Le omelie si possono leggere anche nel file Word allegato in fondo alla pagina
OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 2015 - 2016 - Vangelo di Luca
Allora vedranno il Figlio dell'uomo I DOMENICA DI AVVENTO - 29 Novembre 2015
venire sulle nubi del cielo… Luca 21, 25-28. 34-36
Comincia oggi l'anno della nostra preghiera e comincia, là, dove abbiamo finito il precedente, riproponendoci il coraggio dell'attesa di Gesù, lo sguardo che guarda lontano, che tenta di costruire il mondo: è la dimensione essenziale, l'aspetto fondamentale della nostra fede. Senza questo la nostra fede diventa religiosità vuota, senza senso.
Le parole che abbiamo ascoltato sono complicate, appartengono ad un mondo di duemila anni fa e hanno bisogno di essere decodificate, tradotte per i nostri giorni... ci provo...
Vedete - a quel tempo in Palestina molta gente pensava che il tempo stesse per finire, che la misura fosse colma. La vita era diventata insopportabile e aspettavano... questione di mesi, di anni, la fine del mondo. La luna, le stelle sarebbero cadute. Il sole si sarebbe oscurato: grandi catastrofi sulla terra… e poi le guerre devastanti.
Oggi, non siamo così ingenui! Il sole non si oscura, le stelle del cielo sono imperturbabili, lontane, seguono il loro corso.
Se vogliamo tradurre, oggi, ci guardiamo intorno e vediamo sulla terra segni pericolosi... il clima si surriscalda sempre di più. I ghiacciai si sciolgono. Il deserto avanza... Anche da noi, in Italia, viviamo - ormai - quasi ogni mese delle catastrofi per alluvioni, smottamenti e la gente rischia di perdere la vita: segni della natura, segni preoccupanti che dipendono non da uno strano destino, ma dai nostri comportamenti.
Poi la violenza, la guerra, il terrorismo, l'emigrazione di popoli e tanta gente che muore e anche qui - forse - dovremmo essere più attenti a vedere che cosa succede, dov'è veramente il male. Vi faccio solo un esempio che mi ha colpito in questi giorni: nell'anno passato sono morti - in Italia - circa tremilacinquecento persone per incidenti stradali. Circa mille persone per incidenti sul lavoro. Sono morte più donne uccise da chi pensava di possederle per amore, di quanti ne sono morti negli ultimi attentati e - forse - per questo dovremmo usare la parola: guerra. Qui tutti possiamo fare qualche cosa. Qui possiamo mettere in gioco la nostra responsabilità
Ecco, di fronte a tutto questo, di fronte a questi aspetti così negativi del mondo, il Vangelo di oggi ci propone il coraggio della speranza. Alzate la testa e guardate lontano, aspettate il Signore, costruite il mondo come Lui voleva... nelle cose quotidiane, ciascuno facendo quello che può senza paura, senza rifugiarsi nel proprio guscio, senza ritirarsi (è una tentazione seria) nella propria religione, nel pensare a guadagnarsi meriti per il Paradiso, a salvarsi l'anima; rifugiarsi nei riti, nelle preghiere, nelle moltiplicazioni di adorazioni, di pellegrinaggi: tutta religiosità che potrebbe finire col diventare pagana.
Il Vangelo ci dice: "Non chi dice Signore Signore, ma chi fa la volontà del Padre". Ecco, fare la volontà del Padre giorno per giorno, come possiamo. Noi uomini di fronte al male, alla violenza, alla morte e anche di fronte agli sconvolgimenti della natura non abbiamo che da prenderci le nostre responsabilità: soprattutto cercare di moltiplicare intorno a noi la gioia, il piacere la vita... anche a ottant'anni si può fare l'amore con passione: fatelo! Si può bere un bicchiere di vino con allegria: fatelo! Si può dare una mano a chi ci sta vicino, si può fare un gesto di tenerezza: è questo l'unico modo che abbiamo per reagire ai segni di morte che ci sono intorno, per costruire la vita.
Poi c'è di più, possiamo educare... non è possibile che nel duemilaquindici ancora ci siano persone - anche giovani - che vivano il rapporto d'amore come un possesso geloso, che porta ad uccidere. Non è possibile! C'è mancanza di educazione, di rispetto, di attenzione verso l'altro, di vita vissuta.
Come ci insegnerà Maria, l'Altro è Altro! Viene da un'altra dimensione, non è mio. Non è mio un figlio. Non è mio un amico. Non è mio un amante. Non è mia la moglie. Non è mio nessuno... è di Dio
Ecco, per questo siamo invitati ad "alzare il capo" ed a "guardare lontano", a non arrenderci al male di questo mondo, a moltiplicare giorno per giorno - come possiamo - il piacere, la gioia, la condivisione della vita, l'attenzione verso l'altro... piccole cose di ogni giorno: ma queste - almeno per qualcuno che ci sta accanto - rendono la vita più bella.
Poi tentiamo di pensare! Tentiamo di non farci condizionare troppo dalla televisione. Ci strappano dal cuore la speranza e non glielo dobbiamo permettere! Il Vangelo ci invita alla speranza, al coraggio di guardare lontano.
Credere è pensare che il Signore ha ragione, che verso di Lui andiamo. Il suo Regno è affidato a noi. Non è qualche cosa di magico che viene sulle nubi del cielo. Viene nel concreto della nostra vita. Lo dice bene il Vangelo di Luca che quest'anno ci accompagnerà: "Non vi aspettate eventi straordinari, perché il Regno di Dio è già in mezzo a voi". Siamo noi che possiamo costruire con coraggio, nei piccoli gesti della vita, i sogni di Gesù.
Il Signore ci aiuti.
Voce di uno che grida nel deserto: II DOMENICA DI AVVENTO - 6 Dicembre 2015
"Preparate la via del Signore, Luca 3, 1-6
raddrizzate i suoi sentieri..."
Dopo i primi due capitoli del Vangelo di Luca che sono dedicati al racconto della nascita di Gesù... il capitolo che parla di Gesù ormai diventato adulto, inizia con le parole che abbiamo ascoltato, cercando di collocare la storia di Gesù nella grande storia del mondo. Avete sentito nominare l'imperatore Tiberio, Pilato, i sommi sacerdoti del tempo Anna e Caifa.
Mi sono chiesto: "Perché tanti altri nomi, Erode, i tetrarchi? Non bastava nominare Tiberio? L'impero di Roma tutti lo conoscono!". Sono convinto che Luca vuole contrapporre la grande storia del mondo, una storia fatta di potere, di guerre, di denaro, di avidità, sia dal punto di vista politico, sociale, sia dal punto di vista religioso, (il potere dei sommi sacerdoti era a quel tempo molto forte), alla figura di Giovanni, una figura marginale, che se ne sta fuori della città; lontano dal rumore del mondo, dalla potenza, dalla ricerca del potere, dalle armi... ricco soltanto della Parola e della propria integrità, per invitare la gente ad alzare il capo, a guardare lontano, a preparare la strada al Signore che viene.
È un profeta, come tanti nell'Antico Testamento, (avete ascoltato parole di Isaia, Baruc, stamattina). Tanti profeti che hanno aiutato la gente a incontrare Dio, a cercare la sua Luce, a capire che cos'è vivere di fede, a preparare la strada al Signore.
Qualcuno di voi potrà domandarsi: "Ma i profeti sono finiti con Giovanni Battista e poi con Gesù, anche Lui un grande profeta?". Ecco di questo sono sicuro: certamente no! E ne sono sicuro per le esperienze della mia vita.
Lontano dai grandi avvenimenti della storia e anche aldilà delle persone straordinarie che ho incontrato, alcune di persona, altre attraverso i libri e che sono stati per me dei profeti.
I veri profeti sono state per me le persone che ho avuto vicino, che erano veramente ricche soltanto delle loro parole, a volte piccole e della loro integrità, della loro capacità di comunicare il senso della giustizia, dell'altro e anche dell'incontro con il Signore.
E - stamattina - vorrei invitare tutti voi a chiedervi: "Chi sono stati i miei profeti? Chi mi ha fatto intuire qualche cosa di Gesù, dei suoi valori? Chi mi ha fatto capire qualche cosa del senso della vita?".
Io sono stato fortunato... se dovessi raccontarvi di tutti i miei profeti arriveremmo a Natale, (non si può, dovete tornare a casa) ma ce ne sono stati tanti fin da quando ero un bambino piccolo... mio papà, mia mamma.
Un episodio della mia infanzia che mi è rimasto impresso... avrò avuto quattro o cinque anni (era il tempo della guerra) e veniva a casa nostra un signore alto alto, tutto vestito di nero, non gli ho mai sentito dire una parola e tendeva la mano, senza dire niente e mia mamma: "Presto andate a prendere un pezzo di pane, un frutto, qualche cosa...". Un giorno era rimasto in casa solo un arancio e ho detto: "Mamma, c'è un arancio solo, poi io che mangio?". "Quando bussa un povero, bussa Gesù, vai a prendere l'arancio!"
Tanti altri mi hanno insegnato che cosa significa incontrare Gesù. Me lo hanno insegnato anche dei bambini che - a volte - hanno intuizioni straordinarie delle cose essenziali della vita. Me lo hanno insegnato persone anziane (ve le ho già ricordate) che incontravo appena prete (nel 1961 ormai lontano). Venivano la domenica mattina alle sette e mezzo, un po' assonnate e sono state per me testimoni di tenerezza, di rispetto dell'altro, di pazienza, di ricerca vera del Signore, di gratuità totale e da loro non ti sentivi giudicato, ma amato. Ti sentivi incoraggiato ad andare avanti, ti sentivi sostenuto e poi ne ho avuti tanti altri: persone alcune straordinarie, ma - più spesso - di tutti i giorni... amici, qualcuno che incontravo per caso, molti che si dicevano non credenti… sono stati per me dei profeti.
Non prevedevano il futuro, i profeti non prevedono il futuro, ma gettano un raggio di luce sulla vita, ti lasciano intuire valori importanti, ti aiutano a camminare nei momenti difficili, ti prendono per mano, ti rialzano, ti stanno vicino…
Chi sono stati i vostri profeti? Ne avete certamente se siete qui! Ricordateli con tenerezza. Sono stati la ricchezza della nostra vita, quelli che ci hanno fatto conoscere Gesù.
Penso che conoscere Gesù sia stata la più grande fortuna della mia vita, perché - vedete - conoscere Gesù non è semplice. Sono prete ormai da più di cinquant'anni e posso garantirvi che ho incontrato non tante persone che conoscessero veramente Gesù, per cui la religione non fosse soltanto rito, precetti, condanne, minacce di castighi, pratiche, eccetera…
Ho incontrato persone, che chiamo "i miei" profeti, per cui Gesù era vivo, che sapevano comunicarti, attraverso le parole e soprattutto attraverso la vita, le cose essenziali, sapevano farti conoscere Gesù e darti il coraggio di camminare con Lui, anche quando ti sentivi stanco, quando la fede sembrava vacillare: persone che erano testimoni di Gesù e della vita.
Ne avete avuti anche voi! I nostri profeti, i miei profeti, i vostri profeti, ringraziamoli stamattina, cercando di camminare sulla loro strada verso il Signore.
Il Signore ci aiuti.
"Ecco la serva del Signore: avvenga IMMACOLATA CONCEZIONE - 8 Dicembre 2015
per me secondo la tua parola" Luca 1, 26-38
Celebriamo oggi - come penso tutti sapete - la festa dell'Immacolata Concezione di Maria. Una festa che per noi che viviamo nel 2015 ha bisogno di essere decodificata, spiegata.
Vedete - quando ero ragazzo, (penso che sia successo anche a molti di voi, succede a molti anche oggi) ci dicevano che Maria è stata liberata dalla colpa del peccato originale. Una colpa che ogni bambino che nasce si porta dentro. Una colpa che non è sua, ma che viene dall'antico peccato di Adamo ed Eva. Una colpa che lo segna profondamente e che lo rende incapace di incontrare Dio. Tant'è vero che quando dovevano chiedersi i nostri antichi: "Ma un bambino che non ha fatto niente di male, se muore lo mandiamo all'Inferno?" Dicono: "No, in Paradiso non può andare, però troviamo un Limbo, un luogo intermedio, in cui non si soffre, non si gode, ma in cui si sta aspettando non si sa che". Oggi il Limbo, mi pare, che sia scomparso dal linguaggio religioso.
Allora cosa ci resta dell'idea del peccato originale? Cosa ci possiamo trovare dietro? Ecco - se ho capito - "dietro" ci troviamo qualche cosa di fondamentale. Qualche cosa che ci riguarda tutti, in tanti sensi.
Vedete - credo che nessuno di noi abbia dubbi... un bambino che nasce, nasce innocente. Non ha fatto nulla di male. Ma chiedetevi: "Nasce in un mondo innocente? Non c'è niente di quello che hanno fatto quelli che lo hanno preceduto anche nei secoli passati che lo segna, lo condiziona, gli rende difficile fare il bene?"
Allora - se ci pensate - vedrete che non c'è un peccato originale, ma ce ne sono tanti quanti sono gli uomini che vivono sulla terra, perché ciascuno di noi è condizionato in maniera diversa, chi più chi meno e (oggi non ne parliamo, ma ricordatelo sempre) per fortuna non siamo solo condizionati dal male di quelli che ci hanno preceduto, ma anche dal bene. Io, che sono un uomo fortunato, sono stato molto più condizionato dal bene di chi ho avuto accanto, che dal male… ma fino da quando avevo quattordici, quindici anni e ho cominciato a guardarmi intorno, a Trastevere dove vivevo… certi ragazzi che si mostravano particolarmente violenti e aggressivi, mi chiedevo: "Perché, sono così cattivi?" Poi ho avuto la fortuna di conoscere le loro famiglie, l'ambiente in cui sono vissuti e ho detto: "Se fossi cresciuto lì probabilmente sarei peggio di loro". Questi, sì, che sono nati nel peccato originale, cioè un peccato che non era loro, ma di quelli che li avevano preceduti.
Oggi - che siamo diventati acculturati - possiamo dare al peccato originale nomi e cognomi, i più vari, perché - vedete - gli scienziati ci dicono che un uomo può essere condizionato - addirittura - nel suo fisico. Se ti mancano i neuroni-specchio (non so bene che cosa siano, informatevi) sei incapace di relazionarti con il prossimo.
Se hai dei geni nei tuoi cromosomi, che sono inclini alla violenza, (sembra che ci siano) allora per te sarà molto difficile scegliere il bene.
Qualche cosa che conosciamo meglio - ma ancora molto poco - è il condizionamento che un uomo o una donna ricevono fin nei primi mesi e anni di vita. Dicono gli psicologi che le strutture fondamentali di un uomo si formano nei primi tre anni di vita e se hai vissuto un rapporto con tua madre fatto di possesso, di negatività o - addirittura - di rifiuto sei profondamente condizionato per tutta la vita.
Un'altra cosa che conosciamo ancora meglio... se un bambino nasce in un ambiente carico di negatività, come farà a scegliere il bene?
Pensate a un ragazzo che nasce (soltanto per farvi un paio di esempi) in una famiglia mafiosa, che vive fin dall'infanzia senza rispetto, credendo che solo la violenza, la sopraffazione sull'altro sia la legge della vita... come potrà essere un cittadino onesto, scegliere la giustizia?
Oppure, più drammaticamente pensate... uno di questi bambini che vivono nell'Africa dove c'è la guerra e a otto anni gli mettono un fucile in mano. Bambini - spesso - violentati, che subiscono ogni umiliazione: come possono soltanto vedere la possibilità di bene?
Ecco, allora non esiste un peccato originale, ma esistono tanti, diversi condizionamenti che impediscono all'uomo di fare il bene nella libertà.
Allora, c'è un primo compito per noi... non è semplice, ci vogliono anche studi e studi molto profondi di tutti i tipi: sociologici, psicologici, psicanalitici (quello che volete, il mondo ci è diventato complesso)… ma anche noi possiamo, forse, fare qualcosa per togliere qualcuno di questi condizionamenti perché un uomo possa scegliere il bene.
Ma... il Vangelo che oggi abbiamo letto ci da la suprema speranza, ci dice: "È possibile!"
Maria ha saputo andare aldilà di tutto questo! E perché ha potuto farlo? Perchè ha saputo fidarsi di Dio!
C'è, nel Vangelo che abbiamo letto una contrapposizione con la prima pagina dell'Antico Testamento... il "serpente" simbolo del male si presenta con la "mela" a Eva e gli dice: "Se mangi questo, diventerai come Dio e sarai tu l'arbitra del Bene e del Male. Stabilirai tu, in base a quello che ti fa comodo quello che è bene e quello che è male". È la radice di ogni violenza, di ogni sopraffazione: quello che è tuo è mio, se mi serve. Tu mi dai fastidio e, io, ti faccio fuori. Tu occupi una terra e io la conquisto e ti stermino: tutto il male del mondo viene (secondo l'Antica Scrittura) da questa volontà dell'uomo di farsi "come Dio".
Maria dice: "No! Io mi fido di Dio, mi apro a Dio, accolgo il suo progetto".
"Ecco, la serva del Signore, sia fatta per me secondo la Tua volontà". Maria accetta di generare un Figlio, di generare l'amore, di far nascere Gesù. È la possibilità che ogni uomo ha! Ecco perché Maria è per noi - oggi - il grande modello della speranza, della donna che ha saputo dire "sì".
Tutti abbiamo questa possibilità e contemplando Lei possiamo dire: "Come Lei possiamo anche noi andare aldilà dei condizionamenti, per scegliere il bene".
Ma ricordiamoci se siamo stati fortunati e - quindi - siamo stati condizionati dal bene che ci ha preceduto... siamo responsabili di quelli che - invece - sono stati sfortunati. Non siamo tutti uguali. Don Milani diceva: "Non c'è niente di più ingiusto che fare parti uguali tra disuguali". Ricordiamocelo noi che siamo fortunati. Dobbiamo tentare di fare quello che possiamo perché i bambini che nascono, perché la gente che ci sta intorno, perché i giovani che crescono si trovino sempre di più in un mondo che sia pacifico, che abbia dei valori, che li aiuti a fare scelte di libertà e di vita.
Maria può essere un modello. Modello non magico. Modello di una donna che ha saputo credere, che ha saputo scegliere il bene e - forse - è stata così brava da comunicare questo a suo Figlio. Un figlio non nasce nel vuoto, un figlio nasce da una madre e - forse - Gesù deve molto della sua vita a Lei, alla Mamma. La mamma che ha saputo credere e che ha saputo scegliere, che ha saputo andare aldilà del male di questo mondo.
Speriamo di farlo anche noi almeno un po'.
Il Signore ci aiuti.
Tiene in mano la pala per pulire la sua aia III DOMENICA D'AVVENTO - 13 Dicembre 2015
e per raccogliere il frumento nel granaio, ma Luca 3, 10-18
brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile
Oggi tralasciamo le prime parole della pagina che abbiamo letto che - forse - ci permetterebbe di sorridere un poco. Un sorriso amaro nel constatare che i primi cristiani sono un po' come noi - forse - anche peggio e quando mettono in bocca a Giovanni la risposta alla domanda: "Che cosa dobbiamo fare?" Giovanni dice non quello che debbono fare i cristiani, ma quello che devono fare gli altri: i soldati, gli esattori delle tasse eccetera. Per voi sarebbe pericoloso rispondere alla stessa maniera, perché parlereste di cosa deve fare il governo, l'esattore delle tasse, i soldati, i politici... (pensate da voi a cosa invece dobbiamo fare, cercando di essere sapienti).
Vorrei - invece - attirare la vostra attenzione sulle ultime parole. Giovanni annuncia Colui che sta per venire: "Tiene la pala in mano per raccogliere il frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile".
Viene il Giudice, Colui che separa i buoni dai cattivi, brucia il male e premia i buoni. Ma è stato veramente così Gesù? Rispondeva alle attese di Giovanni? Sembra proprio di no! Il Vangelo si preoccupa - in molte pagine - di segnalare la differenza tra Gesù e Giovanni Battista; e Giovanni quando è in carcere manda i suoi discepoli a chiedere: "Sei tu quello che aspettavamo o dobbiamo aspettare un altro?" Evidentemente Giovanni, secondo la prima comunità, è stato profondamente deluso nelle sue attese del Giudice, di Colui che viene per condannare e per premiare.
Gesù è venuto... (se vogliamo usare una parola che a me non piace, perché come tutte le parole grandi debbono essere riempite di significato) nella misericordia. Siamo invitati a riflettere in quest'anno chiamato santo proprio su questa parola: misericordia.
Ma cosa significa? In che senso Gesù è stato misericordioso? Lui ci ha proposto ideali altissimi. Ci ha invitato - addirittura - a perdere la vita per scegliere il bene. Ci ha invitato ad essere perfetti come Dio: esigenze assolute.
Ma poi, la gran parte del suo Vangelo è dedicata ai suoi incontri con la povera gente. Si è paragonato al pastore che va a cercare la pecora che s'è perduta. Si è seduto a tavola con i pubblicani e - quando lo rimproverano - dice: "Non son venuto a cercare i giusti, ma i peccatori"
Pietro che lo tradisce, lo ritrova e lo abbraccia: è la tenerezza, l'attenzione a chi sbaglia, all'ultimo. Gesù non può far pace con le nostre vigliaccherie, con le nostre pigrizie, con i nostri peccati, ma con noi, sì! Ogni volta che ci sentiamo deboli, che facciamo esperienza del peccato non troviamo davanti a noi - nel Vangelo - il giudice che condanna e punisce, ma l'amico che ti mette una mano sulla spalla, il Salvatore che ti illumina, ti apre gli occhi, ti invita a camminare, a cercare ancora.
Per Gesù... se senti di non poter fare grandi cose, sei come la vedova del Vangelo che ha soltanto due monetine da mettere nel tesoro de tempio e dice che tu hai fatto più di tutti gli altri.
Ecco, un cristiano sente Gesù come Uomo della misericordia… io preferisco dire della tenerezza, dell'amicizia e allora potremmo fare una domanda: "Che significa, questo, per me?".
Vedete, per prima cosa credo che debbo fare - io - esperienza della misericordia. Nella mia vita, ho dovuto tante volte (troppe volte) parlare con gente che portava dentro dei grandi sensi di colpa, avevano paura del castigo di Dio incombente, si sentivano puniti dal Signore. Ho parlato (e credetemi non poche volte) con delle mamme che avevano paura di essere punite nei figli e avevo gran voglia di dire: "Ma in che Dio credi? Ma può essere che Dio sia così crudele da punirti in un figlio, una creatura innocente?"
Questa mentalità molti se la portano dentro. Non è il Dio della misericordia, della tenerezza, il Dio che ti viene a cercare, che ti rimette in cammino.
E - allora - se per caso qualcuno stamattina si porta nel cuore qualche senso di colpa, qualche scrupolo, qualche pesantezza, che viene anche da parole dette da persone autorevoli nella Chiesa... buttatele nel cuore di Gesù!
Gesù è venuto per noi, per mostrarci tutta la tenerezza di Dio, (se vi piace la parola) la misericordia di Dio
E cosa significa misericordia verso gli altri? Ecco - vedete - se leggete il Vangelo, Gesù non è venuto per giudicare, ma per chinarsi sugli altri. Non soltanto su chi ha sbagliato, ma anche su chi soffre.
Il Vangelo è pieno di ciechi, di lebbrosi, di storpi, di paralitici e verso tutti questi il Signore va con tenerezza, allontanando da loro... (ha cercato, non c'è riuscito!) l'idea che quella malattia fosse causata da una punizione di Dio. Gesù si è chinato sull'uomo che soffre e invita anche noi a farlo.
Ecco, la tenerezza, l'attenzione, la misericordia che comincia da chi ci sta accanto, che significa tendere una mano a chi ne ha bisogno, che significa - anche - vivere la riconciliazione. A me la parola "perdono" non piace perché è una parola equivoca... ma vivere la riconciliazione, la capacità di superare le difficoltà, di ritrovare la voglia di fare pace, di camminare insieme con tenerezza gli uni verso gli altri, accettando i nostri limiti, le nostre povertà.
E poi - forse - dobbiamo allargare la misericordia al mondo. A questo mondo così complicato che - spesso - sentiamo avvolto da giudizi feroci. Ascoltare la televisione, la radio... sentire certi leader politici italiani e stranieri... cosa che, almeno a me, stringe il cuore. Parole senza misericordia, che non tentano di capire l'altro, che non tentano di capire i drammi della vita. I drammi che avrebbero bisogno di noi, anche quando siamo smarriti e non sappiamo che fare, di un atteggiamento che pone domande, che non giudica, che cerca di vivere la tenerezza e nei limite del possibile cerca di tendere una mano a chi ha bisogno intorno a noi.
Prima di tutto vicino a noi, perché sono le persone che ci stanno vicino che noi possiamo aiutare e poi lontano sempre con uno spirito che è nutrito di rispetto, di tenerezza, di accoglienza, di voglia di riconciliazione: ecco - questo è stato Gesù in mezzo a noi e su questa strada invita a camminare anche noi. Lo sapete: non è strada facile.
Signore ci aiuti
"Benedetta tu fra le donne e IV DOMENICA DI AVVENTO - 20 Dicembre 2015
benedetto il frutto del tuo grembo!" Luca 1, 39-45
Due donne si incontrano, tutte e due sono incinte. Elisabetta già da un po', si comincia a vedere la pancia. Sono sei mesi che porta il suo bimbo in grembo. Un bimbo atteso, desiderato, sperato. Maria ha fatto per la prima volta questa esperienza e da poco. Un Bimbo inatteso, all'improvviso ha fatto irruzione nella sua vita.
Due figli impossibili! Elisabetta è sterile, ormai avanti negli anni, si era quasi rassegnata a non avere un bambino. Maria è - addirittura - vergine. Non "conosce" un uomo. Non si aspettava che le venisse chiesto di mettere il suo corpo a disposizione "dell'oltre", dell'infinito, a fare spazio al Figlio che viene a condividere la vita degli uomini.
Due figli che sono dono, che vengono dall'Alto, che esigono accoglienza, stupore, lo sguardo che allarga il cuore.
Due figli che non sono solo della madre, sono figli che vengono dalle profondità della vita; sono figli che non possono mai essere totalmente loro, che dovranno lasciare andare per una missione... missione di annuncio, di testimonianza… che li porteranno entrambi ad una morte crudele.
Donne che offrono il proprio corpo, la propria vita a qualcuno che viene dall'Alto, che non potranno mai "possedere".
Ma - se ci pensate - non è così per ogni madre? Ogni figlio che nasce non è figlio di Dio? E - per chi non crede - non è il figlio della vita? Noi uomini possiamo costruire un tavolo, una sedia, un auto, addirittura un missile che va tra le stelle, ma un figlio, no! Un figlio viene dalla forza della vita e - per chi crede - un figlio viene da Dio e ogni figlio non è proprietà della madre e del padre. Ogni figlio è libero di andare per la sua strada e - credo - che a Maria e ad Elisabetta sia costato non poco lasciarli andare in una missione che sentivano pericolosa, che li portava ad affrontare la violenza e la cattiveria del mondo.
Lasciarli andare non poterli proteggere e non sentirli nostri, sentirli figli che vengono dall'Alto, figli di Dio, ma - questo - non è il compito di ogni madre e di ogni padre? Un figlio non è del papà e della mamma, un figlio è di Dio!
Un figlio è - soprattutto - di se stesso. Un figlio deve cercare la propria strada. Il papà e la mamma possono solo accompagnarlo, ma mai potranno possederlo: mai potrà essere totalmente figlio loro; sarà sempre il figlio della vita, sarà sempre il figlio di Dio!
E - adesso - guardate un momento queste due donne e - soprattutto - quelle che di voi hanno fatto questa esperienza e che potrebbero, qui, parlare molto meglio di me... ricordino che cosa sono stati quei giorni...
Anzitutto la gioia, lo stupore, la sensazione di qualche cosa di grande, di straordinario che cresce dentro di te, che dilata gli spazi della tua vita. Poi anche le ansie, le preoccupazioni: come sarà questo figlio? Nascerà sano? Cosa diventerà? Sarà una brava persona? Riuscirò a comunicare con lui, ad educarlo? Cosa vorrà fare nella sua vita?
Certo! Molte volte desideriamo che il figlio sia come noi lo vogliamo. Abbiamo dei progetti per lui, ma - poi - si fa esperienza... che questo figlio - in fondo - è altro. Questo figlio deve andare per la sua strada. Questo figlio non posso accoglierlo che nel rispetto, nello stupore, nella meraviglia.
Ed ecco - allora - che queste donne... (e la vostra esperienza) possono insegnarci a preparare il Natale, perché Natale è far nascere un figlio. Un figlio nella nostra vita, perché la nostra fede diventa vera quando Gesù nasce nella nostra esperienza. Quando sappiamo accoglierlo… allora è stupore, è gioia.
La gioia che in questo racconto mitico è rappresentata da Giovanni Battista che nel seno della madre sussulta di gioia. Con questa gioia aspettiamo Gesù che nasce con noi.
Poi anche con la domanda e - forse - la preoccupazione: "Che sarà? Che vorrà da me in quest'anno che viene? Cosa mi chiede? Come potrò seguirlo? Scoprirò qualche cosa della sua Parola? E che vorrà dirmi?"
Ecco, l'attesa, l'accoglienza, spalancare il cuore come hanno fatto Maria ed Elisabetta: è questo prepararci al Natale! Sempre ricordando che quando Maria ascolta l'annunzio dell'Angelo l'unica cosa che sembra capire è che c'è una cugina, lassù sulle montagne, che può avere bisogno di lei e - allora - si dimentica di essere incinta, di avere qualche conato di vomito, qualche disturbo... prende e va!
Va perché, aspettare una vita, accogliere una vita è soprattutto servizio, attenzione all'altro, disponibilità, fare spazio... prima di tutto a chi ci sta accanto e fare spazio a Dio, al Signore nel nostro cuore.
Maria ed Elisabetta ci aiutino a preparare il Natale.
Maria diede alla luce il suo figlio primogenito lo NATALE del SIGNORE - 25 Dicembre 2015
avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia… Luca 2, 1-14
Per tentare di vivere il Natale dobbiamo fare appello a tutta la nostra fantasia, come quella della comunità di Luca, che ha saputo costruire questo straordinario racconto… e allora mettiamoci in cammino anche noi nella notte.
Abbiamo incontrato delle persone che hanno ascoltato l'annuncio di un Salvatore e vanno pieni di entusiasmo a cercarlo, ci incamminiamo anche noi nella notte, ma è buia la notte e fa freddo e non soltanto il freddo del corpo, anche il freddo del cuore, anche il buio della mente.
Specialmente in quest'anno ci guardiamo intorno: il terrorismo, la corruzione, la mancanza di lavoro, la povertà, la violenza… e la paura; c'è paura nel cuore e camminiamo...
Abbiamo veramente bisogno di un Salvatore, ma anche un po' di ansia perché troppe volte abbiamo sentito parlare di salvatori. Chi (come me) ha i capelli bianchi ne ha visti tanti: personaggi che alzavano la voce e affascinavano i popoli, che promettevano il Paradiso sulla terra, il potere e la gloria, avevano la soluzione per tutto... Abbiamo paura di incontrare un salvatore così: hanno spesso prodotto guai immensi!
E continuiamo a camminare. La notte è buia e fredda. C'è in alto la luna, ma la luna ha più domande che risposte. La luna non riscalda, ci vorrebbe il sole!
Possiamo dare la mano a qualcuno che cammina con noi e - questo - già ci dà animo per camminare e un po' ci scalda il cuore. Non c'è niente di più bello che l'amicizia per scaldarci il cuore… e camminiamo, finalmente una capanna.
Una piccola lampada (chissà dove l'hanno trovata) da un po' di luce e là un Bambino appena nato, che grida la sua voglia di vita. Ha bisogno di latte e la mamma si china a offrirgli il suo seno: è la tenerezza... che c'è di più tenero, di più bello di una mamma che allatta un bambino?
Ci fermiamo a guardarlo, stupiti, meravigliati, emozionati e l'Angelo ci dice: "In quel Bambino si manifesta Dio!"
Dio? Così? Senza nemmeno un segno, senza un miracolo, senza qualche cosa di straordinario... No, niente! Quel Bambino continua a gridare, a succhiare il latte della mamma.
E ci guardiamo intorno. Possiamo fare qualche cosa? Magari possiamo offrirgli il nostro cappotto: hanno freddo, possiamo ricoprirli.
Ecco, quel Bambino ha bisogno di noi... e se fosse qui la salvezza? Non noi che abbiamo bisogno di Dio, ma Dio che ha bisogno di noi e guardando quel Bambino ci si scalda il cuore.
Vorremmo che crescesse in fretta perché possa sorriderci... il sorriso di Dio! Farci una carezza: la carezza di Dio!
Crescerà... ci farà un sorriso, ci regalerà una carezza! E ci dirà parole - a volte - ruvide; ci inviterà a seguirlo, a trovare il coraggio della libertà, così difficile per noi.
Ci inviterà a vivere la gratuità, la condivisione della vita, la ricerca della giustizia, la voglia di pace: tutto questo lo farà! Ma per ora... per ora è solo un Bambino! Un piccolo Bambino, un cucciolo d'uomo inerme, indifeso e che ha bisogno di noi.
È Dio che viene a condividere la nostra vita, a camminare con noi. Non può far niente per noi, ma è venuto con noi, a condividere la polvere faticosa di questa terra, a cercare con noi la gratuità, la giustizia e il bene; un piccolo Bambino nelle braccia della mamma, succhia il latte: questo è Natale!
Il Signore ci aiuti.
"Ecco, tuo padre e io, angosciati SANTA FAMIGLIA di GESÙ - 27 Dicembre 2015
ti cercavamo" "Perché mi cercavate? Luca 2,41-52
Non sapevate che io devo occuparmi
delle cose del Padre mio?"
La maggior parte di voi credo che conosca la barzelletta di quel papà che aveva sempre presentato al suo figliolo Gesù come modello di obbedienza, di correttezza. Il bambino torna dal catechismo dove hanno letto questa pagina che abbiamo letto stamattina noi e dice: "Papà, hai visto? Gesù se ne è andato per tre giorni lontano dal padre e dalla madre e quando l'hanno ritrovato, angosciati, gli ha pure risposto male!". Il padre lo guarda un po' perplesso, poi si gira verso il Crocefisso e dice: "Però vedi che fine ha fatto!". Così succede quando si presenta la famiglia di Nazareth come un modello di famiglia, come abbiamo letto anche nella prima preghiera!
Ma, se ci pensate... se c'è una famiglia scombinata è quella di Nazareth. Un padre che non è padre. Una madre che è vergine. Un Figlio che nasce in una capanna. Dei genitori che sono costretti a scappare con Lui, come extracomunitari, in fuga dalla violenza e a rifugiarsi nel lontano Egitto e poi tornano, ma il Figlio per tre giorni se ne va per conto suo e poi risponde male. E quando è diventato grande abbandona la casa, rinunciando al dovere principale e più importante per un uomo ebreo: quello di sposarsi e fare figli, molti figli!
E la mamma e i parenti (il Vangelo di Marco dice: i fratelli) vanno a cercarlo perché pensano che sia diventato matto: vi sembra questa una famiglia modello?! Forse dovremmo ritornare su questa famiglia.
Oggi è difficile presentare un modello di famiglia, perché abbiamo modelli di tutti i tipi. C'è chi si sposa, si separa e poi si risposa, poi - magari – si separa ancora e si risposa. Ci sono coppie che sposano in chiesa. Coppie che sposano in Comune (ormai sembrano la maggioranza). Ci sono molte coppie e sembrano tantissime che non si sposano affatto. Ci sono coppie formate da due soli maschi. Coppie formate da due sole femmine. Ci sono tanti che rimangono soli.
Ci sono bambini, spesso sono figli unici, che crescono custoditi, coccolati, difesi in ogni modo dal padre e dalla madre che lo sentono come un possesso loro, privato.
Mi è capitato più di una volta di ascoltare i lamenti di qualche insegnante nei confronti dei genitori che difendono sempre i figli, qualche volta li denunciano addirittura.
Mi è capitato di ascoltare l'allenatore di una squadretta di calcio che dice: "Sogno di allenare una squadra di orfani, senza che i genitori mi vengano a dire che i loro figli sono dei campioni!".
Ecco sono saltati tutti gli schemi. La famiglia va reinventata e - forse - qui dobbiamo ascoltare veramente Gesù, il quale dice che non è l'uomo fatto per le regole, le tradizioni, le cose che si son sempre fatte, ma le regole, le tradizioni servono per l'uomo; se non sono più utili vanno cambiate! I modelli vanno cambiati per cercare quello che è essenziale nel rapporto umano.
Oggi c'è bisogno di riscoprire tante cose... sia nel rapporto di coppia che è fatto di rispetto, di attenzione l'uno verso l'altro, senza gelosie e volontà di possesso.
Spero che - anche chi ha i capelli bianchi - non rimpianga il tempo che fu. Se (come me) avete conosciuto un po' le famiglie, sapete quanto un tempo c'era di violenza, di sopraffazione, di mancanza di rispetto. Nella mia vita (dovete credermi) ho pregato molto di più perché due persone potessero separarsi, di quanto abbia pregato perché rimanessero insieme. Dove c'è mancanza di rispetto, perché si vive insieme? Se si può (purtroppo a volte non si può, per questo dovevo pregare) è bene che ognuno vada per conto proprio e ci sia il rispetto. Il rispetto per i figli… soprattutto è importante che non siano usati come arma dell'uno contro l'altro.
È importante che le mamme che hanno anche un solo figliolo non lo sentano come un possesso esclusivo. Non investano tutto su quel figlio. Riscoprano il senso della loro maternità. Essere madre significa generare la vita e poi lasciare che il figlio vada per la sua strada e sia libero.
I papà dovrebbero riscoprire la loro autorità, oggi tengono molto a fare gli amici dei figli. Non si può! Un adulto deve essere un adulto, deve rappresentare per il figlio la legge, la giustizia, le cose importanti ed esserne testimone in prima persona. Non può essere soltanto amico e cedere sempre… l'adulto ha qualche cosa da insegnare, da testimoniare al suo ragazzo.
Vedete - siamo in un mondo in cui ci smarriamo, in cui abbiamo tante domande, in cui non sappiamo bene che cosa si può fare, che cosa non si può fare, in cui bisogna reinventare i ruoli. Reinventarli cercando sempre di più le cose essenziali e l'essenziale (per quello che ho capito io) è prima di tutto il rispetto. L'altro, non è mio, debbo capire chi è lui... sia esso il marito, la moglie, un figlio, il nonno, la nonna, l'amante: tutti sono persone che hanno diritto alla mia attenzione, al mio rispetto.
Il rispetto esige a volte il tentativo di riconciliarci! È complicata la vita, ma ci vuole coraggio: a questo ci chiama il Signore. Cercate le cose essenziali. Non pensate a quello che s'è sempre fatto. Non riandate con nostalgia a tempi passati. Erano, in parte, peggiori di quelli di oggi. Guardiamo avanti. Cerchiamo veramente di scoprire la luce che Gesù vuole metterci nel cuore.
Il Signore ci aiuti.
OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 2015-2016 - Vangelo di Luca
INDICE
I DOMENICA DI AVVENTO - 29 Novembre 2015. 1
II DOMENICA DI AVVENTO - 6 Dicembre 2015. 2
IMMACOLATA CONCEZIONE - 8 Dicembre 2015. 4
III DOMENICA D'AVVENTO - 13 Dicembre 2015. 6
IV DOMENICA DI AVVENTO - 20 Dicembre 2015. 7
NATALE del SIGNORE - 25 Dicembre 2015. 9
SANTA FAMIGLIA di GESÙ - 27 Dicembre 2015. 10
II DOMENICA dopo NATALE - 3 Gennaio 2016. 11
Allora vedranno il Figlio dell'uomo I DOMENICA DI AVVENTO - 29 Novembre 2015
venire sulle nubi del cielo… Luca 21, 25-28. 34-36
Comincia oggi l'anno della nostra preghiera e comincia, là, dove abbiamo finito il precedente, riproponendoci il coraggio dell'attesa di Gesù, lo sguardo che guarda lontano, che tenta di costruire il mondo: è la dimensione essenziale, l'aspetto fondamentale della nostra fede. Senza questo la nostra fede diventa religiosità vuota, senza senso.
Le parole che abbiamo ascoltato sono complicate, appartengono ad un mondo di duemila anni fa e hanno bisogno di essere decodificate, tradotte per i nostri giorni... ci provo...
Vedete - a quel tempo in Palestina molta gente pensava che il tempo stesse per finire, che la misura fosse colma. La vita era diventata insopportabile e aspettavano... questione di mesi, di anni, la fine del mondo. La luna, le stelle sarebbero cadute. Il sole si sarebbe oscurato: grandi catastrofi sulla terra… e poi le guerre devastanti.
Oggi, non siamo così ingenui! Il sole non si oscura, le stelle del cielo sono imperturbabili, lontane, seguono il loro corso.
Se vogliamo tradurre, oggi, ci guardiamo intorno e vediamo sulla terra segni pericolosi... il clima si surriscalda sempre di più. I ghiacciai si sciolgono. Il deserto avanza... Anche da noi, in Italia, viviamo - ormai - quasi ogni mese delle catastrofi per alluvioni, smottamenti e la gente rischia di perdere la vita: segni della natura, segni preoccupanti che dipendono non da uno strano destino, ma dai nostri comportamenti.
Poi la violenza, la guerra, il terrorismo, l'emigrazione di popoli e tanta gente che muore e anche qui - forse - dovremmo essere più attenti a vedere che cosa succede, dov'è veramente il male. Vi faccio solo un esempio che mi ha colpito in questi giorni: nell'anno passato sono morti - in Italia - circa tremilacinquecento persone per incidenti stradali. Circa mille persone per incidenti sul lavoro. Sono morte più donne uccise da chi pensava di possederle per amore, di quanti ne sono morti negli ultimi attentati e - forse - per questo dovremmo usare la parola: guerra. Qui tutti possiamo fare qualche cosa. Qui possiamo mettere in gioco la nostra responsabilità
Ecco, di fronte a tutto questo, di fronte a questi aspetti così negativi del mondo, il Vangelo di oggi ci propone il coraggio della speranza. Alzate la testa e guardate lontano, aspettate il Signore, costruite il mondo come Lui voleva... nelle cose quotidiane, ciascuno facendo quello che può senza paura, senza rifugiarsi nel proprio guscio, senza ritirarsi (è una tentazione seria) nella propria religione, nel pensare a guadagnarsi meriti per il Paradiso, a salvarsi l'anima; rifugiarsi nei riti, nelle preghiere, nelle moltiplicazioni di adorazioni, di pellegrinaggi: tutta religiosità che potrebbe finire col diventare pagana.
Il Vangelo ci dice: "Non chi dice Signore Signore, ma chi fa la volontà del Padre". Ecco, fare la volontà del Padre giorno per giorno, come possiamo. Noi uomini di fronte al male, alla violenza, alla morte e anche di fronte agli sconvolgimenti della natura non abbiamo che da prenderci le nostre responsabilità: soprattutto cercare di moltiplicare intorno a noi la gioia, il piacere la vita... anche a ottant'anni si può fare l'amore con passione: fatelo! Si può bere un bicchiere di vino con allegria: fatelo! Si può dare una mano a chi ci sta vicino, si può fare un gesto di tenerezza: è questo l'unico modo che abbiamo per reagire ai segni di morte che ci sono intorno, per costruire la vita.
Poi c'è di più, possiamo educare... non è possibile che nel duemilaquindici ancora ci siano persone - anche giovani - che vivano il rapporto d'amore come un possesso geloso, che porta ad uccidere. Non è possibile! C'è mancanza di educazione, di rispetto, di attenzione verso l'altro, di vita vissuta.
Come ci insegnerà Maria, l'Altro è Altro! Viene da un'altra dimensione, non è mio. Non è mio un figlio. Non è mio un amico. Non è mio un amante. Non è mia la moglie. Non è mio nessuno... è di Dio
Ecco, per questo siamo invitati ad "alzare il capo" ed a "guardare lontano", a non arrenderci al male di questo mondo, a moltiplicare giorno per giorno - come possiamo - il piacere, la gioia, la condivisione della vita, l'attenzione verso l'altro... piccole cose di ogni giorno: ma queste - almeno per qualcuno che ci sta accanto - rendono la vita più bella.
Poi tentiamo di pensare! Tentiamo di non farci condizionare troppo dalla televisione. Ci strappano dal cuore la speranza e non glielo dobbiamo permettere! Il Vangelo ci invita alla speranza, al coraggio di guardare lontano.
Credere è pensare che il Signore ha ragione, che verso di Lui andiamo. Il suo Regno è affidato a noi. Non è qualche cosa di magico che viene sulle nubi del cielo. Viene nel concreto della nostra vita. Lo dice bene il Vangelo di Luca che quest'anno ci accompagnerà: "Non vi aspettate eventi straordinari, perché il Regno di Dio è già in mezzo a voi". Siamo noi che possiamo costruire con coraggio, nei piccoli gesti della vita, i sogni di Gesù.
Il Signore ci aiuti.
Voce di uno che grida nel deserto: II DOMENICA DI AVVENTO - 6 Dicembre 2015
"Preparate la via del Signore, Luca 3, 1-6
raddrizzate i suoi sentieri..."
Dopo i primi due capitoli del Vangelo di Luca che sono dedicati al racconto della nascita di Gesù... il capitolo che parla di Gesù ormai diventato adulto, inizia con le parole che abbiamo ascoltato, cercando di collocare la storia di Gesù nella grande storia del mondo. Avete sentito nominare l'imperatore Tiberio, Pilato, i sommi sacerdoti del tempo Anna e Caifa.
Mi sono chiesto: "Perché tanti altri nomi, Erode, i tetrarchi? Non bastava nominare Tiberio? L'impero di Roma tutti lo conoscono!". Sono convinto che Luca vuole contrapporre la grande storia del mondo, una storia fatta di potere, di guerre, di denaro, di avidità, sia dal punto di vista politico, sociale, sia dal punto di vista religioso, (il potere dei sommi sacerdoti era a quel tempo molto forte), alla figura di Giovanni, una figura marginale, che se ne sta fuori della città; lontano dal rumore del mondo, dalla potenza, dalla ricerca del potere, dalle armi... ricco soltanto della Parola e della propria integrità, per invitare la gente ad alzare il capo, a guardare lontano, a preparare la strada al Signore che viene.
È un profeta, come tanti nell'Antico Testamento, (avete ascoltato parole di Isaia, Baruc, stamattina). Tanti profeti che hanno aiutato la gente a incontrare Dio, a cercare la sua Luce, a capire che cos'è vivere di fede, a preparare la strada al Signore.
Qualcuno di voi potrà domandarsi: "Ma i profeti sono finiti con Giovanni Battista e poi con Gesù, anche Lui un grande profeta?". Ecco di questo sono sicuro: certamente no! E ne sono sicuro per le esperienze della mia vita.
Lontano dai grandi avvenimenti della storia e anche aldilà delle persone straordinarie che ho incontrato, alcune di persona, altre attraverso i libri e che sono stati per me dei profeti.
I veri profeti sono state per me le persone che ho avuto vicino, che erano veramente ricche soltanto delle loro parole, a volte piccole e della loro integrità, della loro capacità di comunicare il senso della giustizia, dell'altro e anche dell'incontro con il Signore.
E - stamattina - vorrei invitare tutti voi a chiedervi: "Chi sono stati i miei profeti? Chi mi ha fatto intuire qualche cosa di Gesù, dei suoi valori? Chi mi ha fatto capire qualche cosa del senso della vita?".
Io sono stato fortunato... se dovessi raccontarvi di tutti i miei profeti arriveremmo a Natale, (non si può, dovete tornare a casa) ma ce ne sono stati tanti fin da quando ero un bambino piccolo... mio papà, mia mamma.
Un episodio della mia infanzia che mi è rimasto impresso... avrò avuto quattro o cinque anni (era il tempo della guerra) e veniva a casa nostra un signore alto alto, tutto vestito di nero, non gli ho mai sentito dire una parola e tendeva la mano, senza dire niente e mia mamma: "Presto andate a prendere un pezzo di pane, un frutto, qualche cosa...". Un giorno era rimasto in casa solo un arancio e ho detto: "Mamma, c'è un arancio solo, poi io che mangio?". "Quando bussa un povero, bussa Gesù, vai a prendere l'arancio!"
Tanti altri mi hanno insegnato che cosa significa incontrare Gesù. Me lo hanno insegnato anche dei bambini che - a volte - hanno intuizioni straordinarie delle cose essenziali della vita. Me lo hanno insegnato persone anziane (ve le ho già ricordate) che incontravo appena prete (nel 1961 ormai lontano). Venivano la domenica mattina alle sette e mezzo, un po' assonnate e sono state per me testimoni di tenerezza, di rispetto dell'altro, di pazienza, di ricerca vera del Signore, di gratuità totale e da loro non ti sentivi giudicato, ma amato. Ti sentivi incoraggiato ad andare avanti, ti sentivi sostenuto e poi ne ho avuti tanti altri: persone alcune straordinarie, ma - più spesso - di tutti i giorni... amici, qualcuno che incontravo per caso, molti che si dicevano non credenti… sono stati per me dei profeti.
Non prevedevano il futuro, i profeti non prevedono il futuro, ma gettano un raggio di luce sulla vita, ti lasciano intuire valori importanti, ti aiutano a camminare nei momenti difficili, ti prendono per mano, ti rialzano, ti stanno vicino…
Chi sono stati i vostri profeti? Ne avete certamente se siete qui! Ricordateli con tenerezza. Sono stati la ricchezza della nostra vita, quelli che ci hanno fatto conoscere Gesù.
Penso che conoscere Gesù sia stata la più grande fortuna della mia vita, perché - vedete - conoscere Gesù non è semplice. Sono prete ormai da più di cinquant'anni e posso garantirvi che ho incontrato non tante persone che conoscessero veramente Gesù, per cui la religione non fosse soltanto rito, precetti, condanne, minacce di castighi, pratiche, eccetera…
Ho incontrato persone, che chiamo "i miei" profeti, per cui Gesù era vivo, che sapevano comunicarti, attraverso le parole e soprattutto attraverso la vita, le cose essenziali, sapevano farti conoscere Gesù e darti il coraggio di camminare con Lui, anche quando ti sentivi stanco, quando la fede sembrava vacillare: persone che erano testimoni di Gesù e della vita.
Ne avete avuti anche voi! I nostri profeti, i miei profeti, i vostri profeti, ringraziamoli stamattina, cercando di camminare sulla loro strada verso il Signore.
Il Signore ci aiuti.
"Ecco la serva del Signore: avvenga IMMACOLATA CONCEZIONE - 8 Dicembre 2015
per me secondo la tua parola" Luca 1, 26-38
Celebriamo oggi - come penso tutti sapete - la festa dell'Immacolata Concezione di Maria. Una festa che per noi che viviamo nel 2015 ha bisogno di essere decodificata, spiegata.
Vedete - quando ero ragazzo, (penso che sia successo anche a molti di voi, succede a molti anche oggi) ci dicevano che Maria è stata liberata dalla colpa del peccato originale. Una colpa che ogni bambino che nasce si porta dentro. Una colpa che non è sua, ma che viene dall'antico peccato di Adamo ed Eva. Una colpa che lo segna profondamente e che lo rende incapace di incontrare Dio. Tant'è vero che quando dovevano chiedersi i nostri antichi: "Ma un bambino che non ha fatto niente di male, se muore lo mandiamo all'Inferno?" Dicono: "No, in Paradiso non può andare, però troviamo un Limbo, un luogo intermedio, in cui non si soffre, non si gode, ma in cui si sta aspettando non si sa che". Oggi il Limbo, mi pare, che sia scomparso dal linguaggio religioso.
Allora cosa ci resta dell'idea del peccato originale? Cosa ci possiamo trovare dietro? Ecco - se ho capito - "dietro" ci troviamo qualche cosa di fondamentale. Qualche cosa che ci riguarda tutti, in tanti sensi.
Vedete - credo che nessuno di noi abbia dubbi... un bambino che nasce, nasce innocente. Non ha fatto nulla di male. Ma chiedetevi: "Nasce in un mondo innocente? Non c'è niente di quello che hanno fatto quelli che lo hanno preceduto anche nei secoli passati che lo segna, lo condiziona, gli rende difficile fare il bene?"
Allora - se ci pensate - vedrete che non c'è un peccato originale, ma ce ne sono tanti quanti sono gli uomini che vivono sulla terra, perché ciascuno di noi è condizionato in maniera diversa, chi più chi meno e (oggi non ne parliamo, ma ricordatelo sempre) per fortuna non siamo solo condizionati dal male di quelli che ci hanno preceduto, ma anche dal bene. Io, che sono un uomo fortunato, sono stato molto più condizionato dal bene di chi ho avuto accanto, che dal male… ma fino da quando avevo quattordici, quindici anni e ho cominciato a guardarmi intorno, a Trastevere dove vivevo… certi ragazzi che si mostravano particolarmente violenti e aggressivi, mi chiedevo: "Perché, sono così cattivi?" Poi ho avuto la fortuna di conoscere le loro famiglie, l'ambiente in cui sono vissuti e ho detto: "Se fossi cresciuto lì probabilmente sarei peggio di loro". Questi, sì, che sono nati nel peccato originale, cioè un peccato che non era loro, ma di quelli che li avevano preceduti.
Oggi - che siamo diventati acculturati - possiamo dare al peccato originale nomi e cognomi, i più vari, perché - vedete - gli scienziati ci dicono che un uomo può essere condizionato - addirittura - nel suo fisico. Se ti mancano i neuroni-specchio (non so bene che cosa siano, informatevi) sei incapace di relazionarti con il prossimo.
Se hai dei geni nei tuoi cromosomi, che sono inclini alla violenza, (sembra che ci siano) allora per te sarà molto difficile scegliere il bene.
Qualche cosa che conosciamo meglio - ma ancora molto poco - è il condizionamento che un uomo o una donna ricevono fin nei primi mesi e anni di vita. Dicono gli psicologi che le strutture fondamentali di un uomo si formano nei primi tre anni di vita e se hai vissuto un rapporto con tua madre fatto di possesso, di negatività o - addirittura - di rifiuto sei profondamente condizionato per tutta la vita.
Un'altra cosa che conosciamo ancora meglio... se un bambino nasce in un ambiente carico di negatività, come farà a scegliere il bene?
Pensate a un ragazzo che nasce (soltanto per farvi un paio di esempi) in una famiglia mafiosa, che vive fin dall'infanzia senza rispetto, credendo che solo la violenza, la sopraffazione sull'altro sia la legge della vita... come potrà essere un cittadino onesto, scegliere la giustizia?
Oppure, più drammaticamente pensate... uno di questi bambini che vivono nell'Africa dove c'è la guerra e a otto anni gli mettono un fucile in mano. Bambini - spesso - violentati, che subiscono ogni umiliazione: come possono soltanto vedere la possibilità di bene?
Ecco, allora non esiste un peccato originale, ma esistono tanti, diversi condizionamenti che impediscono all'uomo di fare il bene nella libertà.
Allora, c'è un primo compito per noi... non è semplice, ci vogliono anche studi e studi molto profondi di tutti i tipi: sociologici, psicologici, psicanalitici (quello che volete, il mondo ci è diventato complesso)… ma anche noi possiamo, forse, fare qualcosa per togliere qualcuno di questi condizionamenti perché un uomo possa scegliere il bene.
Ma... il Vangelo che oggi abbiamo letto ci da la suprema speranza, ci dice: "È possibile!"
Maria ha saputo andare aldilà di tutto questo! E perché ha potuto farlo? Perchè ha saputo fidarsi di Dio!
C'è, nel Vangelo che abbiamo letto una contrapposizione con la prima pagina dell'Antico Testamento... il "serpente" simbolo del male si presenta con la "mela" a Eva e gli dice: "Se mangi questo, diventerai come Dio e sarai tu l'arbitra del Bene e del Male. Stabilirai tu, in base a quello che ti fa comodo quello che è bene e quello che è male". È la radice di ogni violenza, di ogni sopraffazione: quello che è tuo è mio, se mi serve. Tu mi dai fastidio e, io, ti faccio fuori. Tu occupi una terra e io la conquisto e ti stermino: tutto il male del mondo viene (secondo l'Antica Scrittura) da questa volontà dell'uomo di farsi "come Dio".
Maria dice: "No! Io mi fido di Dio, mi apro a Dio, accolgo il suo progetto".
"Ecco, la serva del Signore, sia fatta per me secondo la Tua volontà". Maria accetta di generare un Figlio, di generare l'amore, di far nascere Gesù. È la possibilità che ogni uomo ha! Ecco perché Maria è per noi - oggi - il grande modello della speranza, della donna che ha saputo dire "sì".
Tutti abbiamo questa possibilità e contemplando Lei possiamo dire: "Come Lei possiamo anche noi andare aldilà dei condizionamenti, per scegliere il bene".
Ma ricordiamoci se siamo stati fortunati e - quindi - siamo stati condizionati dal bene che ci ha preceduto... siamo responsabili di quelli che - invece - sono stati sfortunati. Non siamo tutti uguali. Don Milani diceva: "Non c'è niente di più ingiusto che fare parti uguali tra disuguali". Ricordiamocelo noi che siamo fortunati. Dobbiamo tentare di fare quello che possiamo perché i bambini che nascono, perché la gente che ci sta intorno, perché i giovani che crescono si trovino sempre di più in un mondo che sia pacifico, che abbia dei valori, che li aiuti a fare scelte di libertà e di vita.
Maria può essere un modello. Modello non magico. Modello di una donna che ha saputo credere, che ha saputo scegliere il bene e - forse - è stata così brava da comunicare questo a suo Figlio. Un figlio non nasce nel vuoto, un figlio nasce da una madre e - forse - Gesù deve molto della sua vita a Lei, alla Mamma. La mamma che ha saputo credere e che ha saputo scegliere, che ha saputo andare aldilà del male di questo mondo.
Speriamo di farlo anche noi almeno un po'.
Il Signore ci aiuti.
Tiene in mano la pala per pulire la sua aia III DOMENICA D'AVVENTO - 13 Dicembre 2015
e per raccogliere il frumento nel granaio, ma Luca 3, 10-18
brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile
Oggi tralasciamo le prime parole della pagina che abbiamo letto che - forse - ci permetterebbe di sorridere un poco. Un sorriso amaro nel constatare che i primi cristiani sono un po' come noi - forse - anche peggio e quando mettono in bocca a Giovanni la risposta alla domanda: "Che cosa dobbiamo fare?" Giovanni dice non quello che debbono fare i cristiani, ma quello che devono fare gli altri: i soldati, gli esattori delle tasse eccetera. Per voi sarebbe pericoloso rispondere alla stessa maniera, perché parlereste di cosa deve fare il governo, l'esattore delle tasse, i soldati, i politici... (pensate da voi a cosa invece dobbiamo fare, cercando di essere sapienti).
Vorrei - invece - attirare la vostra attenzione sulle ultime parole. Giovanni annuncia Colui che sta per venire: "Tiene la pala in mano per raccogliere il frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile".
Viene il Giudice, Colui che separa i buoni dai cattivi, brucia il male e premia i buoni. Ma è stato veramente così Gesù? Rispondeva alle attese di Giovanni? Sembra proprio di no! Il Vangelo si preoccupa - in molte pagine - di segnalare la differenza tra Gesù e Giovanni Battista; e Giovanni quando è in carcere manda i suoi discepoli a chiedere: "Sei tu quello che aspettavamo o dobbiamo aspettare un altro?" Evidentemente Giovanni, secondo la prima comunità, è stato profondamente deluso nelle sue attese del Giudice, di Colui che viene per condannare e per premiare.
Gesù è venuto... (se vogliamo usare una parola che a me non piace, perché come tutte le parole grandi debbono essere riempite di significato) nella misericordia. Siamo invitati a riflettere in quest'anno chiamato santo proprio su questa parola: misericordia.
Ma cosa significa? In che senso Gesù è stato misericordioso? Lui ci ha proposto ideali altissimi. Ci ha invitato - addirittura - a perdere la vita per scegliere il bene. Ci ha invitato ad essere perfetti come Dio: esigenze assolute.
Ma poi, la gran parte del suo Vangelo è dedicata ai suoi incontri con la povera gente. Si è paragonato al pastore che va a cercare la pecora che s'è perduta. Si è seduto a tavola con i pubblicani e - quando lo rimproverano - dice: "Non son venuto a cercare i giusti, ma i peccatori"
Pietro che lo tradisce, lo ritrova e lo abbraccia: è la tenerezza, l'attenzione a chi sbaglia, all'ultimo. Gesù non può far pace con le nostre vigliaccherie, con le nostre pigrizie, con i nostri peccati, ma con noi, sì! Ogni volta che ci sentiamo deboli, che facciamo esperienza del peccato non troviamo davanti a noi - nel Vangelo - il giudice che condanna e punisce, ma l'amico che ti mette una mano sulla spalla, il Salvatore che ti illumina, ti apre gli occhi, ti invita a camminare, a cercare ancora.
Per Gesù... se senti di non poter fare grandi cose, sei come la vedova del Vangelo che ha soltanto due monetine da mettere nel tesoro de tempio e dice che tu hai fatto più di tutti gli altri.
Ecco, un cristiano sente Gesù come Uomo della misericordia… io preferisco dire della tenerezza, dell'amicizia e allora potremmo fare una domanda: "Che significa, questo, per me?".
Vedete, per prima cosa credo che debbo fare - io - esperienza della misericordia. Nella mia vita, ho dovuto tante volte (troppe volte) parlare con gente che portava dentro dei grandi sensi di colpa, avevano paura del castigo di Dio incombente, si sentivano puniti dal Signore. Ho parlato (e credetemi non poche volte) con delle mamme che avevano paura di essere punite nei figli e avevo gran voglia di dire: "Ma in che Dio credi? Ma può essere che Dio sia così crudele da punirti in un figlio, una creatura innocente?"
Questa mentalità molti se la portano dentro. Non è il Dio della misericordia, della tenerezza, il Dio che ti viene a cercare, che ti rimette in cammino.
E - allora - se per caso qualcuno stamattina si porta nel cuore qualche senso di colpa, qualche scrupolo, qualche pesantezza, che viene anche da parole dette da persone autorevoli nella Chiesa... buttatele nel cuore di Gesù!
Gesù è venuto per noi, per mostrarci tutta la tenerezza di Dio, (se vi piace la parola) la misericordia di Dio
E cosa significa misericordia verso gli altri? Ecco - vedete - se leggete il Vangelo, Gesù non è venuto per giudicare, ma per chinarsi sugli altri. Non soltanto su chi ha sbagliato, ma anche su chi soffre.
Il Vangelo è pieno di ciechi, di lebbrosi, di storpi, di paralitici e verso tutti questi il Signore va con tenerezza, allontanando da loro... (ha cercato, non c'è riuscito!) l'idea che quella malattia fosse causata da una punizione di Dio. Gesù si è chinato sull'uomo che soffre e invita anche noi a farlo.
Ecco, la tenerezza, l'attenzione, la misericordia che comincia da chi ci sta accanto, che significa tendere una mano a chi ne ha bisogno, che significa - anche - vivere la riconciliazione. A me la parola "perdono" non piace perché è una parola equivoca... ma vivere la riconciliazione, la capacità di superare le difficoltà, di ritrovare la voglia di fare pace, di camminare insieme con tenerezza gli uni verso gli altri, accettando i nostri limiti, le nostre povertà.
E poi - forse - dobbiamo allargare la misericordia al mondo. A questo mondo così complicato che - spesso - sentiamo avvolto da giudizi feroci. Ascoltare la televisione, la radio... sentire certi leader politici italiani e stranieri... cosa che, almeno a me, stringe il cuore. Parole senza misericordia, che non tentano di capire l'altro, che non tentano di capire i drammi della vita. I drammi che avrebbero bisogno di noi, anche quando siamo smarriti e non sappiamo che fare, di un atteggiamento che pone domande, che non giudica, che cerca di vivere la tenerezza e nei limite del possibile cerca di tendere una mano a chi ha bisogno intorno a noi.
Prima di tutto vicino a noi, perché sono le persone che ci stanno vicino che noi possiamo aiutare e poi lontano sempre con uno spirito che è nutrito di rispetto, di tenerezza, di accoglienza, di voglia di riconciliazione: ecco - questo è stato Gesù in mezzo a noi e su questa strada invita a camminare anche noi. Lo sapete: non è strada facile.
Signore ci aiuti
"Benedetta tu fra le donne e IV DOMENICA DI AVVENTO - 20 Dicembre 2015
benedetto il frutto del tuo grembo!" Luca 1, 39-45
Due donne si incontrano, tutte e due sono incinte. Elisabetta già da un po', si comincia a vedere la pancia. Sono sei mesi che porta il suo bimbo in grembo. Un bimbo atteso, desiderato, sperato. Maria ha fatto per la prima volta questa esperienza e da poco. Un Bimbo inatteso, all'improvviso ha fatto irruzione nella sua vita.
Due figli impossibili! Elisabetta è sterile, ormai avanti negli anni, si era quasi rassegnata a non avere un bambino. Maria è - addirittura - vergine. Non "conosce" un uomo. Non si aspettava che le venisse chiesto di mettere il suo corpo a disposizione "dell'oltre", dell'infinito, a fare spazio al Figlio che viene a condividere la vita degli uomini.
Due figli che sono dono, che vengono dall'Alto, che esigono accoglienza, stupore, lo sguardo che allarga il cuore.
Due figli che non sono solo della madre, sono figli che vengono dalle profondità della vita; sono figli che non possono mai essere totalmente loro, che dovranno lasciare andare per una missione... missione di annuncio, di testimonianza… che li porteranno entrambi ad una morte crudele.
Donne che offrono il proprio corpo, la propria vita a qualcuno che viene dall'Alto, che non potranno mai "possedere".
Ma - se ci pensate - non è così per ogni madre? Ogni figlio che nasce non è figlio di Dio? E - per chi non crede - non è il figlio della vita? Noi uomini possiamo costruire un tavolo, una sedia, un auto, addirittura un missile che va tra le stelle, ma un figlio, no! Un figlio viene dalla forza della vita e - per chi crede - un figlio viene da Dio e ogni figlio non è proprietà della madre e del padre. Ogni figlio è libero di andare per la sua strada e - credo - che a Maria e ad Elisabetta sia costato non poco lasciarli andare in una missione che sentivano pericolosa, che li portava ad affrontare la violenza e la cattiveria del mondo.
Lasciarli andare non poterli proteggere e non sentirli nostri, sentirli figli che vengono dall'Alto, figli di Dio, ma - questo - non è il compito di ogni madre e di ogni padre? Un figlio non è del papà e della mamma, un figlio è di Dio!
Un figlio è - soprattutto - di se stesso. Un figlio deve cercare la propria strada. Il papà e la mamma possono solo accompagnarlo, ma mai potranno possederlo: mai potrà essere totalmente figlio loro; sarà sempre il figlio della vita, sarà sempre il figlio di Dio!
E - adesso - guardate un momento queste due donne e - soprattutto - quelle che di voi hanno fatto questa esperienza e che potrebbero, qui, parlare molto meglio di me... ricordino che cosa sono stati quei giorni...
Anzitutto la gioia, lo stupore, la sensazione di qualche cosa di grande, di straordinario che cresce dentro di te, che dilata gli spazi della tua vita. Poi anche le ansie, le preoccupazioni: come sarà questo figlio? Nascerà sano? Cosa diventerà? Sarà una brava persona? Riuscirò a comunicare con lui, ad educarlo? Cosa vorrà fare nella sua vita?
Certo! Molte volte desideriamo che il figlio sia come noi lo vogliamo. Abbiamo dei progetti per lui, ma - poi - si fa esperienza... che questo figlio - in fondo - è altro. Questo figlio deve andare per la sua strada. Questo figlio non posso accoglierlo che nel rispetto, nello stupore, nella meraviglia.
Ed ecco - allora - che queste donne... (e la vostra esperienza) possono insegnarci a preparare il Natale, perché Natale è far nascere un figlio. Un figlio nella nostra vita, perché la nostra fede diventa vera quando Gesù nasce nella nostra esperienza. Quando sappiamo accoglierlo… allora è stupore, è gioia.
La gioia che in questo racconto mitico è rappresentata da Giovanni Battista che nel seno della madre sussulta di gioia. Con questa gioia aspettiamo Gesù che nasce con noi.
Poi anche con la domanda e - forse - la preoccupazione: "Che sarà? Che vorrà da me in quest'anno che viene? Cosa mi chiede? Come potrò seguirlo? Scoprirò qualche cosa della sua Parola? E che vorrà dirmi?"
Ecco, l'attesa, l'accoglienza, spalancare il cuore come hanno fatto Maria ed Elisabetta: è questo prepararci al Natale! Sempre ricordando che quando Maria ascolta l'annunzio dell'Angelo l'unica cosa che sembra capire è che c'è una cugina, lassù sulle montagne, che può avere bisogno di lei e - allora - si dimentica di essere incinta, di avere qualche conato di vomito, qualche disturbo... prende e va!
Va perché, aspettare una vita, accogliere una vita è soprattutto servizio, attenzione all'altro, disponibilità, fare spazio... prima di tutto a chi ci sta accanto e fare spazio a Dio, al Signore nel nostro cuore.
Maria ed Elisabetta ci aiutino a preparare il Natale.
Maria diede alla luce il suo figlio primogenito lo NATALE del SIGNORE - 25 Dicembre 2015
avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia… Luca 2, 1-14
Per tentare di vivere il Natale dobbiamo fare appello a tutta la nostra fantasia, come quella della comunità di Luca, che ha saputo costruire questo straordinario racconto… e allora mettiamoci in cammino anche noi nella notte.
Abbiamo incontrato delle persone che hanno ascoltato l'annuncio di un Salvatore e vanno pieni di entusiasmo a cercarlo, ci incamminiamo anche noi nella notte, ma è buia la notte e fa freddo e non soltanto il freddo del corpo, anche il freddo del cuore, anche il buio della mente.
Specialmente in quest'anno ci guardiamo intorno: il terrorismo, la corruzione, la mancanza di lavoro, la povertà, la violenza… e la paura; c'è paura nel cuore e camminiamo...
Abbiamo veramente bisogno di un Salvatore, ma anche un po' di ansia perché troppe volte abbiamo sentito parlare di salvatori. Chi (come me) ha i capelli bianchi ne ha visti tanti: personaggi che alzavano la voce e affascinavano i popoli, che promettevano il Paradiso sulla terra, il potere e la gloria, avevano la soluzione per tutto... Abbiamo paura di incontrare un salvatore così: hanno spesso prodotto guai immensi!
E continuiamo a camminare. La notte è buia e fredda. C'è in alto la luna, ma la luna ha più domande che risposte. La luna non riscalda, ci vorrebbe il sole!
Possiamo dare la mano a qualcuno che cammina con noi e - questo - già ci dà animo per camminare e un po' ci scalda il cuore. Non c'è niente di più bello che l'amicizia per scaldarci il cuore… e camminiamo, finalmente una capanna.
Una piccola lampada (chissà dove l'hanno trovata) da un po' di luce e là un Bambino appena nato, che grida la sua voglia di vita. Ha bisogno di latte e la mamma si china a offrirgli il suo seno: è la tenerezza... che c'è di più tenero, di più bello di una mamma che allatta un bambino?
Ci fermiamo a guardarlo, stupiti, meravigliati, emozionati e l'Angelo ci dice: "In quel Bambino si manifesta Dio!"
Dio? Così? Senza nemmeno un segno, senza un miracolo, senza qualche cosa di straordinario... No, niente! Quel Bambino continua a gridare, a succhiare il latte della mamma.
E ci guardiamo intorno. Possiamo fare qualche cosa? Magari possiamo offrirgli il nostro cappotto: hanno freddo, possiamo ricoprirli.
Ecco, quel Bambino ha bisogno di noi... e se fosse qui la salvezza? Non noi che abbiamo bisogno di Dio, ma Dio che ha bisogno di noi e guardando quel Bambino ci si scalda il cuore.
Vorremmo che crescesse in fretta perché possa sorriderci... il sorriso di Dio! Farci una carezza: la carezza di Dio!
Crescerà... ci farà un sorriso, ci regalerà una carezza! E ci dirà parole - a volte - ruvide; ci inviterà a seguirlo, a trovare il coraggio della libertà, così difficile per noi.
Ci inviterà a vivere la gratuità, la condivisione della vita, la ricerca della giustizia, la voglia di pace: tutto questo lo farà! Ma per ora... per ora è solo un Bambino! Un piccolo Bambino, un cucciolo d'uomo inerme, indifeso e che ha bisogno di noi.
È Dio che viene a condividere la nostra vita, a camminare con noi. Non può far niente per noi, ma è venuto con noi, a condividere la polvere faticosa di questa terra, a cercare con noi la gratuità, la giustizia e il bene; un piccolo Bambino nelle braccia della mamma, succhia il latte: questo è Natale!
Il Signore ci aiuti.
"Ecco, tuo padre e io, angosciati SANTA FAMIGLIA di GESÙ - 27 Dicembre 2015
ti cercavamo" "Perché mi cercavate? Luca 2,41-52
Non sapevate che io devo occuparmi
delle cose del Padre mio?"
La maggior parte di voi credo che conosca la barzelletta di quel papà che aveva sempre presentato al suo figliolo Gesù come modello di obbedienza, di correttezza. Il bambino torna dal catechismo dove hanno letto questa pagina che abbiamo letto stamattina noi e dice: "Papà, hai visto? Gesù se ne è andato per tre giorni lontano dal padre e dalla madre e quando l'hanno ritrovato, angosciati, gli ha pure risposto male!". Il padre lo guarda un po' perplesso, poi si gira verso il Crocefisso e dice: "Però vedi che fine ha fatto!". Così succede quando si presenta la famiglia di Nazareth come un modello di famiglia, come abbiamo letto anche nella prima preghiera!
Ma, se ci pensate... se c'è una famiglia scombinata è quella di Nazareth. Un padre che non è padre. Una madre che è vergine. Un Figlio che nasce in una capanna. Dei genitori che sono costretti a scappare con Lui, come extracomunitari, in fuga dalla violenza e a rifugiarsi nel lontano Egitto e poi tornano, ma il Figlio per tre giorni se ne va per conto suo e poi risponde male. E quando è diventato grande abbandona la casa, rinunciando al dovere principale e più importante per un uomo ebreo: quello di sposarsi e fare figli, molti figli!
E la mamma e i parenti (il Vangelo di Marco dice: i fratelli) vanno a cercarlo perché pensano che sia diventato matto: vi sembra questa una famiglia modello?! Forse dovremmo ritornare su questa famiglia.
Oggi è difficile presentare un modello di famiglia, perché abbiamo modelli di tutti i tipi. C'è chi si sposa, si separa e poi si risposa, poi - magari – si separa ancora e si risposa. Ci sono coppie che sposano in chiesa. Coppie che sposano in Comune (ormai sembrano la maggioranza). Ci sono molte coppie e sembrano tantissime che non si sposano affatto. Ci sono coppie formate da due soli maschi. Coppie formate da due sole femmine. Ci sono tanti che rimangono soli.
Ci sono bambini, spesso sono figli unici, che crescono custoditi, coccolati, difesi in ogni modo dal padre e dalla madre che lo sentono come un possesso loro, privato.
Mi è capitato più di una volta di ascoltare i lamenti di qualche insegnante nei confronti dei genitori che difendono sempre i figli, qualche volta li denunciano addirittura.
Mi è capitato di ascoltare l'allenatore di una squadretta di calcio che dice: "Sogno di allenare una squadra di orfani, senza che i genitori mi vengano a dire che i loro figli sono dei campioni!".
Ecco sono saltati tutti gli schemi. La famiglia va reinventata e - forse - qui dobbiamo ascoltare veramente Gesù, il quale dice che non è l'uomo fatto per le regole, le tradizioni, le cose che si son sempre fatte, ma le regole, le tradizioni servono per l'uomo; se non sono più utili vanno cambiate! I modelli vanno cambiati per cercare quello che è essenziale nel rapporto umano.
Oggi c'è bisogno di riscoprire tante cose... sia nel rapporto di coppia che è fatto di rispetto, di attenzione l'uno verso l'altro, senza gelosie e volontà di possesso.
Spero che - anche chi ha i capelli bianchi - non rimpianga il tempo che fu. Se (come me) avete conosciuto un po' le famiglie, sapete quanto un tempo c'era di violenza, di sopraffazione, di mancanza di rispetto. Nella mia vita (dovete credermi) ho pregato molto di più perché due persone potessero separarsi, di quanto abbia pregato perché rimanessero insieme. Dove c'è mancanza di rispetto, perché si vive insieme? Se si può (purtroppo a volte non si può, per questo dovevo pregare) è bene che ognuno vada per conto proprio e ci sia il rispetto. Il rispetto per i figli… soprattutto è importante che non siano usati come arma dell'uno contro l'altro.
È importante che le mamme che hanno anche un solo figliolo non lo sentano come un possesso esclusivo. Non investano tutto su quel figlio. Riscoprano il senso della loro maternità. Essere madre significa generare la vita e poi lasciare che il figlio vada per la sua strada e sia libero.
I papà dovrebbero riscoprire la loro autorità, oggi tengono molto a fare gli amici dei figli. Non si può! Un adulto deve essere un adulto, deve rappresentare per il figlio la legge, la giustizia, le cose importanti ed esserne testimone in prima persona. Non può essere soltanto amico e cedere sempre… l'adulto ha qualche cosa da insegnare, da testimoniare al suo ragazzo.
Vedete - siamo in un mondo in cui ci smarriamo, in cui abbiamo tante domande, in cui non sappiamo bene che cosa si può fare, che cosa non si può fare, in cui bisogna reinventare i ruoli. Reinventarli cercando sempre di più le cose essenziali e l'essenziale (per quello che ho capito io) è prima di tutto il rispetto. L'altro, non è mio, debbo capire chi è lui... sia esso il marito, la moglie, un figlio, il nonno, la nonna, l'amante: tutti sono persone che hanno diritto alla mia attenzione, al mio rispetto.
Il rispetto esige a volte il tentativo di riconciliarci! È complicata la vita, ma ci vuole coraggio: a questo ci chiama il Signore. Cercate le cose essenziali. Non pensate a quello che s'è sempre fatto. Non riandate con nostalgia a tempi passati. Erano, in parte, peggiori di quelli di oggi. Guardiamo avanti. Cerchiamo veramente di scoprire la luce che Gesù vuole metterci nel cuore.
Il Signore ci aiuti.
In principio era il Verbo, e il Verbo era II DOMENICA dopo NATALE - 3 Gennaio 2016
presso Dio e il Verbo era Dio... Giovanni 1, 1-18
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
"In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio".
Non avete capito niente? No, il dramma sarebbe se aveste capito! Perché queste parole tentano di intuire qualche cosa dell'Oltre in cui abita Dio.
Vedete, i primi cristiani hanno fatto l'esperienza e tentano di comunicarcela che in Gesù di Nazareth hanno fatto qualche esperienza dell'Oltre, dell'infinito in cui abita Dio, e questa esperienza fatta in Gesù di Nazareth sconvolgeva in gran parte il loro modo di pensare a Dio.
I Vangeli di Matteo, di Luca e di Marco affidano il tentativo di dirci chi è Gesù a tutta una serie di racconti simbolici. Quest'anno ne leggeremo parecchi nel Vangelo di Luca. L'altro anno li abbiamo letti nel Vangelo di Marco: sembrano dei racconti di cose accadute e sono - invece - racconti simbolici.
Qui, in queste prime parole del Vangelo di Giovanni... questa comunità ha tentato di fare un canto, un inno che - in qualche - modo esprima attraverso parole; parole astratte, quasi definizioni del catechismo chi è per loro Gesù.
Lo fanno con parole però che, come tutte le parole, sono anch'esse dei simboli che vanno riempiti di senso, di significato. Parole - queste specialmente - che sono lontane, che sono cariche di storia; della storia del mondo greco, che parla del "Logos", della storia ebraica che parla di Sapienza e loro pensano che, in queste parole, esprimano qualche cosa della realtà di Gesù.
Tutto viene dalle ultime parole che abbiamo ascoltato: "Dio, nessuno lo ha mai visto, il Figlio unigenito che è Dio e che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato".
Ecco, l'esperienza fondamentale dei primi discepoli è questa: qualche cosa di Dio si è manifestata in Gesù di Nazareth. L'esperienza di Dio in Gesù di Nazareth è stata per loro, come lo è per molti cristiani... (come lo è stata per me e - forse - anche per voi) sconvolgente perché - in tutte le religioni del mondo - si è abituati a pensare a Dio come all'onnipotente, al provvidente, a colui che custodisce la storia del mondo, a colui che può tutto, che sa tutto...
Ma l'esperienza che già abbiamo fatto in questa notte di Natale... un Figlio che nasce in una capanna nella povertà più totale. Un piccolo Bambino indifeso, inerme... in quel Bambino si manifesta Dio! Ma dov'è la potenza, dov'è l'onnipotenza, soprattutto nella Croce? È un Dio impotente, un Dio che si affida all'uomo!
Nella storia delle religioni Dio viene spesso pensato come il custode della Legge. Colui che con severità giudica e condanna il cattivo e premia il buono. Ma Gesù nel Vangelo parla del pastore che va a cercare la pecora che s'è perduta. Parla di un Padre che quando il figlio torna, fa festa per lui. Ma - allora - chi è veramente Dio? Che esperienza possiamo fare di Lui?
Ecco, i primi cristiani ci dicono: "In Gesù, Dio, si è fatto carne. Andategli dietro. Cercate di intuire attraverso le sue parole, attraverso i suoi gesti qualche cosa di Dio. E non basta! Cercate di intuire qualche cosa di quello che voi siete". Perché - come avete ascoltato - per loro Gesù è la Luce che illumina ogni uomo. Chi sono io, veramente? Fino a che punto sono libero in questo mondo così complicato?
Ecco, i primi cristiani vedono in Gesù un appello alla libertà e alla responsabilità dell'uomo: "Tu sei libero, sei responsabile, hai un grande compito. A te è affidato questo mondo. Io posso camminarti accanto, posso dirti parole, posso portarti la luce nel cuore, ma questa luce serve - soltanto se tu vuoi - a farti un uomo libero, che cammina a testa alta, che è in continua ricerca di quello che è giusto, di quello che è buono"
Quando si vuole fare una caricatura di un cristiano, (badate bene lo fanno anche molti cristiani) ci parlano di uno che sa tutto, che non ha mai dubbi. Non ha dubbi sul senso della vita. Non ha dubbi su quello che è giusto e su quello che è sbagliato. Non ha dubbi su come ci si debba sposare (in questi giorni ci sono discussioni di questo genere)...
Il cristiano è tutt'altro. Il cristiano è un uomo che vive costituzionalmente il dubbio perché deve incontrare "l'oltre", perché deve (in qualche modo) intuire Dio. E Dio non è a sua disposizione. Se potessimo conoscere Dio fino in fondo non sarebbe più Dio. Non sarebbe "l'oltre", non sarebbe l'infinito.
Allora - il cammino cristiano non può essere che ricerca. Ricerca di Gesù, delle sue parole, della sua vita, dei suoi pensieri, dei suoi gesti, del suo cuore. Ricerca "dell'oltre". Ricerca del senso di quello che noi siamo, ricerca della giustizia… ed è una ricerca che non si ferma mai e che cambia nei tempi, perché cambiano le circostanze. Perché cambiano noi uomini e man mano cambia il senso del mondo e abbiamo bisogno - sempre di più - di cercare la Luce di Gesù, di sentirlo accanto a noi.
In quest'anno che ci sta davanti è il Vangelo di Luca che ci accompagnerà con i suoi racconti, con i suoi simboli, con la sua tenerezza, a intuire qualche cosa di quello che c'è nel cuore di Gesù e - quindi - nel cuore di Dio, a intuire qualche cosa di quello che noi siamo, di quella che è la nostra libertà, di quello che è - veramente - essenziale nella vita dell'uomo.
Il Signore ci aiuti.
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria EPIFANIA del SIGNORE - 6 Gennaio 2016
sua madre, si prostrarono e lo adorarono... Matteo 2,1-12
Abbiamo letto il secondo racconto della nascita di Gesù. Questo è dovuto alla comunità di Matteo che, con la sua fantasia, cerca di comunicarci chi è Gesù per loro e che cosa significa essere cristiani.
Non chiedetevi - dunque - qual è la stella. Non esiste nel cielo una stella che sorge da una parte, si ferma su una casa... Non chiedetevi chi sono questi Magi, persone che vengono da lontano. Non chiedetevi se Erode ha fatto - veramente - uccidere tutti i bambini di Gerusalemme: sono simboli.
Simboli che tentano di esprimere il pensiero di questa prima comunità cristiana che cerca di comunicarci chi è Gesù. Gesù - per loro - (come avete ascoltato) è la Luce. È il Signore atteso dalle genti. Per loro - Gesù - è Dio che si fa carne, che diventa uno di noi.
I Magi offrono l'incenso come si offre alla divinità. Per loro - Gesù - è Dio che è venuto a condividere la nostra vita, a portare la Luce dentro di noi e nel mondo, il senso della vita, a portare la salvezza.
Chi sono i Magi, e che cos'è la stella?: simboli. I Magi sono persone che vengono da lontano e inseguono la stella, cercano la Luce. Questo credo che sia fondamentale per questa comunità cristiana.
Il credente è un inseguitore di Luce; non la possiede, la cerca e fa un viaggio lungo, viene da lontano e qui (forse) potremmo aprire anche una parentesi. Anche oggi c'è tanta gente che viene da lontano e che cerca la Luce - magari - senza conoscere Gesù, perché la Luce di Dio si manifesta anche nel creato, negli uomini, nel modo di pensare, di vivere degli uomini - soprattutto - negli uomini che hanno qualche cosa dentro.
La Luce di Dio si manifesta nei bambini e - allora - c'è gente che viene da lontano e che sono inseguitori di Luce: questo è il credente. Uno che insegue la Luce e non si stanca. Attraversa deserti, entra nella "città" e la Luce nella città diventa fragile!
Avete ascoltato... la stella scompare, non la vedono più! La ritrovano quando escono dalla "città". Chi c'è nella città? La "folla"! La folla che si agita. La folla che tutte le generazioni dei cristiani hanno conosciuto. La folla che conosciamo anche noi e (qualche volta) ce la portiamo anche dentro. La folla che non ha voglia di pensare, che si lascia agitare dalle mode. La folla che va dietro a colui che grida, ascolta il fanatico, che propone soluzioni definitive per la storia dell'uomo.
La "folla" che non riesce a vivere la propria libertà, che rinuncia alla libertà e la affida ad altri, a quelli che pensano per loro, che agiscono per loro. Quando la Luce si manifesta la "folla", spesso la rifiuta.
Ma nella città non c'è solo la folla, ci sono anche i sapienti, quelli che "sanno", che a domanda rispondono prontamente. Loro "possiedono" la verità, ma nessuno di loro si muove a cercare. Nessuno di loro insegue la "stella".
Nella città non ci sono soltanto i sapienti. Nella città c'è anche Erode. Il segno della violenza: un simbolo... Probabilmente Erode non ha ucciso tutti i bambini di Betlemme; è una cosa impensabile! Ma non dobbiamo andare tanto lontano per vedere i bambini morti sulla spiaggia del mare! I bambini uccisi dalla violenza di questo mondo!
Ecco, Erode è il simbolo della violenza. Una violenza che un cristiano, un credente dovrebbe guardare con orrore e - purtroppo - non sempre succede!
I papi, i vescovi, i preti, ma anche i mullah, gli ayatollah, le guide supreme credono di possedere la verità, di parlare in nome di Dio, ed è una bestemmia! Nessuno può parlare in nome di Dio! Non solo... ma i preti, i vescovi, i mullah, gli ayatollah, le guide supreme non hanno orrore della violenza e - questo - è bestemmiare Dio, perché Dio non ama la violenza.
Il Dio in cui crediamo è il Dio della pace e quando si crede di possedere la verità e quando non si ha orrore per la violenza, grandi tragedie accadono nella storia degli uomini.
Pensate non soltanto a quello che succede oggi, pensate alle Crociate, pensate alle guerre di religione che hanno devastato l'Europa nei tempi passati.
Ecco, il credente è uno che insegue la luce, che non pensa mai di possederla. Il credente è uno che ha orrore della violenza, che cerca la pace, il rispetto dell'uomo! Per questa prima comunità cristiana è uno che insegue la luce senza stancarsi e in Gesù intuisce qualche cosa della luce di Dio e non si contenta e continua a cercarLo, a sentirLo presente nella propria vita e tenta di vivere di Lui e portarsi nel cuore i valori di Gesù, i sogni del suo cuore, di viverli giorno per giorno in una ricerca incessante di senso, di giustizia, di pace, nel rispetto verso gli uomini.
Si guarda intorno e sa che non è solo in questa ricerca, che ci sono tanti... di tutti i popoli, di tutte le religioni che - come lui - vanno cercando la giustizia e il bene. Uomini liberi che cercano di non farsi condizionare e che continuano a cercare… a cercare la Luce. Alcuni di loro non sanno pronunziare il nome di Gesù, ma li possiamo sentire compagni di strada, se non sono intolleranti, fanatici, se sono uomini dal cuore fragile, appassionati di luce, cercatori di senso.
Il Signore aiuti anche noi ad esserlo in quest'anno che comincia.
E venne una voce dal cielo: "Tu sei BATTESIMO del SIGNORE -10 Gennaio 2016
il Figlio mio, l'amato: in te ho posto Luca 3, 15-16.21-22. Isaia 40, 1-5.9-11
il mio compiacimento"
Il primo incontro con una persona straordinaria difficilmente si dimentica. Per i primi discepoli di Gesù... Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni, il primo incontro con Lui è stato proprio intorno a Giovanni, quando anche Gesù, insieme con loro, si fa battezzare.
Il ricordo di Gesù che si mette in fila con loro e cammina verso l'acqua del Giordano: un rito di purificazione, di rinnovamento.
Pian piano, questo ricordo diventa - per loro - anche imbarazzo. Perché Gesù si è fatto battezzare? Non toccava a Lui battezzare Giovanni? Infatti in un altro Vangelo è Giovanni stesso che dice: "Sei Tu che devi battezzare me e non io che devo battezzare Te!".
Con imbarazzo ripetono questo racconto e poi cercano di capire. Tentano di intuire quello che è il messaggio fondamentale della nostra fede.
In Gesù di Nazareth - Dio - è venuto a camminare con noi. Si è messo accanto a noi e prima di parlare, prima di pronunciare parole importanti, di fare gesti, di mettersi al servizio, viene a condividere la nostra vita.
"Essere con", prima di "fare per". Condividere, mettersi accanto, camminare insieme, stare con te, guardarti negli occhi, ascoltarti... I primi cristiani sentono che in Gesù - Dio - si fa compagno di strada, viene a condividere.
Ma non è questo il segreto più profondo di ogni rapporto umano? Prima di fare qualche cosa per un altro... l'importante è condividere con l'altro qualche cosa, è sentirsi vicini, compagni di strada, essere capaci di ascoltare, di guardarsi negli occhi, di stare accanto... poi si può fare, si può parlare.
Vedete - capita di ascoltare dei genitori (dei papà, spesso) che dicono: "Ho fatto tanto per mio figlio, ho fatto tutto per lui: lavoro dalla mattina alla sera e non gli ho fatto mancare niente, eppure...".
E ti viene da domandare: "Ma quanto sei stato con lui? Quanto sei stato capace di ascoltare, di condividere, di camminare insieme?" E la risposta, spesso è: "Ma ho fatto tutto per lui, penso solo a lui!" "Ma lo ascolti?".
Ecco, i primi cristiani dicono: "In Gesù Dio, prima di parlarci, prima di fare qualche cosa è venuto a mettersi accanto a noi, a camminare con noi… rimane loro impresso il ricordo di Gesù che si mette in fila con tutti quelli che vanno a farsi battezzare. Un oscuro falegname con le mani callose che viene da Nazareth, un paese sperduto, che nessuno conosce. Lo hanno incontrato là e pian piano hanno capito che in quel falegname - Dio - si faceva loro compagno di strada.
Ma c'è anche un'altra cosa che hanno capito riflettendo su questo avvenimento, che è stato per loro - forse - il primo incontro con Gesù. Hanno capito qualche cosa che - secondo me e sono convinto secondo loro - è il cuore stesso del Vangelo.
Gesù viene a dire che quello che è importante è l'uomo, ogni uomo. L'uomo viene prima dei principi, delle idee, delle tradizioni, delle leggi, delle regole. Il Vangelo ripete tante volte: "Nonè l'uomo fatto per il sabato, ma il sabato è fatto per l'uomo".
Ecco, rimettere al centro l'uomo, quello che conta è questo uomo: bisogna essere in grado di ascoltare, di capire, di condividere, di sentire che si è compagni di strada.
Troppe volte nella vita della Chiesa le leggi, i principi, i dogmi passano prima dell'uomo. Si rischia di bruciare la gente sul rogo, di pensare che le persone siano eretiche, perchè non si è capaci di ascoltare, di mettersi accanto, di camminare insieme, di essere certi che prima dei principi, delle regole, delle leggi, della morale... viene l'uomo e gli uomini (per fortuna) sono tutti diversi.
E anche oggi il principio (che ritengo fondamentale nel Vangelo) che l'uomo deve precedere le regole, è importante quando vi capita di riflettere sul matrimonio, sulle persone omosessuali, sulle unioni, sulle adozioni, sull'eutanasia, sulla limitazione delle nascite, sull'aborto... tutti questi discorsi spesso sono fatti in nome di principi... No, prima del principio c'è questa persona! Questa persona che soffre, che ha diritto di essere guardata negli occhi e... viene prima di tutto!
Ecco, questo i primi cristiani (io credo) hanno intuito in questo gesto che Gesù fa di mettersi accanto a loro, camminare con loro. È un gesto - per loro - sconvolgente, leggono ogni sabato come abbiamo fatto questa mattina le letture di Isaia (sono parecchie) abbiamo letto: "Ecco il Signore viene con potenza, il Suo braccio esercita il dominio".
Ma quale potenza, quale braccio? Il falegname che cammina con te e ti guarda negli occhi! Allora - se posso darvi un consiglio stamattina, (non bisognerebbe mai farlo!) quando venite a fare la Comunione e vi mettete in fila, immaginate che Gesù non sia quassù al posto mio, ma che cammini con voi. In fondo (se ci pensate) quando Gesù ha spezzato il Pane nell'Ultima Cena, ha mangiato anche Lui.
Allora, immaginate che Gesù sia accanto a voi e possiate guardarLo. Accanto a voi così come siete... Chi in un momento felice e sereno della vita. Chi con qualche tormento nel cuore. Chi con uno scrupolo. Chi si sente peccatore. Chi - magari - ha paura di Dio...
Puoi aver paura di chi ti cammina accanto e ti prende sottobraccio e viene a mangiare con te? A condividere il Pane con te?
Ecco cosa c'è (secondo me) in questo straordinario racconto del Vangelo in cui Gesù si mette in fila con tutte queste persone che vanno a ricevere il Battesimo da Giovanni. Gesù si mette in fila con tutti noi, stamane, che veniamo a nutrirci di Lui. Ci cammina accanto. Vuole condividere la nostra vita, la nostra gioia e i nostri dubbi, le nostre sofferenze e i nostri piaceri. Vuole condividere quello che siamo, ognuno diverso dall'altro: questo è il cuore stesso della nostra fede. Dio si fa carne, si fa compagno di strada, si fa amico del viaggio, viene a camminarci accanto.
Il Signore ci aiuti.
In quel tempo vi fu una festa II DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 17 Gennaio 2016
di nozze a Cana di Galilea… Giovanni 2, 1-11. Isaia 62, 1-5
Non chiedetevi che tipo di vino sia quello che Gesù ha prodotto dall'acqua... se sia un barolo, un prosecco o uno dei tanti straordinari vini del nostro paese. Non chiedetevi nemmeno: "Che senso ha sprecare un miracolo per dare l'ultimo bicchiere di vino a gente che (come avete ascoltato) era già quasi ubriaca e che rischiava di non tornare a casa?".
Qui, ci troviamo davanti ad un segno. Non si tratta di fatti accaduti tanto tempo fa, ma della fantasia dei primi cristiani che tentano di trasmetterci il senso della loro fede.
Chi è per loro Gesù? Qui lo fanno riprendendo un tema che ha attraversato tutta l'Antica Scrittura. Dio è lo Sposo del suo popolo, e loro dicono: "In Gesù di Nazareth Dio è venuto a celebrare le nozze con noi".
Avete ascoltato - anche oggi - una delle pagine del profeta Isaia in cui si parla dello sposo: "Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te".
E ci sono altre pagine straordinarie nell'Antico Testamento. Nel Libro del profeta Osea, nel Libro di Isaia, c'è il grande poema del Cantico dei Cantici. Un Cantico che l'antica tradizione interpretava proprio come l'amore appassionato di Dio per il Suo popolo. Un amore - spesso - tradito, ma Dio non si pente, vuole bene alla Sua gente, si sente sposato con loro. Ecco, la comunità di Giovanni, dice: "Gesù è lo Sposo". Ma la stessa cosa dice anche la comunità Matteo che riporta la parabola del "banchetto di nozze": un Re fece un banchetto di nozze per il suo Figlio. Il Re è Dio e il Figlio è Gesù. Parla poi delle dieci ragazze che vanno incontro allo sposo. E nel Vangelo di Marco Gesù dice che i discepoli non possono digiunare finché lo sposo è con loro.
Un banchetto di nozze - dunque - una festa. Una festa che (come avete ascoltato) per la comunità di Giovanni si compirà soltanto "nell'ora" di Gesù. Gesù dice alla Madonna: "Non è ancora giunta la mia ora". Anche questo un segno! Per la comunità di Giovanni "l'ora" è la morte e Risurrezione del Signore. Gesù manifesta la totalità del suo amore per noi donando la vita. È lì che si realizza la pienezza del suo amore.
Il rapporto della Chiesa e il rapporto dei credenti con Dio è come un rapporto sponsale. È stato vissuto nella storia cristiana nella tradizione mistica, soprattutto dalle grandi mistiche che hanno vissuto il loro rapporto con Dio come un innamoramento. Pensate a Santa Teresa, a santa Caterina da Siena, a sant'Angela da Foligno e ce ne sono tante altre...
Andate (se vi capita) a vedere la statua del Bernini: "L'estasi di santa Teresa" nella chiesa che sta vicino alla Stazione Termini: un amore quasi erotico, un amore totale che solo i mistici sanno esprimere. Ecco, è il rapporto più profondo che un credente riesce ad esprimere nel rapporto con il Signore. Si sente amato e sente di doversi innamorare di Lui.
Innamorarsi con il sentimento ma - soprattutto - nella pratica, nella vita. Maria dice ai servi: "Fate tutto quello che Egli vi dirà".
Dunque - per i primi cristiani il rapporto della Chiesa con il suo Signore è il rapporto dello "sposo" con la "sposa". Un rapporto di amore, di tenerezza, di ricerca, di tradimenti, di storie che ricominciano, senza fermarsi mai.
Ma, c'è anche un'altra cosa, per me sconcertante in questa pagina. Il primo segno è un segno di festa, di piacere, un segno (se volete) oltre il limite perché questa gente è quasi ubriaca. Non solo, si parla dell'acqua che faceva parte del rito della "purificazione". Il senso cupo del peccato, della colpa. Via...! Festa, gioia, piacere! Così loro intendono! Perchè questo è stato tradito dal cristianesimo? Perché anche queste mistiche si flagellano, si mettono i cilici... perché le hanno costrette al masochismo? E come nel caso di santa Caterina - addirittura - all'anoressia, a lasciarsi morire.
Perché nella Chiesa si è sempre affermato (ancora oggi da qualche prete) che il Signore ama la sofferenza, il sacrificio, le rinunce, ama la penitenza! Perché non si legge il Vangelo?!
Il segno di Gesù è un bicchiere di vino! E il bicchiere di vino - nella tradizione ebraica - è il segno della festa, del piacere, della gioia e - quindi - quando tornate a casa... se c'è qualcuno che gradisce il vino... dategliene un bel bicchiere, magari da quella bottiglia buona che avete messo da parte: è un segno di Dio, è un segno della "festa".
Anche qui usiamo il vino e ci dimentichiamo - qualche volta - che è il segno della festa. Se a casa c'è qualcuno che il vino non lo può bere... fate una carezza, qualche altra cosa... insomma un segno di gioia, di piacere, di tenerezza; sempre ricordando che il nostro rapporto con Dio è espresso bene da queste parole: "Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te".
Il rapporto dell'uomo con Dio non può essere un rapporto di paura, di timore, di sacrificio, di rinuncia... ma di gioia. Una gioia da chiedere, da cercare, una gioia da spargere come possiamo intorno a noi. Non è sempre facile.
Il Signore ci aiuti.
Gli fu dato il rotolo del profeta III DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 24 Gennaio 2016
Isaia... "Oggi si è compiuta questa Luca 1,1-4; 4,14-21
Scrittura che voi avete ascoltato"
Forse avete notato (magari dai numeri che ci sono all'inizio della pagina del Vangelo che abbiamo letto) che sono stati uniti due testi lontani. L'inizio del Vangelo di Luca e poi alcune frasi del quarto capitolo. Questo ci permette di fare una riflessione su quello che facciamo qui ogni domenica
Anche nell'Antico Testamento (come avete ascoltato) si leggeva il Libro della Legge e così al tempo di Gesù ogni sabato ci si ritrovava nella sinagoga insieme e si leggeva una parte dell'Antica Scrittura. Noi leggiamo anche qualche pagina della Nuova Scrittura e Luca ci dice, e - questo è interessante per noi - come si è formata questa Scrittura.
Come si è formato il Vangelo? Sono passati dalla morte di Gesù a quando il Vangelo di Luca si completa circa cinquant'anni. Che cosa è successo in questi cinquant'anni?
Come avete ascoltato, prima alcuni hanno raccontato e sono diventati "Ministri della Parola". Quindi persone che annunciano la Parola e nella Parola la propria fede, la propria interpretazione della vita di Gesù… e sono molti.
Molti hanno anche provato a scrivere qualche cosa: man mano che i cristiani si diffondono nel mondo si sentiva il bisogno di scrivere qualche foglio. Luca li raccoglie tutti, li mette in ordine ed è quello che leggiamo noi, qui.
Dietro quello che leggiamo qui c'è la storia di tante persone; persone diverse. Ciascuno ha fatto la sua esperienza di Gesù di Nazareth. Esperienza personale, diversa l'uno dall'altro. Esperienza di cristiani che ricordano, interpretano, raccontano prima a voce e poi mettendo per iscritto.
Quando leggiamo queste cose scritte tanto tempo fa dovremmo renderci conto che il loro modo di parlare e di scrivere è profondamente diverso dal nostro. Io parlo dicendo tutte parole relativamente astratte. Non vi racconterò nessun fatto. Loro - invece - raccontano solo storie, ma storie simboliche, che gli studiosi chiamano mitiche; perché attraverso il mito si coglie quello che è l'esperienza di una persona. Dunque i primi cristiani tentano di trasmetterci, attraverso le Parole che leggiamo la domenica, l'esperienza viva di Gesù di Nazareth.
Nella seconda parte trovate qualche cosa di fondamentale. Il sabato (loro lo facevano il sabato, noi la domenica) si ritrovavano per leggere la Scrittura. Gesù prende il rotolo (a quel tempo non c'erano i libri, ma rotoli di pergamena) apre, legge un testo del profeta Isaia, scritto qualche secolo prima. Legge... poi si siede e dice: "Oggi si è compiuta questa Scrittura".
Il profeta Isaia parlava di sé secoli prima. La comunità di Luca dice: "In Gesù di Nazareth si è compiuta quella Scrittura" È diventata viva, adesso! Adesso questa Parola fa parte di Gesù e in questa Parola riconosciamo la nostra esperienza che abbiamo fatto di Gesù di Nazareth.
Il Vangelo smette di essere Parola scritta su un Libro quando per tutti noi diventa "oggi". Voi andate a casa e le letture che facciamo la domenica del Vangelo diventano... qui siamo ottanta, novanta persone… ottanta, novanta letture diverse perchè ciascuno di noi deve dire: "Oggi…!"
E "oggi" cosa significa per me? Qual è la mia sensibilità? È diversa per un bambino. È diversa per una persona nel fiore degli anni. È diversa per un anziano. È diversa per una persona impegnata in lavori complicati. È diversa per un uomo semplice. È diversa per chi ha fatto studi complessi e per uno che ha fatto solo le scuole elementari. Capisce di più quello che ha fatto gli studi universitari di quello che ha fatto solo le elementari? Nel Vangelo, no! Io ho studiato tanto, anche il Vangelo. Mia mamma ha fatto solo la terza elementare, ma lei aveva capito il cuore del Vangelo più di quanto l'ho capito io!
Siamo diversi! Il Vangelo diventa vivo quando "oggi" mi dice qualche cosa, quando "oggi", in qualche modo faccio mia l'esperienza dei discepoli di Gesù.
Abbiamo un altro problema... quando leggiamo il Vangelo, abbiamo dietro le spalle una tradizione, un modo di interpretarlo o - qualche volta - più che di interpretarlo di trascurarlo.
Questa riflessione mi viene suggerita da una parola che qui è stata tradotta. Ho letto: "Il Signore mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio". Ma all’inizio ho detto: "Dal Vangelo secondo Luca": la parola greca è la stessa, avrei dovuto leggere: "Dal lieto annunzio di Luca". Perche hanno lasciato "Vangelo"? La parola in greco è la stessa! Perché?
Qualcuno di voi può dire: "Ma che importa?" Beh! Nella mia esperienza è stato fondamentale.
Vedete - io (credo sia successo anche a molti di voi) sono stato educato alla fede con tutta una serie di precetti, di regole, di ordini, di divieti, di paure, di ansie... l'occhio di Dio che mi scrutava anche quando andavo nel bagno, la paura di Dio... Mi sembrava che la religione fosse qualche cosa di cupo, di negativo, che imponesse soltanto regole e proibizioni. Ci vogliono anche quelle: certo, ma se è solo quello non c'è più fede! Potete immaginare - allora - il mio stupore quando ho letto il Vangelo, Gesù dice di sé: "Sono venuto a portare il lieto annuncio ai poveri, la liberazione ai prigionieri, la libertà agli oppressi, la vista ai ciechi..." Ma - allora - è festa, è libertà, è vita! Non c'è più paura! È cambiato il mio modo di vedere la religione, perchè era cambiato il modo di ascoltare il Vangelo.
Ecco, vorrei che per tutti voi questo Vangelo diventi vivo, che sia veramente un "lieto annunzio". Un annunzio di libertà, di vita, di ricerca dei valori essenziali, delle cose belle della vita… allora Gesù diventa vivo, se ne va la paura di Dio. La Parola mi fa libero, mi apre gli occhi… Lui è venuto a ridare la vista ai "ciechi"!
Vorrei che usciste da questa chiesa portandovi dietro una delle più belle parole (secondo me) dell' Antico Testamento che abbiamo ascoltato nella prima lettura: "Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza".
Ve lo auguro di cuore: la gioia del Signore sia la vostra forza: per questo è venuto Gesù, per portarci un lieto annunzio, per darci la vita, per farci liberi, per aprirci gli occhi.
Il Signore ci aiuti.
"Io vi dico: nessun profeta è IV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 31 Gennaio 2016
bene accetto nella sua patria..." Luca 4, 21-30
Se vi capita di andare a Nazareth non cercate il ciglio del monte sul quale la città è stata costruita: non cercatelo perché non c'è! Nazareth è un villaggio di pianura.
Il monte serve a Luca solo per sottolineare e drammatizzare il rifiuto di Gesù.
Ve l'ho ripetuto tante volte (vi sarete annoiati) questi sono racconti simbolici; non sappiamo cosa sia accaduto là. Attraverso questi racconti le prime comunità cristiane tentano di rispondere alla domanda più inquietante e angosciosa che attraversa la loro vita e tutto il Vangelo.
Perché gli Ebrei... - coloro che erano eredi della grande tradizione, che ogni sabato leggevano (come noi) gli antichi profeti e sentivano parlare di Elia, di Eliseo - perché non hanno accolto Gesù? Perché soprattutto gli abitanti di Nazareth, quelli vicini, hanno rifiutato Gesù?
Ma non basta! Perché queste comunità si interrogano... adesso siamo noi i "suoi", il Vangelo dice che i suoi non l'hanno accolto. Anche noi corriamo il rischio di non accogliere Gesù, di non accogliere il Profeta! Perché...? Tentano di darsi delle risposte!
La prima risposta che trovate soprattutto negli altri Vangeli (perché il problema è comune a tutti e tre i Vangeli, di Marco, Matteo, Luca) è: gli uomini fanno fatica ad accettare le novità, in tutti i campi: nella scienza, nell'arte, nella cultura, nella letteratura, nella religione.
Poi una persona che abbiamo visto crescere, che conosciamo bene, come fa a cambiare? Dicono: "Ma non è il figlio di Giuseppe, di Maria? Non ci sono qui tra noi i suoi fratelli: Giacomo, Giuseppe, Simone, Giuda e le sue sorelle? Non ha fatto il falegname per trent'anni e adesso che fa? Perché si mette a predicare?" È difficile accettare che una persona ad un certo punto assume un altro ruolo e diventa quasi un'altra persona, ha qualcosa di importante da dire...
Ma, il Vangelo di Luca non si contenta e tenta di andare oltre e di porsi - forse - le domande fondamentali. Che cosa cercano gli abitanti di Nazareth? Le parole che mettono in bocca a Gesù lo esprimono chiaramente: "Medico cura te stesso" cioè: "Tu sei uno di noi e - quindi - lavora per noi. Quello che hai fatto a Cafarnao: i miracoli, le guarigioni, fallo anche qui da noi!
Cosa cercano gli abitanti di Nazareth, si domandano questi cristiani! Cercano i miracoli. Forse a loro interessano poco le parole di Gesù (le abbiamo lette domenica scorsa, se vi ricordate) dice che è venuto "a portare ai poveri il lieto annunzio, la liberazione ai prigionieri, la libertà agli oppressi, la luce ai ciechi"... Noi vogliamo i miracoli, abbiamo bisogno di cose concrete, soldi, guarigioni...! E la gratuità?!
Ecco, se non c'è gratuità nella ricerca, probabilmente Dio non si incontra. È qualche cosa che attraversa il Vangelo. Dio va ricercato nella gratuità, nei valori, nella luce, nella libertà, nella pienezza della vita… se Lo ricerchiamo soltanto perché le cose ci vadano bene - spesso - siamo delusi.
Ma a Luca non basta nemmeno questo! Vuole andare ancora più avanti e lo fa mettendo in bocca a Gesù il ricordo di due racconti dell'Antico Testamento: "C'erano molte vedove in Israele… ma a nessuna fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone: una straniera! Cerano molti lebbrosi in Israele, ma è stato guarito solo Naaman, il Siro: è pagano!" Ma - allora - Dio a chi vuole bene? Da che parte sta? Siamo sicuri che sta con noi? Ecco l'intuizione di questi due racconti dell'Antico Testamento è che Dio lo possiamo trovare anche nei pagani... in chi è diverso da noi.
La tentazione più grave (secondo queste prime comunità cristiane) e che il credente fa fatica a superare è: Dio sta con noi!
Non c'è bastato nemmeno vedere per anni sulle cinture delle SS scritto: "Dio è con noi" per capire che Dio "non sta" con noi! Dio sta dappertutto e dobbiamo riconoscerLo...
Perché non lo raccontate ai vescovi? Perché non li aiutiamo a capire che Dio può stare da un'altra parte e che anche altri possono aver ragione, essere portatori di valori?
Questo non vale soltanto per i vescovi e per i grandi problemi che affliggono la terra - questo - vale per ciascuno di noi.
Il papà e la mamma che pensano di possedere la verità, di parlare in nome di Dio, di sapere quello che è giusto e quello che è sbagliato rischiano di non essere capaci di ascolto, di dialogo. Qual è la verità? Rischiano di rovinare i figli!
Dio non è nostro. Nessuno Lo possiede. Nessuno ha la verità di Dio. Nessuno può parlare in Nome di Dio. Quando un mussulmano dice di uccidere in nome di Dio bestemmia! Quando un vescovo dice che parla in nome di Dio: bestemmia. Non si parla in nome di Dio, si parla in nome proprio, come persone fragili che dovrebbero essere attente ad ascoltare gli altri.
Se qualcuno di voi pensasse che io parlo in nome di Dio: esca! Non parlo in nome di Dio, parlo in nome mio! Il Vangelo tenta di parlare in nome di Dio, ma va capito, interpretato, ascoltato. Ascoltato in questa pagina straordinaria che ci dice: "Attenti, rischiate di non accogliere Gesù, e rischiate di non accogliere Gesù se cercate solo il vostro interesse. Se cercate la protezione, la grazia, la salvezza dei vostri morti". In Dio si cerca la gratuità, si cercano i valori assoluti. In Dio si cerca la luce. In Dio si cerca la libertà, la giustizia. In Dio si cerca l'amore e poi - attenti - non pensate di possedere Dio. Dio non Lo possiede nessuno".
Nessuno di noi può parlare in nome Suo. Parliamo in nome nostro e tentiamo di essere gente che cerca, è attenta, ha rispetto degli altri, dialoga... convinti che uno spicchio di verità sta in ogni uomo che vive sulla terra. Magari nascosto sotto la cenere e - allora- dobbiamo un po' scavare, ma ogni uomo si porta dentro un po' della luce di Dio.
Il Vangelo dice: "Lo Spirito di Dio soffia dove vuole, in ogni angolo della terra" E se avete fortuna (come ho avuto fortuna io) incontrerete tante persone che non si dicono cristiane, che non la pensano come te, ma sono migliori di te.
Il Signore ci aiuti.
Gesù disse a Simone: "Non V DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 7 Febbraio 2016
temere; d'ora in poi sarai Luca 5, 1-11
pescatore di uomini."
La chiamata di Isaia, la chiamata di Pietro e degli apostoli, la vocazione... Cos'è la vocazione? Chi è chiamato e chi no?
Mi è capitato (come potete immaginare) di riflettere tantissime volte su questi temi. Una domanda, che mi sono sentito rivolgere molto spesso, è: "Don Checco, come ha avuto la vocazione? Ha sentito una voce dal cielo, qualche fatto straordinario?"
Allora dovevo raccontare la mia storia... mio papà, mia mamma, la mia famiglia, alcuni zii straordinari, poi la parrocchia, l'oratorio, l'Azione Cattolica, in quella straordinaria stagione che viveva il cristianesimo nella mia gioventù, l'incontro con persone straordinarie… come vedete: accadimenti, incontri, persone: tutti fatti molto casuali. Potevo essere nato da un'altra parte, avere un'altra storia e sarei diventato chissà che!
Ad un certo punto mi è sembrato di aver capito che la mia strada poteva essere quella di diventare prete. Ho studiato a lungo! Sette anni in un ambiente favorevole, incontrando amici che studiavano con me; qualcuno veramente straordinario che mi ha aiutato a capire, a vedere che cosa poteva significare essere sacerdote in quei tempi.
Poi - però - ho capito che fondamentalmente la vocazione non consisteva nell'essere stato chiamato a diventare prete, ma nell'invito a fare quello che potevo nella situazione concreta della vita. Potremmo dire: forse per caso mi trovavo a fare il prete, Dio mi chiamava a farlo il meglio possibile, a vivere nel modo migliore la strada che avevo scelto.
Per farmi capire vi racconto un fatto accaduto tanti anni fa, quando eravamo nella parrocchia di Stella Maris. Era venuto il vescovo a fare una visita e abbiamo fatto un'assemblea con lui, era monsignor Riva, (qualcuno di voi l'ha conosciuto) una brava persona con cui si poteva parlare... Diceva che lui era diventato vescovo per volontà di Dio, mi alzai e dissi: "No - Eccellenza - lei è diventato vescovo per volontà di Paolo sesto, il quale - forse - s'è pure sbagliato! Dio vuole che lei sia un "buon" vescovo". Questa è la volontà di Dio, questa è la chiamata di Dio!
E ho capito che la chiamata non riguarda soltanto i preti, i frati, le monache, i missionari o altre persone che fanno vite straordinarie: la chiamata è per tutti!
Ogni uomo vive la sua vocazione. Ognuno di noi, ogni cristiano è chiamato. Chiamato nelle circostanze concrete in cui siamo stati (in qualche modo) gettati. Circostanze casuali. Perché lì? Perché quei genitori? Perché siamo nati in quell'anno? Perché abbiamo incontrato quelle persone? Perché siamo andati in quella scuola e siamo diventati uno operaio, uno impiegato, uno medico, uno maestro di scuola? Perché lavoro in quel posto? Dentro quella situazione, spesso casuale, la chiamata è: "Cerca di fare il meglio possibile!"
Il Vangelo che abbiamo letto lo esprime in due momenti. Gli apostoli sono chiamati nel concreto della loro situazione: sono pescatori, stanno rassettando le reti. È dentro la loro vita concreta che il Signore li chiama.
E - poi - nell'altra parola... chi ha tradotto ha avuto difficoltà perché il Vangelo di Luca si è inventato una parola strana... per semplificare hanno tradotto: "pescatori di uomini". Se qualcuno conosce il greco e può andare a controllare, si potrebbe forse tradurre: "Venite, vi farò prendere gli uomini per la vita". I pesci si prendono per metterli in padella, gli uomini no! Gli uomini si prendono perché possano vivere. Forse si potrebbe meglio tradurre: "Venite, vi farò portatori di vita per gli uomini. Vi invito ad arricchire la vita degli uomini". È la vocazione di tutti noi! Che tu sia insegnante, o ingegnere, o operaio, o muratore, o spazzino... qualunque cosa tu faccia sei chiamato ad arricchire la vita.
Sei chiamato ad arricchire la vita in casa, con i tuoi figli, con i nipoti, con la gente che incontri.
Ecco, la vocazione è diversa per ciascuno di noi. Sono circostanze, il caso, se volete. Non c'è una chiamata speciale. Non c'è una voce che scende dall'Alto... è la situazione concreta fatta di persone, fatti, accadimenti, di città, di momenti storici, personali, di salute, di malattia, di vecchiaia, di gioventù...
Dentro questa situazione Dio ci chiama! Ci chiama a vivere con passione, con tenerezza, a cercare i valori autentici, a moltiplicare la vita.
A volte facciamo molta fatica a capire: "Ma che vuol dire? Mi dici moltiplica la vita: che significa qui, nella mia casa, in certi momenti complicati, difficili?" Eppure dentro la nostra situazione concreta il Signore ci chiama.
Stamattina immaginate che sulla spiaggia del nostro lago, davanti a ciascuno di noi passi Gesù e ci dica: "Vieni con me. Tu sei chiamato ad arricchire la vita di chi vive con te ogni giorno. Guardati intorno e vedi che cosa puoi fare. Non importa se sei importante o meno, se fai un lavoro o un altro. Vivi certe circostanze, hai soprattutto delle persone intorno e con loro cammina. Con loro condividi la vita. Tenta di arricchirla, di farla più bella, più ricca di libertà, di tenerezza, di gratuità". A questo ci chiama il Signore.
Lui ci aiuti.
Lo condusse a Gerusalemme sul punto I DOMENICA di QUARESIMA -14 Febbraio 2016
più alto del tempio e gli disse: "Se tu Luca 4, 1-13
sei il Figlio di Dio buttati giù di qui".
Subito dopo il Battesimo, il Vangelo di Marco, che è il primo, dice che Gesù viene spinto dallo Spirito nel deserto ad affrontare la tentazione, il diavolo: simboli, certamente! Per Marco è fondamentale che il cristiano non rimanga chiuso nel suo guscio, ma affronti il male, dovunque lo trovi; dentro di sé e intorno a sé. Marco si ferma qui.
Ma i Vangeli di Matteo e di Luca cercano di domandarsi: "Quali sono le tentazioni più importanti dell'uomo? Cos'è veramente il male?" E (come avete ascoltato) costruiscono un racconto, una specie di rappresentazione teatrale: simboli in cui cercano di esprimere che cos'è per loro la tentazione e dove c'è veramente il male.
Probabilmente non sono stati i primi Matteo e Luca, perché hanno parole in comune, forse le comunità precedenti si sono poste queste domande: "Dobbiamo affrontare il male, ma quali sono le tentazioni, quali sono i rischi che corriamo come credenti?" E ne individuano tre.
La prima è: "Pensa per te, le capacità che hai usale per te, non preoccuparti degli altri!" Potremmo chiamarla la tentazione dell'egoismo. Poi ci sono altre due tentazioni: la tentazione del potere: "Tutto può essere tuo, fatti un idolo: il successo, il potere, i soldi".
Poi l'altra: Gesù viene portato sul pinnacolo del tempio e invitato a buttarsi giù. Luca, (su questo vorrei fermare stamattina la vostra attenzione) questa tentazione la pone per ultima. Per lui è la più importante, una tentazione fatale per la religione! Perché?
Secondo Luca, ma secondo molti, secondo me quando la religione si riduce al miracolo, all'apparenza, all'esteriorità, senza un'anima, senza una ricerca di verità e di giustizia... non ha più senso, anzi può fare del male!
Voglio portarvi un esempio che ha attraversato la mia vita. In questi giorni (sapete) c'è a Roma la spoglia di Padre Pio e di un altro frate (a noi quasi sconosciuto) e grande concorso di gente che va a toccare con mano questo simbolo, questo segno. Qualcuno un po' maligno dice: "Si va a visitare un cadavere".
Ho incontrato tante persone devote di padre Pio che andavano in pellegrinaggio, avevano - magari - in casa la statuetta, immagini varie. Domandavo: "Ma scusa - secondo te - che cosa ha detto padre Pio? Cosa ha fatto di concreto? Quale è stata la sua vita, i suoi rapporti con gli altri?". "Ha fatto tanti miracoli, profuma di rose!" "Ma che ha detto? Sai qualche cosa della sua vita?" Non sapeva niente nessuno! Era diventato un mito. Un mito di protezione. Un mito miracolistico. Un mito a cui rivolgerci nel momento del bisogno.
Ma se è solo questo, non potete meravigliarvi se nelle tane dei boss ci siano tante immagini di padre Pio!
Se la religione diventa solo esteriorità, che fa appello soprattutto al sentimento della gente, alle pratiche emozionali, al ritrovarsi nella folla che va in processione... non potete meravigliarvi se poi la processione si ferma davanti alla finestra del boss e fa inchinare la statua.
Vedete, il dramma della religione quando si riduce a miracolismo, quando si riduce a esteriorità! Gesù ha fatto un'altra scelta! Non si butta dal pinnacolo del tempio, non fa un prodigio, ma in mezzo alla gente cerca di portare le sue esigenze di giustizia, di libertà, di tenerezza, di amore, di misericordia giorno per giorno, tentando di mettere i semi della giustizia, andando incontro al fallimento. Ecco l'impegno della vita quotidiana, la ricerca della giustizia.
O la nostra religione è un monoteismo etico o non è... rischia di causare disastri. Cosa significa monoteismo etico? Significa che il Dio unico in cui credo esige la giustizia. Quando prego sono invitato da Gesù a dire: "Sia fatta la Tua volontà".
Fare la Sua volontà non significa che se mi cade un mattone in testa, dico: "Pazienza è la volontà di Dio". No! Fare la volontà di Dio significa... tentare ogni giorno di fare il bene, cercando di scoprire cosa è giusto e come posso realizzarlo ed è una ricerca appassionata che ammette fallimenti, errori.
Se mi rivolgo alla religione (e questo ci può riguardare) se vengo in chiesa soltanto perché il Signore mi protegga, mi custodisca... questa non è religione. Questo è il bisogno di affidarmi ad un mito, non è ricerca appassionata della giustizia e del bene.
Se poi uscite dall'ambito religioso e vedete quale rischio c'è per l'uomo nel lasciarsi coinvolgere dalla folla, dalle riunioni oceaniche in cui si applaude senza sapere perché, in cui ci si affida all'uomo forte che promette la soluzione di ogni problema..
Se avete visto qualche immagine delle riunioni di Norimberga delle SS e del partito fascista: una cosa impressionante! Tutta esteriorità, applausi, ma lì nessuno pensa... ne vengono tragedie. Pensateci quando guardate anche nella Chiesa che gente applaude, ma non pensa. È applauso che ti coinvolge nella folla. È applauso in cui tutti gridano, ma nessuno più è capace di pensare, di chiedersi cosa è giusto, importante, vero.
La vera religiosità è la ricerca appassionata della volontà del Padre, della giustizia, l'impegno quotidiano.
Qualche volta rinunciare ai nostri santini, alle nostre immagini un po' ci pesa perché a noi ci piace toccare con mano, avere una specie di amuleto. Quando ero ragazzo e andavo a benedire le case (facevo il chierichetto) a Trastevere spesso sulla porta c'era il ramo di palma e - magari - una croce e anche il ferro di cavallo e il cornetto rosso insieme, perché è la stessa cosa, esattamente la stessa cosa. Se c'è solo bisogno di protezione tanto vale il ferro di cavallo, tanto vale il ramo di palma!
La fede è un'altra cosa, la fede è esigenza - a volte - difficile.
Il Signore ci aiuti.
Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e II DOMENICA di QUARESIMA - 21 Febbraio 2016
Giacomo e salì sul monte a pregare Luca 9, 28 - 36
Domenica scorsa (lo ricorderete) il Vangelo ci invitava ad affrontare - come Gesù - la tentazione, a combattere il male dentro di noi e intorno a noi, ma per combattere il male occorre la "luce". Occorre avere nel cuore valori autentici. Occorre incontrare qualcuno che ti scaldi il cuore, che illumini la tua mente, i tuoi passi, che ti faccia "vedere". Ecco perchè - oggi - siamo invitati a salire sul monte e a incontrare Lui.
Salire sul monte, perché è importante - qualche volta - guardare dall'alto la nostra vita, la nostra esperienza. È importante andare lontano dalla "folla", dal rumore di tutti i giorni, dalle mode, dalla gente che urla, dai tanti valori che ci propongono ogni giorno la televisione, i giornali, la gente che abbiamo intorno.
Per andare su - forse - conviene essere in pochi (come oggi avete visto solo tre discepoli) e forse - ancora meglio - essere soli. Soli con se stessi per guardarsi dentro, per cercare la "luce" e per incontrare Lui.
L'incontro con Gesù è per il credente un incontro che riempie il cuore. Qualche volta questo incontro (non so se è successo anche a voi come a me) è particolarmente vivo e luminoso. Ci sono momenti in cui ti sembra quasi di toccare con mano i valori di Gesù. Ti sembra di essere sicuro che Lui abbia ragione, che i suoi valori: la libertà, la tenerezza, l'amore... siano certi e vivi.
Luce, ma sono lampi! Lampi che scompaiono presto, ma sono i momenti più preziosi della vita e io me li porto dentro con nostalgia. A volte soltanto ricordi di gioventù. Momenti in cui sentivi dentro la passione per quello che Gesù diceva, voleva comunicarti.
Là sul monte con Gesù, ci sono anche Mosè ed Elia. Sono i rappresentanti della tradizione, di quelli che ci hanno preceduto. Mosè è il rappresentante delle regole, della legge, dell'insegnamento. Elia è - invece - il rappresentante della profezia, di chi ti spinge ad andare oltre le regole, oltre quello che si è sempre detto: la ricerca del futuro, delle cose nuove.
Mosè ed Elia: le loro parole sono rimaste scritte nel Libro che leggiamo ancora. Ma i profeti non sono soltanto loro, per fortuna i profeti esistono ancora. Hanno attraversato la storia. Hanno lasciato la loro impronta. Ho avuto la fortuna (lo sapete, io sono stato particolarmente fortunato) di incontrare profeti, a cui ho stretto la mano, di cui ho ascoltato la voce. A volte persone straordinarie, ma più spesso persone di tutti i giorni. A cominciare da mia madre, da mio padre, da tante persone che ho incontrato, anche bambini: anche un bambino può essere un profeta. Anche un bambino può farti toccare con mano la luce, può aprirti gli orizzonti, scaldarti il cuore.
I profeti di tutti i giorni. I profeti che abbiamo intorno. Non si può essere soli nel cercare la "luce". Abbiamo bisogno - tutti - di testimoni, che ci indichino le vie della giustizia e del bene.
Ma (come avete ascoltato) là sul monte - Pietro - vuole costruire le capanne e fermarsi, vuole rimanere lassù: è la tentazione - forse - più grave di chi tenta di credere. La tentazione di pensare che esista un mondo ideale e che ci si possa fermare sul monte.
La vita cristiana è stata spesso attraversata da queste tentazioni, anche oggi ci sono persone che si stringono insieme, cercano di volersi bene, di costruire tra di loro il mondo ideale: gli altri sono fuori, lontani e non ci interessano; perchè noi, insieme, troviamo il calore dell'amicizia, della fraternità, noi ci sentiamo Chiesa, i giusti, i perfetti: è un'illusione!
C'è un'illusione ancora più grande: quella di possedere la verità, quella di avere la certezza della "luce", quella di credere di vedere, di poter giudicare tutti e tutto.
L'unica strada che sta davanti a chi pensa così è quella del fanatismo e dell'intolleranza che ha sempre attraversato tutte le religioni. Non si può rimanere sul monte. Bisogna tornare giù, in mezza alla gente e ritrovare l'oscurità, il buio, la ricerca, il guardarsi intorno. Occorre sentire il cuore fragile, non avere certezze assolute dentro.
Il credente è uno che cerca, che si avventura, che - soprattutto - si guarda intorno, che cerca chi può essere il suo compagno di strada, camminare con lui nella ricerca incessante della luce e del bene.
Noi ci troviamo qui ogni domenica, ascoltiamo la Parola, incontriamo Gesù, ci nutriamo di Lui, ma (lo sapete) non possiamo rimanere qui. Non è qui che si vive da cristiani; è fuori, in mezzo alla gente. A volte non sappiamo nemmeno bene cosa significhi. A volte il dubbio attraversa la nostra vita. A volte la luce sembra andarsene. A volte anche con le persone che abbiamo vicino, i figli, i nipoti, ci chiediamo: che cosa è giusto, cosa è bene? e non lo sappiamo!
Se siamo fortunati non abbiamo certezze, non giudichiamo, ma continuiamo a tenerci per mano, a cercare di capire dov'è la luce. E il Signore ci accompagna. Ci scalda il cuore, ma non ci dà certezze. Con noi vuole camminare per le strade del mondo, vuole essere compagno di strada, aiutarci a cercare la Luce. Soltanto così un cristiano può avventurarsi nella vita. Non è un cammino facile, lo sapete bene.
Il Signore ci aiuti.
"...se non vi convertite, perirete tutti..." III DOMENICA di QUARESIMA - 28 Febbraio 2016
Luca 13, 1-9
Oggi tentiamo un'impresa quasi disperata per chi cerca di credere. È riuscire a staccare la malattia, il terremoto, l'alluvione dalla colpa. Il tentativo di non vedere in tutte queste disgrazie la punizione di Dio.
È un'impresa quasi disperata perché in tutti gli angoli della terra questa mentalità è forte e non si riesce a rompere anche se uno dice: "Ma io non ho fatto nulla di male perché vengo punito?". La risposta è: "Forse tuo padre, tua madre, tuo nonno...". La Bibbia dice che Dio punisce le colpe dei padri nei figli fino alla sesta, settima generazione.
Nel mondo orientale si dice: "Tu sei stato buono in questa vita, è vero e lo riconosciamo, però sconti i peccati della vita passata e - quindi - sopporta pazientemente". Sempre la disgrazia, la malattia è la punizione, l'espiazione di qualche colpa.
L'Antica Scrittura è attraversata quasi da un ritornello: "Abbiamo peccato e Dio ci ha punito. Dio ci punisce - quindi - abbiamo peccato!"
C'è qualche profeta che tenta di andare oltre, ma sono pochi. C'è lo straordinario libro di Giobbe, (vi invito a leggerlo se non lo avete mai letto) anche nel Vangelo Gesù non è riuscito a rompere questo legame! Se leggete il Vangelo vi accorgerete che i primi cristiani interpretano la distruzione di Gerusalemme - per mezzo dell'esercito di Tito - come la vendetta di Dio per la morte del Suo Figlio, come la punizione per coloro che hanno rifiutato il Messia.
Se ci pensate fino ad oggi rimane questa mentalità! Vi è capitato di ascoltare alla televisione, alla radio, qualche anno fa, qualche personaggio anche importante della Chiesa dire che l'AIDS è la punizione di Dio per i peccati degli uomini o che lo tsunami, il terremoto sono una punizione di Dio per il male degli uomini.
A me è capitato di ascoltare delle persone che sono andate dal "santone" di turno per chiedere aiuto e si sono sentiti dire: "Tuo padre ha un tumore, qualcuno ha peccato in famiglia. Tua figlia ha la leucemia, qualcuno ha peccato in famiglia" e (come spesso succede) ce se la piglia con il più debole. Bisogna cercare il capro espiatorio, chi è colpevole.
Se volete lasciare questi aspetti più drammatici, una delle frasi che più io ho ascoltato nel corso della mia vita (sono ormai cinquantacinque anni che son prete) è questa: "Padre, che male ho fatto perché mi capiti questo?", forse l'avrà detto anche qualcuno di voi in un momento di difficoltà: "Padre che male ho fatto? perché mi capita questo?". Male che non so di aver fatto; forse oscuro, qualche peccato che non conosco.
Ho ascoltato e credetemi non una volta sola, delle mamme che avevano paura di essere punite nei figli per i propri peccati!
In che Dio crediamo? Può essere che Dio punisca un figlio per la colpa della madre? Eppure questa mentalità è diffusa! Come avete ascoltato, Gesù nei due episodi della torre di Siloe e del massacro di Pilato, cerca di rompere il legame: non sono più colpevoli degli altri. Eppure questa mentalità rimane dentro di noi
Se vi viene in mente (può venire sempre nei momenti di difficoltà) questa frase: "Che male ho fatto perché mi capiti questo...? Mettetevi la mano sulla bocca e dite: "Ho peccato, ho detto una bestemmia! Appena posso, (non si usa più) mi vado a confessare. Risparmiatevi di andare a confessarvi, ma la mano sulla bocca, mettetevela e dite: "Ho detto una bestemmia o una sciocchezza se non volete dire bestemmia".
Qualcuno (spero non tra di voi) potrebbe dire: "Ma se Dio non ci punisce per i peccati - allora - uno può fare quello che gli pare!?" Il rimedio sarebbe molto peggiore del male perché - vedete - il male, non per la punizione di Dio, ma per la sua stessa realtà produce dolore e sofferenza e sfruttamento e guerra. Il male fa male! Il male rovina il mondo!
La storia dell'umanità è impressionante e non perché ci sono punizioni di Dio, ma perché l'uomo sembra incapace di vivere in pace. Vuole sempre di più. Vuole conquistare, fare guerre… e non soltanto gli uomini del mondo antico.
Vi faccio degli esempi forse banali, che potrebbero spingerci a fare qualcosa... Al tempo di Gesù moltissimi erano i lebbrosi, oggi la lebbra è una malattia ben conosciuta, che si può curare facilmente... perché ci sono ancora lebbrosi? Perché preferiamo costruire armi!
Nel mondo di oggi c'è - anche da noi - tanta violenza, mancanza di educazione dei ragazzi, dei bambini al rispetto - soprattutto - della donna, capacità di superare la gelosia, il possesso... si sciupa la vita!
Se qualche volta vi capita di guardare qualche immagine del mare e vedete isole di plastica chiedetevi: "Chi ce l'ha buttata?" In parte noi! Se non curiamo il nostro mondo, si sciupa. Se i ghiacciai si sciolgono, se rischiamo di non avere acqua... la colpa è nostra! Non è Dio che ci punisce, siamo noi che facciamo del male! Siamo noi che sciupiamo la vita!
Per la prima volta nella storia l'uomo ha la capacità, con la sua tecnica, di costruire armi capaci di distruggere il mondo intero. Non è Dio che vuole distruggerlo, siamo noi che siamo capaci di farlo, ormai. L'uomo ha la capacità di far morire la natura, di sciupare la terra.
Ecco - allora - la parola forte di Gesù: "Se non vi convertite morirete tutti allo stesso modo".
È una parola orientale, forte, non ci deve spaventare, ma occorre dire: "Non imputiamo a Dio i mali del mondo e guardiamoci intorno nel comportamento di tutti i giorni". Sono quarantacinque anni che sono a Ostia, ho sempre sentito gente lamentarsi che Ostia è sporca. Ho sentito poca gente dire: "Non sporco più!" Perché se Ostia è sporca è perché qualcuno sporca, mica perché il Padreterno ci vuole punire.
Ecco, convertiamoci! È difficile convertirsi…
Ricordatevi di un'altra cosa importantissima (secondo me): il male è solo quello che fa male a qualcuno. Quando eravamo giovani ci hanno torturato con dei peccati che non facevano male a nessuno, che riguardavano solo noi e magari ci aiutavano anche a crescere - eppure - si andava all'inferno. Si andava all'inferno anche per un pensiero cattivo: scemenze!
Il male è quello che fa soffrire, è quello che sciupa la vita intorno a me: questo è male e contro questo io devo combattere, sapendo che di questo male non è responsabile il Padreterno: siamo responsabili noi!
Il male ha conseguenze drammatiche nella vita del singolo e della comunità e - dunque - non resta che compiere un'impresa quasi disperata: tentare di convertirci.
Nel Vangelo (avete ascoltato) c'è una seconda parte, ma l'ho trascurata. Abbiamo due domeniche ancora per parlare del Signore che dice: "Non porti frutto… provaci ancora: zappa, mettici il concime e può essere che poi qualche "fico" lo porti pure tu". Perché si tratta non solo di non fare il male, ma di produrre qualche cosa di buono, che faccia il mondo migliore. Tutte cose difficilissime, quasi impossibili.
Il Signore ci aiuti.
...Questo mio figlio era morto ed è tornato IV DOMENICA di QUARESIMA - 6 Marzo 2016
in vita... e cominciarono a far festa... Luca 15, 1-3. 11-32
Questa parabola è certamente una delle più conosciute del Vangelo. Credo che ognuno di noi ha ascoltato più volte questa parabola e l'ha sentita commentare in tanti modi e - forse - l'ha trovata particolarmente suggestiva. Eppure - per la mia esperienza - più si legge questa parabola più la si trova difficile - forse - incomprensibile e - per molti cristiani - scandalosa. È una parabola scandalosa, questa! Vediamo se mi riesce di dirvi perché penso questo.
Vedete, i figli noi li conosciamo bene, basta guardarci intorno o forse - più semplicemente - basta che ci guardiamo dentro qualche volta.
Questi figli... il figlio più piccolo è uno di quelli - qualche volta succede a noi - che ha scambiato la libertà con il fare quello gli pare, che vuole sempre di più, senza preoccuparsi se la vita si rovina, si sciupa la propria e quella degli altri. Non pensate soltanto ai soldi, pensate ai grandi guai della terra: la droga, la fame, la guerra...
Figlio che per il possesso, per le cose è disposto a tutto e poi si rende conto che ha sciupato tutto. Non si preoccupa - forse perché non ne è stato mai capace - del padre, del fratello. Se ne va lascia tutti e poi, quando è ridotto in miseria, non torna perché cerca il padre, spera di trovare un pezzo di pane e lo dice chiaramente: "Non trattarmi più come figlio, basta che mi dai un po' di pane!".
Non gli importa del padre, del fratello, delle persone: vuole soldi, vuole roba, vuole pane quando ha fame.
L'altro fratello... anche quello lo conosciamo bene, forse meglio perché è il fratello ligio, quello che osserva le regole e lo fa per sentirsi a posto... Non sembra che cerchi i soldi, le cose, ma riflettete un momento... ha avuto anche lui la metà dei beni come l'altro fratello, ma rimprovera il padre: "Non mi hai dato...". "Hai avuto tutto come l'altro". Il padre non glielo dice, noi glielo possiamo dire: "Perchè vuoi ancora un capretto?". Rimprovera il padre di non avergli fatto festa. "Ma avevi tutto anche tu, perché non l'hai fatta? Quello ha speso tutto nelle feste, ma tu non ne hai fatta nemmeno una…".
Si sente giusto! Ha fatto rinunce - come qualche volta succede ai cristiani - e questo permette di giudicare e di condannare.
Troppe volte nella vita cristiana c'è gente che giudica, che condanna, incapace di accoglienza, di misericordia, di capire quello che succede ad un altro che ha sciupato la propria vita.
Posso farvi una confidenza... (forse una delle dolorose della mia vita) Tra le persone più maligne che ho incontrato, alcune venivano a Messa tutte le mattine. Gente incapace di capire, di tenerezza, che parlava male, ma con acrimonia - a volte - dei figli, - più spesso - delle figlie. Gente sempre pronta a condannare.
Questi figli li conosciamo, non c'è difficile capire cosa hanno dentro. In fondo un po' ce l'abbiamo dentro anche noi, ma il padre... il padre no. Il padre non lo capiamo. Il padre - se ci pensate bene - è uno scandalo. Guardiamolo questo Padre.
Posso usare una parola forte? È un fallito! Non ha saputo educare i figli! Che figli ha tirato su? Uno che se ne va e sciupa tutto, l'altro incapace di tenerezza e di misericordia e lui lì in mezzo!
Non ci hanno parlato di un Dio onnipotente che può tutto? E perché non cambia il cuore degli uomini? Perché siamo quello che siamo? Perché non provvede? Dov'è la sua onnipotenza… di che Dio ci parla Gesù?
Poi non ci hanno sempre detto che Dio è il giudice, che ci scruta e condanna e punisce? Il Padre della parabola è incapace di punire. Non condanna. Non lo sa fare. È una persona fragile. Non sa come reagire, è smarrito di fronte a questi due figli. Forse non li riconosce più. Forse si guarda allo specchio e chiede: "Che ho fatto? Cosa sono diventati questi figli?"
Ed ha da offrirgli una cosa sola: un abbraccio e una festa e nient'altro! Non sa dare una punizione, un castigo, il rimedio del male. No, soltanto un bacio e l'invito alla festa! L'avranno accettato questi figli l'invito alla festa? La parabola non ce lo dice!
Il figlio più grande avrà accettato di entrare nel banchetto? Avrà saputo guardare quello che ormai non chiama più fratello… dice al Padre: "Tuo figlio..." È il servo che gli dice: "Tuofratello è tornato" lui no… "Tuo figlio..." Sarà capace di dire: "Mio fratello?" Si siederà alla festa? Accetterà anche lui l'abbraccio del padre?
E il figlio più giovane... partecipa al banchetto solo per mangiare il vitello più grasso, lui che tanta fame o accetterà ... ma accetterà fino in fondo, l'abbraccio e il bacio del padre?
Siamo capaci di accettare un Dio fragile, che non è onnipotente, che non ci cambia il cuore? Un Dio che non è capace di punire, di minacciare, di condannare? Un Dio che ci offre soltanto un abbraccio e un bacio?
È un appello alla nostra libertà. È un appello ad essere uomini. È un appello a scoprire la gratuità e l'amore. Ne siamo capaci? Forse - per noi - è una cosa quasi impossibile. Dio è troppo grande per il cuore dell'uomo.
Noi abbiamo bisogno di espiazioni, di condanne. Noi vorremmo l'onnipotenza. Per noi l'amore, per noi la festa, per noi un bacio è - forse - troppo, ma Dio - secondo Gesù - ha solo questo da offrirci.
Il Signore ci aiuti.
E Gesù disse: "Neanch'io ti condanno; V DOMENICA di QUARESIMA -13 Marzo 2016
và e non peccare più" Giovanni 8, 1-11
Ci conviene - oggi - andare con la nostra fantasia, là, su quella piazza in cui Gesù si ferma ad insegnare. È una piazza di fantasia con ogni probabilità, ma i personaggi sono personaggi tutt'altro che fantastici. Sono personaggi che possiamo incontrare anche oggi, guardandoci intorno e - almeno per un po' - guardando dentro di noi. Allora fermiamoci un momento ad osservare questi personaggi.
Guardate la gente che trascina là, in mezzo alla piazza questa donna, sorpresa in adulterio. La legge dice che deve essere lapidata. Ecco sono persone che si sentono custodi della legge, che si credono giusti, con il diritto di giudicare e condannare. Si sentono difensori dei valori irrinunciabili, della tradizione, delle regole. Gente che pensa di avere sempre ragione, di sapere tutto, di sapere con certezza quello che è bene e quello che è male. Conosciamo queste persone!
Abbiamo incontrato anche domenica scorsa il "figlio" maggiore che pensa più o meno lo stesso, ma qui c'è una carica di violenza. C'è gente che insulta, che grida. Guardatevi intorno... nelle piazze in questi giorni in Italia, nella Chiesa e fuori... gente che insulta, che offende, che è incapace di capire il diverso, di fermarsi a guardare negli occhi le persone e domandare: "Ma tu chi sei? Che hai dentro?". Le regole, i pregiudizi, i principi, la natura... quel terribile concetto della natura che è un'assurdità spesso sbattuta in faccia alla gente!
Poi guardate questa donna umiliata, offesa, violentata, trascinata lì in mezzo, impaurita, terrorizzata dalla violenza che la circonda.
Guardatela bene: è sola! L'adulterio si fa in due! Dove è l'altro? Non c'è! Spesso i maschi non ci sono. Spesso le donne rimangono sole di fronte alla violenza di questo mondo.
Guardatele gli occhi... forse è anche piena di un senso di colpa. L'ho incontrato tante volte nella mia vita, soprattutto quando della colpa vengono fuori le conseguenze sgradevoli. C'è gente che si sente sporca, che porta dentro di sé un peso; un peso quasi insopportabile che spinge qualcuno a buttarsi dalla finestra. Il peso della colpa che schiaccia, umilia.
Una povera donna, indifesa di fronte alla violenza del mondo, di fronte alla legge, di fronte a quel male terribile che - a volte - si annida nel cuore dell'uomo che è il senso di colpa.
Adesso guardate Lui, una figura in questo racconto totalmente enigmatica. Gli studiosi si interrogano - ormai - da migliaia di anni: perché Gesù si mette a scrivere per terra? Ne hanno scritte di tutti i colori e voi avete il diritto di cercare ciascuno la propria interpretazione.
Forse si disinteressa di quello che sta succedendo? Forse è pieno di indignazione, forse prova disprezzo per queste persone così violente, incapaci di misericordia? Forse - ed è quello che io amo pensare - sta soltanto riflettendo! Riflettendo perché ora si trova davanti ad una persona. Fino ad adesso ha predicato…
Sono ormai cinquantasei anni che predico e si dicono solo parole, uno ci pensa un po' e poi cerca di dire qualche parola in croce... ma quando ti trovi davanti a una persona - allora - è tutto diverso. Allora c'è questa persona con la sua sofferenza, il suo dramma e viene la domanda... La domanda che probabilmente ha attraversato tutta la vita di Gesù. "Che cosa è più importante la legge, le regole, i principi o l'uomo?" Ma l'uomo non in astratto. Questa persona qui, questa persona concreta che mi guarda con occhi smarriti… che posso dirgli, che posso fare? La legge è sempre giusta? È giusto condannare a morte una persona? È giusto non darle la possibilità di ricominciare e guardare avanti?
Gesù ha riflettuto su questo tutta la sua vita arrivando a enunciare quel principio che ritengo fondamentale nel Vangelo: "Non è l'uomo fatto per il sabato, ma il sabato è fatto per l'uomo" L'uomo concreto, questa persona, questa donna, questo ragazzo. Non è l'uomo fatto per la legge, la legge è fatta per l'uomo! Prima viene l'uomo: la legge, i principi, il "sabato" sono a servizio.
Ed ecco - allora - che può guardare negli occhi questa donna, prenderla per mano, non accusarla: "Alzati, và e non peccare più". Non può dire: "Fai finta di niente" Noi (se posso dire, non voglio scandalizzare nessuno) siamo stati educati alla confessione che può diventare una raffinatissima educazione all'ipocrisia: "Vado, mi confesso e quello mi da l'assoluzione, poi esco e ricomincio daccapo".
Per Gesù non è così: "Alzati, và, non peccare più".
Avrà accolto questa donna la sua parola, sarà stata capace, avrà avuto tanta libertà da essere una persona diversa? Non ci è dato sapere!
Quello che possiamo ricordare e in più rivivere qui è la presenza di Gesù. Anche a ciascuno di noi dice: "Alzati e và e non peccare più".
La maggior parte di voi non si porta dietro colpe di adulterio; qualcuno forse sì, ma la maggior parte no. Ma non è solo questa la colpa. Gesù dice: "Chi di voi è senza peccato..." Ci portiamo dietro - spesso - la colpa del disinteresse, del non preoccuparci dell'altro, delle nostre pigrizie ed è per questo che Gesù ci prende per mano e ci dice: "Togli dal tuo cuore il senso di colpa. Non lasciarti giudicare dal prossimo. Guardati dentro. Puoi essere migliore. Puoi essere libero. Alzati e cammina. Non permettere a nessuno di umiliarti. Non permettere a nessuno di farti schiavo delle regole, dei principi, della legge. Cerca dentro di te dov'è la carità, la giustizia, la tenerezza, la capacità di amare. Alzati e cammina. Sii un uomo libero". Quello che Gesù dice a questa donna lo dice a me, lo dice a voi, ma non è facile.
Il Signore ci aiuti.
"Voi cercate Gesù di Nazaret. DOMENICA di PASQUA - 27 Marzo 2016
È resuscitato, non è qui." Giovanni 20, 1-9
Tentiamo - stamattina - di celebrare la Pasqua. Pasqua è una festa difficile - forse - la più difficile di tutto l'anno della nostra preghiera.
È facile celebrare il Natale: un Bambino, una culla, la tenerezza di una famiglia riunita. È facile celebrare il Venerdì Santo: la morte, il dolore di una madre che vede il Figlio inchiodato sulla croce; tutto questo - per noi - è famigliare.
Ne avete testimonianza girando per l'Italia o - forse - ripensando a tante celebrazioni a cui (specialmente quando eravate più giovani) avete partecipato: presepi in tutte le case, anche presepi viventi, ricostruzioni con persone vive della nascita di Gesù. Avete assistito - probabilmente - a tante cerimonie della morte del Signore: le "via crucis", la ricostruzione del racconto della Passione (ce ne sono anche qui a Ostia). La processione del Cristo morto, l'incontro di Gesù con Maria addolorata... e la predica che genera commozione.
Se andate in giro per le chiese di questo nostro paese trovate tanti presepi, tanti crocefissi in ogni chiesa! Trovate statue del Cristo morto, della Madonna addolorata che servono per le processioni, ma - credo - che a pochi di voi sia capitata la sorpresa di vedere una statua del Signore Risorto. Quasi non ci sono!
A me è capitato di trovarne qualcuna e sono rimasto meravigliato: "Che ci fa qui questa statua? Come mai?". È difficile la festa di Pasqua!
È difficile fin dall'inizio perché la nostra Pasqua ha origine dalla Pasqua ebraica, che celebra il passaggio dal Mar Rosso e là, (se leggete il libro dell'Esodo) vedete che gli Ebrei fanno fatica ad uscire e ad ogni difficoltà dicono: "Perché ci avete fatto uscire? Vogliamo tornare indietro! Là servivamo gli Egiziani, preferiamo servire che avventurarci verso l'ignoto, verso la libertà: ci sono tanti pericoli".
Quando il popolo di Israele si incammina - è una storia mitica, simbolica questa, certamente - e vede arrivare l'esercito degli Egiziani, grida contro Dio e contro Mosè: "Perché ci avete portato qui?" Si rivolgono a Mosè: "Non te lo avevamo detto in Egitto? Perché non ci hai lasciato a servire gli egiziani?".
È pesante per l'uomo l'avventura verso la libertà, la conquista della libertà. Dio non si rassegna e quando non hanno pane manda la "manna", purché non tornino indietro, camminino, e conquistino la libertà, purché vadano verso il sogno, verso la terra dove scorre il "latte e il miele", la terra della giustizia, della pace; una terra da conquistare. Ecco ogni anno il popolo di Israele dovrebbe celebrare questo cammino.
Lo celebriamo anche noi. Per noi ancora con più forza, perché celebrare la Pasqua significa celebrare la Risurrezione di Gesù: ha ragione Lui. Non ha ragione la violenza che lo ha inchiodato sulla croce. Dobbiamo celebrare la speranza. La speranza concreta di un mondo in cui si realizzino i sogni di Gesù, e la celebriamo in un mondo che a volte - come in questi giorni - ci appare pieno di violenza e ci fa paura.
Allora conservare la speranza è difficile, ma una Pasqua senza speranza non è più Pasqua. Una Pasqua che guardi al futuro è per noi difficile perchè la percezione della realtà che abbiamo - e che tanta gente ha del mondo - è completamente irreale (se ne dovrebbero rendere conto quelli che parlano in televisione e scrivono nei giornali): la gente pensa che ci sia male dovunque, che tutti rubano, tutti fanno violenza, che non c'è giustizia, non c'è un minimo di onestà. Eppure la maggior parte delle persone, come voi, sono oneste, cercano di vivere una vita fatta di affetti, di lavoro e di conservare il coraggio della speranza.
Celebrare la Pasqua è possibile solo se crediamo con tutto il nostro cuore che Gesù ha ragione... Non ha ragione l'odio, la violenza, il disinteresse verso gli altri. Ha ragione la capacità di condividere, di donare la vita, come ha fatto Lui. Celebrare la Pasqua è gridare a noi stessi e al mondo: "Gesù ha ragione" e vogliamo tentare di camminare con Lui!
Noi abbiamo celebrato il Battesimo, siamo passati "nell'acqua". Abbiamo lasciato dietro le spalle tutto quello che sa di morte, tutto quello che sciupa la vita, per andare verso il "sogno".
Il sogno di un mondo in cui ci sia la giustizia, la fraternità, l'attenzione dell'uno verso l'altro, la tenerezza. Qualcuno di voi dirà: "Ma è difficile, quasi impossibile". Oggi ho cominciato così: "La Pasqua è la festa più difficile". È difficile conservare nel nostro cuore il coraggio della speranza, non lasciarci schiacciare dal pessimismo, dall'indifferenza, dal rinchiuderci nei nostri gusci!
È difficile la Pasqua! Ma noi siamo qui per viverla. Il Signore è Risorto. Cantare il Signore Risorto significa cantare che Lui ha ragione. Significa tentare di vivere ogni giorno seguendo Gesù... è difficile, costa, ma Lui ci cammina davanti e non si stanca di invitarci a camminare con Lui. Ha inventato di farsi "cibo" per noi, di farsi "pane" perché non ci stanchiamo.
Come Dio nel deserto ha dato la manna ai suoi che camminavano verso il sogno di una terra "dove scorre il latte e il miele", così Gesù ci da il Pane, perché camminiamo verso il sogno di una terra giusta, in cui si realizzino i sogni del Suo cuore. Non dipende da chi comanda, dai politici… dipende da noi, da ciascuno di noi conservare il coraggio della speranza. Credere nella vita. Credere nell'amore. Credere che Gesù ha ragione.
È difficile (ve lo ripeto) ma la Pasqua è una festa difficile, e ci vuole tutto il coraggio per poterla vivere; lo chiediamo al Signore.
Lui ci aiuti.
E a Tommaso disse: "Non essere II DOMENICA di PASQUA - 3 Aprile 2016
più incredulo ma credente" Giovanni 20, 19-31
Vi dicevo - domenica scorsa - che la Pasqua è una festa difficile e oggi ne abbiamo conferma dall'apostolo Tommaso: fa fatica a credere che il Signore è veramente risorto, non vuole accettarlo. Tommaso ci permette di fare anche una riflessione importante per noi.
Perché Tommaso non riesce a credere nel Signore Risorto? Perché - evidentemente - la testimonianza degli altri discepoli non è sufficientemente credibile!
Gesù è apparso ai discepoli, lo vedono, lo riconoscono, dicono di provare gioia, ma una settimana dopo sono ancora nel Cenacolo chiusi per paura. Dov'è la gioia di Pasqua? Come mai non sono usciti? Perché non gridano per il mondo la "Buona Novella" del Signore Risorto?
Hanno ancora paura! È difficile la Pasqua, ma è difficile anche perché non ci sono testimoni credibili!
Allora - questo - ci porta a una riflessione su quello che è il cammino della nostra religione.
Per spiegarmi meglio vorrei raccontarvi una mia esperienza di quando ero un giovane prete (tanto, tanto tempo fa ormai) e andavo a insegnare religione nelle scuole medie.
In uno dei primi incontri chiedevo ai ragazzi: "Che cosa significa - secondo voi - essere cristiani? Che cos'è per voi la religione?" Mi giravo alla lavagna e scrivevo tutte le loro risposte e riempivo - regolarmente - una "lavagnata" di roba, poi mi giravo e dicevo: "Voi non potrete mai essere cristiani".
Perché...? Perché per loro la religione era soltanto qualche cosa di negativo: fatta di regole, di proibizioni, di riti che non capivano, di obblighi, avevano avuto una morale che vedeva ilmale dappertutto, basata sui sensi di colpa. Avevano incombente la minaccia del castigo, la paura dell'inferno. Qualcuno addirittura la paura del diavolo.
Pensate a quante volte ci hanno proposto (non solo a me, ma credo anche a voi) come modelli di santità uomini e soprattutto donne che facevano grandi digiuni, grandi penitenze, la rinuncia al cibo che è la rinuncia al corpo fino (secondo qualche studioso) all'anoressia. Fino a lasciarsi morire di fame come santa Caterina da Siena. Il disprezzo del corpo, perché è considerato il ricettacolo delle passioni, di ogni male, di ogni libidine: questo ci comunicavano quando eravamo giovani, ma - questo - è l'esatto contrario della Risurrezione. Perché - se ci pensate - noi crediamo, anche se non sappiamo bene cosa significhi, che Gesù è risorto con il Suo corpo. Avete sentito oggi. "Tocca con la tua mano...". Il corpo - quindi - non è male. Gesù vive con il corpo.
Cosa significa (ripeto) non lo sappiamo, ma la fede nella Risurrezione ci dice che non è importante solo l'anima, c'è anche il corpo. Allora se il corpo lo disprezzate, pensate che vada flagellato, negato dov'è la speranza di Pasqua? Dov'è la gioia pasquale?
Quando i ragazzi crescevano un po' di più, il problema era ancora più profondo perché si trovavano di fronte una Chiesa arroccata sulla tradizione, su quello che si è sempre fatto, su quello che si sempre detto senza dare loro il senso del futuro, la speranza del "sogno", di potere andare avanti, il bisogno di camminare sempre, di scoprire sempre di più che cosa significa essere cristiani. Che cosa significa vivere; vivere liberi, avendo nel cuore i sogni di Gesù, i sogni del Risorto.
Di più... questi ragazzi (e forse anche qualcuno di noi) sentivano che tutto nella Chiesa era basato sulle regole, sulla legge. Quanti hanno sentito parlare che l'uomo non è fatto per il "sabato", non è fatto per le regole, per le leggi; ma le leggi, le regole sono fatte per l'uomo? È l'uomo quello che conta. È l'uomo libero. È l'uomo educato a scoprire che cosa è veramente giusto; al di là delle leggi perché anche le leggi cambiano!
La Pasqua è apertura al futuro. È speranza. È coraggio di andare avanti e se non c'è chi è capace di testimoniare questo è difficile vivere la Pasqua!
Vorrei aggiungere ancora una cosa che turba molto i ragazzi di oggi e - forse - non solo loro. La scienza... c'è ancora oggi a Ostia nel 2016 qualche insegnante di religione che dice che il mondo è stato creato in sette giorni e che bisogna credere perché questo dice la Bibbia.
Quando si oppone la Bibbia, la verità che viene dall'Alto alla scienza, si impedisce a una persona di credere. Sono cose che aveva detto Galilei secoli fa. Se ci sono dei fatti e la Bibbia sembra contraddirli, imparate a leggerla, la Bibbia! Uno dei dogmi della scienza è che non ci si può mai contentare di dove si è arrivati. Bisogna sempre andare avanti. Se questo vale per la scienza perché non vale per la religione? Perché non vale per la morale? Perché non vale per i riti? Perché non vale che quello che facciamo qui, ogni giorno è essere in cammino.
La Pasqua è guardare al futuro. È lasciare dietro le spalle il passato, il male, la negatività per cercare di costruire il mondo: di questo dovremmo essere testimoni.
Allora debbo dirvi... ma ho un po' di paura perché temo che qualcuno di voi si faccia sensi di colpa.
Quando parlate con i figli, con i nipoti (qui in molti abbiamo i capelli bianchi) cercate di essere testimoni di ottimismo, di vita, di speranza. Non mettete loro paura! Troppa gente in questa società, (la radio, la televisione) mette paura. Testimoniare la Pasqua significa non avere paura. Significa dare speranza per il futuro.
Quando (credo che possiate condividere con me questa esperienza) ero ragazzo avevo intorno a me: mio padre, persone che conoscevo... il passato non c'era, tutto era distrutto... ma guardavano solo il futuro. Dovevano ricostruire un mondo, andare avanti... Oggi i nostri ragazzi sembrano smarriti, impauriti del futuro. Tutti gli dicono che il futuro non c'è. È contrario alla gioia di Pasqua, è contrario alla speranza! Che cristiani siamo se non siamo capaci di comunicare speranza!
Spesso l'uomo pensa che si stava meglio prima, che il mondo vada sempre peggio, ma (ricordatevelo) al tempo di Gesù due terzi degli uomini, nel bacino del Mediterraneo, erano schiavi, non erano considerati nemmeno persone.
Qualche passo avanti lo abbiamo fatto e lo abbiamo fatto perché c'è stata tanta gente (spesso non credenti) che voleva costruire il futuro, che credeva nella libertà, nella dignità dell'uomo: di questo noi dovremmo tentare di essere testimoni.
Allora (lo ripeto) senza sensi di colpa perché non servono a niente sono tra i mali peggiori del cristianesimo, ma qualche volta domandiamoci: "Per i nostri ragazzi siamo - in qualche modo - testimoni di speranza, di futuro, di ottimismo? Cerchiamo di metter loro nel cuore che possiamo seguire Gesù, condividere i Suoi sogni, sperare in un mondo più bello e costruirlo con la passione del nostro cuore?"
È il nostro compito, un compito difficile, ma tentiamo di farlo.
Il Signore ci aiuti.
Disse a Pietro per la terza volta: "Mi vuoi bene?" III DOMENICA di PASQUA - 10 Aprile 2016
"Signore, tu sai tutto; sai che ti voglio bene" Giovanni 21, 1-19
La pagina che abbiamo letto è il capitolo ventunesimo del Vangelo di Giovanni e qui capita una cosa strana. Secondo chi si preoccupa di studiarlo, il Vangelo all'origine aveva soltanto venti capitoli. Difatti se provare a leggerlo vedrete che alla fine del ventesimo c'è una conclusione, poi il Vangelo si riapre, perché...? Chi ha sentito il bisogno di aggiungere un altro capitolo a un Vangelo che era già chiuso?
Prima di andare avanti, questo mi permette di rispondere a una domanda (che forse anche qualcuno di voi si è fatta) che mi sono sentito rivolgere tante volte nel corso della mia vita specialmente dai più giovani: "La ricerca di Dio, della Sua luce, della verità si è conclusa con la Scrittura, con l'Antico e il Nuovo Testamento? Non c'è stato dopo qualche altro libro importante, altri profeti che hanno cercato di intuire qualche cosa del volto di Dio?"
Certamente c'è stato! Ci sono stati tanti libri, tante persone straordinarie, tanti profeti... pensate - che so - a san Francesco. E non solo, ci sono stati tanti profeti anche al di fuori della religione cristiana.
Non so se è successo anche a voi, ma chi come me ha cercato di camminare cercando il Signore, ha trovato tanti libri, anche di gente che si diceva non credente e che pure ti hanno fatto capire qualche cosa, ti hanno aperto alla Luce. Quindi - certamente - il Soffio di Dio non si è spento con la Sacra Scrittura, però per la tradizione cristiana l'Antico e il Nuovo Testamento rimangono il fondamento della fede, quello a cui bisogna sempre tornare, il punto di riferimento, che aiuta a distinguere quello che segue il Signore da quello che non Lo segue.
Adesso torniamo alla pagina che abbiamo letto. Vi dicevo: "Perché è stato aggiunto un capitolo al Vangelo?" Le risposte che potete trovare sui libri sono tante! A me piace immaginare che questa pagina sia stata aggiunta quando la comunità che ha scritto il Vangelo di Giovanni è venuta a sapere che Pietro era stato ucciso.
Allora sente il bisogno (come posso dire) di rendergli omaggio, di santificarlo. Avete ascoltato alla fine del Vangelo: "Quando sarai vecchio… un altro ti porterà dove tu non vuoi". È chiaramente l'indicazione, qui anticipata, dell'uccisione di Pietro.
I cristiani della comunità di Giovanni sentono il bisogno di dire: "È il nostro pastore. È lui che è stato, per un certo tempo, il fondamento della nuova comunità che Gesù ha fondato. A lui rendiamo omaggio. Lui in qualche modo santifichiamo!"
Ma (come avete ascoltato) il processo di canonizzazione (così lo chiameremmo oggi) non si fa (come adesso) a piazza san Pietro, raccontando storie di miracoli o dicendo che il "santo" è il modello della vita cristiana. Qui è tutto il contrario!
Qui - Pietro - è soltanto un pover'uomo, il rappresentante (non so se volete essere coinvolti) mio e vostro. Perché (come avete ascoltato) Pietro non riesce a riconoscere il Signore… sembra una cosa strana! Questi sono tutti racconti - ormai lo sapete - simbolici, ma esprimono la fatica del credente di riconoscere il Signore nella pratica, nella vita, intorno a noi: "Ma ha veramente ragione Lui? Ma è veramente in Lui che trovo il senso della vita, gli altri sono veramente miei fratelli?".
Penso che ci siamo fatti queste domande qualche volta nel corso della vita. Di più, qualche volta, ci siamo sentiti "nudi" davanti al Signore. Avete notato la cosa curiosa che abbiamo letto oggi? Pietro è sulla barca nudo, gli dicono: "È il Signore!" Si accorge di essere nudo e si veste per buttarsi in mare. In genere quando uno si getta in mare si spoglia e invece Pietro si veste! È un simbolo! Pietro è un pover'uomo davanti al Signore, anche perché sa di aver rinnegato il Signore per tre volte.
A chi dei cristiani non è capitato qualche volta di rinnegare il Signore? Non con le parole, ma nei fatti. Quando prende il sopravvento la pigrizia, la mancanza di accoglienza, di attenzione verso l'altro... è allora che rinneghiamo il Signore.
Pietro si sente dire da Gesù per tre volte: "Mi vuoi bene?" Per tre volte Pietro (lo ricordate?) nel cortile del sinedrio aveva detto: "Non Lo conosco". E adesso - Gesù - con un gesto di tenerezza gli domanda: "Pietro mi vuoi bene?" Alla terza volta - Pietro - si spaventa un po': (come ci spaventeremmo anche noi, penso) "Ma perché me lo domandi tre volte? Non mi credi? Ti voglio bene! Sono un pover'uomo. Voglio venire con Te. Qualche volta ho la sensazione di lavorare tutta la notte senza trovare niente - eppure - non mi stanco di cercare. Se Tu mi domandi: mi vuoi bene? Tento di risponderti: sì, Signore, ti voglio bene, cerco di volerti bene, qualche volta ci riesco, qualche volta no".
E il Signore - come a Pietro - ci direbbe: "Seguimi!". Secondo me così si fanno i santi, dicendo: "Noi così siamo!". Tutti noi siamo "santi" non perché siamo buoni o migliori degli altri, ma perché tentiamo di andare dietro Gesù, di continuare a cercarLo senza stancarci.
Gesù ci invita a "mangiare" anche qui intorno a una tavola come i discepoli: "Venite e mangiate". E Gesù ci chiede: "Mi vuoi bene?". E siamo qui per dirgli: "Sì, Signore, siamo povera gente, siamo "nudi" davanti a Te, non ci buttiamo in mare perché non si usa più buttarsi in mare vestiti, ma vogliamo continuare a venirti dietro e se Tu ci dici: seguimi come hai detto a Pietro, ti diciamo: sì, Signore. Vogliamo venire con Te, vogliamo continuare a cercare di credere in Te, vogliamo continuare a volerti bene".
Il Signore ci aiuti.
Gesù disse: "Le mie pecore ascoltano la mia IV DOMENICA di PASQUA - 17 Aprile 2016
voce e io le conosco ed esse mi seguono" Giovanni 10,27-30
Se si scrivesse il Vangelo oggi credo che a nessuno verrebbe in mente di proporci come immagine, come simbolo di Gesù, il pastore. Nessuno di noi ha niente a che spartire con le pecore, col pastore.
L'esperienza che abbiamo non ci fa nemmeno immaginare come un pastore possa conoscere una a una le sue pecore. L'immagine che abbiamo della pecora - spesso - è di un animale un po' sciocco che segue passivamente il gregge, il pastore. Le pecore sono tutt'altra cosa! Sono animali intelligenti che vanno a cercare l'erba migliore e alle volte si mettono nei pericoli e il pastore per andarle a cercare fa una fatica improba e bisogna camminare chilometri e chilometri. Le pecore sono animali intelligenti!
Che immagine potremmo usare oggi per esprimere il nostro rapporto con Gesù? Qualcuno dice potremmo chiamarlo un compagno di strada, un compagno un po' eccezionale come le persone che ti danno qualche cosa di straordinario per la tua vita. Potremmo chiamarlo un Profeta, qualcuno che ti indica il futuro, le strade dell'avvenire. Potremmo chiamarlo il Maestro, Colui che ti comunica qualche cosa di luminoso, Colui che ti fa intravedere i valori essenziali della vita, le cose veramente importanti per vivere da uomini.
Qui viene il primo problema di cui vorrei parlarvi stamattina. È una domanda che mi sono sentito rivolgere tante volte: "Ma - don Checco - anche quelli che non conoscono Gesù, che non hanno sentito mai parlare di Lui hanno valori, valori importanti. Li hanno scoperti per tante strade. Allora a che serve Gesù?" Non ho nessuna difficoltà ad accettare questa obiezione, perché ho avuto la fortuna di conoscere tante persone che non conoscevano Gesù e che erano migliori di me e non solo migliori nel comportamento, ma avevano valori più profondi.
Quando ero un giovane prete avevo difficoltà a rispondere a questa domanda, mi arrampicavo un po' sugli specchi, cercavo di dire qualcosa. Adesso non sento più il bisogno di rispondere, sorrido soltanto.
È come se qualcuno mi dicesse: "Vedi - don Checco - ci sono al mondo tante persone probabilmente più intelligenti, ce ne sono forse alcune più buone di tua mamma, a che serve tua mamma?". "Ma mia mamma è mia mamma! Io lei ho conosciuto. Lei è stata la fonte della mia vita! È come se dicessi a due persone che si vogliono bene marito, moglie, due innamorati, due amanti: ci sono tante persone più belle nel mondo, più intelligenti, a che ti serve il tuo compagno, la tua compagna e perchè non te ne cerchi un altro?". "Perché io a questo voglio bene, perché è stato l'amore della mia vita, perché mi ha riempito il cuore".
Ho degli amici, alcuni per me preziosi... so che ci sono nel mondo persone - forse - più interessanti... ma quelli sono i "miei" amici! L'avventura della mia vita mi ha fatto conoscere loro, sono la mia vita!
Così è per me con il Vangelo! Ho avuto la fortuna di conoscere Gesù, di trovare in Lui il compagno di strada, l'intuizione della Luce, i valori importanti. Non ho difficoltà a pensare che nel mondo ci sono due miliardi di cinesi che non hanno mai sentito parlare di Gesù. Non ho nessuna difficoltà a pensare che tra questi due miliardi ce ne sono almeno centinaia di milioni migliori di me, con valori più autentici e più profondi dei miei... ma io ho conosciuto Gesù! Lui ha riempito la mia vita. Lui è stato per me il punto di riferimento. Lui è stato per me Colui che mi ha accompagnato nel cammino cercando di comunicarmi i valori. Non sono stato sempre capace di ascoltarlo, ma questo è un altro discorso!
Un altro argomento vorrei proporvi stamattina. A volte si sente dire (l'ho sentito dire tante volte) che il cristiano è uno che ubbidisce. Ubbidisce nelle cose pratiche e anche nelle idee. Non deve pensare altrimenti rischia di diventare eretico, di non arrivare alla verità.
Bisogna seguire la verità! Verità - spesso - non proposta dal pastore che è Gesù, ma dai "pastori", dai tanti pastori della chiesa che parlano e - spesse volte - straparlano. Qualche volta pensano che sia loro dovere imporre la "verità" e dire: "Se non pensi così non sei un credente!"
Questa è una caricatura del cristianesimo. Questa è "veramente" una caricatura del cristianesimo!
Tra le tante fortune che ho avuto particolarmente importante è stata quella di incontrare persone che mi hanno insegnato che si può stare nella Chiesa soltanto a testa alta, con il coraggio di pensare, di cercare l'unico Maestro e di cercarlo non da soli, ma insieme agli altri, alle persone che incontri, alla gente con cui condividi un cammino di fede: una ricerca sul Vangelo, che ti aiuta a scoprire Gesù.
Ricordo (per farvi sorridere) un episodio di tanto tempo fa, quando ero ancora nella parrocchia al Prenestino. Venne il Vescovo a fare una visita pastorale (così si chiamano le visite del Vescovo) e aveva radunato un gruppo di giovani, studenti universitari, lavoratori che seguivo... e aveva parlato per venti minuti sul fatto che lui fosse il pastore, il maestro, il padre, della loro fede, cercando di convincerli...
Dopo che ha parlato per venti minuti, un ragazzo, dal fondo della sala - ricordo ancora bene, si chiamava Leo - alza la mano e dice: "Eccellenza, io è la prima volta che la vedo, nella mia vita ha avuto altri maestri, altri padri nella fede" e si è rimesso a sedere. Lo "sciagurato" ha prodotto l'unico risultato che il Vescovo ha parlato per un'altra mezz'ora per spiegare come lui fosse il maestro, il pastore. Aveva perfettamente ragione Leo!
Sono convinto che si può stare nella Chiesa soltanto se si cerca. Soltanto se non si è mai sicuri di essere arrivati alla "verità", soltanto se Gesù è sempre un passo avanti. Se dobbiamo sempre di più scoprire i suoi valori e scoprirli incarnati nella vita, perchè la vita cambia e le mie domande di dieci anni fa non sono certamente più quelle di oggi.
I valori morali cambiano anche quelli e il cristiano deve cercare, soprattutto essere libero di cercare. Deve poter dire tranquillamente al pastore o a quello che si impalca come pastore della Chiesa: "Tu sbagli, dici sciocchezze, non capisci niente del mondo, della vita, non hai rispetto per il prossimo" .
Ecco, il diritto ad essere liberi, il diritto a cercare la Luce, la verità, senza lasciarsi imporre modelli, senza che nessuno ci dica: "Questa è la verità, tutta la verità. Non hai diritto di pensare".
Lo dice il Belli in uno dei sonetti forse più belli... fa concludere al prete: "Cqui nun z’ha da capí mma ss’ha da crede". No, qui s'ha da capì! Soltanto quando si può pensare allora si può credere.
Credere non è accettare verità astratte. Credere è avventurarsi dietro Gesù, tentare di scoprire i suoi valori, di camminare con Lui e questo, per un cattolico, non si può fare da soli. Questo si fa insieme, condividendo opinioni, dubbi, perché (al contrario di quello che mi dicevano quando ero ragazzo) il dubbio è compagno della fede. Una fede senza dubbi non è una fede, è un chiudere gli occhi, è affidarsi a parole che a volte si ripetono stupide o se non stupide, vecchie che non dicono più niente; parole antiche.
Tentare di avere fede significa tentare di scoprire Gesù, sentirlo accanto a noi, scoprire i suoi valori e camminare con Lui, avventurandoci alla ricerca del bene, alla ricerca del futuro, della vita. Non è cosa semplice, ma bisogna essere liberi per essere cristiani, ma la libertà, ce lo dicono l'Antico e il Nuovo Testamento, lo ripete Dostoeskij nella stupenda leggenda del "grande inquisitore": la libertà è difficile! E allora coraggio! Siate liberi e insegnate ai vostri figli e nipoti ad essere liberi! Se non si è liberi non si può seguire Gesù. Lui è venuto proprio per questo: chiamarci alla libertà.
Il Signore ci aiuti.
"Figlioli… vi do un comandamento nuovo: che V DOMENICA di PASQUA - 24 Aprile 2016
vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato Giovanni 13, 31-35
voi cosi amatevi anche voi gli uni gli altri".
Siamo come avete ascoltato nel Cenacolo, è l'ultimo momento, Giuda è uscito, si avvicina ormai la fine, Gesù dice: "Ancora per poco sono con voi".
Fate stamattina, se vi riesce, uno sforzo con la vostra fantasia per andare là nel Cenacolo, magari nascosti dietro una tenda, per vedere e cercare di ascoltare e portatevi dietro tutte le domande della vostra fede, il peso, a volte, della nostra esperienza religiosa, le tante, troppe cose che ci hanno detto sulla nostra fede.
Guardate un momento Gesù che comincia a parlare: cosa vi aspettate che dica all'ultimo momento, ha da lasciarci il suo testamento, le ultime parole.
Penso non vi aspettiate più, conoscete la storia, che dica: "Non abbiate paura, tutto andrà bene, il Padre manderà le sue legioni, ci difenderà". Non può accadere che il giusto muoia, il giusto non può essere punito da Dio, così pensano molte religioni.
Ma forse ci aspettiamo (lo abbiamo ascoltato tante volte in questi ultimi anni) che ci dica: "Pregate, pregate senza stancarvi e fate penitenza e fate digiuni, rinunce, perché questo è gradito al Signore e libera il mondo dal peccato".
Oppure forse qualcuno di noi si aspetterebbe che Gesù, almeno nell'ultimo momento, ci spiegasse i misteri della vita, ci dicesse con parole chiare chi siamo, perché viviamo, qual è la sorte di questo mondo.
Qualcun altro si aspetterebbe che Gesù desse alla sua Chiesa leggi precise, che istituisse con chiarezza la gerarchia: chi è il prete, il vescovo, quale il ruolo dei laici, oppure regole precise sulla gestione del denaro…
Ora fate un momento di sospensione e ascoltate: "Figlioli miei vogliatevi bene… come io vi ho amato così amatevi anche voi".
Non sentite la voce della mamma sul letto di morte che ha radunato i suoi figli, magari un po' capricciosi, e dice: "Figlioli non litigate, per favore vogliatevi bene".
E se il cuore della morale fosse qui, se Gesù avesse solo un'ultima parola da dirci: "Vogliatevi bene". Troppe complicazioni, troppe sovrastrutture nel nostro modo di avvicinarci alla fede… forse qualche volta ci conviene ritornare qui, a questa Cena, a quest'ultima parola di Gesù.
Poi aggiunge: "Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni con gli altri". Questa parola per la mia esperienza è importante, perché supera la parola che tutti conoscete, che abbiamo ripetuto tante volte: "Ama il prossimo tuo come te stesso", no "come io ho amato voi": è un cambiamento profondo perché, vedete, al centro non sono più io, ma è l'Altro in cui vediamo Dio, il mondo, gli altri… l'uomo rischia di essere narcisista, di pensare di essere il centro del mondo.
Ti voglio bene come mi voglio bene, ma se quello non si vuole bene come mi voglio bene io, se è diverso. Pensate per fare il più banale degli esempi: se i genitori volessero che i figli fossero come loro, con i loro stessi interessi, con il loro stesso modo di vivere, il centro non sarebbero i figli, sarebbero loro.
Gesù cerca di tirarci fuori dal nostro narcisismo e di guidarci verso un amore che sia libero e rispettoso, un amore che vada, come ha fatto per tutta la sua vita, al di là delle regole e delle leggi, degli schemi, delle mode, un amore che rispetti veramente l'uomo, che vada anche al di là dei miei principi, delle mie idee, della mia fede: non posso amare l'uomo in base alla mia fede, non voglio che pensi come me, perché lui è diverso.
Ecco quello che ritengo fondamentale: il centro non sono io è l'altro, questo "altro" scrivetelo con la maiuscola: l'Altro, l'Oltre che è Dio, è la natura, questo mondo che va rispettato, l'Altro che sono la persone che incontro in casa, sul lavoro, ogni persona che in qualche modo attraversa la mia vita.
A volte cosa significhi non riusciamo a saperlo, a volte il cammino è faticoso, difficile a volte siamo tentati di rinchiuderci in noi stessi, di non aprirci agli altri.
A volte il nostro amore non va aldilà della cerchia dei parenti, degli amici, non è un amore fatto di politica, di attenzione al bene comune. Quando eravamo giovani, dei maestri ci dicevano che se l'amore non è politico non è amore, raccontatelo ai vostri ragazzi che disprezzano la politica perché pensano che sia fatta soltanto da beghe di partito, no la politica è fatta di passione per la polis, per la città, per il bene della società.
Cosa significhi non lo domandate certo a me, ma è una ricerca che possiamo fare domandandoci concretamente che significa amare, cominciando dal chiederci che significa amare mio figlio, mio genero, mia nuora, gli amici, i compagni di lavoro, questa città, questo mondo, questa gente che viene a invaderci l'Europa… senza sapere bene cosa fare: non accettate scorciatoie perché spesso i problemi sono drammatici ed estremamente difficili.
Ma è bene che rimaniamo sempre come figli che ascoltano l'ultimo saluto della mamma sul letto di morte: "Figlioli vogliatevi bene", forse il messaggio di Gesù è tutto qui.
Il Signore ci aiuti.
"Lo Spirito Santo …. vi insegnerà ogni cosa VI DOMENICA di PASQUA - 1 Maggio 2016
e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» Atti 15,1-2. 22-29. Giovanni 14, 23-29
"Vi lascio la pace, vi do la mia pace…"
Le letture di oggi ci permettono di fare, o di tentare di fare, un discorso particolarmente importante, forse fondamentale per la nostra fede.
Vedete nel Vangelo che abbiamo ascoltato Gesù sembra promettere ai suoi discepoli due cose, la prima: lo Spirito, che insegna ogni cosa.
Nel corso della storia dei cristiani molte volte si sono fatte scorciatoie e si è pensato che lo Spirito desse al credente la certezza della verità: una verità eterna è immutabile.
Lo hanno pensato i papi che sono arrivati a definirsi infallibili, lo hanno pensato i preti e lo hanno pensato molti cristiani: credere di possedere la verità, una verità che viene dall'alto, da Dio: quindi una verità assoluta.
Questo ha causato tanti fraintendimenti, tante difficoltà nel cammino cristiano, perché qualcuno pensava di possedere anche la verità della scienza, pensate a Galilei, la verità della psicologia pensate a Freud, la verità della morale: questo giusto, questo è sbagliato, lo dice Dio
Attendere lo Spirito che guidi alla verità significa che la verità è sempre davanti a noi, che è sempre da inseguire mai posseduta. Pensare di possedere la verità significa diventare dei fanatici, degli integralisti, della gente che combatte, che in nome della verità arriva addirittura a bruciare chi la pensa diversamente.
Dio che spesso pensiamo dietro di noi per assicurarci la verità… ci sta davanti e ci chiama alla verità, ci invita a cercarla. Gesù è venuto per farci intuire qualche traccia in questo cammino.
Ne abbiamo un esempio nella prima Lettura: i primi discepoli hanno un grosso problema: per essere cristiani, occorre essere circoncisi, diventare ebrei? Si creano divisioni, si discute animatamente: nessuno ha una risposta certa, occorre cercarla. Cosa farebbe ora Gesù, ha detto qualcosa in proposito? Poi forse qualcuno si ricorda che per Lui non sono importanti le tradizioni, le regole, le pratiche religiose, ma l'uomo… allora si arriva faticosamente alla decisione: "Non è necessario essere circoncisi". È la libertà: il cristianesimo si può aprire al mondo intero.
Arrivano a dire: "È parso bene allo Spirito Santo e a noi", quindi alla verità dello Spirito si arriva dopo lunghe discussioni e ricerche. Non solo, ma sembra loro che lo Spirito indichi che ci siano cose necessarie: "astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati…" tutte cose che oggi a noi appaiono sciocchezze. Vedete, si arriva ad una verità importante, ma altre vanno ancora cercate senza stancarsi.
Ma c'è un'altra promessa che abbiamo ascoltato: la promessa della pace: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace". Siete tutti in pace questa mattina? Probabilmente qualcuno no! Non avete pace nel vostro cuore e soprattutto guardate con sgomento questo mondo in cui pace non c'è! Allora che pensare di questa promessa del Signore?
Molti cristiani pensano che il Signore non solo ci promette la pace, ma anche la salute, il pane da mangiare, un tetto sopra la testa, il lavoro, la serenità, il benessere… per questo molti cristiani sono invitati a pregare.
Lo facciamo tutti, perché siamo povera gente: quando siamo in difficoltà ci rivolgiamo a Dio, quando abbiamo una persona cara malata pensiamo che Dio possa aiutarci… specialmente noi che ci sentiamo buoni.
Ma spesso non otteniamo quello che chiediamo e può accadere qualcosa che mi sembra uno degli aspetti peggiori della religione, perché spesso i cristiani si sono sentiti dire: "Se non hai ottenuto è per colpa tua: non hai saputo pregare, oppure qualcuno ha peccato, oppure Dio ti ha messo alla prova". Ma in che Dio crediamo?
E c'è stato di peggio nella storia della Chiesa, perché spesso di fronte alle catastrofi del mondo: la peste, il terremoto, la guerra… si è pensato che ci fosse un grave peccato da espiare… e allora processioni, grandi penitenze, flagellazioni, digiuni… tutto l'apparato religioso per riparare il peccato.
Non solo, spesso la cosa più terribile: la ricerca di un capro espiatorio, l'untore… e si è cercato tra i diversi, tra i più deboli, tra le donne.
Forse non conviene pensare che Dio sta dietro le nostre spalle per proteggerci o, come dicevano alcuni saggi qualche tempo fa, per tappare i buchi della nostra debolezza… e se non ci aiuta è colpa nostra.
Forse abbiamo troppo parlato di Provvidenza, di un Dio che sta dietro di noi e può curare i mali del mondo… Dio ci sta davanti e ci chiama! Gesù è venuto tra noi proprio per camminarci davanti e indicarci la strada: è compito nostro costruire la pace, curare i malati, dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati… è compito nostro costruire questo mondo, con coraggio, ciascuno secondo le proprie responsabilità, senza sentirsi mai sulle spalle il peso del mondo intero.
Il Dio in cui crediamo e il Dio del "sogno", dell'ideale, del futuro, che ci propone la pienezza della vita dell'uomo, il benessere, la salute, la pace, ma sono tutte cose che dobbiamo conquistare con pazienza, ciascuno di noi. Cominciando dalle cose più materiali, facendo in modo, per quello che possiamo, che ci sia lavoro, benessere, che sempre più malati possono guarire: è compito dei medici, è compito di chi dà una mano perché la ricerca medica progredisca sempre di più: le malattie non guariscono con la preghiera, Dio non sta qui per questo.
Dio anche stamattina ci chiede: "Cosa puoi fare tu perché il mondo sia migliore?". È il Dio della chiamata, è il Dio del sogno e il Dio che ci cammina davanti. Per questo Gesù è venuto in mezzo a noi ed è stato per noi testimone di attenzione verso gli altri, di servizio, di libertà, di amore e su questa strada ci invita a camminare: non è semplice.
Il Signore ci aiuti.
Mentre li benediceva, si staccò ASCENSIONE del SIGNORE - 8 Maggio 2016
da loro e veniva portato su, in cielo. Luca 24, 46-53
Cercare di intuire qualche cosa della nostra fede è un cammino lungo, non del tutto semplice e se si ha la fortuna di incontrare qualche persona particolarmente saggia, allora la nostra conoscenza si arricchisce.
Quando parlo della fede parlo sempre di intuire, mai di conoscere. Possedere la verità della nostra fede, che significa possedere fino in fondo la verità di Dio è qualche cosa che non ci è dato. Dio abita "l'oltre". Noi possiamo intuire qualche cosa e lo intuiamo soprattutto attraverso un linguaggio simbolico, attraverso dei segni che ci fanno intravedere un "oltre" e ci fanno anche intuire qualche cosa di quello che noi siamo, di quella che è la nostra realtà umana e questa, forse, è la cosa più importante, perché l'oltre è affidato a Dio.
Vorrei raccontarvi un po' la storia del mio cammino alla ricerca del senso della festa che oggi celebriamo. Sapete che celebriamo la festa dell'Ascensione di Gesù al cielo.
Quando ero un adolescente, mi cominciavo a porre domande: "Gesù dove è andato? Dicono che è risorto e è salito al cielo con tutto il corpo, ma dove sta? C'è un'altra terra, ci si può camminare sopra e ha bisogno di mangiare, che corpo è?". E immaginavo in qualche parte dell'universo, che mi diventava sempre più vasto man mano che crescevo, che ci fosse qualche luogo strano in cui Gesù vivesse aspettando noi.
Quando domandavo a qualche sacerdote che sembrava assennato, il più delle volte mi dicevano: "È un mistero, non possiamo capire i misteri di Dio". Qualcuno più saggiamente mi diceva: "Ma non preoccuparti, tu non potrai mai sapere quello che c'è aldilà, quello che è lo spazio di Dio. Invece il senso della festa dell'Ascensione è un altro: Gesù se ne va e lascia noi"… e quindi mi dicevano: "Gesù lascia a te il compito di continuare la sua missione". Questa è già una intuizione importante di questa festa. Lo avete notato più volte nelle Letture che abbiamo ascoltato: "Voi mi sarete testimoni". Gli angeli dicono: "Che state ad aspettare qui a guardare in cielo, andate, lui tornerà e intanto voi lavorate, costruite il mondo, è il tempo vostro. Gesù vi accompagna ma siete voi i protagonisti". È un discorso particolarmente importante per la festa di oggi.
Io che di fortune ne ho avute tante, ho avuto anche quella di incontrare un maestro che cercava di farci intuire qualche cosa di più e lo faceva con battute di questo tipo: "Che significa l'Ascensione? Che un falegname è salito in cielo con tutte le scarpe!". Voi capite che lo guardavamo stupefatti: "Che significa che un falegname è andato in cielo con tutte le scarpe?" Non era una battuta per lui, era qualche cosa di serio.
Ci diceva: "Vedete, quando cercate di intuire i misteri di Dio, sappiate che i simboli non parlano di Dio, parlano di noi, della nostra vita!". Allora cosa ci dice questa festa? Ci dice che l'aspetto materiale, carnale, temporale della nostra esistenza ha valore. Gesù s'è portato con sé nello spazio di Dio la nostra carne, la nostra realtà quotidiana, le mani da falegname. Cosa significa questo - allora - aldilà del simbolo?
Significa che la nostra vita quotidiana, il nostro lavoro, la nostra fatica di ogni giorno, il nostro corpo, la nostra sessualità sono tutte cose sacre. Nei primi tempi della Chiesa c'era qualcuno che diceva: "C'è il mondo dello spirito, l'anima è quello che conta, il corpo... il corpo bisogna soltanto trascurarlo, maltrattarlo, perché l'anima sia libera, il corpo non conta. Quello che conta è acquistare meriti, salvarsi l'anima, guardare verso il Paradiso e lì la nostra anima abiterà presso Dio".
Qui non si parla di anima, qui si parla di corpo, qui si parla di realtà quotidiane, di realtà materiali. Qui si dice che tutto quello che è la nostra vita ... e quando parlo di vita - badate bene - parlo di tutto quello che è la vita concreta, materiale dell'uomo.
Pensate alla politica, pensate alla scienza, alla ricerca medica, pensate a tutto quello che è il lavoro quotidiano dell'uomo, pensate all'economia, al denaro... Alcuni monaci antichi dicevano: "Il denaro è lo sterco del diavolo". No, i denari sono preziosi. C'è chi se ne approfitta, chi fa denaro con denaro, chi sfrutta il prossimo... ma ci sono anche molti, come mio padre e mia madre, che si son levati il pane di bocca per darci da mangiare, per cui un centesimo era prezioso. Tutto il loro impegno era avere qualche soldo per farci mangiare e andare a scuola ed è stato quasi un miracolo tutto quello che hanno fatto per me.
Tutto questo ha valore davanti a Dio. Non ha valore soltanto la preghiera, il guardare in "alto", la contemplazione, l'anima. È il lavoro dell'uomo che oggi celebriamo, è la realtà corporale dell'uomo, è la nostra vita, è la nostra carne. E non solo le nostre realtà umane ma la natura tutta, l'universo materiale.
Ecco - vedete - questa intuizione straordinaria che i primi cristiani fanno... Gesù è entrato nello spazio di Dio, uno spazio che non possiamo nemmeno nominare, non sappiamo di cosa parliamo, ma è entrato con la nostra carne - quindi - parliamo della nostra carne, parliamo del nostro mondo.
Voi sapete per esperienza che è importante venire qui la Domenica; ci si ritrova, si ascolta la Parola, si prega... ma non è meno importante il lavoro che avete fatto durante la settimana. Non è meno importante il pranzo che avete preparato con cura… Tutte queste cose fanno parte della vita e fanno parte del mondo di Dio. Non c'è un mondo dello spirito, bello, santo, puro che conta e un mondo della materia, del lavoro che è cosa secondaria di cui non bisogna preoccuparsi troppo.
C'è stato purtroppo a volte nella Chiesa... lo chiamavano in latino: "contemptus mundi" il disprezzo del mondo, che in qualcuno arrivava addirittura al disprezzo della propria vita, a non mangiare più, a rinunciare al proprio corpo...
Per quello che ho capito io, per quello che i miei maestri mi hanno fatto intuire... alla luce della festa di oggi, queste sono sciocchezze, perché ci parla di noi, della nostra realtà carnale, del nostro lavoro, della nostra vita quotidiana.
E - dunque - è bene che veniate qui, ma non è qui che si vive la fede. La fede la si vive a casa; nei lavori quotidiani e tutti hanno importanza davanti a Dio, non c'è un lavoro più importante e uno meno. La preghiera non è più importante di tanti altri lavori: tutto è prezioso, tutto fa parte della nostra vita, tutto fa parte di quello che Dio vuole da noi.
Quando preghiamo: "Sia fatta la tua volontà"… Dio vuole che cerchiamo di fare in modo che la vita, per noi e per chi ci sta intorno, sia più bella, più ricca di giustizia, di amore, di benessere, di piacere! Questo, per quello che ho intuito io, ci dice la festa di oggi.
Il Signore ci aiuti.
Venne all'improvviso dal cielo un fragore, PENTECOSTE - 15 Maggio 2016
quasi un vento che si abbatte impetuoso. Atti 2, 1-11. Giovanni 14,15-16. 23-26
Apparvero loro lingue come di fuoco e tutti
furono colmati di Spirito Santo.
Non so se è capitato anche a voi di ascoltare più volte battute sullo Spirito Santo, soprattutto da parte di gente giovane.
Quando c'è l'elezione di un Papa si sente dire che è scelto direttamente dallo Spirito Santo, alcuni ragazzi che hanno studiato un po' la storia della Chiesa, dicono: "Certo se è Lui che sceglie i Papi, qualche volta è distratto, oppure che non è capace o peggio ci vuole male. Perché a vedere certi papi non sembra certo una scelta felice".
Altre volte mi è capitato di ascoltare domande sullo Spirito… Ieri ho partecipato alla Cresima di una mia nipote e il vescovo diceva che ai cresimati viene donato lo Spirito Santo: "Ora avete lo Spirito Santo". C'è chi domanda: "Ma se uno non è cresimato, non ha lo Spirito Santo? E quelli che stanno in Cina, quelli che dello Spirito non hanno mai sentito parlare, loro non hanno niente a che spartire con lo Spirito di Dio? Non dice il Vangelo che lo Spirito soffia dove vuole?".
Ecco, vedete quando i doni di Dio vengono presi come "cose", che ci sono o non ci sono si entra in una serie di equivoci e di contraddizioni che non hanno fine.
Perché a uno sì e ad un altro no? Perché uno è fortunato e uno sfortunato? Perché Dio non è per tutti? Perché i doni di Dio non sono per tutti?
Le Letture di oggi ci aiutano ad intuire qualcosa... Lo dicevo già Domenica scorsa, (lo ripeto) si tratta sempre (per quello che ho capito io) solo di intuire. Comprendere significa essere arrivati alla "verità". Il cristiano, alla verità, non ci arriva mai, deve sempre continuare a cercare, a intuire qualcosa del suo rapporto con Dio.
Le Letture di oggi ci permettono di intuire qualche cosa. Avete sentito parlare, nella prima Lettura (si tratta soprattutto di simboli) di un Vento impetuoso. Ecco, la parola Spirito deriva da una parola ebraica che proprio significa: Vento, Soffio. Il vento, il Soffio di Dio che attraversa il mondo e l'uomo non può che aprirsi o meglio dovrebbe cercare di aprirsi a questo "Vento".
Ed ecco - allora - che il vento di cui parla la prima Lettura è un vento che spalanca le porte, che fa liberi. I discepoli sono spinti a liberarsi dalla paura, dalla paura del mondo, del futuro. Liberi da tutte le costrizioni, da tutte le regole, da tutti i "sabati" che opprimevano parte della religione ebraica. Liberi dall'idea che si può essere cristiani soltanto se si è ebrei. Vento a cui i cristiani debbono aprirsi come una nave che spalanca le vele perché possa andare. Andare senza ricreare lacciuoli, legami, senza ricreare paure. Lo Spirito non si possiede una volta per tutte. Lo Spirito è ricerca. Lo Spirito è sogno. Lo Spirito è cammino, cammino senza fine... alla ricerca della libertà, della libertà così difficile, così faticosa per l'uomo.
Provate a parlare di libertà a un ragazzo nel mondo di oggi e sentirete tutta la pesantezza di questo mondo così complicato, attraversato da mode, condizionato dalla televisione, dai giornali, dai gruppi, dai loro mezzi di comunicazione. Essere liberi, pensare con la propria testa, liberi di cercare la giustizia, liberi di non lasciarci condizionare dalle mode: libertà! Ecco il "Vento" di Dio che ci spinge.
E non solo questo simbolo, ma anche una "fiamma". Una fiamma che è luce, che è ricerca di verità in tutti i campi. Per la scienza dovrebbe essere scontato, ma dovrebbe essere normale anche per la religione. La verità va sempre cercata. Il senso della vita, della giustizia, di che cosa è bene non è una cosa che si può mai dare per acquisita, non vale sempre per tutti. Non vale per tutti i tempi. Ci sono tempi in cui certe cose erano dogmi e poi a un certo punto ci si accorge che bisogna cambiare.
Il Papa diceva l'altro giorno (se ho sentito bene) che si può cominciare a pensare di fare una commissione. (si fanno sempre commissioni, vi siete mai chiesti perché?) Commissione per cominciare a pensare al diaconato delle donne: siamo nel 2016! Le vele dell'uomo al vento di Dio sono state chiuse finora, stiamo ancora a chiederci se una donna può fare il diacono, e diacono significa ancora grado inferiore, quando penseranno al sacerdozio?
Un Soffio che spinge verso la verità… e anche una fiamma che scaldi il cuore, che renda l'uomo capace di amare, di non ripiegarsi su se stesso, di aprirsi all'altro. Noi abbiamo tutti la tentazione di rinchiuderci, di guardarci allo specchio e di pensare a noi. Lo Spirito ci ispira a guardare all'altro. E avete sentito l'altro simbolo su cui la prima Lettura insiste tantissimo: tante persone diverse che si intendono, che parlano la stessa lingua: un sogno!
Pensate oggi in questo mondo che è diventato così complicato in cui ci troviamo con persone che hanno culture diverse, che vengono da popoli diversi, religioni diverse: la capacità di ascoltarsi, di intendersi, di cercare insieme qualche cosa che ci unisca e non che ci divida.
Il Vento di Dio che spinge non soltanto noi cristiani, che spinge ogni uomo di buona volontà.
Vento che spinge verso la libertà, verso la Luce, verso la verità, verso la condivisione, la capacità di capirsi: non è cosa facile!
Se leggete la storia dei primi cristiani... per arrivare a capirsi fra di loro e non dico con tutti hanno dovuto tribolare, lavorare, litigare cercando di riuscire a intendersi, a camminare insieme.
Ecco, se vogliamo pensare allo Spirito (per quello che ho capito io) dobbiamo pensare ad un Vento che ci spinge, che ci spinge verso il futuro, verso la libertà, verso la giustizia, verso l'amore, verso la fraternità. Direte voi: "Ma è un sogno". Si, Dio è sogno!
Chi pensa di possedere Dio, di sapere cosa Dio fa o non fa... per quello che ho capito io, Dio non l'ha capito. Dio è futuro. Dio è sogno. Dio ci cammina davanti. Dio ci chiama. Chiama ciascuno di noi a costruire un mondo, a vivere la libertà, l'amore, la condivisione.
Dio è sogno e lo Spirito è il Vento che ci spinge verso questo sogno. Non possiamo che invocarlo perché ci dia la capacità di spalancare il nostro cuore, di aprire le nostre "vele", di lasciarlo soffiare per noi e per questo mondo in cui viviamo. Questo mondo ha un bisogno disperato di sogno, di speranza, di libertà: per questo ci è donato lo Spirito.
Il Signore ci aiuti.
"Quando verrà lui, lo Spirito di SANTISSIMA TRINITA - 22 Maggio 2016
verità, vi guiderà a tutta la verità" Giovanni 16, 12-15
Celebriamo oggi la festa della Santissima Trinità. Quando si parla della Trinità, la prima parola che viene in mente è: mistero.
Quelli tra noi che hanno fatto il catechismo tanto tempo fa hanno imparato che la Trinità è uno dei due misteri principali della fede.
Cosa c'è dietro la parola mistero? Forse merita riflettere un po'. Sotto la parola mistero ci può essere qualche cosa di fondamentale. Per quello che ho capito io ci "dovrebbe" essere qualche cosa di fondamentale: l'idea - cioè - che Dio abita l'oltre (come io uso dire), che noi non possiamo sapere, comprendere pienamente chi sia Dio.
Dio è aldilà di ogni nostra parola, di ogni nostra immaginazione, di ogni nostra possibilità di esprimerci, altrimenti non sarebbe Dio.
Ma c'è qualche cosa di più che dovrebbe essere dentro la parola mistero. Se Dio è "oltre" noi non possiamo usare il suo nome. Non possiamo pretendere di parlare in nome di Dio, di agire in nome di Dio, se Lui è mistero mai posseduto dall'uomo.
L'Antica Scrittura invita Israele a non pronunciare nemmeno il nome di Dio. Di Dio non si può guardare il volto, solo le spalle, si può solo tentare di inseguirlo.
Se ci pensate, questo è uno degli aspetti più trascurati nella storia religiosa, perché in nome di Dio sono state fatte guerre, sono state distrutte civiltà. In nome di Dio si è proibito alla scienza di investigare. In nome di Dio si sono imposti principi morali, si sono negati funerali. In nome di Dio si sono fatte le cose più nefaste sulla terra.
La parola mistero avrebbe dovuto ricordarci che Dio è "aldilà", che non possiamo usarlo, che nessuno sulla terra può usare il nome di Dio, può fare guerra in nome di Dio, uccidere in nome di Dio, affermare una verità in nome di Dio. Se Dio è mistero non possiamo usare il suo Nome.
C'è un altro aspetto della parola mistero che forse ha attraversato la vostra vita come ha attraversato la mia.
Quando ero bambino, (non so se posso coinvolgervi) la parola mistero era una parola densa di oscurità, qualche cosa che non posso capire. Molte volte quando facevo domande, mi rispondevano: "È un mistero" come dire qualche cosa che la tua mente non può afferrare... e mi raccontavano (forse l'hanno raccontato anche a voi) la storia di sant'Agostino che sulla riva del mare cercava con la conchiglia di mettere l'acqua in una piccola buca e l'Angelo dice: "Come puoi nella tua piccola testa mettere il mistero di Dio".
Non bastava, mi mostravano un "triangolo" (ho sempre odiato la matematica) e in mezzo a questo triangolo c'era un occhio inquisitore, quindi Dio diventava qualche cosa di minaccioso, che poteva mandarti all'inferno.
Oppure usavano parole astruse: una sola Natura, tre Persone... Natura, Persone, concetti della filosofia greca lontani dal parlare comune. Oppure mi parlavano del trifoglio e non capivo niente e rimanevo sconcertato: era tutto oscurità.
Poi ho capito che c'era un'altra strada, non per comprendere Dio, perché Dio è sempre "l'oltre", ma per intuire, per cercarne le tracce nel nostro esistere.
Allora ho cominciato a vedere un riflesso di Dio nella bellezza della natura, nello splendore del cielo, nella bellezza delle montagne, del mare, nel sorriso di un bambino, nell'arte, in qualche capolavoro che mi conquistava il cuore: vedevo lì un riflesso di una bellezza, di una grandezza più grande, che forse è il fondo dell'esistere dell'universo.
C'è di più... qualche volta mi sembrava di intuire qualche cosa di Dio quando facevo esperienza di amore gratuito, di un'amicizia senza interesse, quando sentivo intorno a me la gratuità e - allora - mi pareva di intuire la parola: "Dio è amore", ma un amore più grande del nostro amore, un amore totale, un amore che è pienezza, un amore di cui potevo soltanto scrutare le tracce.
Allora - ecco - quello che per me era qualche cosa di oscuro diventava qualche cosa di totalmente luminoso, che rischiava di abbacinarmi…
Dio è la pienezza della bellezza, dell'amore. Dice Kant: "Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me". Il bisogno di gratuità, di giustizia, di tenerezza, di amore dentro di me.
Questo ci fa intuire qualche cosa di Dio, presentire una bellezza più grande, un amore più grande, il fondo dell'essere, dell'esistenza.
Noi che abbiamo la fortuna di avere tra le mani il Vangelo possiamo in qualche modo tentare di dare un nome a Dio. Gesù ci ha insegnato, ci ha permesso di rivolgerci a Dio chiamandolo Padre, ma dobbiamo ricordarci del mistero perché troppe volte ci facciamo un Padre a nostra immagine e somiglianza. Pensiamo un Padre buono, provvidente, un Padre che ci custodisce e poi rimaniamo sconcertati di fronte alla vita, perché l'idea di un Padre che provvede attentamente ai suoi figli non corrisponde alla storia del mondo.
Allora occorre leggere e - se volete - fate come ho fatto io, rileggete centinaia di volte la parabola del Padre misericordioso e vi accorgete che più la leggete e più sentite qualche cosa di "oltre". Chi è questo Padre? Quando il figlio torna, un figlio delinquente, non ha una parola di rimprovero, non una parola di minaccia, ma solo la "festa". Ma che significa? Quando parlo di Padre di cosa parlo? Cos'è amare veramente un figlio aldilà di quello che fa? Quale è il rapporto dell'uomo con l'uomo quando parliamo di Dio come Padre?
Poi abbiamo Gesù che nei suoi gesti, nelle sue parole, il suo chinarsi a lavare i piedi, il suo mettersi dalla parte degli ultimi, il suo accettare di venire con noi a calpestare la polvere della terra ci fa intuire qualche cosa del volto di Dio.
Quando Filippo domanda a Gesù: "Mostraci il Padre". Gli risponde: "Ma come, Filippo, da tanto tempo sei con me, chi ha visto me ha visto il Padre"
Ecco, nelle parole di Gesù, nei gesti di Gesù, nella vita di Gesù posso intuire qualche cosa dell'oltre di Dio, sempre facendo attenzione, c'è la tentazione di fare anche Gesù a mia immagine e somiglianza. Questo ci ricorda sempre la parola: mistero.
Stai attento! Prima di parlare di Dio mettiti la mano sulla bocca, intuisci, cerca senza stancarti, guardati soprattutto intorno, guarda il mondo con stupore, leggi la Scrittura con stupore, con spirito di ricerca, senza mai pensare di essere sicuro, di possedere la verità, sempre in cammino, ma con la gioia di intuire qualche cosa di Dio e di intuire qualche cosa della bellezza, della gratuità, dell'amore...
Poi, Domenica scorsa la festa di Pentecoste ci ricordava (lo diceva anche il Vangelo di oggi) che abbiamo lo Spirito, il Vento di Dio che ci spinge avanti verso la gratuità, verso la libertà, verso la Verità. Una verità sempre più grande, che non si può possedere, che non possiamo mai imporre agli altri, una verità che possiamo sempre cercare, tentando di conservare nel nostro cuore quel poco che possiamo intuire come il tesoro più prezioso della nostra vita.
Il Signore ci aiuti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, SS. CORPO E SANGUE di CRISTO - 29 Maggio 2016
alzò gli occhi al cielo, li benedisse... Luca 9, 11-17
Celebriamo oggi la festa dell'Eucaristia. È un invito a riflettere su quello che facciamo qui ogni domenica.
Per tentare di intuire qualche cosa dell'Eucaristia che è il cuore della nostra fede, forse ci conviene partire da lontano, da molto lontano per cercare di ripercorrere a volo d'uccello (è un volo rapidissimo perché sarebbe un discorso molto lungo) l'origine della religione.
La religione nasce, fin dai tempi della preistoria, dal bisogno dell'uomo. L'uomo vive immerso nel bisogno: teme le malattie, il tempo, i vulcani, la guerra e ha bisogno di qualcuno che protegga la sua vita, curi i suoi malanni.
Non solo... ha bisogno di qualcuno che sostenga la propria identità. Una tribù ha il proprio Dio e si sente più forte, migliore delle altre tribù.
Ha anche bisogno di qualcuno che interpreti il futuro, sempre oscuro per loro: che succederà domani?: piove, grandina, c'è la siccità, la guerra… allora si moltiplicano in tutti i popoli della terra divinità e altari e luoghi sacri con tutta una serie di riti... riti di purificazione perché, in fondo, il "sacro" fa paura, riti di propiziazione: tutto un complesso per cercare di dare all'uomo un minimo di sicurezza, di farlo sentire giusto e protetto da una divinità o da molte divinità.
Nel corso del cammino della storia non sappiamo chi, e come, comincia ad intuire che forse c'è un "oltre" da cercare. Forse Dio è uno solo ed è per ogni uomo che vive sulla terra e questo Dio va cercato nella gratuità e ci chiede la giustizia: un Dio unico che vuole che gli uomini siano giusti, che dona agli uomini una Legge e non la dona perché ne abbia bisogno, ma perchè aiuti l'uomo ad essere migliore, a camminare su strade di giustizia.
Ecco - allora - che pian piano si sviluppa l'idea del Dio unico, che esige la giustizia e - con questo Dio - Israele arriva a pensare di poter fare un'Alleanza e addirittura un'Alleanza di Sangue: noi e Dio siamo la stessa cosa. Noi e Dio condividiamo la stessa vita. Non più - quindi - il bisogno, il desiderio di protezione, ma l'impegno alla giustizia, il tentare di essere come Dio, di vivere la Sua vita che è la pienezza della bellezza e della bontà dell'universo.
Questo cammino è lento, faticoso. C'è un'intuizione, i profeti la ripetono, ma non riescono a togliere il moltiplicarsi dei riti, dei bisogni di protezione, gli altari... lo vedete anche nella tradizione cristiana... contano, a volte, più i santi, padre Pio, santa Rita...
Per noi cristiani il fondamento della religione dovrebbe essere qui nell'Eucaristia.
Ma ripensate un po' a come siamo stati educati all'Eucaristia (non so se la mia esperienza corrisponde alla vostra). Quando ero ragazzo e andavo a scuola, a Messa tutte le domeniche pregavo ardentemente il Signore che mi facesse andare bene il compito di matematica, ma siccome non studiavo la matematica, il compito andava male e - questo - mi faceva questionare con Dio: "Ma come, ti ho chiesto aiuto perché non me lo dai?!"
Non solo... ma l'andare a fare la Comunione tutte le domeniche, qualche volta con sforzo perché se si faceva una gita bisognava essere digiuni dalla mezzanotte e non bere acqua, ci faceva sentire degli eroi, ci faceva sentire migliori degli altri e - a volte - giudicavamo. Quante volte ho incontrato cristiani che venendo a Messa, si sentivano migliori e giudicavano con severità il prossimo!
Non solo... se posso raccontarvi un'esperienza dei primi anni del mio sacerdozio...
Quando ero un giovane prete nel 1961, (è passato tanto tempo) andavo nella parrocchia di san Giulio a Monteverde. Dicevo Messa alle sette del mattino e lì venivano quelle che io continuo a chiamare: le mie vecchiette (allora mi sembravano molto anziane) erano un po' assonnate, dovevano correre a casa per preparare la colazione per il marito, i nipoti... mi dicevano: (per farvi sorridere un po') "Don Checco, come predica bene lei, è così corto" Qualcuno mi rimprovera che ho tradito le mie vecchiette, ma è la vecchiaia... allora ero giovane e potevo essere corto, adesso...
Non è questo che volevo dirvi. Una di queste signore una mattina viene a far segnare una Messa per ricordare un defunto e mi fa: "Don Checco, ma può essere che pure dall'altra parte contano i soldi. Se uno ha dei parenti che possono offrire le Messe, si libera prima dal Purgatorio, se uno non ce l'ha deve tribolare. Insomma anche di là i ricchi sono fortunati…"
L'ho guardata un po' perplesso perché non avevo mai sentito esporre così il problema e gli ho detto: "Signora, secondo me ha proprio ragione lei". Aveva ragione! È bello ricordare i nostri morti, non dobbiamo dimenticare le persone che ci hanno voluto bene. È bello anche ricordarli durante l'Eucaristia perché è il segno più grande della speranza. Può essere bello anche fare un'offerta, ma certamente questo non significa fare qualcosa per liberarli dalle fiamme del Purgatorio (ammesso che ci siano le fiamme in Purgatorio).
Vedete - se la Messa serve soltanto per invocare la protezione del Signore, per sentirsi a posto; se serve per aiutare i nostri morti a liberarsi dal Purgatorio - allora - non c'è da meravigliarsi se nel covo del boss della mafia, il frate va a dire la Messa. Anche il boss ha bisogno di protezione, anche lui ha i suoi morti, anche lui deve sentirsi a posto... ecco che si perde il cuore (secondo me) della fede: la gratuità, l'esigenza della giustizia.
Qui nell'Eucaristia questa esigenza della giustizia, arriva fino in fondo. Avete ascoltato il Vangelo: è il catechismo che i primi cristiani facevano sull'Eucaristia. Questo racconto c'è ben sei volte nei Vangeli. Loro se lo ripetevano (credo) spesso, magari cambiavano i numeri delle persone, ma lo ripetevano.
C'è gente che ha fame, il mondo ha fame. Abbiamo soltanto cinque pani e due pesci: mettiamoli insieme e la vita si moltiplica.
Vedete come è pieno di gratuità quello che facciamo qui. Se condividiamo la vita, la vita si arricchisce, si moltiplica. Ma c'è di più in quello che facciamo: c'è il dono di Gesù, il farsi Pane, l'invitarci a fare un'Alleanza con Lui... Alleanza di Sangue: "Questo è il Calice del mio sangue per la nuova ed eterna Alleanza"
Non possiamo per motivi igienici bere tutti il Calice, purtroppo. Quando mi vedrete bere quel Calice pensate: "Facciamo alleanza con Gesù. Abbiamo la stessa vita. Non cerchiamo l'aiuto da Lui, cerchiamo di essere come Lui. Cerchiamo di nutrirci della sua vita. Cerchiamo di vivere come se fossimo dello stesso sangue".
C'è di più... nell'ultima Cena, Gesù compie un gesto e dice una parola... la gratuità più totale. Si china a lavare i piedi ai suoi discepoli: "Come ho fatto io fate anche voi". Poi dice: "Vi lascio un Comandamento nuovo: amatevi come io vi ho amato".
Ecco - il cuore dell'Eucaristia è questo: memoria di Gesù, alleanza, vita condivisa, donata, fratelli che si trovano insieme per spezzare il Pane.
Qualcuno di voi mi dirà, mi ripeterà: "Ma questi sono sogni". L'ho ripetuto tante volte: "La fede è sogno, è cammino". Quello che celebriamo qui è il sogno di Dio. Sogno di vedere finalmente l'umanità costituita da persone che si vogliono bene, che si riconoscono fratelli, che condividono la vita: per questo Gesù ha inventato di riunirci insieme per spezzare il Pane dicendo: "Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo, la mia vita donata per voi. Prendete e bevete, questo è il Calice della mia Alleanza. Siamo una cosa sola Io e voi. E se osservate il mio Comandamento di amarvi non lo fate per me… se vi amate la vita è più bella, più ricca".
Sogni! Ma siamo qui per sognare e Gesù è qui per nutrirci: questo è veramente il cuore dell'Eucaristia: la gratuità non il bisogno di protezione o di sentirci giusti o di giovare ai nostri cari
Tutto quello che facciamo qui è gratuità.
Il Signore ci aiuti.
Gesù disse: "Ragazzo, dico a te, X DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 5 Giugno 2016
alzati!". Il morto si mise seduto Luca 7, 11-17
e comincio a parlare...
Per noi è difficile leggere questa pagina del Vangelo perché non siamo più abituati ai simboli.
Leggendo questa pagina ci domandiamo: "Che significa per noi quello che abbiamo letto?" Forse qualcuno di voi ha nella mente l'insegnamento ricevuto (magari quando eravamo ragazzi) e la risposta era: "È un grande miracolo, è la prova che Gesù è il Figlio di Dio. Il Signore glorioso in mezzo a noi può fare miracoli"
Ma se ci pensate nessun cristiano in questi duemila anni davanti a una tomba ha pregato perché il morto resuscitasse. Allora cosa significa questa pagina? Che la leggiamo a fare se una mamma rimasta vedova non può pregare di fronte alla bara di suo figlio perché torni a vivere, che senso ha? Si tratta di un simbolo, ma per noi è difficile leggerlo. Per i primi cristiani, no.
Quando ascoltavano questo racconto - e anche gli altri Vangeli che parlano di resurrezione - pensavano al loro Battesimo. Voi direte: "Che c'entra il Battesimo con la morte?". Eppure se leggete le lettere di Paolo e il Vangelo trovate che, per loro, il Battesimo era un passaggio dalla morte alla vita. Se lo sentivano ripetere decine di volte: "Voi siete morti, siete stati sepolti con Cristo e siete risorti con Lui. Voi, passando nell'acqua avete lasciato dietro di voi tutto quello che sa di morte, che sciupa la vita: la violenza, l'ingiustizia, la sopraffazione, la schiavitù... tutto questo, dovrebbe essere alle vostre spalle. Voi avete scelto la vita. Voi siete gente che sceglie della vita l'aspetto più positivo: la gratuità, la tenerezza, la libertà, l'amore, l'attenzione agli altri. Voi siete chiamati alla vita e non una volta per tutte… è la scelta di ogni giorno".
Cosa arricchisce la vita intorno a me? Forse questo era il primo pensiero che veniva in mente a un cristiano dei primi tempi leggendo questa pagina.
Ma ce ne è - forse - un altro... per qualcuno importante. Questa pagina dice che nessun uomo può rimanere schiacciato dalla colpa, può sentirsi perduto per sempre. Tu sei sempre chiamato ad alzare il capo e a liberarti del tuo male, anche quando ti senti immerso nella morte, anche quando il senso di colpa ti schiaccia... l'incontro con il Signore ti invita alla resurrezione.
Questo vale - o dovrebbe valere - per la società. Avrebbe dovuto abolire in tutto il mondo - o almeno in tutto il mondo cristiano - la pena di morte perché pena di morte significa non dare ad un uomo la speranza di risorgere, di ritornare a scegliere la vita, qualunque cosa abbia fatto: dovrebbe poter essere rieducato - o meglio - più che rieducato bisognerebbe riaprire il suo cuore alle scelte della vita, alla bellezza della vita.
Questo vale anche per ciascuna persona. Ho incontrato tante persone nel corso della mia vita che si sentono schiacciate dal senso della colpa. Sapete (detto tra parentesi) il senso della colpa può essere una vera e propria malattia gravissima.
Ma aldilà della malattia c'è gente che dice: "Il Signore non può volermi più bene dopo quello che ho fatto". Ecco, questa pagina del Vangelo suggeriva ai primi cristiani e potrebbe suggerire anche a noi: "Non c'è nessun peccato per quanto grave, che ti impedisca di incontrare il Signore che ti chiama alla vita, a riaprirti di nuovo all'amore".
C'è ancora un'altra riflessione, forse la più difficile, quella che forse ci può suggerire il Vangelo che abbiamo letto oggi. Una donna vedova e anziana (pensate alle vedove di Israele, le ultime ruote del carro) perde il figlio. La sua vita non ha più senso. Ecco, questa pagina gli dice: "Tuo figlio vive e può vivere nell'amore che tu dai intorno a te".
L'ho scoperto in queste pagine e l'ho ripetuto tante volte in ogni funerale che mi è capitato di celebrare: "L'unico modo che noi cristiani abbiamo di reagire alla morte è moltiplicare la vita". Non possiamo rassegnarci alla morte. Quanto grande sia il dolore possiamo dire: "Abbiamo ancora vita, possiamo ancora fare del bene. Possiamo moltiplicare intorno a noi la tenerezza, l'attenzione, il piacere, l'amore".
È quasi un miracolo, lo so, ma questo ci dice questa pagina del Vangelo: "Mamma, che hai perso il figlio, che non vedi più niente davanti a te, tutto è buio... puoi ancora amare, puoi ancora fare del bene, puoi ancora portare nel tesoro della vita la tua "moneta", piccola, ma la puoi portare, puoi ancora amare, puoi ancora fare del bene, puoi ancora aprire il tuo cuore a chi ti sta accanto".
Un sogno, un miracolo, ma la vita cristiana è sogno, è miracolo: questo ci dice questa pagina del Vangelo.
Sembra quasi impossibile, ma ho incontrato più volte persone capaci di fare questo. Persone che non si sono lasciate schiacciare dal peso della morte, che non si sono rinchiuse in se stesse, ma che intorno a loro hanno cercato di moltiplicare la vita… e la loro vita riprendeva senso, perché l'amore che avevano saputo dare al figlio, potevano dare agli altri, potevano arricchire la vita degli altri, donare un sorriso ad un altro, dare il piacere ad un altro: questo (per quello che ho capito io) è quello che ci dice questa pagina del Vangelo. Tutti noi siamo chiamati alla risurrezione e alla vita.
Il Signore ci aiuti.
…mi ha bagnato i piedi con le XI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 12 Giugno 2016
lacrime e li ha asciugati con i Luca 7, 36-50
suoi capelli... mi ha cosparso
i piedi di profumo...
La pagina del Vangelo che abbiamo appena ascoltato è - per me - una delle più difficili da interpretare, anche perché si usano parole che fanno parte ampiamente del linguaggio religioso: perdono, amore... parole che, lo sostengo da tempo, andrebbero abolite, perché sono causa di una serie interminabile di equivoci e di incomprensioni. Vediamo se mi riesce di farvi intuire qualche cosa della mia difficoltà nell'intendere questa pagina.
Vedete - qui abbiamo vari personaggi. Il primo il "fariseo" lo capiamo facilmente. Lo incontriamo spesso anche nei pubblici spettacoli, alla televisione... Il fariseo è un uomo che si sente giusto. Noi siamo abituati a usare la parola, fariseo, con senso dispregiativo e negativo, ma al tempo di Gesù non era affatto così. Il fariseo era la persona perbene, l'osservante delle regole, l'uomo che si riteneva giusto e che per questo (come avete ascoltato) non è capace di misericordia: giudica gli altri, non vuole nemmeno farsi toccare da questa donna. Non si domanda di dove viene, quale è stata la sua vita. Niente! lui l'allontana. Se Gesù la tocca rischia di contaminarsi: è l'uomo che si sente giusto, giudica, disprezza, allontana, non è capace di comprensione: questo (almeno io) lo capisco bene.
Poi faccio una grande difficoltà! Cosa significa perdono? Cosa significa amore? La difficoltà viene da questa frase che vi leggo: "Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati perché ha amato molto". Poi aggiunge: "Invece colui al quale si perdona poco, ama poco".
Ma - allora - cosa significa? Se uno ama molto è perdonato. Se uno è perdonato molto ama molto. Cosa viene prima il perdono o l'amore?
Forse l'equivoco viene dalla parabola che introduce: "Il padrone che ha due debitori, uno gli deve cinquecento denari, l'altro cinquanta...". Ma se il perdono si riduce a soldi, a colpe che si accumulano che vengono condonate, quasi dimenticate, non si capisce più niente.
Ho intuito qualche cosa riandando a qualche episodio che mi ha colpito o a qualche personaggio della storia.
Mi aveva molto colpito tempo fa, (sono passati venticinque anni) leggere il racconto del funerale di un mio carissimo amico che era stato sacerdote qui a Roma... Ho condiviso con lui la giovinezza, gli studi per diventare prete e poi se ne è andato nelle periferie del mondo, tra la povera gente di Rio de Janeiro e lì, vinto dal suo zelo e dalle sue fatiche, ha lasciato la vita. Al suo funerale una persona diceva: "Quest'uomo santo mi ha tratto fuori dal fango!".
Questa (secondo me) è un'immagine del perdono. Un uomo che incontrando una persona giusta riesce a strapparsi dal male, (quest'uomo non lo conosco affatto, non so quale era il suo male) in quel funerale lui voleva esprimere tutta la sua riconoscenza per qualcuno che lo aveva strappato dal fango e lo aveva aperto alla vita.
Questo succede anche per personaggi che trovate nel Vangelo. Pensate a Pietro che rinnega tre volte Gesù. Pensate a Paolo, era un persecutore e a un certo punto, nell'incontro con il Signore, si sente trasformato e diventa un'altra persona, capace veramente di amare.
Molti cristiani la pensavano così: parlano di un passaggio dalla morte alla vita: "Eravamo morti, ora viviamo". Ma questo non vale soltanto per quelli che hanno fatto grandi peccati, la gratitudine può albergare anche nel cuore di una persona che non ha fatto granché di male.
Noi abbiamo qui la statua di santa Teresa, a cui è dedicata questa chiesa. Santa Teresa scrive a un certo punto: "Dicono che soltanto i convertiti, i grandi peccatori sanno amare veramente Dio, ma io devo dimostrare che non è vero!". Lei non aveva fatto grandi peccati, ma sapeva di poter amare Dio con uno spirito di riconoscenza, condivido la sua esperienza: anche io non ho dietro le spalle grandi peccati: non ho ucciso nessuno, non ho commesso niente di particolarmente grave; eppure ho sempre sentito fin da quando ero ragazzo che il Signore mi aveva liberato dalla violenza del mondo, dal male, dall'indifferenza, dalla negatività: ecco - forse - questo è il perdono.
Gratitudine, capacità di aprirsi, aprirsi al bene, all'attenzione verso l'altro, all'amore.
Ecco l'altra parola equivoca: cosa significa amore? A volte l'amore viene scambiato soltanto con il sentimento e se non c'è sentimento sembra che non ci sia amore.
Mi è rimasto impresso l'episodio di una donna che una volta mi diceva: "Mi creda - don Checco - ho fatto per mia suocera molto più di quello che ho fatto per mia madre, ma l'ho fatto senza amore". Gli ho detto: "E che significa, signora?! Lei ha fatto un gesto di servizio, l'ha curata con attenzione". L'ha curata facendo forza su se stessa, perché - magari - da questa donna aveva ricevuto (così diceva lei) torti, specialmente quando era più giovane e aveva saputo superare tutto per mettersi al suo servizio. Se non è questo amore, che cos'è amore?!
Amore non è sentimento, ma servizio concreto. Gesù nell'Ultima Cena (lo sapete) si china a lavare i piedi ai suoi discepoli e dice: "Fate anche voi come ho fatto io".
È quello che fa questa donna! Il gesto di lavare i piedi (lo avete ascoltato) era un gesto dovuto quando si entra in una casa e il fariseo non lo ha fatto, non pensate alle nostre strade, c'erano solo strade piene di polvere e il primo dovere di un ospite era quello di offrire un catino con l'acqua per sciacquarsi un po' i piedi. Un servizio che spesso era riservato agli schiavi.
Bene! Questa donna non solo lava i piedi, ma li bagna con le sue lacrime e poi aggiunge un "tocco" che (secondo me) è tipicamente femminile.
Vorrei fare l'elogio a tutte le donne che stanno qui. Forse solo voi sapete mettere nel servizio un "vasetto di profumo": la delicatezza, l'attenzione verso l'altro, il capire... noi "maschietti" qualche volta non siamo capaci di guardare negli occhi un'altra persona e di essere attenti e delicati... Forse ci vuole il cuore di una donna. Forse anche Gesù ha dovuto imparare da lei: un vasetto di profumo!
Allora, portate tutto questo nella vostra vita. A volte facciamo esperienza anche nel nostro stare insieme, di riconciliazione. È bello quando si sbaglia, quando - magari - ci si offende poter rifare la pace. A volte non ci si riesce. A volte non ci è permesso e bisogna andare ognuno per la propria strada, ma quando ci si riesce la vita diventa veramente più bella e l'amore si arricchisce.
Nell'amore, nel servizio di ogni giorno. Il servizio che è fatto del lavoro in ufficio, in casa, del preparare una buona minestra, del prendersi cura dei figli, degli anziani... ecco impariamo (per quel che possiamo) da questa donna a metterci anche un po' di profumo, un po' di tenerezza, un po' di delicatezza: è questo che fa più bella la vita.
Il Signore ci aiuti.
Allora domandò loro: "Ma voi XII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 19 Giugno 2016
chi dite che io sia?". Pietro Luca 9. 18 - 24
rispose: "Il Cristo di Dio".
Ci troviamo di fronte a quella che in tutti i Vangeli è la domanda fondamentale, quella che Gesù rivolge ai suoi discepoli e credo rivolga a tutti noi: "Chi sono io per voi?".
Quando ero bambino e andavo al catechismo se mi domandavano: "Chi è Gesù?". Rispondevo prontamente: "La seconda Persona della santissima Trinità, il Figlio di Dio fatto uomo" e potevo anche sentirmi superiore a Pietro, perché la mia risposta era più completa.
Adesso se mi chiedete: "Don Checco, chi è per te Gesù?" vi chiederei se avete due o tre ore di tempo per ascoltare… no, mi concedete solo 5 minuti e allora dovete accontentarvi soltanto di qualche flash, perché a questa domanda non risponde una frase, ma un'esperienza di incontro, di amicizia, di conflitto, di ricerca che dura da una vita.
Qualche flash dunque, cominciando dai primi ricordi della mia infanzia: avevo tre quattro anni non di più, c'era la guerra e veniva a casa nostra ogni tanto un signore alto alto (almeno così a me sembrava) tutto vestito di nero che tendeva la mano, non gli ho mai sentito dire una parola e la mamma diceva: "Presto andate a prendere una mela, un arancia, quello che c'è…". Un giorno c'era solo un'arancia, ho detto: "Mamma, poi io che mangio?" "Quando bussa un povero bussa Gesù". È una frase che, forse, è la prima impressione di una parola di fede nella mia vita.
Poi sono cresciuto, un'altra cosa mi è rimasta impressa: ero in un paesino (se si possono chiamare paese tre o quattro case sparse sull'appennino umbro-marchigiano) e un mio zio, un contadino, un vecchio patriarca di montagna che aveva passato tutta la vita lassù, un giorno mi prende sottobraccio e mi dice: "Ti porto a vedere una pietra " è lì in un pendio c'è una bella casa tutta di pietra che, verso valle, poggia su una grande pietra e mi diceva: "Vedi questa è la pietra di cui parla il Vangelo: la nostra casa, la nostra vita non regge se non è fondata su di Lui". Quel mio zio passava davanti a quella pietra ogni mattina per andare a lavorare, forse pensava: "Se la mia vita non è basata su Gesù, sui suoi valori perde di senso…" ero appena un ragazzo, c'è voluto un po' perché capissi quanto forte fosse quella sua testimonianza.
Poi sono diventato adolescente e ho avuto tanta fortuna nella mia vita da incontrare persone straordinarie che mi hanno fatto intuire che la religione non è fatta solo di riti, di preghiere, dei "fioretti", delle rispostine del Catechismo (a quel tempo ci parlavano quasi solo di questo) ma che la fede è la passione per la ricerca di Gesù, per la ricerca della giustizia, della libertà.
Poi sono entrato in seminario per diventare prete, erano tempi difficili quelli di Pio XII: tutto sembrava fermo nella Chiesa e lì ho incontrato qualche persona veramente fuori del comune che mi ha fatto capire che si poteva stare nella Chiesa solo a testa alta, non fermandosi a tutto quello che la tradizione aveva detto, ma occorreva il coraggio di guardare avanti, cercando con la propria testa, tentando di sentirsi liberi.
Poi sono diventato prete e sono andato un po' in giro per Roma prima a Monteverde, poi al Prenestino e là, con gente giovane, ma ero giovane anch'io (parlo degli anni 60) ho cominciato a leggere il Vangelo e sono state esperienze affascinanti in cui cercavamo di scoprire chi è Gesù… ricordo che una volta c'eravamo promessi: per tutto quest'anno non nomineremo più Dio finché non avremo intuito qualche cosa di Lui attraverso Gesù di Nazaret.
Con Gesù abbiamo intuito qualche cosa… letto e riletto la parabola del Padre misericordioso per esempio: chi è il Padre, cosa significa amare, perché la festa come risposta alla colpa?
Scoprivamo sempre di più che Dio non può essere a nostro servizio, che abita l'oltre, che ci cammina davanti, ci chiama e in Gesù di Nazaret ci fa intuire cosa significa essere uomini e fratelli. Poi abbiamo scoperto sempre di più il Vangelo, cercando le cose fondamentali e abbiamo intuito quello che mi sembra ancora oggi l'essenza del messaggio di Gesù: "Non è l'uomo fatto per il sabato, ma il sabato è fatto per l'uomo". Quello che conta non è la regola, la legge, la tradizione, l'autorità, i principi, la fedeltà ai dogmi, la religione: quello che conta è l'uomo, ogni uomo, il rispetto per l'uomo.
Abbiamo avuto anche la gioia di scoprire che cercare il rispetto dell'uomo, la giustizia e la libertà e se volete la felicità, non ci separava dagli altri uomini… quante volte abbiamo letto e celebrato e cantato le "beatitudini", scoprendo che Gesù non proclama beati quelli che vanno a Messa, quelli che pregano molto, quelli ripetono precise parole di fede… ma i miti, i misericordiosi, quelli che operano la pace, quelli che sono affamati e assetati di giustizia… allora ci sentivamo fratelli di tutti gli uomini di buona volontà. Non contava più essere cristiani o di un'altra religione, contava la fame e la sete della giustizia, il desiderio di Dio, la ricerca del bene.
Scoperte ne abbiamo fatte tante, ma l'ho detto ho solo 5 minuti. Una cosa mi sembra importante: Gesù, a differenza dei potenti della terra che cercano sempre di affermare se stessi, è venuto per dirci che vivere è condividere, servire, essere uomini che sanno amare e sparire… Gesù sparisce dietro l'ultimo, il più piccolo degli uomini, lo dice con chiarezza l'ultima parola del Vangelo di Matteo: "Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere"… "Quando mai Signore?"…"Ogni volta che hai fatto questo al più piccolo dei miei fratelli lo hai fatto a me". Allora non conta se ho sempre ripetuto le parole del Catechismo, se ho pregato molto, se mi sono flagellato… per Gesù conta se ho saputo riconoscerlo nel fratello… e non pensate soltanto ai fratelli lontani, soprattutto ai vicini, all'anziano, al bambino, alle persone che ci stanno intorno... Gesù si nasconde dietro ogni uomo, dietro chi ha bisogno possiamo condividere la vita, vivere la tenerezza, l'amore.
E per voi chi è Gesù, chi è stato nella vostra vita, in che modo avete potuto scoprire qualche cosa di Lui, chi vi ha aiutato a scoprirlo? Quando faccio questi discorsi mi tornano sempre in mente tante persone, vedo i volti di coloro che hanno accompagnato la mia esistenza e la mia ricerca di Gesù… E voi?
Alla domanda: "Chi è Gesù per me?" non si risponde con una formuletta del catechismo, si risponde con una vita, con l'esperienza, con tutto quello che hai scoperto in Gesù di Nazaret… per me, posso dirlo adesso che sono arrivato a 80 anni e sono ormai prete da più di 50 anni, Gesù è stato sempre Colui che ha parole di vita, che ha da dirmi qualcosa su Dio, sull'oltre, sulle cose essenziali della vita.
Ho cercato sempre di più di vivere con Lui… poi non ci sono riuscito perché vivere non è fatto soltanto di pensieri, di parole, ma di vita, di gesti concreti… allora, anche se non si usa più confessarsi, vi posso confessare che sono stato un pover'uomo: parole sì, opere poco e quello che conta per Gesù sono più le opere che le parole… ma confido in Lui che ha detto che basta solo un bicchiere d'acqua per essere accolti dal Padre… mi dicono che qualche bicchiere d'acqua nel corso della mia vita l'ho dato anch'io e se ho capito un po' Gesù, mi dice di stare tranquillo: questo basta.
Il Signore ci aiuti.
"Le volpi hanno le loro tane... XIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 26 Giugno 2016
ma il Figlio dell'uomo non ha Luca, 9, 51 - 62
dove posare il capo"
Quando si ascolta questa pagina del Vangelo e poi si legge o si ricorda qualche libro di storia della Chiesa, si rimane veramente sconcertati. Gesù sembra aver fatto un completo fallimento.
Qui avete ascoltato... vanno in un villaggio, i samaritani non li accolgono, alcuni discepoli dicono: "Facciamo scendere un fuoco dal cielo... " Gesù si volta e li rimprovera e deve essere stato un rimprovero severo: è la scelta della tolleranza, del rispetto di chi la pensa diversamente e va accettato e si può passare da un'altra parte.
Nel corso della storia della Chiesa i cristiani non solo hanno invocato il fuoco dal cielo, ma lo hanno acceso. Hanno bruciato eretici, nemici, gente diversa, hanno indetto Crociate, molto spesso hanno battezzato con la forza chi non era cristiano: la tolleranza è stata spesso sconosciuta tra i cristiani.
Non solo... Gesù a chi gli chiede: "Voglio venire con te", dice: "Guarda che non ho nemmeno dove posare il capo".
Se leggete la storia di molti conventi, nel Medio evo possedevano mezza Italia e la cosa tragica è che possedevano tutta questa roba in nome della povertà. Si dicevano poveri e sfruttavano i contadini; assetati di denaro, di potere.
Ne avete qualche esempio luminoso, ma che dovrebbe farci pensare. Tutti voi (penso) avete visitato Assisi... tre basiliche una più bella dell'altra, con dentro tra i più grandi capolavori dell'arte italiana. Quanto sarà costato tutto quello e chi lo ha pagato!? La fatica della povera gente!
Quando ammirate quello stupore, non dimenticate... Gesù diceva: "Non ho nemmeno dove posare il capo". E hanno fatto tre basiliche! Oppure potete andare a san Pietro, (più vicino) vendendo indulgenze, accumulando potere, hanno costruito tutto quello.
Gesù a chi gli chiede: "Lasciami andare a seppellire mio padre", dice una frase sconcertante (ma è linguaggio orientale, paradossale): "Lascia che i morti seppelliscano i morti. Tu annunzia il Vangelo". Se c'è una cosa che un morto non può fare è seppellire un altro morto. È la scelta radicale della vita. È la scelta di rifiutare tutto quello che sa di morte, che sciupa la vita... Eppure i cristiani anche tra loro si sono fatti guerra e hanno procurato morte.
Per farvi un esempio, ma ce ne sono tanti, in Europa per trent'anni si è combattuta una guerra tra cristiani che ha fatto milioni di morti. La scelta della vita - dunque - ma se pensate che nella città del Vaticano soltanto pochi anni fa è stata abolita la pena di morte…
Poi: "Chi mette mano all'aratro e torna indietro non è degno del regno di Dio". Quante volte i cristiani sono ritornati indietro, hanno rifiutato la Parola del Signore!
Potrei fermarmi qui, ma non sarebbe giusto perché c'è un'altra storia. Una storia che difficilmente trovate sui libri, una storia che conosce i suoi eroi, coloro che hanno testimoniato con forza la tolleranza. Pensate (che so) a Erasmo da Rotterdam o a Francesco d'Assisi... ma ce ne sono stati tanti altri.
Ci sono state molte persone importanti che hanno combattuto per la pace, che per la pace si sono spese per tutta la vita, ma non è di questi che voglio parlarvi.
Voglio parlarvi di quella storia che non è stata scritta. La storia che io ho conosciuto da vicino. La storia della gente semplice, di tutti i giorni. Quante persone ho incontrato che vivevano la tolleranza. Persone che - magari - avevano dei principi che a me sembravano forti, irrinunciabili, ma poi quando si trovavano di fronte ad una persona fragile, con gli occhi pieni di lacrime, i loro principi svanivano come nebbia al sole.
Lo spirito della tolleranza che è rispetto dell'altro, accettazione del diverso, accoglienza di chi non la pensa come me.
Quanta gente ho conosciuto per cui il denaro è una cosa preziosa. Quando ero bambino c'era la guerra e ogni lira, ogni centesimo era prezioso, eppure quella gente non si vendeva l'anima per i soldi. C'erano tanti valori molto più importanti del denaro. Per il denaro non avrebbero rubato una spilla. Per il denaro non avrebbero tradito nessuno. Non dicevano come i frati di un tempo che il denaro è lo "sterco del diavolo". Il denaro per loro era prezioso, lo cercavano in tutti i modi, ma al denaro non sacrificavano nessun valore. Non avrebbero mai tradito la loro onestà, la loro dirittura morale nemmeno per un centesimo.
Quanta gente ho incontrato che ha amato appassionatamente la vita, che ha cercato di andare aldilà di tutto quello che la sciupa, che si è preoccupata di curare il dolore, la sofferenza, di star vicino a chi tribola, di dare un sorriso, di donare un po' di piacere.
Quanta gente ho conosciuto che, anche nei momenti di dubbio, anche quando la loro vita sembrava smarrita, anche quando sembrava non esserci futuro... sono rimasti fedeli, non sono tornati indietro, hanno continuato a credere nell'amore, nella giustizia, nel bene.
Vedete - c'è una storia scritta sui libri, spesso è la storia di tutto il male del mondo. C'è un'altra storia, una storia che nessuno si decide a scrivere, ed è la storia di tutto il bene del mondo, questo bene l'ho visto con i miei occhi e - forse - lo avete visto anche voi. Guardatevi indietro e cercate nella vostra esperienza chi vi ha insegnato la tolleranza, il rispetto della vita, la passione per il bene, l'attenzione agli altri, chi vi ha insegnato l'onestà: è la storia di tanta gente, è la storia di coloro che hanno dato ragione a Gesù.
Il Signore ci aiuti.
"Andate: vi mando come XIV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 3 Luglio 2016
agnelli in mezzo ai lupi…" Luca 10,1-12. 17-20
La pagina di Luca che abbiamo appena letto cerca di coinvolgerci, forse è meglio dire di coinvolgervi, perché - come avete ascoltato - Gesù manda altri settantadue discepoli. Questo racconto c'è solo nel Vangelo di Luca. La comunità di Luca, per qualche motivo che non conosciamo, sente il bisogno di dire: "Guardate che il compito di testimoniare il Signore non riguarda solo i dodici apostoli o alcune persone speciali, ma un po' tutti". Siamo tutti mandati a testimoniare e ad annunziare il Signore.
Poi, se avete notato, questa pagina è piena di contraddizioni. Perché Luca usa questi simboli? Perché questo linguaggio a volte oscuro per noi, ma forse anche per quelli del suo tempo? Penso che la vita stessa sia contraddittoria e non ci possono essere formule che ci dicono come comportarci giorno per giorno: è nostra responsabilità cercare di capire cosa è giusto e cosa non lo è, qual è la strada da seguire nelle circostanze concrete della nostra vita.
I preti, i papi, i vescovi - spesso - sono tentati di dare regole e regolette in tutti i campi della vita: come ci si comporta in casa, sul lavoro, nel mondo sociale, qualche volta scomunicano pure, a volte dicono addirittura come comportarsi in camera da letto... Luca ha solo dei simboli, a volte, contraddittori, affidati a noi!
Vi faccio notare alcune di queste contraddizioni. Dice: "Andate, senza portare niente, né borsa, né sacca, proprio niente… ma restate in una casa mangiando e bevendo quello che hanno…" Ma allora dovremmo vivere alle spalle degli altri….
Poi: "Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi". Gli agnelli si mandano nel gregge insieme alle mamme che li proteggono, non si mandano tra i lupi. Che significa andare in mezzo ai lupi? La vita qualche volta è fatta di agnelli, ma qualche volta è fatta di "lupi". Lupi, non quelli che stanno nei boschi (ormai abbiamo capito che sono animali buonissimi, fanno la loro vita e mangiano quello che devono mangiare perché sono carnivori).
Parlo dei "lupi" che incontriamo - qualche volta - sul posto di lavoro, li incontriamo nella città, qualche volta addirittura abitano al piano di sopra: gente aggressiva, violenta e allora come dobbiamo comportarci?
Gesù dice: - un'altra contraddizione - "Andate in fretta, non salutate nessuno lungo la strada". Poi: "Restate in quella casa, non passate di casa in casa". Ma che significa? Devo andare ad annunziare il Vangelo a più gente possibile e poi mi dici di fermarmi in una casa e di non andare in giro.
Ci ho messo molto tempo per capire questo, che credo sia un discorso importante (provate dopo la Messa a riflettere): Gesù ci invita a fermarci in una casa. Significa radicarsi con le persone che ci stanno intorno. Significa non guardare da un'altra parte.
Don Milani, che era un maestro, diceva: (non vi scandalizzate) "I maestri sono come i preti e le puttane, vanno con tutti e non vogliono bene a nessuno".
È facile per un maestro... se c'è un ragazzo un po' discolo o poco capace, trascurarlo, aspettando che l'anno finisca e vada in un'altra classe. È facile per un parroco, se c'è qualche ambiente difficile guardare da un'altra parte. Ma questo non riguarda soltanto i maestri e i preti, questo riguarda la gente di tutti i giorni. Questo riguarda oggi, forse, soprattutto i giovani… chi ha una certa esperienza, provi a testimoniare loro l'esigenza di radicarsi… nel lavoro, nell'amicizia, in un rapporto d'amore.
La volontà di radicarsi, di prendere sul serio chi ci sta intorno, di non arrenderci alla prima difficoltà... credo che sia fondamentale oggi soprattutto per i nostri ragazzi.
C'è un'altra contraddizione - qui - che mi sembra seria. Gesù dice: "Andate e annunziate la pace… però se non vi accolgono, uscite e scuotete la polvere dai piedi, non abbiate niente a che spartire con loro".
Allora, debbo radicarmi e cercare di portare la pace, oppure debbo scuotere la polvere dai piedi? Non sono formule, è la vita! Vi faccio un esempio. Una persona che vive in un ambiente dove c'è la mafia dovrebbe trovare il coraggio, a volte difficile e quasi impossibile, di "scuotere la polvere dai piedi" dicendo: "Io, con questo, non voglio niente a che spartire, anche se corro rischi".
Questo non vale solo per i casi estremi della mafia... forse a qualcuno di voi sarà capitato (l'ho ascoltato tante volte) in ambienti di lavoro: qualche sotterfugio, piccole ingiustizie, qualche raccomandazione, qualche cosa fatta di nascosto… e il coraggio di dire: "Con questo non voglio avere niente a che spartire, scuoto la polvere dai piedi, ma rischio di non fare carriera, addirittura di perdere il posto di lavoro e allora che devo fare? Essere pacifico, andare d'accordo con tutti, portare la pace, sopportare pazientemente oppure dire con coraggio, no! io con te, no!"
Solo la vita può indicarci la strada non ci sono formule, soluzioni facili… non ve le posso indicare io, sarei scemo.
La chiave forse di tutto è nell'ultima più enigmatica parola che avete ascoltato in questa Lettura. I discepoli tornano tutti contenti dicendo: "Abbiamo cacciato i diavoli" (chissà che hanno fatto?) e Gesù: "Non rallegratevi che i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti presso Dio". Che significa?
Se ho capito Gesù ci dice: "State attenti, quello che conta nella vita non è il successo, ma essere davanti a Dio, cioè aver scelto le strade della giustizia, vivere la gratuità, la capacità di amare. Siate giusti, siate gratuiti. Non vi preoccupate del successo. Il successo può corrompere".
Il criterio di Gesù non è il successo. Molti che hanno seguito il Signore fino in fondo hanno conosciuto il fallimento, forse a cominciare da Lui. È finito sulla croce. A chi Lo guardava sembrava un fallito, eppure noi qui siamo riuniti nel suo Nome, perché Lui non ha mai cercato il successo. Ha cercato la verità, la gratuità e la giustizia ed è quello che il Signore ci consiglia.
Questa pagina (ve lo dicevo) è per tutti noi. Dobbiamo vivere accettando le contraddizioni della vita, cercando di capire giorno per giorno cosa significa essere giusti. Lo possiamo fare se tentiamo di seguire il Signore con cuore libero e gratuito. Non è facile.
Il Signore ci aiuti.
Un uomo scendeva da XV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 10 Luglio 2016
Gerusalemme a Gerico... Luca l0, 25-37
"Chi è il mio prossimo?"
Il Vangelo dice che il maestro della legge per giustificarsi - quasi abbia fatto una domanda impertinente - chiede a Gesù: "Chi è il mio prossimo?".
Quando ero giovane mi sarei forse scandalizzato per la domanda del maestro della legge, adesso domanderei a Gesù non solo chi è il mio prossimo, ma che significa amare? E so che non potrebbe rispondermi! Avrebbe da darmi migliaia, milioni di risposte, perché il prossimo è diverso per ciascuno di noi.
E perché amare... amare veramente significa mille cose diverse e a volte contraddittorie.
Che significa amare? Chi è il mio prossimo? Soltanto la vita può rispondere, forse nemmeno Gesù, se non in quel momento preciso in cui io avessi a trovarmi.
Ma (per quello che ho capito) la parabola di oggi pone o forse accenna o forse tenta di dare risposta a quello che è il problema che più ha interessato, intrigato, preoccupato centinaia di persone che hanno pensato, scritto: filosofi, romanzieri…. ed è la domanda sul male della persona perbene e se la parola vi piace: sul peccato della persona perbene.
Perché - vedete - il secolo scorso ci ha messo davanti a questo problema drammatico. Tante persone sapevano dei campi di concentramento, di milioni di persone che venivano sterminate soltanto per la loro razza e delle persone collaboravano a questo sterminio ed erano, per tanti versi, persone perbene. Avevano la loro casa, volevano bene alla loro moglie, curavano i loro figli, molti di loro andavano in chiesa la domenica eppure... eppure partecipavano a quello che è stato l'orrore del secolo scorso. Come è possibile?
Ma, per non andare a cose lontane e drammatiche... succede anche oggi tra noi. Pensate soltanto a certi uffici in cui ci sono delle cose non del tutto legali, ma molta gente che sa volta lo sguardo dall'altra parte, non se ne preoccupa o - a volte - partecipa senza rendersi conto dell'ingiustizia. Tante esperienze della mia vita mi hanno fatto rendere conto che a volte le persone si trovano in situazioni ingiuste e non se ne rendono conto, perché non hanno occhi aperti, vigili, non si pongono domande: rinunciano a pensare.
Questo riguarda anche la gente più comune che va in giro per le strade e che - magari - vede una ragazza insultata o addirittura malmenata e si gira da un'altra parte senza prendere parte.
Questo succede anche nelle nostre scuole dove spesso ci sono fenomeni di bullismo... e la cosa che deve lasciar pensare e che spesso questi bulli non sono gli ultimi della classe, ma sono i ragazzi migliori, quelli che hanno i voti più buoni.
Perché tutto questo? Chi è l'uomo? Che c'è nel cuore dell'uomo?
Questa parabola tenta di porci delle domande mettendoci davanti il"sacerdote" che passa e non si accorge. Perché? Forse ha paura! Ci sono i briganti e ha paura che anche lui venga assalito. La paura è una cosa seria per l'uomo.
Forse deve andare a fare il suo servizio sacerdotale e andare in fretta perché - magari - è in ritardo e allora è preoccupato delle regole, dell'osservanza, dell'orario, della puntualità e non si preoccupa di lui. Forse è un uomo che si preoccupa del proprio denaro, che non vuole lasciarsi intrigare dalle altre persone. Un uomo che basta a se stesso, che si sente giusto, perché compie regolarmente il suo servizio al tempio: rischio che corriamo anche noi.
Dall'altra parte c'è il "samaritano". Il samaritano si guarda intorno e vede un uomo in difficoltà e non si preoccupa se il suo denaro è in pericolo, tanto che (avete visto) lascia i soldi per curarlo. Non si preoccupa di aver paura... C'è quell'uomo in difficoltà, ha bisogno di lui, sta morendo e deve fare qualcosa. Non ha una legge da osservare, se non forse la legge del suo commercio, ma non gli importa perché per lui quello che è essenziale è l'altra persona... questa persona in difficoltà e tutto il resto non conta: se fosse questo l'amore? La capacità di guardare negli occhi una persona. Di sentire la sofferenza di questa persona e tutto il resto sparisce.
Allora non c'è più la legge, non c'è più la religione, non ci sono più le regole: c'è soltanto questa persona!
Non è una cosa semplice, perché la paura ce la portiamo dentro tutti, perché il venire qui in chiesa, perché il fare bene il proprio lavoro, il prendersi cura dei figli ci fa sentire giusti e - quindi - pensiamo di bastare a noi stessi e non abbiamo più dentro il cuore l'ansia e la preoccupazione del fratello che soffre eppure - questo - per Gesù è quello che conta.
"Voi giusti - sembra dirci - guardate che la giustizia non è solo osservare le regole. Non è solo andare in chiesa. Non è essere rispettosi della legge: la giustizia vera è la capacità di guardare, di rendersi conto di chi è veramente in difficoltà e allora di tendere la mano".
Chi è il mio prossimo? Cosa significa amare? A questa domanda non si può rispondere, in genere. A questa domanda ciascuno di noi può rispondere perché il prossimo - a volte - è un figlio in difficoltà. A volte un nonno in difficoltà. A volte è una persona che incontriamo per la strada. A volte è un compagno di ufficio. A volte mille altre persone che attraversano la nostra strada.
E che significa amare? "Ama il prossimo tuo come te stesso". Ma il prossimo spesso non vuole essere amato come io amo me stesso, occorre la capacità di guardarlo negli occhi: "Cosa vuoi? Di cosa hai veramente bisogno? Cosa significa veramente volerti bene?".
Sono domande a cui migliaia di scrittori nel secolo scorso non hanno saputo rispondere, a cui nemmeno Gesù - forse - potrebbe rispondere, ma tocca a voi rispondere. Provateci un po' se vi riesce e il Signore vi aiuti.
Maria, seduta ai piedi del Signore XVI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 17 Luglio 2016
ascoltava la sua parola. Luca 10, 38-42
Marta era distolta per i molti servizi.
Anche qualcuno di voi e forse più d'uno... (un tempo erano soprattutto le donne, ma oggi c'è anche qualche maschietto) avrà brontolato dentro di sé, dicendo: "Maria si sarà scelta pure la parte migliore, ma se non c'è Marta, non si mangia". Avete perfettamente ragione!
Però, ricordate che del "fare" Gesù ci ha parlato... (domenica scorsa, lo ricordate) e non si trattava soltanto di preparare un buon pranzetto, si trattava di fermarsi presso l'uomo assalito dai briganti lungo la strada, di curarlo con olio e vino, di portarlo all'albergo, di pagare per lui... quindi del "fare" Gesù ci ha parlato a lungo la domenica precedente.
Adesso vuole dirci qualche cosa d'altro, forse, di fondamentale.
Prima del "fare" c'è bisogno di "essere con", di condividere. C'è bisogno di sentire con l'altro. C'è bisogno di guardarsi negli occhi, di ascoltarsi, di capirsi, altrimenti si rischia di non fare veramente il bene dell'altro.
Succede (me lo hanno ripetuto più volte) a degli psicologi che parlano con dei genitori che si trovano in difficoltà con un figlio e dicono: "Noi abbiamo fatto tutto per lui. Io lavoro dalla mattina alla sera e non gli ho fatto mancare niente. Mi sono - qualche volta - levato il pane di bocca. Ho rinunciato a un viaggio pur di fare tutto quello che potevo per questo figlio e adesso perché...?"
Lo psicologo chiede: "Ma hai passato del tempo con lui? Hai cercato di ascoltarlo, di capire che c'è dentro di lui, che cosa gli stava succedendo?" E quelli ripetono: "Ma io ho fatto tutto per lui, vivo solo per lui. gli voglio bene!" Ed è inutile insistere: "Ma sei stato con lui...?" Eppure la cosa fondamentale è quella!
Stare "con", essere capaci di ascoltare, di condividere con l'altra persona quello c'è nel profondo del cuore… soltanto allora si possono fare le cose giuste. Ecco perché - qui - Maria ci viene proposta come modello.
Ma c'è - forse - un'altra cosa che Gesù ritiene particolarmente importante. Qualche volta occorre sedersi per ascoltare parole che ti scaldino il cuore, che ti tengano vivi i valori autentici della vita. Per noi cristiani significa ascoltare il Vangelo, ma non soltanto il Vangelo. C'è tanta gente nel mondo... anche non cristiani che parlano e scrivono e cercano di tenere vivi i valori autentici, la dignità dell'uomo, il rispetto, l'onestà, la condivisione, la libertà.
C'è gente che cerca di portare aldilà del pregiudizio, del giudizio facile, della moda, per cercare quello che è veramente importante. Quali sono veramente i diritti dell'uomo? Che cosa significa veramente rispettare l'uomo - insomma - quali sono i valori morali che, se non abbiamo dentro, il mondo si sciupa e si rovina?
Forse potrei aggiungere, in questo momento che c'è anche bisogno - e Gesù cerca di farlo in tutto il suo Evangelo - di incontrare qualcuno che ci tolga la paura dal cuore, perché è la paura che fomenta il pregiudizio. È la paura che fa rinchiudere in se stessi. È la paura che fa perdere i valori autentici della vita.
Ecco perché Maria ha scelto la parte migliore. Maria ha scelto di ascoltare, di guardare negli occhi. Ha scelto di ascoltare qualcuno che ha parole di vita. Qualcuno che può mantenerle vivo il desiderio del bene. Sono cose essenziali per ogni credente - direi - per ogni uomo, specialmente in questo mondo, così smarrito, in cui si rischia di perdere tanti valori autentici che i nostri padri ci hanno trasmesso, in cui la paura sembra dominare, in cui il pregiudizio sembra spesso prevalere.... C'è bisogno di ascoltare chi ci comunica valori autentici. Chi ci dice parole di vita. Chi ci mantiene vivo il senso della giustizia, del rispetto dell'altro, dell'amore: tutte queste sono cose essenziali.
Poi è evidente (torno a darvi ragione come all'inizio) se questo diventa solo sentimento, parole, se non diventano anche gesti concreti, allora, tutto è inutile... Un'altra cosa vorrei aggiungere che è importante. "Fare" non significa soltanto fare grandi cose. "Fare" significa fare anche piccole cose, anche preparare un buon pranzo.
Quando siete venuti qui in chiesa e vi siete infervorati della Parola del Signore e avete sentito un grande desiderio di fare del bene... se poi non vi impegnate a fare un buon pranzo, vi conviene ricominciare daccapo! Perché i valori, la luce che abbiamo dentro si deve poi tradurre in qualche gesto concreto, anche piccolo, perché ciascuno di noi ha la propria vita. Non possiamo fare grandi cose. Non possiamo cambiare il mondo, ma un buon pranzo che rallegri la vita: questo (io no) molti di voi lo possono fare.
Il Signore ci aiuti.
"Se voi che siete cattivi, sapete XVII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 24 Luglio 2016
dare cose buone ai vostri figli, Luca 11, 1-13
quanto più il Padre vostro del
cielo darà lo Spirito Santo a
quelli che glielo chiedono!"
Il Vangelo di Luca - oggi - ci propone una riflessione sulla preghiera e lo fa con una provocazione quasi insopportabile per noi poveri cristiani di tutti i giorni.
Vedete - noi siamo abituati a pregare perché il Signore ci conservi in buona salute, perché i nostri figli crescano liberi, sereni, perché - magari - trovino lavoro, perché non incontriamo difficoltà nella vita. Se siamo particolarmente bravi preghiamo anche per il bene del mondo, per i poveri, per la pace.
Noi siamo convinti che Dio può aiutarci. Abbiamo bisogno di Lui. Nella sua provvidenza viene incontro a noi e può premiare i buoni e castigare i cattivi e il Vangelo di oggi sembra muoversi su questa linea usando parole che capiamo benissimo: "Se uno di voi ha bisogno di un pane e ha una amico... è notte, va, bussa, insiste e anche se quello non ha tanta voglia, alla fine si alza e glielo dà". Bisogna insistere, bussare e si otterrà quello che si vuole.
Poi ancora più fortemente: "Se un figlio vi chiede un pesce, gli darete forse un serpente? Se vi chiede un uovo, gli darete - forse - uno scorpione?" (Ci sono là dei grossi scorpioni che somigliano a uova!) Certamente no! "Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!".
Ma - allora - a Dio non possiamo chiedere il pane, benessere, non possiamo chiedere il lavoro, la salute... possiamo chiedere lo Spirito perché questo sembra essere quello che Lui è disposto a donarci.
Lo Spirito è il "vento" di Dio che ci spinge avanti, che ci scalda il cuore, ci fa intuire che cosa è giusto, buono.
Siamo abituati a parlare della provvidenza pensando ad un Dio che governa il mondo, che tutto regola, che va incontro ai buoni e punisce i cattivi.
Nella mia vita ho avuto la fortuna di incontrare un grande maestro (ne ho incontrati tanti) il quale mi faceva notare che in quello straordinario romanzo che sono "I Promessi Sposi" che sembra tutto provvidenzialistico, nella peste muoiono insieme il santo e il peccatore: Fra Cristoforo e don Rodrigo… non si fa distinzione, non c'è premio e castigo. E mi faceva notare che Renzo, quando traversa il fiume, incontra un povero che tende la mano, tira fuori la sua moneta e gliela dà, dicendo: "La c'è la Provvidenza, la c'è!".
Siamo noi la provvidenza. A noi è affidato il compito di custodire questo mondo. A noi è affidato il compito di intuire che cosa possa essere buono. In fondo secondo Gesù siamo noi la provvidenza.
Il Vangelo di oggi aggiunge altro, se avete ascoltato le prime parole: "Padre sia santificato il tuo nome". La prima preghiera: che Dio sia Dio. Che non ci siano idoli sulla terra e, quando pensate agli idoli, non pensate alle statue che magari incontrate quando visitate le rovine dell'antica Roma, ma ai tanti idoli del mondo di oggi: il denaro, il potere che tanti morti, tanta miseria, tanta distruzione portano nel mondo."
Che Dio sia Dio! Che il suo Regno si realizzi su questa terra, ma questo è compito nostro! È compito nostro realizzare i sogni di Gesù.
Poi insiste: "Fate in modo che pane non sia il "mio" pane: dacci oggi il "nostro" pane quotidiano". Occorre passare dal "mio" al "nostro", dall "io" al "noi". La vita che si condivide, che si apre… e poi la "riconciliazione".
Ecco - vedete - questo provoca veramente la nostra preghiera. Che cosa chiediamo? Non vorrei preoccupare nessuno di voi. Guardate, io e probabilmente tutti noi continueremo a pregare per la nostra salute, perché i figli crescano bene, perché ci sia lavoro, ci sia pace nel mondo: siamo povera gente e abbiamo bisogno, ma non lo dimentichiamo... il Vangelo di oggi cerca di portarci oltre.
Quando pregate cercate il "vento" di Dio. Quando pregate cercate il Regno, cercate che Dio sia Dio, che non ci siano idoli sulla terra, cercate il "noi", cercate la riconciliazione, la pace: per questo l'unica cosa che Dio ci dà è lo Spirito Santo.
È sconvolgente per noi, ma questa è la preghiera secondo il Vangelo e - quindi - senza farci venire turbamenti e sensi di colpa, possiamo continuare a pregare come abbiamo sempre pregato, ma qualche volta cerchiamo di guardare un po' più avanti. Cerchiamo di ascoltare il Vangelo. Cerchiamo di far nostri i sogni di Gesù. Cerchiamo di sentire la responsabilità di essere "noi" la provvidenza, di essere "noi" quelli che possono fare - almeno un pochino - il mondo migliore: per questo ci è donato lo Spirito.
Il Signore ci aiuti.
"O uomo chi mi ha costituito XVIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 31 Luglio 2016
giudice o mediatore sopra di voi" Luca 12, 13-21
Ancora una parabola leggiamo nel Vangelo, ma stavolta l'introduzione alla parabola ci aiuta - forse - a capire un po' meglio perché Gesù racconti spesso parabole.
Che cosa è accaduto...? Un signore va da Gesù e gli dice: "Ho una lite con mio fratello, digli di dividere con me l'eredità". La risposta di Gesù è secca: "O uomo, chi mi ha costituito giudice sopra di voi?".
Una delle tentazioni più grandi dell'uomo... (io non l'ho sperimentato molto per dire la verità, probabilmente per la mia pigrizia) è quella di dare consigli, pareri, di mettersi in mezzo, di indicare quello che è giusto.
Questa è una tentazione per preti, vescovi, papi. Hanno sempre ordini, proibizioni... sanno sempre che cosa è giusto e cosa non è giusto. Arrivano anche (mi capitava di ascoltarlo anche ieri) ad escludere delle persone dall'Eucaristia perchè non osservano alcune regole: leggi, regole...
Gesù dice, raccontando una parabola: "C'è bisogno di principi, di valori che hai dentro e - allora forse - troverai la strada giusta per comportarti bene".
Questa è una tentazione che non corrono solo i preti, la corrono anche i genitori. Spesso pensano di educare i figli con divieti, regole, proibizioni, punizioni, senza cercare di comunicare loro il senso della vita, dei valori autentici.
Questo succede anche per gli insegnanti: ci sono i voti, le bocciature... sono cose importanti (se non ci fossero stati i voti io non starei qui, avevo poca voglia di studiare) ma il compito di un insegnante sarebbe quello di comunicare la passione per lo studio, la voglia di cercare, di conoscere - allora - sarà più semplice studiare… ecco perché Gesù racconta parabole!
C'è una frase che mi ha colpito, Gesù si rivolge a chi lo interroga dicendo: "O uomo". Sei uomo quando pensi da te stesso, non dipendi dagli altri, non sono gli altri che regolano la tua vita… riesci a regolarla da te stesso soltanto se hai dei valori dentro.
Comunicare questi valori è compito dei preti, dei vescovi, del Papa... È compito anche dei papà, delle mamme, degli insegnanti, di tutti. Comunicare valori che abbiamo dentro soprattutto attraverso la testimonianza, senza fidarci troppo di regole, divieti - anche quelli ci vogliono - sono importanti, ma non basta! Bisogna che un uomo sia un uomo!
Quello che Gesù affronta oggi nella parabola (come avete ascoltato) è la cupidigia, il desiderio di denaro che è una delle componenti della vita dell'uomo.
Ha ragione il Papa quando dice che le guerre non si fanno per la religione (a parte qualche fanatico che c'è sempre stato) le guerre si fanno per denaro, per il potere.
Pensate soltanto a quanti soldi si spendono nel mondo per armamenti. Soltanto con una piccola parte di quella spesa si potrebbe sfamare l'umanità e si darebbe lavoro a tanta gente. La cupidigia del denaro - vedete - non riguarda soltanto gli stati... riguarda anche la vita nostra (forse anche di qualcuno di voi) Sapeste... (son cinquantasei anni che son prete) quante volte ho visto fratelli che litigano dopo anni per una eredità che - magari - non gli serve a niente, attaccati al denaro.
I soldi sono importanti! I frati di un tempo (quelli seri) dicevano che i soldi sono "lo sterco del diavolo" e quindi… "dateli a noi, perché noi abbiamo rinunciato a tutto! Il risultato è che voi vi impoverite e noi ci arricchiamo, però noi siamo "poveri".
Il Vangelo è difficile da ascoltare, non solo per voi e non solo per me, ma anche per i frati di un tempo. Possedevano mezza Italia dicendo: "Siamo poveri, abbiamo rinunciato a tutto!"
No, il denaro è importante! Importante perché serve per vivere, per crescere i figli, ma se diventa lo scopo principale della vita, se per una persona la cosa più importante è accumulare denaro, avere sempre di più - allora - ha ragione l'apostolo: la cupidigia diventa idolatria. Abbiamo veramente sostituito il denaro a Dio. Abbiamo sostituito il denaro all'uomo, al rispetto dell'uomo.
Ecco - allora - l'insegnamento di questa pagina del Vangelo ed è rivolta a tutti noi: cerchiamo di essere uomini, di pensare con la nostra testa, di non aspettare che gli altri ci dicano che cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Stiamo lontani da ogni cupidigia. Cerchiamo dentro di noi i valori autentici e tentiamo di testimoniarli con la nostra vita. Le regole servono, le punizioni servono, ma se all'uomo non dai la dignità di essere uomo, di pensare con la sua testa, di avere dentro valori... allora tutto è inutile!
Gesù si fida di noi e ci dice: "O uomo, chi mi ha posto giudice? Sei tu che devi essere giudice di te stesso. Sei tu che devi scegliere il bene e il male. Sei tu che devi conquistarti i valori in cui credere". Non è cosa semplice.
Il Signore ci aiuti.
"Se uno viene a me e non XXIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 4 Settembre 2016
odia suo padre, sua madre, Luca 14, 25-33
la moglie, i figli... e perfino
la propria vita, non può essere
mio discepolo"
Gli studiosi che per ultimi hanno tradotto la Bibbia (sapete che la Bibbia è scritta, l'Antico Testamento in ebraico, il Nuovo in greco e ogni tanto bisogna tradurre perché le lingue cambiano, invecchiano) scelgono a volte scorciatoie... (forse perché non amano andare in montagna: saprebbero che prendere scorciatoie è pericoloso, non si sa dove portino e si fatica di più).
Vi faccio un paio di esempi. Uno che conoscete... il Padre Nostro che reciteremo anche questa mattina, dice: "Non ci indurre in tentazione". L'ultima traduzione è: "Non abbandonarci alla tentazione". Evidentemente che Dio ci induca in tentazione sembra troppo pericoloso, una scorciatoia: "Non ci abbandonare alla tentazione" sembra semplice, ma non si spiega niente.
Oggi succede la stessa cosa. Voi avete ascoltato: "Se uno ama il padre, la madre più di me non è degno di me". Ma il Vangelo di Luca scrive: "Se uno non odia il padre e la madre, i fratelli, le sorelle e la propria stessa vita non può essere mio discepolo".
Luca scrive proprio: "odia". Avete visto? Hanno preso una scorciatoia, hanno addolcito la frase! A mio avviso non è bene addolcire le frasi perché chi scriveva sapeva cosa scriveva e amava usare parole forti, paradossali perché ci rimanessero in mente e (secondo me) non voleva che queste parole fossero spiegate troppo perché trovano verità nella vita, soltanto nella vita!
Vi faccio degli esempi. Ci sono nel mondo tanti cristiani, che per rimanere fedeli alla loro fede, mettono a rischio la propria vita e quella dei figli e non soltanto cristiani, ma uomini di tutte le religioni e anche atei che, per rimanere fedeli ai loro principi di giustizia, di verità, di onestà mettono a rischio la propria vita e la vita dei figli.
Il Vangelo di Luca perché ci rimanga impresso, dice: "Odiano la propria vita" (mettete le virgolette evidentemente a questo "odiare").
Se non volete andare lontano in giro per il mondo... in questo paese ci sono persone che vivono sotto scorta: giudici, giornalisti, uomini politici... i quali, per rimanere fedeli ai loro principi, alla loro onestà, mettono a rischio la propria vita e quella dei figli e sapete che molti hanno perso la vita, purtroppo.
Sono persone importanti, queste. Persone che magari hanno il nome sui giornali. Ma se vi è capitato parlare (come a me) con qualcuno che ha vissuto la guerra, (ormai tanto tempo fa) vi racconta di episodi eroici, straordinari, di persone che hanno potuto salvare un ebreo, un perseguitato, un giovane impaurito che fuggiva... e ve lo raccontano come se fosse una cosa normale, come se fosse una cosa evidente. Quando c'è un uomo in pericolo, quando è minacciato di morte: devo salvarlo! E quasi non penso che salvandolo metto a rischio la mia vita e la vita dei miei figli e molti (sapete) questa vita e questi figli li hanno persi!
Vedete, come frasi che sembrano così paradossali, assurde... nella vita diventano vere, concrete, diventano la vita!
Ma, se non volete pensare a cose così drammatiche, rallegratevi con cose più semplici. In questo paese oggi viviamo un clima di paura, di incertezza, di difficoltà... l'unica cosa solida, sana, di cui spesso ci parlano i preti, è la famiglia. La famiglia è il rifugio di tutti i mali. Ma il guaio è che ci sono (non so se vi è capitato di trovarne qualcuno) dei ragazzi o delle ragazze che in famiglia stanno bene, coccolati, e la vita rischiano di bruciarsela perché non vogliono andare in giro, perché non vogliono affrontarla. Mi è rimasta impressa una ragazza a cui dicevo: "Hai un'età, è ora che te ne vai di casa". "Don Che, qualche weekend… ma a casa c'è mamma che cucina, pulisce, si sta tanto bene, chi me lo fa fare?"
Forse a questa ragazza avrebbe fatto bene un po' (tra virgolette) odiare il padre e la madre per costruire se stessa, per affrontare la vita, per fare le sue scelte. Vedete come questa parola possa diventare vera!
Vi faccio un altro esempio. Pensate a un ragazzo che si è ritrovato (ce ne sono parecchi anche a Ostia) a vivere in un gruppo di persone (lo chiamano: il branco) che si comportano a volte in maniera delinquenziale: bevono, usano droghe, offendono le persone... e questo ragazzo dovrebbe avere il coraggio di dire no! È vero che questi sono i miei amici, ma devo avere il coraggio (virgolette sempre, per usare il Vangelo di Luca) di odiarli e dire: "No, non posso accettare il loro comportamento. Rischio di non essere un uomo. Rischio di perdere i valori, le cose in cui credo, non posso, anche a rischio di perdere gli amici".
Se volete un altro esempio... il padre e la madre… si può ampliare a tutto quello che è la tradizione, il mondo delle cose che si sono sempre fatte. Uno scienziato, se vuole andare avanti, deve pensare che quello che si è fatto fino ad oggi non basta! Bisogna andare avanti, bisogna (tra virgolette) odiare la tradizione, le abitudini, le pigrizie che ripetono le stesse parole. Ci vuole il coraggio di andare avanti e questo in tutti i campi: nella scienza, nella scuola, nelle relazioni umane...
Dobbiamo avere il coraggio di costruire, di inventarci la vita. Di non pensare che quello che si è sempre fatto sia sempre cosa buona.
Ce ne potrebbero essere tanti altri di esempi ma vi ho già annoiato abbastanza!
Un'altra cosa sola volevo dirvi. Vi siete accorti che alla fine Luca dice che per essere cristiani bisogna vendere tutto. Questa è l'ossessione del Vangelo di Luca. Siccome nella comunità di Luca quasi tutti sono poveri, non hanno da mangiare, c'è una cosa che odiano: la cupidigia, il fatto di voler conservare tutto per sé e continuano a dire: "Dateci un po' di elemosina, fate le persone per bene, non tenete tutto per voi, che tanto poi morite e lasciate tutto".
Lo ripetono come un' ossessione, un ritornello. Credo che se il Vangelo si scrivesse oggi di nuovo, là dove Luca l'ha scritto nel Medio Oriente, userebbero parole forse ancora più forti e se la prenderebbero con noi che forse senza accorgercene viviamo in un mondo ricco, sprecone.
Il Signore ci aiuti.
"…facciamo festa, perché XXIV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 11 Settembre 2016
questo mio figlio era morto Luca 15, 1-32
ed è tornato in vita".
Abbiamo letto - forse - la parabola più difficile e sconvolgente del Vangelo.
Ad una prima lettura sembra semplice, ma fate attenzione... non pensate che qui si parli (come a me è capitato di sentire molte volte nel corso della mia esperienza di cristiano) del ragazzo, che vuole andarsene da casa, affrontare la vita e magari sbaglia, un giovane ha il diritto, il dovere di lasciare la casa del padre e avventurarsi per il mondo: non si parla di questo!
Qui si parla delle più grandi tragedie del mondo. Qui si parla della guerra, della violenza, della distruzione del mondo, dello stupro della natura. Qui si parla della morte dei bambini, della violenza sui bambini. Qui si parla della droga, della mafia, di tutto il male del mondo!
Allora provate ad immaginare... non si dovrebbe mai perché la Bibbia ci ammonisce severamente che Dio non può essere immaginato, non possiamo farcene nessuna immagine, ma fate un'eccezione, provateci per un momento.
Immaginate Dio come volete, immaginateLo che passeggia sulle nubi del cielo o - come suggerisce la parabola - in un vecchio casolare del tempo di Gesù ecco… si guarda intorno. Ci sono tanti suoi figli che sono persone perbene, forse sono la maggior parte, ma ci sono anche tanti, tanti che commettono delitti, che uccidono, rovinano, sciupano il mondo... e allora guardate gli occhi del Padre: si riempiono di lacrime!
Uno dei "Credo" che abbiamo più amato nella nostra vita parrocchiale, diceva così: "Non crederò mai nel Dio che non abbia mai pianto per gli uomini". ImmaginateLo piangere e guardate: è impotente, non può fare nulla!
Ci hanno parlato troppe volte nel corso della nostra vita e ce ne parlano ancora di un Dio onnipotente e ci invitano spesso a pregare perché Dio metta pace, ordine, tranquillità, cambi il cuore degli uomini.
Questa parabola ci parla di un Dio impotente, non può fare niente, non può impedire che un figlio se ne vada di casa e sciupi la sua vita e il mondo. Non può impedire che l'altro figlio non capisca che si può andare aldilà del male. Dio è solo nella sua impotenza, ha solo un sogno nel cuore: non si rassegna al male!
Lui non vuole accettarlo. Lui non può accettarlo perché - come dice l'Antica Scrittura - Lui è amore e non può amare la violenza, il male, la sofferenza, la sopraffazione - soprattutto - la violenza sui bambini: non può accettarlo, non vuole accettarlo e va in cerca dell'uomo e cerca di parlare e tanti ci ricordano le sue Parole... Non può fare niente, non può cambiare il cuore dell'uomo: lo ha fatto libero… solo l'uomo può riuscire ad andare aldilà del male, a far propri i sogni di Dio.
Ecco, è un Dio impotente quello in cui crediamo! O forse... forse possiamo parlare di onnipotenza soltanto in questa sua cocciutaggine nel non accettare il male, nel non rassegnarsi al male, nell'aspettare, nel cercare, nel sognare che l'uomo sia finalmente capace di amare.
Adesso guardate un momento anche questi due figli. Il figlio che è andato lontano, ma non è un figlio (ve l'ho detto prima) che fugge di casa... no! È l'umanità che commette delitti, che rovina il mondo, è la guerra, è la violenza, è il male.
Ogni tanto noi uomini ci battiamo il petto, facciamo cerimonie, funerali, spargiamo lacrime e poi ricominciamo. Per noi è facile accettare il male. Ci commoviamo due o tre giorni e poi la televisione cambia programma, qualcuno ci fa sorridere e tutto è dimenticato... ma il male resta, ci rassegniamo al male. Ci rassegniamo al male lontano da noi e qualche volta ci rassegniamo anche al male dentro di noi. Non riusciamo a far nostro il sogno di Dio che il male non è accettabile. Noi siamo fatti per la gioia, per il piacere, per l'amore, per la felicità.
Siamo abituati (scegliete voi se per fortuna o purtroppo) a non confessarci più, ma - se ci pensate - per molti di noi la Confessione è stata una raffinata educazione all'ipocrisia: andavamo, dicevamo il nostro peccato, ci sentivamo a posto e poi ricominciavamo. Non è questo andare oltre il peccato.
Il peccato è una cosa seria, la grazia (come diceva un grande profeta del secolo scorso) non è a buon mercato, non basta un'assoluzione, occorre il coraggio di andare oltre il male, di non accettarlo.
Guardate il figlio più grande… sembra uno di quelli che osservano le regole, ma non è nemmeno capace di riconoscere un fratello. Non vede il fratello che torna, è disperato, non sappiamo se si è convertito, ma non ha importanza, è un fratello che ha fame, è un fratello che è disperato e non vuole accettarlo è incapace anche lui di credere che si possa andare aldilà del male.
Siamo - in parte - noi, ci sentiamo perbene, il male lo guardiamo da lontano, non lo sentiamo parte della nostra responsabilità. Cosa possiamo fare? È quasi impossibile dirlo!
Eppure ogni volta che veniamo qui ci troviamo davanti una Tavola apparecchiata e un banchetto in cui non c'è il "vitello grasso" ma Gesù che ha inventato di farsi "pane": un simbolo certamente, ma il simbolo più profondo della nostra vita: questo è Dio!
Uno che al male, al nostro male non si vuole rassegnare e ci invita a "mangiare", ci invita alla "festa", ci invita a non rassegnarci al male, ad andare oltre, vi invita a credere nel piacere, nella gioia, nell'amore, nella vita che sia ricca, bella, pacifica, per tutti.
Non possiamo rassegnarci al male perché il Dio in cui crediamo non si rassegna al male, non lo può accettare… non può cambiarci, non è onnipotente, ma forse la sua onnipotenza è proprio qui: non accettare il male, non rassegnarsi, continuare a sognare.
Noi siamo qui ogni domenica per tentare di far nostro almeno un po' questo "sogno" di Dio, ma è forse la cosa più difficile della vita dell'uomo.
Il Signore ci aiuti.
Il padrone lodò quell'ammi- XXV DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 18 Settembre 2016
nistratore disonesto, perché Luca 16, 1-13
aveva agito con scaltrezza
A mio avviso - forse - il tradimento più grande che una parte della comunità cristiana e una parte non piccola della gerarchia ha compiuto nei confronti del popolo cristiano, è quello di non averlo aiutato a pensare, a ragionare con la propria testa, a cercare di interpretare con passione quello che accade, il segno del tempo, gli avvenimenti.
Nella vita della Chiesa troviamo spesso dogmi, principi irrinunciabili, proibizioni, divieti, inquisizioni, alcuni libri sono messi nell'indice dei proibiti (pensate che c'era anche la traduzione in italiano della Bibbia e quindi del Vangelo).
Tutto questo ha spesso impedito all'uomo di pensare con la propria testa, di cercare. Molti nella vita della Chiesa sono stati educati più che all'indipendenza e alla libertà, all'obbedienza, al seguire ciecamente i "pastori".
Belli... voi conoscete tutti, spero, i sonetti del Belli. (Chi non li conosce li legga) Riassume in termini sarcastici il problema. Ve ne leggo qualche verso... sono presi dal sonetto intitolato: "Il dottoretto":
"li du' inquilini mii sò missionari,
e predicheno in piazza e in conseguenza
è cchiaro che nun ponno èsse somari.
Dicheno lòro c'ha pparlà de fede
sce s'arimette sempre de cusscenza.
Qui nun z'ha da capì, ma s'ha da crede.
Se non si capisce e si crede, l'uomo è rovinato. Quello che è fondamentale è capire, soltanto allora si sa a che cosa si crede.
Un altro sonetto intitolato: "la riliggione vera" ha questi tre versi. Parla delle varie religioni che sono false e bugiarde... è chiaro che è tutta una satira di Belli.
"Noi soli semo li credenti veri,
perché credemo ar Papa e er Papa poi
sce spiega tutto chiaro in du misteri!"
Purtroppo - spesso - è accaduto questo nella storia della Chiesa con conseguenze tragiche perché, il popolo cristiano, seguendo a volte - purtroppo - la gerarchia non ha saputo interpretare la storia specialmente nel secolo scorso, ma succede anche oggi...
Non ci si è accorti della gravità delle leggi razziali, le conseguenze sono state terribili: milioni di morti innocenti. Quando non si pensa, quando si segue senza pensare la "folla", chi alza la voce, chi propone di distinguere gli uomini in giusti e ingiusti, in chi appartiene a una razza e chi ad un'altra... le conseguenze non possono che essere drammatiche.
Qualcuno di voi mi chiederà: "Ma che c'entra tutto questo con il Vangelo che abbiamo letto oggi?"
Spero che più d'uno di voi sia accorto che oggi c'è il tentativo di Gesù - direi quasi disperato - di dire ai suoi discepoli: "Pensate con la vostra testa!" E lo fa con una provocazione dicendo: "Guardate... guardate quell'amministratore: è un disonesto, ha rubato per tutta la vita e poi il padrone se ne accorge e lo licenzia. E lui che cosa fa? Pensa... interpreta quello che succede, si rende conto della sua situazione e cerca di provvedere". È un delinquente, questo è chiaro, ha rubato prima e continua a rubare, ma allora perché Gesù lo loda?
Perché ha capito. Perché si è accorto di quello che stava succedendo e in qualche modo ha preso posizione e - allora - fa un rimprovero e lo fa a tutti noi: "I figli delle tenebre, quelli che fanno il male, sono spesso più scaltri dei figli della luce".
La parola "scaltro" non mi piace, non è una bella traduzione. Io tradurrei: "Spesso sono più capaci di capire quello che succede"
Guardate quelli che in questo mondo così complicato spacciano droghe, quante se ne inventano! Guardate quelli che vendono armi, quante se ne inventano! E noi? E il popolo cristiano che dovrebbe capire, pensare, intuire che cosa si può fare perché il mondo sia migliore... che cosa fa? Spesso, rassegnato, segue chi grida di più, chi alza la voce.
Spesso - troppo spesso - il popolo rassegnato segue quello che dice il Papa e i vescovi e il Papa e i vescovi a volte dicono sciocchezze e non ci aiutano a pensare.
Oggi ci sono problemi che ci toccano tutti: il problema della vita, della morte. Sentite parlare anche il Papa... (ce ne fossero tanti di Papi così) di eutanasia. Vi sentite dire: "Nun sa da capì, sa da crede", la vita è di Dio! Ma cosa significa?
Quando una persona non riconosce più suo figlio. Quando la sua vita è solo sofferenza .. è ancora vita, quella? La vita è un dono di Dio, ma è un dono di Dio affidato a noi di cui noi siamo responsabili. Io sono responsabile della mia vita e della vita di quelli che mi stanno intorno, soprattutto di quelli a cui voglio bene.
Avete mai pregato perché un uomo morisse? Se non lo avete mai fatto secondo me non siete dei "cristiani", perché tante volte abbiamo visto un uomo la cui vita era solo sofferenza, solo dolore... allora perché non fare qualche cosa?
Oggi, in Italia (siamo capaci di grandi ipocrisie) non si chiama più eutanasia, si chiama: "sedazione profonda". Ben venga la sedazione profonda, pur che venga! Purché ci permettano quando la vita non ha più senso, di morire! Penso che ne abbiamo diritto tutti! Ma... dicono i vescovi, i grandi sapienti della Chiesa: "Non si può!"
È solo un esempio dei tanti che si possono fare… I tabù, i principi irrinunciabili, le regole, le leggi... ma perché non scegliamo con l'intelligenza che Dio ci ha dato? Perché non cerchiamo di capire cosa è giusto e cosa non lo è?
Questo Vangelo ci dice che dobbiamo pensare con la nostra testa, per questo il Signore ce l'ha data, che dovremmo essere più "furbi" dei "figli delle tenebre".
Qualcuno di voi penserà che sono "scemo". Avete tutto il diritto. Se uscite di qui dicendo: "Oggi abbiamo ascoltato la predica di uno che capisce poco, è un po' pazzo..." Ho ottant'anni, quindi in qualche modo sono giustificato. Avete tutto il diritto di pensarlo!
Pensatelo, dite pure un po' di parolacce nei miei confronti... poi però fermatevi un po' e chiedetevi: "Avesse anche un po' di ragione?" Perché rischiate di seguire senza pensare quello che vi hanno insegnato.
Ci hanno... (almeno a me fin da quando ero piccolo) detto: "Guai ad avere dubbi" Come dice Belli: "Nun s'ha da capì, ma s'ha da crede" No! il dubbio è provvidenziale perché ci aiuta a pensare, a pensare con la propria testa e quando il popolo cristiano pensa con la propria testa, allora, tante tragedie possono essere evitate. Tanto bene si può fare sulla faccia della terra.
È una delle cose più difficili della vita.
Il Signore ci aiuti.
"Se non ascoltano Mosè XXVI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 25 Settembre 2016
e i Profeti, non saranno Luca 16, 19-31
persuasi neanche se uno
risorgesse dai morti"
La comunità di Luca avrà raccontato centinaia, forse, migliaia di volte questa storia che è comune a tutte le religioni e aldilà delle religioni, a tutte le tradizioni umane.
La storia del povero che in questa vita ha fame, soffre, ha tribolazioni di ogni genere, ma che poi nell'altra vita avrà finalmente la ricompensa: è la legge del contrappasso diffusa dappertutto nel mondo.
La comunità di Luca l'avrà ripetuta tante volte, perchè - come abbiamo visto nelle domeniche precedenti - è formata da poveri "Lazzari" che si aspettano un premio dall'altra parte.
Questa parabola è stata raccontata anche nella storia della Chiesa infinite volte e credo sia una delle parabole (non so se siete d'accordo) più note.
Fra l'altro, una parabola pericolosa perché è stata troppe volte usata per dire alla povera gente: "Portate pazienza, sopportate, lavorate, pagate quello che dovete, poi dall'altra parte avrete la ricompensa". Questa è una cosa che hanno detto i potenti della terra e spesso i frati che raccomandavano alla gente di pazientare, portare offerte… così i frati si arricchivano... loro (come sapete) sono "poveri" e - quindi - possono possedere mezzo mondo.
Una parabola - dunque - conosciutissima. Più che una parabola una storia che, il Vangelo di Luca, fa diventare una parabola che non si preoccupa più della ricchezza, ma della religione. Qui si parla della fede è - forse - questo è capitato a pochi voi di notarlo.
Come avete visto, alla fine c'è un cambiamento perché il ricco che sta giù a soffrire nelle fiamme e cerca un goccio d'acqua... si rivolge ad Abramo e dice: "Manda qualcuno ad avvisare i miei parenti". Vedete che il malvagio addirittura diventa buono e vuole avvisare i parenti. Abramo risponde: "No, hanno Mosè e i Profeti, ascoltino loro". Il ricco risponde: "No, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno". Abramo risponde: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti"
Ecco, questo è il problema che Luca ci pone, che pone alla Chiesa di tutti i tempi e - forse - oggi più che mai. È una domanda che ci dovremmo porre tutti: "Cos'è la fede?"
Se guardate la televisione, vi capita di assistere a tante trasmissioni che parlano di religione, basate sui miracoli, sulle apparizioni, sui fatti straordinari... sembrerebbe essere questo il cuore della Fede! Se ci sono miracoli, se ci sono apparizioni allora il popolo cristiano si convertirà.
Se volete sorridere un po'... a Ostia, tanti anni fa c'era (non so se c'è ancora) un insegnante che ai suoi alunni delle scuole superiori parlava soprattutto del diavolo, delle possessioni diaboliche e raccontava i fatti impressionanti spesso ripetuti da padre Amorth, (morto da poco, il "diavolista" principe di questo paese). Questo professore li raccontava ai suoi alunni con questa convinzione: "Se riesco a farli credere al diavolo, crederanno anche a Dio!"
Quando eravamo ragazzi... (credo sia successo a tutti voi) l'insegnamento catechistico era fatto soprattutto di racconti di miracoli, di apparizioni, di storie straordinarie.
Luca ci dice: "Guardate, la fede è un' altra cosa: la Parola... Mosè e i Profeti". Per noi Gesù di Nazareth: "Se non credete al Vangelo, se non prendete sul serio il Vangelo non c'è apparizione che tenga. Non c'è miracolo che serva a convertirvi". Ne volete una prova? Guardate le cronache di questo paese!
Ci sono processioni in cui la Madonna, il Santo si fermano davanti alla casa del boss. I luoghi in cui certi "santoni" vengono particolarmente venerati - ne trovate statue in tutte le piazze - sono tra i più mafiosi d'Italia!
No, la religione è un'altra cosa! Questo ci dice la parabola che abbiamo letto. Se non crediamo a Gesù, alla sua Parola non serve miracolo, non servono apparizioni. La nostra fede non è basata sul miracolo, ma sull'accoglienza della Parola di Gesù, sul condividere i suoi valori.
Fede... non è credere che esista qualche cosa. Fede è seguire Gesù, la sua vita, i suoi valori, i sogni del suo cuore. Per questo non veniamo qui a Messa soltanto una volta e ci basterebbe un miracolo, ritorniamo ogni domenica per ascoltare la Parola di Gesù, per tentare di seguire Lui, di camminare con lui, di nutrirci di Lui.
In tutte le religioni ci sono apparizioni, miracoli, fatti straordinari di ogni tipo... ma la fede è un'altra cosa! La fede è l'incontro con una Persona. la fede è ascoltare una Parola, è far propri dei valori. È sentire dentro qualche cosa che ci cambia il cuore, che ci fa capaci di camminare seguendo la strada di Gesù giorno per giorno, sentendoci povera gente, perchè non sempre ci riusciamo. Siamo peccatori, ma tentiamo di credere in Lui, di far nostra la sua Parola, di seguirlo: per questo siamo qui, questa è la nostra fede!
Il Signore ci aiuti.
Gli apostoli dissero al Signore: XXVII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 2 Ottobre 2016
"Accresci in noi la fede!". Luca 17, 5-10
Abbiamo letto quella che probabilmente è una delle pagine più sconcertanti del Vangelo di Luca: "Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: "Sradicati e vai a piantarti nel mare", ed esso vi ascolterebbe!"
Ci sono degli alberi qui davanti e quando uscite, per provare la vostra fede, non dite che si piantino nel mare perché non accadrebbe nulla.
È la maniera con cui il Vangelo è scritto: sono parole provocatorie che vanno interpretate. Il dramma è che queste parole del Vangelo sono state interpretate pesantemente nel corso della vita della Chiesa.
È stato detto più volte: " Se non hai ottenuto è perché non hai fede, non sai pregare".
Vedete... se volete sorridere un po' (qualcuno di voi lo sa) da parecchi anni ormai, io sono in grado di produrre un tè "miracoloso" che guarisce malanni di ogni tipo, specie e qualità, capace di fare tutti i miracoli possibili e immaginabili, ma avviso sempre chi beve questo tè che lo fa a suo rischio e pericolo perché, se non ottiene quello che chiede, non dipende dal tè, (che è sempre miracoloso) ma dalla sua mancanza di fede. Nessuno di voi sarà così sciocco da credere che io faccia tè miracolosi! Chi lo ha bevuto dice che è buono, ma miracoli non ne fa!
Il dramma è che ho visto piangere delle persone perché gli avevano detto che se non avevano ottenuto la grazia che avevano chiesto... e - a volte - era una grazia chiesta con tutta la forza della disperazione, per un bambino, per un parente malato... è perché non avevano saputo pregare, non avevano fede abbastanza.
Ho visto gente piangere disperatamente perché il "santone" di turno aveva detto: "Se tuo padre ha il cancro è perché qualcuno di voi in famiglia ha peccato, perché non avete fede".
Purtroppo queste cose a me è capitato di ascoltarle parecchie volte. Qualcuno le scambia per fede, ma sono delle autentiche bestemmie!
La fede è un'altra cosa. I miracoli non accadono. Le malattie guariscono perché i medici studiano e sanno curarci e lo sanno fare sempre meglio (per nostra fortuna), ma per alcune cose ancora non ci sono arrivati. Ci sono persone in tutti gli ospedali d'Europa, non soltanto nei santuari, che guariscono senza che si sappia perché… ancora non sappiamo, siamo ignoranti, ma (credete a me) i miracoli non c'entrano niente!
Come diceva un ragazzo che mi aveva colpito tanti anni fa: "Se qualcuno sa fare miracoli e li fa molto raramente non è un santo, ma un delinquente". Sembra una bestemmia, ma pensateci... aveva perfettamente ragione!
Ma - allora - che c'è qua? Che cosa dice questa pagina del Vangelo? Che cosa è - secondo il Vangelo di Luca - la fede? Cosa significa avere fede e perché la paragona addirittura allo spostare un albero nel mare? Una cosa praticamente impossibile!
Ce lo dice la seconda parte del Vangelo, anche questa sconcertante perché non è più il nostro mondo. Non ci sono... (almeno dalle nostre parti) servi e padroni e non puoi dire al servo: "Prepara, prima mangio io e poi mangi tu". Non si parla di servi e di padroni, si parla della vita.
Ma, la frase finale è impressionante: "Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili: Abbiamo fatto solo quanto dovevamo fare"
Questo "servi inutili" (secondo me) il Vangelo di Luca se lo poteva risparmiare, mi sembra una cattiveria nei nostri confronti.
Non parliamo del servo, parliamo della vita. Ciascuno di noi ha un compito. Ciascuno di noi fa quello che può e avere fede significherebbe tentare di farlo nella più totale gratuità. Fare il bene non per aspettarsi un premio e nemmeno un ringraziamento: "Abbiamo fatto quello che dovevamo fare"… per noi è proprio come spostare un albero nel mare.
Ne abbiamo fatto qualche volta esperienza. L'abbiamo fatta con i nostri genitori, ci siamo sentiti amati nella maniera più gratuita, qualche volta (almeno per me che ho vissuto i tempi della guerra) si levano il pane di bocca per farci mangiare, nella più totale gratuità e non potevo nemmeno dir grazie, ero troppo piccolo.
Ma ho incontrato la gratuità qualche volta nel rapporto con gli amici, quando senti che ti vogliono bene senza aspettarsi niente.
Qualche volta ci capita di vivere la gratuità e sono le esperienze che forse ricordiamo con più piacere, l'esperienze più preziose della vita. Ma il mondo è fatto così? E noi siamo fatti così?
Ecco - allora - il senso che questa pagina ci vuole comunicare: avere fede significa tentare di vivere la gratuità, l'amore disinteressato. Amare perché ci si vuol bene, perché si vuole condividere la vita senza cercare la ricompensa, senza aspettarsi nemmeno un "grazie"... perché a volte nemmeno c'è un grazie, eppure tento lo stesso (o dovrei tentare lo stesso) di voler bene.
È un sogno, è il sogno di Dio, ma il Vangelo (ve l'ho ripetuto tante volte) è sogno, utopia.
Sogno verso cui si cammina. Il Vangelo di Matteo dice: "Siate perfetti come è perfetto Dio". E ci fa liberi perché nessuno di noi può essere perfetto come è Dio. Nessuno di noi può vivere la gratuità totale di Dio. Siamo gente che cammina, che cerca di vivere quello che può dell'amore, del rispetto, della condivisione, dell'attenzione verso gli altri.
Nessuno si faccia sensi di colpa... è impossibile! È come trasportare "l'albero nel mare". È un cammino, un cammino che non conosce confini, un cammino giorno per giorno in cui tentiamo di vivere la nostra fede così come l'ha vissuta Lui che ha inventato di farsi Pane. Siamo qui e veniamo a nutrirci di Lui. Ci dona Se Stesso nella gratuità più totale. Non si aspetta niente. Non si aspetta nemmeno che gli diciamo: "Grazie". Si aspetta che tentiamo di vivere i suoi sogni, ma non per Lui, perché la vita sia più bella.
Se la mia vita... se la nostra vita fosse piena di gratuità, il mondo sarebbe più bello. Di questo ci parla il Vangelo di oggi: non di miracoli, di prodigi, non ci mette sensi di colpa nel cuore. Ci dice: "Il vero senso della vita è la gratuità. È tentare di essere come Dio. È tentare di vivere il suo sogno e tentare di camminare con Lui".
Ci ritroviamo ogni domenica per far nostro il sogno di Gesù, per tentare di vivere come possiamo giorno per giorno la gratuità: questa è la fede! Non il bisogno del miracolo, del prodigio, non la certezza che se preghiamo saremo esauditi... No, la fede è un'altra cosa, è ricerca della gratuità, dell'amore, è ricerca dei sogni di Gesù.
Il Signore ci aiuti.
"Non si è trovato nessuno che XXVIII DOMENICA del TEMPO ORDIONARIO - 9 Ottobre 2016
tornasse indietro a rendere Luca 17, 11-19
gloria a Dio, all'infuori
di questo straniero?"
Quando tento di dire qualche cosa su questa pagina del Vangelo, ormai da tempo sento l'esigenza di fare una premessa.
Come avete ascoltato qui si parla di ringraziamento, di gratitudine. C'è un lebbroso che torna a dire: "grazie" a Gesù. Quindi dovrò parlare di gratitudine, di ringraziamento. Eppure ho incontrato tante persone che quando si parla di ringraziamento, dicono: "Don Checco, di cosa posso ringraziare io? Ho nella vita tanti guai, tante disgrazie. Qui c'è uno guarito, ma io mi vedo invece circondato dalla malattia, da tanti problemi e niente cambia e nessuno guarisce. Come posso ringraziare?"
Se qualcuno di voi o per tanti problemi della vita, o per quel brutto male che è la depressione, non è in grado di dire: "grazie"... ebbene mi scusi e cerchi (se può) di tenere chiuse le orecchie e non ascoltare, sperando che la sua situazione possa cambiare e che dal suo cuore possa ancora scaturire un "grazie".
Ma qui dobbiamo parlare di questi lebbrosi che sono guariti. Come tutti sapete non si tratta di fatti accaduti tento tempo fa, ma di simboli che tentano di comunicarci qualche cosa di importante, tentano di dirci addirittura che cos'è la nostra fede.
Dieci lebbrosi, nove sono ebrei: vengono guariti, vanno a farsi vedere dai sacerdoti... ecco hanno tante pratiche da fare, tante leggi da osservare e sentono anche il bisogno - probabilmente profondo - di andare a farsi vedere dagli altri, a mostrare a tutti che sono finalmente guariti, purificati, che possono rientrare nella comunità da cui erano esclusi; insomma tante cose da fare, tanti impegni, tante leggi da osservare.
Non solo, ma sono e si sentono ebrei e - quindi - hanno diritto alla protezione di Dio. Non l'ha detto tante volte Dio che avrebbe camminato con loro, li avrebbe aiutati? Ecco, sentono di avere dei diritti.
Dall'altra parte c'è un samaritano, il quale non fa parte del popolo di Israele, il quale non si aspetta niente, probabilmente, pensa che niente gli è dovuto, che quello che gli è capitato è assolutamente gratuito, qualche cosa che a lui non spettava. È un intruso a cui il profeta ebreo ha fatto un grande prodigio e in più non ha da osservare delle regole, da rispettare delle leggi. Sente dentro di sé un solo grande bisogno: quello di andare a dire: "Grazie". Vive pienamente lo stupore della guarigione. Si sente un uomo nuovo. Si sente liberato. Il dono che ha ricevuto ha rinnovato completamente la sua vita e - allora - non ha che da cantare la gloria di Dio, il suo stupore e non ha che il bisogno di andare a dire il suo ringraziamento.
Ecco, a noi qualche volta capita di essere un po' come gli Ebrei, di pensare di avere dei diritti, di avere accampato dei meriti. Siccome veniamo qui in chiesa regolarmente, siccome facciamo anche delle opere buone ogni tanto, ci sembra che abbiamo in qualche modo diritto alla grazia di Dio, alla sua benevolenza e se le cose ci vanno bene, in fondo è giusto che sia così!
C'è di più! Noi, come tanti uomini, diamo per scontato il mondo che ci circonda. Diamo per scontato che il sole sorga al mattino, che ci sia il mare, che spuntino i fiori e qualche volta non sentiamo che tutto questo non lo abbiamo fatto noi, che tutto questo ci è stato donato, che tutto è "gratis", e - quindi - non sentiamo il bisogno di esprimere la gratitudine, la meraviglia, lo stupore, il ringraziamento per tutto quello che abbiamo intorno.
Abbiamo intorno a noi delle persone... anche queste non le abbiamo fatte, anche queste sono un dono che arricchiscono la nostra vita. Qualche volta la nostra vita si sciupa perchè a noi, (come agli Ebrei di cui parla il Vangelo) capita di accampare dei diritti... Il marito quando torna a casa dopo una giornata di lavoro faticosa e, magari, in cui gli è capitato di litigare con il capo, pensa che almeno a casa ha dei diritti: la moglie dovrebbe occuparsi di lui. I figli non dovrebbero disturbare e - quindi - li sente quasi come un peso e sente che se non fanno quello che dovrebbero, non tengono conto dei meriti che gli spettano per la pesante giornata di lavoro.
Lo stesso vale per la moglie che ha faticato, ha preparato una buona cena e si aspetterebbe - magari - un "grazie". Un grazie che non riceve! Anche i figli... danno per scontato tutto quello che fanno i genitori.
Questo vale anche nella società in cui viviamo, ci sono tante aspettative. Basta che apriate la televisione, o leggiate il giornale... Tutti si aspettano qualche cosa. Tutti accampano i loro diritti. Tutti avanzano le loro pretese e pochi sentono il bisogno di esprimere il ringraziamento per tutto quello che hanno, per questo paese in cui vivono, per le scuole che ci sono, per la sanità che funziona, anzi, che è una delle migliori del mondo. Mettiamo più l'accento su quello che ci è dovuto, sui nostri diritti, su quello che ci meritiamo e ci dimentichiamo che tante cose non le abbiamo fatte noi, ci sono state donate e meriterebbero la nostra gratitudine, il nostro ringraziamento.
Ecco, il Vangelo di oggi ci parla di questo: la capacità di dire "grazie". Qui vorrei farvi notare una contraddizione che sembra esserci tra il Vangelo che abbiamo letto domenica scorsa e quello di oggi.
Domenica scorsa (forse lo ricordate) Gesù diceva che dobbiamo vivere la pienezza della gratuità. Fare il bene senza aspettarci nemmeno che qualcuno ci dica: "grazie" e oggi sembra il contrario: sembra che Gesù che fa del bene si aspetti che qualcuno gli dica: "grazie" e se qualcuno non glielo dice, si lamenta.
Sembra una contraddizione, ma non lo è, vuole tentare di dirci che la gratuità, se vogliamo tentare di viverla, viene dalla gratitudine, dalla convinzione di aver ricevuto e di aver ricevuto tanto; dalla convinzione che la vita ci è donata e ci è donata la bellezza e ci sono donate le persone che ci stanno intorno e - nonostante le difficoltà - sono per noi un dono: un dono che riempie la nostra vita.
Questo vale (lo dicevo già all'inizio) quasi per tutti noi, per qualcuno forse no, ma ho già pregato quelli per cui non vale di turarsi le orecchie.
Quando ci alziamo al mattino la prima cosa che dovremmo sentire è il bisogno di dire un grazie. Grazie perché il sole è sorto. Grazie perché c'è ancora il mare. Grazie perché ho accanto mio figlio, mia moglie. Grazie perché posso incontrare degli amici. Grazie per tutte le cose della vita ...
E - allora – se ho questo sentimento di gratitudine - forse - sarò anche capace - almeno un po' - di gratuità. Ho ricevuto tanto, qualche cosa devo rendere alla vita. Qualche cosa devo rendere gratuitamente, non per accamparmi meriti, non per guadagnarmi il ringraziamento di qualcuno, ma ho ricevuto tanto e sento il bisogno di dire "grazie". Vorrei che qualcuno intorno a me sia anche messo in grado di dire "grazie"… poi che lo faccia o non lo faccia non importa.
Vivo la gratuità, perché ho fatto esperienza della gratitudine, sono grato per i doni che ho ricevuto. Ho sentito il bisogno di dire: "grazie"… se ho ricevuto posso tentare di rendere qualche cosa.
Il Signore ci aiuti.
"Ma il Figlio dell'uomo, XXIX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 16 Ottobre 2016
quando verrà, troverà Luca 18, 1-8
la fede sulla terra?"
La comunità di Luca (a mio avviso) è, tra le comunità del Nuovo Testamento, quella che più ha fermato la sua attenzione sulla preghiera. Cosa significa pregare, cos'è la preghiera? Hanno dietro le spalle (come tutti i primi cristiani) la grande tradizione di Israele e - quindi - un continuo ripetere che Dio si prende cura della sua gente, solleva i poveri, fa giustizia per loro, per i sofferenti, per gli ultimi.
Una delle immagini più suggestive della preghiera l'avete ascoltata nella prima lettura. Ho trovato tanta gente che amavano questa immagine di Mosè che sale sul monte per intercedere perché Israele vinca la sua battaglia contro Amalek… Mosè è anziano, non ce la fa a tenere le mani in alto e se le abbassa Amalek vince. Allora devono arrivare due giovani, lo fanno sedere, gli sostengono le mani finché Mosè può ottenere da Dio la vittoria su Amalek. Questa immagine anche i ragazzi la trovavano molto suggestiva. Bastava chiedergli: "Scusate - secondo voi - Amalek che ne pensa?". Anche loro sono figli di Dio!
Vedete - l'Antico Testamento... (ma questo è un bisogno degli uomini e anche nostro) è tutto attraversato dall'idea che pregando, chiedendo, Dio viene incontro agli uomini e aiuta i miseri, i deboli; li libera dalla loro schiavitù.
Il Vangelo di Luca... (mi sono fatto questa impressione) forse perché ha vissuto pesantemente sulla sua pelle questa situazione, comincia a chiedersi: "Ma cos'è la preghiera? Forse c'è qualche cosa che non abbiamo capito!"
Vi leggo una frase che abbiamo già trovato nel Vangelo, perchè più volte Luca torna su questo tema: "Quale padre tra di voi, se il figlio gli chiede un pesce gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo gli darà uno scorpione? Se voi, dunque, che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!"
Qui vedete tutto lo sconcerto della comunità di Luca che è fatta di povera gente, di miseri che si raccomandano sempre: (ci sono varie pagine del Vangelo) "date elemosine, dateci un po' di soldi, non abbiamo da mangiare". E avranno tante volte, probabilmente, pregato Dio per avere un uovo da dare ai propri figli, un pesce per sfamare le loro creature e non avevano ottenuto niente. Hanno pregato, hanno insistito, ma l'uovo non si vedeva, il pesce non arrivava.
Allora - forse - hanno cominciato a domandarsi: "Ma se la preghiera fosse un'altra cosa?"
Ecco - allora - quella frase finale: "Se voi che siete cattivi potete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il vostro Padre Celeste vi darà lo Spirito Santo?". "Ah, ma allora non chiediamo il pesce, non chiediamo un uovo… dobbiamo chiedere lo Spirito, dobbiamo cercare lo Spirito, dobbiamo inseguire lo Spirito!"
Lo Spirito è la luce di Dio, è il fuoco che riscalda, è la passione per la libertà, è il vento di Dio che ci spinge avanti... allora la preghiera forse è un'altra cosa!
La lettura che abbiamo fatto stamattina forse è ancora più provocatoria perché prende come modello un giudice che descrive severamente: non teme Dio e non gli importa niente della gente. Lo porta quasi come modello: "Guardate il giudice disonesto, farà giustizia a quella donna che insiste tanto solo… "perché non venga più a importunarmi". Ci aspetteremmo la conclusione... Dio è un po' meglio del giudice disonesto... pregate, insistete e vedrete che alla fine, magari anche lui un po' scocciato darà quello che gli chiedete.
Ma la frase finale ancora una volta è sconcertante: "Ma il Figlio dell'uomo quando verrà troverà la fede sulla terra?" Ah, ma allora forse la preghiera è la ricerca per mantenere la fede, per conservare dentro di noi i valori di Gesù, la passione per gli altri, per il bene, per la giustizia?"
Allora - forse - ci dobbiamo accorgere che non siamo noi che abbiamo bisogno di Dio, ma (come diceva un grande personaggio del secolo scorso) è Dio che ha bisogno di noi. È Dio che ci ha affidato la vita, gli altri, la storia e che ci chiede di conservare la fede. Ci chiede di conservare la speranza, il coraggio del bene nonostante tutte le difficoltà.
Vorrei che nessuno di voi si sgomenti. Penso che tutti noi...(Non so se posso coinvolgervi, a cominciare da me) continueremo a pregare perché Dio ci dia una buona salute, faccia star bene quelli che ci stanno vicino, dia cibo a sufficienza a noi e - soprattutto - a tanta gente che soffre la fame nel mondo. Continueremo a pregare che ci sia un po' più di pace, che non muoiano i bambini... e facciamo bene perché è un'espressione d'amore.
Forse qualche volta dovremmo ricordarci di quella frase: "Non siamo noi che abbiamo bisogno di Dio, ma è Dio che ha bisogno di noi". Non è Lui che risolve i nostri problemi. A noi ha affidato la vita. A noi chiede di conservare la fede. A noi chiede di invocare lo Spirito. A noi chiede di mettere la passione del nostro cuore per fare in modo che la vita (almeno un po') sia migliore.
Dio non viene a tappare i buchi delle nostre debolezze. Non viene con un colpo di bacchetta a cambiare la storia del mondo e nemmeno il nostro cuore. Siamo noi che dobbiamo pregare incessantemente per invocare lo Spirito, il "vento" di Dio, la sua luce, che ci riscaldi il cuore. Siamo noi che dobbiamo pregare incessantemente per conservare la fede e conservare la fede è vivere la speranza in questo mondo che - a volte - ci appare disperato.
Essere cristiani significa, nonostante tutto, continuare a sperare, a credere, a sognare come ha sognato Gesù, a tentare, come possiamo, senza farci mai venire sensi di colpa, di fare in modo che il mondo sia migliore.
Non siamo noi che abbiamo bisogno di Dio, è Dio che ha bisogno di noi.
Il Signore ci aiuti.
"O Dio, ti ringrazio perché XXX DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 23 Ottobre 2016
non sono come gli altri uomini, Luca 18,9-14
ladri,ingiusti, adulteri, e
neppure come questo pubblicano..."
La comunità di Luca deve aver trovato molto della sua esperienza in questa parabola che - come penso abbiate intuito tutti - non parla di preghiera, ma della situazione del credente.
Gesù, il loro Maestro, si era scontrato con quelli che si sentivano giusti e giudicavano gli altri. Gesù è stato molte volte giudicato perché non osservava scrupolosamente la Legge... pensate al "sabato"... perché si fermava a mangiare non con la gente perbene, ma con i peccatori e pensavano - addirittura - di condannarlo. Ma non soltanto Gesù... anche loro hanno subito questo giudizio, questa condanna da coloro che nel mondo ebraico si sentivano giusti, conservavano la tradizione, osservavano scrupolosamente la Legge, ma erano incapaci di tenerezza. Incapaci di intuire il mondo che cambiava, le cose nuove che Gesù stava portando, e non si trattava di cambiamenti, ma di ricerca dell'essenziale, delle cose veramente importanti.
I cristiani capiscono che quello che veramente conta è la ricerca, la passione per la giustizia, per il bene… e per far questo ci vuole un cuore fragile. Bisogna non sentirsi sicuri di tutto, non sentirsi giusti. Bisogna non sentire il nostro cammino cristiano come un "piedistallo" che ci permette di giudicare e di condannare gli altri".
Questo problema lo hanno avuto i cristiani di tutti i tempi, fino ai nostri giorni. Coloro che hanno cercato di essere giusti, di seguire il Vangelo si sono spesso scontrati con chi si ergeva a difensore della tradizione, di quello che si era sempre detto, sempre fatto, del dogma, della legge, con coloro che scrupolosamente osservavano le regole, andavano a Messa tutte le domeniche... eppure non erano capaci di tenerezza verso gli altri.
Ci sono stati sempre dei cristiani dal cuore fragile, che non si preoccupavano tanto del dogma, delle verità assolute, ma cercavano di guardare negli occhi i fratelli e di capire chi sei, che c'è dentro di te, perché sei così e magari tentavano di condividere un po' la vita.
Vedete... questa è una delle più forti esperienze che ho fatto fin da quando avevo quattordici anni e cominciavo a occuparmi di insegnare il catechismo ai più piccoli e nell'oratorio in cui io sono cresciuto a Trastevere, (un ambiente non del tutto semplice a quel tempo) c'erano dei ragazzi particolarmente violenti, che mi sembravano cattivi.
Poi, ho avuto la fortuna (la considero veramente una grande fortuna) di conoscere le famiglie dove erano nati questi ragazzi, dove erano cresciuti... Non so se qualcuno di voi ha un'idea di cosa sia un "basso". Ce ne erano a Roma, a Trastevere e dicono che ce ne sono ancora a Napoli.. un antro scuro, c'è una porta e in fondo una piccola finestrella che manda solo un po' di luce... si cresce là al buio, si vive per strada e spesso, in quelle famiglie, c'erano dei genitori violenti, specialmente i padri che si ubriacavano e questi ragazzi dovevano subire... e diventavano così. Allora dicevo: "Se fossi cresciuto io in quella famiglia probabilmente sarei peggio di loro! Chi sono io per giudicare? Chi sono io per sentirmi migliore di loro? Come mettermi su un piedistallo?"
Questa è stata una delle esperienze che ha segnato la mia adolescenza e mi ha fatto quasi "allergico" al vedere - spesso - l'autorità della Chiesa che giudicava, che condannava, che pensava sempre di sapere che cosa fosse la verità, che arrivava a negare il funerale a una persona soltanto perché aveva scelto alla fine di morire, che giudicava "assassina" una ragazza che decideva di abortire. Sentivo che si ripeteva la storia del Fariseo e del pubblicano. Sentivo che ancora c'era il giudizio severo che condanna senza cercare di capire, di guardare negli occhi le persone.
Se volete che vi faccia una confidenza... per non parlare soltanto dell'autorità della Chiesa, (l'ho già detto altre volte perchè è una cosa che mi rimane dentro e mi ha aiutato a capire) Tra le persone più maligne che ho incontrato nella mia vita, alcune venivano a Messa tutte le mattine. Il loro giudizio era severo e impietoso. Erano assolutamente incapaci di tenerezza e di misericordia, a volte nemmeno per i loro figli o i loro nipoti.
Si sentivano giusti perché venivano in chiesa, perché osservavano le regole, perché si sentivano protetti da Dio perchè pensavano di avere la verità.
Ecco, questo è il fariseo, (mettetelo tra parentesi: il fariseo è solamente un simbolo, c'erano tanti farisei che erano persone perbene al tempo di Gesù) questo è il contrario del credente. Il credente è uno che la verità la cerca, la giustizia la cerca, non si sente mai arrivato, a posto, che non pensa mai di poter salire su un piedistallo per giudicare, per condannare, per escludere la gente.
Il cristiano è uno che cerca e che soprattutto vive la tenerezza e si scontra... con il giudizio di chi pensa di sapere tutto, di chi pensa di avere la verità che viene da Dio, di chi si sente giusto soltanto perché osserva delle regole.
Essere cristiani non è osservare delle regole. Essere cristiani è vivere la tenerezza, l'attenzione all'altro, la condivisione della vita, il rispetto e poi le regole valgono quel che valgono. Qualche volta valgono, qualche volta non valgono. Il Vangelo lo ripete in una delle parole (secondo me) fondamentali: "Non è l'uomo fatto per il sabato, il sabato è fatto per l'uomo"
Questo, Gesù lo ha vissuto, il Vangelo lo ripete tante volte e dovrebbe essere il nostro modo di vedere. Non è la legge, la regola, la tradizione, la pratica religiosa che dice quando un uomo è giusto e quando non lo è. Non è la legge che deve prevalere sull'uomo. Quello che conta è l'uomo, questo uomo!
Questo uomo concreto - magari - in un momento di fragilità, di debolezza, di dolore, di smarrimento, (se volete) di peccato. È lui il cuore dell'attenzione del cristiano. È lui di cui Gesù ci parla in questa parabola.
Tutto questo non riguarda soltanto altre persone, riguarda me e qualche volta penso riguardi anche voi. Alle volte giudichiamo senza pensare, ci sentiamo giusti e disprezziamo il prossimo. Questa parabola è detta anche per noi.
Il Signore ci aiuti.
"Zaccheo, scendi subito, XXXI DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 3 Ottobre 2016
perché oggi devo Luca 19, 1-10
fermarmi a casa tua".
Lo ricorderete domenica scorsa avevamo lasciato un pubblicano in fondo al Tempio che si batteva il petto e chiedeva perdono, abbiamo fissato la nostra attenzione invece sul fariseo che si sentiva giusto e giudicava gli altri.
Ma la comunità di Luca (i Vangeli ve l'ho ripetuto tante volte non sono scritti da una persona, ma da una comunità, da un gruppo di persone) sente che non bisogna fermarsi qui, che bisogna rivolgere l'attenzione a questo pubblicano che si batte il petto: basta battersi il petto?
Non penso che Luca abbia potuto immaginare i grandi disastri, la grande ipocrisia che ha procurato nella storia della Chiesa un certo modo di intendere la confessione, voi forse ne avete fatto esperienza: si andava a confessarsi, si chiedeva perdono, ci si batteva il petto, si recitava l'atto di dolore, tre Ave Maria e "io ti assolvo" poi uscivamo e ricominciavamo a fare gli stessi peccati, ma ci sentivamo perdonarti, o a volte confessavamo peccati che non ci sembravano tali, ma ci avevano detto che bisognava dirli e ci sentivamo un po' ipocriti.
Non penso che la comunità di Luca abbia potuto immaginare che nella vita della Chiesa ai nostri giorni avremmo dovuto ascoltare qualche autorità della Chiesa che chiedeva perdono per i peccati, non per i propri, ma per quelli dei tempi passati, magari riabilitando Galilei e continuando a fare esattamente gli stessi peccati, a combattere contro la scienza, contro le donne, contro chi la pensava diversamente. Ma probabilmente anche al tempo di Luca, c'erano persone che pensavano bastasse battersi il petto o che avendo ricevuto il battesimo si ritenevano uomini nuovi, pienamente perdonati.
Battersi il petto ci dice Luca non basta, bisogna convertirsi e convertirsi è cosa complicata. Guardiamo allora un momento questo pubblicano, stavolta ha un nome: Zaccheo, ma probabilmente si tratta di un simbolo.
Sente un'inquietudine, forse sa che la sua vita non va, che ha bisogno di cambiare e cerca Gesù. Ma trova la folla che gli impedisce di avvicinarsi. La folla ritorna spesso nel Vangelo, forse ricordate un'altra immagine che parla del male: portano a Gesù un paralitico su una barella (la paralisi nel Vangelo di Marco è il simbolo del peccato) e non può avvicinare Gesù perché c'è la folla, devono venire degli amici, prenderlo su con la barella, salire sul tetto, scoperchiarlo, per farlo scendere davanti a Gesù.
Tra il peccatore, tra chi sbaglia e Gesù c'è spesso la folla, una folla pesante che non ti permette di incontrarlo. Cos'è questa folla? Zaccheo era un pubblicano e come tutti i pubblicani pensava che la cosa importante era fare soldi e lui c'era riuscito, anche lui come i suoi colleghi pensava che ciò che conta è il potere, i soldi.
La "folla" che i cristiani di Luca incontravano era tutta la mentalità che c'era a quel tempo: nel mondo romano si potevano fare schiavi, conquistare territori, quello che contava era arricchirsi, avere il potere, dominare, sfruttare gli altri e molti la pensavano così e uscire da tutto questo doveva per loro essere veramente molto difficile
Pensate, se volete venire ai nostri tempi, ad un ragazzo che vive, cresce in un ambiente di mafia: così sono i suoi genitori, i suoi amici, così tutto l'ambiente in cui è cresciuto, come potrà uscire da questa folla che costringe a pensare tutti allo stesso modo?… ecco la folla!
Zaccheo deve andare oltre questa folla, il Vangelo di Luca ce lo dice in un'immagine simpatica: lui, un ricco, abituato ad essere rispettato e servito, forse ormai anziano, deve arrampicarsi addirittura su un albero.
Zaccheo poverino, rispetto al paralitico è solo, quello ha trovato degli amici che l'hanno portato con la barella, Zaccheo deve fare tutto da solo, deve liberarsi dalla folla, deve riuscire a incontrare Gesù, a guardalo negli occhi… e si sente invitato a mangiare insieme.
Forse per lui una cosa del tutto inaspettata: invita me, proprio me che ho sempre vissuto male, ho rubato, non mi sono mai preoccupato della gente.
Gesù invita proprio lui e Zaccheo adesso capisce e non basta che chieda perdono adesso deve restituire tutto quello che ha rubato, dà metà dei suoi beni ai poveri: ecco cosa significa convertirsi.
Anche noi veniamo in chiesa per incontrare Gesù e ci battiamo il petto, forse ci sentiamo perdonati, Gesù ci invita a tavola… ma non basta, dobbiamo tentare come Zaccheo di superare la folla, la nostra folla che è fatta di disinteresse, di non preoccuparci degli altri: tutti in questo mondo pensano ai fatti propri, ognuno cerca di curare i propri interessi, molti cercano di non pagare le tasse, condividiamo con tanta gente la sfiducia, non siamo capaci di aiutare i nostri ragazzi a credere nel domani… uscire da tutto questo, trovare il coraggio della speranza, di essere onesti fino in fondo, di fare il bene, questo significa convertirci: ecco quello che ci dice oggi il racconto di Zaccheo.
Non basta battersi il petto, magari confessarsi, non serve a niente, quello che importa è che tu cerchi di cambiare faticosamente, lentamente… poi non ci si riesce mai del tutto e ritorni e cerchi ancora di liberarti dalla tua "folla" e cercare ancora il Signore.
Ma non aspettatevi di diventare santi, nella Chiesa ne parleremo dopodomani, non esistono santi di quelli con la S maiuscola, esiste solo povera gente e quando venite qui in chiesa e Gesù vi invita a mangiare, come ha invitato Zaccheo, nessuno, ma proprio nessuno, dica: "ma io non sono degno, tento di essere buono, non ci sono riuscito"… Gesù ci chiama come chiama Zaccheo e ci dice: "Vieni mangia, voglio farmi cibo per te, perché tu ce la faccia a cercare ancora il bene, non c'è bisogno che diventi un eroe, un santo, come San Francesco, Santa Teresa, basta che faccia un passo avanti, che cerchi di fare il mondo un po' più bello, di essere un po' più attento a chi ti sta accanto".
Insomma convertirsi, seguire Gesù, non è battersi il petto, ma cercare di fare quello che possiamo.
Il Signore ci aiuti.
"Dio non è dei morti, XXXII DOMENICA del TEMPO ORDIONARIO - 6 Novembre 2016
ma dei viventi perché Luca 20, 27-38
tutti vivono per lui"
Ci troviamo di fronte ad una delle pagine, per noi che viviamo nel 2016, più sconcertanti e difficili e - quindi - alcuni di voi avranno reazioni diverse, state tranquilli, sono tutte legittime, perché non sappiamo niente. Vediamo che cosa succede qua!
Si presentano a Gesù dei Sadducei: si considerano gli eredi della grande tradizione di Israele, conoscono molto bene l'Antica Scrittura e quindi, fedeli alla tradizione, non credono nella risurrezione. Per loro dopo la morte non c'è nulla.
Molti cristiani si meravigliano nel sentire che per lunghi secoli la tradizione ebraica - la Bibbia - non crede nell'aldilà. Non gliene interessa niente, è nelle mani di Dio. A noi - dicono - interessa questa vita. È qui che dobbiamo costruire il mondo, avere una terra. È qui che dobbiamo lavorare per il pane, il vino, l'abbondanza, la terra dove scorre il latte e il miele. È qui (diranno con forza i profeti) che deve esserci la giustizia e la pace: questo è il compito dell'uomo.
Perché gli Ebrei non credono nella risurrezione quando in tutto il mondo contemporaneo tutti ci credono? Pensate all'Egitto, (la Palestina praticamente fa parte dell'Egitto) conoscete tutti le grandi piramidi, il culto dei morti, tutti i riti per la vita dopo la morte… Israele forse per ribellarsi a questi che sono (in fondo) dei padroni, degli sfruttatori, dicono: "Noi dobbiamo conquistare la libertà, (pensate all'Esodo) la terra, la giustizia. Ci interessa questa vita, dell'altra non sappiamo nulla".
Poi, durante il corso dei secoli (lo avete sentito dalla prima lettura) cominciano a chiedersi: "Ma i martiri, chi ha lottato per la giustizia, per il bene, coloro che nella vita sono stati sfortunati, può essere che a loro non sia data la possibilità di un'altra vita?" E pian piano si fa strada nella mentalità ebraica, che al tempo di Gesù è ormai largamente diffusa, l'idea che ci sia una speranza, soprattutto per quelli che in questa vita non hanno avuto una vita degna.
A Gesù - dunque - questi Sadducei presentano un'obiezione, sembra a noi quasi una barzelletta... una donna ha avuto sette mariti, muoiono tutti, ma non è una battuta, è il richiamo di una legge. Nella Bibbia è scritto: "Se uno sposa una donna e muore senza figli, il fratello deve sposare questa donna per fare un figlio per il fratello". Cosa significa? Significa che, secondo loro, se uno muore senza figli è perduto per sempre, non rimane niente: non credono nell'aldilà. Propongono queste difficoltà a Gesù!
Forse qualcuno di voi si aspetterebbe (io ormai non più) che Gesù dicesse: "Ora, con calma, vi spiego per bene quello che è l'aldilà, meglio di come ha fatto Dante: il Paradiso, l'inferno tutto quanto"... Vi siete accorti: non dice niente! Fa due affermazioni: una, che se ho capito qualche cosa, non riguarda l'aldilà ma l'aldiquà
Riguarda la nostra vita e riflettendo su questi sette mariti che hanno una sola moglie, dice a questi Sadducei: "Voi non capite, non riuscite a capire ... - ma lasciamoci coinvolgere da questi Sadducei, perché anche noi qualche volta non riusciamo a capire - che ci può essere un amore libero". Il nostro amore è fatto spesso di possesso delle cose, delle persone. I genitori pensano di possedere i figli, che siano come vogliono loro. Il marito pensa di possedere la moglie e la moglie il marito... Voi conoscete le tragedie che quasi ogni giorno la televisione ci pone davanti... Quando un uomo - più raramente una donna perché gli uomini sono più aggressivi per natura - perde la persona che ritiene di possedere, la uccide e arriva ad uccidere anche i figli.
Ecco - Gesù sembra dirci: "L'amore è amore solo se è libero e se lascia libertà. Dovete lasciare libertà ai figli. Dovete non tentare di possedere le cose, perché le cose sono per la fraternità, per la condivisione. Dovete voi genitori fare molta attenzione a non voler possedere i figli. I figli non sono vostri, sono di Dio, devono andare per la loro strada. Ogni uomo prima di essere vostro è di Dio, anche un amico... l'amore o è libero o non è vero amore!" Fin qui riusciamo a capire.
Poi Gesù fa un'altra affermazione: "Il Dio in cui crediamo non è il Dio dei morti, ma dei vivi".
Cosa significa? Abramo Isacco Giacobbe... Noi una cosa sappiamo con certezza, è la cosa più sicura della vita dell'uomo: tutti siamo destinati a morire. Noi viviamo nel tempo e nello spazio e non riusciamo ad immaginare nulla al di fuori del tempo e dello spazio: questo è il nostro tempo, dell'oltre non sappiamo, non possiamo immaginare niente, non possiamo vedere niente. (Qualcuno ci racconta storie... Dante costruisce un poema meraviglioso, ogni tanto troviamo dei santoni che hanno le visioni… sciocchezze). Di fatto noi non possiamo... noi siamo spazio, tempo, materia, anni che scorrono... Non ci è possibile immaginare un mondo totalmente diverso.
Per alleggerirvi il discorso che è un po' pesante. Mia mamma quando aveva novantaquattro anni e si avvicinava ormai il suo tempo di concludere la vita (con tanta serenità per sua fortuna) diceva a una sua nipote giovane, forte, bella, impegnata nel lavoro... "Sai ho paura di morire" e la nipote: "Come, vai a Messa tutte le mattine, fai la Comunione tutti i giorni, come puoi aver paura... dov'è la fede?". "Sai, non è mai venuto nessuno dall'altra parte a dirci come si sta!". Nella semplicità di mia madre c'è tutta la nostra incapacità di capire, soltanto di immaginare ...
Allora qui viene in mente (almeno a me viene in mente) la frase di uno dei teologi del passato: "Credo quia absurdum". Credo perché è assurdo.
Al cristiano credo che resti soltanto l'affidamento di Gesù sulla croce: "Padre nelle tue mani affido la mia vita". Non so niente, non vedo niente, eppure credo, tento di credere, immagino di credere che tu sia il Dio della vita e non lasci cadere l'uomo nel nulla.
Qualcuno di noi ci crede, qualcuno non riesce a crederci, ma non vi preoccupate... è l'oltre. Per chi usa parole antiche: "è l'assurdo" Per chi non usa parole antiche: "La suprema speranza, che può dar senso alla vita dell'uomo".
Il Vangelo di oggi (secondo me) ci ricorda però: "Badate, l'importante è questa vita. Cercate qui di essere capaci di un amore libero. Non aspettate di là. Qui siate capaci di condividere, di rispettare chi vi sta accanto a cominciare dai figli, dai nipoti. Non vogliate possedere, l'amore non è possesso, l'amore è dono, è gratuità"
Non so se sono riuscito a spiegarmi almeno un po'. Vorrei aggiungervi qualche cosa... (oggi abbiate pazienza) Quando nella storia della Chiesa tutta l'attenzione si è messa nell'attesa del Paradiso, si è detto alla povera gente: "Tribolate, pazientate, non vi ribellate, perché avrete poi un premio in Paradiso. I soldi dateli a noi frati che preghiamo per voi. Facciamo uscire l'anima dei parenti dal Purgatorio (una delle invenzioni più strepitose che hanno saputo fare i frati è quella del purgatorio) Se hai un genitore, un nonno che sta a tribolare... dai un'offerta, e vedrai che quello viene liberato". Hanno costruito san Pietro con questi discorsi.
Una anziana signora quando ero un giovane prete, mi diceva: "Don Chè, ma po' esse che pure dall'altra parte contano i soldi?" Facciamo le persone serie: la fede (per quello che ho capito io) riguarda questo mondo. Riguarda la nostra capacità di volerci bene. Poi è un tuffo (quasi assurdo) nelle mani di Dio, altro non possiamo dire. Io avrei dovuto solo tacere. Ho parlato anche troppo. Voi siete pazienti.
Vi ringrazio e tentiamo di professare la fede.
"Quando sentirete parlare XXXIII DOMENICA del TEMPO ORDINARIO - 13 Novembre 2016
di guerre e di rivoluzioni Luca 21, 5-19
non vi terrorizzate…"
L'umanità ha spesso attraversato periodi di sgomento, di paura, di perdita della speranza nel futuro. Pensate a certe grandi tragedie dei tempi antichi: le invasioni dei barbari, la peste... tempi cupi in cui si diffondeva tra gente la paura, l'ansia, il timore della fine del mondo.
Il tempo di Gesù è simile. Ormai da qualche secolo (ne avete ascoltato l'eco nella prima lettura) non c'è più speranza per molti in Israele. Molti temono che su questa terra non ci sia più un modo di costruire la vita e - allora - perché a Israele non può mancare il senso della speranza, la mettono al di fuori della storia, aspettano il tempo della conclusione della storia, l'intervento di Dio, aspettano che Lui finalmente venga a distruggere il male, perché non se ne può più, perché all'uomo non è data più la possibilità di sperare, di costruire il mondo.
Si diffonde tra il popolo di Israele la paura, l'ansia... i discepoli fanno parte di questo mondo e, quando vedono il Tempio di Gerusalemme distrutto, sembra loro che tutto stia per finire.
Allora credo che pian piano abbiano ricordato le parole di Gesù. Lui per tutta l'esperienza che ha fatto con loro ha continuato a ripetere: "Non abbiate paura, credete nei vostri valori, nella giustizia nel bene, viveteli".
Tutti ricordate le parabole: quella del seminatore che sparge il suo seme... tutto sembra andare perduto, poi c'è la grande festa della mietitura. La parabola del"seme" che è piccolo come un granello di senape, ma poi diventa un albero. Ricordate la tempesta sul lago, tutto sembra finito, stanno per affogare, eppure Gesù si rivolge: "Perché avete paura, non avete ancora fede?"
Ecco, per Lui la fede è il coraggio della speranza, è il coraggio di credere: "Con la speranza salverete la vostra vita, potrete continuare a credere nei valori, a tentare di costruire il mondo, a vivere la passione per la vita e per il bene"
E aggiunge: "Fate attenzione perché verranno falsi profeti, quelli che vi diranno: "È qui" Oppure che vi diranno: "Il mondo sta per finire, è la fine di tutto". Non credeteci! Cercate dentro di voi i valori autentici. Cercate, per quanto vi riesce, di buttare il cuore al di là della paura. Quello che conta è quello che avete dentro. Quello che conta è la fede… c'è un invito nel Vangelo, (credo in tutte le pagine) a strappare la paura dal proprio cuore, a trovare il coraggio della speranza. Un coraggio difficile.
I primi cristiani lo sentono perché (come avete ascoltato) patiscono anche la persecuzione, sono traditi, incarcerati - eppure - continuano a credere nella giustizia e nel bene. Continuano a credere nel futuro.
Ora - vedete - (se capisco qualcosa) a noi è dato di vivere in questo tempo un momento simile: la nostra Italia... ma il mondo intero sembra preso dall'ansia, dalla paura della fine.
Ci sono anche scienziati che dicono: "Ormai è irreversibile il degrado del mondo". Mi capitava di ascoltare qualche giorno fa uno scienziato che diceva: "Ormai l'umanità ha superato la soglia di non ritorno, non c'è più niente da fare"
Sentiamo parlare dei ghiacci che si sciolgono, delle grandi carestie, dei cambiamenti climatici... sembra che tutto stia per finire, che la storia del mondo non abbia più speranza.
Ma c'è qualcosa ancora di più drammatico... Ai nostri giovani - spesso - manca il futuro, non hanno più fiducia nelle istituzioni, nello Stato, nella politica, nella possibilità del lavoro; cercano di vivere il presente, magari stordendosi con il vino o peggio. Manca la speranza, manca il coraggio di andare avanti.
Ora, chiunque tenta di essere credente e fedele al Vangelo deve essere un testimone di speranza… molti, qui, abbiamo i capelli bianchi ricordiamoci... quando eravamo ragazzi, l'Italia era distrutta, sembrava non esserci niente, eppure, i nostri padri con coraggio, con tenacia hanno ricostruito meglio di prima. A me e a tanti come me hanno messo dentro la voglia di futuro, il coraggio di sperare, di ricostruire tutto... avendo fiducia gli uni negli altri, cercando di camminare insieme, di costruire un mondo insieme.
Ricordatevi e ricordatelo: al tempo di Gesù, nel bacino del Mediterraneo, i due terzi degli uomini erano schiavi, non avevano diritti... oggi ancora abbiamo la schiavitù di fatto, ma almeno in teoria non c'è più, la maggior parte di noi vive nella libertà e perché allora la paura?
Poi un'altra cosa che questa pagina del Vangelo ci ricorda: quando vengono i momenti di crisi, vengono fuori i "tromboni", coloro che si approfittano della paura della gente, che la sfruttano, che cercano di conquistare il potere cavalcando la mancanza di speranza e dicendo: "Sono io... io che vi ridò il futuro". Succede qui in Italia, nel mondo ed è una cosa drammatica, perché la gente diventa "massa" incapace di pensiero autonomo e libero, non condizionato dalla paura e dalle emozioni del momento e seguono "incantatori" e non hanno la capacità di rendersi conto che è solo la paura che li spinge a seguire certe strade, ad arrendersi a certi personaggi.
Se vogliamo essere cristiani, ricordiamocelo! Penso che Gesù sia venuto forse solo per questo, per darci coraggio e speranza, lo ripete quasi in ogni pagina del Vangelo, aprendo gli occhi, dando alle persone la capacità di camminare, di rialzarsi. Quando c'è un uomo che ha il cuore pesante, che ha sbagliato... lo prende per mano: "Coraggio, cammina ancora".
La speranza, la voglia di futuro, la capacità di crederci: di questo dobbiamo essere testimoni e quando veniamo in chiesa ci nutriamo di Lui, per camminare ancora, per conservare la speranza, per non rassegnarci a questo mondo, per non diventare "massa", per non applaudire senza capire perchè... cercando di essere responsabili della nostra vita e in questo momento soprattutto responsabili dei figli e dei nipoti, di quelli che verranno. Gli stiamo preparando un mondo angoscioso. Hanno diritto a vivere in un mondo in cui c'è la passione per il futuro, c'è speranza e - allora - fatevi testimoni di speranza, capaci di puntare il dito contro chi della disperazione, della sfiducia si approfitta. Non è giusto!
Chi vuol essere utile a questo mondo deve essere un testimone di speranza, deve dare coraggio a chi gli sta intorno: tutti... a tutti i livelli, dai capi di Stato, all'ultimo alunno di una scuola, perché anche i ragazzi devono cercare di essere testimoni di speranza, di credere nel futuro, di non rassegnarsi: per questo Gesù è venuto, per questo si fa Pane.
Lui ci aiuti.
Sopra di lui c'era una scritta: CRISTO RE DELL'UNIVERSO - 20 Novembre 2016
"Costui è il re dei Giudei" Luca 23, 35-43
Celebriamo oggi la festa di Cristo Re. È una festa relativamente recente, non ha ancora cento anni. È il tentativo della Chiesa, che durava da qualche anno, di proclamare la signoria di Gesù sull'universo intero. Ed è curioso che abbiano istituito la festa di Cristo Re quando i re - ormai - cominciavano a sparire dalla terra, ed è ancora più interessante il fatto che questa festa è l'ultimo tentativo (o uno degli ultimi) della Chiesa di riaffermare il potere di Cristo e - quindi - della Chiesa sul mondo intero. In un mondo che ormai diventava pluralista, in cui i credenti in Cristo diminuivano sempre di più. In un mondo in cui cominciavano ad affermarsi i grandi totalitarismi del secolo scorso, la Chiesa cerca di reagire riaffermando il potere Cristo su tutto l'universo e - quindi - anche il potere dei rappresentanti del Cristo.
Però (come avete ascoltato) quando si trovano a costruire una liturgia, si ritrovano davanti delle pagine in cui di tutto si parla meno che di potere. Gesù è il Re, ma abbiamo letto che è un Re inchiodato sulla croce e la sua corona è una corona di spine: tutto il contrario del potere perché durante la vita Gesù non lo ha cercato mai!
La sua scelta è quella di condividere la strada degli uomini, dei più deboli per camminare con loro, per condividere il loro sogno di una vita più giusta. La scelta di Gesù è quella non di essere servito, ma di servire. Si è chinato a lavare i piedi dei suoi, ha inventato di farsi Pane: il servizio, la condivisione...
Ha proclamato "beati" i pacifici, i miti, gli operatori di pace, quelli che hanno fame e sete di giustizia... Dunque, noi oggi proclamiamo Gesù Re dell'universo, ma celebriamo Colui che il regnare, il potere, la gloria non li ha cercati affatto.
C'è un'altra cosa, forse ancora più inquietante. In questa settimana leggevamo le "beatitudini" nel Vangelo di Matteo e un signore diceva: "Ma in fondo - Gesù - non ha cambiato il mondo".
Ci sono altri testi del Vangelo che dicono: "È venuto e ha liberato il mondo dal peccato" Lo avete ascoltato anche nella lettera di Paolo: "Avendo pacificato con il sangue della sua croce le cose che stanno sulla terra…" Avete visto la televisione ieri e oggi... è pacificata la terra? È liberato il mondo dal peccato? E questo signore giustamente diceva: "Anche Gesù è un fallito, anche Lui non è riuscito ad ottenere quello per cui è vissuto".
Vedete, noi continuiamo a pensare che Dio, che si manifesta in Gesù di Nazareth, sia onnipotente. Colui che è capace di cambiare con un tocco di bacchetta magica la storia del mondo. Colui che è capace di portare pace, giustizia, di liberare il mondo dal male... ma è un'illusione!
Dio che si manifesta in Gesù di Nazareth non è onnipotente, non ha bacchette magiche in mano... è un Dio che è venuto a condividere la nostra vita e ha accettato di essere un piccolo "seme" perduto nei solchi della storia, come tanti altri dopo di Lui. Gente che ha cercato di vivere, di testimoniare e che quando sono morti tutto sembrava perduto.
Ricordate le sue parabole… Gesù era cosciente di questo. "Il Regno di Dio è come un seme…. se non muore non porta frutto". Gesù è morto senza poter vedere i frutti.
Se - però - guardate la storia del mondo, non quella scritta sui libri di storia che parla solo del male, se ricordate la vostra esperienza (spero che sia in parte come la mia, che sono stato particolarmente fortunato) potete ricordare tante persone in cui i "semi" di Gesù hanno portato frutto.
Abbiamo incontrato tutti (penso) gente che aveva fame e sete di giustizia: gente mite, misericordiosa, pacifica; incapace di cambiare il mondo, ma erano persone capaci di condividere la vita, di fare un sorriso, una carezza, di rendere la vita un po' migliore con chi gli stava accanto.
Non aspettiamoci, non sogniamo un Dio potente che cambi la storia del mondo, la storia del mondo è affidata a noi. È l'uomo che deve far propri i sogni di Gesù. Siamo noi che dobbiamo avere o tentare di avere "fame e sete di giustizia". Siamo noi che dobbiamo tentare di essere miti, misericordiosi, pacifici, operatori di pace e che possiamo tentare di portare nel mondo un po' dei sogni e dei valori di Gesù.
Gesù non è un mago, non è il Dio onnipotente di cui ci hanno parlato quando eravamo bambini. Gesù è solo un seme perduto nei solchi della storia del mondo. È il coraggio del cristiano che può accogliere i sogni del Suo cuore, farli propri e camminare tentando di viverli giorno per giorno.
Qualche volta ci si riesce, qualche volta no, ma non ci stanchiamo di cercare, di camminare... ecco in che senso possiamo dire che Gesù è il Signore se non del mondo, almeno del nostro cuore o almeno dovremmo tentare di farlo Signore del nostro cuore, non perché ci tolga la libertà, ma perché ci dia quella vera, il coraggio di scegliere la giustizia, la pace, la misericordia, la condivisione, l'amore.
Il Signore ci aiuti.