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OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 2003-2004 - Vangelo di Luca
INDICE
C'è Natale e Natale nella vita di un uomo. Mi è capitato di ripetere questa frase altre volte nel lungo cammino della mia vita di prete. Questo per me è un Natale speciale, potrei dire un Natale sotto il segno della "fragilità". Ci si sente fragili a un certo punto nella vita, ci si sente quasi incapaci di affrontare, di dominare le proprie emozioni, di guardarsi intorno. Voi siete buoni e non direte nulla, come spesso ho fatto io, quando sentivo dentro di me la voglia di dire a qualcuno: "E te n'accorgi mò!". Quindi non me lo dite!
Il Natale si vive spesso nella fragilità. La fragilità della nostra condizione umana, la fragilità delle malattie: quanti malati sulla terra! Ma la fragilità anche della nostra incapacità di affrontare i tanti problemi del mondo: la violenza, la fame, la disperazione a volte. Quanta ce n'è intorno a noi! Bambini che subiscono violenza, la guerra, gente che non ha speranza, gente che vive tutta la disperazione dell'esistenza umana... che possiamo fare? A volte non riusciamo nemmeno a capire e facciamo esperienza di tutta la fragilità della nostra condizione umana. Esperienza di quanto siamo piccoli: anche se mandiamo oggetti su Marte, anche se abbiamo vinto tante battaglie della scienza, della tecnica, ancora siamo fragili di fronte ai tanti problemi di questo nostro povero mondo.
E oggi siamo invitati ancora una volta ad andare alla grotta di Betlemme e a guardare come i pastori che avevano ricevuto l'annunzio dell'Angelo: andate! C'è il Salvatore! Viene dall'alto DIO! Viene a salvarvi... e si trovano davanti un piccolo Bambino appena nato. Cosa c'è di più fragile di un bambino appena nato! Cosa c'è di più indifeso! Cosa c'è di più incapace! Non può capire nulla di quello che gli succede intorno. .. eppure in quel Bambino si manifesta Dio!
Ma avvicinatevi un pochino di più guardate quel Bambino come avete guardato - molti di voi - i vostri bambini. Guardate i Suoi occhi, guardate, forse, il Suo sorriso: cosa c'è di più ricco di speranza, di attesa, di un bambino appena nato! Cosa c'è di più vitale, di più forte del sorriso di un bambino appena nato! Se poi pensate che in quel Bambino sorride Dio, allora possiamo vivere la nostra fragilità, accettarla fino in fondo, ma accettarla senza perdere la speranza e il coraggio, sapendo che Dio viene a condividere la nostra vita, la nostra fragilità! Viene anche a portare nel nostro cammino di uomini il Suo sorriso, il Suo coraggio, la Sua speranza.
Quel Bambino ci tende le mani; non può far nulla per noi, ha bisogno di qualcosa, anche Lui è fragile, forse è più fragile dì noi e dietro quel Bambino ci sono tutti i bambini del mondo, c'è tutto questo nostro mondo così affannato. Ma è un Bambino che sorride, che ci tende le mani, che ci chiede qualcosa; è un Bambino che ci comunica il coraggio della speranza. È la speranza di Dio per la nostra terra: Dio che viene a camminare con noi e condividere con noi la fragilità, la passione per la vita, il coraggio di andare avanti, di guardare lontano, di credere e di sperare.
Questo è Natale! E se io faccio esperienza di fragilità, forse più che altre volte faccio esperienza di Natale, perché posso fare esperienza di Dio, non come forse me lo aspetto: il Dio che viene a risolvere i miei problemi. Faccio esperienza di Dio che cammina con me, che mi tende la mano, che condivide la mia fragilità, che porta nel cuore della mia vita il Suo sorriso: il sorriso di Dio, la speranza di Dio, la passione di Dio per la vita dell'uomo.
È questo il Natale che tentiamo di celebrare, senza aspettarci che il mondo cambi come per un prodigio, ma tentando di portare intorno a noi un po' del sorriso di Dio, la Sua carezza e soprattutto la Sua speranza. Non possiamo rassegnarci a non avere speranza, non lo possiamo perché siamo credenti, perché Dio viene a sperare con noi, a sorridere con noi, a camminare con noi, a cercare con noi, senza stancarsi, le vie della vita.
Il Signore ci aiuti.
Leggendo e rileggendo il Vangelo mi sorge il dubbio che certe cose che noi arriviamo a dire e troviamo oggi sui libri, non fossero già nel Vangelo. Spesso le persone con cui ho letto il Vangelo mi hanno detto: "Ma queste cose come potevano dirle duemila anni fa'?". Eppure a volte penso che chi ha scritto il Vangelo avesse intuito alcuni degli aspetti più importanti, che noi abbiamo scoperto soltanto duemila anni dopo.
Perché questa introduzione? Perché in quello che abbiamo letto oggi c'è - a mio avviso -qualcosa di straordinario. L'episodio di Gesù che va nel Tempio e parla con i dottori è, chiaramente, ricostruito dalla comunità di Luca: noi non sappiamo quello che effettivamente è successo. Non ha senso chiederci come sia possibile che i genitori si dimentichino il figlio per tutta una giornata e lo cerchino per tre giorni: sembra una cosa fuori dal mondo!
La cosa importante di questo racconto è l'affermazione di Gesù: "Perché mi cercavate? Non sapevate che debbo occuparmi delle cose del Padre mio?". E dunque una vera professione di fede che i primi cristiani pongono sulla soglia dell'età adulta: Gesù ha dodici anni, era il momento in cui un ragazzo entrava a far parte degli adulti; a noi questo fa meraviglia, ma allora era così. A dodici anni le ragazze si fidanzavano e, addirittura, si sposavano.
Dunque, Gesù che diventa adulto, che prende il Suo posto ufficiale nella comunità dei credenti, è il Figlio di Dio. Ma avete ascoltato subito dopo? Torna a Nazareth: "stava loro sottomesso, cresceva in sapienza..." Abbiamo scoperto soltanto nel secolo scorso l'importanza dei trent'anni di Nazareth! Ed è merito di un grande personaggio: Padre Charles de Foucauld che - per fortuna o per disgrazia, scegliete voi - non hanno fatto ne "beato" ne "santo". Lui ci ha insegnato che doveva esserci qualcosa di importante nella vita a Nazareth. Dio viene sulla terra e per trent'anni se ne sta in un piccolo sperduto paese a fare il falegname. La vita di tutti i giorni, niente di speciale, nessun discorso, nessuna predicazione, nessun prodigio: aggiusta sedie e ruote dei carri. È possibile che qui, nel Vangelo di Luca, ci sia già questa indicazione per noi?
Tentate di intuire cosa c'è dietro questo fatto: e se Dio volesse dare spessore al nostro vissuto quotidiano? Nessuno di voi è un predicatore, nessuno di voi compie grandi opere, nessuno di voi va in terre lontane a darsi da fare (beati quelli che lo fanno!) per aiutare gli altri, ma questa non è la vita quotidiana; la vita quotidiana è quella che vivete voi: le signore, tra pentole e fornelli - c'è qui qualche maschietto che ha imparato a cucinare bene, ma non è ancora una cosa normale -, c'è chi va a lavorare, chi si cura dei figli o dei nipoti: il lavoro quotidiano, la fatica di essere uomini.
Dio è venuto a condividere per trent'anni questa nostra avventura! Forse per dirci che prima di fare, prima di inventare o costruire qualcosa, si tratta di "essere con", di condividere la vita, di camminare insieme. Essere "con" prima di fare "per": non c'è qui un invito alla riscoperta dell'altro, del quotidiano, della vita condivisa, dell'attenzione verso l'altro, del saper ascoltare?
La televisione, spesso, ci fa incapaci di ascoltarci tra di noi, di essere attenti agli altri; qualche volta il mondo ci frastorna... tanti problemi e rischiamo di trascurare il valore, lo spessore, la pienezza della vita quotidiana. Ma è lo "spazio" essenziale del nostro vivere e oggi il Vangelo ci dice che è anche lo "spazio" di Dio: lo spazio in cui si può vivere la tenerezza, l'attenzione verso l'altro, il servizio, la pazienza. Quanta ce ne vuole a volte nel vivere insieme! Quanta ne avrà esercitata anche Gesù nella Sua casa, con gli abitanti del Suo paese...
Ecco, il Vangelo di Luca forse ce lo suggerisce, certamente ce lo indica Padre Charles de Foucauld: Dio per trent'anni è stato "con", senza fare nulla di speciale: ha condiviso la vita degli uomini, ha camminato per le nostre strade silenziosamente, pazientemente, tentando di crescere, di scoprire il mondo, di vivere con gli altri, nella tenerezza, nell'attenzione, nel servizio di ogni giorno. Chissà se anche noi possiamo fare qualche buon proposito in questo senso per l'anno che comincia.
Il Signore ci aiuti.
Mi capitava in questi giorni di riflettere sulla differenza che c'è nel concepire il tempo tra noi e gli antichi (quando parlo di antichi parlo di mio nonno, della gente del suo tempo). Anche voi vi sarete svegliati stamattina e avrete dato uno sguardo al calendario: una serie di giorni, di date, sappiamo quando capitano le feste in quest'anno, quelli di voi che lavorano hanno già programmato i ponti, insomma il tempo è per noi un lungo contenitore da riempire con tanti avvenimenti.
Per gli antichi, invece, il tempo era fatto di avvenimenti; gli anni e i giorni non contavano. Un ricercatore che domandava, qualche tempo fa', ad una signora: "Quando sei nata?". Si è sentito rispondere più o meno così: "Sono nata al tempo in cui c'era la carestia, poi mi sono sposata, ho avuto dei figli, mio marito è partito per la guerra, un figlio si è sposato: ecco quando sono nata io". Non un giorno, un mese, un anno, ma una serie di avvenimenti che avevano scandito la sua vita.
Sul mio calendario sono già segnati degli avvenimenti: ci sono già quattro o cinque matrimoni che mi toccherà celebrare, o meglio lo celebrano loro, io dovrò assistere. Qualche battesimo uno già il 18, poi un altro e poi qualche pancia è già bella piena.... E per queste persone quest'anno sarà soprattutto l'anno del matrimonio, della nascita di un figlio!
Per molti di noi l'anno sarà più normale, ma sarà costellato da tanti avvenimenti: i fatti del lavoro, i figli che crescono, i litigi con i ragazzi che diventano grandi, la preoccupazione per i nipoti, qualche malanno, qualche inconveniente, le vacanze, le feste, gli incontri…
Mi sono fatto anche un'altra domanda: "Se comincio così poi che dico? Che stiamo a fare in chiesa, che c'entra la religione con tutto questo?". Quando ero ragazzo non avrei avuto dubbi: siamo qui per invocare la protezione di Dio. Dio è grande e onnipotente - lo ripetiamo tante volte nella Messa - invochiamo la Sua benedizione perché ci protegga, ci custodisca, ci aiuti in quest'anno. Invochiamo Dio perché ci faccia vedere la via giusta da seguire.
Avete ascoltato con attenzione il Vangelo? Niente di tutto questo! Si parla di "stupore" di esultanza! Ci viene proposto come modello Maria che "conservava tutte queste cose, meditandole nel cuore". Forse la Fede è proprio questo! La capacità di conservare nel cuore lo stupore di fronte alla vita! Oggi ci avevano promesso una bella giornata di sole, non c'è proprio il sole ma contentiamoci, almeno non piove! Uscendo date uno sguardo al mare, al cielo e conservate nel cuore lo stupore! A casa guardate i nipotini o i figli… ancora lo stupore, la gioia, l'esultanza e questo stupore accompagni il cammino della nostra esperienza! C'è spesso nella vita qualche cosa che è fondamentalmente bella e ricca, qualche cosa da contemplare, di fronte alla quale stupirsi...
Maria poi ci insegna a conservare la memoria di quello che abbiamo celebrato: Dio viene a camminare con noi! Gesù vuole crescere con noi: non è Colui che ci aggiusta i guai, che ci salva dalle malattie, che ci protegge dalla fatica di essere uomini, ma cammina con noi, condivide con noi la speranza, la fame e la sete di giustizia, il desiderio di bontà, la voglia di tenerezza. Dio che cammina con me, per cercare con me! Non posso nemmeno domandarGli: "Ma che cosa è giusto?… Mi risponderebbe: "Perché non lo cerchi da solo?".
È venuto a condividere con me lo stupore per questo mondo e la passione per cercare il bene, il coraggio di superare le difficoltà… e ce ne saranno in quest'anno per me, come per voi!
Gesù non è Colui che mi "toglie le castagne dal fuoco", ma lo trovo accanto a me per camminare per le strade di questo mondo, con il coraggio della speranza, con la voglia di cercare ancora. Ecco conservare nel cuore la certezza della passione di Dio per la nostra vita: forse è questo avere Fede! Forse è questo quello che tentiamo di celebrare oggi e che tenteremo di celebrare ancora in quest'anno cercando di vivere la presenza di Gesù nella nostra vita, non come un mago che ci guarisce e protegge, ma come Colui che ci invita a cercare, a sperare, a credere, ad amare, a tentare di rendere il mondo un po' più bello e ricco di come lo troviamo.
Non è facile, lo so, ma per questo ci ritroviamo qui e ci ritroveremo ancora in quest'anno.
Il Signore ci aiuti.
Mi capita qualche volta di dire che a me il Vangelo di Giovanni è antipatico, oppure - quando parlo con più moderazione - che non è vicino alla mia sensibilità di credente.
A queste mie parole le persone, che ormai conosco da più di trent'anni, sono abituate, ma se c'è qualcuno, che arriva per la prima volta, si scandalizza: "Com'è possibile che un Vangelo sia antipatico! Tutti i Vangeli sono uguali, tutto è Parola di Dio! Come è possibile dire che un Vangelo sia più vicino alla tua sensibilità e un altro meno?". Sembrano ad alcuni parole assennate e invece si tratta di sciocchezze! La cosa più scontata è che ci siano delle cose che a uno sono simpatiche e all'altro meno, più vicine alla sua sensibilità di uno e meno a quella dell'altro: è stato sempre così!
Quando eravamo ragazzi si leggeva la domenica solo il Vangelo di Matteo. Cosa significa questo? Che a quel tempo pensavano che gli altri Vangeli fossero meno adatti, meno vicini alla sensibilità della gente.
Quando dico che il Vangelo di Giovanni mi è antipatico, (scusate la parola) questo non vuol dire che deve essere antipatico anche a voi! So che c'è in mezzo a voi qualcuno che ritiene il Vangelo di Giovanni il più vicino alla propria spiritualità. Ed è giusto che sia così! Perché siamo tutti diversi. E questo vale, lo sapete bene, non soltanto per le cose della religione ma un po' per tutto. Vale per l'arte, per la politica, per l'economia, per la musica, per la moda… L'importante, è il confronto, il tentare di capirsi, l'accogliere quello che c'è di verità nell'altro, senza intolleranze.
Ma oggi volevo dirvi una cosa forse più importante: ritengo il Vangelo di Giovanni un'opera straordinaria di cui oggi abbiamo un grandissimo bisogno. Duemila anni fa qualcuno ha sentito il bisogno di fare uno sforzo - ed è stato uno sforzo straordinario - per tradurre le semplici parole della predicazione di Gesù nei concetti della filosofia greca e della filosofia orientale. "In principio era il Verbo....". Avesse sentito parlare così qualcuno dei pescatori della Galilea si sarebbe scandalizzato: "Che c'entra il Verbo? Queste sono "parolacce" che dicono i Greci, le persone intellettuali, lasciatele a loro!".
Perché una persona intellettuale non deve poter usare le sue parole per tentare di esprimere la sua fede, per tentare di esprimere qualche cosa del mistero di Dio? Erano tempi fortunati: ancora non c'era gente con la voglia di scomunicare: "Tu non usi quelle parole! Fuori!" È successo, purtroppo, subito dopo e continua fin quasi ai nostri giorni.
Ma è continuato anche, nel corso dei lunghi millenni della storia del cristianesimo, lo sforzo di persone che tentavano di esprimere la propria Fede con le parole della propria sensibilità, della propria cultura.
In questo il Vangelo di Giovanni è straordinario! Avete ascoltato? Usa parole astratte: "…la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta… veniva nel mondo la Luce vera…". Dopodomani (se sarete ancora qui) ascolterete come Matteo parla della Luce: una stella che cammina nel cielo, gente che la insegue. Il concetto è lo stesso ma espresso l'uno, per dei semplici pastori che guardano le stelle, seguendo il gregge nella notte e l'altro per dei filosofi, per dei pensatori, che tentano di comunicare il Vangelo nella cultura del tempo.
È stato un problema in ogni tempo, ma oggi diventa ancora più grande e vi capiterà di ascoltare sempre di più persone che tentano di esprimere qualche cosa del mistero di Dio, persone che vengono dalla lontana Asia, dall'Africa, dall'America latina, con una cultura profondamente diversa dalla nostra e loro hanno il diritto di parlare di Dio con le loro parole, con la loro sensibilità, con il loro modo di esprimersi. Prima di scomunicare, prima di dire: "Tu non sei cristiano!" proviamo ad ascoltare. Ascoltare con attenzione!
Il mondo di oggi si è fatto più complicato del mondo in cui è stato scritto il Vangelo. Un mondo complesso e questo non vale soltanto per la religione, vale anche per la morale, per le scelte che ci sono da fare e non c'è altra strada che la tolleranza, la capacità di ascoltarsi, la voglia di capire l'altro!
Chi può dire con sicurezza quello che è vero, quello che è falso, quello che giusto, quello che non lo è? Soltanto degli imbecilli intolleranti! E gli imbecilli e gli intolleranti albergano spesso nelle religioni perché loro credono di parlare in "Nome di Dio".
Dovremmo ridirci infinite volte il più importante comandamento del decalogo: "NON NOMINARE DIO". Zitto! Dio è innominabile, è al di là di tutto, è "nell'oltre", nell'oltre della verità, della Luce, anche l'oltre della morale.
Nessuno in "nome di Dio" dica: "Questo è giusto e questo è sbagliato". Cerca di dire: "A me sembra…" e ascolta quello che dice l'altro, altrimenti il mondo diventa un mondo di intolleranti e l'intolleranza genera violenza, genera incomprensione.
Anche da noi, in Italia sta succedendo questo! Noi cattolici continuiamo a fare la figura degli "imbecilli", degli intolleranti, della gente che pensa di sapere tutto: sulla morale, sul concepimento, sulla morte, sulla malattia. Noi sappiamo sempre tutto! Perché pensiamo di possedere una voce che viene da Dio.
Ascoltiamo chi tenta di tradurre i nostri principi, per la mentalità di oggi, per il cuore dei nostri ragazzi e non parlo di quelli che fanno il proprio comodo - ce ne sono sempre stati - ma di quelli che cercano con passione la verità.
Il Vangelo di Giovanni è nato così duemila anni fa, perché qualcuno si è sforzato di dire il mistero di Dio, la realtà di Gesù in parole che appartenevano ad altri. Ed è stata una cosa straordinaria! Quelle parole sono invecchiate, a me non dicono più niente! Ho tutto il diritto di dire: "Mi sono antipatiche, preferisco leggere altro". Ma loro hanno fatto un'impresa grandiosa, straordinaria di cui noi abbiamo un grande bisogno. E l'hanno fatta sapete perché? Perché era gente libera e tollerante! Perché era gente che "cercava", cercava qualche cosa di nuovo, cercava di esprimere il mistero di Dio, senza pensare di dover essere limitati dalle parole che dicevano gli altri, dalle regole che qualcun altro imponeva, qualcuno che già allora si riteneva "infallibile".
Nessuno è infallibile! Solo DIO! Ma Dio non parla! Siamo noi che Gli mettiamo in bocca quello che ci pare e quelli che dicono che la verità di Dio è sempre la stessa, che il Vangelo è uno solo… ascoltateli per due minuti e vi accorgerete che dicono solo le loro libidini, quello che gli suggerisce, spesso, non la loro testa ma il loro stomaco e, di questo voi, con saggezza, diffiderete!
Ma il problema non è così semplice.
Il Signore ci aiuti
Forse pochi di voi hanno notato, guadando i numeri accanto al titolo del Vangelo di oggi, che mancano alcune frasi, ve le leggo: "Egli tiene in mano la pala per separare il grano dalla paglia. Raccoglierà il grano nel suo granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco senza fine. Con queste e molte altre parole Giovanni esortava il popolo e gli annunziava la salvezza. Inoltre Giovanni aveva rimproverato il governatore Erode perché si era preso Erodìade, moglie di suo fratello, e per altre cose cattive che aveva fatto. Allora Erode aggiunse un altro delitto a quelli che già aveva fatto: fece imprigionare anche Giovanni.
Nelle parole di Giovanni c'è l'attesa non solo sua, ma di molti uomini del suo tempo; probabilmente anche i discepoli condividevano questa attesa. Si aspetta un inviato di Dio, il Messia, che venga, finalmente, a salvare i giusti e a bruciare i malvagi "con un fuoco inestinguibile", insomma si attende il giudizio di Dio, che finalmente separi i buoni dai cattivi e punisca severamente i peccatori. O almeno - così sembra suggerire Luca, che parla del rimprovero di Giovanni ad Erode e addirittura della sua prigionia, prima del battesimo di Gesù - si attende un profeta capace di alzare la voce contro tutti i malvagi.
Ora cercate di guardare, con gli occhi della fantasia, la scena che il Vangelo ci propone: una lunga fila di persone, il capo chino, che riconoscendo il proprio peccato si avvia verso l'acqua per bagnarsi: un segno di penitenza, di conversione, di purificazione. Là in mezzo a loro il Falegname di Nazaret, anche lui in fila, in mezzo alla gente, il capo chino, a condividere il cammino, di chi ha il cuore pesante, di chi sente di non essere giusto. Così per la prima volta, forse, i discepoli hanno visto Gesù: non il giudizio, non un grido contro qualche malvagio, ma il cammino fatto insieme, silenziosamente. E quella prima impressione è stata confermata tante volte: pensate al paralitico sulla barella, alla donna sorpresa in adulterio, pensate alla Maddalena, a Zaccheo o alle parabole della pecora perdura o del Padre misericordioso, pensate soprattutto a Paolo, il maestro di Luca, o a Pietro…
Eppure l'immagine che molti cristiani si son portati dentro in questi duemila anni è proprio quella di Giovanni Battista. Mi capitava di rivedere in questi giorni alcune immagini del Giudizio universale di Michelangelo: Gesù è il giudice forte e terribile e tutta la paura del giudizio è espressa dall'uomo in primo piano con la mano sul volto: è un immagine di paura, di terrore.
Perché abbiamo tradito il Vangelo? Perché anche oggi c'è gente che ha paura del giudizio di Dio? Perché ci sono della persone anziane che guardano indietro alla propria vita con timore: mi è capitato di incontrare spesso persone dolcissime e buone che mi dicevano: "Quante cose ho sbagliato, che pensa di me il Signore?!". Perché questa paura di Dio? Perché questa paura di Gesù? Guardate questa immagine straordinaria che il Vangelo ci consegna e dove i primi cristiani hanno visto l'inizio del loro incontro con Gesù: Lui si mette accanto, compagno di strada di chi si sente il cuore pesante, di chi sa di non essere buono, di chi sa di non farcela, di chi sa che "giusti" su questa terra non riusciamo ad essere, nessuno; ma camminiamo, ci proviamo e se c'è qualcosa che non va, il Cristo che conosciamo ci prende per mano e ci rialza. "Prendi il tuo lettuccio, vattene a casa… nessuno ti ha condannato, nemmeno io". E a Pietro… a Pietro che l'ha rinnegato e tradito, basta uno sguardo e sarebbe bastato anche per Giuda, se solo fosse tornato, se non avesse avuto il cuore pieno di paura.
Quella paura che tanta gente ha seminato nel cuore dei credenti. E allora, ecco una risposta alla domanda del "perché". Una domanda che si allarga: perché tanta gente, anche oggi, vuol metterci paura? Quasi ogni giorno: paura di tutto! Paura dell'acqua, del grano, del cibo, del terrorismo, del volare, della luna, dell'inquinamento, della malvagità, della diversità di chi ci sta intorno e anche paura di Dio! "Ci si mettono pure i preti a metterci paura!" Sorridete! Gesù è venuto in mezzo a noi soprattutto per aiutarci a sorridere! Lo vedrete domenica prossima....
Noi abbiamo tre feste della "Manifestazione" del Signore: sono l'Epifania: i Magi e la Luce, oggi il Battesimo di Gesù, il suo mettersi in fila con i peccatori e domenica prossima, forse la più bella! Un bicchiere di vino dato a chi è già mezzo ubriaco perché senta Dio venire a condividere la festa dell'uomo, il cammino dell'uomo, per ridare il coraggio all'uomo sempre un po' stordito e impaurito.
Non vi ubriacate, ma bevete un bel bicchiere di vino! Che rallegri la vita, che butti via un po' delle tante paure che vogliono metterci nel cuore, che ci permetta ancora di sorridere e di credere, di credere nella vita e di credere in Dio, non il "Giudice", ma il compagno di strada, per darci la mano, per camminare con noi. Non è facile crederlo perché tutti ci portiamo dietro un po' di masochismo, perché nella paura qualche volta ci culliamo… e ci fa pigri. È per questo che il Signore è venuto! Per toglierci la paura e farci camminare e sorridere alla vita. Non è semplice, ma siamo qui per tentare di farlo, nutrendoci di Lui.
Il Signore ci aiuti.
"Gesù manifestò la Sua Gloria"... In questo episodio la comunità di Giovanni vede la prima "manifestazione" di Gesù, in greco si direbbe "Epifania": è il manifestarsi, il mostrarsi di Dio. In questi racconti i primi cristiani intuivano qualche traccia del Mistero di Dio! Usavano celebrare insieme tre feste della "Epifania", della "manifestazione", noi lo abbiamo fatto in tre feste successive.
In questi tre racconti, in questi tre simboli - è sempre difficile sapere cosa sia realmente accaduto allora - i primi cristiani hanno visto il "manifestarsi", lo "svelarsi" di Dio.
Allora, stamattina vorrei darvi un consiglio (lo faccio raramente): conservate nel cuore questo tre immagini, questi tre simboli. Conservateli nel cuore con attenzione, perché siamo tentati di ridurre e, forse, snaturare la religione a partire dai nostri bisogni - che sono tanti e vanno anche rispettati - ve ne accorgete quando vi capita di ascoltare discorsi religiosi alla televisione, alla radio o anche in certe prediche: sentite spesso parlare di miracoli, di prodigi, di apparizioni, oppure, di regole, di leggi, di proibizioni, oppure, di riti, di preghiere, di penitenze, di grandi manifestazioni. Tutto questo fa parte della nostra tradizione, della nostra educazione: tutti noi ce lo portiamo dentro, nel momento del bisogno è a questo che ricorriamo, forse giustamente.
Ma un credente conserva nel cuore le immagini attraverso le quali il Vangelo tenta di farci intuire il volto di Dio.
Nel racconto dell'Epifania c'è una Luce - non pensate a una stella del cielo - una Luce che cammina davanti a delle persone che la inseguono, senza stancarsi. Continuano a cercare anche quando incontrano la violenza di Erode, anche quando incontrano i sacerdoti e i maestri della Legge che sanno "tutto", ma non si muovono. Continuano a cercare anche quando incontrano il turbamento, l'agitarsi della folla, il rumore. Continuano a cercare, a camminare, finché la Luce si ferma su una casa: là, con grandissima gioia incontrano DIO, in un piccolo Bambino che viene a condividere la nostra vita.
E domenica scorsa, ricordate? A gente che aspetta il "giudice", colui che viene a separare i "buoni" dai "cattivi" e a bruciare i cattivi in un fuoco inestinguibile, a coloro che aspettano il "profeta" capace di gridare contro tutti i mali del mondo... Dio si manifesta nel Falegname di Nazareth: a capo chino, in mezzo alla gente, silenziosamente cammina con loro. Cammina con chi ha il cuore pesante, con chi sa di non essere giusto, compagno di strada di chi va cercando la giustizia; non alza la voce, non minaccia, non punisce, non grida... "Alzati e cammina... nessuno ti ha condannato, nemmeno io". Ancora gente che cerca, ancora gente che tenta di camminare e Gesù compagno di strada.
E oggi, forse, l'immagine più bella: un banchetto di nozze, una festa; è ormai quasi alla fine, sono tutti mezzo ubriachi... manca il vino! Potrebbe calare un'ombra sul volto di questi giovani sposi, sulla gioia, sul piacere della loro festa e se ne accorge Maria: "Non hanno più vino". "E che c'entro io?" Quasi per caso Gesù comincia la Sua missione, spinto dalla mamma. Non hanno più vino! Non si può restar fermi quando manca un sorriso, quando può calare un'ombra sulla gioia dell'uomo.
Ci sono i vasi della purificazione dei Giudei... riti, purificazioni: roba vecchia ormai! L'acqua diventa vino! Il simbolo più bello di Dio: un bicchiere di vino per la gioia degli uomini. Portatela nel cuore questa immagine, insieme alle altre! Quando sentirete parlare di regole, di leggi, di esorcismi, di diavoli, di punizioni, di inferno, di tutto quello che - permettetemi di dirlo - la "paccottiglia" religiosa ci ha ammannito e ci ammannisce, a volte, ancora la nostra educazione cristiana: conservate nel cuore queste tre immagini: sono per il Vangelo, sono per la Fede di molti cristiani la manifestazione di Dio.
Non traete subito conclusioni! Dio è più grande delle nostre parole, dei nostri racconti: non è semplice parlare così di Dio o meglio, non è proprio semplice parlare di Dio, noi possiamo soltanto balbettare qualche parola attraverso simboli, attraverso immagini: una Luce inseguita, un Falegname dalle mani callose che cammina insieme a chi ha il cuore pesante, un bicchiere d'acqua trasformato in vino per la gioia degli uomini.
Così si manifesta la "Gloria di Dio!". Non lo dico io, che non conto niente, lo dice il Vangelo e quindi vi ripeto il consiglio: conservate nel cuore queste immagini, immagini di Dio, immagini della nostra Fede, di quello in cui tentiamo di credere, al di là dei nostri bisogni, che spesso ci spingono a cercare altre cose: perché Dio possiamo cercarlo soltanto nella gratuità e in queste immagini c'è, soprattutto, gratuità, ricerca di Luce, passione per la vita.
Il Signore ci aiuti.
Come avrete notato le letture di oggi ci invitano ad una riflessione sulla Parola di Dio. Come facevano - e fanno ancora - gli Ebrei il sabato, anche noi ci ritroviamo insieme la domenica intorno al "Libro" per ascoltare parole che vengono da molto lontano. Anche la prima lettura - come avete ascoltato - parla di una lettura comune dell'antico "Rotolo", che avevano da poco ritrovato nel Tempio. Tento di darvi alcune indicazioni, di proporvi qualche riflessione su questo tema. La prima cosa che volevo farvi notare è che noi abbiamo diverse difficoltà quando leggiamo la Scrittura, qui insieme, oppure a casa.
La prima difficoltà viene dalla traduzione. L'Antico testamento è stato scritto in ebraico e il Nuovo Testamento in greco: tutto è stato tradotto prima in latino, poi in italiano e, sapete, le traduzioni sono sempre una interpretazione, a volte fedele, a volte meno. A volte, è difficile tradurre parole in altre lingue e soprattutto parole di tempi lontani. In più noi abbiamo dietro le spalle una lunga tradizione di commento della "Parola" di Dio.
Vorrei farvi alcuni esempi: la prima lettura e il Salmo parlano della "Legge". Questa parola in italiano ha un preciso significato... Se sentite parlare di Legge, pensate ai Comandamenti, alle regole, ai codici e dietro le spalle abbiamo una tradizione che ha insistito sui Comandamenti: tutti li abbiamo imparati a memoria e spesso abbiamo identificato la Parola di Dio con dei precetti.
Ora chi conosce bene l'ebraico mi dice che la parola ebraica "Torah" non andrebbe affatto tradotta con "Legge": ci vorrebbe un'altra parola, che non è semplice trovare in italiano. Pensate che quando gli ebrei parlano di "Legge" pensano ai racconti di Adamo ed Eva, della creazione del mondo, alle storie di Noè, di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. L'esodo dall'Egitto, il cammino verso la Terra promessa: tutto questo, per Israele, è la "Torah". E noi non potremmo più tradurre con la parola "Legge". Qualcuno dice che potremmo tradurre: "l'indicazione", "la strada". Ai nostri ragazzi piaceva gli "ideali di Dio" o "i sogni di Dio". Vedete che è un'altra cosa!
Se noi pensiamo alla "legge", spesso abbiamo un senso di timore. Nel Salmo si parla del "timore di Dio", ecco un'altra parola che in ebraico ha un significato completamente diverso: è il rapporto dell'uomo con Dio.
Avete ascoltato come si parla nel Salmo della Legge? "È perfetta, rinfranca l'anima... fa gioire il cuore... da luce agli occhi": come può incutere "timore"? Come può fare paura?
Io, nella mia lunga vita di prete, non ho saputo quasi far altro che leggere e rileggere la Parola di Dio: l'Antico e il Nuovo Testamento. L'ho fatto tante volte, con molte persone: bambini, giovani, adulti e posso dirvi, con cuore sincero, che la Parola di Dio è stata per me ogni volta un'indicazione... mi ha trasmesso speranza, gioia, fiducia, mi ha aperto gli occhi, mi ha fatto intuire qualche aspetto - se la parola vi piace - del "mistero" di Dio, mi ha fatto sentire vicino la tenerezza di Dio, la speranza di Dio.
Non mi è quindi difficile comprendere l'invito di cui parla la prima lettura... e vorrei rinnovarvelo: "Andate, mangiate carni grasse, bevete vini dolci... non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza!" Tanti cristiani, invece, si portano nel cuore la paura di Dio, il timore della "Legge", di essere giudicati, di essere condannati.
La "Parola" dovrebbe essere stimolo gioioso, invito alla libertà, luce, apertura, speranza, dovrebbe farci fare esperienza della vicinanza e della tenerezza di Dio.
Ma volevo attirare la vostra attenzione su un altro delicato e più serio problema che le letture di oggi ci indicano: la Parola di Dio deve risuonare "nell'oggi". Avete ascoltato? Gesù apre il "Rotolo", tutti si siedono, incomincia a parlare: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura".
Ecco, la Parola di Dio, quello che leggiamo, può rimanere solo una parola scritta sul foglietto della domenica o sul libro, finché non diventa qualcosa "nell'oggi" della nostra esperienza. La nostra esperienza in casa, con i figli, con i nipoti, la moglie, il marito, l'esperienza sul posto di lavoro, l'esperienza in questo vasto mondo così complicato, l'esperienza sociale, l'esperienza politica: in tutto questo dovrebbe risuonare l'"oggi" della Parola di Dio. Forse anche a voi è successo, come a me, tante volte, di porvi la domanda: "Se Gesù fosse qui, cosa farebbe in questa situazione?". E sapete per esperienza che non è semplice rispondere a questa domanda! Tradurre la "Parola", tradurre l'indicazione" o se vi piace gli "ideali" i "sogni" di Dio nel concreto vivo della nostra esperienza non è semplice. Non è semplice per chi ha il compito di spiegare e commentare, ma non è semplice per ciascuno di noi far diventare viva la Parola scritta.
Non è facile capire, ma - se può consolarci - non lo ora nemmeno per gli antichi. Avete ascoltato Paolo? Nella sua lettera dice: "Noi formiamo un solo corpo, siamo stati battezzati in un solo Spirito, Giudei e Greci, schiavi e liberi". Ma il povero Paolo non riesce a comprendere - e non poteva umanamente capire - che lo schiavo non deve essere schiavo, che se segue il "sogno" di Dio, non può dire allo schiavo: "Torna a fare il bravo schiavo e ubbidisci". Dovrebbe dire: "Cerca di essere un uomo libero". E non è capace di farlo! Come non siamo capaci noi, a volte, di far concreta la "Parola": cosa dice per me Gesù? Cosa farebbe qui? Cosa direbbe in questa situazione complicata e difficile della mia vita? Non è semplice.
Una indicazione vorrei lasciarvi alla fine: ogni volta che la Parola di Dio letta, commentata, spiegata, vi mette un senso di paura, di ansia... No! Ditelo con tranquillità, con serenità: "Qui non parla lo Spirito di Dio! Lo Spirito di Dio è libertà, è speranza, è fiducia, è cammino ripreso ogni volta".
Ogni volta che la Parola di Dio ti fa sentire in colpa, ti fa sentire inutile, ti sembra come un peso che quasi ti schiaccia..." No! Questo non è Dio: ricordate "la gioia del Signore è la vostra forza!" Ogni volta che la "Parola" vi da gioia, speranza, vi rimette in cammino, ascoltatela come Parola che viene dall'alto, come il Soffio dello Spirito e poi, da povera gente tentate di renderla concreta nella vita.
Non sarà facile, ma torneremo qui domenica dopo domenica per ascoltare la Parola, per nutrirci di Gesù, perché i "sogni" di Dio siano concreti nella nostra esperienza.
Il Signore ci aiuti
Se vi capitasse di andare a Nazareth (forse qualcuno di voi l'ha fatto) non cercate la montagna su cui è costruita la città e il precipizio dal quale vogliono buttare giù Gesù: non cercatelo, semplicemente perché non c'è! Nazareth è città di pianura, non ci sono precipizi. È che Luca (accade spesso nel Vangelo e questo vi aiuti a capire che cosa leggiamo la domenica in chiesa) ha interesse a drammatizzare il problema: un problema che i primi cristiani sentivano in maniera molto viva: è il problema del rifiuto!
Molti avevano rifiutato Gesù, perché? È un problema importante e allora occorre per prima cosa fare attenzione alle scorciatoie e alle generalizzazioni: ne abbiamo fatte spesso e hanno pesato drammaticamente sulla storia degli uomini.
Una prima risposta è: non lo volevano, erano cattivi! E poi si generalizza: hanno rifiutato Gesù la gente di Nazareth (se leggete i Vangeli anche molti della famiglia di Gesù), hanno rifiutato Gesù gli Ebrei: tutto il popolo d'Israele. È falso! Semplicemente falso! Noi non saremmo qui se molti degli abitanti di Nazareth non avessero seguito Gesù! Il primo gruppo di cristiani, coloro che ci hanno tramandato la memoria di Gesù, sono proprio abitanti di Nazareth: Maria in prima fila, i parenti di Gesù e altri abitanti di Nazareth. Come non è vero che gli Ebrei hanno rifiutato Gesù! I primi cristiani, gli Apostoli, sono tutti Ebrei! Le prime "comunità cristiane" sono ebree; coloro che hanno portato nel mondo il messaggio di Gesù, all'inizio, sono tutti ebrei. È vero: alcuni degli Ebrei hanno rifiutato Gesù, ma è il rischio - e di questo Luca si preoccupa - che corriamo anche noi.
I primi cristiani cercano anche di chiedersi: perché un uomo può arrivare a rifiutare Dio? Può arrivare a rifiutare Gesù? E la risposta che tentano di darsi è duplice: la prima qui è appena accennata, ma se leggete i Vangeli di Marco e Matteo, che riportano lo stesso episodio, vedete che lì è più approfondita. "Ma chi è Costui? Non è il Figlio di Giuseppe? Non è il Falegname? Come può adesso cominciare a parlare e a parlare in nome di Dio! Ha vissuto per trent'anni in mezzo a noi, chi pretende di essere?!". Aspettavano un Dio potente, aspettavano un grande profeta: "Come è possibile che Dio si manifesti in un falegname? Che Dio venga a condividere la vita quotidiana per trent'anni senza una parola?".
Questa quotidianità, per loro, è insopportabile perché le loro attese erano grandi! Lo avrete notato anche nella vita di ogni giorno: a volte ci aspettiamo molto dagli altri... a volte anche dalle cose: quando leggiamo un libro, quando andiamo al cinema, se magari qualcuno ce ne ha parlato con entusiasmo, ci aspettiamo molto, poi rimaniamo delusi...
Qualcuno potrebbe concludere con l'antico proverbio: "Chi si contenta, gode". Ecco, se c'è un proverbio contrario al Vangelo è proprio questo. Non si tratta di contentarsi: il cristiano, secondo il Vangelo, non si contenta! Deve essere perfetto, addirittura come Dio. Non c'è limite al cammino, alla ricerca, al tentare di essere migliori, non c'è limite! Non bisogna contentarsi mai! Il problema è di avere nel cuore i sogni giusti, quelli che Gesù tenta di comunicarci.
E il primo sogno che i cristiani tentano di comunicarci è un Dio che viene, per condividere la vita, per camminare con noi, "non per essere servito ma per servire", per chinarsi a lavare i piedi.
Ma quello su cui di più insiste Luca è un altro pericolo: la pretesa di accaparrarsi Dio: Dio è con noi, Dio è dalla nostra parte, Dio da ragione a noi, perché va dagli altri?! "Medico cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!", cura la tua gente, siamo noi quelli che abbiamo diritto ad avere Te. Tu devi stare dalla nostra parte: Dio è con noi!
Una delle icone, delle immagini del secolo scorso - sarebbe bene che ogni credente la conservasse nel cuore - è il cinturone delle SS, c'era scritto: "GOTT MIT UNS: Dio è con noi".
Credo che voi tutti condividiate il parere che Dio era da un'altra parte!. Dio è spesso da un'altra parte, lontano da chi vuole "accaparrarlo", da chi dice: "Dio deve stare dalla nostra parte, non dalla parte di quelli che la pensano diversamente, di quelli che hanno una religione diversa, di quelli che hanno un colore diverso della pelle.
Di fronte a gente che tenta di accaparrare Dio, Gesù ripropone l'antico sogno di Israele, l'antico sogno della Fede: Dio è per tutti! E lo fa citando due esempi lontani: al tempo di Elia c'erano tante vedove in difficoltà, ma una sola a Zarèpta di Sidone è stata saziata, una pagana in terra straniera. Tanti lebbrosi al tempo di Eliseo, ma uno solo Naaman, il Siro, un pagano, uno straniero, un "senza Dio", lui è stato guarito, solo lui! Un simbolo, chiaramente, un'immagine...
Spero sappiate che i lebbrosi nel mondo sono guariti non per l'intervento di Eliseo o di qualcun altro, ma perché i medici hanno cercato la medicina giusta e spero sappiate - sia detto tra parentesi - che il grande scandalo o uno dei grandi scandali del nostro tempo, è che sulla terra ci siano ancora lebbrosi, quando basterebbero poche medicine affinché non ci sia più lebbra. Compito dei medici, dunque, che oggi fanno miracoli! Compito nostro è quello di pensare che Dio è per ogni uomo; non c'è distinzione per il colore della pelle, per la razza o la religione: quello che conta è quello che c'è nel cuore. Il sogno dell'uomo è di sentire ognuno che vive su questa terra, come un fratello e tentare di condividere la vita.
E voi direte: "Non è facile!". "Certo che non è facile!". Ma noi non siamo qui per contentarci, per dire: "Chi si contenta gode", per difenderci nel nostro piccolo guscio.
Noi siamo qui per sognare una umanità solidale, una terra in cui Dio sia veramente il Dio di tutti, al di là delle religioni, delle razze, del modo di pensare. Voi direte: "È difficile!". Lo sappiamo tutti che è difficile! Ci guardiamo negli occhi e in questo momento del cammino degli uomini ci viene forse da dire: "E quasi impossibile!". Vediamo che uomini, in nome della religione, proprio perché si accaparrano Dio, a volte si uccidono, fanno la guerra, a volte convincono giovani a farsi esplodere in mezzo alla gente. È l'assurdo! È l'assurdo di chi pensa: "Dio da ragione a me. Dio è il mio Dio! Dio giustifica tutto quello che faccio io".
Non è questo il Dio che cerchiamo, non è questo il Dio della vita, non è questo il Dio del Vangelo!
Ecco cosa tenta di dirci Luca in questa pagina. Attenzione però! Tutti noi corriamo il rischio di pensare che queste immagini riguardino problemi grandi e lontani: occorre tradurle nel quotidiano della nostra esperienza, perché il problema c'è nel rapporto con chi ci vive accanto, con la moglie, con i figli, con i nipoti, con le persone che incontriamo, con gli amici: è in questa vita quotidiana che tentiamo di portare i "sogni di Dio". Non è facile, per questo ci ritroviamo qui: per continuare a cercare, a camminare, per non "contentarci", per non rassegnarci, per continuare a sognare, a vivere.
Il Signore ci aiuti.
"Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla...". La storia degli uomini, dell'umanità nel suo complesso e, a volte, anche la storia della singola persona, somiglia a un cammino nella "notte", faticando invano.
In questa settimana, mi è capitato di ascoltare tre o quattro volte qualcuno che diceva: "In questi duemila anni non è cambiato nulla, la stessa violenza, lo stesso male che c'era al tempo di Gesù, non cambia mai nulla… il cammino nella "notte", faticando invano".
È giusto pensare così fino in fondo? È vero che non è cambiato nulla? È vero che gli uomini si sono affannati invano nel cammino sulla terra, sempre nella "notte"?
Rifletteteci un momento! Sono proprio le frasi che ho ascoltato in questa settimana che mi spingono a farvi questo discorso.
Martedì scorso camminavo con un amico per i giardini del Colle Oppio: davanti a noi l'immagine grande, forte del Colosseo e il mio amico diceva: "Roma dovrebbe togliere il Colosseo come simbolo della città, in fondo quello era un mattatoio! Migliaia e migliaia di persone, migliaia e migliaia di animali sono stati uccisi là dentro!". Io ho consigliato più volte alla gente - e lo consiglio anche a voi - di andare sulla parte più alta del Colosseo e cercare di immaginare quell'immenso "catino" pieno di gente che urlava, perché giù c'erano uomini che combattevano per uccidersi e si uccidevano anche migliaia di animali.
Il mio amico diceva: "Forse per simbolo di Roma si potrebbero prendere le "Terme", sono almeno un simbolo di piacere, di divertimento o gli acquedotti, portavano acqua, dissetavano la gente". Se si impermeabilizzasse il "catino" del Colosseo e si potesse riunire lì tutto il sangue versato in quell'arena, si arriverebbe, probabilmente, al secondo piano: sangue di uomini e animali.
E non solo sangue: pensate a quella che era la situazione dell'uomo a quel tempo. Il mondo era pieno di lebbrosi, di ciechi, di storpi, la medicina era spesso una fantasia, un "pio chinarsi" sull'uomo per cercare di aiutarlo: non conoscevano quasi nulla. La vita media dell'uomo arrivava ai trentacinque, quarant'anni, la metà dei bambini moriva entro il primo anno di vita, molte donne morivano di parto: la passione, la ricerca di molti uomini, hanno cambiato tante cose! Pensate alla tecnica, al modo di muoversi, al rumore impossibile che c'era per le strade di Roma (noi ci lamentiamo del nostro). Per convincere qualche signora che il mondo è andato avanti, dico sempre che al tempo di mio nonno non c'erano le lavatrici: è per molte signore un argomento convincente!
Ma non è soltanto il progresso tecnico, scientifico, pensate anche al senso della libertà e della dignità dell'uomo. I due terzi degli uomini, al tempo di Gesù, erano schiavi, nel bacino del Mediterraneo e uno schiavo non contava nulla.
Pensate alla condizione della donna... Oggi ci sono tanti limiti, è vero! Tante cose ci sarebbero da fare ancora, tanto male, tante ingiustizie nel mondo, ma noi le vediamo e ce ne accorgiamo anche perché tanta gente prima di noi ha cercato, ha lottato, ha costruito, ha sperato, senza stancarsi fino ai nostri giorni.
Pensate a Paolo, l'apostolo: lui non aveva nessuna idea e non poteva averla, che la schiavitù fosse una cosa ingiusta: allo schiavo consiglia di tornare dal padrone e di ubbidire. Non può immaginare che la schiavitù sia una cosa assurda. E noi oggi, probabilmente anche per merito di certe parole di Paolo, pensiamo che certi tipi di lavoro, lo sfruttamento dei bambini, sono cose che non si possono sopportare: al tempo dei Romani era una cosa normale.
Quando apriamo i libri di storia, leggiamo racconti di guerre, di conquiste, di stragi… anche la storia delle religioni - spero che l'abbiate letta - è storia di inquisizioni, di roghi, di torture, di condanne, di streghe. Questa è la storia scritta! Ma la storia della gente semplice, la storia di chi ha cercato la pace, di chi ha cercato la dignità dell'uomo, la fraternità, la libertà... questa storia ancora non è scritta!
Non è scritta la storia di tutte quelle persone che hanno cercato di conoscere il mondo, di studiarlo, di migliorarlo: di migliorare l'agricoltura, il modo di muoversi sulla terra, fino a volare, fino al computer: questo non è dovuto agli interventi degli "angeli", ma alla passione degli uomini, alla ricerca, alla fatica. Non è scritta la storia di tutte quelle persone, semplici, quotidiane, che senza compiere grandi opere, hanno cercato di vivere, magari senza conoscerLo, i valori di Gesù: la gratuità, il servizio, la tenerezza, la condivisione, la fraternità, la giustizia, la pace…
Abbiamo un'eredità dietro le spalle: un'eredità di cultura, di scienza, ma anche un'eredità di umanità che dobbiamo arricchire; ed è un guaio che qualcuno pensi che non sia cambiato nulla; soprattutto, se sono i giovani a pensare di non aver ereditato niente. Sono i momenti più bui della storia quando i ragazzi pensano di vivere in un deserto, che niente di buono hanno fatto quelli che li hanno preceduti.
Ma questo discorso vale anche per le singole esperienze degli uomini. Avete mai provato a fare un bilancio della vostra vita? Io ho ascoltato molte persone fare il bilancio della propria esperienza: spesso le persone oneste, di buona volontà, fanno bilanci negativi. Le mamme e i papà: "Ho fallito tutto nella mia vita, ai figli non sono stato capace di comunicare nulla". Gli insegnanti, i maestri… la sensazione, a volte, del fallimento. Le nostre catechiste: quante volte si sono lamentate di non riuscire a comunicare i valori ai bambini e poi... poi ti raccontano che dopo anni hanno incontrato qualcuno che ancora si ricorda di qualche loro parola. Succede a persone anziane di accorgersi di quanta attenzione e tenerezza siano capaci i figli… e molti non se lo sarebbero mai aspettato.
Ecco, quando si fa un bilancio, spesso, è un bilancio negativo. Se posso darvi un consiglio: (non lo faccio quasi mai) non fate bilanci, non guardate indietro, non domandatevi: che cosa ho combinato?
Guardate avanti e tentate di comunicare anche agli altri tutto quello che abbiamo ricevuto dai nostri genitori, dalla gente che ci ha preceduto, da tutta la storia dell'umanità. Non si può guardare avanti se non ci si sente, almeno un po', eredi di una storia: di una storia che è fatta di male e di violenza, di sopraffazione, di sangue, ma anche di passione degli uomini, di tanti uomini, che hanno messo nella vita il desiderio del bene, della giustizia, della verità. Ci hanno dato tanto e ci hanno aperto gli occhi!
Dobbiamo sentirci "eredi" di tutta questa gente: non hanno faticato invano, non è stata solo "notte" il loro cammino sulla terra, ma è stata ricerca appassionata di Luce e qualcosa hanno saputo comunicarci e se ci sentiamo "eredi", forse, possiamo tentare anche noi di lasciare qualcosa a chi viene dopo: un mondo un po' migliore.
Ma non è uguale il mondo di oggi dal mondo del tempo di Gesù! Le sue parole hanno portato frutti nel cuore e nella vita di tanti uomini.
Non è uguale il senso della vita! Non è uguale il senso dell'uomo! Non è uguale il senso della donna! C'è più dignità, c'è la consapevolezza che ogni violazione del diritto umano è una violazione dell'umanità. E quindi di questa eredità dobbiamo essere testimoni grati e tentare di andare avanti, non ci si può fermare, perché il cristiano è "uno che non si contenta mai", che continua a cercare con passione per rendere il mondo più bello e luminoso.
Non è soltanto un cammino nella "notte" faticando invano, nella mia vita, nella vostra vita, nella vita degli uomini.
Il Signore ci aiuti.
Anche a qualcuno di voi sarà successo stamattina di ascoltare con una certa perplessità questa pagina del Vangelo, perché noi non siamo abituati a queste "beatitudini". Noi conosciamo - a me è capitato di commentarle decine, forse centinaia di volte - le "beatitudini" di Matteo: "Beati i poveri in spirito, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, beati i miti, i misericordiosi, gli o-peratori di pace...." Queste ci sono familiari; queste di Luca invece ci sembrano più aspre: "Beati voi poveri, beati voi che ora avete fame, beati voi che ora piangete... " e si rimane sconcertati, anche perché sono accompagnate dal "Guai...." Quattro volte: "Guai a voi che ora ridete, a voi che ora siete sazi..." e questo sconcerta: perché? Perché questa distinzione così netta... e non è semplice da spiegare.
E inoltre gli studiosi pensano che questa di Luca sia la versione originaria, poi è stata la comunità di Matteo ad addolcire questo discorso così duro, rendendolo più morale: "Beati i poveri... ma in spirito, beati quelli che hanno fame e sete, ma di giustizia, beato chi è mite, misericordioso..."
Per tentare di spiegare occorre rifarsi anzitutto alla tradizione dell'Antico Testamento: "Beati..." è lo schierarsi di Dio, il prender parte di Dio a favore di qualcuno: Dio sta da quella parte!
Quando tentavo di spiegare questo ai ragazzi, rispondevano subito e più d'uno: "Dio non può scegliere. Dio deve voler bene a tutti, poveri e ricchi, bianchi e negri, brutti e belli; al più Dio può scegliere tra i buoni e i cattivi: questa è una scelta che capiamo". Ed è anche la scelta di Matteo! Ma come accettare che Dio scelga i "poveri", quelli che soffrono, quelli che piangono!
Quando ero giovane chiedevo aiuto a uno dei miei - ma direi nostri - maestri: Don Milani," dice in uno dei suoi scritti: "Non c'è niente di più ingiusto che fare parti uguali tra disuguali". Occorre far capire che gli uomini sono disuguali e che se uno deve scegliere, deve mettersi dalla parte di chi ha meno: non possiamo trattare tutti ugualmente altrimenti diventiamo ingiusti! Ma anche questo non convinceva i ragazzi. Sapete cosa alla fine riusciva a convincerli? Quello che convince quasi tutti nel bacino del Mediterraneo: la mamma.
"Ascolta un po' - basta dire ai ragazzi - se una mamma ha due figli e uno si ammala, secondo te, la mamma da che parte sta?". "Ah! Dalla parte di quello che è malato, a chi soffre, dedica il suo tempo, la sua tenerezza, le sue cure!". "Questo vuol dire che vuole meno bene all'altro?". "Ah! Certo che no! Una mamma deve essere vicina, deve essere attenta a chi soffre e sbaglia l'altro fratello a offendersi se la mamma si prende cura del malato!"
Ecco, questa pagina del Vangelo dice, fondamentalmente, solo questo: Dio prende parte e si schiera dalla parte di chi soffre, di chi ha fame, di chi piange e invita anche noi là, a tendere una mano, a fare in modo che non ci sia più fame, ci invita ad asciugare una lacrima, a togliere un po' di dolore.
Ma si può aggiungere qualcosa. Se la mamma dicesse a quel bambino: "Rallegrati perché il dolore è un dono di Dio, Dio ti ha fatto un piacere a mandarti questa sofferenza, così tu sei più vicino a Lui". Cosa pensereste? Che una clinica psichiatrica sarebbe il luogo più giusto per quella mamma e qualcun altro dovrebbe occuparsi di quel bambino. Eppure, si sente dire anche nel mondo di oggi che il dolore è un "dono" di Dio, che è benedetto chi soffre, perché è più vicino a Dio. Dio ama la sofferenza, il sacrificio... non ci hanno fatto fare tanti "fioretti" quando eravamo bambini? Tante rinunce, tanti sacrifici... Quasi a insegnarci che Dio ama il dolore... a molti di noi questo sembra una bestemmia.
Può essere un dono di Dio il coraggio di superarlo il dolore! È certamente un dono straordinario la tenerezza, a volte sconfinata, con cui delle mamme, dei papà, ma anche degli estranei, si chinano sul dolore della gente. Io che sono vecchio e ne ho viste tante, ho visto persone dedicarsi con tenerezza e passione quasi infinita a un bambino che è nato con qualche handicap e che occorreva aiutare a crescere, a farlo il più normale, il più uguale agli altri possibile, il più partecipe alla vita, a tirar fuori dalle sue risorse tutto quello che c'è di buono: questa è veramente una benedizione! Ma il dolore, il dolore è sempre un male, un male assoluto che va combattuto con tutte le forze dell'uomo.
E - pensate -se quella mamma dicesse: "Bah! Stasera vado al cinema e mi diverto un po', (forse, a volte, farebbe bene a farlo) tanto tu soffri, perché poi avrai un premio in Paradiso; tribola di qua e poi avrai un premio dall'altra parte; più soffri e più godrai in Paradiso! Quella mamma, non soltanto in una clinica psichiatrica, ma in galera la porteresti! Ora chiedetevi: perché in tanti secoli quello che, se lo dice una mamma la mettiamo in una clinica psichiatrica o in galera, l'hanno detto infinite volte preti e cristiani parlando di Dio! Non s'è detto tante volte che il dolore è un dono di Dio? È una Sua benedizione? Non s'è detto tante volte a gente che tribolava, poveri che soffrivano: "Tribola! Poi avrai il premio dall'altra parte!".
Quello che per una mamma sarebbe da galera o da clinica, perché lo abbiamo detto di Dio?
Vedete cosa succede quando si stacca la religione dalla vita concreta! Quando si ragiona per sentito dire, tentando di consolare. Non ci si chiede mai: "Ma che sto dicendo? Ma che senso ha questo? Dio può amare il dolore?!". Dio ci chiama a combatterlo con tutte le nostre forze, ci convoca là, dove c'è una lacrima da asciugare, qualcuno da saziare, da aiutare a crescere: questo è il Suo dono! Il coraggio della gratuità, della tenerezza, dell'amore: questo è il dono di Dio! Il coraggio di non perdere la speranza, anche per chi attraversa un momento difficile. Ma il dolore è sempre un male! Dobbiamo combatterlo con tutte le nostre forze e chiedere anche ai medici di usare tutta la loro scienza per impedire che un uomo soffra, che si senta abbandonato anche dalla scienza, dalla possibilità di curarsi.
Con tutta la nostra forza, con tutta la nostra tenerezza, con tutto il nostro amore dobbiamo stare accanto a chi soffre convinti che là sta Dio; non perché non voglia bene a chi ha la fortuna di essere allegro, felice, sazio... beato lui! Non ha bisogno della nostra tenerezza, ha già molto!
Possiamo solo ricordarci che il benessere dovrebbe essere per tutti. Per ogni uomo che tribola ci vorrebbe un sorriso, una consolazione, un po' di pace, a volte è quasi impossibile... ma non dobbiamo stancarci di cercare che il dolore sparisca dal mondo.
Non è semplice, lo sapete meglio di me.
Il Signore ci aiuti.
Leggere il Vangelo - penso ve ne sarete accorti tutti - non è cosa semplice, a volte parole come quelle che abbiamo letto stamattina, parole pesanti, forti, ti scivolano addosso come l'acqua sul vetro, non ci pensi; per lungo tempo mi è accaduto così.
Vedete, io sono stato fortunato: non ho avuto nemici, nessuno mi ha offeso, almeno gravemente, non avevo niente da dare agli altri, non potevano portarmi via nulla per il semplice fatto che non avevo granché; e dunque potevo ascoltare queste parole con tranquillità...
Poi ti capita di incontrare qualcuno che di nemici ne ha, qualcuno che è stato offeso pesantemente, qualcuno che si porta nel cuore un rancore profondo, che non si può cancellare; e spesso, se è un credente, si è sentito dire: "Se non perdoni, non sei un vero cristiano" e ti capita di incontrare e purtroppo non una sola volta, persone che hanno un peso sul cuore, persone a cui queste parole fanno male, persone che non si sentono cristiane e vicine al Signore.
Io ho avuto la fortuna di incontrare chi mi hanno fatto capire che se il Vangelo ti mette un peso sul cuore, ti fa sentire lontano da Dio, condannato da Lui, c'è qualcosa che non va! E allora tomi a leggere e a rileggere questa pagina, insieme con altre persone, a consultare libri e finalmente ti sembra di intuire qualcosa.
Questa pagina del Vangelo non parla di noi, dei nostri comportamenti morali: tenta di farci capire qualcosa del VOLTO di DIO! Il Suo cuore, i Suoi sogni... e i sogni di Dio non possono che essere infinitamente più grandi del nostro cuore. Forse non le avete notate perché, abituati a una predicazione moralistica, avete messo l'accento su aure parole, ma oggi abbiamo ascoltato parole quasi incredibili: "Dio è benevolo verso gli ingrati e i malvagi"! E poi: "Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro". Ah! Ma allora qui si parla di Lui!
Il Vangelo tenta di farci intuire qualcosa del cuore di Dio! Noi ci apprestiamo a vivere la Quaresima e quest'anno ascolteremo ancora una volta, dal Vangelo di Luca, la parabola del "Padre misericordioso": un figlio "ingrato e malvagio" che ha sciupato la sua vita e torna... torna affamato, ha bisogno solo di pane; crede che lo aspetti un castigo e trova la "Festa". Il sogno di Dio di rispondere al male con il bene, al peccato con il perdono e la festa: un sogno troppo grande per noi!
Non solo, la predicazione, a volte, ci ha complicato la vita: molti di noi sono cresciuti con l'immagine di Dio che era un grande "occhio" inserito in un triangolo, dal quale ci sentivamo scrutati e giudicati in ogni recesso, anche i più segreti della nostra vita: il Dio che punisce, che castiga, il Dio dell'inferno: ma è questo il Dio di cui ci parla il Vangelo!? Come può Luca parlare di un Dio che è benevolo verso gli ingrati e i malvagi? Come può parlare della misericordia di Dio? Come può raccontarci la parabola del "Padre misericordioso", se Dio è come un giudice severo che ti scruta, ti giudica e ti punisce?
Ecco - vedete - queste parole tentano di farci intuire il cuore di Dio, i Suoi sogni; un sogno per noi irreale, impossibile; se qualcuno ci offende conserviamo un rancore nel cuore, a volte non si può cancellare questo rancore: non ci provate nemmeno, è impossibile! Noi non siamo padroni dei nostri sentimenti: la rabbia, il rancore rimangono dentro. C'è gente che mi dice: "Ogni volta che penso a quella persona...". Siamo fatti così! Impastati di carne e di sangue, di rancori e di rabbia; ma il sogno di Dio è diverso! Lui è diverso! Il Suo cuore è diverso!
Così ce ne parla il Vangelo. Lui è capace di sognare di poter rispondere al tradimento con la "festa". Pensate a Gesù: ogni volta che ha incontrato qualcuno con il cuore pesante: una carezza e un invito a camminare ancora; così con il paralitico, così con l'adultera sulla piazza, così con la Maddalena, così con Pietro....
E l'avrebbe fatto anche con Giuda, se solo fosse tornato ad abbracciare quel Dio che preparava anche per lui la festa.
Questo è il Dio di cui ci parla questo Vangelo e se condividiamo i Suoi sogni, forse qualcosa nella nostra esperienza può anche cambiare, forse il sorriso di Dio può attraversare, qualche volta, la nostra vita, ma non è semplice. Se non ci riuscite, non vi preoccupate, se quel rancore che avete dentro non se ne va, non posso che dirvi: "pazienza!" Ma non è peccato! Non è che non siete cristiani; è che siete povera gente impastati di carne e di sangue, di rabbia e di rancore e se la situazione non cambia, quel rancore vi rimarrà dentro e non cercate di cacciarlo perché non ci riuscirete. Tentate di guardare verso Dio, di sognare la Sua gratuità: chissà che il Suo sorriso un giorno possa attraversare anche certi momenti della vostra vita! Certo è semplice per chi non ha nemici, per chi non ha ricevuto grandi offese, dire all'altro: "Se non perdoni non sei un vero cristiano". Provate ad offenderlo duramente e vedrete che la reazione sarà diversa! Perché siamo fatti così! Solo Dio è più grande del nostro cuore, solo Dio è "sogno". Sogno di gratuità, sogno di vita che si rinnova, sogno di festa con cui si risponde al male, sogno di bene con cui si risponde al tradimento, sogno di amore con cui si tenta di rispondere a chi sciupa la vita.
È il "SOGNO DI DIO", forse troppo grande per il nostro cuore di uomini! Per questo siamo qui e continuiamo a cercare nel Vangelo un riflesso del "Volto di Dio", il segreto del Suo cuore, la Sua gratuità, la Sua tenerezza, il Suo amore. Non è semplice!
Il Signore ci aiuti.
Se leggete il Vangelo di Marco, vedrete che, subito dopo il Battesimo, lo Spirito Santo spinge nel deserto Gesù ad affrontare il combattimento contro il male: il diavolo ne è il simbolo.
I cristiani della prima comunità si rendono conto che il credente, colui che vuole seguire il Cristo, ha da affrontare un combattimento: non può star chiuso nel suo guscio, deve affrontare il male dentro di sé, intorno a sé, nel mondo in cui vive: è indispensabile... Noi siamo stati educati a evitare i compagni cattivi, a cercare di rinchiuderci nei piccoli gusci delle nostre parrocchie, nel nostro mondo tranquillo, a evitare ogni contatto con tutto ciò che è negativo nel mondo e nella vita. Eppure se ascoltate il Vangelo, è lo Spirito che spinge Gesù ad affrontare il male: nel Vangelo di Marco c'è solo questo.
Poi la prima comunità cristiana comincia a porsi il problema: dov'è il male? E individua tre aspetti importanti... nessuno di voi, penso sia così ingenuo da pensare che il diavolo abbia preso Gesù per i capelli, spostandolo sul monte, sulla cima del Tempio: si tratta di simboli, un dramma sacro in cui c'è il contrasto tra Gesù, tra il bene, l'ideale, il sogno e la tentazione, il male.
Di cosa si tratta? Cerco ora di tradurvi questi simboli che vengono da tempi lontani; ma il passo decisivo dovete farlo voi... perché il simbolo diventa concreto quando parla nella vita di ogni giorno, nel nostro rapporto con gli altri, nel nostro rapporto con il mondo.
Il primo simbolo è relativamente semplice: Gesù ha fame, ha il potere di trasformare le pietre in pane: "pensa per Te, hai dei poteri, dei poteri straordinari... " - secondo la tradizione antica i poteri del Messia sono eccezionali - "usali per Te!". Gesù rifiuta! Moltiplicherà il pane, ma non lo farà per sé, lo farà per gli altri! È l'invito a usare le proprie capacità, le capacità umane, non in maniera egoistica, ma nella solidarietà e nella condivisione.
Cosa significa questo nella nostra vita quotidiana? Cosa significa nei miei rapporti con la gente che ho intorno? Con gli amici, i colleghi? Cosa significa nei rapporti con la moglie, il marito, i figli, i nipoti? Cosa significa condividere la vita? Cosa significa spartire il "pane"? E se poi uscite dalla porta di casa e cominciate a guardarvi in giro: cosa aiuta la condivisione? Che cosa mette in difficoltà i più piccoli, i più poveri... Per un credente il criterio della vita sociale dovrebbe essere la solidarietà, la condivisione: ma non è semplice capire, non ci sono scorciatoie: ci vuole riflessione, occhi attenti, capacità di dialogo senza cercare soluzioni facili, senza affidarsi agli "slogans".
Abbiamo riflettuto un po' in questa settimana: un signore diceva: "Se si abbassano le tasse -cosa che tutti vorremmo - ma si aumentano i costi delle prestazioni, delle medicine, degli ospedali, dei libri di scuola... Chi ci rimette? I più poveri". Un altro diceva: "Se tutti guadagnano un po' di più - cosa auspicabilissima - ma poi diminuiscono i posti di lavoro, chi ci rimette? I giovani che fanno fatica a trovare un futuro nella loro vita". Se per aumentare la produzione, il lavoro diventa del tutto incerto e non c'è più possibilità di programmare il futuro: che diventa la vita? La vita dei più deboli, la vita dei più piccoli, la vita di chi non ce la fa... perché chi può, chi ha intelligenza, inventiva, furbizia, amicizie... lui va, per lui le leggi sono sempre favorevoli! Ma che ne è degli ultimi?! E siamo ancora in Italia, se ci allarghiamo al mondo: cosa significa una politica solidale? La condivisione verso i più deboli della terra, perché tutti abbiano gli stessi diritti alla vita, alla salute, al cibo? Sono problemi immensi, più grandi certamente di me, forse anche di molti di voi, ma non dimenticate che anche qui il Vangelo, ha la sua parola da dire, altrimenti rischiamo separare la religione dalla vita ed è sempre pericoloso: occorre sempre chiederci se i nostri discorsi sono impostati sulla solidarietà. Avventuratevi qualche volta, ma con semplicità, con la voglia di cercare, di capire, senza ascoltare l'ultimo che grida, soprattutto chi grida più forte; cercate di capire... e poi ritornate nella vostra casa, perché lì, forse, c'è la più concreta possibilità per noi di essere solidali, di condividere, di dare una mano, di essere attenti a chi è più debole, a chi ha bisogno che si asciughi una lacrima, a chi ha bisogno di essere ascoltato, a chi ha bisogno di tenerezza.
La seconda tentazione è la tentazione del potere: "Tutti questi regni sono tuoi". A questa tentazione molti hanno ceduto nella storia della Chiesa. In nome di Cristo, dei credenti, hanno conquistato popoli, hanno fatto schiavi, hanno distrutto civiltà intere, hanno fatto crociate e certo non per difendere il Vangelo! Per il potere! Ma non basta parlare male di chi ci ha preceduto; tornate nella vostra casa, nel rapporto degli uni con gli altri: chiedetevi dov'è il potere! A volte i bambini hanno più potere di molti di noi; il potere dei piccoli, oggi, è grande, comandano solo loro, vi impongono la loro dittatura. Così gli anziani... a volte non sembra, ma con i loro acciacchi in qualche modo rendono schiavi... Figli che fanno schiavi i genitori e genitori che fanno schiavi i figli.
Chi esercita il potere? Cosa significa esercitare il potere? Chi ha in mano i soldi della famiglia? Cosa pensa la moglie o il marito quando deve andare a fare la spesa e deve chiedere e rendere conto e essere misurato in tutto. Anche quello è potere!
Ma c'è un'ultima tentazione - per Luca è la più importante - la mette al terzo posto, al contrario di quello che fa Matteo: Gesù viene messo sul punto più alto del Tempio e il diavolo gli dice:
"Buttati giù, tanto verranno gli angeli, ti solleveranno, non inciamperai...". A prima vista sembra una tentazione semplice che probabilmente non vi riguarda: è la tentazione di apparire. Viviamo in un mondo in cui se uno non appare... se uno non "si butta dal pinnacolo del Tempio" o non va in luoghi strani a fare strani esercizi, magari facendosi anche male... sembra non esistere.
Ma forse non è questo il vero senso della terza tentazione: qui si tratta della religione. Chi è Dio? Dove si manifesta Dio? Come conosco Dio? Chi è Dio nella mia vita? Vedete, noi siamo stati abituati, da quando eravamo bambini, a riconoscere Dio nel prodigio, nel miracolo. Ci parlavano del miracolo dell'Eucarestia: il "miracolo di Bolsena"! Gesù ha fatto molti miracoli, e il più grande è la Risurrezione! Madonne che piangono, anche lacrime di sangue! I prodigi di un "santone" in qualche santuario! Là vai a cercare Dio! No! È il diavolo!... La tentazione è pensare che Dio si trovi nel prodigio, nella forza, nella potenza. I nostri antichi non ne potevano fare a meno, ma per noi è diverso: o scopriamo il Dio della gratuità, il Dio del servizio, il Dio della vita donata, che si china a lavare i piedi, che accarezza l'uomo che ha sbagliato, ci invita a camminare con Lui, a condividere la vita, a metterci al servizio, a donare noi stessi... o rischiarne che i nostri ragazzi non possano più credere. Non possiamo più credere nel dio che viene a tappare i buchi della nostra povertà, nel dio onnipotente, che si manifesta nel prodigio... anche perché poi rischiate che se pregate e pregate l'onnipotente e non ottenete quello che avete chiesto, qualcuno vi dica che non avete saputo pregare o che avete fatto dei peccati... non è così Dio!
Il Dio che noi conosciamo si manifesta in Gesù di Nazareth; la vita per trent'anni nella sua bottega, vita di servizio, di parole inutili, di lavoro quotidiano, di vita condivisa.
Dio si manifesta in Gesù di Nazareth, che si china su chi ha sbagliato, che abbraccia il "figlio che torna", che si china a lavare i piedi, che si fa cibo, che dona Se stesso e quando, sotto la Croce, tutti Gli dicono: "Se sei Dio scendi, salva Te stesso e noi!". Non scende! Rimane là a condividere i bassifondi dell'umanità, là, dove si fa violenza dell'uomo sull'uomo: Dio impotente e crocifìsso. A noi ha affidato il compito di combattere il male, conservando nel cuore la fede nella gratuità del rapporto con Dio. La fede che è impegno di vita, di condivisione, di servizio, di amore, di tenerezza: Gesù è venuto a condividere con noi tutto questo, senza la bacchetta magica; non si è buttato dal Tempio per mostrare la sua potenza con il prodigio in modo che tutti potessero riconoscerLo e applaudirLo: non avrebbero riconosciuto Dio! Avrebbero riconosciuto il "santone" avrebbero riconosciuto il dio del tempio pagano, non il nostro Dio! Il Dio dell'amore fino alla Croce, il Dio del servizio, il Dio della vita donata...
Ma tutto questo non è facile, provate a tradurlo nella vostra vita concreta perché Pasqua sia Pasqua.
Il Signore ci aiuti.
È strano, a Volte, il Vangelo. Avete ascoltato parole che sembrano contraddittorie; prima una minaccia addirittura tragica: "Se non vi convertite, morirete tutti" e poi, quasi a contrappasso, una parabola che sembra parlarci della pazienza di Dio. Il padrone dice: "Taglia l'albero... " II contadino: "Lascialo ancora un anno, zappiamo, mettiamo il concime, chissà! Forse porterà frutto in avvenire". E l'anno prossimo, forse, il contadino dirà la stessa cosa: "ancora un anno!"... sono già passati tre anni.
Tentiamo di intuire qualcosa, se ci riesce, in questa pagina, secondo me, importante.
All'inizio il Vangelo tenta un'impresa quasi impossibile: quella di rompere il legame tra la disgrazia e la colpa. Avete ascoltato? Due avvenimenti drammatici: Pilato ha fatto uccidere alcuni Galilei, ha mescolato addirittura il loro sangue con quello dei sacrifici: sono più colpevoli degli altri? No! La torre di Siloe è caduta....
Qui trovate uno dei drammi presenti in tutte le religioni dei mondo: il legame tra la colpa e la disgrazia! Gli antichi non sanno spiegare quasi nulla del mondo, soprattutto non sanno spiegare il male e allora vedono spesso una punizione di Dio ed è drammatico, perché poi si cerca il colpevole, il capro espiatorio, quello su cui scaricare la violenza del gruppo... ed è una cosa dura a morire! Una delle frasi che più ho ascoltato nel lungo cammino della mia esperienza di prete è proprio questa: "Che male ho fatto perché mi capiti questo guaio? Perché proprio a me? Che ho fatto di male?".
Vedete, questa radice permane nel nostro inconscio, nel nostro parlare quotidiano. A volte ci capita anche di ascoltare qualche personaggio importante della Chiesa che ribadisce queste legame tra la disgrazia e la colpa.
Voi sapete che nel lontano oriente hanno inventato addirittura la teoria della reincarnazione: all'uomo giusto che dice: "Che male ho fatto perché mi capiti questo guaio? Io sono una persona perbene!". In questa vita! Ma nella vita precedente hai commesso del male e adesso devi scontare! Porta pazienza, poi nella vita seguente, forse, ti andrà meglio... Sempre il legame tra la colpa e la disgrazia!
Il Vangelo tenta di rompere questo legame ed è un passo fondamentale per il cammino degli uomini. Quando l'uomo ha smesso di pensare che la disgrazia, il malanno fosse causato da una punizione di Dio o da qualche diavolo, ha cominciato a cercare le vere cause.
Ormai i medici hanno vinto moltissime malattie. Al tempo di Gesù molti uomini erano ciechi, molti lebbrosi, muti, la vita era molto più breve della nostra: pensavano che fosse una punizione di Dio o che qualche diavolo avesse causato questo. La passione di chi ha cercato, di chi ha studiato, ha migliorato la sorte degli uomini.
Vedete, quando si toglie di mezzo la soluzione magica, la scorciatoia, per spiegare il male del mondo, l'uomo fa un passo avanti. Ci sono molte cose ancora da scoprire, da cercare. Ogni tanto siete invitati - giustamente - ad offrire il vostro obolo per la ricerca, ora sul cancro, ora sulla leucemia, ora sulla sclerosi o su uno dei tanti malanni che affliggono l'umanità. Spero che un domani l'uomo dedichi, ancor più di quanto fa oggi, tutta la sua passione per cercare di risolvere anche i problemi di natura psichica, che tanta sofferenza provocano nel mondo, soprattutto in questo mondo occidentale: drammi causati dalla depressione, dalla schizofrenia, dalle psicosi e quant'altro. E chissà che un giorno l'uomo non arrivi a cercare con passione le radici del male morale... da dove viene la violenza, la cattiveria dell'uomo, la voglia di morte, l'odio, il rancore.... Perché tutto questo? Cosa c'è dentro di noi! È importante cercarlo, è importante sapere, è importante scoprire. Il "diavolo" è una scorciatoia, la punizione di Dio è una scorciatoia: non serve!
Il Vangelo di oggi ci dice anche un'altra, importantissima cosa. Il Vangelo di Luca comincia il racconto della vita pubblica di Gesù, con la minacciosa profezia di Giovanni il Battista: "Già la scure è alla radice dell'albero pronta per tagliare, ogni albero che non porta frutto sarà tagliato e gettato nel fuoco". Oggi abbiamo ascoltato la correzione: là parlava l'impazienza dei primi cristiani: aspettavano una soluzione radicale: l'intervento di Dio che venisse a togliere tutto il male che c'è nel mondo. È l'impazienza del cuore dell'uomo che cerca le "scorciatoie", le soluzioni facili, le terribili soluzioni facili della storia dell'uomo! Perché poi l'uomo non aspetta che intervenga Dio a tagliare l'albero: ci pensa lui, pensa lui a procurare la morte di chi sbaglia!
Nel lungo cammino degli uomini si sono accesi roghi per bruciare gli eretici, le streghe, i diversi... Ancora oggi, lo sapete, spesso si pensa di risolvere con la guerra i drammi del male del mondo, della violenza che c'è: la guerra non ha mai risolto niente!
L'uomo ha bisogno di capire quello che c'è nel cuore dell'uomo, quello che porta il male, la violenza, l'odio dell'uomo contro l'uomo, la sopraffazione, la volontà di potere, il dominio: tutte queste cose, con pazienza, con passione, dobbiamo cercare di scoprirle, di intuirle, di capirle: le scorciatoie non servono, portano male su male: si rischia di linciare la gente, di far esplodere le bombe, si rischia di bombardare bambini innocenti, si rischia di tutto se l'uomo non fa come Dio: pazienza, ancora un po', metti il concime, zappa, cerca, studia con passione; chissà che i figli dei figli non possano vedere un po' più di pace di quanta ne vediamo noi: ma non è la "scorciatoia", non è la violenza, non è la sopraffazione, non sono gli uomini della provvidenza, che risolvono i problemi del nostro cammino.
Voi mi direte: "Questi sono problemi più grandi di noi". Più grandi di me, di voi e, forse, degli uomini che vivono oggi, forse, chissà, degli uomini di domani... intanto possiamo guardarci allo specchio: "E io, la mia pigrizia, il mio rancore, la mia indifferenza: da dove viene? Come posso superarla?". Con pazienza, con calma, ma non con troppa calma, altrimenti fate come me, che vedo passare anni e anni e non cambia niente. Lo so che voi siete migliori di me e quindi spero che avrete cambiato qualcosa e ancora la cambierete.
Il Signore ci aiuti.
Abbiamo ascoltato ancora una volta questa straordinaria parabola. Se ho capito qualcosa, qui ci troviamo nel cuore stesso della nostra fede e proprio perché ci troviamo nel cuore della fede, questa parabola, per la mia esperienza, è come un pozzo senza fine. A me è capitato, nei lunghi anni della mia vita sacerdotale, di parlare ormai per ore e ore di questa parabola, e sempre con la sensazione di non riuscire a coglierne il fondo.
Non ho ore e ore, se mi riesce, tento di farvi intuire qualcosa di quello che c'è in questa pagina straordinaria. E oggi vorrei anche darvi un consiglio - cosa che non faccio quasi mai - ma è un consiglio che vi prego di tenere da conto perché può essere prezioso.
Comincio con una domanda: secondo voi, questi due figli sono entrati nella "festa" del Padre? E ci sono poi rimasti?
Date un momento uno sguardo a questi figli: il più piccolo se ne è andato di casa... non pensate alla volontà di indipendenza dei giovani; oggi dovremmo pregare i ragazzi di andarsene di casa, ci stanno troppo! Forse anche qualcuno di voi... Fuori! Il mondo è grande e bisogna guadagnarselo! Non è di questo che si parla qui! Pensate a un delinquente, a uno che ha sciupato la propria vita e ha fatto del male agli altri: di lui si parla! E lui è cosciente di quello che ha fatto e sa che non può più essere figlio: non torna a cercare il padre - lo avete ascoltato - lui cerca il pane, è affamato; a casa del padre i garzoni... - non si chiamano servi (è Gesù il "servo") in questa pagina straordinaria, qui ogni parola è pesata - hanno pane e lui vuoi essere trattato come un garzone e non gli importa né del padre, né del fratello purché abbia del pane: per questo torna.
Il padre prepara per lui una festa. Lui si aspetta una punizione e il padre prepara un banchetto come non s'era mai fatto in quella casa: questo figlio ha capito? E cosa può aver capito? Ha partecipato a quel banchetto e soprattutto è rimasto in quella festa? o è tornato a sciupare - come spesso succede a noi uomini - la sua vita e a far del male al prossimo?
E il figlio più grande è entrato a far parte del banchetto? Lui è indignato... giustamente è indignato! Lui forse... - pensateci un momento... pensate a voi stessi... - è anche disposto ad accogliere questo fratello che torna, ma che paghi! Che lo sappia! Anche qualcuno di voi ha detto: "Son disposto a perdonarti, ma te lo voio fa sapé!". Noi sappiamo che chi sbaglia deve espiare!
La festa?... cos'è questa festa? Giustamente indignato questo figlio non vuole entrare, il padre esce a pregare perché entri... sarà entrato questo figlio?
Vedete, se ho capito qualcosa del Vangelo, i primi cristiani pensano che di questi due figli uno è entrato e ci rimane e l'altro non è entrato; perché per loro questi due figli sono uno il simbolo dei credenti, di coloro che hanno accolto l'invito; l'altro, il più grande, invece è il simbolo degli ebrei, del popolo d'Israele, che invece è rimasto fuori, non è voluto entrare: questo si trova in tante pagine del Vangelo: basta leggere il capitolo precedente a questo, nel Vangelo di Luca.
Secondo me loro credono che sia così, ma - ve ne siete accorti - qui non lo dicono e io dunque posso farvi la domanda: sono entrati questi figli e ci sono rimasti?
Sulla soglia di quella porta i primi cristiani si fermano, intuiscono che lì c'è qualcosa di infinitamente più grande del loro cuore.
Ecco il consiglio: non affettatevi a trarre conclusioni perché questa parabola è anche più grande del nostro cuore, è certamente più grande della storia della Chiesa.
Avete ascoltato Paolo nella seconda lettura: Gesù è innocente ma si è caricato, o meglio, Dio lo ha caricato delle nostre colpe! Guardate il Crocefìsso: ecco la conseguenza... Dio esige la vendetta, la punizione, l'espiazione e la chiede ad un innocente: il capro espiatorio. Ha capito Paolo questa parabola? È entrato veramente in questa festa? Ha capito il "sogno" di Dio, il cuore di Dio? Lo hanno capito tutti i cristiani che in questi duemila anni hanno parlato...- spesso, un tempo, oggi un po' meno - del Purgatorio, dell'Inferno? Si concilia la punizione eterna con questa parabola che ci parla della "festa di Dio"? Si concilia questa parabola con la pratica, che molti di noi hanno subito, della confessione?... La vergogna, la penitenza, l'espiazione. Non affrettatevi a trarre conclusioni!
Qui l'uomo si affaccia sulla soglia del "mistero" di Dio, per un attimo contempla i Suoi sogni. Il sogno di Dio che sa rispondere al male, non con altro male; al peccato, non con la punizione e l'espiazione, ma con l'abbraccio e la "festa".
Non affrettatevi a trarre conclusioni: per noi è impossibile! Noi sappiamo che chi sbaglia deve essere punito, fin da quando è bimbo, altrimenti noi non capiamo. Abbiamo bisogno dell'espiazione: tutta la nostra legge è basata su questo.
E se il cuore di Dio fosse diverso? Profondamente diverso! Se il Suo sogno fosse che il male, ogni male, scompaia dal mondo e che a chi torna sia bello offrire la possibilità di credere nella vita, di danzarla, di fare festa? Se tanti aspetti della nostra tradizione: l'espiazione, la Croce come vendetta di Dio per il peccato, l'esigenza del sangue, l'Inferno, il Purgatorio, le confessioni, fossero "paccottiglia" religiosa? Se l'unica cosa sensata fosse uno sguardo stupefatto e incredulo verso il cuore di Dio, che ama la festa e la vita, che vuole rispondere al male con il bene, al peccato con la festa e con la gioia... ma non è per noi incomprensibile?!
Non traete conclusioni - ecco il consiglio che vi ho ripetuto troppe volte, stamattina - non traete conclusioni: per noi è troppo grande! Poi cercate di intuire qualche cosa che forse può tradursi nella nostra vita: le carceri, forse, possono non essere la vendetta, ma la rieducazione, forse dobbiamo fare tutto il possibile perché chi ha commesso un delitto ritrovi la gioia di vivere, di amare perché... perché la punizione non è l'espiazione e il carcere; la punizione è il delitto stesso, perché chi delinque sciupa la vita!
Non vorrei che qualcuno pensasse che parlare della "festa" di Dio rendesse meno grave il peccato, il male. C'è troppa violenza intorno a noi, c'è troppo male, ma il carcere è un altro male! La Croce è un altro male! Il "sogno" di Dio è la festa, il grande "banchetto" di nozze, la festa della vita a cui tutti siamo invitati, al di là delle nostre povertà, della nostra incapacità di capire, di sognare. Come è possibile tradurre questa parabola nel concreto della nostra vita? Per noi è quasi impossibile! La storia della Chiesa l'ha negata infinite volte, forse questo ci può consolare! Allora non pensate ai "figli" di questa parabola, pensate a Dio...
E poi ricordate che questa parabola è detta per noi: rimproverano Gesù perché mangia con i peccatori: con noi! E non solo mangia con noi, ma si fa Pane per noi, per farci partecipare alla "festa" e se c'è qualcuno di voi che ha il cuore pesante, che sente il peso di una colpa: lui è il primo ad essere invitato qui, il primo ad essere invitato alla "festa", il primo ad essere abbracciato dal Padre, nutrito da Gesù, perché questo è il SOGNO di DIO! Troppo grande per il nostro cuore.
Il Signore ci aiuti.
Siamo ormai alla fine della Quaresima, lo sapete, domenica prossima è già la Domenica delle Palme e quest'anno il Vangelo ci regala, prima della Pasqua, questa piccola, preziosa perla.
Sembra un racconto ma, probabilmente, si tratta di un simbolo: ci sono troppe cose incomprensibili in questa storia. Probabilmente i primi cristiani arricchiscono con la fantasia un avvenimento per farci intuire qualcosa del "Volto di Dio". Loro hanno usato fantasia per scrivere e occorre tutta la vostra fantasia, e anche tutta la vostra esperienza, per cercare di intuire qualche cosa in questo racconto.
E allora, se volete, provate a fare un volo con la fantasia e recatevi là, su quella piazza. Fermatevi un po' in disparte, per non confondervi, con questa gente che grida, con il dito puntato e guardate con attenzione!
Guardate questa donna là in mezzo, umiliata, offesa, forse si porta sul cuore il peso della propria colpa. Guardate è sola! Dov'è il partner? Un adulterio si fa in due! Dov'è il maschio? Eppure la Legge condanna tutti e due alla pena di morte: perché non c'è? La violenza degli uomini, spesso, si rovescia su chi è più debole, su chi non sa reagire, sulla vittima. Ancora una volta c'è gente che punta il dito contro una vittima! Guardate negli occhi di questa donna, la sua angoscia, la sua paura per tutta questa gente intorno a lei che grida e urla!
Ed ora cercate di guardare gli occhi di questa gente; guardate la violenza, l'odio che tante volte attraversa la vita degli uomini. Là ci sono gli scribi, i maestri della Legge: loro sanno sempre tutto; sanno dove sta il bene, dove sta il male; sanno chi è giusto e chi è peccatore; sanno e vogliono che si rimetta ordine con la violenza e con il sangue; esigono espiazione, punizione per il peccatore. Guardate i Farisei: quelli che ritengono di essere giusti: hanno fatto piedistallo della loro osservanza della Legge e giudicano senza misericordia. Sono persone che pensano di essere buone, che non si chiedono mai se avessero anche loro un po' di responsabilità. Spesso, quelli che gridano, quelli che hanno parole forti; spesso, quelli che nelle loro parole e nei loro scritti giudicano, non si chiedono: fosse un po' anche colpa mia?
Avete ascoltato, i primi cristiani lo fanno dire a Gesù: "Chi è senza peccato scagli la pietra". E tutti, dal più vecchio al più giovane, se ne vanno!... Se ne vanno? Chi ha un po' di esperienza delle vicende umane, sa che qui si potrebbe scrivere un'altra storia perché, in genere, non se ne vanno! C'è sempre chi alza la mano per tirare una pietra. C'è sempre qualcuno che si ritiene giusto e che scaglia la sua violenza verso il debole e, spesso in "Nome di Dio".
I cristiani, quando giudicano il mondo di oggi e la violenza che viene da altre religioni, non dovrebbero dimenticare mai che sotto la condanna a morte di molte persone c'è la firma d'un "santo". Robertus Card. Bellarminus c'è sotto la condanna al rogo di Giordano Bruno. Levatevi il cappello! San Roberto Bellarmino: uno dei "santi" più grandi e famosi della storia della Chiesa!
Ma non è un'eccezione! Sono tanti!... Non se ne vanno! Se tornate qui domenica prossima vedrete che sono già tornati per mettere in croce Lui e grideranno: "Crocifiggilo! A morte!". Ma adesso lasciamoli andare; lasciamoli andare perché abbiamo un gran bisogno, anche oggi, in questo mondo così carico di violenza, di guardare, almeno per un momento, negli occhi Gesù. GuardateLo! Non può far pace con il peccato di quella donna: "Non peccare più". Non può far pace con il nostro peccato, ma con questa donna, sì! Con noi, sì!
Guardate i Suoi occhi, guardate la Sua mano, forse si china a prenderla per mano, forse fa una carezza: "Alzati e va!".
Quella donna, forse, per la prima volta nella sua vita ha incontrato Qualcuno che non la giudica, che la ama così com'è, che la invita ad alzarsi, a camminare ancora. Quella donna, forse per la prima volta, fa esperienza di Qualcuno che la rispetta nel profondo, che le vuole bene, che sogna per lei un avvenire di giustizia, la voglia di camminare, di credere nell'amore, nella tenerezza.
Con un'intuizione straordinaria, la storia della Chiesa ha visto in questa donna, Maria Maddalena: colei che ha saputo spaccare il vaso di profumo per bagnare i piedi di Gesù. Lei che ha incontrato la tenerezza di Dio, che ha fatto esperienza di Qualcuno che non giudica, ma che sa accarezzare e dare speranza: lei diventa capace di accorgersi di Colui che è il più debole e di non calcolare più. Lei spacca il suo vaso di profumo! Questa donna umiliata e offesa diventa, in mezzo a un mondo di chiacchieroni, di gente che punta il dito, di gente impaurita, capace di capire e di donare; lei fa esperienza di tenerezza e di amore.
In questa pagina straordinaria ci sono i SOGNI di DIO, c'è la bellezza della vita: non è del tutto a buon mercato, ma noi ci accingiamo a celebrare le grandi feste di Pasqua.
Il Signore faccia fare anche a noi esperienza della Sua tenerezza; ci faccia incontrare gli occhi di Gesù, dia anche a noi il coraggio della speranza, il coraggio di amare, il coraggio di credere ancora nella vita, come ha saputo darlo a questa donna Impaurita, sulla piazza dell'odio.
Il Signore ci aiuti.
Quello che abbiamo ascoltato sembra un racconto, il racconto di un avvenimento: è una professione di fede. I primi discepoli riconoscono in Gesù, che sta entrando in Gerusalemme, il Signore: Dio venuto a condividere i "bassifondi" della storia.
Per dirci questo ricorrono a un antico rituale di corte: quando si doveva incoronare il nuovo re si organizzava un grande corteo, che partiva dal piccolo villaggio di Betfage, a qualche chilometro da Gerusalemme e lungo la strada, come avete ascoltato, si stendevano i mantelli, i rami di palma, i fiori e quant'altro e il re incedeva sul cavallo bianco, con tutti i suoi dignitari, con le grandi armature della guerra... tutto l'apparato del potere e della gloria.
Qui le cose cambiano - avete ascoltato - c'è solo un piccolo puledro di asina: è il centro di questa storia, un asinello: l'animale del servizio quotidiano, del lavoro di ogni giorno. Il nostro Re non viene sul cavallo bianco, viene "non per essere servito, ma per servire e dare la propria vita", per tentare di portare in mezzo a questa folla - che ora acclama e che presto griderà: "crocifiggilo" - la Sua fedeltà, il Suo servizio umile, il Suo condividere il cammino degli uomini fino in fondo, il dono della sua vita.
Voi non potete portare a casa un asinello come memoria di questo giorno; da tempo la tradizione del nostro mondo mediterraneo ci fa portare a casa un piccolo ramo di ulivo: non servirà a scacciare i "diavoli", a proteggere le nostre case dai malanni: è il simbolo della nostra fede, è il simbolo del nostro credere in Gesù; esprime il nostro desiderio di tentare di seguirLo sulla sua strada: la strada del servizio, della vita condivisa, della ricerca di pace, della gratuità, dell'attenzione verso gli altri: è la strada di Dio in mezzo a noi ed è quello che tentiamo di professare qui, insieme, stamattina.
Adesso possiamo sederci perché il clima della nostra celebrazione cambia: non c'è più festa di popolo, c'è soltanto il dramma della sofferenza e del male del mondo: un dramma senza fine. E a questo dramma non ci sono soluzioni facili; non c'erano allora e in gran parte non ci sono nemmeno oggi.
Anche noi grideremo sotto questa Croce: "Scendi! Salva Te stesso e noi!" ma le braccia, lo ascolteremo, rimarranno spalancate su quella Croce, inchiodate sul legno, fino alla fine.
E allora dimenticate le tante parole che abbiamo ascoltato sulla Croce, le parole che ascolteremo anche tra poco nelle preghiere. Ascoltate come i primi cristiani raccontano questa storia, fin dall'inizio, perché comincia con il racconto della Cena: Gesù spezza il Pane: è quello che facciamo qui e il racconto finisce con la speranza della Risurrezione, ma in mezzo c'è il "travaglio" della vita, il "dramma" della vita.
È quello che oggi vogliamo guardare con occhi seri e disincantati, trovando il coraggio di buttare il cuore al di là. E allora prepariamoci ad ascoltare, prima due letture che ci introducono al grande racconto della Passione: il testo di Isaia e poi il Salmo 21, che i primi cristiani hanno messo sulla bocca di Gesù sulla Croce e vedrete che tanti dettagli di queste due letture, poi li ascolterete nel racconto della Passione: si trovano già in queste antiche storie, perché purtroppo il dramma della vita non comincia con Gesù.
Fermiamoci un momento a guardare verso questa croce: un Uomo, le braccia spalancate, inchiodate: guardate il dolore, la sofferenza. Pensate un momento all'odio, alla violenza che l'ha inchiodato là.
E adesso portiamo intorno a quella croce... ciascuno di noi il nostro dolore, la nostra sofferenza, a volte lancinante, dolorosa; a volte insopportabile.
Portiamo là, oltre la nostra, la sofferenza del mondo, il dolore della guerra, della violenza, dell'odio, del sangue, della gente che muore, il dolore dei bambini, dei tanti bambini che soffrono dimenticati da tutti, il dolore delle malattie, dell'aids, della fame, della miseria: tutto il dolore del mondo intorno a quella Croce e gridiamo.... Gridiamo con tutte le nostre forze, non per deridere: di fronte al dolore non si può deridere! Noi siamo gente seria!
Ma siamo anche persone che non riescono a capire, persone che non sopportano il dolore… e allora abbiamo tutto il diritto di gridare: "Se sei Dio, scendi! Salva Te stesso e noi". È il grido del dolore del mondo! Gridate quanto volete, ma poi fermatevi a guardare: non accade nulla, le braccia non si schiodano dalla Croce: non salva né Se stesso, né noi!
La storia non ammette scorciatoie! Noi non sappiamo perché tanto male c'è nel mondo, qualcosa cominciamo a capire delle malattie, ma non capiamo quasi nulla della violenza, dell'odio, della disperazione, del disinteresse… su quella Croce c'è un Dio che è venuto a condividere la nostra vita fino in fondo, a condividere i "bassifondi" della nostra storia, a condividere il dolore, non come un mago che "salva", che "scende dalla croce", che esercita il Suo potere, ma come Uno che cammina con noi, perché al di là della morte, del dolore, del male, possiamo credere ancora nella vita.
GuardateLo un momento! Non ne può più: le forze se ne vanno, eppure è capace di fare l'ultima carezza, di dire a chi gli sta accanto: "Oggi sarai con Me!". Al di là del male c'è la vita, c'è la speranza, c'è l'amore: è venuto, a condividere fino in fondo la nostra vita, ha tentato di metterci nel cuore il coraggio della speranza, ma è rimasto vittima dell'odio, della violenza che c'è nel mondo. Non dell'odio degli Ebrei, di tutta una città, di un popolo intero… quell'odio, quel rancore, quell'incapacità, quell'indifferenza della folla che sta a guardare, li ritrovo intorno a me e, qualche volta, anche dentro di me.
E allora, guardate e non dico: cercate di capire, perché non possiamo capire, non riusciamo ancora a capire il male del mondo; tentiamo di credere, come ha creduto Lui, che l'amore è più forte dell'odio, che la vita è più forte della morte, che l'uomo è fatto per cercare, con tutta la sua passione, il piacere e la gioia, che l'uomo ha tutto il diritto di non sopportare, il male, la violenza, l'odio ed è compito nostro tentare di combatterli, con tutte le nostre forze e di credere nella vita.
È quello che grideremo, ancora Domenica, nel grande giorno di Pasqua, ma è difficile! Forse troppo, difficile per noi! Forse è per questo che anche Dio è venuto a condividere la nostra strada, la nostra storia, a seminare i semi della speranza e della vita nei "bassifondi" del nostro cammino di uomini.
Lui ci aiuti a credere e camminare ancora!
Chi legge con un po' di attenzione i Vangeli, rimane sorpreso e colpito da un fatto. Nel lungo racconto della Passione e della morte di Gesù i Vangeli procedono insieme, quasi con le stesse parole. Domenica scorsa, ricorderete, abbiamo letto il racconto della Passione nel Vangelo di Luca, ma se avessimo letto quello di Matteo o quello di Marco o di Giovanni, avremmo ascoltato quasi le stesse parole: sembra si tratti di un antichissimo racconto, uno dei primi che si è formato. Probabilmente perché i primi discepoli hanno continuato a ripetersi questa storia, per tentare di capire perché Gesù fosse finito su una croce. Perché il Padre lo aveva permesso? Perché la missione di Gesù era finita nel fallimento? La storia si è quindi presto codificata e tutti la raccontano allo stesso modo.
Ma quando si arriva alla Risurrezione sembra quasi che ci sia un'esplosione: ognuno se ne va per conto suo, sembra che ogni comunità racconti la sua storia, spesso in contrasto con quella dell'altra.
Per alcuni sembra che tutto si svolga a Gerusalemme, nel Cenacolo; per altri tutto si svolge in Galilea sul lago: "Andate in Galilea" - dice l'Angelo - "là mi vedrete... " niente a Gerusalemme!
Sembra quasi che ogni comunità, o meglio, ogni cristiano debba ormai inseguire il Signore Risorto là dove vive, o meglio, dentro la propria casa, dentro il proprio lavoro, dentro la propria esperienza… Ormai il Signore si può incontrare solo nella fede, chi non crede non può più vederLo! E anche quelli che Lo vedono balbettano: non sanno bene cosa succede....
Domenica prossima leggeremo ancora la storia di Tommaso, che non riesce a credere. Poi la bellissima storia dei due discepoli che, nel Vangelo di Luca, vanno da Gerusalemme fino ad Emmaus: per quindici chilometri camminano con Lui e non Lo riconoscono! Come è possibile non riconoscere il Signore!? Perché tanta fatica? Che cosa tentano di comunicarci i primi cristiani?
Tutti sembrano avere una certezza nel cuore: che Lui è vivo! Che la morte non è stata l'ultima parola! Ma cosa significa questo nella vita di ogni giorno? E come possiamo crederlo? E cosa significa vivere questa Fede nella Risurrezione?
Vedete, i primi cristiani non si preoccupano troppo di quello che c'è oltre la morte: è stata spesso una preoccupazione della Chiesa, ma se leggete il Vangelo questa preoccupazione non c'è! L'ultima parola di Gesù: "Padre, nelle Tue mani affido la mia vita!" basta al credente per "quell'oltre" che è affidato nelle mani di Dio.
Ma qui, nella nostra vita, nella famiglia, nel posto dove lavoro, in mezzo alla gente, in questo mondo così confuso, cosa significa credere che il Signore è Risorto? E che strumenti ho per credere? Posso forse avere una visione, un prodigio, un segno? Se leggete il Vangelo: nessun segno! Soltanto la memoria!
I due discepoli che vanno verso Emmaus dicono alla fine: "Non ci ardeva, forse, il cuore in petto, quando ascoltavamo le Sue parole?". La Parola, che ritroviamo nel Vangelo, che leggiamo, che ci ripetiamo, che tentiamo di intuire, qualche volta, ci fa ardere qualcosa nel petto. La memoria di Lui, dei Suoi gesti, delle Sue parole!
E poi il Pane che spezziamo. Un semplice Pane spezzato e condiviso che Lui ci ha lasciato: non abbiamo altro! Non abbiamo altro per conservare nel cuore la fede che i valori di Gesù non muoiono; che qui, in questa vita, in questo mondo così complicato, l'amore è più forte dell'odio, la pace è più bella della violenza, la morte non è l'ultima parola.
La passione per la vita, la tenerezza, l'amore per la giustizia, la passione per gli altri, il servizio, la vita condivisa, la gioia, il piacere: tutti questi i valori che Gesù ha vissuto fino in fondo; fino a fare cose che ai suoi appaiono sciocche… fino a moltiplicare il vino, perché ci sia l'ultimo sorriso, quando son tutti mezzo ubriachi a una festa di nozze; fino a condividere, tante volte, il sorriso con i suoi; fino a chinarsi con tenerezza su chi ha il cuore pesante, su chi ha sbagliato; fino a chinarsi a lavare i piedi dei suoi… tutti questi valori noi tentiamo di credere che siano vivi nella vita di ogni giorno, convinti che questo è avere fede nella Risurrezione del Signore!
Sentire che i Suoi valori non sono morti, sentire che quella croce, quella violenza, quel sangue non è l'ultima parola: non è per questo che siamo vivi! Non è per questo che ci è data la vita! La vita ci è data per andare oltre, per cercare al di là di ogni male, con tutta la passione del nostro cuore, la tenerezza, la giustizia, la libertà, il rispetto, il lavarci i piedi vicendevolmente, l'accarezzarci, il donarci gioia e piacere ogni giorno, come possiamo.
Anche davanti a una bara il cristiano dice: "A Dio", nelle Sue mani è affidata la vita di coloro che ci hanno preceduto… e poi tenta di moltiplicare la vita, di fare una carezza, di diventare, ancora di più, testimone di tenerezza, di affetto, di gioia, di piacere, di attenzione, di servizio: ma non è facile!
Il Vangelo è buono con noi! Spesso non sono buoni i predicatori, che mettono pesi sul cuore; quasi mai sono buoni i "santoni", quelli che credono di essere i "profeti", quelli che gridano: "guai a voi"! Il Vangelo invece ci porta l'esempio di gente che fa fatica a riconoscere Gesù: Tommaso che vuole mettere la mano... e poi dove la mette? Non sa nemmeno lui che cosa fare! È gente come noi, con il cuore fragile che tenta di camminare, di credere, di vivere, di amare, di portare pace e giustizia intorno a sé, di fare una carezza, di portare sollievo, un aiuto là, dove si può, perché la vita sia più bella, ma non è facile: per questo siamo qui!
Gesù ci ha promesso il Suo spirito, quasi il Soffio di Dio che ci dia il coraggio di sperare e di credere e di amare ancora, di fronte alle tante notizie che oscurano e affliggono la nostra vita, quasi ogni giorno. Quando apriamo il giornale, quando ascoltiamo la radio, quando guardiamo la televisione, quando ascoltiamo i tanti echi del male che c'è nel mondo, tentiamo ancora di gridare la Risurrezione, la nostra fede qui, in questa vita: l'altra vita è "l'oltre" di Dio; noi siamo responsabili di questa vita perché, in questa vita, possiamo portare "qualche cosa", magari soltanto un sorriso.
Quanto più una notizia è cattiva, tanto più facciamo una carezza; quanto più la notizia è pesante, tanto più cerchiamo di dare piacere e amore a chi ci sta vicino: moltiplichiamo la gioia, moltiplichiamo la passione per la vita, tentiamo di dare speranza ai "piccoli": guai a noi se li scandalizziamo, se mettiamo loro paura! Dice il Vangelo: "Sarebbe meglio che ci mettessimo una macina da mulino al collo..." Speranza, passione per la vita, voglia di camminare: questo è il nostro compito, questo è credere nella Risurrezione! Troppo grande per noi: ma Gesù ci ha promesso lo Spirito.
Il Signore ci aiuti
Dopo aver letto, con una certa attenzione tutte le letture di oggi, capita a me, come a molti cristiani - non sono certo solo in questo - di dire: "Per fortuna che c'è Tommaso!".
Vedete, Tommaso è l'uomo del dubbio, della ricerca, l'uomo che ha bisogno di "metter la mano, di toccare" Non si fida di quelli che hanno visioni; di quelli che parlano con troppa facilità di miracoli: Pietro passa... basta la sua ombra e tutti guariscono… ma quando mai!
I discepoli gli dicono: "Abbiamo visto il Signore!"… ma continuano ad aver paura! Come può Tommaso fidarsi di loro?! Come può fidarsi dì tutti quelli che hanno "visioni", che parlano di "miracoli", che sembrano conoscere molti prodigi!
Nel corso della storia della Chiesa, molte volte, - anche oggi, se guardate la televisione o ascoltate la radio - sembra che la religione sia fatta di questo: visioni, Madonne che appaiono, prodigi, miracoli. Tommaso non si fida di tutto questo! Ha bisogno di un incontro vivo con il Signore: ha bisogno di ascoltare Lui, allora può credere!
Per fortuna che c'è Tommaso, anche perché Tommaso provoca Gesù a dire quella frase così importante anche per noi: "Tu hai creduto, Tommaso, perché hai veduto; beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno".
Da una parte Tommaso ha ragione e spero di tutto cuore che tutti voi siate d'accordo con lui: Tommaso non si fida delle visioni, non si fida dei prodigi: troppo semplice! Tommaso ha bisogno di toccare con mano qualche cosa di concreto, di reale, che riguardi la sua vita.
Ma Tommaso ha bisogno di imparare qualcosa di fondamentale: ha bisogno di andare "oltre", ha bisogno di capire che i valori fondamentali della vita non si "toccano con mano"! Non ci sono prove! Bisogna crederli e, più che crederli, bisogna sperarli, viverli come impegno.
Si possono toccare con mano i valori che Gesù ha testimoniato in mezzo a noi: l'amicizia, la tenerezza, la giustizia, la passione per gli altri, il servizio...? Si può toccare con mano l'amore? Non ci sono prove, non ci sono visioni, non ci sono prodigi... Il vero prodigio è il miracolo dell'amore!
Venerdì scorso mi capitava di parlare con una ragazza che sta per sposarsi, con un po' dì trepidazione - dice - perché intorno lei, tra i suoi amici, molti non ce la fanno e dopo un po' si separano, sembra di non poter credere in un amore che duri. Non può aspettarsi, prima del matrimonio una visione, non può chiedere un miracolo... lei deve fare il miracolo!! Il miracolo della passione, della tenerezza, dell'incontro con l'altro; il miracolo del rispetto, della vita condivisa. Lei deve "credere" con tutta la passione del suo cuore, senza vedere!
Io non glielo posso dire perché non sono il Signore, ma il giorno del matrimonio, penso, che Gesù stia lì per dirle: "Beata te che hai creduto, senza vedere! Hai creduto nell'amore, hai creduto nella vita!"
Per fortuna che c'è Tommaso… e quindi, quando per radio o televisione sentite di qualche Madonna che appare e magari piange, - se volete - sorridete un po'. Mi capitava, nei giorni scorsi, di andare a fare una bella gita in Liguria con una signora di Civitavecchia… sapete, dove c'è la Madonnina che ha pianto lagrime di sangue. Dicevo: "Non ci vengo! Però se per caso dovesse apparire una Madonna che ride, allora chiamatemi"! Abbiamo tanti motivi di piangere, quasi ogni giorno!
Abbiamo bisogno di qualcuno che ci dia il coraggio di ridere, di credere nella vita, nell'amore, nella bellezza, di tenderci l'un l'altro la mano, di aiutarci a camminare insieme, a sperare, a vivere l'amicizia, la tenerezza, l'amore, la giustizia, la passione per gli altri, il servizio… e queste cose non si "toccano". Non c'è visione, non c'è prodigio: c'è soltanto la passione del nostro cuore, la ricerca… per fortuna che c'è Tommaso!
Il Signore ci aiuti.
Voi forse non ve ne siete accorti, ma c'è una stranezza nel Vangelo di Giovanni. Domenica scorsa abbiamo letto il capitolo ventesimo del Vangelo e anche la conclusione: era previsto che il Vangelo avesse solo venti capitoli. Oggi abbiamo letto il ventunesimo: è stato aggiunto un altro capitolo e noi che siamo curiosi - dico noi perché con alcune persone, anche qualcuno di voi, ci ritroviamo più volte alla settimana a leggere il Vangelo - ci poniamo domande: perché si aggiunge una nuova pagina? Perché un libro che ha previsto venti capitoli, diventa un libro di ventuno?
E ci è venuta in mente, in questa settimana, un'altra spiegazione: chissà che non sia quella giusta! Forse il ventunesimo capitolo viene aggiunto perché qualcuno ha saputo... - a quel tempo le notizie correvano molto lentamente - che Pietro è stato ucciso. La tradizione dice che anche lui è stato crocifisso, anzi, crocifisso a testa in giù, a Roma: anche lui vittima della violenza di questo mondo… e allora occorre dare onore a Pietro, occorre farlo "Santo"
Si celebra in questo capitolo - almeno secondo noi - la santificazione di Pietro. Non lo si fa come oggi in Piazza San Pietro, con tutti gli apparati solenni, la musica, schiere di cardinali... No! C'è un gruppo di gente che si raduna e si chiede: "Cosa possiamo dire di Pietro? Come possiamo onorare quest'uomo che è stato testimone di Gesù, in modo che diventi anche il simbolo, il modello della nostra vita?" Sembra che il Vangelo di Giovanni sia opera di un gruppo di persone, piuttosto numeroso, che ha voluto ripensare, rielaborare, approfondire la tradizione della vita di Gesù.
Questa gente prende alcuni racconti che ci sono già nel Vangelo: in fondo si tratta di rielaborare la memoria per rendere onore a Pietro. E da dove cominciare? Eh!... dal pescare! Pietro era un pescatore! E allora sul lago Pietro dice: "Vado a pescare" e gli altri: "Veniamo con te!". Un gruppo di amici, solidali, vanno a pescare… e - come avete ascoltato - lavorano invano!
A quanti di voi è capitato, qualche volta, di avere la sensazione che la vita dell'uomo sia una fatica, nella notte, senza produrre granché! A volte quando ci guardiamo indietro ci domandiamo: che cosa ho combinato, a casa, nel lavoro, a scuola, in famiglia, con i figli…!? Se diamo uno sguardo a questo mondo ci sembra che la vita cristiana sia veramente un cammino nella notte...
Così anche per Pietro! E c'è un problema più grande! Anche per Pietro! Viene Gesù e non Lo riconoscono! Non Lo riconoscono gli altri discepoli, non Lo riconosce nemmeno lui! Solo dopo la pesca straordinaria "il discepolo che Gesù amava" grida: "È il Signore!". E il povero Pietro si ritrova "nudo" davanti al Signore. Nudo! Lui è il "capo", ha avuto il compito di dirigere il primo cammino della Chiesa ed ecco che davanti al Signore si ritrova un pover'uomo. Nudo! Povero Pietro! Ha bisogno di correre a prendere una sopravveste, prima di buttarsi in acqua.
E a terra trova Gesù che ha preparato il Suo fuoco e dice anche a Pietro: "Vieni a mangiare! Porta quello che hai, perché bisogna condividere la vita, ma vieni, c'è un pane per te".
C'è un Pane per noi! Povera gente! Anche noi che abbiamo, a volte, la sensazione di camminare nella notte e faticare invano che, a volte, ci sentiamo "nudi" e impotenti davanti al Signore, che, a volte, ci portiamo nel cuore il ricordo, il un peso di una colpa...
"Pietro, mi vuoi bene?". "Sì, Signore! Tu lo sai che Ti voglio bene!". "Pietro, mi vuoi bene?" "Sì, Signore! Tu lo sai che Ti voglio bene!". "Pietro mi vuoi bene?". E il povero Pietro si sgomenta… forse gli passa nella mente, come in un lampo, quella notte: era notte anche là nel cortile, quando ha detto per tre volte: "Non so chi sia! Non Lo conosco". Ora per tre volte - ed è come una carezza, un abbraccio - Gesù gli dice: "Pasci le mie pecore". E poi l'invito: "Seguimi!": è ciò che Pietro ha fatto fino alla fine.
Ecco, così si facevano i "santi" un tempo, senza miracoli, senza prodigi, senza grandi apparati, senza fare lunghi processi: il ricordo di una vita; una vita in cui si fa fatica a riconoscere il Signore; una vita in cui, a volte, sembra di lavorare invano; una vita in cui ci sembra di trovare la "notte" intorno a noi; una vita in cui, qualche volta, sentiamo di avere sbagliato… ma Gesù è in mezzo a noi e ci chiede: "Mi ami?". E ci invita a mangiare… anche noi, come Pietro.
Così hanno fatto "Santo" Pietro!… Posso?! Così faccio "santi" tutti voi!
Quando ero ragazzo - ma penso sia successo anche a più d'uno di voi, almeno a chi ha i capelli bianchi - l'immagine del pastore e della pecora, che lo seguiva docilmente, era una della più comuni nella predicazione. Si insisteva sul fatto che il cristiano doveva essere come una pecora: mite, docile, umile, fedele; e seguire, nel gregge, la voce del pastore… o forse, dei pastori.
Quando andavo d'estate dai miei nonni nel piccolo paese dove son nati i miei genitori, nella chiesina di campagna c'era nell'abside, una serie di pecore, disegnate molto semplicemente, tutte uguali, in fila verso la fonte che sgorga dalla Croce di Gesù.
Poi son cresciuto ed ho cominciato ad ascoltare i proverbi e le frasi, che tutti conoscete: "Meglio un giorno da leone che cento da pecore", "Non fare il pecorone", "cerca di uscire dal gregge". Mi accorgevo che l'immagine che molti avevano della pecora era di un animale un po' stupido, senza spirito d'iniziativa, che doveva seguiva il padrone, altrimenti non sapeva dove andare. Ma se il cristiano doveva essere così… questo stava un po' stretto ad un ragazzo di quindici, sedici anni.
Ma il problema più grande è venuto quando, diventato prete, mi hanno detto che ero io il "pastore" e dovevo custodire le pecore, che avrebbero ascoltato fedelmente la mia voce e mi avrebbero seguito. Come potete immaginare l'illusione è finita presto! Le pecore a tutto pensavano meno che a seguire la mia voce, anche perché si accorgevano che la voce spesso stonava, diceva sciocchezze e nemmeno tanto piccole. Ho cominciato a capire che, forse, il primo compito del pastore era quello di conoscere le pecore, di cercare di sapere cosa pensano, come vivono, che c'è dentro di loro, quali sono i problemi veri della vita e forse, poi, si può tentare di dire qualche parola che abbia un minimo di senso.
Ma soprattutto ho scoperto il Vangelo in cui è scritto con chiarezza che uno solo è il Pastore: "Non chiamate nessuno "capo" sulla terra, perché uno solo è il vostro Capo: il CRISTO. Non chiamate nessuno maestro sulla terra, perché uno solo è il vostro Maestro". Allora ho capito che anch'io, come ogni cristiano, dovevo mettermi in ascolto dell'unico Maestro e tentare di intuire qualcosa dei valori di Gesù. Ma potevo intuirlo soltanto se smettevo di essere una "pecora" stupida e ubbidiente, che seguiva il gregge. Se trovavo, in Gesù, il coraggio di pensare con la mia testa, di cercare con tutta la passione del mio cuore, per intuire che cosa Lui volesse comunicarmi, nella Sua vita, nelle Sue parole, nei Suoi gesti, nelle Sue straordinarie parabole. Allora pian piano ho scoperto - per fortuna fin da quando ero giovane - che nelle parole di Gesù, nella sua vita c'era veramente una sorgente di acqua viva, in cui potevo scoprire i valori fondamentali della mia esistenza che mi portavano a uscire dal gregge, a pensare con la mia testa, ad avventurarmi nella ricerca delle cose giuste, a non contentarmi del "così fan tutti, questa è la logica di questo mondo".
In Gesù potevo scoprire il senso della libertà: libertà dalle mode correnti, dagli "slogan" facili, libertà anche da me stesso, dalle mie "paturnie", dai miei egoismi; libertà di cercare quello che è giusto. In Lui potevo scoprire la gratuità, l'attenzione verso gli altri, la vita condivisa, il servizio e potevo farlo se smettevo di essere una "pecora stupida", se tentavo di mettere in gioco la passione del mio cuore, per tentare di intuire, di capire… e poi per cercare di mettere in pratica. Non è Facile!
Per questo ci ritroviamo qui ogni domenica. Gesù: è Lui il Pastore! È Lui che continuiamo a cercare, i Suoi valori che tentiamo di rendere vivi nella nostra vita di ogni giorno.
Non è semplice! Ma non ci stanchiamo e non ci stancheremo di continuare a cercare, a camminare; a camminare con la testa alta, come si conviene ad un uomo che ha scoperto la libertà, convinti che nessuno può parlarci in nome di Dio, in nome di Gesù, perché noi abbiamo un solo Maestro: qualche volta non riusciamo a capire che cosa vuole dirci; ma non ci stanchiamo e continuiamo a cercare con coraggio e fedeltà. "Pecore" sì, ma pecore libere! Pecore con la testa alta, capaci di pensare e di cercare senza stancarci.
Il Signore ci aiuti.
Parole tra le più conosciute del Vangelo, quelle che abbiamo ascoltato stamattina. Vorrei dirvi tre cose, che a parole sono di grande semplicità, ma a viverle, almeno secondo la mia esperienza sono, forse, le più complesse della vita.
Il Vangelo di oggi comincia con una frase: "Quando Giuda fu uscito dal Cenacolo..." Giuda è il simbolo, nel Vangelo, del tradimento: cosa c'è di peggio che tradire un amico per un pugno di soldi?! E intorno al Cenacolo si prepara la grande violenza che porterà Gesù sulla Croce. In questo contesto, davanti al tradimento dell'amico, davanti alla violenza che uccide, Gesù ci ripropone il Suo comandamento: amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato.
Ma si tratta veramente di un comandamento? O è l'annuncio di una possibilità, una richiesta dì fede? È possibile credere, in questo mondo, nell'amore? E non pensate soltanto al tempo di Gesù, al Cenacolo, a Giuda; guardatevi intorno oggi! In questo mondo, ancora così carico di violenza, di male, di morte, dove c'è ancora guerra: è possibile credere nell'amore? È quello che Gesù ci chiede!
Ricordate la frase del Vangelo: "se aveste fede come un granellino di senape, potreste dire a quest'albero: spostati da qui e piantati nel mare...". Non si tratta di alberi; si tratta di credere nella possibilità che, in questo mondo, si possa vivere d'amore, si possa credere nell'amore.
Ed ecco la seconda cosa. Gesù dice: "Vi lascio un comandamento...". Ripensate alla vostra esperienza: quanti comandamenti ci hanno insegnato! E non solo comandamenti, ma precetti, regole, regolette, controregole; avevamo paura, quando eravamo bambini, anche a lavarci i denti perché credevamo poi di non poter fare la Comunione; guai a dire una parolaccia.... ci mandavano all'inferno per ogni cosa, l'avevamo spalancato sotto i piedi: tutta una serie di regole, di comandamenti. Uno solo: "Amatevi tra di voi, amatevi come io vi ho amato". Ma è poi un comandamento: si può comandare di amare? È il cuore di ogni legge, il cuore della vita: tutto il resto ha senso soltanto se serve ad amare. Tante regole, spesso, sottoposte al giudizio, tante regole per cui dovevamo confessarci, chiedere perdono, portarci dentro sensi di colpa, a volte, inutili; a volte, pesanti; a volte, dolorosi…. un solo Comandamento!
Sant'Agostino - adesso l'hanno fatto anche Patrono di Ostia - traduce nella frase che tutti conoscete: "Ama e fa quel che vuoi". Chi ama veramente diventa un uomo libero! Un solo Comandamento! Una sola regola, che non è una regola: è una speranza, è una Fede, è una possibilità.
Ma devo dirvi la terza cosa, anche per consolarvi un po'.
Avete mai provato a chiedervi concretamente: cosa significa volerci bene? Avete provato a chiedervelo - che so - nei confronti di un nipotino, di un figlio: gli devo dare un regalo o devo fare la faccia severa? Lo devo rimproverare oppure è meglio lasciar correre? E con i mariti: bisogna tenere il broncio o no? Se non gli tieni il broncio s'approfittano! Conosco gente che dice: "Per tre giorni non parlo, così impara!". E fosse anche questo è voler bene sul serio!
Insomma, se provate a chiedervi cosa significa voler bene, voler bene sul serio, amarsi come fratelli... noi ci abbiamo provato tante volte, quando ci ritroviamo insieme, e molto spesso abbiamo concluso che non capiamo molto.
Per intuire qualcosa, forse, è importante guardarsi negli occhi, vivere il rispetto e l'attenzione verso l'altro; ma qualche volta non è semplice perché t'arrabbi, perché non stai bene, perché avere sempre rispetto e attenzione verso gli altri è abbastanza pesante. E stiamo parlando solo della casa!
Se usciamo di casa e ci guardiamo intorno, nel posto dove lavoriamo, in ufficio: cosa significa, in concreto, voler bene in ufficio? Voler bene alle persone che ci sono, ma anche al lavoro che si fa, farlo con impegno, perché anche quello è amare sul serio! Se non lavoro con impegno, io non voglio bene! Non voglio bene agli altri, non voglio bene alla società - non parlo della società per cui lavoro - parlo della società in genere, non voglio bene ai miei concittadini, faccio sprecare del denaro e far sprecare del denaro significa non voler bene.
E poi il vasto mondo, diventato ormai così grande e confuso... cosa significa voler bene?
Quando vi guardate indietro e vi chiedete: "ma io ho voluto bene sul serio?", molti di voi si spaventano davanti a questa domanda, allora, posso darvi un consiglio - non lo faccio quasi mai, ma stavolta ve lo do volentieri - fate come me e dite: io qualche bicchiere d'acqua l'ho dato e Gesù dice che basta! Voi di bicchieri d'acqua ne avete dati certo più di me e allora quando vi chiedete: "ma sono riuscito ad amare veramente?"… non è la domanda giusta! Qualche bicchiere d'acqua a qualcuno che ne aveva bisogno, magari al più piccolo dei nipoti, l'avete dato! Basta: l'ha detto Lui!
Il Signore ci aiuti.
Abbiamo ascoltato, nel Vangelo di oggi, due promesse di Gesù: lo Spirito Santo: quando verrà Lui ci "insegnerà ogni cosa". E l'altra promessa: "vi lascio la pace, vi do la mia pace".
Quando noi facciamo una promessa, in genere cerchiamo di mantenerla. Se prometto a qualcuno di regalargli - che so - un orologio o un quadro, se poi non lo faccio ci rimane male… per le promesse di Dio le cose sono radicalmente diverse.
Se leggete la Scrittura, fin dall'inizio, fin dalla storia di Adamo ed Eva, vedrete che la promessa di Dio, più che un realtà compiuta, è un "sogno" che Dio affida al nostro cuore, una passione che vuol metterci dentro; una passione da vivere, da rinnovare ogni giorno.
Nel Vangelo di Luca trovate l'invito a pregare ogni giorno, a bussare, insistere, chiedere per ottenere… lo Spirito Santo. Qualcuno di noi potrebbe dire a Gesù: "Ma non hai promesso di donarcelo? Ci avrebbe insegnato tutto! Perché dobbiamo cercarlo ogni giorno?". Così è il dono di Dio! Un sogno nel cuore, una passione da rinnovare ogni giorno!
Avete visto, qualche volta, alla televisione o letto sul giornale, di quei grandi radiotelescopi: adesso ce ne sono parecchi in varie parti del mondo, addirittura chiunque ha un computer è invitato a mettersi in collegamento con gli altri, per cercare di captare un segno, una sequenza intelligente, che venga da un'altra parte dell'Universo; così saremmo sicuri che da qualche parte c'è qualcuno come noi, capace di mandare messaggi intelligenti.
A volte immagino che la vita cristiana sia così: un grande radiotelescopio nel nostro cuore per tentare di captare i segni dello Spirito, la Sua presenza intorno a noi.
Secondo San Paolo - lo potete leggere nella lettera ai Galati - i frutti dello Spirito sono: l'amore, la pace, la bontà, la tenerezza, l'accoglienza verso gli altri, il rispetto, la libertà.
Il credente, allora, è uno che ha aperto le sue antenne per cercare di captare, dappertutto, ogni segno di giustizia, di bene, di accoglienza, di servizio… e là vede un segno di Dio! Non è a buon mercato! Bisogna cercare con tutta la passione del nostro cuore, bisogna intuire dove lo Spirito soffia... e il Vangelo ci assicura che non soffia soltanto tra i credenti; tra quelli a cui, il giorno della Cresima, il Vescovo gli ha imposto le mani... a volte t'accorgi che lo Spirito ce l'ha qualcuno che credente non è, che appartiene ad un altro mondo, che crede in altre divinità: eppure si porta dentro il senso della pace, della libertà, la passione per il bene e la giustizia: là un credente vede un segno di Dio… ma non lo riconosce chi crede di sapere tutto!
E oggi ne avete avuto un esempio.... Avete ascoltato la prima lettura? I primi cristiani hanno un grande problema: in giro per il mondo, Paolo e Barnaba, hanno trovato tanta gente che vuole aderire a Cristo, che vuole credere; ma c'è qualcuno che dice: "Non si può! Dovete fare come Gesù! Farvi circoncidere e osservare tutta la Legge di Mosè". E discutono animatamente e invocano lo Spirito… che sia la libertà la cosa più importante?! Forse è giusto che ognuno segua il proprio cuore; forse ciò che è essenziale non è il rito, la tradizione, quello che s'è sempre fatto, anche quello che ha fatto Gesù; ma che un uomo scopra i valori essenziali di Gesù e della vita.
E allora - avete ascoltato - scrivono una lettera solenne: "Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi… che siete liberi, non vi imponiamo altro obbligo eccetto che... eccetto tre cose: "non dovete mangiare la carne sacrificata agli idoli, non dovete mangiare il sangue e gli animali soffocati e non dovete abbandonarvi ai disordini sessuali dei Greci".
Tre regole, tre sciocchezze! Nessuno di voi si preoccupa più degli animali sacrificati agli idoli o se mangia un po' di sangue o un animale soffocato; molti di voi hanno rispetto per coloro che hanno costumi sessuali diversi dai nostri. Lo Spirito Santo ha forse detto sciocchezze?! Ma non è lo Spirito Santo, era l'illusione dei primi cristiani di possedere tutta la verità! C'è qui la radice dell'integralismo, che tante volte ha afflitto anche la vita della Chiesa!
Vedete, questi primi cristiani, dopo avere discusso e forse anche litigato, hanno invocato lo Spirito che ha dato loro il soffio della libertà: siete liberi! E poi... e poi credevano che c'erano delle cose troppo importanti, di cui non si potesse fare a meno: quelle cose erano sciocchezze! Son passati i tempi, nessuno di noi ci pensa più...
E oggi cosa succede?! Cos'è veramente importante? Quali sono le regolette, le tradizioni che impediscono al popolo cristiano di andare avanti? Che cos'è essenziale? Ricordate quello che diceva l'apostolo Paolo: "Il frutto dello Spirito è la pace, l'amore, la libertà, la tenerezza, il rispetto degli altri, il servizio". Il resto è marginale: cambia coi tempi! Quello che è veramente importante è che l'uomo, ogni uomo specialmente il piccolo, il debole, l'indifeso, sia sempre il centro di tutto!
E l'altra promessa: la pace?! Potremmo pregare stamattina: "Gesù ci hai promesso la pace, ed ecco la guerra; ci hai promesso la tranquillità, ed ecco le bombe; ci hai promesso la serenità del cuore, ed ecco l'ansia"… credete che abbia inventato una preghiera, stamattina? La trovate scritta nel libro del profeta Geremia: così pregavano quasi duemilacinquecento anni fa! Ancora la stessa preghiera; perché lo Spirito, come la pace, non sono un dono come un orologio, un quadro, una collana: è un sogno, è una passione che il Signore vuole metterci nel cuore e che non dobbiamo stancarci di cercare ogni giorno: cercare lo Spirito, i Suoi doni, i valori essenziali della vita; cercare la pace senza stancarci! È il "sogno" che Dio vuole metterci dentro… e non è a buon mercato!
Il Signore ci aiuti.
Lo avrete notato tutti: abbiamo ascoltato due volte, nella prima lettura, presa dagli Atti degli Apostoli, e nel Vangelo, lo stesso racconto: l'Ascensione di Gesù.
È, per i primi cristiani, un racconto che fa da cerniera tra due tempi: quello in cui hanno vissuto la presenza di Gesù, sono stati con Lui, hanno condiviso con Lui le parole, il ritrovarsi insieme intorno alla tavola; tanti momenti della vita… e il tempo in cui Gesù non c'è più. Il tempo in cui loro sono invitati ad essere "testimoni" di Gesù e della Sua vita.
Immaginate quante volte, in giro per il mondo, anche loro, si saranno sentiti riproporre quello che è il sogno di molti cristiani - è stato il mio, ma, credo, anche quello di molti di voi - il sogno di poter vedere Gesù. Avranno detto loro tante volte: "Voi siete stati fortunati, siete stati con Lui, avete mangiato con Lui, avete parlato con Lui, avete passato tante sere con Lui: noi non possiamo vedere qualche cosa? A voi è apparso dopo la Resurrezione; perché non appare anche a noi? Perché non possiamo vedere un segno, un prodigio?" e i discepoli avranno risposto, tante volte, con pazienza: "Le cose essenziali le avete anche voi: la Sua parola, i segni che ci ha lasciato, il Pane che spezziamo, il soffio dello Spirito dall'alto".
Ma, probabilmente, i bravi cristiani di un tempo insistevano: "Sì è vero! Abbiamo tutto questo; però un segno, un'apparizione, un prodigio... Perché non possiamo vedere anche noi? Perché anche noi non possiamo incontrare Gesù e stare un po' con Lui?".
Tante volte avranno ascoltato questa domanda e, probabilmente, alla fine si sono seccati e hanno forzato la storia, raccontando la vita di Gesù: nel Vangelo trovate scritto che quelli che lo hanno visto più da vicino, quelli che sono cresciuti insieme con Lui, gli abitanti di Nazareth, addirittura quelli della Sua famiglia, non l'hanno riconosciuto. La Fede è un'altra cosa!
Arrivano a dire - almeno nel Vangelo di Marco - che, a un certo punto, i parenti di Gesù, partono da Nazareth, vanno fino sul lago, perché pensano che sia diventato matto. E poi la gente, i farisei, i sacerdoti… ogni tanto c'è qualcuno che chiede un segno. Fino alla fine, fin sotto la croce: "Se sei Dio, scendi e allora crederemo". La Fede è un'altra cosa!
La Fede è portarsi nel cuore i valori di Gesù. Noi abbiamo la Sua parola che ci trasmette i Suoi valori. È importante prendere posizione, scegliere. Credere significa fidarsi di Gesù, della Sua parola, dei Suoi valori, al di là dei segni, dei prodigi. Noi abbiamo il Segno che ci ha lasciato: il Pane che spezziamo. Noi possiamo invocare - e lo faremo domenica prossima - lo Spirito, il Soffio di Dio: questo basta al credente! Non servono miracoli, non servono prodigi: quello che è importante, invece, è la "testimonianza". Occorrono "testimoni", testimoni credibili che ti facciano, in qualche modo, toccar con mano i valori di Gesù.
E quando rivado indietro e penso ai miei testimoni, mi prende un po' di commozione - qualcuno, poco fa, diceva che è rimbecillimento senile - è normale rimbecillirsi quando si diventa vecchi! È normale commuoversi, è normale riandare con nostalgia alla propria vita… ma io di "testimoni" ne ho incontrati veramente tanti! A cominciare da mio papà, da mia mamma, dai miei nonni, dai miei zii, e poi… non finirei l'elenco, ce ne sono tanti anche in mezzo a voi; testimoni per me dei valori di Gesù, testimoni della Sua libertà, della Sua tenerezza, della Sua passione per la vita, testimoni di Dio; testimoni di Dio al di là dei tanti racconti di prodigi, di miracoli, di apparizioni: ne ho ascoltati tanti nella mia vita!
Quello che ha veramente contato per la mia Fede, sono stati i "testimoni", la gente che intorno a me ha testimoniato i valori di Gesù.
Qualche volta mi chiedo: ma io sono stato un testimone di Gesù? Lo sapete, noi cristiani siamo stati educati male: quando ci facciamo questa domanda ci vengono subito i sensi di colpa… e allora date retta a me! Riandate con nostalgia, con tenerezza, con gratitudine a quelli che sono stati i testimoni per voi: testimoni di Gesù, della Sua vita, del Suo amore, del Suo servizio, della Sua tenerezza e quando vi viene in mente la domanda: ma io lo sono stato? Cacciatela come una tentazione! Lasciate giudicare a Dio quello che noi siamo stati e il giudizio di Dio - ce l'ha insegnato, specialmente il Vangelo di Luca - è sempre un giudizio di grande tenerezza, è sempre disposto a buttarci le braccia al collo: questo è avere Fede! Tentare di essere testimoni e ricordare con riconoscenza i testimoni; perché loro hanno reso credibile Gesù, i Suoi valori, la Sua parola, il Pane che spezziamo, lo Spirito: non abbiamo bisogno d'altro per poter credere! Ma non è sempre semplice.
Il Signore ci aiuti.
Gli uomini quando parlano di Dio non possono che usare parole umane. Sembra la cosa più scontata di questo mondo; eppure per molti credenti non è così! Le parole umane, è evidente, sono piccole, imperfette; non riescono mai ad esprimere "l'Altro, l'Oltre, l'Assoluto" in cui abita Dio. E sono parole che, tra l'altro, nel corso dei secoli, cambiano di significato, invecchiano, non servono più. Ve ne sarete accorti, ancora una volta, ascoltando stamattina quelle della prima Lettura e del Salmo e ve ne accorgerete ancora di più nel Credo che tra poco reciteremo: sono parole antiche che appartengono a un mondo che aveva preoccupazioni, modi di parlare diversi dai nostri.
Vedete: ho detto "preoccupazioni" diverse dalle nostre; perché spesso quando l'uomo parla di Dio, non soltanto usa parole piccole e imperfette, ma in qualche modo, parla di se stesso, dei propri bisogni, dei propri limiti.
Come ben sapete, in tutte le vicende umane c'è sempre una doppia faccia della medaglia. Nella ricerca di Dio, spesso, l'uomo ha ricercato il proprio potere, la soddisfazione dei propri bisogni, l'affermazione di sé, della propria religione, della propria nazione, nei confronti degli altri.
E insieme - è l'altra faccia della medaglia - ha messo la passione per la verità, per la giustizia, il tentare di ricercare in Dio "l'oltre" di sé, della propria storia, del momento in cui vive. Direte: "Che c'entra tutto questo con la festa di oggi?".
Oggi, lo sapete, celebriamo la festa della Santissima Trinità; ed è proprio nel leggere la storia di questa festa che il discorso che vi facevo prima, diventa evidente.
Vedete: nel quarto, quinto, sesto secolo dopo Cristo, molti studiosi, molta gente di buona volontà si è appassionata nella disputa trinitaria - come succedeva allora e, purtroppo, anche oggi - a volte litigando, a volte, addirittura usando le armi. Qualcuno diceva che le parole che recitiamo nel Credo, grondano sangue: c'è in questo una parte di verità,
Ma c'è anche una ricerca appassionata del termine "persona". Chi ha i capelli bianchi e ha studiato il Catechismo... - adesso queste parole non s'usano più - sa che in Dio ci sono "Tre persone, uguali e distinte".
Vi ricordate?... quando eravamo bambini ci si intrecciava il cervello a cercar di capire queste cose, a mettere d'accordo uno e tre: ci dicevano: "Zitto! È un mistero". E nessuno ci spiegava che dietro la ricerca di questo mistero c'era una appassionata ricerca di cosa è "persona". Tenete presente: in quel tempo, nel bacino del Mediterraneo i due terzi degli uomini erano schiavi: lo schiavo è una persona?... Che cos'è una persona? Siamo tutti uomini! Ma chi è "persona, uguale e distinta?".
Ricerche appassionate per capire che ogni uomo è una persona con i suoi diritti inalienabili. Ci sono voluti mille anni per abolire la schiavitù! Ce ne vorranno ancora molti - speriamo non altrettanti - perché uomini e donne abbiano gli stessi diritti nella Chiesa. Ma tutto è cominciato da lì; da una ricerca appassionata sul termine "persona… e una sola sostanza..." Voi non usate più queste parole: sono le parole tecniche della filosofia di Aristotele: "una sola sostanza, una sola natura, ma persone uguali e distinte". A molti di noi sembrano parole astruse, ma per qualcuno qui c'è il fondamento stesso della nostra civiltà occidentale.
Gli esperti tra voi sanno che per la tradizione greca "persona" era la maschera da usare in teatro: cosa c'è dietro la maschera? Un individuo! Con i suoi diritti, con la sua realtà profonda, che ha esigenze di essere rispettato e accolto. Se nell'unico Dio ci sono "tre Persone" anche ogni uomo è una persona!
E oggi?... chiederà qualcuno: oggi queste cose appartengono al passato. Oggi, forse, - lo dicono molti studiosi, non lo dico io che non conto niente - sarebbe bene ritornare indietro, quando gli uomini - almeno quelli della nostra tradizione religiosa - parlavano di Dio e si mettevano subito la mano sulla bocca: "Non parlare di Dio! Dio è più grande! Dio è "oltre"! Non nominare il nome di Dio invano".
Quando eravamo piccoli ci dicevano che se dicevamo: "Dio mio!" rischiavamo di andare all'inferno e poi i "bravi" preti nominavano, ogni giorno, senza accorgersene, invano il nome di Dio. Sapevano anche... - i giovani non lo ricordano, ma i vecchietti sì - quanto, secondo Dio, dovevano essere lunghe le maniche e quanto corte le gonne... Tutto era in "nome di Dio!". Dio sapeva tutto! Anche la lunghezza delle gonne... E questo, secondo loro, non era nominare il nome di Dio invano.
Ma oggi le cose si fanno più terribili: oggi sentiamo che in tante parti del mondo, in nome di Dio, si convince un giovane a mettersi una cintura di tritolo e farsi esplodere in mezzo alla gente: "Dio lo vuole!".
Chi di voi conosce un po' la storia, sa che questa frase non è moderna; è antica e non l'hanno detta soltanto i pagani: "Deus vult": è risuonata per secoli in Europa: "Dio" vuole le Crociate, "Dio" vuole la distruzione dei barbari, "Dio" vuole che si brucino gli eretici… Come puoi parlare di Dio senza metterti la mano sulla bocca! Dio abita "oltre", Dio abita nel mistero: non può essere usato mai il Suo nome contro l'uomo!
Ecco che - se ho capito qualcosa - oggi siamo ricondotti al silenzio su Dio; a cercare di guardare con occhi stupefatti il "mistero" in cui abita Dio, "l'oltre", la Sua Luce inaccessibile di cui nessuno può impossessarsi, che nessuno può usare, soprattutto, contro un altro uomo!
Ma come gli uomini antichi, quando parlavano di "persona" parlavano di se stessi; anche noi dobbiamo ricordarci che quando parliamo del mistero di Dio, è bene che parliamo anche di noi stessi: perché ci stiamo dimenticando del mistero che c'è in ogni uomo: l'altro, per me, - e questo è la bellezza della vita - è sempre un mistero! Non posso possederlo, non posso sapere tutto di lui e soprattutto non posso generalizzare. Oggi si tende a dire: "gli arabi.... i neri.... i comunisti.... i nazisti.... quelli di destra, di sinistra... i giovani... i vecchi… ogni uomo è un mistero!
E queste cose, a volte, succedono dentro casa: a volte giudichiamo per schemi anche un figlio, anche i nipoti. Una frase che ho sentito anche stamattina: "Oggi molti si sposano, ma poi divorziano". Oggi ogni persona è un mistero! Ogni persona deve essere conosciuta per quello che è, ogni persona si porta dentro un riflesso di Dio, ogni persona si porta dentro un mistero di Luce, qualche cosa che è "oltre", qualche cosa che io non posso del tutto capire, qualche cosa che debbo guardare con occhi sgranati e stupefatti, così come guardo con occhi sgranati e stupefatti la natura e Dio: "l'oltre", la Luce inaccessibile in cui abita.
Vedete che ho usato tante volte la parola "mistero" e chiedo scusa a chi questa parola la usa soltanto per parlare di cose oscure, di cose che non si capiscono, come insegnavano a me quando ero bambino. Ho avuto la fortuna - quando studiavo per diventar prete e anche dopo - di scoprire la bellezza di questa parola: "mistero" non è qualche cosa che io non capisco: "mistero" è la Luce, la luce che è più grande di me, della mia possibilità di capire, la luce che c'è nell'altro, la luce che c'è nella natura, la luce che c'è in un bambino che cresce, la luce che c'è anche in un vecchio che va spegnendo pian piano i suoi giorni. La luce che ogni uomo si porta dentro, la luce che sono i suoi ricordi, le sue passioni, i suoi pensieri, le sue idee: tutto quello che lui ha dentro e poi… il mistero che è "nell'oltre" di Dio.
E allora - se posso darvi un consiglio - ogni volta che ci viene la tentazione di parlare di Dio: mettiamoci la mano sulla bocca e continuiamo a cercare, a guardare con occhi stupefatti come fanno i bambini: Dio è sempre "oltre", Dio abita in una Luce inaccessibile.
Noi possiamo solo continuare a cercare, intuire i Suoi sogni, intuire i Suoi valori senza mai... mai usare il Santissimo nome di Dio contro qualcuno: per i nostri bisogni, per affermare il nostro potere. Non sono cose tanto lontane da noi: a volte succedono anche dentro casa!
L'ho fatta troppo lunga, perdonatemi!
Succede in tutte le religioni, sarebbe strano che non succedesse anche nella nostra. Vedete, nella religione l'uomo esprime intuizioni profonde su Dio: intuizioni che nascono non soltanto - come spesso accade - dal bisogno, dall'esigenza dell'uomo di essere protetto, custodito, ma anche dallo stupore, dal senso "dell'oltre", dall'esigenza di andare al di là del proprio egoismo, oltre i propri limiti, per cercare ciò che è giusto, importante, quello che è vero.
Questa ricerca "dell'oltre", dell'Assoluto, del bene, si trova in tutte le religioni e soprattutto in quella di cui noi siamo eredi: Israele ha donato al mondo riflessioni profonde sul monoteismo etico: non si può essere fedeli a Dio, senza vivere e praticare la giustizia, la liberazione per sé e per gli altri
Ma sono cose, forse, troppo grandi per noi e l'uomo cerca - un po' in tutte le religioni - di difendersi. E il modo di difendersi è quello di ridurre la religione a rito, a regola, a obbligo, a festa, a celebrazione, a esteriorità: spesso tutto quello che conta è l'osservanza delle regole, è la grande celebrazione fatta in spazi sacri, a volte, grandiosi, in cui si compiono cerimoniali complessi, dove c'è una casta sacerdotale numerosa.
Ma non è soltanto questo: qualche volta l'uomo usa la religione per i propri scopi, per affermare il proprio potere.
Voi, forse non ve ne siete accorti, ma nella prima lettura abbiamo trovato parole che dovrebbero suscitare in noi un senso di fastidio, quasi di ripulsa. Ve le leggo, così ve ne accorgerete. Melchisedek benedice il popolo di Israele e il Signore: "Benedetto sia il Dio Altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici". Chissà cosa pensano quei nemici di questo Dio Altissimo? E Abramo, il padre della Fede, che cosa fa? Dà la "decima" di tutto al sacerdote!… Tutti contenti! Abramo ha nelle mani i nemici, "o prevete" ha preso la decima. E Dio?... Dio: - direbbero a Roma - va a farsi benedire! Non c'entra più, è stato escluso dalla vita concreta dell'uomo, non contano più le Sue esigenze di un'umanità in cui non ci sia più il nemico: ci sia la pace, la liberazione, la condivisione.
Ma non parliamo soltanto di cose antiche. Che cosa abbiamo fatto noi dell'intuizione fondamentale che Gesù ha voluto collocare nel cuore della nostra Fede e della nostra vita?
Guardate! Qui tutto è rito, tutto è sacrale: sono sacri i miei vestiti, sono "paramenti sacri" Stiamo in luogo consacrato, non c'è più una tavola qualunque: è un altare.
Se volete sorridere: quando ero giovane prete, ogni tanto ci chiamavano per sciacquare "le palle". Sapete cosa sono le "palle"? È una parola latina, che significa coperchio. È quel piccolo pezzo di stoffa che copre il calice. Ma quello le suore non potevano toccarlo: loro si occupavano della lavanderia del Collegio dove io studiavo, ci voleva però qualche prete che desse una sciacquata e poi lo potevano lavare, perché anche "quella" è una cosa "sacra"!
Così come era sacra la "lingua". Quelli di noi che hanno i capelli bianchi ricordano che quando si andava a Messa, il Vangelo si leggeva in latino e nessuno capiva nulla! Tutto era rito e non solo: era accompagnato da tutta una serie di obblighi, di regole, da una necessità di purificazione e molti si sentivano esclusi!
Dov'era finita?.... forse dovrei usare il presente: dov'è finita l'intuizione profonda di Gesù? Lo avete ascoltato nel Vangelo di oggi: c'è della gente che ha fame; ci si guarda intorno: "c'è qualcuno che ha un po' di pane?" "soltanto cinque pani e due pesci" "metteteli insieme"… e il pane si moltiplica!
L'intuizione della vita che si condivide, della vita che si partecipa… e nell'ultima Cena, Gesù dona Se Stesso: "Questo è il Mio Corpo, la Mia vita donata per voi".
Noi siamo qui per nutrirci di Lui: non solo un rito; siamo qui per cercare Gesù, per vivere la Sua memoria, per cercare i Suoi valori, i Suoi sogni di giustizia, di amore, di vita condivisa, di servizio, di amore verso gli altri.
Nel cuore della nostra Fede ci sono profonde esigenze di amore, di liberazione, di vita: noi ce ne difendiamo ricoprendo tutto con il rito, con le celebrazioni, con gli obblighi, con i divieti.
A volte addirittura la Messa diventa esercizio del potere: qualcuno "in nome di Dio" può escludere da questa Tavola chi non segue certe regole, chi non è "a posto": era questo il senso che Gesù voleva dare all'Eucarestia? Non voleva mettere nel cuore della nostra Fede un "pasto" di fratelli che tentano di condividere la vita? Che tentano di camminare insieme, per costruire la pace, che tentano di nutrirsi di Lui, dei Suoi valori, della Sua vita, del Suo amore; cercando di andare anche oltre il proprio limite, il proprio peccato.
Ma vedete: sono cose troppo grandi per noi! Io celebro Messa da più di quarant'anni e se mi domando: "ho realizzato i sogni di Gesù? Devo dire di no! Li ho cercati, li ho inseguiti, non mi stanco di inseguirli; ma sono "oltre" da me e non potrebbe non essere così! Sono i sogni di Dio che Lui vuole mettere nella nostra vita, nel nostro cuore! Questa è la Messa: inseguire i sogni di Dio. sentire le Sue esigenze etiche, le sue esigenze d'amore.
E se poi non ci riusciamo, ci ritroviamo qui, domenica dopo domenica; perché questo non è "pasto per giusti", per gente che si sente buona, per gente che è arrivata: questo è "pasto di peccatori", è pasto di povera gente: gente, però, che non si rassegna, che continua a cercare, a sognare, a tentare di nutrirsi di Gesù, a tentare di condividere la vita e poi usciamo di qua e... la vita la condividiamo? No! Dobbiamo guardarci negli occhi, con sincerità. Forse riusciamo a condividerla un po' in casa… e con gli altri? Con gli altri, qualche volta riusciamo a fare una carezza, a dare un bicchiere d'acqua, a porgere un sorriso, a dare una mano… anche questo, forse, è condividere la vita.
Se non possiamo ottenere il "cento" dei sogni di Dio, ci accontentiamo dell'uno, del due, del tre, del dieci, dei nostri piccoli gesti quotidiani di amore, di tenerezza, di servizio; come la donna del Vangelo anche noi mettiamo nel tesoro della vita i nostri spiccioli… anche questo è celebrare l'Eucarestia che, se ho capito, non si celebra qui: questo è soltanto il segno: si celebra fuori, nella vita di ogni giorno, nei rapporti con gli altri, quando si tenta di nutrirci di Gesù e dei Suoi valori, quando si tenta di condividere la vita.
Non è semplice. Il signore ci aiuti.
Quando eravamo ragazzi - è passato parecchio tempo - un amico, che ha avuto una grande importanza nel cammino della mia Fede, ci diceva che noi cristiani rischiamo di essere vaccinati contro il cristianesimo: lo prendiamo, fin da quando siamo bambini, a piccole dosi e non ci ammaliamo mai, non prendiamo mai una passione per Cristo, per i Suoi valori: voleva dire che è fondamentale nel credere - soprattutto quando un ragazzo cresce - scegliere, prendere posizione nei confronti di Gesù.
Quando ero bimbo, ho imparato a memoria - allora ero un bravo bambino, poi mi sono guastato col crescere - tutte le rispostine del Catechismo, ma non mi sono mai trovato davanti... – almeno finché non ho cominciato a conoscere quest'amico - all'importanza di prendere posizione. Nessuno mi aveva messo di fronte all'esigenza di "scegliere" Gesù, di fare in modo che l'essere cristiano non fosse una cosa scontata, conseguenza dell'essere nato in un paese e in una famiglia cattolica. È esattamente quello che accade nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato.
Provate a immaginare la scena: in un momento, forse difficile; quando la gente comincia ad andar via, quando si prospetta un insuccesso della predicazione di Gesù, quando la gente si fa strane idee su chi sia Gesù... avete ascoltato?: "Chi sono Io secondo la gente?" e le varie risposte e Gesù... provate a immaginare... guardando negli occhi i Suoi discepoli chiede: "Per voi, chi sono Io?". Provate a riflettere su questa domanda! Vi sembra che si possa rispondere con la rispostina del Catechismo che avevano insegnato a me? e non solo a me: "Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo".
Provate a immaginare il senso di questa domanda! Un ragazzo domanda alla sua ragazza: "Chi sono io per te?". Se si sentisse rispondere - avevo imparato anche questo al Catechismo -: "Tu sei un essere ragionevole, composto di anima e di corpo". Probabilmente direbbe: "Questa è uscita pazza: fammi scappare!"
Quando un ragazzo chiede ad una ragazza: "Chi sono io per te?". Vuol sentirsi rispondere: "Io ti amo! voglio condividere con te la vita, camminare insieme, voglio costruire insieme il futuro, voglio condividere il progetto di una vita".
È la stessa cosa che Gesù chiede ai Suoi discepoli: "Chi sono Io per voi?". E Pietro risponde.... risponde con una formula, ma non badate alle parole, il senso è: "Io voglio venire con Te, voglio seguirti, io mi gioco la vita sulla Tua parola".
C'è un episodio simile - forse lo ricordate - nel Vangelo di Giovanni; anche lì un momento difficile: la gente se ne va, Gesù si rivolge ai Suoi discepoli: "Forse anche voi volete andarvene?". E Pietro, il portavoce, risponde: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna: noi veniamo con Te!".
Scelta di vita, ma non scelta semplice, che si compie in un momento: scelta che si rinnova ogni giorno, scelta di condivisione, di cammino fatto insieme, di sogni condivisi. Ma in questo cammino ci sono anche momenti di incomprensione, in cui capita di litigare, momenti in cui non si capisce più cosa vuole l'altro. È successo, penso, anche a molti di noi, nel nostro cammino di credenti. A volte non capiamo più cosa il Signore vuole da noi; cosa significa camminare con Lui nel concreto della nostra vita, nella nostra esperienza di ogni giorno: continuiamo a camminare, a cercare; qualche volta litighiamo, qualche volta ci sentiamo abbandonati, qualche volta non capiamo... non capiamo tutto quello che significhi seguire il Signore, giocarci la vita per Lui, nel concreto di ogni giorno. Non lo capiamo come singoli, non lo capiamo come collettività, come Chiesa.
Se può consolarvi: nella seconda lettura di oggi abbiamo ascoltato, forse, le parole più straordinarie che Paolo - uno che ha seguito appassionatamente Gesù - ha detto: "Non c'è né giudeo, né greco, né schiavo, né libero, né uomo, né donna: siamo tutti una cosa sola".
Credete che Paolo abbia capito le conseguenze di tutto ciò? Lui ha scritto queste parole! Forse sentiva il fuoco che Gesù gli aveva messo nel cuore; ma quando si trova di fronte uno schiavo, gli dice: "Torna a fare lo schiavo!". Quando si trova di fronte a una donna, dice: "Zitta! In chiesa le donne non parlino! Mettetevi un velo sul capo, se no gli angeli si scandalizzano!". Povero Paolo! Anche lui, a volte, non capiva!
Come non capiamo noi! Come, qualche volta, non capiscono i capi, le strutture della Chiesa: sembrano sempre in ritardo! È normale per noi uomini! L'importante è continuare a dire: "Signore, Tu hai parole di vita, io voglio venire con Te!".
È quello che continua a dire il ragazzo alla ragazza nel corso della vita, ogni giorno; dopo un litigio, ci si riconcilia e si cammina ancora.
E chi ha la fortuna di continuare a cercare nello stupore, a guardarsi negli occhi, a scegliersi giorno dopo giorno, può arrivare - lo auguro a tutte le coppie che sono qui - alla fine, quando i capelli diventano bianchi e le ginocchia non reggono più, con occhi ancora innamorati, che ancora si cercano, ancora con la domanda: "Chi sono io per te?" e ancora la risposta: "Tu per me sei l'amore, tu per me sei la vita, voglio vivere con te, voglio camminare con te: io ti voglio bene!".
Quello che vale per la coppia, vale per l'essere cristiano e dunque, cerchiamo di non lasciarci vaccinare da un cristianesimo preso a piccole dosi: bisogna scegliere, bisogna, in qualche modo, innamorarsi di Gesù, bisogna continuare a cercarLo nel giorni della nostra vita, anche se non è semplice.
Il Signore ci aiuti.
Avete capito qualcosa di questa pagina? Forse poco, vero? Non vi preoccupate, è una cosa normale! Il Vangelo non è una lettura facile. A volte lo distribuiscono alla gente pensando che si possa prendere in mano e leggerlo senza un minimo di preparazione. Noi abbiamo, di fronte a una pagina del Vangelo - e oggi, forse, ce ne accorgiamo più che altre volte - tre grandi problemi.
Il primo è il tentare di intuire che cosa volevano dire persone che hanno scritto queste parole quasi duemila anni fa; il loro modo di parlare era profondamente diverso dal nostro. La loro cultura non è una cultura scritta - pochi sapevano leggere - è una cultura orale. La loro cultura non è discorsiva, ma è fatta di immagini e, proprio perché bisogna ricordarle, sono immagini forti che colpiscono la fantasia, la mente della gente.
Noi parliamo in modo completamente diverso… ed ecco il secondo problema: come possiamo tradurre antiche parole nel nostro linguaggio? Nelle parole che noi usiamo, che leggiamo sui giornali, ascoltiamo alla radio, alla televisione, nel linguaggio del nostro colloquiare quotidiano?
E poi c'è un terzo problema: è quello di rendere concrete queste parole nella vita di ciascuno di noi. Cosa significano queste parole per un ragazzo, per un giovane, per uno che lavora, per un pensionato, per un adulto, per uno che ha ormai i capelli bianchi e le ginocchia che non reggono più? A questa terza domanda io non posso rispondervi! È la domanda con la quale ciascuno di noi deve confrontarsi, nel concreto della propria esperienza.
Vediamo se mi riesce di darvi un aiuto per rispondere alle prime due domande: cosa voleva dire questa gente? Si può intuire qualcosa? E come si può tradurre in un linguaggio moderno?
Forse qualcuno di voi ricorda che Domenica scorsa abbiamo letto la pagina del Vangelo in cui Gesù si rivolge ai Suoi discepoli chiedendo: "Chi sono Io per voi?". È l'invito a seguirLo, a camminare con Lui. Pietro risponde a nome di tutti, esprimendo l'impegno a seguire il Signore… oggi continuiamo il discorso: siamo in viaggio, c'è gente che vuole seguire Gesù.
Attraverso tre immagini strane, forti - sono immagini orientali, di gente che ha bisogno di immagini che colpiscano, che rimangano facilmente nella mente - il Vangelo cerca di rispondere a tre domande. Ecco la prima: perché seguire Gesù? Cosa me ne viene?
Avete ascoltato? Uno dice a Gesù: "Ti seguirò dovunque!". Gesù gli risponde: "Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli il nido, ma Io non ho nemmeno dove posare il capo". È l'invito alla gratuità! È mettere il discepolo di fronte ad una prospettiva concreta: non aspettarti né ricchezze, né onori, né gloria; ma non aspettarti nemmeno altro: seguire Gesù è possibile solo nella gratuità!
Allora potreste domandarvi: perché veniamo in Chiesa? Come ci hanno educato alla religione? Quando ascoltiamo un invito ad essere credenti: - e oggi capita spesso, anche attraverso manifesti - cosa ci promettono? A volte ci promettono la protezione di Dio, il benessere, la custodia del Signore, la protezione dalle malattie e dai guai.
A volte, salendo un gradino - ma non so se è proprio salire - ci promettono la pace interiore, la serenità, la tranquillità, il poter affrontare con coraggio i problemi della vita.
A volte, salendo un po' più su, ci promettono di possedere la verità, di sapere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Vi siete accorti - penso di sì, perché l'esperienza della vita è per tutti uguale – che, a volte, chi segue Gesù non sta in buona salute; che, talvolta, la pace interiore se ne va; che, spesso, la verità non la possediamo, non capiamo che cosa è giusto e cos'è sbagliato e, a volte, c'è una gran confusione nella testa.
E se qualcuno vi dice che se non avete pace nel cuore, se non possedete la verità, non siete Cristiani… fate un bel sorriso! Nessuno ha il diritto di dirci: "Non sei cristiano perché non hai pace dentro, perché non sai superare con serenità le prove della vita". Alle volte la vita è complicata, alle volte la pace se ne va e questo non significa affatto non essere cristiani! Seguire Gesù è un fatto di gratuità! Questo tenta di indicarci la prima immagine del Vangelo di oggi!
E poi abbiamo la seconda domanda: cosa vado a fare dietro a Gesù? E un'immagine ancora più strana e complessa. Gesù si rivolge a uno e gli dice: "Seguimi". "Signore concedimi di andare prima a seppellire mio padre". "Lascia che i morti seppelliscano i morti, tu vieni con Me!". Che significa? Pensateci un momento! L'ultima cosa che può fare un morto è seppellire un altro morto! Qui si tratta di qualche cosa d'altro! Cosa vado a dare dietro a Gesù? Vado a scegliere la vita! È un linguaggio che i primi cristiani amavano: lascia il mondo della morte, per vivere una vita nuova. Lascia tutto quello che è violenza, sopraffazione, umiliazione dell'uomo e scegli la vita, con coraggio.
Cosa può significare oggi? Come possiamo tradurlo? Il mondo è cambiato molto dal tempo di Gesù; ma ancora oggi quanti segni di morte! Quanta violenza nel mondo! E non pensate soltanto alla violenza delle bombe, degli attentati; pensate anche alla violenza delle malattie: in Africa milioni di morti per AIDS; anche questa è violenza, anche questa è morte!
Ma veniamo anche più vicino a noi, nella nostra vita quotidiana: quante cose, a volte, sciupano la vita! Le piccole violenze quotidiane, anche in casa, qualche volta! E la paura, la paura che impedisce - specialmente agli anziani, ma a volte anche ai bambini - di affrontare la vita, di scegliere la vita: ci sono anziani che hanno paura ad uscire di casa, ci sono ragazzi che guardano il mondo con occhi impauriti; rischiano di chiudersi in se stessi o, nel rumore delle discoteche: senza scegliere e amare la vita… Lascia il mondo della morte, scegli la vita! Difendi la vita con coraggio!
E c'è una terza domanda: "Quando, Signore, possiamo venire con Te?". C'è uno che dice: "Vengo, ma lascia che vada a salutare i miei". "Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro è adatto del Regno di Dio". Subito! non c'è tempo da perdere, è cosa di ogni momento, di ogni giorno, la sequela di Gesù!
Allora, avete visto, con tre immagini forti, lontane da noi - nessuno parlerebbe più così - i primi cristiani tentano di rispondere a queste tre domande: Perché?… Gratuitamente! Non aspettarti né benessere, né la pace, né di possedere la verità: segui Gesù, cerca col Lui "l'oltre", cammina senza stancarti alla ricerca di ciò che è giusto, di quello che è importante; alla ricerca dei valori essenziali della vita! Come?… Scegliendo la vita, lasciando tutto ciò che è morte! Quando?… Sempre! In ogni momento!
Tre risposte, con parole che noi non useremmo mai… ma loro parlano così, con immagini forti: conservatele nel cuore, perché qui c'è qualcosa di importante.
Ma prima di queste tre risposte Luca mette un segnale, un cartello indicatore; uno di quei grossi triangoli con un segnale di "pericolo" ed è bene che tutti lo guardiamo con attenzione.
Si va a Gerusalemme, c'è un villaggio di Samaritani: non vogliono ricevere Gesù e due discepoli dicono: "Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi!". Gesù si volta… potete immaginare il Suo sorriso... forse sapeva quello che sarebbe successo… perché i cristiani, qualche volta, non si contentano di invocare il fuoco dal cielo - forse sanno che il Padreterno non ama "abbrustolire" la gente - e allora accendono loro il fuoco: hanno bruciato eretici, streghe e quant'altro. L'intolleranza! L'integralismo! È il grosso segnale di pericolo che il Vangelo di Luca mette sul cammino di chi desidera andare dietro Gesù.
Seguire Gesù gratuitamente, con tutta la passione del cuore, alla ricerca della vita, seguirLo ogni giorno, seguirLo con coraggio: è l'avventura del cristiano. Un'avventura di gente fragile, semplice, ma che non si stanca di cercare… ma attenzione: non diventiamo mai intolleranti! Verso nessuno! Non è semplice, ma questo è il cammino che il Vangelo di oggi ci propone.
Il Signore ci aiuti.
È lungo il Vangelo di oggi e non solo lungo, anche complesso. Ci troviamo - già domenica scorsa ci succedeva così - di fronte ad immagini orientali, molto difficili da tradurre nel nostro linguaggio, nel nostro parlare comune. Oggi, soltanto per commentarne alcune, ci vorrebbe parecchio tempo e abbiamo caldo e fretta.
Vorrei, allora, attirare l'attenzione su una cosa importante, una curiosità, di questa pagina. Debbo questa scoperta, e molte altre, ad un amico caro - era più giovane di me e purtroppo se ne è già andato - un grande studioso della Scrittura: la conosceva veramente bene! Si chiamava Angelo e lui mi faceva notare la curiosità di questa pagina.
Avete notato che Gesù invia altri settantadue discepoli: è un altro invio... se leggete qualche pagina prima, vedrete che Gesù invia i dodici e adesso Luca - lo fa solo lui - parla di altri settantadue - settantadue è sei volte dodici - ripetendo quasi le stesse parole.
La prima comunità cristiana comincia a rendersi conto, non senza qualche difficoltà, che il compito di essere testimoni di Gesù, di continuare la Sua opera, non è riservato soltanto ad alcuni: è un compito che riguarda - dovrebbe essere scontato - tutti i cristiani e allora parla di altri settantadue mandati in missione: ci potremmo essere anche noi in questi settantadue! Ogni volta che veniamo qui c'è l'invito del Signore ad essere testimoni di Lui.
E avete notato? I testimoni del Signore sono persone semplici, gente di tutti i giorni: debbono andare in giro senza borsa né bisaccia: non è gente di potere. Avrete notato - è stato ripetuto due volte, oggi - che è gente che, quando si ferma in una casa, mangia e beve! Quando ero giovane, mi dicevano che un bravo cristiano fa grandi digiuni, poi quando ho scoperto il Vangelo ho guardato con invidia... (l'invidia è un peccato, lo sapete eh!) quelli - ce ne sono anche qui, tra noi - che trovano gran gusto nel mangiare! Ed io non ho mai provato un gran piacere nel cibo! Quando ero giovane mi parlavano del "peccato di gola" e poi, a un certo punto, ho visto la "gola" come un dono del Signore... il piacere di gustare il cibo, anche per questo c'è veramente da ringraziare il Signore! Oggi i medici dicono che non bisogna esagerare ed è giusto che i medici facciano il loro mestiere.
È dunque gente di tutti i giorni; gente che mangia, beve, non fa sacrifici, non compie grandi opere: ma sono testimoni di pace, sanno chinarsi sui malati con tenerezza; sanno anche "scuotere la polvere dai piedi", tentare cioè di non aver niente a che spartire con l'ingiustizia di questo mondo.
È gente che quando torna, perché ha fatto qualcosa, si sente invitata a non rallegrarsi per il successo, ma perché il nome è "scritto presso Dio". È ancora l'invito alla gratuità, ad essere testimoni, gratuitamente, di Dio, di Gesù, della Sua tenerezza, del Suo chinarsi ad asciugare una lacrima, del Suo amore per la bellezza della vita, del mangiare, del bere, del costruire la pace, del camminare insieme… e di queste persone, ce ne sono tante! Tante! Anche in mezzo a noi.
Nella mia vita ne ho conosciute tantissime, persone di tutti i giorni: non leggerete mai - per fortuna - il loro nome sui giornali, perché è gente normale, che vive, come può, la pace, ogni giorno, in casa, in ufficio, con la gente. Qualche volta si arrabbiano - è chiaro - perché siamo tutti povera gente; ma poi sanno cercare la riconciliazione e riprendere la strada della pace: persone capaci di chinarsi con tenerezza, capaci di star vicino a una persona malata, persone che ti offrono l'amicizia gratuitamente, senza interesse!
Oggi, forse, possiamo anche allargare il discorso, non soltanto settantadue, non soltanto noi cristiani... Perché non dire - che so? - settecento milioni? Perché ci sono anche gli "altri"! Anche gli "altri" sono testimoni dei valori di Gesù! Guardatevi intorno! Quelli che tirano le bombe, quelli che fanno attentati: quelli fanno rumore! Ma la gente semplice non fa rumore!
Mi capita, qualche volta, di incontrare pregiudizi… c'è gente che, se parla di mussulmani, dice di stare attenti, perché sono un pericolo... Ma quello che vende la frutta a un euro… quello che ti pulisce la macchina, perché altrimenti non trovi chi lo fa: quello mussulmano è! È gente che cerca di guadagnare onestamente qualcosa! Le donne... - io ne ho conosciute più d'una - che vengono dall'oriente o dal sud e accudiscono i nostri vecchi, spesso con tenerezza e affetto; a volte hanno lasciato i figli, i mariti e lavorano qui... - un tempo si diceva come negri, oggi si dovrebbe dire come mussulmani - per mandare un po' di soldi a casa, per far studiare i figli e lavorano seriamente, con dolcezza, con tenerezza e, a volte, sono testimoni di pace: questi non fanno rumore, ma ci sono! Guardiamoci intorno! Non guardiamo solo i giornali, non leggete libri pericolosi - ce ne sono alcuni in giro - il Signore ci ha dato gli occhi per guardare, per stringere la mano a "quelli".
Sei mussulmano? M'hanno detto che sei un pericolo… ma no! Sei una brava persona, forse sei meglio di me, lavori! Fai lavori che noi non facciamo più… pulisci - posso dirlo?- il "sedere" della mamma, come noi non sappiamo più fare! E dovrei inginocchiarmi a baciarti i piedi. E di persone così, in questo nostro mondo che è fatto di pregiudizi, ce ne sono tante... Allora settantadue.... Marco scrive nel suo Vangelo: "Gesù mandò dodici..." Luca aggiunge: "altri settantadue..." Altri settecentoventi milioni.... Bastano?!… Facciamo altri "sei miliardi"?! Forse sono un po' troppi, perché c'è anche gente poco perbene nel mondo: ma è quella che fa rumore!
La gente semplice, la gente di tutti i giorni, quella che ama "mangiare e bere", quella che cerca il piacere e il divertimento; ma che sa anche offrire amicizia, sa anche chinarsi con tenerezza, sa essere onesta, sa condividere la vita, sa cercare la pace: di questa gente ce n'è e molta!
E noi dobbiamo ringraziare il Signore e tentare di essere come "loro"… e voi in gran parte lo siete, altrimenti non sareste qui e poi, molti di voi li conosco e invidio non soltanto il vostro gusto per il cibo, ma anche la vostra bontà.
Il Signore vi benedica e ci aiuti tutti.
La pagina del Vangelo che abbiamo ascoltato, è certamente, una delle più conosciute e, almeno apparentemente, una delle più semplici, con la conclusione di Gesù: "Va', e anche tu fa lo stesso".
Ma, se cominciate a farvi delle domande vi trovate davanti a uno dei problemi più gravi e importanti della morale del nostro tempo; sia per il singolo, sia per l'intera comunità umana: si tratta di cercare quei principi fondamentali, che possano indicare regole morali comuni per gli uomini, chiamati ormai a vivere in un "villaggio globale". E uno dei principi che sembrano più semplici è: "Ama il prossimo tuo come te stesso". Frasi simili si trovano in tutte le religioni, in tutte le culture del mondo e il problema, dunque, sembra risolto!
Ma avete ascoltato il Vangelo? Il maestro della Legge domanda: "E chi è il mio prossimo?" Forse i miei parenti, i miei figli, i miei nipoti, gli amici, quelli della mia religione, quelli del mio popolo, quelli della mia razza...? E i nemici...? Anche quelli sono il mio prossimo? Chi debbo considerare prossimo? E le divisioni cominciano subito a crearsi tra gli uomini.
La risposta di Gesù sembra provocatoria e, ancora, semplice: "Il tuo prossimo è anche il nemico!". Il Samaritano era a quel tempo - nella cultura dei primi cristiani - proprio l'immagine del nemico, di chi appartiene ad un'altra religione. Ricorderete - l'abbiamo letto qualche domenica fa - che quando Gesù va a Gerusalemme, i Samaritani non vogliono riceverLo... quindi, il Samaritano è il nemico! E' l"altro", il "diverso". Anche lui è il mio prossimo! Mio prossimo...
Forse non vi siete accorti che Gesù ha compiuto, invece, un'operazione complicata: ha ribaltato il centro di gravità! Non pone più la domanda: chi è il mio prossimo? ma chi è stato prossimo per lui, per quell'uomo ferito sulla strada?
Vedete, c'è uno spostamento del centro di gravità: non più io: il mio prossimo, ma lui: il suo prossimo! Chi gli ha dato una mano! E anche qui il problema sembra risolto!
Sposta il centro di gravità, metti al centro l'altro e hai fatto un passo avanti! Un passo avanti forse sì! Ma provate a farvi qualche altra domanda... Chi di voi se incontra un ferito sulla strada corre a cercare olio e vino? Occorre cercare un ospedale e la medicina adatta! Ci sono voluti duemila anni di studi seri, si son dovuti superare pregiudizi, anche di studiosi che sembravano sapienti e soprattutto di uomini religiosi, per arrivare a capire che l'olio e il vino (ottimi per condire l'insalata e per darvi un po' d'allegria in una cena) non servono granché a curare le ferite.
Ma gli studi seri e le grandi menti degli scienziati non sono ancora riusciti a risolvere un altro problema: perché trovare soltanto rimedi per curare le ferite? non si potrebbe trovare un rimedio perché non ci siano più briganti? Allora il problema si risolverebbe veramente!
Ma come si può fare in modo che non ci siano più briganti?… Questo… - qualcuno di voi potrebbe dire - è compito di scienziati, di gente con un gran cervello e il nostro è appena normale… E allora poniamoci problemi più semplici e quotidiani. Se sono riuscito a spostare il centro di gravità mi domando: cosa giova all'altro? Cosa è utile veramente all'altra persona? Anche qui non è tanto semplice! Perché l'altro, spesso, è diverso da me.
Voi conoscete il principio: "Fai agli altri quello che vorresti che gli altri facessero a te". Anche questo è comune a molte culture! Ma siete proprio sicuri che gli altri vorrebbero quello che vorreste voi? Gli altri, spesso, sono diversi: vogliono altre cose… e si tratta di capire cosa vuole un figlio che cresce, un nipote, un adolescente.... Cosa veramente è utile per lui? Cosa gli fa bene? Un po' di severità, un po' di dolcezza… la risposta non è semplice!
I cristiani hanno in genere, di fronte a questi problemi, una scorciatoia: l'importante è fare le cose con amore, voler bene, quello che conta è la tua intenzione, lo slancio e la rettitudine del tuo cuore e allora troverai la strada. Sembra un bel discorso, vero?
Provate a farvi questa domanda: immaginate di avere - ipotesi speriamo molto remota - un malanno e di cercare un medico e ne avete davanti due: uno molto buono, generoso; di quelli che quando li chiami corrono subito, che però, preso dalla sua grande bontà, sono vent'anni che non studia più: quindi un medico che usa ancora l'olio e il vino per curare le ferite, però è molto buono, generosissimo. E immaginate che ci sia un altro dottore al quale del malato importa poco: lui pensa solo a far soldi e, per poter far tanti soldi, è diventato bravo: ha studiato molto e adesso è il più competente nel campo. Da chi andate? Da quello buono o da quello che sa tutto? Se non siete sciocchi andate da quello che sa tutto!
La scorciatoia della retta intenzione, del buon cuore, della bontà, dell'amore, del "volemose bene", per i risolvere i problemi, è una di quelle terribili scorciatoie del mondo cattolico che sembrano molto buone, ma che sono una condanna dell'intelligenza, della ricerca, dell'attenzione e del rispetto verso l'altro: questo è il punto che Gesù vuole mettere in evidenza qui! Cosa giova a lui? Cosa è importante per lui?
E potremmo aggiungere anche un'altra domanda: (se non vi bastano quelle che dette fino adesso) ma se lui ha bisogno di tutto questo: io che posso fare? dove, quando mi devo fermare? Altrimenti rischio, per correre dietro a lui, di diventare malato anch'io! Perché qualche volta devo fermarmi, devo arrendermi e dire: "non posso fare più niente!".
Vedete, da questa parabola, che sembra così semplice, se cominciate a farvi domande, dove andate a finire! E non mi domandate: "Don Checco, ma stamattina dove vuole andare a parare?!". Non voglio - come al solito - andare a parare da nessuna parte, voglio soltanto aiutarvi a porre qualche domanda… e quando vi accorgete che è difficile risolvere problemi morali, non vi sgomentate: non è difficile solo per voi, è difficile per l'umanità! Ma la vita non ammette scorciatoie, la vita richiede passione, ricerca, attenzione e soprattutto un grande rispetto per l'altro.
L'altro è diverso da me; non tutto quello che a me fa bene, non tutto quello che a me piace, non tutto quello che a me giova, giova anche all'altro, piace anche all'altro, aiuta l'altro a vivere, a crescere: ci vuole una grande attenzione e un grande rispetto... per fortuna la vita, a volte, è molto più semplice di come ve l'ho fatta io stamattina!
A volte basta - come succede a me qualche volta - sedersi e, con pazienza e attenzione, ascoltare qualcuno che vuole soltanto dirvi qualcosa, magari vi chiede un consiglio, voi il consiglio non glielo sapete dare, ma almeno lo avete ascoltato: un bicchiere d'acqua glielo avete dato e, a volte, la vita si fa più lieve, anche solo con un bicchiere d'acqua.
Io vi faccio domande difficili ma, a volte e per fortuna, la vita è più semplice.
Il Signore ci aiuti.
Ho letto il Vangelo centinaia di volte insieme alla gente e non c'è stata volta in cui fosse presente un donna di casa, che non dicesse. "Va bene sedersi ad ascoltare, ai piedi di Gesù, ma se non c'è Marta, non si mangia". Cosa giustissima! E c'è stato qualcuno che ha aggiunto: "Speriamo che Gesù e Maria abbiano detto a Marta: "Aspetta un momento! Ti diamo una mano a far le faccende e poi tutti e tre ci sediamo e parliamo".
Qui ci sono due difficoltà: la prima la conoscete: è quasi impossibile dire a una donna di casa: "Fermati, siedi con noi e parliamo un po'". Continuano sempre a darsi da fare…
L'altra difficoltà può essere ancora più seria: al tempo di Gesù - adesso le cose sono un po' cambiate - i ruoli erano ben definiti e quindi Gesù... - un uomo di Nazareth - in cucina non stava proprio bene! Anche Gesù non era in grado di superare la cultura del tempo - questo vi aiuti a capire un po' che cos'è il Vangelo - ogni uomo non può che vivere nella propria cultura!
Qualcuno di voi avrà ascoltato o letto di interminabili discussioni su questa pagina a proposito del primato, nella Chiesa, della vita "attiva" o della vita "contemplativa".
Son tutte cose che con questa pagina del Vangelo non c'entrano affatto! Discussioni e chiacchiere di uomini! Invece qui c'è qualche cosa di fondamentale! Vediamo se mi riesce di farvelo intuire!
Vi ricordate? Domenica scorsa... - non bisogna dimenticarlo - abbiamo letto la parabola del "Buon Samaritano", un Samaritano che è preso dai "molti servizi". Passano di lì il sacerdote, che va al Tempio, ad ascoltare e parlare con Dio, ma non si ferma. Passa il levita - potrebbe essere uno di voi, gente di chiesa - anche lui non si ferma. Ed ha perfettamente ragione il Samaritano… Qui sembra tutto il contrario! Sembra avere torto chi si dà da fare, e sembra avere ragione chi si siede, e ascolta! Cosa c'è di importante qui?
Vediamo se mi riesce di farvelo intuire con una parabola, ma vi ricordo che è solo una parabola! Non vuole essere insegnamento per nessuno! Le parabole hanno bisogno di una lunga mediazione per calarle nella vita, altrimenti si complica tutto.
Quando ero giovane e cercavo di imparare le cose essenziali della vita, mi capitò di parlare con uno psicologo, il quale mi raccontava: "Ogni tanto vengono da me dei signori - spesso si tratta di commercianti - che hanno dei problemi con un figlio che cresce, i quali mi dicono: io faccio tutto per questo figlio, faccio tutto per la famiglia, lavoro dalla mattina alla sera e, qualche volta, anche di notte! Mio figlio m'ha chiesto la bicicletta, e gliel'ho data; il motorino, e gliel'ho dato: cosa devo fare di più?!".
E lo psicologo mi diceva: "Io tento di dire: guarda, forse, tuo figlio più che delle cose che fai per lui, più che di tutto il tuo lavoro, avrebbe bisogno di te, che tu, qualche volta, ti fermassi ad ascoltarlo, a condividere la sua vita, a tentare di capire cosa ha dentro, quali sono i suoi problemi, le sue difficoltà per crescere". E continuava. "Quel signore riprendeva: ma io lavoro dalla mattina alla sera, mi do da fare solo per la famiglia, non vado mai in vacanza, mai al cinema, non spendo un soldo per me: tutto quello che faccio, lo faccio per loro e adesso che posso fare di più?". E lo psicologo insiste: "Ma non ti sei accorto che, forse tuo figlio ha bisogno che tu stia con lui; magari gli dai meno, ma gli dai un po' di te stesso, della tua attenzione, spendi un po' di tempo ad ascoltarlo, a parlare con lui". E concludeva questo psicologo: "Qualche volta mi devo arrendere, perché non riescono proprio a capire!"
E quello che mi raccontava questo psicologo l'ho visto succedere varie volte, poi nella vita. Ma vi ripeto... che siano parabole, perché l'esperienza mi dice che quando un povero prete come me cerca di spiegare qualche cosa: c'è sempre qualcuno che si fa venire sensi di colpa. I sensi di colpa non servono a niente! Per capire la vita bisogna entrarci dentro e ciascuno di noi è diverso: io parlo in generale, se provate un senso di colpa dopo quello che ho detto, pensate pure: "Il prete è scemo, non ha capito niente!".
Tentate di andare al di là, di intuire qualche cosa e poi, se volete tradurlo nella vostra vita è fatica lunga; ci vogliono anni, non si fa in un momento: in un momento vengono solo i sensi di colpa.
Allora, dicevo... mi è capitato di vedere, qualche volta, che quando nasce un bambino - non diciamo poi se ne vengono due - la mamma è presa da molti, inevitabili servizi e qualche volta si dimentica dell'importanza di fermarsi, di sedersi, di guardarsi, ancora, negli occhi con il marito, di condividere la vita, di essere attenta all'altro… Così capita, a volte, tra amici.
Ecco! Il Vangelo di oggi ci dice che se è importante il "fare per", ci vuole anche "l'essere con", il condividere, la capacità di ascoltare, di sedersi, di guardarsi negli occhi, di condividere quel che si fa per l'altro.
Ma, forse, il Vangelo di oggi ci dice qualche cosa di più! Dice che è importante per il credente fermarsi ad ascoltare Dio, ad ascoltare Gesù e la Sua Parola, per cercare in Dio e nella Parola di Gesù "quell'oltre" che ci permette di trovare le cose essenziali, "quell'oltre" che ci permette di superare il nostro egoismo, il nostro modo di vedere, le mode correnti... gli slogan dei giornali che leggiamo, quello che sentiamo dire, le nostre opinioni…
Il cristiano ha bisogno di mettersi in ascolto di Dio, di Gesù e della Sua Parola per cercare sempre "l'oltre" nel suo cammino, "l'oltre" nel suo fare il bene, nel suo darsi da fare per gli altri: altrimenti si rischia di smarrire l'essenziale della vita e fare, fare, fare… senza rendersi conto se quello che si fa serve alla libertà, alla giustizia, alla tenerezza, al rispetto...
Abbiamo letto due pagine del Vangelo complementari: non si tratta di scegliere tra il Samaritano e Maria, sono indispensabili, entrambi… Ma essere un buon Samaritano, per me, cosa vuol dire? E essere come Maria che significa per me? La risposta non è a buon mercato: è ricerca di una vita.
Tentiamo di farlo... io ormai ho i capelli bianchi, non ho capito molto, forse quasi niente: bisogna continuare a cercare... Cercare quello che significa darsi da fare per gli altri, ma anche essere capaci di vivere "con" gli altri, essere in ascolto degli altri ed anche, cosa forse più complessa, essere in ascolto di Dio, della Sua Parola, senza farsela a nostra immagine e somiglianza, secondo i nostri comodi.
Tutto questo, come sapete, è tutt'altro che a buon mercato.
Il Signore ci aiuti.
Quello che abbiamo appena letto è, a mio avviso, uno dei più straordinari capolavori del Vangelo di Luca. In questa comunità, probabilmente, si è fatta una lunga riflessione sulla preghiera cristiana e qui, si arriva al culmine di questa riflessione.
Alcune di queste parole ci sono familiari - credo che la mia esperienza sia simile alla vostra - le abbiamo sentite ripetere fin da quando eravamo bambini: "Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto".
Ci hanno detto tante volte di bussare, di chiedere, di insistere e, molti di noi, hanno avuto la sfortuna... - quando non hanno ottenuto quello che chiedevano con insistenza - di incontrare qualcuno che dicesse: "Perché non hai saputo chiedere o non hai insistito abbastanza!". E nessuno ci ha avvisati che questo era il più profondo "tradimento" di questa pagina del Vangelo! Perché se la preghiera è così, allora, si tradisce il Vangelo, non solo quello di Luca: il Vangelo!
E allora, vediamo se mi riesce di farvi intuire qual è la riflessione verso la quale Luca vuole portarci, o meglio, l'intuizione che tenta di comunicarci.
Tralascio il "Padrenostro": è troppo complicato, ci vorrebbero giorni. Andiamo alla seconda parte del Vangelo.
Avete bisogno... - siccome Luca usa immagini lontane da noi - di tutta la vostra fantasia. Provateci! Provate ad immaginare la grande stanza di un tempo: era una stanza lunga, una specie di grotta e immaginate questa stanza piena di pagliericci e tutti insieme a dormire là: uomini, donne e bambini, qualche volta anche animali.
È notte: arriva un amico e ha bisogno di un pane, perché aspetta qualcuno e non ha un pane da spezzare, non può farne a meno: l'ospitalità un tempo era sacra, e allora, fuori della porta bussa e insiste e quello da dentro dice: "Ma qui sono tutti a dormire con me e per aprire la porta devo far alzare tutti, tirare su i pagliericci: non si può proprio fare!". Ma quello fuori continua a bussare e a insistere finché... finché bisogna alzarsi; ormai sono tutti svegli: non c'è che da rassegnarsi, non si può più dormire! Bisogna aprire la porta, dare a quest'importuno che continua a bussare quello che chiede!
È un'immagine di Dio, o forse, una "caricatura" di Dio? Io penso che per Luca, per la sua comunità, per chi è abituato, come loro, a leggere le Antiche Scritture, questa sia una "caricatura" di Dio! Perché fin dal tempo di Elia, si sa, che Dio è un'altra "cosa". Non è come per i pagani: un Dio che può essere addormentato, che bisogna svegliare a forza di gridare, a forza di insistere, a forza di bussare… Dio è "ALTRO!".
Ma Luca sembra insistere su questa strada: "Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto". E continua...: "Quale padre tra voi, se un figlio gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone al vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo SPIRITO SANTO a coloro che glielo chiedono!".
Lo spirito Santo? E che è?! E chi l'ha mai chiesto? E che ne facciamo noi? Noi abbiamo chiesto e insistito e bussato perché il Signore ci desse buona salute; perché ci guarisse un figlio; perché ce lo facesse crescere sano; perché non avesse cattive compagnie; che guarisse un malato; che facesse cessare i dolori; che ci desse la pace… ma lo Spirito Santo... Chi è lo Spirito Santo? E cosa significa chiedere lo Spirito Santo? Noi abbiamo bisogno di tante cose: noi bussiamo... - ce l'hanno detto tante volte - chiedi, bussa, insisti perché Dio alla fine possa ascoltarti e quando un tempo - ma anche oggi, in gran parte - non sapevamo rivolgerci a Dio, ci rivolgevamo a qualche "intermediario" che ci dicevano "potente". Un tempo era Sant'Antonio di Padova, Santa Rita... oggi sembra che San Padre Pio abbia soppiantato tutti.
Se volete sorridere un po' andate a Regina Pacis: là ci sono vari altari con le candeline davanti: l'altare della Madonna, San Vincenzo Pallotti che è il loro protettore. Una volta sono andato e per divertirmi... - in chiesa bisogna sorridere, altrimenti "nun se campa" - ho contato le candele davanti a San Padre Pio e davanti a San Vincenzo Pallotti: Padre Pio batteva Vincenzo Pallotti per trentatre a zero! "Nun cè partita!"
Ci raccomandavamo ai Santi e forse non ci accorgevamo che, secondo il Vangelo, questo è un po' la preghiera pagana: il moltiplicare le preghiere, il bussare, l'insistere.....
Ma Luca ci spiazza! L'oggetto della preghiera è lo Spirito! È il cuore di Dio, è lo Spirito di Dio che dobbiamo cercare: sono i sogni di Dio, i valori di Dio nella nostra vita: allora è preghiera! È tutta un'altra cosa! Non è Dio che dorme e dobbiamo svegliare: siamo noi che dormiamo, siamo noi che ancora non abbiamo compreso i valori essenziali della vita, che non sappiamo come rispondere a qualche situazione, a volte difficile, in cui ci troviamo; cosa significa portare nel concreto dei nostri rapporti, della nostra vita, lo Spirito di Dio, i sogni di Dio… e per questo: bussiamo, insistiamo e cerchiamo o, almeno dovremmo farlo, se la nostra preghiera è una preghiera cristiana.
Ma attenzione! Io - ma probabilmente anche voi - continuiamo a rivolgerci al Signore perché ci guarisca quando siamo ammalati, ci scampi dai pericoli… siamo povera gente! E non vergogniamoci di questa preghiera, perché siamo fatti così! Perché, a volte, ci sentiamo deboli e, a volte, abbiamo bisogno di aggrapparci - come diceva qualcuno - a una maniglia: non toglieteci questa maniglia! lo non voglio togliere niente a nessuno, anch'io prego così, ma so che è preghiera di povera gente! So che la preghiera cristiana - almeno come ce lo dice il Vangelo - è cercare in Dio "l'oltre". Il guarire le malattie, il chinarsi ad asciugare una lacrima, il far crescere bene le persone che ci stanno intorno, è compito nostro; qualche volta più grande delle nostre forze.
In Dio noi cerchiamo il Suo Spirito, il Suo cuore, i Suoi sogni, i Suoi valori: ma noi siamo povera gente e se ci fa male lo stomaco, abbiamo bisogno di chiedere che guarisca lo stomaco: "prima mangiare e poi filosofare" dicevano gli antichi. Potremmo dire: "prima mangiare e poi pregare". Siamo fatti così!
Il Vangelo è la ricerca "dell'oltre", è la ricerca di Dio; una ricerca, forse, più grande del nostro cuore. Per questo non dovremmo stancarci di cercare, di bussare, di insistere; non per risolvere i nostri problemi, ma per cercare Dio, il Suo Spirito, i "sogni" del Suo cuore.
Il Signore ci aiuti.
Abbiamo ascoltato stamattina parole strane, forse, potremmo dire, parole assurde. Sembra di avere ascoltato l'invito di Gesù ad odiare il padre, la madre, i figli, i fratelli, la propria stessa vita; poi l'invito di Gesù a lasciare tutto, altrimenti non si può essere Suoi discepoli.
Che senso hanno queste parole? Come si possono spiegare? Vedete, mi sono convinto che Luca non vuole che si spieghino! Ha reso più dure, probabilmente, parole della tradizione - potrete convincervene anche voi se andate a leggere i passi simili nel Vangelo di Matteo - sembrano parole volutamente forti, dure, incomprensibili. Probabilmente... - si può trovare una conferma anche in altre pagine del Vangelo - perché la comunità di Luca è stanca di ascoltare qualcuno che pensa di essere l'interprete autentico delle parole di Gesù. Non bisogna interpretarle! Ciascun credente le legge, le rigira nel suo cuore… ma un povero prete che deve fare la predica, se non può commentare, che fa? Io credo che gli rimanga una sola strada: raccontare storie.
Storie che, forse, c'entrano e, forse, non c'entrano ed è un invito per voi a raccontare le vostre storie! Probabilmente altre, che abbiano a che fare qualche cosa con questa pagina del Vangelo e, forse, ci aiutano a intuire qualche cosa di quello che c'è dietro queste strane, assurde parole.
E dunque! Uno dei ricordi più antichi della mia vita risale a quando avevo sei o sette anni, al tempo della guerra. Nel nostro palazzo c'erano dei rifugiati: ebrei, gente che scappava e mio papà, che era il portiere del palazzo, la sera scendeva a mettere dietro il portone una grande sbarra di legno e io lo accompagnavo; non potevo aiutarlo, ma guardavo con interesse la grande trave che s'infilava nel muro. Una sera son venuti a bussare quelli delle S.S., ordinando di aprire e lui non ha aperto! Ha messo così a rischio la propria vita, la nostra vita! Allora certamente non mi potevo rendere conto, poi ho capito.
La settimana scorsa mi trovavo a passare in Versilia: là, una mia sorella ha una casa e sono andato a visitare S. Anna di Stazzema. Voi, forse, avete sentito parlare di questo luogo: uno degli eccidi più efferrati dell'ultima guerra. Sono andato a visitare i ricordi: si compiva quest'anno il quarantesimo anniversario di quella terribile storia. Poi, un paio di giorni dopo, ci è capitato di parlare con un anziano muratore, bravissimo nel suo mestiere, che era a fare dei lavori a casa di mia sorella. Gli abbiamo chiesto: "Lei ricorda qualche cosa di quell'episodio terribile?". "Certo, io c'ero". E ha cominciato a raccontare... ma quello che mi ha colpito è che ha detto pochissime parole su quell'evento tragico ed ha cominciato a raccontare le storie della sua vita - a quel tempo lui aveva quattordici, quindici anni - la fatica di vivere, la difficoltà di trovare cibo, ma soprattutto ci ha raccontato tanti episodi di gente che era stata nascosta: ebrei che scappavano, l'aviatore caduto con il suo paracadute perché l'aereo era stato colpito, uomini ricercati per i lavori forzati... Tutti i sotterfugi per tenere nascoste queste persone, a volte per mesi. E raccontava non come se fossero storie eccezionali, di gente eroica, ma come cosa comune, che facevano quasi tutti, mettendo a rischio la propria vita, la vita dei propri figli, dei propri parenti… e molti la vita l'hanno persa in quegli eventi tragici.
Che sia questo "odiare" la moglie e i figli? … Che sia questo quello che vuole Gesù?!
Mio papà, quelle persone, non erano affatto degli eroi: era della gente normale che preferiva scegliere la "vita" a qualunque costo! La vita di un giovane che con gli occhi impauriti scappava dalla violenza e dalla morte!
Qualche anno fà… - è un'altra storia - parlavo con una ragazza, ormai cresciuta, gli dicevo: "Perché non te ne vai di casa? Che stai a fare ancora nella casa dei tuoi genitori?". "A don Che' chi me lo fa fare: mamma cucina, lava, stira, fa tutto! Qualche fine settimana… le vacanze, perché mi devo andare a cacciare nei guai? Sto tanto bene a casa mia!".
Più recentemente... - è la versione più moderna - un giovanotto di belle speranze diceva ai suoi genitori: "Non vi pare di essere cresciuti abbastanza per andarvene di casa?". Scherzava! I genitori non lo fanno, perché se lo facessero, non saprebbe come sbarcare il lunario, non potrebbe arrivare alla fine del mese.
Non è che a forza di parlare, di difendere la famiglia, ne abbiamo fatto il comodo, caldo rifugio dalle paure di questo mondo? Non è che abbiamo educato i figli - proprio per avergli dato ogni sicurezza - alla paura del mondo? Non è che la famiglia è la cuccia calda, il rifugio di ogni ansia, di ogni preoccupazione, di ogni paura e che impedisce di essere liberi fino in fondo? Non abbiamo forse educato dei figli incapaci di affrontare e progettare il futuro?
C'entra anche questo con il Vangelo di oggi? È questo "odiare il padre, la madre..."?
Quando ero bambino veniva nella nostra parrocchia qualche frate che parlava dei soldi, chiamando il denaro "lo sterco del diavolo", che corrompe la vita dell'uomo; ed esaltava la scelta di coloro che hanno lasciato tutto per seguire il Signore.
Un giorno mi è capitato di andare in una casa di lusso: argenterie, porcellane, tovaglie raffinate, velluti alle pareti, una casa molto ricca, almeno ai miei occhi, io ero sempre vissuto in una casa molto modesta. Sapete cos'era? Un convento di monache! Io non sapevo che erano monache americane: in America si viveva, a quel tempo, in maniera molto diversa da noi!
E quei frati che venivano a parlare di povertà, di rinuncia… ho saputo poi che viaggiavano spesso in aereo, che avevano macchine grandi e potenti, cose che mio padre non ha mai visto! Non è salito mai su un aereo! Eppure, per lui, ogni lira era preziosa: aveva da tirar su cinque figli, farli studiare fino all'Università... lo ha fatto, con grande sacrificio, con grande onestà e generosità.
Mi son qualche volta domandato cosa pensasse quando ascoltava quelle prediche? Forse niente! Perché lui apparteneva ad un'antica tradizione: nel paese in cui è nato gli uomini - forse saggiamente - entravano in chiesa dopo la predica. Chi ha qualche anno di più ricorda che all'Offertorio, quando si scopriva il calice, suonava il campanello e allora gli uomini entravano e si mettevano in fondo alla chiesa: la predica era riservata alle donne, le quali, anche loro, forse, non ascoltavano… mio padre andava a Messa fin dall'inizio, per dare il buon esempio a noi ragazzi, così voleva mia mamma, ma, probabilmente, quelle parole gli scivolavano addosso, come acqua sul vetro.
Forse è giusto! Perché per lui i soldi erano preziosi, erano una cosa terribilmente seria! E faceva una gran fatica a guadagnarli, con grande onestà! Però - vedete - nella mia infanzia nessun povero ha mai bussato alla nostra porta e se n'è andato a mani vuote: era un altro mondo! Non soldi, perché non ce n'erano, ma un pezzo di pane, un frutto, lo avevano sempre. Onestà e attenzione verso gli altri, senza tante parole, senza esaltare la rinuncia a tutto, la povertà, senza parlare contro il denaro, senza fare, però, del denaro il cuore della propria vita: i valori per cui mio papà ha vissuto erano certamente altri .
Che sia questo il senso di queste parole?…
Storie! Voi potreste raccontarne molte altre, io devo fermarmi qui, altrimenti ve la faccio troppo lunga. Storie… Andando a casa ripensate alle vostre storie, ma ripensatele tutte, anche quelle che non vi danno troppa ragione. Ripensatele senza giudicare, cercando soltanto di capire, di intuire dove vuole portarci il Vangelo.
Il Signore ci aiuti!
Ci sono parole del Vangelo che ad una prima lettura appaiono incomprensibili e assurde. Forse ricordate, domenica scorsa leggevamo: "Se uno non odia il padre, la madre, i figli, i fratelli, non può essere mio discepolo". Odiare per seguire Gesù: è assurdo! "Se uno non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo". Come può, una persona che ha guadagnato onestamente qualcosa, rinunciare a tutto: è assurdo! Sono parole che sembrano incomprensibili, che urtano la nostra sensibilità.
Poi, leggi e rileggi, ne parli con la gente, trovi delle storie e ti sembra di intuire qualcosa. Ti sembra che si possa andare oltre la scorza, oltre l'apparenza e trovare un senso a queste parole. Ci sono, invece, altre parole che, ad una prima lettura, sembrano particolarmente suggestive, belle e accattivanti, alle quali siamo abituati, poi leggi e rileggi... e sempre più ti appaiono incomprensibili, lontane dalla nostra esperienza, dalla nostra vita e, alla fine, ti sembrano totalmente fuori del mondo.
Succede - almeno a me - per quello che abbiamo letto stamattina. Vediamo se riesco a spiegarmi. Immaginate che qui, in mezzo a noi, ci siano alcuni degli autori dei più efferati crimini del nostro tempo: attentati, sequestri di persona… i responsabili di guerre, spacciatori di droga, venditori di armi... e che io proponga, non solo di accoglierli con rispetto e attenzione, di farli partecipare all'Eucarestia, ma anche di organizzare per loro una "festa" come non s'è mai vista, una festa straordinaria!
Voi, giustamente, pensereste che la vecchiaia gioca brutti scherzi e che comincio a perdere il senno. E se insistessi e, fossi capace di organizzare questa festa, la maggior parte di voi, forse tutti, forse anch'io… ce ne andremmo via: rifiuteremmo di partecipare a una festa in onore di questi criminali.
Questa festa urterebbe tutti i nostri criteri di giustizia, tutta la nostra sensibilità, tutto il nostro modo di pensare: ci sembrerebbe anche una assoluta mancanza di rispetto verso le vittime di tanti efferati crimini.
Ci sembrerebbe contrario a tutto quello che pensiamo della giustizia ed anche a tutto quello che pensiamo di Dio. Il Dio della prima lettura, che s'indigna e vuole distruggere il suo popolo, ci è, in fondo, familiare. Se c'è un crimine deve essere punito ed espiato fino in fondo!
I più saggi tra di noi rinuncerebbero, probabilmente, alla pena di morte, forse anche all'ergastolo, ma non a una lunga e seria detenzione, non a una lunga e seria espiazione dei crimini commessi, finché chi ha compiuto delitti dia segni di conversione vera, non apparente - come spesso succede - e finché non abbia espiato fino in fondo il suo peccato.
Questo è il modo di vedere di persone giuste, che cercano la giustizia, che vogliono il rispetto per il bene, per la legge e, soprattutto, il rispetto per le vittime!
Qui, come avete ascoltato, il discorso è diverso! Il delinquente torna… torna soltanto perché ha fame e trova la festa! Una festa come non c'è mai stata!
Ha ragione il figlio più grande! Ha ragione: non vuole entrare! Non accetta, è assurdo! Eppure qui parla il SIGNORE!
Eppure questa pagina appartiene al Vangelo! Perché è così incomprensibile per noi? Forse perché facciamo una gran fatica a considerare tutti gli uomini figli e fratelli? Forse perché siamo abituati a dividere gli uomini in amici e nemici? ...ma il rispetto delle vittime? occorre che qualcuno sia considerato nemico! Forse perché il nostro criterio di giustizia è piccolo, è limitato? Ma qual è un altro criterio di giustizia? Come si può rispondere al male con la "festa"? Qui si parla veramente in un mondo "altro". Forse ci troviamo davanti ad un "sogno" di Dio! Ma a noi appare un sogno incomprensibile! E più ci pensi e più ti sembra lontano dal nostro modo di pensare e di vivere.
Come è possibile non esigere espiazione e giustizia? Come è possibile rispondere al male con il bene? Come è possibile non moltiplicare la sofferenza, il dolore? Come è possibile conservare nel cuore un rispetto così profondo dell'uomo, tanto da non perdere mai la speranza che… che posso dire - anche un Hitler si converta e viva e, dopo aver fatto tanto male, cominci a fare il bene e partecipi anche lui alla festa della vita?
Per noi è impossibile ipotizzarlo! Noi non lo accettiamo. Noi vogliamo che prima di poterlo reintegrare nella società umana, espii e paghi… e poi non è questo il modo con cui da sempre ci hanno parlato di Dio?
Se volevamo fare la Comunione, ci imponevano la "penitenza" e la Confessione e alcuni, anche tra noi, si sentono esclusi dall'Eucarestia. Ci hanno abituati a pensare ad un "Dio" che chiede conto, che giudica, che minaccia e punisce. Ci hanno parlato, del purgatorio, addirittura dell'inferno… l'inferno forse è troppo, ma l'espiazione... il render conto dei propri crimini: questo sì!
La "festa"!... Che cos'è la festa? Di cosa parla il Vangelo? E se dobbiamo accettare questa festa, chi è Dio? Che mondo sogna? E per noi è possibile sognarlo? È possibile sognare un mondo senza dolore, senza sofferenza, senza espiazione, senza morte? Un mondo in cui il criterio... non sia la sofferenza, ma la festa? È possibile sognare un mondo in cui la Croce non esista più? Non si debba pensare che sia uno strumento dell'espiazione, del dolore richiesto da Dio!
È possibile sognare un mondo "altro", totalmente altro? Come è possibile per noi sognare un mondo in cui il criterio ultimo sia la "festa", la gioia, la pienezza della vita… e come arrivarci? Forse per noi non è possibile! Forse è troppo grande per noi; sconfina, forse, nel mistero di Dio: forse qui ci troviamo veramente di fronte al mistero di Dio… e ci conviene tacere!
Ecco, provate a leggere e rileggere questa parabola e quando vi ritroverete - penso succeda anche a voi - a non capire… se penserete di dare ragione al fratello più anziano, non vi preoccupate: siamo noi! Siamo gente che non riesce ad accettare un Dio così... Continuate a cercare, a invocare. Chissà che non sia possibile sognare, affacciarci sul mistero… pensare che l'ultimo sogno, il più profondo, sia il trionfo non del male, del dolore, della morte, ma della "festa" e della vita.
In questa parabola, forse, si manifesta il "sogno" di Dio… più grande del nostro cuore.
Il Signore ci aiuti.
Mi è capitato moltissime volte di incontrare persone - penso che ce ne saranno anche tra voi - che non riescono a digerire questa parabola. Il Signore sembra lodare un amministratore disonesto: ha rubato prima e continua a rubare, per garantirsi il resto della vita.
Ho tentato tante volte di spiegare che qui Luca ripropone, in maniera paradossale, uno dei temi importanti del suo Vangelo: l'invito ai cristiani a giudicare con la propria testa; a tentare di interpretare gli avvenimenti; a capire che cosa è importante e che cosa non lo è; a riuscire a trovare gli strumenti per rendere concreti i propri ideali, i propri valori, i propri sogni.
Ma nonostante ch'io mi sforzi di spiegare, c'è molta gente che non riesce ad accettare questa parabola. Quando ero giovane, pensavo che fosse colpa mia; mi veniva anche qualche senso di colpa, che, come sapete, è perfettamente inutile. Poi ho cominciato a pormi la domanda: perché succede questo? Perché molti cristiani non riescono ad accettare questa parabola? Qui non si loda certo la disonestà di quest'uomo! Viene chiamato disonesto, viene detto "figlio di questo mondo", figlio delle tenebre, in contrapposizione ai "figli della Luce". Quest'uomo è giudicato severamente! Si cerca, invece, di apprezzare la sua scaltrezza, la sua capacità di interpretare gli avvenimenti: cosa, secondo il Vangelo, specialmente quello di Luca, di estrema importanza.
Perché, allora, la gente non capisce? Ho tentato di farmi questa domanda e di dare anche qualche risposta... Su queste risposte molti di voi, probabilmente, non sono d'accordo; la cosa non è affatto grave ma, forse, è un invito per voi a pensarci un momento.
Vedete, uno dei motivi, secondo me, è la nostra cultura: parlo di cultura a livello sociale, politico, familiare, scolastico, basata più che sullo sforzo di capire, sulla abitudine di giudicare e condannare le persone.
Potete fate degli esperimenti semplici: leggete articoli di giornalisti, anche di quelli che vanno per la maggiore e noterete che la parola "perché" è scomparsa dal loro vocabolario: giudicano, condannano, si schierano e vi invitano a schierarvi, ma quasi nessuno vi aiuta a capire e vi fornisce qualche strumento per scoprire il "perché" degli avvenimenti, di quello che accade intorno a noi.
E questo succede, in moltissimi casi, anche nei libri di storia, negli articoli o nei documentari televisivi sulla storia. Per fare un esempio un po' lontano, pensate alla grande tragedia dell'Olocausto, ai milioni di persone "passate per il camino" nei campi di concentramento. Potete ascoltare molti giudizi severi, condanne totali - e ormai dovrebbero essere totalmente inutili - ma mai un tentativo di capire!
Perché?! Perché è successo questo? Perché milioni di persone in Germania, hanno accettato quella tragedia senza rendersi conto: cattolici e protestanti, cardinali, vescovi, preti, uomini politici, grandi filosofi. Non ha capito colui che forse è il più grande filosofo del secolo scorso: Heidegger!
Vi è mai capitato di leggere una riflessione, sul perché il fanatismo ha tanta presa nel cuore e sulla vita di milioni di persone? Anche nelle religioni, nella nostra e nelle altre! Perché personaggi con lunghe palandrane, con una grande barba, con occhi allucinati, che spesso pronunciano parole fanatiche, ricevono l'applauso di milioni di persone? Perché? Perché il fanatismo ha tanta presa sulla gente? Queste domande non le trovate mai! Non solo dal pulpito, ma nemmeno sugli articoli dei giornali o delle riviste e, qualche volta, nemmeno sui libri di storia! Eppure è fondamentale porsi queste domande!
Ma se possiamo lasciare questi grandi avvenimenti e passare alla vita quotidiana, qualche volta, non ci si domanda nemmeno: perché un figlio si comporta così? Perché la nuora si comporta così? Perché?!
Giudicare, puntare il dito è semplice! Capire è complicato! Far la fatica di domandarsi: cosa succede? Perché per mio figlio hanno così importanza il gruppo degli amici, le mode che passano? Perché una persona si lascia così condizionare dall'ambiente in cui vive?... Certo è difficile capire, ma non c'è intorno a noi una cultura che ci spinga a cercare, ad approfondire, a studiare, ad andare in fondo, a non contentarsi del giudizio, del puntare il dito, dell'accusa verso l'altro. Noi quando abbiamo fatto il "nemico", ci basta, ci contentiamo.
È evidente che i campi di concentramento erano una cosa terribile: ma perché c'erano? E perché nessuno se ne è accorto? Perché quasi nessuno ha alzato la voce? Perché tante persone non hanno capito? Questo è importante per il nostro presente e per il nostro futuro!
Ma c'è, forse, un altro motivo! Ripensate - specialmente chi ha i capelli bianchi - alla nostra educazione di credenti. Siamo stati educati a credere e ubbidire, a non pensare con la nostra testa: il pensare con la propria testa era sospetto, se non addirittura peccato. Dissentire da quello che diceva il Papa o il vescovo o semplicemente il prete dall'altare veniva considerato con sospetto e produceva in noi dei sensi di colpa. In questa educazione all'ubbidienza, al rinunciare a pensare, al far pensare gli altri, siamo cresciuti quasi tutti e la conseguenza non può essere che questa: non siamo abituati a tentare di capire!
Eppure per il Vangelo questa è una cosa fondamentale! Il Vangelo di Luca lo ripete più volte, fino a quest'ultima provocazione: guarda quel delinquente, guarda come interpreta bene la situazione, guarda come si dà da fare, come sa trovare gli strumenti per risolvere la sua situazione! E tu sei capace di capire la tua situazione e di trovare gli strumenti per rendere vive, concrete le cose in cui credi? Sei capace, veramente, con i fatti, di essere un "testimone di giustizia", di amare, come lui è un testimone di attaccamento al denaro?
Voi direte che fare il male è molto più semplice, a volte, che fare il bene, e questo è vero! Potete aggiungere che comprendere e capire è non solo faticoso, ma anche difficile. Tutto questo è verissimo! E ne trovate ampia conferma, se ripensate con attenzione al Vangelo che abbiamo appena letto.
Il Vangelo di Luca e la sua comunità propongono questa parabola, questo invito così forte ad essere "scaltri", come e più dei "figli delle tenebre", ma conclude con due sciocchezze… sono povera gente anche loro! Dicono che la ricchezza è disonesta ed è una sciocchezza, perché c'è ricchezza onesta e ricchezza disonesta. Poi l'unico consiglio che sanno dare e di fare un po' d'elemosina, per guadagnarsi così il paradiso. La comunità di Luca è formata in gran parte da gente che ha fame e sa solo concludere: fate l'elemosina a noi, che ne abbiamo bisogno.
Noi non sappiamo fare molto di più; ma non dovremmo stancarci di accogliere l'invito della parabola: è un invito a non trovare scorciatoie, è un invito a pensare, è un invito a non permettere che altri pensino per noi!
E quindi, per concludere, perché ve l'ho fatta troppo lunga: se uscendo, qualcuno di voi pensa: "Don Checco oggi aveva ragione...". Mi dispiace, ma vi siete sbagliati. Avete ragione voi nel momento in cui cominciate a pensare con la vostra testa e vi rileggete questa pagina del Vangelo e, magari, mi mandate a "quel paese". Non è semplice pensare!
Il Signore ci aiuti!
Strano destino quello di questa parabola; un tempo era tra le più conosciute dal popolo cristiano. Quando eravamo bambini - parlo di quelli che, come me, hanno i capelli bianchi - questa era una delle parabole che più sentivamo raccontare e vedevamo rappresentata o in grandi quadri di pittori famosi o nelle piccole, ingenue immagini dei nostri libri di catechismo.
Poi, questa parabola è sparita. Oggi non la sentite mai ricordare... i nostri bambini, se provate a interrogarli, - a me è capitato di farlo spesso - non la conoscono affatto: è una parabola censurata!
Perché è successo questo? Vedete, i nostri antichi vedevano in questa parabola il "grido" del povero, dell'oppresso, di colui che in questa vita conosce la povertà, la malattia, l'oppressione dei potenti, il disinteresse dei ricchi; c'è un grido di protesta e c'è anche la speranza di una consolazione in una vita "altra". Al di là di questa vita c'è una vita in cui si realizzerà la legge del "contrappasso": chi tribola di qua, godrà dall'altra parte e viceversa.
Questa idea è diffusa non soltanto nella nostra religione - almeno nei secoli passati - ma un po' in tutte le religioni e le culture del mondo. Nell'oriente, dove si parla di reincarnazione, vale lo stesso discorso: chi in una vita è stato malvagio, si è arricchito ed ha oppresso gli altri, nella vita seguente tribolerà e pagherà il "contrappasso".
Ma è proprio questo, forse, che ha portato ad allontanare questa parabola dalla predicazione, dalla cultura normale dei cristiani. Molti oggi pensano che in questa parabola ci sia una violenza sui poveri; perché si dice loro di sopportare con pazienza e rassegnazione, aspettando un'altra vita e il giudizio del Signore.
Ma è proprio questo il senso della parabola? Non sbagliavano, forse, i nostri antichi a vedere in questa parabola la legge del "contrappasso", e non sbagliano, forse, oggi, i nostri preti, i nostri catechisti a trascurare questa parabola senza approfondirne il senso?
Qui - se ho capito qualcosa - si parla d'altro! E per farlo, in maniera provocatoria, Luca cambia quella che era una storiella comunissima nell'oriente antico: in Egitto, nei paesi circostanti. Forse lo avrete notato: il "buono", anzi il padre dei buoni, il grande Abramo, diventa un malvagio e il malvagio un buono! Abramo rifiuta di dare una goccia d'acqua a quel povero che tribola nelle fiamme: si può negare un po' d'acqua a chi sta in mezzo alle fiamme?! Eppure Abramo lo fa! E il malvagio, invece, da parte sua è diventato un buono: chiede che si vadano ad avvisare i fratelli; non vuole che vengano a condividere la sua sorte: ormai ha capito che è capitato in un guaio e cerca di preoccuparsi degli altri, di difendere il prossimo: vuol bene ai suoi fratelli è, in fondo, - vedete - una brava persona!
Questo - sia detto tra parentesi - vi aiuti a capire una cosa che per me è fondamentale: troppe volte cerchiamo nel Vangelo un insegnamento morale. Il Vangelo è, prima di tutto, "annunzio di Dio", è un insegnamento su che cosa significa essere "religiosi", "cercare" Dio! Dove "troviamo" Dio? Dove si "manifesta" Dio? Qual è il Suo Volto? Qual'è il modo di incontrarlo? Questo dovremmo cercare nel Vangelo, allora questa parabola prende un altro senso ed ha un'importanza fondamentale l'ultima frase: "se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi".
E, chiaramente, qui i primi cristiani pensano non solo a Mosè, ma a Gesù e al Vangelo: abbiamo il Vangelo, questo ci basti!
Provate a domandarvi: quando sentiamo parlare di religione alla televisione: interviste, sceneggiati e quant'altro... cosa ci propongono? Le apparizioni, i miracoli, i fatti straordinari... come se tutta la religione fosse basata su questo!
Diceva un Vescovo tanto tempo fa: "Io non credo nella Madonna perché appare, ma perché esiste, perché è la mamma di Gesù!". Ed aveva perfettamente ragione! Quasi mai sentirete parlare di lei, del suo ruolo nella crescita di Gesù: ci parlano spesso delle sue apparizioni, qualche volta, addirittura, dei suoi strani segreti; anche lei come tutti gli "oroscopari" di questo mondo parla con parole oscure, con messaggi enigmatici: e tanta gente è incuriosita, cerca di sapere, ha paura!
In molti angoli della terra, ogni tanto, c'è uno che ha le stimmate o qualche altro segno nel corpo e spesso non è considerato un povero psicopatico da curare, ma tanta gente pensa ad una manifestazione di Dio!
Il Signore si è manifestato lavorando per trent'anni nella bottega di Nazareth, facendo il falegname, condividendo la vita, vivendo la tenerezza, il rapporto con gli altri, il cammino fatto insieme.
Dio non aveva bisogno di incarnarsi in mezzo a noi, se poteva aspettare nell'altra vita che si compisse la storia e, finalmente, chi si era comportato male sarebbe stato punito e chi aveva tribolato avrebbe ricevuto il premio. È venuto a testimoniare in mezzo a noi il servizio, l'attenzione verso gli altri, la vita quotidiana, la fatica di vivere: e non è forse questo l'essenziale della religione?!
Dio si manifesta nel servizio quotidiano di Gesù di Nazareth, nei Suoi valori, nei Suoi sogni, nella Sua realtà quotidiana; non nei prodigi, non nei miracoli.
E i testimoni di Dio non andateli a cercare negli sceneggiati televisivi, nella riproposizione di immagini mitiche, spesso fanatiche, tra stimmate, apparizioni, miracoli, prodigi, messaggi nascosti... nel quotidiano, nel servizio, nella passione per la vita, in chi è come Gesù, in chi, come Lui ha camminato per le strade del mondo, possiamo incontrare i testimoni di Dio in mezzo a noi!
Per questo la parabola è particolarmente importante. La vecchia storiella del contrappasso, a noi non interessa più: non è questo il nocciolo della parabola! Il nocciolo della parabola è Dio in mezzo a noi che si china a lavare i piedi, che si fa Cibo, che condivide la vita, che con noi si sporca i piedi per le strade di questo mondo nel servizio quotidiano, - se volete - il Dio che per trent'anni fa il falegname, vive la vita della gente del suo tempo!
Non è semplice accettarlo, perché noi cerchiamo scorciatoie, cerchiamo il prodigio, i fatti straordinari. Noi pensiamo che se qualcuno viene a "tirarci i piedi di notte" in qualche modo ci convertiamo. Abbiamo sognato, quando eravamo piccoli - almeno io, non so se anche voi - che un giorno potesse apparire anche a noi la Madonna e, qualche volta, avevamo anche un po' paura che potesse succedere qualcosa del genere; non sarebbe successo niente, saremmo diventati solo un po' più scemi!
Per fortuna abbiamo scoperto il Vangelo; non è che siamo migliorati molto, ma abbiamo capito che essere uomini religiosi è un' altra cosa: è la fatica di vivere ogni giorno, portandosi nel cuore i valori di Gesù.
Non è semplice, però. Il Signore ci aiuti.
"Se aveste fede quanto un granellino di senape, potreste dire a quest'albero: sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe": è questa una delle frasi più pericolose del Vangelo! Fate dunque attenzione! Perché questa frase, spesso, è tradotta: se hai fede, il Signore ascolta la tua preghiera; se hai veramente fede, potrai superare ogni ostacolo; se hai fede, non sarai turbato; se hai fede, avrai la pace nel cuore. E queste parole sono l'offesa più grande che si può fare ad un credente! Perché il credente, spesso, prega ma non viene esaudito; il credente, spesso, non riesce a superare ostacoli, specialmente se sono grossi; il credente, a volte, è turbato; a volte, non ha la pace nel cuore.
Allora che senso hanno le parole che abbiamo ascoltato?
Cominciate dal constatare che se potessi dire a uno di questi alberi qui accanto alla chiesa: "Trapiantati nel mare!" Voi mi prendereste per pazzo! Che senso ha trapiantare un albero nel mare?! Allora, qui c'è qualcosa di più profondo, su cui siamo invitati a riflettere! Ed è la seconda parte -spesso trascurata - di questa pagina.
Una pagina che viene a noi da tempi lontani, quando c'erano servi e padroni che si sedevano e venivano serviti... trascurate tutto questo! Fermatevi un momento sull'ultima frase: "Quando avete fatto tutto quello che dovevate fare, dite: siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare". Eh no! Uno che si da da fare dalla mattina alla sera, a volte, per i figli, per i nipoti, a volte, sul lavoro; che ci mette tutta la sua buona volontà… si deve sentir dire: "Sei un servo inutile, hai fatto solo il tuo dovere!". Almeno un grazie, un cenno di riconoscenza.
Che c'è dietro tutto questo? Dietro tutto questo - se ho capito qualcosa - c'è il cuore stesso della vita, della morale, della fede cristiana.
Vediamo se riesco a spiegarmi. Qualche tempo fa mi capitava di parlare con una giovane ragazza, la quale, per la prima volta, forse, si scontrava duramente con l'egoismo di chi le sta accanto, da cui non se l'aspettava: l'egoismo dei parenti, degli amici… le dicevo, con un po' di cinismo: "Ricordati! La legge della vita è una sola: ciascuno fa quello che gli pare e del prossimo non gliene può importare di meno" (chi è romano traduca, perché i termini che ho usato erano un po', più duri)! E aggiungevo: "Ogni volta che nella tua esperienza incontrerai qualche cosa di diverso, farai esperienza dei veri "miracoli" della vita! Se è vero che il "miracolo" è andare "oltre" il normale, "oltre" le regole, "oltre" la natura!
Perché guardatevi intorno… l a legge della natura è che ogni essere affermi se stesso con tutte le proprie forze. Tornando a casa, abbassate qualche volta lo sguardo, vedrete l'asfalto spaccato da qualche filo d'erba: il seme ha trovato modo di uscire, di affermare se stesso! E se conoscete un po' le leggi della natura, sapete che ci sono molte piante che hanno inventato veleni, spine, strumenti vari, per tenere lontani gli altri, per affermare se stesse.
E lo stesso vale per il mondo animale: vige la legge del più forte, del più prepotente, fino al punto di sopprimere i piccoli, per cercare di eliminare chi impedisce la propria affermazione.
"Io faccio quello che mi pare e degli altri non me ne importa nulla". E questo, purtroppo, spesso, vale anche nella vita di noi uomini.
E quando fai esperienza di qualcuno che è capace di un gesto di gratuità, di tenerezza, di affetto, tocchi con mano il prodigio, il vero "miracolo"; là c'è qualcuno... - che sia credente o non credente, non ha importanza - che ha nel cuore una fede come un granellino di senape, capace di compiere il vero miracolo della vita, che è il miracolo della gratuità, il miracolo del servizio dell'uno verso l'altro, il miracolo del disinteresse, il miracolo dell'amore.
Questa è la Fede! Non la capacità di essere esauditi, di saper superare gli ostacoli, di avere pace nel cuore, ma quella di mettere nella propria vita un "pizzico" di gratuità.
Voi direte: "Ma spesso non ci riusciamo!". Chi ci riesce fino in fondo? Nessuno! Per questo siamo qui e torniamo domenica dopo domenica, per tentare di provarci ancora. E dopo ogni fallimento ritentiamo e quando facciamo esperienza della gratuità vera, del disinteresse di chi ti tende una mano, senza aver niente in cambio, nemmeno un grazie: allora tocchi il cielo con un dito; allora, veramente, fai esperienza di Dio.
Se ho capito qualcosa, la legge della natura è basata tutta sulla conservazione di sé, sul possesso: Dio è "l'altro" polo, Dio è gratuità, Dio è dono.
E, forse, aver fede è cercare di conservare nel cuore questo sogno di gratuità: il sogno del dono, della tenerezza, dell'apertura verso gli altri, del mettersi l'uno al servizio dell'altro.
Non è semplice! Ci ritroveremo qui domenica prossima; saremo ancora povera gente, ma gente che vuole "sognare", gente che vuole conservare nel cuore una fede piccola come un granellino di senape, per poter vivere, almeno un po' nella nostra vita, la gratuità, la tenerezza, l'amicizia, il servizio, il dono.
Il Signore ci aiuti.
Dieci lebbrosi: tutti sono guariti; uno solo torna a ringraziare e gli altri dove sono? Perché non sono venuti? Sembrerebbe, a prima vista, una pagina del Vangelo molto semplice; un invito alla buona educazione, alla gratitudine: e già sarebbe un discorso importante! Spesso ci dimentichiamo di ringraziare, di essere grati e, qualche volta, anche noi siamo oggetti di ingratitudine.
Ma 1'ultima frase, forse, ci invita ad una riflessione molto più profonda. Gesù dice a colui che è tornato: "Alzati e va', la tua fede ti ha salvato!". Ma non è già stato guarito? E anche gli altri sono stati guariti! Perché costui è salvato? E che cos'è la fede?
Ecco, domande - come vedete - piuttosto importanti e su queste domande vorrei proporvi un paio di riflessioni, semplici, se possibile.
La prima riflessione è questa: perché nove non sono tornati? Probabilmente - dicono gli studiosi - perché hanno tante cose da fare! Devono andare al Tempio, presentarsi ai Sacerdoti; hanno tutta una serie di regole da osservare, di cose da compiere: debbono acquistare l'agnello per il sacrificio, farsi controllare dai sacerdoti, che debbono attestare che la lebbra sia veramente sparita: questo compito era affidato ai preti d'un tempo.
Fatte tutte queste cose, compiuti tutti questi adempimenti, probabilmente, pensano di aver fatto il loro dovere! Di essersi, in qualche modo, guadagnata la guarigione o, almeno, di averla ampiamente ripagata!
Non vi sembra che, anche nel nostro mondo religioso, ci vengono spesso riproposte pratiche su pratiche: riti, novene, "primi venerdì", osservanze e molti credenti pensano di guadagnarsi così il favore di Dio… e non succedeva così anche a molti di noi, quando eravamo ragazzi! Anche il venire a Messa, a volte, è visto come un obbligo, un'"opera" da compiere. E ci dimentichiamo che il cuore della Fede è la gratitudine, è l'Eucarestia: quello che celebriamo qui. Eucarestia è una parola greca che vuol dire ringraziamento.
Rischiamo di perdere l'occhio stupefatto del bambino che riceve tutto come un dono, che riceve la vita come un dono. Gesù, per il credente, non dovrebbe essere Uno che impone leggi e regole, ma il Dono con cui condividere valori, ideali, sogni.
E se ci pensate... questo non vale, a volte, anche nella vita di ogni giorno? Il papà e la mamma, che hanno corso e lavorato tutto il giorno, anche i figli che hanno faticato a scuola, tutti, alla sera, si sentono in credito, pensano di avere diritti… e si dimenticano che chi ci sta accanto è un "dono", da guardare ancora con l'occhio stupefatto del bambino. Possiamo conquistare tutto nella vita: una bella casa, un'auto di lusso, il primo posto nel lavoro... ma le persone no! Ma le cose essenziali della vita, no!
La seconda riflessione: a volte chi pensa di avere ricevuto una grazia particolare, sente un grande bisogno di ringraziamento e, forse, più di altri vive la vita con gratitudine.
C'è un episodio... (l'ho raccontato tante volte, chiedo scusa a chi l'ha sentito più volte) che ci ha insegnato qualcosa di importante nel nostro cammino di credenti.
Un giorno eravamo a leggere il Vangelo, e c'era, in mezzo a noi, un signore piuttosto anziano, il quale a un certo punto se n'è uscito dicendo: "Io nella vita ho avuto un grande miracolo; se sono qui è per un prodigio!". "Che cosa è accaduto?" abbiamo chiesto. "Durante la guerra ero con un gruppo di prigionieri, spinti per salire su un treno, sono inciampato: un ufficiale tedesco mi ha puntato alla tempia una pistola, ha premuto il grilletto, ma la pistola si è inceppata! Mi ero raccomandato con grande fede al Signore, da allora ringrazio Dio ogni giorno per questo miracolo!".
Davanti a me, sedeva uno dei grandi insegnanti che abbiamo avuto la fortuna di incontrare a Ostia: ci siamo guardati e abbiamo sorriso. Accanto a me c'era un generale, esperto di guerra, che ha detto: "Eh! Quante pistole hanno sparato durante la guerra!". Il nostro sorriso... volevamo dire esattamente la stessa cosa, ma non lo abbiamo fatto per rispetto. Lui si era accorto di questo sorriso, aveva notato il consenso dei presenti alle parole del generale e allora mi son sentito in dovere di dirgli: "Vede, non abbiamo nessuna intenzione di offendere lei; anzi le sue parole ci aiutano a capire una cosa: da quel momento lei ha vissuto la vita come un dono, come un prodigio, come un miracolo; ma è quello che dovremmo fare tutti noi, ogni giorno".
Per il credente, la vita è un miracolo continuo. Quando ci alziamo al mattino ci troviamo accanto le persone a cui vogliamo bene, abbiamo una giornata davanti… oggi non c'è il sole ma c'è stato nei giorni passati in abbondanza: tutto questo è un dono da guardare con l'occhio stupefatto di un bambino… è il dono che arricchisce la nostra vita, aldilà di tutto quello che noi possiamo fare!
Per il credente, la vita è un dono. Non abbiamo bisogno dei "miracoli"! Vedete, la lebbra non è stata vinta per i miracoli di qualche santo, ma per lo studio appassionato di molti scienziati! E oggi la lebbra potrebbe sparire dal mondo... Raoul Follerau - che se ne intendeva - diceva che basterebbero i soldi che si spendono per un solo aereo da combattimento, per far sparire la lebbra dalla nostra terra, per farne un ricordo di cose terribili, ma ormai lontane. Eppure non siamo capaci di fare nemmeno questo! Forse perché viviamo la vita, spesso, come una conquista, senza l'animo del bambino che vive la vita come un dono, con gratitudine.
La predica potrebbe finire qui, ma vi chiedo ancora un momento di pazienza, perché questo discorso è pericolosissimo: vi prego di non ripeterlo facilmente… e se c'è qualcuno tra voi che da questo discorso si è sentito offeso, porti pazienza.
Perché potrebbe, qualcuno di voi, sentirsi offeso? Perché ho incontrato, tante volte, persone che dicono: "Don Checco, per cosa dovrei ringraziare?! Tutta una serie di disgrazie, di avvenimenti negativi hanno costellato la mia vita! Mi alzo al mattino e sento la vita come un peso, non ne posso quasi più!". Se c'è qualcuno tra di voi in questa situazione, non dovrei fare altro che chiedergli scusa! Per fortuna non è la norma! Molti di voi hanno seguito, forse, con attenzione e interesse il mio discorso, ma vi ripeto: prima di ripeterlo guardate bene negli occhi chi vi ascolta, per non mettere un peso sul suo cuore.
Spesso ci dicono che il cristiano deve avere la gioia nel cuore, la gratitudine, il senso di ringraziamento: ho incontrato più volte delle persone che non possono ringraziare. Ed hanno perfettamente ragione! Sono persone in difficoltà; a volte afflitte da quella gravissima malattia che è la depressione: i medici oggi ancora non sanno, in gran parte, curarla. Stanno studiando in molti... speriamo che un giorno anche la depressione diventi, come la lebbra, un ricordo del passato, ma è molto difficile, perché non si tratta di pelle, ma di cervello ed è molto complicato!
Allora, se incontrate una persona che ha un peso sul cuore, per cui la vita è pesante, non fategli discorsi, non fategli la morale, non dite: "Devi essere contento e ringraziare Dio!". Fategli, se potete, una carezza e fermatevi lì. Se potete dargli un bicchiere d'acqua, dateglielo e basta!
Ma, per fortuna, queste situazioni non sono la norma! E allora, con tutti quelli di voi, che, come me, possono dire: "Signore grazie", celebriamo 1'Eucarestia. È il nostro ringraziamento al Signore: la vita è soprattutto gratitudine, è l'occhio incantato del bambino che riceve la vita come un dono. Tutto quello che abbiamo conquistato nella vita è importante, ma le cose essenziali non le abbiamo conquistate; non abbiamo conquistato la natura, al bellezza del creato, le persone con cui condividiamo la vita, la tenerezza e l' affetto di chi ci sta accanto: tutto questo è un dono da guardare sempre con stupore, meraviglia e gratitudine.
Il Signore ci aiuti!
Ho incontrato parecchie persone che trovano particolarmente suggestiva e significativa l'immagine della prima lettura. Avete ascoltato? C'è guerra tra gli Ebrei e gli Amaleciti. Mosè sale sul monte a pregare: alza le braccia al cielo e, quando le braccia sono alzate, Israele vince, quando gli cadono giù, perché è vecchio e stanco, Israele soccombe. E allora Cur e Aronne lo fanno sedere, gli tengono le braccia alzate fino alla sera, finché Israele non riesce a trionfare! Molti, specialmente giovani, vedono in questo racconto un simbolo molto bello della preghiera.
Ho imparato a buttare là una frase: "Chissà cosa ne pensano agli Amaleciti? Bisognerebbe chiedere a loro!" Basta questa semplice frase per vedere occhi sgranati, facce stupefatte. Già! Chissà che ne pensano gli Amaleciti? È un modo per riflettere sulla preghiera, evitando scorciatoie!
È lo stesso sistema che usa il Vangelo di Luca. È la seconda volta - lo avete forse notato - che troviamo un discorso sulla preghiera in cui, alla fine, c'è una frase che sembra buttata là, quasi per caso e che sconcerta il nostro modo di pensare alla preghiera.
Forse ricordate il primo racconto: un uomo è a letto con tutti i suoi bambini, nella grande stanza di un tempo e fuori arriva l'amico, che comincia a bussare: ha bisogno di un pane! Ma quello da dentro dice di non poterglielo dare: dovrebbe svegliare tutti, far alzare i bambini... ma l'amico fuori continua a bussare finché, per togliersi dalla seccatura, si alza e gli da il pane. E Gesù conclude: "Se voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!" Lo Spirito Santo? e che è? chi l'ha mai chiesto?
Oggi la provocazione è ancora più forte. Non si tratta di un buon padre di famiglia a letto con tutti i suoi figli ma, addirittura, di un giudice disonesto che, come dice lui stesso, non ha nessun rispetto né per Dio, né per il prossimo. C'è una povera vedova che va ogni mattina fuori dalla porta e lo tira per la veste... "Fammi giustizia contro chi mi ha fatto un torto". È una povera vedova indifesa! L'unico suo rimedio è questo giudice e il giudice è un disonesto, non gli importa niente di nessuno ma, anche lui, come l'uomo addormentato, deve ascoltare questa donna se vuole allontanare la seccatura. E Gesù conclude: "E Dio non farà giustizia ai suoi figli…?" E poi una frase buttata là: "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la Fede sulla terra?" E che c'entra? Stavamo parlando di un giudice ingiusto; stavamo parlando di chiedere, di tirare la veste del Padreterno, paragonato addirittura un giudice ingiusto: chiedete, insistete, bussate, ma per che cosa? E se l'oggetto della preghiera fosse il conservare la Fede? Ah! Allora c'è veramente la necessità di pregare sempre, senza stancarsi! Pregare che non è un ripetere formule, un fare pratiche religiose: è l'atteggiamento interiore del credente, che cerca di mantenere nel suo cuore la fede nei valori di Gesù; la fede nella giustizia, nella libertà, nella pace, nella tenerezza.
E come è possibile, oggi, senza un combattimento incessante, in questo mondo così complicato, in cui siamo spesso sommersi da cattive notizie, da sangue sparso, da bombe, da devastazione... come è possibile conservare nel cuore la voglia di tenerezza, il credere nella pace, l'attenzione verso chi ci sta vicino, lo spirito di servizio, i valori di Gesù?
Come è possibile, in questo mondo, in cui si diffonde l'intolleranza, il fanatismo (e non pensate solo a fanatismi lontani; pensate anche a quelli del nostro mondo cattolico) il disprezzo verso chi è diverso, verso chi la pensa diversamente. Il fanatismo, l'intolleranza sembrano diffondersi in certi momenti della storia: frutto della paura… Come è possibile conservare una Fede limpida, serena, tranquilla, che afferma i valori essenziali, che è alla ricerca continua del Volto di Dio, senza intolleranze, senza fanatismi, con attenzione a chi la pensa diversamente da me?
Come è possibile questo senza preghiera incessante? "Il Figlio dell'uomo, quando tornerà, troverà la fede sulla terra?". Ecco il motivo del pregare! Conservare la Fede! Conservare la fiducia nei valori di Gesù, conservare il coraggio di credere, di sperare, di amare, nelle cose quotidiane, nei piccoli gesti della vita di ogni giorno.
Per questo occorre pregare senza stancarsi mai! Per questo occorre, ogni, tanto alzare gli occhi verso l'Alto, verso l'Assoluto, verso Dio… guardare dall'alto la nostra vita, per conservare il coraggio della speranza.
Potessimo anche noi, come l'Apostolo Paolo, alla fine dalla vita, dire: "Ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la Fede".
Il Signore ci aiuti.
Non lasciatevi ingannare dalla frase che avete appena ascoltata: "Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato". Perché in questa parabola c'è una riflessione molto più profonda, che tocca il nostro rapporto con Dio, forse con noi stessi e con gli altri. I primi cristiani ripetono questa parabola, che è collocata da Gesù all'interno di un Tempio, per tentare di dare risposta a una delle domande più angosciose e drammatiche che ha attraversato i pensieri e la vita dei primi cristiani: perché Gesù è stato ucciso...? Non dai nemici, dai malvagi, ma dagli uomini giusti, dagli uomini della tradizione, dai fedeli alla Legge, dai sommi Sacerdoti, dagli Ebrei, da coloro che si sentivano il popolo amato e prediletto da Dio, e che aveva il grande compito di testimoniare Dio nel mondo.
Perché proprio loro? Perché proprio quelli che pregano? Perché proprio quelli che osservano la Legge? Perché proprio loro hanno inchiodato sulla Croce il Signore della vita? E, forse, avrete notato che questa parabola non è detta per i farisei, ma per "alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri". Quindi la comunità di Luca allarga il discorso: non si tratta solo dei farisei - ormai, quando queste parole si scrivono, sono lontani: siamo fuori dalla Palestina - ma di chi presume di essere giusto e condanna gli altri, di chi della sua giustizia, della sua fede ha fatto il piedistallo per giudicare e condannare.
Avrete notato tutti che il fariseo, quest'uomo (togliamo la parola fariseo) sembra pregare, ma ingiuria e condanna: "non sono come gli altri, ingiusti, ladri, adulteri, e neppure come questo pubblicano".
Ma quante volte questo è successo nella storia della Chiesa! Il Vangelo ha intuito un rischio drammatico del credente: il rischio di usare il nome di Dio, la propria fede, la propria giustizia per condannare e per giudicare, per alzare patiboli, roghi. Quando è al potere il credente, a volta, sfodera la spada, giudica e condanna, brucia e uccide: è la storia… quella che qualcuno ha chiamato "la storia criminale del cristianesimo".
Pensate a quante persone sono state bruciate sul rogo, perché erano eretici! Perché erano diversi! Perché usavano altre parole! Non si oppone "parola a parola", ma "fuoco a un libro!". Quante persone sono state sterminate in "nome di Dio", da gente che portava in una mano la spada e nell'altra la Croce: pensate al grande disastro dell'invasione dell' America Latina... E non dovremmo mai dimenticare che, nella cristianissima Germania, sul cinturone delle SS era scritto "Gott mit uns": Dio è con noi.
Ma venite anche a cose più vicine a noi: chi ha conosciuto un po' il popolo cristiano, sa che ci sono molti che si sentono giusti. Io, non poche volte, ho ascoltato giudizi cattivi e malignità nei discorsi di persone che, magari, venivano a Messa ogni mattina. Proprio il far la Comunione ogni giorno sembrava dare a queste persone il diritto di giudicare, di condannare, senza minimamente tentare di capire! A volte si trattava soltanto di persone che erano diverse da loro. A volte anche quelle che sembrano essere le regole della Chiesa condannano e giudicano! C'è chi si sente esclusa dalla Comunione soltanto perché è stata abbandonata dal marito. Potrebbe farla! Ma qualcuno gli ha detto che non può! E tanti altri giudizi su chi è diverso...
Ad alcuni di noi (chi ha i capelli bianchi: i giovani sono stati risparmiati) è stato detto più volte di recitare il rosario per i peccatori… e ci sono persone che ripetono per cinquanta volte: "Prega per noi peccatori" e pensano di pregare per gli altri!
Ma provate ancora a riflettere: non avete trovato, qualche volta, dei genitori che vivono la loro vita con impegno, con generosità: sono persone oneste, molto zelanti nel loro lavoro e in tutto quello che fanno e poi non sono capaci di capire un figlio che ha della difficoltà; che, magari, sta facendo degli sbagli e anche lì il giudizio severo e, qualche volta, la condanna, che fa soffrire. E come è triste quando questo viene fatto "in nome di Dio", della Sua Legge. È il misfatto più grande, secondo la Bibbia: usare Dio per fare il piedistallo della propria giustizia, da cui giudicare e condannare gli altri.
È qualche cosa che non riguarda soltanto chi ha alzato roghi per condannare eretici, ma riguarda anche me, forse anche molti di voi: abbiamo tutti la tentazione di giudicare, di sentirci giusti perché veniamo a Messa, perché osserviamo la Legge, perché siamo, in fondo, delle brave persone; guai se non lo fossimo! Ma questo, prima di costituire un nostro diritto, dovrebbe essere oggetto di gratitudine e di ringraziamento perché, in gran parte - vale per me, ma credo che valga per molti di voi - se siamo persone giuste e oneste - e lo siamo! - non è tutto per merito nostro: è merito di nostro padre, di nostra madre, della fortuna che abbiamo avuto nella vita.
Una persona nei giorni passati diceva: "Sì, sì! È proprio un fatto di fortuna". Non è solo un fatto di fortuna, è anche un fatto di buona volontà, ma quanta fortuna c'è nella ventura dei giusti! Questo dovrebbe spingerci alla gratitudine, alla gratuità, a non giudicare, a tentare di capire chi ci sta accanto! Ma viviamo in un mondo in cui, spesso, alla televisione, alla radio, sui giornali, nella lotta politica, come nei fatti di ogni giorno, ascoltiamo gente che non parla, urla… persone incapaci di ragionare e cercare i motivi, ma che sa solo giudicare e condannare. Dobbiamo difenderci da tutto questo!
Sentiamoci persone fortunate… e tentiamo di capire, di ragionare, di aiutare chi è stato meno fortunato di noi a trovare le vie della giustizia e del bene e soprattutto non usiamo mai "il Santissimo Nome di Dio" per farne il piedistallo della nostra condanna e del nostro disprezzo verso chi è diverso o, magari, verso chi ha sbagliato.
Il Signore ci aiuti.
C'è, nel Vangelo di Luca, un paio di volte, l'invito di Gesù a diventare come "bambini". Anche negli altri Vangeli c'è questo invito! Sulla strada dietro il Signore, per il credente, c'è un bambino: un simbolo... "Se non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno di Dio".
Prima di concludere il suo Vangelo - se leggete le pagine seguenti, vedrete che si entra in Gerusalemme... ormai è la fine - Luca ci regala la "perla" straordinaria che abbiamo appena ascoltato: un vecchio diventa un bambino e la vita si riapre!
Provate, con gli occhi della vostra fantasia, a trovarvi là, su quella strada, a guardare... Guardate Zaccheo: piccolo, probabilmente anziano, è un capo, ha potere: è un esattore delle tasse, ma non uno qualunque, è il capo degli esattori; è un uomo ricco: può permettersi di dare la metà dei suoi beni ai poveri; ha, probabilmente, una villa fuori città, dove può fare grandi ricevimenti! Un uomo che ha cercato, per tutta la sua vita, il potere e la ricchezza ed ha realizzato quello che voleva!
Ma c'è qualcosa dentro di lui che lo spinge a cercare ancora: tutto quello che ha avuto non gli basta più… vuole vedere Gesù! Ha sentito parlare, forse, di Lui, di quest'Uomo a cui vanno dietro tante persone, di quest'Uomo che vive in maniera completamente diversa: è un povero, non ha nessun potere, eppure sembra comunicare intorno a se gioia, speranza, voglia di futuro.
Zaccheo va, vuole vedere... vedere con i suoi occhi, ma nessuno lo fa passare: c'è una folla che gli impedisce di incontrare il Signore. E allora...? Allora diventa come un bambino, un monello di strada: si arrampica sull'albero e là su quell'albero incontra il Signore. Forse ha paura del Suo giudizio, della Sua condanna… no, un sola parola: "Scendi Zaccheo, voglio venire a pranzo con te". E la gioia, forse per la prima volta, fa irruzione nella vita di Zaccheo… "scese pieno di gioia".
La vita si riapre, gli orizzonti si allargano; le cose per cui ha vissuto finora, forse, non contano più: ha scoperto negli occhi di Gesù la gratuità, la vita condivisa con gli altri, ha scoperto la gioia, ha scoperto la libertà! E ricomincia la vita! Come un bambino a cui la vita si apre, come un bambino per cui non conta tutto quello che ha costruito, i piedistalli per cui ha lavorato: finalmente la vita diventa un dono, il dono dell'amicizia che Gesù gli offre, il dono della "festa", il dono della gratuità, il dono della libertà.
Zaccheo ridiventa un bambino! E corre a casa... Se ha rubato restituisce quattro volte tanto, la metà dei suoi beni la dà ai poveri: altri valori, ormai, ha intravisto! La luce si è accesa e la vita… la vita ricomincia! Una vita fatta di gratuità, di vita condivisa, di amicizia, di tenerezza.
Anche noi, perché la vita non diventi un'abitudine, siamo invitati a salire sull'albero, là dove la folla non ci impedisca più di guardare il Signore negli occhi e possiamo seguirLo sulla strada della liberazione, della gratuità, della vita… come Zaccheo!
Come bambini, come tutti i giusti della terra che hanno la vita davanti, mai dietro le spalle. Una vita in cui non c'è il rimorso, il peso del peccato, il ricordo del passato. Una vita in cui c'è solamente il futuro, la voglia di camminare, di costruire ancora, di credere ancora, di sperare ancora.
Per tutti noi, Zaccheo resti un simbolo prezioso: è il grande regalo che ci fa il Vangelo di Luca. Penso da tanti anni che se avesse scritto solo questa pagina, Luca ci avrebbe regalato una delle "perle" più preziose del Vangelo: un vecchio diventa bambino, la vita per lui ricomincia, i valori veri fanno irruzione nella sua vita e insieme ai valori, la gioia, la speranza, la voglia di camminare ancora.
Il Signore ci aiuti.
Abbiamo appena ascoltato qualcosa che suscita, a volte, la curiosità dei cristiani: al tempo di Gesù ci sono ancora degli ebrei che, in nome della tradizione, non credono nella resurrezione; non credono in una vita oltre la morte. E, come avete ascoltato, portano argomentazioni solide: è nella Legge di Mosè che si trova il fondamento di questa mancanza di fede in un aldilà.
Effettivamente, se leggete l'Antico Testamento, noterete che non si parla quasi mai dell'aldilà e anzi ci sono, in varie pagine, delle affermazioni precise che negano ogni vita oltre la morte. Perché questo? Se lo sono domandato in molti. Il fatto è che Israele, forse per l'influenza che subisce dai popoli circostanti, in cui, invece, il culto dei morti - pensate all'Egitto - è enorme, reagisce concentrando l'attenzione su questa vita. È qui che possiamo vivere la nostra fede, le nostre idee, i nostri sogni, la nostra speranza nel futuro! L'aldilà è nelle mani di Dio, e Israele pensa, con convinzione, che di Dio è meglio non parlare!
Voi sapete che nella Bibbia esiste il Comandamento: non nominare il nome di Dio invano. Israele intuisce e ripete spesso che di Dio è bene tacere: Dio è "nell'oltre", è oltre ogni nostra parola, ogni nostra immaginazione; e c'è sempre il rischio di sfruttare il Suo nome, di sfruttarLo per fare la guerra, per imporre la superiorità dell'uno sull'altro... e, se non si può parlare di Dio, è bene - anzi è doveroso - secondo Israele non parlare dell'aldilà. L'aldilà appartiene a Dio! Noi non ce ne dobbiamo preoccupare. È cosa Sua! Ci penserà Lui!
Israele intuisce anche che l'idea dell'aldilà è estremamente pericolosa. Pensate - se volete -agli orrori del nostro tempo, a gente che, con la promessa di un Paradiso futuro, viene spinta a riempirsi di tritolo e farsi esplodere in mezzo alla gente! Ma non pensate soltanto agli orrori degli altri, pensate anche alla nostra storia passata, a quanta gente è stata mandata a morire nella speranza di un bene futuro; a quanti contadini sono stati sfruttati con la promessa di un aldilà, a quanta povera gente sono stati spillati soldi su soldi con la promessa di liberare anime dal Purgatorio. L'idea dell'aldilà è stata, spesso, causa di sopraffazione e di violenza sulla povera gente.
Israele intuisce dunque, che è meglio non parlare... ma quando viene fatta una provocazione, come è successo oggi nel Vangelo, Gesù sente il bisogno di parlare, di dire qualcosa; ma qualcosa che non riguarda tanto l'aldilà, ma l'aldiquà.
In quello che abbiamo ascoltato stamattina ci sono, forse, i sogni più grandi del cammino religioso del cristiano, almeno se volete andare oltre la scorza. Gesù fa due affermazioni fondamentali per la nostra vita.
La prima ci ricorda l'importanza, il valore assoluto, dell'esperienza umana: "Dio - dice Gesù - è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe". Dio ama persone concrete, con la loro esperienza, con le loro vicende, la loro vita, i loro sogni, le loro idee, le loro amicizie, i loro sforzi per vivere con giustizia! Tutto questo è custodito nella mani amorose di Dio! Qualunque uomo, il più piccolo degli uomini, è amato e rispettato da Dio. Di ogni uomo Dio conosce il nome, custodisce la vita; la sua vita è importante, anche se è piccolo, anche se è indifeso, anche se non capisce granché. Ogni uomo, ogni esperienza è preziosa: Dio è il Dio dei vivi, non dei morti! Anche quelli che non sono più tra noi, anche la loro vita è preziosa agli occhi di Dio.
Ma c'è un'altra affermazione, forse più importante per la nostra esperienza. I Sadducei dicono: "C'è una donna che ha avuto sette mariti - è un modo per mettere in ridicolo l'affermazione di una vita aldilà - di chi sarà moglie questa donna in un'altra vita?". Gesù guarda e, forse, sorride: "Povera gente - se posso tradurre - siete voi, avete un'idea dell'amore gelosa, possessiva, invidiosa: non sapete sognare un amore libero, com'è l'amore di Dio".
Guardate! Siamo qui un centinaio, forse, di persone: Dio vuole bene a tutti allo stesso modo! Se qualcuno dicesse: "Dio è il mio Dio, non di chi mi sta accanto!". Penso che Dio sorriderebbe di una così grande bestialità! Lui ci vuole bene a tutti allo stesso modo, perché Lui vive il sogno di un amore liberato da ogni gelosia, da ogni volontà di possesso.
Noi siamo possessivi! Non riusciamo a sognare un amore che sia pienamente libero. Ecco, così, forse, si può parlare dell'aldilà… ma vedete che è il cuore della nostra vita nell'aldiquà. È possibile per noi? No, non è possibile!
Noi siamo pieni di gelosie, siamo pieni di vigliaccherie, di paure; paura di perdere chi ci sta accanto, paura di non essere amati. Se chi ci sta accanto ci mette un po' il broncio, abbiamo subito paura che qualcosa si sciupi, si perda; e questa paura, a volte, ci rende impotenti ad amare fino in fondo.
Noi non sappiamo fare esperienza di un amore veramente libero, che ti lascia libero e che libera chi ti sta accanto. Un amore per cui ci si può volere bene in tanti, il sogno di un amore in cui gli uomini, in tutta la terra, si riconoscono fratelli. Noi ci dividiamo ancora: oriente, occidente, bianchi, neri, cristiani, mussulmani, ebrei… e abbiamo spesso paura gli uni degli altri. E siamo gelosi e pensiamo che ci portino via le nostre cose, le nostre terre, che ci inquinino... qualcuno pensa, addirittura, la razza. C'è niente di più ingenuo e di più stupido della paura che si inquini una razza?!
Ma noi viviamo di miti, di paure, di gelosie, di invidie e Gesù ci propone il "sogno" di Dio: il sogno di un amore libero...
Sembra che si parli dell'aldilà, ma si parla dell'aldiquà, di quello che noi siamo: ognuno di noi è importante e prezioso agli occhi di Dio. Dio è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, ma potrei dire: è il Dio di Luigi, di Francesco, di Gabriella, di Antonio, di Maria, di Ludovica: è il Dio di ognuno di noi, il Dio dei nostri bambini, dei nostri piccoli... ognuno di loro è prezioso agli occhi di Dio!
Il sogno di Dio per noi è che, finalmente, diventiamo capaci di un amore libero, di una pace universale, di riconoscerci fratelli; senza invidie, senza gelosie: non è possibile per noi! Siamo povera gente! Ma noi veniamo qui ogni domenica perché vogliamo continuare a sognare; a sognare non soltanto i nostri sogni, a volte, piccoli, a volte, meschini, ma i sogni di Dio: sogni grandi, sogni di un amore libero, di una libertà totale.
Il Signore ci aiuti.
Avete mai sognato di leggere la storia della paura degli uomini e di tutti i tentativi, dal tempo di Adamo e fino ai nostri giorni, di sfruttare questa paura per esercitare il potere dell'uomo sull'uomo? E, d'altra parte, avete mai sognato di leggere la storia di tutti coloro che hanno tentato di liberare gli uomini dalla paura; di mettere nel loro cuore la speranza e il coraggio del futuro?
Ecco, oggi abbiamo letto una pagina di questa storia! Una piccola pagina... speriamo che un giorno possiamo leggere tutta la storia!
Al tempo di Gesù - come avete ascoltato - c'erano molte paure e paure fondate. Abbiamo sentito parlare del "Tempio e delle belle pietre..." Quando queste pagine si scrivono, il Tempio è distrutto! Gli eserciti di Roma hanno portato morte e distruzione, carestia e pestilenza...
C'è, nei confronti dei cristiani, la persecuzione: ci sono processi, carcere, addirittura condanne a morte... lo sappiamo da Paolo, che andava in giro proprio per cercare e denunziare i cristiani. C'è un altro dramma - lo avete ascoltato - che attraversa la vita dei primi cristiani: il tradimento. C'è gente che per paura tradisce il fratello, il figlio, l'amico… come Giuda ha tradito Gesù e, forse, proprio per paura! E di queste paure c'è chi se ne approfitta! C'è chi cerca di convincere delle persone a seguire un "santone", a radunarsi in una comunità, lontano dalla gente, dalle venture di ogni giorno, nella convinzione che il mondo stia per finire.
C'è - lo avete ascoltato dalla lettera di Paolo - chi dice: "Perché lavorare? Perché preoccuparsi del futuro?". E la dura risposta di Paolo: "Chi non lavora, non mangi".
La pagina del Vangelo di oggi - "…non vi terrorizzate… nemmeno un capello del vostro capo perirà" - è il tentativo di Gesù, dei primi cristiani, di mettere dentro queste paure il coraggio del futuro, la speranza. Ma non solo in questa pagina, in tutto il Vangelo c'è l'invito di Gesù a trovare il coraggio di cercare la giustizia, il bene, la luce, la tenerezza, l'attenzione verso l'altro… a volte solo piccoli semi di giustizia, piccoli - dice Gesù - come un granellino di senape… ma che cresceranno.
E oggi... vi rendete conto, penso, anche voi, di come, spesso, le notizie che ci vengono dalla televisione, dalla radio servono a metterci paura nel cuore! Paura del futuro, paura del domani.
La storia del secolo scorso... la drammatica storia del secolo che ci siamo lasciati alle spalle, è una storia di paure! Di paure di cui qualcuno si è approfittato per presentarsi come l'uomo della provvidenza, causando tragedie immani sulla nostra terra. Perché gente come noi si è lasciata dominare dalla paura? Paura diffusa con grande perizia attraverso i mezzi di comunicazione: paura dell'altro, paura del futuro, del diverso, dell'ebreo, paura del crollo economico, paura che non si mangi più.
Ma anche oggi quanta paura intorno a noi! Guardate i nostri bambini: sanno tutto del buco dell'ozono, degli OGM, dei ripetitori che trasmettono segnali... sanno tutto! Ma quasi nessuno li aiuta a cogliere i segni di speranza, le promesse per un futuro migliore, le possibilità offerte alla loro responsabilità.
Vi siete accorti che ci mettono paura dell'acqua che beviamo, dell'aria che respiriamo, delle radiazioni che assumiamo… c'è chi dice che tutto il mondo è inquinato e spesso, chi parla di queste cose lo fa con una sigaretta in bocca! La conseguenza è che purtroppo molti dei nostri ragazzi, che sembrano aver paura di tutto, fumano!
Vi siete resi conto che, a volte, alla radio, alla televisione ci sono morti che contano e morti che non contano! Ieri - e giustamente, perché si debbono onorare coloro che muoiono nell'adempimento del proprio dovere - abbiamo onorato diciannove uomini che sono morti in Irak: era giusto farlo con solennità! Ma nell'anno passato migliaia di persone sono morte per incidenti stradali: spesso chi ha paura di cose lontane, per cui non può fare nulla, non si rende conto che quando c'è uno STOP bisogna fermarsi; che se c'è un diritto di precedenza, bisogna darlo, perché altrimenti siamo noi causa di morte.
I nostri bambini sanno tutto dell'inquinamento, ma continuano a buttare le buste di plastica in mezzo alla strada perché non sanno che il futuro dipende da loro e, che anche una busta di plastica buttata nel cestino dell'immondizia è un piccolo gesto per la protezione di questo mondo!
Si rischia di avere paura e di sognare l'uomo della provvidenza, colui che risolve tutti i problemi. Si rischia di aver paura di tutto e non credere più nel futuro! Alcuni di noi hanno l'impressione che i ragazzi del nostro tempo, a volte, sembrano non avere più il senso del futuro, il desiderio di costruire la vita, la voglia di progettarla: sembrano vivere alla giornata. Qualcuno che si occupa dei ragazzi, mi diceva che secondo lui non si vogliono più porre problemi, non vogliono più pensare; vogliono vivere alla giornata, magari stordendosi con la musica e, qualche volta, addirittura con le droghe. Ci vorrebbero studi e statistiche su questo, per conoscere un po' meglio quello che accade intorno a noi.
Gesù è venuto per metterci nel cuore il coraggio della speranza e non solo in questa pagina, ma in tutto il Vangelo: il credente è un inseguitore di Luce, è uno che, aldilà di tutto, continua a credere, a sperare, a tentare di mettere intorno a sé i semi del futuro e della speranza.
È compito di tutti noi! Quando guardate negli occhi i bambini, ricordate che il primo compito di un adulto è di farli crescere senza ansia, senza preoccupazioni... è metter loro nel cuore la serenità… che possano - come dice Paolo - "mangiare in pace il loro pane" e che imparino a guadagnarselo con le loro mani, con coraggio e pazienza, tentando di costruire un mondo più bello... ma è la paura che toglie questa speranza!
Ricordate! Se leggete il Vangelo, dalla prima all'ultima pagina, vedrete che la Fede è il contrario della paura e la paura è il contrario della Fede. La paura ha inchiodato Gesù sulla Croce, ma i semi del Suo coraggio ci radunano ancora insieme… tentando di credere e di sperare.
Non è semplice! Ve l'ho fatta troppo lunga, ma penso che abbiate capito quello che tentavo di dirvi.
Il Signore ci aiuti.
Una festa curiosa quella di oggi, festa che ha un'origine non troppo lontana. Quando le autorità della Chiesa, hanno perso gli ultimi lembi di territorio dei domini pontifici, tentavano di riaffermare la loro autorità e il loro potere sugli uomini; e questa festa è proprio l'ultimo, o uno degli ultimi, tentativi di riaffermare questo potere.
E avete ascoltato l'eco di questo tentativo nella scelta della prima e della seconda lettura che richiamano l'una il regno di David e l'altra afferma che Gesù ha autorità su tutte le cose del cielo e della terra e questa autorità di Gesù si manifesta - almeno questo è il loro sogno - nelle autorità della Chiesa.
Chi poi tenta di celebrare questa festa si scontra con il Vangelo di oggi; un Vangelo che ci propone sì un RE, ma un Re ben strano, guardate: ha sul capo una corona di spine, le mani inchiodate sulla Croce: dov' è la potenza, la forza, il potere? Questa è la celebrazione dell'impotenza!
Là, intorno a quella Croce, c'è chi Lo insulta, chi Lo deride... possiamo riconoscere Dio in un Uomo crocifisso, impotente... non può staccare le mani da quella croce, non può rispondere agli insulti e alle derisioni. Che sia un invito per noi a non cercare Dio nella potenza, nel prodigio, nella forza, nel miracolo?
Che sia un invito a riconoscere Dio nei piccoli, nei poveri, nei derisi, negli insultati, nei sofferenti… senza andare a pensare a problemi troppo grandi, a volte incontriamo intorno a noi persone in difficoltà, che hanno una lacrima sul viso… e se Dio ci venisse incontro proprio là?
C'è un'altra riflessione a cui ci invita il Vangelo di oggi. Avete ascoltato... intorno a quella Croce ci sono coloro che dovrebbero riconoscerLo: i capi, la gente che appartiene al popolo chiamato ad essere testimone di Dio. Ci dovrebbero essere i discepoli: non c'è nessuno, sono tutti fuggiti!
La gente sta a guardare, i capi gridano, scherniscono: "Se sei Dio, scendi; se sei il Cristo, scendi". C'è solo uno là, accanto a quella Croce, un malfattore, anche lui ha le mani inchiodate sul legno... solo lui chiama Gesù per nome, con il nome che gli ha dato Sua Mamma: non un titolo, non un segno di gloria e di potenza, non il segno dell'attesa dei popoli, ma il nome di Sua Mamma: "Gesù, ricordati di me". E questo basta!
Quante volte, nella mia lunga esperienza di prete, ho incontrato persone che si meravigliavano che Gesù venisse riconosciuto, a volte, da quelli da cui non te l'aspetti; da quelli che, a volte, bestemmiano il nome di Gesù, da quelli che non appartengono alla comunità dei credenti... quante volte mi è capitato! E quante volte ho visto la meraviglia: come è possibile?! Allora cosa significa credere?
Vedete - se ho capito qualcosa - credere non significa farsi il segno della Croce, portare un distintivo, essere battezzati, dirsi cristiani... credere è riconoscere i valori di Gesù, viverli e non solo a parole, nel concreto dell'esperienza della vita.
C'è qualcosa che ha pesato sulla mia esperienza dì prete... perché - vedete - la gente si aspetta dal papa, dai vescovi, dai preti - io non me lo aspetto più, è la mia vita, la mia esperienza - che questi siano i veri fedeli, i veri discepoli di Gesù e, tante volte, ho dovuto riconoscere che c'era gente che in chiesa non veniva mai, che, magari, si diceva atea e che era migliore di me. L'ho riconosciuto con un po' di vergogna, ma anche con un senso di profonda gratitudine alla vita e a Dio perché, come diceva un poeta francese: "Dio è abituato a scrivere dritto su linee storte... ".
Noi pensiamo che quelli che si dicono cristiani, tutti noi che veniamo a Messa... dovremmo essere i migliori: noi che invochiamo e pronunziamo il nome di Gesù e poi ci accorgiamo che c'è chi è migliore di noi, magari, qualcuno che abita in terre lontane e non pensate solo ad un uomo come Gandhi o ad altri personaggi come lui; pensate anche a tanta gente comune che si porta nel cuore la fame e la sete di giustizia, i desideri di pace, la voglia di vita, la tenerezza verso gli altri, l'attenzione verso gli ultimi, lo spirito di servizio...
Chi ha un cuore così, quello ha riconosciuto Gesù! anche se è diverso, anche se si dice ateo, anche se viene da terre lontane, anche se ha un colore diverso della pelle: ma è bello riconoscere Gesù veramente "SIGNORE DELL'UNIVERSO", Signore di ogni uomo di buona volontà, non nel potere, nella forza, nella gloria, nel prodigio, ma nei valori profondi che animano la vita di un uomo. Tutti coloro che si portano nel cuore questi valori appartengono al Regno di Gesù. Tutti loro condividono il nostro cammino… e perché meravigliarci? Perché stupirci? Perché non rallegrarci profondamente che in ogni angolo della terra, animati dallo Spirito di Dio, ci sono uomini di buona volontà: su loro regna il SIGNORE!
Loro Lo hanno riconosciuto! Io posso dire - perché è l'esperienza della mia vita - più di me! Non me ne dispiace, anzi me ne rallegro ed è uno stimolo per me a cercare di essere sempre di più, poveramente, un discepolo del Signore. Credo che sia così anche per voi!
Il Signore ci aiuti.