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OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 1995-1996 - Vangelo di Matteo
INDICE
"Vegliate, state pronti, perché non sapete 3 dicembre 1995
in quale giorno il Signore vostro verrà".
Un senso di sgomento mi ha preso tutte le volte che, nelle due ultime settimane, ho pensato a cosa dirvi stasera: "Cosa dico, adesso?! Ancora una volta l'Avvento, ancora una volta le stesse parole, ancora una volta dobbiamo prepararci al Natale".
E poi ho capito che questo sgomento non veniva soltanto dalla difficoltà di dirvi qualcosa di nuovo, ma da qualcosa di più profondo che mi porto dentro (ma forse succede anche qualcuno di voi), perché gli anni passano e viene un po' di stanchezza ed è difficile ancora "alzare il capo" e guardare avanti ed aspettare Gesù! Aspettare che Lui porti qualche cosa di nuovo: com'è possibile che porti ancora luce e speranza nella mia vita?!
E forse veniva anche dall’aver ascoltato più volte, in questi ultimi giorni, discorsi pesanti: qualcuno mi parlava del mondo, della difficoltà di capire questo mondo sempre più complesso. Sembra come una grande macchina dai meccanismi estremamente complicati - i meccanismi del potere, dell'economia, dell'informazione - una grande macchina, in cui ognuno di noi ha pochi spazi di manovra e in cui, chi vuole essere diverso, resta stritolato come un granello di polvere da un grande ingranaggio che non conosce.
E qualcun altro mi parlava della difficoltà di fare la pace in molte parti del mondo ed anche nella vicina Jugoslavia, in cui sembrava che si potesse finalmente metter termine ad una guerra terribile, ma adesso bisogna mandare soldati; e li devono mandare gli Americani ed anche noi; e di nuovo dei nostri ragazzi devono prepararsi a partire e magari qualcuno dovrà anche morire!
Ed i tanti problemi della nostra Italia: sempre nuove emergenze, la difficoltà di capire quello che ci succede intorno, l’irrazionalità nell’affrontare i problemi...
E poi ascoltavo dei ragazzi parlare delle loro difficoltà a trovare lavoro; altri parlavano delle occupazioni delle scuole: soliti rituali, solite sciocchezze! Le cose che si fanno senza sapere nemmeno perché si fanno; e le reazioni - forse ancora peggiori - di qualche preside, di qualche insegnante e quelle: "sconvolgenti", mi diceva qualcuno, di molti genitori.
Ed ancora sentivo parlare della difficoltà di far arrivare messaggi anche semplici ed importanti, per esempio per far capire a tanti incoscienti del nostro paese che ci si può difendere dall’AIDS almeno con un preservativo, per evitare pericoli terribili!
E mi capitava ieri, andando a visitare tanti malati per portar loro la Comunione, di notare che molti erano rimasti sconvolti dall'episodio recentissimo, che tutti conoscete, di quella famiglia - madre e tre figli - che si sono suicidati, gettandosi insieme da un viadotto: tutti angustiati per questo gesto così disperato, che non riuscivano a capire; e nessun giornalista li aveva aiutati a prendere un po' le distanze dal fatto e a capire che, probabilmente si trattava di una famiglia complessa, rinchiusa in se stessa, con gravi problemi psichici che vengono da lontano, difficili anche da capire! Rimaneva in queste persone, anziane, soltanto lo sgomento, lo spavento... E si parlava ieri sera dei giornalisti, dei mezzi di comunicazione, che forse fanno a posta a creare questo sgomento.
E poi davanti alla domanda: "cosa si può fare?" il sorriso ironico di qualche ragazzo e la convinzione, più volte espressa, che il mondo va sempre peggio!
E allora ho avuto quasi un sussulto: "Non è possibile pensare così!" Il mondo del tempo di Gesù era infinitamente peggiore del mondo in cui viviamo oggi: a quel tempo nelle nostre terre, del bacino del Mediterraneo, i due terzi degli uomini erano schiavi. Si andava allo stadio non per assistere ad una partita di calcio, ma allo spettacolo di gente che si uccideva. Il mondo era pieno di soprusi e violenze. Dal tempo di Adamo, dal tempo dello scimmione primitivo, il mondo è sempre andato avanti: l'umanità, magari per strade tortuose, ha sempre camminato, sempre ha fatto un passo avanti! Possiamo contare sulla forza della vita! Ogni bambino che nasce, ogni uomo che cresce, è spinto ad andare avanti, a conquistare un posto al sole.
Perché un ragazzo che nasce deve sentire intorno a sé tutto questo sgomento, pensare che il mondo domani, sarà peggio di oggi? Non è mai successo, nel lungo cammino dell'uomo: la forza della vita ha sempre spinto l'umanità verso un futuro migliore!
Ma c'è di più: noi siamo qui, perché crediamo in Gesù! Crediamo che Lui è venuto a condividere questa nostra vita, si è calato nei nostri problemi, per camminare con noi, per portarci un po' della Sua luce, per metterci la speranza dentro! E le Sue parole, che tante volte son sembrate morire come Lui sulla croce, ancora portano frutti intorno a noi. C'è tanta gente di buona volontà nel mondo, che ricorda delle Sue parole: di questa gente ce n'è tanta anche qui. Per questo crediamo che nell’ultimo orizzonte c’è Lui, che il mondo non va sempre peggio, ma cammina verso Gesù.
Allora, fratelli, possiamo ancora prepararci al Natale, possiamo ancora fare l'Avvento! Quest’anno abbiamo anche poco tempo per prepararci; ma l'importante è che Lui venga! Importanti non sono nemmeno tutti i nostri sforzi, le nostre difficoltà di capire, le nostre incertezze. L'importante è che ci sia Lui, che sia venuto a condividere la nostra vita!
E non lo dimenticate: per 30 anni ha fatto come voi, il semplice lavoro di ogni giorno... quando ha lasciato Nazareth, qualche famiglia si sarà ricordata di Lui per un tavolo ben fatto e una sedia comoda, qualcuno avrà ricordato le ore passate con Lui, i discorsi della sera, la sua amicizia, la sua tenerezza: tutto qui? Per trenta lunghi anni tutto qui... e questo ha mandato avanti il mondo!
E se noi continuiamo a credere che Dio è venuto a condividere questa vita, è venuto a partecipare al grande cammino dell'uomo verso il futuro, verso un mondo sempre migliore, è venuto a condividere i nostri sogni, le nostre speranze di vita e di pace, saremo anche noi, per i giovani che ci crescono accanto, testimoni di vita e di speranza, e non di paura e di sconforto...
A qualcuno capita di essere così! Dobbiamo portargli il sorriso di Gesù, la speranza che Lui è venuto a portarci.
Il Signore ci renda capaci di farlo!
"Il lupo dimorerà insieme con l'agnello" 10 dicembre 1995
"Razza di vipere, chi vi ha suggerito di
sottrarvi all'ira imminente?"
Un gruppo di genitori dei bambini che si preparano per la prima Comunione, si ritrovano insieme: hanno il compito di preparare qualche parola da dire, per aiutare i ragazzi - ed anche gli adulti - a pregare in questa IIa domenica d'Avvento. E prendono in mano le due letture che oggi abbiamo ascoltato: il sogno luminoso di Isaia e le severe parole di Giovanni il Battista. Scelgono le parole di Giovanni! E i commenti di queste mamme e di questi papà sono tutti improntati alla severità, ai rimproveri di Giovanni. Perché? La catechista mi diceva: "Non si preoccupi, don Checco, sono ancora alle prime armi: poi, pian piano, un po' di strada la faranno".
Perché, secondo voi, è più facile ascoltare le parole di Giovanni, ritrovarsi nelle sue minacce, nel suo grido, nei suoi rimproveri, che nelle parole luminose di Isaia? Ma, in fondo, la risposta non è troppo complicata.
Noi siamo abituati a sentire prediche che rimproverano, che minacciano, che annunziano il castigo: noi siamo abituati a fare la morale! Forse anche i papà e le mamme si comportano così coi loro figlioli: per loro è più facile rimproverare, promettere magari un castigo...
Siamo abituati a delle prediche così: il compito del predicatore non è quello di alzar la voce, di rimproverare? Forse era così anche al tempo di Giovanni il Battista: i Farisei e i Sadducei ascoltano le sue minacce e forse si son fatti battezzare lo stesso, dopo la predica...! Ognuno ha il suo compito, il suo ruolo: tutto rischia di diventare rituale e scontato, anche per noi, poi, magari, quando usciamo di chiesa, facciamo come se niente fosse...
E poi non è forse vero che è più facile fare la morale, è più facile lamentarsi, è più facile brontolare, che cantare e sognare? Il canto del poeta, il sogno luminoso del profeta ci sono meno familiari dei lamenti, dei rimproveri, delle minacce. Non è vero che, a volte, crediamo di aiutare i ragazzi a crescere, con le "prediche", i rimproveri, i castighi, perché siamo incapaci di metter dei valori, degli ideali nel loro cuore, di accendere una luce dentro di loro, di comunicare passione per la vita e il bene?
Isaia sogna un mondo in cui la giustizia sia giusta, in cui i piccoli siano difesi, sogna che la saggezza riempia la terra, come le acque riempiono il mare. Isaia sogna un mondo in cui il lupo dimori con l’agnello, la mucca e l'orsa pascolino insieme, nutrendosi entrambi di erba. Isaia sogna un mondo in cui bambini possano giocare sulla buca dei serpenti velenosi! Il sogno di un mondo giusto e pacificato!
Non lo dimenticate! Tutti coloro che hanno incontrato Gesù, lo hanno riconosciuto nelle parole luminose di Isaia e non nei rimproveri di Giovanni. Hanno sentito che Lui veniva a condividere i sogni più profondi degli uomini, il canto dei poeti, che veniva ad accendere un fuoco nel nostro cuore, a portare un tesoro dentro di noi.
Per questo noi abbiamo messo lì quel vecchio tronco: aspettiamo anche noi che spunti un germoglio nuovo, che Gesù nasca e rinnovi il nostro vecchio cuore, che ci porti ancora il Suo sogno, la Sua luce, la Sua passione per la vita, che faccia capaci, anche noi, di avere un tesoro nel cuore! Ci faccia capaci di consegnare un sogno ai bambini che crescono in mezzo a noi, il Suo sogno di un mondo più bello e più pacifico!
Dite stasera una preghiera per questi genitori - e per tutti noi - perché sappiano non soltanto brontolare, fare la morale ai ragazzi, ma sappiano consegnar loro un tesoro, tener vivo il sogno nel loro cuore: certo c’è bisogno di gesti concreti perché non siano solo parole, perché non resti una vuota utopia... e non è facile!
Per questo è venuto Gesù! Per questo Lo aspettiamo!
"Eccomi. sono la serva del Signore 8 dicembre 1995
avvenga di me quello che hai detto".
Mi capita ancora - ma per fortuna sempre più raramente - di parlare con qualcuno che ritiene quello che abbiamo letto nella prima lettura il racconto di un avvenimento accaduto all'inizio della storia dell’umanità: il racconto di un paradiso terrestre, di un'umanità felice, da cui l'uomo sarebbe decaduto.
La scienza, la storia, ormai ci fanno avvertiti che non è mai esistito un tempo felice, non è mai esistita una umanità perfetta: il cammino dell'uomo è stato sempre un cammino faticoso! In queste antiche pagine noi non troviamo il racconto di ciò che è accaduto all'inizio, ma il sogno, l’ideale dell'uomo: il sogno di una umanità felice, in armonia.
Vi troviamo anche, una riflessione profonda su quello che sciupa la vita dell'uomo, sulla radice del male. Questa gente, vissuta tanto, tanto tempo fà, intuisce che la paura, l'angoscia di vivere, l'insicurezza, è la radice del male che l'uomo si porta dentro!
Paura e insicurezza prima di tutto verso se stessi: paura di non farcela, paura di perdere quello che si ha, paura di non essere all’altezza. Avete sentito? Adamo si scopre "nudo" e si nasconde...
Paura dell'altro, sfiducia in chi ci sta accanto: Adamo, che prima ha gridato tutta la sua gioia davanti ad Eva, adesso dice: "La donna che tu mi hai messo accanto, mi ha ingannato". Quasi un rimprovero a Dio per avergli dato la sua compagna.
Paura della natura: il serpente non è più un semplice animale, parte del grande regno della vita, ma diventa un simbolo del male, della natura rovinata, della vita minacciata.
E tutta questa insicurezza, tutta questa paura, porta all'aggressività, alla violenza, alla sopraffazione: ricordate Caino... E porta anche la paura di Dio, la paura del castigo, anche Dio è visto come una presenza minacciosa, da cui fuggire!
I primi Cristiani sono convinti che Dio non viene per distruggere, per punire, per colpire: ma per salvare! Loro sono convinti che in Gesù si è manifestata la passione di Dio per la vita dell'uomo, la condivisione di Dio del sogno dell'uomo, del suo cammino verso una umanità salvata, liberata da ogni paura, da ogni minaccia!
Allora i primi Cristiani vedono in Maria il modello della fede! Maria: lei non ha paura! Lei si fida di Dio! Non fugge, non ha bisogno di nascondersi. Anche lei esprime davanti a Dio tutta la sua povertà, la sua incapacità: "Sono vergine, non conosco uomo: come può nascere un figlio da me?!". È tutta l'incapacità dell'uomo, l’incapacità a generare il Cristo, a costruire il Regno e la giustizia, che Maria mette davanti a Dio! Ma poi si fida di Dio, si fida dello Spirito, si fa disponibile: "Eccomi, sono la serva del Signore! Si faccia di me secondo la Sua parola, secondo la Sua volontà!".
Maria non ha paura: non teme di non farcela, di essere inadeguata al suo compito, sa che la sua debolezza è colmata dal soffio dello Spirito; non vede negli altri dei nemici, non teme Dio e il Suo castigo. Sa che nel progetto di Dio c’è la salvezza per l'uomo. E Maria esprime tutta la sua fiducia e canterà la sua gioia!
Vedete, nel cammino verso Natale Maria può essere il modello della nostra fede, il modello della nostra accoglienza: anche noi possiamo essere liberati dalla paura, dalla insicurezza. Se ci affidiamo a Dio, se sappiamo accogliere Gesù, Lui viene a condividere il nostro cammino, il nostro sogno di un mondo più bello e più giusto!
Ed anche noi possiamo prestare le nostre mani, come ha fatto Maria: anche noi possiamo alzarci e partire, perché ci sia intorno a noi qualche piccolo gesto di accoglienza, come ha fatto Lei - subito dopo l'annunzio dell'angelo - alzandosi in fretta, per correre da Elisabetta. Senza paura, con fiducia, con speranza nella vita e in Dio, che viene a condividerla!
Maria sia per noi modello di fede e d'accoglienza!
Dite agli smarriti di cuore: "Coraggio! Non temete. 17 dicembre 1995
Ecco, il vostro Dio viene a salvarvi".
"Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito".
Un po' per non saper cosa dirvi stasera, un po' perché sono giunto a quell'età della vita in cui si comincia a guardarsi indietro, mi veniva - preparando queste parole - di ripensare il mio rapporto con questa pagina del Vangelo. Sono riandato a quando ero bambino e mi colpiva l'immagine di Giovanni il Battista: avevo negli occhi la sua figura, come si vede in tanti degli straordinari quadri della nostra arte, di un profeta alto, magro, tutto coperto da una specie di folta pelliccia. Mi colpivano le sue parole severe, l’idea che fosse un uomo vero, non "una canna sbattuta dal vento". Non avevo difficoltà a pensare che Giovanni fosse molto inferiore a Gesù, perché Gesù - l’abbiamo letto stasera - fa tanti miracoli : fa risuscitare i morti, guarisce i sordi, risana i lebbrosi, etc.
Poi, andando avanti con gli anni, quando più di un dubbio si faceva strada nel mio cuore, mi colpiva questa pagina del Vangelo: perché qui c'è "il dubbio" di Giovanni. Manda da Gesù i suoi discepoli a domandargli:" Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro"? Mi sentivo vicino - nel mio crescere, nell'età dell'adolescenza - il dubbio di Giovanni.
Le persone autorevoli che ho incontrato, anche qualcuno dei miei preti, mi dicevano: "Guai, avere dubbi! Il credente è uno che non ha mai dubbi: li scaccia, come pensieri cattivi! Guarda tutti i miracoli che fa Gesù!". Ma non mi convincevano del tutto. Trovavo strano che, proprio quando si parla del dubbio di Giovanni, c’è l'elogio più straordinario di Gesù: "Giovanni è il più grande fra i nati di donna!". Io non ero certamente "il più grande fra i nati di donna"... Ero soltanto un ragazzo che cercava di crescere: "ma, se aveva i dubbi lui - pensavo - perché non potevo averli anche io? perché non si dava una risposta ai dubbi che mi portavo dentro?" Gesù, in fondo, tenta di rispondere a Giovanni... mi dicevano: "Sì, tenta di rispondere: ma risponde coi miracoli: e tu devi credere ai miracoli di Gesù!"... Ma io miracoli non riuscivo a vederne mai.
Poi, sono cresciuto ancora un po' e mi sono accorto che senza il dubbio non c'è fede autentica: che la fede, in fondo, è un continuo passare dal dubbio alla fiducia. Mi sono accorto che molti dei dubbi che avevo, me li facevano venire proprio quelli che mi dicevano che non dovevo aver dubbi... Perché spesso ho incontrato, nella vita della Chiesa, persone che dicevano parole grandi, altisonanti, cui non corrispondeva passione per la verità, ricerca delle cose giuste: cui non corrispondevano spesso comportamenti autentici: non mi aspettavo che fossero dei santi, ma che prendessero almeno un po’ sul serio le parole di Gesù!
Poi, soprattutto, ho scoperto che nel Vangelo i "miracoli" li fanno tutti! Ho capito allora che il miracolo non era un prodigio fatto per cacciare via i dubbi, ma qualche cosa di più semplice, qualche cosa che dovevo trovare intorno a me. Allora ho cominciato anch’io a vedere "i ciechi aprire gli occhi, gli zoppi camminare". Ho cominciato a capire Gesù!
Perché, vedete, io intorno a me ho trovato tante persone, che mi hanno aiutato a vedere. Non posso dirvene i nomi, perché la lista sarebbe lunga e qualcuno è anche qui in mezzo a voi: magari si meraviglierebbe di sentirsi citato dall'altare. Ma tanta gente - bambini, giovani, adulti, persone con i capelli bianchi - tanta gente mi ha aperto gli occhi, mi ha fatto vedere in Gesù e luce e liberazione e vita!
Perché tutte le volte che mi sembrava di non poter più camminare, che avevo voglia di fermarmi, ho trovato qualcuno che mi ha messo una mano sulla spalla, che mi ha rimesso in cammino, dandomi fiducia e speranza.
E quanti gesti ho visto intorno a me: di tenerezza, di pazienza, di attenzione, di dolcezza! verso di me, ma anche verso gli altri. Quando mi guardo intorno, anche qui (la vita di più d'uno di voi la conosco un po'), quando vedo tutti i gesti d'amore, di tenerezza, di rispetto, di accoglienza, ah! allora qualche dubbio se ne va! Posso dirvelo con tutta franchezza: se sono ancora qui, se ancora conservo la fede nel cuore, è perché, in questi lunghi anni, tanta gente mi ha fatto vedere e toccare con mano un riflesso della tenerezza e della bontà di Dio e di Gesù! Tanta gente concreta, tanta gente come voi...
Anch'io come Giovanni ho visto, anch'io non mi sono scandalizzato, anch'io ho continuato a credere! Non c'era soltanto il male intorno a me: non c'era soltanto la violenza, non c'era soltanto la cecità, non c'era soltanto l'ingiustizia! C'era, intorno a me, tanta gente che faceva il bene, tanta gente che amava la giustizia, tanta gente che mi ha fatto vedere non i "prodigi", ma i gesti concreti della tenerezza, della bontà, della speranza, della vita!
Tanta gente mi ha aperto gli occhi, mi ha aiutato a camminare, ha curato le mie ferite! E questi sono segni di Dio! Questi sono i segni che mi permettono di credere. E quello che è successo a me, forse è successo a molti di voi.
E allora non ci resta che ringraziare di tutto cuore il Signore: cantare anche noi, come Isaia, la gioia del Signore che fa saltare gli zoppi, che apre gli occhi ai ciechi! E ancora aspettare Gesù: perché, al di là dei nostri dubbi, porti nella nostra vita il coraggio di fare ancora di questi gesti, il coraggio di rendere ancora presente nel mondo un po' del Suo amore!
Il Signore ci aiuti a farlo!
"Il Signore stesso vi darà un segno: 24 dicembre 1995
la vergine concepirà e partorirà un figlio".
"Giuseppe, non temere di prendere con te Maria:
essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù".
Nel Vangelo di Matteo è affidato a Giuseppe - non a Maria, come nel Vangelo di Luca - il compito di essere il modello dell'accoglienza di Gesù. I bravi maestri ebrei della comunità di Matteo, non possono accettare che sia una donna il modello della fede. La comunità ebrea del tempo di Gesù era profondamente maschilista: una donna non poteva essere simbolo di nulla! E allora la comunità di Matteo deve affidarsi a Giuseppe. E forse è meglio per noi: perché, vedete, in Giuseppe ritroviamo le nostre debolezze di uomini, le nostre meschinità, le nostre incapacità.
Guardatelo un momento, Giuseppe: si accorge che la sua promessa sposa, aspetta un figlio. Il Vangelo di Matteo ci dice che Giuseppe è "un uomo giusto": sa che deve osservare la legge! Deve denunziare la sua promessa, esporsi al ludibrio, suscitare l’ironia e il sorriso di tutto il paese... Ma lo deve fare, perché è "giusto"!
Ma d'altra parte vuole bene alla sua donna: non vuole perderla, non vorrebbe rinunciare a Lei. Guardatelo, Giuseppe, stretto tra la legge, il dovere, e la sua passione, il suo amore. Non sa trovare una strada, non capisce. E allora che fa, povero Giuseppe? Quello che forse avremmo fatto noi: fugge, Giuseppe! Non vuole affrontare il tribunale, le chiacchiere della sua gente: forse non vuole affrontare nemmeno Maria, chiederle spiegazioni.
Pensa di rimandarla in segreto, senza che nessuno se ne accorga. Fugge, povero Giuseppe. Ma che avrebbe potuto fare? Come poteva sognare, Giuseppe, la fantasia di Dio, l'irruzione di Dio nella vita degli uomini? Come poteva sognare, Giuseppe, che nella sua famiglia sarebbe nato "l'Emmanuele, Dio-con-noi"?! E deve venire un angelo a dirgli: "Non aver paura, Giuseppe coraggio! C'è bisogno di te. Dio ha deciso di condividere la vita degli uomini e chiede anche a te di dare una mano. Non devi rinunziare a Maria: puoi prenderla, continuare ad amarla! E, soprattutto, insieme dovete accogliere questo figlio, che non è vostro!".
Ma, in fondo, non è "nostro" nessun figlio che nasce: ogni bambino viene da Dio! Ed ha bisogno - dal papà e dalla mamma - di stupore, di meraviglia, di accoglienza. Così Giuseppe, anche lui, deve accogliere e prestare le sue mani. È prezioso, Giuseppe: c'è bisogno del suo lavoro, c'è bisogno della sua attenzione, c'è bisogno della sua dedizione; come e per ogni papà che vive sulla terra.
Non deve essere un eroe, Giuseppe, non gli si chiede di fare cose grandi, straordinarie. Gli si chiede di custodire questo figlio che nasce, di provvedere ai bisogni di ogni giorno, di aiutarlo a crescere, poi gli insegnerà il suo mestiere (che forse Giuseppe sapeva fare bene): il mestiere di falegname. Crescerà suo figlio fra martelli, seghe, chiodi, scalpelli; gli lascerà la sua bottega.
E ogni tanto si stupirà: perché questo figlio è diverso da come se lo aspetta! A 12 anni, dice il Vangelo, quando è nel Tempio Gesù scappa. E Giuseppe avrà, ancora una volta, avuto paura, forse avrà cercato di nascondersi un'altra volta e di nuovo avrà sgranato gli occhi per accogliere la sorpresa, la fantasia di Dio!
Chi sa se c'era ancora Giuseppe, quando a 30 anni Gesù ha messo da parte la sega, il martello, i chiodi e ha lasciato la bottega per andarsene, cittadino del mondo! Chi sa se Giuseppe era ancora là! Gli si sarà, ancora una volta, stretto il cuore; ancora una volta avrà fatto fatica ad accettare Dio, la fantasia di Dio, il coraggio di Dio! A Giuseppe era chiesto soltanto questo: di prestare le sue mani, di farsi accogliente, di stupirsi di fronte a Dio, che veniva a condividere la vita degli uomini!
E questo, fratelli, non è chiesto solo a Giuseppe: è chiesto anche a noi. Domani notte sarà Natale: Dio ci chiede occhi sgranati, pieni di stupore! Ci chiede di aprirci alla fantasia di Dio, che viene a condividere il nostro cammino di ogni giorno! E ci chiede di prestare le nostre mani: non per fare cose grandi, non per essere eroi, ma per portare - ogni giorno - il coraggio di Dio nella nostra vita, il coraggio della speranza, la passione per il bene, il desiderio di veder crescere i bambini, di dare loro un futuro! Come ha fatto Giuseppe.
Lo Spirito di Dio ci dia un po' della forza, del coraggio, della capacità di accoglienza, che c'era nel cuore di Giuseppe! E allora anche noi potremo vivere il Natale!
"Oggi vi è nato un Salvatore... 1995
troverete un bambino avvolto in fasce..."
Quest’anno sono stati i nostri giovani a preparare il Presepe, i simboli che ci aiutano a celebrare il Natale, e guardate, hanno fatto nascere Gesù in mezzo ai segni del degrado e della distruzione del nostro mondo: due barattoli gialli, simbolo delle scorie nucleari, un copertone rotto, un televisore sfondato, i segni della violenza quotidiana, alberi spogli e rinsecchiti per esprimere il degrado della natura e dell’ambiente in cui viviamo... È proprio così la terra in cui viviamo? Così vedono il mondo i nostri ragazzi? "È normale che sia così" mi diceva qualche giorno fà una saggia insegnante. Che ci sia un po’ della nostra responsabilità di noi adulti nel pessimismo dei nostri ragazzi?... sarà bene riparlarne ancora.
Ma poi guardate ancora, dietro, sullo sfondo, il cartellone che hanno preparato in questo Avvento i nostri bambini. I loro sogni... un cielo pieno di stelle luminose e sulla terra il girotondo di bambini di ogni colore, che si danno la mano per danzare la danza della vita. I sogni luminosi dei nostri bimbi... chi sa se proprio l’aver messo tanti sogni nel loro cuore, li porta poi, quando crescono, a guardare il mondo con tanto pessimismo?
Ma tutto questo ora non conta... guardate, tra i segni di un mondo sciupato e rovinato e i sogni luminosi dei nostri bambini: Gesù. I nostri ragazzi hanno cercato a lungo la lampada più luminosa per esprimere la luce di Gesù. Anche loro credono che, dentro il nostro mondo, dentro le nostre incapacità, Gesù è venuto a portare la luce di Dio. La fantasia di Dio, la Sua passione per la nostra vita ha inventato di farsi uno di noi. Dio è venuto a camminare con noi per le strade polverose del nostro mondo, a partecipare alla fatica e alla ventura di essere uomo, a condividere i sogni dei nostri bambini, a portare in ciascuno desideri di pace, il coraggio della speranza, la passione per la giustizia e il bene.
Ma, guardate con attenzione: è soltanto un piccolo bambino indifeso, che tende le mani: ha bisogno di protezione, di tenerezza, di calore, di accoglienza. Non è forte, né potente, non è un eroe, non è un mito: anche da grande, ha sempre fuggito l’applauso della folla, non ha mai cercato a tutti i costi il consenso o il potere, non gli interessava il successo, non è vissuto per il denaro o la gloria, non ha mai compiuto imprese straordinarie...
Guardate: ci chiama, chiama tutti e ciascuno... no, non abbiamo, anche oggi, bisogno di miti o di eroi, i miti crollano uno dopo l’altro, gli eroi spesso si rivelano piccoli e meschini, guai a quel popolo che ha bisogno di eroi, i cui giovani aspettano gli "uomini della provvidenza", c’è bisogno di tutti, dell’impegno quotidiano di ciascuno. C’è bisogno della fantasia e della tenerezza dei bambini, del coraggio, della passione e anche delle impazienze dei giovani, c’è bisogno della speranza e della fedeltà degli adulti, della saggezza e dell’esperienza degli anziani.
Guardate: Gesù ci tende la mano, ci chiama tutti, vuole condividere il nostro cammino, vuole portare nei nostri cuori, la Sua luce, il Suo coraggio, la Sua tenerezza, la sua passione per la giustizia e la pace. È Dio che viene, a condividere la nostra speranza, a condividere i sogni dei nostri bambini, a chiederci di essere testimoni di luce e di speranza. Questo è Natale.
"Giuseppe prese con sé il bambino e sua madre..." 27 Dicembre 1992
Qualche difficoltà ho avuto, questa volta, nel preparare qualcosa da dirvi. Mi domandavo se non poteva essere utile darvi qualche saggio consiglio come quelli che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Ma, vedete, a parte che i saggi consigli servono a poco e ciascuno di noi è portato ad ascoltare più quelli che servono agli altri che quelli che sarebbero utili per sé, c'è anche il fatto che sono ormai moltissimi anni che io non vivo più in una famiglia e mi manca quindi ogni esperienza per dar consigli. Rimaneva un'altra strada da seguire: quella di proporvi l'ideale della Famiglia di Nazareth, la famiglia di Gesù come modello delle nostre famiglie. Poi mi son detto che proporre una famiglia ideale rischia di essere un peso per chi di pesi ne porta già tanti: ci sono anche in mezzo a noi persone che non vivono affatto in una famiglia ideale.
Allora ho pensato che forse la cosa migliore - anche perché siamo stati a Messa proprio ieri - è quella di invitarvi a pregare per tutte le famiglie del mondo. Per le nostre prima di tutto: ma molte delle nostre famiglie sono tranquille e serene e pur tra i problemi di ogni giorno, si cerca di vivere la tenerezza e l'amore. E allora invitarvi a pregare per le famiglie che sono in difficoltà: là dove la famiglia diventa un peso, se non un inferno, quando tra marito e moglie non ci si capisce più, quando rimane solo il rancore e la rabbia, se non addirittura la sopraffazione e la violenza e ci vorrebbe, forse, solo il coraggio e la possibilità di andare ciascuno per proprio conto.
Vorrei invitarvi a pregare per quelle famiglie in cui ci sono dei figli che prendono una strada sbagliata e danno tante ansie e preoccupazioni. Per quelle famiglie in cui si vive il dramma della droga o quello, più nascosto ma forse più diffuso dell'alcolismo, che tante sofferenze provoca soprattutto alle donne. Per quelle famiglie in cui c'è una persona anziana che, come dice la prima lettura, ha perso il senno e si fa una gran fatica a starle dietro, e ci vuole tanta tenerezza e un'infinita pazienza e, a volte, la pazienza se ne va e sembra proprio di non farcela più.
Vorrei invitarvi a pregare per quelle famiglie che, in questi momenti difficili che viviamo, vedono in pericolo il posto di lavoro, che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese. Per tutte le famiglie del mondo in cui si vive la fame o la guerra con tutto il carico di sofferenza e dolore che comporta.
Quanti problemi nelle famiglie degli uomini! Quelli tra voi - e sono la maggior parte - che vivono in una famiglia serena, senza problemi troppo grossi, cerchino di non vederla come un rifugio tranquillo, un guscio che ci isola dagli altri: se apriamo gli occhi ci accorgiamo che intorno a noi c'è qualche famiglia che ha bisogno di una mano, qualcuno che ha bisogno di aiuto e soprattutto di non essere giudicato, ma di essere accolto per quello che è, di una mano tesa, senza troppe parole.
Ecco, il Signore dia, a tutti quelli che vivono in famiglia, la tenerezza e l'amore, il rispetto e la libertà, una grande pazienza e il desiderio di mettersi gli uni al servizio degli altri, con dedizione.
Il Signore aiuti tutte le famiglie del mondo, specialmente quelle che vivono momenti di difficoltà.
"Siate riconoscenti!... cantando a Dio di cuore e con gratitudine 31 dicembre 1995
e rendendo grazie, per mezzo del Signore Gesù, a Dio Padre".
L’ultimo giorno dell'anno capita di domenica e abbiamo pensato di dedicare tutte le celebrazioni al ringraziamento, non soltanto quella della sera, come si fa normalmente. E’ importante, ogni tanto, fermarsi a ringraziare: ne abbiamo, penso, bisogno tutti! Durante tutto l'anno, per molti dei 365 giorni, corriamo, ci impegniamo, lavoriamo, ci affanniamo; molti di noi hanno la sensazione di dare molto alla vita e quindi, a volte, siamo incapaci di renderci conto che è sempre molto di più quello che riceviamo: i doni, che la vita ogni giorno ci fa, sono sempre di più di quello che noi riusciamo a donare.
Di più: molti di noi, - non soltanto gli anziani ma anche i giovani, mi sto accorgendo - forse perché guardano il mondo con gli occhi della TV, vedono il male, le tante cose che non vanno, più che il bene, le cose essenziali della vita, che tutti abbiamo. E allora il mio compito (non so se mi riesce, ma voi siete bravi e saprete supplire) è quello di aiutarvi a dire grazie, stasera e domani, per tutte le cose importanti della vita.
Cominciamo da quello che è comune a tutti, ad ogni uomo che vive sulla terra: la luce, lo splendore del sole, la bellezza del cielo, del mare, gli alberi, i fiori, gli animali! Per noi, che siamo fortunati, basta andare nella pineta per ritrovare lo splendore della natura nelle varie stagioni, per sentire il canto degli uccelli, il tamburellare dei picchi, per scorgere il lampo fulvo della volpe che scivola fra i cespugli o incontrare mamma cinghiale, che porta in giro i suoi piccoli, per vedere le evoluzioni dei picchi muraioli su e giù per i rami dei pini. Non sto parlando di terre lontane ed esotiche: basta girare l'angolo... per ritrovare la bellezza della natura. Per chi, come me, ama le montagne ed ha percorso numerosi sentieri sulle Alpi o sugli Appennini, c’è il ricordo di panorami immensi e straordinari. Tutto questo non l'abbiamo fatto noi: è un dono, che ci viene rinnovato ogni giorno.
E non soltanto la natura: anche gli uomini! La tenerezza, la freschezza, la gioia dei nostri bambini; il coraggio dei nostri giovani, la loro generosità, l'impegno per lo studio. Se venite qui ogni mattina, li vedete sciamare verso le scuole; e molti di loro studiano con impegno, cercano di conoscere e di imparare. A volte rimango sorpreso, incontrando qualche ragazzo che studia sul serio, nel vedere quante cose sappiano di più rispetto a quando studiavo io (ormai son passati più di 40 anni!).
E gli adulti: il lavoro di ogni giorno, l'impegno con cui tanti di voi, ogni mattina, vanno a lavorare. L'onestà con cui lo fanno. E le donne, che lavorano spesso fuori, oltre che in casa. E la pazienza dei genitori per tirar su i figlioli: la difficoltà di educarli, con comprensione e pazienza, lo sforzo che molti fanno di non scaricare su di loro le ansie e le paure, che un po' tutti ci portiamo dentro!
E gli anziani: la pazienza con cui a volte affrontano la solitudine, il sorriso che riescono a conservare. Di tutto questo vi inviterei a dire un ''Grazie!'' sincero.
Ma non c'è soltanto questo: in quest'anno, anche in mezzo a noi, sono sbocciati degli amori: dei ragazzi hanno cominciato a vivere l’avventura di amarsi, alcuni dei nostri giovani si sono sposati (a me è toccato anche andare lontano, per essere presente al matrimonio di qualcuno). Ed è bello vedere due ragazzi che affrontano la vita con tutto l'entusiasmo, che anche molti di voi hanno provato parecchi anni fa. E non solo si sposano, ma fanno anche nascere dei bambini! Ci vuole coraggio a mettere al mondo dei bambini oggi! Le difficoltà del lavoro pesano sulle giovani coppie; eppure sono nati dei bambini e ogni tanto possiamo rallegrarci davanti ai loro occhioni sgranati, al loro sorriso che si apre alla vita! E la tenerezza, il disinteresse, la gratuità di tante amicizie che ci sono tra noi...
Noi non possiamo ringraziare per le malattie; ma se qualcuno è stato malato ed ha avuto - e siamo stati in molti ad averla - la fortuna di incontrare dei bravi medici, degli infermieri pazienti, allora, sì, ha bisogno di ringraziare anche per questo; perché nei guai che capitano si incontra spesso tanta tenerezza, tanta dedizione, anche tanta capacità.
C'è qualcuno, che forse, con struggente nostalgia, stasera ha da ringraziare chi non c'è più! Qualcuno che in questo anno se n'è andato e che ha lasciato il ricordo di sé, del suo amore, della sua vita. Anche a chi ci ha lasciato, che sentiamo presente qui, possiamo dire il nostro "Grazie!".
E possiamo dire il nostro grazie anche per il nostro esserci trovati qui, domenica dopo domenica, a pregare insieme, per aver cercato insieme Gesù e la Sua luce! Possiamo dire "Grazie!" ai nostri catechisti - giovani, meno giovani - che cercano di essere testimoni di Gesù, di annunziare il Vangelo ai ragazzi, ai bambini, ai loro genitori, con tanta passione! Forse voi non ve ne accorgete, ma c'è tanta gente che fa questo. Ci sono tante persone - giovani, adulti - che fanno gesti concreti di servizio verso i più poveri, verso i ragazzi che cercano di aiutare a studiare, verso le persone in difficoltà, verso gli anziani. Di tutto questo dobbiamo dire grazie.
"Grazie" anche per le cose più semplici: per le persone che ogni domenica vi fanno trovare pulita e in ordine la chiesa; se volete, "Grazie!" anche per i soldi, che mettete ogni volta nel cestino; e come vedete dai numeri - scritti su due fogli affissi alla porta della chiesa - non manca non solo il necessario, ma anche "il di più", per fare anche un po' di carità, in giro per il mondo!
Il sor Francesco ha chiuso i conti a Natale, proprio per farvi trovare il bilancio sulla porta della chiesa.
Tanti motivi, dunque, per dire grazie al Signore: ne abbiamo bisogno, per non sentirci in credito nei confronti della vita. Tutti noi abbiamo ricevuto tanto; siamo in debito nei confronti del mondo!
Chi sa se nell'anno che viene sapremo rendere un po' per tutto quello che abbiamo ricevuto e per cui, stasera e domani, siamo qui a dire, insieme, "Grazie!" al Signore della vita!
Ti benedica il Signore e ti protegga Maria Ss. Madre di Dio - 1° gennaio 1996
I pastori se ne tornarono, glorificando Dio
In questi giorni ci siamo ritrovati più volte in chiesa; quindi rischiate di fare indigestione di prediche e di parole: indigestione sempre pericolosa... E poi, siccome bisogna cominciare bene l'anno nuovo, mi permetterete di non fare una predica, ma solo di farvi gli auguri per quest'anno che comincia. Auguri a tutti di vero cuore; penso di interpretare le intenzioni di tutti, nel fare auguri scambievoli.
Auguri, prima di tutto, di vita, di salute: che i giorni passino per tutti nel benessere, nella salute fisica. Che tutti possiate avere, in quest'anno, il necessario per vivere ed anche un po' di superfluo, per rallegrare la vita. Che tutti possiate trovare soddisfazione nello studio, nel lavoro, nella vita di casa...
Che nelle famiglie regni un clima di serenità, di comprensione, di attenzione dell'uno verso l'altro. Soprattutto che nel profondo del cuore ci sia la serenità, la pace, che ci accompagni in tutti i giorni di quest'anno che ci sta davanti.
Avete sentito il Vangelo: i pastori vanno a vedere il presepio, incontrano Maria, Giuseppe e Gesù e se ne tornano "lodando Dio": conservando nel cuore il ricordo della luce di Betlemme, la certezza dell'amore di Dio, che cammina con noi!
Ecco: l'augurio che vi faccio, che faccio a tutti di vero cuore, è che ogni credente, come Maria, porti dentro di sé il ricordo di Gesù, la presenza della Sua luce, la certezza dell'amore di Dio! L'apostolo Paolo ce lo ricordava: ci è donato lo Spirito, che ci fa sentire figli, che ci fa rivolgere a Dio chiamandolo "Papà!".
E allora, che nessuno, anche chi ha i capelli bianchi e magari non ha più intorno affetti, che nessuno si senta solo! Che tutti sentiamo Dio che cammina con noi! Che ci sentiamo sostenuti dalle Sue mani, animati dal Suo Spirito! Che la luce del Signore illumini i nostri passi e conservi nel nostro cuore desideri di pace, di bontà.
Che il Signore conceda a tutti voi giorni lunghi e sereni, ricchi di pace, di gratuità, di serenità, di amicizia e di amore! Che il Signore accompagni, con la Sua luce e la Sua benedizione, tutti i nostri passi, in quest'anno che ci sta davanti!
"Alzati, rivestiti di luce, perché la 6 gennaio 1996
gloria del Signore brilla sopra di te."
"Al vedere la stella, i Magi provarono una grandissima gioia."
Domenica scorsa, dopo la Messa, c'era una signora che diceva: "Come mai nel Vangelo abbiamo letto che Gesù è andato, con Giuseppe e Maria, in Egitto e ancora non sono venuti i Magi?" Oppure, una di queste sere, una signora davanti al presepe diceva brontolando: "Se io fossi Gesù, non sarei certo nato lì, in mezzo a tutte quelle robe vecchie!". Si fa torto agli Evangelisti - forse alcuni di voi non se ne accorgono - se si legge quello che loro hanno scritto come un fatterello accaduto tanto tempo fà. Si fa torto agli Evangelisti se si confina il racconto della nascita di Gesù nel folclore di tempi passati, se il presepe è sempre lo stesso presepe, con i soliti pastori, le solite pecorelle, magari il fiumicello che scorre.
Vedete, chi ha scritto queste pagine voleva che Gesù fosse vivo e presente nel concreto della vita di ogni giorno. Ogni Evangelista scrive dei racconti simbolici, cercando di esprimere quello che, per lui e la sua comunità, è importante. Se volete verificare questo, provate a leggere, a casa, il racconto della nascita di Gesù nel Vangelo di Luca e poi nel Vangelo di Matteo (quello che abbiamo letto stasera): li troverete molto diversi. Ciascuno vuole esprimere, attraverso dei simboli, ciò che è essenziale per la propria vita, per la propria fede!
Qui, vedete, Matteo non parla di strani personaggi, venuti chissà da dove, magari vestiti da re, come siamo abituati a vederli nelle statuette dei nostri presepi. Matteo parla di sé, parla della sua comunità! E quindi parla anche di me, parla anche di voi, i Magi siamo noi! O meglio, i magi sono il simbolo di quello che dovrebbe essere la nostra fede, la nostra vita di credenti!
Chi sono i Magi? Persone che vanno cercando la luce, vanno cercando Gesù! Avete sentito: inseguono un vago segno del cielo, inseguono la luce, vanno dietro alla stella! A volte la perdono, e quando la rivedono, provano "una grandissima gioia"!
Nel loro cammino incontrano quello che incontriamo anche noi: la violenza dei potenti, i sotterfugi, le cose fatte in segreto, gli inganni di chi detiene il potere, le chiacchiere di chi sa tutto, la folla che si agita... Quello che, da lunedì prossimo, chi va al lavoro, chi torna a scuola, chi s'incontra con la gente, ritroverà intorno a sé!
Ma - avete notato? - i Magi non si fermano: continuano a cercare, continuano ad andare. Avrete notato anche un'altra cosa: loro vanno cercando la luce, vanno cercando il re... e che trovano? Un bambino! Ma non si scoraggiano: vedono in questo bambino un segno di Dio, una promessa di vita, una speranza per il futuro!
Allora, vedete, questo vuol dirci Matteo stasera: il credente è uno che insegue la luce! Che l'insegue ogni giorno! È uno che, se anche della luce ne scorge solo un barlume, non si ferma, non si scoraggia; è uno che, se incontra sulla sua strada l'indifferenza, l'agitarsi della folla, i sotterfugi dei potenti, l’arroganza di chi crede di sapere tutto, i problemi che sembrano non risolversi mai, continua a cercare!
Un programma, allora, per quest’anno che ci sta davanti: se vogliamo essere discepoli di Gesù, occorre che ogni giorno cerchiamo la luce! Dove? Non nelle cose astratte: nella gente concreta, in chi ci vive intorno. Avete mai provato a cercare in ogni persona che s'incontra - anche in quelli che ci sono un po' antipatici - la luce che ogni uomo si porta dentro? Avete provato a cercare la luce negli avvenimenti, nei fatti di ogni giorno? A cercare con passione le cause vere di ciò che accade? Avete provato a scovare gli aspetti positivi che ci sono in tante situazioni? A domandarvi: "Cosa si può fare?" Troppe chiacchiere astratte sentiamo (forse ne faccio anche io, quando parlo da qui); troppe chiacchiere facciamo tutti, troppi lamenti, troppi brontolii.
Dovremmo imparare tutti a ragionare con pacatezza, ad usare la ragione, a vedere gli aspetti positivi, dovremmo imparare a cercare soluzioni semplici e concrete. Gli anziani invece di brontolare e dire parole di scoraggiamento, dovrebbero esortare i più giovani a cercare, a studiare, a riflettere! Dovremmo imparare tutti a domandarci sempre: "Cosa posso fare, io?" Altrimenti ci lasciamo anche noi sconfiggere dal pessimismo, dalla tristezza, dalla voglia di non far niente. I Magi non sono fuggiti di fronte alle difficoltà, non sono tornati al loro paese: hanno continuato a cercare la luce! Hanno continuato a cercare Gesù! Hanno continuato a cercare quello che di positivo, di vero, di bello ci può essere nel mondo. Hanno continuato a fare strada.
È quello che cercheremo di fare anche noi, in questo anno: con fiducia, con pacatezza, con ragionevolezza; senza brontolare, senza dire che tutto va male; ma cercando di fare quello che possiamo di bene! Cercheremo ogni giorno la luce del bene e chiederemo a Gesù che ce ne faccia trovare almeno qualche barlume.
E se anche noi, come i Magi, troveremo soltanto un bambino, la promessa del futuro, un fiore che sta per sbocciare, "con grandissima gioia" lo accoglieremo e tenteremo, con tutta la passione del nostro cuore, di fare in modo che fiorisca, per noi, per la gente che ci cresce accanto!
Il Signore ci aiuti!
"Non griderà, non spezzerà una canna incrinata; 7 gennaio 1996
proclamerà il diritto con fermezza."
..."Tu vieni da me?". "Lascia fare per ora,
poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia".
Uno dei segni che si diventa vecchi è la tendenza a ripetere le stesse cose. Capita anche a me; quindi voi porterete pazienza, specialmente i più giovani, che forse meno si rendono conto di questa necessità di ripetersi e hanno meno pazienza con chi comincia ad invecchiare, come me.
Dipende, se ho capito qualcosa, dal fatto che ci sembra di aver scoperto qualche cosa di importante nella vita; e vorremmo comunicare questo, frutto un po' dell'esperienza che abbiamo fatto. Perché, vedete, gli anni che passano, insieme con qualche guaio, portano anche un po' di esperienza.
Una delle fortune che io ho avuto nella vita, è quella di avere imparato - non proprio quand'ero giovane, ma in tutti questi anni che ho vissuto - a leggere il Vangelo: pian piano il Vangelo è diventato la misura della mia fede. Ed è questo, che tento di comunicarvi.
Quando si parla di religione, in TV, sui giornali, tra la gente, spesso si parla di fatti straordinari, di prodigi, di miracoli, di apparizioni, di esorcismi, di diavoli cacciati... Oppure si mostrano della religione i fatti più esteriori: oceaniche riunioni di folle che applaudono, riti complessi, con vescovi, cardinali, papa, vestiti con paramenti sfarzosi, cerimonie che si ripetono sempre le stesse, cerimonie che sono ostentazione di potenza... Oppure, quando si parla di religione, spesso si sente qualcuno - e vescovi e cardinali e qualche volta il Papa - che fa la morale, per rimproverare, per condannare! Ci sono dei personaggi in Italia (ve ne sarete accorti), che quando c'è un problema morale vengono sempre interpellati. Qualche volta mi viene il sospetto ‑ ma poi mi dicono che sono maligno!- che i giornalisti lo facciano di proposito, per prenderli in giro... Perché hanno sempre parole di condanna, hanno sempre da alzare la voce, han sempre il dito da puntare contro qualcuno, han sempre da rimproverare!
Tutto questo, se ho capito qualcosa, con il Vangelo non c'entra niente! ma proprio niente! Avete sentito le letture di oggi? I discepoli riconoscono Gesù in colui che non cerca l'applauso delle folle, che non alza la voce sulle piazze, che non grida, che non rimprovera, che non spezza la canna incrinata, che non spegne il lucignolo fumigante! In chi cerca con passione la giustizia, in chi si fa compagno di strada della gente, lì i primi discepoli hanno riconosciuto Dio, che si faceva uno di noi! Il Vangelo, poi! Avete ascoltato attentamente? riconoscono Dio in uno che si mette in fila, con la gente che ha il cuore pesante e che va a ricevere un segno di pentimento. Tutta la meraviglia dei primi credenti è messa in bocca a Giovanni: "Ma come, vieni tu da me? Sono io, che dovrei venire da te a farmi battezzare!". E Gesù: "Lascia! Così si adempie la giustizia".
È un uomo qualunque; ha le mani callose. Perché ieri - ricordate? - Lo abbiamo lasciato bambino... ma son passati 30 anni. Trenta anni del lavoro di ogni giorno, della fatica di crescere, del fabbricare sedie e tavoli, del lavoro di falegname. In quell'uomo dalle mani callose, che viene da lontano, che si mette in fila senza dire una parola, condividendo la strada di chi ha il cuore pesante, di chi sente un peso sulla coscienza; in colui che si mette in fila senza parlare, e silenziosamente porta un seme di speranza, hanno riconosciuto Dio! Lì! non nelle cerimonie fastose del Tempio, non dove succedevano le cose straordinarie, non in chi gridava e rimproverava: ma in Gesù di Nazareth, silenzioso, che cammina accanto ai peccatori! accanto a noi, quindi!
Quando domani tornerete nei posti di lavoro, in ufficio o a scuola o sui banchi dell'università o nelle vostre case, Gesù sarà accanto a voi: silenziosamente, a cercare di metterci nel cuore - a tutti - passione per la giustizia, desideri di vita, semi di speranza! È questo l'unico Dio che conosciamo! Non ce n'è un altro!
Cerchiamo Dio nel silenzio, nella vita di ogni giorno, nei gesti di bontà, nel volto di chi ci cammina accanto! Per chi crede in Gesù di Nazareth, Questi è l'unico Dio che conosciamo! Avete sentito, nel Vangelo di oggi, la voce dall'alto: "Questi è il mio figlio prediletto! Ascoltatelo!"
Il Signore ci aiuti a riconoscerLo, ad accoglierLo nella nostra vita, a camminare con Lui! Questa è la nostra fede.
"Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo" 14 gennaio 1996
Uno dei problemi seri di chi, come noi, cerca di credere, e si ritrova ogni domenica intorno ad un libro scritto ormai quasi 2000 anni fa, è che nel corso degli anni le parole, le immagini, i concetti, sono cambiati. Il nostro modo di parlare, di pensare, di esprimerci non è più quello di 2000 anni fa: certe parole, che noi ripetiamo spesso, rischiano di non avere più senso e valore per noi.
Questo, forse, per più d'uno di voi non è di grande importanza, perché siamo abituati a ripetere parole - lo facciamo fin da bambini - senza troppo preoccuparci di quello che sta dietro queste parole: poi riempiamo le parole con i nostri sentimenti, con la nostra fede. Ma il problema è serio per chi si pone domande, per un giovane, per chi si avvicina alla fede, per chi cerca spiegazioni.
Un consiglio che ho dato spesso - anche a voi, tante volte anche ai miei amici preti: ma non molto spesso viene seguito, a dir la verità, da parecchi di voi e soprattutto dai miei amici - è domandarsi di fronte alle parole - alla romana, perché la domanda sia più incisiva -: "Ma che vor di'?".
È quello che tento di fare con voi stasera, proponendovi una riflessione su una parola che abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi: una parola che tutti noi conosciamo, perché ogni volta che veniamo in chiesa la sentiamo ripetere nella Messa: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo".
"Toglie il peccato del mondo"? Magari! Non l'ha tolto dentro di me e non l'ha tolto intorno a me! Siete convinti di questo, sì? credo che non ci voglia molto... Se facessi questa obiezione a qualche studioso di cose antiche, mi direbbe: "Ma Checco, tu hai studiato queste cose! Dovresti sapere che "toglie" è una parola latina tradotta forse un po' sommariamente: "tollit" (ricordate il latino? chi ha i capelli bianchi, sì: "Ecce agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi", vero?). "Tollit" non vuol dire "toglie", ma "prende su di sé"; e poi si parla dell'agnello: l'agnello innocente che si carica i peccati del mondo e offre se stesso come vittima a Dio. Non t'hanno insegnato questo, quando andavi a scuola? ". "Sì, me l'hanno insegnato. Ma che vor di'?"
Noi non parliamo più così: se voi dite queste cose ad un ragazzo di oggi, vi guarda con occhi esterrefatti e vi chiede: "Ma che stai dicendo? È possibile che Gesù sia come un agnello sacrificato, offerto a Dio che vuole il sangue del suo Figlio, per perdonare i peccati degli uomini?! Ma chi è Dio, per te? una specie di moloch, che vuole il sacrificio e il sangue del figlio?".
Questi concetti - familiari alla nostra infanzia, almeno alla mia, ma penso anche a quella di molti di voi - sono orribili per un giovane di oggi! E per fortuna! perché si vede che la sensibilità degli uomini è cresciuta. Ma allora, che significano queste parole?
Qualcuno potrebbe dire: "Ma Checco, ne hai fatto e ne fai tante volte esperienza, quando vai a confessarti: esponi i tuoi peccati, il sacerdote ti assolve, e Gesù "toglie" i tuoi peccati". Ma che vor di'? I peccati sono forse specie di macchie, che in maniera magica il Signore mi leva, quando vado a confessarmi? Quando eravamo ragazzi pensavamo così ed andavamo fiduciosi. Ma, vedete: le file ai confessionali sono finite... Per i nostri ragazzi la confessione è spesso una cosa formale e senza significato, che non aiuta seriamente a combattere il male.
Allora, che facciamo? Chiudiamo il Vangelo e lo buttiamo? Queste parole non hanno più alcun significato? Per te, Checco - e finiscila di criticare il passato e dicci qualche cosa di positivo - per te che vuol dire questa parola: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo"? In che senso Gesù "toglie" il peccato?
Se sapessi rispondere a questa domanda e a tante altre domande... sarei un pezzo avanti! Io posso dirvi soltanto la mia esperienza.
In che senso, nella mia esperienza di credente, Gesù "toglie" il peccato? Non in maniera magica. Il peccato resta: resta dentro di me, resta nel mondo che c'è intorno a me! Ma, vedete, ogni volta che io apro il Vangelo, sento che Gesù contesta, con la sua parola e la sua vita, ogni egoismo, ogni violenza, ogni discriminazione, ogni intolleranza, ogni mancanza di giustizia, ogni mancanza di libertà. È come se io esponessi alla luce del sole il vetro opaco della mia finestra, della finestra del mio mondo!
Qualche volta vivo tranquillo, tiro a campare, cerco di dimenticare tutto il male che c'è nel mondo. Ma quando ascolto Gesù ‑ quando mi parla della giustizia, della passione per la vita, della gratuità, quando mi parla di Dio - allora sento tutto il male, tutto il male che c'è dentro di me e intorno a me, tutto il bene che io non riesco a fare, che non si riesce a fare nel mondo! Ogni volta che incontro Gesù, sento un invito ad andare avanti, a contestare il male, l'ingiustizia, sento la voglia di camminare fino alla perfezione stessa di Dio: "Siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli".
Ma c'è un'altra cosa, che il Vangelo sottolinea tante volte: quando sento di avere sbagliato, quando sento un peso sul cuore e mi incontro con Gesù, non c'è una magica assoluzione che mi cancella il passato, ma la mano sulla spalla, che mi dice: "Coraggio, Checco, alzati e cammina di nuovo!". La parola rivolta alla donna, che gli uomini hanno trascinata sulla piazza - conoscete tutti l'episodio -: "Donna, nessuno ti ha condannata, nemmeno io. Alzati e va'. E non peccare più!". O alla Maddalena, che Gli bagna i piedi con le sue lacrime: "Alzati e va"'. Anche al paralitico, che gli portano sulla barella: "Alzati e va'!".
Incontrare Gesù è incontrare chi ti dà speranza, chi ti invita ad andare al di là del tuo peccato, chi ti vuole togliere i pesi dalla coscienza, chi vuole darti il coraggio di camminare ancora, la speranza di cercare ancora la giustizia e il bene!
Ecco, in questo senso - non nel senso dell'agnello sacrificale, che ha preso su di sé le mie colpe, non nel senso magico di chi mi cancella le macchie dell'anima - ma nel senso di chi mi aiuta a contestare ogni ingiustizia, dentro di me e fuori di me; di chi mi dà speranza di perdono e di vita e voglia di camminare ancora: Gesù è per me Colui che "toglie" il peccato dalla mia vita! Non in maniera magica, ma giorno dopo giorno, aiutandomi a camminare e a cercare la luce e il bene!
Il Signore lo faccia ancora, per me e per tutti voi!
Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli 21 gennaio 1996
che gettavano la rete in mare e disse loro: "Seguitemi,
vi farò pescatori di uomini". E subito lo seguirono.
Qualche giorno fa veniva nell'ufficio parrocchiale una ragazza, abbastanza giovane, con un bell'accento francese, che voleva vendere dei libri. L'ho ascoltata con attenzione, perché mi venivano in mente ricordi della mia gioventù: quando studiavo per diventare prete ho dovuto leggere più di un libro in francese, perché allora si vivevano nella chiesa tempi ancora più cupi e non si traducevano certi libri in italiano.
Ma i libri che mi offriva erano delle storie di santi: una serie di libri grandi, tutti illustrati, che dovevano essere piuttosto cari, ma non saprei dirvi quanto costavano perché le ho detto che non mi interessavano affatto. Anzi - se volete sorridere un po' - le ho detto: "Le insegno una frase che usiamo a Roma, qui dimo: "Nun ce ne po' frega' de meno!".
Potete immaginare gli occhi con cui mi guardava questa ragazza, interessata, fra l'altro, a vendere i suoi libri... Chiedeva: "Ma perché non Le interessano per niente queste storie dei santi?", "Ma - dico - vede, abbiamo i nostri santi, ne abbiamo tanti, e ci bastano e avanzano quelli che abbiamo". E lei "Ma quali sono questi santi?". "Guardi, non li può conoscere, perché è gente di tutti i giorni: sono la nostra gente, in mezzo a noi ci sono tante persone sante!". E continuo: "Vede, i personaggi della storia, i santi che stanno sul calendario, spesso sono persone strane, che hanno fatto cose lontane dalla vita di tutti i giorni. Alcuni di quelli erano anche persone poco per bene: intolleranti, violenti, desiderosi di dominare la coscienza del prossimo. A noi interessa più la nostra gente: la gente buona di tutti i giorni, che conosciamo". Lei mi guarda e prima di salutarmi mi fa: "Sa che forse Lei ha ragione?".
Io penso di aver ragione. Perché, vedete, tra i guai capitati nella lunga storia del Cristianesimo, c’è il fatto che spesso i modelli della vita cristiana sono stati i santi: cioè personaggi che hanno fatto cose straordinarie, cose spesso lontane dalla vita della gente. Oppure i modelli della vita cristiana sono stati i monaci: gente che non si sposava, che lasciava il mondo, che diceva di rinunziare ai soldi e al possesso delle cose - poi spesso non lo faceva - che si dedicava alla preghiera... Con il risultato che molti cristiani pensavano che la vocazione riguardasse soltanto qualcuno. Più volte mi è capitato (forse anche da qualcuno di voi) di sentir dire: "Ma allora io non sono cristiano: non sono in grado di seguire Gesù!".
Avete ascoltato il racconto di oggi: Gesù chiama dei pescatori, della gente semplice, di tutti i giorni; e li chiama - viene sottolineato per due volte - mentre stanno lavorando: "gettano le reti" oppure "rassettano le reti". E li troveremo ancora intenti a pescare, a rassettare le reti, ad offrire la loro barca a Gesù, quando ne ha bisogno per attraversare il lago. Devono lavorare: hanno moglie, hanno figli da mantenere, c'è bisogno del loro lavoro, un lavoro duro e faticoso, e i soldi non bastano mai....
E se leggeremo il Vangelo con un po' di attenzione, ci accorgeremo che non sono nemmeno persone esenti dalle debolezze della vita di ogni giorno! Ascolteremo le loro intolleranze, le loro incomprensioni, le loro incapacità. Ed è importante che teniamo tutto questo nel cuore! Perché, vedete, anche oggi, c’è chi pensa che per seguire Gesù occorre avere una certa cultura, aver fatto studi particolari, oppure seguire strane e complicate esperienze, lontane dalla vita di tutti i giorni; anche oggi vengono proposti come modelli di vita cristiana persone che fanno cose straordinarie, che costruiscono ospedali, o si dedicano ai drogati o partono per terre lontane...
Dovremmo sentire nel profondo che Gesù chiama tutti e ciascuno! Ciascuno di noi, chiunque che crede in Gesù, è invitato a seguirLo! E a seguirLo nel concreto della vita di tutti i giorni: bambini, giovani, anziani, padri e madri di famiglia, nelle venture delle proprie case; gente che va ogni mattina a lavorare, che si ritrova i problemi del lavoro, dei rapporti con gli altri, del far quadrare il bilancio!
In tutto questo noi siamo invitati a portare un po' della luce, della gratuità, dell'amore di Gesù! E non con gesti straordinari: non siamo chiamati a fondare ordini religiosi, a costruire ospedali! Siamo chiamati a vivere la vita di ogni giorno, a portare nella vita di ogni giorno semi di luce! E quando alla fine si faranno i conti, chi sa chi avrà di più contribuito a fare andare avanti il mondo: se gente come voi, gente di tutti i giorni: gente che si sveglia al mattino, che va a lavorare e cerca di farlo con onestà: che cerca di tirar su i figli, che cerca di portare un po' di speranza, un po' di serenità nel mondo; il cui nome non appare mai sui giornali! Gente che non fa storia!
Chi sa se non siate voi molto più importanti, per la storia del mondo, di tanti santi, i cui nomi sono scritti sul calendario, di tante persone che anche oggi sono spacciate per persone importanti! E badate: questi discorsi non valgono soltanto per la nostra storia religiosa, ma valgono anche per la nostra vita sociale, per la storia nostra politica. Di volta in volta, ascoltando la televisione, leggendo i giornali, sembra che la salvezza venga da personaggi mitici: il tessuto della vita di una nazione è fatto di gente di tutti i giorni: della fedeltà della gente di tutti i giorni, dell'onestà della gente di tutti i giorni! C’è bisogno da parte di tutti di attenzione ai problemi concreti, di studio, di ricerca, di passione, di impegno! Sarebbe importante che tutti noi riscoprissimo questa "chiamata" di Gesù, a vivere la nostra vita - giorno per giorno - con pienezza, generosità, coraggio!
Questa è la nostra "vocazione" di credenti, a questo ci chiama il Signore! Siamo noi, i chiamati alla santità, siamo noi i veri discepoli di Gesù!
Il Signore ci aiuti ad esserlo, sempre un po' di più!
"Beati i miti, i misericordiosi, beati quelli che hanno 28 gennaio 1996
fame e sete di giustizia, beati gli operatori di pace"
Ci è dato di vivere tempi in cui tutto è sotto il segno del movimento, della corsa, del cambiamento. Se ci guardiamo intorno tutto corre, tutto si muove a velocità vertiginosa, tutto cambia, tutto si consuma in fretta.
I treni, gli aerei, ci portano sempre più velocemente da un punto all'altro della terra. Si costruiscono auto sempre più veloci, che si consumano in fretta: ogni cinque, sei, sette anni bisogna cambiarle. Così succede anche per gli elettrodomestici che abbiamo in casa: rapidamente diventano vecchi, dopo un po' sono superati da una nuova tecnologia, sempre più perfezionata. E bisogna cambiarli e bisogna consumare in fretta.
Ma non corrono soltanto i mezzi di trasporto, non si consumano in fretta soltanto le cose che usiamo. Corrono anche le notizie velocemente: sappiamo in tempo reale quello che succede in Cina, o nel profondo dell’Africa o nel lontano sud dell’America: le notizie si susseguono freneticamente e si consumano in fretta: dopo un po' non ci pensiamo più. Sentiamo parlare di un bambino che muore: ci commuoviamo, ma dopo due giorni abbiamo già altre notizie, altri bambini, altra gente. Tutto corre!
E corrono anche le mode: i nostri ragazzi li abbiamo visti portare una volta un tipo di jeans o di scarpe, dei giubbotti di una certa foggia; una volta con i capelli lunghi, un’altra con i capelli cortissimi o rasati a mezza testa... Ed anche le nostre ragazze: a volte hanno come modello una donna magra e spigolosa, come un grissino, altre volte una più prosperosa e morbida. E si consumano in fretta anche i tipi di musica amati dai ragazzi: ora è di moda una musica, ora un'altra; un cantante che un tempo era un idolo per molti, dopo un po' viene dimenticato!
Ma non cambia soltanto il modo di vestire, di cantare, di portare i capelli: cambiano anche i modelli sociali, le professioni più apprezzate. Abbiamo visto come modelli per i giovani, il rivoluzionario, o l’ambientalista che sognava il ritorno alla campagna, o il manager aggressivo e rampante o più recentemente, il "menefreghista", tutto divertimento e disinteresse. A volte va di moda fare lo psicologo, a volte l’avvocato, perché c'è un giudice famoso; e i nostri ragazzi corrono a iscriversi una volta a Psicologia, una volta a Legge. E anche questo si consuma in fretta!
E si consumano anche le idee, il modo di concepire la vita sociale e politica, cambiano il modo di concepire il lavoro, gli strumenti tecnici e scientifici... Tutto cambia rapidamente ed esige grande flessibilità, capacità di adattamento: ce lo ripetono quasi ogni giorno alla TV! Bisogna che i nostri ragazzi abbiano la mente sveglia, che siano pronti a cambiare, a mutare, ad adeguarsi.
Ma chi ci aiuterà a conservare il senso delle cose essenziali della vita, ciò che veramente conta? Non è questo il compito della religione? Il credente non è uno che cerca la luce, i valori essenziali per cui val la pena di vivere? Non è questo il senso del nostro ritrovarci qui insieme? Non è qui l'importanza di leggere insieme il Vangelo? Io son convinto di sì!
Ma attenzione: a condizione che la nostra religione ci aiuti a cercare veramente le cose essenziali! Ed ho l'impressione che non ci aiutino tante discussioni religiose che si sentono alla radio, alla TV: noi sentiamo ancora parlare di metodi anticoncezionali, se i preti devono o no sposarsi, se le donne possono diventare preti! Sono problemi vecchi, che avrebbero dovuto essere risolti almeno da vent'anni: sarebbe bastato un po’ di buon senso e di saggezza! Non sono questi i problemi della vita! L'ultimo rimprovero che hanno fatto a voi Romani, è che fate pochi figli... Per fortuna, sono 2000 anni che i Romani non prendono troppo sul serio quello che dicono dall'alto!
Non sono questi i problemi reali che il mondo ha davanti! Se la religione continuerà ad occuparsi di queste cose - che si risolvono con la ragione, con il buon senso - perderà di significato e di valore... non è questa la strada per cercare le cose essenziali, quello che veramente è importante per essere uomini!
Lo stesso accade se la religione cade nel miracolismo, se si continua a parlare di madonne che appaiono, di diavoli che sono cacciati... se diventa soltanto un rito, se voi dite ai vostri ragazzi che "devono" venire in chiesa la domenica, che "devono" ritrovarsi qui, che "devono" pregare, e non riusciamo a far capir loro il perché... non li aiutiamo a cercare quello che veramente conta nella vita! L’unico senso della fede è cercare le cose essenziali della vita!
Allora, in un mondo che corre sempre più in fretta, che cambia rapidamente, dove le mode passano in fretta, è importante per tutti noi quello che abbiamo ascoltato stasera. Per che cosa vale un uomo? Per che cosa è importante un uomo? È importante solo se è giovane, se è bello, se sa tante cose, se ha un posto importante, se ha tanti soldi, se ha una bella macchina? O è importante perché si porta dentro "fame e sete di giustizia"? se è "mite", "misericordioso", se è un "operatore di pace"? Queste sono le cose essenziali della vita, allora noi possiamo ritrovarci qui ogni domenica e continuare a leggere queste parole, per conservare dentro di noi un tesoro di luce che guidi i nostri passi, che ci aiuti a capire, nei nostri giorni, che cosa è veramente importante! E quando ci sentiremo perseguitati per la giustizia - accade anche oggi - ci ritroveremo qui, per cercare ancora in Gesù, speranza e coraggio, forza per camminare ancora!
Per trovare le cose giuste giorno per giorno, occorre avere prima di tutto un tesoro nel cuore, occorre avere una luce dentro! E poi? E poi servirà ragionevolezza, buon senso ricerca, studio, impegno, passione di ogni giorno! Ma noi ci ritroviamo qui ogni domenica per essere, per noi, per i nostri ragazzi, testimoni che in Gesù troviamo veramente ciò che è essenziale, quello che veramente conta! E non ci sono ‑ se ho capito qualcosa ‑ nel Vangelo parole più straordinarie, più belle, di quelle che abbiamo ascoltato stasera! Che veramente toccano il cuore della vita: quello per cui vale la pena di vivere, di credere, di essere discepoli di Gesù, di essere uomini!
Il Signore le conservi nel nostro cuore perché portino frutti di vita!
"Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo." 4 febbraio 1996
Come forse non vi è difficile immaginare, le parole che abbiamo ascoltato stasera - "Voi siete il sale... Voi siete la luce...non si mette la lucerna sotto il moggio, ma sopra il candelabro" - hanno avuto grande peso e larghissimo spazio nella mia formazione al sacerdozio. Per sette anni ho dovuto camminare, prima di diventare prete; e spesso abbiamo sentito ripetere queste parole. Ci veniva inculcato che noi eravamo la luce, messi come sopra un candelabro; e che il nostro dovere era quello di illuminare le persone che avremmo incontrato. Ci si voleva inculcare, forse, il senso del dovere, la responsabilità di essere "luce" per la gente.
Sono passati più di 40 anni e ancora mi domando se tutto questo fosse giusto o no. Non rimpiango niente del mio passato, ma mi domando se fosse giusto insistere così sull'essere "luce", sull'essere "sale"! Perché, vedete, andando avanti nella vita, questo discorso mi è pesato.
Mi è pesato, perché non hanno detto solo a me che il prete è come una luce posta sul candelabro, ma anche a molta gente. E molti mi dicevano: "Se tu sei prete; non puoi fare così". Quasi che il prete sia uno che non sbaglia mai, che non ha mai momenti di impazienza, di irritazione! Dovrebbe essere quasi una persona perfetta. E non è così! Siamo povera gente, come tutti.
Ma il rischio era molto più grosso: se prendevo troppo sul serio l'idea di essere luce, di essere illuminato dallo Spirito Santo, rischiavo di non cercare più, di non leggere e studiare più, di non accorgermi che intorno a me c'era altra gente che portava la luce; e forse se ne portava più di quanta ne avessi io! E vedete: questo è un rischio che nella Chiesa si corre in maniera molto profonda: troppe volte le autorità della Chiesa - preti, vescovi, papi, parroci - pensano di avere la luce, che smettono di cercare, di guardarsi intorno, di ascoltare la gente!
Se volete sorridere un po', ecco un episodio che, quando ero giovane prete, mi ha aiutato a capire queste cose. Ero nella Parrocchia di S. Luca, al quartiere Prenestino, una sera nel nostro gruppo di universitari: un gruppo piuttosto numeroso e vivace, è venuto il vescovo (adesso è in pensione, da tempo): veniva a fare la visita pastorale e doveva parlare a questo gruppo di ragazzi universitari. E parlò per mezz'ora, dicendo che lui era "il pastore", era "il padre", era "la guida" di questi giovani, lui era mandato dal Signore a portare la luce! Ha parlato per mezz'ora; alla fine un ragazzo - lo ricordo ancora bene, si chiamava Leo - ha alzato la mano: "Eccellenza! (così ci si rivolge ai Vescovi, forse qualcuno di voi non lo sa) Eccellenza! Io è la prima volta che la vedo: come può dire di essere per me padre, pastore e luce?! Io ho altri padri nella fede, altri pastori, altra gente che mi ha dato luce". E s'è rimesso a sedere. Come potete immaginare, l'unica conseguenza è stata che il Vescovo ha parlato per un'altra mezz'ora, dicendo che lui era la luce, il faro, mandato ad illuminare le menti un po’ dure di gente come Leo!
E vedete, purtroppo questo sentirsi luce, questo pensare di aver sempre ragione, questa incapacità di ascoltare gli altri, non capita solo ai vescovi o ai preti, a volte succede anche ai genitori o agli insegnanti, per non parlare di molti uomini politici... A volte capita di incontrare persone molto impegnate che pensano di essere sempre nel giusto e giudicano e condannano gli altri.
Vedete, nella mia vita - per fortuna! - ho incontrato tanta gente come Leo. Se posso dirvi qualche cosa che a voi appare sensato - non dimenticatelo mai! - lo dovete a tanta gente che ho incontrato nella mia vita e che per me è stata luce.
Consegnavo, qualche giorno fa, dei fogli in cui sono scritte alcune prediche, ad una signora della nostra parrocchia; e le dicevo: "Queste, quando sarà il momento, le lasci in eredità a sua figlia e le dica che le cose più importanti che sono scritte qui le devo a lei!". Ed è vero! Devo a questa ragazza molte delle cose che posso dirvi da qui.
Perché, vedete, in ogni uomo c'è la luce, in ogni uomo c'è un riflesso di Dio! E il compito di tutti è quello di cercare questa luce, di riconoscerla con stupore, di accoglierla con gioia!
Sono convinto che nel mondo di oggi c'è un grande bisogno di cercare i valori essenziali, per capire cos'è la vita, per renderla sempre più ricca e giusta. E se partissimo proprio da qui? Dalla convinzione profonda che in ogni uomo c'è un riflesso di Dio? E non soltanto nel singolo uomo, ma anche in ogni gruppo di uomini, in ogni nazione, in ogni cultura c'è della luce, c'è qualche cosa che dà senso e sapore alla vita! Se la cercassimo tutti insieme, appassionatamente! Se gli uomini fossero capaci di mettere in comune tutte le ricchezze di luce che ci sono in ogni parte del mondo, che non fanno rumore, di cui purtroppo non si sente quasi mai parlare in TV! Se tutti gli uomini sapessero mettere in comune i valori! Se tutti noi vivessimo il rispetto, la ricerca di questi valori! Se cominciassimo noi, all'interno della Chiesa... come sarebbe migliore la vita!
Chi sa che non sia meglio educare i nostri ragazzi - prima che al senso del dovere, che pure è importante - al senso dello stupore, della meraviglia, a riconoscere, in chi ci sta accanto, la luce, il sale che dà sapore alla vita! Pensateci un po'.
Se ci educassimo allo stupore, se sentissimo la ricchezza che abbiamo intorno, se la cercassimo insieme, forse saremmo capaci - tutti - di essere più luminosi!
Il Signore ci aiuti!
"Non sono venuto per abolire la legge, ma per dare 11 febbraio 1996
compimento. Avete inteso che fu detto... ma io vi dico."
Quella che avete ascoltata non è certo una pagina di Vangelo adatta per un tempo di carnevale! Forse proprio perché siamo in tempo di carnevale, a me, che ho letto questa pagina di Vangelo centinaia di volte, insieme alla gente - sono ormai 40 anni che leggo il Vangelo, più volte l'anno, insieme a gruppi di persone di varia età - sono venute in mente, tutte le barzellette, le battute che ho ascoltato su questa pagina del Vangelo.
Ne conoscerete anche voi, molte: le battute sulla gente "arrostita" nel fuoco della Gehenna solo per aver detto "Pazzo!" a qualcuno, o per aver guardato con desiderio una bella donna; o le storie di Origene, che invece di tagliarsi la mano si era tagliato gli attributi maschili, per non commettere peccati; o le storie sui tanti giuramenti che bisogna fare nella vita. Tante battute, tante barzellette.
Ma la gente ha raccontato anche, in questi lunghi anni, le sofferenze che a qualcuno hanno causato queste parole del Vangelo: chi si sentiva escluso dalla Eucaristia perché era divorziato e non poteva risposarsi con la persona con cui aveva di nuovo formato una famiglia; chi si portava un peso sul cuore perché aveva detto qualche parolaccia; o chi vedeva Dio come un giudice severo e terribilmente esigente! Chi sentiva la vita cristiana come un peso, come qualche cosa di inarrivabile!
L’ironia di tante battute, la sofferenza di molte persone e soprattutto, in questi lunghi anni, la passione e la buona volontà di tanta gente che ho incontrato, mi ha fatto capire quanto c'era di vita dietro queste parole. Pian piano ho potuto scoprire come dietro queste parole, che a noi sembrano così assurde e paradossali, ci sono i valori più grandi che Gesù è venuto a portare nella vita di tutti noi.
L'ultima cosa che si può fare è prendere queste parole come una regoletta - credo che ne siate tutti convinti -; l'ultima cosa che si può fare è usare queste parole per mettere un peso sulla coscienza del prossimo, per giudicare qualcuno!
Queste parole vogliono far crescere dentro di noi i valori essenziali della vita: la gratuità, la tenerezza, la generosità, l’onestà, il perdono, la limpidezza della vita, la trasparenza, la sincerità! Questi grandi valori Gesù vuole conservare nel nostro cuore! E poi? E poi c'è la vita: e poi ci sono gli avvenimenti, le circostanze e le persone, che ci aiutano a capire che cosa significano, nella vita concreta di ogni giorno, queste parole!
Posso darvi un consiglio? Non lo faccio quasi mai... Continuate a raccontare barzellette su queste parole; continuate a dire battute: aiutano a capire molto di più di tanti discorsi altisonanti. Ma poi chiedete, con tutta la passione del vostro cuore, a Gesù che vi conservi nel cuore i grandi valori: la limpidezza, la trasparenza, l'onestà, la sincerità! E poi? E poi cercate persone intorno a voi, che vi aiutino a capire come questi valori si fanno concreti nella vita di ogni giorno. Soltanto così possiamo capire che cosa è giusto, che cosa è sbagliato. Non servono grandi parole, non servono rimproveri, non servono minacce! Occorre avere dei valori grandi, dentro, e intorno della gente che ti aiuta a capire! Io ne ho incontrata tanta, nella mia vita.
Auguro a tutti voi di incontrarne: gente di tutti i giorni, gente semplice! Non servono quelli che dicono grandi parole. Gente che vi aiuta a capire che cosa è giusto; gente che vi aiuta a conservare nel cuore i valori di Gesù!
Lo faccia Lui per tutti noi!
"Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" 18 febbraio 1996
La sensazione di sentirsi piccoli, inadeguati, per noi uomini è spesso accompagnata da amarezza, fin da quando, bambini, i più grandicelli ci escludevano da qualche gioco perché eravamo troppo piccoli, o gli adulti non ci lasciavano. E questa sensazione di essere piccoli, inadeguati, si è ripetuta spesso nella nostra vita.
Ma se la vostra esperienza è almeno in parte simile alla mia, converrete con me che alcune delle sensazioni più belle, più forti sono state accompagnate dalla sensazione di sentirsi piccoli, proprio piccoli! Vi è capitato mai di arrivare in cima ad una montagna e di vedere davanti a voi - come su qualche vetta delle Dolomiti - una serie sconfinata di montagne, una più bella dell'altra, qualche cosa di straordinario, che si stendeva a perdita d'occhio; o siete mai stai su qualche picco delle alpi, circondati da immensi e splendidi ghiacciai; o sulla riva del mare quando il lontano orizzonte, al tramonto, si tinge di mille colori?! E ti senti piccolo piccolo, ma preso da tutto questo splendore! e vorresti far parte della bellezza della natura, della bellezza delle montagne!...
O vi è mai capitato - in montagna, perché qui, sulla riva del mare, è difficile vedere certi spettacoli - sedere di notte su una panchina a guardare il cielo stellato, quando si riempie tutto di stelle e sentire l'infinita grandezza dell'universo, sentire che anche la nostra terra è soltanto un piccolissimo granello nell'immensità dello spazio?! E guardare tutti questi mondi e immaginare che forse anche altri uomini popolino l'immensità dell'universo! E vi sentite piccoli piccoli, più piccoli di un granello di sabbia, ma perduti nello splendore e nell'immensità dell'universo!... Ecco, vedete, l'esperienza di sentirsi piccoli a volte si accompagna con l'esperienza della bellezza, dello splendore!
Oppure è capitato anche a voi, come a me, di andare a scuola e tribolare perché dovevate confrontarvi con il compagno più bravo, quello che prendeva sempre "nove" e voi facevate (ma forse voi siete più bravi di me) grande fatica a strappare il "sei" - e spesso a me capitava di non riuscirci. O vi è successo di sentirvi sempre inadeguati di fronte all'esame che si doveva superare; e bisognava studiare e studiare, con il rischio di non farcela... E vi è capitato, poi, di scoprire che era bello studiare, scoprire qualcosa di nuovo, non perché bisognava prendere un bel voto o sostenere un esame. Io mi sono, ad un certo punto della mia vita, innamorato della filosofia, innamorato del pensiero: ho provato l’ebbrezza delle grandi parole che cercano di cogliere il fondo dell’esistenza! E non mi importava più degli esami...sì, bisognava farli, era anche bello prendere un bel voto; ma non era quello che contava. Contava scoprire una cosa nuova, sentirsi partecipe delle grandi cose che avevano scritto i grandi spiriti dell’umanità. E ti sentivi sempre più piccolo di fronte all’immensità del sapere, ma ogni nuova scoperta ti arricchiva, ti dava piacere ed entusiasmo, allora era bello studiare!
O, se volete, un altro esempio: vi è capitato, quando eravate ragazzi, di essere paragonati con la sorella più brava, ordinata, che metteva tutto a posto e voi dovevate sentire i continui rimproveri della mamma, perché eravate sciatti, perché lasciavate tutto in disordine. O - quelli che hanno qualche capello bianco, come me - ricordate quando ci proponevano sempre l'esempio dei santi, di quelli che non sbagliavano mai; e noi ci trovavamo con tanti difetti... Vi ricordate quando ci ponevano davanti soprattutto la legge, il comandamento e il castigo e la paura dell'inferno e la ricerca del premio!...
E poi... e poi avete avuto la fortuna di scoprire il Vangelo, la libertà: "Siate perfetti...": com'è perfetto Dio! Non la sorella, non il santo: ma Dio, i Suoi valori, l’infinita bellezza che si riflette nel cielo stellato, nella bellezza della natura. Dio! la pienezza della vita, i valori! Allora non conta essere più bravo dell'altro, non importa più arrivare primo: importa ritrovarsi un po' della Sua luce, dentro, prendere parte alla vita di Dio, portarsi nel cuore un po’ della sua infinita bellezza: perfetti come Dio, che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti!
È la gratuità, è la luce di Dio, che attraversa la tua vita. E ti senti piccolo, inadeguato, ma libero! Libero dalla paura del castigo, libero dal cercare il premio, libero dal dovere di sostenere esami, libero dal confronto con gli altri, libero dalla paura di non farcela. Libero di cercare quello che è bello, quello che è giusto. Libero di portarti nel cuore un pizzico della luce e dell'amore di Dio!
È questo - se ho capito qualcosa - il senso del Vangelo che abbiamo letto stasera. Il Signore ci aiuti a capirlo sempre di più!
Allora Gesù fu condotto dallo Spirito 25 febbraio 1996
nel deserto per essere tentato dal diavolo.
Una delle trappole dell'esperienza religiosa - e non succede soltanto nella nostra religione, ma un po' in tutte le religioni del mondo - è che le esperienze più forti, le intuizioni più profonde della fede, con gli anni diventano dei riti e poi delle tradizioni; e si rischia di farne quasi delle "cose" indispensabili, che, quasi magicamente, comunicano i doni di Dio.
Vedete, quando io ero ragazzo mi dicevano che il Battesimo era necessario per la salvezza: chi non era battezzato rischiava di andare all’inferno, se era un bambino, andava al limbo, escluso per sempre dall’amore di Dio! E molta gente era preoccupata di battezzare più bambini possibile. Mi raccontavano che si arrivava a battezzare persino qualcuno ancora nell’utero della mamma, per paura che potesse morire prima di nascere, senza essere battezzato!
Ed anche oggi ci sono dei genitori che portano i bambini a battezzare e non sanno perché... così si è sempre fatto. C’è chi pensa che altrimenti al figlio manchi "qualcosa", o che non sia uguale agli altri, qualcuno addirittura che possa capitargli un guaio: si deve dare il Battesimo, come gli si deve mettere al collo una catenina... perché così dice la tradizione!
Ora, riflettete un momento: nel mondo ci sono circa cinque miliardi di persone (forse ormai siamo diventati un po' di più): di questi cinque miliardi, quasi quattro non sono battezzati. Volete che Dio non voglia bene anche a loro? Volete che siano diversi da noi? Tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio: il battesimo non può essere "una cosa" che rende diversi, più graditi a Dio: è un simbolo della nostra vita, un segno che esprime le più profonde esperienze del nostro essere credenti.
È la nostra fede, il senso profondo della nostra vita, che vorremmo ripensare in questa quaresima, ripercorrendo l’antico cammino di preparazione al Battesimo, rivivendo i simboli che esprimono le scelte, a cui ci chiama Gesù; il senso più profondo della nostra vocazione cristiana.
E il primo simbolo, su cui vorrei richiamare la vostra attenzione, è "la rinuncia al male": lo faremo fra poco, lo ripeteremo nella notte di Pasqua. Esprime l’impegno forse più universale a cui un uomo - su tutta la faccia della terra - è chiamato: combattere contro il male. Vedete, quando io ero bambino (ma questo forse è successo anche per molti di voi, che hanno i capelli bianchi) immaginavo (...me lo dicevano!) che il bambino nasce con una specie di veste, rovinata da una grande macchia: la macchia del peccato originale; e il battesimo lava questa macchia, la toglie per sempre... tutto questo rischia, specialmente per gli uomini di oggi, di rimanere confinato del mondo delle favole. Non si tratta di una strana macchia causata dal peccato di Adamo, ma della nostra vita di ogni giorno, della dura realtà del male che troviamo intorno a noi e dentro di noi!
Avete ascoltato le immagini del Vangelo: Gesù è condotto dallo Spirito Santo a combattere il male! A leggere il Vangelo di Marco sembra che lo Spirito spinga Gesù, lo butti fuori per affrontare il male. I Vangeli di Matteo (quello di stasera) e di Luca si preoccupano di esprimere attraverso dei simboli le tentazioni dell'uomo. Non mi dilungo, stasera: ve lo rileggete a casa.
Vorrei soltanto ricordare a me stesso e a voi che ogni uomo che vive sulla terra, nel momento in cui comincia a credere in qualche cosa, sa che deve combattere il male; sa che lo trova dentro di sé e intorno a sé. Non mi domandate come si fa, non mi domandate nemmeno qual è il male: ciascuno di noi se lo chieda in questa Quaresima, per riprendere il coraggio, per trovare almeno un po' la forza di combattere i propri difetti, ed anche il male che vede intorno a sé.
Senza brontolare, senza alzare la voce - lo sapete, non serve - tenteremo di togliere qualche cosa del male che c’è dentro di noi e intorno a noi. È il nostro compito di credenti: lo ha fatto Gesù; cerca di farlo ogni cristiano; cerca di farlo ogni uomo di buona volontà!
Allora dopo un attimo di silenzio, vi inviterò ad alzarvi e a rinnovare l'impegno del nostro Battesimo: quello di dire "NO" al male, quello di rinunciare, con semplicità, ma anche con coraggio a tutto ciò che sciupa e rovina la vita. Non è cosa che si fa in un attimo, cancellando con un po' di acqua, una macchia una volta per tutte: è l'impegno di ogni giorno, finché camminiamo su questa terra, ce ne sarà sempre bisogno! Il Signore ci aiuti!
E fu trasfigurato: il suo volto brillò come il sole 3 marzo 1996
e le sue vesti divennero candide come la luce...
Uno dei momenti forti nella celebrazione del Battesimo per gli antichi, che lo ricevevano da adulti, era la professione di fede: proclamavano davanti alla comunità riunita la loro scelta di seguire Gesù, di credere in Lui. Nel cammino di preparazione al battesimo dell'incontro con Gesù. È bello vedere come nel Nuovo Testamento ci sia una straordinaria varietà veniva consegnata loro una "professione di fede": delle parole che tentavano di esprimere l'esperienza e ricchezza di parole, di immagini, di espressioni, che tentano di dire, di comunicare la meravigliosa esperienza dell’incontro con Gesù: la luce, la liberazione, la salvezza che Lui mette nella vita di chi crede! Avete ascoltato proprio nel Vangelo di oggi una di queste immagini: Gesù che si trasfigura, il suo volto brilla come il sole, si sente la voce dall'alto che Lo proclama "Figlio". È uno dei tanti modi di esprimere la fede in Gesù.
Poi, sapete, nel corso degli anni e dei secoli, la tradizione religiosa tende a cristallizzare ogni cosa: tutto diventa una formula fissa, intoccabile. Di più, questa formula diventa un simbolo - la parola greca "symbolon" - che è una specie di carta d'identità, una specie di parola d'ordine, con cui si viene riconosciuti e con cui si riconosce chi non è come noi, l'eretico (sapete? a volte per delle parole i Cristiani si sono divisi, non si riconoscevano più, perché non pronunciavano più le stesse parole!).
Perché, vedete, nell'uomo c'è sempre la tentazione di identificarsi per contrasto dagli altri, di riconoscersi nella diversità da qualcun altro: ci vuole sempre un eretico, che ci faccia sentire nel giusto! E c'è sempre nella storia religiosa il tentativo di trovare parole che esprimano pienamente l’esperienza di Dio, formule che riescano ad esprimere totalmente il Suo mistero: restano sempre povere parole umane, incapaci di esprimere la pienezza della vita di Dio! E nel corso degli anni queste formule perdono di valore, le parole si sciupano...
Qualcuno di voi, che ha qualche anno di più, ricorderà che quando, da piccini, andavamo al catechismo, imparavamo a memoria delle formulette: "Chi è Dio?" "Dio è l'Essere perfettissimo, creatore e signore del cielo e della terra", ci affrettavamo a rispondere. Non capivamo bene che cosa dicevamo... E poi, pian piano, queste parole ci sono morte in bocca: non hanno più la capacità di esprimere la nostra fede. E se io dovessi fare stasera per voi una "consegna del simbolo", non saprei più cosa consegnarvi!
Sarebbe bello - chi sa se un giorno potremo farlo? - raccogliere tutte le formule scritte dai nostri bambini che si preparano per la prima Comunione o dai nostri ragazzi che si preparano per la Cresima, tutte le formule di professione di fede che hanno composto in questi lunghi anni. Trovereste lì parole molto semplici e ingenue, scritte dai nostri bimbi, che tentano di esprimere il loro incontro con Gesù; o le parole più pensose, più serie, più impegnate, che hanno scritto i nostri giovani. E se poteste leggere dietro quelle parole! C'è, tutto lo sforzo dei nostri catechisti, dei genitori, di comunicare ai ragazzi l'esperienza di Gesù: esperienza di gratuità, di amore, di liberazione, esperienza dei Suoi valori! È l'esperienza della loro vita, del loro incontro con Gesù: esperienza quasi indicibile, intraducibile in parole! E se poi le parole son povere, non è questo che conta: è l'esperienza dell'incontro con Gesù che cerchiamo di trasmettere ai ragazzi che ci crescono intorno.
Allora non potendovi stasera consegnare delle parole, una formula che esprime la fede, vi lascerei una domanda: "Chi è Gesù per me?". Domandatevelo, prima di Pasqua: se ciascuno di voi dovesse parlare ad un bambino, ad un giovane, se ciascuno di voi dovesse spiegare ad un nipote, ad un figlio: "Chi è Gesù per me?" Qual è stato il mio incontro con Lui? Che cosa Gesù ha portato nella mia esistenza, di vita, di luce, di valori, di liberazione, di gioia, di pienezza?", che cosa direste? Ciascuno farebbe con le sue parole - povere, inadeguate quanto volete - la propria professione di fede!
Quando ci ritroveremo nella notte di Pasqua, diremo parole generiche. Sarebbe bello, però, se ciascuno di voi in questa Quaresima preparasse le sue parole, il proprio modo di dire la fede! Parole frutto della propria esperienza: un'esperienza - lo sapete - a volte luminosa e gioiosa come il grido di Pietro che vuole fare tre tende e fermarsi sul monte; a volte dubbiosa e sconsolata come quella dei discepoli, che dovendo scendere dal monte, non vedono più nessuno, c’era "solo Gesù": a volte Gesù sembra "nessuno"! Quando siamo qui in Chiesa, nei momenti più belli della nostra esperienza religiosa, tutto sembra luminoso e sicuro, poi quando i problemi si fanno grossi, nella vita di ogni giorno, quando incontriamo la disonestà, la violenza, la falsità, allora Gesù rischia di diventare "nessuno" allora avremo bisogno di tutto il coraggio della nostra fede e della nostra speranza!
Ecco, questa fede vi esorterei a ripensare in questa Quaresima. In fondo il Battesimo è scegliere di seguire Gesù, è scegliere di camminare con Lui, è scegliere di credere in Lui e nelle cose in cui Gesù ha creduto.
Il Signore ci aiuti a farlo!
"Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: 10 marzo 1996
“Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto
ed egli ti avrebbe dato acqua viva"
Oggi cominciamo a leggere i grandi racconti battesimali del Vangelo di Giovanni che aiutavano i primi cristiani a riflettere sui grandi simboli del rito del Battesimo. Oggi, il primo: l'acqua.
Mentre preparavo qualcosa da dirvi, mi venivano in mente le parole di una catechista, impegnata a preparare con i propri bambini qualche riflessione per questa Domenica. Diceva: "Vedi, Checco, per i nostri bambini l'acqua non è più un segno, non dice più niente: loro aprono il rubinetto e hanno acqua in abbondanza; e specialmente qui a Roma non si rendono nemmeno conto che qualche volta ne sprecano troppa. Non hanno il senso della sete, dell'importanza dell'acqua nella vita dell'uomo. L'acqua è forse la cosa più banale che i nostri ragazzi hanno a disposizione". Una osservazione acuta!
E mi veniva in mente, insieme, un discorso che facevamo qualche sera fa, commentando gli Atti degli apostoli: notavamo che i primi discepoli di Gesù non conoscevano il Battesimo con l'acqua. Sembra che Gesù abbia detto: "Basta, l'acqua! La usava Giovanni per il suo rito. Voi sarete battezzati nello Spirito Santo".
Poi, vedete, gli uomini - e quindi anche i primi Cristiani - hanno sempre bisogno di simboli, di segni, di qualche cosa da toccare. E allora ben presto si è ripresa l'acqua: un simbolo comune a quasi tutte le religioni del mondo. Un segno di vita, un segno di rinnovamento, di rinascita, un segno che per i primi Cristiani era importante. Ma poi, sapete, pian piano, nel corso della storia questi simboli perdono di valore e l'acqua è diventata una cosa quasi magica.
Forse qualcuno di voi ha visitato qualche antica basilica, di quelle costruite prima del 1000: davanti alla porta c'era una grande vasca, la vasca del Battesimo: molti adulti erano entrati in quell’acqua, per lasciarsi alle spalle ogni negatività e nascere di nuovo, alla vita di Gesù e del Suo Spirito. Poi, a poco a poco, quando non si battezzavano più gli adulti, ma i bambini appena nati, quella grande vasca non serviva più. E pian piano è diventata... sapete che cosa? la vaschetta che trovate ancora in molte chiese: quando si entra si prende l'acqua e ci si segna.
Potete immaginare quanta gente, in questi 20 anni, da quando ormai c'è questa nostra chiesa, mi hanno domandato: "Perché non c'è da noi la vaschetta? Perché quando si entra non ci si può segnare con l'acqua benedetta?". E sapete quante volte io ho domandato (adesso non più: mi sono stancato): "Ma che cos'era quella vaschetta?". In tanti anni che sono prete, nessuno mi ha saputo rispondere: "Quella era l'acqua del battesimo, l'acqua della grande vasca in cui i nostri padri ricevevano il Battesimo".
E se domandavo: "Che cos'era quell'acqua?" - "L'acqua per la benedizione, l'acqua per segnarsi". "E perché ci si segna?" - "Per avere la benedizione di Dio!". E se domandate a qualche genitore: "Perché usiamo l'acqua nel battesimo?", vi rispondono: "Per purificare, per togliere la macchia del peccato originale". Vedete: l'acqua non è più un segno: è diventata qualcosa di magico! È diventata qualcosa che serve per avere una protezione, per avere una benedizione, per scacciare i guai: non è più il segno della vita, non è più il segno di Gesù!
Avete ascoltato con attenzione il Vangelo di oggi? Il cuore del Vangelo non è l'acqua: è Gesù! È Lui, la Sua vita, i Suoi valori, che saziano la sete dell'uomo: la sete di autenticità, la sete di vita!
E il racconto della Samaritana pone l'accento su due aspetti: il primo la sete di valori essenziali nella vita dell'uomo. Questa donna ha avuto cinque mariti e adesso ha un altro uomo, che non è suo marito. Forse ha corso tutta la vita, cercando qualcosa, rincorrendo emozioni e novità, senza riuscire a trovare l'essenziale dell'amore! Forse ha inseguito qualche sogno, senza riuscire a trovare quello che veramente conta, senza riuscire a vivere nel profondo la capacità di amare! E anche lei è ancora legata alle divisioni tra giudei e samaritani, ci sono amici e nemici. Così come i discepoli sono legati alla discriminazione tra uomo e donna. Gesù vuole offrirle l'essenziale, i valori profondi della Sua vita, l'acqua che sazia la sete!!
E c'è un secondo aspetto: l'aspetto religioso, l'aspetto del culto. La donna chiede: "Dove bisogna onorare Dio? Voi dite a Gerusalemme, noi diciamo sul monte di Samaria". "Ascoltami, donna: viene il tempo in cui né su quel monte né su questo monte. Ma chiunque cerchi Dio, Lo cerca in spirito e verità!". Ecco ancora l'essenziale: ancora al di là dei riti, dei segni, delle preghiere, delle benedizioni; al di là delle divisioni, degli integralismi, delle intolleranze religiose! Gesù ci invita a cercare lo Spirito, a cercare l'essenziale dei valori di Dio!
Anche noi, fratelli, la notte di Pasqua prenderemo l'acqua dal nostro fonte, anche noi ci segneremo con l'acqua benedetta. Ma prepariamola un po'! È soltanto un segno: il segno di Gesù, un segno della Sua vita, un segno dell’essenziale che tutti noi dobbiamo riscoprire. Rivivere il nostro Battesimo è cercare l'essenziale della nostra vita di ogni giorno: l'essenziale della giustizia, della verità, della tenerezza, dell'amore! È riscoprire l'essenziale della nostra preghiera, al di là dei riti, dei simboli, delle formule, delle benedizioni. Riscoprire l’essenziale dell’incontro con Dio, desiderare il Suo Spirito!
Questo è vivere il Battesimo. Il Signore ci aiuti a farlo un po', anche noi!
Se un tempo eravate tenebra, IV Domenica di Quaresima - 17 marzo 1996
ora siete luce nel Signore. Efesini 5, 8-14 - Giovanni 9, 1-41
"Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo".
Qualcuno, un po' di tempo fà - non ricordo più chi - mi diceva che noi cristiani siamo attrezzati per i fatti straordinari molto più che per la vita quotidiana. Mi veniva in mente questa frase - che ritengo giusta, perché molti simboli, molte delle immagini, molti dei modi di parlare che noi usiamo, riguardano appunto eventi eccezionali, qualche cosa di straordinario nella vita di una persona - quando cercavo di trovare qualche parola da dirvi stasera, a commento del Vangelo.
Vedete, io non posso raccontarvi un'esperienza di conversione totale, come quella che è suggerita oggi sia dal Vangelo sia dalla lettera di Paolo: un tempo tenebra e poi rischiarato dalla luce di Gesù; un tempo non conoscere Gesù e poi ad un certo punto scoprire Lui come luce straordinaria!
Io non ho fatto quest'esperienza; non potrei raccontarvi la mia conversione, come Paolo, con le suggestive immagini che si ripetono cinque volte nel Nuovo Testamento, di un cammino a cavallo verso Damasco, in cui ha visto all'improvviso una luce sfolgorante. È certo un simbolo, ma un simbolo della vita di un uomo che era vissuto nella violenza, che era stato un persecutore, che era vissuto sotto la schiavitù della legge e che finalmente aveva scoperto e incontrato Gesù: e Lo aveva sentito come luce straordinaria, come liberazione, come vita! Io questa esperienza non ve la posso raccontare, perché non l'ho fatta: la mia vita è stata molto più normale.
Poi ho pensato che, se mi fermavo qui, facevo due torti: uno a mio papà e a mia mamma, che mi hanno comunicato i valori fin da quando ero piccino; e non hanno mai permesso che io vivessi totalmente nelle tenebre. E, dopo di loro, alla tanta gente che mi ha aiutato a vivere nella luce. E un torto anche a voi, che probabilmente avete fatto la stessa mia esperienza. Nessuno di noi - o almeno quasi nessuno - ha fatto l'esperienza di essere vissuto nelle tenebre, nella violenza, nell'ingiustizia, lontano dal conoscere Gesù... e poi, all'improvviso, ha fatto esperienza di Lui!
Allora, che significa per noi il Vangelo di oggi? Come possiamo riconoscerci in questo cieco? Vedete, se io dovessi raccontarvi la mia esperienza, potrei dirvi soltanto che la ormai lunga conoscenza che io ho avuto di Gesù - che è cresciuta con me, che si è nutrita dell'ascolto del Vangelo, dell'Eucaristia e del contatto di tanta gente come voi - mi ha arricchito, mi ha illuminato, ha conservato nel mio cuore i valori essenziali della vita.
Mi ha impedito, prima di tutto, di cedere alle tentazioni, sempre in agguato, della "tenebra", che è violenza, ingiustizia, menzogna, che è intolleranza, ruffianeria. Nell'incontro con Gesù ho conservato nel cuore la Sua luce, il desiderio dell'onestà, della verità; la voglia di cercare sempre di più la luce, dentro di me e intorno a me! L'incontro con Gesù mi ha fatto capace - e di questo devo ringraziare lo Spirito di Dio e il Vangelo e tanta gente che ho incontrato - mi ha fatto capace di trovare un po' della luce di Gesù quasi in ogni persona che ho incontrato sulla mia strada: nei bambini, nei giovani, negli adulti. Molti portavano dentro di sé dei valori, che arricchivano la mia luce.
Io non so quanta luce riesco a comunicarvi con le mie parole. Ma se, come qualcuno mi ha detto, qualche parola vi colpisce, qualche parola la sentite rispondente a quello che avete dentro, alla vostra vita di ogni giorno, questo è dovuto all'incontro che io ho avuto quasi ogni giorno con il Vangelo, con la parola di Gesù. La ricerca di Lui mi ha fatto abbandonare linguaggi che non dicevano più niente, simboli che appartenevano al passato, tradizioni che perdevano significato, per andare alla ricerca di quello che è essenziale, di quello che illumina la vita e il cammino dell'uomo!
Se mi guardo indietro, io non posso raccontarvi che un tempo ero tenebra e ora sono diventato luce. Ma posso raccontarvi che la luce è cresciuta con me giorno per giorno; che l'ho sentita dentro di me; che l’ho incontrata nelle persone che hanno attraversato la mia vita e mi dava voglia di cercare ancora, speranza del futuro, desiderio di onestà e di pace, di tenerezza e di vita! Io spero che sia così anche per tutti voi!
E allora, non rammarichiamoci se la maggior parte di noi non ha fatto l'esperienza di Paolo; non rammarichiamoci se non ci siamo mai sentiti ciechi del tutto, se la luce di Gesù ha accompagnato i nostri passi! Ringraziamone il Signore e teniamo ancora stretta, nelle nostre mani e nel nostro cuore, la Sua luce! E camminiamo ancora, cercando questa luce, cercando i valori di Gesù: la Sua pace, la Sua giustizia, la Sua vita!
Lui ci aiuti a farlo!
Dice il Signore Dio: "Ecco, io apro V Domenica di Quaresima - 24 marzo 1996
i vostri sepolcri, vi risuscito dalle Ezechiele 37, 12-14 Giovanni 11, 1-45
vostre tombe, o popolo mio"
...gridò a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori!...
Scioglietelo e lasciatelo andare".
Se volete, chiudete un momento gli occhi e provate ad immaginare una grande vasca piena di acqua e della gente in cammino. Prima di entrare nella vasca, si tolgono i vecchi abiti, poi attraversano l'acqua, immergendosi completamente, escono dall'altra parte, si rivestono di una veste candida; viene posta nelle loro mani una candela accesa. Così tutti i primi cristiani hanno ricevuto il Battesimo.
Alcuni di questi segni li abbiamo già visti: li abbiamo preparati nelle domeniche precedenti, leggendo i grandi racconti battesimali del Vangelo di Giovanni. Prima - lo ricordate? - il segno dell'acqua, con il racconto della donna di Samaria e poi il segno della luce, con la storia del cieco dalla nascita. Oggi ci rimane il segno più importante, il segno caratteristico della nostra fede; perché, vedete, l'acqua, la luce, sono segni universali, appartenenti a tutte le religioni del mondo. Ma c'è un segno che è il "nostro" segno.
Per capire, occorre andare lontano: risalire alla profonda intuizione del popolo di Israele, che ha messo nel cuore della propria fede l'incontro con Dio in un cammino di liberazione, in un "passaggio" attraverso il mare. L'Egitto è la terra della schiavitù, è la terra dell'ingiustizia, è la terra della mancanza della libertà; e Dio chiama il suo popolo a passare attraverso il mare, per andare verso una terra nuova: la terra "dove scorre il latte e il miele", la terra della libertà, la terra del futuro, la terra del benessere!
Dio lo si incontra non in cima alla montagna, lontano dalla vita, o quando si ha bisogno, quando si sperimenta il limite della condizione umana; ma lo si incontra in un cammino di liberazione: chiamati fuori da ogni schiavitù, attraverso l'acqua per andare verso la libertà! Questo simbolo, questo cuore della propria fede, Israele lo approfondisce sempre di più e lo arricchisce di parole che cercano di spiegare, sempre più a fondo, chi è Dio per noi.
E la parola più forte, che l'uomo ha a disposizione, è il contrasto tra la morte e la vita. Ne avete sentito l'eco nelle parole di Ezechiele: "Uscite dai sepolcri! Fuori dalle tombe! Tornate alla vostra terra!": ancora il popolo vive un momento di schiavitù, ancora è schiavo in esilio, deportato a Babilonia, ancora il grido di Dio: "Fuori!". Un cammino di liberazione, un cammino di vita.
Capite, allora, perché i primi cristiani preparavano il Battesimo ripetendo il lungo racconto di Lazzaro: anche là una storia di morte. E avete sentito quanto si insiste sul peso di questa morte: Lazzaro è già morto da quattro giorni, "puzza", è tutto avvolto nelle bende, che gli coprono gli occhi, ha le mani e i piedi legati. Incatenato! E il Signore lo scioglie: "Lasciatelo andare!". Ancora una volta il cammino verso la libertà.
I primi cristiani non hanno più una terra da conquistare, si sentono cittadini di una terra che non ha più confini, ma sentono con forza, che hanno un "Regno" da costruire, un futuro verso cui camminare. Loro appartenevano ad un mondo in cui - non dimenticatelo - i 2/3 degli uomini erano schiavi, in cui non c'era rispetto per la vita dell'uomo, in cui si andava allo stadio non per vedere una partita di pallone, ma per assistere a scontri fra gente che si uccideva. E gli spettatori mettevano il pollice giù: finché non vedevano il sangue, non erano contenti... In un mondo in cui le donne non contavano niente, in cui molto sembrava contare soltanto il denaro e il potere, in cui c'era la sopraffazione dell'uomo sull'uomo, la guerra per conquistare popoli e terre. In cui, come dice Paolo, anche la religione era carica di violenza: sacrifici, leggi, tradizioni, pensate alla legge del sabato!
Da tutto questo i primi cristiani, nell'incontro con Gesù, si sentivano liberati: via, da tutto questo! Dietro le spalle, tutto quello che sa di morte! Allora capite com'era forte per loro quello spogliarsi prima di entrare nell'acqua; e poi il rivestirsi di una veste nuova: e il grido di Paolo: "Vi siete rivestiti di Cristo!". Il contrasto drammatico tra la morte e la vita: tra tutto quello che sciupa la vita dell'uomo, tra tutto quello che è mancanza di libertà, tra tutto quello che è violenza, ingiustizia, menzogna... e i valori di Gesù!
"Che senso ha, mi domandava proprio ieri sera un ragazzo, tutto questo nella vita di oggi?". Ha ancora senso, fratelli. La fede ancora oggi è questo: è cammino di liberazione, è desiderio di vita, è passione per tutto quello che è bello e luminoso! Anche oggi nel mondo ci sono tante schiavitù, tante cose che sciupano la vita: pensate alla fame, alla violenza, alla guerra, all'ignoranza! Pensate, anche, a tutti i mali del cuore, a tutti i problemi psicologici, che ci sono nel mondo d'oggi. Pensate anche oggi, nella vita della Chiesa, a tutte le durezze, a tutte le intolleranze, a tutte le ruffianerie e le ingiustizie!
E poi pensate alla vostra vita di ogni giorno: pensate ai giovani che ci crescono accanto! Abbiamo tutti bisogno di capire che rivivere il battesimo è sentirsi chiamati da Dio alla liberazione, alla vita, al futuro, alla speranza; alla costruzione di un mondo in cui veramente "scorra il latte e il miele", in cui ci sia giustizia, in cui ci sia rispetto dell’uomo, in cui ci sia passione per la verità, in cui ci sia "fame e sete di giustizia"!
A questo siamo chiamati; è questo che tentiamo di rivivere la notte di Pasqua. E poi ci accorgeremo di non farcela! Ma terremo la nostra speranza: aggrappati, con tutta la forza del nostro cuore, alla speranza che Gesù è venuto a metterci dentro, al futuro che andiamo cercando con tutta la nostra passione!
Perché, questo significa essere credenti: non moltiplicare le preghiere i riti, i digiuni, le proibizioni, i divieti e i sensi di colpa. Essere credenti significa lasciarsi dietro le spalle tutto quello che sciupa la vita, tutto quello che sa di morte, tutto quello che fa tribolare e soffrire l'uomo, per camminare senza scoraggiarsi, per camminare con fiducia, verso un futuro di liberazione e di vita!
Il Signore ci metta nel cuore questa speranza! Ci faccia capaci di testimoniarla, almeno un po', a chi vive con noi, ogni giorno!
... gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro, 31 marzo 1996
di olio profumato, molto prezioso, e glielo versò sul capo ...
Ed ecco il terzo momento della nostra riflessione di stasera: questa donna; è lei che nel Vangelo di Matteo ci prende per mano, per introdurci nel cuore del racconto degli ultimi momenti della vita di Gesù! E avete sentito con quali parole solenni Gesù parla di lei: "Vi assicuro che, dovunque si leggerà il Vangelo, ci si ricorderà di questa donna e di quello che ha fatto".
È importante, questa donna: il suo gesto sembra semplice, anzi suscita le critiche dei discepoli, uomini indaffarati, attenti al denaro - com'è giusto che sia -, uomini presi da tante cose, preoccupati, se volete anche dei poveri, ma incapaci di rendersi conto che in quel momento il più povero è proprio Lui... sta per affrontare la violenza e la morte, ha bisogno di una carezza, di un gesto di tenerezza e di attenzione. Questa donna è grande (e per questo occorre ricordarla ogni volta che si legge il Vangelo) perché ha la capacità di accorgersi di chi intorno a lei vive un momento di debolezza, di chi ha bisogno di una carezza, di un gesto di attenzione. E quando se ne accorge, non calcola più, non si domanda più quanto è prezioso il profumo che ha tra le mani: lo dà, senza calcolare!
Vedete, noi viviamo in un mondo in cui, sempre di più, corriamo, ci affanniamo... Quasi ogni settimana mi capita di parlare con qualche persona che si lamenta di non essere più capace di "accorgersi" dei figli, della moglie, degli amici! Succede anche ai giovani, presi dalla voglia di vivere, dalla fatica di crescere, di affermarsi... a volte non ci accorgiamo più degli altri, non sappiamo più guardarli negli occhi.
E anche noi siamo abituati - com'è giusto che sia - a far calcoli attenti, per arrivare alla fine del mese, per poter acquistare una casa o una macchina. Ma rischiamo di calcolare anche dal punto di vista degli affetti, anche dal punto di vista dell'amore, anche dal punto di vista dei valori!
E allora Gesù rischia di sfuggirci! Soltanto un cuore come quello di questa donna ci fa capaci di incontrare Gesù, che ci passa vicino! Oggi, domani. Non ci passa vicino soltanto qui in chiesa, in questa bella immagine del Crocifisso: ci passa accanto nel figlio, che ci cresce vicino e che magari è diverso da come ce lo aspettiamo; nell'amico, che un po’ scoccia sul posto di lavoro; nelle persone che incontriamo ogni giorno; nelle cose che ci succedono intorno e che richiedono, a volte, un notevole sforzo per poterle capire.
Ecco perché questa donna è importante: lei sa vedere, sa accorgersi, sa capire! e quando capisce, non calcola più. È questo il cuore con cui si può entrare in questa grande settimana, con cui si può arrivare alla notte di Pasqua!
Guardate! Gesù, che era Dio, si è fatto piccolo, inerme: ha condiviso la vita degli uomini, ha voluto camminare con noi, per prenderci per mano, per farci capaci di portare intorno a noi la pace, i valori autentici della Sua vita.
Vivere il Battesimo, questo significa: dire "Sì!" a Gesù, voler camminare con Lui! Ma bisogna avere, almeno un po', un cuore come quello di questa donna.
Chiediamolo al Signore, stasera! Chiediamolo, in questa settimana! Lasciamoci prendere per mano da lei! Chiediamo a Gesù un cuore che sappia guardare, che sappia sgranare gli occhi, un cuore vulnerabile da chi ci sta vicino. Chiediamogli - almeno nell'amore - di non calcolare!
Il Signore ci aiuti!
..."Fate questo in memoria di me". 4 aprile 1996
..."ho lavato i vostri piedi. Vi ho dato l'esempio,
perché come ho fatto io, facciate anche voi".
Noi uomini pensiamo di aver bisogno di un Dio onnipotente, che possa venire incontro ai nostri bisogni, di un Dio grande e potente, che metta ordine nel mondo, che faccia giustizia sulla nostra terra. Gli uomini, specialmente quelli fra noi che hanno il potere, sono spesso tentati di usare il nome di Dio per difendere il loro potere, per dominare sugli altri.
Il Dio che conosciamo, il Dio che si è manifestato in Gesù di Nazareth, ha attraversato in punta di piedi la nostra storia: si è fatto piccolo, ha scelto un angolo del nostro mondo, si è presentato a noi fragile bambino indifeso, che tende le mani! Per 30 anni ha lavorato in un'oscura bottega di falegname, in un piccolo sperduto paese di questo nostro grande mondo: è stato sempre lontano dai centri del potere, non ha avuto mai niente a che fare con quelli che vogliono dominare la terra o che tentano di controllare le coscienze del prossimo.
Per qualche tempo ha annunziato in mezzo a noi Dio, la sua presenza nella nostra storia. Ma quando per la prima volta si è scontrato seriamente contro la violenza di questo mondo, è finito su una croce. Ecco, il Dio che è venuto in mezzo a noi è piccolo, inerme, impotente!
E quando, prima di andarsene, ci ha voluto lasciare un segno, ha preso forse il più piccolo che poteva trovare sulla terra: un po' di pane, un po' di vino, un gruppo di amici intorno alla tavola. Ci ha lasciato così il segno della sua vita donata, il segno di un amore che sa andare fino in fondo! Di fronte alla violenza di Erode e di Pilato, di fronte al tradimento di Giuda, di fronte alla vigliaccheria di Pietro (che è anche la nostra vigliaccheria!), Lui ci ha lasciato un po' di pane spezzato, il chinarsi a lavare i piedi dei suoi amici!
Piccolo, inerme, indifeso, in punta di piedi: così Dio viene ad attraversare la nostra storia. Il segno che ci ha lasciato non è un segno di forza, di gloria, di potenza: è un segno di vita donata: il pane che si spezza, la vita che si condivide! Si condivide nel quotidiano, nella normalità di ogni giorno, nel cuore degli avvenimenti.
Noi uomini abbiamo bisogno di difenderci da Dio: nel corso della storia, questo gesto così piccolo di Gesù è stato ammantato, ricoperto, tenuto lontano dalla gente: una lingua che nessuno parlava più, riti complicati. Chi ha studiato il catechismo sa quali concetti astrusi hanno avvolto questo pane e questo vino!
I potenti di questo mondo - molti di voi ne hanno fatto esperienza - hanno escluso spesso la gente dall'Eucarestia, l'hanno tenuta lontano da questo dono, che Gesù voleva collocare nel cuore della nostra vita. Digiuni, esclusioni, peccati, confessioni... per tener lontana la gente dal segno di Gesù! Eppure, questo segno è stato più forte di tutto: in questi 2000 anni tanta gente ha preso fra le mani questo pane spezzato, si è nutrita di Gesù! Tanta gente, nella vita quotidiana, nel cuore di ogni giorno, ha sentito Dio accanto a sé, invitare al servizio, a "lavare i piedi", a condividere la vita; il servizio nel tessuto quotidiano della vita!
Perché, vedete, l'Eucarestia non è per eventi straordinari, per i momenti eccezionali della vita dell'uomo: il pane e il vino li troviamo sulla tavola di ogni giorno. Anche oggi ci sono gli "Erodi e i Pilati" in questo mondo, anche oggi la violenza di Giuda, anche oggi - anche nel nostro cuore - la vigliaccheria di Pietro. Nella nostra vita, nel cuore della nostra speranza, nel nostro cammino di uomini, Gesù ci lascia questo segno: la Sua vita donata, il suo chinarsi per lavare i piedi, il coraggio dell'amore, al di là di tutto! È quello che viviamo oggi, è quello che continueremo a vivere domani, è il grido che canteremo nella grande notte di Pasqua!
Un Dio piccolo, indifeso, inerme, non-potente. Ma il Dio dell'amore, della vita condivisa. Il Dio che ci cammina accanto ogni giorno. Il Dio che vuole mettere speranza e tenerezza e amore e passione per la vita nei nostri giorni, nelle nostre ore quotidiane; al di là di ogni vigliaccheria e di ogni paura!
Lo faccia anche per noi! Lasciamoci prendere per mano da Gesù: TUTTI condividiamo il pane! TUTTI tentiamo di portare il Suo amore nella nostra vita di ogni giorno!
Ci aiuti a farlo, Lui che per noi si è fatto pane!
L'angelo disse alle donne: "Non abbiate paura, voi. 7 aprile 1996
So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto!"
Un gruppo di gente con una candela in mano, che va dietro al grande Cero che rappresenta Gesù: gente che cerca la luce. Sì, perché noi siamo gente che ha scoperto in Gesù la luce, ha scoperto la vita, la tenerezza, l'amore, la liberazione. E seguiamo LUI cercando la luce!
È importante che conserviamo nel cuore, tutti, questa immagine; specialmente in un momento come quello che noi viviamo, in cui in tante parti la Chiesa sembra ripiegarsi su se stessa, in cui sembrano prevaler voci che parlano di precetti, di divieti, di obblighi, di sensi di colpa. In cui troppe voci di profeti sembrano essere tacitate. In cui sembra mancare il coraggio del futuro, la voglia di cercare ancora. In cui tutto sembra ridiventare rito, tradizione, cose ripetute.
È importante sapere, tutti, che in ogni angolo della terra c'è gente, come noi, che stasera ha una candela in mano e va dietro a Gesù!
Noi siamo gente che ha scoperto Dio in un cammino di liberazione, Dio che chiama l'uomo ad uscire da ogni "egitto", per andare verso il futuro. Noi abbiamo scoperto Dio in Gesù di Nazareth, venuto in mezzo a noi, testimone di tenerezza, di perdono, di passione per la vita, di verità e di giustizia. E non soltanto con le parole, ma anche con tutti i gesti che ha compiuto qui, in mezzo a noi: gesti piccoli, nascosti; ma gesti di vita donata, di vita condivisa; gesti di speranza e di luce!
Noi siamo insieme stanotte, per sentirci uniti ad una moltitudine di gente che non vuole rassegnarsi a nessun "egitto", che non vuole fermarsi di fronte a nessuna ingiustizia, che non vuole accettare il tornare indietro, il ripiegarsi su se stessi, il ridurre tutto a rito, a divieto, a proibizione! Gente che vuole portare nel mondo la speranza. Gente che vuole buttarsi dietro le spalle tutto quello che sciupa la vita, tutto quello che la rende brutta, tutto quello che ferma l'uomo, tutto quello che gli impedisce di capire, di amare, di sperare, di camminare!
Una luce stretta fra le mani, il coraggio della speranza, la voglia di guardare lontano: è questa, la Pasqua! È questo, rivivere il Battesimo! Essere cristiani non significa soltanto osservare dei riti, avere degli obblighi, delle proibizioni, dei divieti: essere cristiani significa essere uomini di speranza, uomini che cercano la luce, uomini che se la portano dentro, che la stringono forte. Uomini che guardano lontano, uomini che - come dice Paolo - sono morti a tutto quello che è male, a tutto quello che intristisce e umilia l'uomo! Uomini che si sono "rivestiti di Cristo" e camminano con Lui!
Coraggio, allora! Rinnoviamo le promesse del nostro Battesimo: diciamo "No!" a tutto quello che è male, diciamo ''Sì!" a Gesù! In Lui abbiamo visto la luce di Dio, la tenerezza di Dio, la passione di Dio per la nostra vita. In Gesù abbiamo visto l'amore, abbiamo visto la pace, la vita donata!
In tutto questo vogliamo credere, e con noi c'è tanta gente di tutti i giorni, tanta gente che non fa storia, che non riempie di sé le cronache dei giornali; tanta gente che si porta in mano una candela e che cammina cercando Gesù e la Sua luce! Di tutti questi ci sentiamo fratelli: è il popolo dei battezzati e insieme con loro "una moltitudine immensa di ogni razza, popolo e nazione". Tutti uomini di buona volontà! In nome di tutti loro diciamo "No!" a tutto quello che è male e "Sì!" a Dio: sì alla luce di Gesù, sì alla tenerezza e all'amore!
Coraggio, allora! Ci alziamo in piedi per rivivere il nostro Battesimo.
Erano assidui nell'ascoltare l’insegnamento 14 aprile 1996
degli apostoli e nell'unione fraterna...
Tommaso non era con loro quando venne Gesù.
E se avesse ragione Tommaso? Se la fede in Gesù fosse arrivata fino a noi per i tanti "Tommaso" che hanno attraversato la storia?
Vedete, a molti di voi, come a me, hanno insegnato, quando eravamo bambini, che per credere occorre non pensare: si deve credere senza fare domande, senza avere dubbi, senza cercare. E purtroppo non succedeva solo molto tempo fà, l'altro giorno qualcuno mi diceva di aver ascoltato alla radio qualche sconsiderato - forse un vescovo - dire: "O si crede a tutto o non si crede a niente".
Anche a molti di voi, come a me, hanno presentato il brano degli Atti degli apostoli, della prima lettura, come la realtà ideale della prima comunità, il modello cui ispirare la vita cristiana.
Io devo a tutti i "Tommaso" che ho incontrato nella mia vita - e sono stato fortunato per averne incontrato molti - grande riconoscenza, per avermi aiutato a cercare, a pormi domande, a tentare di calare nel concreto della mia esperienza la luce di Gesù. Debbo a loro se, a fatica, ho capito che spesso quelli che dicono che bisogna credere a tutto, senza pensare, vogliono soltanto dominare la coscienza del loro prossimo, arrivando - se lo considerano eretico - a bruciarlo sul rogo. Ho capito, a fatica, che l'astratto ideale della prima comunità era usato spesso per mettere un peso sul cuore della gente: il peso di non essere come i primi discepoli.
Proviamo a guardare con gli occhi di Tommaso la bella descrizione degli Atti degli apostoli. "Uniti, come fratelli, assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli": ma era proprio così? Gli occhi disincantati di Tommaso notano che c'è anche tra loro il problema del potere, che c'è chi cerca di imporsi come il vero rappresentante di Gesù, chi rivendica il diritto di comandare fra i primi discepoli. E c'è spesso intolleranza e voglia di scomunica. Non sarebbe stato meglio ascoltare Tommaso e le sue domande e i suoi dubbi e cercare insieme cosa veramente voleva dire Gesù?
Più avanti leggiamo che i primi cristiani "vendevano tutto e mettevano ogni cosa in comune"! Tommaso avrà chiesto: "Vendere tutto? E perché?" "Ma come perché, non sai che il mondo sta per finire?" "Il mondo sta per finire? - avrà replicato Tommaso - aspettiamo un momento, forse Gesù voleva dire un'altra cosa, forse c'è un altro modo di aiutarci, senza dover vendere tutto" Sapete come è andata a finire: il mondo non è affatto finito e quei poveri illusi son finiti in miseria e i "Tommaso" - che spesso hanno il cuore tenero - han dovuto mettere la mano alla borsa, per sovvenzionare quei pazzi che avevano venduto tutto!
E ascoltate ancora: "erano pieni di timore per i segni e i prodigi e andavano al tempio ogni giorno a pregare". Il tempio, i segni e i prodigi?! Ma Gesù non aveva detto che era ora di finirla con tutto questo? che bastava l'Eucarestia? Ma loro erano osservanti, rispettavano l'antica tradizione, vivevano la religione così come si era sempre fatto, loro non avevano dubbi! E Tommaso: "Ma chi sa, forse Gesù ha detto che ci conviene allontanarci pian piano dal tempio; che Dio lo troviamo nel profondo del cuore, senza bisogno di tante strutture esteriori!". Ancora Tommaso, le sue domande la sua ricerca, la sua voglia di vedere, il bisogno di toccare!
Tommaso, arriva in mezzo ai discepoli, gli dicono: "Abbiamo visto il Signore!". Ma le porte son chiuse, loro sono pieni di paura: e Tommaso ha bisogno di vedere, di toccare con mano, ha bisogno di rendere concreta, nella vita di ogni giorno, la fede in Gesù!
Ecco la grandezza di Tommaso: il porre domande, il cercare, il non contentarsi di parole grandi ed astratte, che poi non dicono niente nella vita di ogni giorno! Il bisogno di portare, nel quotidiano, i valori di Gesù! Perché ci sono stati tanti "Tommaso" nella storia, il Cristianesimo è arrivato fino a noi: gente che non si contentava di parole, ripetute spesso per mettere un peso sul cuore della gente... Quanta fatica hanno fatto i "Tommaso", per portare pian piano, nel concreto della vita di ogni giorno - non in grandi parole, che son facili a dire, ma in gesti concreti, in cose che si possono toccare con mano - il messaggio di Gesù fino a noi!
Ringraziate, con me, tutti i "Tommaso" della storia! Forse avevano molto più ragione loro, dei tanti intolleranti che hanno parlato in nome di Gesù!
...due di loro erano in cammino verso Emmaus... Quando 21 aprile 1996
fu a tavola con loro prese il pane, lo spezzò e lo diede loro.
Allora si aprirono loro gli occhi e Lo riconobbero!
Qualcuno di voi forse lo ricorderà: domenica scorsa iniziavo con una domanda: "E se avesse ragione Tommaso?". E poi vi invitavo a ringraziare tutti i "Tommaso" della storia. Sì, perché Tommaso è uno che cerca, che fa domande, che vuol vedere, che vuole toccare con mano, che vuole rendere concreta nella sua vita la parola di Gesù, l'incontro con Lui.
Tommaso ha probabilmente ragione. Ma non hanno certo ragione Cleopa e l'altro discepolo di cui non conosciamo il nome, dei quali parla il Vangelo di oggi. Non hanno ragione, perché loro se ne vanno, non cercano più, non fanno più domande. Non sono più nemmeno presi dalla curiosità: alcune donne hanno trovato il sepolcro vuoto, anche i discepoli sono andati a verificare... ma a loro non interessa più niente, lasciano tutto e tornano a casa.
È stata troppo dura e lacerante, la loro esperienza. Avevano seguito Gesù con entusiasmo, avevano accolto, con tutta la passione del loro cuore, le parole di Gesù, erano stati affascinati dai Suoi valori... Ma adesso tutto sembra un sogno: Lo hanno visto morire sulla croce! Hanno seguito un illuso e anche loro e i discepoli si sono illusi... Guardate: se ne vanno col capo chino, la bocca impastata di amarezza e delusione, il cuore pesante. È l'esperienza del fallimento più duro, lasciano tutto e se ne vanno...
Non hanno ragione, Cleopa e il suo amico di cui non conosciamo il nome; ma forse dobbiamo ringraziare anche loro. Perché, vedete, spesso l'esperienza del credente non è l'esperienza di Tommaso, che cerca, che vuole toccare, che vuol vedere, che vuol camminare, che vuole sapere. A chi di voi non è capitato, qualche volta, di fare l'esperienza della delusione, del fallimento?! Con i figli, con gli amici, nel posto del lavoro, con la gente che avevate attorno. A chi di voi non è capitato, almeno qualche volta nella vita, che i valori che vi erano sembrati veri, in cui avevate creduto con entusiasmo, in certi momenti vi sono apparsi come un sogno lontano?! Chi di voi non ha fatto, qualche volta nella vita, l'amara esperienza in cui anche Gesù sembra lontano, assente?! E il cielo sembra essersi chiuso, in un silenzio pesante?!
I discepoli di cui parla il Vangelo, lungo la strada non riescono a riconoscere Gesù! Finché alla sera, un momento di gratuità, di generosità... il sole già declina: "Fermati con noi, siediti un momento!". E lì, intorno alla tavola, nello spezzare il pane, Lo riconoscono! E riprendono fiducia e la voglia di camminare! E la voglia di tornare e di incontrare di nuovo gli altri, di riprendere la strada insieme!
Vedete, in questi ormai 35 anni da che son prete, m'è capitato a volte qualcuno che veniva a dirmi: "Don Checco, domenica scorsa son venuto in Chiesa col cuore pesante e le sue parole mi hanno ridato fiducia, mi hanno dato il coraggio di riprendere la strada. Mi hanno messo nel cuore un po' di serenità!". Sono state, forse, le parole più dolci che ho sentito...
Io spero, fratelli, che per tutti voi, il ritrovarvi qui, domenica dopo domenica, al di là di quello che io dico, sia veramente l'incontro con Gesù, con la sua parola: lo spezzare il pane, il sentirLo presente! Gesù che dà fiducia, che mette, a tutti, la speranza nel cuore, la voglia di cercare, di camminare ancora; il coraggio di andare al di là dei nostri fallimenti, delle nostre delusioni, per cercare ancora i valori che fanno bella la vita.
Perché, questa è l'Eucarestia! Non un rito, non un obbligo, non il sedersi qui per acquistare meriti davanti a Dio; ma il ritrovarci intorno alla tavola per spezzare insieme il pane, e riconoscere Gesù! Che ci metta un po' di calore nel cuore, ci dia fiducia e speranza di camminare ancora! di sperare ancora! di amare ancora!
Lo faccia per noi, tutte le volte che, qui, intorno a Lui, spezzeremo insieme il pane!
"Io sono la porta delle pecore. Tutti coloro 28 aprile 1996
che son venuti prima di me sono ladri e briganti".
Tutti voi avete certamente ascoltato tante prediche su Gesù "buon pastore". Mi permetterete di dire stasera qualche cosa di un po' diverso. Ormai da più di 25 anni predico in questa parrocchia ed ho sempre la preoccupazione di annoiarvi ripetendo le stesse cose.
Mi ha colpito, nella prima lettura che abbiamo ascoltato, quello che l'apostolo Pietro dice alla sua gente: "Salvatevi da questa generazione perversa". Nel Vangelo, poi, si ripete per due volte: "Chi non entra per la porta è un ladro e un brigante... Tutti coloro che son venuti prima di me, sono ladri e briganti".
In questi giorni mi capitava con un gruppo di persone, con cui stiamo finendo la lettura degli "Atti degli apostoli", di leggere il congedo di Paolo, alla comunità di Efeso; anche lì si parla di alcuni che verranno come lupi rapaci e diffonderanno dottrine perverse! È un male antico nella Chiesa - ma forse nel cuore dell'uomo - il bisogno di identificarsi per contrasto, di trovare il nemico, di additare chi sbaglia, di trovare "il ladro e il brigante".
Ma forse anche voi avrete sentito dentro di voi questa esigenza: di alzare la voce contro "i ladri e i briganti", contro i "lupi rapaci". Quando ero giovane ero un po' più intollerante (mi dicono che lo sono rimasto ancora adesso, ma quando ero più giovane, ero peggio!); e sentivo il desiderio - e qualche volta lo dicevo anche - che la Chiesa ritrovasse il coraggio di alzare la voce contro quelli che sbagliavano, contro "i ladri e i briganti". Io pensavo magari alla mafia, ai politici corrotti.
Una volta, mi ricordo (mi è rimasto impresso, anche se son passati più di 20 anni), parlavo con un sacerdote spagnolo che è stato qui: forse qualcuno di voi lo ricorderà, si chiamava Giuseppe Marquez; un brav'uomo, aveva studiato la storia a fondo... Gli dicevo: "Bisogna ritrovare nella Chiesa il coraggio di scomunicare, il coraggio di gridare contro coloro che sbagliano!", sapete che mi ha detto? "Checco, ricordati che hanno sempre scomunicato quelli sbagliati".
È proprio così: nel corso della storia, la scomunica ha spesso colpito chi aveva ragione, chi inventava strade nuove, chi cercava la via della verità e della giustizia! È facile scambiare la verità, la parola di Gesù con le proprie parole, è facile pensare che sbaglia chi non la pensa come me, chi non appartiene al mio gruppo o, peggio, chi sembra opporsi al mio potere.
Sottovoce ve lo dico: ma sapete che mi è successo, in questa settimana, che, forse, mi ha spinto a farvi questo discorso? Ho ascoltato alla radio una buona notizia! Sapete, alla radio spesso si sentono notizie cattive, ma ce n'era una buona (forse l'avete sentita anche voi): negli ultimi anni in Italia si è dimezzato il numero degli aborti! Cinque anni fà è stata varata la legge sull'aborto. Vi ricordate quanti, nella Chiesa e fuori, hanno gridato, quanti hanno alzato la voce: " Assassini! Ladri! Briganti!". Dopo 5 anni il numero degli aborti è dimezzato.
Non vale forse la pena di porci la domanda: chi ha combattuto veramente contro l'aborto? Coloro che hanno cercato di educare e di informare, i medici che han cercato di far conoscere i metodi anticoncezionali, di combattere l'aborto clandestino, di far venir tutto alla luce; o chi ha alzato la voce per accusare e scomunicare. Chi ha veramente combattuto per far diminuire gli aborti e chi - forse senza saperlo- ha lavorato perché ne rimanesse alto il numero? Non erano forse dalla parte dei "ladri e briganti" coloro che sembravano, con così grande passione, i difensori della vita?
È una domanda che vi consegno un po' sottovoce... ma su cui vale la pena di riflettere. Sono domande importanti, fratelli miei! Perché, quelli che usano parole forti, condannano e scomunicano, non fanno mai i conti, non cercano mai di verificare i risultati: a loro bastano le loro parole, la certezza di aver ragione. A volte chi parla in nome di Gesù, chi dice grandi parole, vuole difendere soltanto se stesso: magari la propria ideologia, magari le proprie parole, qualche volta addirittura il proprio potere!
Non è sempre facile capire chi sono "i ladri e i briganti"! Non è sempre facile capire dov'è la via del bene e della giustizia! Occorre cercarla con umiltà, con tutta la passione per il bene di cui siamo capaci, misurando - conti alla mano - quello che ci succede intorno; senza portarsi dentro il desiderio del grido, della scomunica, della condanna! Si finisce quasi sempre (ricordate, anche voi, quello che diceva il buon don Giuseppe) per condannare e scomunicare quelli sbagliati.
La via della vita è fatta di pazienza, di ricerca delle cose giuste; qualche volta anche di sbagli e della buona volontà di correggere gli sbagli. Ma per correggere gli sbagli, bisogna ragionare, bisogna guardarsi intorno: bisogna cercare di capire quello che giova alla vita e quello che, invece, alla vita è contrario!
"Io sono la via, la verità, la vita" 5 maggio 1996
Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me".
L'altro giorno, il 2 maggio, era la festa dell'apostolo Filippo, uno degli apostoli spesso trascurati, quasi nessuno si ricorda che tra gli apostoli c'è anche uno chiamato Filippo. Vogliamo rendergli omaggio stasera? Ricordare Filippo e con lui i tanti che, nel corso della storia, hanno saputo testimoniare Gesù? Io vi inviterei a fare un volo con la fantasia: ad andare in una delle prime comunità cristiane, quando il Vangelo ancora non era stato scritto, ma nasceva pian piano attraverso le parole degli apostoli, quando la Messa era una cosa molto più semplice e informale: un gruppo di persone, riunite attorno alla tavola, a cercare di parlare con Gesù.
E allora, se volete, venite con me: oggi andiamo in una piccola città dell'Asia minore, dove c'è un gruppo di cristiani, stasera in grande fermento perché arriva l'apostolo Filippo! È stato cacciato anche lui, come gli altri, dalla Palestina; ha dovuto girare un po' il mondo; e adesso è arrivato anche qui e stasera viene a celebrare l'Eucarestia, a "spezzare il pane", per fare memoria di Gesù! Quei cristiani non hanno mai incontrato qualcuno che ha veramente conosciuto Gesù. E allora hanno preparato tante domande da rivolgere all'apostolo. Ecco possiamo entrare anche noi; ci mettiamo in un angolino e cominciamo a guardare i cristiani lì riuniti: un gruppetto di persone, gente semplice, che hanno tante domande nel cuore.
Ed, appena si sono seduti, uno si rivolge a Filippo: "Vedi, ormai da qualche anno vengo qui, tutte le volte che ci ritroviamo il sabato sera e sento sempre parlare di Dio. Dio! Chi ne parla in un modo, chi in un altro; chi lo vede severo, come un giudice implacabile che condanna; c'è chi parla addirittura d'inferno! Chi lo vede buono come un Padre, un amico che ascolta sempre. Chi vede Dio come l'Assoluto, come la Luce... Insomma, mi sembra che Dio ognuno se lo fa un po' a modo suo: ognuno cerca di immaginarselo. Ma possiamo vederlo, Dio? possiamo conoscerlo, Dio?"
Filippo lo guarda un po' e poi gli dice: "Eh! tu hai messo il dito nella mia piaga. Sai che una volta io ho fatto una gran brutta figura?! Proprio con Gesù... qualcuno mi avrà preso per scemo... Perché, vedi, io sono stato uno dei primi ad aver conosciuto Gesù: un giorno l'ho incontrato e ho cominciato a seguirlo. Sono stato con lui per tanti mesi, ho conosciuto Gesù da vicino; ho ascoltato le sue parabole, ho visto i suoi gesti! Anch'io avevo il desiderio di conoscere Dio, di sapere CHI è veramente Dio! Al di là della parole che diciamo, al di là delle preghiere che facciamo, chi è Colui che ha creato il cielo e la terra?
E sai? proprio durante l'ultima cena, quando eravamo lì e Gesù ci parlava di Dio, del suo ritorno al Padre, mi è uscito come un grido dal cuore: "Gesù, mostraci Dio! e ci basta: sarà tutto per noi!". E Gesù mi ha guardato con uno sguardo pieno di tenerezza e mi ha detto: "Ma come, Filippo! Tanto tempo che sei con me... e ancora domandi come si fa a conoscere Dio! Chi conosce me, conosce Dio! È attraverso le mie parole, attraverso i miei gesti che puoi toccare con mano qualche cosa della Luce del Padre! E (continua Filippo) ci ho ripensato tante volte: quanto sono stato sciocco! Ciascuno di noi si fa un'immagine di Dio; anche io cercavo di immaginarmelo... E poi mi son reso conto che in Gesù di Nazareth io ho toccato con mano qualche cosa dell'amore di Dio; in lui ho fatto esperienza, almeno un po', di Dio! Vedi, tu mi domandi: Facci vedere Dio! Ma Dio è più grande di ogni nostra parola, più grande di tutto quello che pensiamo, di ogni immagine che ce ne facciamo! Dio è al di là di tutto, altrimenti non sarebbe Dio! Ma Gesù è venuto proprio per questo: perché in lui noi tocchiamo con mano qualche cosa della luce da cui tutti veniamo, qualche cosa dello splendore, della grandezza, dell'amore di Dio!".
Un altro cristiano, lì a fianco, interviene: "Ma io lo dico sempre a lui, che dice di voler vedere Dio: "Prega, raccomandati al Signore! Anzi, faresti bene, qualche volta, ad andartene nel deserto". Anzi io dico a questi fratelli (ma non mi vogliono sentire, perché questi hanno la testa dura!) che faremmo tutti bene a lasciare la città, a lasciare i nostri affari di ogni giorno e ritirarci ‑ come hanno fatto altri, come fanno certi monaci ‑ nel deserto e là dedicarci soltanto a cercare Dio! Perché è nella preghiera, che si incontra Dio, è lasciando tutto, è salendo sulla montagna, andando nel deserto, che si incontra Dio!".
E si accalora un po', questo cristiano. Filippo lo lascia parlare, poi gli dice: "Vedi, anch'io una volta pensavo come te. Ma, sai, Gesù ha vissuto per 30 anni a Nazareth ‑ non so se ve l'hanno raccontato ‑ e, sai, non stava nel deserto: stava in mezzo alla gente e faceva il falegname e lavorava, come tutti. Con Lui ho capito che Dio o Lo troviamo nella vita di ogni giorno, nella gente che ci sta accanto, nei fatti che ci accadono... o, se andiamo in cima alla montagna, rischiamo di incontrare solo i nostri fantasmi, solo le nostre fantasie e, qualche volta, le nostre intolleranze. Non lo dimenticare: il Dio che ho conosciuto io, è un Dio che aveva fatto per 30 anni il falegname; è un Dio che passava il tempo con la gente di strada, con i pescatori, con quelli che sbagliavano! Io non ho trovato Dio nel deserto (continua Filippo); anche se qualche volta sono andato a cercarlo là. Io l'ho trovato, quando non me lo aspettavo: mi è passato vicino, mentre ero al lavoro. Ed ho scoperto il Dio che mi camminava accanto, che veniva a condividere la mia vita, il mio affanno di ogni giorno!".
"Ecco ‑ interviene un altro cristiano - l'affanno di ogni giorno! Io, per mesi - ormai tutto è passato!‑ che mi son portato dentro il mio affanno; e l'ho portato qui in mezzo a questa gente: insieme abbiamo pregato... Ho chiesto a tutti di insistere presso Dio... mi avevano ripetuto tante volte: "Chiedete e troverete! Bussate e vi sarà aperto!". Il Dio di cui mi hanno parlato è uno che aiuta, quando ne abbiamo bisogno... Io avevo un figliolo ammalato e ho scongiurato tutti di unirsi alla mia preghiera. E abbiamo pregato tanto! Ma è morto!.. Dov'è Dio? Chi è Dio? È crudele, allora! Perché non si ricorda di noi? Perché non ci ascolta, quando lo preghiamo? Mica gli chiedevo niente di ingiusto... Gli chiedevo solo di far vivere mio figlio!".
Filippo lo guarda con aria molto perplessa, perché questa domanda gliel'hanno fatta tante volte (allora molti bimbi morivano): e il cuore si lacera a vedere un padre che piange la morte di un figlio! Poi mette una mano in tasca e tira fuori una piccola croce di legno, fatta con due rametti incrociati; e dice: "Vedi, io me la porto sempre dietro: perché alla tua domanda non so rispondere, ma il Dio che io ho conosciuto è morto su una croce! Sotto la croce - e c'ero anch'io là, - sentivo la gente che gridava: "Se sei il figlio di Dio, scendi e crederemo! Salva te stesso e anche gli altri!". E non è sceso! E io faccio fatica, sempre, a capire chi è questo Dio, che viene a morire con noi e quando preghiamo, a volte, non ci ascolta! Viene a condividere il nostro affanno, nei bassifondi della storia. Perché è così? Chi è Dio? Non me lo chiedere, perché non lo so! Ma vedi: questa piccola croce la porto sempre con me, perché l'unico Dio che io conosco, è un Dio inchiodato su una croce, Che cosa questo significhi, non lo so! Forse è diverso da come noi ce lo aspettiamo: noi ci aspettiamo un Dio potente, un Dio forte, un Dio che ci risolva i problemi. Il Dio che conosciamo, muore sulla croce!".
Continuano le domande, le obiezioni: il discorso prende un'altra piega, sui... difetti degli apostoli (anche oggi i rappresentanti di Gesù, i preti, qualche volta "rompono"...) Anche gli apostoli erano così: "Eh! la fanno lunga, quando predicano; e poi sono intolleranti; e poi qualche volta rispondono male, qualche volta cercano di essere più importanti degli altri! A volte è difficile credere, perché quelli che si dicono rappresentanti di Dio, a volte rappresentano soltanto se stessi, le loro intolleranze, le loro idee". E Filippo gli dice: " Sapessi quante volte, anch'io, ho sofferto per questo! Però, vedi, noi non crediamo negli uomini, se ti hanno raccontato che sono uomini speciali, e Pietro, e anche gli altri apostoli, ti hanno raccontato sciocchezze. Siamo tutti povera gente!
Noi crediamo in Gesù e in lui cerchiamo di incontrare Dio! Lui solo è buono! Una volta anche a Gesù hanno chiesto: "Maestro buono, dicci che dobbiamo fare", E lui sai che ha risposto? "Perché mi chiami "buono"? Solo Dio è buono!. Vedi, anche Gesù rifiutava l'appellativo di "buono", lasciandolo solo a Dio. Figurati se possiamo essere buoni, noi uomini! Tu non sei qui per credere negli uomini, ma per cercare, in Gesù, il volto di Dio!".
Ora stanno per spezzare il pane: ma c'è lì un cristiano che non si alza in piedi, che non fa la comunione. Filippo lo guarda e gli dice: "E perché tu, stasera, non vieni a spezzare il pane con noi!". E l'altro, con aria triste: "Vedi, mi sento sporco! Credo che Dio non possa perdonarmi: io l'ho fatta troppo grossa!". Filippo lo guarda un momento e gli dice: " Vedi? Gesù ha istituito questo segno proprio per te. Ricordi la parabola del Padre misericordioso? Anche tu la conosci; non puoi non averla sentita; ormai dappertutto nella Chiesa. Perché qui, quando si spezza il pane, si fa esperienza del perdono di Dio, della Sua festa!". E il cristiano: "Sì, l'ho sentito raccontare anch'io; ma credevo che si parlasse di qualcun altro". "Eh, no! (replica Filippo): le parole di Gesù non parlano mai di qualcun altro: parlano proprio di te! Il pane spezzato è per te: è per chi si sente sporco, per chi ha il cuore pesante! Per te Gesù ha raccontato quella parabola! Non pensare mai che la parola di Gesù parli di qualcun altro!".
Parla di ciascuno di noi, parla della nostra esperienza di uomini, parla del nostro cuore! E intorno alla tavola tutti siamo invitati, perché Dio è così: non ama soltanto quelli che si sentono giusti, che si sentono a posto, che credono di essere arrivati. Ama la gente come noi, col cuore pesante, che "ci prova"; la gente come noi, che non si stanca di cercare il suo volto!
La gente come voi, che avete tutta la pazienza di ascoltare le mie lunghe chiacchiere...
...pronti sempre a rispondere a chiunque vi 12 maggio 1996
domandi ragione della speranza che è in voi.
"Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro
Consolatore perché rimanga con voi per sempre".
Ho con molti di voi un debito, un peccato da scontare: sabato scorso e ve l'ho fatta molto lunga, e allora oggi, per farmi perdonare, ho pensato di raccontarvi una storiellina, anche per accogliere l'invito di Pietro, a "rendere ragione della speranza" che mi porto dentro. La speranza che, in fondo, ci accomuna nel nostro ritrovarci qui. Questo fatterello si trova in qualche autore del tempo passato, ma la mia mente se ne va e non ricordo chi sia. Ve lo racconto, adattandolo un po'.
E dunque, c'era molto tempo fa un cristiano a Firenze, il quale aveva un amico non credente, che non era stato battezzato. E lui si era affannato, per mesi, per anni, a cercare di convertirlo: lunghe discussioni, letture appassionate del Vangelo... E s'era anche sforzato di comportarsi nel modo migliore per dare testimonianza con la sua vita.
E finalmente, dopo lunghi mesi di ricerca, di preghiera insieme, di vita vissuta, l'amico si decide e vuole ricevere il battesimo. Si organizza per la prossima Pasqua la celebrazione, con grande gioia del cristiano, che finalmente è riuscito nel suo intento. Ma, all'ultimo momento, un terribile avvenimento viene a scuotere la vita di Firenze: dopo la scomunica del papa, Savonarola viene bruciato sul rogo. L'amico dice: "Prima di ricevere il battesimo, voglio andare a Roma, a vedere come si comportano il papa, i cardinali e l'altra gente di Chiesa". Il povero cristiano disperato si mette le mani nei capelli: "A Roma?!" Era il tempo di Alessandro VI°, il papa Borgia: un papa di cui si diceva che avesse parecchie amanti, diversi figli. In tutti i modi lo scongiura di non andare: "Che vai a fare, a Roma? Non ti basta il Vangelo?...". Ma quel suo amico insiste: "Voglio andare a vedere come si comportano nel centro della cristianità: soltanto dopo riceverò il battesimo". E parte.
Il cristiano si sente cadere le braccia: tutti i suoi sforzi sembrano perduti! Bisogna rimandare il battesimo: chissà se si farà più! Infatti il suo amico non ritorna: passa un mese, ne passa un altro... e non si vede! "È finita! È andato, ha visto...".
Dopo un anno, ritorna il pagano e dice: "Ecco, adesso son pronto: la prossima Pasqua riceverò il battesimo!" - "Ma sei andato a Roma?" - "Sì, sono andato". - "E sei andato anche in Vaticano?" - "Sì, sono andato: ho avuto la fortuna di potere stare per quasi un anno in quei palazzi, ho visto tutto: le lotte per il potere, gli intrighi, la ricerca del denaro, l'intolleranza...". - "E nonostante questo, ti farai battezzare?". - "Se nonostante quella gente la Chiesa rimane ancora, significa che non siamo soli! Che lo Spirito di Dio vive e opera nella Sua Chiesa!".
È vero, fratelli! Se noi siamo ancora qui, dopo quasi 2000 anni, è perché lo Spirito di Dio ha sospinto avanti la sua Chiesa. Non siamo soli! Gesù ce l'aveva promesso! Non sappiamo come, per quali strade misteriose... ma il soffio di Dio anima la vita della Chiesa!
Vedete, quando ero giovane - tanto tempo fa - credevo che quella di Alessandro VI°, fosse un'eccezione: chi conosce la storia sa che non è così! Quand'ero giovane, mi avevano insegnato che la cosa peggiore per un papa fosse avere molte amanti e qualche figlio: c'è di peggio: pensare di avere sempre ragione, impedire alla Chiesa di camminare e di cercare!
E, soprattutto, quand'ero giovane, se facevo questi discorsi, pensavo al papa. Adesso ho imparato a pensare a me! Mi stupisco spesso che la parrocchia di "Stella Maris" possa andare avanti con uno come me, che è parroco, ormai, da 20 anni! Eppure, vedete: la parrocchia c'è ancora, ci raduniamo intorno all'altare, cerchiamo ancora di credere in Gesù!... Significa che Gesù non ci ha lasciati soli, che ci ha donato il suo Spirito! Ci ritroveremo, fra due sabati, ad invocare lo Spirito perché sia ancora Pentecoste, perché la forza di Dio sospinga ancora avanti la sua Chiesa!
Questa, è la vera nostra speranza: non siamo soli! Il messaggio del Vangelo, la fede, il futuro della Chiesa, non è affidato solo nelle nostre fragili mani! Lo Spirito accompagna e spinge avanti il cammino della Chiesa! Nonostante gente come me... nonostante tanti cristiani...
..."avrete forza dallo Spirito Santo e mi sarete testimoni fino agli 19 maggio 1996
estremi confini della terra". "Andate e ammaestrate tutte le nazioni...
Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".
Come, penso, molti di voi sanno, quest'anno abbiamo vissuto insieme l'avventura di leggere il libro degli "Atti degli apostoli", il secondo libro di Luca, di cui abbiamo ascoltato l'inizio nella prima lettura. Siamo arrivati, ormai, quasi alla fine e una domanda è ritornata spesso, nei nostri incontri: "Chi sono stati i primi testimoni di Gesù? Chi ha continuato la sua opera? Chi ha "ammaestrato le nazioni", per usare le parole del Vangelo di Matteo?". Penso che la risposta, per molti di voi, sia semplice: gli undici apostoli, a loro Gesù affida questo incarico. Ebbene, vedete, a leggere con un po' d'attenzione gli Atti, la risposta è molto più complessa.
Pensateci un momento: Paolo - che riempie con la sua figura gran parte del libro degli Atti - non è uno degli Undici, è venuto dopo. Non solo: se leggete i racconti della conversione di Paolo (ce ne sono addirittura quattro nel libro degli Atti) voi sentite sempre parlare di un certo Anania. L'avete mai sentito nominare? Molti di voi, penso di no. Eppure, Paolo ricorda che Anania gli ha aperto gli occhi, lo ha fatto "vedere"! Al di là dei simboli, Anania è stato il catechista di Paolo, colui che gli ha fatto conoscere Gesù, colui che pian piano lo ha guidato sulla via del Vangelo.
Ma non basta: ci sono tante persone che non appartengono agli Undici, eppure sembrano essere state importanti: Stefano, Filippo, Apollo o Agabo o le quattro figlie di Filippo, che - dicono gli Atti - hanno il dono della profezia. Ma c'è di più: se leggete con attenzione e vi chiedete: "Ma, proprio i primi, coloro che subito dopo la morte del Signore hanno continuato la sua opera, chi sono stati?" sentirete parlare di persone che forse non avete mai sentito nominare: Giacomo, Simone, Joses, Giuda (non il traditore, ma un altro; era un nome molto comune, a quel tempo). Sono i parenti di Gesù, il clan di Nazareth, e Giacomo è il loro capo. Sembrano essere stati proprio loro a formare il primo gruppo, che ha saputo testimoniare Gesù!
E abbiamo almeno qualche nome... ma quando si va in giro per il mondo - quando per esempio Paolo va a Corinto o a Efeso e quando Pietro e Paolo vanno a Roma - trovano già dei gruppi di Cristiani: chi ha portato a questa gente il Vangelo? Chi ha fatto loro conoscere Gesù? Chi sono stati i primi testimoni del Vangelo? Il loro nome non lo conosciamo! Può sembrarvi sorprendente, ma - pensateci un momento ‑ è la cosa più normale del mondo.
Forse anche la maggior parte di voi non conosce le nostre catechiste, che cercano di testimoniare Gesù ai bambini che si preparano per la prima Comunione e ai loro genitori. E se non le conoscete nemmeno voi, chi volete che le conosca a Roma e nel vasto mondo?! Tutti conoscono il Papa, tutti conoscono i cardinali, qualche vescovo: eppure, per quei bambini, per le loro famiglie, le nostre catechiste sono estremamente più importanti. Sono loro, che hanno testimoniato Gesù, che lo hanno fatto conoscere con le loro parole, con la testimonianza della loro vita!
E i nostri ragazzi che si preparano per la Cresima, a 16, 17 anni: con quanta fatica alcuni giovani, un po' più grandi di loro, cercano di testimoniare il Signore, con la loro vita, con la loro passione per la verità, per il bene! I loro nomi non li conoscete: eppure, per quei ragazzi sono molto più importanti di me, molto più importanti di tutti i cardinali del mondo, molto più importanti del Papa!
La Chiesa vera è formata da tutta questa gente: era così subito dopo Gesù, è così anche adesso. Qualche nome, forse un po' per caso, finisce nei libri della storia; ma il tessuto della Chiesa è fatto di tanta gente di tutti i giorni, di gente come me, come voi: di gente che, nella semplicità della vita quotidiana, porta avanti la testimonianza di Gesù, continua la sua opera, continua a pronunziare le sue parole, a compiere i suoi gesti! È questa la Chiesa vera, animata dallo Spirito!
Ma c'è un'altra domanda, che ha accompagnato la nostra lettura del libro degli Atti: "Come si è diffuso il messaggio di Gesù nel mondo?". Vedete: quando hanno cominciato a parlare di Gesù fuori dalla Palestina, è stato come uscire da una stanza chiusa, per esporsi a tutti i venti! La cultura era profondamente diversa, diverse le tradizioni, diverso il modo di parlare, diversa la lingua, diversi i segni e i simboli! E che cosa hanno dovuto fare? Tentare di tradurre l'annunzio di Gesù, le sue parole, per la gente di tutto il mondo. Hanno dovuto compiere un'opera di estremo coraggio: buttarsi dietro le spalle le vecchie tradizioni, le vecchie leggi, le vecchie abitudini, per cercare l'essenziale da testimoniare al mondo, il nocciolo del messaggio di Gesù!
E, vedete, questo è il compito dei Cristiani di tutti i tempi. Siamo ormai alla fine del II° millennio, si sta per aprire il III°: abbiamo vissuto cambiamenti epocali. La sfida è sempre quella: qual è l'ESSENZIALE? Che cosa possiamo - del messaggio di Gesù - tramandare a quelli che vengono dopo? Che cosa è veramente importante e che cosa fa parte soltanto dei riti, delle tradizioni, delle leggi, che svaniscono come nebbia al sole, al soffio della storia?
Vedete, allora - tra i primi - qualcuno non ce l'ha fatta, a fare il salto, a passare il guado: è rimasto indietro, aggrappato alla legge, alla tradizione. Il povero Giacomo, il primo capo della Chiesa, è stato presto dimenticato: il suo nome è cancellato dai Vangeli. E anche oggi, può accadere che i capi, le persone importanti, quelli che compaiono alla TV, non ce la facciano a vedere ciò che è essenziale, il nocciolo del messaggio di Gesù, da tramandare a chi viene dopo!
E questa è la sfida per ogni comunità credente! Anche per noi! Anche per i nostri giovani: debbono avventurarsi per il mondo - un mondo che cambia vorticosamente - e conservare l'essenza della parola di Gesù!
Per noi uomini, è quasi impossibile... Per questo ci ritroveremo anche sabato, a gridare allo Spirito che ci aiuti: che non ci faccia attaccare ai nostri comodi, alle nostre parole, alle nostre tradizioni; che ci aiuti a capire il nocciolo del messaggio di Gesù! È in gioco la libertà dei credenti! È in gioco la fede! È in gioco la testimonianza di Gesù!
Lo Spirito ci aiuti!
Venne all'improvviso dal cielo un rombo come di vento 25 maggio 1996
che si abbatte gagliardo e furono tutti pieni di Spirito Santo.
...venne Gesù e disse: "Pace a voi". E i discepoli gioirono al vedere
il Signore. Poi alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo!".
Nella vita della Chiesa - succede un po' anche nella vita di tutti i giorni - capita di ripetere parole che nel corso degli anni hanno perso valore e significato: non hanno più forza, vivezza, importanza per noi. Questo è accaduto ad una parola che è fondamentale nella festa che noi oggi celebriamo: lo "Spirito Santo". Noi ripetiamo questa parola ogni volta che ci segniamo: "Nel nome del Padre, del Figlio dello Spirito Santo"
Ma chi è lo Spirito Santo? Come è venuta fuori questa parola nella vita dei credenti? È sorprendente, leggendo il libro degli "Atti degli apostoli", vedere alcuni discepoli, che vanno in giro per il mondo, incontrano dei Cristiani e chiedono: "Avete ricevuto il Battesimo nello Spirito Santo?" si sentono rispondere: "Ma noi non abbiamo mai nemmeno sentito parlare dello Spirito Santo!". Come è possibile che dei credenti, non abbiano mai sentito parlare dello Spirito?
Questa era, allora, una parola nuova, che tentava di esprimere il senso di Dio, la presenza di Dio nella nostra vita; e non è cosa semplice! Ritorniamo un momento a quel tempo, cerchiamo di rivivere l'esperienza che hanno fatto i primi discepoli: hanno incontrato Gesù e la loro vita è stata veramente trasformata da quest'incontro.
Hanno scoperto in Gesù i valori che rendono ricca e bella la vita. Hanno sentito Gesù - e lo esprimono nel Vangelo - come "un fuoco" che divampa nel loro cuore! Hanno sentito Gesù come "luce" che illumina il volto degli uomini, che da senso alle cose; hanno sentito Gesù come "un vento" di libertà! Hanno creduto in Lui! Hanno condiviso con Lui il coraggio della gratuità, della libertà, dell'amore! Prima vivevano anche loro affannati e preoccupati di tante cose: in Gesù hanno scoperto i valori essenziali della vita. Sono diventati suoi amici, hanno camminato con Lui per giorni interi, per mesi, per anni!
Quando hanno visto Gesù inchiodato sulla croce, tutto sembrava finito, le cose in cui avevano creduto, sembravano perdute per sempre. E poi, pian piano, hanno sentito dentro di loro come una forza che li spingeva a continuare, a tentare di credere ancora, a conservare nel cuore quei valori, a conservare il coraggio di credere nella gratuità, nella libertà, nella vita! E dicevano: "Ecco Dio non ci ha lasciati soli! Dio continua a camminare con noi!". E cercavano una parola che esprimesse questa presenza di Dio... il "vento", il "soffio" di Dio, il "fuoco" di Dio. E poi hanno trovato una parola, forse per esprimere la differenza, la novità della loro esperienza: Gesù in "carne" ed "ossa" non c'era più, non potevano più sedersi a parlare a mangiare con Lui... ma rimaneva in loro il suo spirito: e lo hanno chiamato "lo Spirito di Gesù", "lo Spirito di Dio"!
E a noi, pian piano, è rimasta questa parola: lo Spirito Santo. E in questa parola c'è il tentativo dei primi Cristiani di esprimere la presenza di Dio, la forza che li spingeva a credere nei valori di Gesù, ad andare in giro per il mondo per testimoniare Lui!
Ma vedete, quando uno crede di avere Dio dentro di sé, corre una grande tentazione: quella di pensare di avere sempre ragione, di credere di essere, lui solo, dalla parte della verità. Se leggete gli "Atti degli apostoli", trovate spesso lo stupore, la sorpresa dei primi discepoli, di incontrare questo Spirito - che loro son convinti di aver dentro - anche negli altri: anche nei pagani! E dicono: "Ma allora lo Spirito di Dio è dato a tutti! Non è il monopolio nostro! Gesù non è venuto soltanto per noi: è venuto per tutti!".
Qualche cosa dei valori di Gesù, la sua ricerca di gratuità, di libertà, di amore, c'è nel cuore di molti uomini! La gioia di riconoscere lo Spirito di Dio diffuso su tutta la terra! La gioia di incontrare il soffio di Dio in giro per il mondo!
È importante per noi, oggi, ritrovare questo stupore: viviamo in un mondo in cui sembra diffondersi l'intolleranza, in cui sembra ritornare la voglia di scomunica, la voglia di sentirsi giusti e giudicare gli altri! Chi crede in Gesù si porta dentro la convinzione che Dio non è monopolio di nessuno, che lo Spirito di Dio soffia dove vuole, nel cuore di tanta gente, in ogni angolo della terra: dove c'è un palpito di verità, dove c'è un soffio d'amore, dove c'è una scelta di gratuità e di vita, là noi siamo convinti di trovare il soffio di Dio, di riconoscere la presenza di Dio!
Ma non è sempre facile! I primi Cristiani si rendono conto che, anche se credono nei valori di Gesù, non sempre sanno come applicarli nel cammino della vita: qualche volta ci riescono, qualche volta no! Per questo ogni tanto si ritrovano insieme, per gridare allo Spirito che li aiuti a capire, a interpretare il mondo, a vedere come è possibile calare i valori di Gesù nella vita di ogni giorno.
E noi continuiamo a farlo; e lo faranno i Cristiani fino alla fine del mondo. Vedete, Gesù ha messo nel cuore dei discepoli i valori che possono veramente trasformare la vita! Ma com'è difficile che questi valori diventino concreti nella nostra ventura umana! Vi faccio un solo esempio, per riuscire a spiegarmi. L'apostolo Paolo dice - e certamente lo dice nello Spirito! - : "Non c'è più né giudeo né greco; non c'è più né schiavo né libero; non c'è più né uomo né donna: ma tutti siamo una sola cosa in Cristo Gesù!". Vedete, i primi Cristiani ci hanno messo diversi anni, per riuscire a superare la distinzione fra ebrei e pagani e non hanno potuto evitare difficoltà e turbamenti. Ci son voluti quasi 1700 anni, per capire che non ci potevano essere più schiavi! Dobbiamo aspettare ancora chi sa quanti anni, ancora dovremo veder morire qualche Papa, perché non ci sia più distinzione, nella Chiesa, fra uomini e donne!
E molti altri traguardi appaiono ancora lontani, prima di veder realizzato, nella vita concreta, il Vangelo di Gesù! Per questo, dopo 2000 anni, come i Cristiani di allora, ci ritroviamo insieme per gridare allo Spirito che ci aiuti a capire, a portare nel mondo i valori di Gesù: la sua libertà, la sua pace, la sua gratuità, il suo amore!
Lo facciamo insieme qui. Lo fanno stasera i nostri ragazzi. Molti di voi non potranno essere stasera con i nostri giovani, a celebrare la festa di Pentecoste; ma ricordatevi di dire una preghiera per loro! Hanno preparato tante parole, per esprimere il desiderio di luce, di verità, di vita! Dite, stasera, prima di andare a letto, una preghiera: perché non siano - per questi nostri ragazzi - soltanto parole: che sia la passione della loro vita, perché il grido che rivolgono stasera allo Spirito sia veramente ricerca di Dio, ricerca di Gesù, dei valori suoi, della sua vita!
Ne ha bisogno ciascuno di loro! Ne ha bisogno la Chiesa! Ne ha bisogno il mondo intero!
Mosè si prostrò e disse:"...che il Signore cammini in mezzo a noi". 2 giugno 1996
Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito,
perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.
Mosè sale sulla montagna con le tavole di pietra per incontrare Dio, per ricevere la legge. Nel Vangelo di Giovanni abbiamo ascoltato: "Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio unigenito". Tutto questo dovrebbe essere scontato, per noi. Quante volte abbiamo sentito queste parole nel corso della nostra vita! Quante volte abbiamo immaginato Mosè salire sul monte, lo abbiamo visto rappresentato in tante immagini con le tavole della legge in mano, il volto luminoso e trasfigurato! Quante volte abbiamo ripetuto, nel nostro ritrovarci qui, che Dio ci ha amato fino a donarci suo Figlio!
Eppure, se riflettete un momento, l'immagine di Dio che ciascuno di noi si porta dentro, spesso passa per altre strade: tutti noi ci portiamo dentro l'antico mondo religioso dell'uomo, che cerca Dio a partire dai propri bisogni, dalle proprie necessità.
A me capita, qualche volta, - ma penso succeda anche a molti di voi - di rivolgermi a Dio soltanto quando ho qualche bisogno. Mi rivolgo al Dio onnipotente che ha fatto tutto, a Colui che può aiutarmi nel momento della necessità. Non avete spesso ascoltato qualcuno dire: "Io vado in chiesa soltanto quando ho ne ho bisogno"? Vedete tutti i paesi del mondo sono pieni di templi, di santuari in cui si va a cercare Dio quando si ha una grazia da chiedere, o per cercare la protezione e la benedizione, quando il futuro è incerto, magari alla vigilia di un viaggio, o quando si vuole ricordare un morto, insomma quando si ha bisogno di qualche cosa.
Noi siamo figli di una intuizione religiosa, che ha cercato Dio non a partire dal bisogno, ma nello stupore e nella gratuità. Israele ha incontrato Dio in un cammino di libertà: ha sperimentato Dio che gli viene incontro e gli cammina davanti e lo chiama! Lo chiamava fuori dall'Egitto, lo invitava ad andare verso una terra nuova: la terra della libertà, la terra "dove scorre il latte e il miele". Israele ha intuito che Dio lo chiamava ad osservare una legge: di vita, d'amore, di gratuità.
E noi!.. Non siamo qui riuniti perché crediamo che Dio ci ha amato per primo? E non solo ha creato per noi il mondo che abbiamo intorno, ma è venuto - in Gesù - a condividere la nostra vita, a camminare con noi per le strade del mondo. Ha condiviso con noi i valori essenziali della vita. Ci ha amato fino a morire su una croce! Fino a farsi pane per noi! Eppure, non capita anche a voi, quando qualche guaio viene a turbare la nostra vita, di guardare verso l'alto e domandare: "Dio, ma ci vuoi ancora bene?! Ma ci ami sul serio?!".
Ecco perché la Chiesa, oggi, ci invita a dare uno sguardo verso Dio: a cercare ancora una volta, non il dio del nostro bisogno, dei nostri pregiudizi, ma il Dio che ci parla, che ci cammina davanti, che si fa pane! Il Dio il cui soffio - lo celebravamo domenica scorsa - attraversa la nostra vita e ci invita a inseguirlo in giro per il mondo: nel cuore della gente che incontriamo, negli avvenimenti che ci capitano.
È là - e non soltanto qui - che il cristiano va cercando il volto di Dio, va inseguendo le tracce dello Spirito! È là, dove incontriamo la gratuità e l'amore, dove incontriamo la vita, che noi troviamo le tracce di Dio, sentiamo la sua presenza nella nostra vita, facciamo esperienza della sua gratuità e del suo amore!
Lo Spirito di Dio ci aiuti a cercarlo ancora, a ritrovarci qui ancora tante volte, per cercare Dio, per sentirLo presente nella nostra vita: il Dio che ci cammina davanti, il Dio della gratuità e dell'amore! Lo Spirito ci aiuti!
E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? 9 giugno 1996
"Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.
Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno".
Nella vita degli uomini ogni medaglia ha il suo rovescio, almeno due facce, anzi spesso molte di più... Ripensavo a questa frase - su cui credo siate tutti d'accordo e che mi capitava di ripetere spesso, nei vari incontri di quest'anno - mentre cercavo qualcosa da dire per la festa di oggi.
Perché il Corpus Domini richiama alla mia mente immagini di straordinaria bellezza: pensate, per esempio, alle tante chiese dedicate a questa festa: molti di voi, avranno visto il duomo di Orvieto, la sua stupenda facciata. Ma, in fondo, tutte le chiese sono dedicate all'Eucarestia, e ce ne sono in ogni parte della terra, meravigliose per bellezza, per grandezza, per magnificenza.
Oppure pensate (le avrete forse viste in questi giorni alla TV) alle "infiorate" che si fanno in tanti luoghi d'Italia: tappeti di fiori, straordinari per bellezza, che impegnano il lavoro e la fantasia di molte persone. Oppure alle processioni del Corpus Domini, specialmente quelle di una volta: quando io ero bambino, quella del Corpus Domini era la processione più solenne. O alle celebrazioni con il Papa, tanti cardinali e vescovi, con molti riti solenni e complicati.
O, per venire più vicino a noi, pensate ai ragazzi che hanno fatto la loro prima comunione: le bambine, non ostante gli sforzi delle nostre catechiste, indossavano spesso dei vestiti molto belli, a volte anche molto costosi...
Tante immagini belle, a volte di grande bellezza. Ma - ed ecco il senso della frase: "ogni medaglia ha il suo rovescio" - se ci pensate bene, dietro tutto questo, spesso c'è anche la voglia degli uomini di apparire, di mostrarsi; spesso c'è anche il desiderio di potenza dei capi! E ancora di più: spesso le grandi celebrazioni, le processioni solenni, i tappeti di fiori, rischiano di collocare l'Eucarestia in uno spazio sacro, se non addirittura folcloristico, lontano dalla vita di ogni giorno!
Se qualcuno di voi ha assistito alle prime comunioni che hanno fatto i nostri ragazzi, avrà visto qualche lacrima negli occhi delle mamme ed anche di qualche papà: dei momenti di forte commozione, che lasceranno dei bei ricordi nella loro vita! Ma quanti di loro sentivano l'Eucarestia come qualche cosa che riempie la vita, come un vero "nutrirsi di Gesù"?!
Se ho capito qualcosa, l'intenzione di Gesù forse era diversa. Anche ai suoi tempi c'era un tempio grande, bello, fastoso, un tempio splendido! Ma anche lì c'era tutto l'orgoglio di Erode, la volontà di potenza di quell'uomo. Anche nel tempio, a quei tempi, c'erano cerimonie fastose e solenni, accompagnate da canti e suoni e una casta sacerdotale ricca e potente.
Gesù ha portato la sua gente lontano da tutto questo: intorno ad una semplice tavola e sulla tavola soltanto un po' di pane e un po' di vino! E ha detto: "Nutritevi di me! Mangiate di me! Riempite la vostra vita della mia vita!". Non soltanto qualche cerimonia, per commuoversi un po': ma la vita di ogni giorno riempita dei valori di Gesù, della vita di Gesù!
E questo vale anche per noi, per il nostro ritrovarci qui ogni domenica: celebrare l'Eucarestia è cercare Gesù, per nutrirci di Lui, per riempire la nostra vita della Sua vita!
O, se volete un altro esempio delle due facce della medaglia: in questi giorni mi è capitato spesso di parlare con delle persone che dall'Eucarestia si sentivano escluse: o perché persone che vivono in una situazione irregolare (capita spesso, oggi, che uomini o donne si trovino ad essere uniti con una persona divorziata: e si sentono esclusi dall'Eucarestia!); oppure qualcuno che ha un peso sulla coscienza e non si sente "degno" di Gesù! Oppure ho sentito tante volte in questi ultimi mesi domandare: "Don Checco, ma perché le donne non possono celebrare l'Eucarestia, non possono diventare preti?". Ancora esclusioni...
E l'intenzione del Signore era diversa! Anche allora, nel tempio c'erano tante divisioni, tante esclusioni; anche là c'era una casta sacerdotale potente, che stabiliva regole e divieti, che voleva dominare su tutto...
Chi sa quando si realizzerà l'intenzione di Gesù: una cena di fratelli, da cui nessuno si senta escluso, in cui non ci sia distinzione fra uomo e donna, fra giusto e peccatore! Una cena di fratelli, in cui tutti si ritrovino a cercare Gesù, a tentare di nutrirsi di Lui: questa era l'intenzione del Signore - almeno per quello che ho capito io - nel lasciarci questo "segno"!
E allora non ci resta che rivolgerci ancora allo Spirito, perché il dono che Gesù ci ha lasciato diventi sempre più la nostra vita: la vita di ciascuno di noi e la vita della Chiesa!
"Non andate fra i pagani... rivolgetevi alle pecore perdute della casa d'Israele. 16 giugno 1996
Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni.
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date".
È capitato in tutti i tempi e non dobbiamo dunque meravigliarci se capita anche a noi che qualche cristiano attraversi momenti di dubbio, faccia fatica a capire qual è il suo compito, la sua missione.
Un po' di fantasia forse può aiutarci a capire questa pagina del Vangelo, immaginando i dubbi, le perplessità di un cristiano di tanto tempo fa, quando il Vangelo ancora non era scritto e cominciavano a circolare i primi fogli che poi, riuniti insieme, hanno dato origine a quello che leggiamo ogni domenica.
Immaginiamo, quindi, un cristiano che viveva a Roma, poco tempo dopo la morte di Gesù: un cristiano serio, impegnato, che aveva cercato con tutta la sua passione di credere, di seguire Gesù; ma proprio ora attraversa un momento difficile. Ha lavorato molto, negli ultimi tempi - un lavoro pesante, ha incontrato anche qualche difficoltà - e quindi sta vivendo un momento di grande stanchezza. Tutto gli sembra difficile, gli vengono nel cuore anche tanti dubbi sulla propria missione di cristiano: "Che cosa significa essere credente? Che cosa mi chiede Gesù?"
Decide di mollare tutto per qualche giorno, di andarsene un po' in campagna dove ha degli amici: per fermarsi, per riposare un po'; ed anche per riflettere, per cercar di capire qual è la sua missione, che cosa significa, per lui, essere un cristiano. Prima di partire si confida con un amico, il quale gli dice: "Guarda, forse può aiutarti questo" e gli dà un piccolo rotolo di papiro. Contiene una specie di discorso che Gesù rivolge ai suoi discepoli nel mandarli in missione. "È arrivato da poco, questo foglio - dice l'amico - forse può aiutarti nella tua riflessione".
Il cristiano lo prende, lo mette nella sua bisaccia e parte. Arriva la sera, stanco. Gli amici lo accolgono con affetto gioioso: un po' di cena, qualche chiacchiera ed è già tempo di andare a dormire. Nella stanza accende la piccola lucerna e srotola il papiro, con trepidazione: è la prima volta che gli capita un foglio in cui è riportata la parola di Gesù!
Comincia a leggere: si parla di folle, che sono "come pecore senza pastore". E commenta: "Altro che folle: sono io la pecora senza pastore! Non capisco più niente, non riesco a vedere qual è il senso della mia vita! Chi sa se queste parole mi aiutano un po'!". E continua a leggere: si parla di guarire i malati, di scacciare i demoni, di sanare i lebbrosi. Ha un moto di stizza: "Sempre le solite immagini, sempre le solite fantasie! Perché non ci dicono una buona volta che cosa dobbiamo fare? Perché non ci dicono qualche parola concreta?". Gesù invita a pregare perché il padrone mandi operai nella sua messe: "Chi sa perché non ci ha pensato lui, perché ha chiamato solo dodici persone?"
Continua a leggere: è proprio quello che abbiamo letto anche noi, stasera: "Non andate fra i pagani, non entrate nelle città dei Samaritani. Andate fra le pecore perdute della casa d'Israele". Quasi non crede ai suoi occhi: "Ancora queste storie debbo sentire! Abbiamo combattuto tanto, perché non ci fosse distinzione tra ebrei e pagani! Anch'io ero un pagano: se non avessero avuto il coraggio di piantarla, con la gente di Israele, e di andare in tutto il mondo, io non sarei cristiano!".
Ma alle ultime parole - "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" - non resiste più: getta via lontano il papiro. "Altro che gratuitamente! Io ho lottato e faticato: a me essere cristiano è costato tanto! E non ne posso più! Perché mi parlano ancora di gratuità? Perché mi dicono che ho ricevuto tutto gratis? Io ho faticato e sudato, per essere cristiano!".
Si gira dall'altra parte e si addormenta. È stanco, non ne può più: è un momento in cui tutto si fa difficile nella sua vita, in cui non vede più luce, in cui non capisce più niente! Ma lì, con i suoi amici, lontano dalle cose di tutti i giorni, partecipando ai lavori della terra, pian piano, comincia a riposarsi e a distendersi.
Ma i dubbi, le domande restano: lui è lì per cercare di capire: vuole riflettere un po' sulla sua esperienza. E un giorno, lo sguardo gli cade su quel papiro ‑ lo ha quasi dimenticato! ‑ che aveva buttato lontano: era finito sotto una sedia; ed è ancora lì, mezzo srotolato. Lo riprende in mano e gli cadono gli occhi sull'ultima frase: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date". E si siede quasi di colpo sulla sedia e pensa a voce alta: "Già! È vero: io ho lavorato, ho faticato; negli ultimi tempi mi sono stancato molto. Ho incontrato grandi difficoltà nel mio lavoro, mi è costato essere onesto! Ma cos'è questo, rispetto alla grande grazia che ho avuto, nel conoscere Gesù?! L'incontro con il Signore mi ha trasformato, mi ha riempito la vita, mi ha fatto libero, ha riempito di senso la mia esperienza! Mi sono sentito tante volte come inondato di luce! È vero: qualche volta costa! Ma quello che ho ricevuto è molto di più di quello che ho dato!".
E poi rilegge le parole che precedono: "Non andate fra i pagani, fra i Samaritani". "Cosa vorrà dire Gesù? Perché non voleva che la sua gente andasse fra i pagani?" E comincia a pensare: "Ma anch'io qualche tempo fà pensavo di andarmene, pensavo che andando lontano da Roma, lontano dal mio lavoro, dalla mia gente, potevo trovare qualcosa di grande da fare! A volte anch'io ho travato dei nemici da combattere, qualcuno da convertire. Forse, proprio questo Gesù voleva dire alla sua gente: che è inutile andare lontano, sognare cose grandi; che essere cristiani significa affrontare i propri problemi di ogni giorno, significa cominciare a cambiare se stessi, senza pensare di andare a combattere contro "i nemici".
E di nuovo legge: "...guarire i malati, scacciare i demoni". -"E se essere cristiani fosse soltanto questo: dare una mano a chi ne ha bisogno, asciugare una lacrima, cercar di capire cosa ci succede intorno, cercare di cacciare un po' di male! Io ho cercato di farlo: qualche volta ci sono riuscito, qualche volta no. Che in fondo quello che Gesù mi chiede sia soltanto la fedeltà di ogni giorno e non cose straordinarie, il coraggio di dare una mano, il coraggio dell'onestà quotidiana, della libertà e della ricerca della luce! Che essere cristiani sia tutto qui?! Ormai molti dei dodici, non ci sono più, hanno seguito la sorte del maestro, alla lista occorre aggiungere il mio nome, tocca a me seguire Gesù, tentare di continuare almeno un po' la sua opera ".
Quando torna a casa, va a restituire il papiro, dicendo con un sorriso: "Se il Vangelo sarà questo, poveri noi! Ho dovuto leggere e rileggere per capire qualcosa: perché non ci dicono che cosa dobbiamo fare, con un po' di chiarezza?". E l'amico gli risponde: "Poveri noi, se il Vangelo fosse come dici tu! "
Il Vangelo, per ogni generazione di cristiani - e quindi anche per noi - è parola da interpretare sempre di nuovo e poi da calare nel concreto della nostra vita, per capire cosa dica a ciascuno di noi! Sarebbe terribile ridurre le parole di Gesù a regolette o peggio a proibizioni e divieti: sono parole grandi, inviti a cercare, parole che possono portare luce nella nostra vita, che possono aiutarci a scoprire qual è la nostra missione.
A volte è qualcosa di semplice: basta guardarsi intorno nell'ufficio dove lavoriamo, nella casa dove abitiamo, fra la gente con cui viviamo. È lì, che Gesù ci chiama a portare un pizzico del suo amore!
Lui ci aiuti a farlo!
"Non temete coloro che uccidono il corpo... Due passeri non si 23 giugno 1996
vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà
a terra senza che il Padre vostro lo voglia".
Quello che noi ascoltiamo qui insieme la domenica, quello che ciascuno di noi può leggere personalmente a casa nel libro, diventa "vangelo" (cioè "lieto annunzio"), diventa "parola di Dio", quando risuona nel concreto della nostra vita, quando si colora delle nostre esperienze. È normale allora che alcune frasi del Vangelo, in certi momenti, diventino importanti nella nostra ricerca della fede; altre volte invece qualche frase viene quasi dimenticata. È normale che le nostre esperienze, ci aiutino qualche volta a scoprire il senso di una parola che troviamo scritta nel libro del Vangelo.
Per aiutare anche qualcuno di voi a ritrovare queste esperienze della propria fede, vorrei raccontarvi la mia esperienza su qualcuna delle frasi che abbiamo letto insieme stamattina. C'è una frase, di quelle che abbiamo letto, che non appartiene alla storia della mia fede, almeno fino ad un certo punto della mia vita. È una frase forte, che forse proprio per la sua forza - direi per la sua violenza - spesso è stata messa da parte; almeno io non l'ho sentita citare quasi mai dalla mia gente, dai miei genitori, dai preti che ascoltavo la domenica.
È la frase: "Non temete coloro che uccidono il corpo: temete piuttosto colui che può mandare e il corpo e l'anima nella Geenna". In questa frase c'è forse la paura della morte. Peggio: c'è forse la paura di Dio, paura di finire all'inferno (la Geenna è uno dei simboli antichi di questa paura). Forse per questo, forse per la violenza di questa frase, a me, quand'ero bambino, è stata evitata: io non l'ho sentita citare quasi mai nelle mie esperienze.
Quando qualche anno fa sono andato a passare una quindicina di giorni da un mio amico - che forse qualcuno di voi ha conosciuto - che era parroco nell'estrema periferia di Rio de Janeiro, questa frase del Vangelo era quella che, man mano che passavano i giorni, più sentivo citare. La coglievo nei discorsi tra i cristiani, negli incontri a cui ho partecipato, nelle pagine che i vari gruppi preparavano, qualche volta anche sui foglietti come quello che voi avete tra le mani, che aiutano a partecipare alla Messa. Mi rendevo conto che per loro era forse la frase più importante del Vangelo!
Questo, perché vivevano in un mondo carico di violenza: la violenza istituzionale, che aveva ucciso decine e decine di catechisti, di cristiani d'ogni giorno, di sacerdoti: l'elenco dei loro "martiri" quasi non finiva mai! Ed anche la violenza di ogni giorno: in un quartiere più o meno grande come quello in cui noi viviamo, si contavano ogni mese decine di morti: morti per rapina, morti per la violenza quotidiana, a volte gratuita!
Questa gente aveva bisogno di ripetersi questa frase del Vangelo! E non certo per paura di Dio o dell'inferno; ma per non lasciarsi coinvolgere nell'inferno quotidiano in cui si svolgeva la loro vita. La loro paura era di perdere la loro dignità di uomini, era di perdere la speranza, era di perdere la libertà e lasciarsi coinvolgere nell'odio e nella violenza in cui vivevano! La loro paura era di perdere la capacità di amare, di credere, di sperare! Questa parola li aiutava a radicare la loro vita nella fiducia in Dio, più grande di ogni cosa.
Un'altra frase, di quelle che abbiamo letto stamattina, è invece una di quelle frasi che mi hanno accompagnato, fin da quando ero bambino: una frase che a me ‑ e forse anche a molti di voi, specialmente a chi ha i capelli bianchi ‑ è stata sempre familiare. Ed è quella in cui si parla del passero, che non cade a terra "senza che Dio lo voglia". Anzi, la frase che sentivo spesso ripetere dai miei genitori era: "Non si muove foglia che Dio non voglia".
Ebbene, man mano che crescevo, sentivo crescere in me l'irritazione verso questa frase; perché, vedete, dietro queste parole c'era anche l'ignoranza del mondo contadino da cui venivano mio papà e mia mamma. Non capivano quasi niente, del mondo: perché il vento muove le foglie? Perché un chicco di grano caduto in terra può far spuntare una spiga e riempirsi di chicchi? Come spunta un fiore? Come nasce un animale? Tutto per loro era avvolto dal mistero, tutto trovava una spiegazione in Dio: era il frutto della loro ignoranza, del loro non-sapere!
Forse qualcuno di voi si meraviglierà, qualcuno forse no: ma quando ero bambino e andavo alle elementari, mi è capitato di discutere con un mio zio, un fratello del mio papà, perché io sostenevo che la terra era rotonda e lui diceva che non è possibile: la terra è piatta, altrimenti quelli dell'altra parte starebbero appesi a testa in giù... E io non sapevo come spiegare che quelli, pur stando appesi a testa in giù, potevano vivere tranquillamente come me; e continuavo a dire "Ma la mia maestra dice così!"
E non so ancora spiegare ancora tante cose: se voi mi domandate da dove viene il vento, che oggi ha spazzato tutte le nuvole che c'erano ieri, io non ve lo so spiegare; qualche volta ascolto le spiegazioni dei meteorologi, che parlano di alta pressione, di bassa pressione, di masse d'aria, della terra che gira... Ma io non so spiegarvi da dove viene il vento, come si forma, in che direzione può spirare. Ma c'è qualcuno che lo sa; ed è importante capire queste cose! Non basta dire: "Forse è opera di Dio".
Sento crescere in me, qualche volta, l'irritazione verso questo rifiuto dello studio, della ricerca, così diffuso, a volte, nella Chiesa. Mi capitava anche qualche settimana fa: sono andato a trovare un amico sacerdote, che ha più o meno la mia età, il quale mi diceva: "Più vedo documentari sugli animali e più mi rendo conto che non può essere tutto spiegato dall'evoluzione: troppa diversità, troppa varietà!". Dicevo: "Questo dipende dal fatto che tu non riesci a renderti conto del tempo: di quanto tempo c'è voluto perché tutto questo si compisse". E poi il nostro discorso s'è fermato lì, perché non interessava a nessuno dei due il discorso sugli animali.
Ma tornando a casa riflettevo: "Perché c'è sempre bisogno di ricorrere a Dio, quando non sappiamo spiegare una cosa?" È importante che qualcuno cerchi e studi e approfondisca. Anche in questi giorni siamo rimasti tutti colpiti dalle tragedie che hanno funestato l'Italia: queste tragiche alluvioni! Sentiamo lamenti, gente che grida, gente che si commuove... e poi tutto finisce come prima. E gli scienziati diranno invano: "Bisogna studiare; bisogna capire, bisogna prevenire! Altrimenti continueremo a gridare dopo ogni disgrazia e poi, dopo due giorni, non ci penseremo più!"
La vita non può essere affidata a Dio "che muove le foglie": è affidata alla responsabilità di noi uomini, alla nostra ricerca, alla passione per la vita che ci sta intorno! Ed è compito di tutti essere attenti a queste cose. E favorire chi studia, chi cerca, chi si preoccupa seriamente di prevenire e di curare il nostro mondo, che altrimenti rischia di diventare sempre più malato!
Sono discorsi seri, questi! Ma poi talvolta mi viene da pensare che dietro queste parole, che i nostri vecchi ripetevano tanto spesso, non c'era solo la loro ignoranza, ma anche la loro fiducia nella vita: anche il credere che al di là delle increspature della vita di ogni giorno, al di là dei drammi che a volte l'attraversano, la nostra vita ha radice, ha fondamento in un Amore che ci precede! La nostra vita non viene da un nulla, dal caso: ma dall'Amore di Dio! È Lui che ha dato origine a tutto! È Lui che troveremo alla fine della nostra storia!
Questa fiducia è forse il fondamento del mio vivere sulla terra: del mio continuare a cercare, a credere, a sperare.
E c'è (ma, brevissimamente) un'altra frase che ha avuto una storia nella mia vita, l'ultima: "Non vergognatevi di Dio, di Gesù mai!" Quando ero ragazzo (non a casa mia: lì era la prima frase che imperava) quando sono andato in parrocchia, continuavano a ripetermi - era il tempo dell'Azione Cattolica, qualcuno di voi forse lo ricorda -che dovevamo fare apostolato, che non dovevamo MAI vergognarci di Gesù, che dovevamo SEMPRE parlare di Lui! Ci convincevano - o tentavano di convincerci! - che noi eravamo buoni, che dovevamo fuggire i compagni cattivi e cercare di convertire tutti... E poi, vivendo, mi sono accorto che io non ero tanto buono e che gli altri non erano tanto cattivi e che qualche volta è meglio, di Gesù, parlare poco. Perché, se uno ci crede, la testimonianza non passa attraverso tante parole, ma attraverso la vita che ciascuno di noi vive! Ed anche questa frase si è colorata in maniera molto diversa nella mia vita. Credo che qualche cosa del genere sia successo anche a voi.
E allora, possiamo dire una preghiera, perché lo Spirito di Dio conservi nel nostro cuore il coraggio di sperare, la forza di credere ancora! Ci aiuti il Signore!
"Che cosa si può fare per questa donna?" "Purtroppo essa non ha figli"... 30 giugno 1996
-"L'anno prossimo, tu terrai in braccio un figlio".
"Chi avrà dato anche solo un bicchiere d'acqua fresca...
non perderà la sua ricompensa"
Chi sa se chi ha scelto le due letture che abbiamo ascoltato stamattina e le ha messe vicino, si è accorto dell'enorme distanza che le separa. Non so se lo avete notato tutti: la prima lettura è una storiellina piccola piccola: il tipico raccontino religioso, che riempie varie parti della Bibbia, e soprattutto tanti libri, nella nostra religione, ma anche in tutte le religioni del mondo. È la storiella piccola piccola di una persona che fa un'opera buona, che accoglie il "santone" di passaggio e che poi riceve da Dio una grazia: è sterile e l'anno prossimo avrà un figlio!
Di simili storie sono pieni i libri religiosi di tutto il mondo. A volte ci farebbe comodo sapere che se siamo bravi poi avremo una grazia da Dio! Ma non è la vita, voi lo sapete.
Avete notato la distanza del Vangelo? "Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me. chi non prende la sua croce, non è degno di me. Chi non perde la vita, non può seguirmi". Perdere la vita? Prendere la croce? Che senso ha, tutto questo?! Che cosa dobbiamo fare, per seguire Gesù?
La domanda è sbagliata: noi cerchiamo sempre di chiederci che cosa dobbiamo fare. Provate a domandarvi: "Ma chi è Dio? Il Dio in cui noi crediamo?" Di Lui troviamo qualche traccia in queste parole: il Dio in cui noi crediamo non ha risparmiato suo Figlio, per noi! Il Dio in cui noi crediamo è inchiodato sulla croce: è il Dio della gratuità, dell'amore totale!
E non è forse vero che le persone che noi stimiamo come "eroi", sono quelli che hanno saputo amare fino a dare la vita? Per una Causa, per un ideale, per gli amici, per salvare un'altra persona! Non è vero che in chi si perde e si dimentica per gli altri, noi riconosciamo un riflesso dell'amore gratuito di Dio?
Noi siamo sempre intenti a possedere la vita: i nostri rapporti sono spesso commerciali: io ti do e tu che mi dai? Ma quando gettiamo uno sguardo verso Dio, intuiamo un abisso di gratuità, un abisso di amore totale: il Dio che si fa carne! il Padre che non risparmia suo figlio ma lo dona per noi! Gesù che ama sino in fondo, fino a morire sulla croce!
Altro che il fatterello del "santone", che se riceve un'opera buona, in cambio rilascia una grazia! Questo è il frutto di una religiosità commerciale, è il frutto di chi pensa ancora a se stesso. Non è così, Dio! Il Dio che ha attraversato la nostra vita, ha portato in mezzo a noi il riflesso di un amore totale, a volte difficile da capire! E noi da questo Dio ci difendiamo: la nostra religiosità è spesso fatta di santuari, di santoni, di richieste di grazie...
E se Dio fosse diverso? totalmente diverso? La pienezza della gratuità, la pienezza dell'amore! Nelle parole del Vangelo possiamo intuire qualcosa dell'abisso di luce e di vita che è Dio ed anche le realtà più profonde e belle della nostra esperienza!
E se poi ci domandiamo: "Ma allora, noi, che cosa possiamo fare?" Il Vangelo di oggi ci dà una risposta: un bicchier d'acqua! Un bicchier d'acqua dato con cuore sincero: questo basta. A noi, per fortuna, nella vita quotidiana, non è richiesto di dare la vita, di amare fino a perderci - come qualche volta agli uomini è richiesto: anche oggi, in tante parti della terra, anche da noi qui in Italia, c'è gente che deve rischiare la vita, per amare! - A noi non è richiesto.
Per essere un riflesso di Dio, a volte basta un bicchiere d'acqua fresca, data con gratuità a chi ci vive accanto. Questo è credere nel Dio della nostra vita. È ritrovare i valori essenziali del nostro essere uomini: la gratuità, il condividere la vita, l'offrirci, con cuore sincero, un bicchier d'acqua e il riceverlo con gioia!
Il Signore ci aiuti!
Tutti mi hanno abbandonato... Il Signore però 29 giugno 1996
mi è stato vicino e mi ha dato forza.
"Voi chi dite che io sia?" - Rispose Pietro:
"Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!"
Sono ormai 35 anni che io faccio prediche e credevo, nella mia ingenuità, che l'esperienza avrebbe, man mano che passano gli anni, reso sempre più semplice questo compito. E invece diventa sempre più difficile. La sensazione di ripetere cose già dette tutto, che non ci sia niente di nuovo da dire, è per me piuttosto pesante. Quando poi mi capita di dover parlare di qualche santo - come capita oggi, per gli apostoli Pietro e Paolo - questa difficoltà diventa ancora più forte.
Dopo avere a lungo pensato a cosa dire, non riuscendo a trovare qualcosa di interessante, mi son domandato da dove viene in me questa difficoltà, sempre crescente, di parlare dei santi. Mi son dato tre risposte; non so se voi le condividete, ma forse può servirvi per riflettere un po'. Forse anche per sorridere un po'!
La prima difficoltà viene dal fatto che a me i "santi" sono stati sempre presentati come persone straordinarie, figure mitiche: e quindi lontane dalla vita, dall'esperienza di fede, mia e della gente che ho incontrato. Mi sembrava che non sbagliassero mai, che non conoscessero dubbi e incertezze. Leggendo il Vangelo o le lettere di Paolo, mi sono accorto, invece, che anche loro son persone normalissime: con i loro dubbi, le loro difficoltà, le loro ansie, le loro paure. Anche con i loro sbagli!
Ma c'è qualche cosa di più: proprio perché i Santi sono figure mitiche, spesso sono usati per difendere una ideologia. Tutti voi avete, penso, negli occhi qualche immagine di S.Pietro o di S.Paolo. Come sono rappresentati? S. Pietro ha sempre in mano un gran paio di chiavi: è l'idea - che molti nella Chiesa hanno - che i preti, i vescovi, i papi possiedono le chiavi del Regno di Dio, possono parlare e giudicare in nome di Dio. Per andare a Dio, bisogna passare attraverso l'autorità della Chiesa. E voi sapete per esperienza della loro vita che non v'è niente di più falso, di più ideologico di questo! Quando qualcuno si mette in mezzo fra il cuore credente e Dio, quando qualcuno pensa di possedere le chiavi del Regno, credo si trovi molto lontano dal Vangelo di Gesù!
Avete visto l'immagine dell'apostolo Paolo? Lo si rappresenta sempre con un grande spadone al fianco: credere è combattere e sconfiggere i nemici. Ma è questo il modo di essere cristiani? Trovarsi sempre, intorno, degli eretici o dei nemici da combattere? La mia esperienza mi dice che forse sarebbe meglio guardarsi intorno con occhi diversi.
Ma c'è ancora un'altra difficoltà: quando si parla dei santi si trascura la gente di tutti i giorni, che avevano intorno, che è quella che a me preme sempre di più. Se leggete il libro degli Atti, vi accorgerete che quando Paolo arriva a Roma, trova già un gruppo di cristiani, che gli vanno incontro, facendo un bel tratto della via Appia e fanno festa al suo arrivo; poi lo accolgono; probabilmente han dovuto anche tirar fuori un bel po' di quattrini, per mantenere qui a Roma l'apostolo Paolo: lui e il soldato che aveva di guardia. Se non ci fosse stata questa gente, di Paolo probabilmente avremmo perso addirittura memoria; Pietro forse non sarebbe mai venuto qui a Roma. Perché lui è venuto proprio per ritrovarsi in mezzo ad un gruppo di credenti: di gente di tutti i giorni - come siamo noi - che ha avuto il coraggio di credere in Gesù, di camminare cercando la sua luce!
Capite, allora, perché mi rimane un po' difficile parlare degli apostoli? Preferisco parlare di voi, della gente di tutti i giorni.
Essere cristiani non significa essere personaggi straordinari, persone capaci di compiere imprese gloriose: basta essere gente di tutti i giorni, che cerca di credere in Gesù, che tenta di camminare sulla sua strada, che prova ad essere testimone di Lui in mezzo al mondo!
Il Signore aiuti anche noi ad essere così!
Ti benedico, o Padre, perché hai tenute nascoste queste cose ai 7 luglio 1996
sapienti e le hai rivelate ai piccoli.... Venite a me, voi tutti,
che siete affaticati e oppressi ed io vi ristorerò.
...imparate da me, che sono mite e umile di cuore...
Parole - quelle che abbiamo ascoltato - fra le più straordinarie del Vangelo: basterebbero queste, perché il Vangelo diventi, per chi ascolta una "lieta notizia". Gesù canta la sua gioia, il suo ringraziamento al Padre, perché ha rivelato la sua presenza ai "piccoli" e non ai "sapienti", agli "intelligenti", a quelli che pensano di sapere tutto.
Non so se posso far risuonare in voi questo ringraziamento di Gesù, raccontandovi come io abbia colto, qualche volta, sulle labbra dei "piccoli", il canto della loro gioia per avere incontrato Gesù, per averLo conosciuto e amato! Vi racconto qualche storiellina, che ho avuto la fortuna di vivere.
Una mia zia - ormai è anche lei dall'altra parte della vita, presso Dio - si trovava a partecipare, qualche anno fa, ad una riunione di cristiani. Lei è sempre rimasta in campagna, nella sua piccola casa sperduta tra i monti, tutta presa dai lavori dei campi e della casa; ma qualche volta, essendo una donna di straordinaria intelligenza, di grande cuore ed anche di grande fede, andava in città ad ascoltare coloro che parlavano del Vangelo. In quella riunione, si parlava appunto della lettura e dello studio del Vangelo.
Ed una insegnante ha preso la parola, per dire che il Vangelo non è un libro semplice: soltanto chi ha compiuto degli studi, chi ha una certa cultura, può approfondirlo e conoscerlo veramente. Il grido di questa donna (si chiamava anche lei come la Madonna, Maria), il grido! Si è alzata proprio di scatto ed ha gridato: "Ma io il Vangelo l'ho ascoltato sulle ginocchia di mia zia Rosa, che non sapeva né leggere, né scrivere, e come mi lei parlava, di Gesù, non me ne ha parlato più nessuno!".
Un altro ricordo: mi capitava, tempo fa, di partecipare qui vicino, a Spinaceto, ad una riunione in cui alcuni cristiani appartenenti a certi gruppi moderni - sapete, di quelli che parlano della necessità di ricominciare tutto da capo, di fare lunghi cammini, di conoscere a fondo la Bibbia - cercavano di spiegare agli altri queste nuove strade per essere veramente cristiani, come dicono loro. E la riunione era lunga: tante parole... E c'era, proprio di fronte a me, dall'altra parte della stanza, un signore di una certa età, che, vedevo, faceva una gran fatica a seguire il discorso: guardava con aria attenta ed intensa, cercando di capire .
Ad un certo punto - erano passati ormai parecchi minuti - s'è alzato quasi di scatto ed ha interrotto chi stava parlando, quasi gridando: "Ma che mi venite a raccontare, che io non ho mai creduto a Gesù, che non sono mai stato cristiano?! Io, da quando ero piccolo, ho sempre creduto a Gesù Cristo: me l'hanno fatto conoscere i miei genitori. Ed ho sempre creduto e cercato il Signore e gli ho sempre voluto bene!". E si è di nuovo seduto e non ha detto più una parola. Le persone "sapienti" che parlavano, hanno continuato come se niente fosse: chiusi nel loro mondo, nelle loro parole; lontani dal grido di questa persona semplice, ma che aveva sempre cercato il volto del Signore.
E quante persone così, ho conosciuto nella mia vita! Quanta gente semplice dal cuore appassionato, ho conosciuto! I "semplici" di cui parla il Vangelo di oggi. Badate: essere "semplici" non significa non essere persone, a volte, di straordinaria intelligenza e cultura.
Ma, vedete, uno dei drammi della vita della Chiesa è che ci sono dei gruppi di cristiani che si rinchiudono nelle loro parole, nel loro saper tutto, nel loro pensare di conoscere a fondo la Bibbia. E questo succede anche alle autorità della Chiesa: il Papa, i Vescovi non vivono forse all'interno delle loro Curie, circondati dai loro leccapiedi, pronti a dir loro che hanno sempre ragione? E vivono lontano dalla vita della gente, dalla gente che tribola, dalla gente che è affaticata e oppressa, che si porta nel cuore i dubbi, le difficoltà!
Ma c'è qualche cosa ancora di peggio: noi preti spesso veniamo educati all'interno di grandi mondi di parole "teologiche", di grandi costruzioni di idee, lontano dalla vita della gente, dagli affanni di ogni giorno, lontano dalle gioie e dai dolori della vita, lontano dalla fatica del lavoro, dai problemi quotidiani. Parole astratte, in cui tutto sembra logico e sicuro, ma in cui non c'è più la vita!
Io ho avuto la fortuna - nella mia vita di prete, ormai lunga - di incontrare tante persone di tutti i giorni, che mi hanno fatto fare esperienza di Gesù. Gente dal cuore semplice: a volte bambini, con la loro ingenua semplicità, a volte persone dai capelli bianchi, ricche di anni e di esperienza; gente a volte senza cultura, quasi analfabeta, a volte gente che aveva studiato a lungo, di grande intelligenza e cultura. Tutta gente dal cuore semplice, dal cuore appassionato; gente che si portava dentro i suoi dubbi, le sue incertezze, la sua passione per la verità e per il bene. Gente che era mille miglia lontana dal pensare di sapere tutto; gente che non si stancava di cercare ancora il volto di Gesù!
E nella mia vita ho incontrato anche tante persone con il cuore affaticato e oppresso, persone che avevano pesi dentro il cuore. Con loro ho cercato qualche volta il Signore: non sempre, purtroppo, c'è riuscito di trovarLo! Non sempre ho saputo aiutare chi aveva un peso sul cuore, chi si sentiva affaticato e oppresso, ad incontrare il Signore! Ma posso assicurarvi: le volte che insieme ci siamo riusciti, è stata un'esperienza di grande gioia! Perché veramente il Signore ha il cuore "mite e dolce" ed incontrare Lui, è incontrare la liberazione, la salvezza, la gioia! I ricordi più preziosi della mia vita sono quelli in cui, insieme a qualcuno che aveva il cuore pesante, ho potuto fare esperienza di Gesù: della sua vita, della sua gioia, della sua liberazione!
Non vi fate ingannare dalla gente che pensa di sapere tutto, da chi vive lontano dalla vita di ogni giorno e sa dire solo parole astratte e, a volte, pesanti. Ascoltate il grido del Signore! CercateLo con cuore appassionato e sincero, con tutta la tenerezza e la dolcezza del vostro cuore! E quando ciascuno di noi si porta un peso dentro, quando ci sentiamo "affaticati e oppressi", Lui non può deluderci: è venuto per questo, per accoglierci, per spalancarci le braccia! Per questo ha inventato di farsi pane; per questo ci raduna qui, ogni domenica: perché ciascuno di noi possa incontrare Lui, dal cuore dolce e mite.
Lo Spirito ci aiuti ad accoglierLo!
Quel giorno Gesù disse: "Ecco, il seminatore uscì a seminare... 14 luglio 1996
Io ho abbastanza anni dietro alle spalle per avere ancora conosciuto il mondo contadino, che era rimasto, in gran parte, uguale a quello del tempo di Gesù. Quando ero ancora bambino ho visto il contadino camminare lungo i solchi e spargere a mano il seme, con gesti lenti e misurati, frutto di esperienza antica. Ho conosciuto le ansie, le preoccupazioni per questo seme, esposto a mille pericoli: l'acqua eccessiva o la siccità, le erbacce, le malattie, il terreno pietroso... Ho visto poi - con gli occhi incantati di un bambino che viveva in città - la grande festa della mietitura: i canti, i balli, gli scherzi, sulla grande aia, dove si radunava tutto il paese. Ho potuto cogliere gli occhi lucidi dei contadini, che immergevano le mani nei sacchi colmi di grano, lieti perché avevano procurato il nutrimento per sé e per la propria fa miglia, per tutto l'anno. La gioia si esprimeva in mille modi!
Ma ho avuto anche la fortuna straordinaria di conoscere, in quel mondo contadino, i "piccoli e i semplici", di cui ci parlava il Vangelo domenica scorsa, che mi hanno fatto vedere come, attraverso queste immagini, Gesù tenta di comunicarci tutta la forza della sua speranza, tutto il contrasto tra la fatica di spargere il seme, la fatica di credere nel bene, nell'onestà, la fatica di comunicare dei valori a chi ci cresce accanto, e la certezza, la fiducia che il buon seme porterà il suo frutto! Ho avuto la fortuna di cogliere, attraverso queste immagini, il coraggio della speranza che Gesù è venuto a metterci nel cuore!
Capite, allora, lo stupore e la gioia che ho provato quando, crescendo, ho scoperto (me l'hanno insegnato altri "semplici", ma non di quelli che appartengono al mondo contadino: studiosi, che avevano cercato a lungo fra le pieghe del Vangelo) che la spiegazione della parabola, che abbiamo letta oggi non è di Gesù, ma di qualche persona della comunità: di quei "sapienti", che purtroppo non mancano mai, quelli che pensano di sapere tutto e che, quando la gente fa un po' fatica a capire... - "Ma cosa vuol dire Gesù?" - subito: "Te lo spiego io!"...
E avete ascoltato la spiegazione? Tradisce completamente il Vangelo! Gesù parla del seme e loro parlano della terra; Gesù parla della sua parola, parla della speranza e loro ti fanno fare l'esame di coscienza: "Che terreno sei? Quante spine ci sono nel tuo cuore? Quanta terra arida c'è in te?"... Ma che importa tutto questo, di fronte alla speranza, che Gesù vuol metterci dentro?!
Ho capito poi perché anche i discepoli si lasciano prendere dalla tentazione di fare la morale. Vedete: chi, come me, predica da tanti anni, sa che la cosa più difficile è comunicare la speranza, annunziare la fiducia e trasmettere un po' della passione per la vita che Gesù aveva nel cuore!
Ma se il Vangelo è arrivato fino a noi, è perché non ci propone facili moralismi, ma i valori essenziali della vita, tenta di metterci passione per la vita e fiducia e speranza, dentro il cuore.
Quello che è così difficile per noi preti, non mancate di farlo voi! Ci sono qui parecchi nonni, dei genitori, qualche insegnante: quello che è importante comunicare ai ragazzi, che ci crescono intorno, non è il moralismo, non sono le regole per il buon comportamento: è il coraggio della speranza! È la fiducia in se stessi, nel mondo che hanno intorno, nella vita, nella Parola del Signore!
Senza fiducia, senza coraggio di sperare, non si va lontano. Le regole, tutti ce le danno: accendete la TV e sentite che tutti predicano, tutti ammoniscono, tutti gridano, tutti danno regole, tutti danno consigli e precetti. Ma un ragazzo che cresce ha bisogno di avere dentro di sé il coraggio di guardare lontano, ha bisogno di credere nel seme, ha bisogno di aspettare la mietitura! Ha bisogno di credere: nell'onestà, nella vita, nel mondo, in se stesso!
Il Signore dia a tutti noi il coraggio di essere testimoni di speranza!
Il regno dei cieli si può paragonare ad un uomo che 21 luglio 1996
ha seminato del buon seme nel suo campo...
ma il suo nemico seminò zizzania in mezzo al grano.
Vi siete mai fatta questa domanda: perché spesso gli uomini religiosi - un po' in tutte le religioni del mondo, ma anche nella nostra - sono intolleranti, mentre Gesù manifesta tante volte, nelle parole e negli atteggiamenti, una grande tolleranza? Io mi son posto varie volte questa domanda; e ad un certo momento della mia vita si è fatta più inquietante, perché un amico mi diceva che soltanto quando si comincia a non credere più sino in fondo a qualcosa, si può diventare tolleranti. E mi sembrava incredibile dover ammettere che Gesù non credesse sul serio nei valori che annunziava. Doveva esserci da qualche parte la magagna... E mi pare di averla trovata: un po' nell'esperienza della mia vita, un po' in queste straordinarie parole che abbiamo ascoltato.
Vedete ‑ se capisco qualcosa ‑ noi uomini diventiamo intolleranti perché spesso pensiamo di difendere dei valori: la giustizia, la verità, la pace, la libertà; e invece ci ritroviamo a difendere soltanto le idee che abbiamo di questi valori, le nostre idee, le idee del nostro clan, della nostra cultura, della nostra tradizione.
E la cosa si complica, quando questa tradizione è religiosa: se le nostre idee vengono da Dio, abbiamo la Verità assoluta! E capite che allora dobbiamo difendere non soltanto noi stessi, ma Dio. E intorno troviamo degli avversari, dei nemici: quelli che non la pensano come noi. E rischiamo - purtroppo, lo sapete, non è un rischio soltanto a parole - di bruciarli sul rogo. Pensavamo di difendere Dio... e difendevamo soltanto noi stessi: le nostre idee, il nostro modo di vedere, le nostre tradizioni, i nostri schemi mentali, quelli che il Vangelo chiamerebbe i nostri "sabati"!
Gesù è diverso: Lui ha orrore di calpestare anche una sola pianticella che sta spuntando, magari pensando di strappare quello che rovina il grano. Gesù teme di soffocare il seme che sta per spuntare, di non accorgersi del lievito, che fa lievitare la massa!
Vedete, chi difende le proprie idee, vede nell'altro un nemico: e non l'ascolta più, non è più capace di dialogo, non si accorge se l'altro si porta dentro dei valori!
Gesù ha saputo essere libero fino in fondo, dalle tradizioni, dagli schemi. dalla paura dell'altro. E può ascoltare e può cercare nell'altro ogni seme, ogni barlume di verità, di libertà, di vita!
E vede nell'altro un fratello e, se sbaglia, aspetta. Aspetta con pazienza: che possa aprire gli occhi, che possa anche lui aprirsi ai valori e alla vita! A Gesù non interessa che l'altro sia bruciato: perché ci crede sul serio nei valori di cui parla; perché l'altro lo considera un fratello e vuole che gli si apra il cuore!
No, non è che Gesù ci creda di meno, anzi proprio perché crede fino in fondo ai valori che si porta dentro, desidera che in ogni uomo - ogni fratello - fioriscano i semi della verità e del bene!
Allora ogni intolleranza è veramente vinta nel profondo: perché non si ha paura dell'altro e si crede serio in ciò che si tenta di annunziare e si vorrebbe che spunti in ogni cuore! E se si scorge un seme, piccolo come un granello di senape, si fa festa! E se si vede una pianticella che spunta, si ha una grande paura di calpestarla e strapparla! E dove si vede qualche cosa che lievita, il cuore freme e aspetta che la pasta sia tutta lievitata! E se si può, si dà una mano...
Questo è il cuore del credente! Ma non è semplice, per noi. Per questo, ci conviene ancora invocare lo Spirito di Dio!
"ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente..." 1 settembre 1996
"Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi
perderà la propria vita per causa mia, la troverà".
Due storie drammatiche, come avete ascoltato: quella del profeta Geremia, che conosce, per giorni e giorni, la persecuzione, la violenza; e vuole quasi abbandonare la partita, rinunziare ad essere testimone di Dio. E, nel Vangelo, Gesù che ormai comincia ad intravedere che lo sbocco della sua vita sarà la croce; e Pietro cerca di trattenerlo... ma Lui sa che deve andare sino in fondo. Situazioni drammatiche, di giusti che si scontrano con la violenza, con la persecuzione, con l'oppressione!
Che c'entriamo noi, con queste storie? Noi viviamo in un tempo relativamente tranquillo: a nessuno di noi - almeno alla maggior parte di noi - è chiesto di vivere in una situazione di violenza; nessuno è chiamato a subire la persecuzione, a mettere a rischio la propria vita. Allora, che senso hanno per noi le parole in cui Gesù sembra richiedere ai suoi discepoli il coraggio di perdere la vita?
Vedete, i valori - di questo si tratta - che ogni cristiano, che ogni credente, che ogni uomo è chiamato a testimoniare, vengono messi in pericolo - succede anche oggi, in molte parti del mondo - non solo dalla persecuzione violenta, dall'oppressione; ma anche da un clima sereno e, a volte, accattivante, ma in cui mancano i valori, dalla mancanza di fiducia, dalla mancanza di coraggio, dalla paura!
Mi capitava qualche giorno fa di parlare con due ragazzi di una scuola del nord (scuole forse più serie delle nostre), dove invitano i ragazzi, nel penultimo anno, a fare un'esperienza di lavoro: qualcuno in fabbrica, qualcuno in un ufficio, durante le vacanze. Quelli con cui parlavo io, avevano fatto il loro mese di esperienza in un efficientissimo comune del nord ‑ non parlo dei nostri uffici qui di Ostia! E domandavo a questi ragazzi: "Allora, avete imparato a lavorare?" ‑"No, mi hanno risposto, abbiamo imparato come non si lavora!". E non è un bel viatico per dei ragazzi che l'anno prossimo devono affrontare la maturità...
Questo, purtroppo, non succede soltanto a loro: un ragazzo che affronta, spesso con entusiasmo, il lavoro, si trova a volte circondato dal disinteresse, dall'incompetenza, dalla disorganizzazione, qualche volta dalla disonestà. Nessuno lo perseguita, nessuno ‑ almeno normalmente ‑ gli punta una pistola alla testa, nessuno lo inchioda su una croce; ma intorno, spesso, gli dicono, quasi sottovoce: "Se lavori, sei fesso!".
Chi conserverà, in questi ragazzi, il coraggio dell'onestà, l'entusiasmo, la voglia di fare? Chi dirà ai nostri ragazzi - che la moda corrente convince a mettersi un orecchino al naso o nella pancia - che se pur possono lasciarsi convincere per cose simili, non possono lasciare che la moda metta in questione i valori fondamentali: l'onestà, la libertà, la solidarietà, la vita condivisa, la voglia di amare fino in fondo, il coraggio di scegliere, di prendere posizione? È in gioco la loro anima, la loro dignità uomini.
Vedete? le parole del Vangelo riguardano un po' anche noi: anche me, ma anche tutti voi. Ci sono nonni, genitori...: tutti dobbiamo essere testimoni di qualche cosa per cui valga la pena anche di giocarsi la vita! Avete sentito dal profeta Geremia qual è la condizione: avere un fuoco dentro, una luce nel cuore, qualche cosa di importante in cui credere sul serio!
Per noi, forse, il fuoco è un po' troppo... Chiediamo allo Spirito di Dio che ci conservi acceso, dentro, almeno un focherello, un lucignolo magari fumigante... per essere, anche noi, testimoni di qualcosa per cui valga la pena di vivere!
Il Signore ci aiuti!
"Tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e 8 settembre 1996
tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo"
Io sono stato educato - e credo sia successo a molti di voi, specialmente a chi ha i capelli bianchi - in una religione in cui tutto era (o meglio, sembrava) semplice, chiaro, logico, ragionevole; in una religione in cui il Vangelo era (o meglio, sembrava) interpretato allo stesso modo in ogni angolo della Chiesa, come era stato interpretato nei tempi precedenti.
L'esempio di oggi può forse aiutarci a capire. "Se due di voi si mettono d'accordo per chiedere qualunque cosa al Padre, Lui ve la concederà": possono esserci parole più semplici? Mi hanno insegnato in mille modi che, se chiedevamo insieme qualche cosa, con fiducia, al Padre, Lui ci avrebbe ascoltato. E nella Chiesa vedevo moltiplicarsi i luoghi dove migliaia di persone si riunivano per chiedere qualche cosa a Dio. E lì potevo andare a vedere anche i segni, i ricordi (gli ex-voto) delle tante grazie che Dio aveva fatto.
E l'altra parola che abbiamo ascoltato: "Quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo". L'interpretazione che ho sentito tantissime volte, quando ero ragazzo, è semplice: c'è il sacerdote, che nel confessionale assolve e scioglie e perdona; e quello che lui ha perdonato, è perdonato anche da Dio. Al papa - perché, sapete, in un'altra pagina del Vangelo queste parole sono riservate a Pietro - e poi ai vescovi e ai sacerdoti è dato il compito di sciogliere e di legare. Non vi sembra tutto semplice?
E poi, la vita... l'esperienza... gli anni che passano... gli occhi con cui ti guardi intorno! I i santuari non si riducono spesso ad un gran luogo di commercio? E non si trova qualche volta - forse non nei santuari ufficiali, ma in quelli che sorgono di volta in volta, intorno a qualche santone - il fanatismo? E l'ignominia di chi ti dice: "Non sei stato esaudito? È colpa tua! Non hai saputo pregare! C'è un guaio nella tua casa? C'è qualcuno che ha commesso un peccato!". Ho visto piangere disperatamente qualcuno accusato dai suoi familiari perché il "santone" aveva detto: "Se tuo padre è morto, è perché qualcuno di voi ha commesso un peccato!". A questo si può ridurre la religione, quando le parole del Vangelo diventano troppo semplici. Ma per venire a qualcosa di più vicino alla vita di ciascuno di noi: quante volte abbiamo pregato, quante volte anche in una famiglia ci si è messi insieme per chiedere con grande intensità, qualche cosa di buono, di importante per la nostra vita?! E non siamo stati ascoltati... Quante volte abbiamo fatto esperienza del silenzio di Dio?!
E la confessione! A che cosa s'è ridotta, in molte parti della Chiesa, se non allo stanco e sterile ripetere di formulette imparate da bambini, o peggio al tentativo di un uomo, di dominare la coscienza di un altro uomo, di imporre in nome di Dio il suo modo di pensare?!
Ma allora, mi direte voi, che cosa sono queste parole? Ah! queste parole sono parole grandi, che non hanno una spiegazione semplice: la vita non lo permette!
Mettersi davanti a Dio, tentare di pregare, non è qualcosa di magico: "Io prego, chiedo e, se sono una persona per bene, sono esaudito": non è vero! No, corrisponde alla nostra vita! E chi parla così vi inganna: vuole dominare o turbare il vostro cuore! State lontano!
Tentare di pregare - quello che facciamo ogni giorno - è cercare la luce, è cercare la volontà del Padre, cercare di intuire le vie della vita, cercare il bene! Cercarlo nel momento della gioia ed anche nel momento della disgrazia! di quella disgrazia che a volte è inevitabile. E non c'è preghiera che la tenga lontana! e sconvolge la nostra vita! e non capiamo più che cosa Dio vuole da noi in quel momento! E tentiamo allora di trovare in Lui la speranza, il coraggio di andare avanti, il coraggio di credere ancora nel bene!
E quando guardiamo il male che sta dentro di noi e intorno a noi, nelle nostre case, nel posto di lavoro, nella società... non c'è confessione che tenga! Sarebbe semplice, se bastasse un segno di croce per risolvere tutto.
A ciascuno di noi è affidato il compito di "sciogliere e legare", a ciascuno è chiesto il coraggio di combattere il male, dentro di sé, intorno a sé, nella vita di ogni giorno. Non servono i gridi, i lamenti, non servono le "assoluzioni"! È molto più importante che ciascuno di noi ‑ nel proprio cuore prima di tutto, e poi intorno a sé ‑ pazientemente, con costanza, senza scoraggiarsi, cerchi di capire dov'è il male e di toglierne almeno un po'. Dio (questo è il senso delle parole che abbiamo ascoltato) non fa magie: non interviene Lui a togliere il male, ce l'ha detto tante volte. È il compito nostro, la nostra fatica di ogni giorno!
Ma, che vuol dire nel concreto della nostra vita? Rifuggite dalle soluzioni semplici! Non ascoltate chi grida, chi predica troppo, coloro che ritengono che il mondo sia pieno di male, che vada sempre peggio! Fanno cader le braccia, non solo a se stessi, ma anche a chi sta loro intorno, e quando ci hanno messo la paura nel cuore, quando ci hanno tolto la fiducia, quando ci hanno tolto la speranza, non si combatte più: né per togliere il male, né per costruire il bene!
Coraggio, allora! Il Signore Gesù è venuto in mezzo a noi per metterci la speranza nel cuore, per affidare alle nostre mani il coraggio della vita! E in Lui, ogni domenica che ci ritroviamo qui, - questo è pregare! - cerchiamo la luce, in Lui cerchiamo il coraggio di camminare ancora, in Lui cerchiamo la speranza!
Lui ce la doni! A tutti.
"Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello?" 15 settembre 1996
Perdonare, perdono, essere perdonati... pentimento, pentiti, pentirsi...: parole che ascoltiamo ogni giorno; parole che anche a noi capita di dire quasi ogni giorno, pensando di dire, tutti, la stessa cosa. Eppure, vedete, queste parole sono usate in mille modi diversi, anzi in milioni di modi diversi: a seconda delle persone, delle circostanze, dei luoghi. Non ci sono parole più equivoche di queste: nella vita di ogni giorno e nella vita cristiana!
Qualcuno di voi avrà colto anche le contraddizioni che ci sono nelle letture di oggi. Pietro domanda: "Quante volte devo perdonare? Fino a 7 volte?" E Gesù: "Fino a 70 volte 7". Come Dio... il quale perdona una volta sola - avete ascoltato la parabola!- Ma non aveva detto "70 volte 7"?! Una sola! poi, in prigione!
Perché vi sottolineo questo? Perché stasera vorrei soltanto invitarvi a pensare un po' con la vostra testa: anche perché dietro queste parole non ci sono soltanto tanti significati diversi, ma anche, a volte, il tentativo di mettere dei pesi nel cuore e nella coscienza delle persone.
Vorrei soltanto offrirvi due riflessioni che, pensando e ripensando sulle varie pagine del Vangelo che parlano del perdono, mi è capitato di fare.
Ma vorrei pregarvi, all'inizio, di una cosa: non traete subito conclusioni! Parlare del perdono è la cosa più difficile che ci sia; e quello che io dico certamente ognuno di voi lo interpreterà in maniera diversa. Sia soltanto uno spunto per riflettere!
La prima riflessione è questa: noi spesso, quando parliamo di perdono, di pentimento, di peccato, lo facciamo a partire da un fatto, da una colpa. Siamo convinti che ad un fatto, ad una colpa debba corrispondere una condanna, una pena, una espiazione. Cosa può significare "perdonare una colpa"? forse dimenticarla? forse riparare il male causato? Noi siamo spesso attenti alle "cose": ci preoccupiamo del danno che il male produce. Il Vangelo parla del perdono non a partire da un fatto, da una colpa, ma da una "persona"! Ed è cosa profondamente diversa.
Un esempio forse può aiutarci a capire. Immaginate che due persone siano di fronte ad un ladro, che ha svaligiato un appartamento: sua mamma ed il padrone dell'appartamento: due modi di pensare profondamente diversi! Ma non traete facili conclusioni! Non pensate, per esempio, che il padrone di casa correrà subito a denunziarlo ai carabinieri e la mamma non lo farà mai: probabilmente succederà il contrario.
Il padron di casa può pensare: "Vado dai carabinieri... Che vado a fare? Faccio un buco nell'acqua, perdo il mio tempo, rischio addirittura di essere preso in giro". Avete mai provato ad andare a denunziare un furto nel vostro appartamento?... Il padron di casa, che è saggio, dice: "Eh! Non mi conviene denunziare niente, c'è anche il rischio che questo ladro abbia dei complici e mi facciano di peggio! Meglio un furto in casa che una malattia! Meglio cercare di dimenticare!".
La madre, no! La madre - se in questo nostro paese finisse presto il clima di omertà, in cui un po' tutti viviamo - correrà dai carabinieri, a raccomandarsi che arrestino quel figlio, che lo fermino! Perché lei vuole, per prima cosa, che quel figlio non rubi più! Al padron di casa interessano le sue "cose": interessa la casa che gli hanno svaligiata, interessa il tempo che perde. Alla madre non interessa niente di tutto questo: alla madre interessa solo quel "figlio": vuole che quel figlio la smetta, vuole che diventi una persona perbene. E si domanderà, non una ma mille volte: "Perché questo mio figlio ha rubato?! Chi lo ha traviato?! In che cosa ho sbagliato?!"
Se lo domanderà tante volte. E forse non riuscirà a capire. Ma si sforzerà, con tutta la passione del suo cuore, di fare in modo che quel figlio non rubi più, che quel figlio cambi veramente! E se il padron di casa cercherà in ogni modo (e lo farà per il suo bene, in fondo) di dimenticare quello che è successo, quella mamma non potrà mai dimenticare suo figlio!
Ora, vedete, spesso noi pensiamo al pentimento, al peccato, al perdono, a partire dai fatti, non a partire dalle persone. Dio, invece, ha passione per le persone: per me! Dio, i miei peccati, può dimenticarli; ma non può dimenticarsi di me! Non può dimenticarsi di me perché Lui è Padre! E vuole che cambiamo! E vuole che diventiamo "nuovi"! Per Lui ogni uomo è sacro... non le cose!
Se posso aprire una parentesi: mi sorprendo, qualche volta, nel vedere che nel nostro paese da qualche tempo a questa parte, si mette facilmente la gente in prigione, anche prima del processo; ma poi, quando escono, per vari motivi, magari perché si sono "pentiti", continuano a disporre di grandi ricchezze, che si presume non siano frutto di onesto lavoro, e li troviamo a far vacanze in posti ricchi e costosi. Non sarà che nel nostro paese sono più sacri i denari, le cose, che le persone?!...
Provate a seguire anche il secondo ragionamento, che è poi simile al primo. Nel Vangelo, quando si parla del peccato, del male, non se ne parla mai a partire dalla gravità della colpa commessa, ma a partire da chi la commette. Riflettete un momento: è lo stesso il male compiuto da chi è vissuto in una famiglia perbene, circondato di affetto, di amore, di rispetto e di attenzione, ed ha potuto a lungo frequentare la scuola, educato da bravi insegnanti... e il male compiuto da chi è vissuto in un ambiente degradato, circondato da violenza, conculcato nella sua persona fin da quando era bambino? Possono essere tutti e due giudicati nella stessa maniera? Può essere giudicato allo stesso modo un uomo che commette il male, essendo sano di mente, con un carattere equilibrato e positivo, ed una persona che commette la stessa azione, ma ha delle tare ereditarie e dei profondi squilibri della sua personalità?
Secondo Dio, no! Tutto parte - per usare la parola che troviamo spesso nel Vangelo - dai "talenti", dai doni che uno ha ricevuto. E chi ha ricevuto di più, è più responsabile!
Non affrettatevi a trarre delle conclusioni! Il primo compito della società è quello di impedire a chicchessia di fare del male, sia esso educato bene o male, tarato o non tarato. A tutti i costi. Ma questo non basta: quello che ci farebbe fare una svolta importante, è cercare di capire, studiare, conoscere i tanti aspetti della personalità umana e della società in cui viviamo. Non basta condannare, non basta la prigione! Se non capiamo perché crescono nel cuore di un bambino certe tare, certi squilibri psicologici e non cerchiamo di cambiarli, se non capiamo certi aspetti della violenza umana, continueremo solo a lamentarci, magari invocando la pena di morte, la vendetta, il castigo!
Noi spesso non guardiamo le persone, guardiamo i fatti. Non consideriamo la gente che ci sta intorno, come figli e come fratelli: li consideriamo soltanto come persone che hanno commesso un reato. Dio ci guarda in un altro modo! Ci guarda come figli! E vorrebbe che nessuno di noi facesse del male, facesse soffrire gli altri!
Mi fermo qui, pregandovi di non trarre affrettate conclusioni. Volevo offrirvi soltanto qualche spunto per riflettere; volevo soltanto suggerirvi che Dio giudica non a partire dai fatti, dalle colpe, ma dalle persone! Non a partire dai reati, ma dai doni che ha ricevuto chi quei reati ha commesso! E forse anche noi dovremmo abituarci a fare così!
"I miei pensieri non sono i vostri pensieri, 22 settembre 1996
le vostre vie non sono le mie vie".
...mormoravano contro il padrone: "Questi ultimi hanno
lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi che
abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo".
Se vi capita in questi giorni di parlare delle tante ingiustizie che sembrano di nuovo venir fuori in questo nostro paese, e di chi accumula grandi guadagni in modo illecito, o di giudici, che sembrano parlare molto e lavorare forse poco (sempre a nostre spese...), non citate questa pagina del Vangelo: rischiate risposte piuttosto brusche, se non peggio.
Se vi capita di parlare con qualcuno che lavora assai e viene pagato - a volte succede - allo stesso modo di chi lavora poco o forse niente, non citategli questa pagina del Vangelo, che sembra dar ragione agli imbroglioni, ai fannulloni: rischiate parolacce, se non peggio.
Il fatto è che di tutte queste cose la pagina di oggi non parla affatto: non parla di giustizia, di rendere la giusta paga a chi lavora. Se qualcuno di voi fosse andato da Gesù a porre domande su queste cose, a chiedere quanto è giusto dare di paga ad un operaio, come si combatte l'ingiustizia, Gesù avrebbe risposto come in certe pagine del Vangelo: "Perché non giudichi da solo quello che è giusto? Perché vieni a chiederlo a me? Sono forse io il giudice delle vostre cose?".
Se qui non si parla di giustizia, di cosa si parla?
Provate ad intuire, perché io non sono in grado di spiegarvelo. Vi è mai capitato di parlare con una famiglia in cui un ragazzo - che magari si è diplomato o laureato con voti ottimi - non trova lavoro? E passano i giorni, i mesi, gli anni... e fa domande dappertutto... senza trovare nulla. Si avvilisce e non sa come occupare le sue giornate e non trova il senso della propria vita. Il discorso si fa preoccupato, ansioso. Non si parla di paga: si parla di lavoro, di qualche cosa che dà valore e senso alla vita! Se vi capita di parlare con un uomo che, a 45 o 50 anni, ha perso il suo lavoro e non vede nessuna prospettiva di lavorare di nuovo, là troverete la disperazione!
E se poi considerate che nel Vangelo (e nella Bibbia in genere) "lavorare nella vigna" è soltanto un simbolo: un simbolo della vita, dei valori che la rendono bella e viva, un simbolo della giustizia, della ricerca della verità, dell'onestà, allora capirete la preoccupazione di Dio, che dice di essere simile a questo strano padrone, che va a cercare i suoi operai fino all'ultima ora. Perché a Lui interessa che lavorino, che la loro vita abbia un senso, che sia ricca di valori, che sia ricca di giustizia!
Noi siamo abituati a giudicare in termini di paga, di ricompensa, di premio e di castigo. Dio è abituato a cercare il senso della vita, il valore della vita, la gioia della vita! È questo che a Lui interessa, perché siamo suoi figli e gli sta a cuore che la nostra vita sia ricca, bella, piena di valori.
E se ci sono valori nel cuore, se la nostra vita è ricca di onestà, di ricerca di verità, di amore per la giustizia, poi sarà più semplice per noi giudicare di giustizia e di ingiustizia, capire quanto si deve dare a chi lavora e come si può impedire, a chi è ingiusto, di rubare.
Il Signore aiuti anche noi a capire un po' di queste cose! Perché è importante.
"Figlio, va' oggi a lavorare nella vigna". 29 settembre 1996
"Non ne ho voglia", ma poi, pentitosi, ci andò.
La parabola dei due figli è chiarissima. Fare una predica dovrebbe essere semplice, secondo la maggior parte di voi, penso, basterebbe dire qualche parola su chi parla e non fa, su chi predica bene e poi razzola male. Ma voi capite che questo già non è molto semplice per chi si accinge a fare una predica: dovrebbe parlare contro se stesso o forse tacere!
Se poi pensate che per queste parole ed altre simili, Gesù è finito sulla croce, capite che qui è in gioco qualche cosa di importante: queste parole sono dette, come avete sentito, contro "i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo". Sono parole con cui Gesù difende i suoi discepoli: la gente semplice che andava con lui, la gente che era vittima degli uomini del potere, di coloro che pensavano di sapere tutto, degli uomini che lo hanno messo sulla croce. Contro di loro, Gesù alza la voce!
Questa parabola è quindi, prima di tutto, una difesa: la difesa della gente di ogni giorno, contro i tanti parolai di ogni tempo, contro quelli che si credono giusti. E voi capite: per me non è facile rendere viva per voi questa parola: dovrei esser capace di far risuonare nel concreto della vostra vita la difesa di Gesù: la difesa di gente come voi che si sforza ogni giorno di fare il proprio dovere, senza sprecare tante parole.
Dovrei esser capace di difendervi contro i tanti parolai di questo mondo: parlano sempre, alla radio, alla TV, sui giornali; uomini di potere: del potere politico, del potere giornalistico, uomini del potere ecclesiastico. Gente che pensa sempre di sapere tutto, che vi punta il dito contro, che dice che voi sbagliate sempre...
Ma questo non potrebbe essere un alibi per qualcuno di voi? Un incoraggiamento per chi si lamenta sempre, per chi parla contro tutti... e poi non è capace di fare qualche cosa di concreto?
E poi non ci sono anche qui, in mezzo a noi, uomini di potere: dei papà e delle mamme e dei nonni, degli insegnanti, delle persone che hanno responsabilità nel posto di lavoro? E questa parabola non riguarda forse un po' anche voi? Qualche volta non vi sentite forse "giusti" e giudicate gli altri? Qualche volta non capita anche a voi di parlare, parlare... di dare buoni consigli e poi non esser capaci di mostrarvi coerenti con questi consigli?
E poi, cosa significa "fare" in confronto al "parlare"? Ho conosciuto delle persone che "facevano" molto, che si davano molto da fare per trafficare, aumentare il loro commercio, portare a casa tanti soldi... e non si rendevano conto che lo facevano per sentirsi qualcuno, per poter dire a tutti: "Io mi son fatto da me!"; e questo dava loro il diritto di giudicare gli altri... e si sentivano sempre in credito verso la moglie e i figli. C'è qualcuno di questi anche in mezzo a voi? E, se ce è, non può sentirsi consolato da questa parola del Signore!
Ho conosciuto delle persone che si davano molto da fare per gli altri, che pensavano di impegnarsi per aiutare i poveri. E non si accorgevano che lo facevano per sé, per sentirsi giusti, per costruirsi il piedistallo da cui giudicare gli altri! C'è in mezzo a voi chi spesso prega per i peccatori, ma "i peccatori" sono sempre gli altri... E forse queste parole di Gesù potrebbero risuonare nella vostra coscienza in maniera un po' ruvida.
Vedete allora che non è facile fare una predica e forse non è semplice nemmeno per voi capire che cosa vuol dirvi Gesù con queste semplici parole.
Vorrei concludere ricordandovi che queste parole son dette, prima di tutto, per difendere i discepoli. Se qualcuno di voi si sente messo sotto accusa, cominci a pensare di non aver capito. Se qualcuno di voi pensa che queste parole son dette per qualcun altro, cominci ad avere qualche dubbio...
Insomma, in conclusione, è bene che stasera ciascuno di voi cerchi di farsi, se ci riesce, la propria predica. Perché una predica per tutti, come avete capito, non si può fare!
Il mio diletto possedeva una vigna... 6 ottobre 1996
"Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà
a quei vignaioli?" "Farà morire miseramente quei malvagi...".
Ho letto ormai più di un centinaio di volte il Vangelo di Matteo con la gente e ho ritrovato spesso in qualcuno lo sgomento che ho provato io, quando per la prima volta, ho colto nella pagina che abbiamo ascoltato certi aspetti. Di cosa si tratta?
Abbiamo ascoltato una parabola che tenta, attraverso i simboli - e l'accostamento alla prima lettura, ci fa capire da dove sono presi questi simboli - di interpretare la storia: gli avvenimenti, quello che è accaduto.
Gesù è venuto tra la sua gente, nella "vigna" che il Padre custodisce con amore, ma i suoi non l'hanno accolto, come tanti profeti prima di Lui, è stato rifiutato, anzi buttato fuori dalla città e ucciso! Cosa ha fatto, il Padre, il padrone della vigna? Lo avete ascoltato: ha fatto "morire miseramente quei malvagi". Com'è possibile?! Dio stesso avrebbe mandato gli eserciti romani a distruggere Gerusalemme, a sterminare quei malvagi, per vendicarsi della morte del Figlio?! Eppure così è scritto, anzi gli altri Vangeli hanno parole anche più dure.
Ma questo è il Vangelo?! È possibile che Dio si vendichi così?! Il Vangelo non è "la parola di Dio"? Non è ispirato dallo Spirito? Se non possiamo credere nemmeno al Vangelo, dove troviamo la Verità?
Alcuni tra voi avranno provato lo stesso sgomento leggendo il Vangelo o - ancora di più, come sapete per esperienza - l'Antico Testamento.
Ma poi è importante capire. Che cos'è "la parola di Dio"? Non è una magia: non è venuto un angelo del cielo a dettare (come pensava qualcuno) parola per parola la Bibbia e il Vangelo. La luce di Dio è affidata a uomini come noi, gente di tutti i giorni, che ci ha consegnato pagine straordinarie, ma in quelle pagine c'è anche - e come potrebbe essere altrimenti? - la fatica di essere uomini, la debolezza di gente come noi, il peccato di gente come noi.
La Bibbia è il faticoso cammino di gente come noi, alla ricerca di Dio e della sua luce! Cammino di uomini: e quindi intriso di debolezze, di errori, di fallimenti, di fatica!
Ma allora, se nella Bibbia, se anche nel Vangelo c'è la pesantezza degli uomini, l'errore degli uomini, dove troviamo la Verità? Fratelli, cercare la verità è compito di tutti: ciascuno di noi nel proprio cuore con sincerità e coraggio, e tutti insieme, con costanza e pazienza, dobbiamo andare alla ricerca della luce.
Ma mentre siamo restituiti alla fatica e alla responsabilità della ricerca, siamo restituiti pienamente alla libertà! Se nemmeno il Vangelo è esente da errori, se nemmeno il Vangelo può dirci la verità assoluta, non può dircelo nessuno sulla terra! E quando voi non siete d'accordo con me, sorridete! non c'è problema. E se vi capita, qualche volta, di non essere d'accordo con qualche vescovo o con il Papa, non vi preoccupate: sbaglia anche il Vangelo!... possono sbagliare tutti.
Nessuno sulla terra ha diritto di dirci come dobbiamo pensare, quello in cui dobbiamo credere. Nessuno ha diritto di dirci: "Così è Dio"! Dobbiamo cercarlo insieme, accettando anche noi di sbagliare come i nostri antichi: anche noi rischiando di mettere, nella ricerca di Dio, le nostre debolezze, i nostri fallimenti; anche il nostro peccato! Ma non ci stancheremo di cercare e tenteremo anche noi di trasmettere, a chi viene dopo, qualche cosa della luce di Dio!
Così hanno fatto quelli che hanno scritto il Vangelo: ci hanno messo dentro un po' del loro peccato - e questo, un po' ci sgomenta - ma sono stati capaci di donarci la luce di Gesù, la certezza del suo amore per noi!
Continueremo su questa strada: più poveri, senza troppe certezze; ma con nel cuore il desiderio della luce di Dio!
Lo Spirito aiuti anche noi!
Il regno dei cieli è simile ad un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. 13 ottobre 1996
Sabato scorso vi invitavo a cogliere anche nel Vangelo la fragilità, la debolezza, il peccato dell'uomo, a cui Dio affida la sua luce. Anche oggi qualcuno di voi avrà colto la fragilità della condizione umana in qualche parola del Vangelo. Questa debolezza, questa fragilità si manifesta ancora di più nel commento alle parole del Vangelo.
Vedete, nella mia esperienza di ragazzo - che forse è simile a quella di molti di voi - queste parabole erano tra le più conosciute. Ho ascoltato tante e tante volte commentare queste parabole -dai miei catechisti, dai preti nelle prediche - e sempre allo stesso modo. Io parlo al passato, ma mi è capitato anche ieri di sentire commentare queste parabole sempre allo stesso modo.
Il "banchetto" è chiaramente l'Eucarestia che celebriamo ogni Domenica, e spesso prendiamo scuse per non venire. Quand'ero ragazzo mi dicevano: "Te ne vai in giro con gli amici o vai a giocare a pallone e non vieni in chiesa. Dio ti chiama, tu non rispondi!". Oppure: "Tu vieni, ma non hai la "veste" pulita: prima di andare a fare la Comunione, sempre bisogna confessarsi, pulire la propria veste, per poter partecipare al banchetto del Signore".
Vivevamo allora tempi in cui i nostri buoni preti erano - e giustamente - preoccupati perché il mondo cambiava in fretta e tanta gente non partecipava più alla Messa. E si affannavano, allora, a convincere la gente che "bisognava" venire a Messa! E forse non si accorgevano che, facendo così, allontanavano la gente dalla Messa! Non basta - e non vale solo per la Messa - dire: "si deve" fare, occorre saperne dare i motivi, essere capaci di comunicarne il senso.
Queste parabole (sono due, lo avete notato) venivano - e vengono purtroppo - interpretate in senso moralistico. Capite il mio stupore quando - ero già prete da qualche anno, pensate... - qualcuno mi ha fatto vedere, qui, lo straordinario annunzio che Gesù ci fa del volto di Dio, della sua passione per la vita dell'uomo!
Altro che l'obbligo di andare a Messa: qui c'è l'annunzio di Dio che vuole la FESTA per la nostra vita! E questa festa si farà, perché è la Sua festa, anche se qualcuno rifiuta di parteciparvi!
Se posso esprimermi con una parabola: negli ultimi due anni, un po' scherzando, un po' sul serio, ho tormentato i miei amici - soprattutto in vacanza, quando si può scherzare un po' di più - con una domanda: "Cos'è che manda avanti il mondo? Cos'è che fa progredire il cammino dell'uomo? Cos'è che migliora la vita sulla terra?" Ho avuto varie risposte - pensateci un po' anche voi - alcune assennate: qualcuno mi diceva: "Sono i geni, le grandi scoperte, che fanno fare un passo avanti all'umanità". Qualcun altro: "E la conoscenza: più si moltiplica il conoscere, più questa conoscenza si diffonde e più l'uomo fa un passo avanti". E un altro: "E il lavoro quotidiano della gente, l'impegno di tutti noi, che fa andare avanti il mondo".
Qualche risposta era un po' più scherzosa: ve le risparmio. Una: io dicevo: "Forse le telenovelas - Beautiful o Sentieri - mandano avanti il mondo più di tutte le prediche che ho fatto io nella mia vita"... E uno scherzo, ma forse non del tutto, se ci riflettete attentamente.
Ma se, al di là di tutto questo, dietro il cammino dell'uomo ci fosse quello che un laico chiamerebbe "lo slancio vitale, la forza della vita", quello che il credente, quello che il Vangelo chiama "la passione di Dio per la vita dello uomo"; il desiderio di Dio che la Sua festa si faccia, in ogni modo; l'impegno di Dio perché il mondo vada avanti, perché la festa della vita pian piano maturi nella storia degli uomini?!...
Se il futuro non è affidato soltanto alle nostre fragili forze, ma alla passione di Dio!... non è questo il messaggio più straordinario per la nostra fede?
Non è questa la nostra suprema speranza: la vita affidata non soltanto alle nostre fragili mani, ma alla passione di Dio?
Se ci credessimo sul serio, si riempirebbe il cuore di speranza! Altro che la facile morale di dire: "Venite a Messa! Non trascurate i vostri doveri di cristiani!"... E importante, questo; ma quant'è più importante avere nel cuore la certezza dell'amore di Dio, la fede nella sua passione per la nostra esistenza, che questa straordinaria parabola vuole comunicarci !
Non lo dimenticate mai: gli invitati non vengono, ma la festa si fa lo stesso! Perché è la festa di Dio: è Lui che vuole la festa per la nostra vita!
Il nostro compito, fratelli, diventa allora quello di non lasciarci sfuggire questa festa, di non chiudere gli occhi alla forza della vita che è intorno a noi!
Ed è anche - se posso aggiungere una parola - la suprema consolazione per voi genitori: nella fatica di far crescere i vostri figli, potete contare sulla forza della vita, sulla passione di Dio per la vita dei vostri figli!
Ed è la nostra suprema speranza! Lo Spirito ci aiuti a conservarla nel cuore!
"È lecito o no pagare il tributo a Cesare?" - "Rendete a 20 ottobre 1996
Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio"
Stasera - ve ne sarete accorti dalla mia introduzione - è sera di domande con poche risposte. Qualcuno di voi dirà: "Come al solito, don Checco!". Sì, come al solito. Il mio rammarico, fratelli, non è quello di non sapervi dare risposte, ma quello di non sapervi fare le domande giuste, di non farvele con la forza sufficiente che vi aiuti a pensare. Penso che chi viene in chiesa per trovare risposte, ormai ha trovato altri lidi, altre persone capaci di dame.
Oggi qualche domanda più del solito, sperando che aiutino a pensare. Se poi per qualcuno queste domande sono pesanti o danno noia, porti un po' di pazienza: cercherò di fare il più in fretta possibile.
Ecco dunque, la domanda da cui vorrei cominciare: è forse vero, che a noi cattolici - e non soltanto qui in Italia - manca spesso il senso dello Stato, il senso della responsabilità civile, il senso dell'impegno verso la comunità, l'attenzione per le cose comuni? Avete ritrovato queste mancanze nella vostra personale esperienza?
E se questo, almeno in parte, è vero, da dove viene tale mancanza? Forse dipende proprio dal Vangelo, dove non si affrontano temi politici e sociali? Quello che abbiamo davanti è forse l'unico caso in cui nel Vangelo si affrontano questi problemi: "Si debbono o no pagare le tasse?". E come avete ascoltato, Gesù non risponde: non dice un Sì o un No; dice una parola tutta da interpretare, e nel corso della storia è stata - e pesantemente - interpretata.
Dipende forse dal fatto che il Vangelo è nato in un gruppo di persone che erano fuori dal gioco dello Stato, della società, perseguitati, e minacciati nella loro stessa esistenza e che quindi non potevano non chiudersi all'interno della loro fede, della loro pratica religiosa?
O forse dipende dal fatto che molto presto il Cristianesimo è stato influenzato da certi filoni della mentalità greca - pur così attenta nel periodo classico ai temi sociali e politici - in cui è forte l'opposizione tra la materia e lo spirito? O forse dall'eccessiva tensione verso l'aldilà, che porta a trascurare la vita di ogni giorno, i problemi del lavoro e della società?
O forse dipende dal fatto che fin dai primi tempi si sono impossessati della riflessione cristiana i monaci, che per principio vivevano separati dal mondo, tutti dediti all'incontro con Dio, tutti dediti alla preghiera? che rinunciavano - o pensavano di rinunciare - alle cose del mondo: al potere, alla vita sociale?
O forse questa mancanza dipende dal fatto che molti di noi sono stati abituati ad una preghiera lontana dalla vita: novene, visite ai santuari, voti, devozioni ai vari santi... e non ad una preghiera per i problemi della vita di ogni giorno, per le venture sociali e politiche del paese?
O forse dipende dal fatto che la maggior parte di noi è stata educata ad una morale strettamente personale, in cui il peccato sommo era il disordine sessuale (guai ad avere un pensiero impuro!); ma non ci si diceva nulla del rapporto nostro con la società, con il bene comune? Ho ascoltato tante confessioni, nella mia vita, ho ascoltato gente che confessava le parolacce, tante persone che dicevano di aver commesso atti impuri. Ma raramente ho sentito un ragazzo dire: "Ho rovinato un muro della mia scuola... ho distrutto una parte del bagno" o "Sono andato, durante la gita scolastica, a rubare al supermercato". Diventano sport di giovani e non colpe; perché la colpa è solo un fatto strettamente privato, personale!
O forse dipende dal fatto (sono tutte domande, ve ne siete accorti. Non voglio darvi risposte) o forse dipende dal fatto che nella tradizione cattolica l'attenzione si è posta sulla famiglia, sulla necessità di difenderla e custodirla e quasi mai una parola viene spesa sulla difesa dello Stato, del bene comune, della collettività? Con il rischio di caricare la famiglia di responsabilità eccessive e di farla sentire isolata e chiusa?
Non si dicono forse tante parole in difesa della scuola cattolica, del diritto dei genitori di mandare i figli ad una scuola scelta da loro; e poche parole perché la scuola di tutti sia ben fatta, curata, difesa, custodita, fatta crescere?
O forse dipende dal fatto che nella vita della Chiesa vige un assoluto potere teocratico, che impedisce alla gente di assumere responsabilità? Dovunque il potere è assoluto la gente non ha il senso della collettività: se vi capita di leggere qualche cronaca della Russia moderna, vedrete a quale devastazione porta, nella coscienza sociale, un potere assoluto. Non succede forse la stessa cosa anche all'interno della vita della Chiesa?
O non dipende dal fatto che noi, nella nostra tradizione cattolica, siamo portati a sacralizzare o demonizzare tutto? per cui nella coscienza di molta gente lo Stato è qualche cosa di lontano, una specie di entità strana e misteriosa, che ci minaccia e ci perseguita?
Ma non siamo "Stato" tutti? Non è "Stato" anche il postino che consegna la lettera? o la maestra che insegna ai nostri figli? o lo spazzino che pulisce le strade? Perché nella nostra tradizione parlare di "Stato" significa parlare di qualcosa di astratto, quasi una rappresentazione del demonio e non della vita, della responsabilità, della realtà di tutti noi, che - TUTTI - siamo in qualche modo "Stato"?
Tutte domande, nessuna risposta. Cercatele!
"Amerai il Signore Dio tuo..." Amerai il prossimo tuo come te stesso". 27 ottobre 1996
Abbiamo ascoltato parole apparentemente molto semplici, che sono nel cuore della nostra fede: "Ama Dio con tutto il tuo cuore... Ama il prossimo tuo come te stesso".
Ma che significano queste parole nel concreto della nostra vita di ogni giorno? Nella Chiesa si è abituati a ripetere parole astratte, a cui non corrisponde la nostra esperienza quotidiana. Se mi riesce, stasera vorrei dirvi qualche parola che sia soltanto un aiuto a riflettere un po', come sempre, del resto. E se mi riuscisse di togliere un peso dal cuore di qualcuno, sarei più che ripagato dello sforzo che ho fatto per preparare qualcosa da dirvi.
Il I° comandamento: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente" Quante volte ho sentito, nella mia vita, delle persone venirmi a dire: "Don Checco, io non riesco ad amare Dio, non riesco a pregare! Mi metto davanti al Signore e non so che dirgli: sono freddo nel cuore. Significa che non gli voglio bene?". Non c'entra nulla! Non c'entra nulla! Nella vita del credente passano momenti più fervorosi, in cui si prega volentieri, quasi di esaltazione mistica; ed altri momenti in cui ci si sente aridi, quasi lontani. Non c'entra nulla, questo, con l'amore di Dio!
Oppure qualche volta ho sentito delle persone dirmi: "Don Checco, mi hanno detto che per amare Dio bisogna rinunziare a se stessi, non pensare più con la propria testa, fidarsi di quello che dice la parola di Dio". Ma si può - secondo voi - rinunziare a se stessi?! Rinunziare a pensare con la propria testa?! Chi vi dice queste cose, forse non pensa lui di dirvi quello che Dio vuole, di sostituirsi, lui alla parola di Dio, alla luce di Dio...
Vedete, la tentazione che hanno tutti gli uomini di religione in ogni parte del mondo, è di imporre la propria volontà, il proprio cuore "in nome di Dio". Amare Dio significa stare lontano da tutto questo: da chi pensa di parlare in nome di Dio, da chi cerca di importi la sua mentalità "in no me di Dio".
E badate che questa tentazione non la vivono soltanto i capi delle chiese, ma talvolta anche i papà e le mamme, che pensano di parlare ai propri figli in nome di Dio. E - senza dirlo apertamente, perché non si può - sembrano dire ai figli: "Se vuoi bene a Dio, devi obbedire a me, pensare come me".
Obbedire a Dio, amare Dio significa cercare il senso ultimo della propria vita, la gratuità, la giustizia - al di là di quello che ti fa comodo, al di là di delle mode che passano, al di là dei tanti poteri di questo mondo - e questo è importante che ciascuno di noi lo faccia: ne va della nostra dignità e libertà di uomini!
Amare Dio significa aprirsi all'Altro: significa vivere la propria vita, giorno per giorno, nella gratuità, nella tenerezza, nella libertà, nell'amore! Ma... cosa significa questo, in concreto? È compito di ciascuno di noi cercarlo, con generosità e semplicità di cuore!...
E il II° comandamento: "Ama il prossimo tuo come te stesso". Ma che significa nel concreto della vita di ogni giorno? Che significa voler bene al proprio prossimo? Vi faccio due esempi, che forse vi aiutano a capire.
Uno lo prenderei dalle cose antiche della prima lettura, dove si dice che amare il prossimo significa non comportarsi con lui come un usuraio. Il problema dell'usura, come sapete, è un problema molto attuale oggi; un problema di cui anche le chiese cercano di occuparsi.
Ma avete sentito come continua l'antica lettura? "Non imporrai nessun interesse sul tuo prestito". Forse questi discorsi andavano bene per una società rurale, in cui si prendeva a prestito il mantello o un attrezzo da lavoro, ma nella società basata sul commercio, sui traffici, sul denaro, questa parola è del tutto insensata! Eppure nella lunga storia della dottrina sociale della Chiesa, spesso fatta dai monaci, si seguitava a condannare, fino a qualche decennio fa, ogni prestito a interesse come "usura". Con che conseguenza? Che tutto si faceva tutto di nascosto, che il denaro, il risparmio, l'interesse, venivano posti tra le cose cattive. Occorre ricordare tutto questo quando si riflette sulla società di oggi, sul diffondersi dell'usura, sull'incapacità di molte famiglie di capire cos'è il denaro, cos'è il prestito, cos'è l'interesse.
L'altro esempio lo trarrei dalla vita di ogni giorno: sentiamo (soprattutto tanta gente di voi dal cuore tenero) tante prediche sul rispetto per gli stranieri, per gli extracomunitari, per gli zingari. Io ho sentito tante volte delle persone - delle brave persone - dirmi: "Don Checco, come faccio a voler bene anche agli zingari, quando li vedo chiedere l'elemosina con quei bambini tutti sporchi, e laceri?! Quando vedo quei ragazzini con in mano il cartoncino, per andare a rubacchiare in giro, io sento qualche cosa che mi si ribella dentro. Eppure, mi dicono che debbo voler loro bene. Forse allora, io non voglio bene al mio prossimo?!...".
Non lasciatevi turbare, avete ragione voi! È una cosa indegna vedere i bambini trattati così! È una cosa indegna che ci siano, nel 1996, persone che sfruttano i bambini, che li educano a rubare!
Non è questo, amare e rispettare gli zingari. Certo, se poi qualcuno di loro tenta di mandare un figlio a scuola, di farlo studiare, di farlo essere come tutti gli altri bambini, e questo suo figlio non viene accettato nella scuola... lì sì che dovreste esprimere tutta la vostra indignazione - prima che di credenti - di uomini! Perché chiunque vuol fare un passo avanti, chi cerca di migliorare la propria vita e quella dei figli, ha il diritto di essere aiutato, in tutti i modi!
Ma chi sfrutta i bambini, chi si serve dei bambini per continuare a vivere in un mondo di inciviltà, non deve essere aiutato su questa strada: amarli non significa seguirli in questo cammino. E quando, quindi, nel vostro cuore non riuscite ad accettare queste situazioni, non vi preoccupate: avete molto più ragione voi, di tutti quelli che predicano.
Non lo dimenticate: i predicatori - e pensate anche a me, ma non solo: ce ne sono tanti, oggi, nel mondo - sono quelle persone che parlano per ore ed ore sull'amore... e non ti salutano nemmeno! Parlano per ore ed ore del dialogo... e non ascoltano nessuno!
Il compito che abbiamo, ciascuno di noi, è di pensare con la nostra testa, di cercare nel concreto della nostra vita, cosa significa amare Dio e il prossimo! Non con tiepidi sentimenti, non con belle parole, ma concretamente: tentando di capire cos'è utile a chi mi sta accanto, come posso fare - insieme alla gente che mi sta intorno - un passo verso una vita più bella, più pacifica e più serena!
Il Signore ci aiuti!
...apparve una moltitudine immensa, che nessuno 1 novembre 1996
poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua.
"Beati i poveri, beati gli afflitti, beati i misericordiosi, i puri di cuore."
Alle volte - succede a me, ma penso anche a qualcuno di voi - il nostro ritrovarci qui insieme, la domenica, è solo un'abitudine un po' monotona, l'adempimento di un dovere. A volte ci portiamo dietro la stanchezza, l'affanno della vita di ogni giorno: il preoccuparci per tante cose, il correre dalla mattina alla sera. A volte veniamo qui con gli occhi offuscati dalle tante violenze, dalle grandi ingiustizie che, ogni giorno, la televisione, la radio, i giornali, ci propongono... e nel nostro cuore si annidano il pessimismo e la sfiducia.
Non so se, anche a voi, le letture che abbiamo ascoltato stasera hanno dato quasi un sussulto... Vorrei comunicarvelo e forse non mi riesce, ma spero ve lo comunichi la Parola di Dio.
Le pagine che abbiamo letto sono forse le più straordinarie del Nuovo Testamento. Nel canto di Gesù che, nel vangelo di Matteo, apre ogni Sua parola, c'è il "farsi carne" di Dio accanto ai sogni più profondi della vita dell'uomo! Non ci portiamo dentro il cuore - tutti quelli che siamo qui - un desiderio di pace, di misericordia, di giustizia, di tenerezza? Non diciamo anche noi che è beato chi sa fare la pace, chi cerca la giustizia, chi sa essere misericordioso? Non sentiamo che veramente questo è il cuore della nostra vita? Accanto a questi sogni Dio si fa carne! Gesù viene a confermare, nel nostro cuore, il nostro desiderio di vita, di giustizia, di bellezza, di libertà, di tenerezza!
E poi le parole dell'Apocalisse ci fanno vedere, in ogni angolo della terra, una moltitudine immensa, di ogni razza popolo e nazione, che si porta nel cuore questi sogni e tenta di viverli ogni giorno. E non fanno rumore, non fanno notizia; e per fortuna non ne sentirete mai parlare in televisione e sui giornali: perché ancora è la cosa più "normale"!
Il ritrovarci qui ogni domenica non è forse proprio questo: il tentare di guardare il mondo con gli occhi di Dio? Non con gli occhi offuscati dal pessimismo per le tante violenze che vediamo alla televisione o dall'affanno e dalla corsa di ogni giorno: guardare il mondo con gli occhi di Dio è vedere tutti i desideri di pace, tutti i gesti di bontà, tutta la tenerezza, tutta la misericordia che c'è nel mondo! E sentire che Dio viene a confermare nel nostro cuore i sogni di bontà e bellezza! E che questi sogni sono condivisi da tanta gente in ogni angolo della terra! E che il bene nel mondo è ancora la cosa "normale" e per questo non se ne parla! E c'è tanta gente nel mondo, che come noi cerca la giustizia e la pace!
Il Signore ci aiuti a farlo ancora!
Io so che il mio Vendicatore è vivo che, ultimo, 2 novembre 1996
si ergerà sulla polvere... vedrò Dio! Io lo vedrò!
"Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me...
io lo risusciterò nell'ultimo giorno".
Qualche giorno fa mi capitava di parlare con un sacerdote, che aveva partecipato ad un grande congresso, in cui erano riuniti insieme tanti vescovi e cardinali di ogni parte d'Europa, per riflettere sulla fede e la vita cristiana; e mi diceva che molti di questi vescovi erano preoccupati perché la maggior parte dei Cristiani non crede più nell'aldilà.
E se è vero questo allora forse c'è, anche in mezzo a voi, qualcuno che si porta nel cuore la preoccupazione, l'ansia, di non riuscire più a credere nell'aldilà. Un'ansia una preoccupazione, che io ho colto tante volte sulla bocca dei credenti.
I vescovi, vedete, hanno un brutto vizio: quello di non domandarsi mai: "Fosse anche un po' colpa nostra, se la gente non crede più nell'aldilà?".
La nostra tradizione religiosa ha riempito l'aldilà di tante immagini: pensate a tutte le rappresentazioni dell'inferno, del purgatorio, del paradiso. Pensate a tutte le idee di premio e di castigo: di giustizia che Dio fa al di là della vita. O pensate alle grandi costruzioni filosofiche, che hanno parlato dell'immortalità dell'anima, della sopravvivenza dello spirito. Oppure pensate a tutto l'apparato di indulgenze, di suffragi, di offerte per i morti: una macchina gigantesca, messa in piedi, in gran parte, per fare denari...
Se qualcuno di voi non crede più a tutto questo, non si preoccupi!
Vedete, noi non crediamo più - la maggior parte di noi non crede più - a tante rappresentazioni dell'aldilà: al premio, al castigo. Pensiamo che Dio sia più grande di tutto questo! Per molti di noi, le idee della sopravvivenza dello spirito, dell'immortalità dell'anima, sono morte da tempo. Per molti di noi tutto l'apparato di preghiere, di "indulgenze" e di offerte per i defunti, è insensato: la maggior parte di noi non può credere più che Dio condizioni la sua tenerezza verso quelli che son morti, in base ai soldi che noi offriamo! Tutto questo appartiene, per noi, a un mondo che non c'è più. Noi non crediamo più a tutto questo, ma tentiamo di credere in Dio!
Chi è un credente? È uno che crede - o per usare parole che in questo tempo vanno di moda in Italia - "crede di credere" che prima della vita, prima di tutto quello di cui si occupa la scienza, prima della grande "esplosione" da cui quello che noi conosciamo sembra abbia avuto origine, prima dell'esistenza di tutto quello che vediamo intorno, non c'è il nulla, le pure forze del caso! Prima di ogni cosa c'è la tenerezza di un Amore: Dio, che non possiamo in alcun modo vedere e immaginare! E crediamo anche che dopo, quando tutto quello che vediamo sarà finito, non ci sarà il nulla, ma di nuovo quella tenerezza a cui affidiamo la nostra vita!
Non è importante che voi crediate nell'inferno, nel purgatorio, nel paradiso, nell'immortalità dell'anima: è importante che possiate dire, come Gesù sulla croce: "Padre, nelle tue mani affido la mia vita!". In Dio, noi crediamo; non nella sopravvivenza dell'uomo, non nell'immortalità dell'anima, non nelle indulgenze, non nei soldi che aiutano quelli che son morti.
In Dio, crediamo! Che "ultimo - come dice Giobbe - si alzerà sulla polvere!". E a Lui è affidata la nostra vita e l'esistenza dell'universo intero.
Quelli che son morti, non immaginateli: non cercate di captare le voci con il registratore, non pensate di vedere presenze intorno! Noi non crediamo in tutto questo: noi crediamo in Dio! Alle mani amorose del Padre è affidata la vita delle persone, a cui abbiamo voluto bene e che ci hanno voluto bene: senza che ci sia dato di sapere come, senza poter vedere e immaginare...
L'unica fede che ci guida nel cammino della vita: che al di là di tutto ci sia Dio! Dio che, "ultimo, si ergerà sulla polvere" e che ci accoglierà nella tenerezza della sua vita!
È questa la nostra fede e questa fede stasera ci riunisce qui. E possiamo tranquillizzare i nostri vescovi: non crediamo più nelle loro antiche parole, non ci interessano più, ma in Dio vogliamo continuare a crederci, nel Dio della vita speriamo di credere fino in fondo. A Lui affidiamo la nostra vita e quella dei nostri cari!
"Non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il 3 novembre 1996
Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare "maestri",
perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo".
Io sono stato così fortunato, nella mia vita, da aver vissuto uno dei rarissimi momenti della storia della Chiesa, in cui il Vangelo era diventato di moda. E quando ero giovane - anche questa, probabilmente, è una fortuna - ero così ingenuo che prendevo sul serio quasi tutte le parole che mi dicevano. Non sapevo ancora, allora, che nella Chiesa si usano ripetere parole e parole, con la convinzione che nessuno le pigli sul serio. A me è capitato di prendere sul serio le parole del Vangelo; e forse ve ne ho dato, in questi lunghi anni, qualche testimonianza. E mi sorprendo sempre di più di quanta distanza ci sia tra certe parole del Vangelo e la vita concreta della Chiesa.
Vedete, io non ho messo al mondo nessun figlio; eppure nella mia vita (specialmente qualche tempo fa), sono stato chiamato "padre" molto più di quelli, tra di voi, che hanno 3, 4, a volte anche 5 figli. Mi hanno chiamato "padre" tutti, anche quelli che erano di molti anni più anziani di me, quando ero ancora un giovane prete.
E se vi guardate intorno, la vita della Chiesa è piena di "padri": ci sono i padri spirituali, i padri provinciali, i padri generali, i padri più o meno "santi"... Ci sono dappertutto "maestri": maestri dello spirito, maestri dei novizi, maestri dei professi, maestri provinciali, generali. Ogni ordine religioso è pieno di "maestri". Ci sono poi documenti di ogni genere, lettere, catechismi, ammonizioni, che tentano di "insegnarci" la volontà di Dio.
Com'è distante, tutto questo, dalla parola così forte che abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi: "Non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo!".
C'è nella nostra, come in tutte le religioni del mondo, gente che rinunzia a formarsi una famiglia, ad essere padre nel senso naturale della parola. C'è gente che rinunzia a far soldi, che affronta grandi sacrifici... ma non sa rinunziare alla più profonda libidine dell'uomo: quella di dominare la coscienza del proprio prossimo, di impossessarsi del cuore di un altro uomo, di renderlo dipendente da sé. Ecco perché tante persone si lasciano chiamare "padre" e "maestro", ecco perché ci sono nella vita della Chiesa tante parole, che mettono pesi sul cuore dell'uomo!
Ho capito, dopo lunghi anni, perché il Vangelo non è mai molto di moda nella lunga tradizione della Chiesa! Ho capito perché in un documento del secolo scorso si arrivava a dire che "è bene non dare il Vangelo in mano ai laici". E sapete perché? "Perché altrimenti diventano liberi". Così è scritto...
Ma io son convinto che Gesù ci chiama alla libertà! E se posso rivolgere un invito a tutti, specialmente ai più giovani: diffidate dai maestri! Uno solo è il nostro maestro: il Cristo. Diffidate da coloro che pensano di sapere tutto! Tenetevi lontano da coloro che mettono pesi sulla vostra coscienza! Cristo ci chiama alla libertà! Lui è il nostro Maestro. Cercate, sì, con tutta la passione del vostro cuore la sua luce. E non cercatela da soli: si rischia di pensare soltanto a se stessi!
La luce del Signore va cercata insieme, da fratelli, però: senza che nessuno pretenda di imporci il suo cuore, il suo modo di pensare, la sua verità. La verità è frutto della passione di tutti, è frutto della ricerca del Signore. A questo ci chiama la sua Parola e oggi ce lo ripete con forza.
Nella libertà di Cristo, con il coraggio di cercare Lui e la sua luce, tentiamo ancora di camminare insieme come fratelli!
Il Signore ci aiuti a farlo!
Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, 10 novembre 1996
prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo.
Ieri sera ci trovavamo con tutte le nostre catechiste per cercare di preparare l'Avvento: bisogna cominciare per tempo, anche se il Natale è ancora un po' lontano. Si trattava di scegliere un tema, di cercare dei segni, dei simboli, per aiutare i bambini e i loro genitori a preparare il Natale.
E abbiamo parlato a lungo dei "sogni" che abbiamo nel cuore, di come Gesù viene a confermare questi nostri sogni, a condividerli con noi. E si cercavano delle immagini che rappresentassero questi sogni per i bambini: il volo dei gabbiani o qualche cosa di simile.
Si andava avanti così, ormai da una ventina di minuti e ciascuno portava il suo contributo, quando una delle catechiste, una delle ultime arrivate - perché per fortuna c'è ancora qualche persona (sono i "miracoli" della vita della Chiesa!) che mette il suo talento, la sua fantasia, il suo amore, in maniera del tutto gratuita, a servizio dei ragazzi e dei loro genitori. Uno dei miracoli che ci permettono di conservare nel cuore la speranza per il mondo: c'è tanta gente che fa così, nel mondo! - Dunque, questa signora, diceva: "Ma voi continuate a parlare di sogni!... Non vi sembra che, così, presentiamo il cristiano come un sognatore, con la testa fra le nuvole, che, come i gabbiani, non mette i piedi per terra?!".
Ci siamo guardati un po' sorpresi, noi ormai da diversi anni, siamo abituati a certe parole... E abbiamo dovuto spiegarle che ogni comunità di credenti ha il suo linguaggio, le sue immagini; e che, nel nostro modo di parlare, il "sogno" ha un significato del tutto positivo. Tenta di esprimere i valori che uno si porta dentro, gli ideali in cui crede.
E vedete son sempre parole astratte: gli antichi non le amano, preferiscono esprimersi con i simboli ed ecco allora l'immagine di queste ragazze che nella notte, con la lampada accesa, aspettano lo sposo! Ma è la stessa cosa: si dice con parole diverse, con immagini diverse, l'essenza della nostra fede! Noi siamo gente che guarda in avanti, che cerca, che conserva la speranza nel cuore! È 1'intuizione fondamentale della fede che ci riunisce qui: era stata, prima di noi, del popolo d'Israele e ancora spingerà in avanti chi crede.
Israele ha intuito che Dio non si incontra nel momento del bisogno, ma quando si ascolta la Sua chiamata ad uscire fuori dalla terra d'Egitto, a lasciare dietro le spalle ogni negatività, per andare verso un futuro, verso la terra "dove scorre latte e miele": verso la terra della pace! E non ci si può fermare, non ci si può sedere! Bisogna conservare la speranza di andare verso un mondo in cui ci sia la libertà, la giustizia, la pace e cercare di renderla concreta ogni giorno!
E per noi Cristiani questo guardare verso il futuro si concretizza nell'attesa di Gesù! Come sarebbe bello il mondo, se tutti fossimo come Gesù! Come sarebbe la vita se i valori, i sogni di Gesù - il suo amore, la sua giustizia, la sua libertà - diventassero concreti per tutti!
Il cristiano è uno che anche nella "notte", che qualche volta vediamo o ci sembra di vedere intorno, tiene accesa la luce della sua speranza e continua a camminare, finché non incontra Gesù!
E c'è un dramma nella vita dei credenti, che questa parabola tenta di esprimere: non è sembrato anche a voi, a volte nella vita, che Gesù sia come uno sposo incosciente, che arriva addirittura di notte, il giorno delle nozze?! Quante volte abbiamo sperato che il mondo fosse migliore! che noi stessi fossimo migliori! che Gesù ci potesse dare una mano! che quello che Lui ha detto si realizzasse! E ci sembrava di aspettare uno sposo così incosciente da far tardi il giorno delle nozze!
E poi... lo Spirito tenta di farci capire che non ci sono magie e scorciatoie, che è compito nostro costruire il mondo, cercare la giustizia e la pace! E la nostra grandezza di uomini, di credenti è quella di inseguire i sogni di Gesù, i suoi valori, la sua giustizia! Come ragazze che nella notte, vigilano con una lampada accesa, cercando di costruire la grande festa, a cui il Signore ci invita!
Il Signore ci aiuti a conservare nel cuore, al di là delle parole - che come vedete sono sempre caduche - la speranza, la certezza che Gesù sarà l'ultima Realtà della nostra storia!
Un uomo, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e 17 novembre 1996
consegnò loro i suoi beni: a uno diede cinque talenti,
a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità.
A voi forse non succede di dover difendere Gesù, a me è successo più volte. Quest'anno, in maniera particolare, ho dovuto difendere Gesù per questa parabola.
Vedete, le nostre catechiste amano questa parabola perché, secondo loro, aiuta i bambini a rendersi conto dei doni che hanno ricevuto e dell'impegno per trafficarli. Usano questa parabola quando vogliono far riflettere i bambini sul male, non a partire dalla legge, dai comandamenti, ma a partire dai doni ricevuti, dai "talenti" da mettere a frutto. Ed hanno ragione.
Ma qualche volta si scontrano non tanto con i bambini: per loro il papà, la mamma, il maestro, la maestra ed anche i catechisti hanno sempre ragione: qualunque cosa dicano, va sempre bene; si scontrano con i papà e le mamme: ce ne sono alcuni, che non hanno mai letto il Vangelo e lo leggono insieme con le catechiste, per aiutare i bambini a capire. E là dove i bambini non fanno difficoltà, ne fanno gli adulti; e qualche volta le catechiste, non sapendo come fare, chiamano me a difendere Gesù!
Da quali accuse devo difendere Gesù, per questa parabola? Sono fondamentalmente due. La prima è più semplice: dicono così: "Don Checco, ma secondo noi non è giusto che vengano dati doni diversi: perché a uno 5 talenti, a uno 2, a uno, povero!, 1 solo? Dio se fosse giusto dovrebbe dare a tutti in uguale misura". Sembra ragionevole eppure è il modo moralistico con cui spesso affrontiamo e il Vangelo e il mondo. Cominciamo ad emettere giudizi, a cercare quello che è giusto e quello che è ingiusto, prima di cominciare a capire!
Posso consolare questi genitori dicendo che c'era anche al tempo di Gesù chi la pensava come loro, infatti nel Vangelo di Luca, il padrone dà a tutti la stessa somma. Ma non è vero! È un modo moralistico per giudicare la vita: siamo forse tutti uguali, sulla faccia della terra? La mia infanzia è stata forse uguale a quella dei bambini, di cui vedete in questi giorni le terribili immagini in TV, in reportages dall'Africa? Abbiamo avuto gli stessi doni, le stesse capacità vitali? Non ho avuto, io, infinitamente più di loro?
Per venire più vicino a noi: una cosa brutta che può capitare ad una classe di bambini delle elementari, è trovare dei maestri che li considerano tutti uguali. Ci sono dei bambini più fortunati, che hanno la mente più sveglia, che hanno, dietro le spalle, una famiglia ricca di cultura e di attenzione. Se si parte dai programmi scolastici, di fronte al programma tutti sono uguali... Con la conseguenza che alcuni vengono scartati! Se si parte da loro, dalla loro realtà, dai doni che hanno ricevuto... sono profondamente diversi! Don Milani diceva: "Non c'è niente di più ingiusto che far parti uguali tra disuguali". E se continuiamo a dire che siamo tutti uguali, non ci rendiamo conto della realtà! Ed è importante, capire!
Un discorso che li convince abbastanza, perché in fondo è la vita!
Ma c'è la seconda obiezione, che è più importante ancora. Mi dicono: "Va bene, don Checco. Ma perché allora l'ultimo servo, quello che ha nascosto il talento, è trattato così duramente? Perché lo buttano fuori "dove c'è pianto e stridore di denti"? È una cosa profondamente ingiusta!".
"E anche qui - faccio notare - è un giudizio: prima di giudicare, cercate di capire!". Gesù ci invita a renderci conto che non solo siamo diversi per i doni ricevuti, ma che anche li viviamo - e forse è la cosa peggiore - in maniera diversa.
Qual è il problema dell'ultimo servo? Quest'uomo è andato a nascondere il suo talento sotto terra, è stato incapace di trafficarlo, perché? Gesù vuole attirare la nostra attenzione proprio sulla sua "paura"! Qualcuno gli ha messo paura! Forse ha fatto dei confronti con chi ha avuto di più, forse qualcuno gli ha detto che la vita è una cosa troppo impegnativa e che lui non ce l'avrebbe mai fatta,
È capitato anche a voi di provare paura perché vi hanno messi a confronto con gli altri? Avete mai conosciuto ragazze sull'orlo dell'anoressia, perché si erano confrontate con le loro madri - madri spesso intelligenti, capaci, impegnate - e queste ragazze rifiutavano la loro stessa vita, perché si confrontavano con un modello infinitamente (almeno, da loro sentito tale) più grande di loro! La paura della vita, la paura per il confronto con gli altri: è questo che spesso uccide chi ha un solo talento!
E a questo si aggiunge la paura di Dio! Siamo stati educati anche noi alla paura di Dio! Ricordate, voi che avete i capelli bianchi, quell'occhio severo che ci inseguiva in ogni angolo della casa?! Il giudizio di Dio, che qualche volta ci faceva incapaci di cercare il bene! Quante persone ho incontrato nella vita, che si sentivano schiacciate da un senso di colpa! che non sapevano guardare a Dio con fiducia! che non trovavano in Lui il coraggio della speranza! A volte è proprio il modo di parlare di Dio che mette la paura nel cuore dei più piccoli! Non solo hanno ricevuto di meno, ma si portano dentro la paura di essere giudicati, la paura di essere confrontati con gli altri! E per paura non fanno fruttare nemmeno i doni che hanno.
È forse così il Dio di cui ci ha parlato Gesù? Se leggete il Vangelo, Lo trovate profondamente diverso. In questo senso, sì, hanno ragione quei genitori: questa parabola è profondamente anti-evangelica. Ma non è questo il suo scopo! Gesù ci invita a guardare la paura che, spesso, proprio i "piccoli" si portano dentro. Paura della vita e paura di Dio! Non ci son nati, con questa paura: qualcuno li ha impauriti.
E questo a Gesù non va bene!
"Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ero forestiero e 24 novembre 1996
mi avete ospitato, malato e mi avete visitato".
"Quando mai ti abbiamo visto affamato, forestiero, malato?"
"Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di
questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me".
Io sono nato e cresciuto - ma penso sia successo anche a molti di voi - in una famiglia in cui la fede era un possesso sereno e pacifico. Nessuna incertezza, nessun dubbio: le pratiche religiose erano osservate fedelmente da mio papà, da mia mamma, dalle persone che conoscevo; non ho mai sentito esprimere da loro un dubbio sulla fede. Venivano da una cultura contadina, in cui si era abituati a credere, a invocare Dio con fiducia, senza farsi tante domande.
Ma a me è stato poi dato di crescere qui a Roma in un mondo che cambiava rapidamente e pian piano, qualche dubbio si affacciava alla mia mente.
Uno dei primi scontri con la dottrina ufficiale l'ho avuto a proposito del Battesimo. Mi dicevano che chi non era battezzato andava all'inferno e che i bambini che non potevano essere battezzati - e che non avevano quindi nessuna colpa - anche se non andavano all'inferno, venivano esclusi per sempre: andavano al limbo!
Rimanevo perplesso: ma a quel tempo (forse chi ha i capelli bianchi lo ricorderà) non conveniva far tante domande. Quando andavamo al catechismo, chi faceva domande veniva presto zittito, ci dicevano che bisogna credere, che nella fede non si discute: bisogna ascoltare quello che dicono i sacerdoti e fidarsi.
E poi, crescendo, altri dubbi: mi sembrava che ci fossero troppe regole nella nostra fede: non si poteva mangiare niente prima di fare la comunione; guai a bere un bicchiere d'acqua; bisognava anche star attento a lavarsi i denti; il venerdì non si poteva toccar la carne; se uno non andava a messa una domenica, faceva un peccato mortale: rischiava di andare all'inferno!
Tante regole, tante proibizioni, il peccato quasi dappertutto! E poi dovunque, andando in parrocchia, trovavo l'immagine del Papa e mi dicevano che era il "dolce Cristo in terra", che non sbagliava mai. Quando poi son cresciuto e cominciavo a studiare un po' di storia, mi colpiva - a me capitava quasi ogni giorno, andando a scuola, di passare a Campo de' fiori - la statua di Giordano Bruno, bruciato perché eretico. "Ma c'è proprio bisogno di bruciare qualcuno, perché non la pensa come i capi della Chiesa?!". Dubbi, domande che mi portavo nel cuore e che son cresciuti con me.
Capite, allora, il mio stupore - lo stupore gioioso! - quando ho cominciato a capire questa pagina del Vangelo. C'è anche qui una scorza dura: la distinzione tra pecore e capri, chi va nel fuoco che non ha fine e gli altri che vanno in paradiso: una scorza che può far perdere il senso straordinario di queste parole!
Qui non ci sono battezzati e non battezzati: la gente che non conosce Gesù, - "Ma quando ti abbiamo visto affamato e assetato...?" - non siamo mica noi! Noi queste parole le abbiamo ascoltate decine di volte. Questo lo potranno dire i miliardi di uomini di ogni parte del mondo, che non hanno mai sentito parlare del battesimo, non hanno mai sentito parlare nemmeno di Gesù!
E qui non si parla di digiuni, di regole, di Messa... Quello che conta è aver teso la mano a chi è in difficoltà!
E qui Gesù, il capo, non rimane il centro di tutto: si nasconde dietro il più piccolo. E non si parla di ortodossia: di come uno la pensa, delle parole che tentano di esprimere la fede... Tutto questo sembra spazzato via: quello che conta sono i gesti concreti di ogni giorno, la mano che si tende ad aiutare!
E leggendo questa pagina, ho capito anche perché si formano certe tradizioni nella Chiesa. È normale per noi uomini, anche nella vita di ogni giorno, dividersi tra "i nostri" e quelli "che non sono dei nostri". È normale sentirsi tra i "giusti" e considerare gli altri "brutti e cattivi". È normale che ogni gruppo stabilisca delle regole, le regole con cui si distingue dagli altri. Lo fanno anche i nostri ragazzi: si vestono tutti allo stesso modo, portano tutti gli stessi bracciali, gli stessi tipi di scarpe, secondo le mode, che oggi cambiano spesso.
È normale che i capi pensino di aver sempre ragione e si ritengano indispensabili.
Gesù è diverso. Gesù sparisce, in questa pagina: non conta se Lo hai conosciuto o non Lo hai conosciuto; se sei stato battezzato o non sei stato battezzato; non conta se hai osservato le regole; non conta se hai ripetuto le stesse parole per professare la tua fede! Conta il più piccolo degli uomini, dietro al quale il Maestro si nasconde!
È il cuore che conta, la vita condivisa, l'amore che uno si porta dentro, che si manifesta nei gesti di ogni giorno.
È questa la sua straordinaria grandezza! Per questo siamo qui e da domenica prossima cominceremo di nuovo ad aspettarLo, a prepararci al Natale, a pregarLo che venga a nascere ancora tra noi, che ci apra il cuore ai valori essenziali della vita, che ci faccia scoprire e vivere, almeno un po', la grandezza dell'Amore!