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OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 1996-1997 - Vangelo di Marco
State attenti, vegliate, vigilate poiché non sapete 1° dicembre 1996
quando il padrone di casa ritornerà, perché non
giunga all'improvviso, trovandovi addormentati.
Mi colpiva una frase, fra le tante che i genitori e ragazzi hanno preparato per quest'Avvento e che aiuteranno anche noi nel cammino verso Natale: "Sognare è vivere, senza sogni non c'è vita". Ed è giusto: è bella la vita di un uomo se, quando i capelli si fanno bianchi, le ginocchia diventano fiacche, può dire di aver conservato nel cuore i sogni della giovinezza e di averli visti, almeno in parte, realizzati!
E quello che vale per la vita di ogni uomo, vale anche per la vita dell'umanità: è per il coraggio di tanta gente, che prima di noi ha saputo sognare - e cercare e lottare per i propri sogni - che noi possiamo guardare il lungo cammino dell'uomo e rallegrarci per la strada che si è fatta.
Per fare solo un esempio: mi capitava in questi ultimi mesi di avere intorno a me molti amici (non era mai successo nella mia vita) malati di tumore. Ho parlato più volte, all'ospedale o in casa, con persone che avevano questo malanno. Soltanto 15-20 anni fa sarebbero stati discorsi di disperazione. Invece adesso molti di loro sanno di avere un male serio, grave, ma sanno cosa devono fare, sanno le cure che devono affrontare ed hanno, tutti, speranza di guarire. E sarà così, se non per tutti, per la stragrande maggioranza di loro.
Non era così soltanto una ventina d'anni fa. E questo è dovuto alla passione, ai sogni di tanta gente, che ha cercato, che ha studiato, che ha lavorato: il sogno di tanti medici, di tanti scienziati, di tanti studiosi, di guarire i malanni dell'uomo!
Possiamo rallegrarci e i nostri figli ancora di più: perché altri mali saranno vinti dal coraggio di tanta gente, che magari lavora nell'ombra, il cui nome raramente arriva sulle pagine dei giornali... soltanto se prendono un premio Nobel!
A volte, invece, ci illudiamo che altri guai si risolvano facilmente! Ricordate, soltanto un paio di anni fa: sembrava che tutta la storia delle cosiddette "Mani pulite" avrebbe in fretta spazzato via, insieme a tanta parte della classe politica, anche tutta la corruzione, che invade parte della nostra vita economica e sociale.
E non è stato così! Abbiamo pensato che bastasse lo sforzo di qualcuno, di qualche personaggio "mitico", per risolvere problemi che sono di tutti: che hanno bisogno del cuore e della passione di tutti, dei sogni e dell'impegno di tutti! I personaggi mitici spesso si rivelano piccoli piccoli e riconsegnano tutti noi al compito di vigilare, di cercare, di impegnarci.
E poi, non è forse vero che è più facile curare i malanni del corpo dell'uomo che i malanni del suo cuore?
Ma i nostri ragazzi - se ascoltate le parole che hanno preparato per noi - chiedono soprattutto di poter credere - come Martin Luther King - in sogni di giustizia, in sogni di tenerezza, in sogni di amore. E questo dipende dall'impegno, dalla vigilanza, dal coraggio di tutti noi! I ragazzi ci chiedono di poter contare sui sogni che anche noi abbiamo nel cuore, ci chiedono di potersi fidare della nostra onestà, di comunicare loro - è straordinario! - il senso del dovere e della giustizia!
Gesù, nelle parole del Vangelo, ci chiede di vigilare, di non lasciarci prendere dal sonno: è importante per consegnare ai ragazzi, che crescono intorno a noi, la possibilità di credere nel futuro, la possibilità di sognare e di conservare la speranza!
Ecco, fratelli: per questo siamo qui ad aspettare Gesù: perché conservi questi sogni nel nostro cuore e ci renda capaci di renderli concreti, almeno un po', nella vita di ogni giorno. E sarà Natale quando accoglieremo Gesù: Lo sentiremo venire nella nostra vita a condividere i nostri sogni, ad arricchirli, a darci il coraggio di trasmetterli ai nostri figli!
Il Signore ci aiuti!
"Se ne mangerete... diventerete come Dio" Immacolata concezione di Maria - 8 dicembre 1996
Allora Maria disse: "Eccomi, sono la Genesi 3, 1-15 - Luca 1, 26-38
serva del Signore".
"Sognare è vivere. Senza sogni la vita non è bella". Queste frasi ci introducevano, domenica scorsa, nel cammino d'Avvento; ma oggi il contrasto tra la prima Lettura e il Vangelo ci fa riflettere sul fatto che a volte i sogni dell'uomo sono falsi e possono rovinare e corrompere la sua vita.
Avrete notato con quale forza l'antica pagina della Genesi ci mette davanti la tentazione dell'uomo, il suo sogno perverso: il serpente porge il frutto dicendo: "Se lo mangerai diventerai come Dio: sarai il centro di tutto, l'arbitro del bene e del male". Adamo ed Eva si lasciano tentare... pensano di diventare come Dio e si ritrovano piccoli, nudi, impauriti!
Non è il racconto di un fatto accaduto tanto tempo fa, ma un simbolo della vita: c'è nel cuore dell'uomo il tentativo, il sogno di essere come Dio: di essere il centro di tutto. E non è un sogno che riguardi soltanto qualche personaggio della storia - gli antichi imperatori romani che scrivevano tra i loro titoli "Il divino Cesare" - o qualche personaggio della storia più recente, come - che so? - Hitler che pensava di dominare il mondo: è un po' la storia di tutti noi.
Molti di voi ne hanno fatto l'esperienza: un bambino che nasce vuole essere il centro di tutto; e quando lo si trascura appena un po', come sa gridare le sue esigenze! E se vi allontanate un momento da lui, subito si alza la sua vocina, ancora incapace di esprimere parole, ma che sa gridare e imperiosamente richiede accanto a sé la presenza della mamma. Vuole essere il centro di tutto. Ma deve cominciare a combattere contro le pretese a volte forti del papà e della mamma, che lo vorrebbero a propria "immagine e somiglianza".
E quale lacerazione quando nasce un fratellino e non si sente più al centro dell'attenzione! E poi a scuola la voglia di essere primi, o nel gioco la voglia di vincere a qualunque costo.
E, da grandi, la corsa per essere il centro di tutto, per dominare gli altri, per imporre il proprio modo di vedere, il proprio modo di essere, anche all'interno della propria casa. Poi, nel lavoro, la corsa per affermarsi, per far carriera, per guadagnare sempre di più!
Fate però attenzione: arricchire, avere una bella casa o dei bei vestiti, avanzare nella carriera, riuscire nel proprio lavoro, non sono cose cattive. A volte il disprezzo di questi sogni ha dato un'idea sbagliata della religione: quasi che sia fatta soltanto di sacrifici e rinunce, che imponga la negazione di ogni piacere. Non è così! Il benessere, il successo, il piacere fanno parte delle cose positive della vita. Ma non ne possono essere il centro e non si possono raggiungere ad ogni costo, calpestando gli altri. E soprattutto non possono mancare nel cuore dell'uomo i sogni più grandi e importanti: l'amicizia e la tenerezza, la giustizia e la verità, l'amore e la vita condivisa!
Ecco, ciascuno di noi, mentre si avvicina il Natale, guardi un po' nella propria vita: cos'è che la sciupa, cos'è che intristisce i nostri rapporti con gli altri, cosa fa soffrire chi ci sta accanto, quando anche noi tentiamo di dominare sugli altri, di metterci al centro di tutto!
E poi chiediamo a Maria che ci insegni ad accogliere Gesù, a fare spazio, nella nostra vita, alla vita di Gesù, a conservare nel nostro cuore i Suoi sogni, che fanno grande e bella la vita!
Il Signore mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, 15 dicembre1996
a fasciare le piaghe... a proclamare la libertà ai prigionieri.
"Io sono voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del signore".
"Sognare è vivere: senza sogni la vita non è bella". Così cominciavamo il nostro cammino d'Avvento e qualcuno aveva scelto per quella domenica la bella predica di Martin Luther King che comincia: "Io ho un sogno"; la ricchezza, la bellezza dei sogni che quell'uomo si portava nel cuore hanno colpito più d'uno di noi. E poi, domenica scorsa - qualcuno lo ricorderà - nella storia di Adamo ed Eva abbiamo ritrovato i sogni perversi nella vita dell'uomo: il sogno di diventare come Dio, di essere il centro di tutto, di imporre la propria personalità, la propria volontà a chi ci vive accanto.
Ma forse la maggior parte di noi non si ritrova nei grandi sogni della prima domenica, ma nemmeno nei sogni perversi della seconda. Forse il nostro problema è quello della sfiducia: ci sembra di vedere intorno a noi tanto male, nella nostra vita pubblica c'è tanta corruzione, tanta mancanza di giustizia, intorno a noi c'è tanta violenza. I mezzi di comunicazione, che oggi ci mettono in contatto, quasi in tempo reale, con il mondo intero, riversano nei nostri cuori, nei nostri orecchi, nei nostri occhi, valanghe di mali! E tutto questo può suscitare, in molti di noi, un senso di scoraggiamento, di sfiducia profonda.
Ma c'è di più: a volte anche quelli di noi che hanno qualche sogno nel cuore, provano una grande difficoltà a renderlo concreto, a sapere cosa concretamente si può fare perché questo mondo possa fare un passo avanti, magari piccolo, ma che sia concreto, pratico.
E quando, qualche volta, possiamo fare qualche cosa, ci sembra piccola piccola di fronte ai tanti e grandi problemi del mondo; ci sembra come un granellino di senape!
Ma noi siamo qui perché aspettiamo Colui che è venuto proprio a parlarci del "granellino di senape", a insegnarci la fiducia nel piccolo seme! Chi ha letto il Vangelo sa quanto Gesù si è sforzato di portare nel cuore dell'uomo il coraggio del futuro, la forza della speranza. Quante parabole! Il contrasto tra la semina e la mietitura, il piccolo seme che diventa un grande albero, la lucerna che può illuminare tutti, la fiducia nella quiete dopo ogni tempesta!
E a chi gli parlava della difficoltà di rendere concreti i propri sogni, di realizzare la giustizia, ripeteva di non stancarsi di cercare, di pregare, di gridare allo Spirito, per trovare, nel concreto della vita di ogni giorno, il proprio posto, la propria responsabilità; il coraggio di tendere una mano, di fare la carezza che asciuga una lacrima; il coraggio di testimoniare ai bambini la fiducia, la voglia di tenerezza e di pace!
Non aspettiamo "il mago", che risolve i problemi del mondo, ma Gesù che è venuto a metterci la speranza nel cuore, speranza che Lui ha testimoniato con tutta la sua vita. Anche quello che facciamo qui insieme - lo spezzare il pane, segno della vita che si dona - è la Sua risposta alla violenza del mondo: prima di essere inchiodato su una croce, ha preso un pane e lo ha spezzato e ha detto: "Prendete e mangiate!". Nel cuore della nostra fede c'è questo "segno"!
Di fronte alla violenza, al male, abbiamo una sola possibilità: quella di moltiplicare la vita! Anche di fronte al male supremo, anche di fronte alla morte! Ce lo ripetevamo l'altro giorno, al funerale di una giovane mamma! Non abbiamo altro modo di rispondere alla morte, se non quello di moltiplicare la vita, la tenerezza, di moltiplicare il piacere, la gioia di vivere, intorno a noi, nelle piccole cose della vita, nella concretezza della nostra esperienza di ogni giorno!
Quando vedete un'immagine di violenza, quando sentite parlare di un'ingiustizia alla Radio o alla TV, fate una carezza a chi vi sta accanto, mettete un pizzico di giustizia in più nel vostro lavoro, nella vostra vita di ogni giorno. Il coraggio delle piccole cose fa avanzare il mondo verso la Luce che tutti aspettiamo! I sogni diventano concreti con il coraggio di tutti noi.
Gesù viene ad essere uno di noi: a condividere e ad arricchire i nostri sogni! Per questo Lo aspettiamo.
"Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te... 22 dicembre 1996
concepirai un figlio..." "Com'è possibile?!...
Eccomi, avvenga di me quello che hai detto".
È passato in fretta, quest'anno, l'Avvento, un po' più breve del solito. Dopodomani sarà già Natale, ci restano poche ore per prepararci.
Qui, vedete, i segni che hanno arricchito il nostro cammino: i gabbiani, i sogni dei nostri bambini, la loro richiesta di poter ancora sognare, di poter credere nella vita; e le foglie secche, i sogni falsi, che sciupano la vita degli uomini: il sogno di essere come Dio, di essere il centro del mondo; e poi un treno: Gesù è la locomotiva e dietro i vagoni con le speranze dei nostri ragazzi, le speranze che diventino concreti i valori essenziali, che fanno grande e bella la vita; e poi questi pastori: pastori moderni, noi, intorno al presepe.
E sulla culla, al posto della paglia, ancora i gabbiani dei nostri ragazzi; ma ora quella culla aspetta Lui, perché il Natale è Gesù! È Lui che aspettiamo, è Lui che viene!
Attenzione, però: ci conviene gettar via i nostri pregiudizi. La gente d'Israele che aspettava il Figlio di David, il liberatore dai romani, la restaurazione del trono glorioso di cui parla la prima lettura di oggi, non ha saputo riconoscere Gesù.
Non domandiamoci a che serve, che cosa viene a fare Gesù: prima di "fare", Gesù viene ad "essere" con noi! Viene a condividere la nostra vita, viene a camminare con noi.
Lo vedremo bambino, piccolo e inerme in mezzo a noi; Lo ritroveremo ogni volta che ci riuniremo qui insieme la domenica. Lo ritroveremo a condividere con noi la nostra vita di ogni giorno, camminerà con noi per le strade del mondo. Lo sentiremo compagno di strada, sentiremo il suo invito all'amicizia.
Lui viene per essere con noi, per camminare con noi! Viene a condividere i nostri sogni, ad arricchire i nostri sogni! Viene a cercare con noi l'essenziale della nostra vita, a condividere con noi il coraggio della speranza!
E allora stasera ci conviene chiedere allo Spirito di poter avere, come Maria, il senso dello stupore, della meraviglia, della gratuità: soltanto così possiamo celebrare il Natale.
Chiediamo allora allo Spirito che dilati gli spazi del nostro cuore, che faccia tutti noi capaci di accogliere Gesù, di fargli spazio, di accogliere la sua mano tesa, di camminare con Lui, di cercare con Lui la verità, la luce, la giustizia.
Di cercare con Lui che i sogni della nostra vita diventino reali e concreti: Lui viene per condividere i nostri sogni, viene per camminarci accanto, viene per arricchire i nostri sogni!
Allora sapremo anche noi condividere la nostra vita con Gesù!
"...vi annunzio una grande gioia: oggi vi è nato un salvatore, 25 dicembre 1996
che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete
un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia".
Non c'erano certo i gabbiani a Betlemme dov'è nato Gesù, là vicino al deserto; eppure, vedete, il nostro presepe è pieno di gabbiani: sono simboli dei tanti sogni, che i nostri bambini hanno nel cuore e li hanno voluti mettere intorno a Gesù, addirittura al posto della paglia, perché Gesù nasca tra i nostri sogni. I grandi sogni dell'umanità, così bene espressi dalle parole di Martin Luther King: sogni di pace, di giustizia, di fame saziata, di rettitudine.
Ma anche i sogni più piccoli dei nostri bambini: sogni di tenerezza, sogni di una vita serena, il sogno di poter realizzare le loro doti, di poter camminare senza paura per le strade del mondo!
Sì, ci sono anche, lì, le foglie secche: su ogni foglia c'è scritto uno dei sogni che corrompono la vita degli uomini: il sogno della potenza, il sogno dell'uomo di dominare su un altro uomo, il sogno di essere il centro di tutto.
E là, nel concreto della nostra vita, nelle contraddizioni della nostra ventura di uomini, nasce il dono di Dio: il Signore del cielo e della terra, la Luce da cui tutti veniamo, Colui che ha fatto il mondo, viene a condividere la nostra vita!
Anche noi siamo invitati ad ascoltare l'annunzio dell'angelo e ad andare! E anche per noi, un segno: guardate: un piccolo bambino, inerme, indifeso, ci tende le mani. Non è grande e potente, non è un uomo nel pieno della sua forza; non è un mito, non è un eroe. Soltanto un bambino indifeso che tende le mani e ci chiama!
Chissà se, almeno in questo giorno di Natale, tutti noi possiamo buttarci dietro le spalle la voglia di aspettare un eroe, un salvatore, un mito che ci risolva i problemi! Chissà se tutti noi possiamo trovare, in questo giorno di Natale, il coraggio di rimboccarci le maniche: di sentire che è compito di ciascuno di noi trovare il coraggio della speranza, la forza di rendere concreti - per noi e per chi ci sta accanto - i sogni più profondi della vita dell'uomo!
Non abbiamo bisogno di eroi, non abbiamo bisogno di personaggi eccezionali, ma del coraggio e dell'impegno di tutti noi. E Gesù viene per essere uno di noi: un piccolo bambino che vuol crescere e camminare con noi. E con noi cercare e sperare. E con noi condividere la vita, la ventura di essere uomini.
I nostri bambini, vedete, Lo hanno immaginato come una locomotiva, che si tira dietro tanti vagoni, pieni dei loro sogni: i loro palloncini, i loro gabbiani, i loro desideri di vita, le loro speranze. A noi sono affidati, al coraggio della nostra vita. Noi possiamo accogliere le mani tese di Gesù e camminare con Lui! È venuto per condividere la nostra storia, per vivere con noi, per condividere i nostri sogni, per renderli ricchi, per darci il coraggio di renderli concreti con i gesti di ogni giorno!
I nostri bambini hanno diritto a credere alla vita, hanno diritto a sognare ancora: senza sogni la vita non è bella! Ma i sogni debbono essere concreti. Ogni bambino che cresce ha diritto di incontrare qualche persona che gli renda viva, concreta, toccabile la giustizia e la pace, la tenerezza e il rispetto.
Gesù è nato per condividere con noi il cammino della vita, perché sia possibile ai nostri bambini sognare ancora!
Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, 29 dicembre 1996
fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazareth.
Sono passati più di 40 anni da quando cominciavo i miei studi per diventare sacerdote: ritorno a volte a quegli anni lontani per misurare la distanza tra quello che ho studiato su libri e quello che mi hanno insegnato l'esperienza e la vita. Sui libri - specialmente sui libri religiosi - tutto sembra semplice e chiaro, limpido e preciso. Uno dei temi in cui sento di più questa distanza è quello della famiglia.
Sui libri studiavo che la famiglia è una istituzione basata sulla natura: un uomo e una donna si incontrano, si amano, per mettere al mondo dei figlioli, li circondano d'affetto, li educano; i figli crescono nel rispetto e nell'ubbidienza ai genitori.
E questa famiglia, basata sulla natura, viene elevata da Gesù alla dignità di sacramento: il matrimonio è indissolubile, l'amore consacrato da Dio è stabile e fedele. E tutto quello che è al di fuori da queste regole è peccato.
In questi lunghi anni ho avuto la fortuna di incontrare coppie che hanno realizzato l'amore molto più profondamente di come avevo letto sui libri; ho conosciuto degli sposi, ormai alla fine della vita, che erano cresciuti insieme in una intesa sempre più profonda, basata sul rispetto, sulla tenerezza, sulla libertà. Conosco delle coppie che vivono insieme serenamente ormai da molti anni e che avevo sposato con molta trepidazione.
Ma ho anche visto tanti matrimoni falliti: matrimoni di persone che avevo conosciuto all'inizio della loro avventura matrimoniale e che mi sembravano fatti l'uno per l'altra e che si erano sposati con entusiasmo, in chiesa tra canti e suoni; eppure non son riusciti a volersi bene per più di qualche anno!
Ho visto fallire matrimoni benedetti dal Signore e andare avanti matrimoni celebrati soltanto al Comune. Ho visto persone che non avevano affatto celebrato il loro matrimonio, ma che si amavano molto di più di quelli che si erano sposati con tutti i crismi. Ho visto persone che dopo un'esperienza fallita hanno saputo costruire un amore solido e profondo. Ho conosciuto chi per tutta la vita non è riuscito a vivere un amore autentico.
Ho visto gente separarsi e gente che non poteva separarsi e che era costretta a vivere nella stessa casa una specie di inferno! Ho visto anche la fatica di molte coppie nel tentare di amarsi: gli "alti e bassi", a volte sul punto di lasciarsi, a volte ricominciare daccapo, faticosamente.
Ho conosciuto anche chi ha una natura diversa: persone che sono incapaci di avere una relazione con l'altro sesso, ma cercano qualcuno del loro stesso sesso: forse anche loro, al di là delle leggi, avrebbero diritto a volersi bene, a formare una famiglia!
Ho visto figli crescere sani e liberi in famiglie divise; e ho visto tribolare figli in famiglie che sembravano perfette.
La realtà è infinitamente più complessa di quello che è scritto sui libri! La vita va molto al di là delle regole e delle leggi!
È poi veramente naturale che un uomo e una donna vivano insieme per sempre? Nel mondo dei mammiferi, a cui apparteniamo, la coppia stabile e fedele è una rarissima eccezione. Da quando l'evoluzione ha dato alle femmine la possibilità di nutrire i figli con il proprio latte, non c'è più stato bisogno di una coppia fedele. Perché è una gran fatica!... Può essere soltanto una battuta, ma se vi guardate intorno, vedete quanta fatica si fa per vivere in coppia: bisogna trovare due caratteri che vanno d'accordo, bisogna armonizzare idee, sentimenti, scelte, modi di vivere; qualcuno dice che ci vogliono addirittura "geni" che vadano d'accordo.
Ascoltavo una volta alla TV un dibattito al quale partecipava Rita Levi Montalcini; e qualcuno le diceva che in America avevano scoperto il "gene del divorzio"... E lei rideva! Può esistere il gene del divorzio?! "Al più, diceva lei, può esistere il "gene" della fedeltà". È esattamente la stessa cosa: se uno non ha il gene della fedeltà, come fa ad essere fedele ad un'altra persona?
Forse non esiste il gene della fedeltà; ma se avete conosciuto parecchie coppie di sposi, sapete quanta fatica si fa per vivere insieme veramente! In Oriente dicono che scoprire una famiglia in cui ci si vuol bene veramente e totalmente, è il segno più certo della reincarnazione: perché non basta una vita, per conoscere fino in fondo una persona e volerle bene totalmente. Ce ne vogliono almeno due o tre!
Qualcuno di voi si domanderà: "Ma stasera dove vuole andare a parare don Checco?". Stasera volevo soltanto farvi sorridere, altrimenti fate indigestione di prediche, in questi giorni... E dirvi, però, una cosa che a me sembra importante: non servono le regole, non servono le leggi! Non servono le condanne e le scomuniche: è inutile ripetere che il matrimonio è indissolubile. L'amore, quando è vero, è indissolubile di per sé! Ma l'amore vero è una cosa non tanto a buon mercato, nella vita! Dipende da tanti fattori che sarebbe bene conoscere e studiare meglio; forse sarebbe anche opportuno che le famiglie si lasciassero più spesso aiutare da qualcuno al di fuori, che ha competenza, che può aiutare a capire.
E nella vita bisognerebbe essere un po' come Abramo: capace di avventurarsi, di cercare le strade nuove, di trovare l'essenziale, di ricominciare mille volte.
E tutti dovremmo munirci di un grande rispetto per chi fallisce il suo progetto d'amore; è inutile accusare e condannare chi non ci riesce: se si può è meglio dare una mano, invitare a ricominciare, a riprendere la strada, a vivere l'avventura della vita: come si può, giorno per giorno, fedeli a quello che siamo, a chi ci sta intorno, alle venture che ci capitano! Serve molto di più il coraggio di ricominciare ogni giorno - la speranza, la tenerezza, la voglia di andare avanti - che le leggi, che a volte costruiscono soltanto prigioni.
Se qualcuno di voi vive con difficoltà la propria vita matrimoniale, non è certo solo, in questo mondo. E avrebbe bisogno di tutta la tenerezza di chi gli sta intorno. Io non posso darne gran che. Ma farei una carezza soprattutto a chi, oggi, vive con difficoltà il proprio amore. Sappiatelo: non è semplice. E forse siete stati soltanto sfortunati.
Il Signore vi aiuti a credere lo stesso e a camminare nella Sua fiducia!
"Ti benedica il Signore e ti protegga... Il Signore 31 dicembre 1996
rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace".
Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.
Ci ritroviamo intorno all'altare in quest'ultima sera dell'anno per dire il nostro grazie al Signore, come, da tanto tempo, è tradizione dei Cristiani.
Qualche giorno fa pensavo a qualche parola da dire, per aiutare, se possibile, tutti noi a ringraziare il Signore. E mi capitava di parlare con una signora, che diceva: "Anno bisesto, anno funesto. Non vedo l'ora che finisca!". Mi ha colpito, questa frase: come fa quella signora a dire "Grazie!" al Signore, se quest'anno è stato per lei funesto, pieno di tutta una serie di guai?
Dire qui parole che valgano per tutti non solo è difficile, ma proprio impossibile. Ci sono in mezzo a noi persone che hanno trascorso un anno sereno, in buona salute, e persone che invece hanno sofferto o addirittura sono state colpite da una grave malattia. C'è chi, forse, ha trovato lavoro o chi ha avuto successo nel proprio lavoro, e chi, forse, lo ha perso o ha subìto difficoltà ed umiliazioni. Qualcuno che ha trovato il suo amore e qualcuno che l'ha visto fallire. Qualcuno che ha avuto la gioia straordinaria di veder nascere un figlio e qualcuno che, invece, ha assistito alla morte di un figlio o della mamma o del papà!
Il ringraziamento può essere uguale per tutti? Chi ha il cuore che canta, chi ha avuto un anno sereno, colui al quale le cose sono andate bene, non ha difficoltà a trovare parole per dire grazie al Signore. Ma chi si trova nelle condizioni di quella signora, colui al quale l'anno "bisesto" è stato proprio "funesto", che cosa può dire al Signore? Ciascuno di noi deve trovare nel profondo del proprio cuore parole che aiutino a stare qui, a mettersi davanti al Signore.
Voi siete persone sagge; non credo che vi consolino i detti popolari. Per chi ha avuto un anno cattivo, a Napoli si dice: "Stuorta va, ritta vene; sempre stuorta nun po' i". Ma non credo che consoli molto chi ha il cuore appesantito...
E credo che voi non siate nemmeno (qualcuno forse sì) capaci delle grandi parole dei patriarchi: nel libro di Giobbe, il grande paziente dice: "Il Signore ha dato, il Signore ha tolto. Sia benedetto il nome del Signore!". Ma forse bisogna essere come Giobbe, come Abramo, per dire parole del genere. Io le ho sentite dire da qualche "patriarca" che ho avuto la fortuna di incontrare... e venivano dal cuore! Ma forse noi, io almeno, non sarei più capace di dirle.
E di che cosa, allora, soprattutto chi ha il cuore pesante, può ringraziare il Signore? Forse di una cosa: davanti a Dio, la cosa più importante è il bene che si è potuto fare. E se qualcuno di voi ha potuto fare il bene, non soltanto quando le cose andavano bene, ma anche nei momenti di difficoltà; se avete potuto superare il dolore e fare gesti di amore e di servizio verso gli altri, se qualcuno di voi ha potuto asciugare una lacrima, portare un sorriso là dove quest'anno non c'è stata serenità, allora di questo, veramente, si può ringraziare il Signore!
Per il resto, ciascuno di noi trovi le parole per celebrare questa vita: a volte splendida e gioiosa, a volte tormentosa e difficile.
E poi possiamo guardare avanti, al nuovo anno che sta per iniziare e invocare la luce di Gesù! Lo Spirito ci aiuti a conservare nel cuore - come Maria - la memoria viva del Natale che abbiamo appena celebrato, il Natale che quest'anno i nostri bambini hanno arricchito con i loro sogni. Soprattutto ci conservi nel cuore la certezza dell'amore di Dio, la certezza che Gesù condivide il nostro cammino, per illuminare i nostri passi e darci il coraggio di fare il bene e di cercare la pace, in quest'anno che il Signore, ancora, ci mette davanti!
In principio era il Verbo e il Verbo 5 gennaio 1997
era presso Dio e il Verbo era Dio.
Tutti voi ricordate le parole del Vangelo di Luca che leggevamo la notte di Natale: la capanna di Betlemme, Maria e Giuseppe intorno alla culla di Gesù, i pastori, il canto degli Angeli; e molti di voi avranno notato la distanza enorme che c'è fra le semplici parole del Vangelo di Luca e quelle così complesse, così profonde del Vangelo di Giovanni.
Ricordo che, quando mi preparavo per diventare sacerdote, questa è una delle pochissime pagine del Vangelo che ho studiato, con attenzione, anche in latino e in greco; e il nostro insegnante cercava di farci vedere tutta la complessità della cultura, che c'è dietro queste parole: influenze della grande filosofia greca, della antica tradizione di Israele, addirittura del mondo orientale.
Coloro che hanno scritto questa pagina dovevano essere persone di una profonda e vasta cultura, che cercavano di tradurre nel proprio linguaggio, l'esperienza di Gesù, della Sua luce.
Allora mi colpivano le grandi parole della filosofia, che poi, pian piano, sono sfiorite nella mia mente e nella mia esperienza; oggi mi viene invece da pensare alla fatica che devono aver fatto i primi discepoli, la gente semplice del lago di Galilea, ad accettare che si parlasse di Gesù con parole così complesse, che si cambiasse completamente il modo di esprimere la realtà di Gesù! Qualcuno non è riuscito ad accettare: è rimasto legato alle antiche parole. Eppure avevano ragione coloro che tentavano di usare nuove parole: ognuno ha diritto di parlare di Gesù con gli strumenti della propria cultura e della propria esperienza. Si poneva, per loro, il problema della Chiesa di sempre. C'è stato, in tutto il corso di questi lunghi anni, chi tentava di dire con parole nuove, con parole diverse, la propria fede e chi tentava di impedirlo, perché rimaneva legato alla tradizione, alle antiche parole, a quello che s'era sempre detto.
Forse qualcuno lo ricorderà: qualche anno fa, addirittura, pregavamo ancora in latino. E c'è chi è rimasto profondamente sconcertato quando si è cominciato a pregare in italiano; ed anche oggi c'è chi si sconcerta di fronte ad ogni cambiamento del linguaggio, del modo di parlare, di cantare.
È l'antico problema e c'è gente che pensa di difendere la fede, la tradizione; e non si rende conto che difende soltanto una cultura, un modo di parlare. E spesso credono di essere in tanti e non si accorgono di essere ormai in pochi: una piccola chiesuola, che difende cose che non esistono più, che la maggior parte della gente non sente più!
Ogni generazione ha diritto di esprimere la fede con le proprie parole, con il proprio modo di sentire, con la propria cultura.
Tutti hanno diritto ad esprimere la propria fede con le loro parole, con quello che sentono nel cuore. E ne hanno diritto i vostri bimbi, ne hanno diritto i giovani che ci crescono intorno. E se nel presepe quest'anno ci sono i gabbiani dei nostri bambini, dobbiamo cantare la nostra gioia, perché esprimono la loro fede attraverso i loro simboli, attraverso le loro parole. Ed è così, che sentono Gesù che nasce nella loro vita!
Perché, questo è importante! Non è importante la lingua, non è importante la cultura, non è importante il modo di esprimersi: queste son cose che cambiano e passano; e ciascuno di noi ha diritto di conservare la propria cultura, il proprio linguaggio. Ma Gesù è lo stesso per tutti! La Sua luce è quello che conta; e ciascuno di noi ha diritto di tentare di esprimerlo con le proprie parole. Sempre attenti ai più piccoli, alla gente che cresce. Perché se a loro non comunichiamo la gioia di Gesù nella loro cultura, nelle loro parole, commettiamo il crimine più grave che possa commettere un credente: impedire ad un bambino di credere, soltanto perché abbiamo voluto difendere il nostro modo di parlare, la nostra lingua, le nostre immagini!
Bene ha fatto chi ha scritto queste parole: parole difficili, che a molti di voi, come a me, dicono ormai poco. Ma per chi le ha scritte erano importantissime, perché attraverso queste parole esprimevano la loro fede! E avevano tutto il diritto di farlo. E bene hanno fatto, i primi Cristiani, ad accoglierle queste parole, a farle loro. Poi muoiono? finiscono? Nessun problema: se ne dicono di nuove, si parla di Gesù con altre parole. Perché importante è Lui, non le parole che usiamo per esprimere la Sua realtà.
Il Signore ci aiuti a credere in Lui!
Al vedere la stella, i Magi provarono una grandissima gioia. 6 gennaio 1997
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre;
e prostratisi lo adorarono.
Quante volte lo avranno detto ai Magi e a tutti coloro che, come i Magi, in ogni angolo della terra hanno inseguito una stella, hanno inseguito un sogno, hanno cercato la luce! Quante volte avranno detto loro: "Dove andate? Cosa pensate di trovare? Non vi accorgete che state inseguendo delle chimere? Non vi accorgete che sono soltanto dei sogni?".
E non si sono fermati, i Magi; non si sono fermate tante persone in ogni angolo della terra! Hanno continuato a cercare la luce, hanno continuato ad inseguire i sogni.
Non si sono fermati, i Magi, nonostante le difficoltà del viaggio: vengono da molto lontano. E non si sono fermati nemmeno di fronte alla violenza di Erode, di fronte agli inganni e ai sotterfugi del Potente.
Non si sono fermati nemmeno di fronte al rumore della folla, al chiasso della gente che si agita, ma è incapace di muoversi. Non si sono fermati nemmeno di fronte a quelli che sanno tutto, ai sommi Sacerdoti, ai sapienti, sicuri della tradizione: sanno dove deve nascere il Messia, ma non si muovono, non cercano più.
Non si sono fermati nemmeno quando a loro è sembrato che la luce, che avevano visto sorgere, si fosse spenta: là, nel rumore della città, di fronte alla violenza del Potente, di fronte all'inganno, di fronte a coloro che sanno tutto, la luce sembra spegnersi! Ma loro hanno cercato ancora.
E finalmente, con "grandissima gioia", hanno trovato Gesù! Hanno scoperto in Lui il dono di Dio, la luce che può illuminare i loro passi, che può confermare i loro sogni!
La storia dei Magi non è storia di gente vissuta tanto tempo fa: può essere anche la nostra storia. Ogni credente non può che essere un inseguitore di sogni, un cercatore di luce. Ci spinge lo Spirito di Dio! Ma quest'anno ci spingono anche i nostri bambini: hanno riempito di gabbiani il nostro presepe: i loro sogni!
Ecco, in quest'anno che ci sta davanti, è importante che ciascuno di noi insegua i sogni che si porta nel cuore: sogni di giustizia, di verità; sogni di pace, di tenerezza! È importante che tentiamo di renderli concreti. Gesù ha scelto di condividere la nostra vita, ha scelto di essere la nostra luce, ha scelto di camminare con noi!
Portiamoci nel cuore, allora, in quest'anno che ci sta davanti, tutta la gioia del Natale: la certezza che Dio cammina con noi! E cerchiamo ancora di inseguire la luce, di inseguire i nostri sogni, di renderli un po' concreti nella nostra vita di ogni giorno.
Ne abbiamo diritto tutti, ne hanno diritto i nostri bambini. Hanno diritto al nostro coraggio, alla nostra speranza! Hanno diritto a che ogni uomo che incontrano sia un po' come i Magi: un cercatore di luce!
Il Signore ci aiuti!
Giovanni predicava: "Io vi ho battezzati con acqua, 12 gennaio 1997
ma Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo".
"Io vi battezzo con l'acqua - dice Giovanni - ma Lui vi battezzerà con lo Spirito Santo". Ad ascoltare alcuni studiosi del Vangelo c'è in queste parole il sogno dei primi Cristiani: di buttarsi dietro le spalle i riti, le tradizioni, i segni, così comuni in tutte le religioni, per vivere la fede in Gesù, nella libertà, nella gratuità, animati dallo Spirito di Dio!.
Ho cercato di conservare nel mio cuore questo sogno, ma ho dovuto costatare, nel lungo cammino della mia esperienza di credente, tutta la sua difficoltà.
Sapete qual è la prima domanda che spesso ci sentiamo fare da chi viene a chiedere un Sacramento?: "Quanto costa?" Sin da quando ero giovane prete ho sentito polemiche sulle spese che occorre sostenere per sposarsi in chiesa: si deve pagare per gli addobbi, per i fiori, per l'organo, il cantore... A volte sono centinaia e centinaia di migliaia di lire... molti brontolano, protestano; ma poi tutti vogliono dei servizi e son disposti a pagare... e Gesù, i suoi valori, sembrano appartenere ad un altro pianeta.
E c'è di peggio: a volte questa ricerca di esteriorità riguarda anche i bambini; quando si avvicinano alla prima Comunione, nonostante tutti gli sforzi delle nostre catechiste, le famiglie sembrano spesso più preoccupate dei regali, dei vestiti, della festa, che dell'incontro con Gesù!
Ma non è questa la cosa più importante: quando si domanda a dei genitori perché battezzano il bambino o a dei giovani perché sposano in Chiesa, spesso parlano di tradizione, di abitudini, di cose che si fanno perché si son sempre fatte, senza cercare di coglierne il senso profondo.
E non basta: c'è chi pensa che il Sacramento rende "diversi": un tempo si diceva che i bambini non battezzati andavano al Limbo se non proprio all'inferno, alcuni pensano che un amore se non è "consacrato" in Chiesa, non è vero amore. Forse si può consigliare ai nonni di non insistere perché un bambino venga battezzato o i giovani si sposino in Chiesa, ma di tentare invece di testimoniare che Dio vuol bene a quel bambino come a tutti i bambini del mondo: battezzato o non battezzato, davanti a Dio è lo stesso; di testimoniare che quello che conta nella vita di coppia non sono i riti che la sanciscono, ma l'amore che la anima.
Ma c'è di peggio: qualche giorno fà mi capitava di parlare con una signora che diceva: "Vorrei che fosse battezzato il mio bambino, perché noi siamo abituati a non portare fuori di casa un neonato, se prima non riceve il battesimo. Altrimenti, chissà cosa gli può succedere!". Ed ecco che allora, quello che dovrebbe essere un segno dell'amore di Dio diventa un segno della paura di Dio: della paura che Dio mandi un castigo, che succeda qualcosa di male!
Il sogno dei primi cristiani era di buttarsi dietro le spalle le tradizioni, le abitudini, le regole, le intolleranze, le paure, per cercare Dio nella luce, nella gratuità, nella libertà, per tentare di seguire Gesù e i suoi valori.
Ho cercato di conservare nel cuore questo sogno, forse sarebbe bene che tutti lo portassimo nel cuore: Gesù non è venuto a battezzarci con l'acqua, ma con lo Spirito Santo.
Il Signore ci aiuti a capirlo, almeno un po'!
Giovanni, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: 19 gennaio 1997
"Ecco l'agnello di Dio!" E i due discepoli seguirono Gesù.
Andrea incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse:
"Abbiamo trovato il Messia" e lo condusse da Gesù.
Ieri tornava un amico da terre lontane e portava con sé delle fotografie: la fotografia di una tomba, piccola, semplice: la tomba di don Nino Miraldi. Nel lontano Brasile, fra i suoi poveri, c'è la sua tomba: è quello che ci rimane di lui! Lui è stato per me Giovanni, Andrea; e se siete qui stasera, tutti voi avete avuto un Giovanni, un Andrea, che vi ha indicato Gesù, che ve Lo ha fatto conoscere.
Per me, la persona forse più importante è stato proprio lui, Nino. Era il 1950: ero poco più che un bambino (facevo la terza media) e l'ho incontrato per la prima volta. Studiava medicina, allora; e veniva dai quartieri "nobili" di Roma, da Prati, a Trastevere per fare catechismo a noi ragazzotti sprovveduti.
Lui mi ha messo nel cuore il desiderio di conoscere Gesù, di cercare la Sua luce; mi ha messo nel cuore la voglia di cercare l'essenziale della Parola di Gesù, al di là delle regole, delle tradizioni; di scoprire in Gesù i valori che veramente contano, che fanno grande e bella la vita! E mi ha messo nel cuore la passione per la vita della Chiesa, la voglia del servizio verso gli altri.
Lui mi ha quasi preso per mano e mi ha portato a conoscere il Signore. E lui - è una cosa strana e forse per questo vi faccio questo discorso, stasera - come ha fatto Gesù con Simone, anche a me ha cambiato il nome. Nella mia famiglia tutti mi chiamano Francesco; qualche volta qualcuno dei miei parenti telefona in parrocchia cercando "don Francesco"; e gli dicono: "Ha sbagliato parrocchia".
Perché dai tempi di Nino, nella vita della Chiesa - non nella famiglia dove sono nato - tutti mi chiamano Checco. "Checco" è stato il mio nome di prete, il nome che mi ha accompagnato nella mia ventura di cercare Gesù, di testimoniare la Sua parola in mezzo alla gente, di mettermi al servizio degli altri.
Certo, la mia vita se non avessi incontrato Nino, sarebbe stata diversa: allora, tanto tempo fa, lui ha cambiato il corso dei miei giorni; ma io ho avuto la fortuna di incontrare lui e, attraverso lui, di incontrare Gesù!
E quando guardo indietro tutti questi anni e quello che ho potuto fare a servizio della gente - poca cosa per gli altri, perché quello che ho ricevuto è molto di più di quello che ho dato - scopro che la mia vita è stata pienamente arricchita dall'incontro con Gesù, dal tentativo di mettermi a servizio della gente, di camminare alla ricerca della luce!
E questo lo devo ad una persona che tanto tempo fa, come ha fatto Giovanni per gli apostoli, come ha fatto Andrea per suo fratello, mi ha detto: "Vieni! Ti faccio conoscere Gesù! Ti faccio cercare Lui, la Sua luce!".
Quando Nino se n'è andato via da Roma, dopo essere diventato prete, per andare laggiù, fra i poveri della periferia di Rio de Janeiro, l'ho sentito come un tradimento! Aveva ragione lui! Faceva bene ad andare lontano, a seguire la sua chiamata!
Io son rimasto qui... Ma conservo nel cuore la cosa più preziosa che Nino mi ha lasciato: il desiderio di incontrare Gesù, di cercare Lui e la Sua luce! Devo a Nino se ho potuto scoprire Gesù, i Suoi valori più profondi ed autentici, al di là di tutte le regole, di tutte le leggi, di tutti i sensi di colpa, di tutta la tradizione, di cui spesso si nutre la nostra avventura cattolica.
Credo che anche voi abbiate avuto la fortuna di incontrare qualcuno, che vi ha fatto conoscere Gesù veramente! Altrimenti, non saremmo qui. È una grande fortuna: penso che siate d'accordo con me: Gesù ha veramente arricchito la nostra vita!
E allora, dobbiamo ringraziare Lui per primo, ma anche tutti quelli che ce Lo hanno fatto conoscere!
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea e 26 gennaio 1997
disse loro: "Seguitemi...". E subito, lasciate le reti,
lo seguirono... un poco oltre vide Giacomo e Giovanni...
li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedeo, lo seguirono.
"La fede è un dono": è una frase che tutti voi, penso, avete ascoltato decine di volte, forse accompagnata da molte domande: "Se la fede è un dono, uno ce l'ha o non ce l'ha e quale merito ha chi crede? E che colpa ha chi non crede? E se è un dono, la fede non è una ricerca personale!".
E si rischia di non capire... Vedete, voi siete abituati ai doni: ne avete ricevuti qualche volta, più preziosi - che so?- un gioiello, un orologio o un elettrodomestico, oppure più semplici: un libro, un mazzo di fiori. Oppure, doni ne avete fatti, qualche volta sentendone l'obbligo. I nonni sanno che, se si sposa un nipote, bisogna fare un dono e anche di valore.
È vero che qualche volta i doni bisogna anche meritarseli: quando eravamo bambini ci dicevano che la "befana" (per noi, a Roma, era lei a portare i doni), portava i doni solo ai bambini buoni, a chi se lo era meritato. Poi, quando siamo cresciuti, ci hanno detto che qualche volta i doni bisogna farli per ingraziarsi gli altri, per ottenere qualche favore in cambio.
Ma se pensiamo di parlare della fede in questi termini, non capiamo niente. Noi non siamo abituati a parlare di "dono", riferendoci a "persone". Il giorno delle nozze gli sposi vi portano a vedere tutti i doni che hanno ricevuto; ma, nessuno vi dice, mostrandovi la moglie (oppure la moglie mostrandovi il marito): "Questo è il dono più prezioso che io ho ricevuto!" Eppure, se ci pensate, il dono più prezioso è proprio "lui" o "lei"!
Voi - molti di voi - avete avuto la fortuna di vivere un rapporto di amore; e anche un rapporto di amore serio, profondo, che è durato a lungo. (Chi non ha avuto questa fortuna, porti pazienza!). Chi ha avuto questa fortuna, sa che la persona che ha accanto, con cui ha condiviso la vita - a volte non senza difficoltà, superando incomprensioni e tensioni - è stato veramente il dono che ha riempito e arricchito la propria vita. La storia, la natura, la vita (chiamatelo come volete) o, se siete credenti, Dio, vi ha fatto il dono straordinario di farvi incontrare quella persona che è stata la ricchezza della vostra vita!
È lui, o lei, il dono radicale: voi non l'avete costruito, non l'avete fabbricato... (Spero che non abbiate nemmeno tentato di cambiarlo troppo!...) Un giorno ve lo siete trovato accanto quasi per caso, lo avete incontrato sui banchi di scuola o ad una gita o ad una festa da ballo. E poi, certo, è stato l'avventura e, a volte, la fatica di conoscersi, di smussare i caratteri, di condividere la vita, di mettere in comune tutto quello che si è: la ricerca dei valori da mettere insieme, la voglia di camminare insieme! Ma tutto è cominciato da lì: dall'aver avuto la fortuna di incontrare l'altra persona!
È quello che esprime lo strano racconto che abbiamo appena ascoltato oggi: Gesù passa lungo la riva del mare, incontra delle persone che, a leggere il Vangelo di Marco, non ha mai visto: "Venite con me". E quelli lasciano tutto e Lo seguono. Son pazzi! Vanno dietro al primo che passa...
I discepoli esprimono l'esperienza fondamentale della loro vita: "Gesù ha attraversato la nostra strada! Lo abbiamo incontrato, ci ha chiamati! È stata la nostra ricchezza, la nostra fortuna!"
Poi, certo, hanno fatto la fatica - ed è durata per tutta la vita - di conoscere Gesù, di capirLo, di andarGli dietro, di cercare i Suoi valori!
Anche noi, se siamo qui abbiamo avuto la fortuna di incontrare una volta Gesù: di trovare in Lui la luce, di sentirci chiamati da Lui! È Lui il "dono" della nostra vita! E poi... l'avventura, l'impegno, per cercare di conoscerLo, per scoprire i valori che si porta dentro, per tentare di rendere concreta la Sua parola nella nostra vita di ogni giorno!
Ecco, in questo senso la fede è "un dono": è un rapporto da persona a persona! Come i rapporti di amore che avete, così è il nostro rapporto con Gesù: l'incontro con una "persona", di cui tentiamo di scoprire il cuore, con cui tentiamo di camminare!
...portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo Presentazione del Signore - 2 febbraio 1997
al Signore. Simeone... prese il bambino Gesù Luca 2, 22-40
fra le braccia e benedisse Dio: "...i miei
occhi hanno visto la tua salvezza, luce per
illuminare le genti e gloria del tuo popolo".
Come avete capito dal Vangelo che ho appena letto, celebriamo la festa della presentazione di Gesù al Tempio: Simeone Lo proclama "Luce del mondo". Voi tutti conoscete questa festa come la festa della "candelora". E credo che tutti voi - almeno i più anziani - avrete, qualche volta, portato a casa la candelina benedetta il 2 febbraio: i nostri vecchi dicevano che bisognava accenderla, chi quando uno era malato, chi quando scoppiava il temporale, chi in punto di morte, chi per proteggersi la gola: tante forme della nostra tradizione popolare.
Quando ero giovane prete, rimanevo colpito da queste forme di devozione e mi chiedevo perché la gente avesse tanto bisogno di questi "segni". Tante volte abbiamo scherzato, in questa parrocchia, sulla folla che c'è il giorno delle "palme": sulla lotta che, a volte, si accende per arraffare un rametto di palma; tanto che, negli ultimi anni, per risolvere il problema abbiamo dovuto portare quintali di rami d'ulivo, in modo che ce ne fossero in abbondanza per tutti e non si litigasse per portarne a casa un rametto...
Perché tutto questo? Da dove viene questo bisogno? Perché la gente ha bisogno di toccare con mano qualche cosa, che sia come un segno della protezione del Signore? Perché è così difficile andare al di là dell'oggetto per cogliere i grandi simboli della nostra fede?
Vedete, non è un fatto recente: era così anche ai tempi antichi. È così anche nell'episodio che abbiamo ascoltato: non c'era nessun accenno, al tempo di Gesù, quando si portava il primogenito al Tempio, alla grande storia di Abramo, che mi permetterete di non commentare, perché fra due domeniche sarà già Quaresima e stiamo già pensando a come rivivere, quest'anno, i grandi segni, le grandi storie dell'Antico Testamento: allora ritroveremo anche la storia di Abramo e la sentiremo come uno dei simboli più profondi della nostra fede!
Ma avete sentito com'era ridotta al tempo di Gesù?! Si portava il bambino al Tempio per "purificarsi", si offrivano un paio di tortore o di colombi (se uno era più ricco ci voleva però un agnellotto); si ritornava a casa con la benedizione. I preti erano contenti perché avevano guadagnato un agnellotto; loro avevano la benedizione del Signore. Tutto a posto, tutto in ordine. Gesù ha tentato di spazzar via tutto questo... non c'è riuscito neanche Lui. Perché è difficile!
Ma perché è così difficile? Ve lo siete mai chiesto? Vedete, conservare nel cuore i grandi segni della fede significa pensare, cercare, sforzarsi, nella vita di ogni giorno, di portare avanti qualche cosa del progetto di Dio! E questo è faticoso. Meglio una candela, meglio un segno: abbiamo la benedizione del Signore, a casa portiamo un segno della sua protezione, ci sentiamo cristiani a buon mercato, senza il bisogno di sforzarci troppo. Dietro la porta di molte case c'era un tempo, adesso forse non più, un rametto di palma. Si sentivano bravi cattolici, si sentivano protetti dal Signore... tutto a posto! Quel ramo è un segno di pace, esige gesti concreti di pace... e costa tanto cercarla ogni giorno: è più semplice avere un rametto d'ulivo! Perché pensare è faticoso, perché cercare è difficile, perché comporta l'impegno della vita!
Ma ci avete pensato mai? Così facendo si paga un prezzo, il prezzo più alto e più grave che l'uomo possa pagare: è il prezzo della propria libertà, della propria dignità, del diritto di pensare con la propria testa! E tutti i potenti della terra han sempre cercato questo: che gli uomini non pensino! Son così i potenti di tutti i tempi: han sempre voluto che i loro sudditi portino le loro divise, che si mettano i loro distintivi. Anche oggi i potenti, anche nel nostro paese, hanno bisogno di "corti" intorno a loro: che magari si vestano alla stessa maniera, che leggano gli stessi giornali, che si sentano sudditi contenti di appartenere al gregge del capo, contenti di essere da lui protetti e guidati... e che non pensino, e non cerchino!
E non crediate che gli uomini religiosi non siano fra i potenti della terra... Anche loro vogliono che non pensiate! Per questo vi consegnano una candela; ma non vi invitano a cercare la luce di Gesù! La luce ce l'hanno loro: basta pensare come loro. A voi basta una benedizione, un segno di croce, qualche cosa da toccare con mano perché vi sentiate benedetti da Dio! E perché non pensiate, perché non cerchiate, perché non siate voi stessi, perché non andiate dove vi porta il vostro cuore e la vostra mente! Non è stato spesso ridotto a rito, a obbligo esteriore, anche il Segno più grande che Gesù ci ha lasciato: l'Eucarestia? Il segno del dono totale, della vita condivisa non si riduce a volte a rito vuoto, quando non addirittura a strumento per manifestare il potere o per far soldi?!
Il segno esteriore... Il Signore ha affidato nelle nostre mani grandi simboli! Non ci sarà, in chiesa una candela da portare a casa: se vorrete, la troveremo qui la notte di Pasqua. E non la porteremo a casa come un segno di protezione del Signore: la lasceremo, intorno al grande Cero di Pasqua; sarà il simbolo della nostra passione per la ricerca della luce, del nostro desiderio di cercare Gesù, di portare intorno a noi la forza della Resurrezione! Perché questo è il senso della nostra fede: non un distintivo, che ci faccia sentire cattolici a buon mercato, non un segno della protezione di Dio... ma la passione della nostra vita nel cercare con tutto il cuore la luce del Signore, per portare un riflesso di Lui nella vita di ogni giorno. Questo è essere Cristiani! E questo i potenti della terra - anche i potenti della nostra religione - non lo vogliono.
La suocera di Simone era a letto con la febbre... Gesù 9 febbraio 1997
la sollevò, prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa
si mise a servirli. Al mattino Gesù si alzò quando ancora
era buio e uscito di casa si ritirò in un luogo deserto: e là pregava.
Quante volte i discepoli devono aver visto Gesù all'improvviso andar via, lasciare tutti, ritirarsi in un luogo deserto, in disparte, da solo, a cercare il suo Dio, a parlare con il Padre! E non soltanto nei momenti in cui le cose andavano male, ma anche quando tutto sembrava prendere il verso giusto, la sua predicazione sembrava aver successo.
Lo vedevano lasciar tutti e andarsene da solo. E qualche volta, pressati dalla gente, lo avranno cercato, lo avranno trovato dopo la sua preghiera, il volto disteso, rasserenato, quasi trasfigurato. E gli dicevano: "Tutti ti cercano! Vieni, c'è la gente!". E Lui, con il volto dolce ma deciso: "Andiamocene! Andiamo da un'altra parte: dobbiamo portare anche là il nostro messaggio".
Quanta fatica avranno fatto i discepoli a capire perché se ne andava, perché non rimaneva là, perché non accettava tutta quella gente che lo cercava, perché non gradiva l'entusiasmo della folla. Poi pian piano hanno capito. Hanno capito che quello che corrompe l'uomo, spesso, è la ricerca del successo, la volontà di apparire, di mostrarsi, la ricerca dell'applauso. Marco ne ha fatto l'ossessione del suo Vangelo: quasi in ogni pagina mette l'accento sul bisogno di "andar lontano dalla folla", di rifuggire dall'applauso della gente, dalla ricerca del successo.
Credo che sia importante per noi riconsiderare questo aspetto del Vangelo e della personalità di Gesù. Noi viviamo in un mondo in cui tutto sembra volto all'apparire, alla ricerca dell'applauso, dominato dall'affanno del successo! Fa così l'autorità della Chiesa, fanno così i politici, i magistrati, ma anche gli scrittori o gli scienziati o gli artigiani, fa così tanta gente.
Voi - la stragrande maggioranza di voi - direte: "Ma noi siamo diversi, noi non cerchiamo di apparire. Noi siamo gente che vive la propria vita di ogni giorno". Ma anche noi, tutti, me compreso, rischiamo di essere condizionati da questo mondo, in cui tutti vogliono "mostrarsi"; in cui si rischia di giudicare la gente da come appare.
Non cercate la gente che si mostra sempre in TV, per giudicare il mondo! Ritroviamo - tutti - la voglia di guardarci intorno, di riscoprire attorno a noi la gente di tutti i giorni, le tante "suocere di Pietro" capaci di alzarsi per servire, per mettere la propria vita a disposizione degli altri: con fedeltà, con semplicità, con il coraggio del proprio dovere di ogni giorno!
Sarebbe importante che in questo nostro paese tutti circondassimo di onore, di rispetto, di attenzione chi svolge il proprio compito ogni giorno con fedeltà, con onestà, con coraggio; chi non ha bisogno di apparire, di mostrarsi, di farsi sempre vedere; chi non cerca l'applauso della gente. Non è l'applauso il criterio della vita dell'uomo! Non è nemmeno il successo.
Il criterio della vita dovrebbe essere l'onestà, il senso della giustizia, la dedizione agli altri, la vita condivisa! E ce n'è tanta di gente che fa così! E rischiamo di trascurarla, quando giudichiamo il mondo e allora ci guardiamo intorno con occhi sgomenti, perdiamo fiducia nella vita, non capiamo più dov'è la gente che veramente vale, intorno a noi.
Il Signore ci aiuti!
Dio disse: "Il mio arco pongo sulle nubi ed 16 febbraio 1997
esso sarà il segno dell'alleanza tra me e la terra".
Gesù diceva: "Il tempo è compiuto. Convertitevi e credete al Vangelo".
Come avrete visto da questo grande arco che attraversa la nostra chiesa, quest'anno l'attenzione - in questa Quaresima - cercheremo di porla più che sul Vangelo sulla prima lettura. Oggi proprio la prima lettura, come avete sentito, ci ha suggerito l'idea di quest'arco, che è un po' il simbolo del patto di alleanza tra Dio e Noè. E vorremo allora, in questa Quaresima, ripercorrere, quasi rivivere, l'antico concetto di "alleanza": questa antica idea, così importante nella nostra vita di credenti, eppure, a volte, così trascurata: voi sapete che nel cuore dell'Eucarestia, quando io alzo il calice, dico: "Questo è il calice della nuova ed eterna alleanza".
Alleanza è una parola che ha sapore antico; ma, come per le parole che hanno sapore antico, noi possiamo metterci qualche cosa della nostra vita di ogni giorno. Per gli antichi, l'alleanza era l'impegno che due persone prendevano l'una con l'altra, un patto che stringevano fra loro. E si basava sulla fiducia dell'uno verso l'altro, sull'impegno che l'uno verso l'altro prendeva, sulla ricerca di qualche cosa da avere in comune e condividere, sul desiderio di conservare la pace.
Ma l'alleanza esprimeva per loro anche lo stupore, la gioia dell'incontro, la festa perché si decideva di camminare insieme, di accogliersi, di rispettarsi nel profondo! Ed è anche questo che vorremmo, in questa Quaresima, ritrovare nella nostra vita. Lo vedrete nelle domeniche seguenti: considereremo il recuperare - se volete, il ristabilire, il rinnovare, il riscoprire... trovate voi le parole che più vi serviranno in questo cammino - l'alleanza con gli altri, l'alleanza con la legge, l'alleanza con la storia, l'alleanza con Dio!
Ma oggi, prendendo lo spunto dalla prima lettura, ci sembrava giusto cominciare dall'alleanza con la natura. E mi permetterete, in tutte queste domeniche - perché fa un po' parte di quello che io ho capito della mia fede - di non partire dall'impegno, dal proporvi comandamenti, ma dal rinnovare lo stupore.
Guardate quest'arco: avete visto qualche volta uno splendido arcobaleno nella natura? Abbiamo ancora occhi per guardare intorno a noi la bellezza del cielo, lo splendore del mare, gli alberi, la straordinaria varietà di questa natura? I nostri bimbi, abituati alla TV, a tanti strumenti moderni, sanno ancora stupirsi di fronte allo splendore del creato?
E noi tutti ci sforziamo di comunicare questo splendore? E prima di comunicarlo, ce l'abbiamo dentro? Abbiamo ancora la capacità di stupirci di fronte ad un fiore che sboccia, di fronte ad una foglia che si schiude?
Ecco: se conserviamo questo stupore, questa meraviglia, allora sentiremo l'impegno, l'esigenza di conservarla questa natura, di proteggerla, di custodirla, con tenerezza, con affetto. Anche nelle piccole cose di ogni giorno: noi sentiamo tanti appelli ripetuti alla TV - "Attenti a non produrre troppi rifiuti! Attenti a non buttare le buste di plastica per la strada, perché poi magari volano nel mare! Attenti a non rovinare la pineta!" - Sentiamo tanti avvisi, tante prediche, tanti consigli...Ma è importante che ciascuno di noi trovi, in questo cammino di Quaresima, qualche cosa di concreto che possa fare - proprio lui - per conservare questa natura, per insegnare ai piccoli a difenderla, a custodirla!
Noi non possiamo fare grandi cose; forse non possiamo difendere le foreste tropicali (anche se è giusto che qualcuno di voi, avendone la possibilità, si impegni anche per cose lontane); ma le piccole cose di ogni giorno, sì! Fare attenzione a non sporcare di più questa nostra città, a custodire questa splendida pineta che Dio ci ha regalato qui ad Ostia, a non sporcare troppo il mare di cui possiamo tutti godere. E questo può essere il primo degli impegni di questo nostro cammino quaresimale, verso la Pasqua!
Non pensiate che queste cose non c'entrino con la nostra fede: Dio ha fatto un patto con Noè, il patto che la natura rimanga sempre la natura!. Per millenni la natura è stata la natura e gli uomini hanno potuto stupirsi! Adesso la natura comincia ad essere sempre più nelle nostre mani: affidata al nostro coraggio di uomini. Bisogna che ci riconciliamo con il mondo che ci sta intorno! bisogna che facciamo pace con la natura! bisogna che siamo capaci di rispettarla veramente
Ma, prima di rispettarla, è importantissimo che tutti noi conserviamo nel cuore la meraviglia, lo stupore: al mattino guardare il sole e conservare lo stupore del sole, che ancora illumina la terra, che ancora ci riscalda!
Domani, per i bambini, qualcuno leggerà il "cantico delle creature" di san Francesco; leggetelo anche voi, come inizio di questa nostra Quaresima. Il primo passo dell'alleanza: fare alleanza con il mondo che ci sta intorno e con la natura! E poi, verrà il seguito...
Il Signore ci aiuti!
Dio mise alla prova Abramo: "Prendi il tuo unico figlio 23 febbraio 1997
che ami e offrilo in olocausto". Abramo prese il coltello per
immolare suo figlio. Ma l'Angelo del Signore disse:
"Non stendere la mano contro il ragazzo. Ora so che tu temi Dio".
Gesù si trasfigurò davanti a loro. Allora Pietro disse:
"Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende!"
Per molti di noi - ormai da parecchi anni - la prima lettura di oggi è diventata cara e preziosa. Abbiamo avuto la ventura di leggere e rileggere insieme, tante volte, queste parole scoprendone i molti aspetti che riguardano la nostra vita, i nostri rapporti con gli altri: il senso profondo del nostro essere uomini.
Si tratta di un racconto apparentemente semplice, che si sarebbe dovuto perdere nel corso dei secoli, come tante altre storie. All'inizio è stato scritto per dire che il Dio di Israele non vuole - o forse sarebbe meglio dire: non vuole più - nella maniera più assoluta sacrifici umani. Perché, vedete, uno degli orrori della religione, in tante parti del mondo, è stato proprio il sacrificio umano: sacrificio di bambini, di bambine più spesso; nei momenti più difficili l'uomo pensava di potersi ingraziare la divinità addirittura sacrificando una vita umana!
Israele cominciava ad avere orrore di tutto questo. E pian piano anche nei popoli intorno si perde la terribile abitudine di sacrificare persone. E allora ci si aspetterebbe che questo racconto, come in altre religioni, scompaia e si perda nella notte dei tempi.
In Israele non è così: pian piano questo racconto si approfondisce, si dilata. Noi ne abbiamo letto una versione parecchio ridotta, perché chi ha scelto questa lettura, forse, non dava troppa importanza al lungo racconto del cammino di Abramo con Isacco, verso la cima del monte. In questo racconto Israele coglie uno dei sensi più profondi della vita dell'uomo, un senso che ci riguarda tutti, e me e voi: che riguarda i genitori, i figli, gli amici, le persone che si vogliono bene. I figli, gli amici, le persone che amiamo, non sono nostre, ma prima di essere nostre, sono di Dio!
Le mamme che son qui sanno quanto costa mettere al mondo un figlio, tenerlo in grembo per nove mesi e poi vederlo, dolorosamente, staccarsi da sé! Ma sapete che non è tutto. Lasciare che un figlio se ne vada per la sua strada, rinunziare a quella inconscia sensazione che c'è dentro di noi, che l'altro sia il senso della nostra vita, che ci dia la felicità che andiamo cercando, lasciare che l'altro sia se stesso e non quello che noi vorremmo che fosse: questo a volte è doloroso come generare un figlio.
Ed anche i padri che son qui sanno che spesso c'è la tentazione di fare il figlio a propria immagine, di coltivare in lui i sogni che sono stati i nostri sogni, a volte anche i sogni che non siamo stati capaci di realizzare. E sapete che questo a volte è doloroso: rispettare il figlio per quello che è, come Abramo "sacrificarlo a Dio", perché sia se stesso: immagine della vita che lui si porta dentro e non quello che noi vorremmo che fosse!
Chi ha avuto dei fratelli sa che ognuno, portandoci via un po' dell'affetto dei genitori, ci infliggeva una ferita, perché li volevamo nostri e soltanto nostri.
E questo vale anche per due persone che si incontrano e che cercano di volersi bene. Se ricordate i primi tempi del vostro amore, sapete che c'era in voi la tentazione di fare, almeno un po', dell'altro la vostra immagine: di dominare l'altro, di plasmarlo secondo le vostre idee. E qualcuno c'è anche riuscito - forse anche qualcuno di voi - e sa quanto, poi, è stato faticoso - per vivere insieme - accettare l'altro non come noi volevamo che fosse, ma come lui era: accettare la voglia di camminare insieme, di condividere la vita, senza condizionare la libertà dell'altro.
E questo vale anche per l'amicizia. E questo valeva anche per gli apostoli. Avete sentito: vorrebbero trattenere Gesù tutto per loro... E Lui doveva andare dove lo portava la sua libertà, il coraggio della sua testimonianza di vita!
E voi sapete che questo discorso non è affatto semplice. Perché se è vero che un padre e una madre debbono rispettare l'altro per quello che è, è anche vero che un padre e una madre hanno non soltanto il diritto, ma anche il dovere di educare un figlio, di condurlo per le vie della vita, di essere per lui testimoni di giustizia, di sincerità, di onestà, di verità.
Voi sapete che due persone che cominciano l'avventura di vivere insieme, hanno non soltanto il diritto, ma anche il dovere di educarsi a crescere insieme, di fare amalgamare i loro caratteri e le loro idee, per vivere insieme l'avventura di crescere come coppia. E dove finisce, allora, il rispetto dell'altro e dove comincia il dovere di aiutare l'altro a crescere? Non crediate che la risposta sia semplice.
A volte noi, come gli apostoli, ci vorremmo fermare "sul monte": non abbiamo voglia di combattere, di affrontare la difficoltà di far crescere un figlio, di condividere la vita, di vivere l'avventura, a volte così faticosa, di crescere insieme. Ci contentiamo di una carezza, di un bacio, di un momento di pace. Occorre scendere dal monte e vivere l'avventura dell'Alleanza vera e profonda: che è rispetto dell'altro, ma anche vita condivisa, l'avventura di incontrarsi e scontrarsi con l'altro! E non c'è una ricetta che semplifichi questo cammino nella vita.
Posso ancora raccomandarvi quello che io credo di aver capito: il segreto è conservare lo stupore, la meraviglia, di fronte all'altra persona; avere il senso profondo che l'altro rimane un dono per noi: un figlio, un amico, la persona che amiamo! Anche se a volte c'è costato tanto sforzo farlo crescere, convivere con il suo carattere, vivere l'avventura della vita; anche se questo a volte c'è costato sacrificio e impegno, l'altro - prima di tutto - è un dono che la vita ci ha fatto! È qualche cosa che noi non possiamo mai costruire, qualche cosa che dobbiamo accogliere e rispettare: nella tenerezza, nella meraviglia, nello stupore!
Il segreto dell'Alleanza è ancora questo: la capacità di stupirsi, la capacità di vivere la vita come un dono, la capacità di accogliere chi ci è accanto! Allora saremo anche capaci di sapere che lui, prima di essere nostro, è di Dio! Che si porta dentro di sé non la nostra immagine, ma l'immagine infinita di Dio!
Il Signore ci aiuti!
"Io sono il Signore, tuo Dio... Ricordati del giorno di sabato 2 marzo 1997
per santificarlo... Onora ilpadre e la madre.. Non uccidere. Non rubare..."
Gesù trovò nel tempio gente che vendeva e cambiavalute... li scacciò tutti fuori.
Non è mai stato facile vivere l'Alleanza con la legge. Non è mai stato facile per un credente buttare il proprio cuore al di là delle leggi, delle tradizioni, delle abitudini, per cercare gli autentici valori della vita. E non è facile nemmeno per noi. Noi anzi corriamo pericoli forse più grandi di quelli che correvano i nostri antichi.
A noi è data la ventura di vivere tempi in cui assistiamo a interminabili discussioni sulla legge; in questi giorni, lo sapete, sui "pentiti": sul trattamento da riservare loro. Noi assistiamo a liti, a volte feroci, fra magistrati; assistiamo a processi interminabili, a discussioni senza limiti sulla necessità di riformare i codici, senza che mai si facciano dei passi seri per riformarli. Abbiamo in Italia centinaia di migliaia di leggi, spesso farraginose, spesso in contraddizione tra di loro: tutto a beneficio degli avvocati, che su questo campano e spesso si arricchiscono oltre misura.
Non solo: la TV ci mette ogni giorno davanti agli occhi crimini di ogni genere: omicidi, rapimenti, violenze di ogni genere, corruzione, evasione fiscale diffusa... E noi corriamo il rischio di non credere più nella giustizia; di pensare che se così fanno tutti, anche noi possiamo perdere il senso di una scrupolosa onestà nei nostri adempimenti di ogni giorno.
Se poi riusciamo ad osservare la legge - non rubiamo, non ammazziamo nessuno, addirittura veniamo in chiesa ogni domenica - ci sembra di fare anche troppo. Non ci chiediamo quanto bene siamo riusciti a fare, anzi facciamo della nostra giustizia il piedistallo per giudicare e condannare gli altri.
E ci sono anche altri problemi: i nostri ragazzi assistono a interminabili discussioni sulla riforma della scuola, e si trovano, spesso, insegnanti che nell'attesa di questa riforma perdono la fiducia; e i ragazzi rischiano di perderla anche loro.
Anche all'interno della Chiesa assistiamo spesso a durezze che difendono la tradizione, che impediscono di fare passi avanti; a chiusure, a ostracismi; a persone che si sentono allontanate dall'Eucarestia per motivi che non corrispondono alla loro coscienza profonda! Anche noi ci troviamo, qui in chiesa nell'incapacità di cambiare qualche cosa, di rendere più viva, più agile, la nostra partecipazione all'Eucarestia. Sembra imperare su tutto la legge, l'osservanza della tradizione, la mancanza - qualche volta - di un'anima profonda!
Gesù (se ho capito qualche cosa) è venuto per portarci al di là di tutto questo: per dare ad ogni uomo che vive, la capacità di cercare con passione i valori profondi ed autentici della vita. Chi segue Gesù è invitato a cercare la libertà e la gratuità, l'onestà e la giustizia, senza curarsi di quello che fanno gli altri, senza preoccuparsi di ottenere un premio o evitare un castigo, ma cercando quello che è giusto! Chi segue Gesù non può limitarsi a non fare il male: cerca con passione, ogni giorno, di fare il bene che può!
Io ho avuto la fortuna di incontrare nella mia vita dei grandi insegnanti che, al di là delle discussioni sulla riforma della scuola, erano capaci di trasmettere i grandi valori della cultura ai loro alunni, perché credevano nelle cose che insegnavano, perché avevano dei valori dentro e sentivano importante comunicarli agli altri! Ho conosciuto degli alunni che, al di là delle discussioni - a volte, della disorganizzazione della scuola - sono stati capaci di studiare, di cercare la cultura, la verità. È giusto impegnarsi per le riforme, è giusto cambiare qualche cosa: ma prima di questo è importante che noi amiamo i valori autentici!
Io ho conosciuto della gente che - al di là della pesantezza delle nostre celebrazioni, al di là dei tanti immobilismi della Chiesa - erano capaci di cercare Gesù, di testimoniare la Sua luce!
Perché, poi, è questo quello che conta: al di là delle regole, al di là delle tradizioni, al di là anche delle lentezze del mondo che ci sta intorno, ciascuno di noi ha la propria coscienza. Ed è là, che deve trovare il coraggio della fedeltà di ogni giorno!
Il Signore ci aiuti!
Ciro, re di Persia, fece proclamare per tutto il regno: 9 marzo 1997
"Il Signore, Dio dei cieli, mi ha comandato di costruirgli
un tempio in Gerusalemme. Chiunque di voi appartiene
al suo popolo, il suo Dio sia con lui e parta!"
"La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito
le tenebre, perché le loro opere erano malvage. Ma chi opera
la verità viene alla luce, perché le sue opere sono fatte in Dio".
Il dramma non è che di volta in volta ci capiti di leggere sui giornali che ci sia in qualche parte una madonna che piange: dal tempo di Adamo, in ogni angolo della terra ci sono state statue di divinità o di santi che hanno versato lacrime: in ogni tempo, in ogni luogo. Non è questo il problema. Il problema è che c'è intorno a noi - e forse anche in mezzo a voi - tanta gente che pensa che sia giusto che la madonna pianga! C'è chi non è capace di guardare il mondo rendendosi conto di tutti i motivi di speranza che ci sono; chi non sa vedere tutta la gente che nel passato - e anche oggi - ha cercato di spingere l'uomo sempre in avanti, verso orizzonti sempre più ampi di vita, di libertà!
Ecco perché vi dicevo all'inizio che l'Alleanza che dobbiamo fare oggi, quella con la storia, è forse più difficile di quelle che abbiamo fatto nelle domeniche precedenti. È difficile per molti saper guardarsi intorno, cogliendo gli aspetti positivi della vita. Noi siamo abituati a leggere sui giornali, a guardare alla televisione tanti fatti negativi. E c'è gente che pensa che l'umanità abbia poche speranze. E il guaio è che a volte lo pensano non soltanto persone con i capelli bianchi, ma anche dei ragazzi, dei giovani. E non c'è niente di peggio che strappare la speranza dal cuore di un ragazzo, togliere da lui l'orizzonte del futuro, il coraggio di guardare lontano! Nel Vangelo il peccato, il dramma più grande è togliere fiducia e speranza ad un ragazzo che cresce: sarebbe meglio mettersi una macina da mulino al collo e gettarsi nel mare.
Eppure, nonostante il Vangelo, spesso noi cattolici siamo incapaci di giudicare con ottimismo la storia, anche oggi, ci capita spesso di ascoltare l'autorità della Chiesa che parla contro ogni progresso, contro ogni novità. Forse perché giudichiamo la storia e la vita non a partire dai valori importanti ed eterni dell'uomo, - che Gesù è venuto a confermare - ma in base ai pregiudizi, alla tradizione, in base ad antichi tabù!
Non lo dimenticate: quando è venuto Galilei, che guardava il mondo con occhi nuovi, è stato condannato. E ci son voluti secoli per rendersi conto che la schiavitù fosse indegna dell'umanità. C'erano tanti teologi e maestri, che dicevano che Galilei sbagliava, perché la Bibbia, la tradizione avevano sempre affermato che il sole si muove e la terra sta ferma. E nel '700 c'erano tanti maestri, nelle università, che con la Bibbia in mano potevano dimostrare che i negri sono razza inferiore e che quindi possono essere fatti schiavi!
Il criterio di giudizio è la tradizione, è l'ideologia, sono i tabù antichi, non il rispetto dell'uomo, di ogni uomo che vive! E questo dovrebbe essere il criterio. Perché, vedete, la grande intuizione della Bibbia è che Dio lo si incontra nel cammino di libertà dell'uomo. Dove l'uomo fa un passo avanti nella vita, dove l'uomo trova la sua libertà, dove l'uomo è sfruttato di meno, dove l'uomo trova la gioia, trova il piacere, trova la salute: là c'è un segno di Dio!
Se verrete qui domani mattina troverete tutti i simboli che i nostri ragazzi hanno preparato per questa celebrazione: un grande mappamondo, il mondo che Dio ci ha affidato; e intorno tanti segni: la scatola della penicillina, il vaccino antipolio, dei trattati di pace, la radio che ha inventato Marconi, la rappresentazione della "Pietà" di Michelangelo, qualche quadro di Botticelli e tanti altri segni. E ci diranno: "Abbiamo cominciato un elenco, ma non possiamo finirvelo: arriveremmo alla prossima Quaresima!".
Quanta gente, quanta gente in ogni parte del mondo - magari gente che non credeva, magari gente che diceva parolacce, che non viveva del tutto secondo le regole - ha portato all'uomo ricchezza, arte, scienza, benessere, conoscenza! È gente a cui noi siamo debitori: dobbiamo sentirli nostri fratelli, uomini che hanno spinto avanti l'umanità, non è giusto che permettiamo che le loro opere siano dimenticate!
Io ho smesso (per non vergognarmi di essere uomo e di essere romano) di chiedere ai bambini - forse anche a qualche vostro nipote - se hanno mai visto la cupola di San Pietro: ci sono anche ad Ostia, oggi, dei bambini che non hanno mai visto la cupola di San Pietro! e credo che la metà di voi non abbia mai visto la Cappella Sistina... Non è giusto: diventiamo pessimisti, i nostri ragazzi perdono la speranza!
Allora fanno bene - ma fatelo anche voi - a fare ricerche su tutta quella gente, che nella storia ha fatto andare avanti l'uomo. E non soltanto nella storia: i nostri ragazzi, da 15 giorni leggono i giornali, guardano la TV, per annotare tutte le notizie positive che trovano. E domani le potrete trovare qui - tante, anche ad Ostia - e hanno fatto uno sforzo, perché purtroppo a loro raccontano ogni giorno tante cose negative. E loro hanno dovuto sgranare i loro occhi per trovare le notizie positive. E ce ne sono tante! E sono una piccolissima parte di tutte le cose positive che accadono nel mondo, che non appariranno mai sui giornali, perché, per fortuna, sono ancora cose normali!
Allora riconciliarci con la storia significa - se abbiamo capito qualche cosa della prima lettura di oggi - riconciliarci con tutti i "Ciro" della storia: con tutte le persone che in ogni angolo della terra hanno fatto fare un passo avanti all'uomo. Là dove l'uomo trova la libertà, là dove finisce lo sfruttamento, là dove c'è un pizzico in più di pace, là dove c'è un po' più di gioia, là dove c'è più piacere, là dove c'è arte, là dove c'è conoscenza, là dove l'uomo viene guarito... là c'è Dio! Là c'è lo Spirito di Gesù!
Con tutti questi noi dobbiamo riconciliarci, per essere capaci, anche noi, di mettere il nostro piccolo seme, che faccia fare un passo avanti al mondo: piccolo quanto volete, ma un passo avanti!
Il Signore ci aiuti!
"Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa 16 marzo 1997
di Israele, dice il Signore: Porrò la mia legge
nel loro animo, la iscriverò nel loro cuore".
"Se il chicco di grano caduto in terra non muore,
rimane solo; se invece muore produce molto frutto...
Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me".
È forse il momento più complesso della nostra Quaresima: tentare di vivere l'Alleanza con Dio, riconciliarci con Lui. I temi delle domeniche precedenti - lo ricordate - ci erano familiari: riconciliarsi con la natura (ce l'hanno detto tante volte), riconciliarsi con gli altri, con la legge, con la storia... Ma riconciliarsi con Dio, fare alleanza con Lui, che significa? Anche questo forse ce l'hanno detto tante volte: significa pentirsi dei nostri peccati, riconoscere il male che abbiamo fatto, chiedergli perdono e purificarci.
E se invece, più al profondo, ciascuno di noi avesse bisogno di permettere a Dio di riconciliarsi con noi? Non c'è in fondo al cuore di molti di noi il bisogno di chiedere conto a Dio? Non possiamo, almeno all'inizio, fare nostro il grido del profeta Geremia, che si rivolge a Dio dicendo: "Ci hai ingannato! Ci avevi promesso la pace ed eccoci con la spada alla gola"?
Noi possiamo allargare il discorso, possiamo metterci davanti a Dio e dirgli: "Ci avevi promesso la pace ed ecco la guerra; ci avevi promesso la salute ed ecco: molti di noi si sono ammalati, qualcuno è morto - anche in giovane età -; ci avevi promesso un mondo migliore ed ecco ancora c'è violenza e oppressione intorno a noi! Come ti giustifichi? Che Dio sei? Perché non pensi a noi? Perché preghiamo e non ci ascolti?"
Non avete qualche volta sentito anche voi questo grido? Non avete qualche volta anche voi alzato la voce, chiedendo conto a Dio del suo modo di agire o, se volete, del suo modo di NON agire?
Se vogliamo fare alleanza con Dio, andiamo anche noi sotto la croce. Lì il Vangelo di oggi ci invita ad alzare gli occhi e guardare... Guardate e provate a parlare: l'unico Dio in cui noi crediamo ha le braccia inchiodate sulla croce, sta esalando i suoi ultimi respiri... Non si può chiedere conto di nulla ad un uomo che muore! E che volete dirgli?!
E ascoltate: intorno c'è gente che grida, che non ha rispetto nemmeno per colui che muore: "Se sei Dio, scendi da quella croce e ti crederemo! Se sei Dio, salva te stesso ed anche noi e crederemo!". E fermatevi a guardare: non parla, non risponde; soltanto un grido e poi muore!
Potete chiedere a Lui la risposta alle vostre domande? Ormai non può più parlare; ormai ha reclinato il capo su quella croce! Eppure, è attraverso quella croce che passa la nostra alleanza con Dio: l'unico Dio che conosciamo ha le braccia inchiodate sulla croce!
Se ascoltate attentamente, magari attorno a voi qualcuno mormora le parole del Vangelo di oggi: "...come un chicco di grano, che caduto in terra muore per dare la vita!". "Chi ama, sa donare la vita...".
E allora forse cominciamo a capire: il Dio inerme e silenzioso, che vuole fare l'alleanza con noi, è venuto in questo mondo: il mondo che aveva affidato al nostro coraggio di uomini, il mondo che in parte il nostro egoismo ha rovinato, il mondo della natura spesso violentata, il mondo in cui spesso conta soltanto chi è forte, chi è potente, chi vince, chi ha successo; in cui il piccolo viene dimenticato, il mondo in cui chi ama spesso incontra un sorriso sarcastico: "Chi te lo fa fare! Credi ancora alle favole!"...
Eppure, se noi siamo qui, la nostra esperienza ci lascia intuire qualcosa: quelli che stimiamo grandi, quelli che consideriamo eroi, sono quelli che sono rimasti fedeli ai loro ideali, son quelli che hanno pensato agli altri prima che a se stessi, son quelli che hanno saputo dare la vita: una madre che si è sacrificata per l'ultimo dei suoi figli, un giudice che è rimasto fedele fino alla morte, chiunque nella vita ha saputo amare fino in fondo!
Ecco allora: su quella croce c'è Dio, che è venuto a condividere la nostra vita, che è venuto ad essere, in mezzo a noi, testimone di fedeltà, testimone di gratuità, testimone d'amore! È venuto come un chicco di grano a perdersi nei solchi della nostra storia, fedele fino in fondo agli ideali che si portava nel cuore, fedele ad ogni uomo, per dirci ancora che la vita non conta soltanto per chi ha successo, per chi è forte, per chi è potente: la vita conta per chi sa amare! E amare fino in fondo!
Non il Dio potente, forte e glorioso, non il Dio che risolve i problemi del mondo: ma il Dio che ci lascia tutta intera la responsabilità di costruire questa nostra terra! Il Dio che cammina con noi, per metterci nel cuore la passione per la vita, il coraggio d'amare!
Ecco: quando chiediamo conto a Dio, guardate: Lui non parla. Le braccia spalancate sulla croce, testimone di fedeltà e di amore, di una vita donata fino in fondo! Piccolo chicco, che si perde nei solchi della nostra storia!
Questo è l'unico Dio in cui crediamo: un Dio non ricco di forza, di potenza, un Dio non onnipotente! Il Dio inerme e indifeso, che dona se stesso; fedele fino alla fine agli ideali che si porta nel cuore, alla passione per la vita e per ogni uomo che vive!
Se vogliamo fare alleanza con Dio, dobbiamo lasciarci attirare, verso questa croce; lasciare che Lui ci cambi il cuore, che lo renda ricco di quello che conta veramente: della gratuità e dell'amore, per poterci riconciliare con LUI, che si riconcilia con noi !
Il Signore mi assiste: per questo rendo la mia faccia 23 marzo 1997
dura come pietra, sapendo di non restare deluso.
Gesù si trovava a Betania... Mentre stava a mensa,
giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di
olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe
il vasetto di alabastro e versò l'unguento sul suo capo.
L'Alleanza, quell'Alleanza che abbiamo tentato di rivivere, di ripensare in tutta questa Quaresima - l'alleanza con la natura, l'alleanza con la legge e con la coscienza, l'alleanza con gli altri, l'alleanza con la storia, l'alleanza con Dio - l'Alleanza ha un cuore! Il cuore straordinario di questa donna: finché si leggerà il Vangelo "in tutto il mondo", ci si ricorderà di questa donna, di quello che ha fatto.
Lei ha un cuore capace di fare alleanza: perché è un cuore lucido che sa guardare, è un cuore ricco di gratuità, è un cuore ricco di amore. In mezzo ai chiacchieroni - c'erano a quel tempo e ci saranno sempre: gente che parla, che critica, che ha sempre qualcosa da ridire - in mezzo alla gente che fa calcoli, che valuta, che misura quanto può costare questo profumo ("Non si poteva vendere?.."); in mezzo a chi chiacchiera, a chi fa conti, c'è una donna che sa guardare l'altro negli occhi, che sa capire, che si accorge... e poi non calcola più!
È l'occhio lucido dell'amore: è la capacità di guardare l'altro, di vedere il suo bisogno profondo, bisogno che può essere soltanto di una carezza, di un gesto di tenerezza, E quando se ne accorge - l'unica, tra tanti uomini chiacchieroni - allora non calcola più! E spacca il vasetto di alabastro, pieno di profumo prezioso, perché Gesù senta sul suo corpo un profumo di tenerezza.
Sarebbe bello che, insieme al ramo di ulivo, voi poteste portare a casa, stasera, un unguento prezioso e che la vostra casa si riempisse di un profumo straordinario: sarebbe un segno più profondo e più vero della nostra fede. La nostra fede è profumo di vita, è profumo di gratuità, è profumo di tenerezza, è profumo d'amore.
Occorre avere, almeno un po', un cuore come quello di questa donna, per poter vivere l'alleanza nelle nostre case, con la gente che abbiamo intorno, l'Alleanza con Dio! Non dimenticatelo mai: Giuda - lo leggeremo venerdì prossimo - ha tradito il Signore per 30 denari e questa donna ne ha buttati 300 soltanto per un gesto di tenerezza: perché in quel momento si è accorta che Gesù aveva bisogno di quel gesto, di quella tenerezza. Questo significa avere un cuore capace di amare. È un cuore capace di vedere, un cuore capace di accorgersi, è un cuore che poi non calcola più! È la gratuità, è la bellezza dell'amore, è il profumo della vita.
Lo Spirito ne metta un pizzico anche dentro di noi per poter vivere questa santa settimana, per poter celebrare la vita di Gesù e poter poi gridare con Lui tutta la forza e la gioia della vita, nella notte di Pasqua!
Il Signore ci aiuti! lo Spirito ci faccia vivere in pienezza questa Settimana Santa!
"Questo è il mio corpo... questo calice è la nuova 27 marzo 1997
alleanza nel mio sangue... Fate questo in memoria di me".
"Ho lavato i vostri piedi, perché come
ho fatto io, facciate anche voi"
Abbiamo tanto parlato, in questa Quaresima, dell'Alleanza, per prepararci a questa Pasqua, per vivere questa Pasqua con tutta l'intensità che la nostra fede, il nostro stare insieme, ci permette. E stasera siamo qui proprio per celebrare questa Alleanza. Chi ha seguito il cammino quaresimale sa che l'Alleanza si vive ogni giorno, nelle vicende e nei rapporti della vita concreta; ma qui la celebriamo nel segno che Gesù ci ha lasciato.
Per vivere, per celebrare l'Alleanza ci vuole un cuore: il cuore della donna di cui ci parlava domenica il Vangelo: la donna che ha saputo spaccare il suo vaso di prezioso profumo, per un gesto di tenerezza. Occorre un cuore come il suo, ricco di gratuità, un cuore che sa guardare, che sa accorgersi, che sa riconoscere... e poi non calcola più!
Abbiamo invocato lo Spirito perché desse anche a noi almeno un po', un pizzico di questa gratuità e di questo amore. Allora possiamo celebrare il Segno di Gesù.
Ma attenzione: dovete adesso usare tutta la forza della vostra fantasia per celebrare l'Eucarestia! Per vivere questo segno che Gesù ci ha lasciato, dobbiamo uscire da questo tempio. Perché - vedete - noi abbiamo rifatto, della chiesa, un "tempio": un luogo dove si viene quando si ha bisogno di chiedere una grazia, dove spesso tentiamo di commerciare con Dio, un luogo dove si sciolgono i voti, dove si invocano le benedizioni del Signore, dove si viene per far memoria dei propri morti. Un luogo dove occorre purificarsi, dove qualcuno si sente escluso, dove ci sono gerarchie e divieti.
Usciamo! Non è questa l'intenzione di Gesù! Usciamo per il vasto mondo! Guardate il sole, lo splendore del cielo, gli alberi: perché è là che Gesù vuol farci celebrare l'Alleanza. Guardate il mare, sognate la bellezza delle montagne, guardate i fiori che sbocciano.
E poi la gente! Non solo chi sta qui, ma la gente del mondo, la tanta gente che ci ha preceduto nel cammino della vita: la gente che ha cercato, che ha studiato, che si è impegnata! La gente che ha costruito la vita, che è stata appassionata di pace. Tutti gli uomini di buona volontà, i poeti, gli scienziati, gli inventori, gli artisti, i cantori!
E non soltanto questi, ma anche la gente di ogni giorno: i miliardi di persone che in ogni angolo della terra lavorano, vivono, amano, cercano... È questo lo spazio dell'Eucarestia! Girate con la fantasia il mondo intero: non il mondo che vi fa vedere la TV, ma il mondo della gente di tutti i giorni: il mondo dove - è vero - ci sono i malvagi, i violenti, ma in cui c'è tanta gente di buona volontà. Gente come me, come voi; gente che lavora, che ama; gente che cerca la giustizia, che vive la tenerezza, gente di ogni cultura, di ogni pensiero, di ogni religione. Con tutti loro noi possiamo celebrare l'Alleanza.
Poi, quando avete girato il mondo, fermatevi un momento nel posto dove lavorate: guardate i colleghi di ufficio, gli operai che sono con voi. E poi fermatevi un momento nella vostra casa, nella casa di tutti i giorni: guardate negli occhi il marito, la moglie (chi ce l'ha), i figlioli, i nonni, gli anziani, i piccoli. È questo lo spazio dell'Alleanza!
E quando abbiamo girato il mondo, quando abbiamo guardato il cielo e la terra, la gente che ci ha preceduto, i miliardi di persone che vivono oggi; quando ci siamo soffermati nella nostra casa... allora possiamo tornare qui: le pareti, vedete, non ci sono più! Il nostro spazio è il mondo!
E dentro questo mondo, nel cuore della vita, un pezzo di pane un po' di vino! È il segno che Gesù ci ha lasciato per fare memoria viva di Lui: della sua vita, della sua passione per la giustizia e per la pace, per la libertà, del suo rispetto per l'uomo, per il più piccolo degli uomini! In Lui possiamo ritrovare i valori essenziali della vita, quello che veramente conta nella nostra ventura di uomini. E qui facciamo memoria della sua fedeltà ai valori che si portava nel cuore, del suo coraggio di andare fino in fondo, anche quando Lo insultavano e Lo disprezzavano; anche quando Lo hanno inchiodato sulla croce! Facciamo memoria di Lui, della sua vita donata, del suo amore totale!
E qui - lo avete ascoltato - facciamo memoria del suo chinarsi a lavare i piedi, del suo mettersi a servizio dell'uomo! E invita noi a fare altrettanto.
È questa l'Alleanza. Nel cuore della nostra esistenza - là dove lavoriamo, là dove amiamo, là dove viviamo; in questo grande mondo vasto e complesso, dove spesso è difficile amare - Gesù si fa presente nel pane spezzato, ci invita a sentire che Lui ci ama fino in fondo, che è fedele alla vita di ciascuno di noi!
E invita anche noi a vivere la gratuità: a "lavarci i piedi" l'un l'altro, a condividere la vita nell'attenzione ai più piccoli, ai più deboli, nella capacità di asciugare una lacrima, di fare un gesto di tenerezza! Il resto rischia di essere soltanto rito, cerimonia, tradizione. Potessi buttare via questi abiti! Potessimo togliere le pareti di questa chiesa! Potessimo sentire nella vita di ogni giorno la presenza viva di Gesù, la pienezza del suo amore! Potessimo portare, uscendo di qui, nella vita di ogni giorno, un pizzico di gratuità, la voglia di condividere la vita, il coraggio di amare!
Questo è celebrare l'Eucarestia! Questo è il dono che Gesù tenta di lasciarci! Lui ci aiuti a celebrarlo stasera e a viverlo ogni giorno!
Alle tre del pomeriggio Gesù gridò con voce forte: 28 marzo 1997
"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?"... Poi morì.
Allora il centurione, vistolo morire in quel modo,
disse: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!".
Fermiamoci un momento a guardare, con occhi smarriti e sgomenti, quell'uomo inchiodato sulla croce: uno dei tanti... vittime della violenza di questo mondo, della violenza degli uomini. Una violenza assurda e insensata, quando colpisce un innocente. E tanti innocenti nel mondo, anche oggi, sono vittime della violenza; tanti giusti affrontano, anche oggi, il dolore e la morte.
Perché? È la domanda dell'uomo di sempre, il grido tante volte anche nostro: "Dio, perché ci abbandoni?". Eppure la nostra fede ci dice che l'unico Dio in cui crediamo, proprio Lui, è inchiodato su quella croce. Non ci abbandona, anzi è là, anche Lui vittima della violenza, e non può staccare le mani dalla croce!
Siamo noi che dobbiamo vincere la violenza: dentro di noi, intorno a noi; con tutto il coraggio, con tutta la libertà, con tutta la dignità della nostra umanità. L'Alleanza a cui Dio ci chiama passa attraverso questa croce. Passa attraverso l'impotenza di Dio che viene a condividere la nostra vita, ricco soltanto di fedeltà e d'amore.
Guardiamo con sguardo sgomento e smarrito quella croce! Non riusciamo a capire: vorremmo che fosse tutto diverso, vorremmo che non ci fosse violenza in questo mondo, vorremmo che il giusto vivesse nel rispetto e nella tenerezza. E spesso non è così! Per questo Dio è venuto a condividere la nostra vita: per essere in mezzo a noi fedele fino in fondo, per amarci fino in fondo. Anche quando costa, anche quando è difficile! E là ci attira verso quella croce, perché anche noi tentiamo di vivere la fedeltà e l'amore!
E la mattina presto del primo giorno della settimana, 30 marzo 1997
le donne andarono alla tomba per imbalsamare Gesù.
Quando arrivarono, videro che la grossa pietra, molto pesante,
era stata già spostata.Piene di spavento, videro un giovane
vestito di una veste bianca. Ma il giovane disse: «Non
spaventatevi. Voi cercate Gesù di Nazaret. È risuscitato, non è qui.».
Le donne uscirono dalla tomba e scapparono via di corsa,
tremanti di paura. E non dissero niente a nessuno perché avevano paura.
Dopo ogni tempesta, 1'arcobaleno; dopo ogni notte, spunta l'alba e il sole rischiara di nuovo la terra! Al di là della violenza c'è la pace; l'amore è più forte dell'odio, la vita è più forte della morte! E non si può essere Cristiani, se non si porta nel cuore questa certezza: la certezza della vita, della luce, dell'amore! E non è facile, per noi.
Il Vangelo, che è tenero con noi, cristiani di tutti i giorni, ci ha ricordato che le donne - che pure han trovato la pietra rovesciata, che pure han visto il sepolcro vuoto - non hanno detto niente a nessuno, "perché avevano paura"!
Non la sentite anche voi, qualche volta, questa paura, nel cuore? Non sentite anche voi, qualche volta, la difficoltà a credere nella vita? A credere che l'amore è più forte dell'odio, che la pace vince la violenza? È più facile credere al dolore, alla sofferenza, alla morte: ogni giorno, immagini e immagini ci vengono riversate negli occhi. Qualcuno ha anche osato dire che Dio ama il sacrificio, la rinuncia, la sofferenza!
Questa notte è qui per gridarci la vita, la gioia! Ogni volta che l'uomo si stupisce per la bellezza della natura, ogni volta che l'uomo è capace di rispettare il creato che ha intorno, di commuoversi per un fiore che spunta... là è Pasqua! Ogni volta che intorno a noi sappiamo portare un sorriso, fare una carezza; ogni volta che tra noi viviamo un momento di piacere, di gioia, di serenità... là è Pasqua! Ogni volta che siamo capaci di riconciliarci con la giustizia, che siamo capaci di cercare la verità... là è Pasqua! Ogni volta che sappiamo guardare alla tanta gente che prima di noi si è sforzata di costruire la vita, di cercare, di inventare, di scoprire quello che fa andare avanti l'uomo; ogni volta che sentiamo che nel mondo c'è tanta gente che, come noi, cerca la pace, la giustizia; ogni volta che siamo capaci di riconciliarci con tutta questa storia... là è Pasqua!
Per questo Gesù è venuto in mezzo a noi ed ha saputo essere fedele fino alla morte di croce: per gridarci la speranza della vita, per testimoniare in mezzo a noi la passione per la giustizia, per la libertà, per il futuro, per la tenerezza!
E noi qui stasera possiamo stringerci le mani e - al di là delle nostre paure - guardare l'arcobaleno; sentire che queste luci che stringiamo fra le mani - luci magari tremule e fioche - sono la nostra suprema speranza! Di più: sono la nostra fede! Fede nella vita, nell'amore, nel bene; la fede dell'uno nell'altro, la fede nell'umanità; la fede nella natura che ci circonda, nella bellezza del mondo! Con questa fede vogliamo camminare, convinti che dopo ogni temporale c'è un arcobaleno, dopo ogni notte c'è una luce; convinti che l'amore è più forte dell'odio, la vita più forte della morte. Convinti, perché c'è Gesù con noi: c'è la sua luce nelle nostre mani, la sua luce nel nostro cuore!
E questo è Pasqua!
Venne Gesù a porte chiuse e disse: "Pace a voi!" 6 aprile 1997
Poi disse a Tommaso: "Metti qua il tuo dito, stendi
la tua mano e mettila nel mio costato e non essere
più incredulo ma credente". Rispose Tommaso:
"Mio Signore e mio Dio!" E Gesù: "...Beati
quelli che, pur non avendo visto, crederanno!"
Tommaso, l'incredulo! E se il problema di Tommaso fosse non quello di aver creduto poco, ma quello di aver creduto troppo? (o forse è meglio dire non di "aver creduto troppo" perché non si crede mai "troppo", ma di avere scambiato le proprie impazienze, i propri sogni, le proprie illusioni per la fede!). Se il problema di Tommaso fosse quello di aver sognato che la resurrezione di Gesù avrebbe portato un cambiamento radicale della vita e della storia? Proviamo ad immaginare, a volte la fantasia aiuta a capire qualcosa di più.
Immaginate il piccolo gruppo dei discepoli: Giuda se n'è andato per la sua strada, ma anche Tommaso non c'è. Sono riuniti insieme, impauriti, avviliti, delusi, sconfortati. E non solo: hanno anche, sulla coscienza, il peso del loro tradimento. Perché, in fondo, tutti hanno tradito Gesù: tutti Lo hanno abbandonato, tutti sono fuggiti, Lo hanno lasciato solo! È vero: le donne han visto qualcosa: il sepolcro sembra vuoto, si parla di resurrezione... Ma loro sono lì, intorno alla tavola, tristi, avviliti. Qualcuno pensa di tornarsene a casa, al mestiere di sempre. L'avventura con Gesù sembra finita e finita per sempre: ci avevano creduto con tutta la passione del loro cuore; ma adesso il peso del fallimento è troppo forte e forte anche il peso della colpa.
E guardate: mentre son lì riuniti, arriva Gesù! E ritrovano la Sua tenerezza -"Pace a voi!"- e la carezza che dimentica il tradimento: il peccato viene perdonato e torna la voglia di stare insieme, di ricominciare, timidamente, faticosamente, di riprendere la strada! Sentono che Gesù è là con loro, sentono che si può vivere ancora la Sua avventura.
La storia di Tommaso è diversa; provate ad immaginarla: completamente diversa. Tommaso è corso alla tomba e quando l'ha vista vuota, si è sentito pieno di gioia e di entusiasmo! Ha cominciato a correre. Prima ha chiamato i dieci: "Venite, andiamo: il Signore è risorto! Ormai dobbiamo correre ad annunziare al mondo la resurrezione! Lui sta per tornare, ce lo ha promesso! Viene per inaugurare, finalmente, il suo Regno glorioso, per cambiare il mondo; per fare trionfare la giustizia, per far regnare la pace!"
I dieci non lo vogliono seguire: sono impauriti, intristiti nel fallimento e nel senso di colpa. Ma lui no: lui ci crede sul serio; corre ad avvisare i suoi parenti, i suoi amici; qualcuno lo prende per matto; ma non gli importa niente. Continua a correre, a cercare; ogni tanto si volta verso Oriente: non è da lì che deve venire il Signore glorioso?! Cerca un segno, un prodigio, la luce... Perché lui ci crede sul serio: lui spera che adesso cambi tutto; lui crede che è giunto il momento in cui esploderà la pace, la giustizia! Corre, Tommaso... ma nessuno lo ascolta, nessuno lo prende sul serio, nessuno sembra partecipare alla sua gioia, al suo entusiasmo. E non c'è nessun segno, nessuna luce, neppure un barlume...
E adesso torna Tommaso, torna dagli altri dieci e li trova ancora chiusi, dietro la porta del Cenacolo: "Abbiamo visto il Signore", ma sono ancora impauriti, ancora incapaci di credere alla resurrezione. Niente sembra cambiato... E Tommaso si siede con loro e non alza più nemmeno gli occhi. I suoi sogni infranti, le sue illusioni cadute... ha creduto che tutto cambiasse in un momento; ha creduto che il Signore stesse per venire a far risplendere il suo regno; ha creduto, con tutta la passione del suo cuore, nel trionfo della giustizia e della pace... e non è successo niente!
E Gesù deve tornare e - stavolta - avvicinarsi a Tommaso, solo a lui; ed anche a lui ripetere: "Pace a te, Tommaso!"
Tommaso ritrova Gesù: il Gesù che ha sempre conosciuto, il falegname di Nazareth: ritrova le sue mani callose, adesso ferite dai chiodi, ma anche il suo sorriso, la sua tenerezza; ritrova il suo coraggio della giustizia; ritrova la sua voglia di libertà! Non è il Signore glorioso che Tommaso ha sognato, che viene con potenza a cambiare, con un colpo di bacchetta magica, la storia! È ancora il tempo di camminare, è ancora il tempo di seminare, è ancora il tempo di credere nella luce, faticosamente testimoniata intorno a sé! È ancora il tempo di fare strada, è ancora il tempo dell'avventura, di credere e testimoniare la pace! È il compito anche di Tommaso. Non può scambiare la fede con le sue illusioni i suoi sogni, non può aspettare i prodigi e i segni straordinari! Non può aspettare che la giustizia esploda! La giustizia è compito di chi ci crede; ma non di chi crede nei sogni, non di chi si fa illusioni; di chi prende in mano la propria vita e testimonia con coraggio la luce e i valori che Gesù ci mette nel cuore!
Anche per noi, fratelli, vivere la Pasqua non è farsi l'illusione che venga Gesù e che ci cambi il mondo: alle nostre mani è affidato il mondo! Se vogliamo che splenda l'arcobaleno, occorre che ciascuno di noi lo porti, almeno un po', nella propria vita e nella vita di chi vive con noi ogni giorno.
Il Signore ci aiuti!
"Perché siete turbati e perché sorgono dubbi nel vostro cuore?... 13 aprile 1997
Sono proprio io!..." Poi aprì loro la mente all'intelligenza
delle Scritture e disse: "Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e
resuscitare dai morti e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti
la conversione e il perdono dei peccati. Di questo voi siete testimoni".
"Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma". Ma è così difficile credere nella resurrezione? Nonostante le donne, nonostante Pietro, nonostante i due discepoli che ritornano da Emmaus e raccontano la loro storia, i discepoli sono ancora spaventati... Perché credono che Gesù sia un fantasma? È così difficile credere nella resurrezione?
Vedete, fratelli, se si trattasse soltanto di riconoscere Gesù in carne ed ossa, lì presente, che mangia con loro, tutto sarebbe semplice e risolto da tempo. Ma avete ascoltato il Vangelo: Gesù deve sedersi con loro e pian piano spiegare che "così doveva essere".
In questo racconto c'è lo sgomento e il turbamento dei Cristiani di tutti i tempi. Ed anche il nostro: e c'è tutta la nostra fatica di credere nella resurrezione del Signore.
Quante volte, fratelli, qui insieme, ci siamo detti in questi anni, di fronte al dolore, alla malattia, di fronte alla morte, che l'unico modo che noi abbiamo di rispondere al male è credere alla vita, moltiplicare la vita? Quante volte ci siamo detti - di fronte alla violenza del mondo, alle tante cattive notizie che sentiamo ogni giorno, di fronte alla violenza che insanguina il mondo, che sciupa la vita dell'uomo - quante volte ci siam detti che l'unica risposta che noi possiamo dare è moltiplicare la tenerezza, il piacere, la gioia intorno a noi? Quante volte ci siamo ripetuti che l'unico modo di rispondere all'odio, al male, al dolore, alla sofferenza, alla malattia, alla morte, l'unico modo affidato alle nostre mani, è moltiplicare la vita? Ce lo siamo ripetuto infinite volte. Ma se per qualcuno di voi è stato facile, alzi pure la mano!...
Abbiamo sperimentato tutta la fatica di credere veramente nella resurrezione di Gesù. Perché credere nella resurrezione di Gesù questo significa: non basta credere che Gesù non sia un fantasma, che abbia carne ed ossa, che possa mangiare con noi... Credere nella resurrezione del Signore significa ogni giorno credere nella vita, moltiplicare la vita, essere "testimoni"! L'avete ascoltata questa parola, ripetuta due volte nelle letture di oggi.
È questo il problema dei discepoli: si rendono conto che sono ormai "testimoni di vita"; si rendono conto che loro devono moltiplicare la vita intorno a sé. E questo non è semplice. Per l'uomo è facile credere nel dolore, nel male: ne fa esperienza ogni giorno. Ma specialmente quando il male ti tocca sulla pelle... ah! allora non è facile credere che tu puoi solo moltiplicare la vita intorno a te, puoi solo moltiplicare intorno a te la tenerezza, rispondere al male con il bene, alla sofferenza con la gioia, al dolore con il piacere!
Ecco perché Gesù ci raduna qui ogni domenica e ci spiega le Scritture. Perché anche per noi - lo abbiamo sperimentato tante volte - non è facile capire perché così "deve" essere! Perché anche oggi gli assassini se ne vanno liberi (come diceva la prima lettura) e i giusti soccombono e subiscono violenza? Perché Dio non interviene? Perché il mondo è fatto così? Perché tanto male intorno a noi? Perché?
C'è bisogno che Gesù si sieda con noi e ci spieghi e ci faccia capaci di accettare il mondo così com'è: non come noi vorremmo che fosse, come noi a volte lo sogniamo! Ci aiuti a mettere dentro questo mondo il coraggio del nostro amore e della nostra speranza! Dentro la realtà - a volte così disgustosa, se volete - in cui gli assassini, gli ingiusti, gli spacciatori, quelli che vendono morte, se ne vanno liberi e ridono, mentre i giusti soccombono e muoiono.
È difficile accettare che sia questa la logica della vita; è difficile accettare che Dio non intervenga in questa storia! Ecco perché Gesù sembra "un fantasma"! Ecco perché i discepoli - e non solo loro - fanno fatica a credere nella resurrezione. Ecco perché qui intorno alla tavola, spezzando il pane, tentiamo anche noi di accettare la vita e di sentirci testimoni di liberazione e di vita, testimoni di tenerezza e d'amore! Ecco perché dobbiamo ripeterci - e non basta dirlo una volta: dobbiamo dircelo una, dieci, cento, mille volte - che l'unico modo che noi abbiamo per rispondere alla malattia, al dolore, alla sofferenza, al male, alla violenza... è moltiplicare la vita, la tenerezza, il piacere, la gioia!
Questo è credere nella resurrezione! Questo è il compito dei testimoni! E tutti noi che siamo qui, siamo testimoni di vita e di resurrezione; e questo è il nostro compito. Per questo ci sediamo con Gesù, per questo ci nutriamo di Lui; anche se a volte anche noi, come i discepoli, siamo "sgomenti e spaventati" e ci sembra di vedere un fantasma! Non preoccupiamoci! È normale: è la ventura dei Cristiani di tutti i tempi.
Per questo Gesù ci riunisce insieme ogni domenica.
"Gesù è la pietra che, scartata da voi costruttori, 20 aprile 1997
è diventata testata d'angolo". "Io sono il buon pastore:
conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me...
ed offro la mia vita per le pecore".
Mi capitava ancora 1'altro giorno - ormai però, per fortuna, capita sempre più raramente - di incontrare un signore che chiedeva: "Come mai non venite a benedire le case?" - "Eh! - dicevo - siamo rimasti in pochi; non ci sono più preti". - "Ecco ci fate perdere la fede!". Oppure qualcuno viene in chiesa e dice: "Come mai in questa chiesa non c'è una candela da accendere alla Madonna? Perché non c'è l'acqua benedetta e non si sentono suonare le campane? Ora anche le donne distribuiscono la Comunione! Ecco, non c'è più fede!". Capita a me qualche volta, capita spesso anche alle nostre catechiste, di sentirci dire che siamo eretici, perché non ripetiamo più le stesse formule che avevamo imparato da bambini.
E spesso, nel corso dei secoli, si è pensato di individuare "1'eretico": una delle tentazioni dell'uomo religioso è quella di ridurre la fede a riti, a tradizioni, a formule; e chi non ripete quelle formule, quelle tradizioni, quei riti viene considerato eretico. Per fortuna è finito il tempo in cui gli eretici venivano bruciati sul rogo; altrimenti credo che sia io, sia qualcuna delle nostre catechiste non saremmo scampati... Il fatto è che spesso gli uomini hanno bisogno di sicurezze, di esprimere la fede in formule che diano certezza, in riti che facciano sentire al sicuro, di avere regole che diano sempre l'illusione di stare sul binario giusto.
Avete ascoltato i primi Cristiani? Per loro era molto diverso: loro si affidavano a dei simboli! La vita cristiana è come una casa (le vecchie case di un tempo costruite in pietra) che ha bisogno di una "pietra angolare", una grande e solida pietra, che la sostenga. Per il cristiano Gesù è come un pastore: Lui ci conosce e noi conosciamo Lui e ascoltiamo la Sua parola e tentiamo di camminare con Lui: perché Lui solo può condurci nei pascoli della vita!
E il problema non è solo che queste immagini, questi simboli non dicono più molto ai nostri ragazzi: chi di loro ha mai visto una "pietra angolare"? Chi di loro ha fatto esperienza del pastore? chi ha mai visto un pastore riconoscere le pecore una ad una? Chi ha mai visto il gregge delle pecore rispondere al fischio forte e sonoro del pastore, che le conduce nei pascoli o le riporta alla stalla?
Il problema vero è quello di sempre: sapere cosa vuol dire che Gesù - la Sua vita, la Sua parola - sia il fondamento della nostra esistenza; cosa vuol dire ascoltare la parola di Gesù, seguire Lui, nel concreto della nostra esperienza. Cosa significa ascoltare Gesù nel posto dove si lavora, nelle varie famiglie, con la gente di ogni giorno? Chi può dirci cosa significa veramente che Gesù è il fondamento della nostra vita?
L'ultima cosa che possiamo fare è ridurre la nostra fede a formule, a riti, a slogan. L'ultima cosa che possiamo fare è cercare regole, sicurezze, pensare che la fede sia qualcosa di uguale per tutti, che abbia risposte per tutto, che abbia certezze da propinare!
Anche a voi, forse, qualche volta capita di dire, rivolgendovi magari al prete o al vescovo o - che so? - al papa: "Diteci cosa dobbiamo fare". Non ve lo può dire nessuno! Soltanto un'immagine: Gesù è "la pietra" su cui puoi costruire la tua vita, è il pastore" che ti fa sentire la Sua voce. Cosa mi dice Gesù? Cosa significa costruire la mia vita sull'esperienza di Gesù, sui Suoi valori? È cosa da cercare con passione ogni giorno, direi da inventare ogni giorno: con cuore sincero e sereno.
La fede è soprattutto ricerca, avventura, passione per la Luce di Dio, tentativo di cercare la Sua parola, nel concreto della nostra vita!
Il Signore ci aiuti!
Dio è più grande del nostro cuore! 27 aprile 1997
"Io sono la vite e voi i tralci. Chi rimane in me ed io
in lui, fa molto frutto ... Se rimanete in me e le mie parole
rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato".
A noi è dato di vivere in tempi in cui non si sentono soltanto prediche la domenica qui, in chiesa, ma c'è chi predica alla TV, alla radio, sui giornali. E spesso quelli che predicano alla radio, alla TV, sui giornali, sono persone che predicano dall'alto di cattedre e non guardano in faccia le persone, non si confrontano con la gente concreta di tutti i giorni, come siete voi.
E allora penso che il compito di gente come me - povero parroco di periferia - sia sempre di più quello di difendervi dalle prediche che si sentono alla TV, alla radio, da tutte le tentazioni che hanno i predicatori, purtroppo non solo della nostra religione.
Tentazioni che si fanno più forti quando si leggono pagine del Vangelo come quella di oggi, che tentano di esprimere il cuore della nostra fede, il rapporto con Gesù: noi siamo come tralci innestati sulla vite! Se non rimaniamo radicati nella vite, se non ci nutriamo di Gesù, siamo come tralci secchi, che vengono tagliati e si possono buttare nel fuoco! È un'immagine suggestiva della nostra vita cristiana, del nostro rapporto con Gesù. Ma, vedete, qualche volta i predicatori, gli uomini della struttura della chiesa fanno un cortocircuito: identificano Gesù con la Chiesa o meglio con sé stessi. Essere radicati in Cristo, significa essere radicati nella Chiesa, significa pensarla come la pensano le autorità, seguire le loro regole, le loro tradizioni... Ma Gesù si identifica proprio con la Chiesa e le sue strutture? Non è infinitamente più grande? Crediamo veramente che Gesù sia Dio e dunque, come dice la prima lettura, più grande del nostro cuore, di ogni nostra istituzione? Adesso non succede più, ma un tempo coloro che non appartenevano alla Chiesa, che non pensavano secondo la dottrina ufficiale, venivano considerati "tralci secchi" e si accendevano roghi, per bruciarli!
Certo se uno non si porta nel cuore i valori di Gesù, se uno non vive d'amore, la sua vita è insensata: come un tralcio secco, non serve più! E su questo siamo tutti d'accordo. Ma questo non significa che i miliardi di persone che popolano la terra e che non appartengono alla Chiesa, siano destinati a non trovare la salvezza di Dio: Dio è più grande!
Ma c'è un altro tema importante nel Vangelo di Giovanni: "Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato". Spesso i predicatori vi stabiliscono le regole per pregare: vi dicono quali "novene" dovete fare, a quali santuari andare, quante volte dovete confessarvi prima di fare la comunione... E se non fate tutto questo, rischiate di sentirvi dire che non siete buoni Cristiani, e non otterrete quel che chiedete. E se anche avete osservato tutte le regole e, come spesso succede, non ottenete la grazia che avete chiesto, vi diranno che è colpa vostra, perché non avete saputo pregare...
Da tutto questo io sento non soltanto il diritto, ma il dovere di difendervi! Dio è più grande del nostro cuore! E non soltanto del mio cuore e del vostro, ma del cuore di ogni uomo che vive sulla terra. Dio è più grande di ogni chiesa, è più grande degli uomini. E il nostro ritrovarci qui, ogni domenica, è cercare Dio, cercare i valori di Gesù, cercare di intuire la grandezza del Suo cuore, per portare un po' della Sua tenerezza, della Sua gratuità, della Sua vita, nei nostri giorni! L'avventura dei Cristiani è avventura di povera gente come noi, dal cuore fragile, che cerca Gesù, cerca di nutrirsi di Lui, cerca di vivere la Sua vita. E Gesù ha inventato di farsi "pane" per nutrire la nostra vita!
Gesù è venuto a toglierci ogni paura dal cuore, a non permettere a nessuno di metterci pesi sul cuore. È per questo che ci ritroviamo qui con fiducia e, domenica dopo domenica, tentiamo di nutrirci di Lui, di camminare con Lui, di cercare il volto di Dio "più grande del nostro cuore"! Perché non vogliamo Dio a misura del nostro cuore, ma infinitamente più grande, traboccante di luce, di tenerezza e di pace! Per questo Lo cerchiamo.
Il Signore ci aiuti a trovare qualche barlume della Sua luce, a nutrirci dei Suoi valori!
Chiunque ama è generato da Dio e conosce 4 maggio 1997
Dio, perché Dio è amore. "Questo è il mio comandamento:
che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi".
"Chi crede non si sente mai solo, perché sa di essere amato da Dio. Chi crede affronta con più facilità le sofferenze, le difficoltà, i problemi della vita, perché sa di poter contare sull'amore di Dio. Chi crede ha la gioia nel cuore, perché sa che la sua vita è sostenuta dall'amore di Dio." Penso che la maggior parte di voi sottoscriverebbe senza difficoltà queste affermazioni, non è vero?
Eppure, badate, queste affermazioni sono pesanti e offensive per i credenti, in certi momenti della loro vita: non so se anche a voi sia capitato di fare questa esperienza; ma molti cristiani vivono a volte momenti di solitudine, di abbandono e quasi di disperazione. Non per niente i Vangeli mettono sulla bocca di Gesù le parole del Salmo: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!" Non possiamo dubitare della fede di Gesù; eppure Lui, là sulla croce o nell'orto degli ulivi, ha provato "paura e angoscia" si è sentito solo e non ha saputo affrontare facilmente il dramma della sua vita!
Se vi capita di leggere le "Vite" dei santi - ma quelle serie, scritte da loro stessi - trovate che la maggior parte di loro ha vissuto periodi - a volte lunghi - di sofferenza, di solitudine, di fatica nell'affrontare il dolore. Santa Teresa di Gesù Bambino esprimeva questo con un'immagine suggestiva: "Io so che c'è il sole al di sopra delle nubi; ma io vedo soltanto nubi, soltanto nebbia!"
La maggior parte dei grandi cristiani, che ho incontrato nella mia vita - persone che ho stimato profondamente - hanno attraversato momenti di solitudine, direi di disperazione: eppure era gente di profonda fede! Il fatto è, vedete, che a volte noi confondiamo la fede con il "sentire" la fede: la certezza che Dio esiste e circonda la nostra vita di amore, con il "sentire" questo amore. Noi non siamo padroni dei nostri sentimenti: e qualche volta ci capita di sperimentare momenti di solitudine, a volte sentiamo Dio lontano, assente dalla nostra vita, a volte ci sentiamo quasi disperati!
So che a molti di voi non capita di essere così: ringraziatene Dio! Ma c'è qualcuno - forse anche qui stasera - che sperimenta questo e magari ha incontrato chi, insensatamente, forse senza accorgersi di quale offesa facesse, ha detto che questo capita a chi ha poca fede!
Noi non siamo padroni dei nostri sentimenti: dipendono da tante cose. A ciascuno di noi può capitare di vivere momenti di notte, di solitudine, di fatica nell'affrontare i problemi della vita.
E anche per quel che riguarda i rapporti tra le persone ho visto gente tribolare perché confonde il sentimento con l'amore. Quante volte ho sentito delle nuore dirmi: "Don Checco, ho fatto tanto per mia suocera; ho fatto per lei più che per mia madre; eppure l'ho fatto senza amore!". Che significa?! Non sono forse amore i gesti di tenerezza e di servizio fatti senza risparmio e spesso, senza far trapelare sentimenti di antipatia, magari dovuti a vecchi torti, che ancora bruciano dentro?!
Quante volte ho sentito dei mariti o delle mogli dire: "A volte lo strozzerei! La strozzerei!". L'avete detto anche voi, penso, qualche volta, in un momento di rabbia!
Non siamo padroni dei sentimenti. Chesterton, uno scrittore inglese, diceva che "l'amore" di una mamma per un figlio è sempre lo stesso, ma il "sentimento" va dall'adorazione all'infanticidio! L'amore è fatto di gesti concreti, di servizi, di attenzioni: non solo di sentimenti. Vale tra noi e vale nei nostri rapporti con Dio. Essere credenti significa credere che al di là della nostra vita c'è l'amore e la tenerezza di Dio; ma qualche volta non lo sentiamo. Amarci tra di noi significa tentare di aiutarci, qualche volta di sopportarci, di metterci gli uni al servizio degli altri. Qualche volta lo facciamo con gioia, con entusiasmo - e ne ringraziamo Dio! -; qualche volta ci costa fatica! Qualche volta ci portiamo dentro - e non sappiamo perché - sentimenti di rancore, di rabbia, verso chi ci sta accanto. L'amore è un'altra cosa! L'amore è qualche cosa di più profondo: va al di là del sentimento.
Questo solo volevo dirvi, stasera, anche se l'ho fatta un po' lunga... Ma queste parole so che possono, forse, servire a consolare qualcuno di voi. Ed è la cosa più importante!
Il Signore ci aiuti!
"Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo 11 maggio 1997
Gesù, che è stato assunto fino al cielo, tornerà un giorno..."
"Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura.
Quelli che credono, nel mio nome scacceranno i demoni,
parleranno nuove lingue, prenderanno in mano i serpenti..."
Fermatevi un momento, con gli occhi della vostra fantasia, a guardare questo piccolo gruppo di discepoli che stanno con gli occhi imbambolati a guardare verso il cielo. E devono venire due angeli a scuoterli: "Perché state qui a guardare il cielo? Andate! Lui tornerà".
Vedete, questo non è il racconto di un fatto avvenuto: Gesù non si è mai sollevato per andare verso il cielo! Questo è un simbolo della nostra vita, un simbolo delle tante tentazioni, che abbiamo anche noi e che rischiano di lasciarci imbambolati a guardare verso l'alto.
È la tentazione, per esempio, della spiritualità: le cose della terra, il lavoro, l'economia, la politica, i problemi di ogni giorno non sono importanti per Dio: contano i valori spirituali, la preghiera, le "cose interiori". E rimaniamo a guardare imbambolati verso l'alto, mentre il mondo se ne va da un'altra parte...
Oppure è la tentazione di cercare la religione nei segni esteriori, nei prodigi, nei simboli della protezione dall'alto: quanta gente accorre là dove sembra che appaia la Madonna, dove sembra che lei abbia dato un messaggio, dove sembra che ci sia un prodigio, dove sembra che ci sia una benedizione speciale! È un modo, anche questo, di stare con gli occhi imbambolati a guardare verso l'alto e non accorgersi del mondo, che va da un'altra parte...
O c'è gente che si rinchiude in qualche piccolo gruppo, in cui si parla con grande emozione di Dio, della Scrittura: gruppi ripiegati su se stessi, tutti tesi a cercare conforto reciproco! È un modo, anche questo, di rimanere con gli occhi imbambolati mentre il mondo se ne va da un'altra parte...
Oppure - ed è forse la tentazione di molti di noi - ci lasciamo prendere dall'indifferenza: ormai ci sembra di non poter fare più niente per questo mondo così complicato e complesso; e ce ne rimaniamo a contemplare il cielo, senza renderci conto che intorno a noi la vita scorre e va da un'altra parte...
Le letture di oggi ci ricordano che il compito nostro è quello di tornare là, a Gerusalemme, in mezzo alla città: è là che bisogna avere il coraggio di chinarsi sui mali del mondo per guarirli, di prendere in mano i "serpenti", di bere i "veleni".
I serpenti non sono gli animali che strisciano per la terra: sono i tanti veleni che ci circondano: l'intolleranza, la violenza, la trascuratezza, l'ingiustizia, l'ignoranza... I tanti mali che inquinano l'aria che respiriamo ogni giorno: siamo invitati a combatterli nel concreto della nostra vita, là dove lavoriamo, nelle nostre famiglie, con i ragazzi che ci crescono intorno.
È là, nel concreto della nostra vita, che possiamo chinarci sull'uomo malato, portare intorno a noi tenerezza e pace, il senso della vita, i valori fondamentali!
È questo il senso della festa di oggi: l'invito del Signore a non rimanere a guardare verso l'alto, a non sfuggire a questa terra, ai suoi problemi, ma a continuare la sua opera, ad essere testimoni di Lui. È la nostra responsabilità e la nostra dignità di credenti!
Ed è una testimonianza che non è fatta soltanto di parole, di spiritualità, di preghiera, ma di gesti concreti, che - per quanto è possibile a ciascuno - fanno fare un passo avanti al mondo, alla vita che ci pulsa intorno, alla gente concreta che vive con noi.
Il Signore ci aiuti!
Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento 18 maggio 1997
che si abbatte gagliardo... ed essi furono tutti pieni di
Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue ...
"Quando però verrà lo Spirito di Verità, egli vi guiderà alla Verità tutta intera".
Non sembra anche a voi strano - almeno ad una prima lettura - che quando Gesù saluta i suoi discepoli, la gente che è stata con Lui ormai da qualche tempo, dica loro: "Non posso dirvi tutto. Verrà qualcuno che vi guiderà alla Verità tutta intera; qualcuno che vi farà vedere le cose future"?
Eppure, se ci pensate, qui c'è una delle dimensioni essenziali della nostra fede. Il Dio in cui crediamo non ci permette di rifugiarci nel passato, di chiuderci nei nostri gusci, ma ci invita a vivere di speranza, a costruire il futuro!
Vedete, in tutte le istituzioni, in tutte le organizzazioni, specialmente nel mondo religioso - pensate, per esempio, ai tanti ordini religiosi che hanno attraversato la vita della Chiesa - c'è una tentazione: quella di fermarsi a ciò che ha detto il fondatore, di ripetere le sue parole, di sacralizzare e rendere immutabili le sue regole, le sue leggi; e quindi di non portare avanti la ricerca, l'approfondimento, l'attenzione verso il futuro, verso le cose che cambiano.
Per fortuna Gesù ha messo nel cuore dei suoi credenti il desiderio dello Spirito, la voglia di camminare, di cercare ancora: di questo Spirito, anche oggi c'è un profondo bisogno.
Lo Spirito di cui parla la prima lettura: lo Spirito che spalanca le porte, che toglie la paura, che permette agli uomini di incontrarsi e di capirsi e di parlarsi! Lo Spirito che illumina, che riscalda! È una ricerca incessante, che dovrebbe attraversare la storia della Chiesa. E non solo la storia delle istituzioni: la storia nostra, la storia di ogni uomo, di ogni credente.
Abbiamo bisogno dello Spirito, che ci tolga dal cuore le tante paure che anche oggi - ormai sta finendo il millennio e queste paure forse si accentueranno nel cuore di qualcuno - attraversano il nostro cuore, anche quello dei nostri ragazzi! Paura della vita, del futuro; paura che non ci sia speranza per il domani; paura - ci capita di ascoltarlo spesso - della scienza, del progresso... Paura della novità e della libertà, paura della complessità del mondo, di essere incapaci di affrontarne i grandi problemi. Paura dei vicini: ormai non sono come per i primi credenti solo "Parti, Medi, Elamiti, Greci"; ma gente di ogni parte del mondo di ogni colore e di ogni cultura! Le tante paure che attraversano la vita dell'uomo!
Lo Spirito ci è donato per toglierci queste paure dal cuore, per darci la forza - per darla soprattutto ai ragazzi che ci crescono intorno - di costruire il futuro, per conservare nel cuore il desiderio di cercare la luce, di essere nel mondo testimoni di giustizia e tenerezza!
E noi, che abbiamo qualche anno in più, dobbiamo essere testimoni di questa ricerca del futuro: testimoni di saggezza, di realismo, i piedi ben piantati per terra. I nostri ragazzi non hanno bisogno di illusioni, di sogni irrealizzabili: hanno bisogno di speranza autentica, di saggezza nell'affrontare i problemi, di coraggio, di tanta fiducia nella vita!
Dal tempo di Gesù, il mondo è sempre andato avanti: magari per strade tortuose, magari lo hanno portato avanti coloro che lo Spirito Santo non l'hanno mai sentito nominare! Di più: qualcuno che bestemmiava lo Spirito e Cristo e il Padreterno!... Eppure ha saputo far compiere un passo avanti alla storia dell'uomo.
Gesù ce l'ha promesso: il soffio di Dio non smetterà di animare la storia degli uomini. Davanti a noi non c'è una corsa verso il vuoto e verso il nulla, ma la speranza di una vita sempre più ricca, senza paure, con minori violenze, in cui gli uomini vivano sempre più la propria dignità, siano capaci di conoscersi, di incontrarsi, di camminare insieme, di sentirsi fratelli!
Lo Spirito di Dio continui a spingerci avanti e ci tolga ogni paura dal cuore!
"Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" 25 maggio 1997
La parola "Trinità" riporta alla mia mente complicati discorsi uditi, quando ero ragazzo, dai sacerdoti o dalle suore che allora ci facevano il catechismo: i complicati discorsi con cui tentavano di esprimerci il "mistero" di Dio.
Ricordo ancora immagini di triangoli e di trifogli che mi sembravano più un enigma o un rebus che un discorso di fede. E quando non sapevano più cosa dire, ci contavano la storia di Agostino che qui, sulla spiaggia di Ostia, tentava di travasare l'acqua del mare nella sua piccola buca... E mi dicevano: "È mistero! Quando non puoi capire, devi credere!".
E poi, quando mi preparavo per diventare prete, ho dovuto studiare grossi volumi, pieni di complicate parole: astrusi concetti per tentare di esprimere il mistero di Dio.
Oppure mi viene in mente che, quando ero ragazzo, per tentare di dimostrarmi che Dio esiste ed è grande, mi parlavano di miracoli, di prodigi, di segni straordinari, di fatti eccezionali...
Mi sono poi accorto che questi discorsi non sono del tutto innocenti: chi vi parla di prodigi, di miracoli, vuole spesso farvi credere che avete bisogno del suo intervento, della sua intercessione, per ottenere la protezione e la benedizione di Dio. Chi usa parole complicate e difficili per parlare di Dio, chi ti dice che occorre credere senza pensare, pensa spesso di possedere la "verità" di Dio, pensa di aver sempre ragione...
Con stupore, andando avanti nella vita, mi son reso conto che le parole che tentano di esprimere Dio sono forse infinitamente più semplici! Non è forse vero che la parola che nel Vangelo più viene ripetuta per esprimere il mistero di Dio è "Abbà" - o per tradurla, perché questa è la parola che usava Gesù - "Papà, Mamma"? C'è forse una parola più semplice?
E se volete, nel Vangelo, trovare un "segno" di Dio, "toccare" Dio, dovete ascoltare l'invito degli angeli ed andare a vedere un bambino in una culla, un ragazzo che gioca o che si china sulla sabbia ad imparare le prime lettere dell'alfabeto. Un falegname dalle mani callose, un uomo inchiodato su una croce, le braccia spalancate fra cielo e terra e intorno a Lui i sapienti, i sacerdoti, la folla, che gridano: "Se sei Dio scendi, salva te stesso e anche noi" e non è sceso e vedendolo morire così, il centurione può dire: "Veramente quest'uomo è Figlio di Dio"!
Se volete un segno di Dio, guardate qui: soltanto un pezzo di pane, un bicchiere di vino: le cose più semplici della vita di ogni giorno! È qui, nella semplicità della vita, nella quotidianità, che noi possiamo toccare con mano qualche cosa di Dio. Altro che parole astruse, altro che segni prodigiosi!
Dio è un'altra cosa! È dentro di noi, è nella profondità del nostro cuore, è nel balbettare la parola "Papà!" È nel cercare di intuire, il mistero più profondo della vita, la realtà che c'è dietro lo splendore di una sera come questa, la bellezza del sole, l'amore della gente, la tenerezza della vita! Dietro tutto questo c'è un Papà, una Mamma!
E quando uscite da quella porta, ricordatevi: Dio Lo incontrate! Ma nell'uomo che ha fame, nell'uomo che ha sete, in un bimbo che piange ...
Non c'è niente di più semplice di questo: è là che possiamo fare esperienza di Dio! È là che possiamo abbracciarLo! È là che possiamo tendere la mano! Il resto... rischiano di essere soltanto parole.
Il Signore ci aiuti!
Mentre mangiavano, Gesù prese il calice, lo diede 1 giugno 1997
loro e ne bevvero tutti. E disse: "Questo è il mio
sangue, il sangue dell'alleanza, versato per molti".
"Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza": noi ripetiamo, ogni volta che ci ritroviamo qui, queste parole e forse oggi, con il racconto della prima lettura, possiamo intuire da dove viene questo calice che troviamo nel cuore della nostra celebrazione,
Certo, se io prendessi dei catini di sangue e li spargessi sull'altare e poi venissi in giro, spargendo il sangue su di voi, molti fuggirebbero con un brivido di orrore!
Noi viviamo in una civiltà profondamente diversa, ma per gli antichi il sangue era la vita, esprimeva la realtà più profonda di ogni vivente. E loro usavano il sangue nei loro riti, quando volevano esprimere qualche cosa di importante.
Quando due tribù volevano fare un'alleanza, si ritrovavano per una grande festa e, al culmine della festa, i due capi si portavano nel mezzo, facevano un graffio sul loro braccio, li univano e dicevano: "Ecco, abbiamo stretto un patto di sangue! Siamo come fratelli: abbiamo lo stesso sangue! Ci impegniamo a rispettare i trattati! Guai a chi viola un patto di sangue!"
In alcune tribù antiche (ma mi dicono anche oggi, in qualche parte dell'Africa o in qualche tribù degli zingari), così si fa il matrimonio: quando due si vogliono sposare fanno un graffio sul braccio, uniscono il sangue e stringono così un patto per la vita!
Israele ha intuito che nel cuore della fede poteva esserci un patto con Dio! E non avendo il "braccio" di Dio, hanno preso il sangue dell'agnello che serviva per la festa. Questo sangue è del tutto estraneo alla nostra cultura, eppure l'intuizione che il rapporto con Dio sia un rapporto di "alleanza", è essenziale alla nostra fede! E questo cambia radicalmente l'atteggiamento dell'uomo nei confronti di Dio.
Vedete, in ogni tempo, in ogni angolo della terra - ma non succede anche a noi? - ci si rivolge a Dio quando si ha bisogno di una grazia, quando si cerca una benedizione speciale per una nascita o un matrimonio, quando si vuole ricordare un morto o ottenere la protezione per il futuro: insomma, quando pensiamo di avere bisogno di Dio.
Israele intuisce che Dio va cercato nella gratuità e nell'impegno! Ci si ritrova insieme intorno ad un libro, intorno alla "legge di Dio", per motivare moralmente il nostro cammino sulla terra, per celebrare un patto, per tentare di portare nella vita di ogni giorno qualche cosa della luce, della volontà, della parola, della legge di Dio: il coraggio della giustizia, il coraggio di amare e di cercare la libertà!
Noi non siamo gente che va in chiesa soltanto quando pensa di averne bisogno: noi andiamo in chiesa per rinnovare - domenica dopo domenica - il nostro "patto con Dio", il nostro impegno con Lui, che ci coinvolge nella vita di ogni giorno. E alziamo un calice: è "il calice dell'alleanza", il calice dell'impegno!
E badate: non soltanto dell'impegno nostro con Dio, ma dell'impegno di Dio con noi! Un impegno che qualche volta, nella vita di ogni giorno, ci sembra di mettere in dubbio: noi vorremmo che Dio... ce la mandasse buona, non ci facesse capitare dei guai, non ci mandasse malattie... e talvolta ci sembra lontano. Ma quando ci ritroviamo, alziamo il calice: "Questo è il calice dell'alleanza". È il sangue del Signore! È l'impegno di Dio con la nostra storia! È la Sua passione per la nostra vita! Lui si è fatto uno di noi, è stato fedele fino alla morte di croce!
Ecco, dunque, l'essenza del nostro ritrovarci qui: è alleanza, è impegno di Dio con noi, è celebrare questo amore che si dona fino alla morte di croce, che si fa "pane"!
Ed è l'impegno nostro con Dio: a cercare la Sua libertà, la Sua luce; a portare un po' della vita di Gesù nel concreto dei nostri giorni!
Il Signore ci aiuti!
"In verità vi dico: tutti i peccati saranno 8 giugno 1997
perdonati ai figli degli uomini... "
Abbiamo finito, proprio in questi giorni, di leggere insieme lo straordinario Vangelo di Marco; e una delle cose più belle di questo Vangelo è vedere come l'incontro di chi ha sbagliato, dell'uomo peccatore, con Gesù, è sempre un incontro pieno di vita, di speranza, di luce.
Si parla del "paralitico" incapace di muoversi, che incontra Gesù e si alza e cammina; del "cieco" che apre gli occhi e comincia a vedere e può seguire Gesù; della donna che "perde sangue" - che perde la vita, che sciupa la sua esistenza - e incontra Gesù e ha il coraggio di liberarsi di tutto e camminare con Lui! Si parla addirittura di qualcuno che "è morto" e nell'incontro con Gesù riprende la strada e vive!
L'incontro dell'uomo peccatore con Gesù, nel Vangelo di Marco, è un incontro pieno di luce, di speranza, di vita!
Ed è triste, allora, constatare - e capita di farlo ogni volta che si sta insieme - come c'è gente tra di noi che si porta dentro il senso della colpa: che schiaccia, che opprime, che fa sentire incapaci, che toglie la speranza...
È triste constatare come tanti cristiani si portano nel cuore la paura di Dio: del Suo giudizio, del Suo castigo; la paura di non essere perdonati.
È triste constatare come il senso del peccato, che molti si portano dentro, è qualche cosa di oscuro, di torbido, spesso legato al sesso. Quante volte ho sentito nella mia vita interpretare il peccato di Adamo e di Eva come un peccato sessuale! E non c'entra assolutamente nulla.
Ma nell'educazione di molti di noi il peccato è legato al sesso ed è sempre qualcosa di oscuro, di torbido. E molte persone (forse ce n'è anche qualcuna fra di voi) hanno avuto esperienza, nella confessione, non di liberazione, di luce, di speranza, ma di qualcuno che accentuava il senso di colpa, che metteva pesi sulla coscienza, che faceva sentire - a volte - sporchi o ipocriti perché faceva accusare come colpe ciò che la coscienza non rimproverava.
Sarebbe bene che buttassimo via tutto questo, come spazzatura senza senso, e ritrovassimo tutti la gioia dell'incontro con Gesù! Tutti noi ci portiamo dentro il nostro peccato: la nostra incapacità di amare fino in fondo, di far più bella la vita intorno a noi; tutti noi ci rendiamo conto che le nostre pigrizie, le nostre intolleranze sciupano qualche cosa della nostra esistenza.
Ma ogni volta che ci troviamo qui e incontriamo Gesù, Lui vuol metterci dentro non la paura, il castigo, la minaccia, il senso di colpa, ma il senso della vita, la gioia di ricominciare, la voglia di luce, la voglia di arcobaleno!
Questo arcobaleno che ha accompagnato tutta la nostra Quaresima e la nostra Pasqua, domenica prossima non lo troverete più; ma spero che tutti noi lo portiamo nel cuore!
L'incontro con Gesù è voglia di luce, di vita, di arcobaleno; è speranza che si rinnova; è voglia di camminare, di cercare ancora; è voglia di far più bella la vita; è voglia di portare gioia e pace e arcobaleno intorno a noi!
Niente a che spartire con i sensi torbidi della colpa, con il sentirsi sporchi, con l'incapacità di camminare ancora. L'incontro con Gesù non può essere che luce e perdono, misericordia e grazia, speranza e vita!
Lo Spirito di Dio faccia che sia così anche per noi!
"Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; 15 giugno 1997
dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia
e cresce... la terra produce spontaneamente prima lo stelo,
poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga".
Due piccole parabole - due capolavori - frutto della straordinaria fantasia di Gesù che, come avete ascoltato, non parlava se non in parabole. E sarebbe forse bene, allora, non spiegare queste parabole; magari raccontarne qualcun'altra, forse più vicina a noi, che aiuti ad intuire quello che Gesù vuole comunicarci attraverso queste due piccole storie.
Io ci ho provato; ma dovete portare pazienza: la mia fantasia non è certo quella di Gesù. Comunque, vorrei provare stasera a raccontarvi qualche piccola parabola; di parabole si tratta: un invito a pensare, a pregare, a sperare.
La prima è semplice, addirittura banale. Ci siamo ritrovati, quest'anno, con parecchia gente a leggere il Vangelo di Marco e avreste dovuto vedere, anche dei giovani, cercare con passione il messaggio di Gesù, cercare di cogliere la Sua parola, la Sua realtà, la Sua vita, attraverso le parole del Vangelo di Marco. E come noi tanta gente in ogni parte del mondo.
Chi sa se Marco, quando cominciava a raccogliere i primi appunti per scrivere il suo Vangelo, avrà anche lontanamente immaginato che il suo Vangelo, insieme agli altri, sarebbe diventato il libro di gran lunga più letto del mondo! Chi sa se Marco poteva immaginare che quei piccoli semi che affidava al suo libro, avrebbero portato frutti in milioni e milioni di persone, in ogni angolo della terra!
Chi sa se Marco immaginava la forza della parola che tentava di mettere sulla carta! Una parola che ha attraversato i secoli, al di là delle debolezze degli uomini, al di là della voglia di potere, che non pochi uomini della Chiesa hanno frapposto fra il Vangelo e la gente; al di là delle tradizioni che immobilizzano la speranza di Gesù; al di là delle ipocrisie di gente che parla del Vangelo, ma non l'ha mai letto e non l'ha mai preso sul serio e pensa di rendergli onore - Marco avrebbe riso! - facendolo distribuire a tutte le famiglie di Roma...
Eppure, nonostante tutto questo, la forza che Marco ha affidato alle sue pagine, ha attraversato i secoli e giunge fino a noi e arriverà, attraverso i millenni, alla fine della storia! Sino alla fine, qualcuno prenderà in mano queste piccole parabole e troverà qui la forza: un piccolo seme è veramente diventato un grande albero e tanti Cristiani si sono annidati fra le straordinarie parole, in cui Marco ci ha consegnato qualcosa di Gesù!
Se la prima parabola era semplice (e forse non è nemmeno una parabola), le altre possono essere un po' più difficili e qualcuno di voi si domanderà: "Ma che c'entra, con quello che abbiamo letto stasera?". Provate a pensarci: una parabola non è mai una cosa semplice: è sempre un invito a pensare, a sperare. E dunque, ecco la seconda parabola. Nelle domeniche precedenti parecchi ragazzi hanno fatto la prima Comunione. I ragazzi preparano con cura la loro Messa, scrivono delle preghiere da leggere durante la loro celebrazione: sapete di tutti quei ragazzi - erano un'ottantina - chi leggeva meglio? La figlia dei muti! La forza della vita! Una bimba, che ha sentito dentro di sé la forza per superare l'handicap dei suoi genitori, per costruire la sua vita! E leggeva meglio di tutti gli altri!
Un'altra parabola: una notizia sentita alla radio, di quelle che ti fanno drizzare le orecchie, perché non te l'aspetti. Sapete qual è la città che ha più verde in Europa? - Tutto fotografato dal satellite, elaborato dai computer: non si sbaglia - Roma! E sapete qual è la cosa che può essere triste? Che a Roma molta gente non conosce il suo verde! Ho trovato tanti romani che non hanno mai visto villa Borghese, che non hanno mai passeggiato per villa Panfili...
E fra di voi - ad Ostia siamo particolarmente fortunati - chi ha percorso tutta la via Severiana, ammirando la forza della natura, la bellezza delle fioriture a primavera, la competizione delle piante per cercare il sole, la straordinaria forza della vita, di cui tutti facciamo parte?
E un'altra parabola, ma è l'ultima. Sapete un'altra notizia che mi capitava di cogliere, drizzando le orecchie? Molti paesi del Terzo Mondo negli ultimi anni hanno avuto un tasso di sviluppo, sotto molti aspetti, relativamente molto superiore a quello dei paesi sviluppati. Il che significa che c'è, in ogni angolo della terra, gente che si ingegna, che va avanti, che cerca di migliorare la propria vita: curare le malattie, allungare l'esistenza, procurare il benessere, aumentare l'istruzione! Anche qui la forza della vita, che c'è dentro l'uomo, che lo spinge a cercare!
Perché queste notizie non le ascoltiamo più spesso? Perché c'è tanta gente che cerca di metterci paura? Perché qualcuno vuole toglierci la speranza?
Ecco, vi affido delle parabole: che siano un invito, per voi, a pensare, a pregare, a sperare!
Si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca. 22 giugno 1997
Gesù se ne stava a poppa sul cuscino e dormiva.
Lo svegliarono: "Maestro, non t'importa che moriamo?"
Ci dicevano, quando eravamo giovani: "Scherza coi fanti e lascia stare i Santi". Penso che anche voi abbiate imparato che "scherzare con i Santi" è meno pericoloso e in più, a volte, si impara qualche cosa. E allora stasera proviamo scherzare con i Santi.
Mi capitava, martedì scorso, di camminare per una delle tante belle montagne della nostra Italia; e siccome la passeggiata è stata breve, nel pomeriggio siamo andati a visitare una graziosa cittadina. Tra l'altro l'abbiamo trovata in gran parte restaurata, pulita, ordinata: cosa che mi capita sempre più spesso di vedere, andando in giro per l'Italia. Questo significa che il benessere e la civiltà avanzano nel nostro Paese; ed è una bella cosa! Ma di questo, un'altra volta.
E dunque girando per questa cittadina, siamo entrati nella chiesa principale, dedicata ad un grande Santo del luogo. E c'era una grande teca con la salma del Santo e, in un angolo, le reliquie della sua vita e dall'altra parte una grande lapide che narrava di un prodigio accaduto in quella chiesa: tutto il popolo era riunito e pregava il Santo; ad un certo punto è caduto un fulmine! ha rovinato la cupola della chiesa e tutti i fedeli hanno invocato il Santo e nessuno è stato colpito dal fulmine!...
Ma non poteva, il Santo, far cadere il fulmine un po' più in là ed evitare un coccolone alla gente che stava là, a pregarlo? "Scherzi da prete": si diceva un tempo per indicare uno scherzo pesante ed un po' stupido: gli scherzi dei santi debbono essere peggiori...
Mi faceva venire in mente che una volta una signora tornava da un pellegrinaggio ad uno dei santuari, qui nei dintorni di Roma, dove c'era - almeno a quel tempo - uno dei "santoni" locali. E tornava dicendo: "Don Checco, ho avuto un miracolo!". -"Quale miracolo?" -"Sono caduta: mi son rotta tre costole". "E dov'è il miracolo?" -"Sono caduta sul pullman: mi potevo rompere la testa! Mi son rotta solo tre costole"...
Fino a questo punto arriva il bisogno del miracolo, di avere una protezione! Qualcuno di voi dirà: "Ma è così naturale cercare una protezione dall'alto, una protezione nei Santi! Perché scherzare su queste cose?" E allora, se volete, non scherziamo più: facciamo le persone serie.
È capitato anche a voi di vedere, ultimamente, le immagini dell'arresto di un personaggio, che sembra essere uno dei grandi boss della mafia siciliana? E siete stati colpiti dall'aver visto le pareti della sua casa tutte ricoperte di immagini di Santi, grandi fotografie di Padre Pio che è oggi uno dei campioni del miracolismo?
E non vi sembra che, se qualcuno di voi fosse andato a dire: "Ma scusa, tu che sei così devoto del Santo, come mai ti comporti in questo modo?", vi avrebbe forse risposto, come forse risponderebbe qualcuno di voi: "Che c'entra questo! Io cerco, nel Santo, protezione per me, per i miei figli!". Ma cos'è allora la religione: bisogno di protezione o ricerca dei valori essenziali della vita?
E il Vangelo di oggi parla di un Gesù che ci protegge nel cammino della vita o della certezza dei discepoli, che in Lui ci sono parole di vita, che in Lui possiamo cercare i valori essenziali della nostra esistenza, al di là delle tempeste della vita?
Qualche volta nella vita ci sono tempeste: qualche volta scoppiano i fulmini, qualche volta arrivano malattie, capitano guai, che i Santi non ci evitano: non li hanno evitati mai, nel cammino degli uomini!
Ma al di là di tutto questo, chi crede continua a cercare, in Gesù, i valori essenziali della sua esistenza. Questo è aver fede! Altrimenti rischiamo anche noi di riempire le nostre case di immagini di Santi, di immagini di Padre Pio; e di non essere più capaci di cercare la giustizia e l'onestà, la verità e la tenerezza, la pace, nel cammino di ogni giorno: i valori essenziali della vita!
Per questo è venuto Gesù; ed è questo il cuore della nostra fede.
Il Signore ci aiuti!
Gesù andò nella sua patria... e molti ascoltandolo rimanevano 6 luglio 1997
stupiti e si scandalizzavano di Lui. Ma Gesù disse loro:
"Un profeta non è disprezzato che tra i suoi parenti
e in casa sua". E si meravigliava della loro incredulità.
Anch'io - ma penso che sarà successo a molti di voi, almeno a quelli che hanno i capelli bianchi - sono cresciuto guardando film in cui gli indiani erano tutti brutti e cattivi e i cow-boys tutti belli e buoni. E poi... lo stupore nel vedere che spesso la storia è scritta dai vincitori, che dipingono i nemici, i vinti, come "brutti e cattivi". Lo scoprire che spesso il modo di scrivere la storia è condizionato dalla ideologia, dal potere di quelli che hanno vinto, mi ha fatto intravedere la complessità della vita.
M'avessero detto, quando ero ragazzo, che queste cose le avrei ritrovate anche nel Vangelo, avrei guardato chi mi parlava così, come un eretico, un miscredente! Avevo torto... come per tante cose, quand'ero giovane. Perché anche il Vangelo è stato scritto da gente come noi. E come non immaginare che delle scorie umane sarebbero entrate anche nella luce, che il Signore ci ha lasciato?!
Perché vi dico questo? Perché, vedete, oggi noi leggiamo un brano di storia scritta dai vincitori, i quali dicono che loro, quelli della casa di Gesù, i suoi parenti - ne avete sentito i nomi, di questi suoi "fratelli" (come li chiama il Vangelo di Marco): Giacomo, Joses, Giuda, Simone - sono dei miscredenti! Anzi, in un'altra parte del Vangelo, Marco dice che sono rei di un peccato imperdonabile: perché hanno conosciuto Gesù e Lo hanno rinnegato! Ma non è mica vero!
Se leggete attentamente il Nuovo Testamento, vi accorgete che proprio queste persone - Giacomo, Joses, Giuda Simone - sono stati i primi discepoli di Gesù: coloro che dopo la sua morte hanno avuto il coraggio di continuare a credere in Lui. Se noi siamo qui riuniti, lo dobbiamo - prima che a Pietro, Paolo, Giacomo, Giovanni, Marco - proprio a questi. I quali, però, ad un certo punto sono entrati in conflitto con gli altri... E hanno perso! E sono stati scomunicati, messi fra quelli "brutti e cattivi"!
Cogliamo anche qui uno degli antichi mali delle religioni: l'intolleranza, il pensare che Dio stia dalla parte nostra e che gli altri sono cattivi e miscredenti, destinati al fuoco dell'inferno. E siccome il fuoco dell'inferno è un po' lontano, ogni tanto lo organizziamo noi: abbiamo acceso roghi per bruciare gli eretici o almeno i loro libri...
Oggi ci capita di ascoltare, con orrore, storie di crudele intolleranza, in certe regioni del mondo. E questa intolleranza è ancora più inaccettabile, quando è in nome di Dio e della religione. Ma, nel corso della storia, noi cattolici abbiamo descritto come "brutti e cattivi" gli Ebrei, i Protestanti, i Saraceni, i Turchi, alcuni scienziati... Spesso senza cercare di capire le ragioni degli altri! Senza renderci conto dell'intolleranza, che usa il nome di Dio per difendere il proprio potere!
E ci conviene non dimenticare che questa intolleranza ce la portiamo anche dentro di noi: fa parte del nostro cammino di uomini, fa parte del cammino delle nostre Chiese! A volte nelle parole delle autorità della Chiesa si ritrova quest'antica radice dell'intolleranza: il pensare di possedere la verità di Dio, di aver sempre ragione, l'incapacità di ascoltare la voce degli "altri"!
Diffidate di tutto questo! Il Signore ci chiama a cercare con pazienza la verità: dentro di noi e intorno a noi; con il coraggio di renderci conto che in ogni uomo c'è un riflesso della luce di Dio! E che, prima di giudicare e di condannare, occorre capire! Prima di schierarci e di dividerci, occorre il coraggio dell'intelligenza! Non sarà, anche, perché abbiamo dietro le spalle una lunga tradizione di intolleranza, che è così difficile, in questo paese, ragionare pacatamente e cercare insieme ciò che è veramente importante? Interminabili liturgie, interminabili discussioni! Spesso sembra mancare la capacità di ragionare, senza scomuniche reciproche, senza dividerci sempre, su tutto, in destra e sinistra, in bianchi e neri! Senza descrivere gli altri come brutti e cattivi! Chi sa se un giorno diventeremo tanto saggi da cercare le cose essenziali nel rispetto e nella ragionevolezza?
Il Signore ci liberi da ogni intolleranza! Soprattutto da quelle fatte nel Suo Nome!
Allora Gesù chiamò i Dodici e incominciò a mandarli a due a 13 luglio 1997
due e diede loro potere sugli spiriti immondi... E scacciavano
molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.
Sapete cosa ci vuole per essere dichiarati "santi" nella Chiesa, per avere il proprio nome scritto sul calendario? Valeva un tempo, ma vale anche oggi: ci vuole qualche "miracolo" - cacciare qualche diavolo, guarire qualche malato - ma soprattutto ci vogliono molti soldi... Soldi che non tira fuori il "santo", chiaramente, ma quelli che vengono dopo - un ordine religioso, un gruppo di cristiani - a cui il "santo" serve per esaltare la propria ideologia o il proprio potere.
E se il Cristianesimo fosse totalmente un'altra cosa? Si capirebbe allora l'insistenza di Gesù: "né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa". Solo i sandali, nemmeno due tuniche, anche se fa freddo... Insiste, perché sa quello che minaccia il cammino della sua gente: la ricerca del potere, la sfiducia nella Sua Parola, il pensare che il Suo nome, i Suoi valori possano essere diffusi con la forza del denaro, con la potenza.
Nel corso di questi 2000 anni, non pochi hanno pensato che si potesse diffondere il messaggio di Gesù con la forza: hanno conquistando popoli e nazioni e con la Croce e la spada nella mano!
E, vedete, non è soltanto con la forza delle armi che si esercita il potere nella vita della Chiesa: se vi dicono: "In quel santuario c'è qualcuno che fa i miracoli; in quell'altro c'è qualcuno che scaccia i diavoli", pensateci: anche questo è potere, anche questo è voler esercitare il proprio potere sui bisogni, sui desideri, sul cuore della gente!
E se essere Cristiani fosse totalmente un'altra cosa? Se cacciare i "diavoli" non fosse faccenda di qualche strana pratica, di cui, talvolta, qualche buffo prete parla in TV? se fosse cosa di ciascuno di noi, nella vita di ogni giorno? Fosse combattere l'ingiustizia, l'intolleranza, la violenza nel nostro quotidiano, nel posto dove lavoriamo, nelle nostre case?
Se "guarire i malati" non fosse il prodigio, che succede una volta tanto, ma il chinarsi dell'uomo di buona volontà sulle tante sofferenze del mondo? Sofferenze del cuore, oggi che la medicina ha vinto tanti malanni del corpo: gente che ha bisogno di una tenerezza, di un conforto, di un aiuto per essere capace di vivere!
Se essere discepoli di Gesù, fosse qualche cosa di tenero, di quotidiano, lontano da ogni forma di potere, da ogni ideologia, da ogni sopraffazione sugli altri? Se fosse il chinarsi su chi ci sta accanto? L'essere testimoni di giustizia, di onestà, di fedeltà, nella vita di ogni giorno? Il coraggio di "scuotere la polvere dai piedi", quando incontriamo qualche ingiustizia intorno a noi?
Se essere Cristiani è tutto questo, allora noi abbiamo i nostri Santi! Ce ne sono anche qui, in mezzo a voi; e ce ne sono parecchi! Qualcuno se ne comincia ad andare, perché anche la Parrocchia ormai diventa vecchia...
Abbiamo i nostri Santi in Paradiso! Non cercatene il nome sul calendario, eh? Non abbiamo i soldi... Ma nel cuore di Dio ci sono loro! E forse più avanti di tanti che hanno i nomi scritti sul calendario: molti di quei nomi (non lo raccontate in giro) erano dei delinquenti. "Quello era un gran Santo - vi dicono - ha organizzato una grande crociata, quell'altro ha fatto bruciare molti eretici!" I Santi che ho conosciuto io non hanno ammazzato nessuno! Hanno dato una carezza, quando potevano; ci hanno portato un sorriso quando potevano; hanno fatto l'amore, quando potevano; sono stati testimoni di giustizia e onestà; hanno resistito al male, ogni volta che hanno potuto!
Questi sono i Santi veri! Non serve fare prodigi, non servono fatti straordinari: è la fedeltà di ogni giorno! Noi ne abbiamo conosciuti tanti. E speriamo che tutti noi, anche io, possiamo fare qualche piccolo gesto sulla via della santità vera, dove ci chiama Gesù!
Il Signore ci aiuti!
"Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’" 20 luglio 1997
Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro...
e si mise ad insegnare loro molte cose.
"L'uomo propone e Dio dispone": così dicevano i nostri vecchi, per esprimere l'imprevisto che spesso sconvolge i progetti dell'uomo. E questo da Gesù non ce l'aspetteremmo... Eppure, come avete ascoltato, anche Lui, quando va con i suoi discepoli in un luogo solitario per riposarsi un po', si trova circondato da "molta folla" e deve ricominciare a parlare...
Molti di noi non credono più che Dio disponga gli avvenimenti della nostra vita: ma se questo risolve qualche problema del nostro credere, non risolve certo i problemi del nostro vivere. Penso che anche a molti di voi succeda che spesso gli imprevisti vengano a turbare i progetti e il desiderio di riposarsi un po'.
A volte è un malanno, un acciacco, un incidente; più spesso è la folla delle preoccupazioni, dei problemi di ogni giorno. Conosco molti di voi e so che anche qualcuno che ha i capelli bianchi - e avrebbe ogni diritto a riposarsi e a stare tranquillo - deve ancora occuparsi dei figli, magari dei nipoti: la vita di ogni giorno presenta tanti problemi, tanti affanni, bisogna sempre correre!
E per più d'uno di voi - direi per molti di voi - anche la preghiera diventa un problema. Uno viene in chiesa, cerca un luogo solitario, dicendo: "Vado a fermarmi un momento con Gesù, a parlare un po' con Lui!". E poi, quando si mette a pregare, subito una folla di pensieri, di preoccupazioni; e la testa se ne va chissà dove...
È normale che sia così. Non solo è normale, ma è bene che sia così: vuol dire che anche voi, come Gesù, vi preoccupate degli altri. E quando vi viene in mente la folla dei problemi... allora il cuore vi porta là: un cuore attento alle persone, ai problemi di chi vi sta intorno ed ha bisogno di voi! Com'era il cuore di Gesù, un cuore capace di volere bene! Soltanto chi è insensibile, soltanto chi sa solo chiacchierare, può pensare ad una cosa sola e star lontano dalle preoccupazioni.
Eppure, vedete, è importante che troviamo anche qui un po' di equilibrio. Abbiamo tutti bisogno di un po' di riposo, ne ha bisogno il nostro corpo e soprattutto ne ha bisogno il nostro cuore: abbiamo bisogno tutti di incontrare qualche volta il Signore e di trovare in Lui il distacco dall'affanno di ogni giorno, la capacità di guardare i problemi con l'occhio di Dio; di ritrovare in Gesù la pace, la serenità! Ma questo - lo sapete - è facile a dirsi; molto più difficile a viversi ogni giorno!
E allora ci conviene chiedere al Signore di poter trovare, anche noi, qualche momento di quiete, di riposo, di incontro con Lui; ma soprattutto che non ci tolga mai dal cuore la straordinaria capacità, che aveva Lui, di accorgersi della gente, di preoccuparsi degli altri, di essere attenti ai bisogni di chi ci sta attorno!
E qualche volta - lo sapete per esperienza - il riposo se ne va: bisogna correre, darsi da fare, tendere ancora una mano! E così faremo, finché il Signore ci darà forza. Ma questa è la nostra ricchezza! Questo è essere Cristiani!
E magari molti di voi, che hanno i capelli bianchi, si riposeranno soltanto quando si troveranno seduti, finalmente, ai piedi di Gesù e potranno, allora, parlare con Lui senza più doversi preoccupare di tutti i problemi di ogni giorno, che a volte sono tanti e non ci lasciano in pace!...
Il Signore ci aiuti!
Gesù rispose: "Trascurando il comandamento di Dio, 31 agosto 1997
voi osservate le tradizioni degli uomini".
Una volta, tanto tempo fa, una signora mi diceva: "Don Checco, noi vorremmo che quando Lei predica non dicesse le sue opinioni, ma ci desse la dottrina sana, tradizionale, il pensiero della Chiesa, il pensiero di Gesù". Queste parole, quando le ascoltavo allora, mi turbavano un po', come potete immaginare. Poi, l'esperienza della vita mi ha insegnato tante cose: ho sorpreso spesso queste persone (come si dice a Roma) "col sorcio in bocca"... Chi parla così o è in mala fede perché vorrebbe che io dicessi come "parola della Chiesa" quello che lui pensa; o, più semplicemente, - ed era probabilmente il caso della signora - è stato ingannato.
C'è tanta gente, anche oggi, che cerca di impapocchiarvi, facendo passare le proprie opinioni come opinioni della Chiesa o, addirittura, "parola del Signore"! Io ve l'ho detto tante volte e torno a ripetervelo ancora una volta: le mie sono soltanto parole di uomo; le mie sono soltanto opinioni personali. Ma chi vi dice il contrario, vuole ingannarvi. E guardatevene bene! Nessuno può togliervi il rischio di capire da soli cosa vuol dirci il Signore, qual è veramente la Sua parola e nelle concrete circostanze della vita. È, come avete ascoltato nel Vangelo di oggi, un problema antico: si tratta di distinguere le tradizioni degli uomini, le parole degli uomini, dalla "Parola di Dio".
Capita spesso, nella vita della Chiesa, che ci sia chi vuole educarvi a non pensare, ad accettare passivamente opinioni che sembrano venire da Dio e sono soltanto opinioni di uomini. Posso forse, a mo' di esempio, raccontarvi l'esperienza che ho fatto in questa vacanza.
Stavo, con un po' di altra gente, in un paesino dell'alto Adige; qualche volta ci capitava di sconfinare nel Veneto, incontrando, là, l'antica e veneranda tradizione cattolica di quelle regioni: grandi chiese (non sempre belle, per la verità), sulla porta i manifesti che annunciavano feste, processioni, tradizioni: un'antica cultura cattolica, forse più orientata all'ossequio, all'obbedienza, che alla ricerca, allo stimolo a pensare con la propria testa.
E, discorrendo, ci capitava di notare come in quelle regioni sembra prendere largamente piede ogni forma di "lega", o "liga". E qualcuno ricordava che anche al tempo del terrorismo, là c'era uno dei focolai più importanti che forniva uomini per il terrorismo.
Che sia questa una delle conseguenze della lunga tradizione cattolica, volta più all'ossequio e all'obbedienza, che a pensare con la propria testa? Se un giovane non è abituato a pensare con la propria testa, quando sente il bisogno di cambiare, rischia di andar dietro al primo mito che passa, di lasciarsi cogliere dalla prima avventura, per quanto assurda e pericolosa sia.
Vedete, noi ci prepariamo a festeggiare il giubileo: lo festeggeremo con pifferi, pennacchi ed ovazioni... Non sarebbe, secondo voi, il caso di festeggiarlo riflettendo su questo millennio? I Cristiani in questi mille anni hanno conquistato e dominato il mondo; ma non sempre l'hanno fatto nella tenerezza e nel rispetto! Non sarebbe importante riflettere su tutto questo tempo? Sulle tante cose che abbiamo fatto passare come "parola di Dio" ed erano soltanto tradizioni di uomini, se non addirittura voglia di potere e di dominio sul mondo?
Ci sarebbe molto da riflettere; ma... in questo giubileo non succederà. Aspetteremo quello del Tremila! Spero di non farvi offesa nel dirvi che noi non ci saremo: staremo affacciati a qualche balcone del cielo e guarderemo giù una Chiesa che finalmente avrà imparato a riflettere! Qualcuno di voi penserà che forse nel Tremila non ci sarà una Chiesa, forse non ci sarà il mondo. Non dimentichi: nel Mille erano molti a pensare così! Sono passati mille anni: siamo ancora qui... Quindi l'appuntamento è per il Tremila: assisteremo al giubileo dall'alto, affacciati ad un balcone del cielo. E speriamo che allora i Cristiani abbiano imparato a pensare con la propria testa, a cercare con il proprio cuore la Parola del Signore!
Intanto, se qualcuno di noi ne è capace, ci conviene cominciare a farlo.
Il Signore ci aiuti!
... gli condussero un sordomuto. E portandolo in disparte 7 settembre 1997
lontano dalla folla ... disse "Effatà" cioè "Apriti".
E subito gli si aprirono gli orecchi e parlava correttamente.
Ho incontrato ancora una volta, in questa estate, lo stupore doloroso e scandalizzato di un giovane di fronte all'uso che noi facciamo della parola "miracolo". Ed è proprio l'incontro con questo stupore scandalizzato, che mi spinge stasera a farvi questo discorso.
E vi prego di prendere sul serio lo stupore di questo ragazzo, che è condiviso da tante persone come lui: è in gioco la loro possibilità di credere! E credo che sia compito di tutti noi - dei più giovani, ma anche dei più anziani - di fare in modo che sia possibile anche ad un giovane del nostro tempo - e soprattutto a quelli che hanno una sensibilità più acuta, un'attenzione più forte verso gli altri - credere ancora.
Perché questo ragazzo era scandalizzato? Il fatto lo conoscete tutti: un pullman di pellegrini va da padre Pio; due banditi assaltano il pullman; un colpo di pistola: un uomo viene sfiorato, l'altro ucciso. E colui che viene sfiorato - badate, non è un giudizio: chi scampa ad una disgrazia simile può dire qualunque cosa, lui, i suoi familiari... Ma noi siamo qui, tranquilli, a riflettere sulla nostra fede - ed è di questo che si parla, non di quella persona - e dunque, colui che è scampato dice: "Padre Pio mi ha fatto un miracolo!". E l'altro...? E colui che è rimasto ucciso?
E questo giovane diceva anche: "A volte, quando c'è un disastro aereo, tante persone morte, qualcuno scampa e dice: "Ho ricevuto un miracolo". E gli altri? Lui ha diritto di parlare così; ma noi abbiamo il diritto di parlare così? Si può ancora usare così, la parola "miracolo"?
Perché uno muore e l'altro vive? Perché tanti muoiono e altri vivono? La risposta a queste domande, che a volte si coglie nella tradizione popolare, o meglio, sulla bocca di qualche prete o di qualche santone, riempie di orrore la nostra fede. Di orrore: perché c'è sempre la colpa di qualcuno, perché si va a cercare di chi è la colpa di quella disgrazia. E non c'è niente di peggio, nel cammino della fede!
Ma qualcuno di voi mi può dire: "Don Checco, c'è tanta gente che continua ad andare ai santuari; anche tanti giovani ci vanno". E qui occorre un'altra riflessione: "Tanti ci vanno". Per esempio, in pellegrinaggio da padre Pio vanno decine di migliaia di persone. 100 mila? 300 mila? un milione? Ma in Italia siamo 57 milioni di abitanti; e più di 50 milioni di persone non ci vanno. E di queste dobbiamo anche tener conto.
E spesso si vede tanta gente in TV - perché la TV è abituata a mostrarci le folle - anche nei prossimi giorni lo vedrete: un grande concerto, il Papa, tanti giovani. Vi diranno: "300 mila ragazzi"... Non dimenticatelo: 3 milioni di giovani non sono lì! E se le parole del Vangelo hanno un qualche senso, di questi 3 milioni dobbiamo preoccuparci!
È compito mio; ma è compito di tutti noi. Le nostre parole a volte impediscono a questi giovani di credere. E non ai peggiori, ma ai migliori! A coloro che davanti alla parola "miracolo" si domandano subito: "Perché a quello sì e a quell'altro no? Perché se il Santo poteva fare un miracolo, non l'ha fatto anche per l'altro? Perché se uno è scampato al disastro aereo, non sono scampati tutti? Se Dio poteva intervenire, se il Santo poteva fare qualcosa, perché non l'hanno fatto?".
Son domande serie: domande dei nostri ragazzi, domande della gente che ha il cuore sensibile! O ci decidiamo a prenderle sul serio, o non possiamo lamentarci se la gente migliore non crede più! Scusate se ho alzato la voce; ma, come forse avrete capito, il problema mi sta a cuore. Mi sta a cuore la fede dei nostri ragazzi!
Allora, o la parola "miracolo" non è più il privilegio di qualcuno, beneficato da Dio o dal Santo non si sa perché, o la parola "miracolo" ridiventa - come nel Vangelo - una realtà quotidiana, qualcosa che ci riguarda tutti: i tanti miracoli, gli infiniti miracoli dell'amore del mondo! La gente che si china sul dolore del prossimo, le tante "suocere di Pietro" (per usare le parole del Vangelo), che si alzano per servire! O è meglio che cancelliamo dal nostro parlare la parola "miracolo".
O il miracolo esprime la nostra fede in Gesù che può aprire il nostro cuore alla speranza, la sua capacità - come per l'uomo del Vangelo di oggi - di portarci lontano dalla folla, dal rumore del mondo, dalle tante parole che ci rintronano la testa, per darci la capacità di ascoltare il segreto della vita... oppure è meglio che cancelliamo dal nostro vocabolario la parola "miracolo".
O il miracolo esprime lo stupore di fronte alla bellezza del mondo - il miracolo di un fiore che sboccia, del sole che spunta ogni mattino - o è bene che cancelliamo dal nostro parlare la parola "miracolo"!
Il miracolo non può essere il privilegio di Dio, ad uno dato e ad un altro no. Ma un fatto che ci riguarda tutti. Un Cristiano se non fa i miracoli, dice il Vangelo, che fa?! Quando ci alziamo per fare un sorriso, quando ci chiniamo sul dolore del prossimo, quando facciamo una carezza, quando siamo capaci di dare un momento di gioia... là avviene un miracolo! Il prodigio della vita! Fatto di tutti i giorni, fatto che ci riguarda tutti! Non eccezione voluta da un Dio o da qualche Santo, che a loro capriccio fanno quello che vogliono!
La fede, la fede di oggi, la fede dei nostri ragazzi, la sensibilità di chi ama e di chi spera, non è conciliabile con quest'uso della parola "miracolo". Forse sarebbe bene che tutti riflettessimo su queste cose!
Il Signore ci aiuti!
E come Mosè innalzò il serpente ESALTAZIONE DELLA CROCE - 14 settembre 1997
nel deserto, così bisogna che sia Numeri 21, 4-9 - Giovanni 3, 13-17
innalzato il Figlio dell'uomo, perché
chiunque crede in Lui abbia la vita eterna.
Se vi capita, come è successo a me in questa estate, di girare per le splendide montagne del nostro Paese, vedrete, quasi su ogni cima, una croce e, se salite in alto, ne vedrete tre, cinque, dieci... Lassù, nel punto più in vista, i credenti hanno posto un segno della propria fede: la croce di Gesù. E in ogni chiesa, al centro, trovate una croce. Nella nostra chiesa - e dentro e fuori - ce ne sono decine: di ogni tipo, di ogni forma; perché il nostro architetto amava particolarmente le croci!
Ma forse c'è anche qualcuno di voi - io ho incontrato molte persone così - che si porta nel cuore un'ossessiva presenza di questa croce: fin da quando era bambino gli è stato detto "Guarda: Gesù soffre per te! Guarda: Gesù è morto per i tuoi peccati!". Queste parole tutti noi le abbiamo ascoltate e ci sono scivolate addosso come acqua sul vetro, come tante parole della nostra fede. Ma a qualcuno queste frasi sono rimaste nel cuore, quasi un'ossessione.
E allora vedete che, legato alla croce, non c'è soltanto il cuore della nostra fede, ma anche qualche cosa di oscuro, qualche cosa che può diventare ossessivo. Di cosa si tratta, dunque?
Anzitutto il fatto: Gesù - di questo nessuno che abbia conoscenza della storia dubita - è morto inchiodato su una croce. E i primi Cristiani hanno visto in Lui la presenza di Dio nella nostra vita. Per noi tutto sembra semplice e scontato! Ma allora suscitavano scandalo, ovunque proponessero Gesù e la sua croce. Perché l'uomo è abituato a vedere "l'inviato di Dio" nella gloria, non umiliato nel fallimento e nella sofferenza più atroce, com'è la morte in croce!
E allora i Cristiani hanno tentato, nel lungo cammino della loro storia, di dare una spiegazione: perché Gesù è morto in croce? È la spiegazione che voi avete forse nelle orecchie (l'abbiamo ascoltata quasi tutti al catechismo: la potete ancora leggere in qualche catechismo recente e famoso): Dio ha mandato il suo Figlio per "espiare" i nostri peccati: su quella croce c'è la "vittima" che Dio ha chiesto, per perdonare il nostro peccato! Il peccato si espia attraverso la sofferenza, il sangue, il dolore, la morte.
Ma questo lascia, nel cuore di molti di noi, un brivido di disgusto e di orrore: in che Dio crediamo? Chi è questo Dio che esige addirittura il sangue, la sofferenza e la morte del suo Figlio? Crediamo in un Dio che è Padre o in un Moloc o in qualcuno che esige (come succedeva in certi lati oscuri delle religioni del mondo) la sofferenza, il sacrificio, la morte? Il Dio in cui noi crediamo ama la morte, ama il sangue, ama il dolore? È qualcosa che ci lascia profondamente interdetti ...
Ma c'è di più: nella storia della Chiesa, a questo spesso si unisce l'invito ad imitare il Cristo e, quindi, l'esaltazione della sofferenza! Non è stato proposto anche a voi, qualche volta, come modello, come "Santo", qualcuno che aveva le stimmate e che, quindi, portava nel proprio corpo la sofferenza di Cristo? E l'invito, quindi, all'imitazione, al sacrificio, al digiuno, alla rinunzia?
In che Dio crediamo? Perché qualcuno ci ha detto queste cose? Non è sempre innocente: c'è a volte in qualcuno la voglia, la libidine, il desiderio di dominare altri uomini. Ci sono state nella lunga storia della Chiesa e ci sono ancora oggi, purtroppo, delle persone che appaiono virtuose, perché hanno rinunziato a sposarsi, ad avere soldi, ad ogni piacere terreno... ma vogliono dominare la coscienza del prossimo. Cosa c'è di più libidinoso di volere imporre la propria personalità su un altro, di vedere un altro che rinuncia e soffre, perché glielo dici tu, in nome di Dio?
Ma che se ne fa, Dio, delle sofferenze di un uomo, di un ragazzo, di una ragazza?! Che se ne fa, se si mette il cilicio intorno ai fianchi, se fa digiuni e penitenze, se rinunzia alla propria vita?! È questo il Dio in cui crediamo?
Allora qualcuno può domandare: "Ma che rimane, allora, della croce di Cristo? Perché la teniamo ancora qui, in mezzo a noi?" Fermi! Prima di toglierla, guardiamo un momento la nostra vita (qui c'è gente che ha i capelli bianchi ed una lunga esperienza): quante volte avete incontrato la croce? Qualche volta in maniera drammatica - ve lo ricordate? - quando per essere giusti, per rimanere fedeli ai vostri ideali, avete dovuto rinunziare a qualcosa di importante; forse avete dovuto mettere a rischio la vostra vita! Durante la guerra - qualcuno degli anziani lo ricorda - molti dei nostri uomini, dei nostri contadini, della gente semplice, ha rischiato per salvare un uomo che fuggiva, per salvare un ebreo, un perseguitato; e più d'uno è rimasto vittima della sua solidarietà!
Ma quanta gente, più semplicemente, nel posto del lavoro, per rimanere fedele alla giustizia, per non accettare compromessi gravi, ha messo a rischio il proprio posto di lavoro, la propria famiglia! Per rimanere onesto! Per credere sul serio in qualche cosa, che sentiva giusta, dentro di sé!
No, non possiamo toglierla questa croce: dobbiamo continuare a predicarla ai nostri ragazzi, sempre! Oggi ne hanno forse più bisogno di ieri: perché fin da piccoli hanno tutto. Sono abituati a non lottare per niente. E rischiano, quando si trovano di fronte ad una difficoltà, di rinunciare! E non abbiate paura di dirglielo! Perché, nella mia esperienza (ormai è lunga), i ragazzi apprezzano questo discorso: perché sentono che qui c'è qualche cosa di importante, sentono che qui c'è qualche cosa di giusto. C'è, è vero, qualcuno che vive con indifferenza... ma spesso nei ragazzi c'è tanta generosità. Hanno bisogno di sentirsi dire che, se vogliono essere giusti, se vogliono rimanere onesti fino in fondo, se vogliono fare qualche cosa di importante nella vita, devono avere il coraggio anche di accettare la croce, di sacrificarsi, di rischiare la propria vita.
Ma c'è un altro aspetto della croce, che forse ha attraversato la vita di quasi tutti voi: è la sofferenza senza senso, è il dolore, è la morte di una persona cara. Che pensare, di questo? La cosa che assolutamente non possiamo pensare, è che lì ci sia un castigo, una punizione. Ed è, purtroppo, la prima cosa che viene in mente a molti credenti: "Che male ho fatto? Perché Dio mi castiga così?". Non c'entra niente il castigo! Sono i guai che qualche volta attraversano la vita dell'uomo; e questo non può avere nessuna spiegazione nel castigo, in una punizione, in qualche cosa che viene dall'alto: altrimenti non potremmo più credere in Dio!
Eppure, queste cose succedono; e l'uomo malato rischia di non valere più, di non essere più considerato, nella vita! Noi dobbiamo conservare una croce, in mezzo a noi! Perché l'uomo sofferente, il fallito, perché la persona anziana, perché colui che non ha più le forze, "vale" come un giovane forte, coraggioso! Perché l'uomo non vale per la sua bellezza, per lo splendore della sua gioventù: l'uomo vale per quello che si porta nel cuore! E a volte chi tribola ha dentro di sé dei valori grandi.
Ma noi non possiamo fermarci qui: noi dobbiamo combattere la sofferenza con tutte le nostre forze: la sofferenza del corpo, la sofferenza del cuore - e ce n'è tanta, io la incontro quasi ogni giorno. Dobbiamo darci da fare tutti, con lo studio, con la ricerca, con tutti i mezzi che la scienza mette a nostra disposizione. Ma anche con la tenerezza, con cui dobbiamo circondare ogni uomo che soffre. Tutta la tenerezza, la gratuità di un cuore credente si rivolge al più debole che incontra sulla sua strada, all'uomo sofferente: solo così manifesta il suo credere in Dio, nella tenerezza di Dio, nella gratuità di Dio, nell'amore di Dio per chi è più piccolo e più debole!
Via, dunque, le spiegazioni che riempiono di tristezza e di orrore la nostra vita! Ma tutti insieme, per quanto ci è possibile, rimbocchiamoci le maniche, per chinarci, con tenerezza, sul dolore del mondo!
Per questo la croce di Cristo è bene che rimanga in mezzo a noi, quando ci ritroviamo qui, ogni domenica, a pregare: perché qui veniamo a cercare le cose essenziali della vita. Ed è essenziale alla vita che noi facciamo il bene non soltanto quando non ci costa nulla e magari riceviamo l'applauso; perché è essenziale alla vita che tutti noi ci sforziamo di chinarci sul dolore del mondo, sulle lacrime per asciugarle, per portare un pizzico di gioia intorno a noi!
Questo è il cuore della nostra fede: così è vissuto Gesù! Ecco perché in mezzo a noi ci sarà sempre questa croce!
"Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti". 21 settembre 1997
E preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse:
"Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me ..."
"Servus servorum Dei" (non preoccupatevi: non voglio parlarvi in latino stasera; non sono uscito pazzo...): tra le prime parole latine che ho imparato, questo è uno dei titoli del Papa: "Servo dei servi di Dio"! E mi colpiva, quand'ero piccino, che anche il Papa il giovedì santo si chinasse a lavare i piedi della gente e dicesse di essere "l'ultimo e il servo di tutti".
E poi ho cominciato a studiare la storia ed ho letto che il Vaticano è stato - come tanti luoghi di potere del mondo - teatro di lotte feroci, senza esclusione di colpi: tradimenti, veleni, uccisioni. Le grandi famiglie del tempo, e italiane e straniere, si contendevano il potere del Papato.
Perché le parole del Vangelo non diventino anche per noi ipocrite e vuote, come spesso è successo nella vita della Chiesa, proviamo stasera a contestare Gesù.
Ma, secondo voi, si può essere gli ultimi? La natura, la vita, non sono basate sulla ricerca di un posto al sole, sulla lotta per essere primi?
E che sarebbe la nostra storia, che sarebbe la nostra vita, senza lo sforzo di tanta gente per essere i primi? Pensate a tutti quelli che nel corso della lunga avventura dell'uomo hanno cercato di essere i primi ad inventare qualche cosa: dalla prima pietra scheggiata, che serviva a tagliar meglio la carne, a tutte le invenzioni, frutto dello sforzo di chi cercava di migliorare la vita. E di farlo prima degli altri!
Che sarebbe la nostra Italia senza tutti i grandi quadri dei pittori, che si sforzavano di essere i primi? Michelangelo, Raffaello, Leonardo... cercavano di essere migliori degli altri. Che sarebbe la nostra vita, la nostra salute, se non ci fossero anche oggi tanti medici, che si sforzano di essere primi, di essere capaci più degli altri, di curare qualche malanno? La vita non è tutta basata sulla competizione, sul desiderio dell'uomo di essere primo, di arrivare in alto?
Qualcuno di voi dirà: "Ma per arrivare in alto, spesso si calpesta il prossimo, si schiacciano gli altri. La voglia di arrivare - di uomini e di nazioni - ha comportato guerre e distruzioni e stragi!".
Allora, dov'è la differenza fra l'uomo che si sforza di arrivare primo, per far fiorire, per far fruttare tutte le sue potenzialità, e l'uomo che si sforza di arrivare primo per sfruttare e calpestare il prossimo? La differenza non è sempre evidente, come voi sapete per esperienza.
La discriminante non può essere in questo "bambino", che Gesù colloca di fronte ai suoi discepoli? "Se volete essere i primi ... LUI!". E non pensate ai nostri bambini, coccolati, rispettati, forse anche un po' viziati... I bambini al tempo di Gesù erano veramente "gli ultimi", come succede in natura: i piccoli sono sempre l'ultima ruota del carro.
Se la discriminante fosse proprio questa: la capacità di mettere tutte le proprie potenzialità al servizio degli altri, al servizio del più piccolo tra gli altri? Qualcuno di voi, lo so, chi ha esperienza della vita, forse sorride e dirà: "Ma non è possibile! Se uno vuole arrivare primo, qualche volta deve calpestare il prossimo".
Ebbene, nella mia esperienza (ma riandate anche alle vostre esperienze, alle più profonde della vostra vita) ho incontrato tante persone eccezionali: per intelligenza, per personalità; qualcuno aveva anche raggiunto i primi posti nella sua professione... eppure, conservavano una grande tenerezza e una capacità di accorgersi del più piccolo!
Ho incontrato dei grandi medici, che trattavano l'ultimo, il più povero dei pazienti come il più ricco e il più facoltoso. Ho incontrato dei grandi insegnanti, che si preoccupavano per l'ultimo e il più piccolo, anche più che del migliore della classe! Allora è possibile essere i primi, è possibile far fiorire tutte le potenzialità che uno ha dentro, senza dimenticarsi di farlo nella gratuità e nella tenerezza! E nel rispetto del più piccolo!
Ma chi è "il più piccolo" fra di noi? E come si può aiutare il più piccolo? Non pretenderete ch'io risponda a queste domande... Rimanga questo simbolo, questo "bambino": portiamocelo nel cuore!
Chi è l'ultimo in casa? In molte delle nostre case i bambini, specialmente quando ce n'è uno solo, non è certo l'ultimo, il più piccolo: è il despota, il padrone assoluto: del papà, della mamma, dei nonni, dei bisnonni e degli zii.
E anche gli ultimi su cui a volte in TV, e spesso anche nella Chiesa, si fa tanta retorica.... i drogati, gli zingari... spesso non sono gli ultimi. Quando un drogato va a scippare una povera vecchietta, se lo prendono dice: "Sono drogato!": come se fosse un titolo di merito... Non sono gli ultimi. Quella vecchietta, che ha paura perché vive sola e teme di uscire da casa, forse oggi è più ultima di tanti ultimi, su cui si sprecano molte parole.
E come si aiutano gli ultimi? Mi fermo qui, perché non so darvi risposte. Ma guardiamoci intorno: forse ciascuno di noi si può accorgere di chi è l'ultimo in casa, tra gli amici, nel posto del lavoro.
E ciascuno di noi sappia che se vuole essere il primo, come è giusto, se vuole esplicitare tutte le ricchezze del proprio amore, non può farlo se non si ricorda dell'ultimo!
Come? Le risposte concrete, nella vita di ogni giorno, al nostro coraggio, alla nostra fede, al nostro amore, alla nostra tenerezza, alla nostra gratuità!
E il Signore ci aiuti!
"Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua 28 settembre 1997
nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in
verità che non perderà la sua ricompensa"
"Signore, c'è qualcuno che fa del bene nel Tuo nome, ma non è dei nostri; quindi abbiamo cercato di impedirglielo".
Ma è così difficile non dividersi sempre fra "i nostri" e gli altri? E non giudicare sempre a partire dal "nostro" gruppo? È difficile, è difficile veramente! Perché è difficile non aver paura, è difficile credere sul serio. E badate, qui di questo si tratta: non sono solo parole o regolette di buona educazione - si tratta di credere veramente, si tratta di non aver paura. E per l'uomo - per me, per voi, per la gente che ci sta intorno - è veramente difficile!
E ce ne accorgiamo nei momenti in cui la paura più serpeggia in mezzo alla gente: si moltiplicano allora le difese dell'uomo, l'attaccarsi alle ideologie, agli slogan, alle parole; ai miti; alle camicie più o meno colorate. E ci si difende descrivendo "gli altri", quelli che non sono "dei nostri" - che non ripetono le nostre parole, non hanno i nostri simboli, non credono nei nostri miti - come "brutti e cattivi". È il frutto delle nostre paure! Ma è difficile non aver paura.
E non pensate soltanto a problemi della nostra Italia: anche nella nostra Chiesa... Una delle cose che mi colpisce, quando vado in giro per il centro di Roma, è vedere dei giovani sacerdoti che si rimettono la lunga tonaca nera... È uno scudo, una difesa dal mondo di cui hanno paura!
E c'è sempre qualcuno che si rammarica perché non si ripetono le stesse parole: "Perché, don Checco, in questa chiesa non dite il "Gloria?". Oggi, dopo un matrimonio celebrato nel pomeriggio, un ragazzo - giovane! - viene a dirmi: "Come mai hanno letto una poesia? Che c'entra, la poesia! Noi abbiamo la Parola di Dio, lo Spirito!". E si riempie la bocca di parole... e non sa nemmeno cosa sia "la Parola di Dio, lo Spirito"! "La poesia non conta niente: è degli "altri"! Noi abbiamo la nostra Parola!". È la paura!
Capite, allora, lo stupore dei discepoli, che hanno avuto la fortuna di incontrare Uno, che ci credeva sul serio. Gesù credeva sul serio nel bene, nella giustizia, nell'amore. E se incontrava qualcuno che faceva il bene... come non rallegrarsi! -"C'è uno che fa il bene; non è dei nostri" -"Che t'importa, che non sia dei nostri! l'importante è che faccia il bene".
Perché Lui non ha paura, non ha bisogno di identificarsi "contro gli altri". Perché crede in quello che sente dentro, perché crede nel bene!
E non c'è bisogno, per fare il bene, di essere degli eroi, di fare delle grandi cose: un bicchiere d'acqua! "Hai dato un bicchiere d'acqua? È già un gesto d'amore... piccolo... che importa! Quello aveva sete e tu gli hai dato un bicchiere d'acqua".
E invece a quell'altro - a quel bambino, a quel piccolo, a quell'uomo stordito - gli hai messo un po' di paura nel cuore: lo hai "scandalizzato"! Gli hai fatto perdere un po' dell'entusiasmo e della gioia della vita... allora sì, è meglio che ti metti una macina di mulino al collo e che vai a buttarti nel mare! Far perdere ad un uomo un pizzico di speranza: questo è il vero dramma! Non ripetere le stesse parole, non avere la croce sulla fronte e non appartenere "ai nostri": importa poco, questo è frutto della paura. E mettere paura nel cuore di qualcuno e fargli perdere la speranza della vita, questo è quello che veramente fa male!
Se credi sul serio, allora per le cose in cui credi sei disposto a dar tutto! A farti tagliare anche una mano! E quanta gente, nel corso della storia, se l'è fatta tagliare veramente, la mano! Perché credeva nella giustizia e nell'amore! E non gli importava se i gesti di questa giustizia e di questo amore li facevano anche persone diverse da lui, che appartenevano ad un'altra religione, ad un altro popolo, ad un'altra razza.
Chi ci crede sul serio, si sente fratello di ogni uomo che, come lui, crede nei valori e ci crede sul serio! Ed è disposto a sacrificarsi e a dare se stesso!
Vedete, fratelli: nelle parole che abbiamo letto stasera è in questione la nostra fede, sono in questione le nostre paure. Ma tutti ci portiamo dentro paure... Abbiamo bisogno di invocare lo Spirito: che dilati lo spazio del nostro cuore, che ci faccia credere sul serio! E allora non ci farà ombra il fratello che ci cammina accanto, che magari non viene in chiesa, che magari bestemmia il Signore, che magari dice di essere ateo, che magari dice di non credere a niente! Ma quando incontra una lacrima, è pronto ad asciugarla! Quando può tendere una mano, la tende!
Se invece ci lasciamo prendere dalle paure, tutto ci fa ombra: ci rintaniamo nei nostri gusci - nei nostri slogan, nelle nostre parole - e la vita si intristisce!
Gesù è venuto a portarci il fuoco, dentro: il coraggio di credere! È venuto a tentare di allontanare le paure dal nostro cuore! Ma non è semplice.
Per questo ci ritroviamo qui ogni domenica e affidiamo le nostre paure nelle mani del Signore, sperando che Lui ce ne liberi e ci faccia capaci di credere sul serio.
Il Signore ci aiuti!
Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolto all'uomo, 5 ottobre 1997
una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse:
"Questa volta essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa".
E i due saranno una carne sola.
"Lasciate che i bambini vengano a me... In verità vi dico: chi non
accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso".
Qualcuno di voi, credo, ama come me, seguire qualche volta, alla TV, dei documentari sulla vita degli animali. E avrà notato - forse con un certo stupore - che tra gli animali la coppia stabile di un maschio e una femmina è un fatto abbastanza raro: se tra gli uccelli capita in diverse specie, tra i mammiferi è una rarissima eccezione: a parte qualche sciacallo e qualche iena, non c'è nessun mammifero che vive in coppia per tutta la vita.
Ma noi apparteniamo al mondo dei mammiferi! Da dove viene, allora, nell'uomo il sogno di formare una coppia, in cui due persone crescano insieme, fino a diventare "una cosa sola"?
Avete ascoltato l'eco di questo sogno, sia nella prima lettura, sia nel Vangelo. Di dove viene il sogno d'amore di una coppia stabile e fedele, che va al di là della nostra natura di mammiferi?
Il fatto è, vedete, che la natura si basa sulla legge della conservazione: ogni individuo è programmato per conservare se stesso e la propria specie. Ogni maschio deve trasmettere i suoi geni al maggior numero possibile di figli. Avrete quindi notato, nei documentari sulla natura, le lotte tra i maschi per il possesso di più femmine, per generare quanti più figli sia possibile.
Noi uomini abbiamo tentato di gettare il cuore al di là della natura: per noi uomini non è importante soltanto il trasmettere la vita, ma anche l'amore, la tenerezza, la gratuità, la bellezza di stare e di crescere insieme. Ma per fare questo bisognava andare al di là delle forze della natura... e non è stato semplice.
Se conoscete la storia degli uomini, sapete che molte volte, nelle società umane, le leggi sulla coppia erano basate sul diritto del maschio a trasmettere i suoi "geni": ci sono stati degli uomini che avevano molte donne (pensate agli harem dei re biblici e di tante parti della terra); e l'unione dell'uomo e della donna, era circondata da regole e leggi ferree: è sempre il maschio, che vuole essere sicuro di trasmettere i propri geni, come fa il leone, come fa lo stambecco, come fanno tutti i maschi. E ancora leggi crudeli rimangono in tante parti del mondo: avete visto certe volte le donne coperte, con un velo fino ai piedi! Un tempo, quando avere molti figli era considerata una benedizione, per molti uomini la moglie era colei che faceva i figli... L'amica, l'amore, il sogno li cercavano al di fuori, in qualche altra donna. Nell'antica Grecia addirittura l'amore vero era tra maschi. La donna era colei che fabbrica figli, com'è per tutti i mammiferi di questo mondo.
Oggi, in una coppia, figli se ne fanno uno o due, le leggi diventano sempre meno ferree: voi capite che sempre di più l'unione tra l'uomo e la donna è affidata alla libertà delle due persone, alla libertà di due esseri che si incontrano, si scelgono e che vogliono, al di là del mettere al mondo dei figli e di crescerli, formare una coppia, costruire insieme la loro vita: vogliono realizzare tra di loro la gratuità dell'amore! Come meravigliarsi se questa è un'impresa quasi impossibile, se appartiene ai "miracoli" della vita?!
Come meravigliarsi, se intorno a noi si vedono delle coppie andare incontro a fallimenti?! Quando la vita è affidata alla libertà, quando è affidata al desiderio di stare insieme, quando è affidata alla voglia di costruire un sogno, un ideale, che va al di là delle forze stesse della natura... come meravigliarsi se ci sono dei fallimenti! E nella vita cristiana questi fallimenti non possono certo essere affidati ai soldi e agli avvocati dei processi rotali!
Cosa serve, allora, perché si realizzi questo sogno, questo ideale, nella vita dell'uomo? Beh! prima di tutto, se vogliamo essere sinceri, serve un pizzico di fortuna; anzi, forse, più di un pizzico di fortuna!
Bisogna incontrare la persona giusta (qualcuno dice che ci vogliono, addirittura i cromosomi adatti, i "geni" giusti). Poi, devono incontrarsi i caratteri; poi le due persone debbono crescere insieme e non in maniera troppo differenziata. Poi, nella struttura psicologica di queste persone non ci devono essere troppi guasti o difficoltà. Poi, bisogna avere un po' di benessere materiale: ci vuole un lavoro, una casa... E tutto questo non basta ancora...
Ci vuole buona volontà e impegno e la voglia di stare insieme e di condividere la vita; la capacità di dialogare, il desiderio l'uno dell'altro. Ci vuole la libertà e il rispetto, la fantasia e la tenerezza ed anche, lo sapete, una dose non piccola di pazienza!
Ma non dimenticate: al di là di tutto questo, c'è un "bambino" su questa strada! Qualcuno di voi dirà: "Ma che c'entra, un bambino?!". Perché Gesù ha preso un bambino e lo ha messo al termine di questo discorso sulla coppia umana? Perché - se ho capito qualche cosa della vita - affinché due persone riescano a vivere insieme per tutta la vita e ad amarsi sul serio, è importante che rimangano sempre un po' bambini! Che si guardino sempre con stupore, che si sentano donati l'uno all'altro!
Ci sono mille modi, per esprimere questo. Un giovane marito - giovane, si fa per dire: è arrivato ormai a 50 anni! - diceva l'altro giorno: "Dove troverei in tutto il mondo una donna capace di sopportare uno come me!". È anche questo un modo per esprimere lo stupore e la gioia per la persona che ha avuto la fortuna di incontrare nel suo cammino.
Conservare questa gioia, questo stupore, questa meraviglia per l'incontro; sentire l'altro come un dono, è un po' rimanere bambini. Chi è il bambino, se non uno che guarda la vita intorno a sé, con stupore che si rinnova ogni mattina? Uno che sente che, al di là di quello che ha costruito (e un bambino ha costruito ancora poco), è tanto quello che riceve dalla vita!
La capacità di vivere in coppia per tutta la vita è, secondo me, basata proprio su questo stupore, su questa capacità di accogliersi l'un l'altro come un dono; su questa capacità di donarsi l'uno all'altro, di ricominciare ogni mattina, di essere un po' come bambini che affidano la propria vita alla speranza, alla voglia di ricominciare ogni giorno, al futuro! Che non danno mai le cose come scontate, tutto come fatto, tutto come costruito da noi! Che sentono che il vivere insieme è prima di tutto un dono, da accogliere nella meraviglia!
Il Signore ci aiuti!
"Figlioli, com'è difficile entrare nel regno di Dio! 12 ottobre 1997
È più facile che un cammello passi per la cruna di un
ago, che un ricco entri nel regno di Dio" -"E chi mai
si può salvare?" -"Impossibile presso gli uomini,
ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio"
"Da dove vieni?", domandavo quest'estate ad un mio cugino, nel piccolo paese dove son nati i miei genitori. "Sono stato a lavorare al Pian dei Monaci e adesso me ne torno a casa", mi ha risposto. Già, il Pian dei Monaci: il terreno migliore del paese; adesso è proprietà di questo mio cugino, ma al tempo dei suoi nonni e dei suoi bisnonni, era proprietà dei monaci, che avevano tutti i terreni più buoni. E la povera gente era costretta ad andare a lavorare su, verso le cime dei monti, dove la terra produceva ben poco... e la fame era tanta!
E questo non è successo soltanto nel piccolo paese dove son nati i miei: mezza Italia un tempo era proprietà dei monaci! E potete immaginare quante prediche, i contadini di un tempo, hanno dovuto sentire sulla povertà... E quanta esaltazione di coloro che, come i monaci, lasciavano tutto per seguire il Signore! E intanto avevano i terreni migliori!
Le parole che si dicono a commento del Vangelo mi sembrano, a volte, un'orgia di retorica e di ipocrisia: parole vuote, insensate, lontane dalla vita concreta della gente.
Ma, vedete, il problema è serio: qualche volta ho la sensazione, che anche le parole che io dico, a commento del Vangelo, siano retoriche, lontane dalla vita concreta della gente: dai problemi del vostro lavoro, delle vostre case, delle vostre famiglie; dai problemi dei soldi, che sono importanti e che tutti ci coinvolgono. A volte mi capita di rileggere le cose che dico e trovo che sono parole astratte, lontane dalla vita.
Eppure, sono convinto - e me ne convinco sempre di più - che nel Vangelo ci sono le cose essenziali della nostra esperienza di uomini; che là potremmo trovare, insieme, i valori profondi ed essenziali della nostra vita. E penso che, per molti di voi, l'unico modo di incontrare la Parola di Gesù è il ritrovarci qui, insieme, ogni domenica: perché molti di voi non hanno altri spazi durante la settimana, per incontrare il Vangelo, per riflettere un momento sulle cose importanti della vita.
Perché vi dico tutto questo, trascurando magari, stasera, un po' il Vangelo? Perché, vedete, abbiamo un sogno - ce lo portiamo dietro da qualche anno, in parecchi - e quest'anno vorremmo tentare, se possibile, di renderlo, almeno un po', concreto: il sogno di rendere più viva, più partecipata, più autentica la nostra Messa, il nostro stare insieme la domenica.
Non può bastare quello che io dico! Perché un'assemblea di 300 persone deve dipendere da un uomo solo, e scemo come me? Perché non c'è qualcun altro che possa, in qualche modo, far partecipare tutti della sua fede, della sua fantasia, delle ricchezze del suo cuore? Non è una cosa semplice: è un sogno! e quest'anno vorremmo provarci.
E quindi da domani ricominciano gli incontri per le letture: trovate sulla porta due cartelli con gli orari. Non so in quanti gruppi si sceglierà di fare questo; ma penso che almeno in due o tre gruppi si farà. Poi vi faremo noto tutto, domenica prossima.
Vorremmo tentare di riflettere insieme sulla Messa, sul nostro ritrovarci qui; vedere come questa Messa possa essere - un po' più - un fatto di tutti. Sappiamo che non è semplice: quando si ritrovano insieme 300 persone, come siamo noi stasera, comunicare, far partecipare, non dipendere da una persona sola, che qui si arrabatta a fare il meglio possibile, è cosa difficile. Ma vorremmo che il nostro ritrovarci qui fosse più vivo, più fantasioso, più ricco: più ricco di segni, di temi, di simboli, di parole, di testi. Molti di voi non possono partecipare agli incontri che si svolgono durante la settimana, presi dalle cose della vita. Ma se qualcuno di voi ha un'idea, se conoscete dei testi, se avete delle esperienze, scrivetele o parlatene, o fate una telefonata.
Abbiamo bisogno di tutti, per tentare di realizzare, almeno un po', il sogno che il nostro ritrovarci insieme qui, il sabato e la domenica, sia più vivo, meno retorico, più concreto, più vicino alla vita! Ci aiuti, da una parte, a fare esperienza di Dio: di questo Dio che, come ci ha detto Gesù, è il solo "buono" - "Perché mi chiami buono? Solo Dio è buono" -. Fare esperienza di Lui significa fare esperienza dell'origine della nostra vita, dell'essenza del nostro essere uomini, dei valori assoluti.
Ma anche vorremmo che il nostro stare qui ci aiutasse a riflettere sul concreto della nostra esperienza: una parola che ci aiuti a trovare le cose essenziali del nostro cammino sulla terra. Per questo ci ritroviamo qui!
Non sarà semplice: ci vorrà un po' di pazienza da parte di tutti. Ma ci proviamo! Ve lo ripeto: se qualcuno di voi può partecipare a questi incontri vi diremo in quali giorni e orari si farà questo tentativo; se qualcuno di voi ha delle idee, dei testi, dei suggerimenti, dei segni, dei simboli, dei modi, delle esperienze... tutto sarà gradito, per tentare questa impresa!
Il Signore ci aiuti!
"Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore. 19 ottobre 1997
Il Figlio dell'Uomo infatti non è venuto per essere servito,
ma per servire e dare la propria vita..."
Non giudicate male questi due apostoli: sono due eroi, due persone straordinarie. Non per nulla - come, penso, tutti sapete - Giacomo e Giovanni sono tra gli apostoli più importanti. Quello che Gesù chiede loro è di essere capaci di affrontare il combattimento fino alla morte: "Siete capaci di bere il calice che io sto per bere?". E dicono sì! Sono degli eroi che hanno seguito Gesù, fino a donare la vita. Cosa c'è allora di più normale, per due persone straordinarie come Giacomo e Giovanni, che chiedere una ricompensa, che cercare di ottenere qualche cosa? Non è questa la cosa più normale per un uomo?
E dove, allora, vuole portarli Gesù? -"Siate come me, che non son venuto per essere servito, ma per servire". Che significa, nella vita di questi due uomini disposti a dare tutto, anche a dare la vita? Cercano una ricompensa: forse Gesù vuole che gettino il loro cuore al di là. Forse vuole che nella loro vita ci sia solamente gratuità: capaci di donare, senza chiedere nulla in cambio?
C'è forse qualche cosa di più: l'invito a questi discepoli - ed anche a noi - ad andare addirittura al di là dell'essere eroi: "Come me!". Ma com'è vissuto, Gesù? Qualche volta noi ce lo dimentichiamo...
In mezzo alla nostra chiesa c'è questa croce: è il momento dell'esaltazione! Anche Lui è stato un eroe, anche Lui è stato capace di donare la vita! Ma per 30 anni non è stato forse nella sua casa di Nazareth? Là, la fatica di crescere e di diventare adulto; il lavoro di ogni giorno, la monotonia quotidiana! Senza che nessuno lo conoscesse, senza che nessuno sapesse niente. Non è questo, forse, il "servizio" più grande che un uomo possa fare? La vita silenziosa di ogni giorno, il quotidiano lavoro, il quotidiano accogliersi, la gioia dell'amicizia, la tenerezza di un incontro, la carezza fatta ad un bambino: non è questo, forse, l'aspetto più profondo e più autentico della vita e - se vi piace la parola - del servizio? Forse Gesù metteva la sua fantasia nel fare un po' meglio la ruota di un carro, nel mettere un fregio in più nella gamba di un tavolo, perché fosse più bella! Quel pizzico di gratuità, che fa più bella la vita: non è questa la tenerezza e l'amore, la gratuità, a cui Gesù invita Giacomo e Giovanni? Al di là dell'essere eroi, al di là del diventare persone importanti, al di là del cercare una ricompensa: la vita di ogni giorno, l'attenzione all'altro, il lavoro fatto con fedeltà?! Quelle cose che nessuno vede, quelle cose per cui non sarai nemmeno ricordato, per cui non ti innalzeranno una croce in mezzo ad una chiesa!
Vedete, noi Cristiani spesso siamo capaci di reagire, quando ci vengono chieste delle azioni straordinarie, eroiche. E magari si ha la ricompensa di essere ritratti dalla TV, apparire di fronte alla gente, sentirsi degli eroi. E questo è già una ricompensa. Tutti voi, penso, vi sarete rallegrati anche questa volta, nella disgrazia, della generosità degli uomini: migliaia di volontari, andati a prestare la loro opera, a mettersi al servizio della gente, con tenerezza, con dedizione. Anche voi vi sarete rammaricati quando nei giornali e alla TV vi hanno fatto conoscere e vedere solo gli aspetti più tristi, là dove mancava qualcosa. Una vecchietta la sentivo dire: "Cosa potevano fare di più, per noi? Ci mancava tutto e ci hanno dato tutto!". La tenerezza di chi si sente intorno persone che le vogliono bene, che cercano di darle una mano, di farle riprendere la vita!
Ma è questo solo il servizio? Ma è questo l'amore? Non è soprattutto la vita di tutti i giorni? Non è il lavoro di ogni giorno fatto con scrupolosa onestà e sollecitudine e magari condito con un sorriso e un pizzico di gratuità?
E in casa, i tanti gesti di servizio quotidiani, che magari non considerate gesti di gratuità: a nessuno viene mai in mente di dire "come Gesù!". Sì, come Gesù, quando vi siete messi la cravatta più bella per fare piacere alla vostra donna; quando, anche se non vi andava, l'avete portata a ballare perché a lei faceva piacere; quando, le avete fatto una carezza; quando avete fatto con passione l'amore con lei! "Come Gesù". Perché questa è la vita quotidiana, il servizio di ogni giorno.
È il crescere i figli, è il rispettarli così come sono, è aiutarli a diventare adulti, è il tentare di comunicare loro dei valori profondi. Non è questo il gratuito servizio di ogni giorno, quello di cui nessuno parla, quello che non apparirà mai sui giornali, quello che non vi farà nemmeno sentire degli eroi, ma della gente comune, di tutti i giorni... Non è questa, la grandezza dell'amore?
E poi, l'accoglierci e il rispettarci così come siamo e il perdonarci, quando c'è qualcosa da perdonare e il ricominciare! Non per aspettarci l'applauso o la ricompensa, nemmeno per guadagnarci il paradiso! Ma così, gratuitamente, per amore: l'amore di tutti i giorni, l'accoglienza di tutti i giorni, la tenerezza di tutti i giorni!
Se Gesù volesse dire a questi due, che si accingono a diventare degli eroi - e lo sono stati - semplicemente "Come me", nella vita di tutti i giorni, come quei 30 anni di Nazareth, senza essere un eroe (ed è brutto, quando si deve diventare eroi: c'è sempre di mezzo o la disgrazia o la violenza del mondo!); la tenerezza di ogni giorno, la vita condivisa, la gratuità, l'accogliersi, il camminare insieme... se Gesù volesse dire questo, a quella gente? Se il servizio, se l'amore, se il seguire Gesù fosse tutto qui: qualche cosa di tenero, di quotidiano, di bello?.....
Il Signore ci aiuti!
Bartimeo, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 26 ottobre 1997
Allora Gesù gli disse: "Che vuoi che io ti faccia?". E il cieco a Lui:
"Rabbunì, che io riabbia la vista."
Quante volte nella vita ho incontrato persone che mi dicevano: "Beato te che hai la fede, perché possiedi la luce e non hai dubbi! Beato chi crede perché ha certezze nel cuore!". Quante volte nella vita ho ascoltato le autorità della Chiesa proporsi come "maestri di fede", che sanno tutto, che non sbagliano, che partecipano dell'infallibilità di Dio! Quante volte nella vita mi sono stati proposti, come modelli, dei "santi": uomini dalle virtù eroiche, che facevano il bene e non sbagliavano mai!
E poi, ti accorgi che, al di là della tua fede, ti porti tanti dubbi nel cuore; ti accorgi che colui che si presenta come datore di luce, spesso dice sciocchezze; ti accorgi che spesso nelle storie dei "santi" - di coloro che ti propongono come modelli - ci sono tante magagne: intolleranza, incapacità di capire il prossimo, arroganza!
Quelli tra voi che hanno fatto la stessa esperienza, possono facilmente capire lo stupore gioioso che mi ha colto quando ho cominciato a scoprire il Vangelo!
Perché qui, alla fine del viaggio - e badate: alla fine, non al principio del viaggio - c'è un cieco che grida. È lui il modello del credente! Non è colui che sa tutto. Non è colui che si sente buono: vi ricordate? lo abbiamo incontrato, lungo la strada, uno che si sentiva buono: il giovane che diceva: "Io ho osservato i comandamenti, tutti! Fin da quando ero bambino". Eppure, si ferma, convinto di essere buono, di essere arrivato. E quando Gesù gli dice: "Vieni con me", lui non ha il coraggio di camminare con Gesù!
Il nostro ritrovarci qui, intorno alla tavola, non è incontro di gente che sa tutto, che non si porta mai dubbi nel cuore, che si sente buona. È incontro di povera gente, di mendicanti di luce, di persone dal cuore pesante, che hanno bisogno di incontrarsi con Gesù; hanno bisogno del suo perdono, della sua liberazione, di essere, sempre di nuovo, rimessi in cammino!
Se aprite il Vangelo, leggete che Gesù tante volte si ferma a tavola, non con chi è buono, non con chi sa tutto, non con chi è arrivato... ma con i peccatori, con la gente dal cuore pesante, con la gente come noi! Con chi cerca la luce, con chi cerca la giustizia e il bene!
E allora, coraggio! Il nostro ritrovarci qui è incontrarci con Gesù: Lui ci pone davanti, ogni volta, il suo amore totale, la sua gratuità assoluta, la pienezza dei suoi valori. Ma poi ci prende per mano, così come siamo, ci accoglie alla sua tavola con i nostri dubbi, con le nostre cecità, con le nostre debolezze e incapacità! E ci invita a camminare ancora.
E allora gridiamo a Lui, come il cieco lungo la strada... È lui il modello della nostra fede, è lui il modello del Cristiano. È lui che Marco pone non all'inizio, ma alla fine della strada. È questo cieco, che accompagna il nostro cammino di credenti: uno che cerca la luce, che desidera, con passione, verità e vita!
E speriamo di farlo anche noi...
Il Signore ci aiuti!
Apparve una moltitudine immensa, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. 1 novembre 1997
"Beati i poveri... gli afflitti... i miti... quelli che hanno fame e sete
della giustizia... i misericordiosi... gli operatori di pace ...
Qualcuno di voi avrà visto, venerdì scorso, verso la fine del programma "Super Quark", un servizio sul parto fatto con l'anestesia epidurale: parola un po' difficile, che suscitava la mia curiosità. Perché anch'io - dovendo fare qualche tempo fa una piccola operazione di prostata - ho approfittato di questa meraviglia della medicina moderna: una anestesia che toglie soltanto il dolore e lascia intatti i movimenti e tutta la capacità dell'uomo di partecipare a tutto quello che accade.
E oggi questa tecnica viene usata anche per partorire. Ma in quel programma veniva sottolineato il fatto che in Italia si usa molto raramente questa tecnica.
Mi capitava il giorno dopo di parlare di questo con una dottoressa, che lavora qui nell'ospedale di Ostia; la quale mi dava una buona notizia: all'ospedale di Ostia si usa questa tecnica. Ma poi parlavamo del fatto che molto spesso in Italia - e lei conveniva su questo - i medici sono poco sensibili al tema del dolore, della sofferenza: "Fa parte della natura, soffrire!" (figuriamoci se non è naturale soffrire quando si partorisce... non dice anche la Bibbia: tu partorirai con dolore?).
Molti di voi a questo punto diranno: "Ma che c'entra tutto questo con la festa dei Santi!". Eh, pensateci un po': non hanno detto anche a voi che i Santi erano esperti nel soffrire? A me, quand'ero piccino raccontavano che S.Luigi Gonzaga il venerdì non ciucciava il latte della mamma... per fare digiuno! E mi raccontavano di santi che si flagellavano, che si mettevano il cilicio. Insomma, spesso una esaltazione della sofferenza.
Se poi a questo aggiungete l'importanza che ha nella nostra tradizione il mito della natura, ecco spiegato il nesso tra il fatto che in Italia si pratica poco il parto epidurale e il culto dei Santi.
Perché, vedete, i Santi appartengono spesso al mondo del mito: loro erano persone concrete, ma poi, quando si narrano le loro storie, spesso vengono utilizzati in maniera ideologica, per imporre un modo di pensare, per controllare la coscienza delle persone, perché la gente non pensi! E il mito fa comodo a molta gente, perché è faticoso pensare... Ma fa comodo anche a chi comanda: il quale non desidera altro che le persone non pensino...
Considerate qualche mito dei nostri giorni e, se non volete avventurarvi nella cronaca, andiamo alla storia: pensate a Hitler, a Mussolini. E ricordate le celebrazioni, le feste, molto simili alle processioni dei Santi: grande folla, grandi applausi, grandi rituali, forti emozioni!.. Perché la gente non pensi! Perché gli uomini non si sentano liberi!
Ecco, allora il corto circuito fra una certa tradizione - l'esaltazione dei modelli, dei miti, dei prodigi - e la storia.
Quanto lontano, da questo, il Vangelo! Il Vangelo non ci presenta dei miti, non ci presenta dei personaggi straordinari. I discepoli sono descritti in tutta la loro povertà: la difficoltà di seguire il Signore, le loro vigliaccherie, i loro dubbi, la loro fatica di credere!
E anche Gesù - lo ricordate?- lo leggevamo soltanto qualche domenica fa: gli si presenta uno e gli dice: "Maestro buono..." - "Perché mi chiami buono? Solo Dio è buono!" E un altro gli chiede: "Che debbo fare in questa circostanza?" - "E perché lo chiedi a me? Non hai una testa, per pensare tu quello che è giusto?".
E le parole di oggi: non un modello: "Beati quelli che si portano nel cuore la fame e la sete della giustizia; beati i misericordiosi, beati i pacifici"... Quanta gente ha attraversato il mondo senza che nessuno li conoscesse, senza che diventassero un mito, senza che il loro nome fosse scritto nella storia e nemmeno sui giornali!
Quanti ne abbiamo conosciuti anche in mezzo a noi: gente dal cuore tenero, gente appassionata e desiderosa di giustizia, gente mite e misericordiosa, operatori di pace!
A questo ci chiama il Signore.
E speriamo anche noi di conservare nel cuore i valori di Gesù!
Io lo so che il mio Salvatore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! 2 novembre 1997
"Questa è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede
in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno".
In ogni angolo della terra, sotto tutti i cieli, fin da tempi antichissimi, si conservano ricordi del culto dei morti: l'uomo ha sentito il bisogno di onorare i morti, di far memoria di quelli che non c'erano più, di sentirli ancora vivi e presenti. Ma sentiva anche, con forza, l'esigenza di difenderli, di fare qualcosa per loro.
Spesso questo culto dei morti era - e in parte forse è ancora - basato sulla paura: paura che, al di là della soglia della morte, ci fosse qualche cosa di tenebroso: il mondo delle ombre, il mondo dei pericoli! E allora si parla degli Inferi, dei mostri, di grandi fiumi da attraversare, di viaggi avventurosi, a cui bisognava preparare la persona morta. Sono state trovate sepolture antichissime di persone che avevano una moneta tra i denti: una moneta che serviva per affrontare qualche pericolo al di là della soglia della morte.
La grande fede di Israele, ha cercato di cancellare questa paura, di conservare la certezza che al di là della morte non c'è qualche cosa di tenebroso, il buio, le cupe forze del male; ma il volto e il sorriso di Dio! Lo avete sentito espresso nelle parole di Giobbe: "Io so che, ultimo, sulla polvere, si alzerà il mio Salvatore!"
E Gesù è venuto proprio per toglierci questa paura delle ombre della morte, dei terrori dell'aldilà, dei mostri notturni. È vero che noi abbiamo sostituito questa paura con un'altra paura: la paura del Giudizio, le cupe e tenebrose immagini dell'Inferno, del Purgatorio, la gente che tribola nelle fiamme... E quindi il bisogno di far qualcosa per loro: i suffragi moltiplicati, le messe ripetute, nel tentativo di aiutare i nostri morti.
Un bisogno da molti sentito profondamente e alimentato molte volte, nel corso della storia, dai frati, dai conventi, dai preti, che di questo vivevano (a volte nel profondo bisogno!). Voi avete anche il merito di averci - almeno qui - liberati dal bisogno di dover chiedere.
E forse per questo, e con maggiore franchezza, possiamo dire: "Ma in che Dio crediamo?! Qual è il Dio che ci annunziato Gesù?" È il Dio che libera dalla paura, anche dalla paura di quello che c'è di là, dalla paura del Giudizio, dalla paura della vendetta di Dio, dalla paura delle fiamme!
Noi non possiamo far nulla per quelli che son morti! E non perché è irrimediabile la loro sorte, ma perché sono affidati nelle mani di Dio: mani più forti, più amorose, più tenere delle nostre! Coloro che ci hanno preceduto, a Dio li abbiamo affidati, alla sua luce, alla sua vita; al suo amore, alla sua tenerezza!
"Allora - dirà qualcuno di voi - perché farne memoria qui?". Per due fondamentali motivi. Il primo è un motivo di giustizia: non dobbiamo permetterci di dimenticare le persone che ci hanno voluto bene, che ci hanno circondato di tenerezza, che ci hanno offerto un po' della loro vita!
Uno dei segni della vita che passa (e chi ha i capelli bianchi può capirmi) è che si allunga l'elenco dei morti! Ci pensavo proprio nei giorni passati. Ormai son 27 anni che sono qui: l'elenco delle persone care andate di là, si allunga sempre di più! Persone giuste, buone, che ci hanno circondato di amicizia, che hanno vissuto con onestà, con tenerezza, con amore, in mezzo a noi! Noi ne facciamo memoria, perché siamo debitori verso di loro, di tutto quello che ci hanno dato!
Ed è giusto conservare la gratitudine nel cuore; è giusto ricordarli qui, anche tutti insieme!
Ma c'è un altro motivo: noi li ricordiamo, qui insieme, intorno alla tavola, perché insieme vogliamo far memoria di Dio, del suo amore! A Lui queste persone, che ci hanno voluto bene, sono affidate! La fede in Dio è quello che cerchiamo di alimentare qui; la speranza che il cammino della nostra vita non è un lento scorrere verso il nulla, ma l'andare verso Dio, verso il suo sorriso, la sua luce!
Il mondo che ci circonda non viene dal nulla - non è scaturito dalle forze cieche del caso - e non va verso il nulla. Ci riunisce qui la fede che noi veniamo dalla tenerezza di un amore e che verso questa luce, questa tenerezza andiamo!
E le persone che ci hanno preceduto sono nelle sue mani: la loro vita è custodita in Lui! Il bene che hanno fatto non andrà perduto! Per questo siamo qui. Non hanno bisogno di noi; non hanno bisogno che facciamo nulla per loro. Siamo noi, che abbiamo bisogno di fiducia, di speranza; di credere alla vita, di conservare la gratitudine nel cuore!
Per questo siamo insieme, anche oggi.
"...quando già il ramo del fico si fa tenero e mette le foglie, voi 16 novembre 1997
sapete che l'estate è vicina. Così anche voi, quando vedrete
accadere queste cose, sappiate che il Figlio dell'uomo è vicino, alle porte.
Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno".
Al tempo del profeta Daniele, al tempo di Gesù ed anche nel tempo nostro, quante paure attraversano il cuore dell'uomo! Quante paure, a volte, impediscono all'uomo di credere, di sperare, di gioire! Da dove viene la paura? Perché la paura?
Vedete, la paura è uno dei meccanismi fondamentali della vita: il bambino comincia, con le sue prime esperienze, a sapere che il fuoco brucia e che bisogna averne paura; comincia ad aver paura del vuoto, sa che non deve sporgersi, perché se cade di sotto...
La paura serve a difendere la vita: uno strumento prezioso. Ma, come per tutte le cose preziose, c'è qualcuno che rischia di approfittarsene: per controllare, per dominare, per fare i propri interessi. È così fin dagli albori della storia e spesso anche la religione è stata sfruttata per alimentare la paura.
Nei tempi antichi, avevano mille paure: paura delle malattie, paura delle tempeste, paura del fulmine. E là, nel tempio, c'era qualcuno che diceva di poter fornire protezione da queste paure e sosteneva di poter offrire sacrifici che difendevano dai pericoli: ed è chiaro che quanto più un sacrificio è grande, tanto più è potente. Se poi pensate che al sacerdote spetta sempre "la coscia destra" dell'animale sacrificato, capite che ha tutto l'interesse a far crescere la paura, anche dipingendo la divinità come potente e minacciosa. Spesso nel tempio c'era anche chi diceva di poter interpretare il futuro e descriveva il futuro con immagini catastrofiche. E magari vendeva un amuleto, capace di proteggere dai guai. E non è solo una questione di denaro, anzi i "migliori" tendevano a rendersi indispensabili, a rendere gli altri dipendenti dalla propria opera.
Sembrano cose che appartengono ad un tempo lontano; ma anche oggi - se vi guardate intorno - c'è tanta gente che ci vuol mettere paura. Molti di noi si portano dentro la paura delle malattie, dell'AIDS, della droga, dei sequestri, delle violenze, dell'inquinamento, del terremoto, della bomba atomica che può distruggerci tutti...
Vi siete mai domandati: "Perché tante paure?". Non capita anche a voi di notare che spesso alla TV, alla radio, sui giornali, si parla di cose catastrofiche, si mettono in evidenza le cose più brutte che ci succedono intorno? Non dipende, forse, dal fatto che il giornalista vuol rendersi indispensabile per noi e ci vuole dire: "Guardate che, se non ci sono io, voi tutte queste cose non le sapete e non potete capire il mondo"?
E tanta gente si porta dentro mille paure... Paure che impediscono di affrontare la vita per quello che è. Voi correte infinitamente più pericolo nell'andare in macchina da Ostia a Roma, di quanto corriate pericolo per l'AIDS, per la droga, per il terremoto, per i sequestri di persona, per la gente che tormenta i bambini. E rischiate di non essere attenti - come succede a molti - quando guidate sulla strada da Ostia a Roma. E accadono gli incidenti. E c'è gente che muore...
E non sono così, qualche volta, anche i medici? A sentire certi medici parlare, anche alla TV, sembra che siamo minacciati da mille malattie, da mille pericoli. Tutto sembra esporci a pericoli: il cibo che mangiamo, l'aria che respiriamo, l'acqua che beviamo. E poi ci accorgiamo, che la vita si allunga sempre di più. È che anche i medici vogliono essere indispensabili per noi e la gente, portandosi dentro la paura di prendersi chissà quali malattie, rischia di non essere più capace di curarsi sul serio, di far le cose giuste per conservare e custodire la propria vita.
E non è capitato anche a voi, qualche volta, di sentir ripetere dall'altare la minaccia più terribile: la paura, per voi e per i vostri cari, delle fiamme, dell'Inferno, del Purgatorio?
E - senza andare tanto lontano - non capita, a volte, nelle nostre case che il papà e la mamma, presi da tante ansie e da tante paure, cercando di custodire i figli, di difenderli da tutti i pericoli del mondo, li fanno crescere più fragili e più incapaci di affrontare i pericoli? Non è vero forse, che a volte i ragazzi più fragili, quelli che incappano veramente nei pericoli, sono quelli che hanno assorbito, fin da piccoli, le paure del papà e della mamma?
La paura è spesso generata da chi ci vuole fragili, indifesi, e rischiamo poi di non saper ragionare, di attaccarci al primo mito che passa, di lasciare che gli altri decidano della nostra vita!
Gesù è diverso! Lui, come avete ascoltato, dentro i timori e gli incubi del suo tempo, ci invita a non aver paura, ad essere lucidi e vigilanti, ci invita alla libertà e al coraggio e vuole conservarci nel cuore una certezza: "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno!" I valori di Gesù, quello che fa grande e bella la vita non finisce e, al di là di tutto, tornerà Lui!
E questa speranza è affidata a due dei simboli più belli del Vangelo: "Guardate il ramo del fico. Quando si fa tenero e mette le gemme, voi sapete che l'estate è vicina...". E se leggete più avanti: "Non sono i dolori che generano la morte, ma le doglie del parto, che fanno nascere una vita nuova!".
Sì: il contrario della paura non è mettere la testa sotto terra, rifiutarsi di guardare i guai del mondo, far finta di niente; il contrario della paura è il coraggio della speranza: è l'occhio vigile e attento, è cercare di capire il mondo, dare una mano, per quanto si può, perché faccia un passo avanti. Il contrario della paura è la fiducia e la speranza; è la certezza che ognuno di noi si porta nel cuore: che Gesù sarà l'ultima parola della nostra esperienza!
Il Signore ci aiuti!
"Il mio regno non è di questo mondo. CRISTO RE - 23 novembre 1997
...Per questo son venuto nel mondo:
per rendere testimonianza alla verità".
Pilato chiede a Gesù: "Tu sei re?" e Gesù risponde: "Il mio regno non è di questo mondo, non è di quaggiù". Se vi chiedessi: "Siete d'accordo con questa frase di Gesù?" penso che la maggior parte di voi risponderebbe prontamente: "Certo che siamo d'accordo: il regno di Gesù non appartiene alle cose materiali; il regno di Gesù riguarda lo spirito, l'anima, l'interiorità, le verità eterne. Il regno di Gesù non riguarda le cose di questo mondo che passa; il regno di Gesù riguarda l'aldilà: non dice anche il profeta Daniele, che Lui verrà sulle nubi del cielo e giudicherà tutti i popoli?"
Eppure, vedete, dietro queste parole, dietro questa convinzione che molti cristiani si portano dentro, c'è una delle tentazioni più forti del mondo religioso: è la tentazione di cercare Dio al di fuori della vita. I fatti della vita quotidiana appartengono al mondo "profano": la fatica di essere uomini, il lavoro di ogni giorno, i soldi, la carriera, la ricerca del potere, il governo, l'economia la politica, tutto questo appartiene alle vicende terrene. E Dio è un'altra cosa!
Va cercato in alto, Dio, nella luce! Gli uomini in tutti gli angoli della terra hanno costruito dei santuari, spesso in cima alle montagne, li hanno cinti, a volte, di mura, per realizzare uno spazio "sacro": lo spazio di Dio, lo spazio della sua luce, lo spazio dell'aldilà, in cui si cerca di salvarsi l'anima, si fa memoria dei morti. Lo spazio sacro! E c'è, laggiù, lontano, lo spazio profano, sporco, pesante, della vita di ogni giorno.
Guardate Colui che sta davanti a Pilato: non è certo un personaggio celeste, un fantasma delle visioni notturne; fermatevi un momento, guardate le sue mani: son mani callose, di un falegname; ha lavorato per 30 anni, s'è guadagnato per 30 anni, faticosamente, il pane. Noi riconosciamo in quell'uomo Dio!
Ascoltate le sue parole - le ricordate? - "Beati quelli che. hanno fame e sete di giustizia": qui, su questa terra! non aspettando di salvarsi l'anima per l'altra vita! "Beati quelli che sono miti, che sono misericordiosi, che non amano la violenza. Beati quelli che operano la pace". "Chi vuol essere il primo, si faccia l'ultimo e il servo di tutti".
Ricordate le sue parole: "Non potete servire a due padroni - ai poteri di questo mondo, al denaro, e a Dio -".Ed eccolo, ora, di fronte a colui che è rappresentante di un potere, che si dice divino ("al divino Cesare"). Ecco, allora, si scontra là il potere di chi pretende di governare uomini e cose, di sostituirsi a Dio, con Chi è venuto in mezzo a noi per testimoniare la verità e la libertà, e si porta nel cuore la passione per la giustizia, il desiderio della gratuità e della pace!
Dio lo si incontra nel cammino concreto della nostra vita quotidiana! Soltanto qui: nell'avventura di cercare ogni giorno quello che è giusto, quello che fa l'uomo più libero, più capace di gioia, di vita, noi incontriamo Dio.
E nel giorno del nostro battesimo, anche noi siamo stati consacrati "re", discepoli di questo Signore, invitati a costruire il suo Regno, a cercare di fare questo mondo, almeno un po' di più, come Dio lo vuole.
Il regno di Gesù "non è di questo mondo" nel senso che non è un regno in cui conta chi ha più potere, in cui non comandano il denaro, il prestigio, la potenza, l'apparire; ma la voglia di giustizia, la tenerezza, la misericordia, il desiderio di pace!
Qui, su questa terra, Gesù è venuto a portarci la sua libertà, il suo amore, la sua giustizia. Per questo noi Lo riconosciamo nostro re, re del nostro mondo.
E vorremmo che il mondo fosse un po' di più a sua misura! "Se fossimo tutti come Gesù - diceva un bambino - saremmo in Paradiso".
"Il Signore mi ha dato forza, perché per mio mezzo 29 giugno 1997
si compisse la proclamazione del messaggio."
"Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa."
Pietro la roccia, l'uomo dalla fede forte e sicura, il capo indiscusso della prima Chiesa, colui che con mano ferma e infallibile guida la prima comunità cristiana: è questa l'immagine che mi ha consegnato il catechismo, quando ero ragazzo. Quanto distante da questa immagine - così segnata dalla ideologia, dalla ricerca del potere, dalla esaltazione dell'infallibilità del Papa - l'immagine che mi ha consegnato, in questi lunghi anni, la ricerca nel Vangelo, negli Atti degli Apostoli!
Pietro è l'uomo dalla fede fragile, è l'uomo dai mille dubbi, dalle tante paure, dalle molte vigliaccherie. Ha scoperto in Gesù colui che ha "parole di vita eterna" e tenta di andargli dietro, ma non sempre ci riesce.
A Pietro Gesù rivolge la parola più dura del Vangelo: "Stai lontano da me, Satana! Tu non pensi come Dio, ma come gli uomini". Pietro Lo rinnega: giura di non conoscerlo, là nell'orto, quando la piccola serva gli dice: "Anche tu eri amico di Gesù". -"Non l'ho mai conosciuto. Non so chi sia".
E non è che tutto sia finito con la Resurrezione e la Pentecoste, quando anche su Pietro è disceso lo Spirito! Paolo deve rimproverare a Pietro di essere un vigliacco, di comportasi male, di aver paura dell'autorità di Gerusalemme!
Pietro, l'uomo dalla fede fragile e indifesa; l'uomo dai mille dubbi, l'uomo dai molti tradimenti. Che non si stanca, però, - è questa la sua grandezza - di cercare Gesù; non si stanca di aver fiducia in Lui, di tornare da Lui, al di là dei suoi fallimenti, dei suoi dubbi, delle sue paure.
E questo me lo ha fatto sempre sentire vicino. Vicino nel mio cammino di credente: anch'io con i miei dubbi, con le mie paure, con le mie vigliaccherie, con i miei tradimenti! Anche io, come Pietro, ho continuato a credere in Gesù e a cercarLo! E credo sia così per molti di voi!
Non ho potuto invece mai sentire molto vicino Paolo: perché mi è sembrato di cogliere in Paolo una personalità straordinaria; l'ho sentito simile alle persone straordinarie - più d'una ho avuto la fortuna di incontrarne - persone che avevano un carattere forte, una personalità eccezionale! Così doveva essere Paolo.
Un uomo che ha avuto il coraggio di portare il Cristianesimo al di là del piccolo guscio della nazione ebraica; di correre per il mondo, di affrontare vari luoghi e diverse culture; di essere un testimone appassionato della libertà, che sentiva di avere scoperto in Gesù!
Nelle sue Lettere abbiamo trovato alcune delle parole più belle del Nuovo Testamento, alcune delle intuizioni più profonde della nostra fede. Non che avesse sempre ragione, anche lui era un uomo... Quest'anno abbiamo riso più volte delle sue parole e invito tutti voi a leggere qualche volta le Lettere di Paolo, per ridere della tante sciocchezze che anche l'apostolo ha detto.
Anche questo ci fa liberi! Sentire che una persona straordinaria come Paolo - un campione della libertà, un uomo che ha saputo dire cose straordinarie - anche lui qualche volta dice sciocchezze, anche lui qualche volta scambia le sue fantasie, le sue paure, con la dottrina del Signore! Succedeva al tempo di Paolo, succede anche oggi.
Anche noi a volte scambiamo le nostre sciocchezze con la luce di Gesù e non solo noi: anche i capi, anche quelli che parlano di Gesù alla radio e alla TV, a volte dicono sciocchezze! Continuiamo a sorridere e a cercare Gesù, la Sua luce.
Essere cristiani, in fondo, è questo: al di là delle nostre paure, dei nostri sbagli, delle nostre vigliaccherie, dei nostri errori, continuare a fidarci di Lui, convinti che solo Lui, come diceva Pietro, "ha parole di vita eterna"! E tentiamo di essere Suoi testimoni nella vita di ogni giorno.
E non ci stancheremo di farlo. Ed dopo di noi ci sarà gente che cercherà Gesù: come hanno fatto gli apostoli e i tanti credenti, in questi 2000 anni.
Gesù ci aiuti a cercare ancora la Sua luce!
"Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su 9 novembre 1997
questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre...
Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri
adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità.
Dio è spirito e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità"
Se qualcuno, incontrandovi per via, vi chiede dov'è la chiesa, a nessuno di voi penso che salti in mente di rispondere "Sono io! Vuoi sapere dove possiamo trovare anche gli altri cristiani?". Eppure, vedete, i cristiani di un tempo avrebbero risposto così.
"Chiesa" è una parola che significa "l'assemblea dei credenti", molto prima che una costruzione e un luogo; soltanto poi, perché non c'era uno spazio in cui i credenti, ormai numerosi, potessero riunirsi, ritrovarsi insieme, si son dovuti costruire degli spazi, degli edifici, che i primi Cristiani chiamavano la casa della Chiesa... che siamo noi. Ecco perché questo edificio si chiama chiesa.
Se un uomo di un'altra religione vi chiede: "C'è in questo quartiere un luogo sacro?" credo che anche a lui voi indichereste la chiesa; e fate bene a fare così. A nessuno di voi passa in mente di dire: "Io! Sono io l'unico spazio sacro: il mio cuore, la mia vita, è il vero luogo sacro".
Perché, vedete, in ogni angolo della terra l'uomo ha sentito il bisogno di costruire degli spazi sacri. Per i primi uomini bastava soltanto qualche pietra messa in cerchio, che dividesse lo spazio sacro dallo spazio profano, dalla vita di tutti i giorni. E spesso, come avete ascoltato, questi spazi erano "in cima al monte": là, lontano dal rumore della vita di ogni giorno, si andava a cercare Dio, e là, spesso, sono stati costruiti dei grandi templi, degli straordinari edifici, per accogliere la gente che accorreva in gran numero.
E perché si andava a cercare Dio? Per chiedere una grazia, per cercare di interpretare il futuro, per fare memoria dei morti, per cercare in Dio la propria sicurezza. E si cercava di fare il tempio sempre più grande, pensando di dare gloria a Dio innalzando una grande costruzione, in cui si potesse fare sfoggio di cerimonie fastose: con stuoli di sacerdoti vestiti con abiti strani, che parlavano spesso lingue esoteriche, che facevano riti complicati, con l'intento di dar gloria a Dio.
Gesù ha tentato di portarci lontano da tutto questo: intorno alla tavola, in una casa qualunque, sulla tavola un po' di pane e un po' di vino... per lasciarci la convinzione che la "gloria di Dio" è la nostra vita, che quello che veramente dà gloria a Dio è il cuore dell'uomo! Un cuore - come ci ricordava proprio un settimana fa - affamato e assetato di giustizia, mite, misericordioso, pacifico. Quello che dà gloria a Dio è la vita dell'uomo, in cui si realizzi la pace! È questo il vero tempio di Dio.
E allora il nostro ritrovarci qui, insieme, ogni domenica non può essere soltanto il venire a cercare una grazia, quando ne abbiamo bisogno, il venire a cercare una sicurezza o un momento di pace, nell'affanno della vita di ogni giorno.
Il nostro incontrarci qui la domenica non può che essere un cercare Gesù, la sua luce; far memoria di Lui; cercare i valori essenziali del nostro cammino sulla terra: perché la nostra vita sia "sacra", perché risplenda in qualche modo della luce di Dio; perché ci sia nella nostra vita la pienezza della giustizia, del bene, della gioia, del piacere, della felicità! Perché Dio risplenda attraverso la vita e la luce degli uomini!
La Chiesa, il tempio di Dio, il vero spazio sacro, siamo noi: ciascuno di noi e la nostra vita. Noi, tutti, siamo chiamati ad essere lo spazio in cui, in qualche modo, si manifesta Dio e si può incontrare Dio: la sua pace, la sua tenerezza, il suo amore!
Il Signore ci aiuti!