vengono dalle tante disfunzioni del mondo in cui viviamo; tutto questo stasera lasciamolo da parte.
Ciascuno di noi si domandi: ma io, di che cosa sono responsabile? Quali delle cose che faccio io, o meglio che non faccio, arrecano dispiacere, sciupano la vita mia e di chi vive con me ogni giorno? Che cosa potrei fare di più perché la vita sia più bella? Ecco, solo questo è lo spazio del mio peccato.
La maggior parte di noi, non può fare l'esperienza del figlio che se ne è andato lontano da casa, che ha rovinato tutta la sua vita e poi si decide a tornare. Vedo molte persone anziane, molta gente che conosco: siamo gente di tutti i giorni, gente che cerca, giorno per giorno, di fare il proprio dovere, gente che vive in maniera abbastanza onesta. La maggior parte di noi non può fare l'esperienza di una conversione totale, di un cambiamento radicale.
Se c'è qualcuno in mezzo a noi che deve cambiare radicalmente, qualcuno che vive in una situazione di ingiustizia o di menzogna, di violenza o di sopraffazione, qualcuno che ha bisogno di dare uno strappo e una svolta nella sua vita... per lui la predica finisce qui: guardi il verso il Signore per chiedere luce e coraggio.
Ma non è la situazione della maggior parte di noi. Per molti di noi questa Quaresima può essere l'occasione di fare un piccolo passo, di cambiare qualche piccola cosa. Parecchi di voi sono anziani: spesso mi capita di sentir dire in confessionale. "Cosa posso fare di più alla mia età? Io vivo da sola, non ho molte occasioni per fare del male". È vero! Cosa fare dunque in più, cosa togliere? Forse un po' di pessimismo, forse occorre trovare il coraggio di non giudicare troppo quel nipote un po' scapestrato, forse la capacità di fare un sorriso in più, di essere un po' meno indifferenti...
Ecco, per la maggior parte di noi non c'è un gran cammino di conversione da fare, non c'è una svolta radicale da compiere. C'è da guardarsi un pochino intorno e con semplicità domandarsi: "Cosa posso fare in più perché la mia vita, la vita di chi mi sta accanto, sia più bella?" Perché questo Dio vuole da noi: Lui ama la nostra vita, ama la festa, non minaccia castighi e punizioni e catastrofi: queste immagini di Dio non ci appartengono più, per fortuna! Dobbiamo ringraziare lo Spirito che ce ne ha liberati!
Noi crediamo in un Dio che ama la vita, la ama con la passione di un Padre, con la passione, moltiplicata all'infinito, che voi avete per i vostri figli. Dio vuole che la nostra vita sia bella, ricca di tenerezza, di amicizia, di serenità, di amore, di bontà.
Allora domandiamoci: "Cosa sciupa la vita, e dipende da me?" Perché ci sono tante cose che non dipendono da noi: se avete le ginocchia che non vi reggono più, certo questo sciupa la vita, ma non ci possiamo far nulla né io né voi, e il Padreterno in queste cose pare non voglia metterci mano. Ma forse qualche piccola cosa che possiamo fare, perché la vita sia più bella, c’è.
Vi lascio un momento di silenzio per cominciare a cercare... poi potremo farlo con più calma durante la settimana. Poi verremo a ricevere il segno della cenere, un segno soltanto: vogliamo riconoscere che c'è qualcosa che sciupa la nostra vita, che la rende cenere, vogliamo ascoltare l'invito di Gesù a convertirci e credere, vogliamo esprimere il nostro desiderio di far qualcosa, perché la vita nostra e di chi ci sta accanto sia più bella, più ricca, più felice, più piena di bontà e tenerezza.
Forse può aiutarci in questo momento di silenzio questo cartello, che le nostre catechiste hanno preparato per i ragazzi, ma che può aiutare anche noi; vedete: hanno disegnato un paesaggio luminoso chiuso da una staccionata che lo rovina e su ogni paletto della staccionata hanno scritto quello che può rovinare la nostra vita. Io ve lo leggo ora, molte cose non valgono per voi, ognuno scelga il proprio paletto, quello che vuol togliere in questa Quaresima, e poi chiediamo al Signore il coraggio di farlo...
Sciupa la mia vita, forse, il pessimismo? L'attaccamento alle cose? La superficialità? L'invidia? La paura del giudizio altrui? La paura di comprometterci? Il fanatismo? L'arrivismo? La testardaggine? La gelosia?....
1992
Domenica scorsa abbiamo cominciato il nostro cammino di Quaresima. Ci siamo fermati un momento a domandarci - serenamente e sinceramente - qual è lo spazio del nostro male, che cosa facciamo che sciupa la vita intorno a noi. Abbiamo ricevuto poi il segno della cenere. Un segno, un simbolo della nostra vita che può diventare cenere, che può essere sciupata da quello che noi facciamo, o per dir meglio, da quello che non facciamo.
Ma vedete: se la nostra riflessione si fermasse qui, se noi continuassimo a guardare il male che c'è, dentro di noi o intorno a noi, non saremmo testimoni di Gesù, testimoni della sua vita, della sua luce. Saremmo come questo nostro mondo: proprio poco fa, durante l'incontro del Vangelo, una signora chiedeva: "Perché ci mostrano sempre il male e mai il bello della vita? Perché alla televisione vediamo dieci notizie cattive e soltanto una buona, magari relegata in fondo, che uno bisogna stia attento a non perderla? La realtà non è così. Ci sono tante cose belle: basta guardare a quello che ci succede vicino ogni giorno!"
Anche se nel mondo ci sono tante ingiustizie, tante cose che non vanno, il credente è uno che trova il coraggio di guardare la luce di Dio. Per questo è venuto Gesù, non soltanto per rimproverarci, per dirci le cose che non vanno, per richiamarci alla nostra responsabilità, per ammonirci a non sciupare la vita. Questo lo abbiamo fatto domenica scorsa, ma se ci fermassimo lì, poveri noi!: sarebbe la sfiducia, lo scoraggiamento, lo sconforto.
Oggi siamo invitati a salire con Gesù in cima alla montagna per vedere il suo volto trasfigurato. Siamo invitati a vedere la nostra vita trasfigurata nella luce di Dio. Siamo invitati a contemplare il progetto del Suo Regno. Siamo invitati a credere a tutto ciò che c'è di buono e di bello nella vita, a credere che al di là della stecconata, di tutto quello che sciupa la vita, è possibile un mondo in cui ci sia la giustizia e l'onestà, la tenerezza e la pace.
Vedete, credere in Gesù non significa sapere che Lui è il Figlio di Dio, non significa sapere che Dio esiste davvero: credere significa riconoscere che in Gesù c'è veramente la vita, che le cose che veramente contano sono quelle per cui è vissuto Gesù, che la nostra vita può essere ricca dei suoi valori, della sua bontà, della sua attenzione verso i piccoli, della sua amicizia, del suo amore. Credere significa credere nella pace, nella bontà, nella venuta del Regno. Credere che nel cammino verso un mondo più bello non siamo soli, ma c'è Dio impegnato con noi, la sua fedeltà, la sua passione per la nostra vita, il suo impegno fino a morire sulla croce.
In tutti i tempi la fantasia dei credenti ha tentato di esprimere questa fedeltà di Dio alla vita dell'uomo. Avete sentito nella prima lettura un'immagine che viene a noi da tempi antichissimi: quando non c'erano leggi e trattati internazionali se due capi tribù volevano fare un patto di alleanza, prendere un impegno solenne organizzavano un rituale carico di suggestione e forza simbolica: venivano divisi a metà gli animali uccisi (servivano poi per il banchetto della festa) e si ponevano a terra le due metà divise e i due capi passavano in mezzo dicendo: "Succeda a noi come a questi animali se non saremo fedeli al nostro patto!" Ecco: Dio come un vecchio capo tribù che passa in mezzo agli animali uccisi per giurare fedeltà al suo popolo!
Siamo invitati oggi, ed è così ogni domenica, a salire sul monte, ad incontrarci con Gesù, a contemplare il suo volto trasfigurato, a contemplare la sua passione per la nostra vita. Dio non ci lascia soli nella nostra avventura di essere uomini: ci promette una terra nuova, ci mette nel cuore una speranza nuova, ci promette un mondo in cui c'è la tenerezza e la pace. E allora, coraggio! Diamo uno sguardo al mondo al di là delle barriere del nostro peccato, guardiamo il mondo nella luce di Gesù e poi tenteremo di rimboccarci le maniche, di fare quello che possiamo, semplicemente, nelle cose di ogni giorno, perché il mondo sia più bello. Per questo Gesù è venuto. A questa speranza ci chiama stasera, invitando anche noi a salire sul monte.
1989
C’è qualcosa che appare strano nel Vangelo di oggi e vale la pena di soffermarci un momento a riflettervi, perché qui non si parla di qualche cosa successa qualche tempo fa, ma si parla di noi. Qual è la cosa strana? il sonno dei discepoli!
Immaginate, per esempio, che io cominci a trasfigurarmi (state tranquilli, non succede!), a diventare tutto luminoso, e che vengano qui, nella loro gloria, Mosè ed Elia: anche quelli che di solito stanno distratti, anzi, soprattutto quelli, comincerebbero a sbarrare gli occhi: tutto potrebbe succedere meno che aver sonno, a vedere un fatto così strano. Allora capite che qui non si parla del sonno, ma di qualcosa che ci coinvolge tutti. Nel cammino verso Gerusalemme i discepoli hanno sonno: Gesù li invita a seguirlo a camminare con Lui e i discepoli hanno sonno. Allora Gesù deve portarli sul monte e far vedere che cosa c'è al termine della strada, mostrar loro qualcosa della Sua Luce, qualche cosa della Resurrezione, perché i discepoli trovino il coraggio di camminare e di andare avanti. Domenica scorsa abbiamo detto: mettiamoci in cammino verso la Pasqua e forse in questa settimana anche voi, come me, avete fatto esperienza del nostro sonno.
Che cos'è questo sonno? Prende tanti aspetti. Noi cristiani siamo spesso molto bravi nel dormire, ci manca la voglia di camminare, preferiamo star fermi. Il sonno che capita a gente come me, è quello di dire: "ma di che vuoi convertirti? ci hai provato tante volte..." Non si va tanto lontano sulla strada della conversione. L’invito di Gesù a cambiare qualche cosa, a far strada, ci trova sempre più scettici, man mano che gli anni passano; di più, qualche volta ci guardiamo attorno, sentiamo di gente che ruba, gente che ammazza. In questi giorni ci hanno riempite le orecchie con questa storia di Khomeini che ha minacciato di morte l’autore di un libro. E noi diciamo "mah, io non ho ammazzato nessuno, né ho l’intenzione di farlo, che cosa vuole da me il Signore? Perché mi devo convertire?"
Allora, vedete, ci manca la passione per la luce, il coraggio di camminare. Per questo Gesù oggi ci invita, insieme con i Discepoli, sul monte, a guardare lontano, a credere che se ci lasciamo mettere da Lui nel cuore un po’ di passione per questo mondo, per la pace, per il bene, per la giustizia, la vita intorno a noi diventa più bella.
Lui non lo fa per se stesso, Lui non ha bisogno di nulla, lo fa per noi, perché ha a cuore la nostra vita, perché vuole che la nostra strada vada.... anche se il grande mondo non lo riusciamo a cambiare, ma nella nostra casa possiamo fare un passo avanti per mettere un po’ più di pace, un po’ più di dialogo, un pizzico di amore di più, un po’ più di attenzione verso gli altri, nel posto dove lavoriamo.
Ecco, un passo lo possiamo fare, se siamo convinti che Gesù ha ragione, se siamo convinti che in Lui c’è la vita e la luce. Ecco perché siamo invitati anche noi ad ascoltare la voce: "Questo è il Figlio mio, ascoltatelo!". Domenica scorsa ci siamo fermati a guardare noi stessi, oggi la parola di Gesù ci invita a guardare Lui, a trovare in Lui il coraggio di camminare, il coraggio di credere che il nostro mondo può diventare più bello, che può venire qualche cosa della luce della Resurrezione nella nostra vita.
E allora è l’invito a camminare, a non fermarci, ad andare, a fare strada; un invito per cui non ci mancherà l’aiuto dello Spirito: speriamo di accoglierlo.
1992
Come avete sentito da quello che abbiamo appena letto, anche al tempo di Gesù la gente parlava del male, del peccato a partire da qualche fatto straordinario, da qualche disgrazia accaduta, da qualche catastrofe.
Due sono i fatti citati nel Vangelo di oggi: Pilato aveva fatto uccidere alcuni osservanti della Legge, e la torre di Siloe che era caduta sulla gente. Da questo fatto si chiede a Gesù chi aveva peccato, dov'era lo sbaglio, chi era il colpevole. Certo! A quel tempo si ragionava di queste cose in maniera magica: si pensava che in questo si potesse vedere una punizione di Dio, che quelli fossero più colpevoli degli altri. Gesù toglie via tutto questo, ma dice: "Se non vi convertite, anche la vostra vita sarà rovinata". E allora mi pare che da qui ci conviene fare con serenità, ma anche con serietà, una riflessione. Se capisco qualche cosa di questo nostro mondo, noi viviamo da qualche tempo in Italia un momento in cui rischia di prevalere sempre più, in mezzo a noi, la logica dell'emergenza: il parlare di quello che non va soltanto quando succede qualche fatto grave, e un fatto sempre più grave.
Faccio un esempio: la polizia si preoccupa e si agita soltanto quando ci sono due o tre morti ammazzati. Voi avete fatto l'esperienza, penso, di essere andati qualche volta a denunziare un furto nell’appartamento, un furto nella macchina, uno scippo, e quasi quasi vi ridono dietro, non vi pigliano sul serio: cose di ordinaria ingiustizia. L'ospedale finisce sulle pagine dei giornali quando c'è qualcuno che muore, quando viene lasciato fuori della porta o rimane su una barella: ci sono cose di ordinaria trascuratezza, di ordinaria ingiustizia che ormai non ci colpiscono più, che quasi non notiamo più. Si parla anche dell'inquinamento soltanto quando si trovano dei fusti scaricati da qualche parte, qualche cosa che rovina. Mi capitava, martedì, di andare in uno dei posti che considero fra i più belli del Lazio: il litorale, le dune costiere tra i laghi e il mare, che stanno prima del Circeo: era pieno, ma veramente pieno, in maniera sconvolgente, di cartacce, cartacce buttate da gente come noi, da gente di tutti i giorni. Si parla della droga soltanto quando c'è della gente che muore, e alcuni dei nostri ragazzi ritengono che fumare uno spinello, avvicinare uno spacciatore per comprare una "canna", sia cosa del tutto normale.
Ecco, rischiamo di abbassare il livello della nostra attenzione, rischiamo di commuoverci soltanto quando succedono delle cose tragiche, delle cose straordinarie. Si parla di razzismo soltanto quando c'è qualche extracomunitario che viene trovato morto da qualche parte, e non ci si preoccupa dell'intolleranza di tutti i giorni.
Questo è grave soprattutto per i giovani che sono in mezzo a noi: hanno la sensazione che tutto intorno a loro si corrompa, e loro cosa fanno? Sporcano anche loro un po’ di più! Fanno anche loro un po’ di violenza! Non si preoccupano di quello che succede intorno! Io ho l'impressione che tutti dobbiamo ritrovare il senso dei nostri valori nel quotidiano, ritrovare il senso della vigilanza, dell'attenzione su quello che è la quotidiana ingiustizia. Quando sento che i nostri amministratori sono in carcere perché hanno preso delle tangenti, io non posso dire: Io non ho fatto questo! quando poi anche io vivo della raccomandazione, quando sono andato a comprare l'autoradio che sapevo, forse, rubato. Un papà diceva ai suoi figli: "Tu non andare a comprare l'autoradio lì, se no non lamentarti se continueranno a rubarti la radio nella macchina!". Ieri sera ci domandavamo: ma dove vanno a finire tutte le macchine che vengono rubate? Dove vanno a finire tutti i pezzi? Li compriamo, evidentemente, anche qualcuno di noi. Anche qui c'è gente che vive di quotidiane ingiustizie. Allora: occorre che ritroviamo il senso della giustizia, il senso che non fa del male a questa società soltanto chi intasca una bustarella da un miliardo. Certo! quello è un corruttore grande, di quello noi non siamo responsabili. Ma fa del male anche chi permette che intorno ci sia sempre di più il degrado nel modo di lavorare, il disinteresse verso chi viene nell'ufficio, ecc, ecc...
Insomma, ciascuno di noi ha un compito, ciascuno di noi ha un posto in questa società: è importante che ciascuno di noi ritrovi, con coraggio, il suo posto, e il coraggio di dire no a tutto quello che è ingiusto, il coraggio della fedeltà anche nelle piccole cose, il coraggio di essere onesti fino in fondo, ciascuno per quello che gli compete; altrimenti il mondo si corrompe, altrimenti facciamo un brodo di cultura, una mentalità in cui pian piano il livello dell'attenzione si alza, saremo attenti solo a fatti sempre più gravi e non alle quotidiane ingiustizie. Non ci preoccuperemo più, come ormai non ci preoccupiamo più, degli scippi quotidiani, della piccola bustarella, della raccomandazione. Ma che mondo consegniamo ai nostri figli! E questi ragazzi ci spaventano quando ci dicono - come dicevano qualche giorno fa un gruppo di ragazzi : in mezzo a questo sfascio, che cosa c'è da fare? Sfasciamo un po’ anche noi! Facciamo la nostra parte. Il mondo si corrompe, la vita si sciupa. C'è un compito che c'è stato affidato, quello di portare un frutto, con pazienza - come dice il contadino della nostra parabola - ma ciascuno di noi deve portarlo.
Questa Quaresima ci aiuti in questa piccola riflessione, ci aiuti a domandarci: Io che cosa posso fare?!
1989
Una pagina importante quella che abbiamo letto perché (su questo abbiamo riflettuto parecchie volte) taglia quel legame, così tradizionale e così duro a morire, che c'è fra una disgrazia e la colpa. Ancora oggi c’è della gente tra i cristiani che pensa che quando succede una disgrazia, quando c'è un terremoto, Dio manda queste cose per punire, perché c'è qualche colpa: "quello ha fatto dei peccati, del male...". Ecco, queste parole di Gesù tagliavano - e avrebbero dovuto tagliare una volta per sempre - il rapporto che c'è tra la disgrazia e il peccato. È caduta la torre su 18 persone: è facile dire: "perché proprio su quelli? perché erano cattivi!". Gesù dice: "no, non crediate che sia per questo", ma prende spunto da questo per rivolgere una frase minacciosa: "Se non vi convertite, morirete tutti!"
Allora, vedete, vi dicevo all’inizio, questa frase in questi tempi ce la sentiamo ripetere tante volte, troppe volte forse. La televisione la ripete abbastanza spesso: parlano del buco dell’ozono, della terra che si sporca, delle foreste dell'Amazzonia; in questi giorni anche gli Indios si radunano per dirci: "guardate che se distruggete tutta questa foresta non moriamo soltanto noi, ma morirete tutti!" Ci stiamo consumando - ripete Piero Angela spesso - quel sottile velo che è la nostra atmosfera, lo sporchiamo; se non facciamo in fretta, non ci sarà più posto per i nostri figli su questa terra. Di queste cose i nostri ragazzi sanno anche troppo; cominciano ad aver paura.
La televisione è qualche cosa di terribile! Anche perché, quando si sentono queste cose, sempre pensiamo che siano gli altri a dover fare qualche cosa: governo ladro, perché non provvede? Questo lo diciamo da tanto tempo, fin da quando eravamo bambini!
Gesù ce l'ha con me oggi! Ce l'ha con ciascuno di noi, che siamo qui. Non possiamo guardarci intorno per dire: "Chi è che si deve convertire?" Non guardate me! come io non posso guardare voi. Ciascuno di noi deve dire: "bene, voglio fermarmi un momento stasera ad ascoltare Gesù sul serio".
Che cosa succede? Non guardiamo lontano! Che cosa succede nella mia casa? Che cosa succede nel posto dove lavoro? Che cosa succede con quell'amico, con quel parente? Che cosa succede con la gente che mi sta intorno, per quel modo in cui io mi comporto? Che cosa succede?
Ecco guardiamo quei comportamenti che generano danno. Qualche volta mi capita di sentire delle persone che dicono: "da quel tizio là si può comprare della roba rubata" e c’è gente che ci va, magari anche qualcuno di voi. Mi domando: "Tutti questi che rubano, rubano macchine, rubano pellicce, rubano borse, rubano tutto. Ma questa roba a chi la rivendono? a tante persone per bene!" Allora non possiamo dire: "quelli che rubano, maledetti!" Chi compra la roba rubata è come se rubasse, pari pari. Perché se nessuno comprasse la roba rubata, non ci sarebbe più nemmeno chi ruba; e via discorrendo.
Allora ciascuno si domandi: "Le cose che io faccio..." ho fatto forse l'esempio sbagliato, magari quelle cose non le facciamo e così ci voltiamo a guardare indietro. Io per esempio non le faccio queste cose, perciò mi viene più facile fare questi esempi, ma è più difficile fare i miei, capito?
Ciascuno di noi, allora, ci pensi, oggi, questa settimana: "quali sono le cose che io faccio e che producono guai? quelle cose che sciupano il mio rapporto con la mia famiglia, con la gente che mi sta intorno, quelle cose che fanno del male intorno a me, che sciupano il mio modo di vivere?"
A volte tutti rispondiamo male, non siamo educati, ci arrabbiamo facilmente, perdiamo la pazienza, non facciamo quello che dovremmo fare... ecc., ciascuno di noi si ponga queste domande. Poi non dobbiamo prendercela col Padre Eterno. Gesù ci ha avvisati: se non ci convertiamo, sciupiamo la vita, la rendiamo più brutta.
Bisognerebbe anche cercare di fare un po' di bene. Se Gesù venisse da me e come il contadino dall'albero e mi dicesse: "Checco fa un po' vedere? quali frutti hai portato?" io non avrei molte cose da dare, le mie mani sono abbastanza vuote e allora non possiamo che raccomandarci al Signore e dire: "Fa' come col contadino, aspetta un altro anno".
Allora speriamo di poter fare qualcosa in questo anno perché il Signore trovi almeno, non dico dei frutti importanti, ma una meletta piccola, di quelle che adesso ritornano di moda!
Almeno quella gliela vogliamo far trovare?
1992
Nel cammino di questa Quaresima abbiamo tentato di rivivere, passo passo, questa parabola: siamo arrivati al cuore. Abbiamo ascoltato ancora una volta questa parabola che ci porta il lieto annunzio di Dio, del Suo amore, della Sua passione per la nostra vita.
Vi ricordate... Domenica scorsa guardavamo ancora il nostro peccato, guardavamo la vita sciupata, la vita che si rovina anche attraverso i nostri comportamenti, le nostre ingiustizie di ogni giorno. Sperimentavamo anche noi - come il figlio di questa parabola - che la nostra vita rischia di finire in mezzo ai maiali, in mezzo al fango.
E ci dicevamo, l'altra volta, che il male può corrompere la nostra vita, può dare ai nostri ragazzi, alla gente che ci cresce intorno, la sfiducia verso il bene, la voglia, anche loro, di sfasciare un po’, di sciupare la vita.
O può lasciare in noi il senso amaro della colpa, della sfiducia in noi stessi, del non aver più la capacità di essere figli, come questo figlio della parabola.
Abbiamo tutti bisogno, oggi, di guardare verso il Padre. Dimenticate un momento il figlio, sia il figlio piccolo, sia il figlio grande; non tentiamo di ritrovarci in qualcuno di loro - questo ci complicherebbe la vita, stasera - guardiamo verso il Padre, verso la Sua passione per la nostra vita. Anche nella nostra vita sciupata, noi possiamo sempre contare su di Lui.
Certo! Non può far pace con noi quando sperperiamo la vita, perché non sciupiamo la Sua vita, sciupiamo la nostra! E un Padre, un Padre come è Dio, vuole sempre che il figlio abbia il gusto di vivere; la gioia di costruire il mondo, di farlo più bello, la gioia di far festa.
E quando desideriamo tornare, quando - come abbiamo tentato di fare in questa Quaresima - vogliamo andare verso di Lui, Lui non prepara parole di rimprovero, non prepara lo sguardo severo, ma prepara la festa, la festa di chi ama la vita, la festa di chi ama Suo figlio e noi siamo tutti Suoi figli! Possiamo sentircelo accanto sempre, qualunque sia il peccato che pesa sulla nostra coscienza.
Se c'è qualcuno di voi che ha un peso sulla coscienza, un peso che magari si porta dietro da tempo, lo lasci fuori della porta.
Qui siamo convocati intorno alla tavola per far festa con Dio, che ci nutre di Gesù, ci dona Se Stesso, ci mostra tutta la passione del Suo amore. E anche noi che non abbiamo fatto grandi peccati, ma che ci portiamo dentro la fatica di essere uomini, il peso dei nostri egoismi, della nostra incapacità a fare del bene: buttiamo tutto questo nel grande cuore di Dio, nella grandezza del Suo amore, della Sua passione per la nostra vita.
Ci porta qui la voglia di camminare: non siamo rassegnati al nostro male. E allora Dio sarà sempre dalla nostra parte, sempre pronto a spalancare le braccia; viene sempre a invitarci alla festa, perché il cuore di Dio è immensamente più grande del nostro.
Lui ci invita alla festa, perché uscendo di qui, ci portiamo dentro il gusto della vita, della tenerezza, della vita condivisa, della pace e della gioia cercate ogni giorno.
Ecco, Dio ci invita alla festa, ci invita ad essere figli, ci vuol far sperimentare la tenerezza del Suo amore. Tutti, proprio tutti, ci invita a mangiare. Questa parabola - non lo dimenticate mai - è stata detta perché rimproveravano Gesù: "Va a mangiare con i peccatori!" Sì, viene a mangiare con noi, con gente come noi, dal cuore pesante; viene a mangiare con noi che non riusciamo mai, fino in fondo, ad essere buoni: ci proviamo, ma non ci riusciamo. Gesù invita proprio noi a mangiare, con noi vuol fare festa, a noi vuol mostrare tutta la tenerezza di Dio, perché ci portiamo dentro, ogni giorno, la Sua passione per la vita, il Suo desiderio del bene, la Sua gioia.
Il Signore ci aiuti a fare festa.
1989
Quando ero ragazzo, questa parabola (e molti di voi lo sanno bene!) era chiamata la parabola del Figliol Prodigo e anche nei libri che si leggevano a scuola, ogni tanto si parlava di questo Figliol Prodigo. Qualche volta, poi, mi capitava di guardarmi intorno per cercare di capire chi era questo Figliol Prodigo e mi lamentavo perché nella mia vita ancora non ne avevo conosciuti: chissà chi erano questi strani personaggi di cui parla qualche volta la letteratura. Chi è il Figliol Prodigo? credo che sarà capitato anche a voi nella vostra vita, quando sentivate questa parabola, di guardare intorno nella chiesa e chiedervi: chi sarà mai questo Figliol Prodigo? Poi ho imparato a leggere il Vangelo, a mettere l'attenzione su quelle cose che magari altre volte non avevo visto: prima della parabola c'è il motivo, che è importante come la parabola, per cui Gesù la racconta: "andava da Lui tanta gente, peccatori, gente di tutte le razze" e gli Scribi e i Farisei criticavano Gesù, perché "quest'uomo, tratta bene i peccatori e mangia con loro".
Questa frase non sarebbe riportata nel Vangelo, se Luca non pensasse a me e anche a voi. È inutile che andiamo a cercare in giro chi è il Figliol Prodigo: siamo noi, tutti noi che stiamo qui, nessuno escluso! Se qualcuno dice "io no", non ha più niente a che spartire con Gesù, che non è venuto per chi si sente buono, non è venuto per chi è buono; è venuto per gente come noi, per me, per voi. Ed è venuto, come diceva Paolo, a riconciliarci con Dio. Vi ricordate, le domeniche precedenti, guardavamo a noi stessi e ci domandavamo quali peccati avessimo fatto, e abbiamo cercato di fare qualche sforzo per cambiare, oggi basta, non pensiamo più a noi stessi. Guardiamo Dio, guardiamo questo Padre: la parabola Gesù l'ha raccontata per tutti noi, che sappiamo di non essere buoni, che sappiamo di avere il cuore pesante, che sappiamo di non essere capaci di voler bene pienamente.
L’ha raccontata per noi che abbiamo sciupato un po’ della nostra vita, per noi che non riusciamo a fare della nostra casa un posto dove si vive sempre in pace, dove non ci si arrabbia mai; per noi l'ha raccontata questa parabola perché possiamo incontrarci oggi con l'amore di Dio, possiamo guardare il sorriso del Padre. Sentirci tutti e ciascuno abbracciati da Lui, sentirci invitati a far festa, perché il Padre è così, ci vuole bene così come siamo: quando come abbiamo fatto noi in questa Quaresima, facciamo anche qualche piccolo passo per ritornare a casa.... avete sentito questo figlio: si è preparato il suo bel discorso, ma il padre non glielo lascia finire, gli butta le braccia al collo, commosso, più commosso forse lui del figlio, e quando il figlio comincia a parlare, ordina che si faccia festa, una festa così grande, che l'altro figlio nemmeno capisce. Gli sembra pazzo questo padre, vera follia dell'amore, di cui Dio vuole investirci.
Perché facciamo festa? Perché, anche se a volte sciupiamo la nostra vita, possiamo, sperimentare tutto l'amore che Lui porta a ciascuno di noi, alla nostra vita, alle nostre case, al posto dove lavoriamo. Perché vuole che lì portiamo un po’ della sua festa, un po’ della sua gioia. Ecco perché vi dicevo oggi: ascoltiamo l'invito di Paolo, lasciamoci riconciliare con Dio, smettiamo di guardare a noi, di domandarci se noi siamo più o meno peccatori: guardiamo Dio! Sentiamo il Suo abbraccio, la Sua festa, sentiamoci da Dio rimessi in cammino. È questo il perdono, l'esperienza della riconciliazione con Dio.
Lo Spirito ci metta dentro tutta la gioia e la pace dell'incontro con Dio, a tutti e a ciascuno.
1992
Alla fine della nostra Quaresima, siamo invitati anche noi su questa piazza. Sulla piazza dove questi uomini portano la donna: l’hanno sorpresa in peccato, e puntano il dito contro di lei, e vogliono che si osservi la Legge, che paghi con la morte. Ecco, potete guardare i diti puntati, la volontà di morte, il desiderio di pesare con tutta la forza della Legge, della violenza, su questa donna. Su questa donna che ha peccato che, probabilmente, è là, impaurita, umiliata, offesa nel profondo della sua vita. E rispondono a questa umiliazione, al peccato di questa donna che nessuno vuole negare, rispondono con il desiderio della morte, con il dito puntato, con il bisogno della condanna. E sono come lei! Anche loro hanno peccato! Quando Gesù dice: "Chi è senza peccato scagli per primo la pietra", tutti se ne vanno, a cominciare dai più anziani.
La donna rimane là, sola: guarda Gesù negli occhi, e fa esperienza, forse per la prima volta nella sua vita, di Uno che non può far pace con il suo peccato, ma che ha il coraggio di guardarla negli occhi. Lui è il giusto! Ma non punta il dito, non condanna, non ha bisogno di morte, di sangue, di schiacciare, di umiliare: Lui vuole la vita!
"Alzati e va', e non peccare più". Questa donna farà in Gesù esperienza della salvezza, esperienza della tenerezza, esperienza del perdono di Dio. Ecco veramente - come diceva il profeta Isaia - "Dio fa nuove tutte le cose; le cose passate sono dimenticate. Ecco, faccio una cosa nuova". Questa donna fa esperienza della novità della vita, fa esperienza di alzarsi in piedi, di guardare lontano, di ritrovare fiducia in se stessa, e poi fiducia nella vita. Chissà se questa donna avrà avuto il coraggio di essere veramente nuova, di cambiare il suo cuore?! Il Vangelo non ce lo dice, ma la tradizione cristiana, con un'intuizione profonda, ha riconosciuto in questa donna Maria Maddalena: colei che ha versato tutto il vaso di profumo prezioso sui piedi di Gesù, colei che per prima ha annunziato il Signore Risorto. Sì, i primi cristiani erano convinti che chi fa esperienza di Gesù, chi si incontra veramente con Lui, diventa una persona nuova capace di amare pienamente.
Tutti noi, allora, alla fine del cammino della nostra Quaresima, siamo invitati ad incontrare Gesù, a guardare i Suoi occhi; perché anche per noi le cose passate siano dimenticate, e Gesù ci "faccia nuovi". Anche noi - come questa donna - accogliamo lo sguardo di Gesù, il Suo desiderio di vita, il Suo "farci nuovi". Poi, anche noi, cercheremo di buttare - se non proprio il profumo prezioso, come la Maddalena - i due spiccioli di cui ci parlerà il Vangelo di domenica prossima. Sì, perché domenica prossima è già la domenica delle "Palme": saremo invitati a camminare con Gesù fino in fondo, nella pienezza del Suo amore; saremo invitati, "fatti nuovi", a gettare nel tesoro della vita gli spiccioli del nostro amore.
Noi siamo povera gente, abbiamo spiccioli nel nostro cuore, ma li doneremo con gioia incontrando Gesù, diventando "nuovi" nell'incontro con Lui.
1992
Il Vangelo di Luca, che ci ha accompagnato quest'anno durante il cammino della Quaresima - o meglio, ci ha accompagnato durante il cammino di tutte le domeniche del nostro ritrovarci qui per pregare e cercare il Signore - ci regala questa piccola perla sulla soglia della Settimana Santa.
Se leggete il Vangelo di Luca, vedete che Gesù è già entrato in Gerusalemme, e questo è l'ultimo episodio che abbiamo, prima del lungo racconto della Passione e della Morte di Gesù. Il racconto della Passione e Morte di Gesù lo leggeremo giovedì, per quel che riguarda la Cena, e poi venerdì, per quel che riguarda la Morte di Gesù. C'è qualcosa nei Vangeli che introduce questi racconti: una donna che ci prende per mano e ci conduce dentro l'amore di Gesù.
Nel Vangelo di Marco, nel Vangelo di Matteo si legge l'episodio della donna che ha il vaso pieno di unguento prezioso e che va a spargerlo sui piedi di Gesù. Nel Vangelo di Luca questa donna non c'è, forse perché la comunità di Luca, che è una comunità di poveri, non vuol vedere tutto quel profumo sprecato. Ma forse perché il Vangelo di Luca intuisce che noi cristiani, i cristiani di tutti i giorni - io almeno mi ci ritrovo dentro, ma forse anche molti di voi - non siamo come la donna che ha un vaso pieno di profumo prezioso, non abbiamo ricchezza di amore, non abbiamo capacità di fare cose grandi; ma forse rimangono due spiccioli nel nostro cuore, due spiccioli di amore da buttare nel gran tesoro del mondo.
Non ha importanza se abbiamo tanto o poco, se il nostro cuore è grande o piccino, non ha importanza se gli anni sono passati e le forze sono venute meno, non ha importanza se siamo troppo piccoli o se abbiamo avuto, nel gran contesto della vita, pochi doni da spendere al servizio del mondo: l'importante è che quello che abbiamo, lo diamo con generosità.
"Questa donna" - dice Gesù indicandola - "ha dato più di tutti gli altri, perché lei ha messo nel tesoro della vita tutto quello che aveva". Vedete, qui non si parla di soldi: non ci sono in mezzo a noi, se non forse qualcuno, povere vedove. Oggi, spesso, anche le vedove hanno buone pensioni - come mia mamma che dice sempre che ne ha di avanzo; lei che ha sempre faticato a mettere insieme il pranzo con la cena per noi che eravamo in cinque,: adesso non sa più che farne dei soldi che le danno -. Non è questo il problema: siam tutti signori, ma forse proprio per questo, nel cuore, nella vita, nelle forze, ci sono rimasti spiccioli di amore, spiccioli di generosità da buttare nel tesoro della vita, a qualcuno di voi, spiccioli di forze. Non ha importanza! Coraggio! Proprio noi questa donna invita a celebrare la Pasqua. A noi rivolge l'invito di camminare con Gesù, di seguirLo, buttando con coraggio nel tesoro del mondo quello che possiamo, con generosità, vivendo la gratuità dell'amore, il coraggio di mettere nella vita quello che possiamo: il sorriso, la generosità, i doni, la ricchezza dell’amore, la tenerezza della vita. Quello che possiamo, mettiamolo nel tesoro della vita. Questo è credere! Questo è seguire Gesù! Lasciamoci prendere per mano, dunque, da questa donna e con coraggio e con gioia camminiamo dietro il Signore.
Celebreremo in questa settimana il Suo amore, celebreremo la Sua fedeltà, celebreremo la Sua Risurrezione. Grideremo l'alleluia di Pasqua, grideremo di credere, anche noi, nell'amore, e metteremo nella vita tutto l'amore di cui siamo capaci.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1992
Lo dicevo già all'inizio: in questa Quaresima il Vangelo di Luca - lo straordinario Vangelo del perdono e della tenerezza di Dio - ci ha preso per mano, perché noi rivivessimo il cammino del ritorno verso il Padre, della riconciliazione con Lui. Abbiamo guardato, all'inizio, la nostra vita: abbiamo fatto esperienza della nostra vita sciupata dalle nostre pigrizie, dalle nostre indifferenze, dalle nostre mancanze di amore, e ci siamo avviati con fiducia per ritrovare, nell'amore di Dio, la voglia di costruire il mondo, di costruire la vita. Abbiamo tentato di camminare, abbiamo guardato verso la luce. Abbiamo tentato di andare verso il Padre, abbiamo aspettato anche noi la festa di Dio: ce l'aveva promessa la Parabola: il figlio che torna a casa vede, da lontano, il Padre: che l'aspetta e gli corre incontro e gli butta le braccia al collo e poi prepara la festa.
Ma guardate: noi siamo qui e quello che viviamo stasera supera di molto la parabola: non abbiamo il vitello grasso, non abbiamo i vestiti della festa e i sandali e l'anello da mettere al dito. Abbiamo Gesù in mezzo a noi, che si china a lavarci i piedi, che ha inventato di farsi pane! Ecco, tutti noi siamo invitati a fare esperienza della gratuità, della tenerezza, dell'amore di Dio, che ci corre incontro, che ci fa festa, che ci butta le braccia al collo. Tutto questo lo viviamo in Gesù. Immaginate che venga davanti a ciascuno di voi, che si chini a lavarvi i piedi. Guardate questa tavola: tra poco il pane e il vino, che abbiamo portato, diventeranno il Corpo di Gesù, la sua vita. E noi faremo ancora esperienza di Dio che viene a condividere la nostra vita a camminare con noi e ci sentiremo amati così come siamo, gente dal cuore pesante, che fa fatica a liberarsi del proprio egoismo, eppure Dio è accanto a noi e il cuore può riempirsi di gratitudine...
Gesù si fa nostro servo, Gesù si fa nostro pane perché noi ritroviamo il coraggio di camminare, il coraggio dell'amore, il coraggio del servizio, nella vita di ogni giorno. Il coraggio della vita che si costruisce nella tenerezza, nella gratuità, nella condivisione. Il servizio del quotidiano: l'alzarsi al mattino per andare a lavorare - lo fate in molti - lavorare anche per gli altri, con dedizione. Chi insegna, chi fa andare gli autobus, chi va in fabbrica o in ufficio, chi spazza le strade o costruisce case... e le mamme che sono in casa a custodire i figlioli, aiutandoli a crescere. La tenerezza di chi accudisce un anziano - ce ne sono ormai molti tra noi - di chi si china sulle sofferenze degli altri, di chi va all'ospedale... I tanti piccoli gesti di ogni giorno che rendono più bella la vita, che ci fanno fare esperienza di tenerezza e servizio anche tra noi.
Coraggio! siamo qui per fare esperienza di Gesù, per sentire Gesù che si china a lavare i piedi di ciascuno di noi, per sentire Dio che vive con noi, per fare esperienza di tutto l'amore che ha per ciascuno di noi. Coraggio! tutti siamo invitati a mangiare: Gesù non è il cibo di chi si sente buono, ma di chi ha fame e sete. Gesù vuole nutrire la nostra vita perché possiamo camminare, condividendo la vita, nella gratuità, nella tenerezza, nel servizio, nell'attenzione gli uni verso gli altri. Gesù è il pane che ci dà la gioia di Dio, che ci mette nel cuore la speranza di un mondo che sia - all'ultimo orizzonte della nostra vita - ripieno di bellezza e di luce. Sì, Gesù è venuto per metterci nel cuore questa speranza: la speranza che all'orizzonte della nostra vita ci aspetta la Sua luce, la festa di Dio, che qui anticipiamo spezzando il pane, nutrendoci di Lui.
1992
Fermiamoci un attimo a guardare Dio che muore per noi! Nella povertà, nel silenzio, nel dolore, nell'abbandono. Contempliamo, con la nostra fede smarrita e dolorosa, il suo amore per noi: ha avuto il coraggio di essere fedele, il coraggio di amare, di donare la sua vita fino in fondo.
Il racconto che abbiamo appena ascoltato sembra una lunga preghiera, come a volte sono le nostre preghiere, dolorose, faticose...
Ricordate: Gesù è entrato nella sua passione dicendo: "Padre, se è possibile allontana da me questo calice...". E sotto la croce sono in molti a gridare: "Se sei il Figlio di Dio, scendi; allora ti crederemo". Anche il ladrone crocifisso con Lui. Gesù continua la sua lunga ricerca del Padre e della sua volontà, e la sua preghiera termina con le parole : "Padre, nelle tue mani affido la mia vita!" Ed è proprio questa fedeltà, questo amore, il dono di sé, che lo fa capace di dare la vita. Anche al ladrone che sulla croce grida: "Ricordati di me".
Ecco la preghiera: il lungo cammino verso la fedeltà, il lungo cammino verso l'amore. Noi spesso preghiamo per le tante cose di cui abbiamo bisogno, chiediamo a Dio di farci scendere dalle nostre croci...: il coraggio di andare verso la vita, di essere fedeli, di amare fino in fondo.
Per questo Gesù è venuto: per essere fedele a ciascuno di noi, per starci accanto nella nostra sofferenza, per dare a ciascuno di noi il coraggio della fedeltà e dell'amore fino in fondo.
Contemplando con fede smarrita e dolorosa la morte di Dio, il suo silenzio, il suo dolore, sentiamo che lì c'è la pienezza del suo amore per noi.
Questo amore adoriamo, questo amore contempliamo, di questo amore vogliamo nutrire anche la nostra vita.
1992
Abbiamo cominciato, più di 40 giorni fa, il cammino della nostra Quaresima e l'abbiamo cominciato dando uno sguardo al nostro male, alla tenebra. Sembrava come all'inizio di questa nostra celebrazione: il buio! il buio delle nostre pigrizie, delle nostre indifferenze, il male che ci portiamo dentro. Abbiamo guardato anche il male intorno a noi: la violenza che c'è nel mondo, il dolore che questa violenza genera, l'ingiustizia, l'uomo che soffre, che muore, il mondo sciupato: il buio, la tenebra!
Abbiamo fatto il nostro cammino, abbiamo acceso qualche timida luce, abbiamo tentato qualche gesto di riconciliazione e di vita: per noi importanti per conservare la speranza. Ma tutto questo non basta, perché troppo fragili sono i nostri passi, perché il buio della notte sembra sommergere il nostro cuore.
Oggi siamo qui per dare l'ultimo sguardo a questa croce, che ieri abbiamo innalzato in mezzo a noi, e per gridare a noi stessi, al mondo che il male, il dolore, la morte, la violenza che ha inchiodato Gesù sulla croce, non è l'ultima parola: la vittoria non è dalla parte delle tenebre, non è dalla parte del buio, non è dalla parte dell'egoismo, della violenza, del male: non è questa l'ultima parola del mondo! Gesù è venuto in mezzo a noi per accendere la nostra luce, per metterci tra le mani una candela accesa, una luce di speranza, il coraggio di camminare verso il bene, verso la luce, verso la vita.
Noi siamo qui per gridare a noi stessi, prima di tutto, per gridare al nostro cuore, spesso smarrito e incerto, che Gesù è l'ultima parola, che il suo amore è più forte della morte, che la vita, la vita che Gesù ci ha portato è l'ultimo orizzonte del nostro cammino. La violenza che c'è nel mondo, l'odio, il male, l'ingiustizia, quello che la TV ci riversa davanti ogni sera, non è la verità dell'uomo, non è quello per cui Dio ci ha fatti, non è l'ultima parola della nostra storia. Noi vogliamo credere nella vita, nella libertà, nella giustizia, nell'amore! Prendiamo in mano questa candela, stringiamola forte! È la nostra speranza, è il coraggio di vivere, è il coraggio di essere uomini, il coraggio di credere in tutto quello in cui ha creduto Gesù; di credere in quello che è giusto, in quello che è vero; di credere in un mondo pulito, in un mondo onesto, in un mondo fatto di gente che si vuol bene, che cerca di camminare insieme, in un mondo di gente che crede nella pace.
Noi siamo qui per credere a tutto questo, per gridarlo a noi stessi. Vorremo avere il coraggio di gridarlo al mondo, di gridare a chiunque si porta l'egoismo e la morte nel cuore, a chi sciupa e insanguina il mondo, che non è quello vivere, che è un'altra cosa la vita, che il mondo può essere più bello. E allora ce lo diciamo tra di noi: ci prendiamo per mano, ci facciamo coraggio, guardiamo lontano, prendiamo in mano la luce che Gesù ci affida stasera: vogliamo portarla in questo nostro mondo, vogliamo gridare l'amore, vogliamo gridare la vita! Gridare la pace, gridare la speranza in un mondo più bello, più vero, pieno della nostra tenerezza, della gioia che stasera sentiamo dentro di noi.
Prendiamoci per mano, prendiamo la luce di Gesù: abbiamo tutti bisogno di luce! Gesù è risorto: possiamo gridare l'alleluja di Pasqua, possiamo conservare la speranza nel cuore, possiamo portare la luce nelle mani!
1992
Mentre rileggevo ancora una volta questa pagina del Vangelo - ormai l'ho letta nella mia vita, come penso sia successo anche a voi, centinaia di volte - mi ritornava in mente una riflessione che facevo qualche giorno fa, leggendo il Vangelo insieme con la gente, e mi colpiva uno strano parallelo: nel Vangelo si trova quasi in ogni pagina espresso il dubbio dei discepoli, la loro difficoltà a credere, la loro fatica a capire Gesù. E l'avete sentito anche in questa pagina: il dubbio di Tommaso, la sua incapacità a credere alla testimonianza dei suoi compagni di avventura.
Il parallelo era con tutte le volte che io, nella mia vita di prete, ho sentito la gente - gente come voi, penso che ce ne siano molti anche qui - che mi hanno detto: "Spesso ho dei dubbi. Spesso ho difficoltà a credere. Ci sono molte cose che non riesco a capire". E chi parlava così si sentiva in colpa!
Chi sa chi ha inventato la storia che credere significa non avere mai dubbi? Chi sa chi ha detto che credere è come fare un salto nel buio o camminare come con i paraocchi, senza alcuna incertezza?
La fede è la fiducia riconquistata ogni giorno, è il tentativo - svegliandosi al mattino - di conservare nella nostra vita la certezza che Gesù aveva ragione, che le cose per cui Gesù è vissuto - il suo servizio, la sua giustizia, la sua tenerezza, il suo amore - siano le cose giuste e vere della vita.
E come non volete avere dubbi guardandovi intorno, quando le cose che leggiamo sul giornale, le cose che vediamo in TV, ci propongono spesso storie di violenza, di sopraffazione, di ingiustizia! Sembra che in questo mondo conti solo chi è importante, chi è forte, chi ha tanti denari, tanto potere. Come credere invece che la ragione, la vita è dalla parte di Gesù? Dalla parte del suo amore, della sua tenerezza, dalla parte della giustizia, dalla parte dell'onestà.
Ecco i dubbi, i dubbi di ognuno di noi, i dubbi che attraversano la nostra vita ogni giorno, i dubbi che - a leggere attentamente il Vangelo - accompagnano il cammino dei discepoli dietro Gesù, quasi ad ogni passo. Il loro andare dietro a Gesù è ritrovare ogni giorno la fiducia: si guardano intorno smarriti, poi guardano Gesù e dicono: "Tu hai ragione; vogliamo venire con Te". E poi la mattina dopo ricominciano daccapo, come facciamo noi.
Essere cristiani non significa andare avanti sempre sicuri di tutto e di tutti. Essere cristiani significa essere mendicanti di luce, di senso, di valori, di speranza: è camminare ogni giorno ritrovando la fiducia in Gesù, la certezza che Lui ha ragione, che le cose per cui Gesù è vissuto sono le cose vere della vita.
Ma non è facile. Nel Vangelo di Luca c'è una domanda: "Ma quando ritornerà Gesù, troverà ancora la fede sulla terra?" Non che la comunità di Luca dubiti che il Signore al suo ritorno trovi ancora la fede, ma è un invito a pregare sempre, senza stancarci. E pregare per il Vangelo di Luca questo significa: continuare a cercare Gesù, continuare a cercare il Suo Spirito, conservare al di là dei nostri dubbi, delle nostre incertezze, dei nostri scoraggiamenti, la certezza della sua vittoria, della sua presenza in questo mondo. Per questo ci ritroviamo ogni Domenica. Per questo anche oggi, come Tommaso, cerchiamo di guardare verso Gesù e di credere in Lui.
Lo Spirito ci aiuti a farlo.
1989
La cosa peggiore che potrebbe capitare stamani è che qualcuno, o forse molti di voi, se ne escano da quella porta stasera con un altro peso sulla coscienza: quello di non essere gioiosi. Io ve l'ho detto tante volte e ve lo ripeto a mio danno (qualche volta bisogna anche parlare contro se stessi) che un bravo predicatore non dovrebbe fare la morale, ma annunciare il Signore.
Ma posso garantirvi - voi non siete mai stati da questa parte, se non vi è capitato qualche volta con i vostri figli o con i vostri nipoti di fare anche voi la predica - posso assicurarvi che è difficile predicare, molto difficile. E la cosa più difficile è questa: non far la morale, non dire alla gente: tu devi comportarti così o cosà, tu devi essere questo o quest'altro. Tentare di dare alla gente l'annunzio del Signore Risorto.
Perché ho fatto questa premessa? Perché, vedete, io stasera, seguendo il consiglio dei miei maestri, delle persone sagge che ho conosciuto, che dicevano che una predica è fatta bene quando il predicatore ha una cosa da dire, la dice e la pianta lì (il che significa che le prediche più belle son quelle più corte, ma non sempre è facile anche questo: farla corta); io aveva pensato stasera di dirvi una cosa soltanto: che il cuore del Cristianesimo non è la sofferenza ma la gioia. La fatica che fanno gli apostoli e Tommaso a credere nella Risurrezione è un po' la nostra fatica. Tommaso sa bene il dolore di Gesù e lo elenca tutto, avete sentito, agli altri apostoli: "...se non vedo le ferite della sua mano e non vedo le ferite dei suoi piedi, se non metto la mano nel costato..." Lui le ha contate tutte le ferite di Gesù. Sapeva bene la sofferenza del Signore, ma non vuole credere alla Sua gioia, non lascia esplodere dentro di sé la gioia della Resurrezione, la gioia della vita. Volevo dire a voi stasera: guardate, noi siamo abituati a fare tante Viae Crucis, a vedere tante immagini del Signore crocifisso - intorno alla chiesa, vedete, ci sono tanti quadretti della Via Crucis, tante immagini della sofferenza di Gesù - tutti voi avrete sentito tante prediche sul dolore di Gesù, ma avete sentito poche prediche sulla gioia del Signore, sul grido della Sua Risurrezione: perché è difficile predicarlo.
Ma quando pensavo di dirvi questa cosa mi è venuto un dubbio: e se poi qualcuno di voi, anche io, forse, ce ne usciamo dalla chiesa con un peso in più: il peso di non essere gioiosi? con un altro rimorso: adesso don Checco ha detto che non solo bisogna campà, ma bisogna pure essere contenti, bisogna pure essere gioiosi e qualcuno di voi, forse molti, dicono: io gioioso non sono. Qualcuno dice: come posso essere gioioso con questo guaio che mi è capitato... come posso avere la gioia dentro di me, come posso avere la gioia nel profondo del mio cuore? Qualcuno dirà: ci sono tante cose che si sentono di questo mondo: come possiamo avere la gioia? E don Checco dice stasera che se uno non è gioioso non è cristiano.
Ecco, allora io vorrei fermarmi qui per dirvi: chiediamo insieme al Signore la Sua gioia. Anche noi siamo come Tommaso, facciamo fatica a credere che il Signore è veramente Risorto. Chiediamo allora a Gesù, che per questo ha camminato, ha sofferto con noi, di darci la speranza della vita che non muore, di darci la certezza che alla fine quello che trionfa è la vita, il bene, l'amore. Chiediamo al Signore che un po' della gioia della Resurrezione si ripercuota nel nostro cuore. Chiediamo a Gesù questa grande grazia, che io non so comunicarvi, di poter credere, di poter sperimentare che il cuore del nostro essere cristiani non è la sofferenza, ma la gioia, la vita di Gesù, la vita di Dio.
1992
Accade una cosa strana nel vangelo di Giovanni: c'è una prima conclusione, qualcuno forse ricorderà, l'abbiamo letta domenica scorsa, e poi il Vangelo si riapre con la pagina che abbiamo letto oggi. La comunità di Giovanni sente il bisogno di riaprire il Vangelo per aggiungere questo racconto, che troviamo anche nel Vangelo di Luca, posto prima della Resurrezione. Perché questa riapertura? Cosa c'è di così importante in questa pagina? Probabilmente perché in questo racconto - che, come tutti voi comprendete facilmente, è un racconto simbolico - i primi cristiani vedono un'immagine molto bella di quello che è la nostra vita di uomini, la nostra esperienza di credenti.
I discepoli che lavorano invano nella notte, senza riuscire a pescare nulla: qualche volta è l'immagine di questo nostro mondo: gente che traffica, si affanna... tutti sembriamo correre sempre più in fretta e poi quando andiamo a stringere... le cose che sono importanti, le cose che contano veramente - la vita, la gioia, la tenerezza, l'amore - le cose che fanno bella e ricca la vita dell'uomo sembrano mancare: ci sembra a volte di aver corso invano, ci sembra che il mondo corra invano!
Abbiamo sentito in questi giorni, per esempio, le cose terribili che sono successe in America: quella esplosione di violenza... chi è stato in America racconta di una violenza quotidiana, diffusa. Eppure parliamo della nazione più ricca, più potente, apparentemente più libera del mondo. Chi è stato là dice che la vita è frenetica: tanta gente che corre, il traffico delle strade caotico, la corsa al successo, a produrre sempre di più... e poi ci si guarda intorno sbalorditi: la vita diventa sempre più insicura, la violenza di ogni giorno... Speriamo in Italia di non arrivare a certi limiti, ma occorre pensarci per tempo!
Ecco, anche i primi cristiani sentivano il rischio di faticare nella notte, invano: "Abbiamo lavorato tutta la notte e non abbiamo preso nulla!"
E poi, timidamente, nella luce dell'alba scoprono Gesù. E lo scoprono a fatica... "non sapevano che era Gesù". Pian piano fanno esperienza di Lui: quando li invita a gettare le reti, fidandosi della Sua Parola; quando si china a servirli; quando prepara il fuoco per arrostire il pesce; quando li invita a mangiare: "Prendete e mangiate"! E prende il pane e lo spezza e lo distribuisce.
Noi, come i discepoli, ci ritroviamo insieme ogni domenica per domandarci: cos'è la vita? quali le cose veramente importanti? cosa dobbiamo insegnare ai nostri figli? Altrimenti corriamo il rischio di affannarci, trafficare, correre per tante, troppe cose e poi ci ritroviamo a faticare invano, a tirar su le reti e le troviamo vuote o cariche di insoddisfazioni, di ansie, di paure, di violenza e di morte.
Noi siamo qui, anche oggi, a cercare la luce: Gesù che, in mezzo a noi, ci invita a mangiare, che spezza il pane, che ci dona la sua vita, ci vuole comunicare se stesso, i suoi valori, perché non corriamo invano. Che cosa ci ha portato Gesù? Che esperienza facciamo di un Dio che si è fatto carne, che ha inventato di farsi pane, che si spezza per darsi a noi, che si china per servirci?
Gesù vuole insegnarci, la tenerezza, la vita donata, l'amore. Il Signore ci aiuti a capire.
1992
Le letture che oggi abbiamo ascoltato ci consegnano tutta una serie di immagini, che io pregherei, soprattutto qualcuno di voi, di conservare con cura nel proprio cuore.
Questa straordinaria liturgia della quarta Domenica di Pasqua ci ha offerto l'immagine del pastore, che conosce una ad una le sue pecore e le conduce sui pascoli della vita; l'immagine dell'agnello innocente che dona la sua vita, che dona il suo sangue; l'immagine della mano di Dio, a cui nessuno potrà mai strappare i suoi, "nessuno può rapirle dalla sua mano"! L'immagine, poi, di una moltitudine immensa, di ogni razza popolo e nazione, che un giorno non avrà più fame, né sete; l'immagine di Dio che asciuga ogni lacrima dai nostri occhi.
Perché vi ho ricordato tutte queste immagini? Perché ho pregato, soprattutto alcuni di voi, di tenerle nel cuore? Perché, vedete, una delle cose più tristi che a volte produce la religione è la paura di Dio. Mi sono a volte domandato: come si può avere paura di Dio? Eppure spesse volte mi capita di incontrare persone - forse ce n'è qualcuna anche in mezzo a noi - che ha paura di Dio, paura del suo giudizio, paura di essere castigata, colpita da qualche disgrazia, paura addirittura di andare all'inferno... Alcuni di noi si portano nel cuore l'immagine di un Dio severo, che punisce, che esige penitenza, sofferenza, sangue, dolore, morte!
Chi può avere paura di Dio dopo aver ascoltato il Vangelo? Sì, ci sono parole severe contro l'ingiustizia, la malvagità; ma come può aver paura di Dio una persona anziana - ne conosco - che nella sua vita non ha mai fatto del male ha nessuno, che ha vissuto con tenerezza e spirito di servizio verso quelli che le sono vissuti accanto? Come, quando le forze vengono meno e si avvicina il tempo dell'incontro con Dio, si può aver paura di Lui? Come non sentire che il Dio che l'aspetta è un Padre, che "asciugherà ogni lacrima dai suoi occhi", che le butterà le braccia al collo, per far festa?
Come non sentire Gesù come il Pastore, che la prende e la conduce per mano? Come non sentire che nessuno può strapparla dalle sue mani? Sì, ci sono al mondo tante cose che fanno paura, paura a volte di uscire di casa e che qualcuno ti strappi la borsa o ti sbatta per terra... ma Dio no, Dio non può fare paura!
Dio non può farci del male, altrimenti non sarebbe Dio. Dio circonda la nostra vita - la vita di chi, in mezzo a noi, è piccolo, indifeso, di chi sente che le proprie forze se ne vanno - la circonda di tenerezza, di affetto. Dio ci aspetta per farci gustare la luce, la gioia dell'incontro con Lui!
Conservate nel cuore, conserviamole tutti, le immagini che queste Letture ci consegnano stasera. Gesù è il Pastore che ci conosce uno ad uno e ci conduce nei pascoli della vita! Gesù è l'Agnello, che per noi ha donato se stesso!
Dio ci custodisce nelle sue mani e nessuno può rapirci, nessuno può portarci via dalla tenerezza del suo amore! Noi facciamo parte di una moltitudine immensa, di ogni razza, popolo, nazione, che cammina verso l'abbraccio di Dio, del Dio della vita; verso un mondo in cui non ci sarà più fame, né sete, quando Dio asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi!
Queste sono le immagini da conservare nel cuore, queste sono le immagini che il Vangelo ci consegna. Via la paura di Dio!
1992
Le parole che abbiamo ascoltato sono tra le più note, penso per tutti voi, del Vangelo. Permettetemi di fare due piccole e, se possibile anche veloci, riflessioni su quello che abbiamo ascoltato.
La prima cosa che vorrei sottolineare: abbiamo letto all'inizio del Vangelo di oggi: "Quando Giuda fu uscito dal cenacolo...". Giuda è per il Vangelo il simbolo - un simbolo inquietante - del male che c'è intorno a noi e che ritroviamo in ciascuno di noi. Se voi leggete il Vangelo, specialmente il racconto della passione e della morte di Gesù, lo trovate attraversato da una questa domanda: perché Giuda, uno dei dodici, uno che Gesù ha scelto, perché proprio lui ha tradito Gesù? Che c'è nel cuore dell'uomo che fa tradire un amico? Qual è l'abisso da cui scaturisce il male, la violenza che c'è nell'uomo? E i primi cristiani, che sono povera gente come noi, non sanno trovare una risposta, ma credono che Gesù è venuto a calarsi nelle profondità del nostro male.
Le parole che abbiamo letto nel Vangelo di oggi - è questa la prima riflessione che volevo offrirvi - non sono dunque parole per tempi pacifici: sono parole che si collocano in mezzo al dramma della violenza, del male, dell'odio che c'è nel mondo. A questa violenza Gesù ci invita a rispondere non aumentando la violenza, il rancore, la paura. Penso capiti anche a voi di vedere (magari di sfuggita, perché non sopportiamo più troppe immagini) quello che succede nella vicina Iugoslavia: cose orribili! Gente che ha vissuto insieme fino all'altro giorno e che adesso si uccide in maniera atroce. E di queste cose ne abbiamo viste in molte parti del mondo. Chi in mezzo a voi ha i capelli bianchi le ha viste anche qui, vicino a noi. A questo dramma Gesù ci invita a rispondere moltiplicando l'amore: "Vogliatevi bene, come io vi ho voluto bene!"
Qualcuno di voi può domandare (è questa la seconda riflessione che vorrei proporvi): perché Gesù parla di un comandamento "nuovo"? Non hanno tutti, fin dal principio del mondo, almeno le persone giuste, parlato d'amore? Non c'era nella Bibbia il comandamento: "Ama il prossimo tuo come te stesso"? Vedete la novità sta proprio in quella seconda parte che noi cristiani, abituati sempre a fare la morale, qualche volta trascuriamo: "...come io ho amato voi!"
Prima viene l'amore di Gesù e allora il nostro amore non è un obbligo, ma il sentirsi amati, la riconoscenza, la gratitudine, il rendere amore per amore. Noi qui, riuniti intorno alla tavola, guardando la croce possiamo dire: Lui ci ha voluto bene, ci ha voluto bene sul serio, fino a donarci la vita, fino a farsi pane per noi, fino a farsi servo in mezzo a noi.
Nella nostra avventura di uomini, nel "Giuda" che c'è intorno a noi e anche dentro di noi, si è calato l'amore di Dio. Non siamo più soli, abbandonati alle forze oscure che ci sono dentro di noi. In mezzo a noi c'è Uno che ha saputo amare fino in fondo; e non è uno qualunque: è Dio che si è fatto carne! Allora volerci bene, prima di essere un obbligo, è una possibilità: se c'è Dio con noi, se si è lasciato inchiodare sulla croce, se si fa pane... allora è possibile anche per noi amare.
Dobbiamo uscire da quella porta non con il comando: "Vogliatevi bene", ma con il grido: "È possibile volersi bene! È possibile, almeno un po' condividere l'amore con cui Gesù ama ciascuno di noi!"
E l'amore non è più una legge, scritta magari su tavole di pietra, fatta di regole più o meno precise; ma il cuore vivo di Gesù: un'amicizia da vivere nella libertà e nella gratuità.
1989
Tante volte oggi abbiamo ripetuto la parola "nuovo": un cielo nuovo, una terra nuova, faccio nuove tutte le cose. È la nostra speranza, che il libro dell'Apocalisse descrive con la visione, così bella, che abbiamo appena ascoltato. Ma c'è una cosa che sorprende nel Vangelo di oggi, perché anche qui l'abbiamo sentito ripetere più volte "vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri". Ma chi di voi ha un po’ di esperienza della Bibbia, dell'Antico Testamento e anche delle altre religioni, potrebbe dire subito: no, qui non si tratta di un comandamento nuovo, è un comandamento antico, presente fin da quando gli uomini hanno cominciato a pensare a un comandamento.
Il comandamento di amarsi, di volersi bene, nell'Antico Testamento ci è detto con chiarezza, anzi, vi ricordate l'episodio in cui Gesù domanda al maestro della Legge: quali sono i due comandamenti più importanti della legge? Subito la risposta è pronta: due sono i comandamenti: il primo "ama il Signore Dio tuo" e il secondo "ama il prossimo tuo come te stesso". Ma allora dov'è la novità? qual è la cosa nuova di questo comandamento? perché Gesù insiste così? "vi do un comandamento nuovo, vi lascio un comandamento nuovo!". Dov'è la novità? Ma vedete, più che un comandamento, è una possibilità, più che un comando è la realtà dell'amore di Dio. Vi ricordate quando è stata detta questa frase da Gesù? durante l'ultima cena! E noi siamo qui riuniti insieme come lo erano i discepoli in una sera di tanto tempo fa. E Gesù, prima di dire questa frase, si è chinato davanti ai discepoli e ha lavato loro i piedi a uno a uno! La novità è proprio questa: noi facciamo esperienza di un Dio che ci vuole bene, che arriva fino a mettersi al servizio di ciascuno di noi, a lavarci i piedi, un Dio che fa strada con noi. Noi qualche volta vorremmo un Dio potente: ciascuno di noi nella vita, specialmente quelli di voi che hanno qualche anno di più, se l'è immaginato, ha cercato di rappresentarsi Dio, di dire "chi è Dio per me?"
E qualche volta facciamo fatica ad accettare che Dio, l'unico che conosciamo, almeno noi che crediamo in Gesù Cristo, è Colui che si è fatto uno di noi, per farsi compagno della nostra strada, che è venuto davanti a noi e si è chinato a lavarci i piedi; per camminare con noi, per essere colui che ci cammina davanti, per comunicarci un po’ della Sua vita, per darci un po’ della Sua possibilità di voler bene, per rimettere nel cuore della nostra vita questo amore e non solo come comandamento, ma come possibilità, come realtà ultima di un'alleanza che Lui vuole stabilire con noi.
Noi siamo qui perché fra poco Gesù ripeta questi gesti, di farsi pane, di farsi mangiare da noi. Ciascuno di noi può immaginare stasera, quando ci scambieremo un gesto di pace, un po’ prima di mangiare il pane, che Gesù venga davanti a noi e si chini a lavarci i piedi. Ciascuno di noi può immaginare che stasera Gesù ci cammini accanto, ci metta la mano sulla spalla e poi ci dica: "cammina con me, verso un mondo nuovo, verso una nuova terra, verso una nuova possibilità, verso il mondo in cui ogni lacrima sarà asciugata..." Ma perché devo crederci? Perché, ci direbbe Gesù, io sono qui con te, perché io cammino con te, perché insieme con te voglio fare strada, perché insieme con te voglio andare avanti! Questo è celebrare la Pasqua: conservare nel cuore questa speranza. Se io vi ripetessi mille volte: "Il comandamento che voi avete, è quello di volervi bene", tutti mi direste: "ma lo sappiamo questo, lo sappiamo da quando eravamo bambini"... Allora, quello che dobbiamo dirci, invece, per tentare di celebrare la Pasqua, è questo: che Gesù cammina con noi. Che ci dà la possibilità di volerci bene, che ci mette davanti una terra nuova, che si fa pane per nutrirci, che ci dà ogni volta la speranza di riprendere la strada verso questo sogno, verso questo traguardo, verso questa speranza. Per questo è venuto Gesù, non per darci un comandamento, ma per conservarci nel cuore la Sua speranza, perché ciascuno di noi si porti nel cuore il sogno di un mondo nuovo, il sogno di un mondo bello, in cui tutti ci si possa voler bene come ci ha voluto bene Gesù. Perché tutti sentiamo che Gesù per questo è venuto, per camminare con noi e per questo si è chinato e si china ancora a lavarci i piedi, per questo ancora si fa pane per noi.
1992
Mi capita sempre più spesso di incontrare qualche cristiano - forse ce n'è anche in mezzo a voi - a cui è stato consigliato di leggere la Bibbia e poi quando la legge, rimane scandalizzato e dopo un po' la mette via, dicendo: "Ma come è possibile tutto questo sangue, tutta questa violenza!? Come è possibile che Dio ordini tutte queste stragi!?"
Vedete, i preti hanno scoperto la Bibbia (molti di loro non l'hanno letta, non vi meravigliate di questo) e consigliano al povero popolo cristiano di leggerla. E a molti capita di scandalizzarsi. Perché questo scandalo? Vedete chi apre la Bibbia desidera trovare la Parola di Dio, ma spesso ingenuamente pensa di trovarsi di fronte ad una parola "magica", discesa direttamente dal cielo: gli hanno detto che la Bibbia è stata scritta "sotto l'ispirazione dello Spirito Santo" e allora chi legge pensa di trovare una parola perfetta, senza errori, scritta direttamente da Dio. Ma non abbiamo un Dio così!
Dio non ha mai parlato direttamente agli uomini, la sua Parola è arrivata a noi sempre dentro la nostra ventura di essere uomini, attraverso la ricerca, la fatica di povera gente come noi. Dio ha sempre accettato di fare strada con noi, di mischiarsi con le nostre esperienze di ricerca della luce e della vita. La Bibbia può essere letta soltanto - ed è allora un libro prezioso - come il lento, faticoso cammino dell'uomo che cerca di uscire dalla violenza, da un mondo crudele, per andare verso al luce, verso la liberazione, verso l'amore. Il fatto è che molti di noi non si rassegnano ad un Dio che rinuncia ad intervenire direttamente, in maniera "magica" nella nostra storia: capita anche a qualcuno di voi di andare in giro cercando "messaggi" di qualche santo, della Madonna o di Dio stesso... poi magari, quando leggete, vi accorgete che sono povere parole! Certo, perché Dio non ha mai parlato direttamente agli uomini: ha sempre parlato attraverso gente come noi. Attraverso le povere parole di gente come noi, il soffio di Dio ha attraversato la nostra storia, la sua luce ha rischiarato il cammino degli uomini. E non ci meraviglieremo certo se gente come noi ha fatto dire qualche sciocchezza allo Spirito Santo! Nella prima lettura avete ascoltato come gli apostoli dicono nella loro lettera, insieme a cose di fondamentale importanza, che hanno deciso - lo Spirito Santo e loro - che non si possono mangiare "animali soffocati"; nessuno di voi è andato a comprare carne da un macellaio speciale, nessuno di voi crede che nel sangue ci sia la vita e non si possa mangiare e nessuno vi dice più che così ha deciso lo Spirito Santo...
Vedete, lo Spirito Santo soffia come un vento leggero. Nessuno può parlarci "in nome" di Dio. Nemmeno il prete dall'altare: molti di voi mi ascoltano da vent'anni e hanno purtroppo dovuto ascoltare parecchie sciocchezze; nessuno può pensare che io possa offrirvi la "Verità" di Dio. Eppure se mi ascoltate attentamente potete trovare anche nelle mie povere parole un barlume di luce, un riflesso, magari pallido, della "Verità" di Dio. E questo riflesso lo potete trovare in ogni angolo della terra, perché dovunque soffia lo Spirito. Mentre passeggiavo in pineta, pensando a qualcosa da dirvi, mi sono rivenute in mente tante persone che, nella mia vita ormai lunga, sono state per me testimoni di Dio. E mi passavano davanti tante facce: facce di ragazzi, a volte addirittura di bambini, facce di persone anziane, di uomini, di donne - molti di voi - che sono stati per me testimoni di Dio, che mi hanno portato un riflesso della sua luce, il soffio dello Spirito. E non soltanto credenti: anche gente che in Chiesa non viene mai. Mi son tornati in mente libri, scritti in ogni parte del mondo, in cui io ho trovato qualcosa della luce di Dio. Mai nella mia vita ho trovato una parola che veniva direttamente da Dio, ma la sua luce, il soffio sottile del suo Spirito diffusi in ogni parte del mondo.
Ecco, il credente non è uno che aspetta il Dio della magia, il Dio che invia messaggi... Il credente è un cercatore di luce, un inseguitore dello Spirito, uno che tenta di scoprire le tracce di Dio, del Suo Spirito.
E attenzione, la luce, il bene non fanno rumore, lo Spirito è come un soffio leggero: bisogna aprire le antenne, bisogna guardare negli occhi la gente, bisogna ascoltare le voci che mormorano come un vento leggero, per captare la voce di Dio.
E allora scopriremo il soffio di Dio, la sua luce, lo scopriremo intorno a noi, nella gente che ci sta accanto, nella natura, negli animali, nelle voci dei bambini, nell'entusiasmo dei giovani, nella persona anziana che ti parla con tenerezza, nella voce dei poeti, nelle immagini degli artisti... dovunque c'è il soffio di Dio. Noi non crediamo nel Dio della magia, ma nel Dio della storia, in un Dio che fa strada con gli uomini, in un Dio che ci parla attraverso le nostre voci, attraverso il mondo che ci sta intorno. Se siamo cercatori di luce, se amiamo le voci che sussurrano, allora troveremo le tracce dello Spirito.
Il Signore ci aiuti!
1989
Mi capitava qualche tempo fa di leggere su un giornale, che in varie parti del mondo ci sono dei grandi telescopi, radio telescopi, che captano tutte le onde radio che girano per l'universo: stanno puntati verso gli spazi infiniti cercando di captare un messaggio, un segno, una sequenza intelligente... Allora avremmo la certezza che da qualche parte degli infiniti spazi dell'universo, c'è una persona intelligente. Diceva questo giornalista che arrivano ogni giorno, anzi ogni minuto, migliaia e migliaia di segnali (tutto il nostro universo è pieno di onde), ma finora non ne è arrivata neppure una con una sequenza intelligente. Una volta che potessimo riconoscerla, saremmo sicuri che c'è qualcuno là.
Voi direte: ma che c'entra questo con il Vangelo di oggi? Ecco, abbiamo ascoltato le parole di Gesù che promette la forza del Suo Spirito: "vi manderò lo Spirito Santo e Lui vi insegnerà ogni cosa... vi do la mia pace!".
Se ci guardiamo intorno, ci domandiamo: "ma dove sta lo Spirito di Dio nella storia del nostro mondo? dove sta la pace intorno a noi, dove troviamo questi segnali?..." Vedete, noi ci aspettiamo che Dio ci insegni proprio tutto, ci faccia vedere con chiarezza dov'è la verità, che non stia accanto a noi come uno che, lentamente e quasi faticosamente, con noi fa strada. Noi pensiamo che Dio deve essere Colui che quando ci illumina, sia come un grande lampo, come una grande luce. Non accettiamo che Dio, in fondo, si sia fatto povero per far strada con noi.
Mi guardo intorno, qui in mezzo a voi, e poi allargo il mio sguardo e mi rendo conto che nel cuore dell'uomo spesso ci sono desideri di pace, di giustizia, di verità. A volte, leggo dei versi scritti da un poeta laggiù in India, che ha un'intuizione di Dio profonda e vera; o sento qualche persona di voi che mi parla di Gesù, con tenerezza, con tanta passione. Allora, vedete, se io fossi come uno di quei radiotelescopi puntati sul mondo, per captare qualche segno della luce di Dio, della Sua pace... quanti ne avrei ricevuti nella mia vita.
Certo, se mi aspetto di vedere tutto chiaro, se mi aspetto che lo Spirito Santo sia come uno che, con la bacchetta magica, mi fa vedere tutto quello che ha detto Gesù, allora non avrei accettato la povertà di Dio. Dio che viene a fare strada con noi, che fa strada con la Chiesa, con la povera gente come noi, per le strade del mondo.
Andiamo cercando la verità e lo Spirito di Dio ci illumina con la Sua luce: qualche volta sappiamo accoglierla, qualche volta no... qualche volta lo riconosciamo, qualche volta sappiamo accogliere un po’ della Sua Luce, un po’ della Sua pace. Intorno a noi ci sono i segni di Dio, i segni della presenza dello Spirito, i segni della Sua luce, i segni della Sua pace. Se potessimo vederli in questo momento! Per noi fa più rumore tutto quello che è male e violenza, tutto quello che è odio e rancore. Molti di noi sono convinti che intorno a loro il mondo sia cattivo, tutto sia male: noi vediamo troppa televisione! Guardatevi intorno con i vostri occhi e allora, se aprite le vostre antenne, saprete cogliere i segni di Dio: nel vostro bambino che vi parla, o nel nipote che cresce, in un ragazzo, in una persona che accanto a voi mostra qualche cosa della luce di Dio. Così, semplicemente, silenziosamente! Non aspettatevi segni straordinari! Quando arriva un segnale di pace, quando arriva un segnale di tenerezza, quando arriva un segnale di giustizia, quando arriva un segnale d'amore, quando arriva un segnale di bontà, dite: "ecco, il segnale di Dio, è Dio che si fa presente in mezzo a noi, che tenta di parlare". Ma spalanchiamo bene gli occhi, altrimenti diventiamo pessimisti, tristi: pensiamo che tutto sia cattivo, che tutto sia sbagliato. Guardiamoci intorno, impariamo a riconoscere nella gente che conosciamo, nella gente che ci vive accanto, i segni della pace e della bontà di Dio, perché ce ne sono tanti. Dio vive con noi, non ci ha lasciati soli. Certo, non sta in mezzo a noi per risolverci i problemi come un mago, ma per fare strada con noi semplicemente e poveramente; per conservare nel nostro cuore, nel cuore di tante gente che vive con noi, desideri di pace... questo sì, su questo possiamo contarci, perché ce l'ha promesso Gesù.
1992
Io spero che tutti voi amiate i simboli, le immagini, la fantasia, la poesia: è difficile ritrovarci insieme ogni domenica senza questo amore per la fantasia, l'immaginazione, il simbolo. Perché noi tentiamo di esprimere qui, insieme, il nostro rapporto con Dio, il mistero della sua presenza nella nostra vita. E vedete, questo può esprimerlo solo la voce del poeta, la fantasia di chi sa cantare l'invisibile.
I primi cristiani hanno immaginato per noi il racconto che oggi abbiamo ascoltato per due volte: Gesù che, mentre parla con i discepoli, li benedice e poi si innalza verso il cielo, pian piano scompare nelle nubi. Voi capite facilmente che questo non è il racconto di una fatto accaduto, ma il simbolo di ciò che è il cuore della nostra fede: noi crediamo che Gesù è venuto in mezzo a noi per condividere la nostra vita, ha lavorato sulla nostra terra con mani callose di falegname, è stato testimone per noi della tenerezza, dell'amore, della passione per la vita che ha Dio! In mezzo a noi è stato testimone di fedeltà e di riconciliazione, di giustizia e di pace, di perdono e di vita! Il suo salire al cielo (voi sapete che il cielo non è il luogo dove abita Dio, noi abbiamo dissacrato il cielo con i nostri missili) esprime il mistero del suo ritorno nello spazio e nel tempo di Dio, esprime ciò che noi tutti crediamo: Lui aveva ragione, la sua vita è accolta presso il Padre.
Quando un amico se ne va, se ne va per sempre - e per gli apostoli Gesù è stato un amico straordinario, che ha trasformato la loro vita - c'è tristezza e malinconia; eppure nulla di tutto questo nei racconti di oggi: i discepoli sono "pieni di gioia": si rendono conto che comincia il loro tempo, il tempo della loro testimonianza, Dio ha fiducia in loro, affida a loro il compito di continuare l'opera di Gesù.
E non soltanto agli apostoli Gesù dice: "Sarete mie testimoni..." Lo dice a me, lo dice a ciascuno di noi. Siamo chiamati a essere testimoni di Gesù: di quello che Lui ha fatto, della sua tenerezza, del suo amore.
È il tempo della Chiesa, è il tempo della testimonianza di gente di tutti i giorni, di gente come noi. Non ci sono eroi in mezzo a noi, non c'è gente straordinaria, non c'è gente capace di fare grandi cose! Eppure la Chiesa siamo noi! Alle nostre deboli mani, alla fragilità del nostro cuore Dio affida il compito di continuare l'opera di Gesù, di essere suoi testimoni.
Per questo ci ha promesso lo Spirito, per questo lo invochiamo: che ci facci capaci di esser un riflesso, magari piccolo, di Gesù. Che ci aiuti a fare esperienza di Gesù, che ci dia la luce per credere in Lui.
E la fede non è fatta solo di parole, di preghiere dette insieme: è fatta di testimonianza viva. Non crediate che bisogna fare grandi cose. Occorre tentare, nei gesti di ogni giorno, di vivere in mezzo alla gente, credendo nella giustizia, nell'amore, nella pace: come ha fatto Lui!
Ci aiuti a farlo!
1989
Qualcuno ricorderà: qualche anno fa questa festa dell'Ascensione veniva celebrata durante la settimana, il giovedì; 40 giorni dopo la Pasqua. In qualche parte dell'Italia, si accompagnavano a questa festa delle celebrazioni speciali. Poi hanno pensato che dovevamo lavorare un po’ di più, perché siamo diventate persone dal "ponte facile", e così ci hanno spostato la festa alla domenica. Ma questo è successo anche perché si perdeva il senso e l'importanza di questa festa. Tentiamo allora di capirlo un pochino: avrete notato anche voi come nelle letture che oggi abbiamo ascoltato, questo episodio della vita di Gesù viene raccontato due volte. Luca lo mette a conclusione del suo Vangelo e ad apertura del libro degli Atti.
È certamente un racconto simbolico; il guaio di questa pagina, infatti, è che tanti simboli oggi non ci dicono più gran che. Avete sentito parlare di Gesù che sale verso l'alto, verso il cielo e la nube che lo ricopre, degli Angeli che appaiono... sono tutte cose che a noi fanno sembrare questo episodio confinato nel mondo delle favole. Il cielo per noi non è più il posto di Dio; abbiamo imparato a viaggiare per il cielo. Anche qualche giorno fa avrete visto la partenza dell'ultima navetta spaziale; molti di voi hanno negli occhi il ricordo dell'uomo che mette il suo piede sulla luna: un mondo polveroso, un mondo in cui non abitano certamente le divinità, in cui non abita Dio. Allora, tutto questo mondo, tutto questo apparato di immagini, rischia di non dirci più nulla, di non significare più nulla neanche ai ragazzi! Qualche giorno fa mi capitava di parlare con un mio amico che è Parroco a Roma, a cui i catechisti, che dovevano preparare i ragazzi per la festa di oggi, chiedevano: "come possiamo far capire ai ragazzi questi simboli di oggi? sono tutte cose per loro strane, è difficile capire il senso di questa festa". E lui diceva: "ma perché non cambiate tutto? perché non collocate questo episodio in una cornice diversa, più simile per noi?"
Immaginate di essere anche voi con gli Apostoli, riuniti con Gesù nel Cenacolo, una sera di tanto tempo fa. Dopo la Risurrezione gli Apostoli si sono ritrovati qualche volta, come facciamo noi, intorno alla tavola con Gesù. In genere, lo avete notato, gli Apostoli si ritrovano con Gesù sempre intorno a una tavola, intorno ad un pasto: è quello che facciamo anche noi qui. Bene, immaginate che Gesù dica agli Apostoli: "adesso è tempo che me ne vada, vi saluto, debbo tornare al Padre! Ormai, quello che potevo darvi, ve l'ho dato, quello che potevo dirvi, ve l'ho detto; adesso vado via!" E immaginate che Gesù prenda la porta e se ne vada.
I Discepoli rimangono a guardarsi l'un l'altro meravigliati, incapaci di capire che cosa succede adesso. Per la seconda volta si sentono soli: Gesù non c'è più in mezzo a loro.
Immaginate che un paio di persone bussino alla porta: aprono, vengono avanti, gli Apostoli domandano "chi siete voi? che fate qui?" e quei due: "non importa chi siamo, piuttosto voi che fate qui? perché non capite? Lui è andato, ormai ha finito il suo compito, adesso tocca a voi, è il vostro tempo! quante volte ve l’ha detto: siate i miei testimoni".
Ecco il senso di questa festa. Noi celebriamo Gesù che torna presso Dio, che siede - come diciamo nel Credo - alla destra del Padre. Significa che nella nostra fede, noi crediamo che in Gesù abbiamo toccato qualche cosa della luce di Dio; noi crediamo che in Gesù si è manifestato a noi qualche cosa della vita, dell'amore di Dio. Noi crediamo che Gesù aveva ragione, che Lui è l'ultima parola, che il mondo non si fermerà, finché non raggiungerà la dimensione di Cristo.
Ma se crediamo questo, con tutte le nostre forze, allora è il tempo nostro, il tempo di essere testimoni. Gesù lascia a noi il compito di essere nel mondo il segno della luce, della vita di Dio. Ecco questa festa: l'ultimo sguardo a Gesù, il riconoscere che Lui ci ha portato la vita, la speranza, la certezza che un giorno tornerà, che il mondo ha Lui come punto di riferimento finale... e poi il guardarsi negli occhi e dire: adesso è il tempo nostro, è il tempo della Chiesa. Per questo Luca comincia così il racconto degli Atti degli Apostoli, il racconto della vita della Chiesa: un libro che non è finito, perché adesso dobbiamo continuare a scriverlo noi, siamo noi i continuatori dell'opera di Gesù.
Non ci resta allora che aspettare domenica prossima per celebrare la promessa del Signore, la promessa cioè che lo Spirito venga ad aiutarci, a darci la Sua luce, per continuare l'opera del Signore.
1992
"Chi di voi, se un figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? Chi di voi, se un figlio gli chiede un pesce, gli darà un serpente? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!" Quella che vi ho citato è una frase del Vangelo di Luca (11, 11-13). Quando si legge insieme il Vangelo, ogni volta che si arriva a questa frase, molti restano sconcertati: cosa significa credere? Cos'è la preghiera? Quante volte nella nostra vita abbiamo domandato, cercato lo Spirito Santo?
Vedete, la prima parte della frase di Luca ci è fin troppo familiare, tutti sanno dare ai figli le cose che chiedono: oggi non soltanto il pane, ma anche il vestito, la bicicletta, l'orologio alla moda, si sa come rispondere alle domande dei figli... Ma chiedere lo Spirito che cos'è? Perché io dovrei mettermi davanti al Padre e chiedergli: "Padre, dammi il tuo Spirito?" Noi abbiamo tante cose da chiedere per i bisogni concreti di ogni giorno...
Essere cristiani significa proprio questo: tentare di capire chi sia lo Spirito, tentare di comprendere di cosa abbiamo veramente bisogno per vivere, per essere uomini, al di là del vestito che indossiamo, delle scarpe che portiamo ai piedi, della macchina che usiamo, del posto di lavoro, della stessa salute.
Pregare, credere è andare alla ricerca di ciò che è essenziale per essere uomini. I primi cristiani esprimono questa ricerca attraverso i simboli: i simboli che abbiamo ascoltato nella prima lettura.
Noi abbiamo bisogno che il Soffio di Dio attraversi al nostra vita. Ne abbiamo bisogno come di un vento che ci scuota e ci faccia liberi: tentati come siamo di ripiegarci in noi stessi, di possedere uomini e cose, di farci centro del mondo, abbiamo bisogno del vento della libertà e della gratuità.
Noi abbiamo bisogno del fuoco che ci scaldi, ci renda attraenti gli uni agli altri, ci faccia capaci di condividere la vita, di metterci gli uni al servizio degli altri. Noi abbiamo bisogno del fuoco dell'amore che ci animi, che ci dia gioia per tutto ciò che è buono e umano.
Noi abbiamo bisogno della luce di Dio per vedere riflettere nel volto di chi ci cammina accanto qualcosa del volto di Dio. Noi abbiamo bisogno della luce che ci faccia scoprire la verità delle cose, che illumini i nostri passi.
Noi abbiamo bisogno dello Spirito di Dio che ci faccia capire linguaggi diversi, che ci faccia rispettare ogni uomo nella sua diversità e ci dia il coraggio di camminare insieme, di costruire insieme la pace.
Queste son le cose essenziali per essere uomini. Ecco perché il credente è un inseguitore dello Spirito. Ecco perché la vita cristiana è invocazione continua dello Spirito: perché qualcosa della tenerezza di Dio qualcosa della sua libertà e gratuità, qualche cosa del suo amore, attraversi la nostra vita, la faccia libera e bella.
Invochiamo ancora, insieme, lo Spirito Santo.
1989
Come tutti certamente sapete, siamo qui insieme per concludere il periodo di Pasqua, i 50 giorni in cui abbiamo celebrato la Resurrezione del Signore e chiudere con la festa della Pentecoste. Siamo qui insieme per celebrare lo Spirito Santo e celebrare la Pentecoste è portarsi nel cuore tutti una certezza, è sospirare, desiderare e invocare lo Spirito, è muoversi alla ricerca di Lui. Celebrare la Pentecoste è una certezza, la certezza di cui vive la Chiesa: se noi siamo qui, possiamo guardarci negli occhi, se siamo qui siamo qui dopo 2000 anni che è venuto Gesù: dopo tanta gente che ci ha preceduto, che con ogni probabilità non era migliore di noi; se siamo qui come siamo noi, alcuni con i capelli bianchi, quindi che hanno fatto la storia, che hanno tentato di comunicare agli altri la fede; se siamo qui noi è perché c'è lo Spirito di Dio. Da soli che cosa potevamo fare? cosa potevano fare gli uomini che ci hanno preceduto, se fossero stati solo uomini? Gesù non solo ha mandato la Sua gente in giro per il mondo, ma ha detto: "vi darò lo Spirito Santo, il Soffio di Dio, qualche cosa della Sua forza".
La forza dolce, soave che invita, non costringe perché siamo figli: figli che camminano per le strade del mondo e devono camminare con i loro piedi. Non può Dio sostituirsi a noi, altrimenti saremmo dei burattini! Ma qualche cosa della Sua luce, del Suo fuoco, qualche cosa del Suo calore, ha accompagnato la Chiesa, altrimenti non saremmo qui. Se il messaggio di Gesù, se la Sua parola fosse affidata soltanto a uomini e a uomini come noi, qualche volta si sarebbe persa nel corso dei secoli. Quante volte gli uomini avrebbero dimenticato il Signore! quante volte anche noi avremmo dimenticato, se lo Spirito di Dio in ogni momento della vita non ci avesse di nuovo invitati, cercati e spinti ancora a ritrovarci qui, a tentare di testimoniare la nostra fede!
Vedete fratelli, non solo se noi siamo qui, ma anche se in ogni parte del mondo c'è ancora gente che cerca, che spera, che crede, che vive, tanti uomini di ogni popolo, di ogni razza, di ogni nazione. Se ci sono tanti fermenti di giustizia, se c’è tanto desiderio di pace intorno a noi, è perché in qualche modo lo Spirito di Dio è presente: non soltanto in chi come noi stasera può pregarlo, ma in tanta gente, in ogni parte del mondo. Lo Spirito non è monopolio di nessuno, è dato a tutti; nel mondo c'è qualche cosa della presenza, della forza, del calore, della luce di Dio. E lo si può trovare in ogni parte della terra. Gesù diceva: "lo Spirito soffia dove vuole". Ogni uomo porta magari una fiammella piccola e quasi fumigante della luce di Dio. Questa è la certezza che ci dà speranza di vivere e di camminare ancora. E allora questa certezza si trasforma in preghiera, in invocazione allo Spirito, perché scenda ancora, o meglio, perché noi sappiamo accoglierlo; perché sempre di più gli uomini tentino di camminare alla luce dello Spirito.
È allora invocazione che si fa anche impegno di cercare, perché c'è un pericolo per i cristiani: nel Vangelo è riputo tantissime volte, quasi ad ogni pagina; direi che nel Vangelo c'è quasi un solo peccato, quello di sentirsi sicuri, di sentirsi giusti, di non cercare più; sentire di essere a posto, di aver trovato la strada, di aver trovato la chiave della vita, la risoluzione dei propri problemi; sentire di essere dalla parte di Dio. Noi che facciamo la Comunione, che ci ritroviamo qui insieme, noi che invochiamo Gesù, noi che facciamo Pentecoste, non siamo arrivati! Finché viviamo sulla terra, dobbiamo cercarla la luce dello Spirito, cercarla dentro di noi e accanto a noi, tentare di essere, insieme a tutti i nostri fratelli, mendicanti di luce, cercatori di giustizia, cercatori pace, cercatori di bontà, cercatori di perdono, di riconciliazione. Perché lo Spirito, che Dio ha mandato alla Sua Chiesa, è soprattutto Spirito di riconciliazione e di perdono. E allora tra di noi, con gli uomini, con la gente, anche noi dobbiamo essere inseguitori dello Spirito, cercatori di vita.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1992
Abbiamo finito di celebrare i grandi fatti della storia della nostra salvezza: ricordate? la nascita di Gesù, la sua vita, la sua passione e morte, la Resurrezione, l'Ascensione e, domenica scorsa, la Pentecoste.
Alla fine di tutte queste celebrazioni, la Chiesa ci invita a dare uno sguardo - quasi una specie di riassunto - verso il mistero di Dio. E guardare il mistero della vita di Dio è come affacciarsi sull'abisso! L'abisso da cui tutti noi - e questo nostro mondo - prendiamo origine. Un abisso di luce e di vita!
Ma dobbiamo renderci conto, stando qui insieme, che ogni parola su Dio, ogni immagine che ci facciamo di Lui, è sempre del tutto inadeguata ad esprimere la realtà di Dio. Lui è veramente più grande di ogni parola: non soltanto delle mie, che sono povere parole, ma di ogni parola che un uomo sulla terra possa pronunciare. Dio non sarebbe Dio se non fosse al di là di ogni parola e di ogni immagine. Noi diciamo troppe parole su Dio. Toppo spesso pensiamo di sapere cosa Dio pensi, cosa Dio possa fare e non fare, cosa approvi e cosa condanni...
L'uomo, da sempre, in ogni angolo della terra, è andato alla ricerca di Dio, cercando in Lui il fondamento dell'esistenza, le radici della vita. L'uomo, spesso, ha cercato Dio a partire dai propri bisogni, dal proprio limite, ha cercato il potente, colui che tappasse i buchi, i limiti della propria miseria. Troppo spesso si è fatto un dio a propria immagine e somiglianza.
Ma ha saputo anche esprimere in questa ricerca il suo stupore, la sua meraviglia, lo sguardo affascinato del bambino, il desiderio di gratuità e di luce. Allora ha saputo trovare le tracce di Dio. Le ha trovate nello splendore del creato, nella bellezza del cielo, nella vastità del mare, nella bellezza delle montagne, dei fiori degli alberi, nel sorriso di un bambino, nella tenerezza di chi sa voler bene...
Noi siamo qui perché crediamo di aver incontrato Dio nella persona di Gesù: in Lui ci è venuto incontro, ha parlato le nostre parole, si è rivestito della nostra carne. Per noi, ogni parola su Dio non può che passare attraverso le parole di Gesù: le immagini straordinarie delle sue parabole, che ci fanno intuire qualche cosa della realtà, della vita, del mistero di Dio. Dovremmo sapere - è molto importante per tutti noi - che ogni discorso su ciò che Dio può fare e non fare, non può che passare attraverso la Croce di Cristo, così ogni discorso sulla sofferenza, sul male. A volte si sente dire: "Dio ha mandato un castigo", "Dio ha permesso questo": tutte queste parole dovrebbero passare attraverso la Croce di Gesù. Forse sarebbe bene per noi ritrovare il silenzio e lo stupore...
Lo Spirito santo ci dia un cuore capace di contemplare, che sappia ammirare, stupirsi, che sappia sgranare gli occhi di fronte alla bellezza del mondo, di fronte al mistero di chi vive con noi. Lo spirito ci tolga dal cuore la voglia di condannare e giudicare, il desiderio di possedere uomini e cose. Ci dia un cuore che sappia aprirsi al mistero, alla gratuità, che sappia contemplare lo splendore della vita. Ci dia lo sguardo meravigliato del bambino, ci aiuti a cercare dentro di noi e intorno a noi le tracce della Sua presenza e ci faccia capaci di ringraziare!
1992
Domenica scorsa celebravamo la festa della SS. Trinità e vi dicevo - forse qualcuno lo ricorderà - che era un invito a dare uno sguardo verso il mistero di Dio: Dio che è più grande di ogni parola, di ogni immagine che l'uomo può farsi sulla terra. Oggi vorrei invitarvi a continuare quella riflessione a guardare quello che è accaduto, in giro per il mondo, all'uomo che va in cerca di Dio.
Voi capite che quando l'uomo intuisce che Dio è grande, è infinito, è misterioso, viene subito il desiderio di cercare un incontro con Lui, in luoghi particolari, circondati di fascino e di mistero, magari in cima alle montagne. Viene il desiderio di costruire dei luoghi speciali: in ogni parte della terra voi trovate dei templi a volte straordinari per bellezza artistica. E all'interno dei templi quasi sempre dei sacerdoti, ordinati in complesse gerarchie, e dei riti particolari spesso pieni di fascino, e delle regole, a volte dei "tabù" e quasi sempre dei riti di purificazione, il bisogno di pulirsi, di lavarsi prima di entrare in contatto con il divino... In ogni parte del mondo si cerca Dio in uno spazio "sacro", lontano dalla vita di ogni giorno. E come potete facilmente immaginare, voi che avete esperienza della vita, c'è sempre qualcuno che cerca di impossessarsi del "sacro" e magari di guadagnarci su. Succede in ogni parte della terra.
L'intenzione di Gesù era radicalmente diversa: Lui ha portato i suoi discepoli fuori dal tempio. E il tempio di Gerusalemme non sfuggiva a queste regole: era costruito in cima a una montagna, era fatto con tanti cortili concentrici, con tante esclusioni. C'era una casta sacerdotale, potente, ricca, complessa. C'erano riti solenni e complicati.
Gesù ha portato lontano i suoi discepoli: li ha riuniti in una stanza qualunque, di una casa qualunque, vestito con abiti qualunque... e sulla tavola un po' di pane e un po' di vino: le cose più semplici della vita di tutti i giorni. Perché Gesù aveva nel cuore l'idea che noi Dio non dobbiamo incontrarLo in uno spazio sacro, in cima ad una montagna, in mezzo a riti complicati, lontano dalla vita degli uomini, ma nel cuore di questa vita, in mezzo alla gente, nel nostro quotidiano. È là che possiamo condividere la vita, spezzare insieme il pane, dividerlo con altri, in mezzo alla gente che ha fame - lo avete sentito nel Vangelo - fame di pane, e fame di tenerezza e di amicizia e, anche, fame e sete di assoluto!
È là che Gesù ha collocato la "memoria di sé": un pane spezzato, la vita donata: "questo è il mio corpo donato per voi... fate questo in memoria di me".
Qualcuno a questo punto dirà: "Ma don Checco, lei sta di là, noi di qua, lei porta vesti speciali che nessuno di noi usa, siamo in un luogo sacro". E sapete perché? Perché noi ci difendiamo da Dio, ci difendiamo da questa intrusione di Dio nella nostra vita, nel nostro quotidiano, ci dà fastidio che Dio venga a sedersi a tavola con noi, nella nostra casa. Non possiamo più cercarlo solo quando ci sembra di averne bisogno, bisogna prenderlo sul serio, accoglierlo nel nostro quotidiano. Accettare Dio significa che la vita è un dono da condividere, tentare di amarsi fino in fondo, di camminare insieme. Accettare Dio non solo quando mi serve, ma a tavola, quando mi siedo con la mia gente, quando vado a lavorare, quando incontro la gente che ha fame.
Vedete allora, dobbiamo difenderci dalle nostre Eucaristie che rischiamo di confinare di nuovo nello spazio del "sacro": ci bastano i bei canti, le belle parole, qualche bella emozione e poi nella vita di ogni giorno rischiamo di dimenticarci che abbiamo spezzato insieme il pane, che ci siamo nutriti di Gesù, che abbiamo deciso di vivere d'amore.
È il nostro modo di difenderci da Dio! Invochiamo lo spirito Santo che ci aiuti ad abbattere le nostre difese, ad accogliere Dio che viene a condividere, ogni giorno, la nostra vita.
1989
Compiute le grandi celebrazioni di Pasqua, finite anche le feste che seguono (ricorderete la SS.Trinità e poi la festa del Corpo e del Sangue del Signore), torniamo alle domeniche normali dell'anno. Abbiamo ripreso la lettura del Vangelo di Luca e proseguiremo così pian pianino, pagina dopo pagina, per tutte le domeniche che ci stanno davanti. Permettetemi anche di fare una predica un po’ più feriale, di cogliere cioè un aspetto, di quello che abbiamo letto stasera, che nei giorni passati mi ha colpito: forse un aspetto molto marginale, secondario. Questa pagina del Vangelo, infatti, è carica di tanti significati, ma io vorrei attirare la vostra attenzione su un punto di questo Vangelo e della prima lettura.
Leggendo insieme la Bibbia, ci siamo soffermati sulla grande preghiera che Salomone (il grande re che ha costruito il Regno) recita per l’inaugurazione del tempio. Ne abbiamo ascoltato una parte nella prima Lettura e anche voi avrete notato che Salomone prega perché lo straniero possa pregare anche lui nel tempio. In genere, specialmente in quei tempi, lo straniero è descritto in termini molto negativi, lo si dipinge sempre come brutto e cattivo, è il nemico.
E allo stesso modo, ci aspetteremmo di sentire parlare del centurione, il soldato romano, che era in Palestina ad occupare quella terra: era un invasore, un nemico! Invece il centurione viene descritto come un amico, una persona seria, che si preoccupa del suo servo, insomma veramente una brava persona. Ecco, quando leggiamo queste pagine, veniamo colpiti dal fatto che a quel tempo, in un mondo crudele e violento, c’è chi sa apprezzare il diverso, sa riconoscere anche nello straniero e nel nemico i valori che ha. Tra noi oggi dovrebbe essere scontato.
Ed ecco la riflessione che volevo proporvi stasera: mi vado accorgendo sempre di più (queste in fondo sono le nostre sconfitte, anche le mie come uomo, come prete) che quelle cose che dovrebbero essere scontate, perché sono le cose che Gesù ha detto con chiarezza, non lo sono per molti di noi. Cosa dovrebbe essere scontato? Dovrebbe essere scontato che anche chi la pensa diversamente ha dei valori, che la strada della religione non è la sola: per grazia di Dio ce ne sono tante. Eppure spesso ci capita di sentire i cristiani dire: "chi non la pensa come me non è più cristiano", "chi non fa questo, non è una persona seria", "chi non segue questa strada, non è nel giusto".
Si risente troppo spesso, anche nella Chiesa di oggi, questa intolleranza nei confronti degli altri, questa incapacità di accogliere gli aspetti positivi di chi ci vive accanto. E questo non vale solo nella vita della Chiesa, ma anche nella vita di tutti i giorni. A volte nel posto di lavoro ci riesce difficile riconoscere i valori, le virtù, le diversità, e apprezzarle nell'altro.
Mi capita qualche volta di notare che anche molti genitori fanno fatica ad apprezzare le diversità dei figli. I figli qualche volta se ne vanno per la loro strada... Capire che, se anche non si comportano come noi, se non seguono la nostra strada, se non vengono in chiesa la domenica con noi, sono lo stesso delle brave persone, sono delle persone oneste e serie, qualche volta migliori di noi. Apprezzare la diversità dell'altro, diventare tolleranti, capire il centurione, lo straniero; e non soltanto questa gente di tanto tempo fa, ma chi ci vive accanto, in casa, in ufficio, quello che abita sopra, la persona che incontro.... Diventare tutti un po’ più capaci di riconoscere i valori di cui gli altri sono portatori....
È un piccolo messaggio del Vangelo di oggi che ne contiene di molto più grandi, sperando che una piccola riflessione ci aiuti tutti a diventare più capaci di accogliere chi vive con noi.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1989
Raccontarvi un po’ della mia esperienza fatta con il Vangelo, e in particolare con questa pagina, penso possa aiutarvi, perché probabilmente la mia esperienza è simile a quella di molti di voi, specialmente quelli che, come me, hanno qualche anno di più dietro alle spalle! Dunque le prime volte che leggevo queste pagine del Vangelo, questa in particolare, la leggevo come una prova che Gesù fosse Dio. Mi dicevano: "vedi, Gesù ha risuscitato i morti, solo Lui può resuscitare i morti, quindi Lui è Dio!"
Io ascoltavo queste parole, con grande interesse, e poi, come sempre, venivano i dubbi: qualche volta venivano a me, qualche volta a chi cercava di spiegarmi il Vangelo. Si domandavano (e quindi qualche volta mi domandavo anch'io): "Ma era veramente morto questo ragazzo? Si trattava forse di una morte apparente? E se era morto, la sua anima dove era andata a finire? Non poteva già essere andata in paradiso, altrimenti non sarebbe tornata!". E altre domande, altre curiosità di questo genere sulla morte di questo ragazzo, a cui spesso si univano storie di altre persone che erano tornate indietro dalla esperienza della morte. Crescendo, una cosa mi colpiva: che pur avendo ascoltato tante volte racconti del genere, non ho mai visto un cristiano che, di fronte alla morte, pregasse perché la persona che era morta tornasse in vita. E allora mi domandavo: che senso hanno per me questi racconti del Vangelo? perché li leggiamo la domenica? Ecco, è la domanda che vorrei invitare ciascuno di voi a porsi.
Uscendo di qui, stasera, che ricordo portate di questo Vangelo? Che cosa significa nella vostra vita questa pagina? Di fronte ad una pagina del Vangelo dovremmo chiederci cosa significa per me, cosa significa nella mia vita, in questo momento, la Parola che ascoltiamo.
Allora, non credo che il racconto di oggi riguardi tanto l'ultimo momento della nostra vita, quel passaggio che tutti noi dovremo attraversare alla fine, ma che riguardi il nostro stare qui, il nostro trovarci insieme, in un momento di sosta nel cammino della vita, per incontrare Gesù; per incontrare Colui che può darci la vita, adesso, che può arricchire e moltiplicare la vita. Perché, vedete, ogni uomo, anche noi, moriamo ogni volta che sciupiamo la vita, ogni volta che la vita diventa più brutta, ogni volta che dalla vita se ne va un po’ di speranza, che se ne va un po’ di gioia, che se ne va un po’ di bene.
Ogni volta che facciamo il male, ogni volta che diventiamo tristi, ogni volta che siamo egoisti, ogni volta che sciupiamo la vita degli altri.... qualche cosa del potere della morte, qualche cosa di terribile, entra nella nostra vita. Allora il nostro trovarci qui ogni domenica è incontrarci con il Signore: che ci dà speranza di vita, che ci perdona, che ci rimette in cammino, che ci prende per mano, come ha preso per mano questo ragazzo.
Allora, l'incontrarci qui ha senso, la Messa che celebriamo ha senso. Ciascuno di noi, venendo qui, si porta sul cuore un po’ di peso: il peso del proprio egoismo, il peso della mancanza di speranza e di coraggio. Ecco, incontrarci con Gesù è essere da Lui presi per mano e rimessi in cammino; essere perdonati, trovare in Lui speranza, coraggio, vita.
Non solo, ma se noi vogliamo continuare l'opera di Gesù, abbiamo un compito: è quello di portare intorno a noi la vita, di moltiplicare la vita! Un gesto di tenerezza, un sorriso, l'aiuto che si dà ad una persona anziana, o a un bambino che cresce, ogni cosa che facciamo per moltiplicare la vita intorno a noi... questo è continuare l'opera di Gesù. Per questo il Vangelo di Luca dice che il ragazzo si alzò e si mise a parlare. Parlare è già cominciare a moltiplicare la vita, ed è il compito di tutti noi che siamo qui.
Allora, uscendo da questa porta, il mistero della morte rimarrà ancora duro e pesante, com'è per ogni uomo che vive. Ma intorno a noi cercheremo di moltiplicare la vita, di portare un po’ più di speranza, di gioia, se l'avremo presa qui, incontrandoci con Gesù. È Lui l'autore della vita, è Lui che ci salva, è Lui che ci perdona, è Lui che ci piglia per mano, è Lui che ci fa nuovi. Questo è l'incontro che possiamo fare con il Signore, questo è per me il senso del Vangelo che abbiamo letto.
Il Signore ci aiuti a viverlo.
1989
La pagina che abbiamo appena ascoltato, penso che lo abbiate notato tutti, è una delle pagine più belle del Vangelo di Luca. Ci ripropone uno dei temi centrali, uno dei temi-chiave, del suo Vangelo e della vita cristiana: il perdono. Cosa significa "perdono"? Il perdono di Dio per noi e il perdono che ci scambiamo tra di noi. Da dove nasce? Che cos'è, dove porta il perdono?
Per aiutarvi a fare qualche riflessione (perché di questo si tratta, non si può capir tutto), il perdono appartiene al cuore della nostra vita e la vita dell'uomo è qualcosa che va sempre scoperta; non si può mai arrivare a dire: adesso so tutto. Per aiutarvi dunque a fare qualche riflessione vorrei cominciare col farvi notare una contraddizione che c'è nel Vangelo di oggi, una contraddizione che sembra, a prima vista, abbastanza seria. Dunque, a un certo punto della pagina che abbiamo letto Gesù dice: "Le sono perdonati i suoi molti peccati perché ha molto amato". Cioè questa donna ha amato molto, ha fatto molto, difatti Gesù ha detto rivolgendosi a Simone: "Son venuto in casa tua e tu non mi hai dato l'acqua per i piedi, lei invece mi ha bagnato i piedi con le sue lacrime... tu non mi hai dato il profumo per la testa, lei invece mi ha cosparso di profumo i piedi..." Lei ha fatto tutte queste cose, per questo le è perdonato tanto. Invece in un'altra parte abbiamo letto: "Colui a cui si perdona poco, ama poco". E poco prima Gesù aveva raccontato la parabola del padrone che aveva due debitori: quello a cui ha condonato di più, lo amerà di più.
Allora non vi sembra che qui ci sia una contraddizione: che cosa viene prima il perdono o l'amore? Cioè l'amore nasce dal perdono: se a uno è perdonato molto, ama molto? Oppure il perdono nasce dall'amore: se uno ama molto, gli viene perdonato molto?
Voi vorreste una risposta da me, vero? Non c'è: alle volte il Vangelo, più che dare risposte, pone domande che ci aiutano a riflettere.
Chi ha un po' di esperienza della vita potrebbe dire che sono vere tutte e due le cose: a volte capita che l'amore, il volersi bene, nasce dal perdono: quando uno sbaglia e si accorge che l'altro gli vuole bene lo stesso, lo accoglie così com'è, è portato a voler bene. E quando uno sente di aver fatto un grosso sbaglio e sente che l'altro continua a volergli bene, che lo perdona sul serio, è portato a voler bene di più .
Ma alle volte il perdono si guadagna con lo sforzo, l'attenzione, la delicatezza, e soltanto alla fine di un lungo cammino arriva la riconciliazione. Allora vedete: son vere tutte e due le cose.
Su una cosa, però, vorrei attirare la vostra attenzione: alla fine quello che conta è l’amore, il voler bene. Il perdono senza l'amore non si realizza. Questa donna vuol bene sul serio; o prima o dopo, - questo in fondo ha poca importanza - lei arriva all'amore vero.
Quando si legge la Parabola che noi di solito chiamiamo "del Figliol Prodigo", c'è sempre qualcuno che domanda: ma il figlio più giovane, è veramente tornato a casa? Seguendo la parabola, lo ricordate, il figlio più giovane torna a casa spinto dalla fame, era finito a fare il guardiano dei maiali... Qualcuno dice: "ma questo figlio ha veramente capito? E una volta tornato a casa c'è rimasto?" Tutte domande molto giuste a cui quella pagina non dà risposta: quella è la Parabola non del figlio, ma del Padre. È Lui il centro della parabola: la sua attesa, il suo perdono, la sua festa. Nella pagina di oggi, invece, si parla del "figlio" cioè di questa donna, che è così piena d'amore, così totalmente riconciliata, che fa, notatelo, gli stessi gesti di Gesù nell'ultima Cena: si china a lavare i piedi. Ecco: questo è realizzare il perdono, e questo vale nei nostri rapporti con Dio e anche tra di noi: la riconciliazione non consiste nel dimenticare il peccato, ma nell’arrivare all'amore e al servizio. Non basta per vivere il perdono dire: non ci pensiamo più, occorre veramente essere capaci di voler bene e di metterci, come questa donna, al servizio.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1992
Chi sa se mi riesce stasera, invece di farvi una predica, di aiutarvi a leggere il Vangelo. Quella che avete ascoltato è una pagina piuttosto sconcertante: penso su questo siate tutti d'accordo. E capita spesso ai cristiani, di fronte a pagine del Vangelo come questa, di scoraggiarsi e magari di abbandonare il Vangelo per trovare rifugio in qualche parola più semplice e più moderna. Ma, sapete, vale anche qui il principio che le cose che costano poco, valgono poco. Il Vangelo, a volte, è una parola difficile; ma lontano da qui il nutrimento per la nostra fede è scarso e di poco valore.
Ma ci vuole qualche criterio per imparare a leggere il Vangelo. Vedete, gli antichi non usavano, come noi, tante parole, tanti discorsi astratti: preferivano affidarsi a delle immagini, quasi dei lampi di luce. E sono, molto spesso, immagini forti, paradossali, immagini che si stampano nella memoria e provocano la riflessione di chi ascolta. Si tratta di conservarle nel cuore e poi cercare di tradurle nella propria vita: ecco, questo è farsi la predica; e stasera bisogna che ve la facciate ognuno per proprio conto.
Ma vediamo le immagini del Vangelo che abbiamo letto stasera.
La prima immagine: Gesù si incammina verso Gerusalemme. È il viaggio della vita, della fedeltà, che lo porterà fino alla croce. Nella nostra traduzione abbiamo letto che "Gesù si diresse decisamente..." ma nella lingua greca Luca ha scritto: "indurì la sua faccia e si avviò verso Gerusalemme". Provate a guardare la faccia indurita, quasi contratta di Gesù: a questa immagine Luca affida la descrizione del suo coraggio, della sua fedeltà, della decisione di andare fino in fondo in quel cammino, che lo porterà a dare la sua vita.
E siamo invitati tutti a seguire Gesù, a camminare con lui come discepoli fedeli: cosa significa seguire Gesù, cosa vuol dire essere cristiani, quali sono le condizioni per essere discepoli? Noi diremmo tante parole e tantissime ne sono state scritte, libri pieni di parole. I nostri antichi amavano poco le parole: a Luca bastano poche, vivissime immagini.
Eccone una, fortissima e straordinaria: vanno dei messaggeri: i samaritani non vogliono accogliere Gesù e i discepoli cosa dicono?: "vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li divori?" Gesù si volta e li rimprovera. Forse sapeva quello che avrebbero pensato molti cristiani! Perché, sapete, siccome Dio sembra restio a mandare il fuoco, alcuni cristiani si son detti: "ci pensiamo noi, prendiamo della bella legna, prepariamo una catasta e arrostiamo chi ci dà fastidio!" E così il corso della storia è pieno di eretici, di streghe, bruciati sul rogo... L'intolleranza: la terribile tentazione di chi segue una verità assoluta. La prima cosa che il Vangelo dice a chi vuol andare dietro Gesù: "Sta attento! Corri il rischio di diventare intollerante, corri il rischio di condannare, corri il rischio di bruciare gli altri!" Succede anche a noi.
Un'altra immagine: uno chiede a Gesù: "Voglio venire con te". Gesù lo guarda negli occhi e gli dice: "Gli uccelli del cielo hanno i nidi, le volpi le tane; io non ho nemmeno un posto dove dormire!" Gli uomini si domandano spesso, prima di fare una scelta: "a cosa mi serve?" "cosa ci guadagno?" Anche davanti a Dio spesso è così. Ai nidi degli uccelli, alle tane delle volpi è affidato il senso della gratuità che deve animare chi vuol seguire il Signore. Dio è venuto in mezzo a noi come un povero, più povero degli uccelli del cielo, delle volpi dei boschi: noi troppo spesso ci aspettiamo un Dio potente, che può risolverci i problemi, che può darci il benessere, rimetterci in salute. La gratuità di andare dietro Gesù, detta non con tante parole, ma con l'immagine semplice degli uccelli, delle volpi.
L'altra immagine è ancora più sconvolgente: Gesù dice ad uno "Seguimi!" e quello gli dice: "È morto mio padre. Lasciami andare a seppellire mio padre". "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti! Tu va' e annuncia il Regno di Dio". E qui penso che tutti voi diciate: che significa questo? Riflettete un attimo: se c'è una cosa che non può accadere è che un morto seppellisca un morto: tutto può accadere al mondo, meno che questo. Allora si parla di qualche altra cosa. Vedete, attraverso questa parola così forte e sconvolgente: "lascia che i morti seppelliscano i loro morti", i primi cristiani esprimono la convinzione che andare dietro Gesù significa scegliere la vita, lasciare dietro le spalle, con decisione, tutto quello che appartiene al regno della morte, tutto quello che è violenza, guerra, dolore, intolleranza, cattiveria: tutto quello che sciupa la vita. "Lascia tutto questo e vieni": andare dietro Gesù è entrare nel regno della vita, nel regno della luce, nel regno dell'amore. È una scelta radicale che siamo invitati a fare.
Ecco il senso di queste parole. Vedete, io continuo a dirvi tante parole, il Vangelo ci affida questa immagine sconvolgente: Gesù che si volta e ti dice: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti!"
Ancora un'ultima immagine: Gesù dice ad un altro: "Vieni con me" e quello gli dice: "Fammi andare, prima, a salutare i miei di casa". Che c'è di più normale di questo: vado, saluto e poi vengo, magari in fretta perché la cosa è urgente. Gesù gli dice: "Chi mette mano all'aratro e poi si volta indietro non è degno del Regno di Dio!" Cosa significa? Non si può nemmeno salutare un parente, andare a dare un bacio ai propri cari, prima di partire?! No: quello che qui si dice è qualche cosa di molto più inquietante per l'uomo, ma anche, purtroppo, di molto più normale. Voi trovate spesso, nel Vangelo, parole di questo genere: "Chi vuol venire con me deve amare me più del padre e della madre" o addirittura: "Chi non odia suo padre e sua madre non può essere mio discepolo". Cosa significa "odiare" qualcuno per seguire Gesù? Guardate, la sera, alla TV, quello che succede nel mondo: chi sceglie la giustizia, qualche volta mette a rischio la propria moglie, i propri figli, la gente a cui vuol bene. Chi sceglie la giustizia rischia la propria stessa vita. Di questo parla il vangelo e ce lo raccontano le cronache di ogni giorno, in ogni parte del mondo. Gente che dice "No" alla mafia, che dice "No" all'ingiustizia e al male, mette a rischio i propri familiari. Chi decide di seguire Gesù, chi decide di vivere la giustizia, non può voltarsi indietro! A noi non succedono cose così drammatiche, ma a volte anche a noi occorre il coraggio per essere giusti, per non fare come molti nel mondo di oggi, per conservare l'onestà fino in fondo; e qualche volta per essere giusti mettiamo a rischio la nostra carriera, i nostri figli, il benessere della famiglia.... Eppure chi ha deciso di essere giusto, chi vuole seguire Gesù, non può voltarsi indietro!
Vedete: immagini preziose per la nostra vita, immagini che ciascuno di noi, poi, deve tradurre nel proprio quotidiano, perché una cosa queste immagini dicono a me, una cosa diversa per lui, una cosa per un altro...
Ecco cos'è il Vangelo delle immagini, quasi dei lampi, in cui ciascuno di noi può ritrovare la propria vita.
1992
Qualcuno di voi lo ricorderà: domenica scorsa si parlava, nel Vangelo, di andare dietro a Gesù, delle condizioni per essere cristiani. E Luca ci presentava questo cammino attraverso una serie di immagini forti, che rimangono impresse. Oggi, continua il discorso e continua anche lo stesso metodo: una serie di immagini straordinarie. Oggi sono troppe, però; bisogna che voi a casa ve le rileggiate e cerchiate di vederle, una per una.
Il tema oggi è diverso: il credente non solo segue Gesù, ma è invitato a continuare la sua opera. Gesù ci affida una missione e - se avete fatto attenzione - la affida a tutti noi: Luca si premura di dirci che ci sono altri 72 discepoli, quindi non solo i 12 apostoli, ma altri - cristiani di tutti i giorni come siamo noi - invitati a continuare l'opera del Signore. Invitati a portare la sua pace, ad essere testimoni della sua vita: la pace per gli Ebrei indicava la pienezza dei valori, comprendeva ogni bontà e giustizia.
Questa missione si può compiere solo a certe condizioni, che Luca ci propone attraverso una serie straordinaria di immagini: "senza bastone, senza bisaccia", "come pecore in mezzo ai lupi, fermandosi in una casa..." ma ce ne sono troppe e sarebbe lungo commentarle una per una.
Io vorrei attirare la vostra attenzione su due di queste immagini; forse vi aiuta a rileggere a casa, chi vorrà, le altre...
La prima: "Quando entrate in una città e non accolgono la vostra pace, scuotete anche la polvere dai vostri piedi". Vedete io credo che noi cristiani abbiamo bisogno di ritrovare il coraggio di scuotere la povere dai nostri piedi: scuotere la polvere significa dire e non solo con le parole: "io con questa situazione, con questi fatti, con questa ingiustizia, non voglio aver niente a che fare". Non voglio aver niente a che fare, anche se potrebbe convenirmi.
Noi viviamo un tempo - se ne capisco qualcosa - in cui, in Italia, ci abituiamo a brontolare tutti. In questo momento, ad esempio, si parla tanto di tangenti e tutti - anche sui giornali, alla televisione - si lamentano e magari fanno prediche. Io a Roma sono almeno trent'anni che sento parlare di tangenti: si pagano per costruire una casa, per farsi la mansarda, ma anche per prendere la patente o sveltire una pratica; c'è addirittura chi l'ha pagata per passare a un esame. E tutti rischiamo di dare tutto questo per scontato: la normale e quotidiana ingiustizia rischia di diventare un'abitudine. Capita persino, qui ad Ostia, che un insegnante, il quale vuol fare bella figura, passi la versione, ad ogni sessione di maturità, ai suoi alunni, e non sento in giro troppa indignazione! Forse perché fa comodo. Sono cose, secondo me, indecorose; bisognerebbe che tutti esprimessimo il nostro disgusto! Che senso della vita può avere un ragazzo che si vede dal suo professore passare la versione all'esame di maturità! Penserà che prendere tangenti sia la cosa più naturale del mondo.
Rischiamo di vivere in una ingiustizia quotidiana, in cui tutti noi finiamo per essere coinvolti. Io credo che essere cristiani significa ritrovare il coraggio di "scuotere la polvere", il coraggio di un'onestà rigorosa e severa. È inutile brontolare, lamentarci, parlare male degli altri, se poi anche noi ci lasciamo coinvolgere, magari nelle piccole cose di tutti i giorni, in comportamenti di ordinaria ingiustizia.
L'altra immagine, su cui vorrei attirare la vostra attenzione, è l'ultima, che forse vi sembrerà un'immagine di secondaria importanza e, secondo me, invece tocca il nocciolo della questione: i discepoli tornano da Gesù tutti contenti, sono pieni di gioia perché "anche i diavoli si sottomettono al nostro potere!" Chi sa che esperienza avranno mai fatto per parlare così? Ma Gesù sembra raffreddare il loro entusiasmo: "Non rallegratevi perché i diavoli si sottomettono a voi, rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti presso Dio!"
Cosa significa questa storia? Secondo me, una cosa semplice: quello che rischia di rovinare la nostra vita, quello che rischia di corromperci, è giudicare la nostra vita, le nostre azioni dal successo che otteniamo. Gesù sembra dire: "non vi rallegrate per il successo: se il successo è il criterio, sarete capaci di fare qualunque cosa". Per avere successo in questi duemila anni, noi cristiani (dico noi perché dobbiamo sentirci coinvolti in questa storia) ne abbiamo fatte di tutti i colori, fino a sterminare intere popolazioni, fino a bruciare la gente sul rogo... sempre per portare ovunque la Croce di Gesù.
"Non rallegrarti del successo, rallegrati piuttosto perché il tuo nome è scritto presso Dio": noi dobbiamo cercare di essere giusti, di essere veri, di essere onesti di fronte a Dio, prima di tutto. Il nostro rapporto non è con il successo o l'applauso degli uomini, ma con l'assoluta giustizia di Dio!
E confrontarci con Dio ci mette anche al sicuro da tante delusioni: spesso quando facciamo i bilanci della nostra vita rischiamo, se li giudichiamo a partire dal successo - anche nelle cose di tutti i giorni, anche riguardo ai figli - di ritrovarli in rosso. Io credo sia importante che ciascuno di noi si domandi non se ha avuto successo ma se ha cercato di fare del suo meglio, se ha cercato la giustizia e la verità, se ha cercato di essere onesto davanti a Dio. I risultati lasciamoli giudicare al Signore, noi spesso non ne siamo capaci.
Soltanto due delle immagini del Vangelo di oggi, ma ce ne sono tante altre: se posso darvi un consiglio, rileggetevela a casa questa pagina: è una pagina straordinaria!
1989
Abbiamo ascoltato in questa pagina, abbastanza lunga e complessa, la missione che Gesù affida ai suoi discepoli; avete sentito: non sono qui soltanto i 12, ma 72, quindi un gruppo allargato di discepoli; coinvolge anche noi che siamo qua. E Gesù affida loro un compito e questa pagina è abbastanza complessa, ha tante immagini che sono lontane da noi, ci vorrebbe parecchio tempo per spiegarle tutte. Penso che la maggior parte di voi sia abituata a leggere - al di là della scorza di parole lontane - il significato; ma vedo che qui fa piuttosto caldo, vedo che molti di voi hanno bisogno di farsi vento, allora bisogna fare in fretta. Vorrei attirare la vostra attenzione soltanto sull'ultima parte di quello che abbiamo letto. Una cosa soltanto, per dirvi: avete notato? i discepoli ritornano tutti contenti, Luca dice 'pieni di gioia', e dicono a Gesù: "anche i demoni si sottomettono a noi". Che cosa sarà successo, per cui si esprimono con queste parole? forse qualche persona particolarmente cattiva, qualche capo della camorra del tempo che si è convertito. Chissà che cosa significa che i demoni si sottomettono a loro? Comunque, quello che volevo sottolinearvi, è che hanno avuto successo, sono tutti contenti e dicono a Gesù "ecco, abbiamo avuto successo: i demoni si sottomettono a noi".
Gesù dice loro: "non rallegratevi che i demoni si sottomettono a voi, rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti presso Dio". Che cosa vuol dire Gesù? Secondo me qualcosa di importante per noi cristiani. Gesù ha detto ai suoi discepoli: "guai ad usare il successo come criterio della bontà della missione", quasi a dire - cerco di tradurre - "vedete, questa volta avete avuto successo e siete tutti contenti, ma, guardate, il successo non è il criterio per un discepolo".
E perché non è un criterio il successo? Direi per due motivi. Il primo è che se uno lavora per il regno, cercando il successo, deve sapere che mette un elemento di corruzione nella propria opera. Vedete, quando uno cerca il successo, rischia di cercare tutte le strade, anche traverse, anche quelle non giuste, per cercare di ottenerlo. Il successo messo come scopo della propria azione corrompe, perché un cristiano deve cercare quello che è giusto, deve fare le cose mettendosi davanti a Dio, cercare nella Sua volontà la giustizia e i valori autentici.
Cosa succede invece, qualche volta, quando si cerca il successo? Pensate ad un giornalista, spesso cerca il successo, cerca di essere letto dalla gente e qualche volta è portato ad amplificare le notizie, qualche volta addirittura se le inventa; deve trovare ogni giorno il suo 'scoop', così lo chiamano, per farsi leggere dalla gente. Un politico spessa cerca il successo, l'applauso della gente, qualche volta non cerca quello che è giusto; e potrei continuare a lungo. Allora un cristiano cerca non il successo, non l'applauso, ma la verità. Si mette cioè non davanti agli uomini, ma davanti a Dio. Può essere pericoloso "mettersi davanti a Dio", perché qualche volta facciamo dire a Dio quello che ci comoda; ma qui evidentemente Gesù suppone che ci mettiamo davanti a Dio in verità, in purezza di spirito, in gratuità.
Cerchiamo gratuitamente il bene, la giustizia, la verità, la pace e non ci domandiamo come possiamo avere successo.
Ma c'è anche un altro motivo per cui il successo non può essere il criterio. Per noi questo motivo è ancora più importante: guardate Lui, se là sulla croce, quando stava per morire, si fosse voltato indietro e avesse detto: "che successo ho avuto?", allora sarebbe proprio rimasto male. Era solo lassù, i suoi discepoli, quei pochi, erano spariti tutti, la paura li aveva portati a scappare, sembrava tutto finito lassù, quando moriva sulla croce; eppure Lui ha detto "Padre, nelle Tue mani affido la mia vita".
Era Dio il criterio della Sua vita, non il successo; aveva cercato con tutto il Suo cuore, con tutta la Sua anima, la verità e la giustizia e doveva morire affidandosi a Dio, anche se tutto sembrava perduto. E noi, dopo 2000 anni, siamo ancora qui radunati nel Suo nome: aveva ragione Lui e non la gente che l'aveva lasciato solo. Vedete, questo può essere importante anche per noi. A volte mi è capitato di vedere persone, magari quando i capelli diventano bianchi, che si guardano indietro, si vedono soli, i figli magari hanno da fare, se ne vanno in giro, e si domandano "che cosa è stato della nostra vita, che successo ho avuto?" Non è il criterio giusto. Il criterio giusto è la ricerca del bene e della giustizia, non il successo che abbiamo cercato di avere. Perché davanti a Dio, vedete, l'importante è il cuore, l'intenzione che ci abbiamo messo, la ricerca del bene, della verità, la passione per la giustizia... e anche se nella vita tutto ci sembra fallito, possiamo sempre contare su Dio.
Vedete, se c'è qualcuno fra di voi, che è arrivato al tramonto della vita e si guarda indietro e dice "ho sbagliato molto, ho sprecato molto, ho concluso poco", può sempre dire "però ci sei Tu: per un cristiano, il fatto che ci sia Dio, questo basta, perché Dio è misericordia, è perdono, è accoglienza, è pace per noi uomini.
Anche se nella vita molto abbiamo sbagliato e abbiamo raccolto poco, possiamo sempre confidare che il nostro nome è scritto nella mano di Dio e questo conta. Dio c’è e questo basta, diceva un grande cristiano una volta. Dio esiste e questo per noi è tutto, e nelle Sue mani affidiamo la nostra vita, davanti a Lui cerchiamo di camminare nella gratuità della ricerca.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1992
Vi dicevo già nelle domeniche precedenti - forse qualcuno lo ricorderà - che il Vangelo non ama le parole, il moltiplicarsi dei discorsi, le lunghe discussioni che spesso concludono poco: preferisce affidarsi a delle immagini. Ed oggi ne abbiamo un esempio ancora più evidente. Gesù si incontra - o forse sarebbe meglio dire, si scontra - con un dottore della legge, il tipico rappresentante dei chiacchieroni. Questi si alza per mettere in difficoltà Gesù, e poi vuol far bella figura, e poi deve cercare di giustificarsi: è la sorte di quelli che chiacchierano. Anche oggi ne abbiamo molti in ogni parte del mondo, gente che si riempie la bocca di parole, parole a volte grandi, altisonanti, e poi non sono capaci di guardare una persona negli occhi, di incontrarsi veramente con chi sta loro accanto. Spero che tra noi, che siamo gente di tutti i giorni, non ci siano poi molti chiacchieroni! Cerco di essere breve, così non mettete anche me in questa categoria!...
Gesù, come avete ascoltato, risponde con parole brevissime: "Va' e anche tu fa lo stesso". E quando il maestro della legge vuole portarlo sul terreno della discussione, delle chiacchiere, Gesù non si lascia mettere in difficoltà: racconta una storia, un fatto di vita quotidiana: "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico... " e incontra i briganti, che lo lasciano mezzo morto. Per caso passa di là un sacerdote e poi un levita, incapaci di guardare, di fermarsi... e poi un samaritano, un nemico, uno straniero, un mezzo-pagano: è lui l'unico dei tre che riesce a guardare negli occhi colui che è ferito, e si ferma. Luca rallenta la sua narrazione - potete rileggervelo a casa - i gesti dell'uomo sono descritti minuziosamente, gesti concreti di tenerezza e servizio: si ferma, tira fuori l'olio e il vino (così a quel tempo si curavano le ferite), carica l'uomo sul suo asino, lo porta alla locanda...
Una storia, non un discorso, un fatto di vita quotidiana, gesti concreti di servizio. Vedete, nessuno di voi è mai stato sulla lunga strada che da Gerusalemme scende fino a Gerico: una strada tortuosa, che passava nei campi e poi nel deserto, molto frequentata a quel tempo da commercianti, perché Gerusalemme e Gerico erano due città molto animate. Nessuno di voi è mai incappato nei briganti (oggi ci sono briganti di altro tipo), nessuno di voi ha mai usato olio e vino per curare le ferite... non una regoletta, quindi, da osservare, ma un'immagine in cui ritrovare la nostra vita di ogni giorno. Voi che vivete nel 1992 correte un rischio: il rischio di pensare che questo sia un fatto strano, una storia che non vi riguarda, in cui non vi sentite coinvolti. No! al tempo di Gesù era una storia quotidiana: ciascuno di noi può ripensare alla propria vita di ogni giorno.
Rimango spesso colpito, quando vado il venerdì a portare la comunione ai malati, oppure quando mi capita di incontrare certe persone qui in Chiesa, dalla tenerezza, dalla dolcezza con cui delle persone sanno accudire chi è anziano o malato, spesso da molto tempo. Sapeste quanti ce ne sono intorno a noi, in questo nostro quartiere!
A volte rimango colpito dalla dedizione, dalla pazienza di molti genitori nel tirar su i figli. Quanta pazienza ci vuole per vedere crescere un bambino! E ancora di più quando il bambino diventa adolescente.
Mi colpiva nei giorni passati, una persona che ha un'amica che attraversa un momento di difficoltà - e magari non può far molto per lei - con quanta tenerezza, con quanta attenzione scruta ogni segno, è attenta a tutto quello che capita alla sua amica, per veder se può dare una mano.
Fatti di tutti i giorni, fatti di vita ordinaria: ognuno conosce i propri. Non servono tanti discorsi, non servono le chiacchiere. Il coraggio di guardarci negli occhi, di tenderci la mano, con la moglie, il marito, i figli, gli amici, i compagni di lavoro... È là il nostro prossimo, là ci occorre il coraggio di esser fedeli alla parola di Gesù: "Va e anche tu fa' lo stesso".
Il signore ci aiuti a farlo.
1989
E dunque avete ascoltato con attenzione le due letture di oggi: "se tutto va bene" dicevano gli antichi, "siamo rovinati" . Perché qui non solo ci hanno fatto leggere una delle pagine più forti del Vangelo, ma ci hanno anche messo accanto una pagina dell'Antico Testamento in cui si dice che è facile, che non bisogna andare al di là del mare, perché è il precetto che tutti conosciamo e tutti dobbiamo mettere in pratica: quindi non solo dobbiamo amare Dio sopra ogni cosa e il nostro prossimo e amare anche il nemico, ma questo è pure facile.
Chi tra voi ha qualche anno di più, certamente ha imparato a conoscere i predicatori, i preti: il loro compito preciso è mettere in difficoltà la gente, farli sentire colpevoli e chi sceglie queste letture è così fatto. Quindi non preoccupatevi più del necessario; cerchi, ciascuno nel proprio cuore, di ricordare in un momento soltanto tutti i gesti di attenzione verso l'altro, di carità che, penso, ciascuno di voi ha fatto. Qualche bicchiere d'acqua, almeno questo, l'abbiamo dato tutti, anche se non siamo tanto buoni, tutti quanti.
Allora dopo aver per prima cosa ringraziato il Signore perché qualche volta nella nostra vita, ci siamo accorti del prossimo che ci stava vicino, il prossimo che avevamo dentro casa, intorno a noi; qualche volta siamo riusciti anche a tendere una mano a uno che ci era, se non proprio nemico, almeno un po' antipatico; qualche volta ci sono delle nuore che sono state capaci di fare dei gesti di gentilezza anche nei confronti della suocera.
Penso che anche voi l'abbiate fatto qualche volta e quindi per prima cosa conviene ringraziare il Signore; poi vorrei aiutarvi con due piccolissime riflessioni sperando che possano anche a voi suggerire qualche idea. Mi sono domandato più volte perché il sacerdote e il levita non si fermano, e quindi siamo coinvolti tutti, io che sono un sacerdote, ma anche voi che siete come il levita: era gente che bazzicava il tempio, la chiesa, insomma come voi.
Non si fermano perché? Mi pare che due siano i motivi, ma ce ne sono probabilmente tanti altri, ma voglio dirvene due soli in fretta, perché vedo che avete caldo. Il primo: probabilmente non si fermano perché è gente che sente di aver fatto il proprio dovere: un sacerdote che `sta andando al tempio o che sta tornando dal tempio; questi probabilmente scendono da Gerusalemme verso Gerico e quindi sono stati al tempio, hanno fatto il loro dovere.
Capita qualche volta anche a voi, e non soltanto perché siete venuti in chiesa, ma anche quando tornate a casa dal lavoro e magari vi è capitata una giornata molto faticosa, se quando arrivate a casa il figliolo o il nipotino strillano un po', sapete che non siete tanto disposti a considerarlo il prossimo. Ogni volta che sentiamo di aver fatto il nostro dovere, ogni volta che ci pensiamo di aver fatto il necessario e forse qualche cosa di più - siamo tutti amanti dell'ordine, delle cose fatte per bene ed è giustissimo fare così - questo qualche volta ci impedisce la tenerezza del cuore, l'accorgerci dell'altro; sapete chi crede di essere sempre nell'ordine, chi pensa di essere nel giusto, rischia veramente di non avere la compassione del cuore. Gesù ha detto una volta, proprio ai maestri della Legge, ai sacerdoti: andate ad imparare che cosa significa "io voglio la misericordia e non il sacrificio".
Alle volte, quando si son fatti molti sacrifici, quando ci si è molto impegnati, si rischia di non avere misericordia e questo può essere il primo motivo per cui non si fermano.
Il secondo, su cui forse vi conviene pensare, è che, probabilmente, non si fermano perché è gente che non sa accorgersi di qualche cosa di nuovo e straordinario che capita nella vita. Sono abituati alle cose e questo può capitare un po' a tutti noi: ci sono delle cose che ci aspettiamo, delle cose sempre uguali che dobbiamo fare; e poi quando capita qualcosa di straordinario, qualche cosa di eccezionale, non riusciamo ad accorgercene, specialmente chi è un po' timido, che non sa come reagire prontamente. Un esempio soltanto per farla corta: il nostro prossimo rischia di essere sempre di più composto da immigrati, ci troviamo accanto, neri, indiani, polacchi, un po' di tutte le razze.
E noi italiani a tutto siamo abituati, meno che a questo, perché da generazioni, siamo emigranti: penso che tutti voi abbiate in famiglia qualche persona che è dovuta andare in Francia o in Germania o addirittura nelle Americhe e che vi hanno magari raccontato tutte le tribolazioni e le ingiustizie che hanno dovuto sopportare
Dunque noi, dietro le spalle, noi abbiamo la cultura dell'emigrante, di chi va all'estero e deve guardarsi da chi gli fa qualche dispetto. E adesso ci troviamo invece ad essere della gente che accoglie gli emigranti... e questi che vengono a fa' qui? Noi siamo poveracci; perché viene tutta questa gente qui? Nel giro di una generazione o due si sono rivoltate le cose: prima eravamo poveri, adesso siamo ricchi, eravamo poveri e andavamo fuori a cercare un po' di benessere, adesso vengono da fuori e ce li troviamo intorno e magari non ci accorgiamo che sono dei poveri, perché ancora pensiamo che i poveri siamo noi. E questi vengono a toglierci il pane di bocca? Vengono a fare quello che abbiamo fatto noi, per tanto tempo: andare a fare i lavori che gli altri non volevano fare più... anche loro sono 'prossimi' e anche di loro dovremmo essere capaci di accorgerci; ma vi ho già annoiato troppo... Se volete ci alziamo in piedi e preghiamo un po'.
1992
È strano qualche volta il Vangelo, almeno all'apparenza! Qualcuno di voi ricorderà che domenica scorsa abbiamo letto la pagina del Vangelo immediatamente precedente a questa: la parabola del Samaritano. Ricordate, Luca descrive con minuzia i gesti dell'uomo che ha incontrato il ferito sulla strada: si china su di lui, tira fuori l'olio e il vino per curare le ferite, lo carica sull'asino, lo porta alla locanda... tutti gesti di premurosa attenzione, gesti concreti di servizio. E poi, non è il servizio la caratteristica del cristiano? Tutti noi non siamo chiamati a "servire", come Gesù? E perché Marta viene ora rimproverata? E proprio per il suo servire? Potete immaginarla, Marta, tutta indaffarata per la casa, per far festa al Signore che viene: lo ha accolto nella sua casa, si affanna a preparare una bella cenetta, i suoi manicaretti migliori: tutti gesti di concreto servizio. Perché il servizio, tanto lodato, qui viene rimproverato? Non c'è contraddizione? Vedete, la contraddizione è solo apparente: non c'è vero servizio se non c'è condivisione di vita, attenzione verso l'altro, la capacità di ascoltare l'altro, di accoglierlo nella propria vita. È importante fare delle cose "per" l'altro, ma ancora più importante è essere "con" l'altro.
E allora, un consiglio posso dare a me stesso, ma anche a voi in questo tempo di vacanza. Per molti di voi è già vacanza: potete andare al mare o in montagna, potete riposarvi dal lavoro, quel lavoro che ci prende tutto l'anno. Parecchi di voi lavorano molto e con vero spirito di servizio. La vita è spesso complicata e occorre moltiplicare il lavoro, affannarsi qualche volta, occorre darsi da fare per portare a casa i soldi, che non bastano mai. Siamo quasi travolti da tutto il daffare che c'è durante l'anno. Forse è importante - ecco il consiglio - recuperare la dimensione dell'attenzione verso l'altro, del perder tempo con chi ci sta accanto, del sedersi e guardarsi negli occhi. È importante per i papà e le mamme: i figli crescono e talvolta non ci si accorge di ciò che cambia dentro di loro. Ma è importante per tutti noi, nei confronti degli amici, della gente che ci sta intorno. Il tempo del riposo dovrebbe essere il tempo della capacità di ascoltare, di accogliere gli altri nella propria vita, di vivere "con" loro e non soltanto "per" loro. È importante non solo affannarsi per gli altri, ma anche condividere con gli altri la vita.
E, forse, non solo con le persone: anche con la natura. Noi viviamo un tempo in cui la corsa di ogni giorno ci fa dimenticare di guardare stupefatti il cielo, il mare o gli alberi e i fiori, che ci sono intorno a noi. E senza tutto questo la vita perde di gusto, di sapore, di autenticità. Fermiamoci, allora, a contemplare il mondo. Fermiamoci nella nostra corsa, sediamoci un momento, tentiamo di guardare le vicende del mondo un po' da lontano, contempliamo la bellezza del creato, e soprattutto guardiamo negli occhi la gente che vive con noi, cerchiamo di accoglierla nella nostra vita, di condividerne il cammino, tentiamo di vivere con loro. Specialmente la gente di casa: i figli, la moglie, il marito: non basta lavorare per loro, bisogna saper condividere al vita. Una carezza in più, un gesto di affetto, del tempo "perso" insieme, un po' di tenerezza, rende più bella la vita.
Il Signore ci aiuti.
1989
Avete notato? sembra che oggi Gesù ci prenda in giro: abbiamo ascoltato due parole del Signore messe insieme in questa pagina e una sembra dire il contrario dell'altra.
Nella prima Gesù sembra dire: "fatevi furbi: quando siete invitati ad un pranzo, ad una festa, non mettetevi al primo posto, può esserci là una persona più importante e allora dovrete occupare l'ultimo posto. Fatevi furbi, mettetevi all'ultimo posto (anche se chi si mette all'ultimo posto è persona piuttosto antipatica; c'è troppa gente intorno a noi che fa finta di mettersi all'ultimo posto). Quando sei invitato mettiti in fondo, così chi ti ha invitato viene a dirti 'passa più avanti!' e tu avrai onore davanti a tutti".
Quindi Gesù sembra dire: agite in modo di avere una ricompensa, di procurarvi un vantaggio.
Nel secondo discorso che abbiamo ascoltato, invece Gesù sembra dire: "guai a farvi furbi! quando invitate qualcuno, non invitate chi può contraccambiare: andate in giro, invitate gli zoppi, gli storpi, i ciechi; insomma, non invitate mai qualcuno che possa contraccambiare, guai a fare i furbi". E allora dovremmo guardarci e dire: "che vuole il Signore da noi? Dobbiamo fare i furbi in modo da avere un vantaggio, oppure guai ad essere furbi, perché questo è proprio il contrario di quello che vuole Lui?" Voi conoscete il Vangelo e sapete che quando nel Vangelo c'è qualcosa di strano, là Gesù vuole insegnarci qualcosa di importante; e così accade anche oggi.
Vedete, ad una prima lettura il Vangelo, a volte, appare incomprensibile, anche perché noi cerchiamo (penso anche voi, un po' tutti gli uomini sono così) un insegnamento morale, cioè domandiamo a Gesù come dobbiamo comportarci. Se cerchiamo come dobbiamo comportarci, il Vangelo di oggi sembra molto semplice, almeno nella prima parte, mentre nella seconda parte sembra impossibile.
La prima parte è un consiglio così semplice che saremmo capaci di darlo anche tra noi: quando siamo invitati, cerchiamo di stare un po' da parte per non fare brutte figure. Insomma a non far brutte figure siamo capaci... ma è tutto qui il Vangelo? Cosa vuol dirci allora in questa pagina Gesù?
Può aiutarci a capire una parolina: Luca scrive che Gesù disse a quegli invitati una parabola, quindi non un insegnamento, ma una parabola: qualche cosa che aiuta a capire Dio; allora, invece di guardare a noi, dobbiamo guardare a Lui.
Vedete, noi siamo qui insieme riuniti intorno alla tavola: se incominciassimo a domandarci chi è il più importante tra di noi, chissà cosa succederebbe qui dopo un po'; al principio tutti cominceremmo a tirarci indietro, ma poi, specialmente se ci fosse qualcosa di grosso da fare, allora tutti cominceremmo a darci di gomito, per farci avanti. Se ci guardiamo tra di noi, potremmo incominciare a dire: quello è più bravo di me, quello no, quello sì, io sono più bravo di quell'altro; ci confronteremmo tra di noi e ci dimenticheremmo di quello per cui siamo qui: confrontarci con Dio.
Se invece ci mettiamo davanti a Lui, allora tutti ci accorgiamo, quasi di colpo, di essere povera gente, bisognosi, tutti, di salvezza. Ricordate la parabola del Fariseo e del pubblicano, i due che andavano al Tempio a pregare: e uno si confronta con gli altri, si mette davanti al Signore dicendo: "Signore ti ringrazio, io non sono come gli altri, sono più buono", e forse aveva ragione, perché lo era più buono degli altri, probabilmente; si mette davanti a Dio e si confronta con gli altri, guarda se stesso e guarda gli altri e si dimentica di guardare Lui.
Il pubblicano si mette in fondo e guarda Dio, non si preoccupa degli altri, dice: "Signore, abbi pietà di me che sono un pover uomo". Allora, vedete, se cominciamo a guardarci tra noi, a fare confronti, viene l'ansia nel nostro cuore; la competizione: il cercare di andare avanti agli altri o il sentirsi frustrati perché gli altri sono migliori di noi. Se guardiamo verso di Lui, quasi di colpo tutto questo sparisce: ci sentiamo povera gente davanti al Signore, bisognosi di salvezza, bisognosi della Sua Luce, della Sua forza, per camminare ancora.
Se passiamo alla seconda parte, questa, alla prima lettura, ci spaventa: "Quando inviti qualcuno a tavola, non invitare i parenti, gli amici; vai in giro per le strade e invita i ciechi, gli zoppi, i poveri, gli storpi". Se io domandassi "chi di voi, quando invita qualcuno a pranzo, va in giro per le strade a invitare i poveri, gli zoppi, gli storpi, alzi la mano", tutti staremmo con le mani giù, io per primo; non per pudore, ma perché non lo facciamo mai; perché quando invitiamo qualcuno, invitiamo gli amici, i parenti, le persone che ci sono simpatiche.
Anche qui guardiamo verso di noi; se proviamo, - perché anche questa è una parabola - a guardare verso Dio, quasi di colpo sentiamo che questo è un annunzio di gioia per me e per tutti voi: perché noi qui, dal punto di vista morale, (non dal punto di vista fisico: per fortuna ce ne sono pochi) siamo poveri, zoppi, ciechi, abbiamo il cuore pesante, siamo incapaci di voler bene; eppure Dio ci ha chiamato qui, ci ha chiamato tutti, e non fa distinzione, non dice quello è più bravo, quello è più cattivo: quello è più buono: ha chiamato tutti... chi vuole venga!
Intorno alla tavola Gesù ci invita a mangiare, ci invita tutti, zoppi, ciechi, storpi, gente più buona, meno buona; quello ha fatto un peccato, quello un altro, quello è incapace di amare fino in fondo... tutti ci chiama, a tutti rivolge la Sua Parola. Vedete allora, questa parabola è prima di tutto l'annunzio di gioia del Signore, che qui intorno alla tavola ha radunato noi.
Se ci sentiamo accolti da Dio, così come siamo, povera gente, allora saremo capaci di portare fuori di qui questa gioia e di condividerla un po' con gli altri e forse anche noi saremo capaci di invitare qualcuno dei poveri, degli zoppi, alla nostra tavola. Non dite subito: "noi non lo facciamo mai", perché un pochino lo facciamo anche noi. Vedete, anche oggi alcuni della nostra Parrocchia vanno alla mensa per cercare di dare da mangiare a qualcuno dei più poveri che ci sono a Ostia. Ci sono nella nostra Parrocchia delle famiglie che hanno accolto dei bambini alla loro tavola, che li fanno crescere, condividono la vita con loro, anche se con grande fatica.
E cose più semplici ancora: ci sono tra voi delle suocere che qualche volta invitano la nuora e fanno anche la faccia simpatica; e ci sono anche delle nuore, che è ancora più difficile, che qualche volta invitano le suocere e le trattano pure bene, si sforzano di trattarle bene. Insomma vedete anche noi, poveramente, cerchiamo di condividere qualcosa. Sempre di più, alla nostra tavola arriva gente di ogni colore, vengono dall'Africa, dall'Asia; troviamo a tavola con noi, neri, gialli e cerchiamo di accoglierli, un po' con timore perché abbiamo paura, paura di tutto quello che è nuovo; però facciamo quel che possiamo.
Ecco vedete, se qui, riuniti intorno alla tavola, guardiamo a Dio, se ci sentiamo davanti a Lui povera gente, se sentiamo che Dio ci accoglie così come siamo e ci invita a condividere la tavola, allora usciamo da quella porta con la gioia nel cuore, per l'incontro con Dio, e saremo capaci, un pochino almeno, di condividere la Sua gioia, di accogliere intorno a noi, alla nostra tavola, anche quelli che ci fanno paura, anche quelli che non ci sono tanto simpatici.
Pensate un po', anche le nuore mangiano con le suocere e fanno la faccia contenta!
Il Signore ci aiuti.
1992
Quando ero giovane - ormai è passato un po' di tempo - una pagina come quella che abbiamo letto stasera, mi spaventava, perché credevo che bisognasse spiegarla e dire a voi, che siete qui e che ascoltate pazientemente, che cosa bisogna fare, che cosa significano queste parole del Signore.
E poi, leggendo con attenzione il Vangelo di Luca, mi sono accorto che spesso Luca fa apposta a rendere le parole di Gesù più dure, quasi provocatorie, perché lui non vuole che i preti le spieghino troppo! Luca e la sua comunità hanno combattuto a lungo contro la pretesa degli apostoli di spiegare le parole di Gesù, di commentarle, di essere loro gli interpreti autentici del Signore. Luca cercava di difendere i suoi cristiani - Luca, la sua comunità, l'apostolo Paolo - dalle pretese di Pietro, di Giovanni, degli altri, di sapere sempre che cosa voleva dire il Signore.
E quindi, vedete, non posso spiegarvi il Vangelo di stasera: Luca non vuole, penso si arrabbierebbe... Penso sia importante per noi che le parole che abbiamo letto, le conserviamo nel cuore e tentiamo di intuire cosa significhino. Perché - se ho capito qualcosa - non si tratta di spiegare, ma di intuire. Io posso solo comunicarvi la mia intuizione che, con un po' di presunzione, credo tocchi il cuore stesso della nostra fede e, di più, il cuore stesso della vita.
Vedete, se ci pensate un momento, la vita, la vita delle piante, degli animali, la vita di tutta la natura, è basata sulla lotta per difendere la propria esistenza: su quello che gli studiosi chiamano "l'istinto di conservazione". Un istinto che tutti abbiamo: lo ha il seme caduto nella terra: guardate per terra andando a casa, vedrete che a volte ha perfino la forza di spaccare l'asfalto, per uscire alla luce, per far germinare la vita! E il seme è fatto in modo da conservare con tutte le sue forze la propria vita, a dispetto anche degli altri semi.
E spesso c'è nella natura una competizione feroce. Non so se capita anche a voi di vedere talvolta dei documentari sugli animali: nel nido dell'aquila nascono, in genere, due aquilotti, ma dopo un mese ce n'è uno solo: uno s'è mangiato l'altro! Non so se avete visto l'uovo del cuculo che viene deposto nel nido di altri uccelli: l'uccellino appena nato comincia a combattere, deve buttare fuori dal nido tutte le altre uova, per rimanere solo, per difendere la propria vita. Avrete visto le lotte, a volte feroci, degli uccelli, degli altri animali per difendere il proprio territorio, il proprio spazio vitale.
Ecco, se vi guardate intorno, tutta la natura è basata su questa lotta, su questo istinto di possedere, di difendere la propria vita. Altro che odiarla la vita! Bisogna difenderla con tutte le proprie forze, difenderla a qualunque costo. La propria vita, la propria discendenza: dei leoni che entrano, nuovi, in un branco, ammazzano tutti i piccoli: devono essere i loro discendenti a sopravvivere, non quelli di chi c'era prima.
Chi è indifeso, chi è piccolo, chi è debole, nella natura è destinato inesorabilmente a soccombere. Tutti hanno l'istinto di difendere la propria esistenza: chi è più forte vince, chi è più debole è sconfitto, inesorabilmente.
Eppure ci sembra di intuire - fa parte delle nostre esperienze più luminose - che la vita diventa bella, degna di essere vissuta, quando riusciamo ad andare al di là di questo nostro istinto di conservazione; quando un uomo non mette tutte le sue forze nel difendere la propria vita, disperatamente, ma quando è capace di condividerla, di metterla a servizio degli altri, di difendere la vita del debole, dell'indifeso. Noi onoriamo la mamma che sa sacrificarsi per il suo piccolo, l'uomo che sa donarsi per la società.
E Dio - ecco l'intuizione - è proprio da questa parte, dalla parte della gratuità, del dono totale. Ecco, se capisco, la pagina del Vangelo di oggi ci lascia intuire che Dio è dall'altra parte del polo della vita: non dalla parte dell'istinto di conservare e difendere la propria esistenza, di possedere, di manipolare, ma dalla parte del dono, della gratuità.
Gesù ci ha lasciato il segno più forte della gratuità di Dio: farsi cibo, annullarsi, farsi mangiare, per nutrire la nostra vita!
Il Vangelo di oggi ci lascia intuire che per costruire la torre della nostra esistenza bisogna essere capaci di rinunciare a tutto: al desiderio di possedere, di dominare uomini e cose: questo desiderio che tutti ci portiamo dentro, che è la forza della vita, la forza della natura che vive in noi. Gesù ci invita ad essere un po' come Dio: dalla parte dell'altro polo della vita, il polo della gratuità, il polo dell'amore.
Mi domanderete a questo punto: "Ma che significa tutto questo nella vita di tutti i giorni? Adesso devo andare a casa e vendere tutto quello che ho, come dice il Vangelo oggi?" Non lo fate! Non sareste dei buoni cristiani, ma solo scemi! Dovreste poi venire in parrocchia a chiedere l'elemosina. E io non ve la do, eh!
"Ma allora, direte voi, che significano queste parole del Signore nel concreto dei nostri giorni?"
Non ve lo posso dire: Luca si arrabbia se ve lo dico!
Non ci resta, quindi, che pregare il Signore perché ci illumini.
1989
Allora avete sentito, che vogliamo fa'?: ce ne andiamo tutti. Se non mettiamo in pratica queste parole, non possiamo essere Suoi discepoli: non ci resta che andarcene... Bisogna odiare il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli? Gesù dice addirittura che se non li odiamo, non possiamo essere Suoi discepoli. La prima reazione: "È matto!" oppure bisogna spiegare... vero che bisogna spiegare ?
Io ci ho pensato a lungo e poi mi sono detto: "E se Luca avesse scritto così proprio per impedire a me di spiegare, non potrebbe essere questo il segreto di questa pagina del Vangelo?" Forse sì. E allora bisogna che un pochino mi spieghi ...
Vedete, noi abbiamo la fortuna di avere, di queste parole, due versioni: una di Matteo (potete leggerla nel suo Vangelo, se ricordo bene si trova nel capitolo 10) e una in questa pagina di Luca. Nel Vangelo di Matteo sono meno forti, un po' più sfumate: Matteo dice "chi ama il padre, la madre, il figlio, la figlia più di me, non è degno di me"; quindi si parla di amore. Luca sembra indurire le parole, scrive: "se uno non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, non può essere mio discepolo". È radicale, proprio: "non può essere mio discepolo". Perché le parole di Gesù diventano nel Vangelo di Luca così forti e paradossali, tanto che parla di odio?... e si parla di odio, siamo andati, con la consulenza espertissima della professoressa Mannelli, a consultare il greco stamattina: si parla proprio di odio.
E poi c'è un'altra cosa che aiuta a capire. Per Matteo queste parole sono rivolte da Gesù soltanto ai dodici apostoli, Pietro, Andrea, Giovanni, agli altri no.
Luca, invece, dice che c'era molta folla, (anzi è plurale, molte folle) non solo ai dodici, dice Luca, queste parole sono rivolte a tutti.
Allora, mi dicevo, forse Luca vuole dire a chi, come me, si sente chiamato a spiegare, ai preti, a quelli che si sentono messi su un piedistallo: "via, fatevi da parte, voglio che le parole di Gesù provochino direttamente la gente e tu non spiegare. Che diritto hai di spiegare sempre, di interpretare la parola del Signore?" Forse si erano accorti già allora che i dodici discepoli o qualcun altro si appropriava delle Parole di Gesù, tentava di interpretarle dicendo alla gente: ecco Gesù dice così, Gesù vuole questo o quello! Non è meglio lasciar parlare Lui?.... Che diritto abbiamo noi preti di sapere sempre cosa vuole Gesù? Luca ha messo qui parole totalmente paradossali, per lasciare a voi il compito di interpretare. Ecco, bisogna che ciascuno di voi si metta davanti a queste parole e cerchi di chiedersi: "che vuole da me il Signore?"
Mi veniva in mente - ora vi faccio solo degli esempi che possono aiutarci a intuire qualcosa - quando leggevo queste parole, la notizia che avrete sentito anche voi; viene dalla Colombia: ricordate c'è la guerra per la droga e c'è il ministro della giustizia, mi sembra sia una donna, a cui hanno minacciato di uccidere i figli. Come ci comporteremmo noi se minacciassero di ucciderci i figli? Queste cose succedono anche da noi: pensate alla mafia in Sicilia o altrove... e qualche volta lo hanno fatto sul serio, hanno ucciso i figli, la moglie, i fratelli, gli amici; a volte quando uno cerca la giustizia, quando cerca di seguire il Signore, mette a rischio la vita dei propri cari.
Ma veniamo a storie più quotidiane e più vicine a noi: ci sono alcune delle nostre signore che si occupano degli altri - degli stranieri, dei più poveri - che qualche volta sentono il marito o i figli che brontolano, perché non ci sono mai, perché stanno sempre fuori di casa, si danno da fare per gli altri e trascurano la casa e forse qualche volta hanno un po' di ragione. Forse tutti in casa, marito, figli e anche la moglie, potrebbero domandarsi: "Cosa significa per me seguire il Signore? Cosa significa "odiare" i propri cari?"
E poi ci sono in mezzo a noi degli uomini, delle donne che si sentono profondamente condizionati dai genitori, dal loro essere possessivi, dal loro voler imporre la propria personalità e le proprie idee. Ma ci sono anche dei genitori condizionati dai figli, che non pensano altro che se stessi, che sono incapaci di guardare al di là della porta di casa. Che il Signore abbia una parola per loro? Che la provocazione del vangelo di oggi, ci riguardi tutti?
Perché come avrete capito, di una provocazione si tratta; e riguarda forse qualcuno degli esempi che ho citato. E noi fino a che punto siamo interpellati? E i soldi: cosa significa lasciare tutto? Nessuno di voi può farlo... ma allora, cosa ci chiede Gesù? Cosa vuole il Signore da noi?
Ecco, una cosa io non devo fare: interpretarvi la Parola di Gesù. Non posso dirvi "Gesù ti dice di fare così, a te chiede questo". Ma se io non posso interpretare per ciascuno di voi la Parola di Gesù, questo non ci dispensa, né me né voi, dal prenderla sul serio, dal metterci davanti a questa pagina e domandarci seriamente: cosa vuole il Signore da me?
Queste parole, forse, Luca le ha scritte più forti e paradossali per impedire al parroco di spiegare cosa Gesù chiede a ciascuno di noi, cosa vuole che cambi nella mia vita. A voi la risposta, perché, se ho capito bene, io non posso darvela.
1992
Se non vi dispiace oggi invertiamo ...l'ordine dei fattori: dico prima qualcosa e poi leggo il Vangelo, senza aggiungere alcun commento.
Vedete, ci troviamo davanti a quella che è senz'altro una delle pagine più straordinarie del Vangelo e una delle più conosciute: leggiamo oggi le tre parabole dell'amore di Dio, della sua tenerezza, della sua passione per la nostra vita, della sua gratuità. Parabole che tutti conoscete: la parabola della pecora che s'è perduta e che il pastore cerca con passione, la parabola della donna che cerca per tutta la casa la sua moneta, e, soprattutto, la parabola del Padre che fa festa per il figlio che torna. Parole che abbiamo ascoltato, tutti, tante volte; parole che costituiscono il cuore stesso del Vangelo. E allora, se permettete, oggi vi dirò qualcosa prima di leggere il Vangelo, sperando di riuscire a rendervi un pochino nuove queste parole. Poi leggeremo il Vangelo e non aggiungerò più nulla: forse non bisognerebbe mai aggiungere troppe parole a questa pagina, così straordinaria!
Domenica scorsa - forse qualcuno lo ricorderà - leggevamo nel Vangelo di Luca le parole che precedono quelle di oggi, parole complesse e sconcertanti, e vi dicevo che ci lasciavano intuire qualcosa del mistero di Dio, del mistero della sua gratuità, contrapposto - questo mistero d'amore totale - alla nostra vita, alla nostra natura, basata sul possedere, sull'istinto di conservazione, sul dare e sull'avere. Ecco, oggi, in queste parabole l'annuncio più straordinario del volto di Dio, del suo cuore di Padre.
Tutti conoscete la parabola: ci sono due figli, i rappresentanti di tutti noi. Il più piccolo chiede la sua parte, vuole i soldi: ha bisogno di avere qualcosa tra le mani, se non possiede nulla, cosa vale? E poi non sa nemmeno che farne: quei soldi va a sciuparli lontano. Quando li ha sprecati, si rende conto della sua situazione: "Io sto qui e muoio di fame, là, invece, hanno pane in abbondanza". Fate attenzione quando leggeremo la parabola: neppure un accenno al padre, al fratello. Tutto il suo interesse è per le cose, non per le persone: qui non c'è da mangiare, là c'è il pane! E per il pane decide di tornare. E sa che c'è un prezzo da pagare: il posto che aveva, l'ha perso: era figlio, ora sarà solo un dipendente. Ecco, il posto, ciò per cui un uomo vale! A lui era toccato di essere figlio, ora sarà un garzone: è il prezzo del pane.
In casa c'è l'altro figlio, che ragiona allo stesso modo: anche lui si preoccupa delle cose, dei soldi, del posto, del dare e dell'avere. Quando sa che il Padre ha fatto festa si lamenta: "Ecco, tuo figlio ha sciupato tutto e tu gli hai dato ancora di più, hai addirittura fatto festa per Lui!"
(Notate che il figlio più grande parlando del fratello dice al Padre "tuo figlio", non "mio fratello". Notate ancora le parole con cui il "servo" si rivolge al fratello più grande, e che nella parabola non si parla di "servi", ma di "dipendenti", di "garzoni": solo qui parla un "servo" e ricordate che nel Vangelo il "servo" è Gesù).
E quando parla di sé ancora pensa alle cose: "io ho fatto e tu non mi hai dato!"
Il Padre è diverso! Lui non parla mai delle cose, sembra quasi che non gli interessino. Quando il figlio gli chiede la sua parte, subito gliela dà. Quando torna, non una parola sui soldi sciupati. A Lui interessa solo il figlio: lo aspetta, scrutando in lontananza, ripete a tutti, come un ritornello: "S'era perduto ed ora è tornato, era morto ed è ritornato alla vita". Che importano le cose? Che importano i soldi? Che importa il posto, il dare e l'avere: a lui importa il figlio! Tutta la sua attenzione, tutta la sua passione è per lui, per la sua vita!
E anche quando l'altro figlio gli parla di cose: "Io ho fatto e tu non mi hai dato". Lui no, Lui non parla di cose: "Tu sei sempre con me". Io e te! E ripete il suo ritornello: "S'era perduto, è tornato, come potevo non far festa?!"
Ecco: la passione di Dio per ogni uomo: a lui interessa ogni uomo che vive, io, ciascuno di voi. Non ha importanza l'avere, il possedere le cose, il posto che occupiamo, quello che abbiamo fatto: a Lui stiamo a cuore noi, le persone, la gente! A Lui interessa la mia vita, Lui vuole che io non mi perda, che la nostra vita sia una festa! Ecco: l'annunzio della gratuità di Dio, della sua passione per la vita di ogni uomo.
Capita a volte che anche davanti a Dio, anche qui in Chiesa - forse ce n'è qualcuno anche tra voi, stasera - ci portiamo l'idea dell'interesse, del dare e dell'avere. Quante volte ho sentito, nella mia vita di prete, dire: "Io non ho fatto abbastanza per esser degno di accostarmi a Dio". Quante volte ho sentito dire che per essere graditi a Lui bisogna moltiplicare i sacrifici, le preghiere, le offerte... A volte c'è gente che pensa di ingraziarsi Dio con le cose, con le pratiche religiose...
Lasciamoci sorprendere dallo straordinario annuncio della gratuità di Dio, del suo amore sconfinato! Dio è più grande del nostro cuore! Lui non ha bisogno che io moltiplichi le cose, i sacrifici, le offerte. Perché mi vuole bene fino in fondo! Perché Lui ha passione per la mia vita! Lui non può dimenticarmi perché io gli sono figlio! Qualunque cosa faccia, Lui mi vorrà sempre bene, come vorrà bene a ciascuno di voi!
Ecco quello che questa pagina straordinaria torna a dirci stasera: la gratuità di Dio, la forza del suo amore. Non parlerei nemmeno del "suo perdono": perché il Padre, al figlio che torna, non rimprovera nulla: fa solo festa per lui, fa esplodere la gioia di rivederlo! A Lui non interessa quello che il figlio ha fatto: interessa il figlio, solo il figlio e nient'altro!
A Dio interessiamo noi, solo noi e nient'altro. E come noi, ogni uomo che vive sulla terra!
1989
Avete ascoltato le parole tra le più dolci del Vangelo. Se ci pensate un momento, non sono così in contrasto con quelle di domenica scorsa. Vi ricordate, domenica scorsa quasi un ritornello ossessivo "se qualcuno di voi non odia il padre non può essere mio discepolo", "se uno non lascia tutto non può essere mio discepolo"; abbiamo sentito questo "non può essere mio discepolo" tante volte e oggi invece Gesù sembra accogliere tutti.
Vedete, Dio è diverso da me, profondamente diverso. Noi, io per primo, ma penso di poter coinvolgere anche voi in questo, spesso voliamo basso nella vita: siamo incapaci di avere grandi ideali, di amare sul serio la vita, la festa. E poi, e poi siamo intolleranti gli uni verso gli altri, non riusciamo a perdonarci, a volte neanche le sciocchezze. Dio è diverso, Dio ha i sogni grandi, ama la vita con tutta la passione del suo cuore, ama la festa e poi, e poi sa perdonare, sa accogliere, sa cercare. Oggi l'abbiamo sentito paragonare addirittura a una donnina, a una vecchietta - immaginatela così - che spazza la casa per andare a cercare la moneta che aveva perduto. Dio è così, e il nostro ritrovarci qui vuol essere un celebrare Dio, la Sua festa, il Suo desiderio di vita, la Sua passione per ciascuno di noi, per la nostra esistenza. E questo ogni domenica... Non pensate, ve ne supplico, a quello che dobbiamo fare, al comportamento dei figli della parabola, non chiedetevi: come ci dobbiamo comportare?
Guardiamo insieme, se possiamo, verso Dio: cerchiamo di lasciarci investire dalla Sua voglia di festa, dal Suo desiderio di vita, dal Suo amore, dal Suo perdono; sentiamoci accolti qui, tutti quanti, così come siamo. Sentiamo che Dio ci viene a cercare, anche se ce ne andiamo, anche se ci stanchiamo, anche se non abbiamo più voglia di vivere. Lui ci viene a cercare, come il pastore cerca la pecora, che si è perduta, come la donna cerca la moneta per lei preziosa, che ha perso. Ci aspetta, come il padre aspetta il figlio che è andato via e fa festa per noi, ci invita alla festa; e ogni volta che ci troviamo qui vuole che facciamo festa, che guardiamo verso di Lui: allora guardiamoLo insieme.
Io mi fermo qui perché non bisogna aggiungere troppe parole a quello che abbiamo ascoltato; domandiamo al Signore la Sua gioia, il senso della festa, l'amore per la vita.
Ora certo ce ne torneremo fuori con il senso che Dio ci accoglie, che ci ama e ci cerca, con il senso che Dio ama ciascuno di noi, ama la vita e tutti noi siamo invitati alla festa. Chissà forse diventeremo anche più tolleranti, se avremo dentro di noi la gioia di Dio: chiediamogliela insieme.
1992
Se vi avessero detto, stasera prima di venire in Chiesa, che si sarebbe parlato di amministratori disonesti e di tangenti, penso che molti di voi avrebbero detto: "Ancora?! Basta, non ne possiamo più!" E avreste avuto in molti la forte tentazione di non venire alla Messa. Molti altri di voi si sarebbero aspettati di ascoltare parole severe contro i corrotti e gli ingiusti. Se vi avessero detto che, invece, venendo in Chiesa avreste ascoltato Gesù lodare gli amministratori disonesti, vi sareste incuriositi e, come avete fatto, sareste venuti ad ascoltare con attenzione il Vangelo. Perché, come avrete certamente notato tutti, la cosa strana di questa pagina è che alla fine il Padrone - il Signore - loda l'amministratore disonesto "perché ha agito con scaltrezza"; e a nostra vergogna aggiunge che spesso, nel loro campo, i figli delle tenebre sono più furbi, più scaltri, più capaci dei figli della luce.
Perché noi tutti ci sentiamo "figli della luce". O no?!... Noi siamo qui perché crediamo nella giustizia, nell'onestà, nel bene; ed è proprio a noi che è rivolta questa provocazione, che ci viene da Gesù attraverso il Vangelo di Luca, quasi a dirci: "Voi, che credete nella giustizia, cosa sapete fare?" Oltre che lamentarci - questo sappiamo farlo tutti bene! - oltre che parlar male, oltre che alzare la voce contro questi disonesti che ci amministrano.
Vedete, noi viviamo un tempo in cui sui giornali, alla radio, alla televisione - ma anche tra di noi, nei discorsi di tutti i giorni - sentiamo alzare la voce, gridare, parlar male di tutte queste persone disoneste che amministrano la cosa pubblica, che procurano tanto danno a tutta la nostra nazione, a ciascuno di noi. Ma se provate a domandare - come a me è capitato di fare qualche volta - "Che si può fare? Noi, voi, io, gente come noi, cosa possiamo fare?" Voi vedete subito la gente che strilla e protesta, abbassare la voce, ammutolirsi o dirvi delle sciocchezzuole o cose del tutto irrealizzabili. Se ci guardiamo negli occhi e con un po' di serietà ci domandiamo: "Cosa si può fare? Cosa ciascuno di noi può fare, per cambiare almeno un po'?" ci accorgiamo di non avere risposte. Io quando mi fanno questa domanda non so che dire, a volte mi capita di rispondere: "Cominciamo a riformare la scuola materna!" Ma è una battuta come un'altra, per non saper che dire. Esprime solo l'esigenza di dare importanza all'educazione dei ragazzi.
Qualche volta mi domando: "Perché la severa onestà che c'era in molti dei nostri padri, in molti di noi, s'è persa?" Nelle piccole cose di ogni giorno: c'è gente che si dà malata, anche se non ne ha veramente bisogno, gente che si approfitta di qualcosa in ufficio o non lavora con impegno, gente che non paga le tasse, o qualcuno ruba qualcosa al mercato... Mi dico: "Ma i nostri padri, mio padre, per esempio, che era un uomo qualunque, non era certo un santo, aveva un senso molto forte dell'onestà: perché si è perso?
Cosa dunque ciascuno di noi può fare, non per brontolare, vociare, per alzare la voce, per gridare - questo lo fanno tutti - ma per fare qualcosa di positivo, qualcosa magari molto piccola?
Perché vedete, noi siamo povera gente, ma adesso posso consolarvi! Perché di fronte a problemi simili ai nostri, che c'erano nella comunità di Luca - la grande comunità di Luca, di Paolo, che ha saputo darci questo Vangelo straordinario - non ha mica molte risposte più di noi! Avete sentito cosa dice: "Fatevi degli amici con la ricchezza ingiusta!" Cioè tradotto in termini pratici: "La ricchezza è ingiusta, noi viviamo in un mondo di ingiustizia, chiunque ha soldi è ingiusto! Almeno fate l'elemosina!" E dice due sciocchezze! La prima: che ogni ricchezza è ingiusta, il che non è vero, perché c'è gente che guadagna onestamente i propri soldi e poi se uno non li ha, come potrebbe fare l'elemosina, che sta così a cuore a Luca? E la seconda: non basta certo l'elemosina per risolvere il problemi dell'ingiustizia del mondo... È povera gente, come noi: non sanno trovare la risposta ai grandi problemi del mondo. Ma almeno ci provano, si pongono la domanda con serietà. Quando sentono parlare di ingiustizia - a quel tempo il mondo era molto più ingiusto del nostro - quando sentono parlare di violenza, di sopraffazione, di disonestà, questa gente non si lamenta, non brontola, ma è capace di dirsi: "Questi sono i figli delle tenebre! Loro per i soldi, sono capaci di tutto, per conquistare un po' di potere sono capaci persino di ammazzare (pensate oggi alla mafia, a quelli che spacciano droga) e noi, noi che diciamo di credere nel bene, nell'amicizia, nell'amore, noi cosa siamo capaci di fare? Siamo almeno capaci di essere, per i nostri figli, testimoni di onestà, di serietà, di lavoro fatto con passione?"
Ecco una domanda che dobbiamo farci anche noi! Poi, magari, le risposte saranno piccole, povere; magari faremo solo un po' di elemosina quando incontreremo un povero o metteremo qualche lira nel "centesimo"... Sono povere risposte di povera gente! Ma è importante che cominciamo a domandarci con passione, a cercare - a casa, sul posto di lavoro, a scuola, con i figli o con i nipoti - di fare qualche cosa, anche piccola, che non sia il vociare, il brontolare, il lamentarsi, ma che sia un aiuto alla gente a crescere, ad essere più onesta, più sincera, più vera!
Il Signore ci aiuti !
1992
Sono stato quest'anno, durante le vacanze, con alcuni amici, in uno di quei graziosi cimiterini di montagna, tutti raccolti intorno alla Chiesa parrocchiale - cosa che qui a Roma non siamo abituati a vedere - e in fondo a questo cimitero c'era una cappellina, dove si lasciano quelli che son morti, prima di essere sepolti nella terra, e sulle pareti di quella cappellina c'erano delle immagini molto semplici e ingenue di gente arrostita tra le fiamme, accuratamente separati, gli uomini da una parte, le donne dall'altra. E noi, ridendo, ci scambiavamo battute su quelle fiamme. I nostri nonni non avrebbero certo riso di quelle fiamme: le avrebbero guardate con preoccupazione e timore, per la paura di finire anche loro arrostiti, se non proprio nel fuoco dell'inferno, almeno in quello del purgatorio. Queste immagini, così importanti per i nostri nonni - quante edicole con la rappresentazione del fuoco del purgatorio ci sono in giro per l'Italia - sono scomparse, non appartengono più al nostro immaginario religioso, non fanno più parte del nostro linguaggio: i preti non ne parlano più, i nostri catechisti non raccontano più ai bambini questa parabola. Anche l'idea - così presente nel Vangelo di oggi - del "contrappasso": tu di qua hai sofferto, di là godrai, così presente in molte parti della terra, non fa più parte del nostro modo di pensare. Noi guardiamo in modo diverso al mondo di là: qualcuno forse ricorderà la poesia di Totò: "'a livella": al nobile, che pretende di esprimere la sua alterigia anche nell'altro mondo, il povero dice: "'ste pagliacciate lassamole fa' ai vivi. Noi simmo seri: appartenimmo 'a morte!" Ecco il nostro modo di parlare: la serietà della morte, che toglie le "pagliacciate" del nostro vivere!
Cosa resta allora della parabola di oggi? Credo sia importante per ogni generazione di cristiani cogliere ciò che è essenziale nel messaggio del Vangelo, per distinguerlo da quello che cambia inevitabilmente con i tempi: dalle immagini che formano la "scorza" che riveste il messaggio evangelico. Al di là delle fiamme, della legge del contrappasso, mi sembra si possa cogliere in questa parabola lo sguardo di Gesù, lo sguardo di Dio sulla nostra vita. Cosa è importante nella vita? Per che cosa un uomo vale? Qualcuno avrà notato che nella Parabola che abbiamo letto il ricco non ha un nome - lo chiamavamo "epulone" cioè uno che banchetta spesso - invece il povero ha un nome: Lazzaro. Mi capitava proprio l'altra sera di ascoltare alla radio i nomi dei senatori più ricchi del nostro paese: il primo era Agnelli, poi non so chi, poi Merloni... ogni tanto si sentono i nomi delle persone più ricche d'Italia - il vostro purtroppo non c'è - ma Dio guarda il mondo con occhi diversi, Lui conserva nel suo cuore il nome di tutti i "Lazzari" della terra.
Vedete, spesso la mentalità religiosa ritiene benedetto da Dio chi è sano e benestante, chi è ricco e importante. Succede ogni tanto anche a voi, quando capita un guaio, di dire rivolti verso il cielo: "Che ho fatto di male per meritare questo?" Lazzaro - lo avrete notato - non solo è povero, ma anche malato, per due volte si parla delle sue piaghe. Eppure Dio conosce il suo nome! È importante il suo nome davanti a Dio! Davanti a Lui i valori di questo mondo sono rovesciati. Ma badate bene: se crediamo sul serio a queste cose, non possiamo aspettare che il Padreterno rovesci le cose dall'altra parte! Questo significa pigliarci in giro da noi e pigliare in giro Lui. Se crediamo veramente che l'uomo conta non per quello che ha, per il nome che porta, per il "posto" a cui è arrivato, per il potere che ha, questo dobbiamo viverlo ora: non possiamo aspettare che il Padreterno ci pigli a schiaffoni dall'altra parte (io non credo che pigli a schiaffoni nessuno), rischiamo di non vivere la nostra fede, di non cogliere i valori più veri e profondi della vita!
C'è un'altra cosa che mi sembra importante, cercherò di dirvela rapidamente. Avrete certamente notato, nella seconda parte della parabola il dialogo tra il ricco e Abramo: "Manda qualcuno ad avvertire i miei fratelli!" - "Hanno Mosè e i profeti" - "Se qualcuno dai morti..." - "Se non credono a Mosè e ai profeti neanche se uno risuscita dai morti crederanno!" Spero che nessuno di voi abbia paura che di notte venga un morto a tirargli i piedi - c'è ancora qualcuno che ha di queste paure - state tranquilli, i morti sono persone serie. Ma non è questo il punto. Spesso capita di incontrare dei cristiani che cercano la religione nelle cose sensazionali: nelle apparizioni, negli esorcismi, nelle sedute spiritiche o addirittura nel cercare di captare con il registratore le voci dei defunti... per usare la parola di Totò son "pagliacciate”. La religione è una cosa seria, fatta della vita di ogni giorno. Nei fatti di ogni giorno, non nelle esperienze straordinarie, nel nostro quotidiano dobbiamo cercare di incontrare Gesù e prendere sul serio la sua Parola. S. Teresa d'Avila, una donna seria, quando le dicevano che una suora aveva avuto una visione rispondeva: "Datele un piatto di minestra in più". Era fame la sua! Allora voi cercate di non aver fame...
Portare il Vangelo nella vita di ogni giorno, lavorare perché ogni uomo sia più uguale, perché sia rispettato per quello che è, perché ci siano meno poveri sulla terra: questo è essere cristiani.
Il Signore ci aiuti.
1992
Sento la necessità di fare una piccola premessa alla predica: cerco, oggi, di avventurarmi sull'attualità, di dirvi una parola su cose di cui sentiamo parlare ogni giorno; e avventurarsi nel quotidiano è sempre un'operazione rischiosa. Non vorrei che dalle mie parole qualcuno di voi si sentisse offeso: non c'è nessuna intenzione di offendere qualcuno! Ma credo che non sia nemmeno questo il pericolo più grande. Il pericolo è che qualcuno di voi prenda quello che sto per dire per oro colato, per "verità" che viene dall'altare! I preti - voi che siete qui da tanti anni lo sapete bene - dicono spesso sciocchezze e io non faccio eccezione. Il Vangelo lo abbiamo ascoltato: adesso quello che dico sono opinioni mie, personali, che valgono quello che valgono... E quando, come tenterò di fare stasera ci si avventura nel quotidiano più spicciolo, il pericolo di dire sciocchezze è maggiore. Se voi ritenete sciocchezze le cose che dico, può essere benissimo che lo siano, non diventano cose serie perché le ho dette da qui...
Fatta questa premessa - ne capirete il perché tra un attimo - veniamo al Vangelo: che vuol dire: "Se aveste fede quanto un granellino di senapa potreste dire a questo gelso (a questa pianta, a questo pino che è qui fuori): Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe"? La gente a volte interpreta queste parole nel campo del miracolo, dei fatti straordinari. Io ho sentito, purtroppo, con dolore, tante volte delle persone che venivano a pregare con grande fervore per il padre o per un figlio, malati gravemente, e a cui qualcuno aveva detto: "Se tu avessi fede, il Signore ti ascolterebbe". E queste stupidaggini - perché di stupidaggini si tratta, più grandi di questa chiesa - le dicono a volte persone che si ritengono importanti, che passano per santi... Sono stupidaggini, chiunque le dica! sono offese del Signore, peccati contro lo Spirito, ingiurie alla povera gente! chiamatele come volete.
La nostra fede, vedete, non riguarda i momenti straordinari, gli eventi miracolosi, non possiamo far ricorso alla fede solo nei momenti del bisogno e della malattia: la fede deve riguardare il nostro quotidiano, la nostra vita di ogni giorno. Che vuol dire allora esser capaci di piantare gli alberi nel mare? Che significa aver fede? Un bambino diceva qualche tempo fa: "Avere fede significa credere che Gesù ha ragione". Ecco, se Gesù ha ragione, aver fede significa continuare a credere nei valori di Gesù: nel servizio, nell'amore, nella fedeltà, nell'onestà. E voi capite che conservare questi valori in questi giorni, in cui sentiamo così spesso parlare di disonestà, di ingiustizia, di tangenti... non è certo una cosa semplice. Vedete, se volessimo trapiantare quel pino nel mare basterebbe chiamare una ditta specializzata; con i mezzi di oggi non ci costerebbe nemmeno troppo. Ma conservare nel cuore la speranza e la giustizia, il coraggio e la fedeltà, ah! questo esige una fede grande almeno come un granello di senapa. Questo è spostare gli alberi nel mare!
C'è però una condizione - a sentire il Vangelo di oggi - per conservare la fede: "Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato dite: Siamo servi inutili! Abbiamo fatto quanto dovevamo fare!" Noi viviamo in un tempo in cui troppa gente ritiene di avere solo diritti e pochissimi doveri; allora capita di incontrare una persona che dice: "Mi danno pochissima pensione"! e non ha mai messo una marchetta o versato un contributo. O gente che dice: "Questo governo di ladri non mi dà una casa!" e non ha fatto nessuno sforzo per farsela una casa, come molti di voi invece hanno fatto. C'è troppa gente che ritiene di avere diritto a tutto in questo paese, senza dover dar nulla. Capita a volte di sentire un insegnante che si lamenta per il suo stipendio e poi scopri che passa parte delle sue ore di lezione a leggere il giornale.
In questi giorni - posso dire sciocchezze - ci capita di assistere alle solite ritualità, dimostrazioni, scioperi... Io sogno il giorno, ma non arriverà tanto presto, in cui in una riunione di duecentomila statali qualcuno si alzi a dire: "Gente, è ora che cominciamo a lavora'!" Se in questo paese ogni pubblico impiegato, il postino, come l'insegnate, il giudice e il poliziotto, lavorassero sul serio vivremmo nella terra di bengodi. Se i nostri spazzini lavorassero tutti seriamente, le nostre strade sarebbero uno specchio! Penso sia ora di fare attenzione: i nostri figli rischiano di crescere con la mentalità che tutto è sempre dovuto, che nessuno ha dei doveri.
Allora bisogna che ci guardiamo negli occhi - non possiamo guardare gli altri, perché tutti siamo implicati in questa storia - e ci diciamo: ognuno al proprio posto, ognuno cerchi di credere, di lavorare seriamente, di essere onesto. se abbiamo fede, come un granello di senapa, ci riusciremo!
Il mondo che ci circonda, grande e meraviglioso, la gente che abbiamo intorno, la gente che ci vuol bene: tutto ci è stato donato. Ora dobbiamo rendere qualcosa: ognuno ha il proprio compito. I miracoli, vedete, sono cose rarissime, che riguardano una persona su un milione: noi abbiamo bisogno di compiere ogni giorno il miracolo di fare con onestà il nostro lavoro, di vivere con coraggio e giustizia, con fedeltà e amore, con spirito di attenzione e di servizio.
Vi avevo avvisato all'inizio che avrei detto qualche sciocchezza! Se qualcuno pensa che abbia detto delle sciocchezze, stia tranquillo: non fate nessun peccato contro lo Spirito...
Spero che nessuno di voi si sia sentito offeso: non c'era nessuna intenzione.
Spero che nessuno abbia detto: "Sì, ha ragione don Checco, perché parla di quell'altro..."
1989
Abbiamo ascoltato oggi parole sconcertanti, parole strane che forse ci mettono tutti in difficoltà. Cos'è questa fede "come un granellino di senape", per cui potremmo dire ad un albero "spostati e piantati nel mare ed esso ci ascolterebbe"? Cosa significa credere? E poi, cosa c'entra il discorso sul padrone e sul servo e quella strana chiusura: "quando avete fatto tutto quello che vi è stato ordinato dite: siamo inutili servi, abbiamo fatto quanto dovevamo fare"? Non possiamo aspettarci proprio niente da Dio? Qui tocchiamo il nocciolo della nostra fede: cos'è questa fede che diciamo di avere?
Io tento ora di dirvi una specie di parabola, che spero possa aiutarvi e se qualcuno potrà ricavarne qualche indicazione, ne ringrazierà il Signore e continuerà la preghiera che era degli Apostoli e che abbiamo fatto nostra: "Signore, aiuta la nostra fede".
Dunque la mia parabola è un po' un viaggio nella vita: vi invito a fare un'esperienza che nessuno di noi ha fatto, cioè quella di nascere coscientemente, rendendoci conto di ciò che ci accade.
Torniamo allora indietro, a quel momento magico in cui abbiamo lasciato il ventre caldo ed accogliente di nostra madre e siamo usciti nel mondo. Abbiamo davanti a noi la mamma: non l'avevamo fatta noi, ci ha fatto lei con un po' di fatica e forse nemmeno lei: venivamo da una dimensione più grande (tutta la storia del mondo è da Dio stesso) e intorno a noi avevamo questo mondo grande, sconfinato, meraviglioso: il sole, la luce, gli alberi, la gente e tutto dovevamo conoscere, sperimentare, toccare, annusare... per partecipare alla festa di colori, di luci, di vita che c'era intorno a noi. Tante cose, tante cose belle e straordinarie, da vedere, da scoprire, da conoscere. Anche noi avevamo avuto la fortuna di aprire gli occhi su questo mondo, avevamo avuto la fortuna di vivere, di partecipare alla festa della vita.
Ma siamo nati - ognuno di noi - come una creaturina piccola, indifesa, piena di tanti bisogni; avevamo bisogno di tutto, bisogno di aria, di cibo, di calore, soprattutto di qualcuno che ci avvolgesse con il suo affetto.
Avevamo bisogno di cibo: la prima cosa che le nostre mani, che la nostra bocca ha cominciato a cercare, è stato il seno di nostra madre, il suo latte caldo che ci sfamasse e guai se qualcuno ce lo portava via! Abbiamo odiato nostro padre i primi giorni della nostra vita, perché ci portava via la mamma e chi, come me, ha avuto dietro di sé quattro fratelli, credo che li abbia odiati tutti, perché ci portavano via, volta per volta, un pezzo dell'affetto della mamma.
Ferite che forse non si rimarginano nella vita, perché noi nasciamo intrisi di bisogni, il bisogno degli altri, il bisogno di protezione, di calore, di affetto, e questo bisogno ci porta a vedere gli altri come nemici...
Poi siamo cresciuti e dovevamo adattarci al mondo che ci stava intorno, per necessità, perché noi da soli non riuscivamo a vivere.
È stata una ferita per noi quando la mamma ci ha detto: "se non fai così, non ti voglio più bene!"; quando la mamma faceva la faccia severa, distoglieva lo sguardo da noi, ci sembrava di perdere qualche cosa di importante. Ma se non faceva così, chissà che cosa sarebbe successo di noi!
Siamo andati a scuola e se volevamo studiare, se volevamo prendere un bel voto, dovevamo studiare. Per molti di voi non sarà stato così, per vostra fortuna, per me è stato così! Se avessi dovuto studiare solo per il piacere di studiare, probabilmente sarei ancora ignorante. Per farmi studiare, hanno dovuto allettarmi con la carota e, a quei tempi, anche col bastone: chi ha i capelli bianchi ricorda i righelli con il bordo di metallo... Usavano anche quelli.. per forza! Non mi avrebbero mai fatto studiare senza il 'righello' e la 'carota'. Ma il mio spirito diventava commerciale: facevo le cose non perché era giusto farle, ma perché mi aspettavo un premio, volevo evitare un castigo e diventava difficile per me fare una cosa gratuitamente. Se non mi mettevano davanti la carota, non facevo quello che era giusto e per fortuna l'hanno messa quella carota. Ma vedete, piano piano spariva dalla vita la gratuità, il gusto di cercare, di partecipare alla festa della vita.
Tutto si faceva per avere un contraccambio e di fronte alle cose, alle persone... ti domandavi: "a che cosa mi servi?" "che cosa mi fa comodo?".
È vero, qualche volta facevamo, durante il crescere, l'esperienza della gratuità: momenti! Avete provato qualche volta a salire in cima a una montagna, davanti ad un panorama immenso, fatto di sole, di alberi, di luce, di montagne straordinarie? e a volte la fatica era stata grande, lo zaino pesava, la strada era stata lunga e dura; però non era niente in confronto a quello che avevate davanti. Tutto quello splendore non l'aveva fatto la vostra fatica: era qualche cosa che veniva da un'altra dimensione...
E le persone... quando vi è capitato di essere innamorati, di avere accanto a voi una persona a cui voler bene, con cui condividere la vita, una persona che non avevate fatto voi, una persona che avevate incontrato per caso, non vi restava che contemplare, che accogliere!
Per molti di voi, quando vi è nato un figlio, avete guardato negli occhi una vita nuova. Anche lui non l'avevate fatto voi, era qualche cosa di più grande. Si può fare un tavolo, una sedia, un orologio, ma non un figlio!
Abbiamo fatto dunque qualche volta l'esperienza della gratuità, l'esperienza della festa; ma poi la dura fatica di ogni giorno, il guadagnarci lo stipendio per tirare avanti fino alla fine del mese, il dover anche in ufficio guardarsi intorno perché c'è sempre qualcuno che ti vuol passare avanti, qualcuno da cui devi difenderti, qualcuno che ti fa un torto... Allora diventa forte la voglia di guardarci intorno e dire "tu, a che cosa mi servi? cosa fai per me?"
Abbiamo fatto sempre di più questa esperienza e non soltanto con gli uomini, ma anche con Dio. Anche davanti a Dio noi abbiamo questo doppio atteggiamento...: ecco dove tende la mia parabola.
In Dio noi contempliamo il fondo dell'universo: l'Amore da cui viene la vita, la gente, le cose che ci stanno intorno, e davanti a Lui noi dobbiamo esultare, contemplare la Sua luce, sperimentare la meraviglia e lo stupore.
Ma, anche davanti a Lui noi siamo pieni di tanti bisogni, abbiamo bisogno di ogni cosa: quando c'è una persona che si ammala, quando dobbiamo essere consolati, protetti, dalle tante intemperie della vita. Anche davanti a Lui ci domandiamo "A cosa mi servi Tu?" Quante volte ho sentito questa domanda: "A cosa serve Dio?" Tante volte nella mia vita ho cercato Dio perché mi serviva. Stamani ai bambini dicevo: "Andavo in chiesa la domenica e dicevo: Signore, sono stato bravo questa settimana, non ho fatto arrabbiare troppo la mamma; adesso sono venuto in chiesa, ho sentito anche la predica del parroco (voi non sapete chi era il mio parroco, consolatevi!) e adesso che ho fatto tutto questo, almeno un 6 in matematica me lo fai prendere! Non me lo faceva prendere perché non studiavo. Infatti i 6 in matematica si prendono perché si studia, non per aiuto di Dio. Venivo in chiesa e mi aspettavo qualche cosa da Dio, Lo cercavo perché mi servisse e avevo anche con Lui quell'animo commerciale che mi avevano messo dentro, perché non si può vivere che così... "
Mi aspettavo che Dio facesse qualcosa per me e non mi accorgevo che l'immagine della parabola che abbiamo ascoltato, è capovolta nel nostro star qui. La parabola dice: "quale padrone si mette a servire il suo servo? " (pensate al tempo di Gesù in cui c'erano il padrone, gli schiavi...) Ma Gesù, il Signore, è qui per servirci: noi celebriamo l'Eucaristia, celebriamo Gesù che si china a lavarci i piedi e che si fa cibo per noi. È Lui che ha imbandito la tavola, è Lui che ci serve, è Lui che ci dice "vieni, mangia, è la mia vita donata per te! "
Se io vengo a cercare Dio perché mi serve, se mi aspetto che mi faccia prendere un bel voto in matematica o mi risolva i tanti bisogni della vita, non Lo scopro, non Lo trovo, non Lo incontro.
Che avere fede "come un granellino di senape" sia passare dal bisogno alla gratuità, dalla paura alla fiducia, scoprire il dono e la vita condivisa nell'amore, scoprirlo qui intorno alla tavola, scoprirlo ogni giorno? Che avere fede sia essere capaci di sgranare gli occhi nella meraviglia e nello stupore e cercare la luce di Dio? e il riflesso di questa luce, che c'è anche negli uomini, cercarlo gratuitamente, non perché mi serve; compiere il miracolo di non guardare l'altro, il mondo, la vita, perché mi serve, ma perché è? Scoprire la gratuità, scoprire la festa: che sia questo "trapiantare un albero nel mare"? Che avere fede sia questo o qualche cosa d'altro, forse di più grande...?
II Signore ci aiuti a scoprirlo.
1992
Uno dei segni degli anni che passano - sarà capitato anche a qualcuno di voi - è che si diventa brontoloni, insofferenti. Una delle cose che mi rendono insofferente è la maleducazione che trovo a volte nel mio prossimo: anche qui in chiesa capita che qualcuno a cui si fa un piacere, una gentilezza, non sappia nemmeno dire: "Grazie". Capita spesso di vedere carte buttate per terra o qualcuno che entra con buste di plastica che fanno rumore e continua a muoverle incurante di chi sta accanto, o chi - capiterà anche oggi, magari - arriva a metà della predica e attraversa tutta la chiesa per mettersi al primo posto, o gente che non si preoccupa dei bambini che fanno chiasso... insomma, tante maleducazioni di tutti i giorni.
Mi tornavano in mente queste cose leggendo questa pagina di Vangelo, perché qui sembrerebbe trattarsi di un fatto di maleducazione: dieci persone sono guarite e una sola torna indietro a ringraziare il Signore. Ma è appunto il segno degli anni che passano: il Vangelo, per fortuna, dilata gli spazi del nostro cuore. Perché vedete, nell'episodio che abbiamo letto c'è molto di più di qualche regoletta di buona educazione. Qui è in questione la nostra fede: "Alzati e va - dice Gesù a colui che è tornato - la tua fede ti ha salvato!" È della fede che si parla, del nostro rapporto con Dio, del senso profondo della nostra vita. Forse qualcuno di voi ricorderà: domenica scorsa vi dicevo - e molti di voi consentivano - che oggi rischiamo di metter l'accento più sui nostri diritti che sui nostri doveri. E invece tutti dovremmo recuperare il senso del dovere, il senso dell'impegno che è richiesto a ciascuno di noi nei confronti del mondo. Ma vedete, perché questo sia possibile è importante che ciascuno di noi senta la vita come un dono; che ci portiamo nel cuore il senso della riconoscenza.
Proprio in questi giorni se n'è andato - se n'è andato per partecipare alla grande festa di Dio - un signore che, tanto tempo fa ci ha aiutato a capire questo aspetto della vita. Leggevamo insieme il Vangelo e lui ci raccontava che durante la guerra un ufficiale tedesco gli aveva puntato alla tempia una pistola e aveva premuto il grilletto e quella pistola si era inceppata e questo gli aveva salvata la vita. E lui si sentiva un miracolato! Sentiva ogni giorno come un dono straordinario e miracoloso del Signore! Noi che eravamo lì (gente abbastanza saputa...) al principio abbiamo sorriso pensando alle tante pistole che, allora ed anche dopo, non si erano inceppate! Poi riflettendo insieme ci è sembrato di capire che per ogni credente svegliarsi al mattino è sempre un miracolo. Ritrovarsi intorno lo splendore del creato, la bellezza della sole, la luce gli alberi il mare, il tempo da vivere e la gente che ci sta intorno! Tutto questo non lo abbiamo fatto noi: tutto questo ci è stato dato in dono! Alcuni di voi dicono volentieri: "Io mi sono fatto da solo". Ma cosa abbiamo fatto da soli? La nostra carriera, la casa, la macchina, i soldi... ma cos'è tutto questo di fronte alla bellezza del mondo! La vita, la natura, la gente, la bellezza delle cose: tutto questo ci è stato donato. Noi possiamo fare tante cose per gli altri, per la moglie, i figli, gli altri... ma loro, il loro affetto, la loro stessa presenza sarà sempre qualcosa di immensamente più grande delle cose che noi possiamo fare!
Ecco lo stupore, il "miracolo" di poter camminare ancora per le strade di questo mondo, di poter godere le cose che abbiamo, di poter condividere la vita e l'affetto con le persone che ci vogliono bene!
Vedete, se ci portiamo tutto questo nel cuore, allora viene spontaneo sentire che abbiamo ricevuto molto di più di quanto riusciamo a dare, diventa naturale sentirsi in credito nei confronti della vita. Allora sentiremo dentro di noi la riconoscenza, il bisogno di contribuire anche noi alla bellezza del creato. Il senso del dovere nasce da questo senso di riconoscenza, da questo aprire gli occhi ogni mattina e sentire che tutto ci è donato, dal bisogno di rendere grazie.
Ecco: se ci portiamo dentro questo senso di ringraziamento, allora capiamo perché Gesù dice a quest'uomo: "alzati e va, la tua fede ti ha salvato". La fede nasce da qui, nasce dalla riconoscenza, nasce dal rendersi conto che la vita è un miracolo che si rinnova ogni giorno. Anche per noi!
E noi ci ritroviamo insieme ogni domenica, proprio per fare "Eucarestia" proprio per dire il nostro "Grazie", per cantare la bellezza di quello che abbiamo intorno, del dono di Dio.
1989
L'ultima frase che abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi, ci mette in guardia dal semplificare troppo questo Vangelo. Non si tratta qui soltanto di una questione di buona educazione, del saper dire grazie: anche l'educazione è importante nella vita, anche se un po' di gentilezza renderebbe i nostri rapporti più semplici: saper dire un grazie così semplicemente!
Qui c'è qualcosa d'altro, secondo me, perché qui è in gioco la fede. Gesù dice al lebbroso che è tornato "alzati e va, la tua fede ti ha salvato". Allora vogliamo fermarci un po' e porci la domanda "perché gli altri nove non sono tornati?" Cerchiamo, ognuno di noi, di rispondere a questa domanda "perché non sono tornati?", "perché loro non hanno fede?". Sono stati guariti tutti, solo chi torna (sembra almeno nella parola del Signore) ha fede. Perché non sono tornati? Io vorrei attirare la vostra attenzione su un aspetto che forse ci aiuta a capire. Questi non sono tornati probabilmente perché sono stati presi dai tanti lavori che c'erano da fare.
A quel tempo, infatti, la lebbra era una malattia molto diffusa, di cui avevano orrore, da cui bisognava difendersi; e quindi un lebbroso doveva andar fuori, veniva praticamente escluso dalla vita civile; doveva uscire dal villaggio, andare ad abitare fuori, spesso abitavano nelle grotte, qualche volta nei cimiteri; dovevano vestirsi di una veste speciale e andare gridando "immondo, immondo". Gli altri non potevano aver contatti con loro. Quando queste persone si accorgevano di essere guarite (spesso non si tratta di lebbra, ma soltanto di macchie della pelle), allora dovevano tornare dal sacerdote, che aveva il compito dell'ufficiale sanitario, come succede quando qualcuno dei vostri bambini ha fatto il morbillo, deve tornare a scuola e bisogna prima portarlo dal medico e farsi fare il certificato. A quel tempo facevano tutto i sacerdoti, anche i compiti degli ufficiali sanitari, dietro congruo pagamento naturalmente! (senza soldi non si cantano messe, ma non si rilasciano nemmeno certificati). Si poteva cioè essere riammessi nella comunità, bisognava fare il sacrificio...
Allora, questi nove sono tutti presi dalle cose che ci sono da fare: bisognava procurarsi i soldi per pagare il sacerdote, bisognava procurarsi l'animale per il sacrificio, bisognava fare tutti gli adempimenti della legge e correndo, trafficando; cercando tutte queste cose, si dimenticano che c'è qualcuno a cui bisogna dire grazie. Facendo, lavorando, dandosi da fare... immaginateli, sono dei poveracci, magari sono anni che sono fuori da tutto, che vivono di elemosina e come fanno a trovare i soldi? come fanno per procurarsi l'animale per il sacrificio? Tutto questo li impegna e quando alla fine ci riescono, hanno fatto tanta fatica, che gli sembra dovuto il fatto che siano guariti. Se lo sono guadagnato, ormai! e si dimenticano di andare a dire grazie. La cosa più importante è il riconoscersi nuovi, guariti, rimessi nella vita....
Succede anche a voi quando, guardandovi intorno, scoprite che magari in una giornata o in un periodo, avete lavorato troppo, quando la vostra attenzione è presa da quello che fate, dal lavoro che ci vuole per vivere, dalla fatica di ogni giorno, dalla difficoltà di mettere ogni giorno insieme i soldi per la fine del mese: non bastano mai, sembra di non arrivare mai, bisogna lavorare, industriarsi, e si fatica e si corre tutto il giorno e sono cose importanti. Senza questo non si vive! Ma capita qualche volta di dimenticarsi di guardare la vita intorno, di far festa perché ci siamo, perché viviamo, per il sole e per la luce, per le stelle, per il mare, per la gente che ci sta intorno. Ci dimentichiamo di dire grazie, di cantare la vita. Tutti presi da noi stessi, dallo sforzo e dalla fatica di andare avanti. E anche tra di noi, nei nostri rapporti: il marito verso la moglie, i genitori verso i figli.... A volte la fatica di star loro dietro, specialmente quando i figli crescono, le preoccupazioni, ecc. Quando facciamo attenzione a tutte queste cose, ci dimentichiamo la festa perché questa persona c'è: tutti presi da quello che possiamo fare per lui, dalla fatica di tirarlo su. A volte di una persona, l'avrete penso sperimentato tutti, ci accorgiamo di quanto era preziosa, quando non c'è più. Prima ci pesava una cosa e poi ci accorgiamo che la cosa più importante non era quello che facevamo, ma la presenza di questa persona. Il fatto di volerci bene, di poter esserci incontrati gli uni con gli altri e davanti a Dio!
Alle volte anche davanti a Dio siamo preoccupati del nostro peccato, se siamo stati buoni, e ci dimentichiamo di guardare Lui, di far festa, di dire grazie, di cantare i Suoi doni, la vita che c'è intorno. Vedete, non siamo venuti qui stamattina, qualcuno - ma io spero nessuno - per adempiere ad un obbligo, e magari vi costa star qui seduti, ascoltare la mia predica; e forse siete preoccupati e vi domandate "non sono stato bravo in questa settimana, come devo fare?" e poi ci dimentichiamo di guardare Dio e di far festa perché c'è Lui: di cantare la Sua gloria, di gridare la Sua vita, di gridare che al di là del mondo c'è una tenerezza, un amore che ci ama sempre, dalla profondità dei tempi. Far festa per la vita, cantare Dio! Questo è fare Eucaristia!
Io spero che per nessuno di voi, mai, l'Eucaristia sia soltanto un peso. E non solo l'Eucaristia che è un segno, ma la vita di ogni giorno; spero che abbiamo sempre uno spazio per guardarci negli occhi e dirci grazie, non tanto per quello che facciamo, ma per esserci, perché l'uno all'altro siamo sempre un dono. Allora la vita diventa un ringraziamento, un canto e un riconoscere quello che noi siamo, chi è Dio per noi, quello che siamo gli uni per gli altri e può scaturire dal profondo del cuore - non c'è nemmeno bisogno di dirlo certe volte - il nostro grazie, il canto della vita: questo è aver fede.
Il Signore ci aiuti.
1992
Vedete, anche a noi - alla maggior parte di voi - come a me, è capitato di essere stati educati come la gente del tempo di Luca: con l'idea - idea che si è radicata nel profondo di noi stessi - che pregare sia cambiare Dio, farlo volgere dalla nostra parte. C'è gente - fra di voi spero pochi - c'è tanta gente nel mondo che si ricorda di pregare solo quando ha bisogno di qualcosa, quando ha bisogno di una grazia e allora moltiplica le preghiere... Ogni tanto capita di trovare in chiesa qualche foglietto con su scritta una preghiera, che bisogna scrivere per 13 volte o, qualche volta, addirittura per 25 volte! Quasi che a forza di insistere, come sembra dire il Vangelo di oggi, Dio (o i suoi santi) alla fine quasi seccato, come il giudice della parabola dica: "Beh facciamogli questa grazia! E venuto qui per 25 volte, ha scritto tante volte la sua preghiera, ha insistito...". Molti di noi si portano dentro questa immagine della preghiera. Molti di noi pensano che pregare sia cambiare Dio, piegarlo ai nostri desideri, a quello che ci sta a cuore; non dico a desideri di male, a desideri a volte giusti: le cose che ci premono, che ci sono care, che ci portiamo in fondo al cuore.
Questa - se ci pensate bene - è la preghiera pagana. In tutti i santuari del mondo antico si sono trovati tanti ex-voto, piccole raffigurazioni di braccia, gambe, teste: il segno della gente che andava nei templi a pregare la divinità perché si chinasse a guarire, perché si muovesse a compassione e venisse incontro ai bisogni espressi nella preghiera.
Noi, che crediamo al Vangelo, ci portiamo nel cuore l'idea che Dio non ha bisogno di essere cambiato: siamo noi che abbiamo bisogno di essere cambiati!
Luca tenta di dirci, attraverso la strana parabola che oggi abbiamo ascoltato, che rischiamo di paragonare Dio a questo giudice disonesto, che, solo per non essere più scocciato, si occupa della vedova.
Ma alla fine Luca ci fa intravedere il vero senso della nostra preghiera: "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà ancora la fede sulla terra?". Ecco la vera ragione della preghiera: conservare la fede! Se credere è conservare nel cuore il senso della gratuità e dell'amore di Dio, se credere è conservare i valori di Gesù: l'onestà, la generosità, l'altruismo, lo spirito di servizio, ah! allora è necessario pregare ogni giorno!
A quelli di noi che vanno ogni mattina sul posto di lavoro capita di trovare accanto a sé chi ha poca voglia di lavorare, chi si approfitta, chi prende tangenti, chi è disonesto... e corre il rischio di dire: "fanno tutti così, perché non lo faccio anch'io?" Ma se lo facciamo abbiamo perso la fede: non ci portiamo più dentro il coraggio dell'onestà, la fiducia negli altri, il rispetto, il senso della giustizia... i valori di Gesù.
Noi ci ritroviamo in chiesa ogni domenica proprio per prenderci per mano, per sostenerci l'un l'altro, per aiutarci a conservare la fede; e soprattutto per incontrarci con Gesù, per guardare il suo amore, per nutrirci di Lui, per conservare nel cuore i valori per cui Gesù è vissuto.
Vedete, allora la preghiera non diventa più l'espressione del bisogno che ciascuno di noi si porta dentro: chi ha le ossa che scricchiolano, chi ha un figlio un po' scapestrato, il ragazzo che domani ha un compito importante da fare... tanti bisogni e la preghiera rischia di farci più egoisti: ognuno pensa ai suoi bisogni e magari quello che fa comodo a me, non fa comodo a qualcuno di voi... La preghiera invece dovrebbe essere il nostro incontro con la gratuità e l'amore di Dio, il combattimento per conservare nel cuore i valori veri e profondi della vita. La preghiera non può cambiare Dio, può cambiare il mio, il nostro cuore, può conservarci la fede, la fede in Gesù e nei suoi valori.
Lo Spirito Santo ci aiuti a conservare la fede fino all'incontro con Gesù!
1992
C'è un problema, una domanda, un dramma che attraversa tutto il Vangelo: un dramma che riguarda un po' anche noi e quindi ci conviene prestare attenzione. Il dramma - un dramma che i primi cristiani, che erano tutti ebrei, sentivano in maniera particolarmente acuta - è questo: perché Gesù è stato rifiutato e messo in croce proprio dalle persone "perbene"? Dai preti, dai maestri della legge, da quelli che andavano al tempio tutti i sabati, da quelli che pagavano le tasse, da quelli che erano onesti e si comportavano bene? Perché proprio questi hanno ucciso Gesù? Si poteva capire lo avessero ucciso dei malvagi, dei miscredenti, coloro che praticavano la violenza ogni giorno... ma proprio i preti, proprio i maestri della legge, la gente che frequentava il tempio...
Vi dicevo che questo problema ci riguarda da vicino: io sono prete, voi venite in chiesa ogni domenica... corriamo anche noi il rischio di non accogliere Gesù, di non accoglierLo nel nostro quotidiano, nella gente che ci sta accanto ogni giorno, nel figlio che ci chiede qualcosa, nella moglie che diventa un po' nervosa... Perché accogliere Gesù, significa accoglierLo nella gente che vive con noi.
I primi cristiani hanno tentato molte volte di rispondere alla domanda: "Perché proprio i "giusti" non hanno saputo accogliere il Signore?" Una delle risposte l'abbiamo letta nel Vangelo di oggi: è questa parabola che Luca ci racconta. Una parabola in cui si parla della preghiera, ma in cui il problema è quello dell'atteggiamento dell'uomo di fronte a Dio, alla vita, agli altri.
Cosa c'è di sbagliato nella preghiera del "fariseo"? Per noi la parola "fariseo" suona male, ma non era così al tempo di Gesù: noi saremmo più o meno come i farisei, gente che va in chiesa, che si sforza di essere giusta, onesta, osservante. Cosa c'è dunque di sbagliato nella sua preghiera? Si mette davanti all'altare e dice: "Signore, ti ringrazio: io non sono come gli altri uomini, non sono ingiusto, non rubo, non ho tradito mia moglie, sono un buon padre di famiglia..." Dov'è lo sbaglio? Perché Gesù lo giudica severamente?
Fate attenzione: Luca dice che Gesù ha raccontato questa parabola "per alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri". Vedete a me capita qualche volta di sentirmi "giusto" di fronte agli altri: quando la mattina accendo la radio e sento quelli che spacciano droga, che fanno violenza, che rubano, ho un moto di risentimento, sento il bisogno di giudicare, di condannare. E il problema è che non giudico e condanno quelli che sono lontani e che forse faccio bene a giudicare: qualche volta divento intollerante anche con chi mi sta vicino, rischio di giudicare, di non saper accogliere chi mi passa accanto ogni giorno. A volte mi capita di lavorare un po' di più, di dover fare qualcosa che non sarei tenuto a fare: allora mi sento in credito, mi pesa lo sforzo di essere una persona "perbene". Io sono una persona onesta, ma questo a volte diventa per me un "merito", il piedistallo per giudicare e condannare gli altri, il pretesto per la mia intolleranza. Mi dimentico che la mia "onestà" è prima di tutto un dono, una fortuna: ecco lo sbaglio!
Guardiamoci negli occhi, fratelli! Nessuno di noi spaccia droga, nessuno di noi ha ucciso o fatto violenza a un bambino: questo non è solo il nostro merito, è la nostra "fortuna"! In che famiglia siamo nati? Con quanto affetto ci hanno cresciuti il papà e la mamma? Di quanta bontà e tenerezza siamo stati circondati nella nostra vita? Come abbiamo trovato il nostro lavoro e magari le nostre soddisfazioni?
Vedete, io sono una persona onesta, nessuno di voi può accusarmi di disonestà. Ma questo non è un mio merito: è la mia grande fortuna, più grande di questa chiesa! A volte mi dico: se non fossi nato in quella casa, se non avessi avuti "quel" papà e "quella" mamma, se fossi cresciuto in un clima di violenza, di sopraffazione, senza tenerezza e rispetto... cosa sarei diventato? Cosa sarebbe stata la mia vita? Allora mi metto davanti al Signore e dico: "Signore, come posso permettermi di giudicare il prossimo, come posso diventare intollerante?"
C'è un doppio modo di fare una preghiera di ringraziamento: uno è quello che riconosce tutti i doni avuti nella vita, che sente di aver ricevuto molto più di quanto si è dato, che si sente sempre in debito verso la vita e gli altri; l'altro è quello di sentirsi giusti, di costruire il piedistallo per sentirsi superiori agli altri, che vede solo i propri meriti, che si sente sempre in credito nei confronti della vita e degli altri; e rischia di essere il pretesto per l'intolleranza.
A me è capitato di incontrare delle persone intolleranti, proprio tra la gente che viene in chiesa: anch'io qualche volta mi sono sentito guardato dall'alto, giudicato e condannato. Ed è un'esperienza amara!
Ma, pensiamoci un momento: se nella vita, nei nostri rapporti di ogni giorno non c'è un po' di accoglienza, di tolleranza, di tenerezza, allora veramente la vita si sciupa. Se tra noi, ci giudichiamo e ci condanniamo, se ciascuno accampa sempre i suoi diritti, se rinfacciamo sempre i nostri sforzi e il nostro lavoro, se perdiamo il senso della gratuità e la gioia di stare insieme: che diventa la vita? Se il papà quando torna a casa dice: "Io ho lavorato tutto il giorno, duramente..." E la mamma: "Ma io sono stata qui tra roba da stirare e pentole da lavare e ho sopportato i capricci dei ragazzi..." E i figli: "Ma io sono stato a scuola cinque lunghe ore..." e tutti si sentono giusti e ognuno avanza pretese e accampa diritti: che diventa lo stare insieme?
La vita è bella quando tutti noi la viviamo come un dono, facciamo esperienza della "gratuità", sperimentiamo la gioia di stare insieme, la "fortuna" di essere stati donati gli uni agli altri; quando non ci giudichiamo, quando siamo capaci di tenerezza e di accoglienza, di comprensione e di perdono!
Il Signore ci aiuti a farlo!
1992
Capita forse anche a qualcuno di voi, qualche volta, di sognare ad occhi aperti, di immaginare qualcosa di diverso dal mondo in cui viviamo e poi, magari, di accorgervi che quel sogno è una sciocchezza...
A me capita di immaginare di poter vedere, la sera, un telegiornale diverso: accendere il televisore e vedere scritto: "Telegiornale della gente per bene, delle opere buone". Noi quasi sempre alla TV vediamo raccontare di gente che uccide, di gente che ruba, di politici disonesti, di mafiosi, di spacciatori di droga e tutte le altre quotidiane malvagità che la TV ci riversa. Allora qualche volte viene da sognare una televisione diversa, in cui si vedano le opere buone, la gente che fa il bene e ce n'è tanta in ogni parte del mondo. Poi mi accorgo che un sogno così è una sciocchezza, grande!
Vedete, viviamo in un tempo in cui molta gente - forse troppa - ha una gran voglia di apparire in televisione, di farsi vedere, di mostrarsi. C'è gente disposta quasi a tutto pur di apparire per qualche minuto in TV. Una delle trasmissioni più volgari - non so se siete d'accordo - è quella in cui si vedono delle famiglie, delle coppie, che litigano davanti a tutti, che mettono in piazza tutte le loro storie, tutti i loro fatti, pur di apparire... una cosa volgare! Ma pensate quanto sarebbe più volgare se la gente andasse a raccontare, per mettersi in mostra, le opere buone che fa, i gesti di bontà di ogni giorno.
Sono convinto che al bene si addice il silenzio, le cose fatte senza rumore. C'è in ogni parte del mondo delle gente che fa del bene, ci sono - basta che vi guardiate intorno ogni giorno - tanti gesti di bontà, di tenerezza di accoglienza, di servizio semplice e attento, tanti gesti di cui non parla mai nessuno, che non fanno rumore.
I santi attraversano la storia in punta di piedi! E, vedete, anche i santi che appaiono sul calendario, quelli che sentite proclamare santi o beati in piazza S. Pietro, spesso sono solo l'espressione del desiderio di qualche frateria, di qualche... "suoreria", che vogliono apparire, che vogliono mostrarsi, far bella figura davanti al mondo... Poi se andate a leggere la vita di quella gente, spesso, se non son proprio delinquenti, sono persone poco per bene.
Stasera siamo qui per far memoria dei santi "veri", di tutta quella gente sconosciuta, gente di tutti i giorni, che attraversa la storia in punta di piedi: ce ne sono tanti in ogni angolo della terra! Gente che si porta nel cuore la fame e la sete della giustizia, gente mite, misericordiosa, pacifica. Quanti gesti silenziosi di tenerezza, di bontà, di accoglienza in ogni parte della terra! Gesti che non fanno rumore, gesti che non vedremo mai in televisione e per fortuna! Gesti che si compiono nel silenzio, nella discrezione.
Ma non dimentichiamo che ci sono! Che è la maggior parte della vita! Altrimenti molti di noi - capita anche ai più giovani - rischiano la sfiducia, lo scoraggiamento, rischiano di pensare che il mondo va sempre peggio. Non dimentichiamolo mai! Il male fa rumore, fa chiasso, si vede; il bene è silenzioso. Il bene non fa rumore, attraversa la vita in punta di piedi, eppure c'è! Ripensiamoci ogni tanto, per camminare anche noi con fiducia sulla strada dei santi, di quella moltitudine immensa di ogni razza, popolo e colore, che ci ha preceduto sulla via del bene. Portiamoci anche noi nel cuore il desiderio vivo della vita, la fame e la sete della giustizia, la mitezza, la misericordia, la tenerezza, la pace.
Il Signore ci aiuti!
1989
Vi ricordate? qualche domenica fa, leggevamo nel Vangelo l'episodio dei dieci lebbrosi che sono stati guariti da Gesù e di questi dieci uno solo torna indietro a ringraziare: sente il bisogno di ritornare da Gesù e dirGli il suo grazie. E forse qualcuno ricorderà che, commentando questo Vangelo, dicevamo che non era solo un fatto di buona educazione, ma un fatto di fede: si trattava di riconoscere la propria situazione, quello che era accaduto nella vita di queste persone. Noi, oggi, siamo qui proprio per fare, non come i nove che non sono tornati, ma come il lebbroso che è tornato.
E siamo venuti qui per dire grazie al Signore e grazie a tutti quelli che ci hanno preceduto. Il libro dell'Apocalisse ci ha detto che una moltitudine immensa di ogni razza, popolo e nazione, prima di noi ha camminato per le strade di questa terra ed ha costruito lo spazio della nostra vita. Cento anni fa, mille anni fa nessuno di noi era qua e c'era gente che cercava, lavorava, studiava, sperava... per costruire il mondo in cui noi viviamo. Da un punto di vista esterno, materiale, credo che sia evidente per tutti: chi ha i capelli bianchi potrebbe raccontare a quelli più giovani, quanta fatica si è fatta per dare un po' di benessere: costruire le case in un certo modo, le macchine, i mezzi di comunicazione, il benessere, il vestire, il mangiare... Non c'è paragone tra il benessere di oggi e quello che c'era solo 50 anni fa!
E non soltanto dal punto di vista materiale, ma anche dal punto di vista dei valori, del modo di pensare, dell'atteggiamento verso gli altri. L'altra sera, leggendo insieme la Bibbia, c'era una signora che continuava a scuotere la testa perché non riusciva a "mandar giù" che il profeta Elia, il grande profeta che si aspetta ancora nel Nuovo Testamento, avesse sgozzato con le sue mani tremila persone. Diceva: "non è possibile! come faceva ad essere un gran santo, questo che ammazza tremila persone!" Ma, vedete, nella storia dei santi, quelli che stanno scritti sul calendario, spesso si legge che uno ha bruciato 50 eretici, un altro ha fatto condannare cento persone, e via di seguito. Non è che fossero santi per questo, è chiaro, erano forse santi per qualche altra cosa. È che il mondo in cui questa gente viveva, era un mondo molto più selvaggio del nostro. Chi legge la Bibbia rimane sconcertato perché sembra che Dio minacci castighi ed ordini stragi. In un punto si legge che Dio si arrabbia molto perché il Re non ha ammazzato proprio tutti, ha risparmiato qualcuno, mentre invece Lui aveva detto che bisognava uccidere tutti!
Quando uno parla così di Dio evidentemente deve vivere in un mondo dove la vita di un uomo non vale! Non dimentichiamolo questo! A volte, quando ci guardiamo indietro, pensiamo che i tempi passati fossero migliori: mi capitava di leggere sul giornale che, andando allo stadio, anche quest'anno una persona è stata accoltellata e qualcuno diceva: "dove siamo andati a finire! dove siamo arrivati!"
Da dove siamo partiti! Al tempo dei romani si andava allo stadio non per vedere una partita di pallone, ma per vedere gente che si ammazzava e se non si ammazzavano non erano contenti. E tutti applaudivano quando uno ammazzava l'altro, come si applaude oggi quando un bravo calciatore segna un bel goal. Questo è il mondo da cui siamo partiti! Non è questo il mondo dove siamo arrivati! Il mondo da cui siamo partiti è un mondo selvaggio, un mondo in cui la vita dell'uomo non conta nulla. Per noi oggi la vista della croce è uno spettacolo orrendo, specie per i bambini, così dicono gli educatori. Le croci, al tempo di Gesù, erano invece normali nella nostra Roma; lungo le strade consolari spesso si vedeva questo spettacolo: persone che stavano lì appese per settimane, morendo lentamente e la gente andava a tirar loro i sassi o a prenderli in giro, ad ingiuriarli e insultarli.
Questo è il mondo da cui siamo partiti! E se oggi siamo diversi, se oggi abbiamo orrore per la violenza, se abbiamo orrore per chi uccide, se il sangue ci sembra qualche cosa di ripugnante, ecco dobbiamo ringraziare tanta gente il cui nome non è scritto sui calendari: gente di tutti i giorni, come siete voi, gente che nella vita quotidiana ha cercato la pace, il bene, affamati e assetati di giustizia, gente mite a cui faceva orrore la guerra: i nostri contadini, la gente dei nostri paesi, la gente semplice. Ecco, noi facciamo parte di questa grande storia.
Guardatela allora con gli occhi della fantasia, questa moltitudine immensa di ogni razza, popolo e nazione e auguriamoci di camminare anche noi con loro; auguriamoci che fra mille anni (noi non ci saremo più!), ci sia qui ancora qualcuno che dice: "Signore, ti ringraziamo per quelli, anche per quella gente che viveva qui nel 1989 e che ha aiutato questo mondo a fare un passo avanti. Anche là c'era gente il cui nome non è mai apparso sui giornali (per fortuna!), gente di tutti i giorni, gente però che era mite, che cercava di essere misericordiosa, che aveva, almeno un po', fame e sete di giustizia".
Siamo noi i Santi di cui domani si farà memoria! Ma a noi oggi spetta di far memoria: non solo per non essere maleducati, ma per riconoscere tutto quello che abbiamo avuto, quello che nascendo in questo mondo, abbiamo trovato di bello e di buono: il frutto di tanta gente che ha camminato prima di noi e che si è lasciata guidare dallo Spirito di Dio, che ha detto sì al bene, che sentiva dentro di sé. Ecco, per tutta questa gente vi invito a dire con me "grazie", a loro prima di tutto e al Signore che li ha illuminati.
1986
È una pagina straordinaria quella che abbiamo letto, una delle pagine più famose del Vangelo, una pagina dalla quale tanta gente si è sentita confortata, aiutata a credere, a sperare. Anche gente che magari conosceva poco Gesù, che non era cristiana: pensate a Gandhi che si sentiva molto vicino a queste frasi e trovava in queste parole, lui che era indù, una ispirazione profonda per la propria vita.
Questa pagina così straordinaria che voi conoscete molto bene, ci aiuta oggi a far memoria dei santi, di tutti i santi. I santi il cui nome non è scritto sul calendario, la cui memoria si è persa nei solchi della storia. Dovremmo con gli occhi della fantasia, essere capaci di contemplare questa moltitudine immensa, di ogni razza, popolo e nazione, di cui parlava l'Apocalisse; sentirci fratelli di tutta questa gente.
Noi più vecchi siamo abituati a leggere le vite dei Santi, i nostri preti ci narravano spesso, nelle prediche, qualche episodio delle loro vite. Se ricordate in quei libri o in quelle storie si narravano principalmente fatti straordinari, racconti di miracoli, di guarigioni, di prodigi, le stimmate, il profumo di viole o di rose e, forse, qualcuno di noi era portato a pensare che la santità consistesse in quei fatti straordinari. Anche oggi capita, a volte, di ascoltare qualcuno che va in cerca di coloro che fanno cose straordinarie, che profumano di rose o fanno profezie... ma così facendo ci dimentichiamo di guardare la santità di tutti i giorni, quella che sta intorno a noi, la santità della gente semplice, che vive secondo la straordinaria parola di Gesù che ritroviamo in questa pagina di Vangelo!
Gente che si porta nel cuore la fame e la sete di giustizia, gente mite e misericordiosa, che nel concreto della vita, a casa, sul lavoro, tra la gente, sa operare la pace. Gente che non fa storia, che non fa clamore, il cui nome non troverete mai sul giornale, da cui non si va in pellegrinaggio...
Ci sono anche in questo nostro tempo santi e santoni o presunti tali, a cui la gente accorre nella speranza di assistere a qualche fatto straordinario, di sentire un profumo diverso, e sono sempre assediati dalla folla. Lui, Gesù, è morto solo: non andava tanta gente a cercarlo e Lui fuggiva spesso dalla folla e poi, alla fine, sono fuggiti tutti... e Lui era il più santo di tutti. Quando c'è tanta gente, quando sono in molti a battere le mani, quando c'è un gran rumore di applausi... forse il profumo vero della santità sta da un'altra parte, nelle pieghe della storia, tra la gente di tutti i giorni, nella semplicità della vita. C'è, anche in mezzo a noi, tanta gente che cerca sinceramente la pace, ogni giorno. È questa la vera santità, di queste cose Dio tiene memoria nella sua mano: quando un giorno vedremo la storia con gli occhi di Dio scomparirà tanta gente il cui nome è stato famoso e verrà a conoscenza di tutti la santità semplice, la vita di tutti i giorni, la fame e la sete di bene che c'è nel cuore di tanti uomini.
Ecco, di tutta questa gente vi invito, con me, a far memoria; con tutta questa gente a sentirci fratelli, a cercare di camminare anche noi, con la fame e la sete della giustizia nel cuore, con il desiderio vivo della libertà e della giustizia: come ha fatto Gesù.
1992
Ci riunisce qui, stasera, il desiderio di far memoria delle persone che sono morte: tutti noi, penso abbiamo qualche persona cara che non c'è più, qualche persona che ci ha voluto bene, a cui abbiamo voluto bene.
E credo che anche a voi capiti, qualche volta, di tentare di immaginare dove vivono adesso queste persone, come sono adesso, cosa fanno, qual è lo spessore della loro vita. Credo che qualche volta vi sia successo di desiderare di poter avere, da loro, un segno, una presenza, un momento di tenerezza, una carezza!
La morte è una cosa seria, terribilmente seria! Lascia in tutti noi il senso del vuoto, del distacco, delle cose irrevocabili: non c'è più una carezza, un gesto, una parola, che ci farebbero tanto bene, in certi momenti!
Ma quello che ci riunisce qui è la nostra fede, la nostra certezza che le persone a cui abbiamo voluto bene, che ci hanno preceduti sulle vie del mondo, non sono cadute nel nulla. Ci riunisce qui la fede che la nostra vita trova la sua radice in Dio: da Lui - senza riuscire ad immaginare come - noi veniamo; dalla sua tenerezza, dal suo amore viene tutto quello che abbiamo intorno: il mare, la luce, il sole, gli alberi... e la gente! La gente che vive con noi.
Ma se veniamo da Dio, verso di Lui andiamo!
Ci riunisce qui la convinzione, la certezza che sull'ultima soglia, quando apriremo l'ultima porta, non troveremo il gelo del nulla, ma l'accoglienza tenera di un Amore da cui tutti veniamo. Ci riunisce qui la certezza che sull'ultima soglia, dove ogni parola vien meno, dove tutto tace, noi incontreremo il sorriso accogliente del Padre: nelle sue mani, Lui custodirà la nostra vita e custodisce la vita di coloro che ci hanno preceduto.
Noi non sappiamo dove né come, ma sappiamo che vivono nell'amore di Dio! Ed è questa la nostra consolazione suprema, la nostra fede: chi ci ha preceduto, la gente a cui abbiamo voluto bene, non è caduta nel nulla, ma vive nell'amore di Dio!
Con questa certezza li ricordiamo, facciamo memoria di loro, li conserviamo nel cuore. E conserviamo nel cuore la certezza dell'amore di Dio, del Dio che ama la vita, per loro e per noi!
1986
Molti di voi, che erano qui ieri, avranno notato che abbiamo ascoltato la stessa pagina di Vangelo. Quasi ad unire queste due celebrazioni in una sola, la Chiesa ci propone lo stesso brano di Vangelo.
Ieri eravamo qui a far memoria dei Santi, oggi facciamo memoria di tutti quelli che son morti: che è un po' la stessa cosa.
È importante per noi questa festa: io vi invito tutti, specialmente i più giovani, a ripensare questa celebrazione, l'occasione che questa “memoria” ci offre. Vedete, noi viviamo oggi in un mondo in cui tutto cambia molto rapidamente e rischiamo, tutti, di perdere le radici del nostro passato, di dimenticare chi è vissuto prima di noi ed ha lavorato, ha sperato, ha creato, ha inventato. Se ci pensate, quello che noi siamo, le cose che abbiamo, la cultura e i valori che abbiamo dentro, come le scarpe che abbiamo ai piedi, le case in cui abitiamo, i vestiti che indossiamo, le macchine con cui corriamo...tutto questo è frutto del lavoro di tanta gente che prima di noi ha cercato, ha studiato, ha amato, ha lavorato, ha inventato, ha costruito. Tanta gente che è vissuta, forse anche a noi vicino, con il desiderio nel cuore di lasciare il mondo un po' migliore di come lo avevano trovato.
Ci sono certamente alcuni di voi che oggi ricordano il papà, la mamma, i nonni, qualcuno la moglie o il marito, un figlio: tutta questa gente ci ha dato qualcosa, è vissuta per noi, donandoci la vita, il mondo, le cose che abbiamo intorno.
Dobbiamo rendere giustizia a tutto questo sforzo degli uomini che ci hanno preceduto. Non siamo i primi sulla terra: tanta gente è vissuta prima di noi, tanta gente ha costruito, lavorato, sperato, amato, per consegnarci un mondo in cui poter vivere.
Vedete, noi preghiamo in una chiesa, viviamo in una città in cui tutto è nuovo: non c'è passato. Io quando ero ragazzo andavo a Messa in una chiesa che aveva più di mille anni di storia: quando alzavo gli occhi vedevo un bellissimo mosaico che ornava tutta l'abside. Era il lavoro di gente che tanto tempo prima di me aveva costruito quella chiesa, con pazienza, con fantasia, con fatica, per darmi modo di pregare, di ritovarmi lì. Noi preghiamo invece in una chiesa che ha soltanto dieci anni di storia: siamo la prima generazione che prega qui. E intorno alla nostra chiesa non c'è, come in alcune chiese dei paesini del nord, il cimitero: là quando si va in chiesa si passa attraverso le tombe, quasi un abbraccio di quelli che non ci sono più intorno ai vivi riuniti per pregare.
Noi rischiamo di perdere le radici della nostra storia, rischiamo di dimenticare quelli che sono vissuti prima di noi, specialmente i nostri ragazzi: noi rischiamo di esorcizzare la morte. I nostri ragazzi non vedono più un cimitero e non sanno niente degli sforzi, delle fatiche, di coloro che sono vissuti prima. Molti di voi hanno conosciuto cos'era l'Italia 50, 60 anni fa: quanta miseria, quanta fame, quante difficoltà. Chi ci ha preceduto ha lavorato duramente e ci ha anche consegnato dei valori che oggi sentiamo nostri: il senso della libertà , il senso della giustizia e della solidarietà.
È allora veramente importante per noi farne memoria con gratitudine, davanti a Dio. Noi crediamo nel Dio della vita: noi siamo qui perché siamo convinti che sull'ultima soglia che l'uomo conosce, non trova il nulla, ma il volto amoroso di Gesù. Là, quando tutto tace e il buio sopravviene alla luce, non troveremo il vuoto, ma le mani amorose di Dio, che conserva nelle sue mani tutto il bene che la gente ha compiuto.
Noi siamo qui per far memoria di tutto questo, per far memoria con gratitudine di chi ci ha preceduto, per affidare a Dio la nostra vita e quella di chi ci ha preceduto ed anche per impegnarci a proseguire il cammino, per rendere anche noi - se ci riesce - il mondo un po' migliore di come ce lo hanno consegnato.
Fra cento anni non ci sarà probabilmente nessuno di noi e speriamo che tra cento anni ci sia ancora qui qualcuno a far memoria di coloro che sono passati: di noi; e speriamo che possa dire: ci hanno lasciato il mondo più bello di come l'hanno trovato.
Noi non abbiamo più grandi cose tecniche da inventare: le hanno inventate ormai quasi tutte coloro che ci hanno preceduti: ma un mondo più pacifico, più giusto, più onesto, possiamo lasciarlo a coloro che vengono dopo di noi.
Ecco allora il senso di questa celebrazione: far memoria di quelli che non ci sono più, con cuore riconoscente, ritrovare le radici della nostra vita e impegnarci a consegnare questo mondo a chi viene domani, perché ancora continui la storia dell'uomo, perché ci siano ancora sulla terra uomini capaci di amare, di sperare, di impegnarsi a costruire il mondo.
1992
Io comincio ad avere parecchi anni dietro le spalle e - come potete immaginare - essendo prete e avendo spesso modo di parlare con gente religiosa, ho sentito in questi anni tante parole su Dio, e mi vado sempre più convincendo che spesso parliamo di Dio non a partire dall'incontro con Gesù e la Sua parola, ma a partire dalle nostre esperienze, dalle nostre abitudini, dai nostri modi di pensare, spesso piccoli e meschini, dalle nostre ansie, dalle nostre paure, dalle nostre gelosie o dai nostri desideri di vendetta. Quanta gente ho incontrato che pensa sempre di sapere cosa Dio voglia e cosa non voglia, dove Dio castighi e dove premi! quanta gente che ha paura di Dio, Lo vede come una presenza minacciosa sempre pronto a mandare i suoi castighi! quanta gente non riesce a conciliare il perdono, la tenerezza, la misericordia di Dio, con la sua giustizia! Quanta gente ho sentito parlare del purgatorio, cercare di immaginare com'è, o addirittura parlare dell'inferno!
Vedete cosa capita nel Vangelo di oggi: si avvicinano a Gesù dei Sadducei (erano i ricchi latifondisti del tempo, gente che non si interessava molto di religione, ma erano attaccati alla tradizione e pensavano di sapere tutto di Dio e della religione: nella discussione, viva al tempo di Gesù, sulla vita dopo la morte si schieravano contro la possibilità della risurrezione: con la morte per loro tutto finisce). Dunque questi Sadducei fanno a Gesù un discorso che sembra semplice e chiaro: c'è una donna che ha avuto sette mariti, e son morti tutti, uno dopo l'altro, alla fine è morta anche lei; ora, nella risurrezione di chi sarà moglie quella donna? Non è certo possibile che sia moglie di tutti e sette. Tutto sembra molto logico, forse anche a qualcuno di noi. Ma se ci pensate bene: chi ha detto che non può essere moglie di sette mariti? Dipende dal nostro modo di concepire l'amore, spesso limitato, possessivo, geloso. Io posso amare solo poche persone, riesco ad essere amico solo di chi appartiene al "mio gruppo".
Gesù ci lascia intravedere il cuore di Dio. Vedete, noi siamo qui più di 300 persone eppure Dio ci conosce tutti, uno per uno, e nessuno può dire :"È il "mio" Dio, non è di chi mi siede accanto". Dio vi guarderebbe con un sorriso, come fate voi quando i bambini litigano tra di loro...
Dio vuole bene a ciascuno di noi, senza distinzioni. E non solo a noi: anche ai miliardi di uomini che vivono e sono vissuti su questa nostra terra, a tutti. Il cuore di Dio non può essere piccolo come il nostro cuore... un cuore immenso, che sa amare la vita. Quando facciamo Dio a immagine nostra lo immiseriamo!
Vedete questi Sadducei: ritengono impossibile che una donna possa amare sette uomini, non riescono a concepire un amore "liberato", non riescono a concepire un amore senza possesso e gelosia e allora negano la vita. La vita finisce, non c'è speranza oltre la morte.
Chi incontra Gesù fa esperienza di Dio e può concepire un amore grande e libero come l'amore di Dio...
È importante per noi incontrare l'amore di Dio, perché, se capisco bene, viviamo un tempo in cui tutti, anche i nostri ragazzi, siamo tentati di rinchiuderci nei nostri gusci: le nostre famiglie, i nostri piccoli gruppi. Rischiamo di vedere in chi sta fuori, un estraneo, un concorrente, un nemico.
Ecco se ci lasciassimo mettere un po' davanti a Dio, al suo cuore! Lui ama ogni uomo, può amare cinque, dieci miliardi di uomini, Lui ama la vita la ama appassionatamente!
Noi crediamo nel Dio della vita! Lui ci aiuti a dilatare gli spazi del nostro cuore!
1989
Non so se mi riesce di aiutarvi a comprendere questa pagina del Vangelo che è un po' strana! Non si tratta, come diceva qualcuno ieri sera, di una donna che porta jella sul serio e riesce a far fuori sette mariti! C'è qualcosa d'altro, qui!
Per capire, occorre vedere da dove viene questa strana legge che obbliga sette fratelli a sposare la stessa donna: c'è qualche cosa d'importante per la nostra fede. Allora, facciamo un passo indietro: la grandezza della fede di Israele (che è poi la nostra fede), sta nell'aver scoperto che Dio lo si incontra, lo si cerca, lo si trova, nella vita di tutti i giorni, negli avvenimenti della storia, non al di fuori della storia.
Israele era circondato da un mondo che cercava Dio negli astri, nel sole, nella luna, nei giochi delle costellazioni; che cercava Dio nei fenomeni della natura: nel fulmine, nel terremoto, nelle forze naturali. Gli Egiziani cercavano Dio soprattutto nell'al di là. Voi tutti, penso, avrete visto qualche volta le piramidi d'Egitto, almeno in fotografia o in qualche documentario; avrete visto anche qualche mummia egiziana e avrete saputo qualcosa del culto che gli Egiziani riservavano alla morte: quando un uomo moriva, lo si preparava, lo si imbalsamava, si mettevano accanto a lui tutte le cose che servivano per il suo viaggio... tanti racconti, romanzi, scritti, che parlano di tutto quello che c'è oltre la morte. Gran parte dell'arte egiziana - almeno quella che c'è rimasta - è dedicata a celebrare il mondo futuro, la sopravvivenza.
Israele esce da tutto questo: Dio non va cercato al di là della morte, ma qui, in questa vita! In un cammino di liberazione si fa esperienza di Lui; è qui che bisogna cercare la Sua volontà, è qui che bisogna camminare, e camminare insieme, alla ricerca della Sua luce. Quello che conta per Israele è la vita, gli avvenimenti, la storia; quello che conta è il popolo, il popolo che cammina.
I Sadducei che si presentano a Gesù sono i rappresentanti dell'antico Israele, fedeli alla tradizione e dicono: "Vedi, nessuno dei nostri antichi credeva nella resurrezione, tant'è vero che hanno fatto questa legge". Ecco, la legge che ricordano a Gesù diceva che se un uomo ha una moglie e quest'uomo muore senza avere figli, il fratello deve suscitare una discendenza per lui. Perché questo? perché pensavano che un uomo che non ha figli, è morto del tutto. Non credendo nella sopravvivenza, se uno non ha dei figli, la sua vita è perduta per sempre.
Allora bisogna fare in modo che quest'uomo abbia almeno un figlio, qualcuno che porti il suo nome. Questa idea per cui bisogna portare il nome di quelli che sono morti è arrivata fin quasi ai nostri giorni. Molti di noi portano il nome del proprio nonno (i giovani adesso non lo fanno più). Noi, ad esempio, siamo cinque fratelli e portiamo il nome dei nonni, ma i nipoti non più: mio padre non ha più qualcuno che porti il suo nome. Questa era una mentalità che vedeva la sopravvivenza di un uomo nel figlio. Ecco il perché di questa legge.
Come si è arrivati invece all'idea della resurrezione? Come Israele è arrivato alla fede che Gesù ripropone?
Attraverso due ragionamenti, due riflessioni, due ricerche: una che riguarda Dio e una che riguarda l'uomo. Quella che riguarda Dio è questa: si domandavano "d'accordo, Dio lo troviamo in questa vita, ricerchiamo qui la Sua volontà: ma che succede dei suoi amici? Sono veramente perduti per sempre? Dio non è rimasto fedele a queste persone? Quando noi diciamo che il nostro Dio è il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe... può essere che Abramo, Isacco e Giacobbe non siano niente? E allora di chi è Dio? di nessuno! Che senso ha dire il Dio di Abramo, se Dio non ha saputo essere fedele ad Abramo: dov'è la fedeltà di Dio?" Dicevano gli antichi ebrei: "noi siamo infedeli perché siamo delle povere persone, ma Dio no, Dio è fedele alla Sua gente! Dio vuol bene ai Suoi figli! non permetterà che cadano nella morte!" Ecco, una riflessione sulla fedeltà di Dio li porta a dire: "non può essere che Abramo, Isacco e Giacobbe siano perduti per sempre; Dio li avrà conservati nella Sua mano!"
E l'altra riflessione che parte invece dall'uomo e dall'esigenza di giustizia. Avete ascoltato il libro dei Maccabei: è uno degli ultimi libri della Bibbia, segna il termine di un lungo cammino: pone il problema dei martiri, il problema degli innocenti uccisi: chi rende giustizia a queste persone? Sì, noi dobbiamo rendere loro giustizia, conservando quella memoria della loro vita, rimanendo fedeli ai loro ideali: ma Dio non renderà loro giustizia? Permetterà che la loro vita sia stata vissuta invano, che non vedano il risultato del loro impegno e del loro sacrificio?
Ecco, Dio deve rendere giustizia a quelli che sono morti ingiustamente. Da questi due discorsi viene la fede nella resurrezione.
Qual è il nocciolo di questa fede? Vedete, noi ci guardiamo intorno in questa bella giornata di novembre, questo sole, la bellezza della natura che è intorno, gli alberi, il mare (qualcuno di voi oggi farà una passeggiata per godersi questa bella giornata!). Da dove viene tutto questo? E la gente che abbiamo intorno: gli studiosi ci dicono che cinque, sei miliardi di anni fa non c'era nulla. E prima? Cinque, sei miliardi sono soltanto un battito di ciglio, nell'immensità del tempo. Da dove viene tutto questo? La nostra fede è che tutto, che noi, la gente che ci sta intorno, non siamo venuti dal nulla, non esistiamo per puro caso.
Quello che ci conduce qui è la fede che tutto viene da una pienezza di vita, viene dalla tenerezza di un Dio che ha voluto dare inizio a questo nostro mondo. Come, non riusciamo ancora a saperlo, ma crediamo che all'origine di tutto, c'è un atto d'amore, c'è la scelta di Dio. E quello che ci riunisce qui è la fede che tutto questo che abbiamo intorno, e noi stessi, non scorriamo lentamente verso il nulla, ma di nuovo verso questa tenerezza, verso questa luce, verso la vita di Dio. Come, non lo sappiamo. Vorremmo tanto saperlo e vorremmo che qualcuno di là ci venisse a dire una parola, ci dicesse cosa accade oltre la morte, ma è un'altra dimensione, un altro mondo.
Che sia la dimensione di Dio ce lo dice anche l'altro discorso che Gesù fa nel Vangelo di oggi. Gli domandano: "questa donna che ha avuto sette mariti, di chi sarà moglie?" È la nostra mentalità. Noi pensiamo che una donna, che è stata moglie di uno, non può essere moglie di due: se la litigano! Perché noi siamo abituati a litigare. Già lo sapete, quando voi papà e mamme avete due, tre figlioli, sempre vi domandate: ma saremo stati giusti con tutti? Riusciremo a non fare imparzialità? Quante volte ho sentito una mamma che allungava sottomano qualche soldo ad un figlio, perché lo vedeva in difficoltà, dire: "non avrò fatto una parzialità nei confronti degli altri?" a noi fa sempre fatica essere giusti! Quando uno riesce ad essere amico di una persona, fa fatica ad essere amico degli altri. A me, molti di voi rimproverate di non riuscire ad essere amico di tutti! In gran parte dipende dal mio carattere, io sono un uomo molto timido e faccio molta difficoltà ad avere rapporti con la gente; ma Dio non è così, per fortuna!
Davanti a Dio siamo tutti uguali, in ogni parte del mondo: Dio ha un numero infinito di figli e a tutti vuole bene allo stesso modo. Quando saremo di là, non staremo a litigare se io sono più amico di uno o più amico dell'altro, altrimenti che amore sarebbe! La Resurrezione significa amore liberato, significa far parte della vita di Dio, significa che le nostre piccole miserie, i nostri limiti, il dire questa persona è mia, questo figlio è mio, questo marito è mio, questo 'mio' che non ci permette di voler bene agli altri, un giorno sarà liberato, perché apparterremo al mondo di Dio. Ecco allora, sull'aldilà noi non sappiamo nulla, nessuno è venuto a dirci come saremo, se saremo più alti, più bassi, più larghi... niente di tutto questo, ma in fondo non ha importanza, perché il nocciolo della nostra fede è qui: sull'ultima soglia della morte non ci aspetta il vuoto, il nulla: ci aspetta la tenerezza di Dio.
Anche noi, come Gesù, nell'ultimo momento potremo dire nella fede "Padre, nelle tue mani affido la mia vita; alla Tua vita, alla Tua gioia, alla Tua tenerezza, affido me stesso".
E affidiamo a Lui la gente che prima di noi ha camminato su questa strada: possiamo far memoria di loro davanti a Dio e possiamo rendere giustizia a loro, non permettendo che il loro nome venga dimenticato, perché non lo dimentica Dio e non dobbiamo dimenticarlo nemmeno noi qui. Dobbiamo essere riconoscenti a tutti quelli che hanno camminato prima di noi.
Il Signore ci aiuti a conservare questa fede.
1989
Nel cuore di ogni Messa che celebriamo, la chiesa ci invita a ripetere: "Annunziamo la tua morte o Signore, proclamiamo la Tua resurrezione, nell'attesa della Tua venuta". Nel cuore della celebrazione eucaristica la chiesa ci invita ad esprimere la nostra attesa, l'attesa del Signore che viene! Ci invita ogni volta che celebriamo l'Eucarestia - e quindi anche stasera - a guardare lontano, a cercare di traguardare l'ultima tappa del nostro cammino, la meta della nostra strada. Guardiamo laggiù all'orizzonte, lontano non sappiamo quanto... Se anche oggi domandiamo a Gesù: "Quando succederà questo?", Gesù non risponde, ancora una volta: il quando non importa. Il mondo finirà; non sappiamo quando, fra cento anni per noi, che siamo qui stasera, il mondo sarà finito, speriamo che fra cento anni ci sarà ancora tanta gente e spero più buona di noi; ma per noi il mondo sarà finito; eppure fra cento anni noi non incontreremo il nulla, ma Gesù.
Gesù ci viene incontro, viene incontro a ciascuno di noi, viene incontro a questa comunità cristiana che cammina faticosamente su questa terra verso di Lui, aspettando la Sua venuta: il Signore ci aspetta e allora quando guardiamo verso di Lui, la luce di Gesù illumina il nostro cammino, la fatica di essere uomini, le nostre paure... perché il vangelo di oggi non è scritto per mettere paura, ma per mettere dentro la paura degli uomini una certezza, una speranza: la speranza di Gesù, la speranza che nemmeno un capello del nostro capo perirà, la speranza che Dio custodisce la nostra vita.
Nella tormentata storia dell'umanità accadono cose terribili - le vediamo anche oggi intorno a noi - guerre, rivoluzioni, catastrofi, terremoti; gli uomini hanno visto troppe volte in questo un castigo di Dio! Dio non castiga con i terremoti, forse Dio non castiga per niente, ha altri modi per condurci verso di Lui; è il male che c'è nel mondo, è la violenza che c'è intorno a noi che rende difficile il nostro camminare sulla terra.
Avete letto tutti sul giornale dei sei gesuiti uccisi nel Salvador, ma ogni giorno c'è gente che vene uccisa lì e in altre parti del mondo... come fa questa gente a sperare, a camminare ancora, come fa a credere nel bene, nella giustizia?! eppure questo è il compito di ogni uomo, anche il nostro.
Molti di noi, anche i ragazzi che crescono intorno a noi, quando guardano il futuro hanno paura, sentono dentro di sé la domanda: come sarà il domani? cosa succederà? ci sarà ancora giustizia?
Ecco il compito di noi cristiani, di chi celebra l'Eucarestia: è proprio quello di testimoniare alla gente che sta intorno, specialmente ai più giovani, il coraggio della speranza, il coraggio di andare al di là della paura, la fede che noi andiamo verso il Signore Gesù e niente potrà fermare il cammino del mondo finché il Signore non ci verrà incontro! Noi andiamo verso la Sua giustizia, verrà il Suo giorno e brucerà tutto quello che c'è di male, farà risplendere ogni seme di bene, come dice la bella pagina, che abbiamo letto oggi, del profeta Malachia.
Vedete allora, noi siamo qui oggi, convinti che Gesù aveva ragione, che andiamo verso di Lui, faticosamente - perché non è facile, perché la paura l'abbiamo anche noi, perché il domani ci inquieta - convinti che essere Cristiani vuol dire non aver paura, perché c'è Gesù nell'ultimo orizzonte della vita, perché la vita è custodita da Dio! Niente ci può far paura, nemmeno la morte, perché noi sappiamo che al di là c'è il volto di Dio, c'è Gesù che ci aspetta!
1986
Il Vangelo di stasera è stato scritto per la gente che viveva un tempo di grande paura, la guerra devastava la Palestina. Il tempio (le belle pietre di cui ci parla il Vangelo di oggi) è stato definitivamente distrutto, raso al suolo, bruciato.
Per gli Ebrei, come Gesù, il tempio era il centro della nazione, il segno della presenza di Dio. La distruzione del tempio era veramente la fine del mondo. I vecchi romani sanno che, finché ci sarà il Colosseo, ci sarà Roma, finché ci sarà Roma ci sarà il mondo e qualche vecchio romano, che io ho conosciuto, se vedesse distrutto il Colosseo, direbbe: "È la fine del mondo!" Così al tempo di Gesù: pensavano che con la fine del tempio, la fine del mondo stesse per arrivare e raccontavano allora tante cose sulla fine: le stelle che cadevano dal cielo, i draghi che uscivano dal mare il sangue, il fuoco, il fumo che avrebbero riempito la terra. Il Vangelo riprende tutti questi discorsi, ma per ripetere tante volte, come avete ascoltato: "non vi preoccupate, non abbiate paura, neppure un capello del vostro capo verrà distrutto". Nelle tante paure, che anche i credenti si portano dentro, Gesù porta la promessa che Dio brucerà ogni ingiustizia, per far splendere ogni bene; la speranza che alla fine del mondo non ci sarà il nulla, ma ci verrà incontro Lui, troveremo la Sua luce.
Noi siamo qui, aspettando questa venuta del Signore e tentiamo di mostrare che ci crediamo sul serio impegnandoci già noi a bruciare, per quanto possibile, ogni ingiustizia, a costruire giorno per giorno il Regno di Dio, nonostante le difficoltà, le persecuzioni che incontra chi cerca sul serio la verità.
Questo era un discorso importante per i primi cristiani ed è un discorso importante per tutti noi, che viviamo oggi un momento simile a quello, (basta leggere quello che ci succede intorno, basta guardare la gente che cresce) un momento di grande paura, di ansia sconcertante. Sentivo qualche anno fa delle ragazze che dicevano: "Don Checco, non si può mettere al mondo un figlio in un momento come questo": il rifiuto del domani, la paura del futuro.
Ricordate questa estate Chernobyl, si aveva quasi paura di uscire di casa, di andare sulla spiaggia. Queste cose che ci mettono ansia, sono moltiplicate, dai giornali... forse perché a qualcuno fa comodo che noi abbiamo paura. Si diffonde, anche tra i ragazzi, il senso della sfiducia, il senso della stanchezza, avrete sentito qualche volta dire: "che studiamo a fare? tanto non c'è futuro, non si trova lavoro, è duro, forse scoppia la guerra, tutto sarà bruciato".
Succedeva questo anche ai tempi di S.Paolo, tanto che l'apostolo deve dire quella parola severa - la scrive in una sua lettera -: "chi non lavora, non mangi" e forse qualche genitore dovrà ripeterlo al proprio figlio, anche nei nostri giorni.
Un cristiano tenta di non lasciarsi prendere dalla paura, conserva nel cuore la certezza di Gesù e della Sua luce e prova a testimoniarla ogni giorno nella propria vita, continuando a lavorare nel suo ambiente, a costruire quel poco che può di giustizia, di verità, di amore, di tenerezza verso gli altri, di rispetto.
È inutile brontolare se tutto non va; mi colpiva, per farvi un esempio, nei giorni passati andavo passeggiando per la pineta qui dietro, che è splendida - specialmente in questo periodo - ci sono tutti i corbezzoli con i frutti rossi e i fiori bianchi, già sbocciati; una cosa meravigliosa, e ricordavo che pochi andavano a passeggiare, per paura di Chernobyl. I frutti nessuno li raccoglieva, qualcuno non toccava neppure i funghi (ce ne sono parecchi in questo periodo).
La gente non viene in pineta perché ha paura, ma seguita tranquillamente a buttare buste di plastica e rifiuti di ogni genere: una cosa indecorosa. Ma chi sporca? Mica sporcano i russi, sporchiamo noi. E fa più danno alla pineta, infinitamente più danno, tutta quella sporcizia, che le radiazioni venute da là.
E quelle venivano da lontano, ci doveva pensare qualcun altro, è un problema internazionale; riportarsi a casa i piatti, le buste di plastica, dovevamo pensarci noi; "non noi, il Comune" dice qualcuno, forse è giusto che ci pensi anche il Comune. Ma se ci pensassero tutti a non sporcare, non avremmo bisogno di chi pulisce. Basterebbe riportare a casa i sacchetti, basterebbe non buttare i fazzoletti, i pacchetti di sigarette, cucine vecchie, macchine.
Vedete, a volte ci lasciamo prendere dall'ansia e dalla paura per cose lontane o future e non sappiamo conservarci le nostre cose, non sappiamo custodire quello che abbiamo.
Ho fatto solo un esempio, un esempio banale; riuscisse almeno a far buttare qualche sacchetto in meno in pineta... forse potrei dire che la mia predica ha avuto un buon effetto. Ma io spero che alla vostra buona volontà, sia affidata, non la mia parola - che poi si ferma al sacchetto della spazzatura - ma la parola del Signore che è un invito a costruire ogni giorno la vita, a compiere gesti concreti di giustizia, a mettere speranza nel cuore dei vostri figli, continuando a lavorare con onestà, con perseveranza e dedizione.
Insomma dobbiamo essere capaci tutti noi cristiani, che crediamo nel ritorno di Cristo, di dare testimonianza che prendiamo sul serio la vita di ogni giorno, che cerchiamo di fare la nostra terra più bella, più giusta, più amabile, mettendo nella nostra vita tutta quella carica di speranza che viene dalla certezza del ritorno di Gesù.
1989
Ecco, in quest'ultima domenica dell'anno liturgico (perché oggi per la nostra preghiera è l'ultima domenica), la Chiesa ci invita a guardare verso Gesù, ci ripropone questa pagina del Vangelo, un po' il riassunto della Sua vita e anche dell'atteggiamento del credente nei confronti del Signore
Siamo qui per riconoscere in Gesù il nostro Re... un Re strano, ha un trono del tutto insolito: sul suo capo c'è una corona, ma è una corona di spine, eppure noi siamo qui per riconoscere in Lui, il Signore della storia e della nostra vita, anche se tanto spesso ce lo aspettiamo diverso.
Luca vuol farci ritrovare intorno alla Croce per rivivere il momento supremo della vita di Gesù!
Guardate: lontano il popolo, la gente che guarda e tace. Più vicino, i sacerdoti, i capi del popolo, coloro che aspettano il Messia e dicono: "Se Tu sei il Cristo, se Tu sei il Messia, scendi e ti crederemo". Vogliono un segno una prova, che Lui è il Messia.
Sotto la Croce ci sono i soldati, hanno sentito dire che Gesù è il Re e lo prendono in giro: che debbono fare, si può credere a un Re così? "Se sei il Re dei giudei, scendi, e ti crederemo".
Accanto alla croce, anche un uomo, che partecipa della sua stessa ventura, dice la stessa cosa: "Se sei il Messia, salva Te stesso e anche noi".
C'è l'altro, l'altro che riconosce in Gesù, il giusto e semplicemente gli dice: "Gesù, ricordati di me". Avete notato, quest'altro è l'unico che lo chiama per nome, non gli dà un titolo, non gli dice "Tu sei il Re, Tu sei il Messia"; Gesù lo chiama: il nome che gli ha dato Sua Madre, il nome con cui lo si riconosce.
Vedete, il nostro star qui domenica dopo domenica , è tentare di andare al di là dei nostri bisogni dei tanti titoli, con cui pensiamo a Gesù, per arrivare a chiamarLo per nome, a dirGli: "Gesù" e affidare Lui la nostra vita.
Ripercorrete indietro queste domeniche in cui ci siamo trovati qui, a tentare di incontrarci con Lui: quante volte siamo venuti qui con le nostre attese! quante volte anche noi gli abbiamo detto: "Se sei il figlio di Dio, fatti vedere, io ho bisogno di questo, di quest'altro"! Abbiamo a volte bisogno di un po' di tranquillità, di serenità, a volte abbiamo bisogno di una grazia, di qualche cosa che ci preme molto, a volte avevamo bisogno di capire certe cose, a volte pensiamo che Lui sia come un mago che può colmare i nostri bisogni... eppure se noi siamo ancora qui, voi ed io, è perché, domenica dopo domenica, anche noi abbiamo tentato di andare al di là dei nostri titoli, del nostri bisogni, delle nostre richieste, per tentare di chiamarlo per nome, di riconoscere che Lui ha ragione, che Lui ha parole di vita, abbiamo tentato anche noi di dire semplicemente come questo ladrone sulla Croce: "Gesù, ricordati di me".
È questo aver fede, tentare di chiamare Gesù per nome, tentare di riconoscere che Lui ha ragione, tentare di fidarci di Lui: abbiamo cercato di farlo in quest'anno e siamo ancora qui accanto alla Croce a guardare verso di Lui, in parte capendo, in parte no perché siamo povera gente, tentando ancora di affidare a Lui la nostra vita, con le parole semplici di quest'uomo che Gli dice con fiducia e semplicità: "Gesù, tu sei innocente, ricordati di me".
1992
Sarà perché ad un certo punto della vita viene voglia di fare un bilancio, che mi domandavo, preparando poche parole da dirvi in occasione di questa festa, che senso, che importanza hanno avuto nella mia vita gli apostoli Pietro e Paolo. Come io ho vissuto la loro memoria? Come hanno aiutato la mia fede? E credo che questa domanda, essendo molto personale, avrebbe una risposta diversa da ciascuno di voi che siete qui: che cosa hanno rappresentato nella vostra vita questi apostoli? Vi dico quello che è stato per me, brevemente.
Quando io ero ragazzo, ci raccontavano - ma penso sia successo anche a molti di voi che avete i capelli bianchi - molte storie di santi. E i santi erano persone sempre, in tutto, perfette: molti di loro erano santi fin da quando erano bambini. Facevano cose straordinarie, non avevano mai dubbi, non sbagliavano mai: li sentivo molto distanti da me.
Quando ho incominciato a leggere il Vangelo con un po' di attenzione, mi sorprendeva il fatto che Pietro non fosse presentato come un santo: una persona normale, con i suoi dubbi, le sue debolezze, le sue cadute. Vi ricordate? Gesù ad un certo punto lo chiama addirittura satana: "Sta lontano da me, Satana, tu non pensi come Dio, ma come gli uomini". Ricordate? nel cortile del sommo sacerdote per tre volte ha detto di non conoscere Gesù. È la storia di uomini come me, penso come voi. Una storia intessuta di difficoltà, di fatica di credere, di qualche sbaglio, di qualche caduta.
Per me Pietro è stato il simbolo di colui che, nonostante la sua debolezza, non si stanca di cercare il Signore, di continuare ad andare con Lui. Qualche volta si sente addirittura allontanato da Gesù e lui continua ad insistere, a cercarlo, ad andargli dietro con fiducia. Fiducia non tanto nelle proprie forze - sa di essere un pover'uomo - ma fiducia nel Signore. Penso che Pietro mi abbia comunicato un po' di questa fiducia.
La mia esperienza, invece, con l'apostolo Paolo è stata molto diversa: ho sempre visto in lui una persona geniale, una personalità straordinaria e quindi molto lontana da me. Un uomo capace di andare in giro per il mondo e incendiarlo con l'annuncio di Gesù. Un uomo dalle passioni forti, dal carattere possente: molto diverso quindi da com'ero io.
Eppure, sentivo in Paolo una passione straordinaria per Gesù, una passione straordinaria per il bene, per la luce; e soprattutto - la cosa che più mi ha colpito in Paolo - la sua passione per la libertà: il sentirsi libero dalla "legge", dalla "tradizione", libero di vivere fino in fondo la gratuità del rapporto con Dio e con gli uomini. Un uomo che si è sentito superiore ad ogni chiusura di nazionalismo, di egoismo. Un uomo che si è sentito cittadino del mondo.
Penso che Paolo mi abbia comunicato, almeno un po', la sua passione per la libertà, per la vita, per la luce di Gesù.
Un invito, allora, per me e penso anche per voi, a ringraziare il Signore perché ci ha donato questi santi e tante persone che, come loro, hanno fatto arrivare fino a noi l'annuncio di Gesù e la testimonianza della sua vita. Preghiamo anche perché ciascuno di noi sappia continuare questa storia.