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OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 2017-2018 - Vangelo di Marco
INDICE
Gesù disse ai suoi discepoli: "Vegliate, I DOMENICA di AVVENTO - 3 Dicembre 2017
perché non sapete quando è il momento..." Marco 13,33-37
Comincia oggi il tempo di Avvento. È il tempo dell'attesa. L'invito ad alzare il capo e a guardare lontano e aspettare. Aspettare che venga, che si compia la pienezza della vita di Gesù nel nostro mondo. Che si realizzino sulla nostra terra i suoi valori, i sogni del suo cuore
È un cammino che non finisce mai! Ogni anno la Chiesa ci invita ad alzare gli occhi, a guardare lontano, a vigilare.
E - vedete - lo fa attraverso questa pagina del Vangelo che usa, come tante altre (ormai lo sapete) delle immagini. Immagini che per noi sono un po' un problema, perché lontane da noi: ormai non ci sono più i padroni che lasciano tutto e partono per un viaggio.
Aldilà delle immagini, qui c'è il dramma dei primi cristiani. Gesù ha promesso di tornare. Ha promesso la realizzazione della sua realtà sulla nostra terra. I primi cristiani l'aspettano forse in maniera un po' magica, che arrivi dalle nubi del cielo, ma sembrava che dovesse accadere immediatamente... qualcuno di loro è convinto di non morire prima del ritorno glorioso di Gesù sulla terra... ma il tempo passa! Non si sa quando torna e si rischia la sfiducia, lo scoraggiamento.
I primi cristiani vivono questo come un dramma. C'è anche la persecuzione, c'è il male nel mondo intorno a loro e aspettano con ansia, ma il tempo passa giorno dopo giorno, mesi dopo mesi, anno dopo anno e sembra che non si facciano passi avanti.
Sembrano cose di un tempo lontano... ma io queste cose le ho vissute nella mia vita e non so se posso coinvolgere anche qualcuno di voi.
Quando ero giovane (ormai parecchi anni fa) ho vissuto con intensità il Concilio e pensavo che la Chiesa si sarebbe riformata in breve tempo, si sarebbe aperta al mondo, avrebbe cambiato il suo modo di pensare, il suo modo di celebrare.
Pensate che quando son diventato prete la Messa si diceva ancora tutta in latino. Un tempo la traduzione del Vangelo in italiano era nell'indice dei libri proibiti. Ci hanno detto che il Vangelo sarebbe stato alla portata di tutti, che tutti potrebbero leggerlo, comprenderlo, viverlo: illusioni...!
Credevamo allora - non ero solo - che tutto si sarebbe compiuto presto, si sarebbe riformata la conoscenza del Vangelo, il modo di celebrare la liturgia, l'attenzione della Chiesa al mondo, il coinvolgimento con la gente - soprattutto - con la gente più povera e poi ci siamo accorti che i tempi erano lunghi e che quelle attese che ci sembravano così immediate avevano un orizzonte sempre più lontano... ma non era soltanto nella Chiesa.
Ho avuto la fortuna di vivere con dei gruppi di ragazzi straordinari gli anni del sessantotto, mitico...! Ci sembrava che fosse nelle nostre mani cambiare il mondo da un momento all'altro: quante illusioni a quel tempo, che la vita sarebbe cambiata in fretta...
E, poi, ci siamo resi conto che il tempo passava e che rischiavamo di disilluderci. Rischiavamo di rassegnarci e per molti è successo! Rischiavamo che la speranza se ne andasse dal nostro cuore.
Anch'io - personalmente - (se non ridete) vi dico che quando avevo vent'anni pensavo che per me diventare santo fosse questione di qualche mese, di qualche anno... ci ho rinunciato da tempo (come potete facilmente immaginare), ma, allora ci credevo... poi mi sono accorto che il tempo è lungo e che quel sogno che hai non si realizza facilmente, che devi continuare a vigilare, a vegliare, a crederci, a fare quello che puoi.
Dei passi sono stati fatti in avanti nella Chiesa: oggi la Messa la celebriamo in italiano, allora si faceva in latino. Potete ascoltare il Vangelo, molti di voi riescono anche a capirlo, ma quanti passi, quanta strada c'è ancora da fare! Quanto c'è ancora da fare per permettere al popolo cristiano - soprattutto ai giovani - di entrare nel Vangelo, di farlo loro!
E anche il mondo che allora ci sembrava di cambiare in un momento… tante cose sono cambiate. Pensate al maggiore senso della libertà. Pensate alla dignità della donna... tanti passi in avanti sono stati fatti. Il sessantotto (ne sono pianemente convinto) non è passato invano.
Ma allora ci sembrava che tutto si potesse realizzare in fretta e invece siamo ancora in cammino. Ancora bisogna vegliare e anch'io so che non devo scoraggiarmi e se posso correggere qualche cosa ancora è il mio compito. Il tempo di vegliare, di aspettare, di cercare. La speranza è l'essenza costitutiva della nostra fede.
Speranza in me stesso, nella possibilità di essere migliore. Speranza nel mondo che mi sta intorno. Speranza anche nelle cose più vicine, più semplici... nella mia famiglia, nel rapporto con i figli, con i nipoti. Per chi lavora il rapporto coi compagni. Per chi insegna il rapporto con gli studenti... che in tutto questo si possano fare dei passi avanti, che si possano realizzare sempre più nella vita concreta i valori, i sogni di Gesù,
Ma sappiamo... (almeno io so, ma penso che qui siamo in molti con i capelli bianchi) e se c'è qualche giovane cerchi di imparare in fretta che i tempi sono lunghi, che ci vuole coraggio e costanza e non bisogna scoraggiarsi: ecco il senso dell'Avvento. Alza la testa, guarda lontano e continua ad aspettare, a sperare, a crederci.
Credere che Gesù ha ragione e tentare di fare quello che puoi perché la sua realtà si realizzi nella nostra vita e ogni anno ricominciamo ad aspettare.
Sono ormai ottanta anni che (più o meno coscientemente) comincio il tempo d'Avvento e comincio ad aspettare e aspetto ancora e aspetterò finché il Signore mi darà da vivere perché c'è sempre un futuro davanti a me, c'è sempre un passo avanti da fare e so che il Vangelo mi invita a vigilare, a non scoraggiarmi, a non sentirmi deluso, a guardare intorno a me e anche a rallegrarmi dei piccoli passi, per continuare a camminare sulla strada del bene. Non è cosa semplice.
Il Signore ci aiuti.
Ti saluto, o piena di grazia, IMMACOLATA CONCEZIONE - 8 Dicembre 2017
il Signore è con te Luca 1, 28-38
Celebriamo oggi la festa dell'Immacolata Concezione. Celebriamo cioè l'idea che Maria è nata senza la colpa del peccato originale.
Cos'è il peccato originale? È una domanda che mi sono sentito rivolgere decine e decine di volte in questi lunghi anni che ho cercato di fare il prete.
Quando ero bambino... (penso che è successo a più d'uno di voi) pensavo che un bambino nascesse con una specie di tunica tutta bianca, ma con delle macchie che il giorno del Battesimo veniva lavata con l'acqua battesimale. Poi crescendo mi dicevano che ognuno di noi nasce con una specie di colpa - non sua personale - che è stata trasmessa da Adamo ed Eva attraverso la storia dell'uomo fino a noi. Una colpa che impedisce all'uomo di incontrare Dio.
Quando ero giovane si parlava del Limbo. I bambini che non erano battezzati andavano al Limbo, in questo luogo strano in cui non si è né all'inferno, né in Paradiso, ma qualche cosa di mezzo... una strana invenzione che risale al tempo antico. Sant'Agostino pensava che l'umanità fosse "massa dannata". Da questa colpa solo Maria sarebbe stata esente. Lei è nata senza la macchia del peccato originale.
Crescendo - poi - mi è sembrato di intuire che questi sono soltanto dei simboli. Simboli importanti, anzi fondamentali, perché cercano di farci intuire qualche cosa del problema forse più importate della vita dell'uomo: il problema del bene e del male.
Ora - vedete - un bambino che nasce... (nessuno di noi penso possa dubitarne) nasce innocente, non ha nessuna colpa, niente che possa allontanarlo da Dio, ma non nasce in un mondo innocente, ma in un mondo segnato dal peccato di quelli che l'hanno preceduto.
Il peccato lo troverà intorno a sé. Crescendo lo troverà dentro di sé, indotto da quelli nati prima di lui. Per fare soltanto qualche banale esempio: pensate a un bambino che nasce in una famiglia in cui c'è violenza - addirittura - un bambino che subisce abusi quando è ancora piccolo. Pensate a un ragazzo che nasce in una famiglia in cui c'è la mafia, dove regnano i principi mafiosi. Pensate a un bambino che nasce oggi in qualche terra dell'Africa dove c'è la guerra, la violenza, la brutalità: questo bambino crescerà circondato dal peccato!
E, questo peccato peserà su di lui, lo condizionerà fino al punto di non renderlo pienamente libero: ecco forse questo possiamo chiamare peccato originale. Il peccato di quelli che ci hanno preceduto e che ci hanno condizionato nel male.
La prima Lettura che abbiamo ascoltato cerca di farci intuire qual è la radice del male. Adamo ed Eva... (sono immagini simboliche, certamente non sono mai esistiti un uomo chiamato Adamo e una donna chiamata Eva) cercano di diventare come Dio, di prendere il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male, anche noi, a volte, vogliamo stabilire cosa è bene e cosa è male a partire dal nostro comodo, da quello che ci interessa… e il mondo si riempie di violenza, di sopraffazione. Perché se mi interessano i beni dell'altro, la patria dell'altro e cercherò di conquistarli, come è successo tante volte nel corso della storia dell'umanità!
Il male nasce proprio da questo, dalla volontà dell'uomo di farsi "Dio", di stabilire che cosa è bene e che cosa è male a partire da se stessi.
A questo punto potete domandare: "Ma - allora - la Madonna cosa c'entra? Cosa celebriamo oggi?" Un altro simbolo, straordinario! Nel mondo non c'è soltanto il male originale, il peccato originale, ma c'è (per fortuna) anche il bene originale.
Noi non nasciamo condizionati soltanto dal male di coloro che ci hanno preceduto, ma anche dal bene.
Chi come me è fortunato, nasce in una famiglia in cui c'è tenerezza, rispetto. Chi come me è fortunato, incontra nel cammino della vita persone straordinarie, testimonianze di libertà, di vita condivisa, di amore vero nei confronti di chi sta intorno...
Ed ecco la più grande ingiustizia della storia dell'uomo! Perché uno nasce profondamente condizionato dal male e un altro (come me) condizionato dal bene? Non c'è niente di più ingiusto! Eppure questa è la vita!
Il Vangelo ce lo ricorda nella parabola dei talenti: a uno cinque, a uno due, a un altro soltanto uno... Un disegno, il destino...? Probabilmente soltanto il caso!
Il caso che - però - ci condiziona nel profondo. Quello che è importante però è che chi ha "cinque" sappia che deve rendere cinque, anzi dieci. Chi ha cinque sa che non deve mettere paura a quello che ha uno, che deve cercare di dare a colui che è condizionato dal male, la speranza del bene, di alzare lo sguardo, di ricercare la fraternità, la libertà, la giustizia, il bene: ecco, Maria, è proprio il simbolo di questo bene originale che può spingerci sulla strada della giustizia.
Maria è il simbolo di Colei che sa dire: "sì". Sì a Dio, sì a un progetto, sì alla vita. Non si fa padrona del mondo, si fa serva: "Eccomi - Signore - sono la serva. Si faccia di me secondo la tua volontà".
È quello che dovremmo tentare di fare anche noi, cercare di fare la volontà del Padre, che è volontà di vita condivisa, di tenerezza, di rapporti con gli altri... perché possiamo lasciare a chi ci sta intorno e ai figli e ai nipoti un po' del bene "originale" che li aiutino a credere nella vita.
E - forse - possiamo ricordarci per avere un po' di speranza nel nostro cuore, di fronte ai tanti tristi spettacoli che vediamo ogni giorno alla televisione, che c'è tanto bene nel mondo, che il bene originale è più forte, è più grande, è più numeroso del male originale. C'è più bene che male nel mondo per questo, faticosamente, qualche passo avanti lo fa... e il compito di chi (come me) nella vita è stato più condizionato dal bene che dal male... è di continuare, di moltiplicarlo, di rendere la vita più semplice a quelli che ci stanno intorno.
Dare per quanto può possibilità di vita e di aprire gli occhi sulle vie del bene, dell'amore a chi sente su di se pesante, forte, a volte terribile, il male originale, il male della società che lo condiziona. Qualche volta è impossibile. Qualche volta qualche cosa si può fare. La festa di oggi ci dice proprio questo: noi siamo portatori del bene originale... lo abbiamo ricevuto, tentiamo di darlo per quelli che vengono dopo di noi, perché non soltanto prosegua nella storia del mondo il male, il peccato originale, ma anche il bene originale di cui Maria è uno dei simboli più belli
Il Signore ci aiuti.
"...Io vi ho battezzato con acqua, ma II DOMENICA di AVVENTO - 10 Dicembre 2017
egli vi battezzerà in Spirito Santo" Marco 1, 1-8
Giovanni il Battista, che ci viene incontro nel nostro cammino verso il Natale, è un personaggio particolarmente importante nel Nuovo Testamento. Come avete ascoltato intorno a lui si raduna tanta gente... I primi cristiani interpretano Giovanni come l'ultimo dei grandi profeti, colui che arriva finalmente a preparare la via del Signore.
Gesù fa un elogio straordinario di Giovanni, dice che lui è "il più grande tra i nati di donna". Ma il Vangelo, quasi in ogni pagina, sottolinea la distanza tra Giovanni il Battista e Gesù!
Giovanni (come avete ascoltato) ha lasciato la città, i villaggi della Galilea, si è ritirato vicino al Giordano. Là vestito di peli di cammello, mangia cavallette e miele selvatico. Un uomo che si allontana dalla società, che vive nella penitenza, nel rigore più grande: tutto il contrario di Gesù! Lui non lascia la città, non si allontana dalla vita di ogni giorno!
I suoi discepoli lo sorprendono spesso a tavola, il Vangelo è pieno di banchetti di festa con i peccatori: pensate a Zaccheo, a Matteo ...
Il Vangelo ci racconta la straordinaria parabola in cui quando il figlio torna a casa trova la grande festa. Gesù ama la festa! Non ama la penitenza, il digiuno, il sacrificio, la rinuncia... ama la festa!
La cosa che mi colpisce (qualche volta quando ripenso alla tradizione cristiana) è che spesso noi siamo stati discepoli di Giovanni e non di Gesù. Tante volte si è predicato la penitenza, la sofferenza... ci sono santi che ci vengono proposti come modelli che si flagellano, portano il cilicio, fanno lunghi digiuni. Gesù era il contrario, ma c'è qualche cosa di più...
Giovanni insiste sul peccato e sulla punizione; minaccia il fuoco che viene a bruciare, a purificare il mondo. Gesù parla di perdono, parla di "festa", parla della gioia del "ritorno" a casa... non mette sul cuore della gente il peso, il senso della colpa.
In questo tempo di Avvento molti invitano i cristiani a confessarsi in preparazione al Natale... io non lo faccio! Siamo discepoli di Gesù. Lui ci invita a "tornare", ad aprirci alla speranza, a non lasciar pesare sulle nostre spalle il peso del peccato, della colpa, il ricordo del passato. Lui ci invita a guardare avanti, ad aprirci.
Avete ascoltato che Giovanni dice: "Io vi battezzo con l'acqua per il perdono dei peccati, ma Lui vi battezzerà nello Spirito Santo". Ecco, lo Spirito!
Proviamo a rivivere il Battesimo in questo tempo di Avvento. Il Battesimo è segno di vita, di futuro, di speranza. Il Battesimo è segno di apertura allo Spirito. Noi siamo stati battezzati nello Spirito, invitati ad aprirci al "Vento di Dio". Il soffio che toglie la paura, che fa lasciare dietro le spalle il male. I primi cristiani celebravano questo con grande forza nella notte di Pasqua. Si immergevano totalmente nella grande vasca e ne uscivano dicendo: "Dietro di noi il male, la negatività, dietro di noi l'egoismo... davanti il sogno". Il sogno della vita di Gesù. Il sogno dei suoi valori, dei desideri del suo cuore. Davanti noi la bellezza della vita: questo è Gesù!
Lui, ci prepariamo ad aspettare ed ad accogliere nel Natale che viene e - dunque - ciascuno di noi ha certamente nel cuore qualche cosa che non va... buttatelo dietro le spalle. Non c'è bisogno che vi andiate a confessare. Aprite gli occhi, guardate lontano...
Apriamoci al Soffio dello Spirito, al Vento di Dio. Chiediamo a Lui la capacità di guardare il Bambino di Nazareth con tutto lo stupore e la gioia perché qualcosa di Lui nasca dentro di noi.
Nasca il coraggio del bene, il desiderio di vita, la libertà, la capacità di tenerezza e di amore nei confronti di quelli che incontriamo.
Il Signore ci aiuti.
"...In mezzo a voi sta uno che voi non III DOMENICA di AVVENTO - 17 Dicembre 2017
conoscete, colui che viene dopo di me..." Giovanni l, 6-8. 19-28
Ancora Giovanni Battista, questa volta come ce ne parla il Vangelo di Giovanni: ci sono due parole che mi hanno da tempo colpito nella pagina che abbiamo letto.
La prima che avete sentito ripetere più volte è: testimonianza, testimone. Giovanni è un testimone. Afferma con forza: "Non sono io la Luce, sono solo un testimone della Luce. Sono solo parola che annunzio Colui che viene".
L'altra parola che mi colpisce è: "In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete".
Non so se la mia esperienza è uguale alla vostra, ma queste due parole segnano il mio cammino di credente, che dura fino ad ora.
"Voi non lo conoscete..." Conoscere Gesù fino in fondo è forse cosa impossibile, ma (se ci pensate) noi non riusciamo a conoscere fino in fondo nemmeno chi ci sta vicino: il marito, la moglie, i figli... perché il cuore dell'uomo è misterioso. C'è qualcosa dentro di noi più grande di ogni parola e di ogni possibilità di conoscere, c'è sempre un oltre e se questo vale per noi - a maggior ragione - vale per l'incontro con Gesù.
Quando ero bambino - Gesù - era sempre intorno a me. Di questi tempi andavo con papà a raccogliere il muschio per preparare il presepe. La notte di Natale ci ritrovavamo tutti intorno alla capanna di Betlemme a guardare Gesù Bambino e non capivo, non sapevo chi fosse ...
Davanti a me, dovunque andavo in casa, in chiesa, a scuola... c'era sempre il Crocefisso. La parola "Gesù" risuonava ogni giorno: la mattina dicevamo le preghiere... eppure io - Gesù - non lo conoscevo.
È stato un lungo cammino della mia vita tentare di intuire qualche cosa di Lui. Un cammino che dura ancora!
Mi capitava soltanto qualche giorno fa di scoprire ancora qualche cosa del messaggio che Lui è venuto a portarci. Gesù è veramente più grande del nostro cuore e il cammino del credente non può che essere una continua ricerca per cercare di scoprire i suoi valori.
Io di strada un po' ne ho fatta. L'ho fatta perché ho avuto la fortuna di incontrare tanti testimoni. Testimoni di ogni genere, di tutte le capacità di intelligenza, a volte, bambini... (non perché fossero straordinari, tutti i bambini sono straordinari) bambini che ti dicono una parola, che ti fanno intuire veramente qualche cosa della Luce. A volte degli anziani. A volte degli studiosi che scrivono libri pensati e ponderati, ma più spesso la gente comune...
Con loro ho vissuto l'avventura di cercare il Signore, i suoi valori e pian piano per me - Gesù - è veramente diventato la Luce, il punto di riferimento della mia vita, Colui che mi aiutava a scoprirne i valori essenziali, Colui che mi faceva vedere con occhi nuovi e diversi gli avvenimenti, le persone che avevo intorno, i valori importanti del cammino dell'uomo: ecco - per me - la parola che abbiamo ascoltato è stata fondamentale per la mia vita e lo è ancora!
Ancora qualche volta mi chiedo: "Ma - Gesù - lo conosco veramente? Ho veramente intuito tutto di Lui?". Gesù mi ha aiutato a intuire qualche cosa di Dio. Non il Dio onnipotente a cui pensavo da bambino, che ci custodisce passo passo, che qualche volta ci mette paura. Il grande "occhio" che ci scrutava... Pian piano ho imparato a conoscere Gesù e la paura di Dio è sparita dal mio cuore e ancora oggi quando ne parlo con qualcuno dico: "No, di Dio non ho più paura, Gesù me l'ha tolta!". Non si può aver paura di Dio, del Dio di cui parla Gesù: il Padre della parabola che quando il figlio torna, nonostante il suo peccato, gli prepara la "festa".
Non si può aver paura di un Dio che è venuto a condividere la nostra vita, a portarci la sua Parola, a spezzare il suo Pane per noi. Ecco - in Gesù di Nazareth - ho scoperto qualche cosa della vita intorno a me. Ho intuito qualche cosa dell'Oltre in cui abita Dio e continuo a cercare e continuo a dirmi: "Ma tu lo conosci fino in fondo?"
C'è sempre un passo oltre da fare e se ti guardi intorno ci sono testimoni di Lui, ne trovi intorno a te, anche vicino qualche volta. Qualche volta ne senti parlare alla televisione. Qualche volta sono dall'altra parte del mondo... gente che ti fa scoprire qualche cosa di Gesù, della sua pace, della sua capacità di condividere e di essere Luce per il cammino del mondo.
Su questa strada io vorrei continuare e invito anche voi a camminare su questa strada, ad aspettare il Signore che viene, a prepararsi al Natale dicendo: "Ma - Gesù - lo conosco? Lo conosco fino in fondo? Ho sentito dentro di me i valori della sua vita, i sogni del suo cuore? Continuerò a cercarli, continuerò ad aspettare!"
Ecco perché il Natale non si celebra una volta sola nella vita, ma ogni anno si aspetta che nasca Gesù, nasca dentro di noi, nel nostro cuore, ci porti la Luce, la gratuità, la capacità di aprirci al mondo che ci sta intorno.
Il Signore ci aiuti.
"...concepirai un figlio, lo darai IV DOMENICA di AVVENTO - 24 Dicembre 2017
alla luce e lo chiamerai Gesù..." Luca 1, 26-38
Maria può aiutarci a preparare il Natale. Possiamo tentare di rivivere la sua attesa di un figlio: attesa lunga, nove mesi... noi dobbiamo concentrare nove mesi in qualche ora soltanto, perché stanotte sarà già Natale.
Vedete - io non ho mai avuto un figlio, ma ho avuto la fortuna di condividere con tante giovani donne l'attesa di un figlio e credo che non sia stato molto diversa l'attesa di queste donne da quella di Maria, anche perché - a pensarci bene - nonostante la vicenda assolutamente eccezionale di Maria, ogni donna genera un figlio di Dio, ogni donna genera l'Oltre. Molte di voi - penso - hanno vissuto la maternità… ricordate?
La prima cosa che mi colpiva era l'impegno che richiedeva - costa mettere al mondo un figlio - bisogna rinunciare a qualche cibo, mangiare altro, prendere delle medicine, stare attenti e poi qualche nausea e le gambe che fanno male e il peso che cresce e ci vuole impegno e si fa fatica.
Forse dovremmo ricordarcene in questo tempo in cui sembra che - soprattutto i più giovani - si voglia tutto subito e facilmente. Le cose essenziali della vita richiedono impegno e sforzo e coraggio!
L'altra cosa che colpisce nell'attesa di un figlio è l'ansia, le domande: "Come sarà questo figlio? Che colore avranno i capelli e gli occhi come saranno? Ma di più... quale sarà il suo carattere? Nascerà sano? Avrà qualche difetto e come crescerà? E poi sarò capace di farlo crescere, di stargli vicino?".
L'altra cosa che colpisce è il senso dell'attesa e quindi dell'accoglienza. Una donna sente quasi il bisogno di svuotarsi per fare spazio a questo bimbo che nasce, che è per lei un dono... non un dono come gli altri. Se ha amici e parenti ricchi può ricevere doni preziosi, gioielli, ma un figlio è un'altra cosa! È un dono che riempie la vita, che ti arricchisce, ti esalta.
E poi, non soltanto il dono, anche il senso (se la parola vi piace) del mistero. Questo figlio che cresce viene da un'altra dimensione, appartiene all'Oltre, è qualche cosa di miracoloso. Una vita che nasce, si sviluppa pian piano dentro di te e te ne accorgi lentamente e sempre più non puoi che vivere lo stupore, la meraviglia e l'accoglienza. Occorre fare spazio a questo figlio, tanto spazio nel proprio cuore...
Bisogna rinunciare a qualche cosa di sé. La vita diventa "altra" quando c'è qualcuno di cui devi prenderti cura, che viene a far parte della tua vita e - forse - per la prima volta si scopre che cos'è veramente l'amore. L'amore gratuito che dà senza ricevere niente.
Ecco - tutti questi sentimenti che ho visto vivere a tante giovani donne, credo che li abbia vissuti anche Maria. Anche Lei ha provato il senso dell'attesa, del mistero, lo stupore, la meraviglia, la capacità di accogliere e di fare spazio, quasi di svuotarsi di fronte a questo Figlio che cresceva dentro di Lei.
Sono questi i sentimenti che dovrebbero aiutarci a preparare il Natale. Se soltanto qualcuno di questi sentimenti potesse avere spazio oggi nel nostro cuore, allora sarebbe veramente Natale! Saremmo anche noi capaci di accogliere Gesù, di farlo nascere nel nostro cuore per condividere la sua vita, per fargli spazio, perché la sua Luce illumini la nostra vita.
Il Signore ci aiuti.
C'erano in quella regione alcuni pastori NATALE del SIGNORE - 25 Dicembre 2017
...l'Angelo disse loro: "oggi è nato per Luca 2, 1-14
voi un Salvatore che è Cristo Signore..."
Per celebrare il Natale conviene fare ricorso alla fantasia… quindi andiamo anche noi lontano, in quella notte di tanti anni fa.
Seguiamo quest'anno gli avvenimenti della notte dalla parte dei pastori. Andiamo a sederci con loro intorno al fuoco. Un gruppo di pastori, povera gente, costretti a vegliare tutta la notte a guardia del gregge: ci sono i lupi, ci sono anche i leoni da quelle parti, è pericoloso, bisogna stare svegli tutta la notte accanto al fuoco ad aspettare che venga l'alba e diminuisca il pericolo.
A un certo punto l'Angelo... immaginate l'Angelo con la vostra fantasia, come volete: sarà stata una luce? Una voce? Oppure un Angelo bello e luminoso come quelli dipinti da Cavallini... ognuno se lo immagini come vuole... anche perchè il racconto che leggiamo è tutto di fantasia, ciascuno può metterci la propria.
I pastori hanno ascoltato un annuncio straordinario: "Oggi vi è nato il Salvatore, il Cristo, il Messia, andate!" Si alzano e ci alziamo con loro e camminando ascoltiamo le loro parole, qualcuno dice: "Cosa ci porterà il Salvatore? Ci hanno parlato del Messia da tanto tempo, ci hanno promesso la terra luminosa dove scorre il latte e il miele: la terra della pace, della giustizia, forse finalmente sarà venuto a portarci tutto questo".
Qualcun altro dice: "Forse sarà venuto più semplicemente a liberarci dai Romani, a portarci un po' di pace in questa terra devastata."
Qualcun altro dice: "Almeno ci facesse stare un po' meglio, noi! Forse siamo i primi ad andare, saremo fortunati, si ricorderà di noi."
Qualcun altro dice: "Forse - addirittura - come ci ha promesso l'Antica Scrittura, verrà a liberarci dalla malattia, dalla morte". E camminano, continuando a ripetere le loro attese: chi si aspetta una cosa, chi un'altra…
Finalmente arrivano e si trovano davanti a una povera capanna. Poche assi di legno, qualche animale: un asino, più probabilmente qualche pecora... non c'è niente, nemmeno la stella, i Magi non sono ancora arrivati!
Si guardano sgomenti: "Tutto qui? Ma è possibile che il Salvatore nasca in un ambiente così povero?" Poi si avvicinano e guardano: un Bambino, un piccolo Bambino appena nato e il loro cuore si riscalda: il mistero, un bambino che nasce, la vita che sboccia… qualcuno dice: "Guarda ha aperto gli occhi!" E l'altro: "Guarda come succhia il latte della mamma, con quanto desiderio", poi ogni tanto il suo grido, il suo strillare alla vita!
Un Bambino, un piccolo Bambino in cui c'è tutto il mistero dell'universo, della vita.
Quel Bambino - per noi che crediamo - viene da Dio, ma ogni bambino che nasce viene da Dio! Si fermano a contemplare, il cuore si commuove: di fronte a un bambino non ci si può che commuovere, guardarlo con occhi pieni di meraviglia.
Poi qualcuno si riscuote: "Ma qui non c'è niente, nemmeno un po' di fuoco, non c'è latte, presto andiamo a cercare qualcosa! Qualcuno raccolga un po' di legna, un altro vada a prendere un po' di latte, magari un panno pulito, serve un po' d'acqua calda". Servono tante cose e partono e si dimenticano delle loro speranze, delle loro attese, dei loro bisogni...
E se il messaggio del Natale fosse tutto qui: Dio ha bisogno di noi?! Non siamo noi che abbiamo bisogno di Dio! Non viene a mettere a posto le cose, a donarci una pace che non c'è. Non viene a risolvere i problemi del cuore dell'uomo. Viene a condividere la nostra vita e ci tende la mano. Dio ha bisogno di noi, non siamo noi che abbiamo bisogno di Dio. Dio ha bisogno di un po' di fuoco, di un po' di latte, di un po' di legna, di un panno pulito. Dio ha bisogno della nostra tenerezza, dello stupore del cuore, della gratuità, del nostro impegno, ha bisogno di noi!
Il Signore ci aiuti.
…fecero ritorno in Galilea alla loro città di SANTA FAMIGLIA di GESÙ - 31 Dicembre 2017
Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava… Luca 2,22-40
Oggi è la festa della Santa Famiglia e avete ascoltato il lungo Vangelo che ci parla di Gesù Bambino.
Ma è anche l'ultimo giorno dell'anno e allora (se permettete) rivolgerei a me prima di tutto, e poi anche a voi, un invito al ringraziamento, a guardarci indietro e a ringraziare il Signore e la vita per i giorni che abbiamo vissuto. Lo farei cominciando con il piccolo racconto di un fatto che mi è accaduto ormai tanti anni fa... ve lo racconto volentieri anche perché per me è far memoria di persone amiche che ormai non ci sono più.
Ci trovavamo un giorno in una sala a leggere insieme il Vangelo e un signore anziano ha detto che lui aveva avuto un grande miracolo, un miracolo straordinario e (come potete immaginare) tutti ci siamo interessati e gli abbiamo chiesto di raccontare questa sua avventura...
Ci ha detto che durante la guerra un ufficiale tedesco aveva puntato una pistola alla sua tempia, aveva premuto il grilletto, ma la pistola si era inceppata e lui si era salvato.
Avevo davanti a me un amico con cui più volte avevamo parlato di miracoli, senza crederci né io e né lui. Ci siamo scambiati un sorriso e non abbiamo aggiunto parole, perchè ci sembrava di offendere questa persona che raccontava la sua esperienza evidentemente molto forte, molto significativa per lui.
Accanto a noi da un'altra parte c'era un generale, evidentemente esperto di guerra, che ha subito esclamato: "Eh - però - quante pistole hanno sparato!". La maggior parte delle persone presenti hanno fatto anche loro un sorriso e questo signore ci è rimasto un po' male e allora ci sembrava di dovergli delle scuse per il nostro sorriso, che sembrava poco rispettoso.
Ricordo di avergli detto: "Vede, ha ragione il generale, molte pistole hanno sparato, non solo pistole ma anche fucili, cannoni, bombe... più di cinquanta milioni di morti e dove sono i miracoli!? Però - vede - lei nella sua esperienza straordinaria ha imparato una cosa che dovremmo imparare tutti. Per ogni cristiano e in fondo per ogni uomo la vita ogni giorno è un dono straordinario. Lei vive... (dicevo a questo signore) la vita ogni mattina come un regalo, un regalo che non si aspetta perché quel giorno sarebbe finito tutto! Ogni giorno per lei è un dono, ma lo è anche per me e - se posso coinvolgervi - lo è anche per voi".
Ogni mattina ci alziamo, il sole splende, manda la sua luce, il mare è in tutta la sua bellezza, la pineta ci permette - chi vuole - di andare a fare due passi e ammirare lo splendore del creato. Tra poco è primavera e cominceranno a spuntare i fiori… e poi le persone che abbiamo intorno, coloro che ci vogliono bene e a cui vogliamo bene: i figli, i nipoti, il marito, la moglie, gli amici... tante persone che con noi condividono la vita.
Niente di questo abbiamo fatto, né il sole, né il mare, né la pineta, né le persone che abbiamo intorno: tutto è dono, tutto è grazia.
Non solo questo, ma anche il tessuto della vita quotidiana: la portiera che pulisce le scale per farci trovar pulito il nostro palazzo, colui che manda avanti il riscaldamento che ci permette di vivere al caldo, l'autista dell'autobus, colui che guida il trenino che va a Roma, quasi sempre puntuale, l'impiegato della banca, colui che spazza le strade... eccetera, eccetera.
L'elenco potrebbe diventare lunghissimo... tutta questa gente lavora anche per noi, e spesso lo fa con attenzione e onestà. Tra loro ci sono anche molti dei vituperati politici di cui si sente sempre parlare male... c'è anche tra loro tanta gente perbene. Di tutto questo noi dovremmo ogni giorno ringraziare il Signore.
Ringraziarlo per la vita che ci è donata, per i giorni che abbiamo da vivere, per la natura che abbiamo intorno, per le persone con cui viviamo, per tutto il tessuto della vita: niente di questo abbiamo fatto noi, tutto è dono, tutto è grazia.
Dovremmo imparare anche tra noi - ed è l'augurio che vi faccio per oggi - a dirci grazie. Non lo facciamo quasi mai. Non ci diciamo mai o quasi mai: grazie. Non esprimiamo la nostra riconoscenza alle persone che vivono con noi.
Oggi - dunque - è un invito che faccio prima a me stesso e poi a voi a ringraziare il Signore, la vita e anche le persone che abbiamo intorno ed anche un augurio che possiamo fare a molti degli uomini che vivono in questo paese: l'augurio di imparare a ringraziare e di non vivere solo di rancore e di rabbia.
Il Signore ci aiuti
Entrati nella casa, videro il Bambino con EPIFANIA del SIGNORE - 6 Gennaio 2018
Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Matteo 2, 1-12
Possiamo tentare ancora di vivere la festa dell'Epifania, il Vangelo che abbiamo appena ascoltato, con la nostra fantasia.
E - allora - potete andare in qualche paese lontano da Betlemme, ma potete fermarvi anche qui e pensare a tre persone, immaginatele come volete... può essere anche uno di voi. Il racconto dei Magi è tutto un racconto di fantasia, simbolico.
Immaginiamo - quindi - tre persone che discutono con altri perchè hanno deciso di partire. Vogliono andare alla ricerca della verità, del senso della vita, della Luce. Vogliono avventurarsi in un cammino che è ricerca, passione per i valori essenziali della vita, il desiderio di scoprire quali sono le cose veramente importanti, come si possono giudicare uomini e cose. Sono persone che hanno dubbi, incertezze nel cuore e sentono il bisogno di avventurarsi, di partire, di cercare.
E gli amici intorno cercano di sconsigliarli: "Ma dove andate? Ma perché volete continuare a cercare di pensare? Perché non vi contentate di quello che si è sempre detto, di quello che si è sempre fatto? Perché non vi contentate dei nostri maestri? Qui ce ne sono tanti!". "I nostri maestri dicono sempre le stesse cose, ripetono stancamente antiche parole, abbiamo bisogno di qualche cosa di nuovo. Noi non possiamo rinunciare a pensare, a cercare, ad affrontare i problemi veri della vita. Noi non possiamo rinunciare a seguire la Luce, a cercare la Luce".
Potete immaginare che tra loro - si può immaginare tutto - ci sia anche Dante il quale direbbe: "Fatti non fummo a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza".
Questi personaggi (se volete coinvolgetevi) sono intenzionati a cercare virtù e conoscenza a inseguire la Luce e partono...
Il viaggio è lungo e faticoso e ogni tanto qualcuno dice: "Ma vale la pena? Ma è veramente così importante continuare a pensare? Perchè non torniamo a casa? Chi ce lo fa fare?" E invece si aiutano a vicenda, nel desiderio di continuare, di andare avanti, senza stancarsi e arrivano ...
Arrivano a Gerusalemme, arrivano in una città, arrivano a Roma, arrivano a New York... (fateli arrivare dove volete) quanta confusione, quante parole, quante voci specialmente adesso che c'è la televisione, la radio, i giornali, le riviste, internet e quant'altro! Cercare la verità, ma come è possibile in questa grande confusione?
E - poi - c'è gente che fa apposta a metterti paura. Ti raccontano storie false e lo fanno per ingannarti e spesso c'è dietro il potere... come facciamo a distinguere che cosa è giusto, chi ha ragione e chi no? La luce sembra mancare!
Avete notato la stella sparisce quando si entra in città. C'è la folla che rumoreggia e non basta, c'è anche Erode. Erode è soltanto un simbolo in questo racconto. Erode, probabilmente è già morto quando nasce Gesù. Simbolo della violenza, del male, della prepotenza. Una prepotenza a volte violenta, che uccide, fa strage, ma anche una prepotenza subdola che cerca di convincere raccontando false favole, mettendoti paura, impedendoti di pensare, dandoti quei mezzi che ti distolgono dai problemi essenziali della vita. Bastano i soldi, basta un po' di benessere! Perché cercare, perché pensare, perchè preoccuparsi della giustizia, perché preoccuparsi del bene? Al potere fa comodo e spesso ha inventato strumenti raffinatissimi per impedirti di pensare, per farti chinare la testa, dire sempre sì, per farti capace solo di applaudire!
Non si rassegnano e continuano a cercare, continuano ad andare avanti, continuano ad inseguire la Luce! L'incertezza del loro cuore, il dubbio, non si arrende… e finalmente arrivano. Arrivano alla casa... (vedete, nel Vangelo di Matteo la capanna è sparita) ma qui dobbiamo fermarci con la nostra fantasia, perché in quella casa trovano soltanto un piccolo Bambino.
Allora possiamo immaginare che decidano di fermarsi, un Bambino non può dirvi niente. Un Bambino può solo tenderti le mani e chiederti i tuoi doni e gli puoi offrire quello che hai, di più, quello che sei, ma poi bisogna che aspetti che diventi grande. Noi non dovremo aspettare molto, vedrete domattina Gesù sarà diventato grande e lo vedremo al Battesimo nel Giordano.
Questi che vengono da lontano devono aspettare, aspettare una trentina di anni per potersi sedere ai piedi di Gesù ad ascoltare le sue parole, le sue parabole, a condividere la sua vita, i suoi valori, sedersi insieme con Lui intorno alla tavola, vivere le sue esperienze, allora...
Allora qualche cosa della luce illuminerà la loro vita e potranno tornare a casa, magari passando per un'altra strada perché c'è sempre Erode sul cammino, ma non potranno che continuare a cercare. Guai se tornassero pensando di sapere tutto, di aver trovato la Luce! La Luce non si possiede mai su questa terra, si intuisce qualcosa, bisogna continuare a cercare.
Gesù ha comunicato dei valori a queste persone. Ha messo nel cuore un fuoco, nella loro mente un barlume di luce. Bisogna continuare a cercare, senza stancarsi, nell'avventura, rischiando di sbagliare, ma continuare a cercare i valori essenziali, cosa è buono, cosa è giusto, cosa è veramente importante nella vita. Gesù può lasciarci intuire qualche cosa: questo è vivere l'Epifania.
Il Signore ci aiuti.
Gesù venne da Nazareth e fu battezzato BATTESIMO del SIGNORE - 7 Gennaio 2018
nel Giordano da Giovanni. Marco 1, 7-11
Nel giorno di Natale abbiamo cercato con la fantasia di unirci ai pastori che, dopo aver ricevuto l'annunzio dell'Angelo, vanno verso la capanna di Betlemme. Abbiamo condiviso il loro cammino, le attese e l'incontro con Gesù appena nato.
Oggi facciamo un salto di trent'anni e ancora con la fantasia cerchiamo di unirci a un gruppo di gente che va verso il Giordano per farsi battezzare e immaginate che a un certo punto, lungo il cammino incontrano un uomo che anche Lui va verso Giovanni.
Si fermano e gli chiedono: "Chi sei?" Risponde: "Sono Gesù". "Da dove vieni? "Da Nazareth". "Dovè Nazareth?" - chiede qualcuno - "Nazareth non lo conosci, è un piccolo paese sperduto nella Galilea, lontano da qui". E a Gesù: "Ne hai fatta di strada!" "Sì, molto lunga". E domanda: "Voi perché andate da Giovanni?". Rispondono: "Abbiamo ascoltato la sua predicazione: annuncia la fine, la venuta del Figlio dell'uomo, Colui che viene a giudicare, a condannare, che viene a dividere il buon grano dalla paglia e brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile. Abbiamo paura! Paura perché anche noi abbiamo i nostri peccati, andiamo a farci battezzare e che il Signore ci perdoni, ci rimetta i nostri peccati, ci salvi dall'ira che sta per venire!"
Poi chiedono: "E tu... perché ci vieni?" E Gesù: "Per camminare con voi". E arrivano e si bagnano uno per uno nel Giordano, una lunga fila. E poi arriva anche il momento di Gesù. Anche Lui si immerge nell'acqua, anche Lui si fa battezzare. Ed ecco una voce...
A Natale avevamo ascoltato la voce dell'Angelo... oggi un'altra voce: "È Lui, è l'Eletto, è il Figlio".
Ci guardiamo l'un l'altro negli occhi: "Abbiamo camminato verso Betlemme perché l'Angelo ci aveva annunziato il Salvatore, l'Onnipotente, Colui che veniva a salvare il mondo, a portare la pace e abbiamo trovato un piccolo Bambino indifeso che ci tendeva le mani e abbiamo capito che Dio aveva bisogno di noi, che non veniva a cambiare il nostro mondo, perché era nostro compito cambiarlo. Ora veniamo qui e ci aspettiamo il giudice, Colui che finalmente pulisce il mondo, che caccia via tutto il male e ci troviamo Uno che cammina con noi e si fa battezzare…".
Ma qui non si capisce più niente! Chi è il Signore? Cosa viene a fare, chi dobbiamo aspettare? È il lungo cammino che ci attende quest'anno: il cammino alla scoperta di Gesù!
Chi è? Perché è venuto? È veramente Lui l'onnipotente? È veramente Lui il giudice? Colui che cambia le sorti del mondo? Colui che punisce i malvagi e premia i buoni, o è completamente diverso? È la ricerca che ci aspetta quest'anno. Ci accompagnerà il Vangelo di Marco... per me il Vangelo più bello e straordinario, ma forse il più difficile.
Il Signore ci aiuti.
"Maestro, dove dimori"? II DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 14 Gennaio 2018
Disse loro: "Venite e vedrete" Giovanni 1, 35-42
Sarà accaduto alla maggior parte di voi, perché questa domanda, me la son sentita ripetere moltissime volte nel corso della mia vita di prete.
Se fossi nato in Cina non sarei cristiano. Se fossi nato in un'altra parte del mondo non avrei mai conosciuto Gesù. Allora aver conosciuto Gesù, essere cristiano è solo un caso? Certamente sì!
Tutti noi siamo cristiani perché siamo nati in Italia, perchè abbiamo avuto quella famiglia, perché siamo stati battezzati quando eravamo piccoli (almeno la maggior parte) e questo ci ha portato ad essere cristiani.
Qualcuno si meraviglia per questo, ma se ci pensate, tutta la nostra vita è dominata dal caso. Per caso ho fatto quel viaggio e ho incontrato quella persona. Per caso sono andato in quella scuola e ho trovato quel professore straordinario. Per caso ho trovato quel lavoro. Per caso... ma ogni incontro mentre è un caso, soltanto un caso, è anche una vocazione.
Perchè nel momento in cui entro in quel posto di lavoro sono chiamato a viverlo in un certo modo. Quando incontro una persona comincia l'avventura di un rapporto più o meno profondo con questa persona. Possono essere incontri favorevoli, (spero per voi nella maggior parte dei casi, come è stato per me) qualche volta qualche incontro sfortunato. Per gli incontri favorevoli (specialmente alcuni incontri) penso che quasi ogni giorno, magari senza pensarci, ringraziamo il Signore e la vita: ho incontrato quella persona, mi ha arricchito...
La stessa cosa... (sembra che dica cose strane, ma mi sembra evidente) la stessa cosa abbiamo letto nel Vangelo di oggi. I discepoli, per caso, si trovano lì con Giovanni. Per caso passa Gesù... Giovanni lo indica e loro... ecco qui comincia la seconda parte del discorso.
Loro vanno a cercare Gesù e Lui si volta e chiede: "Che cercate?". "Maestro, dove abiti?" "Dove abiti" è una parola che nel linguaggio del Vangelo significa: "Chi sei? come possiamo conoscerti". E Gesù non fa grandi discorsi, dice: "Venite e vedrete". E comincia l'avventura di questi discepoli: sedersi con Gesù, ascoltarlo, tentare di condividere i suoi valori, di scoprire chi è veramente, cos'ha nel cuore... ed è un'avventura che dura tutta la vita.
È stata la mia avventura e penso anche la vostra: quella di cercare di conoscere il Signore.
La cosa che più mi ha colpito nel corso del cammino della vita è vedere quanti cristiani che vanno in chiesa la domenica, soprattutto quelli che partecipano alle processioni, spesso processioni folkloristiche, non hanno quasi niente a che spartire con Gesù.
Se domandate qualche cosa di Gesù di Nazareth, dei suoi valori, qualche cosa del Vangelo, non vi sanno nemmeno rispondere. Vi parlano di padre Pio, della Madonna, di qualche santo, ma di Gesù, no! Eppure essere cristiani è avventurarsi in un incontro personale, vivo con una persona che è Gesù di Nazareth.
Noi non abbiamo la fortuna di conoscere direttamente Gesù. Questa fortuna l'hanno avuta pochissimi... una trentina, forse al massimo un centinaio di persone, non di più. Noi lo conosciamo attraverso una storia, attraverso i testimoni che, come Giovanni per i discepoli, anche a noi hanno indicato Gesù: il papà, la mamma, persone straordinarie che abbiamo incontrato nella nostra vita che ci hanno, in qualche modo, fatto conoscere il Signore e poi...
Poi in parte è dipeso da noi, continuare a cercare il Signore, a condividere con Lui il cammino della vita.
Prima di concludere vorrei fare una piccola parentesi che però credo sia importante specialmente per alcuni. Vedete - ci sono persone che non hanno mai conosciuto Gesù - eppure - sono migliori di me... In Cina ci sono più di un miliardo di persone, credo che più della metà sono migliori di me. Hanno avuto altre persone che gli hanno fatto scoprire dei valori.
Essere cristiani non vuol dire essere dei privilegiati, significa aver avuto la fortuna di incontrare il Signore. Questo non ci impedisce di guardare con rispetto e spesso più che con rispetto, con ammirazione, alcuni che cristiani non sono, ma che pure si comportano meglio di tanti cristiani, perché hanno dentro dei valori: chissà come sono venuti nel loro cuore?
Hanno avuto anche loro la fortuna di incontrare qualcuno. La vita è complessa non si può mai ridurre a schemi: cristiano non cristiano... purtroppo c'è troppa gente ancora nel modo che pensa che i cristiani siano buoni, gli altri brutti e cattivi (succede qualche volta anche in questo paese, in questo momento della nostra storia).
C'è gente in ogni parte del mondo che ha dei valori nel cuore, con cui è possibile dialogare e fare una lunga strada insieme (chiudiamo la parentesi).
L'ultima cosa che volevo farvi notare di questa pagina che abbiamo letto è che Gesù, quando incontra Pietro, gli dice: "Ti chiami Simone, da ora in poi ti chiamerai Cefa". L'incontro con Gesù... (è soltanto un simbolo il cambiamento del nome) l'incontro con Gesù ti cambia la vita, forse sarebbe più giusto dire: l'incontro con Gesù dovrebbe cambiarti la vita.
Posso testimoniare che in qualche modo l'incontro con Gesù mi ha cambiato la vita. Mi ha fatto guardare con occhi diversi uomini e cose. Mi ha fatto intuire tante cose importanti del cammino dell'uomo su questa terra e credo che sia stato così anche per voi… quindi non ci resta che continuare a cercare il Signore, a condividere con Lui il cammino, perché la nostra vita diventi sempre più ricca dei valori di Gesù e - chissà - che anche noi possiamo essere, come Giovanni Battista, capaci di indicare Gesù a qualcun altro e di aiutarlo con la nostra testimonianza a scoprire il Signore: quello che ritengo il dono più prezioso della mia vita.
Il Signore ci aiuti.
Gesù disse a Simone e a Andrea: III DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 21 Gennaio 2018
"Venite dietro a me, vi farò Marco 1, 14-20
diventare pescatori di uomini"
Ancora una volta la chiamata, la vocazione dei discepoli... la volta scorsa l'abbiamo letto (se ricordate) nel Vangelo di Giovanni, questa volta nel Vangelo di Marco e dicevamo che la vocazione dei discepoli non è un fatto eccezionale, ogni vita è vocazione, ogni incontro è vocazione. Vocazione le persone. Vocazione il lavoro. Vocazione è la situazione in cui ci troviamo.
Siamo chiamati a vivere nei rapporti con le persone e con le cose con cui ci troviamo a contatto, dei principi, dei valori, le cose in cui crediamo.
Il Vangelo di oggi aggiunge una cosa particolare e, a una prima lettura, sconcertante.
Gesù passa lungo il lago, vede Andrea e Pietro: "Venite con me". Quelli subito lasciano le reti, la barca e seguono Gesù. Poco dopo incontra Giacomo e Giovanni: "Venite con me" e quelli lasciano subito il padre, la famiglia e vanno con Lui.
Se leggete poco avanti il Vangelo, troverete ancora i discepoli a pesca sul lago, non hanno lasciato niente e così li trovate in famiglia: sono sposati quasi tutti, anche dopo la Risurrezione, quando andranno in giro per il mondo avranno la loro moglie, i loro figli con sé... allora perché qui Marco ci dice: "Lasciarono il lavoro, lasciarono la famiglia, il padre...". È un simbolo!
Qui bisogna che impariamo tutti a leggere il Vangelo di Marco! (un po' tutti i Vangeli ma quello di Marco in maniera particolare) È tutto un simbolo! E soltanto nel momento in cui quello che leggiamo non è più un fatterello magari strano come quello di oggi. Uno passa: "Vieni con me...". Quello lascia tutto e va, che è una cosa incomprensibile!
Se diventa simbolo, allora ci possiamo ritrovare dentro la nostra vita, anzi le cose fondamentali della nostra vita, perché - vedete - ogni rapporto umano è chiamato a "lasciare" qualche cosa… affetti, denaro, potere.
Un figlio deve lasciare le gonne di sua madre, la comunità della sua famiglia. Deve avventurarsi per il mondo. È un discorso importante oggi in cui spesso i nostri ragazzi stanno bene accoccolati nel dolce nido della loro famiglia e non hanno il senso dell'avventura, di "lasciare", di cercare di realizzare se stessi, di essere veramente liberi.
Dall'altra parte un genitore deve essere capace di lasciare libero suo figlio, sua figlia, di lasciarlo andare per la sua strada, di lasciarlo cercare i suoi valori, quello che per lui è veramente importante.
Quello che vale per la famiglia, vale anche per gli amici, (per spiegarmi...) sentiamo oggi, quasi in ogni telegiornale, di queste baby gang (ci son sempre state). Un ragazzo, se vuole essere libero, deve essere capace di non lasciarsi condizionare dai suoi amici, di lasciare non loro, ma il loro modo di vivere. Deve avere il coraggio di dire: no.
Oppure pensate (se volete un altro esempio) a chi nasce in una famiglia mafiosa. A un certo punto, se vuole essere libero, se vuole cercare la giustizia deve dire: no, anche ai suoi parenti. A volte (come sapete) a costo della stessa vita.
Ma per noi le cose sono ancora più complicate, perché oggi viviamo nel mondo della comunicazione di massa in cui ci sono, la televisione, la radio, internet e siamo condizionati. Condizionati dalla mentalità comune. Condizionati dalla gente che ci mette paura, che cerca in tutti i modi di condizionare il nostro modo di pensare e di vivere.
Ecco - essere cristiani significa avere il coraggio di "lasciare", di dire no, di cercare con il coraggio della propria mente, del proprio cuore: lasciare la famiglia, lasciare che i figli se ne vadano, fare in modo che gli amici non ci condizionino... lasciare la mentalità comune per essere liberi.
Non solo, per seguire il Signore occorre non lasciarsi condizionare dai soldi, dal successo dalla carriera, dal potere…
Qualcuno mi ha detto più di una volta: "Don Checco - questo che c'entra con il cristianesimo?" Se questo non c'entra con il cristianesimo, io non ho capito niente, cambiate prete!
Essere cristiani non significa venire a Messa la domenica. Essere cristiani significa essere liberi. Liberi di seguire Gesù. Liberi di amare: questo ci dice la pagina che abbiamo letto. Se non diventiamo liberi, se non abbiamo il coraggio di dire: no. Se non abbiamo il coraggio di non lasciarci condizionare da chi ci sta intorno, non potremo mai vivere i valori di Gesù.
Un'altra cosa voglio aggiungere brevemente... guardate che lasciare per lasciare non ha senso. Purtroppo nella comunità cristiana siamo stati abituati fin da piccoli all'idea del sacrificio, della rinuncia, quasi che a Dio piaccia la rinuncia. Ci hanno insegnato a fare i "fioretti". Nei tempi più antichi c'era gente che si flagellava, che faceva lunghi digiuni, che rinunciava al mondo intero, qualcuno si è lasciato addirittura (tra i santi) morire di fame... tutto questo è semplicemente masochismo, tutto questo è follia, soprattutto se si fa per guadagnarsi il Paradiso.
Non c'è amore, c'è solo rinuncia, sacrificio… allora fate bene attenzione: seguire Gesù significa certamente "lasciare" il condizionamento, ma lasciare per essere liberi, lasciare per amare, per essere capaci di condividere la vita, per realizzare se stessi in pienezza, per realizzare i propri desideri, i propri sogni, le proprie aspirazioni... allora si diventa liberi e allora si è cristiani che tentano di seguire il Signore.
È un'avventura difficile, ma se non cerchiamo di camminare sulla strada della libertà, non siamo dei veri cristiani. Se non cerchiamo di mettere dentro di noi dei valori veri, per vivere i quali rinunciamo a qualcosa, non siamo veri cristiani. Ma portiamo pazienza: essere liberi è forse la cosa più difficile di questo mondo.
Il Signore ci aiuti.
Erano stupiti del suo insegnamento: IV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 28 Gennaio 2018
Egli insegnava loro come uno che Marco 1, 21-28
ha autorità, e non come gli scribi.
Il Vangelo di Marco è straordinario! In poche parole (come avete ascoltato) riesce a riassumere l'esperienza più profonda dei primi cristiani: ce la comunicano in parole semplicissime. Cosa ci dicono oggi? Noi abbiamo avuto la fortuna di incontrare il Signore. Lui ci ha chiamati e non siamo andati dietro a Uno qualunque. Siamo andati dietro a Uno che parlava con autorità, non come i nostri scribi.
Gli scribi son tutti presi dal commento della Scrittura, delle minuzie della Legge. Gesù sapeva portare i suoi al cuore della tradizione, del messaggio che viene dall'Alto. Gesù rimetteva al centro l'uomo, aldilà della Legge: "Non è l'uomo fatto per il sabato, il sabato è fatto per l'uomo".
Gesù di fronte ai tanti comandamenti, sapeva proporre loro soltanto il comandamento nuovo: "Amatevi come io vi ho amato". Sant'Agostino traduce in parole brevissime: "Ama e fa quel che vuoi". Quello che conta è il cuore. Non più soltanto le pratiche esteriori: il culto, i sacrifici, gli olocausti... quello che conta è il cuore! Un cuore capace di amare, di rispettare l'uomo, ogni uomo, il più piccolo degli uomini.
Di più - ha saputo togliere dal loro cuore la paura di Dio con delle parabole straordinarie... pensate a quella del Padre misericordioso. Non c'è più il Dio severo che giudica, punisce, ma il Dio capace di far festa, che ci chiama alla "festa".
Ecco, abbiamo incontrato Uno che non era come i nostri maestri, che ripetevano stanche parole. Uno che ci ha detto qualcosa di nuovo che ci toccava il cuore, che ci ha presi dentro.
C'è un'altra esperienza che ci comunicano! Lui è venuto a liberarci dal male. Gli spiriti impuri, i diavoli, nel Vangelo, sono sempre simbolo del male. Non pensate a strani esseri che hanno invaso la tradizione cristiana: è un simbolo!
I primi cristiani si sono sentiti liberati dal male da Gesù, o almeno messi in cammino per la liberazione del male. Alcuni di loro erano degli esattori delle tasse. Alcuni dei banditi, dei terroristi. C'erano delle prostitute… e soprattutto il peccato normale, quello che ci portiamo dietro anche noi: l'incapacità di condividere la vita, di donarsi agli altri.
L'incontro con Gesù li ha liberati da questo: ha fatto di loro dei testimoni capaci di andare in giro per il mondo a donare la vita. Li ha veramente liberati dalle loro pigrizie, dai loro egoismi: li ha fatti capaci di essere liberi.
Di più - li ha liberati o ha cercato di liberarli dal peccato più grande che l'uomo religioso può commettere. Il Vangelo lo dice con parole semplici: i "diavoli" sanno chi è il Messia, il Figlio di Dio, ma devono tacere... è il peccato più grande che l'uomo può fare: pretendere di sapere chi è Dio. Chi è Dio pretende di saperlo il "diavolo".
In nome di Dio sono stati perpetrati massacri terribili nel corso della storia. Pensate alle Crociate o alle SS che avevano scritto sulla cintura "Dio è con noi", pensate oggi ai terroristi dell'Isis che uccidono e fanno stragi impossessandosi del nome di Dio: è il peccato più grande! Dio abita l'Oltre, può essere solo cercato.
Ma non solo queste storie drammatiche hanno attraversato la storia della Chiesa... tanti "pastori" hanno messo carichi e pesi sul cuore della gente dicendo: "Dio vuole così, Dio proibisce quello, Dio... " Le nostre nonne avevano paura anche di mostrare il loro malleolo, perché così dice il Signore!
Troppa gente - anche oggi - si impossessa del nome di Dio. Dio abita l'Oltre, dobbiamo cercarlo con tutta la passione del nostro cuore. Avete visto con quali parole semplici il Vangelo di Marco ci dice tutto questo? Ed è bene (secondo me) che lo dica con dei simboli perché ciascuno di noi possa riempirli con la propria vita.
Chi è stato per me Gesù? È stato veramente il Maestro che ha autorità? Colui che mi ha fatto libero, che mi ha portato a scoprire i valori essenziali? Fino a che punto Gesù mi ha liberato dal male? Fino che punto - io - sono stato capace nella mia vita di non parlare in nome di Dio?
Qualcuno di voi può dire: "Io in nome di Dio? mai!" Eh, attenzione! Tanti genitori hanno detto ai loro figli: "Dio vuole questo, Dio vuole quell'altro..." ci sono anche i nonni che qualche volta lo fanno: "Se fai così fai soffrire Gesù. Se ti comporti così fai male"… fino alle banalità che ascoltavo quando ero giovane: "Se hai i capelli lunghi non sei un buon cristiano". Sciocchezze!
Sciocchezze di chi pretende di parlare in nome di Dio e - anche oggi - ci sono troppi preti - qualche volta anche il Papa - che pretendono di parlare in nome di Dio e dire: "Questo è giusto e questo è sbagliato".
Il cammino del credente è un cammino fragile, in ricerca. Un cammino che si sente affascinato da Gesù, dalla sua realtà, dalla sua Parola, dalla sua vita. Si sente chiamato alla libertà e cerca di camminare, cercando la Luce senza mai pensare di possederla, senza mai imporre un peso sul cuore dell'altro dicendo cosa è voluto da Dio.
Dio abita l'Oltre e Dio è il Padre che ci chiama alla libertà, alla condivisione della vita e all'amore.
Il Signore ci aiuti.
La suocera di Pietro era a letto V DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 4 Febbraio 2018
con la febbre... Egli si avvicinò, Marco l, 29-39
la fece alzare, la febbre la
lasciò ed ella li serviva
Proviamo a seguire il Vangelo di Marco con i suoi straordinari simboli... Ormai, l'ho ripetuto tante volte: penso che basti leggere il Vangelo perché vi rendiate conto - tutti - che si tratta di simboli. Simboli straordinari che questa comunità ha inventato per farci capire cosa significa andare dietro Gesù.
Marco ci diceva nelle volte precedenti che abbiamo avuto la fortuna di incontrare il Maestro. Ha attraversato la nostra strada, ci ha chiamato a seguirlo e non siamo andati dietro a Uno qualunque, ma a Uno che ha autorità, capace di comunicarci i valori essenziali, di toccarci il cuore, di liberarci dal male.
E ci ha ricordato - Marco - perché è uno dei suoi incubi, che dobbiamo stare attenti a non sapere chi è Dio. Dio nessuno lo conosce, dobbiamo cercarlo con cuore fragile e - adesso - possiamo domandarci: "Dove ci porta Gesù? Cosa ci dice Marco?"
Ed ecco che entriamo nella casa di Pietro, entriamo nella Chiesa: siamo noi. Adesso si parla di noi e subito c'è un problema: c'è qualcuno che ha la "febbre".
Potremmo dire: (siamo abituati in questo periodo) "Bah, un po' di letto, un po' di latte, di miele e poi la febbre passa". No, qui non si parla di questa febbre, qui si parla di un'altra febbre che possiamo avere un po' tutti. Non è una grande malattia, non siamo paralizzati, non siamo in punto di morire... un po' di febbre.
Gesù si avvicina, prende per mano la suocera di Pietro ed ella si alza e si mette a servire. Ecco, per la prima volta una delle parole chiave del Vangelo di Marco: "servizio". Alla fine Gesù ci dirà: "Siate come me che non sono venuto per essere servito, ma per servire e donare la mia vita".
A molti di voi (l'ho capito tante volte) la parola "servizio" non piace, sembra qualche cosa di umiliante, cercatene un'altra: rispetto, condivisione della vita, attenzione agli altri, partecipazione, mettersi nelle "scarpe", nei panni degli altri, l'empatia per gli altri, la voglia di essere con l'altro... quello che volete, ma è la cosa fondamentale!
Il cristiano è chiamato ad andare incontro al fratello. Gesù ci invita ad alzarci dai nostri egoismi, dalle nostre pigrizie, dalle nostre "febbri"… e spalanca la porta e fuori (come avete ascoltato) si raduna un'umanità dolente: tante malattie del corpo, del cuore, della mente.
Ne troviamo intorno ogni giorno. Delle malattie del corpo se ne occupano i medici, ma non bastano perché, chi è malato, ha bisogno che chi gli sta vicino sia attento, capace di mettergli la mano sulla spalla, di dargli coraggio, di sostenerlo.
Poi ci sono quelle malattie che i medici curano molto difficilmente: le malattie del cuore, la sofferenza di non essere amati.
Poi ci sono le malattie della mente con cui, in questi giorni, facciamo gran conto: i razzismi, i rancori, gli odi che attraversano l'Italia.
Ecco - tante malattie verso cui siamo invitati a chinarci con attenzione, facendo quello che possiamo, ciascuno la propria parte, con semplicità.
Gesù guarisce tutti e poi... e poi se ne va! Se ne va sulla montagna a pregare, si allontana, perché c'è un pericolo. Pietro arriva: "Tutti ti cercano, hai avuto successo, sei diventato importante, torna a ricevere l'applauso di tutti". "Andiamo da un'altra parte!".
Per il credente non conta il successo, non è questo il criterio. Gesù deve andare dagli altri, deve andare da un'altra parte. Deve andare là, dove magari sarà perseguitato, respinto. Gesù non ama il successo e invita anche noi a non cercarlo.
La ricerca del successo attraversa la storia dell'uomo. Pensate al secolo scorso, a Mussolini, Hitler: l'applauso delle folle. L'applauso senza sapere che cosa si applaudiva, senza pensare, senza darsi ragione di quello che succedeva intorno.
L'uomo - spesso - vuole rinunciare a pensare e Gesù ci dice: "Attenzione, non applaudite" Non so se qualcuno di voi può parlare con il Papa, raccomandategli, che dica di non applaudire e che lo dica ogni volta che parla: "Non applaudite, pensate, cercate...". Nessuno possiede la verità, non conta l'applauso, conta la ricerca dell'altro, l'attenzione a chi ci sta intorno, il chinarci verso di loro, il cercare di vivere con semplicità l'attenzione verso l'altro,
Se la parola vi piace: (come piace a me, come piace al Vangelo di Marco) il servizio. Il servizio di ogni giorno, semplice: questo è essere cristiani e seguire Gesù. Là ci porta… continueremo a seguire il Vangelo di Marco.
Il Signore ci aiuti.
Venne da Gesù un lebbroso: VI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 11 Febbraio 2018
"Se vuoi puoi purificarmi!". Marco 1, 40-45
Ne ebbe compassione e disse:
"Lo voglio, sii purificato!"
Il Vangelo si presta a interpretazioni diverse e qualche volta - addirittura - a essere travisato. Succede ai nostri giorni e succedeva anche ai tempi antichi.
Vedete - nella pagina che abbiamo letto accade qualche cosa di strano come raramente nel Vangelo. Che cosa succede?
Come sapete certamente, il Vangelo non è come i libri che usiamo noi che una volta stampati rimangono identici. Venivano scritti e ricopiati e poi ricopiati molte volte e gli studiosi debbono ritrovare l'autentica stesura del Vangelo iniziale da tanti fogli. Le differenze sono minime, ma alcune sono significative, una è quella che troviamo oggi.
Voi avete ascoltato che Gesù davanti al lebbroso "fu mosso a compassione". Ma gli studiosi hanno trovato che in alcuni codici antichi non c'è scritto: "fu mosso a compassione" ma "fu preso da indignazione". Si indignò!
Evidentemente qualche copista zelante ha detto: "Come, Gesù si indigna davanti a quel povero lebbroso? Che senso ha indignarsi?" Ha cambiato e invece di scrivere "indignazione" ha scritto "compassione". Ma come avete ascoltato, più avanti si legge: "Lo cacciò via severamente". Quindi si vede che Gesù era proprio arrabbiato!
Ma cambiando - a mio avviso e ad avviso di parecchi studiosi - ci ha fatto perdere uno dei dati più importanti del Vangelo: l'indignazione di Gesù di fronte al lebbroso. Non pensate che si tratti (come ci dicevano, almeno a me, non so se anche a voi) del lebbroso come simbolo del peccato. Nel Vangelo di Marco il simbolo del peccato (lo troveremo più avanti) è il "paralitico", il lebbroso non c'entra niente. Qui il lebbroso è il malato.
Il primo punto che dobbiamo osservare di questa "indignazione" (che dovrebbe anche essere la nostra) è quella di fronte alla malattia. Noi non dovremmo sopportare la malattia! Dovremmo vederla come un'offesa alla vita dell'uomo, alla natura... la malattia - badate bene - non il malato! E cercare di fare di tutto perché quest'uomo soffra il meno possibile, sia guarito. È compito dei medici, ma non solo dei medici, è compito di tutti noi che sosteniamo la ricerca e continuiamo a sentire un senso di indignazione per tutte quelle forme di malattia che ci sono nel mondo, che con un po' più di buona volontà si potrebbero curare e ancora non riusciamo a farlo.
C'è tanta gente che soffre. Il credente, ma ogni uomo non soltanto il credente, dovrebbe mantenere una forte di indignazione verso tutto quello che nel mondo è sofferenza, dolore, per poterlo superare, per andare oltre, per poterlo curare, guarire nei limite del possibile.
Ma c'è - in questa indignazione di Gesù di fronte al lebbroso - qualche cosa di molto più forte che ci riguarda come credenti.
Avete ascoltato nella prima lettura che i poveri lebbrosi di un tempo dovevano stracciarsi le vesti, coprirsi il volto e andare in giro gridando: "Impuro, impuro".
Badate - non soltanto "impuro" perché posso contaminare: loro non sapevano niente della diffusione delle malattie, dei batteri... impuro significa: punito da Dio. Significa peccatore. Significa che sta soffrendo perché ha fatto qualche peccato… e magari è innocente.
L'idea che alla malattia, alla disgrazia, al terremoto, all'alluvione... sia congiunta la punizione di Dio per il peccato è una delle convinzioni più radicate nella storia dell'uomo e non soltanto nella nostra civiltà cristiana, un po' in tutto il mondo: a questo Gesù tenta di ribellarsi! È il suo fallimento o - se volete - uno dei suoi fallimenti! A cui forse dovremmo tentare di porre rimedio, aiutando Gesù a non avere "fallito" perché non è riuscito a rompere questo legame tra la disgrazia, l'evento catastrofico, il terremoto... e il peccato.
Vedete - una delle frasi che ho più ascoltato nel corso della mia vita ormai lunga è: "Padre che male ho fatto perché mi capiti questo?". Se mi è capitato un malanno, una disgrazia è perché ho fatto qualche cosa di male. Qualche volta questo porta un forte senso di colpa.
E se qualcuno di voi è stato sfortunato, ha trovato chi gli diceva: "Non sei stato esaudito perché non hai saputo pregare, perché non hai sufficiente fede". Oppure - peggio - se incocciamo nel "santone" di turno che vi dice: "Nella famiglia c'è tuo padre che ha il tumore? Qualcuno ha peccato!" E ce se la piglia con il più debole della famiglia, come succede! Oppure: "Se tua figlia ha la leucemia, qualcuno ha peccato". Sono storie che ho sentito io!
Non vi sembra uno psicopatico uno che dice una cosa del genere? Ma - vedete - noi gli psicopatici non li sappiamo curare e li facciamo santi!
Abbiamo anche ascoltato un cardinale dire che l'AIDS è la punizione di Dio per la corruzione del mondo, non dobbiamo metterci paura e possiamo dire: "Questo è un povero scemo!". "Ma è un cardinale!" Che significa? Anche i premi Nobel possono essere scemi, figuriamoci i cardinali!
Il Vangelo di oggi ci invita a conservare una forte indignazione contro tutto questo! Dobbiamo rompere questo legame che carica di sensi di colpa, che aggiunge sofferenza a sofferenza... Ecco perché Gesù di fronte al lebbroso si indigna!
Allora, un compito per voi: fate in modo che Gesù non abbia fallito del tutto. Almeno noi cerchiamo di ribellarci a tutto questo e almeno noi cerchiamo di conservare - che è la cosa più importante - una forte indignazione verso la sofferenza e il dolore e non certamente verso il malato, ma verso la sofferenza e il dolore, sì.
Occorre fare tutto quello che possiamo, specialmente quando abbiamo vicino qualcuno che soffre, perché possa essere guarito, curato e se non guarito almeno circondato di attenzione, di tenerezza, di tutto quello che fa sopportare meglio i guai della vita perché - purtroppo - nella vita ci sono guai: è una delle grandi ingiustizie della storia: il grande dolore che attraversa la vita dell'uomo.
In tutto questo non dobbiamo mai vedere la punizione di Dio, ma la nostra responsabilità.
Responsabilità di curare il male, di guarirlo e di fare tutto quello che possiamo perché l'uomo non soffra.
Il Signore ci aiuti.
Io stabilisco la mia alleanza con voi… I DOMENICA di QUARESIMA - 18 Febbraio 2018
e con ogni essere vivente che è con voi… Genesi 9, 8-15. Marco 1, 12-15
Se avete prestato un po' di attenzione alla prima lettura, avete sentito ripetere per ben quattro volte la parola: Alleanza. È una parola che dovrebbe essere fondamentale, una parola chiave della nostra religiosità.
Fra poco, come tutte le volte che celebriamo la Messa, prendendo in mano il calice dirò: "Questo è il calice del mio Sangue per la Nuova ed Eterna Alleanza". Un'Alleanza nuova. Ce n'è una antica, direi ce ne sono molte antiche.
Alleanza è una parola che viene da lontano. Gli uomini, da cui è cominciata a sorgere la religione non avevano uno Stato, delle Leggi e quindi potevano soltanto fare dei patti fra loro. Patti tra le famiglie, tra le tribù, per dividersi il pascolo, per stabilire l'accesso al pozzo dell'acqua in quella terra lontana in cui è nata la nostra fede.
Alleanza che - spesso - era accompagnata dalla festa e da segni, in cui spesso si usava il sangue. Ecco perché noi diciamo: "questo è il Calice del mio Sangue".
Le cose più semplici... due capi tribù si incontravano e facevano un graffio sul polso, univano i bracci e il sangue si univa e dicevano: "Ecco, abbiamo la stessa vita, siamo fratelli". Il sangue, per gli antichi, è la vita. Era un rito che sentivano molto significativo.
Israele pensa di poter fare un'alleanza con Dio, o meglio che il rapporto che Dio offre al popolo sia un rapporto di alleanza e che la ripeta molte volte nella storia. Troveremo in questa Quaresima (vedrete) più di una volta l'Alleanza.
Oggi - forse lo avrete notato - l'alleanza che Dio ci propone nella prima Lettura è un'alleanza con tutto il creato.
L'arcobaleno: il segno della pace dopo il diluvio, dopo la grande distruzione. Dio dice: "Basta! pongo un segno, grande: l'arcobaleno. Faccio l'alleanza con tutte le creature, non soltanto con gli uomini, ma con le bestie, con la natura".
Ecco, su questa alleanza credo che faremmo bene a riflettere più di una volta, specialmente nei nostri tempi, in cui l'alleanza con la natura rischiamo di romperla ogni giorno. Noi sciupiamo la natura che abbiamo intorno, non ce ne prendiamo cura.
Il mare si inquina, l'aria diventa sempre meno respirabile, l'acqua diminuisce, i ghiacciai si sciolgono... ecco, tutto questo significa che stiamo rompendo l'alleanza con la natura, che non ci sentiamo più parte di questa natura, responsabili della cura attenta di tutto il creato.
E - allora - possiamo ascoltare l'invito che ci viene dal Vangelo a fare come Gesù: combattere il Satana. Satana (l'ho già detto più volte) nel Vangelo è il simbolo del male. Oggi possiamo prendere l'impegno a combattere quello che è uno dei mali del nostro tempo: lo sciupio del mondo.
E ciascuno di noi potrebbe fare qualcosa per non inquinare il mondo con troppa plastica, per non consumare troppa acqua, per non sprecare troppi prodotti della terra... insomma per custodire questa terra, per noi e soprattutto per i nostri figli, perché rompere l'Alleanza significa sciupare il mondo.
Per vivere l'Alleanza, per non sciupare il mondo occorre (per quello che ho capito io) ritrovare la contemplazione, immergersi nella bellezza della natura, ritrovare lo stupore.
Noi abbiamo (qui a Ostia) la fortuna di avere una pineta, una delle più belle del Mediterraneo... dovremmo conservarla, fare in modo che non bruci, ma soprattutto ciascuno di noi può fare la sua passeggiata in pineta e ammirarne la bellezza, oppure fatevi qualche volta una passeggiata dal Pontile fino al porto, camminando sulla riva del mare.
Il mare a volte tempestoso, a volte luminoso, a volte oscuro quasi come il piombo, a volte azzurro come il cielo e spalanchiamo i nostri occhi perché, se ci immergiamo in questa natura, se la sentiamo nostra, allora siamo capaci di vivere questa Alleanza. Siamo capaci di sentire l'esigenza di conservare tutto questo, di non sciuparlo. È brutto che il mare si riempia di plastica. È brutto che il mare si inquini e si sciupi.
Ecco - quanto più impariamo ad amare queste cose, quanto più ci immergiamo, quanto più sentiamo nostra l'alleanza con tutto il creato, tanto più saremo portati al rispetto, all'attenzione, alla cura.
Combattere il male per noi significa anche questo ed è un compito, in questo tempo, (se capisco qualche cosa) particolarmente importante perché il mondo lo stiamo sciupando e i nostri figli non potranno vedere il mondo bello come lo abbiamo visto noi e non è giusto! Dio ha affidata a noi questa terra, ha affidato a noi l'alleanza con questa terra e - allora - quando ci capiterà qualche volta di guardare un bell'arcobaleno nel cielo, ricordiamoci il patto dell'Alleanza che Dio ha stabilito con noi. "Non distruggerò più la terra" ma non è Lui che la distrugge, siamo noi e allora guardando "quell'arco" ricordiamoci: è nostro il compito di custodire, di conservare, di amare questa terra e per poterla amare impariamo sempre di più a contemplarla, a goderla, a viverla.
La prossima volta parleremo degli uomini, più importanti forse della natura. Per oggi sentiamo di poter rinnovare l'Alleanza che Dio fa con il mondo, ma L'alleanza che Lui invita anche noi a fare: un patto di amore, di rispetto, di stupore, di meraviglia, di contemplazione.
Il Signore ci aiuti.
Prendi tuo figlio il tuo unigenito che II DOMENICA di QUARESIMA - 25 Febbraio 2018
ami Isacco … e offrilo in olocausto… Genesi 22,1-2. 9°. 10-13. 15-18. Marco 9,2-10
La volta scorsa ci soffermavamo sull'Alleanza di Noè, l'Alleanza con la natura, la bellezza del creato... oggi più impegnativa: l'Alleanza con gli uomini.
Ci introduce l'Alleanza con Abramo basata (come avete ascoltato) sul sacrificio del figlio. È una pagina - questa - che ha sempre suscitato sconcerto in molte persone e suscitava sconcerto anche nei tempi antichi. C'era stato in passato in Israele, come in tanti posti del mondo, l'uso del sacrificio del figlio. Quando c'era un pericolo, quando c'era la peste o incombeva la guerra, gli uomini sacrificavano quanto avevano di più prezioso: il figlio primogenito o la figlia.
A un certo punto in Israele - questo - diventa un orrore, una cosa che appartiene al passato, che genera disgusto e questo racconto, che mostra che Dio non vuole il sacrificio del figlio, ma dell'ariete, avrebbe dovuto essere ridotto a due righe e invece (come avete ascoltato) questo racconto si dilata, diventa pieno di particolari minuziosi: la legna, l'asino, il coltello, il cammino...
Chi ha scritto questo antico mito (perché di un mito si tratta) ha intuito che in questo racconto di Abramo ci fosse qualche cosa di fondamentale: il rapporto tra gli uomini si basa sul sacrificio dell'altro, sulla rinuncia a possedere l'altro. È qualche cosa di fondamentale per la nostra esperienza!
Comincia fin da quando eravamo bambini. Quando avevo due anni ho subito certamente un piccolo trauma alla nascita di mia sorella... mi portava via mia mamma, non era più mia, diventava di lei, della sorella! Come è possibile? Dovevo imparare a sacrificare la mamma, a non averne il possesso esclusivo, a non sentirla come mia, ma a condividerla... ed è un'esperienza traumatica ma che introduce alla vita.
Più complicato è per i genitori il sacrificio del figlio, perché si è adulti e perché, quando una mamma e un papà aspettano un figlio, se ne fanno un'immagine, sognano come dovrebbe il figlio che aspettano. Lo sognano bello, sano, ordinato, giusto, desiderano - a volte - che diventi un po' come loro, che segua il loro stesso cammino e poi... e poi ti capita che nasca con un difetto, un figlio down e allora ecco che la tua immagine del figlio devi sacrificarla completamente per accettare questo figlio così come è e non come tu lo vorresti.
E poi quando il figlio cresce molti genitori investono nel figlio se stessi e quello che non hanno realizzato vorrebbero vederlo realizzato nel figlio. Il figlio diventa quasi una loro proiezione. Vogliono l'affermazione di questo figlio e lo difendono ad ogni costo. Questo comporta quello che leggiamo ormai sulle pagine dei giornali di genitori che vanno a difendere il figlio a scuola e addirittura a picchiare l'insegnante.
Questo succede anche tra i ragazzi... mi viene in mente, spesso, la battuta di un allenatore di squadre giovanili di calcio che diceva: "Sogno di allenare una squadra di orfani, così non ho da combattere con i genitori".
Il genitore proietta la sua idea, la sua volontà di affermazione nel figlio, non sa rinunciare, non sa sacrificare il figlio, non sa rendersi conto che il figlio appartiene a se stesso, deve realizzarsi secondo le sue capacità, i suoi desideri, i suoi sogni.
Questo si acuisce nell'adolescenza quando un figlio cresce e cresce come non vorremmo e si entra in conflitto e facciamo fatica ad accettarlo e a rispettare nel profondo la diversità di questo figlio che cresce e a cercare di stargli vicino con tenerezza e soprattutto con il rispetto assoluto della sua identità.
Non è nostro, il figlio, appartiene a se stesso, appartiene a Dio! Viene dalla profondità della natura, per chi crede viene da Dio!
Questo vale anche per i rapporti tra uomo e donna. Quando ci si vuole bene non si può pensare di possedere l'altro. L'altro non è nostro, è sempre "suo".
Quando non si è capaci di sacrificare l'altro, l'altro che (magari) si è stancato di noi e decide di andarsene, perché è diventato diverso, perché vuole percorrere altre strade si può arrivare a quella tragedia sociale, c'è sempre stata, ma oggi ce la presentano i mezzi di comunicazione e la sentiamo forse più vivamente che in tempi passati: ogni tre giorni... ogni tre giorni una donna muore assassinata per la gelosia, per la volontà di possederla!
Ecco - vedete - la radicalità del messaggio che c'è nell'Alleanza di Abramo. Bisogna che io sia capace di sacrificare l'altro, non posso possedere l'altro!
Per vivere questo rispetto, questa accettazione dell'altro, forse possiamo ascoltare l'indicazione che ci dà il Vangelo che oggi abbiamo trascurato. Qualche volta bisogna salire sul "monte" ed essere capaci di guardarsi negli occhi e ascoltarsi, lontano dal rumore della gente.
Guardarsi negli occhi con le persone che amiamo. Guardarsi negli occhi con i figli, saperli ascoltare, saper condividere e - allora - sarà più facile avere rispetto, rinunciare a possedere, a volere l'altro come nostro: è il fondamento dei rapporti umani!
Questa è l'Alleanza che Dio ci chiama stabilire con Lui e tra di noi. Non è facile: è una delle cose più difficili della vita, ma è fondamentale.
Il Signore ci aiuti.
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò III DOMENICA di QUARESIMA - 4 Marzo 2018
tutti fuori dal tempio con le pecore e i buoi… Esodo 20, 1-17. Giovanni 2, 13-25
Ancora una riflessione sull'Alleanza. Il nostro rapporto con Dio, secondo la nostra fede, è basato sull'Alleanza, un patto con Lui.
Nella prima domenica (se ricordate) parlavamo dell'Alleanza con la natura, con la bellezza del creato; domenica scorsa dell'Alleanza con l'uomo; oggi dell'Alleanza con la Legge - o meglio - la Legge è il fondamento dell'Alleanza. È qualche cosa di essenziale (per quello che ho capito io) della nostra fede.
Vedete - il rischio della religione è quello di pensare che Dio sia Colui che ci protegge, ci custodisce, Colui a cui possiamo raccomandarci, chiedere aiuto, protezione... invece la nostra fede ci dice che Dio fa un patto con noi ed esige l'osservanza della giustizia, della Legge: vuole la gratuità, il rapporto vero con gli uomini, il rispetto degli ultimi, dei miseri. La religione che diventa solo culto, solo esteriorità, solo bisogno di aiuto dall'Alto è - secondo la grande tradizione ebraico-cristiana - una religione falsa.
Se leggete gli antichi profeti: Amos, Geremia, Isaia... vedrete che parole durissime hanno contro un culto fatto di processioni, di feste, di canti, di incensi eccetera e che non è accompagnato dalla giustizia, Dio dice: "Non sopporto le feste e l'ingiustizia! Non sopporto i vostri canti, le vostre preghiere se non sono accompagnate dalla giustizia". È quello che dice anche oggi il Vangelo!
La cacciata dei mercanti dal tempio non è (come qualche volta si sente dire in maniera banale) una polemica di Gesù contro i soldi che circolano intorno al tempio... sì c'è anche questo! Ma quello con cui Gesù polemizza è il fatto che il tempio è il luogo del commercio con Dio: "Io ti offro qualcosa e Tu mi dai qualche cosa in cambio". Di più, il tempio era il luogo dell'esclusione... L'esclusione dei poveri che non avevano da offrire nemmeno una colomba. L'esclusione dei malati, degli ultimi, l'esclusione delle donne: contro tutto questo Gesù si ribella!
È il cuore della nostra fede. Il patto con Dio esige la giustizia. Il culto ha senso soltanto se ci spinge ad essere giusti, a osservare la Legge.
E guardate che non possiamo parlare soltanto dei tempi antichi. Anche oggi, in questo paese, abbiamo assistito a processioni che si inchinano davanti alla casa del boss. Abbiamo visto frati che andavano a dire la Messa nel covo del boss della mafia. Abbiamo assistito a celebrazioni in cui non c'è l'esigenza della giustizia. Quando sentiamo dire da una persona che si occupa di queste cose: "Il killer della 'ndrangheta prima di andare ad uccidere va a chiedere la protezione della Madonna" dobbiamo interrogarci su che fede abbiamo professato in questo paese. Se abbiamo trascurato in maniera totale l'esigenza della giustizia, il patto dell'Alleanza.
Si va in pellegrinaggio da padre Pio, dalla Madonna, da santa Rita... per chiedere la loro intercessione presso Dio. Il bisogno di qualcuno che a nome nostro interceda presso Dio.
Fermatevi un momento a riflettere... perché io ho bisogno di qualcuno che mi raccomandi a Dio? Perché molta della nostra religiosità è basata sulla richiesta di qualcuno che ci raccomandi? Se ci pensate bene e leggete le statistiche vedrete che nei nostri paesi cattolici, dove questo è largamente diffuso, c'è più corruzione che in altri paesi!
In questo paese ci si basa sulle raccomandazioni. Se questo dipendesse dal fatto che ci raccomandiamo troppo ai santi? Sono domande difficili, ma serie. La fede in cui crediamo esige la giustizia... non posso fare feste, celebrazioni, processioni che non siano strettamente collegate a un'esigenza di giustizia.
Una seconda considerazione, per me importante, perché fa parte della lunga esperienza della mia vita. Quando si parla di Legge bisogna fare attenzione a non farsi caricare di pesi insopportabili. C'è chi approfitta della propria autorità religiosa per mettere pesi sul cuore della gente.
Per tutta la vita ho combattuto contro sensi di colpa per cose che non hanno niente a che spartire con il peccato. Quando ero giovane ho passato ore in confessionale a difendere la gente per i profilattici o per la pillola anticoncezionale. Sembrava un peccato gravissimo, ma era solo una scemenza! Era solo un'incapacità di capire che il mondo cambiava e di questi esempi ce ne sono molti.
Anche oggi troppi preti - qualche volta anche il Papa - mettono pesi sulle spalle della gente.
Una Legge che non sa veramente distinguere il bene dal male... e il male è quello che offende l'uomo, quello che fa soffrire, quello che mette in difficoltà... Non può essere male quello che dà piacere ad una persona, quello che gli dà un momento di tenerezza, di felicità, di gioia: non può essere male, punto!
Terza considerazione... alla Legge - in certi casi - bisogna disubbidire! Uno dei principi fondamentali del Vangelo è che la Legge è fatta per l'uomo e non l'uomo per la Legge.
Se una Legge offende l'uomo, se lo fa soffrire, se umilia l'uomo, se permette di uccidere... è una Legge che va rifiutata con tutte le proprie forze, fino al martirio.
Il secolo scorso, da questo punto di vista, è stato esemplare. Abbiamo sentito troppe volte gente responsabile di massacri terribili difendersi, dicendo: "Ho ubbidito alla Legge!". Una Legge che mi comanda di uccidere un innocente è una Legge a cui bisogna disubbidire.
Per non farvela troppo lunga mi fermo qui riassumendo... se sono riuscito ad esprime qualche cosa, ho tentato di dirvi che il rapporto con la Legge è un rapporto complesso e difficile. È un rapporto con tante sfumature. È un rapporto che si può risolvere con cuore sincero soltanto immergendosi nel concreto dei rapporti umani che viviamo ogni giorno.
Ma dobbiamo ricordarci che venire qui in chiesa non è soltanto un rito, ma è rinnovare un rapporto con Dio, un rapporto con Gesù, è nutrirci del Pane, del Calice dell'Alleanza per uscire fuori di qui e vivere la giustizia.
Se veniamo qui soltanto per compiere un rito, per ottenere una grazia, per suffragare i nostri morti - tutte cose importanti - e non ci portiamo dietro un'esigenza di gratuità, di rapporti giusti con gli altri, di attenzione ai piccoli e ai poveri... la nostra religiosità ha poco a che spartire con la grande tradizione di fede del popolo di Israele, di Gesù e dovrebbe essere anche la nostra fede.
Il Signore ci aiuti.
Chi crede in Lui non è condannato, ma IV DOMENICA di QUARESIMA - 11 Marzo 2018
chi non crede è già stato condannato… Cronache 36, 14-16. 19-23. Giovanni3,14-21
In queste domeniche di Quaresima abbiamo dedicato la nostra attenzione al tema dell'Alleanza. Un tema fondamentale per l'Antico Testamento e dovrebbe esserlo anche per noi.
Tra poco ripeterò alzando il Calice: "Questo è il Calice della Nuova ed Eterna Alleanza" Quindi noi siamo qui per celebrare l'Alleanza e poi viverla ogni giorno.
Abbiamo tentato nelle domeniche precedenti di vedere alcuni aspetti dell'Alleanza. Se ricordate... la prima domenica il tema dell' Alleanza con la natura, con la bellezza del creato che dobbiamo custodire. La seconda volta l'Alleanza con gli uomini, con le persone che abbiamo intorno ogni giorno. Domenica scorsa affrontavamo il tema dell'Alleanza con la Legge, il problema di confrontarsi con la complessità della Legge.
Oggi tentiamo il passo più difficile di questa Quaresima: l'Alleanza con la storia o forse sarebbe meglio dire l'Alleanza nella storia.
Avete ascoltato la prima Lettura... sembra tutto parte di un grande progetto di Dio che muove la storia del mondo. Dio punisce gli Ebrei per i loro peccati, li fa deportare in Babilonia, poi invia Ciro, il suo messaggero, suscita il suo spirito, quasi un messia che rimanda il popolo di Israele, o quelli che vogliono, a Gerusalemme a ricostruire il Tempio.
Tutto sembra parte di un piano che regola, dirige gli avvenimenti. Questo, per i nostri nonni, era abbastanza semplice. Mia mamma diceva sempre: "Non si muove foglia che Dio non voglia". Una delle parole che nel corso della storia cristiana è stata ripetuta più volte è quella del libro di Giobbe: "Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore".
Ma è vero che Dio dà e toglie? Quando poi accadono situazioni drammatiche nella vita di una persona... quando muore un giovane, quando muore un bambino, quando vediamo le grandi tragedie del mondo, ci domandiamo: "Perché... perché Dio permette questo? Dove è il Suo piano? Esiste veramente un piano della storia? E, se esiste, che piano è? A volte sembra malvagio!".
Ecco - forse - noi oggi dobbiamo dirci con chiarezza che la nostra vita non è affidata a un piano che muove le nostre esistenze - un po' come si muovono le marionette - ma è affidata alle forze della natura, a volte crudeli. La nostra vita è affidata al caso: ti trovi nel momento sbagliato nel posto sbagliato e soprattutto la nostra vita è affidata alla volontà degli uomini, alla buona o alla cattiva volontà degli uomini.
Ed ecco - dunque - il bisogno di interpretare la storia, di cercare di capire gli avvenimenti. Da dove viene il male e perché?!
Oggi abbiamo dei grandi poteri che un tempo non avevano. Di fronte alle malattie abbiamo tanti strumenti per curare e l'uomo dovrebbe impegnarsi sempre di più su questa strada. Malattie che al tempo della Scrittura erano assolutamente incurabili... pensate alla peste... oggi sono praticamente quasi sparite dalla faccia del mondo...
Il terremoto è un evento naturale in cui non possiamo farci niente, eppure oggi siamo in grado di costruire case che resistono al terremoto. Quindi - vedete - la storia, la vita è affidata al nostro coraggio. Non c'è un progetto che ci muove come se fossimo degli automi, ma c'è una chiamata per noi, c'è un invito a prenderci cura della nostra terra, della nostra vita, della nostra storia. Soprattutto un invito a cercare di capire da dove vengono i troppi mali della storia.
Vedete - (l'ho ripetuto tante volte e lo faccio ancora una volta) secondo me, non abbiamo fatto i conti con le tragedie del secolo scorso. Mi capita ancora di sentire qualche ragazzo a cui chiedi: "Perché i campi di concentramento...?" "Eh! Hitler" "No Hitler non c'entra! È il popolo tedesco, è la gente! In Italia: Mussolini, le leggi razziali; i capi, non solo! è il popolo che applaudiva".
Nella storia, i capi del popolo, fanno di tutto perché noi non pensiamo, perché rinunciamo ad analizzare avvenimenti e fatti, a capirne le cause. Applaudiamo senza pensare, senza riflettere, senza capire. Noi dobbiamo tentare di leggere la storia, gli avvenimenti senza costruire "diavoli" e senza dire: "È colpa di quello, di quell'altro". Ciascuno deve prendersi la propria responsabilità, la responsabilità del suo applauso, la responsabilità del suo credere a notizie false che non hanno senso. Deve interrogarsi sul rancore, sulla rabbia che compromettono la capacità di capire il senso degli avvenimenti e la realtà che ci circonda. Mi capitava di parlare qualche giorno fa con uno statistico che diceva: "La differenza tra la realtà concreta, quella fatta di numeri e la realtà percepita, cioè quello che la gente pensa... è abissale". Perché non ci preoccupiamo di curare la nostra informazione, su cosa ci sta capitando intorno?
Ed è una responsabilità che noi cristiani dovremmo sentire sempre di più. Una cosa mi colpisce: i popoli e anche le regioni di questo paese che sono più cattoliche, quelle in cui c'è la più alta percentuale di gente che va a Messa, che vivono una religione più tradizionale... pensate alla Polonia o al Veneto sono le più razziste... perché?
Che cos'è la nostra religione? Fino a che punto abbiamo fatto il conto con la storia? Fino a che punto sappiamo interpretare la storia?
Adesso un secondo punto che ci suggerisce la Lettura che abbiamo fatto oggi: Ciro. Ciro è un pagano. Ciro è uno che non crede. Eppure Ciro è l'uomo che fa le cose giuste. Chi sono oggi intorno a noi i giusti, anche se non credono?
Ho conosciuto tante persone che non credono e che sono migliori di me e che sanno capire la vita e la realtà meglio di me e a queste persone noi dovremmo essere attenti.
Quando il Vangelo dice: "Chi non crede è già condannato", cosa significa non credere? Non credere significa non venire a Messa, non fare la professione di fede? Credere significa recitare preghiere o è un'altra cosa? Credere è vivere, è sentire i valori di Gesù.
Se posso farvi una confidenza... alcune tra le persone più maligne che ho incontrato venivano a Messa tutte le mattine! Non basta venire a Messa. Non basta professare la fede. Bisogna vivere e allora c'è tanta gente che dice di non credere, che bestemmia il Signore e che pure vive i valori di Gesù meglio di tanti cristiani
Ecco - allora - l'Alleanza con la storia! Cercare di guardarci intorno e vedere le cause del male che affligge questo mondo e cercare di combatterle con le nostre forze e guardarci intorno e cercare di capire aldilà della nostra fede, del nostro modo di pensare... dove sono i giusti della terra? Dove sono quelle persone che cercano di farci guardare lontano, a volte trascurate. Chi sono le persone intorno a noi spesso non credenti che ci fanno capaci di sognare? Di sognare un mondo diverso! I sogni a volte sembrano un'illusione, ma i sogni si riconoscono soltanto dopo. Nel milleduecento nessuno poteva sognare che sarebbe stata abolita - almeno ufficialmente - la schiavitù. Nel milleottocento, in questo paese, nessuno poteva sognare che le donne avrebbero votato e ci sarebbe stata una "certa" parità tra uomo e donna. C'è ancora molta strada da fare!
Ecco perché bisogna sognare! Ecco perché bisogna cercare di leggere la storia e di capire tutti quei piccoli gesti che fanno fare un passo avanti, fatti da chiunque... da chiunque ha un progetto nel cuore, da chiunque segue dei valori, da chiunque cerca.
Questo è il progetto che Dio ha per noi a cui ci chiama nella Sua Alleanza. Non un piano di fatti, di avvenimenti che Lui produce come un grande architetto, no, Lui ci chiama a un progetto di vita, di pace, di giustizia, d'amore che ha affidato a noi, alla nostra responsabilità, al nostro coraggio di essere uomini.
Lo dicevo all'inizio... è una delle cose più difficili della vita, ma il Signore ci chiama a vivere l'Alleanza nella storia, con la storia.
Il Signore ci aiuti.
Se il chicco di grano, caduto in terra, V DOMENICA di QUARESIMA - 18 Marzo 2018
non muore rimane solo; se invece Geremia 31, 31-34. Giovanni 12, 20-33.
muore produce molto frutto.
Continuiamo la nostra riflessione sull'Alleanza. Un tema (come ho già detto più volte) fondamentale per l'Antico Testamento e dovrebbe essere fondamentale anche per noi. Alzerò il Calice fra poco dicendo: "Questo è il Calice della Nuova ed Eterna Alleanza".
Avete ascoltato dal profeta Geremia che anche allora parlavano di una Nuova Alleanza... è il sogno che Geremia propone ai suoi credenti ed è un sogno importante anche per noi. Un sogno che anche per noi non si è compiuto… e siamo invitati a continuare a sognare.
L'Alleanza di cui oggi tentiamo di parlare è l'Alleanza nel cuore. Non ci sarà più una Legge esterna, qualche cosa fuori di noi a cui obbedire: una tradizione, delle regole, dei precetti stabiliti, fissi... no! Dentro di noi ci sarà il desiderio del bene, la ricerca dei valori. Dentro di noi l'essenza della Legge: la capacità di amare, la ricerca della giustizia sarà nel nostro cuore.
E il bene non si farà più per ricevere un premio. Il male non si farà più per evitare un castigo. Se ripensate a quanto nella tradizione della Chiesa - in gran parte inutilmente - si è insistito sulla paura dell'Inferno, sul premio del Paradiso… non ha convertito nessuno!
La paura dell'Inferno non ha impedito affatto le devastanti violenze che hanno attraversato la storia dell'umanità. Il sogno che il profeta ci propone è che i valori siano dentro di noi, scritti nel profondo del nostro cuore. È un sogno (ripeto) non ancora realizzato. Ne possiamo vedere qualche traccia nella nostra vita. Ripercorretela!
Le nostre mamme e i nostri papà non ci hanno amati (in genere) perché c'era una Legge. Ci hanno amati perché sentivano dentro la forza dell'amore, il trasporto verso di noi. Ci hanno curati - come potevano - nel miglior modo che a loro sembrava possibile: era un amore gratuito, non si aspettavano nessun premio, non temevano castighi; ci volevano bene, lo sentivano dentro, era nel loro cuore!
Così è bello quando ancora mi capita di incontrare qualche ragazzo che dice: "lo non studio per avere un bel voto, studio perché mi piace quello che studio, del voto ormai non me ne importa più niente. Sono talmente innamorato...". E il sogno degli insegnanti è quello di poter un giorno (un giorno lontano, ma il sogno guarda lontano) fare a meno dei voti, perché hanno saputo trasmettere ai ragazzi la passione per quello che insegnano, il desiderio della cultura.
Questo vale anche per l'amicizia. Penso che tutti voi abbiate avuto la fortuna di incontrare degli amici che vi hanno voluto bene perché lo sentivano dentro e non perché si aspettassero una ricompensa, e avete fatto l'esperienza che vi hanno voluto bene anche di più quando eravate in difficoltà, quando rischiavate di diventare un peso per loro. Vi hanno voluto bene perché lo sentivano dentro.
Ecco il sogno di un'umanità che sente dentro qualche cosa di bello. Che vive con il desiderio di amare: è questo il sogno che Geremia ci propone!
Il sogno che le carceri (per esempio) non siano soltanto un luogo di punizione, ma un luogo che possa dare a chi ha sbagliato la capacità di avere dentro di sé il desiderio della giustizia, di una vita nuova, la capacità di ritrovare la propria dignità di uomini: sogni...!
Certamente sogni all'orizzonte della storia! Il sogno - come dice il profeta - che "non dovranno più istruirsi l'un l'altro, dicendo: conoscete il Signore".
Non sognate anche voi (come me) che i predicatori smettano di predicare? Ci sarà un tempo (dice il profeta) in cui non ci sarà più bisogno di chi insegna perché avremo tutto nel cuore, perché lo sentiremo dentro, perché il cammino faticoso e lento dell'umanità avrà fatto a meno dei maestri, perché l'ambiente che abbiamo intorno, con semplicità, senza che nessuno si impalchi a maestro, ci avrà messo nel cuore i valori, i sogni di Dio, la capacità di amare.
A questo punto non possiamo non fare un piccolo riferimento al Vangelo. Dice Gesù: "Se il chicco di grano caduto in terra, non muore non porta frutto".
Quando si sogna bisogna sapere che abbiamo soltanto la possibilità di mettere dei "semi". Lo hanno i genitori con i propri figli… ho conosciuto (sarà capitato anche a voi) tanti genitori che si domandavano: "Ma che cosa ho fatto? Non sono riuscito a trasmettere dei valori..." poi passa il tempo, passa l'adolescenza - momento turbolento - e si accorgono di avere dato qualche cosa e anche qualche cosa di importante ai loro figli. Lì per lì non se ne sono accorti, ma poi quel "seme" che hanno seminato era il seme giusto e ha portato frutto. È successo per tanti genitori.
Quante volte ho sentito degli insegnanti dire: "Ho incontrato quel ragazzo: professore si ricorda, signora maestra si ricorda di me? Lei mi ha veramente dato qualche cosa quando sono stato con lei".
Ecco, mettiamo dei semi e qualche volta ci sembra che vada perduto e invece poi fiorisce: è la nostra speranza.
Abbiamo lontano l'orizzonte in cui nel cuore dell'uomo ci sia soltanto il bene e abbiamo il compito, giorno per giorno, di mettere semi di giustizia e di pace.
Di questo ci parla quest'ultima domenica di Quaresima: l'Alleanza... l'Alleanza nel cuore, i valori dentro di noi. Togliere via il desiderio di avere un premio, la paura di una punizione. Il bene si fa perché è bene. Ci si innamora della giustizia, della gratuità, della tenerezza. Ci si innamora della pace e si cerca di mettere semi sperando che portino frutto.
Il Signore ci aiuti.
Il primo giorno della settimana Maria di Magdala DOMENICA di PASQUA - 1 Aprile 2018
si recò al sepolcro al mattino, quando era ancora Giovanni 20, 1-9
buio e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro
Se foste andati in giro, forse qualcuno di voi lo ha fatto, in tanti paesi della nostra terra venerdì scorso, avreste trovato tante celebrazioni diverse, alcune molto ricche: la rappresentazione della Passione, la celebrazione delle tre ore di agonia, la processione del Cristo morto: la statua del Cristo portata in processione per le strade del paese, ad incontrare la Madonna addolorata, la Via Crucis più o meno solenne... se andate in giro oggi non trovate quasi nulla: perché!?
Forse perché è più facile celebrare il dolore, la sofferenza che la gioia! Dipende forse da questo il fatto che nella lunga storia del cristianesimo si è esaltata la sofferenza? Ci hanno proposto modelli di santi che facevano lunghi digiuni, che si flagellavano, che facevano grandi penitenze e raramente modelli di santi pieni di gioia e di speranza.
È forse per questo che nel nostro paese siamo abituati a lamentarci quasi sempre di tutto? Abituati a piangerci addosso, a guardare più al male che c'è che al bene e alla speranza? Ma vedete - una società che ha paura, che si ripiega su se stessa, che non vive di speranza non è cristiana! Perché il cuore della nostra fede non è la morte, la Croce, ma la Risurrezione, la Pasqua.
Stamattina siamo invitati a gridare che dopo ogni notte, anche la più buia, sorge il sole ad illuminare la terra. Noi siamo invitati a gridare che l'ultima parola non è la morte, la violenza di questo mondo, ma la vita, l'amore. Siamo invitati a gridare che ha ragione Gesù, che sono beati i miti, i misericordiosi, quelli che hanno fame e sete di giustizia, gli operatori di pace. Siamo invitati a guardare al futuro, a vivere la speranza e a tentare di comunicarla intorno a noi.
La certezza che l'amore è l'ultima parola, che Gesù ha veramente ragione dovrebbe animare il nostro cuore e la nostra fede! E - allora - ciascuno di voi dovrebbe - e non è cosa semplice in questo mondo - guardarsi intorno e cercare con attenzione tutti i segni di speranza… e ce ne sono! Ma spesso i mezzi di comunicazione non ce li fanno vedere.
C'è tanta gente, in questo mondo, che ha il cuore tenero che sa vivere per gli altri, che sa cercare il futuro, che sa proiettarsi in avanti, che vive la speranza, ha il coraggio di costruire.
La mia nostalgia è che quando avevo tredici, quattordici anni intorno a me l'Italia era distrutta, non c'era quasi più niente, eppure c'era gente che comunicava speranza, che aveva passione, voglia di ricostruire, di andare avanti.
Questo è vivere la Pasqua: la speranza, il non rassegnarsi al male, alla distruzione, alla morte. Il non rassegnarsi alla violenza, al male, ma guardare avanti, cercare la giustizia, il bene, la pace e - allora - guardatevi intorno, cercate tutti i segni di chi mette nel mondo speranza, invita alla gioia, al piacere, alla bellezza della vita e tentiamo anche noi - per quanto possiamo - di porre questi segni.
Se siamo cristiani viviamo della certezza che il Signore è Risorto e questo non significa cose astratte, ma che aveva ragione Lui, che le Sue parole sono parole di vita, che la vita è veramente l'ultima parola, che non è morto su quella croce, ma vive. Vive in noi, nel nostro cuore, deve vivere nella nostra vita, deve vivere della nostra speranza: ecco la Pasqua!
Non è facile, è più facile celebrare il dolore (l'ho già detto) è più facile piangerci addosso, è più facile vedere tutto il male del mondo... bisogna guardare anche il bene perché è il bene che può dare speranza, il coraggio di guardare avanti, di costruire il futuro e di testimoniare a chi ti sta accanto la voglia di vivere fino in fondo, come possiamo, i valori di Gesù.
Il Signore ci aiuti.
"Perché mi hai veduto tu hai creduto; beati II DOMENICA di PASQUA - 8 Aprile 2018
quelli che non hanno visto e hanno creduto!" Giovanni 20, 19-31
Quando ero bambino, credo che sia successo anche a più d'uno di voi, specialmente a chi ha i capelli bianchi, ho ascoltato tante prediche di rimprovero di Tommaso. Tommaso che non vuole credere, che deve mettere la mano, toccare; non si fida di quello che gli dicono i suoi amici.
Sentivo tante prediche di rimprovero di Tommaso, poi mi sono accorto che l'umanità ha sempre avuto un disperato bisogno di Tommaso, di gente che non si fida di quello che dicono gli altri, che vuole sperimentare, mettere la mano.
Un tempo gli uomini credevano nei miti, nelle favole, nell'astrologia, nell'alchimia. Credevano nelle streghe, nei maghi e quant'altro. Credevano nell'autorità assoluta della Scrittura e quindi rifiutavano qualche scienziato che diceva: "Guardate, toccate con mano"… pensate a Galilei, per fare uno degli infiniti esempi.
L'umanità è andata avanti perché c'è sempre stato chi non s'è fidato di quello che si era sempre detto, dei sogni, delle fantasie, dei miti... ma voleva sperimentare, toccare, vedere.
Quando son cresciuto (avevo diciassette, diciotto anni) ho sognato che tutto questo fosse finito, che ormai fosse scontato che nel mondo bisogna sperimentare, fidarsi dello scienziato, di chi cerca e sa dare prove e oggi mi guardo intorno e c'è gente che arriva a discutere sull'utilità dei vaccini. C'è chi non si fida della scienza. C'è gente che non crede a chi parla del riscaldamento globale. Non c'è più fiducia nella scienza e mi chiedo: "Che succede qua? In che mondo mi capita di vivere? Tommaso dove sei? Perché non vieni a darci una mano?".
Oggi viviamo in un mondo in cui i mezzi di comunicazione, i media (come li chiamano) dicono tante notizie false e la gente ci crede! E si crea una distanza abissale tra quella che è la realtà concreta di ogni giorno e quella che è la realtà che la gente percepisce... soprattutto i nostri giovani.
Se volete fare un esperimento provate a domandare a qualche ragazzotto sprovveduto o domandatelo fra di voi: "Secondo te quante persone muoiono in Europa per il terrorismo? Quante per incidenti sul lavoro? E quanti per incidenti stradali?" Ascolterete, come a me è successo tante volte, risposte totalmente assurde! E se per il terrorismo possiamo fare poco, per gli incidenti sul lavoro un po' di più e per quelli stradali molto di più.
Perché la gente non si informa? Perché non vuole toccare con mano? Abbiamo un bisogno disperato di Tommaso! Di gente che non si fida, che vuole sperimentare, toccare con mano, di gente che se si deve fidare di qualcuno si fida di chi ha passato anni e anni sui libri, ha cercato, ha studiato! Certo può sbagliare anche lui, ma quando sono in tanti che dicono la stessa cosa, di quelli che hanno veramente studiato allora ci si può fidare. Non ci si può fidare del primo che ci propone una novità straordinaria. È successo molto raramente nella storia, ma oggi non può succedere più... proprio perché la scienza è andata avanti e tanti studiosi condividono il loro lavoro.
Abbiamo bisogno di Tommaso. Abbiamo bisogno di informarci sulla realtà, su quello che succede. Abbiamo bisogno di conoscere. Abbiamo bisogno di toccare con mano...
Ma - allora -. qualcuno di voi può domandare: "Perché Gesù dice a Tommaso: beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!" Di che si parla qui? Cosa manca a Tommaso, cosa manca a noi quando ci sentiamo Tommaso?... Tommaso deve imparare a sognare.
Uso questa parola perché celebriamo in questi giorni il cinquantesimo anniversario della morte di Martin Luther Khing e voi sapete che uno dei suoi discorsi più famosi, che è rimasto nella storia, cominciava dicendo: "Io ho un sogno..." Un sogno di giustizia, un sogno di fraternità, di uguaglianza.
Non vedeva, non poteva toccare con mano; ci credeva, aveva un sogno nel cuore, un sogno in cui non poteva mettere le mani, eppure si è dato da fare per tutta la vita perché questo sogno in qualche modo potesse realizzarsi, perché i valori in cui lui credeva... lui poi era un cristiano, i valori che Gesù gli aveva comunicato, avessero spazio nella vita, nella storia.
Vedete - le cose essenziali della vita non si possono toccare con mano. Non si può toccare con mano l'amore, la giustizia, la fraternità, la tenerezza; l'uguaglianza dei diritti tra uomini e donne. Non si possono toccare con mano tutte queste cose. Certe volte bisogna crederci anche se non se ne vedono nemmeno i segni… I cristiani di cui ci parla la prima lettura, come avete ascoltato sognavano che "la moltitudine dei credenti aveva un cuor solo e un anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune." Un sogno che non hanno mai visto realizzato e che anche noi non riusciamo a vedere.
Occorre continuare a sognare e non in maniera astratta, a impegnarsi perchè qualche cosa del sogno in cui credi, dei valori che ti senti dentro si realizzino giorno per giorno.
Ecco - vedete - abbiamo un disperato bisogno di Tommaso. Di gente che tocchi con mano, che si informi, che non si fidi, ma abbiamo anche bisogno specialmente in questo mondo in cui qualche volta del sogno riusciamo a toccare con mano poco… eppure se crediamo in Gesù, se crediamo nella Risurrezione dobbiamo continuare a sognare.
"Io ho un sogno..." Un sogno di giustizia, di tenerezza, di amore, di rispetto dell'altro, di fraternità... mettete tutto quello che volete e per questo sogno vivo e cerco di fare quello che posso, di porre dei segni, di fare qualche passo avanti. Questo significa essere cristiani: avere bisogno di sperimentare, di toccare, di mettere le mani ed essere anche capaci si sognare.
Il Signore ci aiuti.
Sconvolti e pieni di paura, III DOMENICA di PASQUA - 15 Aprile 2018
credevano di vedere un fantasma Luca 24, 35-48
Quando ho cominciato a leggere un po' seriamente il Vangelo - piuttosto tardi perchè nella nostra Chiesa non si ama molto il Vangelo - mi sorprendeva vedere come nei racconti della Risurrezione i primi discepoli sembrano sempre non riconoscere il Signore.
Lo dicono con racconti - specialmente Luca - che destano meraviglia. I discepoli di Emmaus ritornano... hanno camminato per un intero pomeriggio con Gesù senza riconoscerlo. Lo riconoscono soltanto quando si siedono intorno al tavolo per spezzare il Pane e oggi le parole sono ancora più forti "sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma".
Più avanti "non credevano ancora ed erano pieni di stupore": perché tutta questa difficoltà?
Mi avevano insegnato che la fede è un dono di Dio e mi chiedevo qualche volta: "Ma - allora - e se qualcuno non crede che colpa ne ha se la fede è un dono?".
E quando uno ha il dono della fede allora non dovrebbe avere dubbi! Avere fede significa fidarsi totalmente del Signore, camminare con la certezza dentro di sé.
Poi mi sono accorto che il Vangelo usava un linguaggio completamente diverso. Mi sono accorto - allora - che avere fede non è un sì e un no. Avere fede non è una cosa che si ha un volta per tutte, ma ci sono nella vita di una persona gli alti e i bassi, i dubbi, i momenti di sconcerto.
E - vedete - quando parlo di fede non parlo delle professioni di fede a cui noi siamo abituati e significano poco. Quando mi vengono dubbi non sono se Gesù è veramente il Figlio di Dio o la seconda Persona della Santissima Trinità, ma se i valori di Gesù ce li ho dentro, se sono capace veramente di voler bene, se credo veramente nella giustizia, nella pace, nell'amore. Se cerco di viverlo concretamente nella mia vita.
Dubito che i valori di cui parla Gesù abbiano senso nel mondo di oggi. A volte ti guardi intorno con aria smarrita... in questi giorni anche abbiamo avuto qualche fremito di paura e dici: "Ma quello che Gesù ha detto che fine ha fatto? Che spazio ha nel mondo? Aveva veramente ragione Lui o nel mondo ha sempre ragione chi pensa alla potenza, ai soldi, ad avere superiorità sugli altri? A fare carriera, a imporre se stesso?". Ecco il dubbio!
E ti accorgi che la fede non è un sì e un no, ma un cammino che dura tutta la vita. Ha i suoi alti e bassi… qualche volta ti senti dentro quasi un entusiasmo e qualche volta - invece - ti senti quasi scoraggiato. Ti chiedi: "Ci credo veramente, oppure: chi me lo fa fare?".
Ecco - il Vangelo (specialmente il Vangelo di Luca) penso che sia stato scritto per consolare i cristiani di tutti i tempi, non soltanto i discepoli, ma anche noi.
Se avete dubbi, se qualche volta vi sembra di non riconoscere il Signore, se qualche volta Gesù vi sembra un "fantasma" non abbiate paura... è la condizione normale del credente. Nella fede ci sono gli alti e i bassi; momenti in cui uno si sente tranquillo quasi sicuro e momenti in cui uno è quasi sull'orlo di perdere la fede: è quanto di più normale ci sia nel cammino di un'amicizia, di un incontro. Questo vale (per fare una piccola parentesi) non soltanto nel rapporto con Gesù ma anche nel rapporto tra di noi, anche nell'amicizia e qualche volta anche nel rapporto d'amore. Ci sono gli alti e i bassi in ogni relazione umana.
Questo non significa che non ci sia la ricerca, la voglia di andare avanti. Per un cristiano il Vangelo di oggi che cosa suggerisce? Che cosa abbiamo per continuare a camminare nella ricerca della nostra fede? Abbiamo due cose: la Parola e il Pane che spezziamo insieme. Abbiamo - cioè - da una parte l'Evangelo, le Parole di Gesù, le sue parabole, i suoi discorsi... qualche cosa da far nostro, da far entrare nel tessuto della nostra vita e abbiamo il Pane spezzato insieme. Abbiamo - cioè - la vita condivisa, il cammino fatto insieme
E posso testimoniarvi che nella mia vita queste sono state le cose fondamentali che mi fanno continuare ad essere cristiano. Da una parte una scoperta, che continua, sempre di Gesù, della Sua Parola, del Vangelo, l'ho amato per tutta la vita e continuo a leggerlo e a trovarci qualche cosa di importante, ma forse più importante ancora del Vangelo è lo spezzare il Pane, cioè condividere la vita.
Chi mi ha aiutato a credere, a superare anche i momenti di difficoltà, di dubbio sono state le persone che ho avuto intorno fin dalla più tenera infanzia. Sono stato un uomo fortunato... ho avuto tante persone, tanti amici e la gente di tutti i giorni... la maggior parte della gente che incontri giorno per giorno è gente perbene. Se vivi in una parrocchia incontri gente che cerca di avere fede, di essere attenta agli altri, di condividere in qualche modo la vita.
E questo ti aiuta, ti fa sentire che sei in una comunione. Spezzare il Pane non è qualche cosa di mitico, di magico, i miracoli del Sangue che bagna il corporale... queste son cose che fanno parte del folklore della vita umana. Quello che conta è sentire che siamo qui per tentare di condividere la vita con Gesù e tra di noi, per tentare insieme di aiutarci e forse non qui perché ci conosciamo poco, ma a casa con le persone che amiamo, con gli amici...
Allora è lì che quando ti viene qualche dubbio, quando ti dici: "Chi me lo fa fare?" vedi accanto a te una persona che si impegna con tutta la sua passione e allora dici: "Se lo fa lui, perché non anche io?" E ogni tanto scopri - raramente purtroppo perché alla televisione, alla radio ne parlano poco - delle persone che vivono l'attenzione per l'altro, l'amicizia, la ricerca della pace.
Allora dici: "È possibile, Gesù ha ragione, non sono favole, è qualche cosa che può essere concreto... nella mia vita e nella vita degli altri".
Il Vangelo di oggi si conclude con un invito di Gesù ai discepoli del tempo, ma anche a noi: "Siate miei testimoni". È il nostro compito di essere testimoni di Gesù, dei suoi valori, della sua pace, concretamente per quello che possiamo, con le persone che abbiamo intorno ogni giorno: questo è avere fede in un cammino che non finisce, che conosce i suoi alti e i suoi bassi, ma che se vogliamo può continuare sempre, fino all'ultimo respiro della nostra vita.
Il Signore ci aiuti.
"Io sono il buon pastore, conosco le mie IV DOMENICA di PASQUA - 22 Aprile 2018
pecore e le mie pecore conoscono me..." Giovanni 10, 11-18
Sono nato a Roma, sono vissuto a Trastevere, negli anni della mia giovinezza ho sentito ripetere spesso una specie di proverbio che dice: "Meglio un giorno da leone, che cento da pecora".
A Trastevere non conoscevamo le pecore, non appartenevano al nostro mondo. Chi conosce le pecore, una frase del genere forse non l'avrebbe mai detta. Per noi la pecora era un animale un po' stupido, remissivo, che segue sempre il padrone, che non sa dove andare, cosa cercare.
Nella nostra esperienza di ragazzi, spesso, vedevamo - forse senza nemmeno accorgercene troppo - che i "pastori" della Chiesa: i nostri preti, i parroci, i vescovi, il Papa pensavano di sostituirsi al "Pastore" che è Gesù nel Vangelo.
E l'educazione che ricevevamo era quella di ubbidire senza troppo pensare, senza farci domande. Se chiedevamo qualche cosa ci dicevano: "È un mistero". I "pastori" sembravano poter decidere su tutto: sulla scienza come sulla vita politica: dicevano per chi votare, sulla vita morale, sul senso della nascita, della crescita, della morte. Stabilivano anche cosa si poteva fare o non si poteva fare, anche nella stanza da letto.
Ci educavano a non pensare con la nostra testa, a non essere autonomi; era quasi un sentirsi eretici se osavamo pensare qualche cosa di diverso da quello che dicevano il Papa o i vescovi.
Quando ero in seminario (tanto tempo fa) e studiavo per diventare prete, con alcuni amici avevamo trovato, con grande sorpresa, in un documento ufficiale della diocesi di Roma, questa frase: "Non date il Vangelo in mano ai laici, altrimenti diventano liberi". Una frase che ci aveva sconcertato profondamente.
Ma è la frase di un genio che aveva capito che il Vangelo è fermento di libertà e che quindi i laici che... - siamo al tempo di Pio IX - dovevano ubbidire, osservare tutte le Leggi, non ribellarsi... era bene che il Vangelo non lo conoscessero perché il Vangelo è un'altra cosa.
E ho avuto la fortuna, proprio in quel tempo quando studiavo per diventare prete, di avere intorno a me tante persone veramente libere, che mi hanno comunicato, con tutta l'esperienza della loro vita, che si può rimanere nella Chiesa soltanto se si può stare a testa alta, pensare con la propria testa...
Poi ho conosciuto meglio il Vangelo e ho visto che Gesù è proprio il contrario della pecora e vuole che i suoi discepoli tutto siano meno che pecore, remissive e ubbidienti.
Gesù ha cercato la libertà per tutta la vita, libertà da tutto, libertà dall'autorità, sia civile sia religiosa, libertà dalla tradizione, libertà dalla Legge. Ha ripetuto tante volte, come principio fondamentale: "Non è l'uomo fatto per il sabato, per la Legge, ma la Legge è fatta per l'uomo". E se la Legge è contro l'uomo va tolta, combattuta, abolita.
Gesù ha saputo essere libero dalla folla, da coloro che volevano condizionarlo, farlo essere secondo i loro bisogni. Ha saputo essere libero dai suoi amici. Quando Pietro gli dice: "Questo non ti accadrà mai", risponde: "Sta lontano Pietro, tu pensi come Satana e non come Dio".
Ha saputo essere libero dalla propria famiglia... quando ha pensato di dover seguire la sua vocazione è partito in giro per il mondo, libero di testimoniare quello sentiva dentro e ha cercato di educare i suoi discepoli a pensare con la loro testa. Quando arrivano due fratelli che hanno questioni e gli chiedono di dirimerle... "Perchè lo domandate a me, perché non risolvete da voi, perché non cercate da voi che cosa è buono? E qualche volta rimprovera la sua gente, i suoi discepoli... "Voi sapete riconoscere i segni del tempo. Se spira il vento da sud dite: farà caldo. Se la sera il cielo è scuro dite: domani farà pioggia... perché sapete leggere i segni della natura e non sapete leggere la vita? Cosa è giusto e cosa non lo è? Perché non lo cercate con tutta la passione del vostro cuore?".
Ecco - se ho capito - essere seguaci di Gesù, camminare con Lui significa andare dietro un Pastore che ci chiama alla libertà, alla responsabilità, a prendere a cuore il mondo che ci sta intorno.
Sentitevi liberi e cercate per quanto vi è possibile di educare - specialmente i giovani d'oggi - alla libertà, a non lasciarsi condizionare... Oggi la Chiesa conta più poco in questo mondo... potrei aggiungere, per alcuni aspetti della Chiesa, purtroppo! Conta una società fatta di tante sollecitazioni, di mode che passano, di parole gridate - spesso - vuote e la gente non è educata a pensare con la propria testa.
Fosse un po' anche colpa di una tradizione cristiana? Forse è per questo che la Chiesa non ha più presa sulla società di oggi? Ecco - è compito di tutti noi fare in modo che il Pastore Gesù sappia insegnarci a essere uomini liberi, responsabili, a pensare con la propria testa... quindi non applaudite il Papa, se non sapete perché! Non dite di sì senza esservi convinti che il sì è ragionato, pensato, giustificato da pensieri che avete dentro di voi, che avete cercato.
Ecco - essere pecore del gregge di Gesù è tutt'altro che essere persone sciocche, remissive, che seguono passivamente chi ti cammina davanti e nella vita religiosa... e oggi possiamo dire soprattutto nella vita civile è il coraggio di essere liberi: per questo è venuto Gesù, ma non è una cosa facile.
Il Signore ci aiuti.
Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane V DOMENICA di PASQUA - 29 Aprile 2018
in me, e io in lui, porta molto frutto..." Giovanni 15, 1-8
I primi discepoli - come tutti gli uomini del loro tempo - amano molto i simboli con cui tentano di esprimere la loro vita, il loro rapporto con Gesù, la unione tra di loro.
Domenica scorsa (forse lo ricordate) il simbolo era quello del pastore che conosce le sue pecore una per una, le conduce al pascolo e le pecore conoscono il pastore e lo seguono e formano un solo gregge.
Oggi un altro simbolo ancora più forte... non soltanto un pastore esterno, ma una cosa sola: la vite e i tralci. Il tralcio e la vite sono la stessa cosa. Il tralcio è unito alla vite, si nutre della stessa linfa. Se è staccato dalla vite, muore.
Ecco - questo è il sogno dei primi cristiani, di essere così profondamente radicati in Gesù da diventare una cosa sola con Lui. È il sogno che anche Paolo ripete spesso nelle sue Lettere: noi siamo una cosa sola in Cristo. Lui usa il simbolo del corpo: "un solo corpo, molte membra". Il simbolo del vestito: "Vi siete rivestiti di Cristo". I Vangeli usano il simbolo del "mangiare": "Vi nutrite di Cristo".
Sono certamente tutti simboli, non sappiamo nemmeno se risalgono proprio a Gesù! Certamente sono il sogno di queste prime comunità cristiane che tentano di dirci: "Dobbiamo diventare una sola cosa con Gesù. Dobbiamo nutrirci di Lui, delle sue Parole, dei valori della sua vita. Dobbiamo quasi identificarci con Lui. Se non ci nutriamo di Lui rischiamo di "morire", di perdere il senso dei valori autentici della vita, della giustizia, della libertà, della tenerezza, del rispetto dell'uomo: tutti i valori che Gesù è venuto a testimoniare.
E non soltanto ci nutriamo di Lui, formiamo una cosa sola con Lui e anche tra di noi.
Il sogno di questi primi cristiani è che tutti i credenti diventino una cosa sola, come dicono gli atti degli apostoli: "Un cuor solo e un'anima sola" era il loro sogno! Non sono stati capaci di realizzarlo, ma sono passati duemila anni e non siamo capaci di realizzarlo neanche noi.
Ve l'ho ripetuto tante volte: la fede è sogno, è cammino, è ricerca. Guai a pensare che la fede sia sicurezza, conquiste acquisite, valori assoluti che non cambiano mai. La fede è ricerca spesso con tanti dubbi, difficoltà a capire: "Cosa significa per me nutrirmi di Gesù? Quali sono i valori che posso far miei? Come posso renderli concreti nella vita di ogni giorno? Cosa significa per noi: essere una cosa sola, un cuor solo, un'anima sola?". Sogni!
Ciascuno di noi dovrebbe tradurre nella propria vita e cercare di capire giorno per giorno cosa significa: cercare di essere uniti nella propria casa, condividere, marito, moglie, con i figli. Difficile qualche volta condividere con i figli valori, sogni, la ricerca della vita nella società.
E noi che viviamo nel 2018 dovremmo allargare questi discorsi al mondo intero e cominciare a sognare che l'umanità - tutta - riesca ad essere una cosa sola. Che ogni uomo sia convinto che ogni altro uomo fa parte della stessa famiglia umana, con gli stessi diritti, con la stessa dignità, capaci di camminare insieme e di cercare insieme i valori che ci uniscono, che ci facciano stare insieme, che ci diano il senso della libertà, della dignità umana. Sogni anche questi! Un sogno ancora lontano! L'umanità ha fatto dei passi avanti, ma spesso l'umanità fa un passo avanti e poi mezzo indietro e (se capisco) oggi sembra in qualche modo ritornare indietro.
Abbiamo vissuto (almeno io quando ero giovane) i sogni di un'umanità più unita, di una Europa più unita, di un'Italia più unita e adesso vediamo risorgere i nazionalismi, i particolarismi, le chiusure gli uni agli altri.
Ecco - il cristiano dovrebbe dire: "Il mio sogno è che la Chiesa, ma non soltanto la Chiesa, sia come una vite in cui tutti sono uniti come tralci, in cui tutti si nutrono della stessa linfa, uniti - per noi che crediamo - in Gesù"
Ma se uno non crede ed è una persona seria si porta dentro gli stessi valori di Gesù e posso sentirmi strettamente unito a lui. Io mi sono sentito spesso più unito a gente che non crede che a gente che crede. Spesso ho trovato dei credenti intolleranti, incapaci di ascoltare, che pensavano di avere principi assoluti, giudicavano gli altri, a volte con cattiveria, incapaci di rispetto, di attenzione.
Se vogliamo consolarci vedete che anche i primi cristiani pensano che ogni tanto ci sia qualche tralcio che il Padre, che è l'agricoltore, deve tagliare e buttare nel fuoco e - sapete - i cristiani di tutti i tempi non hanno aspettato che il Padre tagli i rami e li butti nel fuoco li hanno tagliati loro... hanno acceso i roghi, ma hanno bruciato sul rogo quasi sempre quelli sbagliati: è la storia della Chiesa!
C'è - anche in queste pagine, se non stiamo attenti - l'intolleranza, il tagliare, il bruciare... no, non ha senso tagliare, bruciare. Non ha senso credere di possedere la verità, nessuno di noi la possiede, nessuno di noi è arrivato; siamo tutti in cammino e cerchiamo di far nostri i valori di Gesù che sono valori (basta che leggiate il Vangelo con un minimo di attenzione) fatti di rispetto, di attenzione all'altro, di comprensione per chi sbaglia, pronti a tendere la mano, a capire chi non ce la fa, chi si sente debole, chi è caduto.
L'umanità non è fatta di gente perfetta, l'umanità è fatta (come me) di gente che qualche volte ci riesce e qualche volta no, forse più spesso no - eppure - cerca di andare avanti, non si rassegna, perché ha nel cuore qualche cosa, perché sente che Gesù ha ragione, che i valori di Gesù sono quelli giusti e - allora - dopo ogni sbaglio, dopo ogni caduta si riprende la strada con questo sogno nel cuore: vivere i valori di Gesù e sentirsi legati ai fratelli, essere con loro come una cosa sola.
Lo sapete, non è cosa semplice! Sono sogni, ma la fede è sogno! La fede non è certezza, non è possedere assolute verità. La fede non è nemmeno sentirsi pienamente garantiti da Dio. Vedete, i primi cristiani dicono: "Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi: chiedete quello che volete e vi sarà dato".
Non ci contate! Chiedete e non vi sarà dato molto spesso e questo significa che molte cose dovete procurarle da voi con coraggio. Siamo noi responsabili della vita, responsabili degli altri. Ci sono anche qui le radici delle scorciatoie, del pensare che se siamo buoni tutto ci va bene, che basta venire in chiesa, pregare, far la Comunione e poi le cose ci vanno bene, anche con gli altri... no! Le cose ci vanno bene se ce le conquistiamo, se siamo con Gesù una cosa sola, se ci nutriamo veramente di Lui... non basta far la Comunione. Si tratta di nutrirsi di Gesù, dei suoi valori e cercare di viverli ogni giorno.
Il Signore ci aiuti.
"Questo vi comando: che VI DOMENICA di PASQUA - 6 Maggio 2018
vi amiate gli uni gli altri" Giovanni 15,9-17
"Questo vi comando - conclude questa pagina del Vangelo - che vi amiate gli uni gli altri".
Ma si può comandare di amare? Se ve lo chiedessi cosa rispondereste? È possibile comandare l'amore? Si può comandare di non uccidere, di pagare le tasse, ma si può comandare di amare?
Molti a questa domanda mi hanno risposto di no. L'amore è qualche cosa che uno si sente dentro... o c'è o non c'è! Non può essere oggetto di un comando.
Dietro questa riflessione, che credo che convinca anche molti di voi, c'è (secondo me) un equivoco piuttosto grosso che vorrei chiarirvi soltanto con un piccolo esempio... un fatto che mi è accaduto tanto tempo fa. (Ve l'ho già raccontato più volte, ma mi ha fatto capire molte cose)
Un giorno veniva una signora che mi diceva: "Mi creda, padre, (la ricordo ancora molto bene) ho fatto per mia suocera molto più di quello che ho fatto per mia madre, ma l'ho fatto senza amore! Vede, padre, quando ero ragazza mia suocera di torti me ne ha fatti tanti e io ho conservato nel cuore sempre un certo rancore verso di lei che non riuscivo a togliere. Ho fatto per lei tutto quello che potevo, glielo ripeto, molto più di quello che ho fatto per mia madre, ma l'ho fatto senza amore!". "Che significa signora?".
Che cos'è l'amore? Un sentimento? Una passione? Un istinto? Oppure qualche cosa di concreto? Il cercare di fare quello che si può per un'altra persona specialmente quando è in difficoltà, il cercare di condividere la vita, di essergli vicino, di fare tutto quello che si può per rendergli la vita più semplice, meno faticosa, per togliergli un po' di sofferenza... se non è questo amore che cos'è l'amore?! Soltanto un sentimento, una passione, un innamoramento?
I sentimenti vanno, vengono e non ne siamo responsabili. Quello a cui Gesù ci invita... la parola comandamento a molti non piace, toglietela pure! Quello che Gesù ci invita a fare è amare, ma nel senso concreto, a essere attenti gli uni con gli altri, a cercare di condividere la vita, di aiutare chi ci sta vicino come possiamo, nelle cose semplici di ogni giorno.
A volte l'amore, come avete ascoltato, arriva fino ad esigere di donare la vita: "Ama chi dona la vita". A noi (per fortuna) questo non è richiesto normalmente! Qualche volta ci basta dare un bicchiere d'acqua a una persona che ha "sete". Sete nel senso più ampio della parola. Sete di affetto, di tenerezza: questo è l'amore! Qualche cosa di concreto e questo il Signore ce lo può chiedere: a questo ci può invitare.
Un'altra considerazione vorrei farvi... Gesù ci dice: "Vi lascio un comandamento, amatevi". Amatevi è qualche cosa di positivo, supera l'antica Legge che diceva: "Non uccidere, non rubare...". Mi aiuta a spiegarlo un piccolo episodio, questo mi è successo tante volte, vediamo voi come rispondete. Tante volte qualcuno mi ha detto: "C'è un principio nel Vangelo molto chiaro: non fare agli altri quello che non vuoi che gli altri facciano a te". È vero, c'è nel Vangelo? No, non c'è! Potete leggere il Vangelo da cima a fondo e non lo trovate. C'è un altro discorso: "Fai agli altri quello che vuoi che gli altri facciano a te". Vedete? È un passaggio fondamentale dal no al sì. Dal non fare al fare!
Amore è qualche cosa di concreto, è "fare a" e non soltanto evitare di offendere o di rubare o di uccidere (queste son cose evidentemente importanti) ma Gesù ci chiama a fare un passo avanti, a non contentarci di non fare del male, ma a tentare di fare il bene così come possiamo.
Un'altra cosa - questa è la più difficile - ci suggerisce questa pagina del Vangelo (ce ne sono altre ma non posso dire tutto). Avrete notato che Gesù dice ai suoi discepoli: "Non vi chiamerò più servi" (Fra l'altro è una cosa strana perché nel Vangelo Gesù non ha chiamato mai servi i suoi amici, almeno in questo senso) "Vi chiamerò amici! Perché? Perché vi ho fatto conoscere tutto quello che il Padre mi ha fatto conoscere. Vi ho fatto conoscere tutto quello che ho dentro".
Ecco un altro aspetto dell'amore, tra marito e moglie, con i figli, tra amici: farsi conoscere, esporsi, quasi mettersi a nudo di fronte ad un'altra persona, aprirsi… non è facile!
A volte ci chiudiamo in noi stessi, siamo gelosi dei nostri sentimenti, dei nostri pensieri, delle nostre idee. Aprirsi agli altri, essere trasparenti, condividere pensieri, sogni, idee, avventure non è una cosa semplice, eppure se ho capito qualche cosa, l'amore è tutto questo. L'amore è fare qualche cosa di concreto per l'altro così come possiamo, è cercare di condividere la vita, di comunicare qualche cosa di noi stessi, di mettere in comune noi stessi.
Non sono cose semplici, ma guardatevi dai sensi di colpa! Che nessuno di voi dica (ve lo raccomando poi potete fare quello che vi pare) come quella signora di cui parlavo al principio: "Padre, ho fatto per mia suocera molto più di quello che ho fatto per mia madre, ma l'ho fatto senza amore". Questo significa soltanto portarsi dentro inutili, stupidi, sciocchi sensi di colpa.
L'amore è qualche cosa di concreto. L'amore - a volte - è dare soltanto un bicchier d'acqua a una persona che ci sta accanto e ha bisogno di noi.
Il Signore ci aiuti.
"Andate in tutto il mondo e proclamate ASCENSIONE del SIGNORE - 13 Maggio 2018
il Vangelo a ogni creatura..." Marco 16, 15-20
Celebriamo oggi - come sapete e come avete ascoltato - la festa dell'Ascensione al cielo di Gesù. Vediamo se mi riesce di farvi cogliere un paio di messaggi che ritengo importanti, anzi fondamentali della festa che celebriamo.
L'Ascensione segna il passaggio tra la vita di Gesù e la nostra vita. Avete ascoltato che Gesù sale al cielo, ma prima manda i suoi discepoli: "Siate i miei testimoni".
Si parla di noi, non soltanto di persone di tanto tempo fa. Ogni cristiano è inviato da Gesù, testimone di Lui, dei suoi valori, dei suoi pensieri, delle sue parole, dei sogni del suo cuore... testimoni in modo concreto. Loro parlano per simboli. Si tratta di cacciare il male, i "diavoli", si tratta di parlare lingue nuove, di intendersi con chi ci sta accanto. Si tratta di curare i malati: ecco di tutto questo siamo noi i testimoni, i continuatori.
È come quando un grande maestro se ne va, i suoi discepoli dicono: (a me è capitato almeno in parte) "Non c'è più, adesso tocca a noi, forse adesso tocca a me continuare la sua opera".
Sono un pover'uomo, avete sentito con quanta cura gli Atti degli apostoli ce lo ricordano: i primi discepoli sembra che non abbiano capito niente, dicono a Gesù: "È arrivato il momento che ricostituirai il regno di Israele?" Loro pensano forse a un regno glorioso, la conquista della terra... hanno capito poco e poi se ne stanno lì fermi imbambolati a guardare il cielo... deve arrivare un Angelo a dirgli: "Che state a fare qui? Andate in giro per il mondo ormai è il tempo vostro".
Gesù se ne è andato, non c'è più! Ecco è il tempo nostro. Questo è il primo messaggio di questa festa. È il tempo della Chiesa, tempo di ciascuno di noi. Ciascuno di noi è invitato a continuare l'opera di Gesù.
Il secondo messaggio... provate a domandarvi: "Cosa significa che Gesù sale in cielo con il suo corpo?"
Vedete sembra una cosa strana, ma è uno dei principi fondamentali della nostra fede. Un principio che era per gli uomini del tempo... (Paolo ne ha fatto un'esperienza piuttosto dura) assolutamente scandaloso. "Cosa c'entra - gli dicevano - la nostra carne con l'Aldilà? Non è il regno dello spirito, non sopravvive solo l'anima? Cosa può significare che il nostro corpo entri nello spazio di Dio, che loro pensavano al di sopra delle nuvole?". Provate a chiedervi: "Ma adesso Gesù dove sta nell'infinito universo, in quale galassia e come è il suo corpo?" Sono domande che non hanno nessun senso! Non riusciremo mai a saperlo e sapete perché… è molto semplice, ci manca uno dei termini: Dio
Gesù entra nel mondo di Dio e ma Dio abita l'Oltre. Dio noi non possiamo comprenderlo. Se potessimo non sarebbe Dio! Ma allora che messaggio ne possiamo trarre per la nostra vita concreta? Cosa c'è di tanto importante in questo mistero (possiamo anche chiamarlo così) della nostra carne che entra nello spazio e nel mondo di Dio?
Vedete - gli antichi Greci, ma non solo loro... quando ero ragazzo e forse è anche successo per molti di voi, quando si parlava di religione si parlava di anima, il corpo era visto sempre come qualche cosa di negativo non poteva far parte del mondo futuro... Bisogna dunque liberarsi della materia, della carne. Bisogna pensare alle cose del cielo, guadagnarsi il Paradiso e quindi feste, processioni, digiuni, novene, penitenze..!
Ma la carne...? Gesù è entrato nel Regno dei cieli con le mani callose del falegname. È entrato il Profeta di Galilea, Colui che parlava tra le genti… s'è perso tutto? S'è persa la sua voce? S'è persa la sua carnalità? La festa di oggi ci dice no! Perché tutto quello che fa parte della nostra carne... lavorare il legno per il falegname, parlare, predicare... e ogni altra occupazione materiale tutto è importante! Essere testimoni di Gesù significa prendere a cuore la materialità della vita.
Se il cristiano - l'uomo in genere - non si occupa della salute del suo prossimo... oggi si celebra la giornata dell'AIRC, della ricerca sul cancro... La ricerca, la scienza, la tecnica che rende migliore la vita dell'uomo, l'agricoltura, il lavoro, l'economia... Qualcuno dice: "Ma tutto queste sono cose che appartengono al tempo che passa". No! queste son le cose fondamentali secondo il messaggio di oggi perché è la nostra carne che entra nello spazio di Dio, cioè nello spazio dell'Assoluto. Le cose concrete materiali sono quelle che contano veramente: conta il maestro che cerca di insegnare ai suoi alunni, il medico che cerca di curare i suoi malati, chi si prende cura della bellezza del creato, lo spazzino che pulisce per bene le strade... tutto questo è voluto da Dio, tutto questo fa parte del mondo di Dio!
A noi cristiani, specialmente in Italia, è stato rimproverata la mancanza del senso dello stato… permettetemi di dirvi (non vi scandalizzate) che la vocazione più grande che un uomo può avere è quella di fare il politico. Qualcuno tra voi ride, ma sto parlando in maniera seria. Io che son prete ho una vocazione, la vocazione di colui che sarà presidente del consiglio è infinitamente più importante della mia.
Io ho il compito di dirvi quattro parole la domenica e lui ha il compito di occuparsi del benessere del paese (vi pare poco?).
La vera vocazione è quella di occuparsi delle cose concrete, materiali e non soltanto di organizzare feste, processioni, funerali... (son cose importanti non voglio dire di no) Una vocazione importantissima è quella dei papà (adesso ci sono anche molti papà) e delle mamme che preparano un buon pranzo... vi pare poco? Sono cose fondamentali! Se il pranzo non è buono si intristisce la vita. Qualcuno dice: "Ma questo che c'entra con Dio? Che c'entra con la religione e con la fede?". Questa è la religione e la fede!
Questo è quello che oggi celebriamo. L'importanza della materia. L'importanza della carne. L'importanza del mangiare. L'importanza della scienza, della cultura, della politica... Se escludiamo tutto questo dalla religione che cosa resta? Restano soltanto processioni, manifestazioni esteriori, celebrazioni di santi... non è questa la vita!
Non è questa la vocazione del cristiano, non è solo salvarsi l'anima, non è solo pregare, ma vivere per costruire un mondo migliore, perché questa "carne"... questa carnalità, questa terrestrità Dio l'ha dichiarata sacra... oggi questo celebriamo!
Il corpo di Cristo entra nello spazio di Dio: cosa voglia dire propriamente non lo sappiamo, però una cosa possiamo intuire per la nostra vita: la nostra carne e i compiti terrestri concreti sono sacri, fanno parte dello spazio, del mondo di Dio. Essere cristiani significa questo.
Il Signore ci aiuti.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità DOMENICA di PENTECOSTE - 20 Maggio 2018
vi guiderà a tutta la verità Giovanni 15, 26-27, 16, 12-15. Atti 2, 1-11
Celebriamo oggi la festa di Pentecoste, il dono dello Spirito Santo, l'avete letto anche nel titolo del foglietto: lo Spirito Santo dono del Signore risorto.
Quando si parla di dono mi vengono in mente le tante obiezioni le tante domande che ho ascoltato: "Se la fede è un dono, se lo Spirito è un dono o uno ce l'ha o non ce l'ha. E se uno non riceve il dono che colpa ne ha? E' così semplice il dono c'è o non c'è, un sì o un no?". Quando ascolto tutte queste domande mi viene il dubbio che si pensi sempre al dono come ad una cosa, che so un telefonino o un orologio, se me lo regalano ce l'ho altrimenti no.
Ma i doni fondamentali non sono così. Vedete 100 anni fa nessuno di noi esisteva, tutto abbiamo ricevuto in dono.
La vita è certamente un dono e non uguale per tutti, ma la vita è anche una vocazione, una chiamata, una conquista, un cammino, un impegno.
Pensate alla bellezza della natura, agli alberi, ai fiori, al mare: certamente tutto è dono, ma bisogna essere capaci di saperlo apprezzare. Occorre conservare lo stupore, la meraviglia, occorre difendere il creato.
Oppure pensate alla musica, certamente è uno dei doni più belli, ma occorre essere in grado di ammirarla, c'è bisogno di impegno per capirla; lo stesso vale per la pittura, la scultura: doni meravigliosi, straordinari, ma anche vocazioni, impegni.
E soprattutto sono un dono le persone e l'amore, ma sapete che se l'amore non si confonde con il sentimento, è cammino fatto insieme, vita condivisa, impegno quotidiano e, a volte, anche pazienza.
Così è anche per lo Spirito Santo: il soffio, il vento, la spinta di Dio. Avete ascoltato come le letture di oggi tentano di esprimerlo attraverso parole e soprattutto simboli.
Il Vangelo dice: "Quando verrà lui lo Spirito della verità vi guiderà a tutta la verità", Ecco lo Spirito ci guida alla verità, ma è una chiamata, una ricerca, un cammino, non si possiede mai pienamente.
Quando il Vangelo parla di verità non parla di formule, di dogmi, non si arriva mai a definire la verità, si vive nella verità, nella ricerca dei valori essenziali, del bene, dell'amore, si vive cercando un rapporto autentico con i fratelli.
Gli Atti degli Apostoli poi usano immagini, simboli: il vento impetuoso che spalanca le porte, fa uscire dal chiuso del Cenacolo, toglie la paura dal nostro cuore, ci fa liberi di aprirci al mondo.
Poi il fuoco, un calore da avere dentro: la ricerca appassionata del bene, non per avere un premio o per paura del castigo, ma perché si sente dentro il valore del bene come un fuoco che brucia e riscalda.
Poi la luce che illumina i nostri passi, che ci fa vedere uomini e cose, come sono realmente, senza condizionamenti e falsi miti.
E il dono delle lingue; avete ascoltato come si dilungano gli Atti degli Apostoli, è forse il sogno più bello dell'umanità: che tutti finalmente possano comprendersi e rispettarsi, avere dei valori comuni, essere capaci di camminare insieme, pur rimanendo diversi.
Poi avete ascoltato come l'apostolo Paolo parla dei doni dello Spirito: "Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé". Contro tutte queste cose, dice l'apostolo, non c'è legge, se apriamo il nostro cuore al dono dello Spirito diventiamo veramente liberi, liberi di amare, liberi di donare, liberi di condividere la vita nella ricerca della gratuità e dell'amore.
Dono dunque, ma anche, sogno, chiamata, impegno, vocazione, questo è celebrare il dono dello Spirito del Signore, questa è la Pentecoste.
Il Signore ci aiuti.
Andate e fate discepoli tutti i popoli SANTISSIMA TRINITÀ - 27 Maggio 2018
battezzandoli nel nome del Padre e Matteo 28, 16-20
del Figlio e dello Spirito Santo.
Celebriamo oggi la festa della Santissima Trinità, questa parola: "Trinità" ricorda a qualcuno di noi antiche lezioni di catechismo quando cercavano di spiegarci, a volte disegnando un triangolo, o mostrandoci un trifoglio: uno e tre, una sola Natura tre persone, il Figlio generato non creato, della stessa sostanza del Padre, lo Spirito che procede dal Padre e dal Figlio.
Tutte parole che risultavano per noi incomprensibili e che anche ora risultano molto lontane dalla mia sensibilità e riesco a pronunciarle con difficoltà, perché per me significano poco: non usiamo più termini come natura, sostanza.
Eppure queste parole per gli uomini del terzo e del quarto secolo sono state particolarmente importanti: avevano in quel tempo bisogno di precisare, di dogmatizzare, di esprimere con parole precise quello che loro pensavano essere il volto di Dio. Sono state battaglie lunghe, a volte anche cruente, che sfociano nel Simbolo Apostolico che si recita normalmente nella Messa, una professione di fede che è costata anche sangue ed è forse anche per questo che mi risulta un po' antipatica.
Ma non è stato sempre così, non sempre si è cercato di definire Dio con parole precise, minuziose. Nell'Antico Israele i sapienti, soprattutto i grandi profeti hanno cercato Dio con tutta la passione del loro cuore, hanno cercato di andare oltre una religiosità fatta di offerte, di sacrifici, di doni, di richieste di protezione, di interpretazione del futuro, di oroscopi… hanno pensato che non potevano esserci molti dei, che Dio doveva essere unico, più grande, infinito, di Lui trovavano tracce nello splendore della natura, nella bellezza dei cieli, pensate al racconto della Creazione e soprattutto nei rapporti umani.
Hanno parlato non tanto con formule, ma con simboli: pensate, lo ricordava la lettura di oggi, al Roveto ardente, fuoco che brucia, ma non si consuma, pensate alla nube, alla luce sul monte, per la trasmissione della Legge.
Hanno inventato dei miti, quello fondamentale dell'uscita dall'Egitto: il Dio in cui crediamo è il Dio della libertà, che ci chiama fuori della schiavitù, alla ricerca della libertà e della pace.
Hanno parlato dell'alleanza che Dio offre al suo popolo. Lui sarà con noi ma ci dona la Legge, ci chiede la fedeltà al patto: è il monoteismo etico: Dio che chiede la giustizia, purtroppo spesso dimenticato anche nelle nostre pratiche religiose moderne, facciamo processioni, riti ma poche volte, almeno a mio avviso, si sente in queste pratiche religiose l'esigenza della giustizia, fino al punto che certe processioni possono essere organizzate dalla camorra o dalla mafia… cose tristi anche dei nostri tempi.
Per gli Ebrei non era così: Dio abita l'oltre, non si può nemmeno nominare, è qualche cosa di troppo grande che possiamo solo cercare, intuire, non possiamo farne immagini e soprattutto non possiamo usare il Suo Nome per i nostri interessi o il nostro potere.
Ascoltate con quali belle parole il terzo libro di Isaia parla di Dio: "Così parla l'altro è l'eccesso che ha una sede eterna il cui nome è santo, Egli dice: in un luogo alto ed eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati per ravvivare lo spirito degli umili, per rianimare il cuore degli oppressi".
Qui sono arrivati i nostri padri ebrei e questo noi lo vediamo realizzato pienamente in Gesù di Nazareth: nasce in una capanna vicino agli ultimi della terra, muore su una croce. Durante tutta la sua vita è stato sempre vicino agli ultimi, ai piccoli, li ha proclamati beati.
È stato vicino a quelli che sbagliavano, ai peccatori, non ha parlato di un Dio che minaccia e condanna all'inferno, ma del Padre che ci ama e ci salva. Pensate alla straordinaria parabola del Padre misericordioso: io ci ho pensato tutta la vita e ancora rimane per me forse una delle pagine più alte e incomprensibili del Vangelo: Dio infinitamente lontano da quello che noi siamo, Lui vive un amore infinito: il figlio che se ne va, sciupa tutto, un delinquente che torna a casa secondo noi dovrebbe trovare il rimprovero, la punizione, l'espiazione… trova la festa. Dio capace di rispondere al male con la festa, Dio che ci chiama alla festa. Così Gesù ci parla del Padre e forse possiamo intuire qualcosa, ma certo non possiamo ridurlo a formule, a schemi: ecco la preziosità del Vangelo.
Poi ricordate domenica scorsa celebravano la Pentecoste, ancora lì si parlava per simboli: il fuoco, la luce, lingue diverse che si capiscono, il sogno di un'umanità che sa condividere e camminare insieme.
Ecco non c'è più bisogno, per quello che ho capito io, di ripetere stancamente le antiche parole del simbolo Niceno-Costantinopolitano, sono parole lontane da noi. Dobbiamo ricordare che si può tentare di parlare di Dio con parole diverse e forse occorre ritrovare la forza dell'antica tradizione ebraica e del Vangelo, che parlano attraverso i simboli.
Dobbiamo ritrovare Dio nei gesti, nelle parole di Gesù di Nazareth, nel suo parlarci del Padre e dello Spirito.
Il Signore ci aiuti.
"Questo è il mio corpo... SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO - 3 giugno 2018
Questo è il mio sangue" Marco 14,12-16.22-26
È da tanto tempo che penso che la festa che celebriamo oggi, la festa del Corpus Domini, in fondo è la festa dell'Eucaristia, sia molto strana, non celebriamo l'Eucaristia tutte le domeniche? Perché si è sentito il bisogno di celebrare una festa particolare che metta l'accento sull'Eucaristia? Ogni domenica, quando ci ritroviamo qui che facciamo? Celebriamo l'Eucaristia, perché una festa in più?
Vedete succede, penso in tutte le religioni, io conosco soprattutto quella ebraica e quella cristiana, che alcune delle intuizioni più importanti, direi le intuizioni fondamentali, per cercare di mostrarle importanti, di metterci l'accento, si circondano di tutta una serie di regole, di riti, di attenzioni e, per quel che ci riguarda, di dogmi, che credono di salvaguardare l'importanza di questa intuizione e, a mio avviso, qualche volta ne fanno perdere il senso. Vediamo se posso spiegarmi meglio...
Israele ha inventato il Sabato, forse l'intuizione più profonda e più grande, che noi dovremmo continuare a celebrare ogni domenica... sabato è il giorno dello Shabbat, il giorno del riposo, il giorno in cui l'uomo si deve rendere conto che la vita non è solo lavoro, corsa, affanno... ma è anche contemplazione della bellezza della natura e anche ritrovarsi insieme, scambiarsi qualcosa, guardarsi negli occhi; è il giorno del canto, della preghiera, dello studio, della gioia, del piacere.
Bene! Come sapete gli antichi Ebrei hanno circondato il sabato di tutta una serie di regole sempre più minuziose, precise. Non si può fare questo, non si può portare quello, non si possono fare più di tanti passi... tanto che Gesù, come sapete, nel Vangelo ha dovuto ribellarsi al Sabato.
Qualcosa di simile è successo per noi. Pensate, siamo in parecchi con i capelli bianchi, a come siamo stati educati all'Eucaristia... non mangiare dalla mezzanotte, attenti a non bere l'acqua, quando ti lavi i denti fai attenzione, non masticare l'Ostia e poi, prima di comunicarti, vai a confessarti e poi attento che puoi compiere un sacrilegio e poi non uscire subito dalla chiesa perché Gesù rimane nel tuo stomaco per un po' di tempo: tutte regolette che ci hanno fatto perdere - secondo me - in parte il senso profondo di quello che è l'Eucaristia.
A questo si è aggiunto nei secoli seguenti al Vangelo, il desiderio di dogmatizzare, di precisare e allora si definisce che nell'Eucaristia è presente realmente Gesù in Corpo, Sangue, Anima e Divinità: è un dogma e al dogma si aggiunge, come spesso succede, per confermarlo, il miracolo... tutti conoscete la storia del miracolo di Bolsena... il sacerdote che spezza l'Ostia ed escono delle gocce di sangue, si macchia il "corporale" e per fortuna questa storia, forse una leggenda, ci ha regalato il duomo di Orvieto che spero tutti abbiate visto una volta almeno.
Il bisogno di precisare, di fare dogmi, rischiano di farci perdere i significati più profondi dell'Eucaristia, ce ne sono molti, alcuni ne avete sentito accennati: l'Alleanza... Vorrei mettere l'accento su due aspetti importanti di quello che noi facciamo, non solo oggi, ma ogni domenica.
Celebrare l'Eucaristia è prima di tutto nutrirci di Gesù, ma non è una cosa fisica, materiale, non è che mangiamo il Corpo di Gesù. Nutrirsi di Gesù è la cosa essenziale per il cristiano. Significa nutrirsi di Lui, del suoi valori, della sua Parola, di quello che Lui pensava, di quello che Lui viveva, del suo modo di guardare la vita, il mondo, gli avvenimenti, le persone...
Il sogno di cristiano è quello di Paolo. Alla fine della vita Paolo può dire: "Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me. Mi sono nutrito per tutta la vita di Lui, sono in qualche modo diventato come Lui".
Ecco quello che cerchiamo di fare ogni domenica, per questo c'è un Libro, ascoltiamo una Parola. Quella Parola ci nutre e poi spezziamo il Pane, quel Pane ci nutre perché simbolo del dono di Gesù, della sua vita, dell'amore supremo con cui Lui è venuto a condividere il nostro camminare qui sulla terra.
Il secondo aspetto che vorrei mettervi in evidenza è che l'Eucaristia è una cena fraterna, fratelli che si riuniscono insieme e condividono il Pane. Come dice l'Apostolo: "Lo stesso pane un solo corpo, siamo una cosa sola, siamo uniti, insieme ci riconosciamo fratelli". Siamo qui per condividere la vita, per guardarci negli occhi, per riconoscerci fratelli, diversi gli uni dagli altri certamente, profondamente diversi, eppure uniti in Gesù. Uniti con Lui e non soltanto tra di noi, ma con tutti gli uomini di buona volontà.
Cena di fratelli che si riconoscono, che condividono la vita, che si mettono gli uni al servizio degli altri. Vi ricordate che Giovanni ci dice che nell'Ultima Cena Gesù si cinge di un asciugamano e si mette a lavare i piedi dei discepoli e dice: "Come ho fatto io, fate anche voi". È quello che celebriamo qui ogni domenica, è il senso profondo dell'Eucaristia.
Tutte le regole, per noi per fortuna, in parte sono passate non ci preoccupiamo più di mangiare o non mangiare prima dell'Eucaristia. Dobbiamo adesso cercare di ritrovare il senso profondo di questo dono straordinario che Gesù ci ha lasciato.
Il Signore ci aiuti.
"Ecco mia madre e i miei fratelli: X DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 10 Giugno 2018
chi compie la volontà di Dio, costui Marco 3, 20-35
è mio fratello, sorella e madre".
Il Vangelo a volte è particolarmente strano e difficile da interpretare. Non dobbiamo mai dimenticare che sono parole scritte quasi duemila anni fa, da persone che pensavano e scrivevano in maniera diversa da noi.
Oggi ne abbiamo uno degli esempi - secondo me - più chiari. Marco... dirò sempre Marco ma dovete pensare ad una comunità che si raduna, riflette e qualche volta anche litiga... continuerò a dire Marco.
Marco - oggi - ha da comunicarci qualche cosa che ritiene fondamentale, che è frutto di una lunga ricerca, anche di scontri, di difficoltà: qualche cosa che è fondamentale per loro e forse lo è anche per noi.
Per fare questo.... e questa è la cosa sconcertante, non si preoccupa dei fatti, arriva a dire bugie, arriva addirittura alla calunnia, a mettere in ridicolo delle persone, arriva addirittura ad accusarli del peccato contro lo Spirito Santo, il peccato che non può essere perdonato mai: perché tutto questo?
Perché Marco usa tutti questi strumenti per noi sconcertanti? Perché arriva calunniare?
Chi calunnia… ve ne siete accorti? Calunnia Maria, la Madre e i fratelli di Gesù - così li chiama lui - i parenti di Gesù.
Dice che quando sentono che si raduna tanta folla intorno a Lui, escono di casa e vanno a cercarlo perché pensano che sia diventato matto... Come è possibile che i suoi parenti lo scambino per matto?
Poi - avete sentito - fanno dire a Gesù che sta dentro una casa: la casa rappresenta nel Vangelo sempre la comunità, la Chiesa: "Ci sono fuori, tua madre, i tuoi fratelli, le sorelle che ti cercano". "E chi è mia madre, chi sono i miei fratelli? Questi sono i miei fratelli!". Ma quelli se ne stanno fuori, sono accusati addirittura di un peccato contro lo Spirito Santo. Loro hanno vissuto per trent'anni con Gesù - dice Marco - e non hanno capito niente. Vengono a cercarlo, vogliono riportarlo a casa. È una calunnia: Maria e i fratelli sono sempre stati con Gesù: sotto la croce troviamo la madre, i discepoli invece sono fuggiti. E nella prima comunità cristiana a Gerusalemme il capo è Giacomo "il fratello del Signore".
Non solo, ma usa anche il ridicolo. Vengono gli Scribi e fanno un'obiezione a Gesù: "Tu cacci i diavoli per mezzo dei diavoli" È facile la risposta: "Ma se i diavoli scacciano i diavoli è finita per loro. Il diavolo dovrebbe scacciare gli angeli, non gli altri diavoli".
Ma cos'ha di così importante da dirci Marco in questa pagina del Vangelo che è per lui fondamentale. Bisogna andare aldilà dei legami famigliari, aldilà della tradizione, aldilà dell'etnia, aldilà dell'essere popolo... Questo è stato il grande problema della prima comunità cristiana: "Cosa facciamo? Rimaniamo qui nella nostra terra? Siamo tutti Ebrei, dobbiamo rimanere Ebrei? Dobbiamo seguire fedelmente la tradizione oppure dobbiamo andare oltre, aprirci al mondo?".
Che cos'è veramente fondamentale per Marco? Fondamentale è la fraternità di coloro che si radunano intorno a Lui e cercano la volontà del Padre: questo è essenziale per Gesù, e dovrebbe esserlo anche per noi.
Immaginavo ieri che Marco stamattina potesse venire qui e ci direbbe: "Scusate, una domanda: ma l'America, la Polonia, l'Italia non sono i paesi in cui c'è la maggior parte dei cristiani di questo mondo?". Gli diremmo: "Sì, certo". "Ma scusate perché quelli dicono: prima gli americani, gli altri: prima i polacchi, avete imparato a dire: prima gli italiani... che razza di cristiani siete?!". Gli direi: "Marco, non so se ci conosci, siamo povera gente, abbiamo la testa dura - come dice l'Antica Scrittura - abbiamo paura!" "Ma non avete un po' di fede, piccola come un granello di senape? Sareste capaci di spostare le montagne!".
Siete capaci di rispondere a questa domanda? Io no! Certo che davanti a Marco faremmo una gran brutta figura! Ha usato di tutto per farci capire che dovevamo andare oltre. Oltre la famiglia, oltre le tradizioni, oltre l'identità di popolo... Ha fatto di tutto! Ha usato pure la calunnia, ha usato l'ironia per farci arrivare quello che veramente conta e scoprirci fratelli con ogni uomo.
Quello che conta non è chi mi è più vicino, come popolo, come famiglia, ma quello che è più povero, più debole, quello che ha più bisogno di me. Quello che conta non è la tradizione, le regole, le leggi... quello che conta è la fraternità, è ritrovarsi intorno a Gesù per vivere di Lui e credere in Lui.
Ma abbiamo fede, almeno come un granello di senape? Lasciamo la risposta a Marco!
Il Signore ci aiuti.
Così è il regno di Dio: come un XI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 17 Giugno 2018
uomo che getta il seme sul Marco 4,26-34
terreno, dorma o vegli di notte o
di giorno, il seme germoglia e
cresce. Come egli stesso non lo sa.
Vi dicevo - domenica scorsa - che a volte il Vangelo è strano. Oggi ci troviamo di fronte ad un caso di censura. Qualcuno di voi si meraviglierà: si può censurare Gesù Cristo? Si può! Lo hanno fatto! Perché vi dico questo?
Vedete - gli studiosi ci dicono che il Vangelo di Marco è il primo, gli altri: Matteo, Luca e Giovanni hanno tra le mani, quando raccolgono i testi che trovano, anche il Vangelo di Marco. Leggono queste parabole e la prima la censurano.
"Il seme che cresce da solo non va bene!". Sono dei moralisti di cui ancora siamo vittime, quindi fate attenzione!
La prima parabola cerca di dare il senso dello stupore e della meraviglia di fronte alla vita, al mondo, alla crescita del bene. I moralisti cosa dicono: "Il seme cresce da solo! Ma siete pazzi? Bisogna arare, seminare, mettere il concime, zappare, pulire… quindi lavorare, e molto". Qui - invece - c'è tutto lo stupore che non è più nostro, purtroppo, e forse ci conviene recuperarlo.
Lo stupore dell'antico contadino che mette il suo seme nella terra e non sa cosa succede. Perchè quel seme cresce e da un seme ne vengono dieci, dodici... come è possibile? È la forza della natura, è la bellezza e la grandezza della vita.
Io posso fare, lavorare ma se non c'è la forza della natura il mio lavoro non ha senso. Vedete - questa è la parabola che più amo nel Vangelo, perché nella mia vita - quando ci penso - dico: "Ma io che cosa ho seminato...? Non vi consiglio di farvi queste domande perchè si rischia il pessimismo.
Sono convinto di aver seminato poco e invece ho ricevuto tanto. Tanto "seme" ho visto crescere intorno a me. Ho ricevuto molto di più di quello che ho dato. Ho conservato nella mia vita almeno un po' lo stupore di fronte alle persone che intorno a me erano capaci di fare del bene... perché, da dove gli è venuto? Certo non da me, chi lo sa?!
Forse la forza di Dio, forse il Vento dello Spirito, forse la forza della vita, eppure ci sono nel mondo tanti "semi" che portano frutto.
Qualche volta noi non ce ne accorgiamo perché la televisione, la radio, qualche volta anche i libri di storia, ci mostrano solo gli aspetti negativi: le guerre, le violenze... ma il bene di ogni giorno, quel bene che riempie il mondo... pensate a quante mamme si occupano con tenerezza dei loro bambini, a quanti papà si danno da fare per loro. Pensate a quanti nonni (qui ce ne sono molti) che cercano di fare tutto quello che possono perché i loro nipoti crescano sereni.
Pensate a quanti insegnanti, pensate a quanti medici, pensate a quanto bene c'è nel mondo: da dove viene tutto questo? Ho fatto qualche cosa io? La maggior parte l'ho ricevuto. Quando vado in ospedale e vengo curato, io non faccio niente, sono lì passivo; gli altri fanno e mi curano e mi fanno vivere: ecco - vedete - nel mondo ci sono tanti "semi" che crescono e di cui noi raccogliamo il frutto.
Me lo domando qualche volta: "Perché l'uomo è capace di amare?". Non è mica una cosa scontata! Sembreremmo tutti nati per farci i fatti propri, eppure c'è tanta gente che sa dare la vita per gli altri. Lo facciamo anche noi, per quello che possiamo nella vita di ogni giorno.
Da dove viene questo? È la forza della vita! È il seme che cresce da solo! È il Vento di Dio, è la forza di Dio e allora ci conviene - tutti - recuperare il senso dello stupore, del contadino che guarda il suo campo e vede fiorire i semi senza sapere come!
Guardarci intorno, vedere la bellezza che troviamo intorno a noi, la tenerezza di cui qualche volta siamo oggetto e vivere la gratitudine, il ringraziamento… e se conserviamo lo stupore e la meraviglia, allora possiamo leggere anche l'ultima parabola.
Un granellino di senape, il più piccolo di tutti i semi diventa un grande arbusto, l'uccello può venire a fare il nido: è quello che succede nella vita.
Vedete - Gesù è un seme piccolo, minuto, rischia di perdersi nei solchi della storia, eppure noi dopo duemila anni siamo qui riuniti nel suo nome, ma non solo Gesù: quante mamme, quanti papà ho ascoltato nella mia vita (ormai sapete è lunga) che dicevano: "Mi sono domandato tante volte: cosa ho combinato con i miei figli? Ho cercato di seminare, a volte mi sembrava di non portare nessun frutto". Poi quando arrivano a guardarsi indietro, ad una certa età, dicono: "Però è cresciuto bene".
Mi capitava l'altra sera di trovarmi a mangiare una pizza e si parlava di un'insegnate che ormai non c'è più, una ragazza... (ormai cresciuta) e diceva: "Per me, quando facevo la seconda media, è stata una persona fondamentale". Chissà se quell'insegnante si è resa conto di quanto ha seminato in questa ragazza!
Ne ho ascoltati molti di insegnanti dire: "Pensavo di non aver fatto granché, ma ogni tanto mi incontra un alunno che dice: Si ricorda di me, lei mi ha dato tanto".
Noi qualche volta spargiamo i semi e non ce ne accorgiamo, eppure se sono i semi giusti portano frutto. Se sappiamo guardare il mondo con stupore, con meraviglia, se sappiamo contemplare la bellezza della vita, se ne sentiamo la forza, allora possiamo ancora avere fiducia nel mettere alcuni semi, magari non li vediamo portare frutto, ma lo porterà perché i semi giusti sempre qualche frutto lo portano.
Il Signore ci aiuti.
Per Elisabetta si compì il tempo NATIVITÀ di san GIOVANNI BATTISTA - 24 Giugno 2018
del parto e diede alla luce un figlio Luca 1,57-66.80
Oggi celebriamo la nascita di san Giovanni Battista, colui che ha preparato la strada al Signore, almeno viene così ricordato.
La figura di Giovanni, la sua vocazione straordinaria, la sua chiamata ad essere il precursore, a tracciare la strada a Cristo Gesù, ci permette una riflessione sulla vocazione.
Come potete immaginare il tema della vocazione ha attraversato tutta la mia vita. Quando uno sceglie di fare il prete gli parlano un giorno sì e l'altro pure di vocazione, chiamata del Signore.
C'è veramente una chiamata del Signore? La vita di Giovanni, la mia vita è veramente una vita determinata dal destino, o meglio più che dal destino dalla scelta di Dio? Oppure la vita è affidata alle tante circostanze che la condizionano?
Se mi chiedeste: "Don Checco, perchè ti sei fatto prete?". Vi chiederei: "Avete una decina di ore da ascoltare? Non ce la avete! e allora non posso rispondervi". Perché dovrei raccontarvi tutta la mia vita, tutte le persone che, da quando sono nato, cominciando da mio papà e da mia mamma, hanno - in qualche modo - indirizzato, costituito le circostanze del mio crescere, delle mie scelte. A un certo punto della mia vita, quando avevo diciotto anni, ma dietro di me una storia appunto lunga diciotto anni, ho pensato con grandi titubanze, incertezze, che anch'io potevo fare il prete: una scelta di cui non mi son mai pentito.
Ma soltanto Giovanni Battista, soltanto il prete hanno una vocazione? E la vocazione consiste solo nel fare quel determinato mestiere, lavoro, compito oppure è un'altra cosa?
Vedete - sono convinto che la vocazione non riguarda soltanto il prete, il missionario, che so il medico, l'insegnante, la vocazione riguarda tutti. Tutti noi abbiamo la nostra vocazione determinata dalle circostanze della nostra vita... chi è padre di famiglia, chi è madre, chi è insegnante, chi è postino, chi è impiegato di banca, chi fa un altro dei tanti mestieri e coloro - come molti di noi - che sono ormai pensionati, molti nonni si occupano dei nipoti.
Ma allora tutti abbiamo una vocazione? Sì, ogni vita è vocazione! In che consiste la vocazione per chi crede? Cosa vuole Dio? Dio vuole che dentro le circostanze della nostra vita mettiamo la giustizia, la ricerca dell'amore, del bene dell'altro, il desiderio di condividere la vita con chi ci sta accanto.
La vocazione non consiste tanto nelle circostanze diverse per ogni uomo e qui forse vi conviene soffermarvi un momento a pensare... lo vediamo qualche volta in televisione: quante terribili circostanze di vita, molti uomini - anche oggi - sono costretti a vivere.
Qual è la loro vocazione? È determinata da Dio? E cosa si può chiedere a queste persone? Si può aiutarli anche nelle situazioni disperate? Pensate a chi cresce in un ambiente mafioso, chi vive in una situazione di guerra... si può chiedere a questa gente: "Cerca anche tu la giustizia, cerca anche tu di essere libero"? Forse si può! Ma è il compito più difficile della vita.
Ecco - vedete - la complessità della vocazione determinata dalle circostanze, a volte particolarmente favorevoli, a volte terribilmente sfavorevoli in cui uno è chiamato a vivere.
Dio in queste circostanze, Dio che ci guarda impotente, ci chiede la giustizia, ci chiede il bene, ci chiede l'amore: questa è la vocazione!
Altre cose la festa di oggi può aiutarci a considerare. Vedete - le nostre vite e quindi le nostre vocazioni sono, e per fortuna, profondamente differenti e il bene chi lo fa in un modo e chi in un altro. Perché vi dico questo?
Provate a confrontare Giovanni Battista con Gesù. Giovanni Battista pensa di dover andare nel deserto, di lasciare tutti, di fare grandi penitenze, di mangiare cavallette, miele selvatico, di vestirsi di peli di cammello... Gesù tutt'altra cosa! Sta in mezzo alla città, la gente quando vuole insultarlo gli dice: "Giovanni Battista non mangia e non beve e invece tu sei un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori". Vedete che profonda differenza? Eppure tutti e due cercano di seguire la chiamata del Signore.
C'è qualcosa di più! Giovanni il Battista è stato (secondo gli studiosi) il maestro di Gesù e a un certo punto si è accorto che Gesù se ne andava da un'altra parte, non solo, ma forse aveva ragione Lui e nel Vangelo di Giovanni troviamo in bocca a Giovanni Battista: "Bisogna che Lui cresca e io diminuisca". È successo a tanti maestri nel corso della storia! Avevano degli alunni e poi pian piano si accorgevano che l'alunno diventava più grande e bisognava fargli strada e lasciargli spazio.
Ma c'è ancora qualche cosa che può insegnarci la storia di Giovanni. Qualche volta nella nostra vocazione, nelle nostre scelte ci sbagliamo. Giovanni predicava la fine imminente del mondo, il giudizio catastrofico, il fuoco, il bruciare tutti i malvagi, il premiare i buoni... non è successo niente! Anche noi nella nostra vita qualche volta ci sbagliamo.
Non solo, c'è un momento nella storia di Giovanni in cui ha il dubbio, manda a chiedere a Gesù: "Sei tu quello che deve venire o dobbiamo ancora aspettare un altro?". E Gesù non gli risponde: "Sono io, dice: guardati intorno e cerca".
Vedete che cosa ci insegna, almeno che cosa mi ha insegnato la storia di Giovanni? Siamo diversi, possiamo fallire, possiamo sbagliare, ci può essere qualcuno che è più grande e più importante e più bravo di me, posso aver anche io dei momenti di difficoltà, di smarrimento e questo significa che ho perso la fede, che ho perso la mia vocazione? Assolutamente no!
Giovanni ha continuato a cercare e a credere e ha avuto il coraggio di essere fedele fino in fondo, fino a morire, fino a dare la vita per rimanere fedele alla sua dirittura morale, alla sua esigenza di giustizia e di bene e quindi un'altra cosa che possiamo imparare dalla storia di Giovanni... qualche volta chi fa il bene si scontra con il male del mondo. Giovanni ci ha perso la testa. A noi speriamo che non succeda, ma qualche volta anche noi incontriamo il male del mondo.
Dunque ciascuno di noi ha la sua vocazione. Ciascuno di noi è chiamato a portare intorno a sé nell'ambiente in cui vive la giustizia e il bene. Non siamo uomini perfetti... sbagliamo, abbiamo momenti di dubbio, di difficoltà, di sbandamento... non è questo quello che conta! Quello che è importante è continuare a cercare senza stancarci: è quello che il Padre vuole nella nostra vita e Lui vuole da noi la giustizia e il bene, il coraggio di condividere la vita, di camminare insieme agli altri pur nelle diversità, pur nelle difficoltà cercando di portare intorno a noi il bene, la pace.
Il Signore ci aiuti.
"Fanciulla, io ti dico: alzati!" XIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 1 Luglio 2018
E subito la fanciulla si alzò… Marco 5, 1-43
Quello che avete appena ascoltato, tutto il capitolo quinto del vangelo di Marco, è il catechismo della comunità di Marco sul Battesimo. Molti di noi hanno fatto il catechismo quando erano bambini, vi ricordate erano domande e rispostine, nella comunità di Marco non si fa così si raccontano storie, storie simboliche, straordinarie che possano dare a ciascuno la capacità di entrarci dentro, di farle proprie, di dire: sono io.
Sapete che i primi cristiani si battezzavano tutti da adulti, nella notte di Pasqua e il Battesimo lo concepivano come una scelta radicale, come un passaggio dalla morte alla vita.
Ecco perché si parla tanto di morte in questi racconti, dice Paolo "Voi siete morti con Cristo, siete stati sepolti con lui nella tomba per risorgere ad una vita nuova".
È una scelta radicale: il Cristiano sa che se vuole seguire Cristo deve buttare dietro le spalle tutto quello che sa di morte, tutto quello che sciupa la vita, tutta la violenza, il male che rovina la vita dell'uomo, così drammaticamente rappresentati nella scena di questo indemoniato che: "spezza le catene, spacca i ceppi e nessuno può domare, vive fra le tombe e si colpisce con le pietre", appartiene la mondo della morte fa del male a sé e agli altri. Bisogna andare oltre, liberarsi da tutto quello che sciupa la vita, che umilia e fa soffrire l'uomo, bisogna scegliere la vita, scegliere l'amore, la fraternità, la capacità di far il bene che si può a sé e agli altri.
Per essere in grado di compiere la scelta radicale del Battesimo, secondo Marco occorrono tre condizioni che qui esprime attraverso simboli.
La prima secondo lui è fondamentale: bisogna preferire l'uomo sano ai "maiali": se non preferite l'uomo sano e maiali, pregherete Gesù di andarsene. Cosa sono i "maiali" sono la ricchezza, il potere, la ricerca del consenso e dell'applauso; se volete qualche cosa di attuale la ricerca dei voti.
A tutto questo l'uomo che sceglie Cristo deve preferire l'uomo sano, libero. Avete ascoltato come Marco descrive l'uomo guarito: "seduto, vestito e sano di mente" e aggiunge, secondo me con un colpo di genio: "ed ebbero paura". Non avevano paura prima dell'uomo violento, ma ora, perché la sua guarigione è costata la perdita dei maiali.
Per scegliere l'uomo sano bisogna rinunciare ai "maiali", questo mondo ha un gran bisogno di preferire l'uomo sano ai "maiali": alle armi, alla violenza, alle ricchezze, al petrolio, eccetera.
La seconda condizione è quella che vive questa donna che perde sangue: sta morendo anche lei, per gli ebrei perdere sangue significa perdere la vita ed è circondata, stretta dalla folla e ha paura, deve avere il coraggio di uscire dalla folla e toccare Gesù. Non soltanto di uscire dalla folla, ha bisogno anche di uscire dalla tradizione, dalla legge: una donna che perde sangue è impura non può toccare un uomo, lo rende impuro, a lei non gliene importa niente, cerca Gesù. E Gesù si guarda intorno e la cerca, deve uscire da questa folla non può rimanere condizionata.
Anche noi abbiamo tanto bisogno di uscire dalla folla per seguire il Signore, di non lasciarci condizionare dai valori di questo mondo.
La terza condizione la esprime l'ultimo racconto: non bisogna ridere della possibilità di scegliere la vita: avete ascoltato Gesù dire che la ragazza non è morta e tutti lo deridono. Troppi oggi, forse qualche volta anche noi, deridono chi crede nella vita, nella possibilità di andare oltre la violenza e la morte: non si può cambiare, questo mondo bisogna accettarlo così com'è.
Se vuoi essere Cristiano, non puoi ridere di chi cerca di cambiare questo mondo. Non puoi ridere, devi amare la vita.
Questo è il catechismo sul Battesimo del vangelo di Marco come vedete un catechismo difficile: occorre passare dalla morte alla vita, dal male al bene e per farlo bisogna preferire l'uomo sano ai maiali, bisogna essere capaci di uscire dalla folla, bisogna essere capaci di credere veramente nella vita, nell'amore, non è facile.
Il Signore ci aiuti.
"Un profeta non è disprezzato XIV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 8 Luglio 2018
se non nella sua patria, tra i Marco 6,1-6
suoi parenti e in casa sua"
Dicevo - domenica scorsa - che il capitolo quinto del Vangelo di Marco che avevamo letto è il catechismo della comunità di Marco sul Battesimo. Il racconto di domenica finiva - forse non lo ricordate - in maniera strana. Gesù prende per mano la ragazza…"e raccomandò con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare".
Uno si domanda: "Ma come resuscita la ragazza, è un grande prodigio, che bisogno c'è di dire di darle da mangiare?" Se fosse un raccontino sarebbe incomprensibile, se si tratta di simboli allora è piuttosto semplice. Abbiamo finito un catechismo, ne comincia un altro: quello sul "mangiare", il catechismo sull'Eucaristia, quello che facciamo qui ogni domenica.
Il segno, il simbolo dell'Eucaristia è il cuore stesso della vita cristiana. Marco dedica un po' d'attenzione a questo cercando di spiegarci che cosa facciamo qui: il cuore del suo catechismo è il racconto, che tutti conoscete su cui avremo da ritornare fra qualche domenica, della condivisione e della moltiplicazione del pane.
Prima - Marco - ci mette in guardia, ci vuol dire: "Attenzione, l'Eucaristia non è una cosa a buon mercato". E il primo passo che ci fa fare è: guardate c'è l'incredulità! Gesù si meraviglia della loro incredulità! C'è gente che non crede!
Quando... - almeno io - parlo di non credere non pensate che tiri fuori il discorso se c'è veramente il Corpo e il Sangue l'anima e la divinità di Gesù... certamente questo possiamo dirlo e ripeterlo è normale. Credere nell'Eucaristia significa credere nella condivisione della vita, nello spezzare il pane, nel condividerlo, nel sentirci una cosa sola: quindi il cuore stesso della nostra vita cristiana e della nostra fede.
Ma credere questo non è facile, non è stato facile nel tempo e nella storia. Marco prende un racconto che probabilmente già c'era e faceva parte della polemica contro il popolo ebraico. Non hanno voluto accettare Gesù quelli del suo popolo e della sua casa... ma forse (secondo me è probabile) quando scrive: "Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua" pensa: "Ma non è ora questa la casa del Signore?" E se Gesù ce l'avesse un po' con noi? Gesù vuole mettere in guardia anche noi dall'incredulità.
Qual è la radice - secondo Marco - dell'incredulità? Lo dice con semplicità nel racconto che abbiamo letto. Gesù va nella sua patria, si mette a predicare e la gente dice: "Ma non è il falegname? Sua madre non è Maria? I fratelli: Giacomo, Joses, Simone, Giuda stanno tutti qui e le sue sorelle anche e adesso che fa? Si mette a predicare? Come è possibile dire qualche cosa di nuovo? Noi siamo abituati alla nostra religiosità; andare in sinagoga ogni sabato e adesso che è questa dottrina nuova? E poi Lui?
Ecco - vedete - la radice dell'incredulità: non essere aperti alla ricerca, al dubbio, al futuro. Può un uomo dire qualche cosa di nuovo? Gesù certamente diceva qualche cosa di nuovo, di radicalmente nuovo, ma chi pensava di essere nella sicurezza, nella certezza della fede non sapeva accettare un messaggio diverso.
I primi cristiani hanno sofferto molto per questo, perché quando a un certo punto si è posto il problema di aprire il cristianesimo ai confini del mondo, c'era chi diceva: "Ma Gesù è Ebreo, tutti i suoi parenti sono ebrei e tutti i primi discepoli sono ebrei perché adesso volete portare la fede in giro per il mondo? " E molti non hanno saputo fare il passo e si sono chiusi e si sono persi.
Alcuni -. per fortuna - hanno saputo aprirsi al futuro, a qualche cosa di nuovo, al mondo. Questo è successo tante volte nella storia della Chiesa. Chi conosce un po' la storia sa che c'è sempre stato qualcuno che ha detto: "No, non si può, non si può cambiare, non si può andare avanti".
Ricordo ai tempi del Concilio la lotta che a Roma, nella Curia, hanno fatto a Giovanni XXIII, era una lotta feroce, forse in buona fede: "Noi abbiamo sempre fatto così, abbiamo sempre parlato in latino, ci siamo sempre chiusi in questo modo di vedere la Chiesa, perché aprirsi al mondo? Perché tutte queste novità?"
E lo stesso dramma si vive oggi nella Chiesa, lo sentite qualche volta sui giornali. Il Papa Francesco si trova spesso in mezzo alle ostilità. Qualcuno dice: "Perché cambiare, perché tante novità?" Per Marco l'incredulità è l'incapacità di accettare il nuovo, qualche cosa che cambia, l'incapacità di aprirsi al mondo, con occhio che sa guardare lontano, sa accorgersi dei cambiamenti.
Ma se volete uscire dal mondo strettamente religioso, vedete oggi che difficoltà abbiamo - forse anche qualcuno di noi - ad accettare il diverso, il nuovo, il mondo che cambia, la gente disperata che viene a chiederci aiuto e non sappiamo come fare e ascoltiamo delle voci, ma qualche volta ci chiudiamo in noi stessi, nelle nostre paure: secondo Marco, questa è la radice dell'incredulità!
Quando sentite qualcuno che dice: "Io non credo in Dio, non credo nella Chiesa..." Non è solo questo credere! Domandategli: "Ma credi nella giustizia, credi nell'amore, credi nell'altro, sei attento a condividere la vita?" Questi sono i valori di Gesù, questa è la fede!
C'è anche il resto certamente, mi dirà qualcuno di voi, ma questo è l'essenza che noi celebriamo qui ogni domenica. Il Pane che spartiamo, la vita che dobbiamo condividere con il più piccolo dei fratelli: è questo il senso dell'Eucaristia e allora Marco ci avvisa: "Attenzione, la radice dell'incredulità, qualche volta si annida nella casa del Signore" Qualche volta rischiamo noi di rifiutare Gesù, i suoi valori...
Ecco, vorrei che oggi potessimo uscire da qui ognuno di noi con una domanda: "Ma io accolgo veramente Gesù, il futuro, so riconoscerlo nell'altro, so aprirmi al cambiamento, alle cose nuove, so ascoltare messaggi che non ripetono solo quello che si è sempre detto, ma anche ci aprono a prospettive diverse, a volte faticose, a volte quasi impossibili, che hanno bisogno di cercare, di interrogarsi... ma non possiamo non aprire il nostro cuore al futuro".
Chi pensa di possedere la verità, chi pensa di essere sicuro di quello che si è sempre fatto - secondo Marco - rischia di perdere la fede. Non è una cosa semplice (lo sapete) conservare la fede.
Il Signore ci aiuti.
Gesù chiamò a sé i dodici e prese XV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 15 Luglio 2018
a mandarli a due a due e dava Marco 6,7-13
loro potere sugli spiriti impuri.
Continua il catechismo sull'Eucaristia e Marco lo fa alla sua maniera, mettendo dei punti fermi prima di arrivare al cuore del suo discorso e lo fa attraverso simboli.
Sono importanti i simboli nel Vangelo di Marco perché ciascuno di noi può rielaborarli, può cercare soprattutto di tradurli nella propria esperienza concreta.
Tento adesso di farvi vedere qualcuno di questi simboli, ma rimane a voi il compito di ripensarli, soprattutto di chiedervi: che c'entro io con questo?
La prima cosa che Marco ci dice è che quando ci riuniamo per la celebrazione dell'Eucaristia, che è certamente il segno fondamentale della nostra fede, dobbiamo ricordare che la vita non è qui, la vita è fuori e là dobbiamo andare, non possiamo chiuderci nel piccolo guscio delle nostre comunità, pensando di risolvere i problemi tra di noi, di salvarci l'anima, di metterci al sicuro dalle tentazioni del mondo… no, lo spazio della vita cristiana è fuori in mezzo alla gente.
E abbiamo un compito importante quello di cacciare i diavoli: quando il Vangelo di Marco parla di diavoli non pensate a esseri con le corna o strani personaggi che prendono possesso del corpo dell'uomo, queste sciocchezze lasciatele a qualche cacciatore di diavoli, che anche oggi vedete in televisione, sono sciocchezze che dovrebbero appartenere al medioevo. Quando Marco ci parla di diavoli ci parla del male di questo mondo, della violenza, dell'intolleranza, dell'incapacità di condividere la vita, dell'ingiustizia, della corruzione, di tutto quello che sciupa la vita dell'uomo: contro tutto questo siamo inviati a combattere.
E non da soli, "a due a due" dice Marco altrimenti si rischia di perdersi, anzi sarebbe meglio se fossimo più di due, capaci di costituire delle comunità che sentono il bisogno di essere testimoni dei valori di Gesù in mezzo al mondo.
Poi aggiunge di non portare "né pane, né sacca, né denaro": è la gratuità, occorre solo fidarsi della forza dei valori di Gesù. Non si può basare la missione sul denaro e sul potere… pensate quanto sarebbe stata diversa la storia della Chiesa se avessero, specialmente i potenti della Chiesa, ascoltato questo consiglio di Marco: in nome di Cristo i nostri antichi hanno conquistato interi continenti, hanno sterminato popolazioni, tentando di portare con le armi il messaggio di Gesù, altre volte cercavano di convincere la gente a battezzarsi con una ciotola di riso. O siamo capaci di testimoniare il Signore con la forza della nostra fede oppure è meglio lasciar perdere, altrimenti rischiamo di fare danni.
La Chiesa dovrebbe anche essere attenta a non ricercare il potere, (purtroppo lo ha fatto spesso) e soprattutto il più raffinato e potente potere che c'è in questa terra: quello di controllare le coscienze. Pensate, qualcuno di voi, a certe esperienze fatte nella confessione quando qualcuno vuole importi la propria visione, impossessarsi della tua anima… non c'è niente di peggio.
Per Marco c'è ancora qualche cosa di più: "Dovunque entriate in una casa rimanetevi… se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero… andatevene e scuotete la polvere dai vostri piedi". Dovremmo fare molta attenzione a non confondere noi stessi col messaggio di Gesù, ma poi Marco invita i cristiani e quindi anche noi a saper scuotere la polvere dai piedi contro tutto quello che è ingiustizia in questo mondo, contro la corruzione.
In questa nostra Italia abbiamo dei primati in fatto di corruzione, ci tocca anche vedere che si organizzano processioni che si fermano davanti alla casa del boss della mafia o della Ndrangheta. Sono cose inconcepibili per Marco, ma dovremmo scuotere la polvere dai piedi anche sul posto di lavoro quando c'è ingiustizia, corruzione, quando c'è il malaffare. A volte bisogna scuotere la polvere dai piedi anche in famiglia.
Attenzione però ci dice la storia a scuotere la polvere verso quel che è veramente il male, mi diceva un amico che studiava la storia tanto tempo fa: "Checco occorre fare attenzione, hanno sempre scomunicato quelli sbagliati". La Chiesa ha scosso spesso la polvere dai piedi, ma verso le persone sbagliate, verso quelli che cercavano di portare avanti la società, di fare del bene.
L'ultima cosa che Marco ci dice, dopo averci ancora una volta ricordato di cacciare i diavoli, è di curare i malati ungendoli con l'olio… oggi l'olio non si usa più e poi ci sono i medici che spesso sono anche bravi, quindi non dovrebbe riguardarci… a parte che anche per le malattie del corpo è utile la tenerezza, lo star vicino a chi è malato, ma ci sono anche tante altre malattie in questo mondo: malattie del cuore, della mente, dello spirito, a prenderci cura di tutto questo siamo mandati.
Ecco, secondo Marco non basta stare qui, la vita è fuori di qui, è là che dobbiamo combattere il male, è là che dobbiamo testimoniare Cristo, è là che dobbiamo curare i mali del mondo per quanto ci è possibile… come vedete il programma non è affatto semplice.
Il Signore ci aiuti.
"Venite in disparte, voi soli, in un XVI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 22 Luglio 2018
luogo deserto, e riposatevi un po'" Marco 6,30-34
Ancora due passi nel catechismo del Vangelo di Marco sull'Eucaristia... il tentativo di descriverci, di farci capire che cosa facciamo qui insieme la Domenica.
Il primo passo è semplice, ma - se ho capito qualche cosa - importantissimo. Avete ascoltato: i discepoli tornano... Gesù li ha mandati in missione; hanno lavorato, non hanno avuto nemmeno il tempo di mangiare… l'affanno, la corsa della vita di ogni giorno e Gesù dice: "Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto e riposatevi un po'"
È il "sabato", forse la più grande intuizione di Israele. C'è un giorno in cui bisogna fare riposo. Bisogna fare il "sabato"! Sabato è una parola ebraica che significa: riposo.
Riposo che non significa non far niente. Riposo è il sedersi, guardare un po' da lontano l'affanno, la corsa di ogni giorno, il trambusto quotidiano, guardare un po' da lontano i problemi di questo mondo che a volte ci sembrano insolubili. Si tratta anche di guardare che cosa abbiamo fatto o non abbiamo fatto, dove abbiamo sbagliato e dove non abbiamo sbagliato. Prendere le distanze dai successi, dai fallimenti. Il successo spesso corrompe e il fallimento spesso porta alla sfiducia: oltre tutto questo il credente deve andare per ritrovare la forza dei valori che porta dentro, l'essenziale del cammino della vita.
Quindi, un momento per fermarsi. Fermarsi per guardare, per guardarsi dentro, guardarsi intorno, guardare tutto un po' con lo sguardo di Dio.
Ma non basta! Si tratta anche di guardarsi negli occhi, di raccontarsi l'un l'altro che cosa abbiamo combinato, quali difficoltà, quali pericoli abbiamo incontrato. Quando si è insieme, quando si condividono le esperienze - a volte - certi nodi si sciolgono e - a volte - la vita si semplifica.
Ma non basta ancora! Si tratta di essere capaci di guardarsi intorno, di contemplare la natura, la bellezza del creato, di ritrovare la capacità di stupirsi per il sorriso di un bambino: tutto questo è il "sabato". E il sabato è anche il tempo in cui ci si ferma per pregare, per studiare, per conoscersi, per conoscere.
Il sabato è un momento fondamentale della tradizione di Israele e Gesù ce lo ripropone e spesso noi cristiani lo abbiamo dimenticato. Per noi il sabato è diventato la Domenica, ma la Domenica, per molti di noi, è affanno, corsa, a volte lavoro.
Ritrovarsi qui - secondo Gesù, secondo Marco - è il momento di fermarci in un luogo separato, in disparte e per riposarci un po', per guardarci dentro, per guardarci negli occhi, per cercare di recuperare i valori essenziali della nostra vita e soprattutto per incontrare Gesù.
Poi c'è un altro passo che il Vangelo di oggi ci invita a fare. Avete visto che arriva tanta gente, Marco ci dice che: "Sono come pecore senza pastore". Gente che non ha i valori importanti della vita, gente che non sa dove andare, che è sbandata. A volte sembra la rappresentazione - di una parte almeno - di questo mondo moderno: pecore senza pastore che non hanno valori, che non sanno dove volgere il capo, non sanno a chi credere, e di chi potersi fidare e Gesù propone il suo insegnamento.
È il primo fondamentale momento del ritrovarsi qui: la Parola del Signore, il Libro, il Libro che leggiamo. Badate - il Libro, la Parola del Signore! Non la mia, che è parola di un pover'uomo che comincia a perdere il senno... data l'età. Quello che conta per voi è quello che dice il Signore, è quello che dovete cercare di assimilare, di portare nella vostra vita. È Lui che ha da dirci Parole di vita eterna, è Lui cha ha da insegnarci qualche cosa di fondamentale per il nostro vivere, per i rapporti tra di noi e con il mondo.
Ecco il primo momento dell'Eucaristia: fermarsi intorno a un Libro, ascoltare una Parola, ascoltare Gesù che insegna, ha qualche cosa di fondamentale da dirci.
Veniamo qui la Domenica per riposarci un po', per sederci ai piedi di Gesù, per guardare il mondo con i suoi occhi, per ascoltare Lui, perché la sua Parola diventi parte di noi.
Domenica prossima non parleremo più del Libro, ma della Tavola perché nell'Eucaristia c'è anche una Tavola in cui si spezza il Pane e si condivide: è il cuore stesso di quello che noi facciamo qui la Domenica, di più il cuore stesso della vita cristiana.
Il Signore ci aiuti.
Allora Gesù prese i pani e dopo XVII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 29 Luglio 2018
aver reso grazie li diede a quelli Giovanni 6,1-15
che erano seduti…
Il racconto che abbiamo appena ascoltato si trova, con piccolissime differenze, ben sei volte nei Vangeli: tutti e quattro... - non è una cosa normale - hanno questo racconto e i Vangeli di Marco e di Matteo lo hanno per due volte: è l'unico racconto che si ripete sei volte nei Vangeli. Evidentemente era, per le prime comunità cristiane, un racconto particolarmente importante.
Importante perché in questo racconto vedevano il senso di quello che facevano... loro si riunivano prima il sabato e poi la Domenica intorno a una tavola per spezzare il Pane: era una cosa più semplice di quello che facciamo noi. La nostra Messa è diventata molto rituale, fredda, per loro era una cena fraterna in cui spezzavano il Pane, ricordando l'Ultima Cena e si chiedevano: "Che senso ha quello che facciamo qui? Perché ogni Domenica spezziamo il Pane insieme?" E hanno creato questo racconto ripetuto (come vi ho detto) più volte.
Avete ascoltato dalla prima Lettura che era un racconto già presente nell'Antico Testamento nelle storie di Eliseo. Noi non sappiamo e non sapremo mai che cosa sia effettivamente successo li, questi sono racconti simbolo. Simboli fondamentali per il nostro stare qui insieme. Di che simbolo si tratta?
Anzitutto avete ascoltato che c'è gente che ha fame. La grande fame del mondo, la fame della gente... anche oggi, ma in tutta la storia dell'umanità! Fame di cibo, di casa, di lavoro, ma anche fame di cultura e soprattutto - forse - fame di tenerezza, di amore, di vita condivisa... ed ecco allora il segno che facciamo qui ogni Domenica.
C'è fame, c'è tanta gente... ma c'è un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci... cos'è questo per tutti? Eppure, se lui mette in comune quello che ha, la vita si moltiplica: ecco il senso dell'Eucarestia!
Vedete un senso semplice, almeno a parole: ciascuno di noi è chiamato a mettere in comune quello che ha. Molti di voi avranno molto più che cinque pani d'orzo e due pesci (io sono sempre stato convinto di avere poco) ma non importa. Quello che è importante è che impariamo a condivi- dere la vita, a mettere insieme quello che abbiamo nella vita di ogni giorno... qui, come abbiamo già ripetuto nelle Domeniche precedenti, facciamo soltanto un segno, un simbolo. Ecco ciascuno di noi nella vita di ogni giorno mette in comune quello che ha, anche le cose più semplici.
Una nonna che racconta alla sua nipotina una bella favola, ha messo in comune qualche cosa di sé e la vita di quella bimba si è arricchita. Ecco, se ciascuno di noi sa mettere in comune quello che ha, tanto o poco non importa, la vita si moltiplica, si arricchisce, si può far festa.
Ed ecco il secondo grande tema di questo racconto: la festa. Tanta gente riunita seduta sul- l'erba... potete immaginare che cantino e che tutti si sazino a volontà... si raccolgono - addirittura - dodici canestri dei pezzi avanzati. C'è pane per tutti, c'è festa per tutti!
Il segno che noi facciamo qui è un segno di festa. La vita è - o almeno dovrebbe tentare di essere - una festa. Purtroppo, noi siamo stati educati all'Eucaristia attraverso tutta una serie di regole, regolette... bisognava non mangiare, stare attenti all'acqua, a lavarsi i denti e poi bisognava confessarsi e la paura di commettere sacrilegio... insomma ci avvicinavamo (almeno quando io ero bambino) all'Eucaristia con tanti scrupoli, quasi un senso di peso e molti cristiani... (l'ho sperimentato tante volte nel corso del cammino della mia lunga vita sacerdotale) e anche molti giovani vedono la vita cristiana come un peso, con tutta una serie di obblighi, di divieti, quasi che sia proibita la vita, la gioia, la festa.
Qui - come avete visto - è tutto il contrario. È la festa, gente che sta insieme, che condivide la vita. È la festa della bellezza, è la festa dell'abbondanza, è la festa della condivisione, è la festa dell'amore.
Noi - purtroppo - siamo poco capaci di viverla qui in chiesa e allora dobbiamo supplire come possiamo nella vita di ogni giorno; qui è soltanto un segno... spezziamo il Pane, tutti mangia- mo lo stesso Pane e diciamo come dice l'apostolo: "Siamo un solo corpo, un'anima sola", ma questo condividere la vita, questo essere una cosa sola, siamo chiamati poi a viverlo nella vita di ogni giorno come possiamo, con serenità, senza scrupoli, con lo spirito della festa, perché il Signore ci chiama alla festa.
Il Signore ci aiuti.
"Trascurando il comandamento XXII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 2 Settembre 2018
di Dio voi osservate la Marco 7,1-8.14-15.21-23
tradizione degli uomini…"
Gesù (come avete ascoltato) si scontra con la tradizione degli antichi. Cosa significa essere religiosi? È questo il tema di questa pagina del Vangelo, un tema fondamentale.
Vedete, non si tratta qui di regole igieniche. Nessuno di voi (penso) tornando dal mercato non si lava le mani prima di mettersi a tavola, non pulisce accuratamente piatti e bicchieri. Qui si tratta di qualcosa di molto diverso.
Come avete ascoltato c'è la paura di diventare impuri, di contaminarsi. C'era tutta una serie minuziosissima di regole. Se per caso toccavi un pagano, lo sfioravi diventavi impuro, ti contaminavi. Se passavi accanto alla tomba di un morto, ti contaminavi, se sfioravi un pezzo di carne di maiale, ti contaminavi... Il mondo veniva visto come qualcosa di pericoloso, pieno di realtà malvagie che potevano allontanarti da Dio. Non solo, tutte queste regole davano agli Ebrei il senso di essere unici e guardavano qualche volta gli altri dall'alto in basso: "Noi possediamo la verità di Dio, siamo i suoi figli, gli altri... che non conoscono Dio, non conoscono la verità".
Gesù contro tutto questo si ribella e qui (se ho capito qualcosa) si ribella contro quella che è la più grande tentazione del credente in tutte le religioni: quello di diventare integralista, intollerante, di credere di possedere la verità, di avere solo lui la conoscenza di ciò che è giusto o sbagliato, vero o falso.
Questi problemi: l'intolleranza, l'integralismo hanno attraversato la storia di tutte le religioni e la storia della Chiesa non ne è stata certamente esente. Pensate alla bruciatura degli eretici, delle streghe, di chiunque la vedesse diversamente. Pensate alle scomuniche. Ci sono sempre dei cristiani che si sentono giusti, perfetti, osservanti della volontà di Dio.
Lo vedete anche oggi. Avete forse letto sui giornali delle forti polemiche che ci sono (specialmente in questi giorni) contro il Papa. Lui ha tentato delle timide (secondo me timidissime) aperture al mondo di oggi e si è subito scatenata contro di lui la reazione dei cristiani integralisti. Ce ne sono tra i vescovi, tra i cardinali e anche tra i tanti movimenti che attraversano la Chiesa.
Sono degli integralisti che pensano di possedere la verità. Nel ventunesimo secolo non è più possibile perché il mondo sta cambiando radicalmente e abbiamo una visione diversa e più ampia del mondo, dei problemi che lo attraversano.
Noi abbiamo difficoltà a capire che cos'è il nascere, l'inseminazione artificiale, le madri surrogate, la condizione omosessuale, la limitazione delle nascite...
Un tempo (quando ero un giovane prete) ho passato ore e ore nel confessionale a tribolare per la pillola anticoncezionale... sciocchezze di un tempo che fu! C'era gente che diceva che se non si è così non si è cristiani.
Pensate poi alla condizione della donna, anche nella Chiesa, pensate al matrimonio, alla fine della vita, all'eutanasia... pensate a tutto quello che volete. Tante cose in cui bisognerebbe avere la capacità di dialogo, di ascolto, di attenzione. La convinzione di non possedere la verità, di non sapere con certezza quello che è giusto, ma la capacità di mettersi in dialogo con gli altri cercando di capire che cosa è veramente importante e che cosa non lo è.
Vedete, questa pagina del Vangelo (se ho capito qualche cosa) è una pagina fondamentale. Gesù ripete più volte nel Vangelo che al centro ci deve essere l'uomo: non è l'uomo fatto per la legge, per la tradizione, per le regole, la religione... tutto questo: regole, religione, leggi devono essere la servizio dell'uomo. Devono essere capaci di rispettare l'uomo nelle sue diversità, nella sua complessità, nel cammino che l'umanità fa, a volte faticoso.
Se non c'è questo si diventa intolleranti, integralisti, si condanna il prossimo, si arriva a condannare il Papa: succede in questi giorni!
Gesù ha cercato di metterci in guardia da tutto questo e - come per tante altre cose - non ci è riuscito. Cerchiamo noi di cogliere il messaggio che questa pagina ci dà. Quello che importa - dice Gesù - è il cuore, è quello che avete dentro, sono le cose in cui credete, i valori, perché da dentro viene il bene e il male.
Se avete dentro valori autentici, la capacità di amare, di rispettare, di aprirvi agli altri, di condividere la vita... allora sarete capaci di fare il bene e di rispettare il vostro prossimo... ma se dentro avrete invidie, intolleranze, giudizi cattivi, allora tutto si sciupa nel rapporto umano, nella convivenza degli uomini.
Allora quello che possiamo chiedere al Signore, concludendo questa breve riflessione, è che ci dia un cuore libero, capace veramente di amare, di rispettare, di condividere la vita, di essere aperto, capace soprattutto di ascoltare l'altro: "Cosa pensi, perché pensi così? è veramente sbagliato quello che pensi?" Lo ascolto e cerco di capire. Posso capire se nel mio cuore c'è la volontà di capire, il rispetto dell'altro, l'apertura a chi mi sta davanti, se sono capace di guardarlo negli occhi: se non c'è questo rimarrò sempre un uomo che pretende di possedere la verità, un uomo intollerante che giudica e condanna: ma, (se ho capito qualcosa) non è questo quello che vuole il Signore.
Il Signore ci aiuti.
Lo prese in disparte lontano XXIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 9 Settembre 2018
dalla folla gli pose le dita Marco 7,31-37
negli orecchi…
Il Vangelo di Marco è il più breve, ma (secondo me) anche il più denso e il più complesso. Non è semplice cogliere tutte le sfumature e i messaggi che questo straordinario evangelista vuole comunicarci.
Vedete - per esempio - molti cristiani... (non vi meravigliate se è capitato anche a qualcuno di voi, siete in grande compagnia) leggono questa pagina come uno dei tanti racconti di miracoli del Vangelo.
Cosa ci dice dunque: che il Signore può fare miracoli. La ricerca del miracolo ha attraversato tutta la storia della Chiesa... Come sapete sono state costruiti santuari in ogni angolo del mondo e là si fanno pellegrinaggi e qualche volta c'è chi dice di aver ricevuto un miracolo.
Oggi per molte persone, specialmente per i più giovani, questo crea difficoltà non piccole. Ho sentito molte volte, nel corso della mia ormai lunga vita, chiedermi: "Ma perché a uno sì e a un altro no?". E siete stati, se è successo anche a voi, particolarmente fortunati se non avete trovato qualcuno che vi dice: "Non hai ottenuto quello che hai chiesto perché non hai saputo pregare o perché non hai avuto fede". Non solo non hai ottenuto quello che chiedevi ma è pure colpa tua, non c'è niente di peggio!
Un ragazzo riassumeva... (potete sorridere, sembra una provocazione, sono passati quasi cinquant'anni, da quando ho ascoltato questa frase): "Se qualcuno può fare miracoli e li fa molto raramente non è un santo, ma un delinquente". Una provocazione, ma se ci pensate attentamente c'è parecchio di verità dietro questa frase.
Ma tutto questo Marco - come avete ascoltato - ce lo ha detto chiaramente e lo ripete decine di volte nel suo Vangelo. Dopo ogni segno prodigioso fa dire a Gesù: "Non lo dite a nessuno..." Lo avete ascoltato anche oggi. Ma come succede per tante cose, Gesù nessuno lo ascolta!
Cosa vuol dirci Marco? Cosa c'è in questa pagina se aldilà del prodigio andiamo a cercare di capire il messaggio. Vuole invitarci tutti ad andare verso Gesù per chiedergli: "Signore, aprimi le orecchie, aprimi la bocca, aprimi il cuore, metti dentro di me le tue idee, i tuoi valori, le tue visioni della vita, fammi capire cosa dici, chi sei, cosa vuoi, quali sono i valori essenziali del cammino dell'uomo sulla terra, apri le mie orecchie, apri soprattutto il mio cuore".
E, come avete ascoltato, Gesù, - questa è un'altra delle costanti del Vangelo di Marco - porta il sordomuto lontano dalla "folla". Lontano... ! Se volete aprire le vostre orecchie al messaggio di Gesù dovete - almeno per un po' - staccarvi dalla folla. Oggi, forse più che al tempo di Gesù... perché siamo sommersi da radio, televisione, mezzi di comunicazione di massa, internet e quant'altro, lontano da tutto questo per cercare nel proprio cuore quello che è importante, perché la "folla" è spesso attraversata da ondate che vanno, vengono... spesso ci sono ondate di paura, di rancore, di rabbia, di tensione: tutto questo ci impedisce di ascoltare, di aprirci alla Parola di Gesù e Marco lo aveva visto con chiarezza!
C'è un'altra cosa... vedete come è complessa questa breve pagina nel Vangelo, che forse voi non avete notato. Siamo... - Marco lo sottolinea - passati per Tiro e Sidone e adesso siamo in pieno territorio della Decapoli... Che significa? Che siamo in terra pagana e che questo sordomuto è un pagano. Gesù - secondo la legge antica - non potrebbe nemmeno avvicinarsi, parlargli e ancora di più toccarlo, guarirlo questo è riservato soltanto ai "nostri", è riservato a quelli della nostra etnia, della nostra razza, della nostra religione agli altri no!
Gesù ci invita a superare tutto questo ed è importante per noi in questi momenti, in cui non soltanto in Italia, ma nell'Europa intera sembrano essere presenti rigurgiti di razzismo, di non accettazione dell'altro, del diverso... dovrebbe essere assurdo parlare ancora di razza eppure...
Non esistono razze, siamo tutti uomini. Per un credente siamo tutti figli di Dio, aldilà di ogni distinzione religiosa, di ogni colore della pelle, dei modi di pensare: tutti figli, diversi per fortuna, tutti chiamati a sentirci fratelli e a riconoscerci figli dello stesso Dio.
Ecco - vedete quante cose ci sono in questa piccola parte del Vangelo? il Signore ci invita ad ascoltarlo, ad aprire le nostre "orecchie", il nostro cuore a Lui per poterne essere testimoni. Il Signore ci invita ad andare lontano dalla "folla", a difenderci dal rumore, dal chiasso in cui viviamo ogni giorno, per cercare nel profondo del nostro cuore i valori autentici. Il Signore ci invita a rispettare ogni uomo, a riconoscere in ognuno un figlio di Dio e quindi un fratello. Non è cosa semplice.
Il Signore ci aiuti.
Ed Egli domandava loro: XXIV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 16 Settembre 2018
"Ma voi chi dite che io sia? Marco 8,27-35
Ci troviamo nel cuore stesso del Vangelo di Marco e - forse - nel cuore della vita cristiana. Gesù pone ai suoi discepoli, dopo un lungo cammino, la domanda decisiva: "Chi sono io per te, chi sono io per voi?".
Pietro (come avete ascoltato) risponde... Pietro come gli altri discepoli è rimasto affascinato da Gesù. Ormai è da tempo che lo segue. Ha trovato in Lui i valori essenziali della vita. Ha trovato in Lui la libertà. Ha sentito che Gesù, aldilà della tradizione che dice che c'è una legge immutabile, eterna che viene direttamente da Dio, ha posto al centro l'uomo, il rispetto dell'uomo, l'attenzione all'uomo. Tutto quello che è a favore dell'uomo è anche voluto da Dio. Non esistono leggi eterne e immutabili. Esiste quest'uomo concreto.
Tutte queste cose Pietro e i discepoli le hanno ascoltate, ne sono rimasti presi e si sono resi conto che in Gesù (almeno secondo loro) si manifesta Dio.
Ma, adesso, Pietro deve attraversare una "porta stretta", così stretta che è come la cruna di un ago. Quando Gesù comincia a parlare della sua "croce", del suo rifiuto da parte degli uomini... questo - Pietro - non lo può accettare. Pietro è un uomo abituato a soffrire, non lo spaventa la sofferenza, è un uomo rude, ha sempre lavorato sul lago, ne ha attraversate molte nella vita. Non è la sofferenza che lo spaventa e forse nemmeno la morte, ma quello che non può accettare è il fallimento, è l'impotenza di Dio! Questo no!
Se non c'è più un Dio potente, onnipotente a chi mi posso rivolgere? Che senso ha la vita dell'uomo se non c'è qualcuno che ci protegge? È questa la "porta stretta" che Pietro e ogni cristiano deve attraversare: accettare l'impotenza di Dio!
Gesù gli dice: "Va' dietro di me". Camminando pian piano dietro di Lui Pietro può scoprire, come possiamo scoprirlo anche noi, che quello che sembra il disastro, rivela invece la nostra grandezza e la nostra dignità di uomini. Non siamo dei burattini nelle mani della provvidenza, ma persone, con tutta la nostra dignità, con tutta la nostra responsabilità. A noi è affidato il mondo, la nostra vita e la vita degli altri: è questa la dignità dell'uomo, è qui dove l'uomo deve diventare libero ed essere capace di amare. Ecco la "porta stretta" che Pietro deve attraversare per scoprire che cos'è essere un uomo, essere un cristiano, cosa significa seguire Gesù nella libertà, nella dignità, nella responsabilità.
C'è un'altra cosa che vorrei dirvi su questa pagina del Vangelo per me particolarmente importante.
Vedete, le ultime parole: prendere su la croce per seguire il Signore sono state, nella lunga tradizione della vita cristiana, interpretate come l'esaltazione della sofferenza, del dolore, della rinuncia... quasi che l'ideale dell'uomo sia la povertà, la miseria, il dolore per avere, poi, un premio nell'altra vita.
Da tanto tempo ormai questa sembra mi la più grave bestemmia nei confronti di Dio.
Dio e il Vangelo non amano la povertà, non amano la miseria - nonostante quello che si ripete troppo spesso nella Chiesa - l'ideale del Vangelo è l'abbondanza, non è la povertà, ma la ricchezza, per tutti evidentemente.
Gesù dice ai suoi discepoli: "Se qualcuno di voi ha lasciato una cosa, riceverà cento volte tanto, già in questa vita". Sono simboli evidentemente! Ma simboli che ci manifestano come l'ideale del Vangelo sia l'abbondanza. L'ideale del Vangelo non è il soffrire, ma la felicità, la gioia, la pienezza della vita: questa è la nostra responsabilità di uomini, questo è quello che dovremmo tentare di costruire giorno per giorno nella nostra vita: l'abbondanza per noi e per tutti, la gioia, la felicità, la pienezza della vita.
Ideali - dirà qualcuno - sogni, ma sognare è vivere.
Il Signore ci aiuti.
Chi accoglie uno solo di XXV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 23 Settembre 2018
questi bambini nel mio Marco 9,30-37
nome accoglie me…
Domenica scorsa (lo ricorderete) leggevamo nel Vangelo la professione di Fede dei discepoli e la loro scelta di seguire il Signore.
Adesso Marco delinea il cammino dietro Gesù, il cammino della vita cristiana e questo provoca nei suoi discepoli un grande sconcerto.
Lo avete ascoltato già oggi e soprattutto lo ascolteremo nelle Domeniche che seguono. Più volte diranno a Gesù: "Ma non è possibile, quello che ci chiedi è impossibile!"
Qualcuno ha chiamato questa strada che sale verso Gerusalemme: la strada dell'impossibile amore, è la strada della vita cristiana. Una strada che terminerà nell'ingresso di Gerusalemme con il grido del cieco: "Signore fa che io veda". È il grido di ogni cristiano!
Qualche volta penso che Marco abbia scritto queste pagine proprio per consolarci e per dirci: "Guardate i discepoli sono povera gente, a volte non capiscono, a volte sembra troppo difficile il cammino, se anche a voi succede, non vi sgomentate, siamo come loro! L'importante è non perdere la fiducia nel seguire il Signore".
Dove ci vuole condurre Gesù? Vedete, ci vuole portare addirittura a superare le leggi della natura, della vita. La natura, è basata sempre sulla conquista del primo posto, sulla ricerca del proprio interesse, sulla sopraffazione dell'altro.
Questo vale per le piante. Nel bosco ogni pianta cerca di raggiungere il sole e di superare le altre e l'altra, se non ha sufficiente sole, muore. Così nel mondo degli animali: i cervi lottano e il più forte ha diritto ad avere figli, quello sconfitto va via. E il leone che arriva in un branco nuovo uccide i figli del leone precedente perchè vuole i suoi, vuole che solo i suoi figli si affermino. E così nel nido in cui il cuculo ha deposto il suo uovo, il cucciolo che nasce è costruito per buttare fuori tutti gli altri. E nel nido del falco ne nascono due, ma il più grande mangia il più piccolo. È la legge della natura! La legge della difesa di sé, del proprio interesse, dell'essere primi, dell'affermarsi.
Questo è successo tante volte (come sapete) nella storia degli uomini. Pensate ai grandi conquistatori: (che so) a Giulio Cesare, a Gengis Kan, pensate addirittura a Hitler e non soltanto a loro, ma a tanti popoli che applaudivano questa gente e volevano affermarsi sugli altri, essere i primi, conquistare il mondo.
Gesù cerca di rovesciare questa logica, di rovesciarla radicalmente: non è il primo che conta, ma l'ultimo! Non è importante affermare se stessi, ma vivere la gratuità e mette (come avete visto) in mezzo un bambino.
Non pensate tanto ai vostri bambini, guardate ai tanti bambini che qualche volta ci mostrano alla televisione: bambini perseguitati, sfruttati, a volte gli strappano addirittura gli organi, violentati in tanti modi...
Gesù dice: "Lui... lui non può darvi niente, l'amore, l'attenzione che avete per lui, sono gratuiti. Non potete aspettarvi niente, non può restituirvi niente, non può darvi nulla". È la gratuità più totale, è il dono di sé. Quel dono che Gesù manifesterà pienamente sulla cima del Calvario, sulla croce… dalla parte degli ultimi, vittima come l'ultimo dei bambini innocenti.
Quando si parla di servizio sembra sempre che si tratti di sforzo, di sacrificio, di rinuncia a sé in cui non ci sia gioia e piacere.
Avete mai visto una mamma... (molte di voi lo hanno fatto) che allatta un bambino? Non c'è gesto più gratuito, eppure i suoi occhi sono incantati e pieni di gioia. Dà qualche cosa di sé, addirittura qualche cosa del suo corpo. Avete mai incontrato qualche insegnante che è riuscito a comunicare qualche cosa ai suoi ragazzi? È felice! E se ci parlate vi dice che è più quello che ha ricevuto che quello che ha saputo dare. La gratuità, a volte, rende felici!
Mi è capitato più volte di ascoltare persone che erano andate all'ospedale a imboccare una persone anziana, incapace di mangiare, qualcuno che nemmeno conosceva e tornavano a casa, la sera, contente di aver fatto qualcosa, un servizio. Qualche persona che andava ad aiutare un bambino in difficoltà a fare i compiti e la sera si addormentava contenta e poi qualche volta venivano da me e dicevano: "Don Checco, forse l'ho fatto non per lui ma per me, perché mi sono sentito contento".
Vedete, questa è una delle più grandi storture del cristianesimo... pensare che il bene sia sempre e soltanto accompagnato con la sofferenza e il dolore: "Se non ti costa, se non fai uno sforzo, se non provi almeno un po' di dolore non è buono". Ci può essere una stortura più grande?!
Se fai il bene e sei contento, sei arrivato in Paradiso, hai realizzato la pienezza. Dio vuole da noi l'amore, ma anche la felicità. So che il servizio spesso costa sacrificio, a volte pesante... questo è vero, ma credo che tutti noi abbiamo fatto esperienza che quando viviamo la gratuità, quando qualcuno ci ha voluto bene non perché voleva qualche cosa in cambio, ma così gratuitamente... magari in momenti difficili ci è stato vicino quando gli costava un po', abbiamo vissuto la gratuità: e questo ci ha reso felici, ci ha fatto sentire meglio.
Il Signore vuole che noi viviamo la gratuità per vivere la felicità, per stare bene insieme, per essere capaci di condividere la vita: è questo il senso dell'Evangelo.
Qualcuno di voi dirà: "Ma sono sogni !"- lo dicevamo già domenica scorsa - sogni, ma sognare è vivere, senza sogni, senza ideali la vita non è bella e quando riesci a realizzare un po' del tuo sogno allora sperimenti la bellezza della vita e se ti senti contento, ringrazia il Signore e allontana da te il più lontano possibile ogni senso di scrupolo, di colpa: "Ma l'ho avrò fatto soltanto per me?". Lo hai fatto gratuitamente, goditi quel momento di felicità.
Il Signore ci aiuti.
Chi scandalizzerà uno XXVI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 30 Settembre 2018
solo di questi piccoli… Marco 9,38-48
Siamo (penso che lo ricordiate) in cammino dietro Gesù, in quello che Marco cerca di delineare come il cammino della vita cristiana, il cammino dell'amore, della libertà, degli ideali, del sogno. Il sogno più grande per un cristiano è quello di essere come Gesù: Marco ce lo dirà alla fine di questo cammino.
Su questo cammino che qualcuno ha chiamato dell'impossibile amore... oggi (come avete ascoltato) Marco ci mette davanti i rischi che corriamo e lo fa con parole piuttosto dure. Vediamo tre rischi che secondo Marco sono molto gravi.
Il primo: il rischio dell'intolleranza. Avete sentito i discepoli, c'è qualcuno che fa del bene: bisogna impedirlo perché non è dei nostri! Se non è dei nostri non possiede la verità, non sta nel giusto. Gesù li rimprovera. Non si può pretendere di possedere la verità, non si può pretendere di essere nel giusto. C'è tanta gente intorno a noi che qualche volta è migliore di noi, che fa opere buone, che cerca la giustizia e il bene, il rispetto per tutti è la possibilità di condividere il cammino.
Il rischio dell'intolleranza ha attraversato e attraversa le religioni in maniera drammatica, il Vangelo di Marco ha cercato di metterci in guardia.
Il secondo rischio è l'opposto del primo. Il cristiano può sentirsi possessore della verità, chiamato alla santità, ad essere perfetto, ha come modello, e glielo ripropongono continuamente, i santi, coloro che sono capaci di fare opere straordinarie, di andare in giro per il mondo, di convertire la gente, di aiutare... pensate a Teresa di Calcutta (per esempio). Il cristiano può dire: "Ma io... io che faccio!?"
Si rischia di cadere nel sentirsi incapaci, buoni a nulla. Il Vangelo di Marco ci dice: "Ricordati, basta un bicchiere d'acqua dato con buona volontà". Un solo bicchiere d'acqua - questo -lo possiamo dare tutti e questo basta! Non siamo chiamati a fare cose grandi... qualcuno ha questo dono, questa possibilità io certamente no e (non so se posso coinvolgervi) la maggior parte di noi, no. Possiamo fare le piccole cose di ogni giorno, dare qualche bicchier d'acqua a chi ci sta intorno… e questo basta. Non siamo chiamati ad essere degli eroi, dei santi, ma a condividere qualche bicchiere d'acqua con chi vive con noi ogni giorno.
Il terzo rischio... e come avete sentito - secondo Marco - è il più grave, perché usa parole terribili che si trovano solo qui nel Vangelo: mettersi una macina da mulino al collo, tagliarsi la mano, il piede, cavarsi gli occhi... simboli certamente, ma per dirci: "Correte un rischio molto grande: è il rischio dello scandalo!"
"Chi avrà scandalizzato uno solo di questi piccoli è meglio che si metta una macina da mulino al collo e venga buttato nel mare".
Scandalizzare ed essere scandalizzati! Quando il Vangelo parla di scandalo non pensa a qualche centimetro di veste, a un'immagine di donna un po' discinta sulla copertina di una rivista... Lo scandalo - per Marco - è spegnere i sogni, far perdere la fiducia, la fede nel futuro, nei valori, la speranza di un mondo migliore, l'impegno per costruirlo.
Qualche episodio della mia vita forse può aiutarvi a capire quello che voglio dire. Domenica scorsa mi capitava di celebrare il cinquantesimo di un matrimonio che avevo celebrato cinquant'anni fa e ho rivisto amici di quel tempo e ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti: "Stavamo molto peggio di adesso, non c'è confronto, eppure eravamo pieni di speranza, di fiducia".
Il futuro sembrava tutto nelle nostre mani, ci sembrava di poter cambiare il mondo e adesso ci guardiamo intorno e vediamo paura, sfiducia, scoraggiamento. La gente rischia di rinchiudersi nel proprio guscio, rischia la mancanza di speranza nel futuro, la mancanza di impegno, di fiducia.
Sfiducia in chi ci sta accanto, nella scienza, in chi è competente... sfiducia nel futuro: questo è lo scandalo.
Qualche giorno fa mi è capitato di incontrare una mamma che ha due figlioli e dice: "Quando ero giovane non vedevamo l'ora di andare via di casa, adesso non se ne vanno più, hanno paura del domani, del futuro!".
Chi ci ha scandalizzato, chi ha scandalizzato i nostri ragazzi?! Siamo stati noi? Ci dobbiamo mettere una macina da mulino al collo e buttarci nel mare!
Mi capitava questa estate di parlare con una giovane pronipote, un'adolescente e gli ho chiesto: "Secondo te negli ultimi tempi i delitti in questo paese sono aumentati o diminuiti e di quanto?". Mi ha risposto con assoluta sicurezza: "Certo che sono aumentati e di molto!".
Perché pensa così, quando i delitti sono diminuiti e di molto? Perché nel nostro paese il divario tra la realtà reale, quella che si può precisare con i numeri e la realtà percepita, quello che la gente sente, è tra i più alti del mondo: questo è lo scandalo! Chi ci ha scandalizzato? Lo abbiamo fatto un po' anche noi? Perché ci siamo fatti scandalizzare? Che cosa ha permesso che ci scandalizzassimo?
La paura, il rinchiuderci in noi stessi, il difendere quello che abbiamo, la ricchezza che abbiamo conquistato faticosamente? Sarebbe meglio "tagliarsi una mano, un piede, cavarsi un occhio"! Simboli certamente! Vedete quali parole dure usa il Vangelo per dirci: "Guai allo scandalo!".
Perché se perdete la fiducia, il cammino finisce. Quel cammino che abbiamo cominciato dietro il Signore è un cammino che guarda al futuro, che ci fa salire, tentare di essere migliori... si ferma se non c'è speranza, se non c'è futuro, se siamo scandalizzati tutto si spegne e non siamo più credenti, non seguiamo più Gesù.
Vedete cosa ci ha detto questa straordinaria pagina del Vangelo: "Guardate, correte tre rischi. Il primo, di essere intolleranti. Il secondo, di scoraggiarvi perché non siete "santi". Basta un bicchiere d'acqua! E il terzo, il più grave: lo scandalo, il far perdere la fiducia, il perdere la fiducia".
Parole durissime ha rivolto a noi il Vangelo di oggi, ma sono per la nostra salvezza.
Il Signore ci aiuti.
Chi non accoglie il regno di Dio XXVII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 7 Ottobre 2018
come lo accoglie un bambino, Marco 10,2-16
non entrerà in esso
Nel cammino dietro Gesù, che qualcuno ha chiamato: dell'impossibile amore, oggi il Vangelo di Marco ci propone il tema dell'amore nella vita di coppia. E ce lo propone con una disputa tra Gesù e i farisei.
I farisei chiedono a Gesù: "È lecito ripudiare la moglie?" L'antica legge e tutta la tradizione dicono che è lecito! Qui ci troviamo di fronte a una tradizione che si è imposta ormai da lungo tempo, una tradizione assolutamente maschilista.
Una donna dipende totalmente prima dal padre che la sposa a chi vuole, poi totalmente dal marito il quale può ripudiarla… e al tempo di Gesù discutevano se potesse ripudiarla per un motivo banale come una minestra bruciata.
Gesù... e qui guardate che c'è qualche cosa di importante per noi e anche per l'interpretazione del Vangelo... Gesù rifiuta la Legge. Forse non ci sorprende, ma è come se io dicessi stamattina: "Guardate il Vangelo non conta niente, bisogna cambiarlo".
Gesù rifiuta la Legge di Mosè. Rifiuta quello che per gli Ebrei è il fondamento della loro fede. Rifiuta insieme alla Legge la mentalità della sopraffazione dell'uomo sulla donna, per riproporne l'antico sogno dell'inizio della creazione, il sogno forse più grande dell'umanità: il sogno di un amore libero, stabile, fedele... di un amore in cui la coppia diventi una "cosa sola".
Chi come me ha avuto la fortuna di conoscere nella vita tante coppie, ormai anziane con gli occhi appannati dalla cateratta, che pure si guardavano con occhi ancora incantati, innamorati e si capivano con un cenno. Avevano passato insieme la vita tra difficoltà, problemi e anche litigi, turbamenti, eppure erano rimasti fedeli e il loro amore invece che diminuire era cresciuto. Era diventato più tenero, più attento, sempre più profondo e più vivo.
Chi ha visto questo non può che riproporre - e sarebbe bene che tutti noi lo facessimo - anche ai nostri ragazzi, l'ideale, il sogno di un amore fedele e totale. Il sogno di diventare con l'altra persona veramente "una cosa sola".
Ma... se il sogno diventa legge si cade nel rifiuto assoluto del divorzio e in quella cosa ridicola e disgustosa che sono i tribunali per la dichiarazione di nullità di un matrimonio.
La legge non può impedire a un matrimonio di fallire e tanto meno a chi non ha potuto realizzare il suo ideale di ricominciare daccapo da un'altra parte. Se l'ideale del matrimonio diventa regola ricadiamo nella legge, nelle regole che impediscono all'uomo di essere libero, di perseguire il sogno di un amore stabile, fedele.
Oggi sappiamo che questo amore può essere anche tra un uomo e un uomo, tra una donna e una donna. Ne ho conosciuti... ed è un amore tenero, affettuoso, pieno, ricco... tutto questo va aldilà delle regole, ma è rispettoso dell'uomo.
Questo ci dice Gesù... sognate, sognate l'amore, fate di tutto per realizzare questo sogno, ma ricordatevi sempre di rispettare, anzi, di avere maggiore attenzione per chi questo sogno lo ha fallito, per chi non ci è riuscito… per quali motivi...? Io ho una lunga esperienza, ma non ho mai capito perché un matrimonio fallisca! A volte è cominciato male... ci son tante storie ognuna diversa dall'altra.
Riproporre - quindi - il sogno, l'ideale, nel rispetto più totale di chi questo sogno non riesce a realizzare, è il compito - credo - di ogni cristiano, di ogni Chiesa.
Ma... io vorrei oggi fermare la vostra attenzione sull'ultima parte che abbiamo letto. Se guardate il vostro foglietto c'è una forma breve, gli "sciagurati" che hanno scelto questa pagina del Vangelo, dicono che l'ultimo pezzo si può non leggere... eppure (se ho capito qualcosa) l'ultimo "raccontino" è il cuore stesso di questo viaggio dell'impossibile amore.
A prima vista sembra un racconto semplice semplice: a Gesù presentano dei bambini, i discepoli vogliono allontanarli e Gesù dice: "No, lasciate che i bambini vengano a me". E poi due frasi fondamentali: "A chi è come loro appartiene il Regno di Dio, in verità vi dico: chi non accoglie il Regno di Dio come lo accoglie un bambino non entrerà in esso".
Dobbiamo diventare "bambini", tutti, se vogliamo entrare nel Regno di Dio.
Chi è un bambino? Non pensate all'ingenuità dell'infanzia. Guardate bene un bambino, un bambino non sa, deve scoprire il mondo. Lo scopre toccando, succhiando, ascoltando. Per lui la vita è tutta una scoperta. Noi - a volte - pretendiamo di sapere. A volte pensiamo di avere verità assolute, principi irrinunciabili. Ci stanchiamo di cercare, di guardare aldilà di quello che pensiamo di sapere, non cerchiamo più: bisogna diventare bambini!
Di più... il bambino non ha passato, ha solo futuro. Anche a ottant'anni si può avere futuro: è questo diventare bambini! Dove mi chiama il Signore, come posso guardare avanti? Non posso diventare un lodatore del tempo che fu, debbo essere uno che cerca di aiutare specialmente i giovani a guardare avanti, a costruire il futuro.
Di più... il bambino è uno che non ha fatto niente, non può accampare meriti, diritti: "Io ho fatto, sono bravo, più di altri che non hanno fatto". Il bambino riceve tutto come dono. Riceve la vita come un dono, riceve il papà e la mamma come un dono, non li ha fatti lui, non ha fatto niente. Riceve il latte della mamma, riceve gli amici, la gente e poi il mondo, il cielo, gli alberi, le stelle, il mare: tutto è dono. Dobbiamo diventare "bambini"! Tutto è dono anche per noi!
Di più... il bambino non ha potere, diventare bambini significa rinunciare al potere sugli uomini e sulle cose… il potere può essere solo servizio come vedremo nelle pagine seguenti.
Ecco il senso di questa straordinaria pagina del Vangelo che - a mio avviso - è il cuore di questo viaggio. Occorre diventare bambini, rinunciare a possedere la verità che va sempre cercata, inseguita, è bello vivere la vita come un dono, cercare il futuro, vivere il servizio. Se non si vive di speranza non si può seguire il Signore passo passo sulla via dell'amore.
Il Signore ci aiuti.
"Una cosa sola ti manca: XXVIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 14 Ottobre 2018
va', vendi quello che hai Marco 10, 17-30
e dallo ai poveri"
Ancora un passo sulla via che Marco ci propone per seguire Gesù, una strada che qualcuno ha chiamato "dell'impossibile amore" ed oggi capiamo perché, Gesù dice: "Impossibile agli uomini ma non a Dio!"
Questa volta si parla di denaro, ma non solo, Marco fa incontrare Gesù con un signore probabilmente ormai anziano, perché parla di una gioventù ormai lontana, che gli chiede: "Cosa devo fare per avere la vita eterna?". Questa è la sua logica: per tutta la vita ha cercato di "fare" per "avere", per accumulare denaro e ci è riuscito perché "possiede molti beni", ha anche osservato scrupolosamente tutta la legge per guadagnare la vita eterna, ora chiede se deve "fare" ancora qualche cosa per "avere".
Gesù rovescia la sua logica non "fare per avere", ma "donare per essere". Quest'uomo deve scoprire la gratuità e il dono, la capacità di condividere la vita, soltanto così potrà "essere" discepolo di Gesù, di più soltanto così potrà diventare un uomo capace di amare veramente.
La ricerca del denaro, il desiderio di "avere" sempre di più, che impedisce di essere capaci di gratuita e di amore, ha sempre attraversato la storia dell'umanità. Molti popoli, molti conquistatori si sono sforzati di avere sempre di più: terre, oro, ricchezze, potere, come se la grandezza e la dignità di una nazione, di un uomo dipendessero dall'avere e dall'avere sempre di più.
Questo ha portato guerre, distruzioni, dolore, sofferenza. Se l'uomo mette al centro la volontà di possedere sempre di più la vita si sciupa, si corrompe.
Questo non vale soltanto per la grande storia del mondo ma anche per le piccole storie di ciascuno di noi: ho incontrato tante volte dei fratelli che hanno litigato per una piccola eredità ricevuta o da ricevere e non riuscivano a mettersi d'accordo, attaccati alla volontà di possedere, di avere magari una piccola cosa, volevano che non fosse del fratello e si creavano liti che duravano anni e anni e che a volte non si potevano sanare.
Se volete qualche cosa di più banale: si diffonde sempre di più nel mondo di oggi la ricerca di "avere" attraverso il gioco d'azzardo, le macchinette mangia soldi, il lotto, le lotterie, e quant'altro, che promettono di avere denaro e qualcuno arriva addirittura a rovinare la propria famiglia per il desiderio di denaro.
Ecco, secondo Gesù mettere al centro della propria ricerca il denaro, il desiderio di avere sempre di più, corrompe la vita dell'uomo, quello che è importante non è "avere", ma vivere la gratuità, "essere" capaci di donare, di condividere la vita, di amare veramente.
Un'ultima cosa vorrei aggiungere: ancora una volta gli "sciagurati" che preparano il Vangelo da leggere la Domenica permettono di saltare l'ultima parte, quella in cui Pietro chiede a Gesù: "Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito". Ecco secondo voi che cosa risponderebbe Gesù a questa domanda secondo molti cristiani? Probabilmente direbbero che non importa se ci manca qualcosa perché avremo poi un premio in paradiso, non importa se in questa vita si soffre, se si è poveri: non bisogna cercare di arricchirsi, non si deve cercare di avere niente nella vita perché tanto avremo tutto nell'altra, avremo dal Signore il premio, la ricompensa di tutte le nostre sofferenze, di tutte le nostre rinunce.
Ancora sarebbe la logica del ricco: "fare", soffrire, per "avere". Manca il senso della gratuità, del dono.
Il messaggio che Gesù propone a Pietro non è quello della povertà a lui che ha rinunciato dice che avrà cento volte tanto, se ha rinunciato a un campo o a una casa ne avrà cento, simboli certamente, e tutto questo non nell'altra, ma in questa vita.
L'ideale del Vangelo non è la povertà, la rinuncia ma l'abbondanza, la ricchezza. Una ricchezza che si basa sulla condivisione, occorre non pensare solo ad accumulare ricchezza, a ricercare il successo, ma essere capaci di donare.
Pensate come sarebbe oggi più bella, più ricca la vita dell'uomo se nel corso della storia gli uomini avessero saputo rinunciare all'accumulo della ricchezza, del potere, quante guerre sarebbero state evitate, quanto dolore, quanta sofferenza e oggi ci sarebbe da mangiare per tutti.
Si sprecano tanti soldi per le armi, per preparare le guerre, sempre perché si mette al centro il potere, il dominio: ci sarebbe da mangiare per tutti, non ci sarebbe fame nel mondo, ci sarebbe abbondanza: è questo il sogno del Vangelo.
Gesù ci invita a sognare: quello che è importante non è "fare per avere" ma "donare per essere", quello che è importante è la gratuità, la capacità di condividere, questo non ci fa più poveri ma più ricchi, capaci di vivere la vita come un dono, già in questa vita e poi nell'altra una vita nuova che non possiamo guadagnarci con le nostre opere, perché è un dono assoluto che viene dall'alto, il dono di Dio.
Il Signore ci aiuti.
"Anche il Figlio dell'uomo non è XXIX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 21 Ottobre 2018
venuto per essere servito, ma per Marco 10,35-45
servire e dare la propria vita…"
Il lungo cammino che abbiamo fatto nelle Domeniche precedenti, tentando di seguire il Signore secondo il Vangelo di Marco, oggi arriva alla sua conclusione. Siamo come saliti su una montagna, ma una montagna che non ha cima, perché (come avete ascoltato) alla fine il Vangelo ci propone di essere come Gesù e - questo - non è possibile!
E allora significa che quello che è importante non è arrivare, ma camminare passo dopo passo per tentare di essere come Lui, capaci di condividere la vita e di donare noi stessi.
Prima di andare avanti occorre (secondo me) togliere di mezzo un equivoco che potrebbe pesare su questa pagina del Vangelo.
Essere "primi" è il compito di ogni cristiano. Ogni medico deve cercare di essere il primo dei medici, il più bravo di tutti, sforzarsi di mettere a disposizione degli altri tutte le sue capacità. Questo vale per un maestro, che deve cercare di essere il migliore dei maestri, il primo. Anche un pittore deve cercare di essere il primo dei pittori. Così un impiegato deve cercare di essere il primo e anche, se può, fare carriera, cercando di mettere le sue capacità a disposizione degli altri.
Quando eravamo ragazzi... (forse qualcuno di voi che ha i capelli bianchi lo ricorderà) aspiranti nell'Azione Cattolica il nostro motto era: "Primi in tutto per onore di Cristo Re". Quindi ci proponevano non di essere gli ultimi, come sembra dire il Vangelo di oggi, ma i primi.
Qui non si parla di mettere in comune tutto quello che possiamo per essere i migliori di tutti. Qui si tratta di potere, di potere dell'uomo sull'uomo. "I governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono, per voi non é così…" non cercate il potere, la sopraffazione dell'uomo sull'uomo. Non cercate di dominare chi vi sta accanto.
Questo - badate bene - (se ho capito qualche cosa) non vale soltanto per la grande storia del mondo, per i capi della politica... vale per ciascuno di noi.
L'uomo, il "maschio" cerca a volte di avere potere sulla donna, il marito sulla moglie e questo porta qualche volta a quello che leggiamo sui giornali, al "femminicidio": "Tu sei mia, non ti posso perdere, se devo perderti ti uccido". È certamente la punta dell'iceberg, casi eccezionali, ma la volontà di dominare sull'altro, di avere potere sull'altra persona, l'incapacità di amare come condivisione della vita, mettere insieme quello che si è, come servizio dell'uno all'altro... a volte è difficile anche in famiglia.
Non soltanto tra marito e moglie, ma anche tra genitori e figli. A volte genitori esercitano o tentano di esercitare il potere sui figli. Li sentono come un loro possesso, devono essere come loro li vogliono, qualche volta in maniera ridicola come succede in certe squadre di pallone di ragazzi... Una volta un allenatore di calcio di squadre giovanili diceva: "Sogno di allenare una squadra di orfani, così non ho da combattere con i genitori".
Una ragazza mi diceva qualche tempo fa: "Mia mamma ha la sindrome dell'onnipotenza", la sorella diceva: "No, non è sindrome, è delirio di onnipotenza". Il potere dei genitori sui figli può essere, a volte, molto pericoloso!
Per tutta la vita ho ringraziato la provvidenza di avere avuto un padre e una madre normali, che non mi imponevano la loro figura perché è pericoloso avere una madre e un padre troppo grandi, importanti. Mi capitava di leggere qualche tempo fa la storia di Gandhi, certamente uno dei personaggi più importanti e anche più belli della storia dell'umanità... eppure ha rovinato la vita dei figli, forse proprio per proporre loro la sua immagine, per chiedere quello che loro non potevano dargli, oppure per impedire di fare quello che loro volevano fare.
Ma c'è anche un potere dei figli sui genitori che in questi tempi che viviamo rischia di essere ancora più forte di quello dei genitori sui figli. C'è un potere degli insegnanti sugli alunni e potremmo andare avanti...
Quello che Gesù ci propone non è il potere, ma il dono di sé, di quello che abbiamo, di quello che possiamo e ci propone (come vi dicevo) alla fine di essere come Lui "che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la propria vita".
La parola "servizio" a qualcuno non piace, ma come vedete il Vangelo la usa sempre, specialmente in quello di Marco... cambiatela! Usate condividere la vita, donare se stessi... anche qui abbiamo sentito parlare di Gesù che dona la propria vita fino in fondo.
Anche noi siamo chiamati a donare la vita, fra di noi, a chi ci sta vicino, il marito alla moglie, i genitori ai figli, i figli ai genitori, a condividere quello che abbiamo, tentando di essere a disposizione degli altri come possiamo, con tutte le nostre forze, pur rimanendo noi stessi, con tutta la nostra libertà e la nostra dignità di uomini.
A volte è difficile, a volte quasi impossibile, ma lo abbiamo detto fin dal principio... questo è un cammino impossibile. Ci dice: "Dovete essere come Gesù" e allora tutti noi abbiamo il diritto di dire: "Per noi è impossibile, quello che ci chiedi non si può fare, come Te non possiamo essere".
Questo significa una cosa estremamente importante. Non è importante arrivare primi. Non c'è chi arriva primo e chi secondo. L'importante è camminare e quando non ci si riesce, si mette il ginocchio per terra, ci si rialza e si cammina ancora cercando di vivere la gratuità, il dono di quello che abbiamo, di essere come possiamo a disposizione degli altri, nella semplicità della vita di ogni giorno.
Il Signore ci aiuti.
Gesù disse: "Che vuoi che io XXX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 28 Ottobre 2018
ti faccia?" E il cieco: "Rabbunì, Marco 10,46-52
che io veda di nuovo"
La strada che abbiamo cominciato ormai parecchie Domeniche fa, che qualcuno ha chiamato la strada dell'impossibile amore… come avete ascoltato non è finita.
A questo punto della strada c'è un cieco, che grida il suo bisogno di luce, di salvezza, ha bisogno di trovare il coraggio di alzarsi, buttare via il suo mantello e seguire Gesù "lungo la strada". Possiamo far nostro il suo grido, perché in questa strada ci siamo resi conto che Gesù ci chiamava ad essere come Lui, a vivere una vita fatta di servizio, di dono, di gratuità, di amore… e non possiamo non sentirci povera gente, incapaci di amare fino in fondo.
Abbiamo anche noi bisogno di dire: "Signore, fa che io veda di nuovo". Il grido del cieco può essere il nostro grido!
Avete ascoltato... il cieco grida là seduto. Gesù non si avvicina, dice: "Chiamatelo!" e il cieco deve alzarsi... è la prima volta che un cieco nel Vangelo deve alzarsi, fare strada, deve cercare Gesù, andare da Lui. Si alza, anzi balza in piedi - dice Marco - e butta via il suo mantello: ecco, è questa la condizione essenziale: buttare via il "mantello", tutte le sovrastrutture che questo povero cieco ha costruito nella sua vita.
Le abbiamo ascoltate nelle Domeniche precedenti: il primato del denaro, del successo, del potere, il pensare di sapere tutto, il sentirsi giusti, migliori degli altri, tutto questo il "cieco" deve buttare dietro le spalle.
Se vuole riprendere la strada deve diventare un uomo nuovo, deve cominciare a "vedere" di nuovo. Non è cieco dalla nascita - come i tanti ciechi che trovate nel Vangelo - questo è uno che vedeva e quindi probabilmente chiede a Gesù che gli ridia gli occhi incantati del "bambino".
Il "bambino" - lo abbiamo ascoltato - è al centro di questo nostro viaggio. Il bambino è colui che non ha potere. Il bambino non ha ancora accumulato denaro, non ha fatto niente perché possa sentirsi giusto e migliore degli altri. Il bambino è uno che vive tutto come un dono.
Gesù ce lo ha detto: "Se non diventate bambini non entrerete nel Regno dei cieli". Questo "cieco" ha bisogno di ritrovare lo sguardo incantato del bambino. Ha bisogno di riscoprire quello che è essenziale nella vita, aldilà del desiderio di potere, di voler essere sopra gli altri, di voler essere il "primo", capace di dominare sugli altri.
Ha bisogno di rinunciare alla sua volontà di potenza, al suo sentirsi giusto e migliore degli altri come un bambino che vive il futuro, che è aperto alla ricerca, che sa di non possedere la verità, ma di doverla sempre inseguire: ecco perché anche noi possiamo far nostro il grido del cieco: "Signore fa che io veda di nuovo, dà anche a me lo sguardo incantato del bambino. Togli le sovrastrutture che la vita ci mette addosso per ritrovare il senso della gratuità, della vita come un dono. La vita che è condivisione, è amore, è servizio gli uni verso gli altri".
È importante il grido del cieco anche perché da Gerico comincia la lenta salita verso Gerusalemme e anche noi siamo invitati a seguire Gesù su quella strada, la strada che arriva al Calvario, in cui Gesù dona Se Stesso, lo fa nell'Ultima Cena e poi sulla Croce: l'amore totale è quell'amore che siamo invitati a seguire, a volte non ci sarà facile perché in quell'amore non si manifesta la potenza, ma l'impotenza di Dio.
È un amore impotente che dona Se Stesso, che non cambia le sorti del mondo, ma che cerca di vivere ogni giorno la gratuità e il dono di Sè: è questo il gesto di Gesù che può ridarci la vita: "La tua fede ti ha salvato". Fede è questo: è speranza, è futuro, è ricerca di Gesù, della sua luce. La luce come può avere un bambino.
Il Signore ci aiuti.
"Amerai il Signore tuo Dio... XXXI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 4 Novembre 2018
Amerai il tuo prossimo come Marco 12,28b-34
te stesso"
"Ama il tuo Dio, ama il tuo prossimo"… un'obiezione che mi sono sentito rivolgere tante volte: "Come si può comandare di amare? O uno sente dentro di sé l'amore o non lo sente!".
Come si può sentire l'amore per Dio? Dietro queste domande (secondo me) c'è un grosso equivoco... quello di scambiare l'amore con il sentimento dell'amore.
Quando si è giovani ci si innamora e tutto il nostro sentimento è aperto verso l'altro, ma è quello l'amore? L'amore si costruisce giorno per giorno. È fatto di cose concrete, di gesti, di vita condivisa, di servizio dell'uno verso l'altro, di cammino fatto insieme, di mano che si mette sulla spalla, di tante cose fatte insieme e cercate insieme. L'amore è fatto di sentimenti e di cose concrete.
C'è un'altra obiezione che mi sono sentito fare tante volte: "Amare Dio sopra ogni cosa, cosa significa?" Cosa significa amare Dio? Forse moltiplicare le preghiere, i sacrifici, le offerte...? Ma avete ascoltato che già l'antico rabbino sa dire a Gesù che l'amore vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici.
Allora, se amare Dio non è pregare, offrire, sacrificarsi, che cosa è? Se ho capito qualche cosa, amare Dio è l'Oltre, il riferimento alto dell'amore concreto che possiamo realizzare soltanto qui nella nostra vita.
Ogni credente e anche ogni non credente deve avere qualche cosa di superiore a cui riferirsi quando vuol chiedersi: "Cosa significa veramente amare?".
Facciamo degli esempi... (voi potete moltiplicarli e farne tanti altri)
Per amare gli altri bisogna prima amare se stessi e qualche volta ce ne dimentichiamo. Amare se stessi è una cosa seria. Non significa fare le cose che più mi fanno comodo. Non significa rinchiudersi nel proprio guscio, farsi i fatti propri e dimenticarsi degli altri.
Amare se stessi significa cercare giorno per giorno la libertà, i valori essenziali. Amare se stessi significa sforzarsi di cercare di avere una cultura, di pensare, di capire come è fatto il mondo senza farsi prendere dalla pigrizia: tutto questo e molto di più è amare se stessi.
Amare se stessi è anche custodire il proprio corpo…. è anche rinunciare a fumare, a mangiare troppo, tutto quello che ci toglie la salute, il benessere.
Per amare noi stessi, qualche volta dobbiamo metterci, di fronte a Dio, di fronte a un Oltre e chiederci: "Cosa significa veramente amare? Come posso amare veramente me stesso? Come posso essere un uomo libero che cerca la verità, la luce, l'amore, la giustizia, il bene?".
Amare il mio prossimo… Cosa significa per un papà e per una mamma amare un figlio? Significa forse volerlo a propria immagine, possederlo, sentirlo come una cosa propria, da difendere a tutti i costi?
Ne vedete qualche volta le conseguenze sui giornali o sulla televisione... (anche in questi giorni) genitori che vanno a picchiare gli insegnanti. Quando si cerca di "possedere" il figlio si rischia di non renderlo libero, di non farlo essere se stesso, di non far sì che si senta veramente rispettato per quello che è e nei suoi rapporti con gli altri.
Amare è fatto di rispetto, di cercare con coraggio, mettendosi magari di fronte a Dio: "Chi è questo figlio, cosa vuole, cosa si porta dentro aldilà di quello che io penso, aldilà di come io amo me stesso?" Lui vuole essere amato per quello che è!
Andiamo avanti con un altro esempio. Amarsi marito, moglie: cosa significa? Possedersi? E anche qui vediamo qualche volta le conseguenze nel "femminicidio". Amare significa volere l'altro come lo voglio io? Amare significa sopportare tutto? Amare significa accettare senza mettersi in un cammino che è un confronto, a volte duro per cercare di capirsi, di condividere?
Ecco, un credente, ma un uomo dovrebbe sempre mettersi di fronte ad un Oltre: "Ma io amo veramente?"
Quello che vale per i figli, marito moglie vale anche per gli amici, per un insegnante nei confronti dei suoi alunni, per un medico nei confronti dei suoi pazienti, per lo spazzino che pulisce le strade... come posso mettere amore in quello che faccio? Come posso essere onesto, come posso fare il meglio? Cosa vuole Dio da me?
Ecco la preghiera che siamo invitati a fare ogni giorno: "Padre, sia fatta la tua volontà. Cosa vuoi da me? Cosa significa veramente amare? Cosa significa amare me stesso? Cosa significa amare gli altri?".
Potete fare altri esempi, andare aldilà del rapporto tra genitori, figli, alunni...: amare la società cosa significa? Noi cristiani dobbiamo spesso (e forse più spesso di altri) interrogarci su questo, perchè siamo stati educati a farci i fatti nostri, a preoccuparci di guadagnarci il Paradiso, acquistare meriti e ci dimentichiamo della società, del bene comune.
Siamo abituati... (eravamo abituati) ad andarci a confessare e dire magari: "Non ho pagato le tasse" e poi continuare a non pagarle. Prendersi cura del bene comune significa domandarsi: "Cosa posso fare, io? Qual è il mio compito perché la società sia più giusta?".
Amare il creato, il mondo che ci sta intorno, specialmente dopo questi ultimi giorni in cui abbiamo visto terribili disastri... dovremmo sentire il compito di amare il creato che non possiamo usare a nostro uso e consumo, dobbiamo prendercene cura, anche nei piccoli gesti di ogni giorno, cercando di risparmiare, di custodire, cercando di non riempirlo di plastica, di non riscaldarlo troppo... insomma sapete meglio di me quello che significa amare questo mondo.
Ecco - vedete - l'amore è qualche cosa di concreto, di pratico, qualche cosa in cui... - ecco che cosa c'entra l'amore di Dio - costantemente dobbiamo cercare un Oltre, mettere in questione il nostro amore di ogni giorno e chiederci: "Amo veramente? È questo quello che veramente significa amare mio figlio, mia moglie, il mio prossimo, i miei alunni, il mondo che mi sta intorno?"
È una domanda che dovrebbe accompagnare la vita del cristiano senza ansia, senza sensi di colpa, è chiaro! ma con coraggio perché questo significa amare.
Un'ultima piccola annotazione. Avrete ascoltato che alla fine Gesù dice allo scriba, che gli dice: "Hai risposto bene" "Tu non sei lontano dal Regno di Dio" Se lo scriba è d'accordo perché "non è lontano" cosa gli manca? Ecco, gli manca di mettersi dietro Gesù e diventare suo discepolo.
La strada che noi abbiamo per imparare ad amare è quella di seguire Gesù: per questo è venuto in mezzo a noi, per darci esempio, per camminarci davanti, per invitarci a seguirlo. Con Lui forse possiamo scoprire la misericordia, la tenerezza, il servizio dell'uno verso l'altro, il cammino fatto insieme, il pane condiviso, la vita moltiplicata.
Il Signore ci aiuti.
"Questa vedova, così, XXXII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 11 Novembre 2018
povera ha gettato nel Marco 12,38-44
tesoro più di tutti gli altri"
Il Vangelo di Marco ci saluta con questa piccola, meravigliosa, straordinaria storia che, in pratica, conclude il suo Vangelo.
Domenica prossima daremo uno sguardo sugli ultimi tempi e sarà problematico.
Fermiamoci un momento e con gli occhi della fantasia cercate di guardare questa vedova. Immaginatela come volete piccola, tutta vestita di nero, curvata dagli anni... gli rimangono soltanto due monete, eppure le getta senza pensarci nel tesoro del tempio: è un simbolo indubbiamente, simbolo della vita, simbolo dello sguardo di Dio sulla storia degli uomini: quello che conta per Lui è l'amore. Ce lo diceva Domenica scorsa il Vangelo: "Ama il Signore tuo Dio con tutto il cuore, ama il prossimo tuo come te stesso"
Amare, cosa significa? Fare imprese grandi, gloriose... no! L'amore è qualche cosa che viene da dentro e si manifesta anche in piccoli gesti, semplici della vita di ogni giorno.
Nella storia degli uomini ci sono stati grandi personaggi: coloro che hanno fatto invenzioni straordinarie, pittori che hanno dipinto quadri stupendi, autori che hanno scritto libri preziosissimi... tutte cose importantissime per la storia degli uomini, ma se guardate il mondo con gli occhi di Dio, allora vedrete tanti piccoli gesti, quotidiani che non erano ricchi di cose materiali, ma soltanto di amore, di gratuità, il dono dato con totale disponibilità.
Quello che conta è l'amore, l'amore che ciascuno di noi può avere dentro, l'amore che non si esprime in gesti straordinari e gloriosi, ma nei piccoli gesti di ogni giorno.
Se posso raccontarvi un po' della mia lunga esperienza... fin da quando ero un giovane prete, appena ordinato, (parlo di quasi sessant'anni fa) ho avuto la fortuna di incontrare alcune di queste "vedove". Dicevo la Messa alle sette e mezza del mattino e c'erano quasi esclusivamente persone anziane che dovevano fare in fretta perché dovevano andare a preparare la colazione per i nipoti e per i figli... in loro ho trovato tanta tenerezza, tanta capacità di amare, tanta delicatezza nel rapporto umano, come difficilmente si trova in chi ha da correre per vivere con affanno la vita di tutti i giorni.
Le ho sempre incontrate nel cammino della mia esperienza sacerdotale queste "vedove", queste persone anziane spesso ricche di umorismo che sapevano guardare la vita dall'alto e sapevano donare quello che avevano senza pensarci, una cosa spontanea che gli veniva dal cuore.
Si vedeva che avevano saputo amare tutta la vita. Nessuna di loro sarà ricordata sui libri di storia, non ho conosciuto nessuna persona importante, ma credo che agli occhi di Dio queste persone contano come il più grande scienziato, come l'uomo che ha fatto le cose più straordinarie, quello che è andato sulla luna.
Conta il gesto quotidiano e soprattutto conta l'amore che metti dentro questo gesto.
Se posso dirvi qualche cosa di personale. Questa pagina del Vangelo è stata preziosa per me fin da quando ero ragazzo, perché non mi sono mai sentito uno capace di gettare nel tesoro della vita grandi cose. Sapevo di essere un pover'uomo, di avere poco da donare, né straordinaria intelligenza, né grandi capacità di comunicazione, eppure... qui ho scoperto che tutto questo agli occhi di Dio non era fondamentale.
Quello che era fondamentale è che io vivessi meglio che potevo la gratuità, il dono di me, il piccolo gesto, la mano tesa, un sorriso condiviso con le persone che mi stavano accanto, il condividere con loro qualche riflessione, qualche piccolo pensiero che ti veniva in mente, il camminare con loro, il condividere le esperienze quotidiane: tutto questo agli occhi di Dio è prezioso.
In un'altra pagina il Vangelo dice che basta un "bicchiere d'acqua". Io nella vita - ho qualche testimone - ho saputo dare soltanto dei bicchieri d'acqua e credo che questo - ce lo garantisce Gesù - sia prezioso agli occhi di Dio.
Non importa essere eroi, non importa fare cose straordinarie, quello che conta è amare!
Amare significa donare se stessi, aprire il proprio cuore con tenerezza, con generosità e l'amore si manifesta anche nelle piccole cose: raccontare una barzelletta ad un amico per farlo sorridere, accarezzare una persona malata a cui non puoi far niente perché non sei un medico, ma soltanto una carezza, è più preziosa quella della grande scienza medica che qualche luminare può donare, almeno agli occhi di Dio.
Questa pagina del Vangelo - se posso darvi un consiglio - conservatela nel cuore. Ogni tanto ripensate a questa povera "vedova". Immaginatela piccola, curva, minuta, vestita di nero che ha soltanto due monete e ditevi: "Quello che conta è amare, quello che conta è donare quello che abbiamo piccolo, grande, tanto, poco... a Dio non importa. Importa la gratuità, il dono di sé, la condivisione della vita con chi ci sta accanto".
Il Signore ci aiuti.
Il cielo e la terra XXXIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO -18 Novembre 2018
passeranno ma le mie Marco 13,24-32
parole non passeranno
Potremmo intitolare questa pagina del Vangelo: la speranza e l'impazienza.
La speranza - vedete - è il fondamento stesso della fede ebraica e dovrebbe essere anche il fondamento della nostra fede. Senza speranza la fede non c'è più.
Gli antichi ebrei avevano messo nel cuore della loro fede l'Esodo, l'uscita dall'Egitto, il cammino verso la terra promessa. Dietro le spalle c'è la negatività, il male, la schiavitù, l'oppressione, l'ingiustizia... davanti, la terra dove scorre il latte e il miele: la terra della giustizia, la terra della pace - come dicono loro - dello Shalom, la pienezza della vita… e verso questa terra l'uomo deve camminare.
Dio ha promesso di camminare insieme al Suo popolo, di spingerlo in avanti. Ogni volta che il popolo è tentato di tornare indietro, Dio lo spinge a camminare ancora, a conquistare questa terra nuova, dove finalmente splenderà la giustizia.
Questo fa parte del cuore stesso della fede di Israele a cui non potrà mai rinunciare, ma a un certo punto del cammino - come avete ascoltato dal libro del profeta Daniele - si comincia a diffondere tra il popolo di Israele l'idea che questa speranza non si può realizzare sulla terra così com'è. Noi non ce la facciamo. C'è bisogno che Dio intervenga con potenza, con il fuoco a distruggere tutto il male che c'è sulla terra e a far finalmente risplendere i giusti come le stelle del cielo.
Questa mentalità di una catastrofe finale la ritrovate anche nel Vangelo di oggi. Avete visto: "il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo, le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte". Questo mondo deve finire, non ne possiamo più, è insopportabile!
Ma non può venir meno la speranza che a questo punto - per i primi cristiani - ha un nome concreto: Gesù di Nazareth. Lui - come avete ascoltato - ha detto Parole che non muoiono. Queste Parole devono diventare vive nella nostra vita, ma adesso aspettiamo che venga Lui. Lo hanno identificato con il Figlio dell'uomo, personaggio mitico di cui parla Daniele. Lui, morto e risorto, deve tornare e tornare presto... perché noi non ne possiamo più! Abbiamo perso la fiducia di poter costruire un mondo migliore. Aspettiamo che venga qualche cosa di straordinario, di glorioso.
E questo evento straordinario i primi cristiani lo vedono imminente: lo avete ascoltato anche nel Vangelo di oggi: "non passerà questa generazione…". Noi lo sappiamo con certezza dalle Lettere dell'apostolo Paolo: scrive che è convinto di non morire. Prima della sua morte arriverà finalmente il Signore glorioso a fare giustizia sulla terra, a distruggere questo mondo a fare un mondo radicalmente nuovo: la suprema speranza del credente.
Ma poi Paolo muore e non accade niente! Muoiono anche gli altri apostoli e questa venuta del Signore sembra non realizzarsi. Allora cominciano a guardarsi intorno e usano - come avete ascoltato parole forti: "Quando verrà quel giorno nessuno lo sa, né gli angeli del cielo e nemmeno il Figlio". Non lo sa nemmeno Gesù: tutto è nelle mani del Padre.
Cominciano a rendersi conto che forse non hanno capito, che si sono lasciati prendere dall'impazienza di veder realizzare subito quello che Gesù ha promesso, cominciano pian piano a intuire che è compito di ciascun cristiano realizzare il mondo nuovo.
Non ci si può aspettare il prodigio che risolve i problemi, il Signore che viene e cambia le sorti del mondo. Ogni credente deve vivere la speranza e viverla in modo concreto, facendo quello che può nel concreto dei suoi giorni, nella vita famiglia, nella vita sociale e cercare di portare nella vita di ogni giorno la ricchezza della Parola di Gesù senza aspettare il prodigio, il miracolo, la persona straordinaria, Colui che risolve i problemi del mondo.
Vedete, da questo dovrebbe anche venire una lezione per i cristiani, che come tutte le lezioni della storia spesso siamo incapaci di ascoltare.
Gli uomini hanno spesso affidato il futuro a qualche personaggio straordinario. Pensate al passato, all'uomo potente, che risolve tutto: "Fidatevi di me, sono io, sono io la Germania, sono io l'Italia, sono io che vi risolvo tutti i problemi facilmente, basta che vi fidiate di me, basta che vi affidiate a me".
È sempre l'impazienza che pensa che i problemi si risolvano affidandosi a qualcun' altro, rinunciando alla propria capacità, alla propria dignità di costruire il mondo: questo - se posso dirlo sottovoce - secondo me vale anche in questo momento per noi in Italia. Si addensano - a mio avviso - dense nubi sul futuro del nostro paese. Troppa gente, anche troppi cristiani cominciano a credere stupidamente nell'uomo della "provvidenza", come Pio undicesimo aveva chiamato Mussolini.
Non esistono uomini della "provvidenza". Il Regno di Dio non viene in maniera straordinaria il Vangelo di Luca dice: "Il regno di Dio è già in mezzo a voi".
Giorno per giorno è affidato a ciascuno di noi. Non possiamo perdere la speranza. Se perdiamo la speranza abbiamo perso la fede, ogni rapporto con Gesù. Noi sappiamo che Lui ha Parole di vita eterna, che Lui ha ragione, che la sua verità deve diventare concreta nella nostra vita, ma questo non avviene magicamente. Nessuno risolve per noi i problemi, ciascuno di noi con coraggio, con fiducia, cercando di pensare, di essere attenti, deve cercare di rendere concreti nella vita di ogni giorno i valori in cui crediamo.
Ciascuno di noi è invitato a coltivare la propria speranza, affidando il futuro lontano nelle mani del Padre, ma adesso è compito nostro costruire la vita, quello che succederà dopo lo sa solo Dio, a Lui affidiamo noi stessi, ma per ora Lui affida a noi il compito di costruire il mondo. Noi siamo discepoli di Gesù che vivono di speranza e tentano di rendere concreta la sua Parola.
Il Signore ci aiuti.
Per questo sono venuto nel mondo: CRISTO RE DELL'UNIVERSO - 25 Novembre 2018
per dare testimonianza alla verità. Giovanni 18,33-37
È l'ultima Domenica dell'anno liturgico e il Vangelo di Giovanni ci fa assistere allo scontro tra Gesù e Pilato.
Possiamo farci una domanda: "Noi da che parte stiamo, dalla parte di Pilato o dalla parte di Gesù?". Sembrerebbe per un cristiano una domanda scontata se non offensiva!
Se pensate alla storia della Chiesa molte volte i cristiani sono stati dalla parte di Pilato.
Pilato è il simbolo del potere che vuole affermare la sua volontà sugli altri. Badate, il potere è qualche cosa di diverso dall'autorità, (devo fare questa precisazione all'inizio, altrimenti non ci capiamo) l'autorità è necessaria in questo mondo: l'autorità dello Stato, l'autorità dei genitori, l'autorità degli insegnanti, l'autorità del medico, l'autorità dello scienziato, l'autorità che viene da valori reali è qualche cosa di fondamentale per vita dell'uomo.
Ma qui sto parlando di potere! Il potere che schiaccia, che umilia. Il potere che ha la capacità di uccidere. Il potere che manca di rispetto, che riduce le persone a numeri, a cose: questo rappresenta Pilato, colui che senza preoccuparsi troppo lascerà inchiodare Gesù sulla croce.
Dall'altra parte c'è Gesù. Lui dice di essere dalla parte della Verità. Verità - guardate - non fatta di concetti astratti, di principi. La verità concreta della sua vita, la verità che è Gesù. In un'altra pagina il Vangelo di Giovanni fa dire a Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita". Gesù concretamente è la Verità. Colui che dona se stesso, che si fa servo di tutti, che viene a condividere la vita dell'uomo, che rispetta ogni uomo, che riconcilia ogni uomo… e - dunque - noi da che parte stiamo?
La risposta (lo dicevo) potrebbe essere semplicissima, quasi banale, ma se ci pensate, nel corso della storia della Chiesa, molte volte i cristiani sono stati dalla parte di Pilato.
Hanno indetto Crociate, hanno conquistato terre... l'autorità della Chiesa, specialmente qui nella terra dove noi viviamo, aveva il potere assoluto, ha bruciato gente sul rogo, ha tagliato molte teste, ha mancato di rispetto per la libertà dell'uomo.
Leggevamo - quando eravamo giovani - in un documento della Chiesa di Roma: "Non date il Vangelo in mano ai laici, altrimenti diventano liberi". Chi l'ha scritto aveva capito che il Vangelo fa liberi, ma il potere è: non devi essere libero, non devi pensare con la tua testa.
Dunque, troppe volte i cristiani sono stati dalla parte del potere e quando il potere non lo detenevano più, almeno come Chiesa, non hanno saputo contrastare con forza il potere diventato assoluto, il potere che distruggeva, che faceva campi di concentramento, guerre, che produceva milioni di morti. Il potere delle leggi razziali, il potere del nazismo, del fascismo, anche noi italiani abbiamo le nostre gravissime colpe... pensate alla guerra d'Etiopia. Migliaia, milioni di persone uccise, anche molti cristiani, l'uso dei gas... cose terribili! Qualcuno dice le nostre "fosse Ardeatine".
Quindi, spesso i cristiani sono stati dalla parte del potere o almeno non hanno saputo alzare la testa, di fronte al prevaricare del potere sulla terra.
Ma il discorso è più sottile. Queste sembrerebbero cose che non riguardano ciascuno di noi ma, guardate, ciascuno di noi ha una parte di autorità che può diventare potere.
Ha potere l'uomo di governo, ma ha potere anche l'insegnante che può umiliare il suo alunno, ha potere il medico che può trattare il paziente come un numero, farlo aspettare ore senza preoccuparsi troppo di quello che pensa e di quello che soffre, ha potere il genitore nel confronto dei figli, ha potere il marito nei confronti della moglie e la moglie nei confronti del marito, abbiamo un potere gli uni sugli altri... può essere atteggiamento di servizio, di tenerezza, di rispetto... ma può essere anche disprezzo, sopraffazione, trascuratezza, incapacità di condividere la vita... ecco allora la domanda diventa seria per ciascuno di noi: da che parte stiamo? Dalla parte di Gesù, dalla parte della sua Verità?
Verità che è servizio, è amore, è dedizione agli altri o dalla parte di Pilato? Dalla parte di chi in quel piccolo spazio di autorità che può avere nella vita, non è capace di rispettare l'altro, pensa ai propri interessi, non è capace di guardare l'altro negli occhi.
Ecco - vedete - volevo dire soltanto questo a conclusione di questo anno liturgico, porci una domanda, tutti: "Da che parte stiamo?"
Oggi onoriamo Gesù come Signore dell'universo: crediamo veramente in Lui, non soltanto a parole? La fede in Gesù è vita o non è. Vita di tutti i giorni, vita fatta di rispetto, di attenzione, di amore, di ricerca di pace, fatta di generosità, di attenzione verso gli altri, non è una cosa semplice.
Il Signore ci aiuti.