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OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 2010-2011 - Vangelo di Matteo
INDICE
I DOMENICA D'AVVENTO - 28 Novembre 2010. 2
II DOMENICA DI AVVENTO - 5 Dicembre 2010. 4
IMMACOLATA CONCEZIONE - 8 Dicembre 2010. 5
III DOMENICA DI AVVENTO - 12 Dicembre 2010. 7
IV DOMENICA DI AVVENTO - 19 Dicembre 2010. 9
NATALE del SIGNORE - 25 Dicembre 2010. 11
SANTA FAMIGLIA - 26 Dicembre 2010. 12
II DOMENICA dopo NATALE - 2 Gennaio 2011. 13
EPIFANIA del SIGNORE - 6 Gennaio 2011. 15
BATTESIMO del SIGNORE - 9 Gennaio 2011. 17
II DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 16 Gennaio 2011. 19
III DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 23 Gennaio 2011. 21
IV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 30 Gennaio 2011. 23
V DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 6 Febbraio 2011. 25
VI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 13 Febbraio 2011. 27
VII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 20 Febbraio 2011. 29
VIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO -27 Febbraio 2011. 31
IX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 6 Marzo 2011. 33
I DOMENICA di QUARESIMA - 13 Marzo 2011. 35
II DOMENICA di QUARESIMA - 20 Marzo 2011. 37
III DOMENICA di QUARESIMA - 27 Marzo 2011. 38
IV DOMENICA di QUARESIMA - 3 Aprile 2011. 40
V DOMENICA di QUARESIMA -10 Aprile 2011. 42
RISURREZIONE del SIGNORE - 24 Aprile 2011. 44
II DOMENICA di PASQUA - 1 Maggio 2011. 46
III DOMENICA di PASQUA - 8 Maggio 2011. 48
IV DOMENICA di PASQUA - 15 Maggio 2011. 50
V DOMENICA di PASQUA - 22 Maggio 2011. 52
VI DOMENICA di PASQUA - 29 Maggio 2011. 54
ASCENSIONE del SIGNORE - 5 Giugno 2011. 56
PENTECOSTE del SIGNORE - 12 Giugno 2011. 58
SANTISSIMA TRINITÀ - 19 Giugno 2011. 60
S.S. CORPO E SANGUE DI CRISTO - 26 Giugno 2011. 62
XIV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 3 - Luglio 2011. 64
XV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 10 Luglio 2011. 66
XVI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 17 Luglio 2011. 68
XVII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 24 Luglio 2011. 70
XXIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 4 Settembre 2011. 72
XXIV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 11 Settembre 2011. 74
XXV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 18 Settembre 2011. 76
XXVI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 25 Settembre 2011. 78
XXVII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 2 Ottobre 2011. 80
XXVIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 9 Ottobre 2011. 82
XXIX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 16 Ottobre 2011. 84
XXX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 23 Ottobre 2011. 86
XXXI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 30 Ottobre 2011. 88
XXXII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 6 Novembre 2011. 90
XXXIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 13 - Novembre 2011. 92
CRISTO RE - 20 Novembre 2011. 94
...Perciò anche voi tenetevi pronti I DOMENICA D'AVVENTO - 28 Novembre 2010
perché, nell'ora che non immaginate, Isaia 2, 1-5. Matteo 24, 37-44
viene il Figlio dell'uomo".
La speranza è fondamentale per la nostra fede, è la dimensione essenziale del credente. La speranza è il cuore stesso della fede di Israele e, quindi, anche della nostra. Fin dai tempi più lontani Israele ha avuto la straordinaria intuizione di mettere al centro della propria fede l'uscita dall'Egitto, l'esodo, la Pasqua e da allora dietro le spalle c'è la negatività, il male, la schiavitù, la mancanza di libertà. Davanti l'avventura, il futuro, la ricerca di una terra dove scorre il "latte e il miele", la terra della libertà, della pace, della giustizia, la ricerca di un mondo migliore.
Ma ci sono dei rischi... che i credenti hanno corso in tutti i tempi: il rischio dell'impazienza. Il rischio di pensare che Dio potesse intervenire in modo potente e glorioso a cambiare le sorti della storia e del mondo.
Avete ascoltato il profeta Isaia: "Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra.". Sono passati millenni e noi - anche stamattina - sentiamo ancora parlare di guerra! Sembra tutta un'illusione!
L'altro rischio è che le braccia cadano perché non si vede la realizzazione delle nostre speranze. I primi cristiani pensavano che da un momento all'altro venisse il Signore a portare un mondo nuovo... Lo avete ascoltato dalle parole dell'apostolo Paolo: "La notte è avanzata, il giorno è vicino". Noi ancora aspettiamo quest'alba!
Siamo qui ancora per guardare avanti, per cercare di aspettare il Signore, ma il Signore che viene, che aspettiamo in questo Natale è un cucciolo d'uomo, inerme, impotente, affidato alla nostra tenerezza e al nostro coraggio.
Non viene il Signore potente che cambia le sorti della nostra vita, della nostra storia... piccolo "seme" sperduto nei solchi della storia… e durante la Sua vita parlerà spesso di seme, che cresce lentamente, a volte mescolato con la zizzania. Del seme che ogni credente deve portare dentro di sé, impegnarsi a spargere intorno.
Vedete, anche oggi corriamo il rischio dei cristiani di tutti i tempi. Il rischio di pensare che la nostra situazione sia quella personale, sia quella della Chiesa, sia quella sociale possa cambiare da un giorno all'altro.
Quando ero giovane pensavo che sarebbe stato facile, per me, diventare santo, lo si poteva fare in poco tempo… poi vengono i momenti della disillusione. Momenti in cui ti sembra di non fare passi avanti, ma indietro e recuperare la speranza non è affatto facile!
E anche quando diamo uno sguardo su una Chiesa che sognavamo più pulita, più aperta, più capace di liberarsi dal suo male, di costruire il futuro... a volte ritroviamo una comunità cristiana ripiegata su se stessa, impaurita, incapace di aprirsi al domani.
E anche la società in cui viviamo... Speravamo in una società più giusta, aperta ai ragazzi che crescono, al domani, alla costruzione di un mondo in cui ci sia giustizia, rispetto per tutti; in cui non ci sia violenza sulle donne e ci ritroviamo a guardarci intorno e, qualche volta, ad avere l'amara impressione che sia tutto un'illusione e le braccia sembrano cadere e ciascuno di noi rischia di conoscere momenti di disperazione. Ci sembra che non ci sia più futuro, non ci sia più speranza.
Ecco, se questo arriva fino in fondo nel nostro cuore, abbiamo perso il contatto con Dio, con la nostra fede. Perché la fede è speranza, coraggio di mettere nella vita i semi del bene, della giustizia, della libertà.
Non pensate a grandi cose! Si tratta, forse, soltanto di insegnare ai nostri ragazzi a non buttare carte per terra perché il mondo non si sporchi. Si tratta di insegnare il rispetto per il loro compagno che, magari, ha un colore della pelle diverso. Si tratta di insegnare ai nostri ragazzi l'attenzione verso chi è meno dotato di loro, chi non ce la fa a studiare con velocità e capacità. Si tratta di insegnare a condividere la vita.
Non possiamo sperare che cambi tutto in poco tempo, che si trasformi tutto in qualche cosa di luminoso e straordinario. Non si tratta di aspettare un Dio che cambi la storia del mondo... No! Il Dio che aspettiamo, il Dio che celebriamo a Natale è un piccolo "cucciolo" che vuole crescere, diventare grande, trovare spazio in mezzo a noi, in questo mondo, ma è affidato a noi, alla nostra speranza, al nostro coraggio, alla nostra attenzione al futuro.
Rischiamo in questa società, in questo momento di perdere la speranza. Rischiamo di trovare intorno a noi tanta disillusione, tanta mancanza di coraggio... Non possiamo rassegnarci! Ciascuno di noi può tentare di conservare dentro di sé il coraggio del "seme", il desiderio di moltiplicare i propri sforzi perché la vita sia più giusta e buona.
Il Signore ci aiuti
Voce di uno che grida nel deserto: II DOMENICA DI AVVENTO - 5 Dicembre 2010
preparate la via del Signore, Matteo 3, 1-12
raddrizzate i suoi sentieri".
Cosa abbiamo a che spartire, noi, con la severa figura di Giovanni Battista che nel deserto si veste di peli di cammello, mangia cavallette e grida l'ira imminente, la scure alla radice dell'albero pronta a tagliare, il fuoco inestinguibile? Cosa abbiamo a che spartire con queste minacce?
I nostri maestri ci hanno insegnato che il male non si evita per paura del castigo; il male evitato per timore o il bene fatto aspettandosi un premio, non è vero bene! Così ci hanno insegnato, faticosamente, quelli che ci hanno preceduto!
Il male va evitato perché è male, sciupa e rovina la vita; il bene va fatto perché è esigenza profonda della nostra coscienza.
E il Vangelo ci ha insegnato, quasi in ogni pagina, la gratuità, il bene fatto per amore e, soprattutto, il Vangelo ha tentato in ogni modo di togliere dal nostro cuore la paura di Dio, la paura del castigo, le minacce di un Dio che porta l'ira sulla terra.
Allora, che abbiamo a che spartire con Giovanni Battista?
Vedete, nel corso della mia esperienza ho ascoltato, qualche volta, delle persone - anche dei giovani - dire: "Ma se non c'è il castigo, se non c'è più la paura di una punizione, a che vale fare il bene?".
Ecco, se pensiamo così - per quello che ho capito - siamo lontani dalla fede, da un incontro con Dio. La grande fede di Israele ci ha insegnato che Dio chiede una moralità alta; che l'incontro con Lui esige la giustizia, la passione per il bene, non per avere un premio, non per paura di un castigo, ma perché sentiamo con Lui le esigenze profonde della giustizia, della pace, della condivisione, della gratuità.
Occorre che ciascuno di noi cerchi, con tutte le sue forze, di evitare quello che sciupa la vita: per quello che ho capito io, questo è il male! È male quello che fa soffrire chi ci sta accanto; è male la pigrizia che ci impedisce di fare in modo che la vita degli altri sia un po' migliore. Se non ci rendiamo conto di questo, che rapporto abbiamo con Colui che ha chiamato beati i miti, i misericordiosi, gli affamati e assetati di giustizia? Gesù, che aspettiamo a Natale, è venuto per condividere il nostro cammino sulla terra, per metterci nel cuore i semi del coraggio, la voglia di combattere dentro di noi e intorno a noi il male con tutte le nostre forze, di fare il bene.
Le esigenze morali dell'incontro con Dio sono assolute! Troppe volte l'abitudine che qualcuno di noi aveva alla Confessione, ci ha portato all'idea che bastava andare, chiedere un'assoluzione, dire tre Ave Maria e si poteva ricominciare: questo non è moralità, è ipocrisia!
Non dobbiamo avere paura di Dio, dei Suoi castighi, delle Sue minacce, ma se non portiamo nel cuore la fame e la sete di giustizia che credenti siamo? Qual è il nostro incontro con Gesù? Ecco, se togliamo dalle allucinate parole di Giovanni, la minaccia, il castigo, l'ira, il fuoco inestinguibile... forse possiamo ritrovare, con lui, l'esigenza del bene; l'esigenza di combattere tutto quello che è male; l'esigenza di vivere una vita in cui la fame e la sete della giustizia, l'amore, l'attenzione all'altro, la vita condivisa ne siano il fondamento: per questo è venuto Gesù!
È venuto a condividere la nostra vita e quando non ce la facciamo, quando le nostre ginocchia rischiano di cedere... possiamo sentire la forza della Sua riconciliazione; possiamo venire qui e nutrirci di Lui per camminare ancora, senza paura. Senza paura del castigo ma con l'esigenza, la forza, il coraggio di tentare ancora di combattere tutto quello che sciupa la vita e di vivere la gratuità e la pace.
Il Signore ci aiuti.
"Ecco sono la serva del Signore: IMMACOLATA CONCEZIONE - 8 Dicembre 2010
avvenga per me secondo la tua parola". Luca 1, 26-28
Quando ero piccolo, ogni Domenica - così si usava a quel tempo - come si conviene ai bravi bambini, andavo al catechismo. E se chiedevo: "Cos'è l'Immacolata Concezione?". Mi rispondevano prontamente: "All'inizio c'erano un uomo e una donna, Adamo ed Eva. Hanno disubbidito a Dio, mangiando il frutto proibito, commettendo un grave peccato e sono stati cacciati dal Paradiso e questo peccato si è trasmesso, generazione dopo generazione, a tutti i bambini che nascono. Questa colpa, questa macchia può essere cancellata solo con il Battesimo. Tutti ne hanno bisogno eccetto Maria, Lei è stata, per volontà di Dio, preservata da questo peccato!"
Se io o qualcuno dei miei amici provavamo a domandare: "Com'è possibile che la colpa dei primi genitori si sia propagata ai figli, ai nipoti fino ai nostri giorni e che un bambino nasca già segnato da una colpa?". Ci rispondevano altrettanto prontamente: "È un mistero! Non si deve pensare, non si deve capire, si deve credere!".
Poi, crescendo, leggendo, studiando, parlando, ascoltando, pensando, pregando... ho capito che le cose erano infinitamente più complesse! Ho capito che nell'antico racconto di Adamo ed Eva non c'è una storia accaduta tanto tempo fa, ma la storia di ciascuno di noi, il senso della nostra vita, il senso del male, del peccato. Ho capito che si trattava di un "mito" antico, che manifesta delle grandi intuizioni che il popolo di Israele ha condensato in questo racconto.
Cos'è il male? È la volontà dell'uomo di dominare e uomini e cose. Vogliono, Adamo ed Eva, diventare come Dio! Vogliono stabilire a partire da se stessi che cosa è giusto e che cosa non lo è. Non vogliono avere sorprese nella vita. Vogliono che tutto sia sotto controllo… e nel momento che ciascuno vuole il controllo è inevitabile il conflitto, l'odio… e Caino uccide Abele.
Il peccato, questa voglia dell'uomo di dominare si è propagata nella storia fino ai nostri giorni creando, anche, strutture di male. Ogni bambino che nasce - ne siamo, spero, tutti convinti - nasce innocente, nessuna colpa lo macchia. Ma non nasce in un mondo innocente! Nasce in un mondo che è profondamente segnato dalla colpa di quelli che lo hanno preceduto da generazioni, segnato - dice qualcuno - addirittura nei suoi cromosomi, nei suoi geni.
Pensate... - se volete un esempio - ad un bambino che nasce in una famiglia mafiosa in cui non c'è rispetto, non c'è tenerezza; in cui c'è soltanto la voglia di dominare sugli altri. Questo bambino è certamente innocente, ma intorno a lui non c'è innocenza… come crescerà, come riuscirà a combattere il male in cui gli è dato di nascere?
Maria diventa il simbolo di "colei" che sa andare oltre il peccato, perché rinuncia a controllare la vita, nel momento in cui sa aprirsi ad un Figlio inaspettato, in quel momento, forse, non voluto... un Figlio che viene da un'altra dimensione, che le sarà difficile capire fino in fondo.
Chissà cosa si aspettava, Maria, nella sua giovinezza? Come sognava il suo futuro, la sua vita? Quanti figli desiderava e come immaginava che fossero? Si è trovata ad accogliere un Figlio "altro", diverso. Un Figlio straordinario che diceva parole mai dette. Un Figlio che è finito su una croce e lei - quasi solo lei - era sotto quella croce, fedele fino in fondo. Lo aveva accettato così com'è e non come pensava dovesse essere. Aveva rinunciato a controllare uomini e cose!
Ecco perché Maria sa andare oltre il peccato. Ecco perché si libera da quella storia in cui tutti siamo coinvolti. Solo lei...? Anche noi siamo invitati a liberarci!
Qui ci sono delle mamme, dei papà... avete fatto lo sforzo di accogliere un figlio in parte diverso da come lo aspettavate. Un figlio che non veniva soltanto da voi, ma da un'altra dimensione; ha fatto irruzione nella vostra vita e vi chiedeva non di controllare, ma di accogliere, di aprirvi, di stupirvi, di accettare la diversità... È difficile per noi uomini rinunciare a controllare la vita intorno a noi, accettare un figlio così com'è, che attraversa la nostra vita con i suoi problemi, le sue richieste, i suoi desideri, i suoi sogni. E non vale solo per i figli, ma anche per gli amici, i colleghi di lavoro…
Ecco perché Maria per ogni credente, è il modello della fede, dello stupore, dell'accoglienza, di chi sa fare spazio ad un altro nella sua vita.
Il Signore aiuti a farlo anche a noi.
In verità vi dico: fra i nati da donna III DOMENICA DI AVVENTO - 12 Dicembre 2010
non è sorto alcuno più grande di Matteo 11, 2-11
Giovanni il Battista...
Sarà capitato anche a voi, qualche volta, di ascoltare una predica in cui si diceva che il dubbio è peccato; che il credente allontana da sé ogni dubbio come un pensiero cattivo, come qualcosa che è contrario alla fede.
Oppure, vi sarà capitato di incontrare qualche cristiano "zelante" - se ne trovano anche oggi - che vi dice che la fede comporta certezze assolute, la sicurezza... anche perché basta ascoltare la voce del Papa e dei vescovi per fugare ogni dubbio.
Con ogni probabilità discorsi simili li ascoltavano anche i primi cristiani; tanto che qualcuno, una comunità - non so - ha costruito questa straordinaria pagina del Vangelo in cui - lo avrete notato - c'è l'elogio del dubbio.
Giovanni il Battista... lui che aveva annunziato il Messia, che aveva detto: "Ecco l'Agnello di Dio", che si rifiutava di battezzare Gesù perché era più grande di lui, adesso che è in prigione conosce il dubbio; non sa più cosa accade. E non viene rimproverato, anzi - come avete ascoltato - fanno dire a Gesù che Giovanni è il più grande tra i nati di donna.
Se anche il più grande ha un dubbio, per il credente è normale avere dubbi, anzi, forse ci suggeriscono che senza dubbio non c'è fede!
Vedete, il dubbio è scontato in tutti i campi!
La scienza progredisce perché si mette in dubbio quello che hanno fatto quelli di prima. La tecnica va avanti perché ci si domanda se ci può essere un aereo migliore, un frigorifero migliore. L'arte va avanti perché qualcuno si domanda se si può fare meglio. Viene il dubbio che quello che è stato sempre fatto, forse, può essere migliorato... vale per tutto nella vita e vale anche per la fede!
Se cominciate a leggere il Vangelo, vi vengono tanti dubbi… sono un invito a cercare, a scoprire. Se vi preparate per il Battesimo di un nipote o se pensate a quello che facciamo qui la domenica, vi vengono dubbi… e sono importanti perché sono una spinta a capire, a cercare, a intuire cosa è veramente importante.
Qualche volta il dubbio è più radicale e profondo!
Vi è capitato, qualche volta, di chiedervi: "Ma chi me lo fa fare a essere onesto in questo mondo? Vale proprio la pena di vivere d'amore?". E vi è mai capitato di chiedervi: "Ma Dio dov'è? Perché permette tanto male nel mondo? Perchè ci sono guerre? Perché, soprattutto, ci sono bambini che muoiono? Chi è Dio?".
Questi dubbi hanno attraversato la mia vita e, forse, la vita di più d'uno di voi e, se siamo qui, abbiamo avuto la fortuna di incontrare qualcuno che ci ha aiutato ad aprire gli occhi: eravamo come ciechi e ci ha fatto intuire qualche cosa. Ci ha fatto intuire, forse, che il Dio in cui credevamo non esiste: il Dio della potenza, il Dio che custodisce la vita degli uomini, il Dio della provvidenza.
Forse abbiamo incontrato qualcuno che quando ci sembrava di non potercela fare più ad essere giusti e onesti, ci ha aiutato a rialzarci e camminare; eravamo come zoppi e ci ha rimesso in cammino.
Se siete qui - forse anche voi come me - avete incontrato qualcuno che, quando la vita vi sembrava senza senso, vi ha aiutato ancora a credere e a sperare.
Ecco la fede è il passaggio costante dal dubbio alla possibilità di intuire qualcosa, dall'oscurità alla luce, dalla sfiducia alla speranza. La fede è figlia della ricerca appassionata del volto di Dio, troppo spesso diverso da come ce lo aspettiamo, da come vorremmo che fosse.
I primi cristiani erano convinti che senza il dubbio non si può credere. Allora, se vi viene qualche volta un dubbio, se vi guardate intorno smarriti e non riuscite più a capire nemmeno il senso della vita, nemmeno la presenza di Dio... non abbiate paura, la fede passa attraverso questo!
La fede è un continuo passaggio dalla disperazione alla speranza, dal dubbio all'intuire qualcosa... soltanto qualcosa perché poi venga un altro dubbio e si cerchi ancora.
Non abbiate paura! Il dubbio non è peccato, anzi - se ho capito qualche cosa - è la condizione essenziale della fede. Una fede che è solo certezza, una fede che non mette in dubbio niente, è solo fanatismo, non è ricerca appassionata di Dio, della giustizia, della verità, del senso della vita, di cosa è giusto, di cosa non lo è, di cosa è bene, di cosa è male in questo mondo.
Dubitate da chi ha sempre una risposta pronta. Il credente cerca, si interroga, ascolta, guarda, cerca di intuire qualche cosa e quando non ci riesce... quando non ci riesce cerca degli amici con cui camminare ancora, qualcuno che - come al tempo di Gesù - faccia vedere i "ciechi", faccia camminare gli "zoppi", risusciti quelli che non hanno più la speranza della vita!
Il Signore ci aiuti.
Giuseppe, non temere di prendere IV DOMENICA DI AVVENTO - 19 Dicembre 2010
con te Maria tua sposa… ella darà Matteo 1, 18-24
alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù...
Come avete appena ascoltato, nel Vangelo di Matteo è Giuseppe e non Maria che ci prepara ad accogliere il Signore, a fargli spazio nella nostra vita.
Non sappiamo e non sapremo mai cosa sia realmente accaduto in quei giorni, ma il Vangelo ci propone Giuseppe come modello di vita.
Non ci sono molte righe sull'avventura di Giuseppe. Lui non dice nemmeno una parola. Poche frasi, nessuna parola detta da lui, quindi c'è per noi tutto lo spazio per immaginare, dare libertà alla nostra fantasia per cercare di intuire cosa significhi Giuseppe per la nostra fede.
E, allora, provate ad immaginare...
Tanto tempo un falegname che vive in un piccolo paese sperduto nell'interno della Palestina, le mani callose, la sua esperienza, non troppa perché è giovane, nel pieno del vigore della vita... si è innamorato di una ragazza, forse, il matrimonio - come succedeva a quel tempo - è stato combinato, non lo sapremo mai.
Ad un certo punto si accorge che la donna che sta per sposare è incinta! La sua vita è sconvolta, rimane profondamente turbato. È un uomo giusto, sa qual è il suo dovere: deve denunciare la sua donna, deve essere lapidata… non c'è altra ipotesi che l'adulterio.
Eppure è innamorato di Maria, le vuole bene, ha una grande stima di lei. Cosa può essere successo? Forse Maria gli dice qualche mezza parola: quel Figlio non è suo, viene da un'altra dimensione, non lo aspettava nemmeno lei!
Giuseppe si trova di fronte all'incomprensibile, forse, all'intervento di Dio nella vita degli uomini ed è combattuto tra l'osservanza della legge, delle tradizioni, delle regole: lui dovrebbe denunziare la sua donna… ma anche l'imbarazzo... che sia un'altra storia?
E, allora, Giuseppe si ritira! Pensa di rimandarla in segreto, forse, perché ha paura o, forse, perché si vergogna o, forse, perché vuole non entrarci in un progetto troppo grande per lui. Dio se vuole intervenire faccia quello che vuole, ma non chieda qualche cosa a me!
Deve arrivare l'Angelo nella notte a dirgli: "Giuseppe, c'è un compito per te. Questo Figlio sarà tuo figlio, viene da un'altra dimensione, viene da Dio. Generare un figlio non è solo un fatto materiale: è aiutarlo a crescere, accoglierlo, tentare di comunicargli qualcuno dei valori in cui credi, insegnargli un mestiere, proteggerlo". E Giuseppe è disposto a fare spazio nella sua vita a questo Bambino che sta per nascere.
Ma non è finita lì perché Gesù - ci dice il Vangelo - nasce in una grotta e subito dopo sono costretti a fuggire in Egitto per scampare alla violenza del mondo e Giuseppe va... cercando di difendere il suo Bambino e la sua famiglia. La storia è crudele con lui…
Ma c'è qualche cosa di più. Man mano che il Bambino cresce non riesce più a capirlo! Quando vanno... - così ci dice il Vangelo - a dodici anni nel Tempio, Gesù rimane lì e Giuseppe fa fatica a capire! Chi è questo Bambino? Che vuole da me? Che vuole dagli uomini? Chi è Dio che fa irruzione nella storia e nella vita di ciascuno di noi?
Ecco, Giuseppe diventa il modello della fede! Colui che sa accogliere, sa fare spazio, colui che vive lo stupore, l'incertezza: non riesce a capire, ma sa dire il suo sì. Sa assumere il suo compito, sa rimanere fedele alla sua missione.
È lo stesso per noi!
Ho visto più volte dei genitori pieni di stupore per la nascita di un bambino. Quel bambino è loro, loro lo hanno generato, ma viene, anche, da un'altra dimensione. Esige tutto lo stupore che si deve alla vita, a loro è affidato! Si può costruire un tavolo, una sedia, un armadio... e quello è mio, ma un bambino non è mai mio! Un bambino è sempre di un'altra dimensione. Prima di essere figlio del papà e della mamma è figlio di Dio e, qualche volta, il bambino che cresce genera ansia, preoccupazioni, timori... non si sa cosa voglia, dove voglia andare, chi sia... La storia di Giuseppe è anche la storia di molti di noi!
Non solo, qualche volta, anche per noi la storia diventa crudele. Qualche volta una malattia, il lavoro che si perde, un dramma attraversa la nostra vita e, allora che fare...?
E le domande: "Dov'è Dio? Che senso ha la vita? Cosa succede?" e diventa difficile rimanere fedeli al proprio compito.
E, qualche volta, c'è un altro problema!
La settimana scorsa - leggendo quella pagina del Vangelo, in cui Gesù dice che è mite e dolce, che il Suo carico è leggero - una signora diceva che a volte non è vero! A volte è difficile, pesante seguire il Signore, accettarlo nella propria vita. A volte è difficile essere fedeli ai Suoi sogni, ai valori che Lui è venuto a comunicarci. A volte è difficile essere dei credenti, portare la giustizia intorno a noi, sul posto di lavoro, con la gente che ci sta intorno.
Ecco, Giuseppe diventa - secondo il Vangelo - il modello della nostra fede. Lui sa accogliere Gesù, sa fargli spazio, sa farsi disponibile anche nei momenti difficili, anche quando la sventura, la violenza attraversa la sua vita; fedele al suo ideale, al suo compito: essere padre, fare spazio a Gesù.
Sabato prossimo è gia Natale! Per qualcuno - per molti, spero - sarà un momento sereno, felice; un momento di festa famigliare, in cui sembra toccare con mano la pace e la gioia del Natale.
Per altri sarà diverso! Per altri sarà il tempo della disgrazia, della malattia, il tempo della paura, dell'ansia, del non capire che cosa succede intorno. Un Natale diverso per ciascuno di noi eppure, a ciascuno di noi è rivolto l'invito, a volte difficile, di far spazio a Gesù, di accogliere nella nostra vita la Sua realtà, i Suoi sogni, i Suoi valori… come Giuseppe.
Il Signore ci aiuti.
"Oggi è nato per voi un Salvatore... NATALE del SIGNORE - 25 Dicembre 2010
troverete un bambino avvolto in Luca 2, 1-14
fasce, adagiato in una mangiatoia"
Quando ero bambino a Natale non c'erano regali, i doni non li portava né Gesù Bambino, né Babbo Natale, ma la Befana. A Natale c'era la grande tavola apparecchiata con i cibi della festa: i cappelletti che la mamma preparava nei giorni precedenti e i dolci speciali, che allora mangiavamo solo a Natale e il torrone. Ma soprattutto il presepe: bisognava, giorni prima, cercare le scatole che contenevano le statuine, controllare che fossero tutte intatte e comprarle se qualcuna se ne era rotta e poi spolverarle e metterle in ordine.
Andavo poi con mio papà a cercare il muschio - vellutello lo chiamavamo a Roma - per sistemare il prato, poi bisognava mettere le pecorelle e i pastori, la carta per le montagne, poi la capanna, il bue e l'asinello e la stella, l'angelo, Maria e Giuseppe e la piccola mangiatoia in cui la notte di Natale si metteva il Bambino Gesù.. L'atmosfera di Natale… lo stupore davanti al presepe, un senso di tenerezza, di serenità, la gioia diffusa, tutti ci sentivamo più buoni.
Poi ho cominciato ad andare a Catechismo e mi parlavano di Dio: è onnipotente, sa tutto, custodisce il mondo con la sua Provvidenza… pensavo di sapere chi fosse Dio.
Davanti al presepe, al Bambino Gesù, se ne andava il senso di stupore, di tenerezza che ha accompagnato la mia infanzia: pensavo che Lui sapeva tutto, che mi conosceva fino in fondo, mi giudicava. Credevo che a Lui potevo chiedere ogni cosa, soprattutto che mi facesse diventare più buono, che portasse la pace in tutto il mondo, che facesse in modo che prendessi dei bei voti a scuola: non avevo tanta voglia di studiare allora.
Poi, pian piano, mi sono accorto che stavo perdendo una delle dimensioni essenziali della mia fede: Dio ci ama fino ad "essere con noi", a condividere la nostra vita. È il mistero dell'Incarnazione.
"Essere con", condividere la vita è la condizione essenziale per poi poter fare qualcosa per gli altri: vale anche per la nostra vita di ogni giorno. E Dio si fa uno di noi, condivide fino in fondo la nostra vita, prima di parlare, agire.
In quel piccolo Bambino, che cominciavo ad immaginare inerme, indifeso, ancora sporco del sangue della mamma, sentivo la presenza di Dio con noi.
Ora guardate questa immagine: le mani del Bambino che si tendono verso di noi! Cosa si può chiedere ad un bambino appena nato? Nulla. È Lui che si affida a noi, Lui può solo chiederci qualcosa: di accoglierlo, di essere capaci di riconoscerlo in ogni uomo che incontriamo, di costruire la pace, di rendere più giusta la vita.
Dio viene a camminare con noi, a condividere la nostra avventura, è uno di noi, fratello di ogni uomo, soprattutto degli ultimi tra gli uomini, per questo viene a nascere in una grotta, sulla paglia.
È bene che non abbiamo fretta di vederlo crescere, di ascoltare le sue parole, di scoprire il valori, gli ideali, i sogni che vuole comunicarci: fermiamoci a guardare questo piccolo, inerme, cucciolo d'uomo: è Dio che viene ad essere con noi, uno di noi per condividere la nostra vita. Tentiamo di conservare lo stupore, la meraviglia del Natale, proviamo a sentire nel profondo del cuore che non siamo mai soli: c'è Dio con noi!
Poi cercheremo di fargli spazio, di accoglierlo, di condividere la Sua vita. Tenteremo di impegnarci perché ci sia più pace dentro di noi e intorno a noi, proveremo a portare nella nostra vita un po' della tenerezza e della gioia di Natale.
Il Signore ci aiuti.
"Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, SANTA FAMIGLIA - 26 Dicembre 2010
fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò" Matteo 2, 13-15. 19-23
È capitato a me, ma credo alla maggior parte di voi, di ascoltare più di una predica in cui la famiglia di Nazareth veniva portata come esempio, come modello di virtù, di attenzione gli uni verso gli altri, di pazienza, di amore sincero, di pace.
Quando ero bambino mi proponevano, spesso, Gesù come esempio: "Gesù era ubbidiente, sempre servizievole, attento agli altri!". Poi ho avuto la fortuna di scoprire un po' il Vangelo e di rendermi conto che si trattava di qualche cosa di infinitamente più grande e - se volete - misterioso.
Pensate un momento... Dio decide di far parte dell'umanità, di intervenire nella storia degli uomini e cosa fa? Per trenta lunghi anni... se ne sta in un piccolo sperduto villaggio a fare la vita di tutti i giorni, senza predicare, senza fare prodigi! Immaginate Gesù bambino che gioca con i compagni, che il Sabato va alla sinagoga a imparare a leggere e scrivere, a cantare i Salmi...
Immaginatelo, poi, nella bottega del padre che impara a piallare assi, a fabbricare sedie, tavoli: è il falegname di Nazareth! Può essere che Dio si manifesti così? E se proprio qui fosse il messaggio più importante? Ogni uomo che vive sulla terra, ogni famiglia, la più piccola è importante agli occhi di Dio!
Noi siamo abituati a leggere nella storia grandi nomi: Cesare, Augusto, Napoleone, e quant'altro. I grandi poeti: Leopardi, Manzoni... i grandi artisti: Leonardo, Michelangelo... e l'elenco potrebbe continuare. E i miliardi di uomini che non hanno mai contato niente? E se Dio fosse dalla loro parte? È sceso a condividere la loro vita, anche di quelli che sono costretti ad emigrare, lo avete ascoltato oggi: Maria e Giuseppe devono fuggire in Egitto.
Soltanto qualche anno fa, anche molti dei nostri compatrioti, forse qualcuno dei vostri padri, è stato costretto ad emigrare, a cercare riparo all'estero dai guai che capitavano qui da noi...
E se Dio fosse dalla loro parte? E se per Dio ogni famiglia avesse un valore assoluto?
Ma c'è di più! Nel mistero della famiglia di Nazareth c'è un solo Figlio e non è Figlio del padre! E se questo fosse un messaggio per tutti noi?
Ogni bambino che nasce, viene da Dio; è figlio di Dio prima di essere figlio del papà e della mamma. A dodici anni Gesù va nel Tempio con i Suoi e rimane lì e quando tornano risponde poco garbatamente... A quanti di voi è successo di vedere un figlio andare per la sua strada, affermare se stesso? A quanti è successo di non capire più cosa accadeva? Se leggete il Vangelo di Marco, Maria e i suoi parenti partono da Nazareth per andare a cercare Gesù, perché pensano che sia diventato matto... matto! Dov'è la comprensione, l'amore, la tenerezza se non ci si capisce?
E se Dio fosse venuto a calarsi nei problemi delle nostre famiglie in cui, a volte, non ci capiamo; in cui ritrovare la pace significa rinunciare ai nostri pregiudizi, a quello che pensiamo sia giusto, per accogliere nello stupore un figlio così com'è? Prima che figlio nostro è figlio di Dio!
E se il messaggio di Dio è di essersi incarnato in una famiglia qualunque, quasi senza storia? In una famiglia che non ricorderemmo nemmeno, se non ci fosse stato qualcuno fedele al messaggio di Gesù, quando è andato via di casa?
Ecco, vedete, non si tratta di dare piccoli consigli di saggezza, come nella seconda lettura e penso che qualcuno di voi abbia sorriso: "Mogli, state sottomesse ai vostri mariti" Provate a trovare qualche moglie sottomessa al marito in questo paese… in altri paesi forse, è diverso!
Quando si legge il Vangelo cercando le piccole regolette morali si rischia di cadere nelle sciocchezze. Nel Vangelo si cerca il senso di Dio, il senso della vita... ciò che conta veramente. Conta ogni uomo che vive! E di fronte ad un'altra persona, ad un figlio che cresce è importante lo stupore, la meraviglia, l'accoglienza, il fare spazio... Non è sempre facile
Il Signore ci aiuti.
In principio era il Verbo, e il Verbo II DOMENICA dopo NATALE - 2 Gennaio 2011
era presso Dio e il Verbo era Dio. Giovanni l, 1-18
Quanta differenza tra le semplici parole che abbiamo letto nella notte, nel giorno di Natale e quelle di questa pagina del Vangelo! Là si parlava di una capanna, dei pastori, di Maria, di Giuseppe, del bambino nella mangiatoia. Qui, parole solenni: il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Era Lui la luce venuta tra la gente e i suoi non l'hanno accolto.
Parole molto diverse che esprimono una sensibilità profondamente differente. Il racconto della notte di Natale, probabilmente, è sorto tra i pescatori sul lago di Galilea. L'inno di oggi, tra le comunità di intellettuali che si cominciano a formare nell'ambito del bacino del Mediterraneo, lì ci sono delle persone che tentano di compiere un'opera straordinaria: tradurre il messaggio del Vangelo nei complessi concetti della filosofia greca: il Verbo, la Parola, la Luce.
Un'altra cosa curiosa riguarda questa pagina del Vangelo... Quando ho cominciato a dire Messa - ormai quasi cinquant'anni fa - si leggeva tutti i giorni. Non c'era Messa che non terminasse con questa pagina: era, evidentemente, considerata fondamentale nel Vangelo tanto da doverla ripetere ogni giorno. Adesso si legge solo una volta l'anno e, anzi, se questa domenica capita il primo gennaio non si legge nemmeno!
Cambia la sensibilità, il modo di intendere, cambiano le parole... cosa che sconcerta qualche cristiano! Ma le parole non sono sempre le stesse? Non valgono per tutti? Non bisognerebbe andare, nell'incontro con Gesù e con il Vangelo, aldilà della propria sensibilità, del proprio modo di parlare, delle proprie idee? Non è possibile! Ognuno di noi ha le proprie parole, ognuno di noi ha la propria sensibilità; di più, ogni tempo ha il suo modo di pensare e noi, forse, oggi - non so se posso coinvolgervi - ci sentiamo un po' lontani dalle parole solenni del Vangelo che abbiamo letto stamani.
Ci sembra che siano eccessivamente sicure! "Loro" sanno tutto! Sanno chi è Dio, sanno chi è Gesù, sanno come Dio si è manifestato in Gesù di Nazareth, sanno chi lo ha accolto e chi non lo ha accolto e, quindi, inevitabilmente, giudicano! Per noi, per molti di noi, le cose sono diverse! Tutto si fa più incerto, più sfumato. Pensiamo che le nostre parole sono piccole, non riescono ad esprimere il Mistero. Ce lo dicono anche "loro" con chiarezza: "Dio nessuno lo ha mai visto!" Poi sono convinti che in Gesù di Nazareth si sia manifestato pienamente: in Lui c'è la pienezza della Luce.
Per la maggior parte di noi, in Gesù di Nazareth, nella sua vita, riusciamo ad intuire qualcosa "dell'oltre", del mistero di Dio, di questo Dio che nessuno ha mai visto e nessuno può vedere, perché è aldilà di ogni nostro pensiero, di ogni nostra parola... e rischiamo, ciascuno di noi, di farlo a propria immagine e somiglianza. Dovremmo cercarlo come a tentoni, inseguire la sua luce, come i Magi - lo leggeremo giovedì prossimo - che inseguono la "stella", un vago segno del cielo; il simbolo di una ricerca appassionata di quello che può essere la luce, il volto di Dio.
Quel volto che si manifesta in Gesù di Nazareth; in Lui non c'è chi è escluso e chi è accolto; da Lui la "pecora che si è perduta" viene cercata con affetto; il figlio che torna a casa viene accolto con la "festa".
Chi è Dio, allora? Chi veramente lo ha accolto e chi non lo ha accolto? Molti di voi - so per esperienza - se lo sono chiesto: "Professo la mia fede, recito il Credo ogni domenica, vado a Messa, cerco di credere... ma ho accolto Dio più di quel mio figlio che in chiesa non viene mai e pure si porta nel cuore valori di solidarietà, di tenerezza, di attenzione agli altri più profondi dei miei?"
"Ho accolto Dio perché prego, faccio la Comunione più profondamente di chi, invece, fa qualcosa per il bene di chi ha intorno?" Chi accoglie veramente Dio e chi lo rifiuta? Chi pensa di sapere qualcosa di Dio e in base a questo giudica gli altri, sa veramente qualcosa di Dio?
Chi vive in questi giorni - ne abbiamo esempi dolorosi - la religione come fanatismo, sa cosa Dio vuole? Chi pensa - anche nella nostra religione - di possedere la verità, è veramente dalla parte di Dio? Dio va cercato nella debolezza del cuore, sapendo che è "oltre", che nessuno lo ha mai visto, che il suo volto non può essere mai espresso: può essere cercato da noi, povera gente, solo a tentoni, intuendo nella vita di Gesù, nelle sue parole, nei suoi gesti, nelle sue parabole qualche cosa... soltanto qualche cosa "dell'oltre" di Dio.
Dio abita la "luce" inaccessibile. Quella luce che tenta di comunicare a noi e che noi non possiamo che cercare ogni giorno, senza mai essere sicuri di possedere fino in fondo la verità, la giustizia e il bene: non è un possesso, è sempre una ricerca!
Ricerca di quello che è giusto, ricerca della verità, ricerca di Dio, ricerca dell'amore: è questo il cammino cristiano, è questo che ci auguriamo di poter compiere, almeno un po', nell'anno che ci sta davanti.
Il Signore ci aiuti.
Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. EPIFANIA del SIGNORE - 6 Gennaio 2011
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria Matteo 2, 1-12
sua madre, si prostrarono e lo adorarono.
Il Vangelo della notte di Natale: il Bambino, Maria, Giuseppe, una capanna nel silenzio della campagna e intorno dei pastori, l'annunzio dell'Angelo li invita a cercare il Bambino, lo trovano e si fermano ad adorarlo e il coro degli Angeli canta: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama".
È l'atmosfera incantata della notte di Natale. È la fede semplice e ingenua dei bambini, c'è l'angelo che viene ad annunziare il Signore: tutto sembra chiaro, certo, tutto risplende di luce… ma l'incanto finisce, i bambini crescono... e la fede è un'altra cosa.
Il Vangelo di oggi ci parla di un lungo cammino. I Magi, che sono il simbolo di ogni credente, vengono da lontano... un lungo cammino attraverso il deserto. Nessun angelo ha detto loro come e dove devono andare; c'è un vago segno nel cielo che inseguono: una stella! Cosa sarà questa stella? Non certamente un astro del nostro universo: un simbolo, un segno che cammina, ma a un certo punto sparisce!
Entrati nella città non la vedono più e, soltanto dopo, ricompare per portarli fino alla casa: degli uomini che inseguono la Luce, che cercano il senso della vita!
Ma la strada non è pacifica, semplice come nella campagna intorno alla grotta. Non c'è il coro degli angeli: c'è la città!
La città in cui la "folla" si agita, rumoreggia, si turba, ma non sa dove andare, non sa cosa cercare ed è troppo pigra per muoversi.
La "folla" che non soltanto i Magi incontrano, ma in cui anche noi, oggi, siamo immersi. Una folla che sembra condizionata dai grandi mezzi di comunicazione, dalla televisione, dal rumore, dalle mode... si agita!
E non solo la folla da cui è difficile uscire, ma anche coloro che "sanno" tutto. I capi del popolo hanno una risposta pronta ad ogni domanda, ma - lo avete notato - non ascoltano, non cercano, pensano di possedere la "verità" e i Magi debbono scontrarsi con loro per andare oltre, per cercare ancora la loro "stella", per inseguire la Luce.
E non basta perché nella città c'è Erode: è il simbolo della violenza del mondo! Gli studiosi ci dicono che la strage degli innocenti, probabilmente, non è mai esistita, non ha fatto uccidere tutti i bambini... non avrebbe nessun senso! Nel Vangelo Erode è simbolo della violenza. Basta che apriate la televisione e la trovate anche oggi! Cristiani nella terra d'Egitto che cercano di celebrare il Natale e rischiano di celebrarlo tra la violenza, tra le bombe.
Un lungo cammino inseguendo un vago segno del cielo e la "folla"che ti stringe e ti impedisce di camminare e coloro che "sanno" tutto, che pensano di possedere la verità… e la violenza!
Il cristiano non si ferma, non si scoraggia, continua a cercare. Lo hanno fatto uomini di tutte le genti in questi duemila anni che ci separano dalla nascita di Gesù.
Mi è capitato di vedere, anche nella settimana passata, le storie di Alessandro sesto, della famiglia dei Borgia: la crudeltà, la violenza. Quanta gente anche in quei tempi ha continuato a inseguire la Luce, a cercare la giustizia e il bene… sono i credenti!
Il credente è uno che cammina e qualche volta la luce che ha dentro scompare, sembra di non vedere più niente; viene il dubbio, lo sconcerto eppure non si ferma!
Qualche volta rimane turbato da coloro che, anche nella vita della Chiesa, pensano di sapere tutto, hanno sempre una verità assoluta che non corrisponde alla sua verità e non si ferma!
Non accetta che non si dialoghi, che non si ascolti, che non si cammini insieme, che non si cerchi insieme, che ci si fermi...
Il cristiano incontra - anche in mezzo a noi - la violenza, la sopraffazione; incontra, la "folla", ma va oltre senza stancarsi, insegue la Luce, finché può, con grandissima gioia, intuire qualche cosa di Gesù.
Questo "cucciolo d'uomo" che è venuto in mezzo a noi per testimoniarci Dio, per farci intuire qualche cosa "dell'oltre" in cui abita il Padre, per farci intuire qualche cosa della Luce che dovrebbe guidare il cammino dell'uomo: è luce di pace, di giustizia, di rispetto, di condivisione.
Non è una strada semplice - il Vangelo di oggi ce lo ricorda - è una strada lunga, faticosa... c'è il dubbio, c'è la difficoltà che viene da chi ci sta intorno, eppure.... eppure possiamo augurarci, stamane, che come i Magi, continuiamo a camminare, a cercare e qualche volta, anche noi come loro, scoraggiati da tutto il grande mondo che abbiamo intorno, dobbiamo "passare per un'altra strada" per non incontrare Erode. Anche questa è la sorte del cristiano! A volte sa di essere impotente e di non farcela, eppure tenta di camminare ancora nella luce di Gesù.
Il Signore ci aiuti
"Sono io che ho bisogno di essere BATTESIMO del SIGNORE - 9 Gennaio 2011
battezzato da te, e tu vieni da me?" Isaia 42, 1-4. 6-7 Matteo 3, 13-17
"Questi è il Figlio mio, l'amato:
in lui ho posto il mio compiacimento"
Una cosa è fare un'esperienza... cosa diversa è capire l'esperienza che si è fatta. Una cosa è incontrare una persona, altra cosa è capire, fino in fondo, chi è la persona che abbiamo incontrato, che rapporto possiamo avere con lui: è quello che è capitato ai primi discepoli! Dalla loro esperienza nasce il Vangelo e, in particolare, quello che abbiamo letto stamattina.
I primi discepoli: Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni hanno, probabilmente, incontrato per la prima volta Gesù lì intorno a Giovanni il Battista, quando lui parlava, annunziava la catastrofe finale, la venuta del Regno e del grande giudizio per separare i buoni dai cattivi e far trionfare, finalmente, la giustizia.
Le attese dei discepoli erano, probabilmente, simili alle attese di Giovanni… poi, hanno cominciato a conoscere Gesù, sono diventati amici, sono stati affascinati dalle sue parole, dai sogni del suo cuore e hanno cominciato a chiedersi: "Chi è veramente Gesù? In Lui ci sembra di intuire una manifestazione di Dio". Qualcuno, probabilmente, diceva: "Ma Dio non può manifestarsi così!". Spesso il pregiudizio ci impedisce di vivere, fino in fondo, un'esperienza!
Dio non può manifestarsi così! È scritto anche nella Bibbia, lo abbiamo letto anche oggi nel Salmo: "La voce del Signore è potenza, tuona il Dio della gloria". La voce di Gesù era sommessa, non tuonava, non sembrava il Dio della gloria e, soprattutto, non annunziava minacce, castighi... la sua voce era dolce, tenera.
I primi cristiani dovevano capire e hanno trovato - come avete notato oggi - una risposta o, almeno, un tentativo di risposta nell'Antica Scrittura... Il testo di Isaia che abbiamo letto stamattina è il testo più ampiamente citato nel Vangelo: se leggete il capitolo dodicesimo del Vangelo di Matteo trovate quasi integralmente le parole che abbiamo letto nel Libro del profeta Isaia:
"Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità".
Cominciano a capire: il Dio che hanno incontrato non ha la voce potente e minacciosa, non giudica e condanna: viene a curarsi anche della "canna incrinata, dello stoppino che ha la fiamma smorta".
Quante volte, nella mia vita di prete che ormai dura da quasi cinquant'anni, ho incontrato persone che avevano paura di Dio: paura del suo castigo, paura di quello che potesse succedere aldilà della morte.
E se Gesù fosse venuto a togliere ogni paura dal cuore dell'uomo? Ad annunciarci un Dio diverso? E se è per questo che Gesù si è messo in fila con la gente che andava da Giovanni, peccatore tra i peccatori?
Avete ascoltato Giovanni: "Sono io che devo essere battezzato da te!" Non sono, forse, le parole di Giovanni, sono le parole dei primi discepoli i quali si rendono conto che in Gesù fanno esperienza di un Dio diverso da come lo aspettavano, aldilà dei loro pregiudizi: il Dio che viene a camminare accanto a chi ha il cuore pesante, che va a cercare "la pecora che s'è perduta", che non viene a "spezzare la canna incrinata" , a "spegnere lo stoppino dalla fiamma smorta".
Dio viene per camminare con te, per darti coraggio, per rimetterti in cammino. Dio esige la giustizia, cerca di comunicartela in tutti i modi, ma nella tenerezza, nel rispetto di chi non ce la fa, camminando dalla parte degli ultimi... anche degli ultimi incapaci di essere giusti fino in fondo. Colui che sente di aver sbagliato, sa di avere accanto a sé Gesù che cammina con lui verso un rito di purificazione.
Questa immagine del Battesimo di Gesù - per quello che ho capito io - è un'immagine fondamentale che, forse, anche noi come i primi cristiani, faremmo bene a tenere nel cuore.
Immaginatelo con gli occhi della fantasia: un gruppo di gente che va ad immergersi nel Giordano... ci aspetteremmo Gesù davanti, che alza la voce, che grida, che invita alla penitenza, alla conversione... niente di tutto questo! Gesù è accanto a loro, cammina con loro, si immerge con loro nelle acque del Giordano, compagno di strada, soprattutto di chi ha il cuore pesante, di chi non ce la fa.
Compagno di strada, soprattutto, di chi ha la paura nel cuore, paura di Dio, paura della vita, paura del futuro: per questo è venuto Gesù! Perché quando la nostra fede rischia di incrinarsi come una canna, quando il lucignolo del nostro entusiasmo sta per spegnersi... Lui non è il giudice che condanna, ma l'amico che cammina con te, è Colui che viene a condividere fino in fondo la tua ricerca della giustizia e della verità.
Non si stanca di cercare la verità, ma non ti condannerà mai se non ce la fai; sarà sempre dalla tua parte, sempre ti metterà nel cuore il coraggio della speranza.
Il Signore ci aiuti
Giovanni, vedendo Gesù venire II DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 16 Gennaio 2011
verso di lui, disse: "Ecco l'agnello Isaia 49, 3. 5-6. Giovanni 1, 29-34
di Dio, colui che toglie il peccato
del mondo!"
Lo ripetiamo in ogni Messa: "Ecco l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo!"
Ma che significa? Qualcuno di voi saprebbe spiegare, con cura, che cosa c'è dietro queste parole? Se non lo sapete spiegare, non vi preoccupate, non lo so nemmeno io!
Vedete, su questa frase, sono state scritte intere biblioteche... ma chi dà un'interpretazione, chi un'altra, chi parla "dell'agnello glorioso" con le corna, che verrà negli ultimi tempi a sconfiggere tutte le bestie malvagie... è l'agnello escatologico di cui parlano alcuni libri contemporanei a Gesù.
Altri pensano, invece, al libro di Isaia, ai grandi canti del "servo": il profeta perseguitato che viene a proclamare la giustizia, ma viene portato come un agnello davanti ai suoi persecutori. Altri pensano "all'agnello pasquale" con il cui sangue sono segnate le porte per salvare il popolo ebraico nell'uscita dall'Egitto.
Altri, addirittura, pensano "all'agnello sacrificale": il capro immolato per espiare il peccato.
Chi ha ragione? Chi ha trovato il senso vero di Gesù? Probabilmente un po' tutti, probabilmente nessuno! Che cosa può insegnarci questo? Per quello che ho capito io, che il cammino dietro il Signore è una ricerca continua senza che mai nessuno possa dire di possedere la verità.
Vedete, alcune di queste immagini... quella - per esempio - dell'agnello sacrificale, di colui che deve offrire la sua vita per placare l'ira di Dio, ci è - almeno a me e a molti di voi - completamente estranea.
Altre immagini, forse, ci possono essere più vicine... contano le parole? Nella storia hanno contato! Ma debbono contare anche per me e ho il diritto di usarne altre?
È possibile che ciascuno di noi cerchi di costruire dentro di sé l'immagine di Gesù, ponendosi la domanda: "Chi è Gesù per me?". Usando le proprie parole... parole, a volte, semplici che vanno aldilà della tradizione?
Gesù, per me - se dovessi dirvi le parole più semplici della mia esperienza - è "uno che ha ragione"! È Colui che ha portato valori autentici, che è venuto a condividere la nostra vita sulla terra, anche nei bassifondi: la violenza dell'uomo sull'uomo, l'umiliazione del profeta, del giusto... è solo questo Gesù? Probabilmente è altro!
Ecco, allora questa riflessione, forse, può insegnare a tutti che la realtà più intima di Gesù nessuno può possederla, come, forse, non si può possedere la realtà di nessun uomo che incontriamo. C'è sempre un mistero nell'uomo, c'è un mistero nell'amicizia, c'è anche nel rapporto più intimo tra un uomo e una donna: chi sei veramente tu? Che conti nella mia vita? Vale anche nel nostro rapporto con Gesù, nel nostro incontro con Lui! Vi inviterei a guardarvi con attenzione da chi crede di possedere tutta la verità su Gesù. Nessuno di noi sa, veramente, chi è Gesù!
C'è una frase del Vangelo di Matteo che è particolarmente significativa: "Nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio". Noi abbiamo qualche intuizione "dell'oltre", del mistero di Dio attraverso l'esperienza di Gesù di Nazareth, ma dobbiamo ricordare sempre - io credo - che anche il Figlio è conosciuto pienamente solo dal Padre! Noi siamo gente in ricerca!
Guardatevi, dunque, da chi dice: "Gesù la pensa così, Gesù è così, Gesù dice che questo è giusto e questo è sbagliato..." Guardate con diffidenza chi pensa di possedere la verità!
Nel nostro cammino faticoso sulla terra quello che è importante è ascoltarci, dialogare, cercare di capire che l'altro può possedere un pizzico di verità.
Tante le spiegazioni su questa parola: "Ecco l'agnello di Dio": uno dice qualche cosa di importante, ma anche un altro non dice il contrario... e si può continuare a cercare, tentando di domandarsi, seriamente: "Per me chi è Gesù? Che posto ha nella mia vita? Fino a che punto cerco di entrare in un contatto vivo e vitale con Lui, con i sogni della sua vita?".
Le parole cambiano, le parole invecchiano, si fanno stanche!
Vedete, qualche volta - lo farò anche oggi - vi propongo di professare la fede con parole un po' diverse da quelle a cui siamo abituati: "Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero..." queste parole a molti di noi non dicono più niente... "Della stessa sostanza del Padre..." Che vorrà mai dire? Noi non parliamo più così!
Ecco, ogni comunità cristiana, ma ogni persona, chiunque tenta di andare dietro Gesù dovrebbe domandarsi: "Chi è per me Gesù? Come posso parlare di Lui a un bambino che cresce oggi? Cosa posso dirgli per testimoniare qualche cosa di Gesù?".
Giovanni è un testimone, usa parole che noi non comprendiamo, ma l'importante è che i discepoli che lo ascoltano hanno poi il desiderio di incontrare Gesù, entrare in amicizia con Lui, condividere qualche cosa dei suoi valori, dei sogni del suo cuore: è questa la domanda di ogni cristiano serio che ha attraversato la storia del mondo: "Posso anch'io seguire Gesù? Fino a che punto i suoi sogni, i suoi valori, i suoi ideali fanno parte della mia vita, fino a che punto sono suo amico?".
Il Signore ci aiuti.
E disse loro: "Venite dietro a me, III DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 23 Gennaio 2011
vi farò pescatori di uomini". Isaia 8, 23 - 9,3 Matteo 4, 12-23
Quando Gesù sa che Giovanni il Battista è stato messo in prigione lascia Nazaret, si reca sulle rive del lago per continuarne la missione. Giovanni è l'ultimo di una grande serie di persone che hanno tentato, come hanno potuto, di essere testimoni di luce, di bellezza e - come avete ascoltato - anche di gioia, di esultanza, di incontro con il Signore.
Questo lungo filo che ha attraversato la storia fin dagli inizi continua, anzi, sembrerebbe arrivato ormai al compimento: i popoli hanno visto, finalmente, "la grande luce", potrebbe essere tutto finito, ma - come avete ascoltato - la storia continua!
Gesù chiama dei discepoli, semplici uomini di Galilea. Anche loro sono invitati a continuare il lungo cammino di ricerca di luce, di testimonianza della bellezza, della gioia, della vita condivisa: un cammino che arriva fino ai nostri giorni.
Pensate ai grandi personaggi, che so, a Francesco d'Assisi o a Martino di Tours o, per venire più vicino a noi, pensate a don Bosco o a don Orione o a Madre Teresa o a san Vincenzo Pallotti di cui ieri abbiamo celebrato la festa in questa chiesa.
Ma sono solo loro? Solo questi personaggi con una vocazione particolare, oppure la chiamata riguarda tutti i cristiani? È una cosa che ci coinvolge tutti!
Mi capitava nelle settimane passate di ascoltare la notizia di una statistica - credo abbastanza attendibile - secondo la quale il venticinque per cento degli italiani fa opere di volontariato. Venticinque per cento: sono milioni di persone!
Qualcuno mi faceva notare che non è una notizia del tutto buona, perché significa che bisogna sopperire all'inadeguatezza dello Stato e che manca la passione e la partecipazione alla vita politica e ci si rifugia in piccoli servizi quotidiani... ma questo sarebbe un discorso lungo e complesso... fermiamoci all'aspetto straordinariamente positivo di questa notizia!
Milioni di persone, in questo paese, dedicano gratuitamente e liberamente un po' del loro tempo a gesti di servizio, di attenzione verso gli altri. Milioni di persone cercano di portare, in questo paese, un po' di gioia, un po' di luce, un po' di tenerezza, a chi è in difficoltà...
Ma è solo questo il servizio, il volontariato? Pensate a quanti papà e mamme si dedicano ai loro figli. Pensate a quanti nonni si occupano dei loro nipoti sacrificando, a volte, molto del loro tempo, della loro libertà, per essere testimoni di tenerezza, di luce, di bellezza della vita.
Non lo dimenticate! Questa pagina del Vangelo ci ha detto che Gesù chiama i discepoli mentre stanno gettando le reti in mare o stanno sulla riva a rassettare la rete. Che motivo c'era di sottolinearlo? Passa Gesù, li chiama, è un momento straordinario, perché sottolineare che stanno pescando o rassettando la rete? Perché la chiamata del Signore ci raggiunge nel quotidiano della nostra vita! Nel lavoro che facciamo, nella famiglia in cui abitiamo, nel gruppo di amici.... è lì che ciascuno di noi è invitato a continuare questa lunga storia di testimoni della luce. Comincia dal principio del mondo e arriva fino a noi...
Quando, con sgomento, vedete in maniera insistita e ripetuta fino alla nausea, tutta la volgarità di quello che succede in questo momento in Italia... vi prego con tutto il cuore, non dimenticatelo: l'Italia non è quella...! L'Italia non è quella! L'Italia siamo anche noi! L'Italia sono milioni di persone che vivono il volontariato. L'Italia sono milioni di persone che partecipano con passione alla vita.
Occorre conservare nel cuore un po' di ottimismo per continuare a sentirci tutti chiamati a portare luce, ad essere testimoni di bellezza, di gioia, di vita intorno a noi: è questa la vocazione cristiana! Non riguarda soltanto alcuni personaggi che hanno fatto opere straordinarie... no, non è solo quella la storia! La storia è fatta da milioni di persone, da miliardi di persone.....
Qualcuno mi dice: "Ma lo fanno anche quelli che non sono cristiani!". Ancora mi tocca ascoltare queste parole! Che importa se non sono cristiani, se sono atei? L'importante è che cerchino, anche loro, di essere testimoni di luce e di bellezza e si sentano fratelli con chiunque.
Nella mia lunga vita, - ve lo posso confessare con grande semplicità - ho incontrato tante persone che si dicono atee - un tempo dicevo così, adesso dico, per rispetto a loro, che "sono" atee - e che sono infinitamente migliori di me.
Gente che testimonia il servizio, l'attenzione verso gli altri con una tenerezza straordinaria e mi dovrei preoccupare perchè non sono cristiani? Rallegriamoci perché il Vangelo dice che lo Spirito di Dio soffia su tutta la terra. Il vento di Dio investe ogni uomo a qualunque religione, razza o popolo appartenga. Tutti facciamo parte di questa lunga storia di gente che tenta sulla terra di testimoniare la luce, la pace, la gioia.
Il Signore ci aiuti.
"Beati i miti, i misericordiosi, IV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 30 Gennaio 2011
beati quelli che hanno fame e Matteo 5, 1-12
sete della giustizia, beati gli
operatori di pace"
La comunità di Matteo è formata, in gran parte, da Ebrei e, per arrivare alla straordinaria pagina che abbiamo appena letto, devono aver fatto un lungo e faticoso cammino. Tentare di ripercorrere, almeno sommariamente, questo cammino può essere molto utile per noi.
Vedete, gli Ebrei sentono da tempi antichissimi di appartenere a una razza, a un popolo che ha una missione particolare, è chiamato da Dio ad essere nel mondo testimone di valori autentici, di fede nell'unico Dio, nella sua Parola, nella ricchezza straordinaria che essa contiene. Si sentono depositari di tesori di cui sono responsabili e hanno tentato, nei secoli che precedono il tempo di Gesù, di custodire questi tesori con tutta una serie di regole, di precetti, di prescrizioni.
Pensavano che la loro grande fede, il loro rapporto con Dio, il tesoro della loro esperienza religiosa fosse protetta da tutta una serie di regolamenti, di riti sempre più minuziosi e complessi: di questi riti vive ancora, in parte, la comunità ebraica.
Ora, gli Ebrei della comunità di Matteo, probabilmente per la persecuzione, sono spinti in giro per il mondo e, lì, si confrontano con persone di altre razze, di altre religioni, che hanno un modo di vedere, di pensare profondamente diverso dal loro: alcune di queste persone desiderano diventare cristiane e allora, cosa si fa?
Coloro che vogliono diventare cristiani devono, in qualche modo, diventare ebrei? Non si può diventare ebrei! Ebrei si nasce, figli del padre, della madre, appartenenti a una razza particolare. Ma possono, in qualche modo, essere accolti nella Chiesa di Dio? Sì, - rispondono la maggior parte dei cristiani - a patto che osservino tutte le regole, le leggi, i riti, le prescrizioni... ma molti di loro, alcune di queste regole non le capivano.
Non capivano perché non si dovesse mangiare la carne di maiale, che nel mondo del Mediterraneo era largamente diffusa. Non capivano tanti riti di purificazione che bisognava fare prima di mangiare, prima di entrare nella sinagoga eccetera...
La comunità ha dovuto discutere, pregare, parlare, ripensare per cercare di capire cos'è essenziale. Cos'è veramente importante? Cosa ci ha comunicato Gesù?
E arrivano... - forse perché hanno faticato più delle altre comunità - ad avere chiarezza; quella chiarezza che tentano di comunicarci.
Vedete, il Vangelo di Matteo contiene cinque grandi discorsi che sono la caratteristica di questo Vangelo. A questi discorsi la comunità affida il cuore della sua fede, della sua esperienza dell'incontro con Gesù.
Il primo discorso comincia con le parole che avete appena ascoltato: "Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, beati i miti, i misericordiosi, gli operatori di pace..."
L'ultimo discorso finisce con le parole che tutti conoscete: "Avevo fame e m'hai dato da mangiare...". "Quando mai, Signore?". "Ogni volta che hai fatto questo al più piccolo dei fratelli, lo hai fatto a me".
Ecco, tra questi due grandi pilastri c'è tutto il Vangelo di Matteo! Si arriva alla chiarezza! Quello che conta non è l'osservanza delle regole, l'appartenenza ad un popolo, il far parte di una razza, nemmeno la fede in Dio, la preghiera: quello che conta è ciò che c'è nel cuore dell'uomo!
Chi è mite, misericordioso, pacifico, affamato e assetato di giustizia, chi sa operare la pace, chi sa chinarsi sulla sofferenza di chi gli sta accanto: quello è gradito a Dio! Quello ha conservato nel suo cuore il messaggio profondo e unico del Signore Gesù!
Dopo duemila anni queste parole dovrebbero essere acquisite... ma ripensate alla storia...
Fino al millesettecento molti cristiani ritenevano legittima la schiavitù, perché i "neri" erano esseri inferiori. Per molto tempo si è ritenuta inferiore la donna a cui non potevano essere affidati ruoli nella Chiesa… qualcuno dubitava che avesse il cervello.
In nome del Signore, con la croce in mano, è stata conquistata gran parte dell'America latina, gran parte dell'Africa. Direte: "Ma è voglia di potere!". Sì, di potere, ma con la croce in mano, con schiere di preti, di frati, di monache che accompagnavano queste conquiste, senza che si levassero - a parte qualche eccezione - delle voci coraggiose. E tutto questo è arrivato all'ultima grande catastrofe del secolo scorso: milioni e milioni di ebrei, di zingari, di omosessuali, di gente diversa è stata bruciata come materiale di scarto!
Tutto questo comincia da quando i cristiani - molti cristiani, la maggior parte dei cristiani in Italia e in Germania - hanno accettato le leggi razziali! Quando si discrimina un uomo non dal suo cuore, dalla sua mitezza, dalla sua fame e sete di giustizia, dal suo tentare di operare la pace... quando si giudica un uomo e si divide l'uomo dall'uomo in base alla razza, alla appartenenza ad un popolo, allora c'è il seme della catastrofe! È lì la responsabilità di molti dei credenti e anche delle autorità della Chiesa del secolo scorso!
E, questo, è tutto finito? Le leggete le cronache dei giornali? Quanto si diffonde, anche nel nostro paese, il concetto che ci sono persone che sono diverse e peggiori perché appartengono ad un altro popolo?
Vedete crescere nel nostro paese delle forme - magari subdole - di razzismo, l'incapacità di accettare costumi, modi di pensare, idee diverse? Vi accorgete che c'è - anche nell'autorità della Chiesa - la convinzione di possedere la verità e che gli altri debbono essere soltanto convertiti; che si distingue tra chi crede e chi non crede, tra chi appartiene alla Chiesa e chi non appartiene? Tutto questo è quel seme perfido che può generare catastrofi!
Questa pagina del Vangelo ci dice: "Spalancate i confini del vostro cuore". Ogni uomo, a qualunque razza, a qualunque religione e anche se non ha religione conta per ciò che ha nel cuore!
Non si può fare di "ogni erba un fascio". È perfettamente giusto! Non si può mettere sullo stesso piano un delinquente e uno che non lo è. Il delinquente va perseguito a qualunque razza e popolo appartenga. In Italia, la maggior parte dei delinquenti, sono italiani! Adesso ne stanno venendo da fuori... delinquenti sono e come delinquenti vanno trattati, ma non lo sono certo tutti! Non perché appartengono a quella razza, non perché la pensano in quel modo, non perché si vestono in quella maniera, non perché vengono da quella regione sono delinquenti... se lo sono, la loro delinquenza va provata e provata in un giudizio giusto e rispettoso!
Ogni uomo va guardato per quello che è, per quello che c'è nel suo cuore, per la fame e sete di giustizia che ha, per la passione che ha per la vita, per la capacità di essere mite, misericordioso, pacifico, di essere attento agli altri…
"Beati i miti, i misericordiosi, i pacifici, gli affamati e assetati di giustizia"
È questo - secondo la comunità di Matteo e credo secondo noi - il cuore stesso del messaggio di Gesù. Ci libera da ogni distinzione di razza, di religione, di popolo, di appartenenza: non dimenticatelo mai! In quello che abbiamo letto stamattina non c'è scritto: "Beati quelli che vanno in chiesa, quelli che pregano, quelli che credono in Dio". Non c'è! C'è invece il senso della pace, della misericordia, della fame e sete di giustizia che dovrebbe esserci nel cuore di ogni uomo: da questo un uomo può essere giudicato e non da appartenenze, regole, tradizioni.
Non è stato semplice per tutti quelli che ci hanno preceduto - badate - non è semplice nemmeno per noi. Questo problema lo hanno i vostri figli, lo avranno i vostri nipoti e, probabilmente, anche i pronipoti e speriamo che siano saggi!
Allora, se volete concludere, forse, in maniera un po' moralistica, guardatevi qualche volta davanti allo specchio e chiedetevi: fino a che punto ho fame e sete di giustizia? Fino a che punto sono mite, misericordioso, operatore di pace? Senza guardare ai grandi problemi del mondo, guardandovi intorno... con i figli, i nipoti, la moglie, gli amici... è lì che noi possiamo vivere le "beatitudini"!
Il Signori ci aiuti.
"Voi siete il sale della terra, V DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 6 Febbraio 2011
voi siete la luce del mondo". Matteo 5, 13-16
L'ho ripetuto tante volte, alle persone più diverse, per cadere anch'io nella stessa trappola. Vedete, ascoltando le parole del Vangelo di oggi: "Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo", rischiate di cominciare subito a chiedervi: "Ma io per chi sono stato "sale", chi ho illuminato nel cammino della mia vita?" E tentate di fare un bilancio, che ho sempre sconsigliato perché i bilanci della vita sembrano quasi sempre negativi e viene la sfiducia, lo scoraggiamento, se non peggio, il senso di colpa e la depressione: fuggite da tutto questo!
Ho cominciato a pormi un'altra domanda: "Chi è stato luce per me!". E, allora, il cuore si dilata nella riconoscenza quasi senza limite.
Ho avuto la fortuna che la mia vita sia stata attraversata da grandi personaggi che hanno illuminato il mio cammino. Pensate - per stare nella vita della Chiesa - a Giovanni ventitreesimo, pensate a Charles de Foucauld, a don Milani o a tanti altri... il loro elenco sarebbe lunghissimo... ma, anche, a personaggi al di fuori della Chiesa, a volte, lontani migliaia e migliaia di chilometri, pensate (per esempio) a Gandhi e a tanti altri... Tante persone di ogni razza e genere che hanno portato luce nella mia vita, che hanno portato calore nel mio cammino cristiano.
Ho letto tanti libri di teologi importanti, di studiosi. Ho incontrato dei geni, nella mia esperienza di studente, che hanno arricchito la mia intelligenza, che hanno portato luce dentro di me; persone straordinarie, libri straordinari!
Questo non è tutto, anzi, non è nemmeno la parte più importante perchè, chi più ha portato luce nella mia vita, sono state le persone con cui ho condiviso l'esistenza, a cominciare da mio padre, da mia madre, dalla loro tenerezza, dalla loro saggezza, dall'incontro con i nonni, con alcuni zii, ricchi di un'antica saggezza contadina.
E poi, crescendo, ho incontrato tante persone: bambini, giovani, adulti, anziani con gli occhi ormai appannati, ma che avevano da comunicarti, con ironia, tanta saggezza della vita, tanta luce sul cammino dell'uomo sulla terra.
Ho letto il Vangelo centinaia di volte insieme a delle persone e non ho mai terminato senza che un po' più di luce avesse arricchito la mia esperienza, la mia mente e il mio cuore. Sono le persone concrete, a volte, i bambini, gli adolescenti che ti fanno scoprire qualche cosa di fondamentale della vita.
E, poi, mi sono domandato, ma provate a domandarvelo anche voi: "Che cosa, chi ha dato gusto e sapore alla mia vita?"
Cominciate dalla natura... la bellezza delle montagne qui intorno nel Lazio, nell'Abruzzo - ce ne sono tantissime, le conosco quasi tutte - montagne molto belle. E per noi che viviamo qui a Ostia, il mare, la pineta, gli alberi, i fiori. E, poi, lo splendore delle Dolomiti in cui ho passato tante vacanze della mia vita.
E non soltanto lo splendore e la bellezza della natura ma, anche, le cose che hanno fatto gli uomini. Ho avuto la fortuna di cominciare il mio cammino di cristiano, di assistere per la prima volta alla Messa nella chiesa di Santa Maria in Trastevere, una delle più belle chiese di Roma.
Assistevo - quando ero bambino - alla Messa con davanti gli splendidi mosaici di Cavallini… e poi tutto lo splendore dell'arte che c'è in giro per Roma: abbiamo avuto, qui, i più grandi artisti del mondo: Michelangelo, Caravaggio, Tiziano, Raffaello e si potrebbe continuare in un elenco senza fine. Pensate a Borromini, a Bernini e a tanti altri.
L'arte, la bellezza della cultura e poi i romanzi: quanti ne ho letti specialmente quando ero giovane… ora preferisco leggere saggi. Poi i film e qualche spettacolo alla televisione: tutto questo ha arricchito, dato gusto, il senso della bellezza alla mia vita.
Ma cosa sarebbe tutto questo se non ci fosse stata la tenerezza dell'amicizia, la gratuità delle persone con cui ho condiviso la vita?
Fin da quando ero bambino sono stato amato e rispettato in maniera profonda, poi ho incontrato tante persone con cui ho stabilito rapporti di gratuità... non mi cercavano per qualche cosa ma perché ero io! E così io cercavo loro, senza fare grandi cose, senza fare grandi opere, no! L'amicizia, la tenerezza, il rispetto, il condividere qualche serata intorno a una tavola a scherzare, a raccontare qualche barzelletta, a scambiare impressioni e sentire sempre che si è amati, che si è circondati da tenerezza e da affetto: questo dà calore e gusto alla vita!
Per voi, forse, c'è molto di più, c'è lo splendore della nascita di un bambino, i nipoti che vi crescono accanto, tutta la ricchezza che può darti una persona a cui hai dato la vita.
Ecco, quando avete fatto questo lungo percorso e quando, forse con un po' di nostalgia e di tenerezza, avete guardato indietro, allora potete chiedervi: - ma sarà una domanda molto più tranquilla, che non genera ansia - "Forse, anch'io sono stato un po' luce per chi mi ha incontrato? Anch'io ho dato un po' di gusto alla vita delle persone con cui ho condiviso il cammino sulla terra?". E, allora, la domanda è molto più semplice e potete rispondervi: "Forse sì!".
Quando... - l'ho ripetuto tante volte - andrò davanti al Padreterno e mi chiederà: "Che cosa hai fatto?". Gli dirò: "Niente di importante... non ho fatto grandi cose, non ho costruito niente, non ho fondato nessun Ordine religioso, non ho fatto nessun miracolo, non ho scritto libri... niente di tutto questo! Forse qualche bicchier d'acqua a qualcuno l'ho dato, qualche bicchiere d'acqua che ha reso più gustosa, più bella, più tenera la vita".
E mi dirà: "Basta, basta e avanza!" Perché quello che conta è proprio questo!
E, allora, guardatevi dietro, chi ha i capelli bianchi come me e la fine ormai si avvicina, con tenerezza, con nostalgia di tante cose che sono state e che, forse, non tornano più, ma che hanno arricchito la nostra vita, sono state per noi "sale" che hanno dato gusto alla vita, sono state per noi "luce" e, forse, lo siamo stati anche noi un pochino, un pochino soltanto - ma non ha importanza - per gli altri e speriamo di continuare ad esserlo.
Il Signore ci aiuti.
"Non sono venuto per VI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 13 Febbraio 2011
abolire la Legge, Matteo 5, 17-37
ma per dare compimento.
Avete tutti notato che la pagina di oggi è lunga e complessa. Sarebbe piuttosto difficile spiegare frase per frase questa pagina che - magari - potete rileggere a casa tranquillamente.
Tenterei - se mi riesce - di farvi vedere il senso complessivo di questo discorso che può essere di grande importanza per noi e che coglie, forse, uno degli aspetti essenziali del Vangelo e della vita cristiana.
Vedete, la legge è una grande conquista dell'uomo. Fin dagli inizi l'uomo ha tentato di darsi delle regole. Fin dall'antico "occhio per occhio, dente per dente" che non esorta alla vendetta, ma è il tentativo di equilibrarla... se ti rompe un dente non puoi cavargli un occhio… e, poi, da lì il lungo, lento cammino che arriva fino ai Codici moderni e noi Romani abbiamo dato un grandissimo contributo perché il Diritto fosse una cosa seria e il più possibile giusto.
Senza leggi il mondo sarebbe un caos! C'è bisogno delle regole e c'è bisogno anche che queste regole prevedano la punizione per chi le viola in maniera grave… anche il Vangelo - come avete ascoltato - dice che della Legge non si cambierà neppure una virgola, neppure un segno ma... "se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli". Perchè si deve "superare" la giustizia degli scribi e dei farisei che, poi, è la giustizia della nostra società?
Perché, vedete, se mi fermo alla legge, rischio di osservarla soltanto perché ho paura del premio e del castigo. Rischio di non capire perché c'è quella legge, quali valori ci sono dietro.
Rischio anche di subire costantemente il fascino del proibito... se vivo senza legge forse posso arricchirmi, vivere una vita più bella; allora, c'è la tentazione di andare aldilà della legge, di violarla.
Ma c'è - secondo il Vangelo - un pericolo ancora maggiore: osservando tutte le minuzie della legge - come fanno gli scribi e i farisei - si rischia di sentirsi buoni e di giudicare gli altri senza misericordia.
Gesù tenta di portarci oltre! Tenta di farci vedere che aldilà della legge ci sono delle scelte di giustizia, di onestà, di rispetto verso gli altri, di tenerezza, di generosità, di altruismo, di trasparenza, di sincerità, di libertà autentica: se hai questi valori nel cuore, allora, è come se salissi su una montagna e le brume della pianura, le leggi si fanno lontane...!
Che senso ha dire ad una persona che cerca di vivere il rispetto, la tenerezza e l'amore verso tutti: "Tu non uccidere!"
Che senso ha dire a chi sa donare qualcosa di quello che ha agli altri: "Tu non rubare!"
Ecco, Gesù vuole portarci oltre, vuole metterci nel cuore il desiderio della gratuità, il desiderio della libertà, della trasparenza, della verità, della limpidezza.
Che senso ha dire ad uno sincero, limpido, che sa dire: "Sì, sì; no, no", che deve giurare onestamente! Lui non ha bisogno del giuramento perché ama la verità, la trasparenza, la sincerità.
Ecco, aldilà della legge, quello che conta è quello che c'è nel cuore dell'uomo, i valori di cui si nutre e, allora, la legge sparisce. Siamo - come dice l'apostolo Paolo - liberi dalla legge. Qualcuno di voi dirà e giustamente: "Ma ne abbiamo ancora bisogno!" Sì, anch'io ne ho bisogno! Qualche volta ho bisogno della legge... ma perché sono un pover'uomo... non sono stato capace di amare, di tentare di essere come Dio.
Dio è la pienezza della gratuità, la pienezza della libertà, dell'amore. Io dovrei tentare di essere come Lui: "Siate perfetti - così finisce questa pagina del Vangelo - come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli".
È un sogno! È un cammino che non ha limite! Qualche volta non ce la facciamo: per questo ci ritroviamo qui a chiedere perdono al Signore... non per aver violato la legge, ma per non aver creduto fino in fondo ai valori che Gesù ci ha trasmesso; il perdono per non essere stati capaci di tradurre nella vita di ogni giorno i sogni della gratuità e dell'amore.
Ecco il Vangelo! C'è la legge e dobbiamo averne tutti un gran rispetto, oggi si rischia di perderlo! Ma perché ci sia rispetto della legge bisogna capire perché c'è una legge, cosa c'è dietro... non devo rubare, non devo mentire... perché amo la vita, la verità, perché amo gli altri, ho rispetto di tutti: se non capisco questo, l'osservanza della legge, sarà sempre in pericolo, avrò sempre la tentazione di violarla, oppure rischio di sentirmi buono e condannare il prossimo.
Ecco, volevo dirvi che il Vangelo è "sogno", sogno non astratto, sogno che Gesù ci invita a rendere concreto nella nostra vita... perché la legge non valga più per noi. L'apostolo Paolo dice che siamo liberi dalla legge, liberi non perché facciamo quello che ci pare, liberi perché sappiamo andare aldilà della legge. Non soltanto non uccidiamo, ma se ci accorgiamo, davanti all'altare, che un fratello ha qualche cosa contro di noi - non che lo abbiamo offeso -... lasciamo lì l'offerta e andiamo a tentare di riconciliarci.
Ecco, la pienezza della gratuità, del rispetto, della tenerezza, della vita condivisa con gli altri! Non è semplice, non può essere semplice: dobbiamo tentare di essere come Dio: è il sogno che Gesù vuole mettere nel cuore di ogni credente, anche nel nostro.
Il Signore ci aiuti
"Voi, dunque, siate perfetti come VII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 20 Febbraio 2011
è perfetto il Padre vostro celeste" Matteo 5, 38-48
"Per fortuna - dice qualcuno - Dio ci ha fatto due guance sole, altrimenti, la vita diventerebbe troppo complicata". Qualcun'altro - forse più saggiamente, senza scherzare - dice: "Questi precetti sono assurdi, troppo lontani dalla vita di ogni giorno. Non possiamo subire la violenza, non possiamo, a chi ci chiede la tunica, dare anche il mantello".
E se il discorso del Vangelo di oggi fosse completamente diverso, ve lo siete mai chiesto? Qui abbiamo parole paradossali che vengono dall'oriente, ma non servono a darci delle regole di comportamento. Più volte il Vangelo ci ha raccomandato che quello che è giusto o non giusto fare, dobbiamo scoprirlo da noi stessi. Ricordate la frase: "Voi sapete distinguere i segni del tempo.. se la sera vedete che il tramonto è rosso, dite: domani farà bel tempo... perché non capite da voi quello che è giusto?" Capire quello che è giusto è compito di ogni persona che si guarda intorno e cerca di interpretare la vita.
Ma, allora, che c'è qui? Qui c'è - forse - la più profonda esperienza dei primi cristiani che tentano di intuire Dio, perché il Vangelo prima di essere una regola morale, è ricerca del volto di Dio.
Chi è Dio? I primi cristiani hanno fatto, a questo proposito, un'esperienza sconcertante! Vedete, aspettavano... - erano discepoli di Giovanni il Battista molti di loro - una manifestazione della potenza, della forza di Dio. Giovanni prometteva "il giorno rovente come il forno" in cui tutto il male sarebbe stato bruciato e i giusti fatti risplendere nella luce.
Niente di tutto questo! L'esperienza che hanno fatto di Dio è l'esperienza della Croce, l'esperienza della debolezza, del fallimento. Dio, in Gesù, si abbandona alla violenza del mondo. Non oppone violenza a violenza, forza a forza, potere a potere... Lui ha da opporre alla violenza e alla forza soltanto l'amore, il servizio, il dono, la gratuità: è il sogno! Il sogno di Dio, aldilà delle possibilità dell'uomo.
Cosa significa, questo, nella nostra vita concreta?
Noi non possiamo subire la violenza, anche perché così facciamo del male a chi ci fa violenza! Allora, cosa può significare, nella vita concreta tentare di essere - almeno un po' - come Dio che fa "piovere sui giusti e sugli ingiusti, che fa splendere il sole sui buoni e sui cattivi"?
Il Dio che conosciamo in Gesù di Nazaret non è il Dio della potenza, della forza... glielo chiedono anche sotto la croce: "Se sei il Figlio di Dio, scendi e crederemo in te". Non è sceso! È venuto in mezzo a noi per condividere i bassifondi della storia e per opporre... - come diceva e lo avete ascoltato anche oggi l'apostolo Paolo - la "stoltezza" di Dio alla "sapienza" degli uomini.
Gli uomini spesso credono che conti il potere, la ricchezza, a volte la violenza e la forza per imporsi sugli altri. Dio propone la "stoltezza" dell'amore, della condivisione, della ricerca della pace, della gratuità.
Cosa significa, questo, nel concreto della nostra vita, nei rapporti del marito con la moglie, nel rapporto con i figli, con la gente che incontriamo, nello sguardo su questa società? È qualcosa che non possiamo trovare nel Vangelo! È qualcosa che ciascuno di noi deve cercare con tutta la passione della propria vita e se non ci riesce...?
Nessuno ci può riuscire fino in fondo! Nessuno di noi può realizzare pienamente questa pagina del Vangelo perché - come avete ascoltato - si conclude con la frase: "Siate perfetti come è perfetto il Padre nei cieli". Siate perfetti come Dio!
Non è possibile! Non ci provate perché non ci riuscirete mai!
E, allora, vedete, quello che importa non è riuscire, arrivare, ma un cammino continuo alla ricerca... alla ricerca della gratuità, della tenerezza, dell'incontro con l'altro; alla ricerca della riconciliazione senza scoraggiarsi.
Come Dio... dobbiamo tentare di essere come Lui, ma prima dobbiamo scoprire il volto di Dio. Ci hanno parlato troppo di una "provvidenza", di un Dio che sistema ogni cosa. Dio ha affidato la provvidenza della storia al nostro coraggio, alle nostre scelte, alla nostra capacità di amare, di costruire la vita in un cammino che non arriverà mai alla meta.
Il cristiano, che si sente giusto, che pensa di essere arrivato ha smarrito la strada, perché deve essere come Dio, deve tentare di arrivare alla sua perfezione.
Non ci arriveremo mai! Ma è anche vero che non c'è il primo, il secondo, chi arriva alla meta e chi non ce la fa... c'è soltanto la strada da fare, il tentare di capire chi è Dio e come posso sentirmi figlio. Come posso, anch'io, essere come Dio che va a cercare "la pecora che s'è perduta", l'unica che si perde! Dio che "fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti". Che significa, questo, per la mia vita concreta, per i miei rapporti con gli altri?
Domande...! Sempre domande in un cammino che non finisce mai, nel tentativo di essere - almeno un po' - come Dio: il sogno del cristiano, il sogno che Gesù ha voluto consegnarci.
Il Signore ci aiuti
"Cercate invece, anzitutto, il VIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO -27 Febbraio 2011
regno di Dio e la sua giustizia, Matteo 6, 24-34
e tutte queste cose vi saranno
date in aggiunta…"
Per fortuna, quando ero un piccolo bambino, la domenica, il Vangelo si leggeva in latino e la gente non capiva e i preti si guardavano bene dallo spiegare il Vangelo… sembrava troppo complicato e, poi, un principio di libertà; quindi, era meglio raccontare storie della vita dei santi.
Mio papà e mia mamma e, con loro, milioni di persone in questo paese si sarebbero sentiti turbati e offesi. Eravamo nel quarantuno, quarantadue e dire alla gente: "Non preoccupatevi di quello che mangerete, di come vestirete…": era la loro preoccupazione di tutti i giorni!
Per dar da mangiare ai figli bisognava arrampicarsi sugli specchi! Mia mamma - ma come lei, tanti - andava al mercato alla fine quando rimanevano soltanto gli scarti, per trovare qualcosa da darci da mangiare… altro che non preoccuparsi di quello che si mangia o come ci si veste! Era l'affanno di ogni giorno!
E, per andare più lontano da quei tempi calamitosi… "Chi di voi - dice il Vangelo - può allungare anche di poco la propria vita?".
Ebbene, non per la provvidenza di Dio, ma per lo studio appassionato di medici la vita, dal tempo di Gesù a oggi, si è quasi triplicata, non magicamente, ma perché molti hanno cercato di migliorare la salute, di darsi da fare, di cercare, di studiare.
Qui, in parecchi - io compreso - siamo dei sopravvissuti! Se non ci fosse la scienza medica qualcuno di noi non vivrebbe più! La scienza ci ha permesso di allungare i giorni della nostra vita.
È necessario che l'uomo si preoccupi di quello che mangia e beve. È necessario, che la scienza, si preoccupi di allungare e di rendere sempre migliore la vita dell'uomo.
Allora, che senso possono avere queste parole? Possiamo ancora leggerle senza scandalizzarci, senza turbarci, senza ritenerle senza senso?
Vedete, forse di queste parole, nel tempo in cui viviamo, ne abbiamo più bisogno di quando ero bambino! Perché, adesso, che non dobbiamo più - almeno la maggior parte di noi - troppo preoccuparci di cosa mangiamo o di come ci vestiamo, rischiamo di basare la nostra vita sulla ricchezza, di affannarci ad accumulare sempre più e soldi e potere con mezzi non sempre leciti.
Se mio padre avesse saputo che doveva esortare una delle sue figlie a farsi avanti per ingraziarsi un potente a qualunque costo… credo che si sarebbe buttato nel Tevere!
A questo punto siamo ridotti! A questo punto l'affanno per la ricchezza rischia di umiliare la dignità dell'uomo, la dignità della donna, la dignità di una persona. L'affanno per avere potere, per avere ricchezza rischia di sciupare la vita dell'uomo.
C'è una profonda differenza tra il preoccuparsi di come nutrire i propri figli, di come procurare per loro, onestamente, un lavoro… dal volere accumulare, dal pensare soltanto per sé, dal pensare che si vive soltanto se si hanno soldi, se si ha potere!
E, questo, vale anche per i nostri ragazzi che, spesso, sono preoccupati di come si vestono, di mettersi i jeans o le scarpe all'ultima moda e, se i loro compagni ce l'hanno e loro no, si sentono umiliati; di avere l'ultimo giochetto elettronico e, se i loro compagni ce l'hanno e loro no, gli sembra di mancare della dignità di essere uomini, impossibilitati a crescere.
Forse anche a loro dovremmo tutti - ogni famiglia e ogni scuola - preoccuparci di comunicare i valori autentici, quello che rende l'uomo, uomo!
Forse in questa pagina c'è anche un invito alla contemplazione degli uccelli del cielo e dei fiori del campo… rischiamo di smarrire questo stupore, questa meraviglia! Anche perché di uccelli se ne sentono sempre meno cantare! Anche perché i fiori del campo è difficile ormai andarli a cercare… i diserbanti, i prodotti chimici hanno umiliato la terra!
Forse, questa pagina ci invita alla contemplazione della natura, a un maggior rispetto, ma, soprattutto, alla fine ci dice: "Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta".
Pensateci un po'! Forse se nella nostra Italia e nel mondo la gente si preoccupasse un po' di più di avere fame e sete di giustizia, di essere mite, misericordiosa, di operare la pace…. non soltanto staremmo più in pace, ma staremmo meglio, avremmo più soldi, più benessere per tutti.
Ecco, forse il senso di questa pagina del Vangelo è proprio questo: cercate prima i valori essenziali della vita, i valori del Regno, i valori che Gesù ha tentato di comunicarci e il resto, forse, ci sarà dato in aggiunta.
Pensate, se ci fosse più pace, se non ci fosse la corsa alla ricchezza, al potere… quanto più benessere ci sarebbe su questa nostra terra così violentata e umiliata.
Questa pagina che sembra, a una prima lettura, folle e assurda, forse ha da darci gli insegnamenti fondamentali per il nostro vivere.
Il Signore ci aiuti.
Chiunque ascolta queste mie parole IX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 6 Marzo 2011
e le mette in pratica, sarà simile a un Matteo 27, 21-27
uomo saggio, che ha costruito la sua
casa sulla roccia.
È l'ultima domenica di carnevale e vorrei - se mi riesce - farvi sorridere un po'. "A carnevale - dicono - ogni scherzo vale" anche se, a volte, dietro il sorriso si cela qualche cosa di importante.
Vorrei raccontarvi alcune cose che mi sono accadute nei giorni passati. Leggevamo, insieme a un gruppo di persone, questa pagina del Vangelo e un signore chiedeva: "Ma come è possibile che, nonostante queste parole, in ogni diocesi ci sia qualcuno che scaccia i diavoli e che per proclamare uno santo o beato ci voglio due o tre miracoli?". Qui sembra chiaro che i miracoli li facciano anche i malvagi che non hanno niente a che spartire con il Signore!
Un altro aggiungeva: "Ma noi abbiamo bisogno del miracolo, siamo povera gente! Quando non sappiamo più a chi rivolgerci, non sappiamo più cosa fare, ci rivolgiamo verso l'Alto sperando che ci sia qualcuno che possa venirci incontro, che possa sollevarci dai nostri guai, dalle nostre preoccupazioni, dai nostri drammi".
Ne abbiamo bisogno… ma potete incontrare un ragazzo (ne ho incontrati parecchi) e anche qualche adulto che dice: "Perché Dio fa il miracolo a uno sì e a un altro no? Perché ci sono nel mondo bambini che soffrono, che nascono con un tumore e per loro non c'è un miracolo?".
Diceva un ragazzo tanto tempo fa: "Se un qualcuno può fare miracoli e ne fa soltanto pochi... non è un santo, ma un delinquente!" Si può sorridere, ma c'è un fondo di verità! Perché a uno sì e all'altro no?
Mi capitava nei giorni scorsi di leggere un sonetto del Belli in cui si parla del miracolo...
"Tre amici escono a spasso per i vicoli di Roma, a un certo punto cade una tegola
"che t’acchiappa Taddeo sur coccialone.
Leone sartò indietro e disse a Pio:
«Attaccàmoce er voto tutt’e dua,
ch’è stato un gran miracolo de Dio».
Taddeo, allora, che faceva un sguazzo
de sangue, repricò pe parte sua:
«Sí, è stato un ber miracolo der ..." continuate voi!
Qualcuno soggiungeva ancora: "Con il Vangelo non si fanno molti soldi, con i miracoli, sì!" Santuari, pellegrinaggi, offerte, candele, e quant'altro. E, allora, che diventa la religione? Si può rivestire di tutta una serie di pratiche, di riti, di processioni, di santuari....
Eccovi un sonetto del Belli! (questo ve lo leggo): La riliggione der tempo nostro
Che riliggione! È riliggione questa?
Tuttaquanta oramai la riliggione
conziste in zinfonie, genufressione,
segni de croce, fittucce a la vesta,
cappell’in mano, cenneraccio in testa,
pesci da tajo, razzi, pricissione,
bussolette, Madonne a ’gni cantone,
cene a punta d’orloggio, ozzio de festa,
scampanate, sbasciucchi, picchiapetti,
parme, reliquie, medaje, abbitini,
corone, acquasantiere e moccoletti.
E trattanto er Vangelo, fratel caro,
tra un diluvio de smorfie e bell’inchini,
è un libbro da dà a peso ar zalumaro. (7)
Il Vangelo si può vendere a peso per incartare il salame nella bottega!
Si può sorridere, ma dietro c'è un po' della storia della Chiesa e un po' della nostra storia! A volte ci fermiamo alle cose esteriori, ai riti, alle preghiere, ai digiuni, alle orazioni... e ci preoccupiamo poco di vivere la parola del Signore!
"Chi ascolta queste parole e le mette in pratica… ha costruito la sua casa sulla roccia": questo è il vero fondamento della religione!
Ascoltare la parola del Signore, conservare nel cuore i suoi valori e tentare - come possiamo - di viverli giorno per giorno. Il resto, possono essere anche cose importanti, fanno parte della tradizione, del folklore della nostra religione, non debbono essere guardati con occhio troppo severo, ma senza mai dimenticare che l'essenza della nostra fede è questa: ascoltare Gesù, camminare con Lui, tentare di mettere in pratica i suoi valori, i sogni della sua vita. Non è affatto facile!
Il Signore ci aiuti
In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito I DOMENICA di QUARESIMA - 13 Marzo 2011
nel deserto, per essere tentato dal diavolo... Matteo 4, 1-11
Le letture che ascoltiamo quest'anno durante la Quaresima sono scelte fin dall'antichità, fanno parte del cammino che i catecumeni, cioè coloro che si preparavano a ricevere il Battesimo nella notte di Pasqua, compivano durante la Quaresima. Ed era segnato da tutta una serie di gesti, di riti particolarmente significativi. Anche i cristiani che erano già stati battezzati, partecipavano a questo cammino, rivivevano i sentimenti, le emozioni, le scelte del loro Battesimo.
A quel tempo - come tutti sapete - la maggior parte dei cristiani si battezzava da adulti ed era, per loro, una scelta, a volte radicale.
Noi abbiamo una difficoltà... la stragrande maggioranza di noi è stata battezzata da bambino; non ne abbiamo nessun ricordo, nessuna emozione... ci rimane difficile ripercorrere quel cammino di scelta, in cui ci si schiera, pienamente, dalla parte di Dio, dalla parte della vita, dell'amore.
I primi cristiani, che accompagnavano i catecumeni al Battesimo, vivevano la Quaresima con tutta una serie di riti simbolici: la rinuncia al male (che ripeteremo oggi) la professione di fede, la consegna del Credo, la luce, la veste bianca... tutti i grandi simboli di quel passo decisivo che era per loro la scelta di diventare cristiani.
Il primo passo di questo cammino, il passo di base è la rinuncia al male: bisogna dire no a tutto quello che sciupa la vita.
Era per i primi cristiani una scelta da adulti e venivano, spesso, da un mondo fatto di sopraffazione, di violenze, di ruberie, avendo incontrato il Signore e la sua parola, dicevano: "Basta, voglio scegliere!". Erano dei convertiti, facevano una scelta radicale: dire no a tutto quello che è male.
Dicevo nei giorni scorsi: "Io, questa esperienza, non l'ho mai vissuta!". Come diceva il mio amico Nino Miraldi: "Noi siamo stati tutti vaccinati "contro" il cristianesimo; ce l'hanno inoculato a piccole dosi. Non abbiamo mai sentito l'impegno di una scelta! Una scelta che per i primi cristiani metteva a rischio la vita, ma avevano capito che in Gesù c'era la Parola che dà vita e allora... sceglievano, per seguire Lui!
Il primo passo del cammino quaresimale era la rinuncia al male, ed ecco la scelta del Vangelo che abbiamo appena letto: Gesù che dice no alla tentazione, al male.
Tutti sapete - penso - che quello che abbiamo letto non è il racconto di un fatto accaduto; è una specie di sacra rappresentazione, un racconto simbolico, drammatico: da una parte Gesù, dall'altra il tentatore… e la prima comunità cristiana individua tre aspetti della tentazione che non sono solo loro, ma anche nostri. Vediamoli un momento....
La prima tentazione: il tentatore (è chiaro: è un'immagine simbolica, non pensate al diavolo con le corna) dice a Gesù: "Ecco delle pietre, tu puoi trasformarle in pane. Hai fame? Fallo!".
Che c'è dietro? "Pensa per te, che ti importa degli altri? I poteri che hai usali per te!". Gesù il pane lo moltiplicherà, ma non per sé, lo farà per la folla, perché sia condiviso.
La seconda tentazione è ancora più sottile, forse, ancora più forte!
II tentatore porta Gesù sul punto più in alto del Tempio e gli dice: "Buttati giù, vedrai che verranno gli angeli a sostenerti, non ti farai alcun male": il prodigio, il miracolo, fatti vedere, mostrati, quello che conta nella vita è apparire, farsi vedere, ricevere l'applauso della gente...
Vedete quanto questa tentazione è forte anche nel nostro mondo che vive di televisione, della voglia di mostrarsi: quello che conta è apparire! Gesù sceglie di "essere", non di apparire. Di essere Colui che vive di servizio, di tenerezza, di amore. Non compirà prodigi straordinari, ma si fermerà a chinarsi sul "paralitico", sull'uomo seduto al banchetto delle imposte per dargli speranza di una vita diversa, di fronte alla donna sorpresa in adulterio, per dire: "Alzati e cammina".
Ecco, il servizio di ogni giorno, nel silenzio, senza che nessuno se ne accorga, ma in un'attenzione profonda e autentica alla gente, all'uomo. La religione per Lui non è basata sul prodigio, sul miracolo, sulle cose straordinarie... è la religione di ogni giorno, la condivisione della vita quotidiana.
E l'ultima tentazione: qual è il tuo Dio?
Il tentatore dice: "Guarda tutti i regni della terra, tutto il potere, tutte le ricchezze del mondo sono tue, fanne il tuo Dio!"
E Gesù: "C'è un solo Dio, Lui solo si può servire!". C'è una sola verità dell'uomo, non può essere il potere ottenuto a tutti i costi, non può essere la ricchezza; la vita non può essere basata solo su questi valori! Ci sono altri valori, più profondi: il servizio, l'amore...
Ecco, quindi, le grandi tentazioni che i primi cristiani rivivevano nel cammino quaresimale. Loro avevano detto il loro no, il loro rinuncio nella loro prima Quaresima, ma sapevano di doverlo ripetere ogni volta, perché la tentazione non è cosa di un momento... perché anche quando ti sei convertito, anche quando hai scelto... poi, la vita ti ripropone continuamente la tentazione di pensare solo a te stesso, la tentazione della pigrizia, del "chi me lo fa fare", del vivere basando la propria vita sui soldi, sul potere, sul successo, sulla corsa, sull'apparire.
Allora stamattina vi inviterei a tralasciare il Credo, lo vedremo domenica prossima... Oggi la rinuncia al male, se volete, vi inviterei ad alzarvi in piedi e a dire per tre volte il vostro rinuncio.
È chiaro che qui sono parole generiche, se Gesù mi chiedesse: "Tu a che cosa vuoi rinunciare per vivere il bene?" Ecco, ciascuno di voi avrebbe qualche cosa di diverso... chi ha un po' di pigrizia, chi ha un po' di intemperanza, chi si arrabbia troppo spesso, chi trascura chi gli sta accanto, chi non è sufficientemente delicato... insomma ciascuno di voi sa cosa può dire, però se posso darmi e darvi un suggerimento: che questo sia un momento significativo, un no sincero al male, un sì sincero alla vita per seguire il Signore.
Rinunciate a sciupare l’amore che Dio vi ha dato e vi dà, per poter costruire la vostra vita, insieme agli altri, nella gioia e nell’amore?
Rinuncio
Rinunciate a vivere nell’egoismo e nell’avidità; rinunciate alla menzogna, all’ingiustizia, all’inganno, alla violenza e a tutto ciò che è male?
Rinuncio
Rinunciate a vivere pensando solo a voi stessi senza impegnarvi verso gli altri, rinunciate a vivere solo per apparire, rinunciate a fare della ricchezza e del potere il fondamento della vostra vita?
Rinuncio
Padre di misericordia, che nella morte e risurrezione di Gesù hai restituito all’uomo prigioniero del peccato la libertà dei tuoi figli, guarda con bontà tutti noi. Preservaci da ogni male nel cammino della vita.
Per Cristo nostro Signore.
"Questi è il Figlio mio l'amato: il lui ho II DOMENICA di QUARESIMA - 20 Marzo 2011
posto il mio compiacimento. Ascoltatelo!" Matteo 17, 1-9
Domenica scorsa - qualcuno lo ricorderà - siamo stati invitati a dire i nostri "no", a rinunciare alla negatività, al male, a tutto quello che sciupa la vita nostra e degli altri: era il primo e importante passo del nostro cammino quaresimale.
Ma non basta dire "no", occorre dire dei "sì", occorre scegliere i valori fondamentali, occorre dire "sì" a tutto quello che arricchisce la vita dell'uomo.
Il Vangelo di oggi ci invita a salire sulla montagna, a guardare, almeno per un momento, dall'alto il rumore, la corsa, l'affanno della vita di ogni giorno. Ad allontanarci dalla "folla", dalle tante voci che rischiano di frastornarci, dalle mode che possono condizionarci.
Ma soprattutto saliamo in alto per incontrare Dio, il suo "oltre", per cercare in Lui i valori assoluti. Per incontrare Gesù e la sua Parola e la grande tradizione biblica rappresentata qui da Mosè ed Elia.
È un momento di luce, di contemplazione, di meraviglia, di stupore, di esaltazione e forse anche di sgomento di fronte a qualcosa di troppo grande per noi. Pietro vuole costruire delle capanne: è troppo bello e vorrebbe fermare quel momento, rimanere lassù.
Non so se è capitato anche a voi di vivere qualche momento di entusiasmo, in cui tutto sembra chiaro e luminoso, in cui i valori di Gesù sembrano assolutamente veri, in cui seguirlo sembra semplice e facile: vorremmo che quei momenti non finissero più.
Ma tutto sparisce, la luce sembra spegnersi… troviamo la frase forse più dura del Vangelo: "alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo". Gesù diventa "nessuno".
C'è chi pensa che il credente debba sempre sentirsi sicuro e in possesso della verità, lontano da ogni dubbio, eppure forse anche nella vostra vita ci sono stati dei momenti in cui l'oscurità e il dubbio hanno trovato spazio nella vostra esperienza, momenti in cui la fede sembra diventare piccola e fragile.
Non si tratta di dubitare che Gesù sia esistito, ma a volte la sua Parola, i suoi valori sembrano solo un'illusione: è possibile, in questo mondo in cui tutto sembra dominato dall'egoismo, in cui la violenza sembra spesso più forte della pace, in cui ciascuno è tentato di farsi i fatti propri, credere nell'amore, nella gratuita, nella fraternità? È possibile condividere la vita nel rispetto, nell'attenzione verso gli altri, nel servizio reciproco?
Eppure il credente tenta di andare al di là dell'oscurità, del dubbio, vuole ascoltare l'invito del Padre a seguire Gesù, cerca di fondare la propria esperienza sulla sua Parola, sa, nel profondo del cuore, che le sue parole sono parole di vita, sa che ci sono valori che vanno al di là del proprio interesse, che non sempre è importante e vero quello che fa comodo.
E non si può restare sul monte, occorre scendere giù in mezzo alla gente dove - come potete leggere nella pagina seguente del Vangelo - ci sono i "diavoli" cattivi, che bisogna combattere senza stancarsi… e si tratta di un combattimento che a volte sembra quasi impossibile, troppo forte è spesso il male del mondo.
La fede non si vive solo in qualche momento di preghiera e di contemplazione, pur così necessario, non consiste solo nei riti e nelle devozioni, ma nel rendere concreti i valori di Gesù nella vita di ogni giorno, nel vivere i rapporti con gli altri nella tenerezza e nel servizio, nell'impegno, a volte faticoso, per la giustizia e la pace.
Oggi siamo quindi invitati al secondo passo per rivivere il nostro Battesimo: la professione della nostra fede. Si tratta di dire il nostro "sì" a Gesù, di rinnovare la nostra fiducia nella sua Parola, il nostro impegno a credere in Lui, nei valori che è venuto a vivere con noi sulla nostra terra.
Il Signore ci aiuti.
Le dice Gesù: "Dammi da bere"!... III DOMENICA di QUARESIMA - 27 Marzo 2011
"Chiunque beve di quest'acqua avrà di Esodo 17, 3-7. Giovanni 4, 5-42
nuovo sete; ma chi berrà dell'acqua che
io gli darò, non avrà più sete in eterno".
Il primo dei grandi simboli del Battesimo: l'acqua. Nella notte di Pasqua i cristiani dei primi secoli si bagnavano nell'acqua, attraversavano la grande vasca costruita davanti all'ingresso della chiesa, immergendosi completamente. Nella Quaresima - soprattutto in questa domenica - erano invitati a riflettere sul senso dell'acqua.
Perché l'acqua? Che senso ha immergersi nell'acqua?
L'acqua è per noi qualche cosa di banale, normalmente sgorga dai rubinetti delle nostre case e la usiamo per lavarci, per cucinare, per bere... È molto diversa la situazione dei popoli del deserto: l'acqua è preziosa! Il pozzo è una cosa quasi straordinaria che permette la sopravvivenza e la sete diventa per molta gente il segno di qualche cosa d'altro: il segno di un desiderio di assoluto, di verità, di giustizia, di vita.
Si nasce nell'acqua, nel liquido materno. Si vive perché c'è l'acqua, con l'acqua si può coltivare il grano... È vero, l'acqua serve anche per pulirsi e in molte religioni... - spesso si fa spazio il senso di colpa - c'è il bisogno di lavarsi, di purificarsi: l'acqua diventa un simbolo di purificazione!
Ma non è così per i primi cristiani che hanno la Bibbia dietro le spalle... l'acqua della notte di Pasqua è l'acqua del passaggio del mar Rosso, che divide dalla terra della schiavitù, che bisogna attraversare per andare verso la libertà. L'acqua si deve "aprire", deve farci passare per una terra nuova dove "scorre il latte e il miele", la terra della libertà, della vita, della pienezza.
Ma questo cammino - come avete ascoltato nella prima lettura - è faticoso e il popolo si lamenta: "Perché ci hai fatto uscire dalla terra d'Egitto a morire, qui, di sete?". Vogliono tornare indietro! Non si può tornare indietro!
L'acqua che sgorga dalla roccia permette di continuare il cammino con coraggio, senza stancarsi. Non si può ritornare nella schiavitù! Non si può ritornare nell'oppressione dell'Egitto! Bisogna andare avanti a tutti i costi!
Ma, per i primi cristiani, il simbolo dell'acqua è affidato - soprattutto - allo straordinario racconto del Vangelo di Giovanni che abbiamo letto stamattina.
Gesù si siede sul pozzo e chiede dell'acqua ad una donna… ma poi conclude: "Se tu chiedessi, io, ti darei l'acqua viva che zampilla per l'eternità".
Non soltanto l'acqua per bere, ma l'acqua dei valori che riempie la vita… e guardateli un momento questi valori che i primi cristiani ritengono importanti.
Arrivano i discepoli e si chiedono: "Perché parla con una donna?" Non si può parlare con le donne! E perché con una samaritana? I Samaritani sono nemici! Ed ecco il primo senso di questa acqua viva! Via le distinzioni tra uomo e donna, tra chi crede in una religione e chi crede in un'altra, tra chi è straniero e chi non lo è: cittadini del mondo... i sogni!
I sogni che Gesù affida a questa acqua viva che tenta di comunicare a chi lo incontra.
L'acqua che spegne la sete di questa donna che - come avete notato - è sete di vita, sete di amore... "Va' a chiamare tuo marito". "Non ho marito". "Cinque ne hai avuti e quello che hai adesso non è tuo marito".
Ecco, forse, questa donna ha bisogno di qualcuno che finalmente gli faccia scoprire la dimensione di un amore "altro", di un amore diverso da quello che lei ha cercato affannandosi per tutto il corso della sua vita.
Ma ha bisogno anche di scoprire che c'è un altro modo di essere religiosi, un altro modo di pregare: "Dove dobbiamo adorare Dio, qui, sul monte Garizim oppure a Gerusalemme?". "Viene l'ora ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità"
Quanto sarebbe importante anche per noi, oggi, ripensare al nostro Battesimo e sentirci uomini che bevono l'acqua che il Cristo dà!
L'acqua che toglie le divisioni tra uomo e donna, tra straniero e cittadino, tra chi crede in una religione e chi in un'altra... Dio, padre di tutti gli uomini e a Lui ci rivolgiamo aldilà di ogni divisione.
Vedete cosa significava, per i primi cristiani, immergersi nell'acqua del Battesimo la notte di Pasqua? Era un "morire" ad un vecchio mondo, seppellirsi nell'acqua per rinascere, quasi ad uscire di nuovo dal liquido materno per vivere un'altra vita... un'altra vita in cui l'amore, la libertà, il rispetto degli altri, l'universalismo, la ricerca del vero volto di Dio e di una religiosità autentica diventassero parole concrete. Ne abbiamo bisogno anche noi dopo duemila anni!
Purtroppo nessuno di noi, entrando in chiesa, ha trovato qui davanti la grande vasca del Battesimo. Nessuno di noi ricorda qualche emozione del proprio Battesimo: ci hanno buttato solo un po' d'acqua sulla testa!
Dobbiamo, con la fantasia, rivivere quel momento, sentire che la vita battesimale è un continuo passaggio attraverso l'acqua, un continuo passaggio dalla schiavitù verso la libertà, dalla divisione verso l'unità, dalla mancanza di senso alla libertà e all'amore: è il cammino che questo tempo quaresimale ci invita ad intraprendere.
Noi siamo poveri di segni, io, oggi, vorrei farvene uno. Ho qui una piccola ciotola e vorrei invitarvi a ricordare la grande vasca del Battesimo, ma voi non ci siete mai passati e, allora, contentatevi di qualche goccia d'acqua, ma ripensate, al passaggio del mar Rosso. Ripensate all'acqua di Massa e Meriba quando si vuol tornare indietro e non si può!
Ripensate - soprattutto - alla donna che finalmente può soddisfare la sua sete nell'incontro con Gesù: sete di vita, di libertà, di amore, sete di Dio: questo è vivere il Battesimo, a questo ci chiama il Signore.
Lui ci aiuti.
"Va' a lavarti nella piscina di Siloe" IV DOMENICA di QUARESIMA - 3 Aprile 2011
Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Lettera agli Efesini 5, 8-14. Giovanni 9, 1-38
Nella notte di Pasqua i primi cristiani passavano nella grande vasca del Battesimo, poi veniva consegnata loro una candela: un segno di luce e ascoltavano le parole dell'apostolo Paolo che abbiamo ascoltato anche noi: "Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore". Appartenevate al mondo del "buio", della violenza, dell'indifferenza, del male... ora avete scoperto il mondo della luce, della bellezza, della gratuità: era il grande fascino della notte di Pasqua.
Durante la Quaresima, la preparazione a questo segno di luce, era affidata allo straordinario racconto del Vangelo di Giovanni che abbiamo appena finito di leggere. (Vi consiglio di rileggerlo cercando di scoprirne tutti i simboli, perché è molto ricco e noi dobbiamo fare in fretta).
La prima cosa: Gesù fa del fango e lo spalma sugli occhi del cieco... perché?
È un simbolo! Occorre prendere coscienza della propria cecità. Rendersi conto del buio che c'è intorno a noi... il buio della violenza, del male, della sopraffazione, presente a volte anche nel nostro cuore. Se non prendi coscienza della tua cecità, se pensi di "sapere" come i farisei di questo lungo racconto... avete ascoltato l'ultima frase: "Se voi foste ciechi, non avreste alcun peccato, ma siccome dite: "Noi vediamo" allora il vostro peccato rimane".
Ecco il grande dramma che può attraversare la vita del credente: quello di credere di "sapere", di non avventurarsi più in un cammino alla ricerca del Signore. Vedete, quest'uomo è tornato dalla "piscina", ci vede, ma non è certo arrivato al termine del suo cammino. Solo alla fine Gesù gli dirà:"Tu credi nel Figlio dell'uomo?". "E chi è?". "Sono io!". "Credo, Signore!".
Un lungo cammino per vivere la fede, riconoscere Gesù, i valori della sua vita nella propria esperienza. Un cammino in cui non ci sono sicurezze, in cui, qualche volta, il dubbio attraversa la vita del credente; il quale non si stanca di cercare e dubita con tutta la forza del suo cuore di chi sa "sempre tutto", di chi dice di possedere sicurezze. (Ce ne sono troppi nella Chiesa, veramente troppi, anche nella Chiesa a noi contemporanea).
Cosa bisogna intravedere? A cosa i nostri occhi si debbono aprire?
La prima cosa di cui parla il Vangelo di oggi è il rapporto con Dio.
"Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?". "Né lui né i genitori!". Basta con questa storia che attraversa ancora oggi la vita dei credenti!
Una delle frasi che ho più sentito ripetermi nel lungo cammino della mia esperienza sacerdotale (sono ormai cinquant'anni): "Padre, che ho fatto di male perché mi capiti questo?". Ecco, l'idea che quando viene un malanno, una disgrazia sia un castigo che viene da Dio! "Né lui né i suoi genitori". Ed è drammatico, terribile, ascoltare oggi...
Nei giorni scorsi.. (lo avrete ascoltato anche voi) un personaggio della cultura scientifica italiana, affermava ad una radio cattolica che lo tsunami del Giappone è la punizione di Dio e che i bambini si sacrificano per il peccato degli altri... sono bestemmie! Ma il dramma è che la Chiesa non si sia ribellata, dal Papa fino all'ultimo dei credenti e non abbiano gridato! Anche perché quest'uomo oltre a fare il vice presidente del CNR insegna ai seminaristi; diventeranno preti quelli che ascoltano queste cose e magari le ripetono in qualche predica!
Ecco, vedete, il volto di Dio: Dio è padre, va incontro al peccatore e lo abbraccia con tenerezza e vuole salvarlo; Dio non manda tsunami, non castiga, non minaccia; Dio invita il credente a chinarsi sull'uomo che soffre.
E un'altra cosa importante che c'è in questo racconto: un altro dei problemi fondamentali del credente è quello del "sabato".
I farisei dicono: "Non viene da Dio, quest'uomo, perché non osserva il sabato" e, badate, non osserva il sabato solo perché ha impastato un po' di terra con la sua saliva per metterlo sugli occhi del cieco e guarirlo!
Ecco, "il sabato", l'ideologia, la legge, i principi, il potere passano avanti all'uomo. L'unica gloria di Dio è l'uomo vivente e quello che non permette all'uomo di essere amato, guarito, salvato, aiutato è contro Dio!
Vedete quanto bisogno c'è, ancora oggi, che gridiamo al Signore: "Apri i nostri occhi!". Chi di voi parteciperà alla Veglia di Pasqua avrà tra le mani una candela: un piccolo segno, un simbolo, ma è il simbolo della luce di Gesù! Il credente non può che andare alla ricerca di Lui, dei suoi valori, della sua realtà, in un cammino che non finisce mai, coltivando, amando i dubbi che, qualche volta, attraversano la sua esperienza.
Il dubbio non è qualche cosa di negativo. dobbiamo amarlo, coltivarlo perché ci spinge a cercare ancora e, soprattutto, perché non ci fa sicuri, tentati di giudicare il nostro prossimo.
La fede è un'avventura, è una ricerca che non finisce mai, finché il nostro cervello funziona, finché i nostri occhi possono cercare un po' di luce: questo è essere battezzati, cristiani appassionati di luce, di valori, di senso, alla ricerca di tutto quello che è giusto e bello nella vita, alla ricerca di Dio.
Il Signore ci aiuti
"Io sono la risurrezione e la vita; chi V DOMENICA di QUARESIMA -10 Aprile 2011
crede in me, anche se muore, vivrà…" Ezechiele 37, 12-14. Giovanni 11, 1-45
L'ultimo segno del Battesimo, che voi avete visto in forma molto ridotta, è la "veste bianca". Tre i grandi simboli del Battesimo: l'acqua, la luce e la veste bianca.
Quando i primi cristiani passavano nella grande fonte battesimale, immergendosi completamente, uscendo fuori, venivano rivestiti di una veste bianca: forse per i primi cristiani è il simbolo più importante perché, mentre indossavano questa veste, ascoltavano le parole dell'apostolo Paolo: "Siete stati sepolti con Cristo nella morte per risorgere con Lui a una vita nuova". E poi: "Vi siete rivestiti di Cristo".
Ecco, questa veste, non è il simbolo dell'innocenza ritrovata, perché è stato tolto il peccato originale (come qualche volta si sente dire), è il segno che il credente si è rivestito di Cristo, tanto che Paolo, alla fine della sua vita terrena, può dire: "Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me". Sono immedesimato nei valori di Gesù, nella sua vita, nelle sue scelte.
Questo momento del Battesimo nella notte di Pasqua: il rivestirsi della veste bianca, veniva preparato nell'ultima domenica di Quaresima - quella che stiamo celebrando - con il grande racconto della risurrezione di Lazzaro.
Un racconto simbolico, chiaramente. Noi non sappiamo cosa sia successo là: (non andate, certo, in giro a cercare Lazzaro vivo ancora dopo la risurrezione, non lo trovate, anche lui è passato nella morte come ogni vivente che ha attraversato il cammino della terra), è un racconto che ci fa riflettere sulle condizioni per cui l'uomo - il singolo e anche la società - possa passare dalla "morte alla vita": la prima condizione è crederci, crederci fermamente aldilà di ogni evidenza!
Avete ascoltato... di fronte alla tomba gli dicono: "È gia lì da quattro giorni, manda cattivo odore!"
Lo percepite anche voi il cattivo odore di questo mondo! Il cattivo odore della violenza, dell'ingiustizia, del male, di chi pensa solo a farsi i fatti propri; il cattivo odore che, qualche volta, ritroviamo in noi quando ci lasciamo prendere dalla pigrizia, dal disinteresse... l'odore di morte, la paura che vediamo in tanta gente che fugge con gli occhi sbarrati, là dove si spara e si uccide.
È possibile credere in un mondo "altro"?
Il cristiano è consegnato alla vita e per sempre... messo "l'abito bianco" del Battesimo siamo passati dalla morte alla vita, abbiamo buttato dietro le spalle tutto quello che sa di morte, tutto quello che sciupa la vita, la rovina e, adesso, siamo uomini nuovi… ma non si compie certo tutto in una celebrazione! La vita cristiana è un cammino quotidiano ed anche un cammino esigente, terribilmente, a volte, esigente!
Lo avete ascoltato in una piega del racconto che abbiamo letto... i discepoli dicono a Gesù: "Non andare a Gerusalemme...". "Andiamo a svegliare Lazzaro che dorme". "Se dorme guarirà". "No, non dorme, è morto!" E Tommaso: "Andiamo anche noi a morire con lui!"...
Decisi a seguire il Signore in un'avventura che è lo scontro con il potere di questo mondo, una lotta per liberare l'uomo dal male, costi quel che costi.
Il cristiano deve passare dalla morte alla vita: deve trovare i valori autentici. Guardatevi intorno anche in questo mondo: quanta gente fugge dalla morte! Avete ascoltato la prima lettura del profeta Ezechiele: "Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, vi riconduco nella terra d'Israele". Parla al popolo esule in Babilonia, esiliato, umiliato.
Compito del cristiano è moltiplicare la vita. Lo so! La maggior parte di noi... - io per primo - diciamo: "Ma come è possibile, cosa possiamo fare?". Questo significa che non ci crediamo fino in fondo!
La Pasqua ci dia il coraggio della fede, e se non ci è possibile risolvere i grandi problemi del mondo, almeno tentiamo di risolvere i problemi del nostro quotidiano, dei rapporti con chi ci sta accanto, di combattere contro tutto quello che sciupa la vita.
Noi siamo consegnati alla vita, alla tenerezza, alla giustizia, all'amore. Essere cristiani significa scegliere, ed è una scelta che non si fa una volta per sempre, si rinnova ogni giorno con coraggio e, a volte, ce ne vuole molto, specialmente nel tempo che viviamo....
L'ho constatato anche in questa settimana... ci vuole molto coraggio per non lasciarsi prendere dalla sfiducia, dallo scoraggiamento.. "non c'è niente da fare, c'è troppa violenza nel mondo. I nostri giovani non lavorano! Alla gente importa poco di tutto, pensano solo al loro particolare..."
Ecco, il cristiano crede con tutte le sue forze che non è possibile arrendersi... Gesù non avrebbe fatto così! Se voglio rivestirmi di Cristo devo avere fame e sete di giustizia; devo cercare di essere mite, tenero, generoso, chinarmi nel servizio agli altri, nel mio quotidiano e anche, se posso, nei problemi di una società che troppo spesso "puzza" di violenza, di morte...
Morte reale! C'è gente che muore nel mare, gente che muore sotto i bombardamenti... ma anche vicino a noi si sciupa la vita! Ecco bisogna credere nella risurrezione!
Vivere la Pasqua, sentirsi battezzati e cristiani significa rivestirsi di Cristo! Voi non avete mai portato la veste bianca... immaginate, quando celebrerete la Pasqua, di essere anche voi rivestiti di una veste bianca da portare per tutta una settimana fino alla "domenica in albis". È la domenica in cui si toglie questa veste bianca ma, per una settimana, abbiamo meditato che il nostro compito è rivestirci di Gesù, è vivere i suoi sogni ogni giorno.
Il Signore ci aiuti
"Hanno portato via il Signore dal sepolcro RISURREZIONE del SIGNORE - 24 Aprile 2011
e non sappiamo dove l'hanno posto!"... Giovanni 20, 1-9
Quando studiavo per diventare sacerdote (ormai più di cinquant'anni fa) mi ponevano tanti problemi sulla risurrezione: il sepolcro era veramente vuoto? E dov'è il corpo del Signore? E che corpo è? Un corpo che si può toccare - come fa Tommaso - ma poi passa attraverso i muri, sparisce, appare di nuovo? Sembra potersi sedere a tavola con i suoi discepoli a mangiare, ma poi non si vede più? Oltre la morte com'è la vita che appartiene all'eterno?
Tante domande che, a volte, mi inquietavano… e mi dicevano che là dove finisce la ragione subentra la fede.
Poi sono diventato prete, ho girato varie parrocchie, ho incontrato centinaia e centinaia di persone e, molto spesso, ho trovato chi mi diceva: (forse queste parole più d'uno di voi le ritrova nel suo cuore) "Don Checco, come è possibile che il male sembra sempre trionfare nella nostra vita? C'è gente che si sforza di fare il bene, ma sembra sempre che vinca il male? Ci sono tante persone giuste ma, spesso, vengono emarginate e invece tanti delinquenti se ne vanno in giro liberi e contenti? È possibile vivere secondo giustizia?".
E ho letto negli occhi di tante persone, purtroppo anche di tanti giovani, la sfiducia, la mancanza di coraggio... non c'è niente da fare, il male "vince" sempre! Allora ho capito il vero problema della fede nella risurrezione… fin dall'inizio!
Vedete, i primi discepoli hanno visto Gesù inchiodato sulla croce. Tutto sembrava finito! La morte aveva trionfato e con la morte, la violenza, l'odio dell'uomo, la volontà di sradicare dalla terra chi cerca di portare pace e giustizia… e alcuni discepoli (è il racconto di Emmaus) se ne vanno completamente sfiduciati: "speravamo" ma, adesso, non sperano più!
E poi, pian piano... forse ritrovandosi insieme, stringendosi, forse con l'aiuto di Maria hanno cominciato a dirsi: "Non è possibile... non è possibile che tutto quello che abbiamo visto in Gesù, il suo amore per la giustizia, il suo servizio verso gli altri, la sua tenerezza verso chi ha sbagliato, il suo amore totale... tutto questo sia finito! Non è possibile!"
E faticosamente fanno esperienza che Gesù è vivo, si rendono conto che Dio ha dato ragione a Lui! Ha dato ragione ai sogni del suo cuore, alla sua fame e sete di giustizia: è questo il senso vero della risurrezione!
È inutile che il credente si perda a domandarsi: Gesù com'è adesso? Se ha un corpo, dove sta? Sono domande a cui non potremo mai rispondere!
La domanda vera è: io credo nel bene? Credo veramente nei sogni di Gesù? Credo veramente che Lui ha ragione? È questo il senso della Pasqua! Non tutto è finito su quella croce!
L'ultima parola della storia non è la violenza, il male, il dolore, la sofferenza... l'ultima parola è lo "Shalom" (per usare una parola ebraica) è la pienezza della vita, la pienezza della pace, della giustizia… e questo desiderio della giustizia cammina nella storia.
Provate ad immaginare quanta gente come noi, oggi, in chiese grandi e piccole, sta radunata per celebrare il Signore risorto, per dire, per gridare l'Alleluia di Pasqua! Non è tutto finito sulla croce, i sogni di Gesù ancora portano frutto!
Se posso darvi un consiglio: (lo do sempre volentieri) "Non guardate troppo la televisione". Vi riversa negli occhi e nel cuore tutto il male del mondo, tutto il dolore, tutta la sofferenza del mondo...
Guardatevi intorno... intorno a voi c'è gente (magari non è credente, non viene mai in chiesa, ma crede nella vita) che si dà da fare perché il mondo sia un po' migliore, perché non sempre abbia ragione il male, il non interessarsi di niente, il pensare solo ai fatti propri.
C'è gente in ogni angolo della nostra terra, nelle nostre case... mamme e papà che si donano agli altri; insegnanti che si sacrificano per gli alunni; gente che va all'ospedale a fare il volontariato eccetera, eccetera. C'è una massa di bene nel mondo che porta avanti il senso della risurrezione!
Non ha ragione la morte, non ha ragione la sofferenza, non ha ragione la violenza, non ha ragione il denaro, non ha ragione la sopraffazione... aveva ragione Lui!
Quello che dà senso alla vita, quello che rende la vita bella e degna di essere vissuta è la capacità di avere fame e sete di giustizia, di donare se stessi, di costruire il mondo, di renderlo un po' più bello di quello che è... e c'è gente che lo fa! È questo credere nella risurrezione!
Lasciate le grandi teorie dei teologi che cercano di interpretare, di argomentare... alla nostra vita concreta non serve a niente! A noi serve che, con tutta la forza del nostro cuore, crediamo nella vita, nell'amore, nel bene; serve che tutti noi ci portiamo dentro i sogni di Gesù, i valori che hanno guidato la sua vita, le scelte che lo hanno portato a donare se stesso, a chinarsi con tenerezza su chi tribola, a condividere fino in fondo, fino alla croce, la vita dell'uomo, ma per portarci oltre, perché la violenza che lo ha inchiodato sulla croce non sia l'ultima parola.
L'ultima parola è la vita, l'ultima parola è la pace, l'ultima parola è la giustizia.
Il Signore ci aiuti.
"...e non metto il mio dito nel segno dei II DOMENICA di PASQUA - 1 Maggio 2011
chiodi e non metto la mia mano nel suo Giovanni 20,19-31
fianco, io non credo".
Quando ero ragazzo (forse è capitato a più d'uno di voi, specialmente a chi ha i capelli bianchi) ho ascoltato molte prediche in cui si criticava il dubbio di Tommaso, la sua volontà di toccare con mano... crescendo, mi sono domandato perché? Perché tante volte mi rimproveravano, dicendo: "Sei come san Tommaso, vuoi toccare, vuoi vedere! Perché?". E poi mi sembra di aver capito qualche cosa!
Vedete, chi ha un po' - anche soltanto pizzico - di autorità, in qualunque campo, ama che la gente non pensi, che si fidi; si fidi dell'autorità, si fidi di quello che si è sempre fatto, che si è sempre detto, si affidi a chi pensa per loro.
Questo vale nella scienza... quanti medici, quanti scienziati hanno sofferto perché i "baroni" dicevano: "Così non bisogna pensare, non serve dimostrare, sperimentare..."
Pensate - se volete - a uno come Galilei... ma ce ne sono infiniti altri nella storia. Non si può! Così si è sempre detto, così è scritto! "Ma io voglio vedere, toccare con mano, sperimentare!"
Così è successo a tanti artisti. Pensate a Giotto, Mantenga, Van Gogh - ce n'è un'infinità - che dicevano: "Forse si può esprimere quello che abbiamo dentro in maniera diversa, forse non c'è bisogno di fare come fanno tutti".
E, questo, non vale soltanto per la scienza, per l'arte... vale, soprattutto, per la vita sociale, politica. Chi ha autorità ha grande interesse a che la gente non pensi!
Pensate a che cosa sarebbe stata la storia del secolo scorso se gli uomini avessero imparato a pensare, a prendere le distanze da personaggi come Mussolini, Hitler, dalle leggi razziali, da quella propaganda insistente che era stata inventata da menti "geniali" per condizionare la gente! Folle immense applaudivano! Immagini mitiche... senza pensare, senza esercitare la critica, senza domandarsi: ma è vero, è proprio così? Voglio mettere le mani, toccare, sperimentare!
Per quello che ho capito io, una colpa non piccola hanno anche i cattolici e, anche, le autorità della Chiesa. Pio XI chiamava Mussolini "l'uomo della provvidenza". In Germania schiere di vescovi, di cardinali, di preti e di cristiani di tutte le razze, hanno esaltato Hitler fidandosi ciecamente di lui, condizionati profondamente dalla propaganda. E, anche oggi, rischiamo di essere vittime di questa propaganda insistente che continuamente ci circonda. Chi ha spirito critico? Chi è educato, come Tommaso, a vedere, a toccare, a mettere la mano, a verificare, a controllare... se si dicono sempre le solite storie, a volte, le solite bugie?
Ma questo che vale per la vita sociale, politica vale anche per la religione. Anche nell'ambito religioso, a volte, c'è gente che dice: "Si è sempre fatto così, perché cambiare?".
Quando ero un giovane prete, la Messa si diceva in latino: così si è sempre fatto, è la lingua che ci apre al sacro, al misticismo! Poi qualcuno ha detto: "Ma la gente non capisce niente! Come può partecipare ad un afflato mistico se non capisce nemmeno le parole?"
E pian piano si è cominciato a cambiare... qualcuno diceva: "Proviamo, verifichiamo...".
Ho anche visto nel corso della mia vita di prete esaltati personaggi mitici nella Chiesa. Quando ero un ragazzo e partecipavo all'Azione Cattolica, ci dicevano che Pio XII era "il dolce Cristo in terra" (qualcuno che ha i capelli bianchi lo ricorda). Sembrava che qualunque cosa dicesse lui fosse la verità, ma poi ci siamo accorti che diceva sciocchezze anche lui e che, forse, certi suoi gesti e certi suoi atteggiamenti erano profondamente criticabili.
Ma chi era - in quel tempo - educato a pensare con la propria testa?
E non è finita lì! Altri personaggi ho visto esaltati nella vita della Chiesa e hanno fatto un danno immenso alla Chiesa e ci vorranno forse secoli per rimediare!
Perché molti cristiani si lasciano prendere dal mito, dalla propaganda, dalle grandi masse, rinunciando a pensare con la propria testa? Il Signore ci ha dato l'intelligenza per essere come Tommaso, per dover toccare, vedere, mettere la mano, cercare di capire: e, questo, vale anche per alcuni temi della fede.
Quando ero giovane, il peccato originale colpiva ogni bambino che nasceva e, se non veniva battezzato, andava al Limbo, non poteva mai vedere Dio... poi qualcuno ha cominciato a dire: "Ma, forse, l'amore universale di Dio può salvare anche ogni bambino".
E anche il Vangelo... quando ero giovane tutto veniva preso alla lettera... si leggeva senza tentare di interpretarlo, di domandarsi cosa c'è dietro? Qual è il vero messaggio di Gesù? Cosa può arrivare a noi?
Vi do un consiglio: (non si dovrebbe fare, lo imparino i nonni, i padri, i figli: i consigli non servono a niente, ma per uno fate un'eccezione e ve lo do) amate Tommaso, amatelo con tutto il vostro cuore, amate il dubbio, amate le domande, amate quelli che vogliono toccare con mano, amate quelli che tentano di pensare con la loro testa: amateli con tutto il vostro cuore.
Il Signore ci aiuti
Quando Gesù fu a tavola con loro, prese il pane, III DOMENICA di PASQUA - 8 Maggio 2011
recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Luca 24, 13-35
Allora lo riconobbero.
Non si tratta di un fatto, ma di una parabola. Guardate questi due discepoli... conosciamo il nome solo di uno loro: Cleopa, ma è un nome assolutamente sconosciuto nel resto del Nuovo Testamento. Due persone qualunque, un nome qualunque a cui ciascuno può sostituire il proprio nome. Cleopa posso essere io, può essere ciascuno di voi!
Ci troviamo davanti a una parabola straordinaria di quello che è o potrebbe essere e dovrebbe essere (scegliete voi il verbo) la fede, la vita cristiana e, forse, la vita di ogni uomo. Vedete, la vita è un lungo cammino nel caldo, a volte soffocante, del giorno finché non arrivi la sera e durante questo lungo cammino, molti, come Tommaso, sperimentano il dubbio, la volontà di toccare con mano, il non fidarsi... ma molti, a volte, conoscono la delusione, lo scoraggiamento, lo sconforto.
Questi due discepoli hanno visto Gesù sulla croce! Le loro speranze, i loro sogni finivano sotto quella croce e - come avete ascoltato - se ne vanno, dicono quella desolante parola: "Noi speravamo..." adesso non sperano più!
Nella vita dell'uomo, a volte, ci sono momenti in cui sembra che la speranza finisca, che la vita non abbia più senso, sembra che intorno il male sia troppo grande...
Ieri sera una persona raccontava una sua esperienza in un campo di calcio... un papà diceva, in un momento del gioco, al suo bambino: "Cerca di farti furbo, impara ad ingannare..." Ha tentato di dirgli: "Cosa insegna al bambino?". Gli ha risposto: "Ma in che mondo vive? Qui tutti rubano, ingannano e quindi devo insegnare al bambino a farsi i fatti suoi, a ingannare quando può!".
È così il mondo? A tanta, a troppa gente il mondo sembra così: un mondo in cui non c'è speranza di vivere in modo onesto, di praticare la giustizia.
Ho incontrato dei ragazzi in cui sembrava spegnersi ogni speranza nel futuro, ogni possibilità di credere in una realtà più giusta e quindi ogni desiderio di lottare per un mondo migliore.
Quante volte ho incontrato, nella mia ormai lunga esperienza, dei genitori, degli insegnanti a cui sembravano cadere le braccia; tutti i loro sforzi sembravano inutili. Si affacciava allora la tentazione di rinunciare, di abbandonare ogni sforzo per comunicare i valori dell'onestà e della giustizia, il desiderio di studiare, di impegnarsi per un futuro migliore.
A volte la fede, la fiducia in Gesù, nei suoi valori sembra scomparire.
È possibile incontrare la Parola di Gesù capace di far "ardere il cuore"? Non possiamo aspettarci che Gesù venga a camminare accanto a noi… e poi anche la storia dei due discepoli che abbiamo ascoltato è, con ogni probabilità, soltanto un simbolo.
A volte però ci capita di incontrare un amico o un gruppo di persone che con te condividono il dubbio, lo scoraggiamento, ma riescono a farti ritrovare il coraggio di credere in Gesù, nei suoi valori, nei suoi sogni e in qualche modo ti aiutano a ritrovare il desiderio di riprendere la strada, ti danno la forza di superare la delusione, lo scoraggiamento... Anche a noi, forse, è capitato di dire: "Non ardeva, forse, in noi il nostro cuore…?". Ecco un fuoco, una speranza che comincia a riaccendersi quando tutto sembra inutile, quando tutto sembra anche un fallimento.
Spesso non bastano le parole… guardate i due discepoli nonostante la loro disperazione sono capaci di un gesto di gratuità: "Resta con noi perché si fa sera…"e incontrano veramente Lui, lo riconoscono quando "spezza il pane". E "partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme": torna la speranza, il coraggio di riprendere il cammino insieme agli altri, per essere testimoni di Gesù e della risurrezione.
Anche per noi il ritrovarci qui insieme ogni Domenica può essere un momento che ci fa incontrare Gesù, la sua Parola, capace di scaldarci il cuore, di nutrire la nostra fede, la nostra speranza, che ci fa ritrovare in un mondo a volte troppo complicato i valori autentici, i sogni del suo cuore. Soprattutto qui ci sediamo con Lui a "spezzare ancora il pane", a fare esperienza del suo dono totale, della sua gratuità.
Auguriamoci di cuore che il nostro venire qui non sia solo un'abitudine, un dovere, ma un incontro vero con Gesù capace di nutrire la nostra speranza, la nostra fede in Lui, nei suoi valori, perché possiamo continuare a fare il possibile perché la nostra vita e il mondo siano, almeno un po', migliori e diventiamo anche noi testimoni di speranza.
Il Signore ci aiuti.
…In verità vi dico: io sono la porta delle pecore. IV DOMENICA di PASQUA - 15 Maggio 2011
Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono Giovanni 10, 1-10
ladri e briganti.
Al tempo di Gesù non c'erano i registratori! Le parole che abbiamo letto sono state scritte circa settanta anni dopo la morte di Gesù.
In questi settanta anni le comunità dei cristiani hanno tentato di ripensare il loro rapporto con Gesù e, quindi, adesso mettono nella sua bocca parole... - non siamo tanto ingenui da pensare che siano le parole esatte che ha detto Gesù - frutto di una lunga riflessione in cui cercano di esprimere il loro rapporto con Gesù e lo fanno con immagini, con simboli che sono un po' lontani da noi. A qualcuno di noi danno anche fastidio!
Essere paragonati a delle pecore a noi non piace, perché le pecore ci sembrano animali un po' sciocchi, disposti sempre a seguire chi hanno davanti senza troppo discernimento. Non era affatto così per l'esperienza dei primi cristiani.
Il rapporto tra le pecore e il pastore è un rapporto molto profondo. Il pastore (mi è capitato di conoscerne qualcuno) conosce le sue pecore una per una, con mia grande meraviglia perché sembrano tutte uguali… e le pecore seguono la voce del pastore.
Per i primi cristiani Gesù è il pastore che ci cammina davanti, ci porta nei pascoli della vita, ci comunica i valori autentici. Entriamo con Lui in un rapporto di amicizia vera.
Avete visto che nel Vangelo di oggi c'è un'altra immagine: Gesù non è solo il pastore, ma anche la "porta" dell'ovile e chi entra per la porta è veramente il pastore, gli estranei non possono entrare: sono "ladri e briganti" se non entrano per la porta e, attraverso quella porta, le pecore escono per trovare i pascoli della vita.
Siamo noi! È il nostro o dovrebbe essere il nostro rapporto con Gesù, il nostro tentativo di seguire Lui, di camminare con Lui, di fare nostri i suoi valori, le sue esperienze, i sogni del suo cuore, in un cammino che non finisce mai.
Fin dai primi tempi, però, si pongono dei problemi alla comunità cristiana perché c'è sempre qualcuno che pretende di essere il successore e l'interprete del "Pastore", e quindi di possedere la verità… e questo succede fin dai primi tempi della Chiesa, creando degli scontri. Se leggete le Lettere di Paolo lo vedete subito: c'è Apollo, c'è Pietro, c'è Paolo, ci sono altri... Ognuno di questi dice: "Questa è la strada di Gesù" e le povere "pecore" si trovano smarrite, un po' sbandate. E questo è successo fino ai nostri tempi!
Quando ero un giovane prete e studiavo, mi dicevano: "Tu sei costituito pastore del gregge!". L'esperienza mi ha detto che le pecore vanno per conto loro e non hanno nessuna intenzione di seguirti… ed è giusto perché ogni pecora ha la sua testa...
Ma ci sono anche oggi nella vita della Chiesa dei gruppi che si presentano come portatori della "verità", come i "veri" seguaci del Signore.
Venivano in parrocchia (è un ricordo di qualche tempo fa) due... poi ho scoperto che erano due sacerdoti. Ero seduto nell'ufficio parrocchiale...: "Cosa desiderate"? "Veniamo ad annunziarvi che Cristo è risorto!". "Siamo una parrocchia un po' presuntuosa, ma questo pensavamo di saperlo!". "No, sa, però noi...!". "Abbiate pazienza, cerchiamo di avere, noi, il nostro rapporto con Gesù!".
Ci sono, anche oggi, delle autorità della Chiesa, anche importanti, che credono di "possedere" tutta la verità. Se vai dietro a "loro" segui il Signore, se non vai dietro a loro sei un "ladro e un brigante".
Vedete, questo è l'altro dramma! Nella storia della Chiesa troppe volte ci siamo identificati per contrasto. Ci sono quelli che "posseggono" la verità... e gli altri? Gli altri sono "ladri e briganti! E vanno condannati!
Pensate ad uno dei simboli di questa storia: Giordano Bruno, bruciato sul rogo! Quando studiavo, mi parlavano di tanti eretici, uno dei principali... - ma insieme a tutti quelli dell'Illuminismo - era Voltaire e mi dicevano: "Guai a leggere Voltaire… un eretico, un miscredente!". Avete provato a leggere il "Candide" di Voltaire? Se non lo avete fatto, provateci ! È quasi il Vangelo!
Ernesto Bonaiuti uno dei grandi cristiani della storia del secolo scorso... è stato scomunicato "vitando": non ci si poteva nemmeno parlare.
Molto tempo fa (sapete quando si è giovani si è un po' intolleranti) dicevo a un mio amico spagnolo che bisognava che la Chiesa ricuperasse il coraggio della scomunica. Pensavo alla mafia, ai politici corrotti... e lui mi ha risposto con aria serafica: "Ricordati, Checco, hanno scomunicato sempre quelli sbagliati!". È la verità della storia!
E allora ci conviene non scomunicare nessuno, non identificarci per contrasto. Se qualcuno la pensa diversamente da noi, siamo più attenti perché, forse, lui possiede un po' della verità.
Ho trovato, nel lungo cammino della mia esperienza di credente, tante persone che dicevano di non credere, ma che era portatori di valori veramente evangelici. Mi hanno aiutato a scoprire il Vangelo, a volte loro più di altri che si dicevano profondamente credenti, ma il loro credere era fatto di miracolismo, devozionismo e, invece, questi che dicevano di non credere avevano nel cuore i valori di Gesù, avevano fame e sete della giustizia, erano miti, misericordiosi, tentavano di operare la pace, di dare una mano a chi aveva bisogno… anche in loro, forse, c'era la traccia del passaggio di Gesù.
Senza saperlo seguivano le orme del "pastore" più di tanti credenti, bigotti, che pensavano di possedere la verità e di risolvere tutto con devozioni, preghiere, rinchiudendosi nei loro piccoli gusci.
Posso darmi e darvi un consiglio? Cerchiamo con tutta la passione del nostro cuore di seguire il Signore, di camminare con Lui, di trovare in Lui, faticosamente, attraverso i dubbi e le incertezze, i valori che arricchiscono la vita, senza stancarci.
Lui - che come dice l'apostolo Pietro - ha parole di vita, parole che non muoiono, ha i valori eterni per la vita dell'uomo.
Il Signore ci aiuti.
"Signore, mostraci il Padre e ci basta". V DOMENICA di PASQUA - 22 Maggio 2011
"Chi ha visto me, ha visto il Padre" Giovanni, 14, 1-12
"Signore, mostraci il Padre e ci basta". È la domanda che Filippo rivolge a Gesù! Ma come è possibile che delle persone che vengono dalla profonda religiosità ebraica e che sono stati per tanti mesi discepoli di Gesù non abbiano un'idea di Dio, abbiano bisogno che gli si mostri il Padre? Perché è così difficile pensare a Dio?
Vedete, Dio abita "l'oltre" e non è facile parlare, immaginare, pensare in qualche modo a Lui! Diceva un signore, questa settimana, in uno degli incontri che abbiamo fatto per leggere il Vangelo: "Come è possibile che nella tradizione cattolica ci siano tanti politeismi, tanti modi diversi di parlare di Dio, tante immagini - spesso contraddittorie - di Dio?".
Se lasciate da parte (ma non fatelo del tutto) il culto dei santi che, spesso, sono più venerati del Padre, di Gesù, in molte regioni d'Italia… santi specializzati, quasi una specie di idoli antichi... e interrogate dieci cristiani: "Chi è per te Dio?". Avrete dieci risposte diverse! Perché?
Vedete, la religione, nasce - secondo gli studiosi - in gran parte dal bisogno e dalla paura... dalla paura delle malattie, della violenza della natura, del futuro e dalla paura ultima quella della morte. E la religiosità nasce dal bisogno... dal bisogno di essere custoditi, tutelati, guariti dalle malattie e dai guai che capitano.
La fede in Dio nasce, a volte, dal bisogno delle regole, delle leggi, dall'esigenza che chi ha sbagliato venga punito, magari in un'altra vita... si arriva addirittura a pensare, all'inferno!
Tante immagini di Dio: chi lo vede provvidente e buono che ci viene incontro, chi lo vede giusto e severo che esige sacrifici e condanna il malvagio...
Questa religiosità che nasce dal bisogno è alimentata dai tanti templi che si costruiscono, non parlo solo della religione cattolica, ma di tutte le religioni, in ogni parte del mondo. Dovunque andate trovate templi e là si raccontano storie di miracoli, di prodigi straordinari, di apparizioni e accorrono folle ad esprimere tutto il loro bisogno, il loro desiderio di "qualcuno" che provveda ai loro limiti, alle loro necessità. (Se posso fare una parentesi: sui miracoli si guadagna... si guadagna potere e si guadagnano soldi: pensate alla ricchezza di tanti santuari della Grecia e della Roma antica e della religiosità cattolica).
Ci può essere una fede che parta non dal bisogno, non dalla paura, non dalla necessità? Molti si sono risposti di sì! E mi sembra che corrisponda alla mia esperienza di cristiano.
C'è una religiosità che nasce non dalla paura e dal bisogno, ma dallo stupore, dalla meraviglia. Lo stupore di fronte alla bellezza del creato, al fulgore del cielo, alla bellezza del mare, delle montagne, al sorriso di un bambino… non potrebbe esserci una bellezza superiore, un "oltre", una pienezza, uno splendore assoluto?
Non solo! La fede può nascere anche dall'esigenza di moralità che c'è dentro il cuore dell'uomo!
Uno dei più grandi filosofi della nostra storia, Kant, diceva che non si può assolutamente dimostrare l'esistenza di Dio! Ma se gli domandavate: "Tu credi in Dio?". Lui diceva: "Sì!". "E perché?". "Perché ho il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me!".
Ecco, il cielo stellato, lo splendore dell'universo e una legge morale dentro di me... sento, nel profondo del mio essere che non posso fare soltanto quello che mi fa comodo, ma quello che è bene anche per chi mi sta vicino.
Questo, forse, nasce dall'amore più elementare: quello della madre per il suo figliolo, del padre per la sua creatura.
Una madre sa che non può amare suo figlio soltanto quando gli fa comodo, sa che quel figliolo va amato nella più totale gratuità, va amato perché è lui!
C'è dentro di noi la certezza... che l'amore, la gratuità è migliore dell'odio, della violenza, del male. E, allora, non può esserci una gratuità più grande di tutto? Una gratuità che abita "l'oltre" da cui ha origine l'universo?
La radice stessa dell'universo non può essere la bellezza, la gratuità a cui, magari, si arriverà dopo tutte le difficoltà nel cammino della vita dell'uomo?
Ecco, vedete, ci può essere una religione che nasce dalla paura e dal bisogno, ma ci può essere anche un altro modo di essere religiosi. Una religione che nasce dallo stupore, dalla meraviglia, dalla gratuità e che è, allora, appassionata ricerca!
E trovano ampio spazio nella vita cristiana - ma ricordate, è uno spazio delicato - le parole che Gesù dice a Tommaso: "Da tanto tempo sono con voi, e tu non mi hai conosciuto… chi ha visto me ha visto il Padre!".
Ecco, il cristiano sa che possiamo intuire qualche cosa di Dio in Gesù di Nazareth, nei suoi gesti, nelle sue parole, nell'avventura della sua vita... ma dobbiamo cercarlo con gratuità e con passione, ricordandoci che non basta aprire il Vangelo!
In nome del Vangelo si sono fatte Crociate, si sono sterminati popoli, si sono bruciate persone: questo nel Vangelo non c'è!
Nel nome del Vangelo qualcuno ha predicato l'inferno... ma nel Vangelo il figlio che va via di casa e sciupa tutte le sue sostanze, quando torna trova la "festa" del Padre, perché Dio ama i suoi figli, Dio ama la "festa".
Dio va oltre il male per cercare il cuore delle persone, per riportarle alla pienezza della gratuità, alla bellezza della vita. Dio è "oltre" e non può essere che l'oggetto di una appassionata ricerca, che non finisce mai. Se dovessi dirvi tutti gli aspetti del Vangelo che ci portano a intuire qualcosa di Dio non a partire dal bisogno, ma dalla gratuità e dall'amore... ci vorrebbero mesi.
Noi siamo pieni di bisogni e dobbiamo guardarli con grande tenerezza, ma il Vangelo ci invita ad andare oltre. Noi abbiamo, inevitabilmente, nel cammino della vita il bisogno di farci i fatti propri, di custodire, di difendere la nostra vita, ma Gesù ci invita ad andare oltre, ad avere fame e sete di giustizia, misericordia e tenerezza verso chi ci vive accanto.
Ecco, vedete, Dio nessuno lo ha mai visto! Non possiamo che cercarlo in un cammino che non finisce, cercando Gesù, i suoi gesti perché ci svelino, in qualche modo, il volto infinito, "l'oltre" di Dio. Non è facile.
Il Signore ci aiuti.
"Se mi amate, osserverete i miei VI DOMENICA di PASQUA - 29 Maggio 2011
comandamenti; e io pregherò il Giovanni 14, 15-21
Padre ed egli vi darà un altro Paràclito
perché rimanga con voi per sempre..."
Non so se è capitato anche a voi, come è capitato a me, di non notare, per tanti anni, una stranezza che c'è in questa pagina del Vangelo; qualche cosa di veramente curioso, inaspettato che, però, probabilmente ci manifesta il cuore della fede dei primi cristiani, che potrebbe essere la nostra fede.
Il Vangelo di oggi comincia dicendo: "Se mi amate osserverete i miei comandamenti e il Padre vi darà un altro Paraclito ".
Osservare i comandamenti, fare il bene è un'esigenza fondamentale del credente di qualunque religione. L'incontro con Dio è un'incontro che esige moralità, serietà, che richiede il bene fatto nel miglior modo possibile, giorno per giorno.
Ad un ragazzo, ma qualche volta anche a un adulto, diciamo: "Se ti comporti bene, se fai fino in fondo il tuo dovere avrai un premio, una ricompensa!". Questo succede in casa, a scuola, nel mondo del lavoro! "Osserva le regole, datti da fare, fai il bene e avrai un premio!".
Qui, avete notato? "Osserva i comandamenti e il Padre vi darà un Avvocato difensore!". "Come un Avvocato difensore? Se commettessi qualche delitto avrei bisogno di un avvocato difensore, non se faccio il bene… che bisogno ho di un difensore?".
Vedete, la parola che avete ascoltato: "Paraclito" è una parola greca non facilmente traducibile in italiano, ma significa principalmente "l'avvocato difensore", un termine tecnico del processo greco, significa anche "colui che ti sta accanto, ti consola, ti suggerisce..."
Se faccio il bene perché ho bisogno di un "avvocato difensore"? Non so se la vostra esperienza è simile a quella di tante persone che ho incontrato nel cammino della mia vita sacerdotale e anche alla mia esperienza...
A volte è proprio quando fai il bene che hai bisogno dentro di te di una forza che ti difenda, perché, spesso, ti dicono: "Ma chi te lo fa fare? Perché non ti fai i fatti tuoi? Vedi... in questo paese tutti rubano, tutti cercano di non pagare le tasse... tu perché vuoi essere onesto?".
Ho incontrato, tante volte, dei genitori che cercavano di portare un po' più di giustizia e di serietà nella scuola... che si sentivano ripetere: "Perché ti impicci? Tanto non combini niente!"
Ho ascoltato degli insegnanti che cercavano di darsi da fare, di fare il meglio e gli dicevano: "Perché? Vedi che dai fastidio agli altri, li metti in difficoltà?".
Ho conosciuto persone che nel posto di lavoro, specialmente negli uffici pubblici, cercavano di impegnarsi e si sentivano messi sotto accusa, criticati.
Ecco che, allora, il credente ha bisogno, nel profondo del suo cuore, di un "Avvocato difensore", di qualcuno che lo difenda non di fronte a Dio, ma di fronte al mondo, agli altri, ma anche di fronte a se stesso; che gli faccia sentire fino in fondo che sta dalla parte del giusto, dalla parte del bene, della verità.
C'è bisogno per chi tenta di fare il bene di un Consolatore perché, spesso, non significa ricevere l'applauso, ma il sorriso ironico se non, addirittura, la persecuzione e, allora, c'è bisogno di "qualcuno" che ti metta una mano sulla spalla, che ti dia la forza e il coraggio di camminare ancora… che mantenga accesa la speranza.
Quando tenti di fare il bene c'è bisogno di un "suggeritore", di qualcuno che ti aiuti a intuire che cosa è veramente buono nella circostanza della vita in cui ti trovi.
Ecco, i primi cristiani erano convinti che potevano aprire le loro orecchie, stendere le loro antenne al "vento" di Dio. Un vento leggero, quasi impalpabile, ma che spinge avanti, che dà coraggio, che consola, che difende i sentimenti di bene che abbiamo dentro di noi.
E - come avete ascoltato - il Vangelo di oggi arriva addirittura alla vertigine: "In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio - dice Gesù - e voi in me e io in voi"... quasi un'unione, un'unione totale tra noi e Dio per poter... - come dice l'apostolo Pietro - rendere ragione a chi ci chiede della speranza che è in noi: la speranza della gratuità, della giustizia.
Noi non speriamo un premio - o almeno dovremmo non sperare il premio - speriamo di conservare nel cuore il coraggio del bene, della giustizia, della gratuità e dell'amore: per questo dobbiamo aprirci al "soffio", al "vento" di Dio. Non è sempre facile.
Il Signore ci aiuti
"Andate dunque e fate discepoli tutti i ASCENSIONE del SIGNORE - 5 Giugno 2011
popoli… Ed ecco io sono con voi tutti Matteo 28, 16-20
i giorni fino alla fine del mondo".
La festa dell'Ascensione è stata considerata, in questi duemila anni, particolarmente importante, perché segna l'inizio del cammino dei cristiani.
Quello che celebriamo oggi non è tanto il ricordo di un fatto accaduto tanto tempo fa. Noi non sappiamo cosa sia veramente accaduto. Chi è stato particolarmente attento alle letture di oggi avrà sicuramente notato una contraddizione: negli Atti degli apostoli Gesù ordina ai discepoli di non muoversi da Gerusalemme, nel Vangelo di Matteo, invece, li invita ad andare in Galilea, la sul monte; quindi non si tratta di un fatto, ma del tentativo di esprimere una realtà, una situazione che è la realtà e la situazione di tutti i cristiani della storia e quindi anche della mia e della vostra.
Gesù affida a noi il compito di continuare la sua missione nel mondo; Gesù si fida di noi e ci invia ad essere testimoni di Lui, dei suoi valori, della sua realtà, dei gesti della sua vita, dei sogni del suo cuore.
Come avete ascoltato Gesù invita i suoi discepoli - quelli del Vangelo di Matteo, almeno - ad andare in Galilea sul monte, su quel monte dove aveva cominciato la sua predicazione, lo ricordate tutti: "Beati i poveri di spirito, i miti, i misericordiosi, gli affamati ed assetati di giustizia, gli operatori di pace"…
Ecco, il cristiano da lì inizia la sua missione nel mondo, tentando di essere testimone di giustizia, di passione per il bene, per la verità, per gli altri. E come avete ascoltato, Gesù promette ai suoi discepoli di rimanere sempre con loro.
Ma, attenzione! È una presenza silenziosa… Gesù non è presente, come spesso ci capita di vedere nella Chiesa, nelle apparizioni, nelle manifestazioni miracolose, nei grandi raduni di folla. È presente nella vita di ciascuno di noi; ed è presente soprattutto attraverso la Parola, quella Parola che leggiamo ogni Domenica e che voi potete leggere a casa, aprendo il Vangelo, cercando di intuire i gesti di Gesù, di far memoria di Lui, delle sue straordinarie parabole, dei suoi discorsi. Parole di vita che cercano di comunicarci qualcosa di fondamentale e di cui dovremmo tentare di essere testimoni.
Presente non solo nella Parola, ma anche nel Pane che spezziamo. Anche questa è una presenza silenziosa, non magica, è una presenza che esige la nostra fede, la nostra partecipazione a questo Pane spezzato e condiviso.
Gesù è anche presente - qualcuno dice soprattutto - nella gente che ci sta accanto ogni giorno: "Avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere, era nudo e mi hai vestito… quando mai Signore, ti abbiamo visto affamato, assetato, nudo? Ogni volta che hai fatto questo al più piccolo dei fratelli, lo hai fatto a me!".
Ecco dunque la presenza di Gesù nella nostra vita. Non è una presenza magica, non è la presenza di chi cambia le sorti del nostro cammino sulla terra, ma di Colui che ci chiede di riconoscerlo nel più piccolo dei fratelli e non pensate, quando considerate queste parole, al povero che incontrate sulla strada ed a cui date la vostra moneta, pensate alla gente che vi sta accanto, i figli, i nipoti, il marito, la moglie, l'anziano nonno, l'anziana nonna, le persone in difficoltà, è là che noi incontriamo veramente il Signore Gesù, è là che possiamo riconoscerlo, è la che lo sentiamo camminare con noi, e ci chiama e ci chiede di riconoscerlo, di sentirlo presente nella nostra vita.
E un'altra cosa vorrei farvi notare in questa pagina: siamo alla fine, i discepoli si recano sul monte dove Gesù li ha convocati: "Quando lo videro - dice il Vangelo - si prostrarono. Essi però dubitarono".
Proprio all'ultimo momento, proprio quando Gesù affida loro l'incarico di continuare la sua opera dubitano. È la realtà di noi cristiani. Il compito di testimoniare la fede non è affidato a gente che è sempre sicura. È gente che si porta nel cuore il dubbio, non è il dubbio dello scetticismo, della rinuncia a cercare, è il dubbio della ricerca appassionata, di chi continuamente si pone domande. Vi ho consigliato più volte di diffidare di coloro che pensano sempre di sapere tutto nella vita della Chiesa, di sapere dov'è il bene e dov'è il male, cosa è giusto, cosa è sbagliato, la gente che pensa di possedere la verità, non dovrebbe aver diritto di dimora nella Chiesa di Dio, per quello che ho capito io. Ha diritto il cuore fragile, che cerca, che vive il dubbio, dubbio non come abbandono, ma come ricerca, ricerca di Gesù, dei suoi valori, nelle realtà concrete, intorno a noi.
Ecco il credente. E dunque non le grandi masse, non le grandi verità proclamate con solennità, non i prodigi, non il miracolismo, non il devozionismo, ma la vita di ogni giorno, con la certezza che Gesù è presente nella sua Parola, nel Pane che spezziamo, nella gente che abbiamo intorno, è lì che siamo invitati a riconoscerlo, è lì che possiamo trovare la forza per essere testimoni di Lui, dei suoi sogni, concretamente, intorno a noi, a casa, sul posto di lavoro, a scuola, con la gente che incontriamo, non c'è bisogno di fare grandi cose, c'è bisogno di essere concretamente testimoni di vita.
Il Signore ci aiuti.
...soffiò e disse loro: PENTECOSTE del SIGNORE - 12 Giugno 2011
"Ricevete lo Spirito Santo"... Giovanni 20, 19-23
Stiamo insieme per tentare di celebrare la festa di Pentecoste, la festa dello Spirito Santo, la sua discesa sugli apostoli.
Questa festa, in vari periodi della storia della Chiesa, è stata considerata una delle più importanti, a volte, in qualche parte, addirittura più importante della Pasqua perché segna l'inizio della vita della Chiesa, che diventa completa con il dono dello Spirito Santo.
Quando ero ragazzo e credo che sia successo anche a molti di voi... dello Spirito Santo non si sentiva parlare praticamente mai; ci parlavano di Dio e il suo volto, a volte, era severo, minaccioso. Ci parlavano di Gesù, soprattutto ci parlavano della Madonna, dei vari santi, ma quasi nessuno accennava allo Spirito Santo.
Poi, man mano che crescevo, sempre più lo Spirito Santo acquistava spazio nella riflessione e nella preghiera della Chiesa.
Mentre mi preparavo per diventare sacerdote... ho studiato grossi libri in cui si parlava più volte dello Spirito: nel giorno del Battesimo è donato lo Spirito Santo, il bambino diventa "figlio di Dio". Con la Cresima lo Spirito discende sul ragazzo. Così nel giorno dell'Ordinazione, lo Spirito discende sul sacerdote. Lo Spirito - ci dicevano - anima e guida la vita della Chiesa. Per fare un esempio... l'elezione del Papa è sempre guidata dallo Spirito Santo.
Tutto sembrava chiaro! Al credente, a chi fa parte della Chiesa è donato lo Spirito di Dio!
Poi sono andato nelle varie parrocchie della mia vita sacerdotale (ormai sono cinquant'anni che questo cammino è cominciato) e ho ascoltato le domande, i dubbi, le perplessità della gente, soprattutto dei giovani, ma non solo: "Don Checco, è possibile che soltanto chi è battezzato riceva il dono di Dio? Non è scritto che Dio non fa preferenza di persone, che davanti a Lui siamo tutti uguali? Perché, allora, chi è battezzato riceve lo Spirito e diventa figlio di Dio e chi non è battezzato no? Perché nella Cresima ad un ragazzo viene donato lo Spirito...? E tutti i ragazzi del mondo!?"
Ed erano domande che pian piano consideravamo serie. Ci sembrava di credere in un Dio limitato, che fa preferenza di persone, che sceglie un gruppo a cui dà tutti i suoi doni e il resto dell'umanità viene trascurato!
E, pian piano, si faceva spazio in noi l'idea che lo Spirito... anche perché avevamo trovato scritto nel Vangelo che soffia dove vuole, in ogni angolo della terra... è per tutti! Che Dio è per tutti e tra un bambino battezzato e un bambino non battezzato non c'è nessuna differenza! Tutti e due sono amati da Dio, tutti e due sono figli di Dio!
E allora, pian piano, in me e anche nella gente con cui dialogavo cresceva lo sgomento: "Ma se Dio è per tutti, se è in ogni angolo della terra, noi che ci stiamo a fare? Perché celebriamo un Battesimo se lo Spirito è donato a tutti?"
Pian piano riflettendo, pensando, pregando ci è sembrato di intuire, forse, il cuore festoso, stupendo della nostra fede: la gratuità!
Noi non abbiamo il monopolio dello Spirito, per essere diversi dagli altri... noi siamo qui per cantarlo, per celebrare i segni della sua presenza nella vita dell'uomo, per ringraziarlo, per parlargli, noi che abbiamo la fortuna di conoscerlo.
Il nostro stare qui è gratuito, non "serve", perché in ogni angolo della terra ogni uomo ha il dono dello Spirito, il suo soffio, per usare la parola ebraica "ruah" che significa appunto "soffio", "vento" di Dio. Il vento di Dio riempie la faccia della terra e ogni uomo è invitato ad accoglierlo.
Noi potremmo guardarci intorno per cogliere in ogni angolo della terra i segni dello Spirito.
Come avete ascoltato nella Lettura di oggi dove c'è apertura al futuro, dove c'è speranza, dove le porte si aprono, soprattutto, dove la gente si capisce, cerca di formare un solo cuore, un solo corpo, un solo spirito e non si fa più distinzione tra un popolo e l'altro e la lingua diventa comune; dove gli uomini cercano la pace, dove cercano di rispettarsi, di accogliersi e di formare una grande umanità che abbia valori comuni... là soffia il vento del Signore.
Dove c'è divisione; dove c'è odio, c'è senso di superiorità, c'è intolleranza.... là si è chiusi al "soffio" di Dio!
Ed ecco, allora, che il nostro stare insieme diventa l'incontro gioioso di chi canta le meraviglie di Dio, di chi canta il suo dono, il suo dono per ogni uomo!
E ci sentiamo fratelli di ogni uomo che vive sulla terra, partecipi dello stesso cammino… non so se siete tutti d'accordo con me con questa riflessione (chi non è d'accordo è liberissimo di non esserlo: questo è scontato) ma chi è d'accordo lo inviterei a cantare con me la gioia dello Spirito, del "soffio" di Dio che invade la terra.
La gioia per tanta gente che sa aprire le orecchie a questo "Soffio", sa farsi partecipe del cammino verso il futuro, nella ricerca della pace, della giustizia, soprattutto, della comunione tra i popoli, la capacità di intendersi, di camminare, di costruire insieme.
La strada è ancora lunga ma lo Spirito ci riunisce qui per sognare... - forse ci vorranno secoli, forse millenni - che ci sia finalmente un'umanità che sia aperta totalmente al soffio di Dio. Un'umanità che forma un "cuor solo e un'anima sola", con delle differenze, pur parlando lingue diverse, pur appartenendo a religioni diverse, non importa! L'importante è che tutti sentano il vento e il soffio della concordia, della riconciliazione, dell'essere una "cosa sola", tutti figli di Dio, tutti animati dal suo Spirito.
Ecco quello che siamo invitati, oggi, a celebrare, questa - secondo me - è la festa di Pentecoste! Non la festa di un gruppo, ma una festa universale; la festa di ogni uomo che sa aprirsi al "soffio" di Dio, al suo "vento" che anima la terra.
Il Signore ci aiuti,
"Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, SANTISSIMA TRINITÀ - 19 Giugno 2011
unigenito, perché chiunque crede in lui non Giovanni 3, 16-18
vada perduto, ma abbia la vita eterna..."
Celebriamo la festa della Santissima Trinità, la fede in un Dio unico in Tre Persone distinte. È il tentativo complicato, difficile - forse impossibile - di conciliare la fede nel Dio unico, il principio assoluto che è aldilà di ogni nostra parola, di ogni nostra immaginazione, di ogni nostra possibilità di intuire fino in fondo il suo Volto.
Il Dio di cui - secondo l'Antica Parola - è bene parlare il meno possibile perché si corre il rischio di utilizzarlo per i propri comodi.
Il Dio che - secondo l'Antica Scrittura - non si dovrebbe nemmeno nominare. Il suo nome, simbolo "dell'oltre" di Dio, non va nominato dagli uomini.
Dunque il tentativo di conciliare il mistero totale di Dio con la possibilità concreta di dargli del "Tu": ed è questa la fede cristiana!
Se leggete il Vangelo trovate che Gesù ci invita a rivolgerci a Dio chiamandolo "Padre", anzi, "Abbà, Papà" come diremmo nella nostra lingua, con una confidenza totale perché Lui sa quello di cui abbiamo bisogno. Il Padre di cui il Vangelo parla con parabole straordinarie... pensate soltanto a quella del Padre che corre incontro al figlio, che è fuggito di casa e ha sciupato tutte le sue sostanze, e prepara per lui una festa straordinaria. Il Padre che ci conosce, ci ama!
E, poi, Gesù che è stato mandato per condividere la nostra vita, per essere uno di noi… e possiamo - con la nostra fantasia - immaginarlo bambino che giocava nei vicoli di Betlemme con gli altri della sua età e adolescente che imparava il mestiere del falegname e, poi, cresciuto che tentava di comunicarci valori importanti; il senso profondo ed autentico della vita, il senso vero di Dio.
Gesù, che ha condiviso fino in fondo la nostra vita e possiamo sentirlo amico e compagno del nostro cammino; che ha vissuto la nostra storia fino nei bassifondi, fedele agli ultimi, ai perseguitati, ai violentati... Gesù amico dell'uomo, a cui posso dare del "Tu" e sentirlo vicino.
E lo Spirito che posso invocare come "vento" che mi spinge in avanti, mi fa libero, mi dà la forza e il coraggio di cercare il bene.
Lo Spirito che posso sentire come il Consolatore, l'Avvocato che mi difende contro il male di questo mondo. Lo Spirito che è Dio presente dentro di me, a cui posso dare del "Tu", che posso invocare, che posso sentire presente nella mia storia.
Ma dobbiamo sempre tenere presente che ogni immagine che ci facciamo di Dio è limitata e imperfetta.
Quando penso a Dio Padre rischio di farmene un'immagine a partire da mio padre o dai poteri di questo mondo. Troppe volte abbiamo vissuto un'immagine di Dio severa, che punisce, che castiga. Troppe volte non abbiamo cercato con passione il Volto di Dio, "l'oltre" in cui abita e abbiamo confuso il Padre con i poteri di questo mondo - addirittura - con l'imperatore o con i regnanti.
E poi Gesù… qualche volta, abbiamo fatto di Lui la nostra bandiera. Con la croce abbiamo conquistato parte della terra, abbiamo sterminato nazioni, abbiamo fatto le Crociate!
E lo Spirito che abbiamo sentito, troppo spesso a buon mercato, presente nella Chiesa... A noi è dato agli altri no!
Ecco, quando parliamo e tentiamo di dare del Tu a Dio - cosa legittima per noi - dobbiamo fare sempre attenzione al mistero, all'oltre. Dio non è a nostra disposizione! Non possiamo sapere mai fino in fondo chi è Dio! Il suo Volto non può che essere cercato con passione.
Se qualcuno di voi direbbe, anche soltanto a un bambino: "Ascoltami bene... io so chi è Gesù! Io so chi è lo Spirito Santo! Io so chi è Dio, qual è il vero volto del Padre..." Ebbene, costui direbbe la più grande bestemmia che si può dire sulla terra.
Dio abita "l'oltre" e non può che essere "l'oggetto" di una ricerca appassionata. Dobbiamo parlarne per non dover tacere, ma con parole trepidanti; con parole che sanno che Dio è sempre al di là di ogni parola che posso dire... ma non soltanto io, di ogni parola che può dire il Papa, di ogni parola che può dire qualunque filosofo, il più grande teologo di questa terra.
Dio è sempre al di là, è sempre un "oltre", è sempre l'infinito, più grande della mente dell'uomo, eppure... eppure il Vangelo ci dà la fiducia e la confidenza immensa di poter sentire Dio come amico, di potergli dare del "Tu", di poterlo sentire presente nella nostra vita.
Il Signore ci aiuti.
Gesù disse alla folla: "Io sono il pane S.S. CORPO E SANGUE DI CRISTO - 26 Giugno 2011
vivo disceso dal cielo. Se uno mangia Giovanni 6, 51-58
di questo pane vivrà in eterno..."
La Scrittura - Antico e Nuovo Testamento - è attraversata come da un filo rosso: il tentativo di dire l'indicibile, di esprimere attraverso simboli, immagini quello che non si può sperimentare e conoscere: il rapporto di Dio con noi.
Non possiamo sapere chi è veramente Dio, ma dobbiamo tentare di intuire qual è il nostro rapporto, la nostra relazione con Lui e, questo, la Scrittura lo fa attraverso tutta una serie, molto ampia, di immagini, di simboli.
Pensate, nell'Antico Testamento, ai tanti simboli dell'Alleanza: l'arcobaleno che si distende nel cielo perché Dio vuol fare un patto con il suo popolo e non manderà più il diluvio.
Pensate al "forno ardente" che passa attraverso gli animali divisi, nella storia di Abramo... Pensate al sangue degli agnelli sparso sull'altare e poi sul popolo come segno di unione: di un'unione totale, si vive la stessa vita, si è dello stesso sangue e il popolo e Dio: immagini, simboli certamente!
Così come sono immagini quelle che avete ascoltato nella prima Lettura: la manna che nel deserto nutre il popolo di Israele e l'acqua che scaturisce dalla roccia e poi sul monte le Tavole della Legge che Dio consegna a Mosè: simboli, immagini... non ci sono mai state, probabilmente, quelle Tavole... ma Israele sente che nell'incontro con Dio trova i valori essenziali del suo vivere, le esigenze etiche più vere e profonde.
E nel Nuovo Testamento (ce ne sarebbero tante altre nell'Antico, ma io debbo fare presto) si trovano immagini ancora più forti...
Pensate all'immagine del Battesimo che celebriamo ancora… tra poco celebrerò un Battesimo e verserò dell'acqua su un piccolo bambino: un segno, un simbolo che non riguarda tanto il bambino ma gli adulti. Si tratta come di nascere di nuovo, di ridiventare bambini, di immergersi in Dio, nei suoi valori e consegnerò a questo bambino una veste bianca. I primi cristiani davano grande importanza a questa veste bianca! L'apostolo Paolo dice che nel giorno del Battesimo ci siamo "rivestiti di Cristo" e i cristiani portavano questa veste bianca (allora si battezzavano da adulti) per un'intera settimana. Noi chiamiamo ancora la domenica dopo Pasqua: domenica in Albis, cioè la domenica quando le vesti bianche si tolgono: un simbolo. Un simbolo che il cristiano si riveste dei valori di Gesù: diventano quasi il suo vestito, la sua seconda pelle... tenta almeno di farlo!
E oggi celebriamo, forse, il simbolo più profondo e più forte di tutta la Scrittura: Gesù si fa mangiare! Diventa cibo per nutrirci, perché qualche cosa della sua vita, dei suoi valori, della sua realtà nutra la nostra strada sulla terra.
Non siamo dei cannibali - è evidente - si tratta di un simbolo, si tratta di un Sacramento, di qualche cosa che tenta di esprimere il mistero; cioè il rapporto di Dio con me. Dio cerca di nutrirmi di sé, dei suoi valori, della sua realtà. Quei valori che noi abbiamo - almeno in parte - conosciuto in Gesù, che abbiamo intuito nella sua vita, nelle sue parole e di questi valori io tento di nutrirmi, tento di farli miei...
E, nel momento in cui li faccio miei, - come avete ascoltato dall'apostolo Paolo - ecco che mi sento parte quasi di un solo corpo, unito a tanta gente che ha mangiato lo stesso pane, come una famiglia dove si spezza lo stesso pane e ci si sente o si tenta di sentirci fratelli, tutti parte di una stessa unità: così dovrebbe essere di chi si nutre di Gesù!
Il grande racconto - che è una catechesi sull'Eucaristia - della moltiplicazione dei pani dice proprio questo: quando qualcuno riesce a mettere insieme quello che ha, quel poco che ha... la vita si moltiplica e tanta gente si sfama!
Si sfama di cibo materiale: se sapessimo fino in fondo condividere la vita su questa terra. Si sfama, soprattutto, di cibo spirituale, dei valori, di amicizia, di tenerezza, di giustizia, di verità, per diventare veramente una cosa sola.
Ecco quello che facciamo qui ogni domenica. Non soltanto un rito, non soltanto un dovere da osservare, ma un Sacramento, un simbolo, un segno che tenta di esprimere qual è il rapporto di Gesù con me e lo esprimo con il segno più forte: Gesù si fa mangiare da me, per nutrirmi di Se Stesso, dei suoi valori: è quello che siamo tutti, tutti invitati a fare oggi!
Siamo invitati a nutrirci di Lui aldilà dei sensi di colpa... Gesù è venuto per gente come noi, gente dal cuore fragile. È venuto per nutrire la nostra speranza, il nostro coraggio, la nostra voglia di camminare insieme, seguendo Lui, nutrendoci di Lui, vivendo di Lui, rivestendoci di Lui.
Il Signore ci aiuti
"Ti rendo lode, Padre, Signore XIV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 3 - Luglio 2011
del cielo e della terra, perché hai Matteo 11, 25-30
nascosto queste cose ai sapienti e
ai dotti e le hai rivelate ai piccoli"
Ci sono pagine del Vangelo che sono fondamentali nell'esperienza di fede di un cristiano. Non so se sia successo anche a qualcuno di voi, ma per me le frasi del Vangelo che abbiamo letto hanno costituito un po' il fondamento, il cuore stesso dell'avventura del mio cammino di fede. È cominciata questa storia tanto tempo fa!
Ero già sacerdote da qualche anno... noi siamo diventati preti senza conoscere per niente il Vangelo, non vi meravigli! L'attenzione si dava soprattutto alla teologia, alle grandi parole della filosofia greca e della grande tradizione teologica del cristianesimo dal medioevo fin quasi ai nostri giorni. Il Vangelo sembrava una cosa di secondaria importanza. Ho dato tanti esami e quello sul Vangelo era un esamino minore che comportava poche ore di studio.
Poi, al tempo del Concilio si rimetteva al centro la Parola ed ho cominciato ad appassionarmi alla lettura del Vangelo, non l'ho fatto mai da solo e ricordo... (un ricordo che ho molto forte nella mia mente e che mi rimarrà finché vivo) quando abbiamo cominciato con un gruppo di giovani universitari, lavoratori a prendere in mano il Vangelo di Matteo questa frase ci aveva particolarmente colpito: "Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo".
Noi tutti eravamo stati educati con le parole che parlavano di Dio con gli strumenti della filosofia greca! Dio è il primo "artefice", il motore immobile, Colui che ha creato il cielo e la terra, Colui che sa tutto, è presente dappertutto, vede tutto, tutto controlla....
Molti di noi si portavano nella fantasia religiosa l'immagine di quel gran triangolo con l'occhio che ti scrutava e ti giudicava in ogni momento della vita.
Poi abbiamo scoperto Gesù... e per un anno ci siamo promessi: non parleremo più di Dio, non nomineremo più il suo nome, finché non avremo intuito qualche cosa attraverso la vita, le parole, i gesti di Gesù e, lì, abbiamo scoperto un Dio diverso... non il Dio onnipotente che governa il mondo, che custodisce ogni uomo, non il Dio della provvidenza, ma il Dio che si coinvolge totalmente con l'uomo... ed è il Dio della tenerezza, il Dio dell'incontro, il Dio della vita, il Dio della passione per l'uomo.
E l'altra cosa importante di questa pagina che ha segnato il mio lungo cammino sacerdotale: "Ti rendo lode, Padre, perché non hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli".
Potrei raccontarvi infiniti episodi (ci vorrebbe un anno) per tutte le volte che sono stato colpito dalla testimonianza di un bambino, di un adolescente, di una persona semplice, di una persona che non sapeva né leggere né scrivere, a volte, di una persona anziana e che pure ti testimoniavano il Vangelo con una forza, una vivezza, una incarnazione concreta nella vita che mi lasciava pieno di meraviglia: veramente Dio rivela Se Stesso ai piccoli, a coloro che sanno cercare, a coloro che hanno il cuore disponibile, a coloro che sono pieni di stupore...!
Ma non vorrei essere frainteso... ho avuto la grande fortuna di conoscere delle persone geniali, delle persone che hanno scritto grandi libri, eppure, erano anche loro dei "piccoli", sempre aperti alla ricerca. Non pensavano mai di possedere la "verità" e tanto meno di volertela imporre. Con te cercavano, tentavano di rispondere alle tue domande e lo facevano con delicatezza, mettendovi sempre il dubbio della ricerca: erano "piccoli" pur avendo una mente straordinaria, gente semplice che non pensava di possedere la verità, ma che la verità andava cercata con passione giorno per giorno.
E l'altra frase che abbiamo letto oggi è stata importantissima per me: "Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi e io vi darò ristoro, prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore…".
Ero stato educato all'idea di un cristianesimo esigente: bisognava sacrificare tutto, vivere di penitenze, bisognava osservare un'infinità di regole; l'osservanza religiosa a qualcuno di noi, quando eravamo ragazzi, sembrava un incubo, un compito impossibile...!
E poi la scoperta di Gesù, della sua tenerezza, del suo andare incontro a chi ha il cuore fragile, anche a chi non ce la fa.
Pensate alla donna sorpresa in adulterio sulla piazza. Pensate alla straordinaria parabola del Padre misericordioso. Pensate a tutta la vita di Gesù... al suo incontro con Pietro. Non si finirebbe mai di raccontare questa storia e, allora, abbiamo capito che essere cristiani è sì un impegno totale...
Per dirvi un'immagine: il cristiano è uno che è invitato a guardare il sole, a tentare di essere perfetto come Dio, ma occorre che abbia occhi capaci di accorgersi di ogni margherita che fiorisce nel prato, della più piccola delle margherite, del più tenero dei fiori.
Ho scoperto che nel Vangelo è scritto che non contano solo i santi, quelli che fanno imprese eroiche... basta un solo bicchier d'acqua fresca dato per amore!
Il carico di Gesù non è pesante, non mette sensi di colpa, che lasciano nel cuore dell'uomo lo scoraggiamento e lo sconforto... è la tenerezza, è l'incontro con la gioia di Dio, con la pace di Dio: è quello che queste pagine hanno detto al mio cuore e alla mia fede in questi lunghi anni in cui ho tentato di fare il prete. Io spero che anche a voi questa pagina possa dire qualche cosa.
Il Signore ci aiuti
E disse: "Ecco il seminatore XV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 10 Luglio 2011
uscì a seminare..." Matteo 13, 1-23
Chissà se Gesù, queste parole che abbiamo letto, prima di dirle alla gente, le ha pensate nella sua mente e girate e rigirate nel suo cuore?
Vedete il Vangelo, a differenza di tante esaltazioni teologiche che sono venute dopo, ci presenta Gesù che condivide fino in fondo la nostra vita, anche nei suoi dubbi, nelle sue tentazioni.
Secondo il Vangelo Gesù conosce l'incertezza, lo sgomento, la paura, addirittura lo spavento di fronte alla morte negli ultimi giorni. Un Gesù vicino al nostro cammino di uomini, alle nostre fragilità e, allora, chissà se qualche volta, dopo aver lasciato Nazareth: aveva passato là la sua vita per trent'anni a fabbricare tavoli, a riparare sedie, costruire gli aratri per la coltivazione della campagna... poi era andato, spinto dallo Spirito, a tentare di comunicare i valori del Regno, i sogni del suo cuore.
Chissà se, qualche volta, si sarà fermato scoraggiato a pensare: "Tanto lavoro... ne vale la pena? Tento di parlare, di comunicare cose importanti, ma sembra che questi semi non producano frutto". Chissà se, qualche volta, si sarà seduto, in una triste sera d'autunno, quando è il tempo della semina, a guardare sulla collina di fronte un seminatore che spargeva lentamente il suo grano e lo vedeva cadere in parte sulla strada, in parte tra le pietre, in parte tra i rovi... si sarà detto: "A me succede come a quel contadino, sembra che i semi vadano perduti. Poi però ci sarà la festa della mietitura"
Quei semi - secondo la parabola di oggi - portano frutti, frutti straordinari: chi cento, chi sessanta, chi il trenta per uno... cosa inaudita per il seminatore di quel tempo che se produceva il sei o il sette era tutto contento.
Queste sensazioni di sgomento, queste sensazioni che il lavoro che si fa sembra andare perduto, l'ho provato nella mia vita, ma soprattutto l'ho visto negli occhi di tanti papà, di tante mamme che, in certi momenti della loro vita, avevano l'impressione che tutti i loro sforzi, tutto quello che avevano seminato, il loro tentativo di educare i figli erano andati perduti. Avevano tentato di comunicare quello che era importante per loro, ma sembrava disperdersi tra i rovi della vita.
Quanti insegnanti ho visto... e nella storia, quanti scienziati, quanti artisti, quanti santi hanno avuto, a volte in maniera drammatica, la sensazione che tutto quello che facevano, tutti i loro sforzi andassero perduti, come semi che non portano frutti, che si perdono tra i rovi, eppure...
Eppure, credevano nel seme che spargevano e aldilà del frutto che poteva portare continuavano a crederci e a testimoniare i valori che avevano nel cuore, con coraggio.
Vedete, la seconda parte del Vangelo di oggi (potete rileggerla a casa) è, secondo la maggioranza degli studiosi, la spiegazione della parabola che danno le prime comunità cristiane e si preoccupano non tanto della Parola, del valore di quello che viene comunicato, ma del "terreno" e non può che portare sgomento!
Pensate... se gli scienziati che ci hanno preceduto, Galilei e tanti dopo, si fossero preoccupati di quanto le loro teorie innovatrici venissero accolte dalla gente, forse si sarebbero fermati subito! Se tanti artisti che vedevano i loro quadri disprezzati si fossero fermati!
Pensate ai tanti santi, spesso osteggiati anche dalle comunità cristiane e dalle autorità della Chiesa con il rischio della scomunica, si fossero fermati: il mondo sarebbe infinitamente peggiore!
No! Non conviene fermarsi a guardare il "terreno" intorno! Quello che è importante è credere, come ha creduto Gesù, nel seme che aveva nel cuore, nella Parola che cercava di testimoniare: i frutti, forse, nasceranno!
A volte Gesù è arrivato a dire: "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, non porta frutto, ma se muore porta molto frutto".
Tanta gente, nel corso della storia, come Gesù, è dovuta morire perché il seme potesse portare frutto!
Noi siamo ancora qui perché i semi di Gesù erano quelli giusti e hanno portato il loro frutto nel cammino della storia. C'è tanta gente, anche che non viene in chiesa, che crede nei valori che Gesù ha testimoniato e anche noi tentiamo di crederci.
E se c'è qualcuno di voi che in questo momento vive un momento di sgomento, di sconforto... non abbiate paura! Se i semi sono stati quelli giusti, se i valori che avete tentato di comunicare erano autentici... porteranno i loro frutti!
Magari noi non lo vedremo, ma il seme giusto porta il suo frutto: in questo tentiamo di credere con tutta la passione del nostro cuore.
Il Signore ci aiuti.
Il regno dei cieli è simile a un uomo XVI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 17 Luglio 2011
che ha seminato del buon seme nel Matteo 13, 24-43
suo campo...Venne il suo nemico,
seminò della zizzania...
Vi ho invitato ad ascoltare con particolare attenzione la spiegazione della parabola. Domenica scorsa (forse qualcuno lo ricorderà) vi dicevo che secondo la maggioranza degli studiosi le spiegazioni, che si trovano soprattutto in questa parte del Vangelo di Matteo, sono il tentativo delle prime comunità cristiane di commentare le parabole e la spiegazione che oggi abbiamo letto (per me e forse anche per voi) è particolarmente impressionante.
Tutto si trasporta nel mondo del mito: gli angeli, i diavoli, i buoni, i cattivi, la fine del mondo, il fuoco in cui vengono bruciati tutti i mali, tutta l'iniquità... tutto è fuori dalla vita di ogni giorno, dai nostri problemi quotidiani...
Si perde così il senso della parabola che invece - come avete certamente intuito - riguarda la tolleranza, il timore di strappare insieme alla zizzania il buon grano.
Pensate come sarebbe diversa la storia della Chiesa se i cristiani di tutti i tempi avessero accolto fino in fondo l'insegnamento di Gesù: attenzione... rischiate di strappare insieme alla zizzania il buon grano!
Quante persone, nel corso della storia, hanno sofferto, sono stati perseguitati perché venivano ritenuti eretici e senza aspettare il "fuoco finale" molti roghi sono stati accesi qui sulla terra. Sono stati bruciati eretici, gente diversa, sono state bruciate le streghe, quelli che appartenevano ad altre religioni... senza tolleranza! Eppure, questo, è il nocciolo della parabola!
Pensate, (se volete qualche esempio) alla terribile, feroce lotta nel secolo scorso contro il modernismo... quanta gente ha sofferto! Quanti studiosi hanno perso la loro cattedra. Quanta gente ha fatto la fame per la caparbia, cocciuta volontà di un Papa di combattere tutto quello che - secondo lui - era male ed era male quello che andava contro la tradizione, contro quello che si era sempre detto, che si era sempre fatto.
Credeva, come troppi cristiani nel corso della storia e anche oggi, di difendere la vera fede, di difendere la verità e difendeva soltanto se stesso, i propri pregiudizi, la propria incapacità di distinguere il bene dal male, il giusto dall'ingiusto.
Se volete qualche nome dello scorso secolo che dovremmo ricordare sempre... pensate a Ernesto Bonaiuti, una grande figura della Chiesa. Pensate a Lorenzo Milani... l'elenco sarebbe quasi infinito! Persone che cercavano di porre i semi del futuro, di intuire cammini diversi, di scoprire vie nuove e venivano considerati eretici e condannati.
Perché tanta incapacità? Perché tanta incapacità di essere tolleranti, di distinguere il bene dal male? È il frutto della paura, la paura di perdere il proprio prestigio, la propria autorità, i propri privilegi, le proprie sicurezze...
Dio è diverso! Ce l'ha detto chiaramente il Vangelo di oggi! Dio ama il seme che spunta e che cresce, il seme piccolo come un granello di senape che diventerà grande come un albero. Dio ama i fiori che sbocciano. Dio ama il futuro. Dio ama la gente che ha paura, seriamente paura, che insieme alla zizzania sia strappato il buon grano... e noi?
Noi abbiamo certamente il dovere di combattere il male con tutte le nostre forze! Ma dov'è il male? Siamo proprio sicuri di conoscerlo? Siamo proprio sicuri che combattendo il male non combattiamo invece per noi stessi, per difendere le nostre convinzioni, i nostri privilegi?
Quanti ragazzi ho visto soffrire perché le scelte che loro andavano facendo contraddicevano la mentalità dei genitori che li volevano a propria immagine e somiglianza! Quanta gente ha tribolato, quanta gente ha sofferto per l'intolleranza!
E noi riusciamo ad amare il seme che cresce, il lievito, che pian piano fermenta tutta la pasta, con una fiducia incrollabile nel seme? Questo è il nocciolo della parabola!
Il seme porta frutto, è più forte della zizzania, il seme piccolo come un granello diventa un albero, è come un pugno di lievito... ci crediamo?
Se ci crediamo fino in fondo, come Gesù, non possiamo diventare intolleranti, non possiamo condannare la gente, non possiamo bruciare sul rogo, non possiamo togliere una cattedra, non possiamo affamare la gente, non possiamo emarginare le persone soltanto perché la pensano diversamente da noi.
Vedete, è stato difficile per tutti i cristiani che ci hanno preceduto essere tolleranti, veramente tolleranti… non vuol dire che non ci interessi niente del bene e del male, di come vanno le cose, ma che abbiamo veramente la passione per il bene, per i semi che crescono, per il futuro e il timore di sradicare insieme alla zizzania il buon grano.
Non è stato facile per chi ci ha preceduto e certamente non è facile per noi.
Il Signore ci aiuti
Il regno dei cieli è simile a XVII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 24 Luglio 2011
una rete gettata nel mare, che Matteo 13, 44-52
raccoglie ogni genere di pesci...
Siamo arrivati alla conclusione del lungo capitolo del Vangelo di Matteo dedicato alle parabole. Forse lo ricorderete nelle domeniche precedenti abbiamo letto la parabola del seminatore... una parte del seme va tra le pietre, una parte in mezzo ai rovi poi, però, alla fine dà il trenta, il sessanta, il cento...
La parabola della zizzania che cresce insieme al buon grano, ma non si può andare a strappare.
La parabola del seme piccolo come un granello di senape che diventa un albero e del lievito che fermenta tutta la pasta. Tutte parabole cariche di speranza, di fiducia nel seme, nel lievito, nella Parola.
Oggi tocchiamo il cuore di questo discorso. Per poter seguire il Signore, per poter essere credenti, forse di più, per poter essere uomini occorre avere un "tesoro" nel cuore, una "pietra" preziosa. Occorre avere dei valori fondamentali in cui credere. Occorre compiere scelte che orientano tutto il nostro cammino: è la scelta della vita, la scelta del bene, del rispetto degli altri, dell'amore... valori, insomma, valori in cui crediamo sul serio, che tentiamo di elaborare dentro di noi per capire che cosa possono significare nella nostra vita quotidiana.
Valori... una pietra preziosa, una luce dentro, l'apertura al "soffio", al "vento" di Dio che ci spinge in avanti verso il bene.
Vedete, noi... - e quando dico noi dico tutta l'umanità - abbiamo bisogno di regole, di leggi e queste leggi devono essere accompagnate da premi e da castighi. Noi non riusciamo a vivere pienamente la gratuità, a fare il bene perché è bene, ma... Dio è diverso! Dio sogna un mondo in cui nel cuore dell'uomo ci siano dei valori; dei valori che ama, cerca, segue; dei valori che segue, cerca, ama aldilà del premio e del castigo.
Non ha paura del castigo: ha paura di sciupare la vita perché, se nella vita non c'è un cuore, non c'è una "perla" preziosa per cui val la pena di dar via tutto... la vita perde di senso, perde i valori fondamentali, perde le scelte autentiche.
Ecco, Dio sogna un mondo in cui nel cuore dell'uomo ci sia fame e sete di giustizia. Ci sia desiderio di pace, di essere miti, teneri, rispettosi, accoglienti, ci sia capacità di amicizia, di generosità, di amore sincero.
Se c'è questo desiderio, questa ricerca, allora le regole... - ci vogliono, ma diventano meno importanti - le seguiremo non perché sono regole, ma perché ne sentiamo dentro i valori, questo è importante per ogni genitore che cerca di educare il figlio; per ogni insegnante che cerca di comunicare qualche cosa... servono sì i voti, servono le punizioni, i rimproveri... ma se non riesce a comunicare i valori autentici della vita, l'attenzione agli altri, la passione per la giustizia, il desiderio di collaborare alla vita pubblica, se non riesce a comunicare un po' di amore per la cultura, per la bellezza... tutto rischia di diventare, se non proprio inutile, almeno estremamente faticoso.
Dunque, queste parabole... - la parabola del seme e della pietra preziosa, piccolissime, brevissime, due simboli, due lampi - toccano il cuore della nostra fede, forse il cuore della vita dell'uomo.
Poi - non so se avete notato - tutto sembra precipitare. Si è volato in alto, fino a conoscere il cuore di Dio, i suoi sogni e poi... poi "Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare" che tira su pesci di ogni genere, buoni e cattivi.
Ecco quello che siamo noi! La realtà concreta della vita della Chiesa, la realtà concreta dell'umanità. Siamo diversi... siamo tutti diversi! Diversi per cultura, per razza, per il modo di pensare. Abbiamo la convinzione o dovremmo avere la convinzione che siamo tutti nella stessa rete, tutti parte della stessa grande famiglia di Dio e a Lui soltanto, alla fine, dovremmo lasciare il compito di separare i buoni dai cattivi…
A noi è dato di guardare l'altro, di scoprire in lui i segni dei valori che abbiamo anche noi perché, ogni uomo, si porta dentro di sé un riflesso di Dio, una traccia della sua luce e se la porta dentro nella diversità.
Siamo - per fortuna - diversi. Ciascuno di noi porta valori, ricchezze diverse: accoglierle, accettarle, promuoverle è il segreto della vita. Non è semplice.
Il Signore ci aiuti
"Tutto quello che legherete XXIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 4 Settembre 2011
sulla terra sarà legato in cielo, Matteo 18, 15-20
e tutto quello che scioglierete
sulla terra sarà sciolto in cielo".
Siamo abituati... - forse, potrei dire ci hanno abituati - a cercare nel Vangelo delle regole di comportamento. Vedete, qui ne abbiamo un esempio abbastanza preciso...
"Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va' e ammoniscilo tra te e lui solo; se ti ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà prendi ancora con te una o due persone… se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità…"
Chi di voi ha mai fatto una cosa del genere? Specialmente nel nostro ambiente cittadino, questo, è quasi impossibile!
A volte, è difficile dire qualche cosa anche a un figlio, al marito, alla moglie; non parliamo poi di un amico... si offendono subito! E, allora, che senso hanno queste parole? Non solo "va' e parla tra te e lui solo, ma prendi due o tre persone...". Come posso prendere due o tre persone per andare a parlare con un amico che mi ha offeso?
Vedete, se queste parole vengono prese come delle regole di comportamento diventano assurde, sciocche, impossibili da mettere in pratica.
E se in questa pagina, il discorso fosse completamente diverso? Se qui non si parlasse di come dobbiamo comportarci, ma del nostro rapporto con Dio? Chi è Dio? Forse questa pagina vuol rispondere a questa domanda o, almeno, a uno dei tanti aspetti di questa domanda!
Siamo stati abituati - quando offendevamo un fratello per qualunque motivo, a volte, quando eravamo ragazzi soltanto per una parolaccia - ad andarci a confessare... il sacerdote, zelante, ci diceva: "Dì tre Ave Maria e vai in pace".
Anche lui era abituato a trovare nel Vangelo le formulette, ma non si è reso conto che qui è scritto: "Tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo". Ma se tu non sciogli, in cielo non si scioglie... Insomma Dio lascia a voi, a me, a noi la responsabilità dei nostri rapporti umani. È inutile andare a confessarsi se non ho cercato di risolvere i miei rapporti con le altre persone.
Dire tre Ave Maria, ricevere una, due, dieci, venti assoluzioni non serve a nulla finché non si è ristabilita la pace tra di noi!
Come è possibile ristabilire la pace tra noi? Qualche volta è possibile, qualche volta no! Ma è sempre un compito nostro! Dio appartiene al sogno, all'ideale, ci chiama, ci cammina davanti e ci chiede di prenderci responsabilità gli uni degli altri.
Come è possibile? Come posso farlo nel concreto della mia vita, senza stancarmi mai, con occhi attenti alle esigenze della pace?
Quante volte, ho visto dei genitori costretti a sbarrare gli occhi, a cercare di cogliere ogni segno, ogni piccolo indizio che potevano aiutarli a dare una mano al figlio, che a volte stava prendendo una strada sbagliata, a volte non capiva più che cosa gli accadeva intorno.
Prendersi responsabilità dell'altro... qualcuno sogna un tempo lontano in cui c'erano le regole, le leggi, le punizioni, la severità... non è mai servito a niente! Se leggete la lunga storia degli uomini vi accorgerete che non serve la pena di morte. Prendersi responsabilità del fratello significa tentare faticosamente di capire cosa può giovare alla pace: è responsabilità nostra, nei grandi problemi della vita e nei piccoli affari quotidiani!
E Dio? Dio non è uno che sta dietro le nostre spalle a cercare di tappare i buchi della nostra impotenza. Dio ci sta davanti e ci ama e ci sollecita e ci spinge a tentare di prendere sul serio la nostra vita e chi ci sta accanto. A tentare di vivere i nostri rapporti nella maniera più giusta, più amorevole, più rispettosa possibile.
Tutti voi avete esperienza e sapete quanto questo è difficile, e non ho nessuna consolazione da darvi: non ci sono scorciatoie. Ma nel momento in cui vi sentite più poveri, perché non avete scorciatoie, non avete nessun santo, nessun Dio a cui raccomandarvi, considerate soltanto un momento la vostra dignità di uomini. Siamo noi i responsabili della nostra vita! A noi è affidato questo mondo! Di questo mondo soltanto noi possiamo prenderci cura. Come, quando, in che modo? Non posso darvi nemmeno un pizzico di risposta perché, a queste domande, ciascuno di noi non può che rispondere in maniera assolutamente personale, perché ciascuno di noi vive in una famiglia diversa dall'altra; ha un rapporto con il marito, con la moglie diverso dall'altro, eccetera...
Ciascuno di noi ha... - perché il problema si estende anche ai grandi problemi della società e del mondo - un rapporto con il sociale, con le regole, con le leggi, con le crisi economiche che attraversiamo e ci preoccupano in questo momento... ha un rapporto molto diverso...
Chi ha una responsabilità più grande in un posto di lavoro o nella società e chi non ha nessuna responsabilità, chi soltanto ha... - se posso dare un consiglio - il compito di non leggere troppo i giornali per non affliggersi, rischiando di non capire quello che succede… qualche volta, la responsabilità che abbiamo noi è soltanto quella di fare una carezza a chi ci sta accanto, raccontare una barzelletta...
Dicono, adesso, che le signore sono invitate quasi tutte le sere a giocare a "burraco"… giocate a burraco, meglio giocare a burraco che vedere la televisione! Qualcuno mi rimprovera di questo lo so, ma, a volte, curarsi dei problemi della vita e del mondo significa semplicemente giocare a burraco!
Altre volte la vita è più seria! Curarsi dei problemi del mondo significa, addirittura, rischiare la morte, ma questo speriamo che a noi non accada.
Tutto questo per dirvi che a noi è affidata la responsabilità della nostra vita ma, a ciascuno di noi, in maniera diversa. Ciascuno di noi deve scoprire, con buona volontà, cosa può fare perché il mondo sia almeno un pochino più bello. È compito nostro!
Se noi "leghiamo" si lega presso Dio; se noi "sciogliamo" si scioglie presso Dio. Ma se noi non sciogliamo o leghiamo anche Dio non può far nulla!
È l'impotenza di Dio di cui tante volte abbiamo fatto esperienza, ma anche la nostra dignità di uomini liberi.
II Signore ci aiuti
"Signore, quante volte dovrò XXIV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 11 Settembre 2011
perdonare al mio fratello?" Matteo, 18, 21-35
Siamo abituati - ve ne sarete accorti - ad ascoltare il Vangelo senza pensarci troppo su, cogliendone qualche frase, qualche aspetto che ci colpisce e, qualche volta, questi aspetti rischiano di mettere un peso sul cuore della gente… come oggi: "Quante volte dovrò perdonare, fino a sette volte?". "Non fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette". Chi di noi è capace di perdonare fino a settanta volte sette? Potremmo uscire da qui, i più sensibili, con un peso nel cuore.
Ci capita spesso di non riflettere attentamente sul Vangelo: quanti di voi si sono accorti che in questa pagina c'è una grande, seria, sconcertante contraddizione?
Pietro domanda a Gesù: "Quante volte dovrò perdonare, fino a sette volte?". Si sente generoso Pietro! Gesù gli dice: "Non fino a sette, ma fino a settanta volte sette". Proprio come il Padre celeste! Che fa il Padre celeste? Perdona una volta e poi basta!
Come sarebbe a dire? Noi dobbiamo perdonare settanta volte sette e Lui perdona una volta sola! Mi riferisco al servo malvagio che viene perdonato una volta e poi gettato in prigione. Questo, forse, può aiutarvi a fare una riflessione seria - o l'inizio di una riflessione seria - su una parola che usiamo abitualmente e che, secondo il mio parere - ormai da una ventina d'anni - andrebbe completamente abolita dal linguaggio religioso: la parola "perdono"!
Vi siete mai chiesti cosa significa perdonare? Che c'è dietro questa parola?
Vi faccio alcuni esempi... È capitato - penso a tutti - di vedere in televisione dei "bravi" giornalisti (bravi si fa per dire) che mettono il microfono sotto la bocca di qualcuno a cui hanno ucciso il figlio in un incidente: "Sei disposto a perdonare, tu che sei un cristiano?".
Che significa perdonare? Che dovrebbero fare - secondo voi - quei genitori? E poi... può perdonare uno al posto di un altro? La grande tradizione ebraica dice di no! Chi è morto non può più perdonare e, quindi, nessuno può perdonare al posto suo.
Oppure, vi siete mai chiesti, ascoltando in questi ultimi anni - ci hanno afflitto parecchio - dei capi della Chiesa, a volte anche il Papa, chiedere perdono per i peccati degli altri: che vuol dire? Che significa chiedere perdono per quelli che hanno messo in carcere Galilei o quelli che hanno bruciato Giordano Bruno? E che vuol dire chiedere perdono - in tempi più recenti - per i sacerdoti accusati di pedofilia? Il Papa, con grande generosità, chiede perdono, si batte il petto per i peccati loro... e quando comincerà a chiedere perdono dei peccati suoi? A domandarsi: ma io che c'entro in tutta questa storia? E se fosse un po' anche colpa mia?
Ma veniamo a cose forse per voi più familiari.
Un papà vede che il figlio fa qualche cosa di sbagliato, deve perdonare? Fino a che punto? E che significa perdonare? Dimenticare, far finta di niente, passarci sopra? Fino a quando? E perdonando troppo non si rischia di far del male al proprio figlio? Che senso ha la parola "perdono" in questi casi?
Oppure, forse a qualcuno di voi è capitato... ne ho incontrati tanti che hanno subito un torto e si portano dentro - magari dopo anni - un rancore profondo. Questo, a volte, succede in famiglia... nuora con suocera, (e questo è scontato) suocera con nuora ma, anche, madre con figlia, una figlia con la madre, il padre con il figlio... si portano dentro, per delle offese, ricevute un rancore profondo. A volte i più sfortunati vanno a confessarsi e il prete "zelante" gli dice: "Se non perdoni non sei un bravo cristiano!".
Cosa significa perdonare in quel caso? Togliere il rancore dal cuore? Ma non si può! Nessuno spiega alle persone, normalmente, che noi non siamo padroni dei nostri sentimenti e, quindi, se ho un rancore dentro continuo ad avercelo e più ci combatto e peggio è! Bisognerebbe essere in grado di sorridere, di non pensarci più, di lasciare al passato una cosa che non si può più conciliare.
Cosa significa perdono in queste situazioni? Vedete quante domande! Vedete quanti aspetti diversi della parola "perdono"!
A qualcuno di voi è forse accaduto di aver litigato con una persona e poi, magari dopo mesi o anni che non ci si parla più... a un certo punto si ritrova il coraggio di guardarsi negli occhi, di riaprire il dialogo. Dopo un litigio ci si ritrova, si supera, ci si riabbraccia di nuovo e l'amore, l'amicizia diventano più forti, più profondi, purificati, perché si è riusciti, insieme, ad andare aldilà di quello che è accaduto... È forse questo la realizzazione autentica del perdono?
Insomma, cosa significa perdonare?
Probabilmente infinite cose diverse quanto sono diverse le persone sulla faccia della terra, e infinite le situazioni che capita di vivere.
Forse... forse se rileggete a casa questa parabola (come a me è capitato tante volte) vi fermerete a domandarvi: ma io che debito ho con Dio, con la vita? E vi accorgerete, forse... (come è capitato a me, fin da quando ero giovane) di avere un debito immenso con la vita...
Ho ricevuto la vita come un dono e con la vita ho ricevuto lo splendore delle montagne, la bellezza del mare, i fiori e, soprattutto, le persone. La gente che ho incontrato e che mi hanno voluto bene. Gente con cui ho condiviso la vita, condiviso tanti pensieri, tanti sentimenti, tanta strada: un debito immenso, dunque! E non potrei che vivere la gratitudine, la gratuità e allora...
Posso pensare che abbiano contratto un gran debito con me coloro ai quali, forse, sono riuscito a fare un po' di bene e magari qualcuno non mi dice nemmeno "grazie"? Non dovrei ricordarmi del debito immenso che ho nei confronti di Dio, nei confronti della vita e diventare più capace di tolleranza, di accoglienza, di rispetto per chi, magari, non ce la fa e conservare nel cuore la gratitudine? Chi sente di aver ricevuto tanto, chi lo sente nel profondo del cuore, non dovrebbe tentare di dare almeno un po' di quello che ha ricevuto?
È questo forse il senso profondo di questa parabola: la gratuità, il ringraziamento per il dono ricevuto, il sentirsi in debito nei confronti della vita e, forse, la capacità di condividere un po', nella gratuità, quello che ci è stato donato.
Il Signore ci aiuti
"Questi ultimi hanno lavorato XXV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 18 Settembre 2011
un'ora soltanto e li hai trattati Matteo 20, 1-16
come noi, che abbiamo sopportato
il peso della giornata e il caldo".
Questa parabola è per la maggior parte dei cristiani - se l'esperienza non mi inganna - veramente scandalosa.
Come è possibile che i primi che hanno lavorato tutto il giorno, hanno sopportato il peso di una giornata, il caldo vengono pagati come gli ultimi che hanno lavorato un'ora soltanto e che, in fondo, erano degli sfaccendati perchè tutte le volte che il padrone è andato a cercarli non c'erano sulla piazza; stavano da un'altra parte forse, all'osteria o a divertirsi o a dormire, chissà? Sta di fatto che fino alle cinque su quella piazza non c'erano!
Perché pagare degli sfaccendati, dei bugiardi, come quelli della prima ora? Potete spiegare quanto volete che, qui, non si tratta di raccogliere uva, non si parla di rivendicazioni sindacali, ma di qualcosa d'altro!
Il lavorare nella vigna è l'impegno a fare il bene, è la ricerca della giustizia, il tentativo di vivere la generosità, l'altruismo; di fare il meglio che si può. Anche se si spiega in questo modo la gente non è convinta: la parabola rimane uno scandalo. Non si può trattare allo stesso modo una persona perbene e un delinquente!
Perché tutta questa difficoltà ad accogliere questa parabola? Forse perché non siamo abituati a leggere il Vangelo? A vedere nella parabola solo un simbolo? Mi sono convinto che c'è qualche cosa d'altro e, forse, più profondo.
Vedete, spesso la vita cristiana c'è stata presentata come un peso, una fatica... tanti obblighi, tante osservanze, tante proibizioni, tanti divieti; il bene costa molto sacrificio.
Se una cosa la faccio con sacrificio, se mi pesa, allora, è buona. Se torno a casa contento per aver fatto del bene, mi hanno insinuato nel cuore il dubbio di averlo fatto, almeno in parte, per soddisfare il mio egoismo e non per vero amore. La vita cristiana è vista da molti - per un'educazione che viene da lontano, secondo me - come un peso, un sacrificio, una rinuncia.
Quando ero un giovane prete (tanto tempo fa) andavo ad insegnare religione nelle scuole medie, ricordo che cominciavo sempre l'anno invitando i ragazzi a dire cosa secondo loro significasse essere cristiani... e invitavo uno di loro a scrivere sulla lavagna tutte le risposte. Si riempivano "lavagnate"...: questo non si può fare, questo è proibito, bisogna andare a Messa, bisogna confessarsi, bisogna ubbidire, bisogna non dire parolacce... tutta una serie di obblighi, di divieti che riempivano la lavagna....
Tutte le volte mi giravo verso di loro, dicendo: "Voi non potete assolutamente essere cristiani! Per voi il cristianesimo è solo un peso, un sacrificio, uno sforzo! Dov'è l'entusiasmo per il bene? Dov'è la passione per la giustizia? Dov'è la gioia di poter fare qualcosa di buono e di utile per gli altri? Dov'è la fierezza di poter andare la sera a dormire dicendo: ho fatto quello che potevo, quello che era giusto, ho cercato il bene?".
E poi, vedete, in questa parabola c'è il cuore di Dio, i suoi sogni. Dio è diverso da noi! Quanto il cielo è alto sulla terra, così sono distanti i suoi pensieri dai nostri pensieri. Vedete, per Dio, un uomo prima di essere un delinquente è un figlio e Lui il figlio lo va a cercare come il pastore cerca la pecora che s'è perduta e aspetta il figlio che se ne è andato via di casa a sciupare le sue cose... lo aspetta con ansia e gli corre incontro e prepara la festa.
Dio sogna che ogni uomo vada a lavorare nella "vigna", che partecipi alla giustizia, al bene e alla costruzione del mondo e, se uno arriva anche all'ultima ora, prepara per lui il banchetto, uccide il vitello grasso. Non pensa, certo, di non dare anche a lui il necessario per vivere, la paga del giorno.
Dio ama i suoi figli e vorrebbe che tutti, anche i peggiori delinquenti, diventassero capaci di bene, di amore e non si stanca di cercarli perché, per Lui, l'uomo prima di essere un delinquente è un figlio.
E per noi...? Noi siamo povera gente! Per noi un delinquente è un delinquente e va punito e va escluso dalla società e, prima di essere un fratello, è solo un delinquente.
Se ci rendessimo conto fino in fondo che siamo tutti figli di Dio, che ogni uomo che vive accanto a noi è un fratello, che dovremmo tentare in tutti i modi di riportare sulla via della giustizia e del bene chi sbaglia… il mondo sarebbe diverso.
Quanto sarebbero diverse le nostri carceri se tutti fossimo convinti che ogni uomo è un fratello e si dovrebbe tentare in tutti i modi di far sì che l'esperienza carceraria non sia un'educazione a delinquere ancora di più, ma un tentativo - a volte, difficile, che può anche fallire - appassionato di riportare quest'uomo sulla via del bene.
I pensieri di Dio sono alti sulla terra quanto è alto il cielo. Dio vorrebbe che noi considerassimo tutti sulla terra come fratelli! È un'utopia, lo so, è un sogno! Potremmo tentare di vivere quest'utopia, ma per farlo, forse, dovremmo renderci conto che il nostro essere persone perbene, il nostro poter andare la sera a dormire, dicendo: ho fatto tutto quello che potevo, ho cercato di rendere il mondo un po' migliore, ho cercato di essere attento agli altri... per noi è una fortuna!
Pensateci bene! Chi tra di voi si cambierebbe con un delinquente? Soltanto perché, magari, ha un po' di soldi in più! Chi si cambierebbe con lui? Chi rinuncerebbe alla propria giustizia, alla propria dirittura morale?
E allora, vedete, dovremmo essere capaci di considerare il nostro impegnarci nel campo del bene, nella "vigna" del Signore come una fortuna. Una fortuna che ci è stata data dalle circostanze della storia, non è solo merito nostro! È merito dei genitori, di chi ci ha educato, delle persone che abbiamo incontrato... ma è la fortuna della nostra vita, della mia vita e, spero, anche quella di tutti voi.
Ecco, allora, potremmo capire il senso di questa parabola. Lavorare nella "vigna" del Signore non è un peso, non è un sopportare la fatica del giorno e il caldo: è il grande dono di Dio!
E come non volere, allora, che ogni uomo che vive sulla terra, che dovremmo sentire fratello, possa partecipare con noi alla ricerca della giustizia, del bene, a tentare di vivere la tenerezza e l'amore? A parole è tutto facile, a vivere - come sapete - è molto più difficile.
II Signore ci aiuti.
"Figlio, oggi va' a lavorare XXVI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 25 Settembre 2011
nella vigna". "Non ne ho Matteo 21, 28-32
voglia". Ma poi si pentì
e vi andò.
Abbiamo cominciato una serie di tre parabole particolarmente polemiche che leggeremo oggi e nelle due domeniche seguenti: parabole forti! Ce l'hanno con qualcuno… e - come succede in molte cose umane - ci sono due facce della medaglia: alcuni aspetti positivi, che danno speranza, consolano il popolo cristiano. Altri, invece, sono inquietanti, pericolosi, sconcertanti.
Qualcuno di voi potrà chiedersi: "Come è possibile che sia sconcertante e pericoloso il Vangelo?" Ebbene, cercheremo di vederlo, ma domenica prossima!
Oggi vorrei invitarvi a fermarvi sugli aspetti positivi di questa parabola. Ci sono due figli... il padre dice: "Va' a lavorare nella vigna". Il primo: "Sì, vado". Poi non ci va! Il secondo dice: "No, non ci vado". Poi si pente e ci va! Chi dei due ha compiuto la volontà del Padre? Credo che non sia difficile rispondere!
Ma per chi è stata scritta questa parabola? Avete ascoltato?
Questa parabola è scritta per i capi dei sacerdoti e per gli anziani del popolo. È una parabola che serve a difendere la povera gente perché, spesso, i principi dei sacerdoti, gli anziani del popolo, parlano, legiferano, impongono, ma non fanno! Mentre la povera gente, la gente di tutti i giorni, spesso, si sforza di fare il meglio che può.
Gesù per primo è stato perseguitato non da qualche malvagio, ma dalla istituzione più importante del popolo d'Israele: i capi dei sacerdoti, il Sinedrio, il potere religioso e il potere legale.
E anche i cristiani che son venuti dopo, spesso, hanno conosciuto il carcere, le flagellazioni, le persecuzioni da parte dei capi, prima gli Ebrei e poi i Romani.
E, tra loro, c'era tanta gente che cercava di rimanere fedele al messaggio di Gesù e che per questa fedeltà ha pagato, anche con la vita: sono "loro" quelli che arrivano dopo, ma vanno a lavorare nella "vigna", si sforzano di fare il bene, di vivere i valori e i sogni del cuore di Gesù. Gente semplice, tra cui ci sono dei peccatori, delle prostitute... sono cambiati, hanno saputo scoprire il bene e la giustizia. La parabola, dunque, è detta per difendere questa povera gente, contro i capi del popolo, contro i principi dei sacerdoti.
E, questo, non è successo soltanto nei primi tempi del Cristianesimo! Ripercorrete un po' la storia della Chiesa!
Quante volte i Papi, i vescovi, i monaci, le monache hanno posseduto immensi territori qui nella nostra Italia ma, anche, in altre parti del mondo, trattando i contadini come schiavi!
Io (se volete un po' sorridere) a giustificazione delle mie malignità invoco sempre l'eredità dei cromosomi di un antenato che ha ammazzato il priore del convento… contro i cromosomi non si combatte! Probabilmente aveva ragione lui perché, forse, questo priore vessava i poveri contadini del luogo, li mandava a lavorare in cima alle montagne, mentre i frati avevano territori più buoni e facili da coltivare.
E, questo, è arrivato fin quasi ai nostri giorni nella vita della Chiesa... Solo della Chiesa… e lo Stato? Pensate a quanti principi, feudatari, vassalli, valvassori, padroni, hanno trattato quasi come schiavi la povera gente!
Quando andavano in chiesa e leggevano questa pagina del Vangelo, tanti si sentivano difesi: noi siamo dei poveracci, ma questi che ci comandano parlano, a volte, dicono grandi belle parole, ma poi non fanno...!
E oggi...? Come stiamo combinati oggi? (ecco, qui qualcuno ride, ci sarebbe da piangere) Oggi i capi del popolo, spesso, parlano, dicono, fanno grandi proclami e poi...? Poi come si comportano? E noi...? Noi dobbiamo subire!
E non solo capi di governo, ministri, deputati, senatori, ma, anche i capi religiosi parlano, dicono ma poi quando si tratta di soldi cercano di fare i propri interessi... dicono e non fanno! Parlano ampiamente di dialogo, ma non ascoltano nessuno... dicono e non fanno! E noi..?
Noi povera gente... - povera gente perchè anche noi siamo peccatori, gente fragile - noi cerchiamo di fare quello che possiamo. Questa parabola è scritta per difenderci, scritta per dire che quello che conta è "fare"! Non basta parlare!
Ma qui devo mettervi in guardia da un grande pericolo che può sovrastare la nostra vita. Si rischia, quando ci si guarda intorno e si vede tutto questo marciume e dentro e fuori la Chiesa... di diventare dei cinici, della gente che dice: "Così fan tutti, è meglio arrangiarci!"
Noi a Roma abbiamo dovuto combattere... - abbiamo qualche giustificazione noi romani - con gli imperatori, poi con i Papi, poi con Napoleone eccetera, eccetera e... "O Franza o Spagna basta che se magna".
E la morale? E la responsabilità individuale di chi cerca il bene, e si chiede giornalmente: "Cosa è giusto fare?", poi, tenta di farlo? Il senso della dignità di chi cerca i valori autentici e li trova dentro di sé senza il bisogno di ubbidire a una volontà superiore; senza dover ubbidire a comandamenti più alti... Dentro di sé, nella propria dignità di uomo, nel rispetto dell'altro, considerando ogni persona un individuo... trova i valori autentici della morale, dell'onestà: è il compito di ciascuno di noi!
Siamo invitati a sentirci uomini liberi, chiamati da Dio a vivere la propria responsabilità, ad alzare la testa, a trovare dentro di noi, nella coerenza e nella libertà, le strade della giustizia e del bene.
Se cerchiamo di capire cosa è giusto e poi tentiamo, faticosamente, di farlo… allora siamo difesi da questa parabola! Allora possiamo guardare con disprezzo - se volete - ai capi del popolo, ai principi dei sacerdoti, ma soltanto se abbiamo il coraggio di non lasciarci trasportare dal dire: così fan tutti e, quindi, anche noi facciamo i nostri comodi.
No! Abbiamo la dignità di uomini e quindi il coraggio di cercare la giustizia e di tentare di metterla in pratica.
Il Signore ci aiuti.
C'era un uomo che possedeva XXVII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 2 Ottobre 2011
un terreno e vi piantò una vigna... Matteo 21, 33-43
È la seconda delle tre parabole che leggiamo in queste domeniche: parabole polemiche, forti.
Domenica scorsa vi invitavo a cogliere l'aspetto positivo di queste parabole, che sono - dicevamo - la difesa della povera gente, di quelli che fanno e non dicono, la difesa di fronte ai tanti parolai, in tutti i campi: nella Chiesa, fuori, nel mondo della politica.
Molti si sforzano di fare quello che possono nella vigna del Signore, nelle strade della giustizia e del bene: una difesa - dunque - della povera gente. Era l'aspetto positivo!
Oggi vi inviterei a vedere l'aspetto negativo, sconcertante, pericoloso di queste parabole! Come è possibile che una parabola del Vangelo sia pericolosa, sconcertante?
Sapete cosa c'è dietro questa parabola? Auschwitz, i campi di concentramento, secoli di antisemitismo, a volte, crudele. Come è possibile - direte voi - che tutto questo si trovi in parole scritte duemila anni fa? Vediamo…
Come avete ascoltato, in questa parabola entra la violenza. Domenica scorsa c'erano due figli... il primo dice: "Vado a lavorare nella vigna". Poi non ci va! Il secondo dice: "No!" Poi ci va! Chi ha ragione? Certamente ha ragione quello che è andato a lavorare nella vigna! Era scontato!
Oggi le cose si fanno molto più complicate proprio perché c'è la violenza. I contadini non solo non portano i frutti della vigna, ma uccidono i servi mandati a raccogliere i frutti e non solo uccidono i servi, ma anche il figlio che il padrone della vigna ha mandato per ultimo: "lo presero, lo gettarono fuori della vigna e lo uccisero". Chi è il figlio ucciso e gettato fuori della vigna? È Gesù! E chi è il padrone della vigna? Certamente Dio! Lo avete capito bene anche dalla parabola da cui questa è ripresa quella che abbiamo letto nel profeta Isaia.
Dunque, la violenza dei contadini che uccidono il Figlio e che fa il Padre? Lo avete ascoltato... "quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna… a un popolo che ne produca i frutti".
Questa parabola che è stata detta - come la precedente - contro i principi dei sacerdoti e i capi del popolo diventa una parabola contro tutto un popolo che è accusato di deicidio e porterà per i secoli questo peso terribile che procurerà a questo popolo dolori inenarrabili, fino all'ultima, terribile tragedia della Shoah!
Qualcuno di voi può dire: "Queste sono cose, ormai, del passato; forse è meglio guardare avanti, andare oltre, cercare qualche altra cosa in questa parabola!". Posso anche essere d'accordo, anche se l'antisemitismo è sempre in agguato, specialmente in questi giorni in cui alcuni ebrei sono diventati fondamentalisti e in nome di Dio combattono guerre e occupano terre.
E allora si rischia di fare il corto circuito! Qualche ebreo è violento e fondamentalista, tutti gli ebrei, il popolo ebraico è fondamentalista... se vogliamo andare avanti, ed è doveroso guardare avanti, specialmente per la gente più giovane, dobbiamo tener conto dell'esperienza del passato. Dobbiamo tener conto del grande male che ogni generalizzazione produce.
Se ci sono degli arabi che sono terroristi e fondamentalisti, questo, non significa che tutti gli arabi sono fondamentalisti e terroristi.
Se ci sono in questo paese - e ce ne sono - alcuni romeni che delinquono non significa che tutti i romeni sono delinquenti.
Se in questo paese ci sono tanti politici che si fanno i fatti loro e delinquono, non significa che tutti i politici lo fanno e, soprattutto, non significa che la politica è qualcosa di sporco. Senza politica non c'è paese, non c'è governo... c'è soltanto la legge del più forte.
Troppo spesso si generalizza e si fa di tutta l'erba un fascio, si punta il dito non verso chi è colpevole, ma verso tutta una categoria. Dicono a noi romani che siamo degli scansafatiche - forse ce ne sono come in tutti i paesi - ma non tutti i romani sono scansafatiche! Io ne conosco che lavorano o che hanno lavorato duramente, da mattina a sera, sacrificandosi per la propria azienda e per il paese... e ne conosco tanti!
Quindi, vedete, quando si generalizza è sempre pericoloso. Ma c'è qualche cosa di più!
A volte i giudizi sono fatti in nome di Dio. Dio ha fatto "miseramente perire" quelli che hanno ucciso suo Figlio. In nome di Dio si possono fare guerre. In nome di Dio si possono fare Crociate. In nome di Dio, in questo paese, si può negare il funerale a un povero cristiano che ha chiesto a lungo: "Staccatemi la spina, la mia non è più vita!".
In questo paese si può dare dell'assassino ad un padre, il quale ha detto: "Mia figlia non vive più, togliete tutti i sussidi medici! La potete far vivere cent'anni ancora, ma lei non ha più vita! Non fatela soffrire e non fateci soffrire più!". Un "assassino"!
Ecco - vedete - i rischi terribili del parlare in nome di Dio! Dobbiamo guardare avanti... ma possiamo farlo soltanto nel rispetto degli altri, nella tolleranza, nella convinzione profonda che nessuno di noi possiede la "verità".
Nessuno! Né il Papa, né i preti, né i politici, né noi, nessuno! Tutti la dobbiamo cercare nel rispetto dell'altro, nel dialogo, nell'accoglienza e nessuno, in nome di Dio, può dire: "Questo è giusto e questo è sbagliato".
Questo modo di pensare ha procurato dolori inenarrabili nella storia dell'umanità, in tutte le religioni, non soltanto nella nostra.
Ecco, allora, dobbiamo avere il coraggio di guardare nel Vangelo, nei testi fondamentali della nostra fede, i semi della violenza, dell'intolleranza e del male per fare bene attenzione a come interpretiamo questi testi. Non possiamo interpretarli rischiando di diventare intolleranti e violenti anche noi. Non si può rispondere alla violenza con la violenza, al male col male. Perdiamo il senso, non soltanto della nostra fede, ma della dignità umana.
Parlare - come sapete meglio di me - è facile, vivere è un po' più complicato.
Il Signore ci aiuti.
Gesù, riprese a parlare con XXVIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 9 Ottobre 2011
parabole: "Il regno dei cieli Matteo 22, 1-14
è simile a un re, che fece una
festa di nozze per suo figlio..."
Leggiamo l'ultima delle tre parabole forti, polemiche, dure in cui abbiamo trovato anche la violenza, il desiderio di vendetta dei primi cristiani… e anche oggi lo potete notare.
Il re cosa fa? "Mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città". È l'interpretazione della distruzione di Gerusalemme: l'esercito di Tito è l'esercito di Dio che si vendica per la morte di suo Figlio. Inaccettabile per noi! Questi aspetti negativi li abbiamo ritrovati in tutte e tre queste parabole.
Oggi però vorrei fermare la vostra attenzione sull'aspetto positivo di questa parabola che, forse, è il cuore stesso del messaggio del Nuovo Testamento.
Dio ci chiama a una festa di nozze. Ora non so se avete esperienza di quella che era la festa di nozze dell'antico mondo contadino... piccoli paesi, tutti partecipavano. Era una festa che si preparava per mesi, che durava giorni, in cui si ballava, si cantava, si mangiava... rimaneva per anni la memoria di questa festa di nozze...
Immaginatevi la festa di nozze del figlio del re! Era l'avvenimento principale, era il momento gioioso, splendido, il momento della festa totale: il regno di Dio è così! Un invito alla festa, alla gioia, al piacere, alla condivisione della vita, alla bellezza.
Nella settimana passata mi capitava, a pochi giorni di distanza, di ascoltare prima il professor Veronesi (tutti lo conoscete) che parlava della sua ultima battaglia (almeno per ora) per il diritto di ogni malato a non soffrire. La battaglia perché da ogni ospedale di questo paese siano banditi il dolore, la sofferenza. Poi ho partecipato a un funerale in cui il sacerdote esaltava la sofferenza e il dolore della persona che era morta, dicendo che era un dono prezioso di Dio.
Può, Dio, amare il dolore e la sofferenza? Può mandare il dolore come un suo dono?
Perché abbiamo corrotto così il messaggio centrale del cristiano, perché di un messaggio centrale si tratta!
Voi sapete che Gesù comincia la sua missione cambiando l'acqua in vino per una festa di nozze. Voi sapete che Gesù invita Matteo e gli altri pubblicani intorno alla tavola, così è per Zaccheo... Nel Vangelo trovate spesso Gesù che partecipa a un banchetto festoso, tanto che qualcuno lo chiama un mangione e un beone. Amico della festa, amico dei peccatori. Dio vuole la festa, il sogno di Dio è la festa dell'uomo! Perché lo abbiamo corrotto?
Ricordavamo qualche sera fa a cena (non so nemmeno perché) che avevamo fatto una visita qualche anno fa a una bellissima mostra in cui c'erano tanti abiti elegantissimi della fine dell'ottocento e c'erano anche tante camicie da notte, piene di merletti preziosi... su molte di loro c'era ricamata una grossa scritta: "Non lo fo per piacer mio, ma per dare un figlio a Dio". È la demonizzazione del sesso, del piacere! Tutto quello che è piacere è brutto, è cattivo.
Quante volte ho ascoltato, nel corso della mia esperienza, persone che si sentivano contente per avere fatto un po' di bene, ma dicevano: "Forse l'ho fatto per egoismo, per piacere mio"!
Il piacere è l'equivalente del male, del peccato! Perché si è corrotta così la notizia del lieto annunzio delle nozze di Dio?
Nel corso della storia della Chiesa ci sono dei personaggi che si sono flagellati; che hanno camminato ginocchioni sulle pietre per fare sacrifici; che hanno fatto lunghi digiuni... perché? Le spiegazioni sarebbero lunghe e complesse!
Credo che per ogni comunità cristiana sia importante ritrovare il cuore del messaggio del Vangelo: Dio vuole comunicarci un sogno, il sogno della festa, della condivisione, del piacere, della gioia a cui tutti gli uomini sono chiamati e, se questo è il sogno di Dio, possiamo cercare di farlo diventare il nostro sogno.
Allora ha ragione Veronesi: bisogna combattere il dolore come si può, in tutti i suoi aspetti. Certo, il dolore fa parte della vita, fa parte del cammino dell'evoluzione, è inevitabile! Ma il compito dell'uomo è quello di combatterlo; quello di portare, come può intorno a sé, un po' di gioia, di serenità, di condivisione, di festa: il sogno di Dio è la festa!
C'è una seconda parabola oggi (non so se lo avete notato) è la parabola della "veste nuziale". Tutti l'avete sentita commentare, (specialmente quando eravamo ragazzi… a me lo hanno detto infinite volte) dicendo che quando si partecipa al banchetto di Dio, cioè all'Eucaristia, bisogna confessarsi, bisogna andare, con la "veste bianca", togliere tutte le macchie.
E se il significato di questa parabola fosse completamente diverso?
Se Gesù si presentasse a quel sacerdote che esaltava la sofferenza e il dolore, dicendogli: "Tu non hai l'abito della festa, fuori!". Se Gesù potesse dire a tutti quelli che nella storia della Chiesa hanno esaltato, la penitenza, la flagellazione, i digiuni, i sacrifici; a tutti quelli che hanno demonizzato il piacere: "Voi non avete l'abito della festa, fuori! Qui si sta solo con l'abito festoso, qui ci sta solo chi ama la festa, per il tempo e per quel futuro che è nelle mani e nel sogno di Dio".
È questo il messaggio più positivo di questa parabola. È questo, forse, il cuore stesso del Vangelo!
Dio ci chiama alla festa, il mondo è pieno di dolore - lo sappiamo tutti - ma il compito del credente è quello di combatterlo con tutte le sue forze, perché il credente tenta di far proprio - per quanto si può - il sogno di Dio, che è un sogno di festa, di gioia, di piacere, di pace. È difficile!
Il Signore ci aiuti.
Allora disse loro: "Rendete XXIX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 16 Ottobre 2011
dunque a Cesare quello che Matteo 22, 15-21
è di Cesare e a Dio quello
che è di Dio".
Sono tra le parole più conosciute del Vangelo, ma anche tra quelle di più difficile interpretazione. Ne sono state date moltissime nel corso della storia. Queste semplici parole "Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" che possono significare?
Anzitutto vorrei farvi notare che sono parole estremamente generiche che vengono affidate totalmente alla nostra coscienza. Gesù - lo vediamo in tante parti del Vangelo - si rifiuta di darci regole, indicazioni precise... ci dà dei principi che noi dobbiamo cercare di interpretare, tradurre nel concreto della nostra esperienza; applicare, poi, nella nostra vita.
Che senso possono avere (sempre per quello che ho capito io) oggi?
Vedete, da una parte c'è un invito, ad ogni uomo credente, di prendersi cura dello Stato. "Date a Cesare..." cioè allo Stato, alla comunità, alla collettività, al bene comune... tutto il dovuto.
Si tratta di prendersi cura della vita sociale, della vita pubblica, di rendersi conto dell'importanza della legge, di fare in modo che le leggi siano il più possibile giuste e applicate con giustizia e celerità. Si tratta di partecipare pienamente alla vita politica secondo le possibilità di ciascuno. Si tratta di rendersi conto dell'importanza di pagare le tasse perché i servizi siano dati a tutti, specialmente ai più deboli. Si tratta di prendersi cura della scuola, degli ospedali, degli spazi pubblici e, questo, non come cattolici, ma come cittadini.
È sciocco fare un partito cattolico, esigere delle leggi cattoliche, fare una scuola cattolica, degli ospedali cattolici... questo significa non avere il senso della collettività, del bene comune, della partecipazione di tutti a una società più giusta e migliore.
Vedete, c'è un limite nell'educazione cristiana che tutti abbiamo subito… e non vi meravigliate se i preti predicano in un certo modo, quando ho studiato la morale, mi preoccupavo soltanto di una morale individuale. Il problema più importante era il sesso. Si cercava di stabilire regole per ogni camera da letto. Importante era l'osservanza delle regole liturgiche... andare a Messa la domenica; praticare il digiuno eccetera, eccetera. Tutto era volto a guadagnarsi il Paradiso, acquistare meriti per salvarsi l'anima.
A nessuno di voi è mai capitato di sentirsi chiedere in confessionale: "Tu partecipi alla vita politica? Ti occupi del tuo ospedale, della scuola in cui vivono i tuoi ragazzi? Ti occupi dei beni pubblici... (qui a Ostia siamo particolarmente fortunati perché abbiamo un mare stupendo, una pineta straordinaria) che tutto sia tenuto in buon ordine, curato come cosa di tutti?"
Ecco questo è "dare a Cesare quello che è di Cesare..."
E che c'entra Dio?
Rendere a Dio quel che è di Dio... significa, forse, dire qualche preghiera qui in chiesa la domenica? Sarebbe veramente non aver capito chi è Dio nella vita del credente!
Dio è il riferimento assoluto, per cui il cristiano sa che deve ubbidire a Dio prima che agli uomini. Ah! Lo avessimo saputo nel corso della storia della Chiesa!
Il secolo scorso è stato - da questo punto di vista - drammatico, perché c'erano Stati che si presentavano come vere e proprie idolatrie, che volevano l'anima della gente: il nazismo, il fascismo, il comunismo... bisognava pensare in un certo modo. Bisognava lasciare tutto allo Stato... l'educazione dei figli...
Noi abbiamo accettato uno Stato aggressivo: abbiamo benedetto come cattolici... - guardate, non soltanto i preti, ma molta della gente di questo paese - le conquiste coloniali, la guerra... la guerra del quindici, diciotto... c'era dietro la partecipazione corale di molta gente... un massacro di centinaia di migliaia di persone, senza rendersi conto che quello era contro ogni moralità; contro ogni legge divina: Dio non poteva accettare e volere da un credente quel modo di pensare.
Abbiamo accettato le leggi razziali ed è questo il nocciolo del dramma del secolo scorso da cui son venute cose terribili.
Se posso darvi un consiglio... rileggete - o leggete per chi non lo avesse mai fatto - quel piccolo, straordinario libro di don Milani intitolato "L'obbedienza non è più una virtù", in cui vi fa toccare con mano da una parte il senso dell'appartenenza alla comunità, il prendere sul serio il bene comune e dall'altra il riferimento assoluto a Dio.
Se lo Stato mi impone qualche cosa che è contro la mia coscienza, io, non posso, non devo accettarlo! Nel secolo scorso i governi imponevano con la forza un modo di pensare mettendo in galera i dissidenti... oggi, magari, questo non si fa, ma rischiamo di essere condizionati da mattino a sera dalla televisione, che propone modi di pensare, valori che non sono autentici... il consumismo, l'arraffare tutto, il pensare ciascuno per sé, l'essere furbi...
Un'ultima cosa vorrei dirvi per non farla troppo lunga. È una vera bestemmia dire: "date allo Stato quel che è dello Stato e date a Dio, cioè alla Chiesa, quello che è di Dio" come ho letto, soltanto qualche mese fa, nell'articolo di una delle autorità della Chiesa! La gerarchia della Chiesa è cosa di questo mondo e noi abbiamo il dovere di non vendergli l'anima, di non farci condizionare nemmeno dall'autorità ecclesiale.
Dio fa un appello direttamente alla nostra coscienza, perché possiamo trovare dentro di noi e nel dialogo con i fratelli i valori autentici e, non possiamo e non dobbiamo vendere l'anima a nessuno, ma cercare dentro di noi ciò che è giusto e poi tentare, come possiamo, di farlo.
Non è una cosa facile - badate - non è stato facile in questi duemila anni per i cristiani i quali ne hanno fatte di cotte e di crude, ma non c'è altra strada. Non c'è altra strada per essere, da una parte fedeli alla società, allo Stato, alla gente con cui vivo, al benessere di tutti e, dall'altra parte, essere fedeli a Dio cioè a quei principi assoluti… che nessuno però mi può dire quali sono in nome di Dio... è idolatria!
Idolatria se me lo impone lo Stato, idolatria se me lo impone la Chiesa: debbo cercare con la mia testa quello che è veramente importante per la vita dell'uomo e per la mia vita. Ve l'ho detto già: non è facile.
Il Signore ci aiuti
"Maestro, nella Legge, qual è XXX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 23 Ottobre 2011
il grande comandamento?" Matteo 22, 34-40
"Ama il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Ama il prossimo tuo come te stesso"
Sembrano le parole più semplici del Vangelo. Dopo cinquant'anni di esperienza sacerdotale mi sono convinto che sono, invece, tra le più difficili non solo a vivere ogni giorno - che è abbastanza scontato - ma anche a capire cosa significano nel concreto della nostra esperienza.
Vorrei, quindi, farvi una predica un po' sconclusionata, senza un filo logico, raccontandovi un po' della mia esperienza a proposito di queste parole.
Mi è capitato, più volte, di incontrare delle persone che mi dicevano: "Padre, io cerco di pregare ma mi sento vuoto, non sento niente, nessun trasporto, nessun sentimento... posso dire qualche rosario, ma niente di più. Forse non voglio bene a Dio con tutto il mio cuore, con tutta la mia anima?".
Ed è difficile spiegare a queste persone... - perché, spesso, si unisce un senso di colpa - che l'amore con il sentimento non c'entra niente, che amare Dio non significa vivere un trasporto, un'emozione, che qualche volta c'è nella nostra vita, ma a volte e più spesso se ne va e non succede solo a noi povera gente, ma anche ai più grandi santi della storia. Se leggete le loro esperienze… hanno avuto periodi oscuri, di silenzio interiore, di difficoltà a mettersi davanti al Signore e a esprimere qualche sentimento.
L'amore non è la stessa cosa che il sentimento dell'amore.
Poi ci sono persone a cui hanno detto che amare Dio significa comportarsi in una certa maniera… Ho incontrato qualcuno che si era sposato, aveva tentato di vivere un amore e lo aveva fatto anche con molta buona volontà e, poi, non ci era riuscito. Si era separato, aveva avuto un'altra famiglia e gli dicevano che non poteva fare la comunione. Mi chiedeva: "Perché? Perché debbo sentirmi escluso da questo dono che il Signore ci fa? Non dice il sacerdote: "Prendete e mangiatene tutti"? Perché io no?" Qualcuno aveva detto: "Non è la volontà di Dio!".
Quando ero più giovane ho passato ore, ore e ore in confessionale... (adesso non s'usa più, la confessione è una specie in estinzione, ma allora c'era tanta gente) ho dovuto combattere a lungo con i metodi anticoncezionali. Avevano detto che non si poteva...! Al tempo di mia nonna si avevano dodici, tredici figli... e poi il mondo era cambiato; non si poteva più, non c'era spazio nella casa, però, non si poteva avere rapporti usando i metodi anticoncezionali!
Ho passato ore a discutere con i ragazzi che avevano rapporti prematrimoniali e che si sentivano condannati da Dio. Era veramente Dio o era soltanto la mentalità di qualche sacerdote incapace di capire il mondo che gli stava intorno?
Ho dovuto dire: "Io non ti posso dare nessun permesso, ma è la tua coscienza che deve indicarti le strade del bene e del male e sappi che, se tu scegli certe strade, ci sono sulla terra milioni e milioni di cristiani che la pensano come te e, quindi, credo che possa essere tranquillo e sereno".
Quando ero bambino (questo può ricordarlo solo qualcuno dei più anziani tra voi) mi capitava di ascoltare in chiesa dei comizi elettorali: parlava un padre gesuita… lo chiamavano "il microfono di Dio". Forse Dio parlava con altri microfoni! Addirittura, c'era chi diceva che se ami Dio devi votare quel partito altrimenti sei scomunicato!
Significa proprio questo amare Dio?
Mi sono posto tante volte queste domande e adesso penso anche di avere qualche risposta.
Il secondo comandamento: "Ama il tuo prossimo come te stesso"
Una volta una signora mi diceva: "Vede padre, ho fatto per mia suocera molto di più di quello che ho fatto per mia madre, ma l'ho fatto senza amore". Cercavo di domandare: "Che significa senza amore?". "Ma, vede, senza trasporto, senza sentimento". Ma cos'è l'amore, il sentimento, oppure tentare di mettersi dalla parte dell'altro, di fare quello che si può per aiutare, per dare una mano nel momento della difficoltà e della malattia?
E, d'altra parte, ho ascoltato parecchie volte delle persone che dicevano: "Io voglio tanto bene ai miei figli, ai miei nipoti". E se provavate a dirgli: "Ma, forse, potresti comportarti in modo un po' diverso". La risposta era sempre quella: "Ma io gli voglio tanto bene!".
L'amore non è fatto di sentimenti, è fatto anche di intelligenza, di cercare di capire: di cosa ha bisogno questo ragazzo che cresce? Dove finisce il rispetto per lui, per le sue scelte, per la sua personalità e dove comincia il mio dovere di educazione... anche, qualche volta di punizione per certi comportamenti sbagliati? Cosa significa voler bene veramente?
Qualcuno gli dice: "Fai quello che vorresti facessero per te". Ma lui non vuole che lo ami come amo me stesso. Lui vuole essere amato in un altro modo e capire come lui vuol essere amato... beh! non è affatto semplice!
Vedete quante domande e quanto è poco semplice capire cosa significhi amare Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.
Troppi di noi sono stati educati con l'idea che bisogna affidarsi a Dio... l'ho sentito dire più volte - purtroppo - anche da alcuni giovani: "Se vuoi amare Dio devi rinunciare a pensare, a cercare, devi affidarti". Affidarti a chi? All'ultimo stupido santone che ti indica la volontà di Dio? E Dio, l'intelligenza, che te l'ha data a fare?
Quando eravamo giovani e chiedevamo qualche spiegazione spesso ci sentivamo rispondere: "È un mistero, devi credere e non devi pensare, non devi farti domande". Perché credere senza cercare di capire? Dov'è la nostra intelligenza? Dove possiamo indirizzare il nostro cuore?
L'educazione a ubbidire, ad affidarsi, a non porsi domande credo che sia una delle grandi tragedie dell'educazione cattolica in questo paese.
Se, a volte, vi domandate il perché di certi fenomeni anche tragici della nostra vita sociale e politica, forse, bisognerebbe riandare lì... a quando eravamo bambini e ci dicevano: "Non pensare, è un mistero".
No! Non fidatevi, cercate, chiedetevi sempre: "Cosa veramente vuole Dio? Cosa significa amare veramente il prossimo? Cosa vuole il prossimo da me? Cosa posso fare per lui nella verità e nella giustizia?". Domande difficili!
Il Signore ci aiuti
E non chiamate nessuno "padre" XXXI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 30 Ottobre 2011
sulla terra, perché uno solo è il Matteo 23, 1-12
Padre vostro, quello del cielo.
Cercando di preparare qualche cosa di assennato da dirvi su questa pagina del Vangelo, mi è capitato di assistere a una trasmissione in cui una signora, che adesso insegna all'università di Parigi, presentava un libro in cui racconta la sua storia. La storia drammatica dell'anoressia. Un male gravissimo che affligge parecchie persone, anche, in questo paese.
E parlava del suo senso del dovere, del dover corrispondere sempre alle attese che su di lei avevano i genitori, la famiglia, la scuola, l'ambiente che gli stava intorno e, poi, sono diventate le sue esigenze, il sentirsi sempre all'altezza, anche quando non riusciva a farcela. E, questo, ha portato in lei il rifiuto stesso del vivere oltre che del mangiare!
L'anoressia è un problema serio, ma credo che riguardi un po' tutti perché, spesso, capita ai genitori di chiedere molto ai figli, di avere per loro delle aspettative che non corrispondono alla loro realtà, che mettono carichi pesanti sulle loro spalle, che gli rendono difficile accettare se stessi...
E, spesso, è fatto (penso lo sappiate benissimo) con grande amore, con grandi attese per il bene dei propri figli... dov'è il confine dell'impegno di un genitore a stimolare il proprio figlio perchè sia sempre migliore, perché realizzi se stesso e dove comincia il peso insopportabile che schiaccia e rende difficile la vita fino a doverci rinunciare?
E, questo, che vale per la famiglia vale anche per la scuola. A volte capita - e fin dalla scuola materna - che degli insegnanti chiedano ai loro bimbi e poi ai loro ragazzi qualche cosa di più di quello che possono dare. Mettono sulle loro spalle carichi pesanti per cui si sentono inadeguati, con il rischio di rifiutare la scuola, l'impegno a proseguire sulla strada della cultura.
E quello che vale per la famiglia e per la scuola vale anche per lo Stato, per la vita sociale. Nel nostro paese ci sono complicatissime regole burocratiche che frenano lo sviluppo dell'economia e quando le regole diventano insopportabili, rischiano di favorire le cose fatte di nascosto, il sotterfugio, le mazzette, per ottenere ciò che si avrebbe diritto di ottenere più in fretta.
Quando le regole diventano troppo complicate, si rischia che la gente sia tentata di non osservarle, di sfuggire alle regole, di vivere l'ingiustizia.
Se volete un semplice esempio fate caso ai limiti di velocità sulle strade, alcuni di loro sono veramente assurdi! Nessuno li osserva e questo - per quello che ho capito - è bruttissimo per l'educazione dei nostri ragazzi: si abituano a non osservare la legge, a non prenderla sul serio perché è stupida, perché impone carichi pesanti e chi l'ha fatta, magari, si sente dispensato dall'osservarla.
E quello che vale per la famiglia, per la scuola, per la società, vale - e forse ancora di più - per la vita della Chiesa.
Troppe volte ho visto imporre carichi troppo pesanti sulle spalle della gente. Leggi incomprensibili per quel che riguarda la nascita, la vita e la morte delle persone. Pesi insopportabili perché stupidi, non rispettosi della concreta vita dell'uomo... la conseguenza è l'anoressia religiosa! C'è ormai la maggior parte dei cristiani non sa più che farsene (e forse giustamente) della Confessione! Ma c'è di peggio! Molti cristiani abbandonano la pratica religiosa. Come forse sapete... ormai in molte regioni d'Italia più del cinquanta per cento dei matrimoni non si fanno in chiesa. Al trenta, al quaranta per cento, in certe regioni, i genitori non battezzano più i figli! E, se questo, fosse per causa di pesi messi sulle spalle di gente che non ritiene giusto sopportarli, che diventano troppo pesanti perché non comprendono più la vita delle persone?
Un modo per superare tutto questo potrebbe esserci... il Vangelo di oggi ce lo indica... "Non chiamate nessuno padre sulla terra, perché uno solo è il vostro Padre, quello del cielo" "Non chiamate nessuno maestro sulla terra, perché uno è il vostro Maestro, il Cristo".
Voi sapete che nella vita della Chiesa si comincia dal "santo padre", non soltanto padre ma anche santo! E c'è il padre vescovo, il padre curato, il padre spirituale, il padre maestro dei novizi... tutta una serie di padri e nessuno sembra rendersi conto che nel Vangelo c'è scritto: non chiamate nessuno padre.
Ci sono tanti "maestri", che pensano di possedere la verità. Io credo, spero... - non sono mai sicuro di me stesso - di essere stato, almeno un po', salvato da questa tentazione perché, quando avevo venticinque anni e sono diventato prete, con fastidio e stupore mi sentivo chiamare padre da persone che avevano cinque o sei figli e, magari, erano nonni di sei o sette nipoti e, io, non avevo nessun figlio e nessun nipote e mi chiamavano padre! Ho capito che non si trattava soltanto di parole, ma di qualcosa di più profondo. Non dovevo sentirmi "padre", non dovevo sentirmi "maestro", non avevo niente da insegnare a nessuno; avevo da imparare, da rispettare chi mi stava davanti.
Dovevo, soprattutto, guardarmi bene dall'imporre carichi pesanti… a volte non ci si riesce! Non ci si riesce perché viene quasi spontaneo tentare di aiutare la gente a crescere, ad essere migliori... e non ti accorgi che stai mancando di rispetto e imponi carichi insopportabili.
Vedete, il Vangelo aveva intuito tutto questo con straordinaria acutezza.
La professoressa che presentava il suo libro diceva: "Bisogna accettarsi, essere capaci di essere misericordiosi e teneri con se stessi; essere capaci di perdonare gli altri e il mondo che ci circonda".
Io aggiungerei: "Bisogna essere capaci di sorridere di noi stessi, di come ci comportiamo e cercare di vivere un po' più la condivisione e il rispetto con gli altri, tentando di non sentirci mai dei padreterni, dei maestri. Siamo fratelli prima che maestri. Siamo fratelli prima che padri".
Il Signore ci aiuti.
"Il regno dei cieli è simile XXXII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 6 Novembre 2011
a dieci vergini che, prese Matteo 25, 1-13
le loro lampade, uscirono
incontro allo sposo..."
L'immagine di queste dieci ragazze che, con la lampada accesa, aspettano nella notte l'arrivo dello sposo è molto suggestiva ma, se ci pensate attentamente, è una delle immagini, forse, più drammatiche del Vangelo.
Queste ragazze stanno aspettando la grande festa di nozze che è stata loro promessa, ma lo sposo non arriva!
Si può accettare che una sposa abbia mezz'ora di ritardo - è abbastanza normale - se arriva dopo un'ora la consideriamo già un po' maleducata, ma uno sposo, no! Lo sposo dovrebbe arrivare prima e aspettare la sposa! Ma se arriva, addirittura, dopo mezzanotte, che sposo è? Come ci si può fidare di lui? Ma chi è tanto pazza da sposare un uomo così, che arriva dopo mezzanotte?
Lo sposo che non arriva, lo sposo maleducato è il Signore! È Lui che la prima comunità cristiana aspetta e non viene!
I primi cristiani vivono una situazione drammatica. Molti sono perseguitati, portati nei tribunali, alcuni uccisi. Cominciano ad avere un lungo elenco di martiri. Vivono in un mondo profondamente ingiusto: i due terzi degli abitanti dei paesi del Mediterraneo sono schiavi. C'è dappertutto una grande violenza!
A loro è stata promessa una festa di nozze, un mondo di giustizia, di pace e per questo mondo devono lavorare: di questo è simbolo la lampada accesa. A loro è chiesta una speranza cocciuta che non si lascia scoraggiare, che continua ad aspettare.
A loro è stato promesso che questo mondo arriverà presto! Avete ascoltato l'apostolo Paolo... è convinto di non morire. Prima, quando è ancora vivo, ritornerà il Signore: ma il Signore non viene!
L'ingiustizia si moltiplica e colpisce le loro vite e lo Sposo non arriva! Eppure... eppure una lampada accesa, in una notte che sembra non finire mai, non spunta mai l'alba... occorre continuare cocciutamente a tenere accesa la lampada, perché?
Perché crediamo in un mondo "altro", in un mondo in cui finalmente ci sia la pace, la giustizia, il bene, la pienezza dell'amore, non più l'ingiustizia, la violenza dell'uomo sull'uomo.
E noi? Noi, in questi tempi in cui ogni giorno il telegiornale ci parla di crisi; in cui vediamo, in giro per il mondo, tanta gente che subisce la violenza, la fame...
E noi che, spesso, siamo tentati di scoraggiamento... chi ci dà la forza di tenere accesa la nostra lampada, la nostra cocciuta speranza, che è fatta di gesti concreti, di costruzione di pace?
E Dio? Dov'è Dio? Perché non interviene?
Molti di noi sono stati abituati a crescere nella fede con le vite dei santi, a sentir parlare sempre della provvidenza, di una provvidenza che alla fine tutto sistema.
Se leggete la grande tradizione della Bibbia: il popolo d'Israele, sa, che non può far altro che litigare con Dio, e litigarci spesso... Dove sei? Che fai? Perché non intervieni? Perchè ci lasci soli? Perchè muoiono tanti bambini? Perché c'è tanta violenza nel mondo? Dove stai?
Israele ha il coraggio di litigare con il Signore e, forse, dovremmo averlo anche noi, per ritrovare, alla fine del litigio, nel confronto con Lui, la nostra dignità di uomini!
A noi, al nostro coraggio è chiesto di tenere accesa la lampada, di conservare viva la speranza in un mondo diverso da quello in cui viviamo, in un mondo in cui ci sia giustizia e pace.
E tenere la lampada accesa, non è sognare qualche cosa di miracoloso che scende dall'alto, ma è costruire intorno a noi la fame e la sete di giustizia, la tenerezza, la misericordia; tentare di rendere vivi i valori di Gesù. È questo il compito nostro!
Ecco che allora questa immagine delle ragazze con la lampada accesa diventa la nostra immagine.
Non possiamo far finire "quell'olio". Non si può comprare quell'olio. Non c'è nessun venditore che ci vende la speranza. La speranza è qualche cosa che il credente deve strappare dal profondo delle sue viscere, anche litigando con Dio; perchè Dio non c'è per venirci in aiuto, per provvedere ai nostri mali. Dio non risolve i problemi del mondo.
L'ingiustizia è dappertutto intorno a noi e allora? Allora come si fa a sperare ancora? Eppure, se vuoi essere cristiano, non puoi che tenere accesa la tua lampada. La tua speranza deve essere cocciuta. La voglia di futuro deve essere il fondamento stesso della tua fede e non un fondamento astratto, ma il concreto operare per il bene e la pace. Quanto sia difficile lo sapete meglio di me.
Il Signore ci aiuti.
A uno diede cinque talenti, XXXIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 13 - Novembre 2011
a un altro due, a un altro Matteo 25, 14-30
uno,secondo le capacità
di ciascuno.
Domenica scorsa, vi ricorderete, facevamo nostra l'immagine suggestiva delle dieci ragazze che, con la lampada accesa nella notte, aspettano il Signore. È l'attesa amorosa di un mondo "altro", di un mondo in cui regni la giustizia, la pace, in cui ci sia la pienezza della vita.
Oggi il Vangelo ci fa fare un passo avanti. Ci dice che questa attesa amorosa deve essere molto concreta, pratica. Si tratta di trafficare i doni che ciascuno di noi ha. I doni che ha ricevuto dalla natura, dalla vita, i doni dell'intelligenza, dell'educazione, i doni della fede, che ha ricevuto in famiglia; la ricchezza che ha potuto trovare nella scuola, negli incontri con gli altri... insomma tutto quello che noi siamo bisogna che sia moltiplicato e messo a servizio degli altri.
È giusto che un uomo cerchi di primeggiare nel posto in cui lavora, nell'ambiente in cui vive, ma è importante che lo faccia in spirito di servizio, di messa in comune di tutte le sue doti, le sue ricchezze… e non sono poche! Quando pensate ai cinque talenti, pensate a cinque monete... un talento equivale alla paga di diecimila giornate di lavoro, quindi una cifra notevole (chi può faccia i suoi conti).
Tutti noi abbiamo dei talenti da trafficare, da moltiplicare, da mettere al servizio dell'altro, ma forse avrete notato che in questa parabola l'attenzione è messa sull'ultimo servo.
La prima comunità cristiana si interroga su questo servo che ha ricevuto un solo talento, quindi è sfortunato nella vita, ma è anche pieno di paura.
Ha paura di Dio. Lo ritiene un giudice esigente e severo, che punisce. Ha paura della vita: la ritiene un compito quasi impossibile. La paura... la paura è proprio il contrario della fede. La paura che impedisce di aspettare un mondo "altro", che impedisce di trafficare i propri talenti, i propri doni, le proprie qualità ed è tentato, l'ultimo servo, di andare a sotterrare il suo tesoro sottoterra; chiudendosi nella sfiducia, nello scoraggiamento, nella pigrizia. La paura, dunque!
Ho incontrato, troppo spesso, persone che avevano paura della vita, paura del proprio compito, paura di essere inadeguati, paura di non farcela.
Ho incontrato, più spesso di quanto qualcuno di voi può immaginare, persone che avevano paura di Dio, del suo castigo, che sentivano Dio duro ed esigente, pronto a punire. Ho incontrato tante mamme che avevano paura che Dio le punisse nei loro figli per qualche sbaglio che avevano fatto!
E credo che la prima comunità cristiana faccia un'altra riflessione! Da dove è venuta a questa persona la paura? Fosse anche un pochino colpa nostra? Come gli abbiamo parlato di Dio? Abbiamo creduto che mostrare un Dio severo, che punisce, che castiga fino alla terza e alla quarta generazione, potesse migliorare la vita della società? Poi ci siamo accorti che la peggiorava, perché la paura porta allo scoraggiamento, alla sfiducia nella vita e, a volte, porta violenza!
E anche nella Chiesa cosa abbiamo insegnato? Un tempo, e in parte anche oggi, tutto sembrava male, tutto peccato, tutto proibito e Dio era pronto a punire! E poi la punizione assoluta: l'inferno!
Quando ero ragazzo si andava all'inferno per aver mancato alla Messa una domenica, per aver avuto un pensiero cattivo, per aver detto una parolaccia. A qualcuno di noi hanno messo nel cuore la paura di Dio.
E forse questa prima comunità cristiana si chiede anche: cosa si può fare? Qual è il compito nostro? Sì, trafficare i talenti, ma c'è in mezzo a noi qualcuno che ha paura, qualcuno che di talento ne ha avuto uno solo e si sente scoraggiato... come facciamo a dargli speranza? Come facciamo a fare in modo che anche lui traffichi i suoi doni, magari, limitati?
Quando ero appena un giovane prete e cominciavo la mia missione, ho avuto la fortuna di incontrare una donna straordinaria che dirigeva una scuola per gente affetta dalla sindrome di Down. Mi portava, qualche volta, un gruppetto di questi bambini perché li preparassi alla prima Comunione e mi diceva: "Guardi, don Checco, quanto sono belli!". Rimanevo perplesso, non mi sembravano proprio troppo belli! E mi diceva: "Lei non immagina nemmeno quanta capacità di tenerezza, quanta capacità di affetto, quanta capacità di vita hanno questi ragazzi!"
Un tempo venivano emarginati dalla società, venivano trattati come esseri inferiori. Oggi, anche per merito di persone, come quella signora che conobbi tanti anni fa, è cambiato il modo di vedere. Si cerca di dare anche a queste persone la capacità di sviluppare i propri talenti e capita di riconoscerli come un tesoro affidato alla vita di tutti.
Ecco, ciascuno ha i suoi talenti da trafficare, ma bisogna togliere la paura! La paura vera, quella che ti fa incapace di sfruttare le tue capacità e i tuoi talenti... e bisogna togliere dal cuore del cristianesimo ogni paura di Dio!
Dio ci cammina davanti per darci coraggio e, se sbagliamo, ci invita ancora a camminare e ad avere fiducia. Insomma la fede è il contrario della paura. Se uno ha fede, tenta di togliere ogni paura dal proprio cuore, anche se talvolta è troppo difficile riuscirci.
Il Signore ci aiuti
"Ho avuto fame e mi avete dato da CRISTO RE - 20 Novembre 2011
mangiare, ho avuto sete e mi avete dato Matteo 25, 31-46
da bere, ero straniero e mi avete accolto..."
Sapete che siamo arrivati all'ultima domenica della nostra preghiera. L'anno liturgico - così si chiama - finisce qui. Domenica sarà già Avvento e cominceremo a prepararci al Natale. E in quest'ultima domenica del nostro ritrovarci qui insieme ogni domenica, è particolarmente sconcertante la pagina del Vangelo che abbiamo letto.
In fondo che ci si dice? Che la preghiera non è la cosa essenziale! Che non serve nemmeno la fede! "Avevo fame e m'hai dato da mangiare". "Quando mai, Signore?". Questo lo dicono quelli che fede non hanno, che non hanno mai letto il Vangelo! Non conta la preghiera, non conta la fede e, allora, che stiamo a fare qui? Perchè veniamo qui domenica dopo domenica se il giudizio finale sarà su altri valori? Non ci sarà chiesto: quante volte sei andato a Messa, quanto hai pregato, quanta fede hai avuto?
Veniamo qui in totalmente gratuità! Il ritrovarci qui - forse è bene dircelo con tutta chiarezza - non serve a niente. Non serve a guadagnarci il Paradiso, non serve nemmeno a sentirci più buoni e, allora, che ci stiamo a fare?
Stiamo qui - lo ripeto - gratuitamente per celebrare, per cantare la nostra vita e la nostra fede. Per sentire in mezzo a noi presente il Signore - per usare la parola ormai antica e dimenticata della liturgia di oggi - il nostro Re. Per sentire in mezzo a noi Gesù, che è venuto a condividere la nostra vita, a diventare uno di noi.
Lo abbiamo visto - ricordate - un piccolo bambino indifeso nella grotta di Betlemme, affidato al nostro coraggio, alla nostra tenerezza, alla nostra accoglienza.
Lo abbiamo visto crescere. Abbiamo ascoltato le sue parole di vita. Lo abbiamo visto chinarsi a lavare i piedi ai suoi e, quindi, anche a noi. Lo abbiamo celebrato inchiodato sulla croce, a condividere i bassifondi della storia, dove l'uomo è umiliato e offeso, dove c'è il dolore e la morte e la sopraffazione dell'uomo sull'uomo: là troviamo il Signore dalla parte degli ultimi, degli sconfitti, degli umiliati. Lo abbiamo celebrato Risorto e oggi lo vediamo sparire! Il nostro "Re", il Signore dell'universo sparisce dietro l'ultimo degli uomini, dietro il più piccolo degli uomini
Siamo qui per celebrare, per sentire la sua presenza in mezzo a noi. Presenza di Colui che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita.
Ci ritroviamo qui ogni domenica anche per cercare in Lui i valori essenziali della vita. Non conta arrivare ai primi posti, accumulare denaro, trovare tanto divertimento... quello che è veramente importante è il bene che siamo riusciti a fare intorno a noi: dar da mangiare a un affamato, dar da bere all'assetato, accogliere lo straniero...
E - badate - quando pensate al dar da mangiare a un affamato non andate lontano.... i papà e le mamme danno da mangiare ai loro figli. I nonni danno da bere ai nipoti e anche qualcosa di più: la tenerezza, l'affetto...
Qualche volta siamo capaci di accogliere con rispetto anche quelli che vengono da lontano, anche chi è straniero nella nostra terra e, questo rispetto, dovrebbe crescere secondo la parola che oggi abbiamo ascoltato. Veniamo qui - dunque - per ritrovare i valori essenziali del nostro esistere.
Veniamo qui anche per ringraziare il Signore per tutto il bene che abbiamo potuto fare ogni giorno nella nostra vita. Veniamo qui non per chiedere, ma per ringraziare. Non per avere qualche merito in più, ma per dire il nostro grazie dal profondo del cuore per la tenerezza, l'amore, l'attenzione agli altri che c'è stata anche nella nostra vita.
Veniamo qui - forse non è la cosa meno importante - per sentirci fratelli di ogni uomo che vive sulla terra, di ogni uomo giusto, aldilà di ogni distinzione di religione e di popolo.
Non conta il popolo a cui appartieni, di che religione sei... conta se ti sei chinato sulla sofferenza del tuo vicino, se hai dato da mangiare, da bere… e ce ne sono di queste persone in ogni angolo della terra!
Si dilatano gli spazi della religione, si dilatano gli spazi del nostro stare qui. Non siamo soltanto noi - ci dice questa pagina del Vangelo - siamo fratelli di ogni uomo di buona volontà sulla faccia della terra.
"Una moltitudine immensa" - come dice il libro dell'Apocalisse - di gente che ha fame e sete di giustizia, che è capace di dar da mangiare a chi ha fame, di accogliere chi è straniero, consigliare chi è dubbioso, visitare chi è in carcere, star vicino a chi è malato. Tante persone in ogni parte della terra sentiamo fratelli nel celebrare, qui, la vita, le cose essenziali.
Non serve venire qui, ma è bello venire. È bello perché qui troviamo il modo di cantare, di celebrare il Signore, di dire la bellezza della vita, di dirne i valori essenziali, di dire il nostro grazie e di trovare la forza per camminare ancora sulla via del bene.
Il Signore ci aiuti