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OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 1989-1990 - Vangelo di Matteo
INDICE
1989
Ancora una volta ci ritroviamo insieme per cominciare il nostro cammino d'Avvento. Ogni anno proviamo a rimetterci in cammino, a vivere la nostra attesa di Gesù. Noi siamo qui, fratelli, tutti quanti insieme, perché crediamo che Gesù è già venuto: ha vissuto in mezzo a noi, con tutta la passione del suo cuore, la pace, la libertà, il bene; da uomo che ha saputo mettersi al servizio degli altri, che ha saputo prendere sul serio il mondo!
E ci ha promesso che Lui ritornerà e il mondo sarà come Lui lo vuole. Allora tutta la storia è un lungo cammino tra il "già" di Gesù nato a Betlemme e il "non ancora" di Gesù che verrà. La vita del cristiano - avete sentito con quanta forza l'apostolo Paolo lo dice ai suoi cristiani - sarà sempre un aspettare il Signore, il cercare di costruire il Regno che Lui ci ha annunciato.
Ecco perché ogni anno ci rimettiamo in cammino e Dio ci invita con le parole dell'apostolo: "È ora di svegliarci dal sonno, perché viene il Signore, altrimenti rischiamo di fare come gli uomini al tempo del diluvio che non si accorgevano di nulla, vivevano come imbambolati perché non aspettavano più niente".
Vedete i ragazzi hanno tentato di esprimere in questo cartello i loro problemi, i problemi di tutti noi, con ritagli di giornali, con i loro disegni: ci sono gli Zingari arrivati ad Ostia sollevando un putiferio, i problemi dei barboni, i problemi dei malati, l'ospedale, il sangue che non c'è mai, la loro scuola che rischia di crollare, il problema del razzismo (qualche papà che dice: con lui non ci giocare perché è povero, è negro). E i problemi delle loro famiglie, il problema del vivere insieme. I catechisti li invitano a rifletterci. Ma non sono riflessioni solo per bambini, anche noi rischiamo di guardare senza vedere. Passiamo in mezzo ai problemi senza accorgerci di nulla.
Se noi crediamo in Gesù, se aspettiamo il Natale, se crediamo che quello che Dio ha fatto duemila anni fa è la "verità" del mondo, allora è veramente tempo di svegliarci.
Qualcuno dirà: era anche Domenica scorsa, anche un mese fa, il tempo di svegliarci: certamente! Ma ci sono nella vita della Chiesa dei tempi forti in cui la Parola di Dio ci invita e ci scuote un po' di più. Tutti noi sentiamo il Natale, tutti noi sentiamo che si avvicina la bella atmosfera del Natale: le luci, i doni, la festa. Ma che non sia soltanto la commozione di una notte, il parlare di pace, anche se con convinzione, per un solo momento.
Occorre che ci svegliamo, occorre aprire gli occhi, guardarci intorno per vedere cosa possiamo fare per preparare la nascita di Gesù. Perché quella notte non sia soltanto il breve sentimento del momento, ma qualche cosa che abbiamo costruito, voluto, sentito dal profondo del cuore, con i gesti, magari piccoli, che riusciamo a fare in questo periodo. Ecco, il tempo dell'Avvento è il tempo di ricordarci che noi sempre (ma in questo mese dobbiamo fare un po' di più se ci riesce) siamo gente che crede in Gesù, che aspetta il Suo ritorno, che tenta di credere in Dio non solo a parole. Ciascuno di noi pensi seriamente a cosa può fare per preparare la nascita di Gesù.
Cosa posso fare per rendere più concreta intorno a me la pace, la giustizia, il perdono, l'attenzione. Forse c'è qualcuno da cui mi posso far perdonare, con cui fare pace. Forse c'è una situazione sul posto di lavoro in casa, nella famiglia, tra gli amici che posso rimettere a posto. Forse c'è uno sforzo di maggiore attenzione verso le cose che mi succedono intorno; forse devo ripensare al mio atteggiamento verso gli zingari, gli stranieri. Forse devo ripensare alla luce di Gesù.
Un momento di silenzio per iniziare la nostra riflessione (poi ci ripenseremo anche domani e dopo domani) per guardarci intorno e vedere dove c'è bisogno di una nostra mano perché Gesù nasca ancora tra noi.
1986
Ci capita in questi giorni di ascoltare parole più simili a quelle della luminosa visione di Isaia (le lance trasformate in vomeri, le spade in aratri) che alle parole cupe e minacciose del Vangelo di Matteo, parole scritte dentro la paura del mondo.
Viviamo un momento in cui sentiamo soltanto belle parole, magari con un po' di esagerazione, si parla di incontri storici, di eventi che cambiano la storia, di svolte radicali, di orizzonti di pace... ascoltiamo tutto questo con un vago senso di fastidio perché quando le parole diventano troppo grosse rischiano poi di creare delusione e sconforto. Eppure penso sia bene rallegrarci perché effettivamente qualcosa sembra muoversi nell'orizzonte della storia, sembrano prepararsi tempi in cui sarà possibile vivere con un po' meno di paura e di ansia per il futuro, sembra che si aprano spiragli di pace...
Vorrei però attirare la vostra attenzione su due idee che desidero consegnare a me stesso e a voi in questo primo giorno di Avvento, perché ci accompagnino nel cammino verso il Natale.
Primo discorso: per noi cristiani c'è una certezza che è al di là della paura, al di là dell'euforia: la certezza di Gesù, la certezza della sua venuta, del suo Regno.
Quando tentano di metterci paura, alla radio, alla televisione - capita spesso che lo facciano - noi non possiamo avere paura, perché abbiamo Gesù all'orizzonte della nostra storia. Ma anche quando sembra, come in questi giorni, che intorno a noi ci sia l'euforia della pace, noi sappiamo che non possiamo fermarci finché non torna Gesù. Noi andiamo cercando la Sua pace, una pace che va al di là dei potentati di questo mondo, che non è fatta solo della distruzione delle armi; è la pace vera nella giustizia, fatta dalla presenza di Gesù in mezzo a noi, fatta dalla pienezza della vita di Dio. La nostra fede dovrebbe essere, al di là della paura e dell'euforia, radicata nella speranza, nella certezza del ritorno di Gesù: verso di Lui tentiamo di camminare, la sua pace cerchiamo di costruire.
L'altra idea che volevo dirvi stasera è questa: quando sentiamo grandi parole rischiamo di pensare che gli altri, i potenti, debbano fare la pace, costruire un mondo nuovo, rischiamo di dimenticare che la pace e la speranza non la fanno il Papa e Gorbaciov, ma la facciamo noi, ciascuno nel proprio cuore, con la gente che ha intorno, nei piccoli gesti della vita di ogni giorno: è qui che ciascuno di noi ha il compito di costruire la pace, di preparare Il Regno del Signore che viene.
Allora vorrei invitare, prima di tutto me stesso, ma anche voi che siete qui, a preparare, in questo tempo di Avvento, un Natale migliore, un Natale più bello, fatto non soltanto di grandi parole, ma di gesti concreti, di tenerezza, di accoglienza. Ciascuno si guardi intorno e si domandi (in casa, con i ragazzi, con gli amici, con la gente del posto dove lavoriamo): cosa posso fare per mettere in questo mondo un po' più di speranza, un po' più di giustizia, un po' più di tenerezza e di attenzione verso gli altri. Cosa posso fare io perché in Signore venga nel prossimo Natale, nell'ambiente in cui vivo, in casa, nel posto dove lavoro, tra la mia gente: perché a ciascuno di noi, non soltanto ai grandi di questa terra, a coloro che riempiono con la loro immagine lo schermo della televisione, a ciascuno di noi il Signore affida il compito di costruire la pace, il compito di portare un pizzico di speranza intorno a noi.
Lui ci aiuti a farlo.
1983
Avvento, attesa del Signore Gesù, tempo per prepararci al Natale: ecco uno dei segni della nostra fede. Perché la fede ha bisogno di segni che la esprimano. Abbiamo detto che la fede è un rapporto personale di amore e di fiducia tra noi e Gesù, tra noi e il Padre e lo Spirito. Come ogni rapporto personale intimo e profondo (si pensi all'amore umano) anche la fede ha bisogno per esprimersi di segni e di parole. Alcuni molto personali e diversi per ciascuno di noi, altri invece comuni, anzi comunitari: perché davanti a Dio non siamo soli, ma siamo la sua comunità, la famiglia dei suoi figli. Ed è proprio il tentativo di essere una comunità, il ritrovarci, l'essere insieme, il primo segno della nostra fede: noi crediamo che Gesù ci raduna per essere il popolo di Dio, la famiglia del Padre. Ed in questa famiglia noi celebriamo, attraverso i Segni che Gesù ci ha lasciato, i doni del Padre: principalmente il Battesimo e l'Eucarestia, Segno l'uno dell'amore di Dio che, in Gesù, ci fa suoi figli, segno della nostra scelta di seguire Gesù come discepoli. Segno l’Eucarestia del dono di Gesù che per noi si fa cibo e ci raduna in unità. Sono i Segni fondamentali: gli altri sacramenti sottolineano aspetti e momenti particolarmente importanti della vita cristiana.
Un altro segno della fede è la "professione" di fede: le parole cioè con cui cerchiamo di esprimere l'inesprimibile: l'amore di Dio per noi, le grandi cose che Lui ha fatte per noi, la nostra fiducia in Lui. Ogni generazione di cristiani, anche attraverso il Papa, i vescovi, i concili, ha cercato di ridire la Sua fede. È anche il nostro compito: cercare di ridire, con parole che la gente del nostro tempo possa comprendere, le realtà fondamentali della nostra fede. Cercando anche di distinguere ciò che è marginale e su cui Si possono avere tante opinioni diverse, da ciò che è centrale e che dovrebbe vederci tutti uniti.
1989
Quando eravamo più giovani, lo dico per chi ha la mia età o forse qualcosa in più, il tono delle prediche e di chi ci guidava, era spesso simile a quello di Giovanni il Battista, vi ricordate, ci minacciavano spesso il castigo di Dio, la paura dell'inferno ritornava spesso nella predicazione... pian piano, crescendo ed entrando sempre più in contatto con il Vangelo e con Gesù, queste parole severe son venute meno, non soltanto sulla mia bocca, anche su quella di molti predicatori. I nostri catechisti pensano che non ci si può avvicinare a Dio, con il timore, sotto la paura del castigo.
È giusto questo, ma corriamo il rischio di sostituire alle parole severe, alle minacce di castigo di un tempo, il nostro lamento. Viviamo in un tempo in cui tutti predicano, basta aprire la radio o la televisione: i giornalisti, più che dare notizie fanno prediche (ci rubano il mestiere, dicevo qualche giorno fa con un amico sacerdote), proprio ieri sera mi capitava di sentire la solita predica e, come spesso accade, più che una predica era un lamento, un lamento su tutte le cose che non vanno in Italia, la disonestà diffusa, il governo che non funziona, il traffico impossibile ecc. Sempre di più tutti ci lamentiamo delle cose che non vanno, parliamo di quello che gli altri non fanno, ci lamentiamo del prossimo...
Mi son detto domani faccio una predica diversa dirò alla gente: guardate io non posso dirvi di cambiare, di convertirvi, però non buttate carta per terra, qui in chiesa. Sapeste quanti pezzi di carta ho raccolto stamattina, fazzolettini, carte di caramelle, scatolette... insomma non sta bene, non buttate carta per terra, almeno in Chiesa.
Poi ho pensato non fosse giusto parlare così: la maggior parte della gente non butta carta per terra, è gente bene educata, e poi faccio anch'io come il giornalista di ieri sera, mi lamento, critico gli altri, dico i peccati che gli altri fanno e non i miei... eppure quelle carte qualcuno le ha buttate e a me è toccato raccoglierle...
Basta, la pianto qui.
Ciascuno di noi si dica per un momento: smettiamo di lamentarci, finiamola di dire che tutto va male. Viviamo in uno dei paesi più belli, più ricchi, più felici del mondo... farlo un po' più bello dipende anche da noi dai nostri gesti. Se ciascuno facesse una piccola cosa, magari il non buttare carte per terra invece di lamentarsi, potremmo tutti vivere meglio. Convertirsi vuol dire anche questo: fare qualcosa, qualcosa di piccolo magari e di concreto perché il mondo sia più bello.
Il Signore ci aiuti a preparare il Natale che viene.
1986
Nel nostro cammino verso il Natale ci viene, oggi, incontro un profeta severo: Giovanni il Battista; è un profeta ruvido, quasi minaccioso, si fa qualche fatica a metterlo accanto a Gesù, tanto la sua voce è forte, sembra una minaccia. Pure, vedete, la Chiesa ci mette davanti le sue dure parole, non per spaventarci - non avrebbe nessun senso - ma per farci prendere sul serio il nostro cammino di Avvento.
Giovanni ci avverte: "Non basta essere qui". In quel tempo dicevano: "noi siamo figli di Abramo, noi apparteniamo alla stirpe eletta!" Noi corriamo il rischio di sentirci sicuri dicendo: "noi andiamo a Messa ogni domenica, noi facciamo la Comunione..." Non basta! L'albero si giudica non dal fatto che sia o no piantato nella casa del Signore.
Vedete se Gesù mi domandasse "Checco mostrami i tuoi frutti, cosa hai nella mano? Il tuo albero cosa produce? Non potrei mica dirgli: "Ma io dico la Messa ogni giorno, io faccio la Comunione!" Questi sono suoi doni che dovrebbero spingermi a portare i frutti della carità e dell'attenzione verso gli altri, della pazienza e dell'amore della generosità e del bene.
Cosa c'è nelle mie mani...? Ecco perché io, e anche voi penso, dobbiamo ascoltare le parole di Giovanni, l'invito a convertirci a preparare almeno un po' le strade del Signore.
Non vorrei farvela tanto lunga, vi proporrei soltanto di fermarci un momentino a dare uno sguardo alla nostra vita: a metterci davanti alla nostra famiglia alla gente che ci sta intorno, agli amici per domandarci: "io cosa ho portato di bene? Fino a che punto nella mia vita c'è l'onestà, la sincerità, il coraggio del bene, dell'amore? Non mi sono anch'io seduto, non ho detto a me stesso: tanto il Signore mi vuole bene, posso fare la Comunione ogni domenica? Qual è lo spazio del mio peccato? Cosa sciupa la mia vita, cosa intristisce la vita di chi mi sta accanto? C'è qualcosa che posso cambiare? Come posso portare frutti di generosità, di pazienza di attenzione verso gli altri?
Qualche istante di silenzio perché ciascuno di noi possa ascoltare nel profondo l'invito di Giovanni a convertirci, a portare frutti di bene. Poi chiederemo al Signore di perdonarci e di convertici perché l'albero della nostra vita sia fecondo.
1983
La sofferenza, il dolore, il male: lo scandalo, l'assurdo della nostra vita, che da sempre, provoca il grido dell'uomo verso Dio e anche contro Dio. Se Dio è buono e onnipotente, perché tanto male? Certo, una parte della sofferenza è dovuta alla malvagità, alla violenza, all'imprudenza, all'incuria degli uomini: guerre, genocidi, violenze, inquinamento dell'aria e del suolo.. però c'è anche tanto male, tanta sofferenza di cui l'uomo non è responsabile. E poi la sofferenza dei bambini.
Noi, come gli uomini di tutti i tempi, cerchiamo una spiegazione, un "senso" a tanto dolore; a volte, come Giobbe, interroghiamo Dio, pensando, un po' ingenuamente di sapere ciò che Dio potrebbe fare, in che modo è buono e onnipotente...
Quando tentiamo di trovare una risposta nel Vangelo, a prima vista, restiamo delusi: Gesù non da alcuna spiegazione del perché del dolore (solo in un paio di occasioni rimprovera chi crede di vedere nella disgrazia un castigo per il peccato). Ma se leggiamo attentamente, il vangelo è un annuncio sorprendente: Dio viene con noi a combattere il male.
All'uomo che grida verso Dio, Gesù, accanto a lui, può dire: "eccomi, sono accanto a te, con te a soffrire e cercare di vincere il male". Non è una risposta, non è una spiegazione, ma la scelta d'amore di Dio che viene a condividere la vita con chi soffre. Aspettare il Natale significa aspettare Dio che si fa uno di noi, che viene a salvare la nostra vita: perché tutto il dolore del mondo non sia il dolore della morte e del nulla, ma quello del parto che genera un mondo nuovo.
1989
Adamo ed Eva, sono il simbolo degli uomini e non degli uomini di tanto tempo fa, sono il simbolo mio ed anche vostro. In ciascuno di noi c'è qualcosa di Adamo e di Eva. Vedete, nel racconto simbolico della Genesi, Adamo ed Eva vengono messi nel mondo, in questo nostro grande, splendido, meraviglioso mondo, e loro non perdono troppo tempo a guardarsi intorno, a contemplare, a ringraziare, a godere di quello che c'è. Cominciano subito a domandarsi se possono fare un passo avanti, se possono avere di più, se possono diventare più importanti: vogliono diventare come Dio. Pensano subito ad avanzare diritti, a sfruttare il mondo, a come essere il centro di tutto, vogliono che tutto, uomini e cose, ruotino intorno a loro, e la conseguenza, l'abbiamo appena ascoltato, è la paura, la vergogna, il mettersi l'uno contro l'altro. Certo, perché quando uno vuol farsi il centro del mondo, l'altro diventa un nemico, uno che può togliermi quel posto, come Dio ci può essere solo Uno.
Maria è l'opposto, Lei di fronte alla situazione che le capita si stupisce, ha gli occhi sgranati, cerca di capire, cerca di guardare, si fa disponibile, accoglie il progetto che Dio ha per lei. Prova a dire la sua povertà, la sua impotenza, vorrebbe farsi da parte, vuole non mettersi in mezzo.
E poi canta, canta le lodi del Signore, la bellezza dello sguardo di Dio che si è posato su di lei, canta la bellezza della sua missione.
A Dio lei non ha qualcosa da chiedere, non ha diritti da accampare, non vuole mettersi al centro, non vuole diventare "come Dio". Si fa accogliente, disponibile, si fa serva: "sono la serva del Signore, si faccia di me quello che Lui vuole": Tende le mani a dire: "se c'è bisogno di me, son qua" . E quando si rende conto che proprio questo suo essere "piccola", povera, la fa diventare la madre di Dio, dice il suo grazie al Signore: "l'anima mia magnifica il Signore..."
È quello che siamo invitati a fare anche noi: lasciamo da parte, se ci riesce, in questo tempo di Avvento lo spirito di Adamo e di Eva, lo spirito di metterci sempre davanti all'altro, di domandarci a cosa ci serve chi ci sta accanto, il mettersi al centro, il volere l'attenzione di tutti. Facciamoci prendere per mano da Maria impariamo da Lei a sgranare gli occhi, sul mondo, sulla gente che vive con noi, per dire il nostro grazie, per tendere anche noi le mani per imparare a dire: "ecco se c'è bisogno di qualcosa, sono qui".
Vedete Maria è grande perché non ha cercato di "essere come Dio" non ha cercato di essere la Madre di Dio, Lei ha solo detto: "Signore, eccomi, sono pronta, sono la Tua serva..."
Lei è la Madre dei credenti perché ha saputo dire il suo "sì".
Può insegnare anche a noi, nel nostro cammino verso il Natale, a contemplare, a ringraziare, a dire con semplicità il nostro "sì". Allora potremo anche noi far nascere Gesù nel nostro cuore e accanto a noi.
La Madonna ci aiuti a farlo.
1989
Dire una parola dopo letture come quelle che abbiamo ascoltato stasera, mi pesa. Penso che voi avreste diritto, almeno un po', ad un profeta come Isaia, un profeta della gioia, della speranza. Se c'è qualcosa di difficile da predicare è proprio la gioia. Ora capisco perché per troppe persone il Cristianesimo è diventato la religione del pessimismo, del sacrificio, della rassegnazione, della sofferenza: è difficile annunciare la gioia, è difficile predicare la speranza.
Ci vuole veramente la stoffa di un profeta come Isaia che in un momento difficile della storia del suo popolo ha saputo scrivere la pagina che abbiamo letto stasera. Questa pagina - secondo me una delle più belle della Bibbia - è stata scritta in un momento terribile per Israele, quando il popolo era in esilio in Babilonia, disperso, senza più né terra, né stato, né tempio. Quando tra la gente si diffondeva lo scetticismo, il cinismo, la sfiducia nel domani, quando c'era chi rinunciava a farsi chiamare "ebreo", tanta era la delusione e lo scoraggiamento; si è alzato il grido del profeta: "Coraggio, dite agli smarriti di cuore, che il Signore viene. Dite a chi ha le ginocchia vacillanti e le braccia stanche: coraggio, la steppa diventerà un giardino, il deserto fiorirà".
Anche a noi è dato di vivere un tempo in cui, nel cuore di molti, si fa spazio il cinismo, lo scoraggiamento, la sfiducia. Siamo delusi dal mondo, e spesso anche da noi stessi: forse abbiamo provato anche in questo tempo di Avvento a cambiare qualcosa, ma non ci siamo in gran parte riusciti i nostri difetti restano gli stessi, il mondo intorno a noi non cambia: allora è difficile parlare di speranza. È difficile dire: "Coraggio, non aver paura, viene Gesù, viene la liberazione, viene la vita!"
Chi sa se può consolarci Giovanni il Battista: Gesù lo proclama il più importante dei profeti, il più grande dei nati di donna eppure anche Lui ha attraversato momenti di sfiducia e delusione. Ricordate, lo abbiamo letto Domenica scorsa - Giovanni aspettava il giudice, colui che viene a fare la mietitura, che viene a ristabilire la giustizia, e quando finisce in prigione prova anche Lui un momento di delusione e sconforto. Sperimenta sulla sua pelle il fallimento del suo annunzio, il crollo delle sue speranze. Manda qualcuno dei suoi discepoli da Gesù: "Sei tu quello che deve venire o dobbiamo aspettare un altro? Dov'è il giudizio, dov'è la giustizia? Dove il trionfo del bene? Sembrava che tutto dovesse cambiare e invece è tutto come prima".
Gesù riprende l'antica parola di Isaia (anche Lui l'avrà meditata tante volte). "Se qualche cieco, comincia a vedere, se qualche zoppo cammina, se ai poveri è annunciata la lieta novella... beato chi non si scandalizza..."
La speranza di Gesù è che Giovanni, nel buio della sua prigione, capisca che non è ancora arrivato il tempo della mietitura, ora è il tempo della semina e della fedeltà, il tempo di rinfrancare il cuore vacillante, di accorgersi del piccoli segni, di guardare lontano.
Anche noi aspettiamo chissà che da Gesù, sentiamo a volte crescere dentro di noi la delusione e lo scoraggiamento. Lui ci parla della semina, dei piccoli segni da scoprire, del coraggio della speranza.
Coraggio, allora, guardiamoci intorno, la buona novella è annunziata a povera gente come noi, qualcuno comincia a vedere, qualcuno muove qualche timido passo, qualcuno sente nel cuore una speranza nuova... sono i segni del Signore che viene. È Lui la radice della nostra speranza, della nostra gioia.
1986
Tante volte ho sentito nella mia vita di prete, qualcuno che mi chiedeva se avere dei dubbi significasse non credere. Troppe volte ho sentito delle persone preoccupate dire: "Don Checco, attraverso un periodo in cui ho tanti dubbi, non riesco quasi a vedere niente, sarà che ho perso la fede?"
E il dubbio - lo abbiamo sperimentato in molti - è questo: "Forse Dio si è dimenticato di me, ha distolto da me il suo sguardo, forse ce l'ha con me". Tante volte Dio ci sembra lontano, assente dalla nostra vita: ci sembra allora di non avere fede.
Anche Giovanni, "il più grande tra i nati di donna" attraversa un momento di dubbio e manda a chiedere a Gesù: "Sei tu quello che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?"
Quante volte ci è sembrato di dover aspettare un altro, quante volte abbiamo avuto la tentazione di cercare altrove un aiuto, una speranza che non sembrava venire da Dio. Quante volte Dio sembrava assente, sordo e muto.
Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci aiuta a capire cosa vuol dire aspettare il Signore. A volte noi ce lo aspettiamo, come Giovanni, secondo una nostra immagine, un nostro schema. Pensiamo di sapere cosa Dio può fare e non fare, come deve intervenire nella nostra storia e non riusciamo più a riconoscere i segni della sua presenza anche nella nostra vita.
Se siamo qui riuniti nella preghiera è perché crediamo, allora riguardiamo indietro nella vita: quante volte eravamo come ciechi e Dio ha aperto i nostri occhi, ci ha fatto vedere uomini e cose con occhi diversi.
Quante volte le nostre orecchie erano come intontite da tante parole di violenza, di morte, di egoismo, di male e ci è arrivata una parola di speranza, quante volte Dio ha aperto i nostri orecchi. Quante volte eravamo come zoppi, incapaci di camminare e Lui, con il perdono, la misericordia, ci ha quasi preso per mano e ci ha rimesso in cammino. Quante volte ci sentivamo come morti, sfiniti e sfiduciati e Lo abbiamo sentito camminare accanto a noi...
Ecco i segni di Dio nella nostra vita, dentro di noi e accanto a noi: al di là delle tante immagini di violenza e di morte che ci riempiono gli occhi, vicino a noi, tante volte, la gente che sa fare il bene, sa donarci un gesto di tenerezza, sa tendere la mano, sa dire parole di pace: ecco i segni del Signore che viene, i segni della pace di Dio.
Guardiamo questi segni e continueremo ad aspettare Lui, a preparaci al Natale, a tentare di accoglierLo nella nostra vita. Il Signore viene, per prenderci per mano, viene ancora per noi, oggi, come ieri, come sempre, ci parla parole di pace, parole di vita. Ancora quest'anno sarà Natale, tenteremo di accogliere Gesù, di riconoscere i segni della sua presenza nella nostra vita.
Lui ci aiuti.
1983
Anche oggi, nelle parole del Profeta, abbiamo ascoltato un annuncio di speranza. Isaia ci invita ad attendere Dio e il compimento delle sue promesse.
Sempre dalla Fede scaturisce la speranza. Noi crediamo che non siamo soli nella nostra vita: Dio ci ha amati fino a donarci il suo Figlio Gesù. Egli ci ha portato il lieto annuncio del Regno di Dio che viene. Ne ha parlato come di una grande festa, di un futuro luminoso e sicuro; lo ha paragonato a un chicco di senapa che lentamente diventa un albero, al lievito che fa fermentare tutta la pasta, ad un campo in cui tanto seme sembra andare sprecato, tra le pietre o sotto le spine, ma che poi da frutto in abbondanza. E non solo ne ha parlato, ma ha cominciato a viverlo e attuarlo. Più di chiunque altro sulla terra è stato uomo di pace e di accoglienza, di tenerezza e di giustizia, di verità e di perdono, di coraggio e di amore totale. E Gesù è risorto.
Ecco: la nostra speranza non è il semplice ottimismo, l'illusione che "tanto tutto andrà bene", ma si basa sulla certezza dell'amore di Dio e sulla Risurrezione di Gesù. Noi viviamo, come i cristiani di ogni tempo, il "già" (già è venuto Gesù, già in Lui è iniziato il cammino del Regno...) e il "non ancora" (non si sono ancora compiute le promesse di Dio, il Regno non è ancora completamente realizzato, la nostra storia non è ancora arrivata alla misura di Gesù...) È allora il tempo della nostra collaborazione del nostro impegno per la paziente costruzione del Regno. Tempo di laboriosa attesa in cui con i fatti concreti della vita, possiamo mostrare di essere anche noi uomini di speranza, discepoli di Gesù che tentano di vivere ogni giorno l'accoglienza, il perdono, l'attenzione verso gli altri, il servizio, la libertà...
1989
Siamo alla vigilia di Natale, domani notte ci ritroveremo qui e sarà già Natale. Ci siamo preparati, avete tutti passato un po' di tempo a far spese, a comprare tante cose buone, le signore che hanno le mani d'oro, hanno preparato i manicaretti per il pranzo di Natale. Tutto è pronto, i cappelletti, i dolci speciali della nostra tradizione. Son pronti ormai anche i regali, per tutti, per i nipoti - qui ci sono molti nonni - non s'è badato a spese...
Viviamo in un tempo in cui tutti predicano, ormai lo fanno anche i giornalisti alla televisione, i preti lo fanno fin dal tempo di Nostro Signor Gesù Cristo e molti vi diranno che avete fatto male, che tutto questo spreco è sbagliato, che ci lasciamo prendere dal consumismo... non date retta: la festa senza un pizzico di follia non è festa, senza un po' di superfluo, senza i regali, i dolci, i cappelletti... Natale non è Natale.
E noi abbiamo fatto anche di più: qualche gesto di riconciliazione, qualche nuora è riuscita a fare un bel sorriso alla suocera, ci siamo ricordati dei più poveri, ci prepariamo a rivivere la gioia di Natale, sentiamo nel cuore desideri di pace, ci sentiamo tutti un pochino più buoni.
Tutte cose molto buone... però (c'è sempre un "però" quando parlano i preti) c'è qualcosa di più importante, qualcosa che io ho il compito di ricordarvi: ora dobbiamo prepararci ad accogliere Gesù: il Natale è Lui, il Natale è Dio che ci viene incontro, che viene a condividere la nostra vita. È giusto far festa, è giusto scambiarci i regali, è bello avere buoni sentimenti nel cuore, ma Natale è soprattutto accogliere Dio, fargli spazio, lasciarci sorprendere da Lui. Natale è sentirci amati da Dio, è sentire che nella nostra ricerca, nel nostro sforzo di essere uomini, c'è la certezza, la ricchezza, la tenerezza dell'amore di Gesù.
Noi abbiamo la fortuna di essere qui, la fortuna di credere in Dio e nel suo amore, invochiamo allora lo Spirito che ci dia lo stupore, la meraviglia, la capacità di aprire gli occhi, di farci bambini, la gioia di riconoscere Gesù e di accoglierlo nella nostra vita
Natale è Gesù, fermiamoci un momento, spalanchiamo gli occhi, gridiamo la gioia di Dio che nasce per noi, che viene a condividere la nostra vita.
1986
In quest'ultima domenica d'Avvento la figura che ci viene incontro è Giuseppe. A molti di voi sarà capitato di sorridere ad una barzelletta su Giuseppe, sulla sua particolare situazione, un sorriso fa sempre bene nella vita, anche se i nostri vecchi dicevano che è meglio non scherzare con i santi; a qualcuno sarà capitato di farsi domande o di dover rispondere ad un figlio sulla situazione di Giuseppe... domande curiose o imbarazzanti.
Nella pagina che abbiamo ascoltato, la comunità di Matteo ci propone cose essenziali per la fede, non domande curiose È l'esperienza fondamentale del credente che ci viene riproposta da questa comunità cristiana, frutto della sua esperienza.
Matteo ci presenta Giuseppe come un uomo che sta preparando il suo futuro. Cosa più naturale di questo? Una famiglia, una casa, come tutti. E ad un certo punto Dio si intromette nella vita di quest'uomo: tutti i suoi piani sono sconvolti e in una maniera sorprendente e, all'inizio, quasi insopportabile. La sua ragazza sta per avere un figlio. E non è il suo. (In fondo non è nostro nessun figlio che nasce e questo dovrebbe farci sentire più vicina l’esperienza di Giuseppe).
Quando si rende conto che Dio interviene, Giuseppe, il giusto, vuol farsi da parte, forse non si sente all'altezza, poi si sente invitato a collaborare, ad accogliere questo figlio che viene, a lasciarsi sorprendere da ciò che è diverso dalle sue attese e quasi incomprensibile.
Aver fede significa accogliere nella nostra vita il progetto, l'iniziativa di Dio. Noi ci stiamo preparando a Natale, penso che nelle vostre case sia già pronto l'albero, forse anche il presepe, molti avranno già comprato i regali: Si sta insomma preparando il dolce clima della festa di Natale. La dolce atmosfera che ci fa tornare bambini, ci mette nel cuore i buoni sentimenti...
Ma Natale è qualcosa di più: è l'invito di Dio ad accettare il suo progetto nella nostra vita. Ciascuno di noi può scoprire che Dio chiede qualcosa di diverso e sorprendente. Ciascuno di noi può incontrare Dio in una persona con cui dobbiamo riconciliarci e fare pace. In un figlio che bisogna accettare così com'è, un figlio da amare anche se è così lontano dalle nostre attese. Ciascuno di noi può trovare Dio nella situazione del suo ufficio, in una situazione spesso pesante, in cui è così difficile portare un po' di giustizia, un po' di rispetto, un po' di onestà.
Giuseppe è giusto perché si è lasciato sorprendere da Dio: si aspettava una bella festa di nozze: ha saputo accogliere la sua ragazza incinta, un figlio non suo, una vita diversa... Noi troppo spesso accettiamo soltanto chi ci è simpatico, chi la pensa come noi, andiamo incontro soltanto a chi ci vuol bene, tentiamo di scansare chi ci da noie... A Natale Dio viene a cercare spazio nella nostra vita, viene a prenderci per mano perché, al di là dei buoni sentimenti, sappiamo accoglierlo in chi ha bisogno di riconciliarsi con noi, nel bisognoso che abbiamo incontrato, in chi abita al piano di sopra, in chi cerca da me la mano tesa, il coraggio della giustizia e della tenerezza.
Lo Spirito Santo dia anche a noi, come a Giuseppe, la grazia di essere uomini di fede, di saper riconoscere Dio che viene nella nostra vita, di lasciarci sorprendere da Lui.
1989
L'annuncio dell'angelo è per noi, come per i cristiani che ci hanno preceduto in questi duemila anni, l'annuncio della grande gioia, l'invito ad andare alla capanna di Betlemme, a vedere il segno di Dio.
Ma, vedete, per andare occorre un cuore che ami il fiore che sboccia, la gemma che annuncia la primavera, il sorriso di un bambino, la promessa del futuro. Presto, domandiamo a Dio un cuore così, poi andiamo insieme alla capanna di Betlemme, perché il segno di Dio è un piccolo bambino indifeso, un bambino inerme e incapace di tutto, soltanto una promessa di vita.
Noi qualche volta ci aspettiamo un Dio potente, che venga a mettere ordine, che sistemi le nostre cose, che venga a risolvere i troppi problemi del mondo e ci troviamo davanti soltanto un Bambino, un seme, una speranza. Occorre saper amare le cose piccole, un cuore aperto al futuro, per accogliere Dio che nasce tra noi, che viene a condividere la nostra vita, a camminare con noi. Occorre amare la vita perché Dio affida la sua vita nelle nostre mani: un bambino è sempre affidato ai grandi. A noi capita a volte di non amarla la vita, di sciupare le cose che abbiamo intorno e anche la gente. Dio viene invece a portarci la sua passione per la vita, viene a invitarci a difenderla a farla più bella, ogni giorno. Non servono i grandi progetti, ma la vita condivisa, la mano che si tende, l'aiuto dato a chi ci sta accanto, il desiderio vivo della pace.
Tornando a casa stanotte portiamo con noi la gioia di Natale, sappiamo riconoscere Dio nel sorriso di un bambino, in un gesto di amore, nella tenerezza di chi ci sta accanto e cerchiamo di arricchire, fare più bella questa fragile vita che ci è affidata, portandoci nel cuore la certezza che Dio cammina con noi, la passione di Dio per questa nostra vita, la certezza che vuole viverla e difenderla con noi.
L'augurio di Natale, la gioia di Natale, il desiderio vivo della pace, la passione per la vita, sia con noi e ci accompagni sempre.
1986
Un presepe strano quest'anno. Anche voi sarete rimasti sorpresi quando lo avete visto per la prima volta, come lo sono stato io. Eppure, vedete, a volta le cose strane e sorprendenti ci invitano a riflettere, a cercar di capire cosa la fantasia dell'artista voleva dirci.
Sullo sfondo S. Pietro, ma potrebbe essere una Chiesa qualunque, anzi dovrebbe essere la nostra chiesa (ma S. Pietro e certo più bello e scenografico, la nostra chiesa non si presta ad essere rappresentata con il polistirolo). Dunque una chiesa là, sullo sfondo e davanti, sotto un muretto sbrecciato, con un vecchio ombrello come riparo, un pezzo di pane secco, un focherello acceso, il Bambino Gesù. Anch'io quando ho visto tutto questo sono rimasto perplesso: è così diverso dalle rappresentazioni tradizionali. Poi ho pensato: ma Gesù non è nato nel tempio, né in una chiesa, né all'albergo. È nato in una stalla, brutta, puzzolente, fredda. Era un freddo serio quello in cui è nato il Signore. Gesù non è nato in una casa riscaldata, in mezzo a gente che l'accoglieva con gioia: è nato nella povertà più totale. Intorno a Lui solo dei pastori. E i pastori del tempo erano gente ignorante, sporca, povera. In mezzo a questa gente è nato il Signore.
Noi abbiamo cominciato a celebrare il Natale nelle nostre case, calde, accoglienti, la tavola ricca di tante cose buone. Ci siamo scambiati i doni, ci siamo sentiti più buoni, vicini gli uni agli altri. Eppure Gesù non è nato così: non è quella l'atmosfera di Natale. L'atmosfera di Natale è un'atmosfera ruvida, difficile, pesante, come speso è ruvido pesante difficile il nostro mondo. Allora è importante cercar di capire cosa ha fatto Dio quando è venuto in mezzo a noi: perché è nato fuori da una Chiesa, fuori dalla città, in mezzo a gente povera e ignorante, perché ha scelto coloro che soffrono, che hanno freddo, quelli che non hanno da mangiare e da coprirsi... È andato a nascere là per portare una speranza di liberazione e di vita.
Vedete Natale è questo: Dio che nasce in mezzo agli ultimi della terra, che si fa carico del cammino degli uomini, dei più poveri tra gli uomini. Per vivere il Natale non basta l'atmosfera calda e dolce di questa notte, i bei canti che facciamo, i buoni sentimenti che abbiamo nel cuore... Gesù nasce in mezzo ai poveri di questo mondo e là vuole portare anche noi.
E allora un canto di ringraziamento può sgorgare dal nostro cuore perché la nostra Parrocchia, lentamente, passo passo, va accorgendosi che se vuole incontrare il Signore, deve incontrarlo là, tra la povera gente, in mezzo agli stranieri, agli emarginati. Che se vuole veder nascere Gesù, deve andare incontro al bambino che ha bisogno di aiuto per lo studio, a un vecchio che rimane solo, a chi non ha un piatto caldo da mangiare... Ci andiamo accorgendo che non basta ritrovarci insieme per pregare, per leggere il Vangelo, che incontriamo Gesù dove c'è gente che soffre, tra gli uomini che fanno fatica a sentirsi liberi, a ritrovare la loro dignità. E questo, piano, piano, va diventando il cuore della nostra vita cristiana.
Gesù ci invita a continuare con coraggio il cammino, ci invita a condividere con Lui la passione per la vita, per gli uomini, per ogni uomo, per il più piccolo, il più povero, il più sofferente. Ci chiama a tendere la mano, a prendere a cuore chi tribola, chi si ritrova solo, chi si sente sradicato dalla sua terra - ce ne sono molti qui, ad Ostia -, chi si porta un peso sul cuore.
È fuori da questa chiesa, nella vita di tutti i giorni che possiamo incontrare Gesù, vederlo nascere e camminare con Lui.
Una piccola parola, detta quasi sottovoce, a chi viene in chiesa solo la notte di Natale e poche altre volte e che dice stasera: "io lo sapevo che Gesù non nasce in chiesa, lo dico sempre che si trova fuori". Attenzione a non ingannarvi da voi stessi: troppe volte il rischio che ho visto correre è che poi non si fa né questo né quello, non si viene più in chiesa e non si ha più il coraggio di tendere la mano a chi è povero. È vero, Gesù nasce là, ma ci nasce sul serio, per tutti non bastano le parole, a tutti è necessario il coraggio di tendere la mano. Là è la verità della nostra vita, la verità della nostra fede.
Il presepe di quest'anno è un presepe strano, forse provocatorio, ma ci richiama la verità del Natale: Gesù che nasce in mezzo alla povera gente, Gesù che si fa uomo tra gli ultimi e là ci chiama a condividere qualcosa della nostra vita, là ci chiama a vivere d'amore, ogni giorno.
Lui che è nato per noi, ci aiuti a farlo.
1989
Vi sarete accorti dalle letture di oggi, soprattutto dalla prima, che celebriamo la festa della Sacra Famiglia, sarebbe consuetudine dare buoni consigli sul vivere in famiglia, ma io ve li risparmio volentieri, anche perché, credo, molti di voi sono più esperti di me sulla pazienza che ci vuole per vivere in una casa.
Ci ritroviamo insieme in quest'ultimo giorno dell'anno ed è proprio questo che attira la nostra attenzione e suggerisce la nostra preghiera, che non dovrebbe mai essere staccata dalla vita. Vorrei allora invitarvi a ringraziare con me il Signore per quest'anno che è passato.
C'è certamente in mezzo a noi stasera qualcuno, che ha vissuto qualcosa di bello, di straordinario, il cui cuore, voltandosi indietro, in quest'ultimo giorno dell'anno, è ricco di gioia e di gratitudine e non ha certo bisogno del mio invito per ringraziare il Signore.
Ci sarà invece certamente qualcun altro molto perplesso davanti all'invito a ringraziare: ci sono anni in cui si arriva alla fine e non si ha proprio voglia di dire grazie, anni in cui son capitati troppi guai e la vita si è fatta triste.
Sia agli uni che agli altri non mancheranno certo le parole per mettersi davanti al Signore e saranno preghiere molto diverse.
Mi rivolgo allora agli altri a chi, come me, ha passato un anno normale, senza avvenimenti straordinari né belli né brutti: la vita di tutti i giorni, la fatica di essere uomini, tanti giorni simili, l'uno all'altro...
Con voi vorrei dire "grazie". La prima cosa per cui ringraziare è questo mondo che abbiamo intorno. Anche oggi, questa splendida ultima mattina di dicembre, il sole, un po' di freddo come si conviene a questi giorni, la bellezza degli alberi, i fiori, il mare... l'incanto del creato, ci abituiamo... eppure ogni mattina, dovremmo svegliarci e sgranare gli occhi e dire il nostro grazie per questo grande e meraviglioso mondo in cui ci è dato di vivere.
E la gente con cui abbiamo vissuto quest'anno, le persone che ci anno voluto bene, che ci hanno circondato con il loro affetto, la loro amicizia, la loro tenerezza, tutti quelli che non ci hanno fatto sentire soli.
Grazie soprattutto per quel po' di bene che siamo riusciti a mettere in questo mondo: il lavoro fatto con spirito di servizio, i gesti di attenzione e tenerezza, il bene fatto a chi ci sta intorno, piccoli gesti di ogni giorno eppure così preziosi.
E "grazie" diciamo a Dio per la sua presenza nella nostra vita: di Lui qualche volta non ci accorgiamo perché la presenza di Dio è silenziosa: vedete questo piccolo Bambino che è ancora in mezzo a noi, Dio viene nella nostra vita come un bambino, piccolo, indifeso, silenzioso, bisognoso della nostra attenzione e del nostro affetto.
Guardando indietro in quest'anno possiamo scorgere le tracce della presenza di Dio nella nostra vita, silenziosamente è stato accanto a noi, nelle ispirazioni del cuore, nel farci sentire dentro una luce che viene da lontano, nel coraggio e nell'amore che ci ha donato: ecco, Dio ha condiviso la nostra vita, ha camminato con noi, in modo silenzioso e povero è stato presente nella nostra vita di ogni giorno.
Ecco per tutto questo vorrei invitarvi a cantare con me il "grazie" al Signore. Grazie per il tempo che ci ha dato da vivere, grazie per la bellezza delle cose che ci mette intorno, grazie per la gente che vive con noi, grazie per il bene che abbiamo fatto, grazie per la sua presenza nella nostra vita, grazie per esserci ritrovati qui ogni domenica, a celebrare il suo amore per noi.
1986
Qualche parola rapida e, se possibile, in allegria, lasciando alla vostra riflessione una meditazione più seria sulla famiglia: in questi giorni abbiamo tante feste e rischiamo di fare indigestione di prediche: è pericolosa l'indigestione di prediche peggio di quella di cioccolata!
Qualche anno fa un bambino è uscito di chiesa portandosi dietro il foglietto della Messa ed è corso dal papà tutto contento dicendogli: "Hai visto cosa c'è scritto? Voi padri non esasperate i vostri figli..." L'aveva colpito quella frase, perché riguardava suo padre, non aveva notato quello che c'era prima e riguardava lui (come spesso succede).
Ciascuno di noi è portato a leggere solo ciò che gli fa comodo, ma avrete notato nelle letture di oggi più di una frase che appartiene ad un mondo che non c'è più. La maggior parte dei mariti, compreso qualcuno che conosco, ha ormai rinunciato a tenere sottomessa la propria moglie. Se dite ad una ragazza di oggi che deve prepararsi a stare sottomessa al marito, vi ride in faccia se non peggio: si deve far attenzione a come si parla con i tempi che corrono.
La famiglia, il modo di concepirla, cambiano nel tempo: la famiglia del tempo di Gesù, del tempo del Siracide, ormai non c'è più. Qualcuno rimpiange i tempi che furono, dove tutto era in ordine, c'erano regole precise, non c'era il divorzio, la tradizione guidava su binari sicuri. Ma chi di voi ha qualche esperienza del passato, sa come, anche nei tempi passati, c'era nelle famiglie, tanta ingiustizia, tanta sopraffazione, tanta mancanza di rispetto.
Vedete, il Vangelo non ci propone un modello di famiglia, una regoletta da vivere: una famiglia seria va reiventata in ogni tempo. Oggi che tante tradizioni sono venute meno, in un mondo in cui tutti ci sentiamo più liberi dagli schemi, occorre che ogni famiglia ritorni all'essenziale, non ha più troppe regole che la puntellino dall'esterno, occorre che ritrovi al suo interno l'amore vero, fatto di attenzioni l'uno per l'altro, di rispetto, di tenerezza, di comprensione, spesso di perdono. Occorre saper ricominciare la strada ogni giorno, inventare ogni giorno i rapporti con i figli, che oggi pongono più problemi di un tempo.
Quando le cose cambiano, di fronte all'imprevisto, chi ha coraggio sa mettere la forza dell'amore, la voglia di camminare insieme, la capacità di condividere la vita. Anche la famiglia di Gesù è stata costretta ad andare in Egitto, ad affrontare l'esilio, una terra diversa, la povertà... anche a molti di voi è capitato di lasciare il quartiere o la città in cui siete nati, avete dovuto ricostruire il tessuto della vita, rifarvi amicizie, affrontare difficoltà... tutto questo è possibile se anche noi, come nella famiglia di Gesù, sappiamo mettere nelle nostre case il coraggio e la fantasia dell'amore.
Mi fermo qui, vi invito soltanto ad unirvi a me nel pregare il Signore per le nostre famiglie e per tutte le famiglie del mondo.
1987
A nome della Chiesa, l'augurio che possiamo tutti camminare nella luce del Signore. L'augurio che Dio disponga i nostri giorni nella sua pace.
In questo primo giorno dell'anno in tutta la Chiesa si celebra la giornata della pace: per questo dobbiamo invocare Dio, a questo impegnarci.
Per la pace prima di tutto dentro di noi, nella nostra coscienza, nel nostro cuore. Per la pace con chi ci sta accanto, la pace da costruire ogni giorno, nelle nostre case, nel posto dove lavoriamo, la pace fatta di giustizia, di attenzione verso l'altro, tante volte di perdono.
Il Signore ci dia veramente il coraggio di costruire la pace, di sentirla come esigenza profonda della vita, non soltanto per noi, ma per tutti quelli che ci vivono accanto.
In questo primo giorno dell'anno mettiamo la nostra vita sotto la protezione di Maria: è Lei che può farci da maestra nella fede. Oggi nel Vangelo abbiamo ascoltato parole che sono state importanti per tutti i cristiani che ci hanno preceduto: "Maria conservava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore." Noi abbiamo celebrato in questi giorni il Natale, Maria ci insegna a conservare nel cuore il ricordo di Gesù che nasce, il ricordo dell'amore di Dio, il ricordo di Dio che viene in mezzo a noi, che nasce tra i poveri, per chiamarci là a donare qualcosa di noi stessi.
Il ricordo del Natale, la luce del Signore, ci guidi in ogni passo in quest'anno che comincia.
A tutti voi che siete qui, alle persone care che avete a casa, gli auguri più cordiali di un anno sereno e tranquillo, l'augurio sincero di fare il bene ogni giorno, di saper condividere la vita e costruire la pace.
Il Signore cammini con noi e ci dia la sua pace.
1987
Le letture che oggi abbiamo ascoltato, vi saranno sembrate un po' più difficili del solito. C'è sempre una distanza di duemila anni tra noi e le parole che leggiamo la Domenica nel Vangelo o nelle lettere di Paolo. Oggi c'è una particolare difficoltà perché non ci troviamo di fronte ad un racconto, ma ad un inno, a una poesia. Gli studiosi che si occupano di queste pagine del Vangelo, dicono che si tratta di un inno che i primi cristiani cantavano quando si riunivano, come facciamo noi, ogni domenica.
Attraverso il canto, la poesia, attraverso parole anche difficili i primi cristiani tentavano di esprimere la loro esperienza di Gesù. Era stata per loro un'esperienza forte, sconvolgente; l'incontro con il Signore aveva rinnovato nel profondo la loro vita, li aveva trasformati completamente.
Noi abbiamo un'esperienza diversa, siamo cristiani fin dalla nascita, abbiamo celebrato il Natale fin da quando eravamo bambini, il Vangelo per noi è diventato quasi un abitudine: un mio amico diceva che noi siamo tutti un po' vaccinati verso Gesù, lo abbiamo ricevuto sempre a piccole dosi, mai una dose urto che ti prende dentro, ti cambia, ti sconvolge.
Per i primi cristiani Gesù era stato come un lampo che ha rischiarato la vita: avete sentito quante volte si parla di luce nell'inno che abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi. Per loro Gesù era veramente la luce, che illumina, che da senso alla vita.
Siamo all'inizio dell'anno, possiamo in quest'anno proporci ancora di cercare Gesù ogni giorno della nostra vita: che la sua Parola illumini i nostri passi, che la sua vita risuoni dentro di noi, che sia per noi speranza e coraggio, grazia e vita rinnovata.
Il mondo in cui viviamo non è molto diverso da quello in cui vivevano i primi cristiani, certamente è migliore perché il cammino degli uomini va sempre avanti, ma ancora oggi tante tenebre avvolgono la terra, tanta sfiducia c'è nel cuore dell'uomo. Se noi incontriamo veramente Gesù possiamo esser anche noi un segno, una testimonianza di vita, di passione per la pace, di amore per la giustizia e il bene intorno a noi.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1990
La luce è uno dei simboli più profondi della vita degli uomini, in ogni angolo della terra quando si vuol rappresentare qualcosa di essenziale per la vita, qualcosa che fa vedere la strada, che da senso al cammino, si parla di luce. Anche voi ragazzi avete trovato tante volte nelle favole, la luce, il lume che brilla nella notte e fa ritrovare la strada. Quando avete paura del buio a voi basta girare l'interruttore, non avete mai fatto l'esperienza di far tardi la sera e di dover cercare il lucignolo che indica la via di casa, non vi è mai capitato di studiare le stelle per sapervi orientare, oggi non c'è pilota di aereo o di nave che debba guardare le stelle per orientarsi: un tempo era l'unico sistema, avere una stella che indicasse il cammino.
Ecco perché nel Vangelo si parla di una stella: ieri sera sentivo alla radio un giornalista che domandava ad un astronomo quale fosse la stella di Gesù. Penso che anche voi bambini avreste saputo rispondere subito: "Ma no, è soltanto un simbolo, non c'è in cielo una stella che cammina, poi si ferma, compare, scompare, scende fino su una casa..."
È un simbolo della nostra esperienza di credenti.
Chi è Gesù per noi? Se vi facessero questa domanda anche voi ragazzi rispondereste subito: "Gesù è la luce che illumina la nostra vita, che da senso al mondo, alle cose, alle persone. Gesù è la stella che guida i nostri passi, che ci guida sulla via del bene, sulla via della pace."
Ecco allora un programma per quest'anno che ci sta dinanzi: continuare a cercare la luce di Gesù. Corriamo anche noi il rischio di fare come gli abitanti di Gerusalemme: sapevano tutto del Messia, ma non si muovono a cercarlo, non hanno più bisogno di luce, credono di essere già arrivati. Noi, come i magi, che vengono da lontano, inseguendo la luce, cercando la vita, andiamo incontro a Gesù, lasciamo che illumini i nostri passi, che ci aiuti a cercare la via del bene.
Noi siamo qui perché crediamo che Gesù è la luce che illumina ogni uomo, la stella che guida il nostro cammino: lasciamoci allora guidare da Gesù, prendiamo la sua mano, camminiamo con Lui.
1987
I Magi, di cui parla il Vangelo di oggi, hanno colpito penso la fantasia di tutti noi fin da quando eravamo bambini e domandavamo incuriositi chi fossero questi strani personaggi rappresentati nel presepio con vesti regali, con la corona in testa (uno era sempre un moro), accompagnati da strani animali, i cammelli. Spero che questa pagina del Vangelo sia cresciuta con voi, non appartenga più al mondo delle favole infantili, dei racconti esotici. La comunità di Matteo esprime attraverso i simboli di questo racconto la sua esperienza di Gesù. In questa comunità, costituita in gran parte da ebrei, c'è un dramma da spiegare: perché il popolo eletto ha rifiutato Gesù?
Avete ascoltato: i magi arrivano e tutta Gerusalemme si mette in agitazione. C'è una notizia strana, qualcosa di straordinario sembra accadere, cominciano a girare voci per la città: il rumore, l'agitazione della folla. E poi ci sono anche i sacerdoti, i maestri della legge, i "devoti", gli addetti ai lavori: loro sanno dove deve nascere il Messia, conoscono le antiche scritture.
La folla si agita, mormora, i sapienti rispondono a tono, ma nessuno si muove, nessuno accompagna i magi nel loro cammino all'inseguimento della luce. Nessuno va a cercare il Signore.
I primi cristiani si ripetono spesso questa storia: a volte proprio i vicini, quelli che sanno, non si muovono, non cercano. E vale anche per noi che siamo qui seduti tranquillamente. Siamo davanti al presepe, se un bambino ci chiede "chi è Gesù, dove è nato, perché in una stalla, perché è venuto?" sappiamo rispondere prontamente, come prontamente rispondevano i maestri della legge in quel tempo. E poi rischiamo di non muoverci, di non andare a cercarlo, a incontrarlo là dove ci viene incontro, nella vita di ogni giorno.
A mo' di esempio un fatterello banale (che sia solo un esempio da calare nell’esperienza di ciascuno e non un altro spunto per giudicare gli altri): domenica scorsa dopo la Messa un signore veniva a dirmi: "Don Checco è una vergogna: in chiesa ci sono tanti giovani seduti e degli anziani che stanno in piedi!" Perché succede così: vedete probabilmente quei ragazzi hanno fatto un grande sforzo per venire a Messa hanno lasciato gli amici, magari con qualche sorriso ironico, hanno rinunciato a una partita a pallone, in una bella mattina come questa... pensano di essere a posto, hanno fatto più del loro dovere ora possono sedersi tranquilli...
Può succedere a tutti noi: c'è gente che viene in chiesa, che recita il rosario, che fa la Comunione e non si accorge che si sente "giusta" e giudica e condanna gli altri... e questo significa non accorgersi di Gesù, non riconoscerlo quando ci viene incontro.
Ecco perché dovremmo anche noi ripeterci spesso questa pagina del Vangelo di Matteo: rischiamo di sapere tutto di Gesù e di non muoverci per incontrarlo quando ci viene incontro, nell'anziano che ci passa accanto, nel povero, nel giovane, nel bambino, nella gente che qualche volta ci da noia, in chi ci vive accanto ogni giorno. Eppure Gesù è là, là ci tende la sua mano, là possiamo incontralo.
Lo Spirito di Dio ci faccia, come i magi, cercatori di luce. Per Matteo i magi sono il simbolo di chiunque cerca con passione la luce di Dio, di chi va inseguendo vaghi indizi luminosi: il Signore dia anche a noi la capacità di cercare la luce ogni giorno: questo significa essere cristiani.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1987
Tante volte abbiamo ascoltato questa pagina di Vangelo e come succede per le cose che leggiamo spesso, rischia di perdere la forza la novità e di diventare un'abitudine.
Vedete quello che abbiamo letto è qualche cosa di sconvolgente per il modo comune di vedere Dio, di essere religiosi. Sto leggendo in questi giorni un libro sulle credenze religiose dei vari popoli della terra, un libro molto interessante, piuttosto lungo in verità, perché in ogni parte della terra si è scritto molto sulla religione. Ebbene in ogni parte della terra, ogni manifestazione della divinità è accompagnata da fenomeni straordinari, dimostrazioni di potenza, segni meravigliosi, miracoli... Ripensate ora a quello che abbiamo letto stasera: Giovanni sta nel Giordano a battezzare, una lunga fila si snoda davanti a lui, una fila di gente che riconosce il proprio peccato, che si sente bisognosa di salvezza. Tra quella gente un uomo dall'aspetto qualunque, che nessuno conosce, le mani callose del falegname, anche Lui in fila con gli altri, il capo chino, un passo dopo l'altro.
Noi siamo qui riuniti dalla fede che quell'uomo, che china la testa sotto la mano di Giovanni, è Dio, il creatore del cielo e della terra. Ci capita spesso di pensare a Dio come al potente, al forte. Per cui in genere viviamo, traffichiamo, cerchiamo di far soldi, di tirar su i figli, di lavorare, di divertirci senza pensar molto a Dio. Poi se ci capita un guaio, se ci sembra di non farcela, ci giriamo a cercare Dio, a vedere se Lui può darci una mano. Allora ci capita di pregare con intensità, magari di accendere una candela... (ogni tanto qualcuno si lamenta perché nella nostra chiesa non ci sono candele da accendere). È sconvolgente per la nostra religiosità che Dio si manifesti, mettendosi silenziosamente in una fila di peccatori che cercano di rinnovarsi nell'acqua del Giordano. Gesù viene per condividere la nostra quotidiana fatica di essere uomini, per trent'anni ha fatto a Nazareth la vita del falegname, poi comincerà a parlare, a invitarci a seguirlo, a costruire con Lui un mondo più giusto e pacifico. Non un Dio che sta lassù, lontano dalla nostra vita quotidiana, che è onnipotente, a cui rivolgerti nel momento del bisogno, ma Dio che vuole camminare con te, vivere nella tua vita di ogni giorno.
Essere battezzati nella Chiesa significa proprio questo: accogliere Dio che ci cammina accanto, dire "si" a Gesù. A volte quando dei genitori vengono a chiedere il Battesimo per il loro bambino sembra che cerchino una specie di rito magico, una benedizione speciale, uno scongiuro scaccia guai, qualcuno addirittura si porta dentro antiche paure che il Bambino viva nel peccato, che Dio non lo ami o che non andrà in Paradiso. Vedete fino a che punto abbiamo distorto la nostra fede: pensare che Dio protegga un bambino battezzato e non uno non battezzato: un Dio che guarda con amore i nostri bambini battezzati e non i bambini cinesi che non conoscono il Battesimo: potreste credere in un Dio così?
Il Battesimo dovrebbe essere come il Battesimo di Gesù: l'inizio di una strada, di un cammino. Il fonte battesimale dovrebbe ricordarci che un giorno, magari ormai lontano, abbiamo accolto Gesù nella nostra vita, abbiamo cominciato a camminare con Lui, abbiamo accettato di farci guidare dalla sua luce, di farci condurre sulle strade del servizio e dell'accoglienza, della tenerezza e dell'amore. Il Battesimo, non ha certo allontanato i guai dalla nostra vita, non ci ha fatto incontrare un Dio potente, che risolve i nostri problemi, ma il Dio che viene a camminare con noi, a chiamarci a seguirlo: Il fonte battesimale là in mezzo ci ricorda il nostro "si" a Gesù, la decisione di camminare nella luce di Dio, di accettare la decisione di Dio di camminare con noi.
1990
Una parola solenne nel Vangelo di oggi. Giovanni annunzia Gesù: l'Agnello che viene a togliere il peccato del mondo. Giovanni è il testimone: Gesù è veramente il Figlio di Dio.
Io invece vorrei, stasera, di fronte a queste parole solenni, dirvi due parole il più semplici possibile - non so se mi riesce - per invitarvi a rendere grazie, insieme a me, al Signore per tutti quelli che, nella nostra vita, hanno fatto la parte di Giovanni il Battista.
Vedete, nessuno di noi ha mai visto Gesù, nessuno di noi lo ha toccato, eppure, noi, tutti, abbiamo avuto qualcuno che ci ha reso testimonianza di Lui, che ci ha fatto vedere che Lui è la luce, che è venuto per servirci, che ci ha liberato dal male.
Chi ci ha fatto questo dono straordinario? Ecco l'invito che faccio a ciascuno di voi. Riandate indietro nella vostra vita, fino a quando eravate piccini, quando anche voi, sulle braccia del papà o della mamma, siete andati in chiesa per le prime volte, quando vi hanno parlato con tenerezza di Gesù e soprattutto quando, al di là delle parole, con i gesti, con l'affetto, vi hanno fatto toccare con mano che Dio è amore. Riandate indietro alle persone che vi hanno voluto bene, oltre al papà e la mamma, magari il nonno o la nonna, un parente, un amico... riguardate il volto, riascoltate la voce di chi vi ha parlato di Gesù. Se siete qui è perché qualcuno ve ne ha parlato, con affetto, con rispetto, con tenerezza; qualcuno vi ha fatto toccare quasi con mano che Gesù è la luce che illumina i nostri passi, che guida la nostra vita, che ci apre al bene.
Nella memoria di ciascuno di noi ci saranno altre persone, il maestro delle elementari, forse un sacerdote o una suora, o, più spesso, gente di tutti i giorni, forse un amico, forse un bambino, o per voi genitori, un figlio, che ci ha fatto toccare con mano l'amore e la tenerezza di Dio.
Chi è stato per me testimone di Dio? Chi mi ha indicato Gesù?
Se noi siamo qui, se possiamo credere, se possiamo tra poco nutrirci di Gesù è perché nella nostra vita qualcuno ci ha reso testimonianza di Lui con le parole e ancor più con i fatti, con i semplici gesti del servizio di ogni giorno. Abbiamo scoperto che la vita non aveva senso se dominata dall'egoismo, dall'ingiustizia, dal male, abbiamo scoperto la bellezza della vita se si tenta di condividerla, la gioia dell'amicizia e dell'amore, l'importanza dell'onestà e della giustizia.
Quanta gente non l'ha mai scoperto! Quanta gente non è qui stasera, non perché è più cattiva di noi, ma perché non ha avuto nella vita qualcuno che gli facesse toccare con mano il Signore. Avete mai pensato a questo? Quando il drogato, per strada, vi scippa la borsa, quando vi sentite insicuri per i troppi che rubano, vi siete mai detti: "ma queste persone hanno avuto la fortuna, come ho avuto io, di toccare con mano la vita, la tenerezza, l'amore, la bellezza di essere uomini". Questo non ci rende più semplice la vita, avremo sempre buoni motivi per lamentarci, ma ci aiuterà a ringraziare per la fortuna che abbiamo avuto nel conoscere Gesù, a conservare la gratitudine verso tutti coloro che sono stati per noi testimoni di Gesù e della bellezza della vita.
Lo Spirito Santo ci aiuti a ringraziare.
1987
Giovanni il Battista, nel brano che abbiamo appena letto, indica Gesù ai discepoli e dice che lui ha visto e rende testimonianza. Riflettendo su questa pagina di Vangelo mi veniva di domandarmi chi è stato per me, nella mia vita, il "Giovanni Battista". Perché, vedete, io ho letto tanti libri su Gesù, ho studiato tanto e continuo a farlo perché credo sia importante, ma quando mi fermo a riflettere e mi chiedo: "Come ho conosciuto Gesù", allora mi rendo conto che non sono stati certo i libri che mi hanno fatto conoscere il Signore - o almeno non per primi i libri - ma sono state delle persone viventi, degli uomini, delle donne che, in tutti questi anni, mi hanno reso testimonianza su Gesù.
E così è accaduto, penso, anche per voi e per tutti i cristiani che hanno attraversato la storia. Perché chi ha conosciuto direttamente Gesù, chi ha potuto ascoltare le sue parole dalla sua bocca, chi ha potuto vedere i suoi gesti, sono state pochissime persone e poi, per tutti i cristiani, fino a me, fino a voi, c'è stato qualcuno, qualche persona concreta, che ha reso testimonianza di Gesù, con le parole e ancora di più con la vita.
Io ho i miei "Giovanni Battista" e di questi rapidamente vi dirò, ma penso che stasera - se volete seguirmi in questo cammino - ciascuno di voi dovrebbe farsi la predica per conto suo, dovrebbe, cioè, ripercorrere la propria vita e rievocare le persone che in qualche modo, gli hanno fatto conoscere Gesù.
I primi che mi hanno fatto conoscere il Signore sono stati senz'altro mio papà e mia mamma. Quando ero ancora piccino piccino mi hanno dato la prima sensazione che in Gesù trovavo un amico, qualcuno che mi voleva bene sul serio, che mi accoglieva, che mi perdonava, che mi invitava a camminare sulle vie della vita. Attraverso le loro parole, ma ancora di più attraverso la loro tenerezza, il loro amore, il loro rispetto, ho avuto la sensazione viva che Qualcuno mi volesse bene e camminasse con me per le strade del mondo.
E loro mi hanno insegnato con semplicità a riconoscere il Signore negli altri. Tra i primi ricordi, tra le prime immagini della mia infanzia c'è quella di un vecchio, alto alto - mi colpiva perché io ero piccolino - sempre vestito di nero, che veniva ogni tanto a bussare alla nostra porta e, senza dire niente - non gli ho mai sentito dire una parola - tendeva la mano, e mia mamma diceva: "Va a prendere qualcosa, un frutto, un'arancia e darglielo: perché quando un povero bussa alla porta è Gesù che bussa e non si può mai rimandarlo a mani vuote". E io ricordo che qualche volta, con un po' di dispiacere, (a quel tempo eravamo poveri e c'era la guerra) vedevo l'ultima mela o l'ultima arancia andarsene nelle mani di quell'uomo.
Poi sono cresciuto e nel periodo della mia giovinezza, veniva nella mia parrocchia, uno che adesso è prete a Rio de Janeiro, tanto lontano da qui, ma allora studiava medicina e veniva a farci catechismo e a me, che allora cercavo il senso della vita, ha dato con la sua parola, ma soprattutto con la sua presenza accanto a me, la testimonianza viva che Gesù è servizio, è mettersi a disposizione degli altri, è aiutare gli altri a crescere. Attraverso le parole e l'esempio di Nino ho scoperto che Gesù è la libertà dell'uomo, il coraggio di vivere, la voglia di costruire il mondo. Nell'età più difficile della vita, Nino mi ha fatto scoprire il Signore, mi ha fatto sentire il Suo invito a seguirlo, a crescere con coraggio e generosità.
Poi andando avanti nella vita, tante persone come voi, tanta gente di tutti i giorni. Ricordo, una volta ormai prete, eravamo ad Albano seduti sotto un albero un gruppo di ragazzi e uno di loro, molto più giovane di me, parlava con una tale forza, con una tale passione del Regno di Dio, della gratuità dell'amore di Dio, che mi sembra, ancor oggi, di aver capito lì cosa significa veramente credere nel Regno, seguire Gesù.
E tante altre persone, ce ne sono anche qui e probabilmente non gradiscono essere nominate, tante persone che mi hanno aiutato a credere, a scoprire Gesù nel concreto della vita. Tante persone in cui ho scoperto la tenerezza per gli altri, il chinarsi sulla sofferenza degli uomini. Tante persone che mi hanno aiutato a non perdere la fiducia, a sperare sempre, a ricominciare da capo una, cento, mille volte. Tante persone come voi, persone che nella vita hanno creduto, sperato amato e mi hanno fatto sentire Gesù vivo e presente accanto a me.
Credo che la stessa cosa sia successa anche a voi e allora vi invito a ringraziare con me il Signore dal profondo del cuore.
1990
Una domanda mi ha preoccupato nella preparazione di questa predica: "che senso ha questa pagina di Vangelo per molti di voi, soprattutto per chi ha i capelli bianchi, per chi ha tanti anni dietro le spalle?" Gesù invita la gente a convertirsi, a cambiare, a prendere una decisione radicale, a costruire il Regno. Passando lungo la riva del lago, chiama Pietro e poi Andrea: "vieni" e quelli subito, lasciate le reti lo seguirono...
Mi chiedevo: "che significa questa pagina per molti di noi?"
Mi venivano in mente degli episodi a cui ho assistito: una volta, ricordo, una persona di una certa età che assisteva ad una riunione di alcuni di questi cristiani moderni che dicono che bisogna ricominciare tutto da capo, che quello che si è fatto finora non vale più, che occorre convertirsi e di nuovo passare il Mar Rosso... ricordo che questo signore ascoltava con grande attenzione e vedevo che faceva fatica a capire, ad un certo punto è quasi saltato sulla sedia e gridando ha detto: "Che mi venite a dire, che io non sono cristiano? Io seguo Gesù fin da quando ero bambino, da quando mi sedevo, in Chiesa, sulle ginocchia di mia madre, ho sempre seguito Gesù per tutta la mia vita e voi adesso venite a dirmi che non sono cristiano, che debbo ricominciare tutto da capo!"
Mi veniva in mente, senza andar lontano, mia mamma, che ormai ha più di ottant'anni, tutti i capelli son diventati bianchi: che volete che lasci? Che volete che si converta? Che senso ha per lei ricominciare da capo, lasciare, partire? Ha sempre seguito il Signore fin da quando era bambina, anche lei è sempre stata convinta che la vita ha senso solo se si cammina nella luce del Signore.
Che senso ha per mia mamma, per quel signore di cui vi ho parlato, che senso ha per molti di voi, che hanno i capelli bianchi, questa pagina del Vangelo? Come ci chiama il Signore? Forse il suo, per molti di voi, è solo l'invito a non preoccuparvi troppo quando ci si sente soli, perché Lui cammina con noi ogni giorno. Con Lui avete vissuto la vostra vita, Lui vi ha guidato e confortato: quando i figli o i nipoti son troppo affaccendati per occuparsi di voi, quando vi sentite soli, conservate nel cuore la certezza che Gesù vi è vicino. Quando qualcuno di voi ha paura della morte - è normale quando i capelli diventano bianchi - conservate nel cuore la fede che è Gesù che ci aspetta, Lui in cui abbiamo creduto per tutta la vita, Lui che abbiamo sempre cercato di seguire: Lui verrà a prenderci per mano, Lui verrà a sorriderci.
Quando qualche amica che è diventata "testimone di Geova" vi dice che avete sbagliato tutto, che il mondo sta per finire e dovete salvarvi e voi rispondete: "Ma io sono sempre stata così, ho sempre creduto così, perché adesso mi vuoi cambiare?" State tranquilli che avete ragione, continuate ad andare per la strada che seguite fin da bambini, sentitevi vicino il Signore: Lui è più grande delle paure degli uomini e quando il mondo finirà, speriamo fra moltissimi anni, ci verrà incontro Lui e il sorriso della sua misericordia.
Tutto questo non sia un alibi per chi in mezzo a noi i capelli non li ha ancora bianchi e magari ha bisogno di scuotersi, di ritrovare il coraggio di "lasciare" qualcosa e di seguire il Signore. In ufficio, in casa, con la gente c'è forse bisogno di una svolta, di un cambiamento radicale o forse solo il bisogno di fare un passo. Una persona con cui riconciliarsi, una situazione di ingiustizia e di disonestà da cambiare, una pigrizia da cui scuotersi...
Per ciascuno di noi l'invito del Signore è personale per qualcuno è la mano sulla spalla, la consolazione, il senso della sua vicinanza, per qualcuno l'invito a scuotersi e a riprendere il cammino, per tutti l'invito alla fiducia e al ringraziamento e alla gioia.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1987
Avrete notato nella pagina del Vangelo che abbiamo letto un senso di movimento, qualcosa si mette in moto e poi, sempre più in fretta, sembra quasi che corra. Provate, a casa, a rileggere il Vangelo per notare quante volte in questa pagina ci sono verbi di moto: lasciare, seguire, andare, camminare...
Ma, vedete, questa è una delle cose più difficili dell'essere cristiani.
E io e molti di voi, penso, siamo cristiani fin da piccoli, non abbiamo mai fatto l'esperienza (forse qualcuno di voi l'ha fatta e sarebbe bello che ce la raccontasse, come la raccontava Pietro, come la raccontavano i cristiani del suo tempo), la maggior parte di noi, dicevo, non ha fatto l'esperienza di incontrare Gesù, di scoprirlo, nuovo, nella propria vita, di essere chiamati da Lui a mettersi in cammino, a lasciare il modo di fare di prima, le cose vecchie, a cominciare un nuovo modo di vivere.
Per i primi cristiani questa era l'esperienza fondamentale della vita. Noi vedete, fin da piccoli sentiamo parlare di Gesù, ci siamo abituati alle sue parole: quando vediamo qualcuno correre, quando sentiamo qualcuno che prende sul serio le Parole di Gesù, ci viene da guardarlo come uno che fa cose strane. Perché a noi sembra difficile cambiare qualcosa, anche fare un piccolo passo.
Mettersi in cammino, cambiare, correre dietro a Gesù: cose che in fondo non ci riguardano. Cosa debbo cambiare io? Cosa posso fare? Cosa ci può essere di nuovo nella mia vita?
Vedete, la cosa più difficile per un cristiano come me, ma penso che sia così anche per voi, è svegliarsi al mattino e dirsi: "oggi il Signore mi invita a camminare con Lui", "oggi posso cambiare qualcosa", "oggi posso vedere gli uomini sotto una luce nuova", "oggi posso fare un passo per costruire il Regno di Gesù". Ci capita, come si usa a Napoli, di dire: "Signore mai peggio", "se va come ieri, possiamo contentarci".
Eppure Gesù, ogni volta che ci troviamo insieme per celebrare l'Eucarestia, ci invita a camminare, a mettere un pizzico di novità nella nostra vita. Non si stanca di chiamarci, come ha chiamato Pietro e Giacomo e Giovanni e gli altri...
A prima vista sembra un invito straordinario fatto solo per loro: l'invito a lasciare tutto, casa famiglia, lavoro... se continuate a leggere il Vangelo li ritrovate poi nelle loro case, attenti al loro lavoro. La chiamata del Signore, non è un invito a lasciare il modo di vivere di ogni giorno: i primi cristiani esprimevano con queste parole la radicale novità che c'è nell'incontro col Signore. L'invito a lasciare le vecchie cose, a lasciare l'ingiustizia e il male. La luce nuova dell'incontro con Gesù. La voglia di camminare con Lui, il desiderio della Sua pace e del Suo Regno, la volontà di servizio e di attenzione verso gli altri.
Chi sa se il Signore oggi può parlare al nostro cuore per rinnovarci l'invito a partire, a camminare con Lui, perché nelle nostre case, nel posto dove lavoriamo, nella nostra vita, ci sia un po' più del suo Regno, della sua pace, della sua giustizia.
Le occasioni le avremmo se sapessimo coglierle nella nostra vita di ogni giorno, ma spesso ci capita di guardarci in giro con l'aria di chi è diventato troppo pigro per aver voglia di muoversi, di chi pensa che, in fondo, non può far niente di nuovo nella vita.
Fratelli, io son l'ultimo a potervi dire questo, ma essere cristiani è svegliarsi al mattino e dire: "Gesù mi chiama a fare un passo con Lui". È tutto qua.
1990
Abbiamo ascoltato insieme quella che è, senza dubbio, la pagina più conosciuta, più importante, più bella del Vangelo. Stamattina occorre che voi tutti facciate, all'inizio di questa predica, una piccola preghiera al Signore, perché possa aiutarvi.
Vedete, questa pagina del Vangelo, tante volte nella mia vita l'ho sentita commentare così: "quanto è difficile seguire il Signore, essere cristiani!" Questa pagina del Vangelo e quelle che seguono sono spesso viste come un imperativo morale, quasi che Gesù sia venuto a portarci un'altra legge, più esigente, più severa che quella del passato. Ecco allora perché vi suggerivo di pregare un pochino il Signore: perché possa aiutarvi a vedere come, prima di tutto, quello che abbiamo ascoltato è un grido di gioia, è la proclamazione della beatitudine da parte di Dio. È Dio che viene a schierarsi con noi, che viene a mettersi dalla nostra parte.
Per ben otto volte avete sentito Gesù ripetere: "Beati quelli che...". Gesù inizia la sua predicazione proclamando la beatitudine. "Beati..." per otto volte si ripete, quasi con insistenza.
Chi è beato? Non guardatevi intorno, perché beati siamo tutti, io e ciascuno di voi. E siamo beati perché? Perché Dio ci vuole bene, perché Dio scende dalla nostra parte, dalla parte di tutti e di ciascuno, dalla parte soprattutto di quelli che sono più poveri, più affannati, dalla parte di chi ha un peso, qualcosa che non va.
In tutte le religioni, in ogni parte della terra, la benedizione di Dio è vista dove c'è la salute, il benessere, la ricchezza, le cose che vanno bene. Anche noi ci portiamo dietro questa mentalità, quante volte abbiamo pregato guardando verso il Signore: "perché ti sei dimenticato di me? perché hai voltato lo sguardo?" Quando ci capita un guaio, quando abbiamo un peso, quando qualcosa non va, ci sentiamo abbandonati da Dio.
Gesù è venuto a dirci che il guaio, la povertà, la disgrazia, non sono il castigo di Dio. Nei casi della vita, nella ventura di essere uomini, Dio sta sempre dalla parte di chi è in difficoltà, di chi è più povero: scende accanto a lui, per camminare con lui.
Ma c'è di più: Dio ci proclama beati per quella parte (purtroppo non è tutto: saremmo già in paradiso) per quella parte che in noi è fame e sete di giustizia, per quella parte del nostro cuore che è mite, misericordiosa, per quella parte che cerca la pace. Tutti noi che siamo qui, ci portiamo nel cuore desideri di pace, desideri di giustizia, desideri di vita, di verità. Gesù proclama "beata" questa parte del nostro cuore.
A noi non capita, per fortuna, di essere messi in carcere, di essere perseguitati per la giustizia, ma anche a noi capita qualche volta di vedere un sorriso ironico, quando tentiamo di donare qualcosa di noi stessi; se ci lasciamo prendere la mano, ci pigliano per scemi; a volte i nostri desideri di pace li chiamano illusioni: ecco, Dio stesso viene a difenderci, viene a difendere i nostri desideri di pace, e di giustizia, i semi di bontà che sono nel cuore di tutti noi.
Ecco, il grido di Gesù: "Beati voi", è un grido di gioia, parleremo poi di comandamenti, di esigenze morali, per ora accogliamo il grido della beatitudine da parte di Dio, sentiamoci amati da lui, sentiamoLo dalla nostra parte, sentiamo che Lui scende a difendere la parte migliore di noi. Accogliamo Gesù e camminiamo con Lui. Questo è essere cristiani, prima di tutto.
1987
Questa pagina l'avete ascoltata tante volte: è una delle pagine più importanti del Vangelo. Anche per persone che non appartengono alla nostra religione: pensate ad un uomo come Gandhi, che era indù, questa pagina è stata importante nella sua vita, la teneva nel cuore come una cosa preziosa. I cristiani di tutti i tempi hanno riflettuto, pensato, pregato, su questa pagina, tante volte. Ci sono libri e libri scritti su queste parole, come potete facilmente immaginare, vista la loro importanza.
È difficile quindi fare una predica su questa pagina. Io vorrei soltanto, come spunto di riflessione, riportarvi una discussione che ho fatto proprio giovedì scorso con un gruppo di ragazzi. Domandavo loro, per introdurre il discorso: "Chi è beato secondo la gente? Chi è beato secondo la pubblicità che ci mostra la TV?" E loro dicevano: "È beato chi ha saputo far carriera, chi ha una bella casa moderna, chi ha una macchina di lusso, è beato chi è giovane, sano, con la pelle liscia, con i capelli ben pettinati, ecc., ecc.". Sono cose che anche voi avete visto tante volte. Possiamo anche sorridere, come sorridevano quei ragazzi, ma, in fondo, ce le portiamo tutti dentro, almeno un po'. Anche tra noi, specialmente chi ha una certa età, quando vede una ragazza bella e giovane dice: "Beata te, che sei giovane!": è normale.
Chiedevo poi a quei ragazzi: "Secondo voi chi è beato?" Si sentivano - e lo sono, come lo siamo tutti noi - parecchio più nobili della pubblicità. Provate, per un attimo a rispondere, ciascuno di voi: "chi è beato in questo mondo? cosa direste?" Penso molti di voi, soprattutto chi ha una lunga esperienza della vita, risponderebbe come il primo ragazzo che ha parlato. In fondo, in questo mondo, è beato chi si sa accontentare, chi non cerca grandi cose. Non ci hanno insegnato, fin da piccoli, il proverbio: "chi si contenta gode"?
Una ragazza diceva: "è beato chi vive in armonia con se stesso e con gli altri": non vi sembra una nobile risposta?
Eppure confrontate queste risposte con il Vangelo di oggi: "beato chi si contenta" e Gesù dice: "beato chi ha fame e sete di giustizia", quindi beato chi non si contenta della giustizia che c'è, beato chi opera la pace, perché non si contenta della pace che ha, ma cerca di far qualcosa per ottenerla.
Quella ragazza diceva: "beato chi vive in armonia con sé e con gli altri" e nel Vangelo abbiamo letto: "beati voi quando vi perseguiteranno" e quindi quando non siete più in armonia, né con voi stessi, né con gli altri.
È sempre importante, per un cristiano, confrontare le proprie attese con le Parole di Gesù e ci accorgeremo che, se le prendiamo sul serio, gli spazi della nostra vita si dilatano. Se quel ragazzo che dice "è beato chi sa accontentarsi" sentisse dentro di sé, nel profondo, la fame e la sete di giustizia, la passione per il bene e per la vita che aveva Gesù: quanto si dilaterebbe la sua vita! Se quella ragazza che dice: "è beato chi vive in armonia con sé stesso e gli altri" sentisse l'esigenza viva di essere nel mondo operatrice di pace, testimone di giustizia e di amore, anche se questo turba la sua tranquillità e la sua armonia: quanto si dilaterebbero gli spazi del suo cuore!
Perché, vedete, queste parole, prima di essere una legge, prima di essere un comandamento sono un annuncio di vita, qualcosa che dilata gli spazi del nostro cuore, che noi rischiamo sempre di rimpicciolire.
Ma vorrei raccontarvi ancora qualcosa di quella riunione: dicevo a quei ragazzi: "Gesù viene, mi sembra, per prendere posizione, per schierarsi accanto a qualcuno". Parecchi dei ragazzi dicevano: "no, perché Gesù è con tutti, non si schiera da una parte, Lui sta con tutti". Provavo a replicare: "ma mi sembra che Gesù qui, chiaramente proclami beati i poveri, beati quelli che sono afflitti e quindi, in qualche modo si schieri da una parte, si metta con chi è povero, afflitto". Ma qualcuno insisteva: "no, Gesù non fa distinzione fra ricchi e poveri, Lui sta veramente con tutti, Lui vuole bene a tutti, Lui non si schiera, sta al di sopra delle parti". Li invitavo a riflettere - e invito anche voi a farlo -: non rischiamo di fare un Dio anemico, un Dio che non prende posizione, quando lo mettiamo al di sopra delle parti? I ragazzi di oggi hanno un profondo senso della giustizia e vorrebbero che fossimo veramente tutti uguali di fronte a Dio.
Diceva un profeta dei nostri tempi: "non c'è niente di più ingiusto che fare parti uguali tra disuguali". Gesù non è forse venuto per schierarsi, per mettersi accanto a chi è povero e afflitto? Non è forse venuto a proclamare la sua beatitudine, a dire che conta anche lui, ad invitarlo a alzare la testa? È veramente giusto dire che Dio sta con tutti? Può stare allo stesso modo, dalla parte di chi tortura e di chi è torturato, dalla parte di chi opprime e di chi è oppresso, dello sfruttatore e dello sfruttato?
Gesù, in questa pagina del Vangelo prende posizione, e invita tutti noi a farlo. Nella nostra casa, nel posto dove lavoriamo, nella nostra società, Gesù è sempre dalla parte del più debole. Finché in mezzo a noi c'è uno, anche uno solo, che sta più indietro, là troviamo Dio, verso di lui, dobbiamo tendere la nostra attenzione, il nostro sguardo, accanto a lui dobbiamo schierarci, perché davanti a Dio siamo tutti uguali. Ma dobbiamo diventarlo, perché non lo siamo! Dio sarà sempre schierato dalla parte di chi sta più indietro , per invitarlo a camminare, per invitare noi a metterci dalla sua parte, perché sia veramente come gli altri, perché nessuno sia messo da parte, emarginato, lasciato indietro. Dio ci invita a prendere posizione.
Lui ci aiuti a farlo.
1990
Mi colpiva, leggendo questa pagina del Vangelo, che c'è scritto: "Voi siete la luce del mondo", non c'è scritto: "voi dovete essere la luce, voi dovete essere il sale", ma "voi siete..."
Allora rendiamo gloria a Dio. Nella nostra vita ci sono state persone, c'è stato qualcuno che per noi è stato luce e sale. Luce perché ci ha aiutato a vedere, a scoprire, a trovare il senso della vita, qualcuno che ci ha insegnato ad amare e sperare. Sale perché ha dato sapore e gusto alla vita.
Sì, ci sono le persone importanti, quelle che magari resteranno nei libri di storia: prima ricordavamo, nel gruppo in cui leggiamo insieme la Bibbia, Papa Giovanni, che per molti di noi è stato un testimone di luce, ci ha dato esempio di speranza, di pace, di benevolenza, di tenerezza: di lui si parlerà ancora tra cento, forse tra mille anni...
Ma cosa sarebbe la nostra vita, cosa sarebbe la mia vita, senza le persone di tutti i giorni, le persone che m'han voluto bene, che mi hanno accolto, circondato di tenerezza? Cosa sarebbe la mia vita senza le persone con cui ho passato delle ore, di cui sono stato amico? Cosa sarebbe la mia vita senza tutti coloro che sono stati per me testimoni, di fame e sete di giustizia, di misericordia e di pace? Io ne ho avute molte di queste persone nella mia vita, come penso le avete avute voi, a cominciare da quelle più vicine, che qualche volta ci danno magari occasione di brontolare e di lamentarci, il marito, la moglie, i figli...
Spesso ci si rende conto di quanto sapore danno alla vita, quando non ci son più. Molti voi possono forse testimoniarlo: quando il marito era vivo, quando la moglie era viva, capitava a volte di lamentarsi, di brontolare, poi quando se ne vanno, ci si sente soli, sembra quasi che la vita sia finita, che niente abbia più senso... Ecco, quella tenerezza, quell'amore, quell'amicizia, dava sapore, dava gusto alla vita.
Anche i figli, quante volte mettono l'ansia nel cuore, quante volte danno preoccupazioni, quante volte bisogna aspettarli la sera... eppure senza di loro, senza il loro affetto, che sapore, che senso avrebbe la vita?
Quanta luce! quanta tenerezza! quanto gusto! quanta gioia ci è stata data dalla gente che è vissuta con noi, ogni giorno!
C'è sempre qualche pessimista che dice che potevamo fare di più, che insieme alla luce abbiamo ricevuto anche le ombre.. non ci pensate stasera! Rendiamo grazie al Signore per tutte le persone che, intorno a noi, ci hanno testimoniato la tenerezza, di Dio, la luce del Signore, la bellezza della vita, la speranza e la gioia di camminare insieme.
Ecco: "Voi siete la luce del mondo" dice il Signore. Rendiamo grazie per tutti quelli che nella nostra vita lo sono stati davvero.
1987
Quando ero bambino, molto tempo fa, i miei catechisti faticavano con me perché non riuscivo ad imparare molto facilmente e si sforzavano di farmi capire come diventare cristiani significasse credere in tanti misteri, e come io con la mia mente piccina, dovessi fare uno sforzo per credere quello che non vedevo. Mi dicevano che dovevo combattere i dubbi della fede, cercare di allontanarli e che, se mi fossero venuti, avrei dovuto superarli fidandomi del Signore. Mi raccontavano - lo avranno raccontato anche a voi - l'episodio di S. Agostino che raccontava di aver sognato una volta un bambino sulla riva del mare che aveva scavato una piccola buca e con una conchiglia voleva mettere tutta l'acqua del mare nella sua piccola buca. Un angelo, nel sogno, faceva notare ad Agostino che voler comprendere i misteri di Dio con la sua piccola testa era come mettere l'acqua del mare in quella piccola buca. Ed io, che sapevo di non avere una testa tanto grossa, ero colpito da questo racconto e mi sforzavo di credere in tutte le cose misteriose che mi dicevano di Dio, della SS. Trinità...: mi sono accorto crescendo che un dubbio sulla SS. Trinità non mi ha mai sfiorato. Non erano questi i dubbi! I dubbi mi venivano quando la domenica dovevo sopportare le prediche del mio parroco. Voi siete abbastanza fortunati: io avevo un parroco che predicava per mezz'ora, come minimo, e si capiva poco, specialmente noi bambini. E quando leggevo che lui era la luce del mondo, allora dicevo: "mah, sarà, a me sembra che di luce ne porti poca". E poi, guardandomi intorno, i cristiani che dovevano essere il sale della terra, coloro che danno gusto alla vita... Tante volte mi sono domandato: "ma è possibile credere alla Chiesa? È possibile che questi uomini, questa gente che mi sta intorno (anche certi vescovi, certi papi, certi preti che conoscevo, parecchi cristiani), è possibile che questi siano il sale e la luce del mondo? È possibile che Gesù abbia affidato a gente come noi il compito di continuare la sua opera nel mondo?" Gesù è la vera luce che illumina ogni uomo e a noi affida il compito di essere luce, portatori del sapore del gusto della vita.., ma qui nascono i dubbi: come è possibile credere nella Chiesa, negli altri, in me stesso?
Quante volte vi sarete domandati anche voi, come mi sono domandato io: "ma sono veramente cristiano io, così come sono? Posso mai essere luce per qualcuno? Sale per il mondo che mi sta intorno? Non avrebbe fatto meglio Gesù a scegliere un'altra strada? Perché ha chiamato noi, perché si è fidato di noi? Perché per la gente che vive qui ad Ostia dobbiamo essere noi i testimoni della luce, il segno di Dio? Non possono trovarlo da un'altra parte? Dio non poteva trovare una scorciatoia, che so, qualche segno prodigioso, un santo capace di far miracoli? Non può apparire in mezzo a noi la Madonna o qualche angelo? Perché Dio deve affidarsi a gente come me o come voi? "
Eppure, vedete, fratelli, se non riusciamo noi ad essere testimoni di luce in questo mondo, se non siamo noi a portare un pizzico di sapore, un po' di speranza e di senso... il resto è soltanto magia, che porta l'uomo fuori della vita. Possono forse accadere dei miracoli, può venire un segno dal cielo, possiamo avere un'apparizione straordinaria, magari della Madonna, ma questa non è la vita cristiana. La vita cristiana è fatta delle cose di ogni giorno, nelle case dove abitate, nel posto dove lavorate, in mezzo alla gente comune, è la che c'è bisogno di luce, di speranza. Non c'è bisogno di fuggire cercando la magia, cercando i fatti straordinari: Dio affida a me, a voi, a tanti cristiani come noi, in ogni parte del mondo, il compito di essere sale e luce, di portare ai nostri fratelli la speranza, la gioia, il sapore e il gusto della vita che Gesù ci ha comunicato.
E se noi siamo qui - ci pensavo mentre preparavo queste parole da dirvi - è perché qualcuno questo senso della vita ce l'ha comunicato. Qualcuno, per me, per voi, è stato luce e sale, qualcuno è stato per noi un segno di Dio, non con gesti straordinari e prodigiosi, ma con la semplice vita di ogni giorno, con la tenerezza, l'amore, la fedeltà.
Ringraziamo per questo il Signore e continuiamo a camminare, cercando di essere per chi ci vive accanto, anche noi, luce e sapore.
1990
Uno dei problemi più seri per chi legge il Vangelo oggi, è la distanza di quasi duemila anni dal mondo in cui queste pagine sono state scritte. È una distanza nel tempo e una distanza nello spazio: sono state scritte in Oriente, dove si ama il paradosso, le immagini forti, che colpiscono a volte come un pugno nello stomaco: ve ne sarete accorti tutti, si parla di un occhio cavato, di un braccio tagliato, di mettersi d'accordo con l'avversario lungo la strada. Se posso darvi un consiglio, rileggetevi a casa con calma questa pagina frase per frase cercando di andare al di là della scorza, fatta di un linguaggio che non è più il nostro. E tenete presente che ci troviamo di fronte ad un "collage" di frasi di Gesù.
Il mio compito sarebbe ora, quello di aiutarvi a capire: non so se ci riesco, seguitemi con un po' di pazienza. Cerco non di commentare frase per frase, ma, se mi riesce di darvene il senso globale, almeno come l'ho capito io, perché ci ho messo un bel po’ di tempo a capire qualcosa.
La prima cosa di cui mi son reso conto è che Gesù non è venuto a portarci una legge nuova, più severa della prima. È stato detto: "se uccidi devi essere condannato". Ma io vi dico: "anche se dici al fratello "stupido" devi essere condannato". Penso che a tutti voi sia accaduto qualche volta di dire "stupido" a qualcuno e più di una volta: cosa è venuto a fare Gesù? a condannarci tutti?
Il senso di questa pagina è un altro: si tratta di superare la giustizia degli scribi e dei farisei, una giustizia basata sulla legge. Un'immagine mi ha aiutato a capire, ve la ripropongo, chiedendo scusa a chi l'ha già sentita.
Immaginate di essere in un grande spazio, uno spazio grande, vasto, libero. Questo spazio, lo spazio della nostra vita è circondato da un muro o da un fossato come preferite. Su questo muro sono scritte le leggi, le leggi che regolano la nostra vita: "Non uccidere, non rubare, non mentire, non tradire la moglie, il marito...". Un muro serio, importante: tutti noi facciamo esperienza, un'esperienza amara, di quello che succede quando questo muro viene valicato. Quando intorno a noi c'è gente che uccide, che ruba, la vita si rovina. Anche la piccola delinquenza, lo scippo quotidiano, come sciupa la vita soprattutto delle persone anziane!
Questo muro, la legge, è una cosa importante per difendere la vita. E, se ci parliamo seriamente, è importante anche per ciascuno di noi: quante volte siamo rimasti onesti perché c'era la legge? Quante volte abbiamo evitato di fare una cosa per paura di andare in prigione o per non violare un comandamento del Signore? Dio ci ha dato i comandamenti, ha messo un limite intorno alla nostra vita, non per renderla schiava, ma per proteggerla, per farla più libera. Una cosa seria, dunque, la legge!
Ma immaginate di rimanere davanti a questo muro. Viene prima o poi la tentazione di andare al di là, di sperimentare quello che è proibito. A volte ci sembra che la legge sia lì proprio per impedirci di essere liberi, di godere la vita, di diventare grandi. Quando eravamo ragazzi, ricordate? dicevamo le parolacce perché la mamma non voleva e questo ci faceva sentire più grandi, oppure fumavamo di nascosto - qualche sciagurato lo fa ancora - una sigaretta per sentirci emancipati e cresciuti. Era il fascino delle cose vietate, il fascino del proibito, il credere che al di là del muro ci sia una terra più libera e fascinosa. Una terra di cose proibite che ti fanno sentire più grande e poi ti ritrovi soltanto più sciocco.
Ma c'è un'altra tentazione che si prova a restare davanti al muro: quella di sentirsi buoni. Noi in fondo la legge non l'abbiamo violata: possiamo guardarci in faccia con franchezza e dire. "io non ho mai ucciso, mai rubato...": Quante volte l'ho sentito dire in confessione: "don Checco io non faccio nulla di male, non rubo, non bestemmio, non faccio male a nessuno..."
Ecco rimanere davanti a questo muro, significa rimanere davanti alla legge o per sentirci a posto, o per subire il fascino del proibito.
Le parole di Gesù ci invitano a girarci: "Che stai a fare davanti al muro? Ti rendi conto che dietro le tue spalle c'è lo spazio della vita, della libertà, dei valori autentici? Non si tratta di non rubare, ma di credere nell'onestà, di scoprire la gioia di condividere i beni della terra con chi ha più bisogno. Non si tratta di non uccidere, non importa se non hai ammazzato nessuno: la vita è fatta di amicizia, di tenerezza, di amore, di generosità. Non si tratta di non giurare, ma di amare la verità e la limpidezza: il vostro parlare sia sì, sì, no, no, il resto lasciatelo al diavolo o alla sottili distinzioni dei politici. Tu impara ad amare la verità, perché è bella la verità!
Cambia il tuo cuore, fallo ricco di valori, comincia a salire la montagna e allora la legge sparirà, laggiù lontano. Comincia a salire verso spazi più ampi e sconfinati, non preoccuparti più di quello che è proibito, cercate di andare verso quello che è grande e bello, verso l'amore stesso di Dio"!
Pensate un attimo ad un santo come Francesco d'Assisi: lui sì che si è girato, che ha cercato la giustizia, l'amore, il bene, l'amicizia. Andate a dire a Francesco: "guarda tu non devi ammazzare, non devi rubare..." Vi dirà: "ma io ho tentato di voler bene a tutti, ho baciato il lebbroso, gli ho dato il mio saio, sono andato incontro al lupo... tutto quello che avevo l'ho donato e mi sento libero, libero come un uccello, libero di cantare la gloria di Dio".
Ve l'ho fatta lunga stasera! Non so se sono riuscito a comunicarvi che Gesù non è venuto a portarci una legge più severa, ma, come dice San Paolo, a liberarci dalla legge, a farci liberi di amare.
Rileggetevi questa pagina e il Signore vi aiuti a capire la gioia e la libertà di girare le spalle e di incamminarci verso la libertà che ci ha portato Gesù.
1987
Vi pregherei stasera di seguirmi con un po' di attenzione: se mi riesce tento di darvi qualche chiave per leggere questa pagina, perché mi sono accorto, leggendola tante volte con la gente (ormai almeno un centinaio di volte ho letto il Vangelo di Matteo insieme alla gente e continuiamo a farlo: se qualcuno desidera una spiegazione, frase per frase, può venire a leggere con noi queste pagine del Vangelo, perché qui in chiesa, sarebbe troppo lungo spiegare parola per parola) l'impressione, dicevo, che ho avuto è che al di là delle difficoltà che ci sono nella scorza, (qui c'è un linguaggio molto orientale, si parla infatti di occhi strappati, di braccia tagliate: così parlavano in oriente ai tempi di Gesù) sia anche difficile comprendere il contenuto.
Chi legge questa pagina spesso ha l'impressione che Gesù renda più dura, più severa ed esigente la legge antica. "È stato detto, ma io vi dico" queste parole si ripetono più volte: molti hanno l'impressione che Gesù renda i comandamenti più difficili, quasi impossibili da osservare.
"Non commettere adulterio , è stato detto... ma io vi dico anche chi guarda una donna..." La gente si spaventa quando ascolta parole come queste: "come soltanto uno sguardo? e allora chi si salva dal peccato? Gesù ci chiede troppo!"
Vedete, attraverso parole come queste - paradossali, come le amavano gli antichi - Gesù vuole metterci la legge nel cuore, ci invita a cambiare il cuore, il modo di pensare: a prima vista sembra difficile e sconcertante, poi ci accorgiamo che Gesù ci porta gioia e liberazione.
Vorrei farvi soltanto un esempio, un esempio che ci riguarda tutti. Nel Vangelo abbiamo letto: "se tu stai per portare la tua offerta all'altare e là ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta, va prima a riconciliarti e poi torna..." A prendere alla lettera queste parole dovremmo tutti alzarci ed uscire. Tutti, nessuno escluso... una parola sgarbata, magari con la nuora, un momento di nervosismo, o addirittura, qualcuno che ce l'ha con me senza che io abbia fatto nulla di male. Perché Gesù non dice "se hai fatto del male a qualcuno", ma "se qualcuno ha qualcosa contro di te". Cosa vuole allora Gesù?
Vi ricordate quando una volta (anche molti di voi lo avranno fatto) si andava in chiesa a domandare al prete (io in questi 25 anni me lo sono sentito domandare tante volte): "È bona la Messa?" La Messa era "bona" se il calice non era ancora scoperto e si poteva così osservare il precetto. A molti capitava di sentire la Messa come un obbligo, come un comandamento da osservare.
È importante adempiere la legge, ma Gesù ci chiede: "senti qual è il tuo cuore quando vieni in chiesa?" Potremmo domandare: "ma che c'entra il cuore? sono venuto, mi sono seduto, ho anche risposto qualche volta, guarda il calice era ancora coperto, la messa era 'bona', che c'entra il cuore?" E Gesù insisterebbe, magari con un po' di nostra sorpresa: "e io continuo a chiederti: perché sei venuto qui? cosa vieni a cercare? sei venuto soltanto per osservare la legge, per scaldare il banco o la sedia (così mi dicevano i miei maestri), o sei venuto per incontrare gli altri e me, per nutrire il tuo cuore?"
Penso che tutti voi abbiate avuto la fortuna di scoprire la bellezza di venire in chiesa non solo per adempiere la legge, ma per incontrare Gesù, ascoltare la sua parola, nutrirci di Lui, entrare in comunione con Gesù e i suoi valori, perché la vita intorno a noi sia più ricca e gioiosa.
Gesù non vuole caricarmi di un peso diverso, vuole mettere nel mio cuore la sua luce, il desiderio vivo della pace e del bene. Man mano che andiamo scoprendo questo, la Messa non è più un peso, non ci capita di aspettare la fine guardando ogni tanto l'orologio, ma scopriamo che veniamo volentieri a Messa, che è bello incontrare il Signore, nutrirci di lui, cercare insieme ai fratelli i sentimenti che ci rendono più buoni, che ci rendono più attenti agli altri, che fanno più bella la vita.
È solo un esempio: allargatelo a tutte le parole che abbiamo ascoltato vi accorgerete che quello che Gesù ci dice, non è di moltiplicare le leggi e i precetti, ma di cambiare il cuore, di essere veri dentro, di amare la verità, la giustizia, la pace.
Il Signore ci aiuti a farlo, perché per noi è un po' difficile.
1990
Sono parole sconcertanti quelle che abbiamo ascoltato, sono parole che possono farci sentire tutta l'impossibilità di essere cristiani, addirittura, qualcuno dice, tutta la pazzia di essere cristiani.
Che può significare "porgere l'altra guancia"? "Se uno ti piglia il mantello, dagli anche la tunica"? Che significa amare i nemici? Che vuol dire perdonare tutti? Tante volte anche voi vi sarete chiesti: "cosa significa tutto questo? Cosa ci chiede Gesù"?
Forse una luce potete trovarla nell'ultima frase che abbiamo letto: "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli". Dopo le parole che precedono e si susseguono incalzanti l'una dopo l'altra, può venire un senso di frustrazione, ma quest'ultima parola - almeno a me fa questo effetto - è come una liberazione: "Siate perfetti come il Padre". Chi può essere perfetto come Dio? Anche Gesù, lo ricorderete nel Vangelo, quando un giovane lo chiama: "maestro buono", risponde: "Perché mi chiami buono, solo Dio è buono? Come possiamo, noi, pretendere di essere come Dio? Allora qui Gesù vuol dirci qualcosa d'altro: non possiamo prendere alla lettera le sue parole.
Vi ricordate, domenica scorsa, vi proponevo l'immagine del muro che circonda la nostra vita, un muro che difende e protegge la nostra vita, il moro della legge, delle cose proibite e vi dicevo che Gesù, ci invita a lasciare il muro dietro le spalle e ad incamminarci verso la luce, verso la montagna, dagli spazi liberi e ampi. Ora continuate ad immaginare questa montagna, provate a vederla come una montagna la cui cima si perde nel cielo, una montagna che non ha cima, perché la cima è la perfezione stessa di Dio.
Vedete se decidete di scalare una montagna sulla terra, potete cercare sui libri la montagna più alta e scoprite che è alta più di ottomila ottocento metri. E se vi sembra che non sia poi troppo, sappiate che nessuno di noi qui, è in grado di farlo, per salire l'Everest e le montagne più alte della terra ci vogliono quasi dei superuomini, gente superallenata. Chi ha il respiro grosso, chi ha le gambe fragili, chi ha le ginocchia vacillanti non può arrivare nemmeno a tremila metri, e allora dobbiamo stare a guardare gli altri che vanno e arrivano in cima. Ma se la montagna non ha confini, se la cima non c'è, allora siamo tutti più liberi: l'importante è camminare, non arrivare. Nessuno può dire "sono arrivato in cima, io sono bravo, io sono capace, guai a te che non sei stato capace di arrivare!"
È vero nessuno può dire: "io sono buono", "io ho osservato la legge, io non ho fatto male a nessuno": se ci confrontiamo con l'infinito amore di Dio, allora ci ritroviamo povera gente, incapaci di adempiere ogni giustizia. Non potremo più pregare dicendo." Signore ti ringrazio che non sono come quelli che rubano, che uccidono, come quelli che rapinano o fanno violenza..."
Ma se qualcuno ci dice: "guarda Madre Teresa di Calcutta, guarda quell'altro quanto bene ha fatto, guarda quanta gente nel mondo sa fare cose straordinarie e tu che fai?...""Io so fare solo un sorriso, sono un pover'uomo, forse posso dire solo una parola buona, ho solo due monetine di rame da gettare nel tesoro della vita". E quel sorriso può essere davanti a Dio più prezioso di tutti gli ospedali di madre Teresa, perché era tutto quello che tu potevi dare.
Perché quando la montagna non ha confini, allora non importa chi arriva prima e chi dopo, e si tien conto dei polmoni pesanti e delle gambe fiacche, della debolezza dell'uomo.
Se ci confrontiamo con l'infinita tenerezza di Dio, con la sua luce, con la gioia della sua pace, allora l'importante è camminare, camminare sempre, guardando la luce, cercando di avere nel cuore il desiderio dell'infinito amore di Dio, ma anche sapendo apprezzare, i piccoli doni di ogni giorno, i piccoli gesti, in piccoli sorrisi che sappiamo dare e ricevere nel cammino della vita.
Il cristiano sa tenere gli occhi fissi nel sole e accorgersi del più piccolo dei fiori del campo.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1987
Una parola brevissima, perché quello che abbiamo ascoltato è così forte e chiaro... posso solo consigliarvi di rileggere e di portarvi nel cuore queste parole perché ci aiutino a crescere.
Voi tutti sapete ormai, avendo imparato a leggere il Vangelo, che non dobbiamo interpretare queste frasi come delle regolette da osservare: sarebbero incomprensibili e impossibili da applicare nella vita di tutti i giorni. No, Gesù non è venuto a darci delle regolette di vita, ha parlato con la forza paradossale degli orientali, con l'amore per le parole forti, per le parole che scendono nel cuore. Perché quello che Gesù vuole è proprio questo: cambiarci il cuore.
E oggi sentite (perché arriviamo alla fine di quella parte del discorso in cui si ripetono le opposizioni: "è stato detto", "ma io vi dico") dove vuole portarci Gesù: "siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli". E questo, lo sappiamo tutti, è veramente impossibile. L'uomo non può essere perfetto come Dio, per quanto ci provi e si impegni. Allora Gesù vuole che noi - gente come me, come voi - camminiamo senza stancarci, con gli occhi nella luce, nel sole, che sentiamo di salire una montagna che non ha confini, che quello che veramente importa è andare avanti, camminare, cercando di avere un cuore capace di voler bene.
Ripensate un attimo alle altre parole che oggi abbiamo ascoltato: Gesù non vuole darci regole di vita, ma vuole aiutarci ad essere liberi, ad avere dentro di noi un cuore come quello di Dio.
A prima vista sembrano parole incomprensibili eppure...: se qualcuno mi offende e io mi lascio dominare da sentimenti di rancore, di odio, di vendetta, allora sono stato sconfitto due volte da chi mi ha offeso: la prima volta mi ha sconfitto quando mi ha offeso e non ho saputo impedirlo; la seconda volta, e forse più duramente, mi ha sconfitto quando mi ha trascinato sul suo stesso piano. Anche nel mio cuore ho lasciato crescere il rancore l'odio, il desiderio di far male. E se queste cose crescono in noi, la nostra vita è perduta, abbiamo sciupato il tempo e il dono di Dio.
Gesù vuole farci liberi dai sentimenti del rancore e dell'odio: "abbiate il coraggio", ci dice, "di guardare verso Dio, abbiate il coraggio di guardare la luce, abbiate nel cuore lo stesso amore di Dio". Lo dice a me lo dice a voi, anche se ci sentiamo lontani. Vedete, ieri leggevamo, un po' più avanti nel Vangelo di Matteo, quella pagina che dice: "se una canna è incrinata, Lui non la spezzerà; se un lucignolo fumiga, Lui non lo spegnerà". Le parole che abbiamo ascoltato oggi, non sono parole per qualche santo o per qualche eroe, sono parole per gente di tutti i giorni, per me, per voi.
A me Gesù dice: "Sii perfetto come è perfetto il Padre", a me che mi sento come una canna incrinata, come un lucignolo che fumiga. Gesù mi invita ad alzare lo sguardo, a guardare il sole. A me Gesù rivolge l'invito a non fermarmi, ad avere fiducia, a camminare ancora. A me Gesù chiede - per non sciupare la mia vita - di non lasciarmi sconfiggere dal male che c'è nel mondo, di non lasciar crescere dentro di me i sentimenti del rancore, del risentimento, dell'odio. A me Gesù vuol mettere nel cuore il desiderio della vita, il desiderio profondo della libertà e dell'amore. Gesù mi invita a vivere nell'amore, come vive il Padre.
Lui ci aiuti a farlo.
"Guardate gli uccelli del cielo... i fiori del campo..." 24 febbraio 1990
Penso che ormai tutti voi che siete qui, siete abituati a queste parole del Vangelo e non correte più il rischio di prenderle come delle regolette, da applicare alla vita. Molti di voi hanno conosciuto l'affanno per il cibo e per il vestito, la preoccupazione di non arrivare alla fine del mese, la fatica di far quadrare il bilancio, l'ansia per i figli che crescono... non preoccupatevi di essere stati fuori del Vangelo, non era certo per voi che Gesù diceva queste parole.
Ma allora cosa vuol dirci il Signore? Cosa intende Gesù quando ci invita a cercare prima il Regno di Dio e la sua giustizia? Vedete, sono, secondo me, grandi parole da conservare nel cuore e che possono indicarci qualcosa per la vita di ogni giorno.
Ai nostri ragazzi che crescono e sono preoccupati (giustamente perché è il loro tempo) di come si vestono, di avere sempre la maglietta nuova o i jeans all'ultimissima moda, forse queste parole ricordano che ci sono altre cose più importanti nella vita da cercare, che l'uomo è fatto per avere nel cuore desideri di assoluto, valori grandi.
A quelli di voi che lavorano e si affannano e corrono tutto il giorno, magari per aumentare il loro reddito e far carriera, forse queste parole servono a ricordare che è più importante la giustizia e la tenerezza, la vita condivisa, l'affetto, l'amicizia, il servizio verso gli altri...
A chi tra voi ha i capelli bianchi forse Gesù vuole dire di non preoccuparvi troppo per il domani, di non lasciarvi prendere dalla paura della solitudine o delle malattie e degli acciacchi. Forse vuole invitarvi a confidare in Dio per questo nostro tempo e soprattutto, quando viene la paura della morte, per l'aldilà. Forse ci invita ad affidare, come ha fatto Lui, la nostra vita nelle mani del Padre, che custodisce ogni uomo che vive, anche il più piccolo.
Forse questo, forse altro, significano queste parole, non lo so, certo son parole da non banalizzare, parole che non possono mai essere usate per rimproverare il "piccolo" che vive e spera. Forse sono parole che vogliono toglierci l'affanno della vita e darci il senso della gratuità e della vita condivisa con gli altri e con la natura intera. Se sapessimo guardare di più i gigli dei campi e gli uccelli del cielo, che noi, con la nostra corsa e il nostro affanno di vivere, rischiamo di togliere dal mondo! Rischiamo di consegnare ai nostri nipoti un mondo in cui ci saranno pochi uccelli che volano...
Forse dovremmo cercare un po' di più, tutti, il Regno di Dio, la sua giustizia, la sua luce, la sua bontà, la gratuità e l'amore.
Per finire vorrei ricordarvi la Parola di Isaia che credo sia preziosa per tutti noi, una delle parole più belle della Bibbia: "Può una mamma dimenticarsi del suo bambino, scordare il figlio delle sue viscere?" (Anche a voi - l'ho sentito tante volte - capita di dire: "Ecco Dio si è dimenticato di me") Può una mamma dimenticarsi del suo bambino? E se anche lo potesse: "Io non mi dimenticherò mai di te", dice il Signore.
Ecco conserviamoci nel cuore le parole di stasera, servono a darci la gioia della presenza di Dio, la certezza del suo amore.
1987
Tento di farvela corta, perché oggi è sabato grasso e non conviene fare prediche lunghe in tempo di carnevale e poi anche perché questa pagina del Vangelo non si presta per discorsi troppo lunghi. Anzi mi vado convincendo, man mano che passano gli anni e vado leggendo il Vangelo con la gente, che spesso diciamo troppe parole per commentare queste pagine. Vedete su una pagina come questa si potrebbero dire migliaia di parole, e in parte sono state dette. C'è in tutti noi il bisogno di avere delle regole di vita, delle formule per interpretare la realtà: è un bisogno profondo, veniva fuori con forza anche in questa settimana, nei gruppi in cui si legge il Vangelo (e forse è anche per questo che vi dico queste cose). Spesso crediamo che Gesù sia venuto per darci delle regole, per darci dei binari, per tracciarci la strada, per noi e per i nostri figli. I genitori si preoccupano di questo e giustamente, perché è il loro compito e pensano di trovare un aiuto nel Vangelo e qualche volta anche noi preti cadiamo in questa trappola: troppo spesso pensiamo di sapere cosa è giusto e cosa è sbagliato, troppo spesso diamo consigli e ordini e regole. Mi rendo sempre più conto che è meglio lasciare alle parole di Gesù la loro grandezza, conservarle nel cuore, come un seme che porti il suo frutto a tempo opportuno.
A me è capitato qualche volta (ma è accaduto moltissime volte nella storia) di sentir dire ai poveri: "voi cercate di vivere come gli uccelli... non vi preoccupate troppo di quel che mangiate, non pensate ad arricchirvi: la ricchezza rovina la vita...": A molti di voi è capitato di vivere momenti in cui chi vi ha detto: "non preoccuparti troppo del mangiare" vi ha offeso profondamente. Molti di voi hanno vissuto i tempi della guerra, in cui si andava veramente in giro a cercare qualche scorza di patata da dar da mangiare a un figlio. E poi magari in Chiesa il prete diceva (in fondo anche lui ha fatto sempre parte del mondo dei potenti): "tu vivi come un uccello, tu cerca il Paradiso, perché qui sulla terra si sta per tribolare..." Non so se si possa tradire così questa parola del Vangelo.
Altre volte mi è capitato di ascoltare persone "spirituali" (purtroppo ne ho incontrate molte nella mia vita!) che dicono: "Gesù ci insegna a non preoccuparci troppo dei soldi, delle cose materiali, ma a preoccuparci dello spirito. Lasciamo le cose materiali alla gente di questo mondo: un vero cristiano non si preoccupa dei problemi del lavoro, della società, pensa a pregare, a salvarsi l'anima...".
Oppure ho sentito usare questa pagina del Vangelo per dire alla gente che c'è una Provvidenza di cui dobbiamo fidarci e che alla fine Dio aggiusta ogni cosa... e voi sapete che non è vero.
Vedete è facile sciupare queste parole, renderle ridicole. Eppure qualche volta ci sembra di intuire che Gesù ha da metterci nel cuore qualcosa di grande. Cosa vorrà intendere quando dice che non possiamo servire a Dio e al denaro? Cosa vorrà dire con le parole: "Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e le altre cose vi saranno date in aggiunta..."? Cosa significano queste parole per la nostra vita, per la nostra società? Certamente ci siamo arricchiti (vedo qui tante persone anziane) rispetto a quando eravamo giovani, certamente ora si sta molto meglio. Ma forse a guardar bene ci ritroviamo con troppo "affanno" nel cuore, anche i ragazzi che, come voi dite spesso, hanno tutto. A volte ci manca la serenità nel cuore... Forse abbiamo cercato troppo il benessere. Ma era importante cercarlo! Non possiamo offendere i nostri padri, a cui questo nostro benessere è costato sudore e fatica! E poi, in fondo, ci stiamo bene e non vorremmo tornare indietro!
Cosa vorrà dirci Gesù? Permettetemi di piantarla qui e di ripetervi il consiglio che mi davo in questi giorni: teniamoci nel cuore queste parole di Gesù, non affrettiamoci a dare spiegazioni a buon mercato: sono parole grandi, da conservare nel profondo di noi stessi. Fidiamoci di Gesù, del suo amore per la nostra vita: forse vuole toglierci un po' di affanno dal cuore.
1990
Lo Spirito spinge Gesù nel deserto ad affrontare il combattimento con il diavolo. È indubbiamente un simbolo, ma un simbolo che esprime la realtà di ogni uomo che vive sulla terra, quindi anche di Gesù quando viene a condividere la nostra vita. Essere uomini significa affrontare il combattimento con il male, non se ne può fare a meno, lo troviamo intorno a noi, dentro di noi. Anche Gesù trova il male e lo Spirito lo spinge ad affrontarlo, non può rimanere chiuso nel suo guscio.
C'è il male intorno a noi, serio, pesante. I ragazzi hanno messo sul cartellone qualche titolo di giornale, credo che siano giornali di ieri o dell'altro ieri. Basta aprire un giornale e leggiamo di guerra, di droga, di violenza, e quant'altro. Forse ci sembra più grande di quello che è realmente, perché i giornali parlano sempre di tutto il male che c'è nel mondo e raramente mettono in evidenza il bene: ma non è questo che ci interessa stasera.
C'è un male intorno a noi, pesante, che sciupa la vita, che fa triste, per molti, il vivere sulla terra. Ma c'è anche un male che ci coinvolge direttamente, che coinvolge me e coinvolge voi: il male dell'intolleranza, della mancanza di tenerezza, del non saperci venire incontro, della nostra incapacità ad accoglierci così come siamo, a rispettarci, il male della trascuratezza che abbiamo tra noi, il male delle molte pigrizie, degli egoismi quotidiani. Comincia a nascere anche in mezzo a noi, il male del razzismo. Ci sembrava che questo non potesse mai succederci eppure ci accorgiamo che chi ci sta accanto ci da fastidio, ci crea problemi: i neri, gli stranieri, qualche volta anche le persone anziane che vivono tra noi. Ci capita di diventare insofferenti anche nei confronti dei figli o degli amici, a volte non riusciamo a passar sopra a qualche piccolo sgarbo, a volte ci chiudiamo nel nostro guscio.
Insomma, il male non sta soltanto sulle pagine dei giornali, lontano, ma anche a noi qualche volta capita di sciupare il mondo che abbiamo intorno, di rendere meno vivibile l'atmosfera della nostra casa, o del nostro posto di lavoro, con le nostre durezze, le nostre intolleranze. Capita anche a noi di "fare i furbi" nel posto dove lavoriamo, magari cercando di lavorare il meno possibile... ciascuno di noi conosce lo spazio del proprio peccato.
Essere cristiani significa tentare di dire "No". Ieri sera una signora diceva: "Ma quando ci riusciremo mai!" Sogniamo anche noi qualche volta che il Signore ci cambi il cuore, come dice il profeta Ezechiele. Vedete anche in questo, purtroppo, Dio non fa miracoli, non ci cambia il cuore: sarebbe bello! Lo abbiamo sognato tutti penso: risvegliarci al mattino ed essere diventati buoni, avere un cuore diverso, nuovo, capace di tenerezza e di amore totale. Soltanto Gesù ha avuto un cuore così, per questo lo chiamiamo "Signore". Noi siamo povera gente che cerca di fare qualche passo: ne fa uno avanti, poi mezzo indietro, poi uno avanti, poi due indietro, poi avanti... sempre però cercando di non sederci, sempre tentando di camminare. È lo Spirito che ci spinge, è Lui che ci mette nel cuore la voglia di combattere il male, in noi e intorno a noi, la voglia di cercare di essere come Gesù.
Il primo passo del Battesimo (che i primi cristiani, che erano battezzati da adulti, sentivano con forza) era la rinuncia al male, una rinuncia coraggiosa a tutto ciò che è violenza, cattiveria, negatività, egoismo, a tutto ciò che sciupa la vita. Tentiamo di farlo anche noi: vi lascerei un momento per riflettere per vedere, ciascuno di noi, il proprio peccato, ciò a cui vorremo dire: "no". Poi vi chiederò di ripetere le promesse del battesimo e quindi di dire per tre volte: "Rinuncio". Io debbo usare parole generiche, parole che vadano bene per tutti, ma ciascuno di noi può trovare qualche cosa a cui è importate rinunciare, ciascuno di noi può trovare qualcosa da cambiare, magari un aspetto del carattere, magari solo il diventare più tollerante o più sorridente, occuparmi di più di quella persona che ho trascurato, essere un po' più paziente con mio figlio, o con il nonno o con quell'amico....
Insomma, ognuno di noi sa cosa può fare, a cosa è importante che tenti di rinunciare in questa Quaresima. Un momento solo per pensarci, poi rivivremo insieme le rinunce del Battesimo.
1987
I Vangeli che ascoltiamo quest'anno, sono stati letti fin dai primissimi tempi della Chiesa nelle domeniche di Quaresima: servivano a guidare l'ultimo cammino di coloro che si preparavano a ricevere il Battesimo nella notte di Pasqua. E i cristiani, che, come noi, erano già stati battezzati, erano invitati a ripercorrere, a rivivere il cammino di preparazione al Battesimo.
Vedete, nessuno di noi ha fatto il cammino di preparazione al battesimo, allora ci conviene vivere con attenzione questa Quaresima, chiederci, con serietà: "noi siamo cristiani, ma cosa significa? Cosa significa dire "sì" al proprio battesimo? Cosa vuol dire vivere da battezzati. Cosa vuol dire aver scelto di seguire Gesù?"
Vi invito dunque a fare insieme un cammino, a ripercorre le tappe della preparazione al Battesimo, per poter, nella notte di Pasqua, rivivere il nostro Battesimo, proprio come decisione di seguire Gesù, di camminare con Lui, camminare sul serio, non soltanto a parole, con la vita concreta, con i gesti che facciamo ogni giorno.
Cominciamo a domandarci: quale vita battesimale testimoniamo? Mettetevi voi genitori davanti ai figli, voi nonni davanti ai nipoti e domandatevi: "Cosa testimonio a questo bambino? Quale esempio gli do? Cosa vede in me delle scelte del mio Battesimo?"
Perché il cammino di preparazione al Battesimo comincia con il racconto delle tentazioni di Gesù? Vedete, un momento fondamentale del Battesimo (lo rivivremo insieme, tra un po') è la rinuncia al male: davanti a tutta la comunità cristiana il battezzando fa come un giuramento solenne, promette di rinunciare al male, a tutto ciò che è negativo, che rovina la vita. I primi cristiani vivevano questo momento molto intensamente, per loro era uno strappo deciso, con la vita precedente, con il mondo che li circondava.
Domandiamoci stasera, con serietà: "qual è la nostra cattiveria? Abbiamo realmente rinunciato al male o, a differenza di Gesù, noi abbiamo ceduto alle tentazioni?"
Nel Vangelo abbiamo ascoltato le tentazioni di Gesù, che sono anche le nostre. Il satana, il tentatore va da Gesù e gli dice: "vedi questa pietra? Tu hai fame, trasformala in pane? Hai dei poteri? usali per te che t'importa degli altri! perché ti preoccupi della gente?" Sono le tentazioni reali della sua vita: se leggete più avanti il vangelo, sulla strada di Gerusalemme, Pietro gli dirà: "dove vai? perché vai là?" "devo predicare, è importante che io vada a Gerusalemme" E a Pietro che dice "no! non sia mai", Gesù risponde duramente: "sta lontano da me satana!" Ecco, il satana, la tentazione è Pietro che vuole distoglierlo dalla sua vocazione, che vuole dirgli: "pensa per te, fatti i fatti tuoi! non impicciarti degli altri, non preoccuparti della gente! Tu sei uno che può fare cose grandi, falle per te" (o magari, "falle per noi" avrà detto Pietro).
La seconda tentazione: il satana lo porta sul punto più alto del tempio (potete anche immaginarlo, con la fantasia degli antichi), e gli dice: "buttati giù, la gente ti vedrà volare per aria e tutti crederanno in te!" Quello che è importante è apparire, è far bella figura davanti a tutti! Poi se la gente cambia o non cambia che te ne importa. L'importante è che ti vedano, che si stupiscano, che ti applaudano! L'importante è fare segni straordinari. Glielo diranno anche sulla croce: "se sei il figlio di Dio scendi, fallo vedere! Non importa l'amore... sono favole, importa mostrarsi, apparire...
E l'ultima tentazione: "Gli uomini e le cose, tutti i regni della terra, tutto Tu puoi possedere!" È la tentazione del potere, del possesso...
Gesù ha saputo dire il suo "no" ed è stato fedele fino in fondo! E noi? Quante volte ci siamo fatti i fatti nostri e non ci siamo preoccupati degli altri? Quante volte abbiamo pensato solo a noi stessi? Quante volte abbiamo vissuto solo per apparire, per farci vedere, per far carriera, per passare avanti agli altri? Quante volte abbiamo cercato di dominare gli uomini e le cose? Quante volte siamo stati ingiusti con gli altri? Quante volte abbiamo cercato di mettere gli altri a al nostro servizio? Anche in casa, con le persone a cui vogliamo bene: con i genitori, con i figli, col marito o la moglie? Quante volte abbiamo badato più alla nostra tranquillità che all'attenzione, alla tenerezza, all'amore verso gli altri?
Ecco, vi lascerei un attimo di silenzio per pensare e poi vi inviterei a rinnovare (prepariamo così pian piano, la Pasqua) le rinunce del Battesimo.
Gli antichi, in qualche comunità (era una scena molto suggestiva, ma noi non siamo più capaci di fare segni!) si voltavano tutti verso occidente, la dove tramonta il sole, dove comincia la notte quando il sole sparisce e stendendo le mani dicevano: "Via la tenebra, via la notte, via il male, via l'egoismo! Rinuncio!" Noi siamo gente acculturata, incapace di fare segni, ma il nostro "no", il nostro giuramento, possiamo tentare di farlo. Uno che segue Gesù è uno che, nel posto dove lavora, in famiglia, tra la gente con cui vive ogni giorno, tenta di dire il suo "no" all'ingiustizia, all'egoismo, al male. Io dirò parole generiche che valgano un po' per tutti, ma è importante che ciascuno di noi, io per primo, cerchi il proprio male, quello che è urgente allontanare dalla propria vita: ciascuno da noi ha qualcosa di particolare da cambiare per arrivare a Pasqua rinnovati e più simili a Gesù, testimoni più veri del battesimo.
Qualche attimo di silenzio dunque, poi rinunceremo al male e poi ciascuno di noi riceverà il segno della cenere e l'invito personale del Vangelo "Convertiti!" Tu, io, ciascuno di noi, non possiamo aspettare che si convertano gli altri, occorre che rinunciamo al male e camminiamo verso la luce che è Gesù.
1990
Domenica scorsa abbiamo cominciato a rivivere il nostro Battesimo, abbiamo ripetuto per tre volte "Rinuncio", come avevano detto per noi i nostri genitori o padrini, abbiamo ripetuto il nostro "no" a tutto quello che c'è di negativo, intorno a noi e dentro di noi. Desiderosi di rivivere la Pasqua, tentiamo di fare un cammino che ci allontani dal male che ha ripercussioni dentro di noi.
Ma oggi dobbiamo anche riflettere su quello che è positivo, non basta dire "no" a qualche cosa, bisogna dire "sì" a qualche cosa. Essere cristiani non è solo prendere coscienza che c'è qualcosa di male dentro di sé, ma è anche cercare e scoprire qualcosa della luce di Dio. Anche noi, come Abramo, dobbiamo metterci in cammino, pellegrini dell'Assoluto, pellegrini della Luce, mendicanti della Verità, bisognosi del senso della vita, alla ricerca dei valori autentici che ci sono nel vivere di ogni giorno, dentro il tessuto della vita. Come Abramo, il cristiano è un uomo che va cercando Dio, cercando la luce, l'amore, la verità, i valori autentici, l'Assoluto.
Gli apostoli avevano fatto questa esperienza: in Gesù avevano toccato con mano la luce di Dio, la tenerezza, la bontà, la giustizia più vera. Ma poi andavano facendo un'esperienza sconvolgente: tutto sembrava finire, la gente cominciava a non ascoltarli più, le parole di Gesù sembravano un'illusione, anche nel loro cuore nascevano tanti dubbi, tante tentazioni: "ma chi ce lo fa fare? Val la pena perdonare, riconciliarsi, camminare insieme, continuare a cercare anche quando si è stanchi, anche quando la gente ti dice che sei scemo?" I discepoli passavano momenti di delusione e chissà, forse, perché era uomo come noi, li avrà passati anche Gesù, per questo sentiva il bisogno qualche volta di andare sul monte.
Una volta ha portato anche i suoi discepoli, anche loro sono saliti in cima alla montagna e chissà cosa è accaduto, se ci raccontano di aver visto Gesù come trasfigurato, avvolto dalla luce. Certo è stata un'esperienza straordinaria che fa gridare a Pietro: "Signore, è bello, fermiamoci qui, facciamo tre tende!" Poi tutto sembra sparire e Gesù li invita a camminare, a tornare in mezzo alla gente.
Noi siamo qui, stasera, riuniti intorno alla tavola, possiamo immaginare di essere sul monte, di essere con Gesù trasfigurato, tra poco io vi inviterò a rinnovare la professione di fede, a dire che ci crediamo, che crediamo nei valori di Gesù, che vogliamo continuare a cercare, a credere, a sperare, ad amare. Se c'è qualcuno tra noi, che si sente stanco, che si è sentito qualche volta un po' deluso da Dio, dalla verità di Gesù a causa del male che c'è nel mondo... vi inviterei quasi ad alzare la mano. Lo siamo un po' tutti, stanchi. Qualche volta ci capita di dire: "Chi ce lo fa fare? Val la pena di credere?" Qualche volta ci guardiamo negli occhi e ci diciamo: "Ma è vero che Gesù ha ragione? È vero che l'amore è più forte della morte, che il bene è più forte del male, è vero che..." Abbiamo bisogno della luce dello Spirito, perché Gesù riprenda evidenza per noi, abbiamo bisogno di ritrovare la certezza della nostra fede, il coraggio di continuare a cercare la Luce , la voglia di tornare in mezzo alla gente per essere testimoni di bontà, di tenerezza, di amore, di valori autentici.
Vi invito, ora, a professare la fede: Vedete, ogni volta che lo facciamo e un po' come salire sul Tabor anche noi, è un voler dire a Gesù: "Si, io credo in Te, credo nei tuoi valori, voglio camminare con Te, voglio dire il mio "si" a tutto quello che c'è di bello, di positivo nel mondo. Voglio continuare ad essere un testimone della luce, un appassionato pellegrino dell'Assoluto e dell'Infinito".
1987
Anche il Vangelo che abbiamo letto stasera comincia con la frase solita: "In quel tempo Gesù...". Se voi, a casa, prendete il Vangelo potete osservare che c'è scritto: "sei giorni dopo, Gesù..." Noi non abbiamo letto quello che è accaduto prima, ecco perché chi ha scelto queste pagine ha sostituito quel "sei giorni dopo". Ma cos'era accaduto sei giorni prima? Un fatto molto importante nel Vangelo: il riconoscimento di Gesù da parte di Pietro. Tutti ricordate l'episodio: Gesù, a Cesarea di Filippo, chiede ai discepoli: "chi sono io per voi?" e Pietro risponde: "Tu sei il Signore". Allora Gesù può cominciare a parlare con chiarezza: "Chi vuol venire con me, smetta di pensare a se stesso e mi segua! Chi pensa di salvare la propria vita, la perderà...". E può cominciare a parlare del suo viaggio a Gerusalemme. A Pietro che gli dice: "Non sia mai Signore!" risponde con durezza: "Sta lontano da me, satana, tu non pensi come Dio, ma come gli uomini!" Ecco, sei giorni dopo tutto questo, vanno sul monte e Pietro e gli altri vedono Gesù trasfigurato, quasi un anticipo della Risurrezione e ascoltano la voce : "Questi è il mio figlio prediletto, ascoltatelo!"
C'è la luce, c'è tutto! Pietro esclama: "Fermiamoci qui, facciamo le tende, fermiamoci!" E subito tutto scompare: e non videro più nessuno se non Gesù, "solo". Strano che sembri ormai ai discepoli "nessuno". Non videro più nessuno, c'era solo Gesù!
E con Gesù bisogna cominciare a scendere: non si può rimanere sulla montagna. Sulla montagna si va per rendersi conto che Lui è il Signore, che lui ha veramente ragione. Si va per ascoltare la voce del Padre: "Questi è il mio figlio, ascoltatelo!" Ma poi bisogna camminare. E Gesù può sembrare "nessuno", si ha l'impressione di rimanere soli.
Vedete fratelli noi siamo qui stasera, seduti tranquillamente: é facile riconoscere che Gesù ha ragione, è facile credere in Lui. Io vi domanderò tra poco (vogliamo rinnovare la professione di fede del nostro Battesimo): "Credete in Gesù? Credete nel suo amore, nel suo progetto? Credete nella sua libertà, nella sua giustizia?" E voi risponderete: "Sì, ci credo", e ci credete col cuore. Queste parole, qui, ci sembrano vere, ci sembrano autentiche, ci sembrano le parole della nostra vita. Ah, ma poi quando andate sul posto di lavoro, vi guardate intorno e dite: "Cos'è l'amore qui? Tutti qui cercano di farsi le scarpe, di andare un passo avanti agli altri, qui l'uno parla male dell'altro, qui si è come in guerra..." Ci guardiamo in giro per il mondo: cos'è il perdono, la libertà, la giustizia? Sembrano parole vuote! Allora tutti noi, io per primo, siamo tentati di dire: Fermiamoci qui, si sta bene, tutte le parole sembrano vere, possiamo pensare che il mondo sia così! E non vediamo più niente se non Gesù "solo" e ci piglia per mano e ci dice: "Scendiamo là, in mezzo alla gente, è nella vita di tutti i giorni che si manifesta la fede". È là, nel posto di lavoro, a casa, con la gente che ci abita accanto, con gli amici... che noi dobbiamo essere capaci di testimoniare la nostra fede in Gesù, nella sua vita, nel suo amore. Vivere il Battesimo è testimoniare il nostro "sì" a Gesù, e non nel guscio delle nostre chiese o delle nostre famiglie, non sulle nostre "montagne", ma nella vita di tutti i giorni, in mezzo alla gente, quando Gesù ci sembrerà "nessuno", quando ci verrà il dubbio: "ma ha veramente ragione, è veramente Lui il Signore?" Vi lascio un attimo di silenzio perché ciascuno di noi si domandi: "Cosa credo io? Sono convinto che Gesù ha ragione? Cosa posso fare per testimoniare Gesù, per rendere concreti i suoi valori, con chi mi incontra ogni giorno?" Poi vi inviterò a rinnovare il "sì" del Battesimo, il "credo" che allora qualcuno ha detto per noi, convinti, come siamo che non basta dire la nostra fede qui, in Chiesa, è ogni giorno che dobbiamo credere che Lui ha ragione, che l'amore, la giustizia, la verità, la libertà, sono veramente il fondamento della vita.
Lui ci aiuti a farlo.
1990
Prima che, soltanto da due o tre giorni a questa parte (e gli uomini non dicano parolacce) la sete diventasse sete di benzina, c'era sete di acqua: tutte le volte che accendevamo la radio o la TV sentivamo dire: "non c'è acqua, i campi sono secchi, si rischia di non bere più, in molte regioni già si raziona l'acqua". Ci stiamo cominciando ad accorgere che l'acqua è un bene prezioso. I nostri padri lo sapevano, qui c'è ancora qualche signora che quando era ragazzina, andava, con la cocolla sulla testa, a prendere l'acqua alla fonte con la grande brocca, come la donna del Vangelo di oggi.
Più d'uno tra voi ha vissuto in una casa dove non c'era l'acqua corrente, adesso per i nostri ragazzi, l'acqua è una cosa del tutto normale, tanto che se qualcuno gli dicesse (almeno qui a Roma dove per merito dei romani antichi, forse non dei moderni, siamo abituati bene) che l'acqua ci sarà un giorno sì e l'altro no, penserebbero di essere arrivati ormai vigilia della fine del mondo. L'acqua è per gli uomini che vivono, come i primi cristiani, vicino al deserto il bene più prezioso: senz'acqua non c'è vita. Molti di voi avranno fatto qualche volta l'esperienza della sete, quando non si riesce a pensare ad altro che all'acqua...
Anche la donna del Vangelo di oggi conosce la sete e viene ogni giorno a cercare l'acqua e incontra Gesù che le chiede: "dammi da bere" e poi comincia a parlarle di un'acqua diversa che solo Lui può dare.
C'è una sete più profonda, una sete che viene dal cuore, una sete di vita: Questa donna ha vissuto tra tanti amori, ha avuto sette mariti probabilmente si porta dentro un desiderio di pace, di tenerezza, di amore vero, un desiderio di vita, di senso, di valori autentici.
All'inizio non capisce, pensa che Gesù sia un mago, più grande di Abramo, poi intravede che ha davanti una persona straordinaria, Uno che può saziare la sua sete profonda: sete di verità, sete di libertà e autenticità, sete di vita che abbia un senso, sete di Assoluto.
Gesù è l'acqua che sazia la sete dell'uomo. Essere battezzati significa aver incontrato Cristo, essersi dissetati alla sua acqua viva e quindi diventare per chi sta intorno testimoni di vita, di valori, di speranza.
A volte qualcuno ha l'impressione che essere cristiani sia seguire una serie di regole, una serie di precetti, di leggi e di tradizioni. Essere cristiani è come l'uomo che ha camminato nel deserto e, finalmente, trova un ruscello di acqua fresca e può bere a sazietà, colmare la sua sete.
Essere cristiani in questo mondo in cui si sentono tante parole di violenza, di morte, di ingiustizia, di sopraffazione, è scoprire Uno che non parla a vanvera, ma che vive sul serio l'amore, la tenerezza, la condivisione: È scoprire Dio che cammina con noi, e il perdono, la vita che si rinnova, la speranza, la gioia.
Essere cristiani è fare questa esperienza di Gesù e essere capaci almeno un po' di testimoniarla in giro.
Noi siamo povera gente, per questo ogni Quaresima torniamo al fonte battesimale. Adesso farò scorrere l'acqua del nostro fonte (è sempre bello il rumore dell'acqua che scorre e noi abbiamo la fortuna di avere un fonte proprio qui in mezzo alla Chiesa) e poi vedete qui sull'altare abbiamo delle piccole ciotole e qualcuno attingerà l'acqua e ve la porterà: è un segno! (Qualcuno ricorderà un tempo alle porte della Chiesa c'era una piccola vasca: da noi non c'è Qualcuno domanda il perché: ecco il perché: noi abbiamo il fonte in mezzo alla chiesa. Qualcuno pensava a quell'acqua come ad una cosa magica era il ricordo del Battesimo). Un segno del Battesimo, un segno di Cristo: è Lui l'acqua che disseta la nostra vita. Ci segneremo con quest'acqua e chiederemo al Signore di metterci nel cuore sempre più la sete di verità e di giustizia, di autenticità e di vita e di camminare con noi per saziare la nostra sete.
1987
Noi tutti, ormai, a casa, quando vogliamo bere, apriamo il rubinetto ed esce l'acqua. L'acqua per noi è una cosa di tutti i giorni, semplice a provvedersi, quasi non capiamo più (alcuni più giovani non riescono nemmeno a immaginarlo) una casa senza acqua corrente. Qualcuno di voi, forse i più anziani, ricorderanno quando, come la donna del Vangelo, andavano al pozzo, con la grande brocca sulla testa, ad attingere acqua. La fatica per portare a casa ogni giorno l'acqua che serviva per vivere, per lavarsi, per cucinare, ma soprattutto per bere. Qualcuno di voi, forse, ha fatto qualche volta l'esperienza della sete. A me qualche volta capita, andando in montagna per una gita, di scordare la borraccia dell'acqua. Si va avanti lo stesso, si suda camminando e, specialmente d'estate, viene una gran sete e se alla fine ti capita di trovare una fonte, l'acqua fresca di montagna, ti butti a bere con tutta l'ansia di chi ha veramente sete. Allora capisci cos'è l'acqua per chi non ce l'ha facilmente.
Ai primi cristiani capitava spesso, specialmente a quelli di Palestina (siamo vicini al deserto: in molti paesi c'era soltanto il pozzo)di avere acqua stagnante, cattiva, com'è, a volte, l'acqua di pozzo. Il sogno era avere l'acqua viva e zampillante di un ruscello, l'acqua che disseta, che serve a far nascere la verdura, i fiori, gli alberi. Dove c'è acqua, c'è la vita. Capite allora che per loro il segno dell'acqua, nel Battesimo, era un segno vivo che rimaneva profondamente impresso. Ma mentre si preparavano al Battesimo leggevano con attenzione il vangelo di oggi: la parola di Dio dava al segno dell'acqua il suo vero senso, qualcosa che va al di là della sete del corpo.
La donna si ferma accanto al pozzo e incontra Gesù che gli chiede dell'acqua e poi propone Lui di darle da bere, e la donna pensa: "come può darmi da bere, non ha corda né secchio per prendere l'acqua?" Poi, pian piano, si accorge che Gesù le sta proponendo un'acqua viva, un'acqua per l'eternità, un'acqua che colma la sete per sempre.
Il giorno del nostro Battesimo tutti noi siamo passati nell'acqua: era il segno dell'incontro con Gesù, dell'incontro con Chi viene a saziare, non la sete del corpo, ma la sete del cuore, la sete di vita, la sete del senso ultimo del nostro esistere, del nostro camminare sulla terra. Sete di valori, sete di significato, sete di libertà, sete di autenticità.
Testimoniamo, qualche volta, di esserci saziati all'acqua che è Cristo? A volte sentendo parlare dei cristiani, mi sembra che l'incontro con Cristo sia ridotto a una legge, a delle tradizioni, a dei riti da osservare. Come è possibile incontrare dei cristiani tristi, sfiduciati, che non hanno il senso vivo della libertà, che non sanno sperare? I primi cristiani sapevano testimoniare che nel Battesimo avevano incontrato Gesù, come una sorgente di acqua viva, fresca, che disseta la vita, che sazia la sete, sete di vivere, sete di sperare, sete di essere liberi, di credere in qualcosa, sete di avere il senso della vita.
La cosa che più mi ha pesato nella mia vita di prete era accorgermi che nell'incontrare qualcuno, in parrocchia, a scuola, non riuscivo a far sentire almeno un fremito di vita, di speranza, di gioia. Che Gesù testimonio? mi domandavo. Come può questa persona immaginare che sono stato dissetato da un'acqua che colma ogni sete, che fa zampillare la vita. Come può la gente, se mi vede triste, stanco, sfiduciato, se non mi sente libero, se vede che non ho speranza, sapere che ho incontrato Cristo?
Vedete a volte pensiamo (c'è qualcuno che lo insegna anche!) che essere cristiani significa osservare delle leggi, compiere degli adempimenti, non fare certe cose: esser cristiani significa aver bevuto l'acqua che da senso alla vita, aver incontrato Cristo che ti fa libero, ti da speranza, di da il gusto della vita, la voglia di camminare, il coraggio di guardare avanti, la capacità di voler bene.
Vi propongo ora di andare all'acqua del Battesimo. Vedete, noi abbiamo la fortuna di aver un fonte battesimale forse non tanto bello ma, da cui scorre acqua corrente e viva. Immaginate ora di aver sete, riandate a quei momenti in cui avete fatto esperienza forte della sete, ora apriremo l'acqua e ci bagneremo: un segno del nostro incontro con Gesù: è lui che sazia la nostra sete, è Lui come una fontana zampillante a cui possiamo dissetarci, bere l'acqua della vita. Allora invocheremo il Signore e gli chiederemo che ci faccia testimoni dell'acqua del nostro Battesimo.
1990
Il Vangelo, lo avrete notato tutti, è pieno di ciechi. Ce ne sono seduti lungo il bordo della strada, che gridano verso Gesù: "Signore fa' che io veda!" Tanti ciechi che riacquistano la vista nell'incontro con Gesù. Evidentemente i primi cristiani, Pietro, Andrea, Giovanni, gli altri, quelli della prima generazione, esprimevano la loro esperienza di Gesù, proprio attraverso il simbolo della luce.
Forse anche qualcuno di voi, quando era piccolo, avrà provato qualche volta a chiudere gli occhi, magari anche a fare qualche passo nella stanza, per vedere cosa si prova ad essere ciechi, e poi, magari con un brivido di paura, avete subito riaperto gli occhi e guardato verso la luce, verso il sole. Non vedere più, rimanere all'oscuro! I primi cristiani dicevano: "Ecco, questa è l'esperienza che abbiamo fatto noi, eravamo come ciechi, non vedevamo, non capivamo il senso del mondo, i valori veri non sapevamo quali fossero, poi abbiamo avuto la fortuna di incontrare Gesù e Lui ci ha aperto gli occhi, ci ha fatto vedere uomini e cose in una luce nuova, ci ha portato il "lieto annunzio" di Dio, del suo perdono, della sua vita, ci ha fatto scoprire che eravamo fratelli, ci ha fatto riconoscere in chi cammina con noi, un amico, ci ha fatto sentire, tutti, figli di Dio.
È un'esperienza che abbiamo fatto anche noi. Non ci siamo convertiti da grandi come i primi cristiani, eravamo piccini quando il papà e la mamma hanno cominciato a parlarci di Gesù, a raccontarci qualche episodio del Vangelo.
Non so se tutti voi avete avuto la fortuna che ho avuto io - l'altro giorno me lo confermava una persona con cui ho parlato a lungo - per me, per questa persona, l'incontro con Gesù è stato come un aprire gli occhi, una luce, non venuta all'improvviso, ma che si è accesa, pian piano, per tutta la vita.
Diceva questa persona: "Ogni volta che apro il Vangelo, ogni volta che leggiamo insieme una pagina, mi accorgo di vedere qualcosa di nuovo, di scoprire un aspetto nuovo di Dio, di Gesù, della vita. Non c'è mai stata una volta che ho aperto il Vangelo senza sentire una parola, che dà più luce alla mia vita, che la rende più bella e luminosa". Forse è esagerato, dire "ogni volta che prende il vangelo", ma certo e io posso testimoniarlo, Gesù tante volte ha illuminato la mia vita.
Il giorno del Battesimo hanno consegnato anche a me, come a tutti voi, una candela accesa e mi hanno detto: "Ecco, cammina nella luce di Gesù, non solo, ma sii anche tu luce per gli altri".
Dice Gesù, nel Vangelo: "Non si prende una lucerna per metterla sotto il secchio, non si nasconde la candela, ma deve far luce a tutti quelli che sono nella casa. La vostra luce risplenda davanti agli uomini".
Così dovrebbe risplendere la mia luce, come prete, come parroco - son messo addirittura accanto a questo facsimile del cero di Pasqua - ma anche voi come genitori, come fratelli o amici, avete il compito di essere luce per gli altri!
E qualche volta, lo sapete, capita a me, ma penso succeda anche a voi: la nostra luce è come un lucignolo che fumiga, sembra quasi che stia lì lì per spegnersi. A volte facciamo fatica a credere a riconoscere i valori di Gesù, ad aprire gli occhi, a vedere il mondo nella sua luce. Ma per fortuna abbiamo un Maestro che non spegne mai il lucignolo che fumiga, anzi ci da coraggio, ci da speranza, illumina la nostra vita, e anche stasera vuol farlo.
Gridiamo a lui, come il cieco del Vangelo: " Signore fa che io ci veda, fa che faccia esperienza della tua luce, fa che possiamo essere per chi ci sta accanto, per i figli, gli amici, per chi lavora con noi, una luce, una luce di generosità, di onestà, di tenerezza, di amicizia, di valori veri, di bellezza, di amore: una luce come lo sei stato Tu per noi". Facciamo insieme questa preghiera al Signore nel nostro cuore!
Ora accendo questa Luce, simile al cero di Pasqua, e poi davanti a questo segno di Gesù, leggeremo un'antica preghiera che risale ai primi tempi della Chiesa:
A Te rivolgiamo il nostro grazie, o Cristo.
Parola di Dio, luce vera che illumina ogni uomo,
Dispensatore dello Spirito,
Tu hai dissolto l'oscurità,
e hai fatto brillare la luce,
dalla confusa materia hai fatto sorgere l'ordine, la bellezza del mondo.
All'uomo Tu doni la saggezza e la luce dell'intelletto,
perché in ogni cosa di questo mondo l'uomo scopra i raggi del tuo splendore,
e divenga lui stesso, e ognuno di noi, luce per i fratelli.
Per questo noi ti preghiamo, Signore Gesù,
nostra luce, che vivi nei secoli dei secoli.
1987
I primi cristiani sentivano con forza (faceva parte della loro esperienza) la frase che abbiamo ascoltato all'inizio della lettera di Paolo agli Efesini: "voi un tempo eravate tenebra, ma ora siete luce nel Signore". Era l'esperienza della loro vita, del loro incontro con Gesù. Un tempo, quando erano pagani, credevano che le cose importanti della vita fossero arricchirsi, diventare importanti, sopraffare gli altri: erano cresciuti nella violenza, nella corsa ad avere sempre di più. Queste erano le cose che contavano.
E, ad un certo punto della loro vita, avevano scoperto in Gesù la luce e - come avete sentito da Paolo - i suoi frutti: ogni bontà, ogni giustizia, ogni verità. Avevano scoperto in Gesù che i valori per cui è bello vivere, per cui la vita vale, non erano soltanto l'arricchire, il diventare importanti. Avevano sperimentato che non è la violenza, lo forza, ciò che da senso alla vita. Avevano scoperto in Gesù, un altro modo di vivere, altri valori.
Quando nella notte di Pasqua, al momento del Battesimo, ricevevano una candela accesa e si avviavano verso il fonte Battesimale, sentivano che Gesù aveva veramente illuminato la loro vita. Nella preparazione di quella notte, leggevano questa pagina del vangelo e si riconoscevano nel cieco, seduto lungo la strada, a cui Gesù aveva aperto gli occhi. E quando arrivati al fonte battesimale, si immergevano nell'acqua, sentivano ripercuotersi nel loro cuore, le parole del Vangelo: "Andò si lavò e tornò che ci vedeva". I primi cristiani si guardavano intorno e il mondo lo vedevano sotto un'altra luce: le cose che prima contavano ora non contavano più. Le cose che prima sembravano sciocchezze, ora diventavano vere. Avendo incontrato Gesù potevano credere nell'amore, nella generosità, nell'impegno, nel dono di se, nella vita condivisa, sul serio, con gli altri. E su questa strada si incamminavano: ormai il mondo era diverso, non è che cambiasse qualcosa intorno a loro, le cose rimanevano più o meno le stesse, ma ormai le vedevano con occhi nuovi.
Qualcuno di voi, forse, ricorderà di aver visto un film di Fellini, il Satiricon: si svolgeva tutto di notte, le scene erano giocate su colori scuri, terrosi, parlava di un mondo in dissoluzione, in cui la gente pensava solo ad arricchire, a mangiare, ad apparire. Finiva con una tragica scena in cui tutti gli invitati alla festa mangiavano il cadavere del padrone, che aveva lasciato loro l'eredità a condizione che si mangiassero il suo cadavere. Una scena terribile: l'uomo, la vita che si nutre di morte.
E il film finiva con una scena in cui dei giovani partivano verso un'Africa lontana. Ricordo ancora vivamente, anche se è passato molto tempo, l'impressione che ci fece quando discutevamo queste cose in un gruppo di universitari. Ci guardavamo negli occhi e ci dicevamo: "Un'Africa lontana non esiste, l'unico mondo è qui". E uno di loro disse: "Vedete, Gesù ci prende per mano e ci riconduce là, in quel mondo di morte, in quel mondo di tenebre, di buio, per accendere per noi la luce, perché siamo capaci di guardare uomini e cose in maniera diversa. Perché impariamo a non nutrici più di violenza, di sopraffazione, di morte, ma perché sappiamo credere alla vita: questa è la luce che ci ha dato Gesù".
Quella volta, per bocca di quel ragazzo, ho capito un po' di più che cosa significa essere cristiano. Lasciarsi prendere per mano da Gesù, lasciarsi riportare dentro questo nostro mondo, il mondo che vedete ogni sera alla TV, il mondo che, a volte, ci sentiamo intorno, un mondo in cui non sembra esserci pace, un mondo in cui c'è violenza, disonestà, arrivismo, in cui sembra che ognuno pensi per sé: lasciare che là Gesù accenda la sua luce, scoprire in Lui che vivere è un'altra cosa, scoprire che c'è una speranza nuova, vedere valori diversi e renderli concreti, vivibili, per sé e per gli altri.
Sul cartello, preparato per i ragazzi, c'è ancora la domanda: "Quale vita battesimale testimoniamo?" Possiamo domandarcelo tutti. Qui ci sono genitori, nonni: che luce testimoniamo alla gente che cresce? Un figlio, un nipote che osserva il nostro modo di lavorare: che luce trova? Trova un riflesso della generosità, dell'impegno, della giustizia, della verità? Può intravedere che io sono passato dalle tenebre alla luce? "Un tempo eravate tenebre, ora siete luce nel Signore" dice Paolo: Gesù ci ha veramente illuminato? Chi ci sta intorno si accorge di questo?
Vi inviterei a fare un momento di silenzio, a chiudere gli occhi, per fare per un attimo esperienza del buio, poi li riapriamo dicendo: "Sono andato, mi sono lavato e ci vedo". In me l'incontro con Gesù ha portato la luce? La testimonio, almeno un po' a chi cammina con me? Chi mi incontra vede in me qualcosa della speranza, della giustizia, dell'amore, della tenerezza, di tutto ciò che è bello e che illumina la vita?
Qualche istante di silenzio per metterci davanti al Signore e per far nostra la preghiera del cieco: "Signore, fa che io ci veda"
1990
I cristiani di tutti i tempi hanno sentito, qualche volta, dentro di loro come un grido di fronte a questa pagina del Vangelo. Perché Lazzaro sì, e mio marito, mio figlio, un altro, no? Ma era solo il grido della disperazione, del dolore, che a più d'uno di voi sarà capitato di ascoltare dentro di sé, o intorno a sé. Quando un cristiano riflette su ciò che è la vita, non legge mai questa pagina del Vangelo così, non la legge mai come la possibilità che il sepolcro di una persona cara, di una persona morta ingiustamente - com'è sempre quando muore un giovane, un ragazzo, una persona a cui si vuol bene - si apra.
I cristiani hanno sempre visto in questo racconto il simbolo di qualche altra cosa, di qualcosa che non riguarda solo il momento del dolore, della disgrazia, ma la vita di ogni giorno. I primi cristiani dicevano che era il Battesimo, il loro passaggio dalla morte alla vita. Il coraggio di fare una scelta: la scelta di vivere non per ciò che è male, che è morte, che sciupa la vita, ma per tutto quello che rende la vita bella, ricca, gioiosa. I primi cristiani dicevano: "Noi abbiamo conosciuto Gesù, abbiamo scelto di camminare con Lui".
Camminare con Gesù significa lasciare dietro le spalle, dall'altra parte dell'acqua, attraverso cui siamo passati il giorno del nostro Battesimo, tutti i nostri "Egitti", tutto ciò che è male, tutto ciò che rovina la vita. La vita si sciupa con la violenza, con l'intolleranza, con la menzogna, con la disonestà, con tutto ciò che fa soffrire chi vive con noi.
Noi siamo, dal giorno del nostro Battesimo, consegnati alla vita, al bene, alla libertà. Noi è come se fossimo nati un'altra volta nell'acqua del Battesimo, nati come figli veri di Dio, nati per compiere la Sua volontà, per seguire Gesù.
I primi cristiani, spesso, sceglievano come nome nuovo del Battesimo: Renato, un nome che non esisteva prima che loro avevano inventato per esprimere l'idea che il battezzato è nato un'altra volta, nato come Figlio di Dio.
Qualcuno domanderà: "Ma non siamo già prima figli di Dio? Non è ogni uomo un figlio di Dio?". È giustissimo questo! Ogni uomo, ogni bambino che nasce, in qualunque parte della terra, bianco o nero, giallo, ricco, povero, sano, malato, handicappato: tutti sono figli di Dio. Dio vuole bene a tutti allo stesso modo.
Allora, che senso ha dire che nel Battesimo noi siamo figli di Dio?
Vedete, prima di tutto ha il senso di un riconoscimento, di una celebrazione: noi riconosciamo, noi affermiamo che siamo figli di Dio, tutti. Per ogni uomo, per ogni bambino che nasce, ha senso riconoscere l'amore del Padre, la tenerezza di Dio, che ci vuol bene, che ci chiama alla vita, che ci dona il Suo Spirito: lo dona ad ogni uomo.
E, poi, il senso di una scelta: la scelta di vivere come figlio, di cercare la volontà del Padre, la libertà di Dio, il suo amore, la sua vita.
Essere battezzati significa, dunque: riconoscere (e qui lo stiamo facendo tutti insieme) che Dio ci vuole bene, a tutti, che ci ha chiamati alla vita, ad una vita ricca, piena di amore, di bontà, di tenerezza, di amore, come la vita di Gesù; e scegliere di camminare su questa strada.
Rivivere la Pasqua è per un cristiano rivivere il Battesimo è dirsi, come i primi cristiani dopo esser passati nell'acqua e essersi rivestiti della veste bianca: "Eccoci consegnati alla vita, alla libertà, all'amore: siamo figli adesso! Abbiamo scelto di vivere come vuole Dio, abbiamo scelto di vivere dell'amore di Dio, della sua bontà, della sua libertà, abbiamo scelto di vivere cercando, ogni giorno il suo volto, cercando di seguire Gesù, di riconoscerci fratelli di ogni uomo"
Mi fermo qui, perché queste cose le vivremo ancora nella prossima Pasqua, ancora sceglieremo, ancora chiederemo a Dio di donarci il Suo Spirito, di farci coscienti del nostro essere figli, ancora chiederemo che ci faccia capaci di camminare seguendo Gesù.
1987
Vi ricordate, le domeniche precedenti si trattava dell'acqua e della sete dell'uomo, poi della luce, del cieco che apre gli occhi, della possibilità di vedere. Oggi, alla fine, l'ultimo grande segno del Battesimo, il simbolo più globale e più forte che ci possa essere: La vita. La vita in confronto alla morte.
Era un segno questo che i primi cristiani sentivano profondamente, perché, vedete, loro non venivano battezzati, come noi, da bambini, in una piccola vasca come quella del nostro fonte, ma in una vasca grande come una piscina, in cui potevano entrare e immergersi completamente. Fino a lasciarsi ricoprire completamente, era un po' come entrare nel sepolcro, come se la grande pietra di cui parla il Vangelo calasse su di loro: poi uscivano, si scrollavano via l'acqua e si rivestivano della veste bianca. E ricordavano le parole di Paolo: "Voi siete stati sepolti con Cristo nella morte, per vivere ora una vita nuova". Si sentivano gente passata dalla morte alla vita, gente chiamata alla vita, consegnata alla vita per sempre. Era un'esperienza forte, che li segnava: "Noi nel giorno del Battesimo", dicevano, "abbiamo lasciato dietro di noi tutto quello che è morte. Siamo usciti dal sepolcro, non possiamo ormai che vivere negli spazi della libertà e della vita!" Capite, perché per prepararsi a questo momento così forte, leggevano quello che abbiamo letto anche noi: l'antica parola del profeta: "vi farò uscire dai vostri sepolcri, vi farò ritornare..." e soprattutto il lungo racconto (noi lo abbiamo letto in forma breve, i primi cristiani avevano meno fretta di noi e leggevano tutto il lungo capitolo del Vangelo di Giovanni) in cui si parla di Lazzaro che esce dal sepolcro. Si dicevano: "noi siamo come Lazzaro, Gesù ci chiama ad uscire da tutti i nostri sepolcri, a vivere una vita nuova, la vita dei risorti".
Quali sono i sepolcri che ci stringono, che ci impediscono di vivere? Quali sono le tante pietre che sciupano la nostra vita? Ciascuno di noi se lo domandi con serietà: Che cosa sciupa la mia vita, qual è il sepolcro dal quale Gesù mi chiama ad uscire: la violenza, il rancore, l'incapacità di perdonare, la mancanza di tenerezza e di amore? A volte anche nelle nostre case, con la gente che ci sta intorno.
E intorno a noi quale vita testimoniamo? Siamo riusciti, qualche volta, a dare speranza e fiducia? Quante volte siamo riusciti a tendere le mani perché qualcuno potesse uscire dal sepolcro della sua ignoranza o della sua paura, della sua disperazione?
Molti di noi, forse tutti, abbiamo provato, qualche volta a tendere la mano a chi si sentiva chiuso nel proprio limite, nella propria incapacità di vivere, di essere uomo. C'è chi ha aiutato un ragazzino a studiare, a credere nei valori dello studio, c'è chi ha aiutato un drogato ad uscire da quel tunnel terribile, che porta alla morte, C'è chi ha saputo aiutare uno che non aveva più speranza, che si portava la disperazione nel cuore, a guardarsi intorno a ritrovare il coraggio della vita.
Chiunque ha saputo dare speranza di vita, ha testimoniato il suo Battesimo. Perché, vedete, credere non significa soltanto credere nella vita futura, nel Paradiso. I primi cristiani sentivano fortemente che la nostra fede nel Dio della vita, la nostra fede nella vita che non muore, va testimoniata ogni giorno, in gesti concreti di speranza.
Abbiamo ascoltato nel Vangelo il dialogo tra Gesù e Marta: "Tuo fratello risorgerà". Marta dice: "so che risorgerà nell'ultimo giorno". E Gesù dice: "Io sono la risurrezione e la vita". Adesso, qui, si comincia a vedere qualcosa della fede che tu hai nella vita futura.
Molti di voi sono qui, stasera, come ogni sabato, per far memoria di qualcuno che è morto. Tra poco leggerò il lungo elenco dei morti che vogliamo ricordare insieme. Noi siamo qui perché crediamo che queste persone vivono in Dio, siamo qui per rafforzare questa fede, per confermarci, facendo memoria di loro davanti a Dio, che non sono caduti nella morte, ma che vivono la vita nuova. Ma vedete, se questa è la nostra fede, noi dobbiamo, usciti da questa chiesa, per essere fedeli alla nostra fede, per essere fedeli a chi ci ha dato la vita e che magari abbiamo ricordato qui, testimoniare concretamente la vita, tentare di viverla e farla vivere con pienezza. Non possiamo far memoria di una persona cara che vive presso Dio, e poi andare a casa e conservare il rancore nel cuore, non saper dire una parola di perdono, non saper fare un gesto di tenerezza, non saper dare fiducia ad un amico... perché significa allora che io alla vita non credo più. Essere battezzati significa testimoniare la vita giorno per giorno, nelle cose quotidiane, significa far crescere intorno a sé la speranza, la gioia di vivere, l'amore, la tenerezza, tutto quello che fa sorridere alla vita, tutto quello che rende la vita vivibile.
Non basta per noi prepararci ad una buona morte, non basta aspettare il futuro. Gesù non è venuto per questo, ma per dire a me, a ciascuno di voi: "Coraggio esci dal tuo sepolcro! Coraggio, lascia tutto quello che sciupa la tua vita e testimonia intorno a te la vita: un sorriso, un parola che da fiducia e fa guardare in avanti, la voglia di vivere per te stesso e per gli altri". Allora avrai testimoniato che tu credi sul serio che la vita è più forte della morte, che la speranza è più vera della disperazione, che l'amore è più forte di ogni odio, che il perdono è più forte di ogni male.
Noi siamo qui, perché questa è la nostra fede e con questa fede ci prepariamo a vivere la Pasqua, a gridare la vita a noi stessi e al mondo intero.
Il Signore che ha risuscitato Lazzaro, ci aiuti a farlo.
1990
Oggi in molte chiese del mondo si legge il racconto della Passione e della Morte di Gesù e questo racconto si leggerà ancora venerdì, nel giorno dedicato alla memoria della morte di Gesù. Noi, qualche anno fa, in questa parrocchia, leggendo insieme il Vangelo abbiamo scoperto l'importanza della pagina che abbiamo ascoltato insieme stamattina. È un episodio che viene raccontato in tutti i Vangeli e serve proprio a prendere per mano chi crede e ad introdurlo nel racconto della passione, della morte e della resurrezione di Gesù.
Gesù stesso sembra sottolineare l'importanza di questo piccolo episodio, con una frase che non c'è in nessun'altra parte del Vangelo: "In verità vi dico: dovunque nel mondo sarà annunziato il Vangelo, ci si ricorderà di questa donna e di quello che ha fatto".
Cosa ha fatto di così importante questa donna? In suo gesto non sembra niente di straordinario! Ha versato solo un po' di profumo. Anzi, i discepoli, gente seria e pratica, si lamentano con lei: "Perché tutto questo spreco? Non si poteva vendere il profumo e dare il ricavato ai poveri?" Gesù difende la donna, di più, dice che ciò che lei ha fatto sarà ricordato per sempre.
Noi qualche volta ci ritroviamo dalla parte dei discepoli: siamo gente che bada al pratico, sappiamo il valore delle cose, le cose che contano, magari fatte per i poveri. Non sempre chi fa la carità, chi si dà da fare per gli altri, ha la carità, sa cos'è l'amore: questa donna sì.
Ha le due cose essenziali per saper amare: si accorge dell'altro, sa guardarlo negli occhi, sa rendersi conto che in questo momento chi è veramente povero è Gesù, è Lui che ha bisogno di un gesto di tenerezza, di una carezza, prima di morire. Questa donna, forse proprio perché è donna, sa capire; e quando ha capito, non calcola più. Tutto quello che ha lo da, versa tutto il suo profumo, non ne tiene per sé neanche un po': non calcola più!
Ecco, noi spesso non ci accorgiamo, a volte ci rendiamo conto solo dopo: quella lacrima... non me ne sono nemmeno accorto, perché? Non sappiamo guardare, corriamo, ci diamo da fare, ci preoccupiamo di tante cose, rischiamo, a volte anche in casa, con la moglie, il marito, i figli, di non essere più capaci di guardarci negli occhi, di accorgerci, fino in fondo, dell'altro. A volte, poi, non sappiamo dare gratuitamente, senza far calcoli.
Per seguire Gesù bisogna avere, almeno un po', il cuore come questa donna: un cuore capace di accorgersi e di donare. Per capire Gesù, per arrivare con Lui fino alla croce, fino al dono totale, dobbiamo chiedere aiuto alla donna del Vangelo.
Lasciamoci prendere per mano, lasciamo che il Signore ci cambi il cuore, che lo renda simile al cuore di questa donna: un cuore che sa amare sul serio, che sa riconoscere e poi non calcola più.
1987
Si usa, in genere, proseguire la lettura del Vangelo che abbiamo ascoltato stasera: subito dopo c'è il grande racconto della Passione e della Morte di Gesù. Ma questo racconto lo leggeremo, come in tutte le chiese, il Venerdì Santo e spero che tutti voi, o almeno la maggior parte di voi, potrà essere qui, per celebrare insieme la Passione e la Morte di Gesù. Se qualcuno non potrà essere presente non dimentichi di leggere in quel giorno, magari alla sera, dopo il lavoro, il racconto della Passione di Gesù, per essere unito a tutti i cristiani nel ricordo di quegli avvenimenti fondamentali per la nostra fede.
Noi da qualche anno pensiamo di fermarci qui, leggiamo all'inizio della settimana santa solo l'introduzione al racconto della passione, anche per essere fedeli alle parole di Gesù, che abbiamo ora ascoltato insieme e che ci hanno molto colpito: "In verità vi dico, dovunque sarà predicato il Vangelo, ci si ricorderà di questa donna e di quello che ha fatto". Queste Parole, uniche nel Vangelo e così solenni, di Gesù ci hanno sempre colpito leggendo insieme il Vangelo, tanto che senza correre subito a leggere il racconto della Passione e delle Morte ci domandavamo: "Cosa ha fatto di tanto importante questa donna, perché ci si ricordi sempre di lei e del suo gesto?" Poi ci è sembrato di capire che questa donna è messa lì proprio per introdurci a seguire Gesù negli ultimi momenti della sua vita, questa donna ci indica qual è la disponibilità che ci occorre per andare dietro Gesù, per capire ciò che ha fatto, il suo coraggio di andare fino in fondo.
I discepoli non riescono, ma lei, forse, proprio perché è donna, si accorge che in quel momento, il più piccolo, il più povero in mezzo a loro è proprio Gesù: è Lui che ha bisogno di un gesto di tenerezza, di attenzione. "I poveri li avrete sempre con voi, non sempre avrete me!" Questa donna sa vedere, sa capire, sa riconoscere in Gesù l'uomo che ha paura di affrontare la morte, che si sente angosciato da ciò che sta per accadere, che sente intorno a sé l'ostilità, l'odio, della gente, dei capi, che lo porterà fino alla croce. Sa vedere, sa accorgersi e poi sa donare senza far calcoli: va, prende il suo vaso pieno di prezioso profumo e lo spacca, per fare un gesto di tenerezza verso Gesù. Nel Vangelo di Marco si dice che il vaso vale addirittura trecento denari (oggi sarebbero parecchi milioni), forse è un'esagerazione, ma Marco vuol contrapporre ai trenta denari di Giuda, il prezzo del tradimento, i trecento denari dell'amore gratuito.
Ecco la grandezza di questa donna: sa accorgersi che Gesù ha bisogno di un momento di tenerezza, sa riconoscere in Lui il povero, il piccolo e sa donare senza far calcoli, non tiene conto di ciò che ha tra le mani, spacca il suo vaso e versa il profumo sulla testa di Gesù.
Ecco, questo è l'amore che può portarci a seguire Gesù, a seguirlo fin sotto la Croce, per essere poi capaci, anche noi, di offrire un po' del nostro profumo a chi ci vive accanto, ha chi ha una lacrima sugli occhi, a chi è anziano, a chi si sente solo, a chi è malato. Ci costerà forse un po' spaccare il nostro vaso, ma per seguire Gesù occorre avere questo amore nel cuore: un amore che sa accorgersi, che sa vedere e che sa non far calcoli.
Questa donna ci prende per mano e ci conduce, pian piano, dietro a Gesù, fin lassù, fin sotto la croce, potremo vederlo morire, fedele fino in fondo a me, a ciascuno di noi, ad ogni uomo: è questo che celebreremo in questa settimana.
Lasciamoci prendere per mano da questa donna, invochiamo, in qualche istante di silenzio, lo Spirito perché dia anche a noi un po' di questo amore. Si può essere discepoli di Gesù, si può camminare con Lui se si è almeno un po' come questa donna.
Il Signore cambi anche il nostro cuore.
1987
RICONCILIAZIONE
Prima di sederci a tavola e cominciare a far festa, e non intorno al vitello grasso come succedeva al figlio della parabola, ma intorno a Gesù stesso, che per noi ha inventato di farsi pane, è bene che riviviamo la prima parte della parabola, che Gesù ha raccontato proprio per gente come noi.
Avete ascoltato all'inizio il perché Gesù ha raccontato questa parabola: c'era chi lo criticava perché andava a mangiare con gente poco per bene: siamo noi la gente poco per bene, che il Signore ha invitato alla sua tavola. La tavola è apparecchiata e tra poco cominceremo la grande festa.
Vorrei che tutti sentissimo questo momento come il tempo del ritorno alla casa del Padre. Tutti noi in fondo, se ci guardiamo negli occhi, abbiamo sciupato un po' dell'eredità che il Padre ci ha dato. A tutti noi Dio ha dato una casa, una famiglia, un lavoro, della gente con cui vivere, a tutti noi ha dato un'intelligenza, un cuore, e qualcosa di questo abbiamo sciupato, perché non sempre siamo riusciti a far sì che le cose e le persone intorno a noi fossero più belle, più ricche, più gioiose. Con la nostra disattenzione, con la nostra pigrizia, con la nostra mancanza d'impegno, abbiamo fatto il mondo che ci sta intorno, un po' meno bello di quello che poteva essere, non ci siamo impegnati pienamente sulla via della generosità, dell'amore, della condivisione con gli altri. Allora, anche noi sentiamo il bisogno di ritornare al Padre e di vivere questo momento come l'incontro con la tenerezza di Dio, sentire che Lui ci butta le braccia al collo, e ci invita alla festa.
Non sono io che ve lo dico, l'avete ascoltato dalle parole stesse di Gesù. Immaginiamoci allora in cammino verso la casa del Padre, anche se le nostre mani son vuote, anche se abbiamo sciupato i suoi doni, andiamo per chiedere perdono, non aspettiamo altro che il suo sorriso, che ci doni l'abbraccio che riconcilia, che ci metta di nuovo nel cuore la passione per la vita e per il bene, che ci inviti alla festa e alla gioia.
Tra poco faremo festa, il Signore si farà pane per noi.
CENA DEL SIGNORE
Gesù, come voi ben sapete ha lasciato in questo gesto, ha concentrato in quest'ora il suo testamento per noi, per la sua Chiesa.
Avete ascoltato con quali parole solenni Giovanni ha introdotto questo gesto: "Gesù sapendo che il Padre gli aveva messo tutto nelle mani..." si alzò, prese un asciugamano, se lo mise intorno alla vita e cominciò a lavare i piedi dei discepoli. È veramente sconcertante! E noi, poveri cristiani di tutti i giorni, che tante volte ci raduniamo per la Cena del Signore, facciamo ancora fatica a capire questo gesto di Gesù.
Gesù sa di avere tutto nelle mani, ogni potere del cielo e della terra, sia alza e si mette a lavare i piedi. Vedete, noi da un potente, tutto ci aspettiamo, meno che venga a lavarci i piedi: un gesto di servizio così semplice e umile.
Da Dio, noi ci aspettiamo il miracolo, la potenza, l'apparizione, il gesto straordinario: e Lui si china a lavarci i piedi.
Immaginate fratelli (noi non facciamo qui la cerimonia della lavanda dei piedi, che è più fonte di distrazione che altro), immaginate che Gesù sia in mezzo a noi e che si fermi davanti a ciascuno di noi e si chini a lavarci i piedi.
Ciascuno di noi ha sognato qualche volta di incontrare Gesù e forse a preparato le cose da dire: fammi questa grazia, ho bisogno di questo, cambiami il cuore, porta la pace nel mondo, fammi più buono, fa un segno che mi dimostri che tu sei Dio, che hai tutto nelle mani, rafforza la mia fede... e Lui, ancora, come lo ha fatto per i discepoli, per me, per voi farebbe il gesto di chinarsi a lavarci i piedi.
Qui c'è il ricordo di Lui, la realtà più vera e profonda della Chiesa, non nelle manifestazioni che fanno rumore, di cui a volta ci parlano i giornali o la TV, ma nei gesti semplici di servizio, di ogni giorno. Mi guardo intorno e riconosco in voi la Chiesa, perché in mezzo a noi c'è tanta gente che, semplicemente, seriamente, con cuore disponibile fa, ogni giorno, gesti di amore e di servizio.
C'è chi fa il suo servizio in casa, nei confronti dei figli. C'è chi nel lavoro si impegna con onestà al servizio degli altri. C'è chi non si occupa solo del proprio lavoro e della propria famiglia, ma trova il tempo anche per gli altri. C'è chi va all'ospedale a trovare dei malati che son soli. C'è chi aiuta dei bambini a studiare. Chi va a trovare qualcuno in carcere, chi si occupa degli stranieri, ci si interessa di qualcuno caduto nella droga. Tanta gente che fa tanti piccoli gesti di ogni giorno, perché la propria vita sia a servizio degli altri. Questa è la Chiesa vera, la Chiesa che ci troviamo intorno, la Chiesa di cui raramente si sente parlare alla radio e alla TV. Questa è la Chiesa che stasera celebriamo, facendo memoria di Gesù. La Chiesa non è nelle grandi manifestazioni, nelle riunioni oceaniche, nei gesti clamorosi, nelle apparizioni. La Chiesa non è nella folla: è in mezzo a voi, tra la gente di tutti i giorni, dove qualcuno, con semplicità e gratuità mette un po' della sua vita a servizio degli altri. La Chiesa vera, che abbiamo la fortuna di incontrare ogni giorno, è la Chiesa che si spende per gli altri, che si fa servizio e liberazione, la Chiesa che si fa attenzione per i fratelli, mano tesa, sorriso donato, vita che si risveglia e ricomincia.
Questa è la Chiesa in cui crediamo e per questo Gesù ha inventato di farsi pane, pane spezzato e donato per noi: per essere modello di vita, per nutrire il nostro amore. Per questo siamo ancora insieme stasera, per questo spezziamo il Pane, ci nutriamo di Lui: per camminare ancora sulla sua strada, per essere ancora la Chiesa di Dio, Chiesa che sa servire, sa condividere la vita.
Ringraziamo insieme il Signore e celebriamo insieme la Cena, la festa che Lui rinnova per noi.
1987
L'alleluja di Pasqua è risuonato con forza nella nostra chiesa, è il grido che esce dal cuore di chi riconosce in Gesù la vittoria, la vita al di là della morte. Noi siamo qui, questa notte, per dirci dal profondo del cuore, con tutta la nostra fede che la vita ha vinto la morte, che l'amore è più grande dell'odio, che il perdono è più forte del peccato. Noi siamo qui per gridare al mondo questa luce, questa forza che viene dalla celebrazione di Pasqua, dal Signore risorto.
Ma ci crediamo sul serio? Crediamo veramente che Gesù non è rimasto nella tomba? Crediamo veramente che Dio ha dato ragione a Lui, alla sua fedeltà, al suo amore? IL Padre non ha dato ragione a coloro che avevano le armi in mano, non ha dato ragione ai potenti che credono nella forza, ha dato ragione a Lui, all'uomo del perdono e della tenerezza, all'uomo della mano tesa, all'uomo della accoglienza e della liberazione. Ci crediamo veramente? Se avessimo fede come un granellino di senape dovremmo uscire da questa chiesa e incendiare il mondo con il fuoco del Suo amore, con la Sua luce.
Noi siamo gente appesantita da tante pene, guardate quel pannello che qualcuno a disegnato in mezzo a noi, con mano felice, là sotto ci siamo, forse, anche noi avviluppati nelle spire di troppe cose che ci impediscono di essere uomini, di essere liberi pienamente, anche noi abbiamo bisogno dell'acqua che ci inondi dall'alto, ci dia ristoro e vita. Abbiamo bisogno veramente che Dio, come diceva il profeta Ezechiele, strappi il cuore di pietra dal nostro petto e ci dia un cuore nuovo, un cuore di carne. Abbiamo bisogno di passare nell'acqua del Battesimo per essere liberati da tutto ciò che sa di morte, da tutto quello che rovina la vita, che sciupa questo nostro mondo, per essere, anche noi, risorti, portatori di vita e di speranza in mezzo alla gente.
Guardate quell'acqua scende da un cielo rosso: il rosso da sempre è il simbolo dei martiri. Non dimentichiamolo, se noi siamo qui è perché qualcuno ha avuto il coraggio di morire sulla croce e, forse, se noi camminiamo ancora per le strade del mondo, è perché qualcuno ha anche oggi il coraggio di morire al nostro posto, di dare la vita nelle tante persecuzioni di questo mondo.
Il rosso è anche il colore dello Spirito: gridiamo, allora, perché dia anche a noi il coraggio di fare il bene, di credere nella vita, non soltanto quando è facile, perché allora lo faremmo tutti, ma anche quando costa sacrificio. Chiediamo a lui la forza per uscire dalle spire della nostra sfiducia, dai nostri scoraggiamenti, dalla paura che tanta gente ci vuol mettere nel cuore. Chiediamo allo Spirito il coraggio della vita, il coraggio della speranza, la forza di camminare, di credere, di credere con tutti noi stessi che l'amore è più forte della morte, è più forte della violenza, della guerra, è più forte della droga, che l'amore è più forte di chi ruba, uccide, sciupa e inquina il mondo. Se noi crediamo veramente a tutto questo, possiamo uscire fuori e portare questo amore alla gente che vive intorno a noi e sentirci rinati e chiamati alla speranza e alla vita.
Questo ci dia la gioia di Pasqua!
Gridiamo tutti insieme allo Spirito che ci inondi della sua acqua, che rinnovi per noi la grazia del Battesimo, che faccia di noi uomini capaci di speranza e di vita, di coraggio e liberazione.
Questo faccia per noi la forza del Signore, questo faccia per noi la festa di Pasqua!
1990
Voi certo conoscete bene questa pagina del Vangelo, l'avrete sentita tante volte, è una delle pagine più note. Tutti più o meno nella nostra vita, ci siamo riconosciuti un po' nell'apostolo Tommaso e nel suo tentativo di credere, nella sua fatica di credere. Tante volte penso, avrete sentito commentare questa pagina, e tante volte domandiamo qual è, dov'è l'incredulità di Tommaso? E in fondo cosa significa credere?
Vi racconto una mia esperienza: forse può aiutare anche voi a capire, o almeno uno spunto di riflessione, perché poi capire queste cose ci vuole una vita e forse non basta. Avete ascoltato la prima lettura? Quella che parla di questa prima comunità cristiana, che era un cuor solo e un'anima sola, che mettevano tutto in comune, che avevano tutti i bene in comune.
Quando io ero giovane, tanto tempo fa', c'era la riscoperta della Scrittura... sono cresciuto, - ma non solo io, anche la mia generazione di sacerdoti, la gente che con me studiava, - nel mito, nella idealizzazione di questa primitiva comunità cristiana. Dicevamo tante volte tra di noi che dovevamo ritornare ai primi tempi della Chiesa, era un po', come posso dire, il luogo comune di quando io studiavo per diventar prete.
Avevamo tutti una grande ammirazione per la bellezza di questa prima comunità cristiana: erano in pochi, pieni di entusiasmo, come dice la Scrittura che abbiamo appena ascoltato "erano un cuor solo, un'anima sola", sapevano mettere tutto in comune.
Voi capirete la mia delusione quando diventato più grande ho scoperto che non era così! Che i primi cristiani erano come noi, se non peggio. Litigavano, c’erano lotte per il potere, correvano per arrivare ai primi posti. E allora mi domandavo "perché?" Che senso ha che continuino a dire che è bello essere un cuor solo, un'anima sola? Che tutti era così, che tutti si affrettavano a vendere le case, i campi per mettere tutto in comune? Non sapevano mettere in comune, quando si radunavano per l'Eucarestia, a quel tempo erano in pochi, nemmeno il proprio fagottello, preparato per la cena, così almeno dice l'apostolo Paolo.
Noi siamo cattivi, però se venissimo con il nostro fagottello, lo metteremo in comune, sapremmo dividerlo almeno un po' (anche perché ne abbiamo assai, eh!) Allora ne avevano poco, e allora ognuno si teneva il fagottello suo e quelli che erano ricchi, come diceva Paolo, mangiavano e si ubriacavano, e quelli che erano poverelli uscivano senza aver mangiato. Paolo dice: "Andate a casa vostra, che venite a fare qua?"
Questi sono peggio di noi! E che contano allora queste favole? Ma vedete, credere è proprio qui. Al di là della sconfitta della vita, al di là delle delusioni sulla strada dell'amore, dello stare insieme, le delusioni che sono, anche e forse prima, le mie, non solo quelle degli altri. Credere significa svegliarsi al mattino e continuare a provare.
Vedete, la Risurrezione non è avvenuta una volta per sempre. La liberazione, la vita nuova, il passaggio dalla morte alla vita, di cui abbiamo parlato anche la notte di Pasqua, non si fa di colpo, non esiste quasi mai uno che possa dire: "Prima ero cattivo, adesso sono buono". Succede qualche volta, ma nei libri però, nella vita uno fa un piccolo passo avanti, poi magari ne fa uno indietro, qualche cosa riesce a migliorare, poi qualche cosa la sbaglia di nuovo.
Credere! Credere nella Risurrezione proprio questo significa. Anche quando ti accorgi che quello che è il tuo ideale, la bellezza della tua giustizia che ti porti dietro non la realizzi, ci provi ancora, continui a sperare, perché sei convinto che Gesù ha ragione.
Guardatevi intorno. Guardate prima dentro voi stessi, poi guardatevi intorno nella vita della Chiesa, poi guardatevi intorno nel mondo e domandatevi: dove si è realizzata pienamente la bontà, la bellezza, la giustizia? Dopo duemila anni che è venuto Gesù, chi è che veramente vuole bene sul serio? Chi è che veramente è cambiato da così a così?
Cominciate a guardarvi intorno, poi guardate pure me; è come uno specchio. E allora? Allora credere non significa essere arrivati, significa nonostante le sconfitte, i fallimenti che io vedo nella mia vita, nonostante le sconfitte che ci sono intorno a me, nella mia Chiesa, nella comunità, nonostante che qui siamo tutti povera gente, continuiamo a credere che Gesù ha ragione, che l'unica cosa importante nella vita è continuare a vivere d'amore. Non ci riusciamo? Ma continuiamo lo stesso! Ci proviamo ogni giorno, ci proviamo ogni mattina e andiamo a dormire la sera con la nostalgia dell'amore, con il desiderio di riprovarci, con il desiderio di ricercare la pace, anche se non ci riusciamo.
Insomma, volevo dire che la difficoltà di Tommaso è proprio questa: credere senza vedere perché quello che Gesù ha detto, noi non riusciremo mai a vederlo completamente realizzato.
Ecco perché Gesù dice: "Beati quelli che hanno creduto senza aver veduto". Questo non significa che dovete aver visioni, le visioni le hanno i matti! Questo significa che per voi è importante continuare a credere che Gesù ha ragione, continuare a credere senza veder realizzato il Suo progetto. Cominciando da voi stessi, senza mai poter dire: domattina mi sveglio e sono buono. No! Domattina sei più o meno come oggi. Continua a camminare, a sperare. Questo significa che hai la Fede, questo significa che in te agisce la forza della Risurrezione, la forza di chi continua a credere e a sperare, anche se non vede pienamente realizzato Gesù Risorto. Così succedeva per i primi cristiani, così succede per noi, così succederà per l'ultimo cristiano che vive su questa terra.
Beato chi conserverà la Fede fino in fondo, chi continuerà a credere che Gesù è veramente risorto e la forza della Sua risurrezione opera nel mondo e anche nella nostra vita.
Il Signore ci aiuti!
1987
Abbiamo sentito tutti, penso, tante volte nella vita dire da qualcuno, o l'abbiamo detto noi stessi: "Io sono come Tommaso: se non vedo, non credo". L'abbiamo sentito dire tante volte, per le cose più diverse, nelle circostanze più varie della vita e questo forse ci porta a non vedere più tutto quello che c'è in questa pagina di Vangelo. Quando una cosa diventa proverbio, quando la si applica a tante circostanze diverse rischiamo di perderne il senso profondo e allora, forse, il mio compito stasera è di invitarvi tutti a riconsiderare questa pagina del Vangelo, a ritrovarci un po' tutti nell'esperienza di Tommaso.
Perché, vedete, l'esperienza di Tommaso, all'interno della Chiesa, l'abbiamo fatta tutti: io l'ho vista fare a tantissima gente. Qual'è l'esperienza di Tommaso? Fate attenzione Tommaso è uno che non riesce a credere agli Apostoli, alla Chiesa. Dicono a Tommaso: "Gesù è risorto, noi l'abbiamo visto!" Ma le porte sono ancora chiuse, hanno ancora paura! Non si vede nei loro occhi, non si vede nella loro vita, non si vede nel loro coraggio, che credono veramente alla Risurrezione del Signore! Questo è il problema di Tommaso! Il problema di Tommaso è la Chiesa: quelli che dicono di aver visto Gesù, non sono stati trasformati e lui non può credere alla Risurrezione. Non perché non ha ancora visto il Signore, ma perché chi gliene parla, chi glielo annunzia, non è stato cambiato dall'esperienza che ha fatto del Signore.
È quello che succede a tanti cristiani: è successo anche a me, tante volte nella vita! Il problema spesso per noi non è il non riuscire a credere a Gesù, alle parole del Vangelo, ma è di non riuscire a vedere nella Chiesa, nei cristiani che ci stanno intorno, una testimonianza vera del Signore. Ogni tanto nelle nostre riunioni c'è qualcuno che dice: "Don Checco, ha visto cosa c'era scritto sul giornale? Ha sentito di Monsignor Marcinkus, quello traffica coi soldi?!... È questa la Chiesa di Gesù?... Ha sentito il Papa: ha fatto questo, ha detto quell'altro...? Come si fa a credere?... se sono così loro..."Quante volte ho sentito queste frasi!
E anche se smettiamo di leggere i giornali e ci guardiamo intorno, a qualcuno di voi capita di dire: "Tutto qui? Sareste voi i risorti? Voi la gente che ha scoperto Gesù!?" Noi ci ritroviamo qui ogni Domenica, facciamo la Comunione, poi usciamo fuori e il mondo non cambia e la gente che ci vede si domanda con perplessità se il Signore è veramente risorto. E anche la vita di ciascuno di noi è attraversata dalla stessa domanda.
Allora vedete, dobbiamo fare la fatica e io e voi l'abbiamo fatta spesso, di ritornare a Gesù. Come Tommaso, tentiamo di credere alla sua Parola, di sentirlo vivo e presente in mezzo a noi, di credere in Lui. Tentiamo di credere che Gesù ha ragione, anche se tanta gente che ha il suo nome sulle labbra, tanta gente che si fa il segno di croce, tanta gente che, come me, si mette la pianeta ogni giorno, non sa testimoniare il Signore. Voi dovete credere in Gesù nonostante il parroco, i preti, i vescovi, il papa, i cristiani che avete intorno. Voi potete credere in Gesù se riuscite a scoprire nel profondo del vostro cuore, che Lui è veramente il Vivente, che Lui ha ragione, che Lui ha parole di vita, anche se queste parole fanno fatica a germogliare nel cuore di chi vive con noi. Questo è il problema di Tommaso, e il nostro.
Ma noi abbiamo anche un altro problema: quello di essere per chi ci sta accanto, un segno di Gesù, perché tutti gli uomini hanno bisogno, come Tommaso, di toccare qualcosa: i bambini che crescono han bisogno di poter toccare qualcosa di Gesù e se non possono toccarlo più direttamente, come Tommaso, debbono poter toccare noi, debbono poter vedere almeno un barlume della sua Luce.
Ecco la Chiesa è tutta qui: tentare, ciascuno di noi, di credere che Gesù ha veramente ragione e poi testimoniarlo come possiamo con la nostra vita, perché attraverso i nostri poveri gesti qualcuno, almeno in qualche modo, possa toccar con mano Gesù e credere in Lui.
Il Signore ci aiuti.
1987
Abbiamo ascoltato, o meglio, riascoltato, perché penso che tutti voi, come me, avrete sentito questa pagina di Vangelo tantissime volte. È uno dei racconti in cui l'arte di scrivere di Luca più si manifesta, una delle sue pagine, anche letterariamente più belle. Non sappiamo chi siano i due protagonisti di questo cammino, uno è un certo Cleofe, un nome sconosciuto nel Nuovo Testamento, non sono certo due degli apostoli. Luca può quindi immaginare in questa strada ogni cristiano e può, libero dai ricordi (solo nel Vangelo di Luca c'è questo racconto) dar spazio a tutta la sua arte di scrivere e di raccontare, attraverso i simboli, la vita cristiana.
Vorrei invitarvi (proprio perché ci aiuta a capire) a osservare, a notare - forse molti l'hanno notato, forse non tutti - una cosa strana in quello che abbiamo letto. I due discepoli se ne vanno! Non se ne vanno prima della Risurrezione, ma dopo! Luca insiste sulle parole dei due, l'avete ascoltato: "È vero, alcune donne sono andate al sepolcro, lo hanno trovato vuoto, hanno anche avuto una visione di angeli che parlano di Lui, che dicono che Lui è vivo, sono andati anche alcuni dei nostri (sappiamo dagli altri Vangeli che Pietro e Giovanni sono andati di corsa), hanno trovato come le donne avevano detto, ma Lui non l'hanno visto!"
E nonostante che il sepolcro sia vuoto, nonostante che le donne parlano di una visione di angeli, nonostante che i discepoli sono andati e hanno confermato che il sepolcro è vuoto, questi se ne vanno! Perché non restano? Perché non vanno a curiosare? Perché non sentono il bisogno di andare a toccare con mano il sepolcro vuoto? Perché non sono andati a vedere il lenzuolo ripiegato di cui parla il Vangelo di Giovanni? Cosa vuole dirci Luca in questa pagina? Ci sono tante cose in questa pagina straordinaria, ma una mi sembra particolarmente importante (provate a vedere poi se è importante anche per voi): Luca vuole ricordarci che essere cristiani non è il fatto di un momento "speciale", non consiste nel "toccar con mano" (ricordate Tommaso, domenica scorsa...), la vita cristiana è camminare lungo la strada, passo dopo passo, tentando di far rivivere, al di là dei dubbi e delle paure, la Parola di Gesù nel nostro cuore: "Non ci ardeva forse il cuore in petto quando Lui ci parlava delle scritture...".
Vivere da cristiani è tentare ogni giorno di ritrovare nel Vangelo il coraggio di credere e camminare. E un cammino in cui, ogni tanto, ci si ritrova intorno alla tavola per riconoscere e incontrare Gesù "nello spezzare il pane".
Vedete, fratelli, noi viviamo un momento della storia abbastanza difficile - ce ne sono stati tanti in questi duemila anni - un tempo di paure e di ansie. E nei momenti difficili l'uomo sente il bisogno, come Tommaso, di toccar con mano. Quando si sente dire che una Madonna è apparsa, come in questi giorni, sul vetro di una finestra tutti corrono. Quando si sente dire che una Madonna è apparsa o sta per apparire si radunano folle numerose. Quando si mostra un documentario sulla Sindone, anche i ragazzi delle nostre scuole spesso miscredenti, sono presi da grande curiosità.
Questo bisogno di vedere, di sentire, di toccare con mano, può anche essere una cosa buona, ma non dimentichiamo i discepoli di Emmaus: il loro lento cammino, la loro fatica a riconoscere Gesù, la Scrittura, il pane spezzato in cui ritrovano Gesù.
Non dimentichiamo fratelli che se anche apparisse qui il Signore, se avessimo un "segno", se anche noi come narrano le storie antiche, potessimo toccar con mano, che so, un libro bruciato, una corona, un'apparizione della Madonna, un lampo di luce... questo non cambierebbe niente della nostra vita. Noi qui abbiamo tutto quello che ci serve per essere cristiani: la Parola, il Pane che spezziamo ogni domenica. O siamo capaci di riconoscere il Signore qua e poi di viverlo ogni giorno o non c'è miracolo, apparizione, finestra che tenga.
La vita cristiana è il cercare il Signore ogni giorno, passo dopo passo, il chiedersi cosa ci dice il Signore nella varie circostanze della vita, è cercare di incontrare Gesù, che per me si fa pane, nella gente che ho intorno ogni giorno.
Questa è la vita cristiana. Luca ce lo ricorda in questa splendida pagina che consiglio a tutti di leggere spesso.
1990
Una parola particolarmente mi colpiva in questa pagina del Vangelo, forse perché non avevo mai fermato la mia attenzione proprio su questa Parola. Sapete, capita di volta in volta che si rilegge il Vangelo di essere colpiti da una frase. La frase che mi ha colpito stavolta, è una frase che si legge con un po' di timore: "Tutti quelli che son venuti prima di me, son ladri e briganti, tutti!". Queste parole danno un po' da pensare a chi come me, si è sentito dire tante volte che lui è il pastore. Io dovrei essere il vostro pastore. (Voi, penso che avete imparato da tanto tempo a difendervi da pastori come me.) È vero, qui c'è l'esagerazione orientale che ama ingrandir le cose. Dobbiamo difenderci... io debbo difendere me stesso da queste parole, perché in nome del Signore, io dovrei dirvi che sono un ladro e un brigante come tutti quelli che son venuti prima, o forse anche dopo di Gesù. Posso assicurarvi che c'è qui il gusto orientale per l'esagerazione, e lo dico non soltanto per difendere me, ma anche per difendere voi.
Perché, vedete, ciascuno di noi ha il compito di fare il pastore per gli altri, il papà, la mamma hanno il dovere di occuparsi dei figli, di crescerli, di educarli, di camminargli davanti, di chiamarli per nome... e non si può certo dire che siete tutti ladri e briganti. Così come gli insegnanti, così l'amico per l'amico, il marito per la moglie, tutti insomma abbiamo il compito di occuparci l'uno dell'altro.
Che cosa vuol dire allora questa frase così forte del Signore? Ognuno di noi cerca di fare quello che può per andare avanti, per cercare anche noi la nostra strada, per svolgere il nostro compito. Potreste dire a Gesù, come avete detto a me tante volte: "Tu non hai mai fatto il padre di famiglia, ma tirar su dei figli è una cosa così faticosa, che è quasi meglio non parlarne". È verissimo! Ciascuno di noi fa quel che può.
Che cosa possiamo cogliere allora da questo Vangelo che abbiamo ascoltato? L'importanza per me, ma anche per ciascuno di noi è di riconoscere Gesù come il vero nostro Pastore. Noi dovremmo cercare di comunicare agli altri qualcosa di nostro, di guidare gli altri sulla strada che ci sembra giusta, ma insieme cercare la strada di Dio, la strada di Gesù che è la vera strada della vita. È uno dei "segreti" della vita - vi siete tutti sforzati di farlo, come anch'io mi sono sforzato - ma forse non siamo del tutto riusciti a capire che i figli, i parrocchiani, la gente a cui parliamo, la gente di cui ci occupiamo, la gente che tentiamo di servire, non è la "nostra" gente, ma è la gente "di Dio". A loro dobbiamo comunicare non la nostra verità, ma la verità di Gesù.
È Lui il vero, il solo Pastore. Lui è venuto da Dio per camminarci davanti, per chiamarci per nome e noi siamo suoi e di nessun altro. Voi, ma questo penso lo sapete, non siete miei nel modo più assoluto; ma anche i vostri figli non sono vostri, ma anche i vostri amici non sono vostri. Prima di tutto sono di Dio, e sulla Sua luce dobbiamo tentare, se possiamo, di guidarli, di guidarci l'un l'altro, di aiutarci a cercare la luce di Dio.
Io non posso indicarvi la luce, non posso indicarvi la strada, se mi riesce, l'unico mio compito sarebbe quello di aiutarvi a cercare la luce del Signore. Qui, ogni domenica, dobbiamo ridirci che l'unica strada di salvezza è quella che ci ha mostrata Gesù, l'unico Pastore, l'unico Maestro; e tra le tante voci di questo mondo, ogni tanto dovremmo ritornare a Lui e cercare Lui, e sentirci da Lui chiamati per nome, e con Lui camminare sulla strada della vita.
Il Signore ci aiuti a farlo!
1987
Io sono abbastanza vecchio, sono stato nella mia vita abbastanza fortunato per conoscere ancora questo mondo contadino di cui parla il Vangelo, che ormai non c'è più. La maggior parte di voi, penso, non ha mai fatto l'esperienza di andare dietro alle pecore.
Quando ero ragazzo, ricordo, andavo nel piccolo paese dove sono nati i miei genitori e là mi capitava qualche volta di accompagnare i miei cugini che portavano fuori le pecore al pascolo e ricordo ancora l'impressione che mi faceva il fatto che loro effettivamente, le conoscessero una per una e mi prendevano in giro perché per me tutte lo pecore erano uguali (riuscivo tutt'al più a distinguere se una era bianca o era nera); loro invece le conoscevano una ad una e le chiamavano per nome . E quando io dicevo che non capivo come distinguerle, loro mi rispondevano: "Ma non vedi come sono diverse? vedi che questa ha la faccia diversa da quest'altra?" E per me le pecore avevano tutte lo stesso muso, erano tutte uguali. Le pecore ascoltavano la voce del pastore, più che la voce, il fischio, quel forte fischio che loro sapevano fare, con grande invidia da parte mia, perché io non ero capace; un bel fischio alla pecorara, che si sentiva per tutta la valle. E le pecore lo riconoscevano e andavano dietro! Per voi, per molti, specialmente per i più giovani, il mondo del pastore rischia di essere un mondo romantico, idilliaco: era un mondo duro e faticoso, una vita passata all'aria aperta, sotto qualunque tempo, camminando su e giù per le montagne, perché le pecore avessero da mangiare. Spesso nella solitudine, - ci raccontava mio padre (lui ha fatto il pastore da giovane!) - portando mezza pagnotta di pane e un pezzetto di formaggio, piccolo, - mi diceva - perché non ce n'era! Una vita fatta di sacrifici in cui si mangiava poco e si lavorava assai, dal mattino alla sera e spesso anche la notte, quando di trattava di mungere le pecore.
Un mondo duro, un mondo faticoso, un mondo da cui sono prese queste immagini. Noi dobbiamo quindi fare lo sforzo per tradurle per noi: parlavano immediatamente ai primi cristiani, quanto sentivano parlare del pastore che conosceva una per una le sue pecore, parlavano di cose che per loro erano la vita di ogni giorno.
Cosa vuol dirci, dunque, questo Vangelo al di là delle immagini? Ecco proprio questo: che il Signore ci conosce uno ad uno e che vuole parlare a ciascuno di noi. Vedete, noi siamo qui tutti insieme, abbiamo scoperto che la Messa è un fatto comunitario, ci raduniamo insieme, preghiamo insieme. Il rischio qual è? È che ciascuno di noi non faccia sue le parole del Signore. Vedete noi siamo qui in tanti, ma tutti diversi: ognuno ha la sua età, ognuno ha il suo carattere, ognuno il suo temperamento, ognuno di noi vive in un ambiente diverso ed è opportuno che là la Parola del Signore ci parli. È opportuno che nel concreto della nostra vita ciascuno senta che il Signore Gesù vuole parlare a lui, ha da dire a ciascuno di noi una parola che è personale, una parola che nel concreto della nostra vita, ci porti sui pascoli della vita, della verità. Specialmente quelli più giovani corrono il rischio di seguire le tante voci che ci sono nel mondo, il rischio di diventare massa, il rischio di andare avanti veramente come le pecore che non hanno pastore, sentendo il primo fischio che passa, seguendo l'ultima moda.
Se voi leggete il Vangelo di Marco, vedete che c'è per lui quasi un chiodo fisso, dalla prima all'ultima parola. Lui dice che se vogliamo essere cristiani dobbiamo uscire, quasi strapparci dalla folla. Il coraggio di essere liberi, il coraggio di cercare dentro di noi la parola che è verità. E se questa parola di Gesù non diventa personale per me, non troverò il coraggio di liberarmi dall'ultima moda, dall'ultimo grido, da chi mi parla di soldi, di potenza, di forza, di violenza... da chi mi parla di insoddisfazione, di scoraggiamento, di disperazione. La parola di Gesù, se la faccio risuonare dentro di me, è parola di vita. Lui è venuto nell'amore e nella gratuità - non aveva bisogno di noi - è venuto per condurci sulle strade della vita e ci cammina davanti! Non ci dice: "andate, partite, fate", ci ha dato l'esempio conoscete tutti la parola che più volte ritorna nel Vangelo, specialmente negli ultimi momenti: "come ho fatto io, fate anche voi"!
Ecco, è importante allora che Gesù diventi per noi veramente l'amico che ci conosce, è importante che impariamo a riconoscere la sua voce, a farla risuonare nel profondo della nostra vita, a farla personale: per me. Non fermatevi, per carità, alle mie parole, io tento come posso - perché questo è il mio compito - di spiegare un po' la parola del Vangelo, ma poi vi rimanga questa parola di Gesù, risuoni dentro di voi, sappiate riconoscere 1à la parola di Gesù, l'unica parola che conta, l'unica parola che ci porta alla vita. Le mie sono povere parole che cercano di aiutare a capire, ma Lui deve parlare a ciascuno di noi, nella libertà del nostro cuore, perché possiamo diventare veramente liberi e testimoni della Sua vita.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1987
È sorprendente, non so se questo sorprende anche voi, ma a me capita spesso di pensarci, quante immagini ci siano nel Vangelo per aiutarci a capire un po' chi è Gesù.
Vi ricordate, domenica scorsa, l'immagine del pastore, oggi ce ne sono addirittura più d'una: la pietra angolare di cui avete sentito parlare da S. Pietro nella prima lettura e poi nel Vangelo da Gesù stesso "io sono la via, la verità, la vita".
Gesù che si propone a noi come "via", come strada che ci conduce, come "verità", come la "vita" stessa che ci viene comunicata. Immagini, simboli, che rimangono nel nostro cuore, che ci aiutano a capire chi è Gesù. Lui è la verità, non tanto ci insegna verità, ma è la verità. Lui non ci mostra la "via", ma è la "via", non ci comunica soltanto la "vita", ma è la "vita". Cosa significa questo? Cosa significa per me, per voi?
Conviene non sprecare tante parole per spiegare, ma conservare nel cuore questi grandi simboli della fede. Vedete, io ho studiato tanto per diventare prete, ho studiato per sette anni: grandi libri in latino in cui tanti studiosi si sforzavano di insegnarci la verità di Dio, tante dottrine, tante parole... Anche voi, specialmente quelli che hanno qualche anno in più, - vi ricordate? - andavamo al catechismo e imparavamo a memoria tante domandine (io poi, le ho studiate più complicate....) Penso che anche voi, come me, non capivate molto di quello che ripetevate a memoria come pappagalli quando eravate piccini, poi siamo diventati grandi e magari ci siamo dimenticati quelle rispostine. Oppure, andando a scuola, o sentendo le prediche del Parroco... ci insegnavano tanti comandamenti: "questo non si deve fare, quest'altro non si deve fare"! Quante donne di voi avranno sentito sprecare delle prediche parlando di maniche corte... non bisognava andare in chiesa sbracciate o senza il velo sulla testa... tutto tempo perso!
I primi cristiani dicevano "Gesù è la via, Lui ci aiuta a capire che cos'è giusto, che cos'è importante per me, non ho bisogno di tante leggi, perché io non ho una legge, ma un esempio vivo, una persona che cerco di capire, che mi cammina davanti".
Ho incontrato tante volte nella mia vita dei cristiani autentici, ciascuno di loro aveva una di queste parole, una di queste immagini che si portava dentro. Ricordo una volta (devo avervelo già raccontato) un mio zio, un "patriarca", un contadino che non aveva fatto molti studi, che una volta mi prese per mano, mi portò vicino ad una pietra, sotto una casa, e mi disse: "Vedi? questa è la pietra di cui parla il Vangelo, la pietra angolare, guarda questa casa, tutto si poggia su questa pietra, se si toglie questa pietra, viene giù tutto!" Stavamo parlando d'altro, e io sono rimasto colpito da questo fatto! Mi sono domandato poi perché me l'avesse detto ed ho pensato che quell'uomo passava ogni mattina davanti a quella pietra, per andare a lavorare e si ripeteva spesso: "la mia vita è come questa casa: se non sono radicato su Gesù, tutto viene giù: sento tante parole, mi dicono tante cose, ma per me è importante quello che mi dice Gesù".
Qualche settimana fà, parlando con un altro parroco qui di Ostia, diceva: "il Vescovo quando viene per le Cresime, fa sempre la stessa predica, perché anche lui è stato colpito da una frase: "Gesù è la verità e la verità vi farà liberi". Evidentemente, nella sua vita, ha sentito che Gesù era la verità che lo faceva libero e ripete quelle cose... Adesso che gli anni sono passati (quando si va avanti con gli anni si diventa un po' monotoni! succede anche ai vescovi!) ripete sempre la stessa cosa, ma si vede che là, in quel simbolo: "Gesù è la verità", che fa liberi, ha trovato il nocciolo della sua esperienza cristiana.
Nella mia vita, per darvi anche la mia testimonianza personale, è stata molto importante la domanda di Filippo, che si rivolge a Gesù: "Mostraci il Padre e ci basta!" e la risposta di Gesù: "Ma come, Filippo, sono tre anni che sei con me, ancora non hai capito che chi conosce me, conosce il Padre!". Quante volte mi sono ripetuto questa frase nella mia vita, da quando l'ho scoperta. Quante volte ho detto se voglio conoscere Dio, se voglio sapere qualche cosa di Lui, bisogna che guardi a Gesù, altrimenti rischio anch'io di farmi Dio come mi comoda: troppo buono o troppo severo; di farmi il Dio che mi viene incontro soltanto quando ho bisogno! Bisogna che impari a conoscere Dio attraverso Gesù.
Ecco, vedete, volevo dirvi soltanto questo: ciascuno di noi, al di là delle tante parole che ha ascoltato, delle tante prediche, comprese le mie, che ha dovuto sopportare, cerchi di conservare nel cuore queste parole di Gesù (le trovate scritte anche là sul cartellone dei bambini!). Cosa significa che per me Gesù è la pietra su cui è costruita la mia vita? cosa significa che Gesù per me è la via? cosa significa che Gesù per me è la verità e la vita? Tenetevele dentro queste parole, fatele lavorare dentro il vostro cuore e vi aiutino a scoprire Gesù a sentire che fra le tante parole che diciamo in questo mondo, tra le tante leggi che ci dicono, tra le tante cose che ci promettono davanti, in Gesù noi abbiamo trovato qualcosa a cui vale veramente, anzi, ho detto male, non 'qualcosa', ma 'qualcuno', una persona viva, che ci comunica qualche cosa di Dio, che ci dice qualche cosa della verità, che ci fa liberi.
Facciamo entrare dentro di noi questa parola del Signore, e Lui, ci condurrà quasi per mano per le vie della vita, verso il Padre, come ha fatto con tanti cristiani che ci hanno preceduto e che al di là delle parole, hanno saputo incontrare Gesù.
Possiamo farlo anche noi tutti!
1990
Domenica scorsa, leggendo il Vangelo, mettevamo in evidenza, alcune tentazioni, alcune difficoltà dell'uomo che cerca di credere: la tentazione di gettare uno sguardo sul futuro, su quello che succederà dopo la morte, la tentazione di andare a cercare un segno di Dio, una Sua manifestazione visibile... poter toccare con mano un segno miracoloso, un fatto straordinario, un qualche cosa che ci renda certi che Dio è veramente là.
Ma non sono solo queste le tentazioni che minacciano la nostra fede. Voi tutti avete forse sperimentato che spesso l'uomo credente (spero che non abbiate dovuto riconoscerlo troppe volte dentro di voi) diventa un intollerante, uno che condanna gli altri, uno che giudica, che ritiene che gli altri sono fuori dalla retta via, o come dicevano i nostri antichi "che tutti vanno all'inferno".
E poi le difficoltà e le tentazioni di tutti i giorni: molti di voi avranno fatto esperienza di come sia difficile poi osservare i comandamenti, o meglio l'unico comandamento del Signore: "Amatevi come Io vi ho amati", la tentazione di pensare solo a sé stessi, la tentazione di essere egoisti, a casa, sul posto di lavoro.... ecc. insomma potrei finire domattina, voi dite: "È bene che si fermi subito", vero?!
Allora guardiamoci intorno, il miracolo di ritrovarci ancora qui, povera gente come siamo, con i nostri egoismi, ma anche con la nostra fede, con la nostra speranza, con il nostro desiderio di luce e di vita... E anche intorno a noi e in ogni angolo del mondo c'è gente che crede, c'è gente che spera, c'è gente - l'avrete conosciuta anche voi - che sa dirti: "Sì, io credo, ma non sono una persona speciale, non ho nulla di straordinario, sono un uomo qualunque: posso parlarti di Gesù, ma te ne parlo con trepidazione, perché la Sua parola è più grande di quello che io faccio: se tu guardi alla mia vita, io ho di che vergognarmi, prova a guardare alle mie parole". Il miracolo insomma, di gente che continua con semplicità ad offrire Gesù!
Mi guardo intorno, vi guardo negli occhi e vedo il miracolo dello Spirito Santo: Gesù non ha lasciato sola la sua Chiesa, ha affidato a povera gente come noi, di portare avanti il Suo messaggio nel mondo, ci invita - come dice S. Pietro in quelle parole molto belle - ad essere gente che: "Conserviamo una speranza ..." in fragili mani e cerchiamo di offrirla a chi ci sta accanto... e siamo qui per questo.
Non siamo migliori degli altri, siamo gente che cerca il Signore Gesù, che cerca di portare la Sua speranza, prima nel proprio cuore e poi di offrirla, con semplicità.
Insomma stasera volevo dirvi solo questo: al di là di tutti i nostri limiti, al di là di tutte le tentazioni, al di là della difficoltà di seguire Gesù, noi siamo ancora qui e dopo di noi ci saranno ancora altri che cercano, che sperano, che camminano, perché Gesù non ci lascia soli.
Ci ha dato qualcosa del Suo Spirito: dov'è? dove si vede? Non si vede, come non si vede Dio: ma c'è! Cammina con la sua Chiesa: possiamo conservare nel cuore, uscendo di qui, la certezza che ancora cammina con noi, che un po' della scintilla di Dio, un po' del soffio di Dio, un po' della luce di Dio, accompagna la nostra vita.
Non cercate i segni straordinari, non cercate una luce particolare o la fiammella sul capo di chi ci sta accanto, cercate di guardarlo nel profondo degli occhi: guardate la gente che vi sta intorno stasera, tornando a casa guardate i vostri familiari, i vostri bambini, scoprirete il soffio dello Spirito... Dio non ci ha lasciati soli. Dobbiamo continuare a invocalo e a cercarlo intorno a noi.
Ci prepariamo a celebrare la Pentecoste, ancora invochiamo il Signore perché scenda su di noi, perché ci dia un po' della Sua luce, il Suo soffio.
Il Signore ci aiuti.
1987
Abbiamo ascoltato la promessa di Gesù alla sua gente, la promessa di un altro Consolatore, la promessa dello Spirito di Verità la promessa della luce di Dio.
Vedete, fratelli, è una promessa questa che non ci è dato di constatare, né con le parole, né cercando, attorno a noi, segni straordinari di questa presenza. È una presenza che possiamo cogliere soltanto nella fede, riguardando alla luce della fede l'esperienza che ci ha condotti qua. Se noi siamo qui, io come, penso, tutti voi, se noi siamo qui, è perché al di là delle tante sollecitazioni del mondo (Il mondo è inteso qui in senso negativo come spesso nel Vangelo di Giovanni) che non conosce la verità, che pensa soltanto al successo, a far carriera, a passare davanti agli altri, ad avere di più. Se noi siamo qui è perché abbiamo sentito nel cuore che la parola di Gesù aveva un senso ed una verità profonda per noi. Se noi siamo qui è perché abbiamo scoperto, con meraviglia, che intorno a noi ancora c'è qualcuno che sa amare, qualcuno che ci ha voluto bene sul serio. Se siamo qui è perché attraverso la parola di gente che ci è stata vicina, forse del papà, della mamma, degli amici, è arrivato fino a noi l'eco della parola di Gesù, l'abbiamo sentita come viva, quasi sperimentabile. Abbiamo potuto credere (questo ci riunisce qui) che nel mondo è bello vivere tentando di amare, tentando di condividere la vita, tentando di camminare insieme. Queste cose non riusciamo a realizzarle con pienezza, né io, né, penso, nemmeno tutti voi. Ma sentiamo, dentro di noi, che questa è la strada giusta, che questa sarebbe la strada bella per tutti gli uomini che vivono.
E questo, vedete, è in noi opera dello Spirito di Dio; possiamo guardandoci intorno, sperimentare, quasi toccare qualche cosa di questo Spirito che qui ci conduce . Lo tocchiamo nella parola che ogni domenica ascoltiamo, lo tocchiamo in quel po' di pane e in quel po' di vino che lo Spirito di Dio trasforma per noi nel Corpo e nel Sangue di Gesù, lo troviamo nel nostro stare insieme, animati tutti dal desiderio di camminare e di cercare la pace. Ecco, qui facciamo esperienza che Gesù veramente non ci la lasciati soli, nonostante tante contraddizioni e tante nostre infedeltà.
Ancora c'è, guardiamoci intorno, un gruppo di credenti che si ritrova, prega, spera, che tenta di amare. Siamo noi, a cui Gesù non ha fatto mancare qualcosa del Suo Spirito e allora, fratelli, possiamo uscire e come Pietro, con semplicità, tentare anche noi di rendere ragione della speranza che c'è in noi. È questa forse la più bella definizione che c'è nella Bibbia di un credente. Chi è un cristiano?: uno che tenta di rendere ragione della speranza che c'è in lui, questa speranza che tutti noi tentiamo di avere.
La speranza nella vita autentica, una vita fatta di cose vere, una vita fatta di verità, di amore, di attenzione verso gli altri, di solidarietà, di giustizia, di pace. Queste cose che Gesù ha vissuto, noi le teniamo dentro, in queste cose noi speriamo.
Dobbiamo veramente questa sera rivolgere tutti una preghiera al Signore perché ciascuno di noi sappia rendere ragione di questa speranza, sappia, prima di tutto, averla dentro, nel profondo di sé, una speranza autentica e vera. Essere cristiani non è, come qualche volta ci capita di vedere, essere persone arroganti che pensano di sapere tutto, di avere la soluzione di ogni problema, che pensano di essere buoni, mentre tutti gli altri sono cattivi. Queste cose non aiutano il mondo a crescere: essere cristiani è un fatto di povera gente, come siamo noi, che va in giro per il mondo portando nelle sue fragili mani, una speranza autentica. Guardando il vostro comportamento, la gente possa dire: "vedi, questo è un pover'uomo, ma crede nell'amore; vedi questo è un uomo fragile come me, ma crede nella vita, vedi questo è un uomo a cui a volte il mondo fa paura, ma continua, con speranza viva, a tentare di amare, a tentare di far qualcosa perché il mondo sia più bello". È questo essere cristiani.
Gesù è stato in mezzo a noi uno così: che portava nelle sue mani una speranza, che vuole accendere in noi la speranza, che vuole che anche noi camminiamo per le strade del mondo e con semplicità, senza sentirci giusti, senza sentirci a posto, senza sentirci arrivati, senza sentirci migliori degli altri, offrendo a chiunque incontriamo, la speranza che tentiamo di portarci nel suo cuore.
Per questo ci è dato lo Spirito, Lui ci aiuti a testimoniare così il Signore Gesù.
1990
Quando insieme con la gente si leggono il Vangelo o le lettere degli Apostoli o gli Atti, c'è sempre una cosa che fa problema, che desta curiosità in chi ascolta, qualcosa che, forse, avrà incuriosito molti di voi stasera, qualcosa su cui vorrei invitarvi a riflettere per comprendere un po' il senso di questa festa.
Ciò che fa problema è questo: i primi cristiani, - l'Apostolo Paolo ne dà testimonianza - erano convinti che il mondo stesse per finire: loro aspettavano il ritorno glorioso e sconvolgente del Signore, aspettavano cioè che Gesù tornasse e mettesse a posto, con un colpo di bacchetta magica, le cose, il mondo. Anche oggi l'abbiamo ascoltato: quando si radunano sul monte e Gesù dice che sta per venire la sua ora, gli chiedono subito: "Allora è arrivato il momento in cui ricostruirai il Regno di Israele, è venuto il tempo in cui metti ogni cosa a posto?" E nell'immagine che Luca ci riporta - si tratta certamente di un'immagine - Gesù si innalza verso il cielo e i discepoli restano a guardare verso l'alto: aspettano che succeda qualcosa, che Lui si manifesti nella gloria e cambi il mondo.
Chi legge si domanda: "Perché i primi cristiani erano così convinti che il mondo finisse, che stessero vivendo gli ultimi momenti?" S. Paolo scrive ai cristiani di Corinto che lui non vedrà la morte, perché Gesù tornerà prima e sarà la fine della storia. Si fa fatica a capire e anche voi forse vi sarete domandati: "Perché pensavano così?" Ma, se ci pensate un attimo, vi accorgete che spesso è anche il nostro atteggiamento, che la tentazione dei primi cristiani è anche la nostra: guardare con gli occhi in alto, e aspettare che Dio ci risolva i problemi, ci tolga le castagne dal fuoco. I primi cristiani facevano una gran fatica a rendersi conto che adesso il tempo di Gesù era finito e non veniva il tempo in cui Dio finalmente si manifestava con la bacchetta magica a risolvere ogni problema, ma cominciava il loro tempo, il tempo del loro impegno, della loro responsabilità. Le letture che abbiamo ascoltato lo ripetono con insistenza: "Voi sarete testimoni... andate e annunciate il Vangelo fino ai confini del mondo" I cristiani hanno fatto fatica a guardarsi negli occhi e a dirsi: "Non possiamo rimanere imbambolati a guardare il cielo, adesso tocca a noi, bisogna che ci rimbocchiamo le maniche e ci diamo da fare!"
C'è un'obiezione che viene spontanea sulla bocca dei cristiani: "Ma che possiamo fare? siamo povera gente!" Di fronte ai grandi problemi del mondo... qui ci sono parecchie persone anziane, anche per chi è giovane, non è molto diverso... i grandi problemi che ci sono nel mondo, la guerra, la fame, la droga, il sovraffollamento, l'inquinamento, tante cose... uno si guarda intorno smarrito e dice: "Che posso fare io?" Eppure Dio affida a noi, alle nostre fragili mani di uomini, il compito di essere testimoni di vita e di speranza: tutti possiamo fare un sorriso, un gesto di tenerezza e di accoglienza...
Gli anziani che son qui chiedono spesso: "Cosa posso fare io?" Forse potrei dirvi una cosa, la più banale, che mi viene in mente: brontolate meno, mettete allegria nel cuore dei giovani, date coraggio, date speranza alla gente che cresce.. anche questo è essere cristiani. Esser cristiani non è ripetere tante preghiere, moltiplicare le pratiche religiose: è essere testimoni di Gesù, della sua speranza, della sua vita, essere testimoni ciascuno nella propria esperienza, anche se piccola e limitata. È inutile brontolare, non è servito mai niente a nessuno, un sorriso, una parola di speranza... dite qualche volta ai ragazzi: "Ne ho viste tante io nella vita... non ti scoraggiare, vedrai riuscirai anche tu a superare le difficoltà...sapessi quante ne ho passate io!" Quante ne avete passate - raccontatelo - e le avete superate quasi tutte!
Questo è essere cristiani, questo ci chiama a fare il Signore: essere suoi testimoni, poveramente, con le cose semplici, con la nostra vita, offrendo quello che abbiamo: un po' di esperienza, un sorriso, una parola buona, il coraggio di guardare avanti, il coraggio di credere, nel profondo del cuore che Gesù ha ragione, che non ha ragione chi fa violenza, chi fa il male.
Questo celebriamo quando celebriamo l'Ascensione, non celebriamo qualche cosa di magico, celebriamo Lui che è venuto da Dio, ritorna a Dio, che Lui ha ragione, le cose che ci ha portato, di cui ci ha parlato, la sua pace, il suo amore, la sua bontà sono le cose essenziali della vita.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1987
Siamo riuniti insieme, come già dicevo all'inizio e come voi tutti ben sapete, per celebrare questa festa dell'Ascensione del Signore. È la festa che un po' conclude il ciclo di Pasqua: vi ricordate 40 giorni fà anzi un pochino di più (perché questa festa, che quando eravamo più giovani, si celebrava il giovedì, adesso in Italia, siccome dobbiamo lavorare assai, si è spostata alla domenica per recuperare un giorno di lavoro o almeno per fare meno ponti) eravamo qui per celebrare la Pasqua, cioè per riconoscere in Gesù il Signore della storia, Colui che ha avuto veramente ragione.
Oggi noi siamo qui per dirci che Gesù ritorna nello spazio e nel tempo di Dio: Lui è venuto da Dio, ha camminato per le strade del mondo, un uomo come noi, carne della nostra carne, in mezzo a noi è stato testimone di vita, di amore, di speranza, di coraggio. Lui ha veramente detto parole di vita eterna, come dice Pietro in un racconto del Vangelo; Lui è stato veramente in mezzo a noi testimone della vita di Dio. Lui ci ha insegnato che cosa significa essere uomini, che cosa significa essere liberi, che cosa significa amare sul serio la vita. Ha finito la Sua opera, torna presso il Padre, ritorna presso Dio, nella gloria: significa che Lui aveva veramente ragione, significa che Lui è la misura di questo nostro camminare per le strade del mondo. Lui è veramente l'ultima parola e noi lo aspettiamo: come avete sentito, tornerà alla fine del mondo.
Vedete, i primi cristiani erano talmente convinti che Gesù era l'ultima parola, avevano talmente preso sul serio questa promessa di Gesù di tornare, che aspettavano da un momento all'altro il Suo ritorno.
Quando si leggono insieme le Lettere di Paolo, la gente sempre rimane sorpresa quando ascolta che Paolo pensava che non sarebbe morto, pensava che prima della sua morte naturale sarebbe ritornato Gesù, era per lui una questione di mesi, di anni, forse, ma non di più. Lui avrebbe visto finalmente la fine del mondo: era talmente convinto che con Gesù era incominciato un tempo nuovo! E non era solo Paolo a pensarla così, se leggete attentamente il Vangelo, vedrete che tutta la prima generazione cristiana era convinta che Gesù stava per tornare, che si sarebbe presto manifestato nella gloria. Ma pian piano il tempo passa, si accorgono, un po' con stupore, che Gesù non torna. Quasi sgomenti, si saranno guardati negli occhi, e poi qualcuno ha cominciato a capire. Hanno cominciato a dirsi: "Ma forse non abbiamo capito, forse noi credevamo che Gesù avrebbe trasformato il mondo come per magia. Noi lo aspettiamo come un mago delle favole con in mano una grande e luminosa bacchetta magica" Ma - si dicevano quando si ritrovavano come noi la domenica intorno alla tavola - non è così, non abbiamo capito: adesso è il nostro tempo, Lui ce lo aveva detto con chiarezza: "mi sarete testimoni fino ai confini della terra... andate, annunciate il mio Vangelo a tutte le genti, battezzandole, insegnando loro tutto quello che Io vi ho detto". I cristiani cominciano a guardarsi negli occhi e dicono: "Gesù si è fidato di noi, ci ha affidato il mondo nelle mani, Lui ci ha tracciato la strada, ma adesso il mondo dobbiamo farlo noi, adesso è il tempo nostro, il tempo di costruire, passo dopo passo, il Suo ritorno".
Ecco l'importanza di questo ritrovarci qui, insieme, in questa festa, per ridirci, fratelli, che anche se sono passati duemila anni, il Signore ancora non è tornato e ancora guardandoci negli occhi, come i primi cristiani, - ci vuole un po' di coraggio - dobbiamo tentare di dirci: "È il tempo nostro!" Se il mondo non lo costruiamo noi, non lo costruisce nessuno. Non viene Gesù con la bacchetta magica. Lui non è un mago, non ci tratta da burattini, a cui ad un certo punto si cambia il fondale della scena, Lui ci piglia sul serio: me come ciascuno di voi e ci dice: "Amico, è il tuo tempo, nelle tue mani è il mondo, hai dietro di te la Mia memoria e davanti a Te, la speranza del Mio ritorno!"
Ecco chi è il cristiano: uno che ha riconosciuto in Gesù la strada della vita, uno che ha riconosciuto in Gesù il maestro della storia, il Signore dell'esperienza umana, uno che dice: Tu hai parole di vita eterna, Tu sei Colui che ci conduce sulla via della vita, Tu sei per noi la Via, la Verità, la Vita (come leggevamo domenica scorsa nel Vangelo) io credo in Te e cerco, nei miei giorni di camminare sulla Tua strada, adesso è il tempo della mia responsabilità, aspettando il Tuo ritorno, perché so che il mondo non si fermerà, finché non avrà raggiunto la Tua dimensione, finché non tornerai Tu".
Non ci fermeremo tanto presto, fratelli, perché abbiamo ancora tanta strada da fare per incontrare Lui. Abbiamo la certezza che il Vangelo di oggi ci lascia: "Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo".
Ce ne usciamo da questa celebrazione con la certezza nel cuore che Lui non ci lascia soli nel nostro tentativo di costruire il mondo, cammina con noi. Ci conserva nel cuore la certezza che all'ultimo orizzonte della storia, non c'è vuoto, non c'è il nulla, ma Lui. Là ci aspetta, noi e tutti gli uomini e tutti quelli che verranno dopo di noi, questo immenso corteo di gente, di ogni popolo, che cerca di prendere nelle sue mani la storia e cerca di camminare seguendo Lui, con nel cuore la speranza assoluta che non ci fermeremo senza aver incontrato Lui.
Il Signore ci conservi questa fede nel cuore.
1990
Voi avete sperimentato certamente, nella vostra vita di credenti, come la preghiera, esprima quello che abbiamo nel cuore, e proprio perché il pregare esprime quello che uno crede, la preghiera è sempre per il credente, sorgente di domande. Non è una cosa semplice: man mano che si cerca di pregare ci si domanda: "Che senso ha la preghiera? Che significa pregare?" Ma si tratta di una domanda più profonda: che significa credere? Chi è Dio per me? Qual'è il mio rapporto con Lui?
Quando si legge il Vangelo insieme con la gente, spesse volte si rimane colpiti dalle parole di Gesù sulla preghiera, perché non sempre sono chiare, comprensibili. C'è una frase sulla preghiera che vorrei richiamarvi stasera, perché mi sembra ci aiuti a comprendere la festa che stiamo celebrando, la festa di Pentecoste. Gesù dice: "Bussate e vi sarà aperto, a chi chiede sarà data risposta, cercate e troverete", e poi racconta quasi una parabola: "Chi di voi, se un figlio gli chiede un pane, gli darà. una pietra? Chi di voi, se un figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Chi, se gli chiede un uovo, gli dà uno scorpione?" e tutti noi siamo ben d'accordo, e conclude: "Quanto più il Padre vostro celeste che è buono, darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono". E qui, quello che ci sembrava di aver capito, viene rimesso tutto in discussione. Che cos'è lo Spirito? A noi capita di chiederlo così poco! Perché lo cerchiamo così poco? Perché la nostra fede è cosi poco simile alla fede di Gesù? Perché nel cuore della nostra preghiera non c'è l'invocazione dello Spirito santo?
E che significa poi invocare lo Spirito Santo? Io non è che ho capito molto di queste cose; se le avessi capite sarei già un pezzo avanti; ma queste parole di Gesù dovrebbero un po' metterci in questione, farci riflettere; perché vedete, una delle tentazioni di chi prega, - penso anche voi, se non siete molto diversi, lo avrete sperimentato come me - è di pregare soltanto quando se ne sente il bisogno. Qualche volta, magari voi no, ma la gente che ci sta intorno, lascia passare lunghi periodi senza pregare, senza rivolgersi al Signore, sembra quasi che faccia a meno di Lui. Poi quando c'è qualche guaio, qualche problema serio, allora si vede la gente che prega con molto fervore; lo abbiamo fatto tutti, anche io, anche voi, tutti quanti. E invece Gesù ci invita a pregare ogni giorno e a chiedere lo Spirito Santo.
Ecco, qui dobbiamo veramente domandarci qual è il nostro rapporto con Dio, se Dio lo dobbiamo invocare soltanto quando ne abbiamo bisogno, quando ci sentiamo stretti, oppure ogni giorno dobbiamo cercare Dio, la Sua luce, il fuoco che ci riscaldi, il vento che ci scuota e ci faccia liberi. E adesso potete riscoprire, magari rileggervi a casa tutti i segni che in quella prima lettura degli Atti degli Apostoli e nel Vangelo che abbiamo letto: Gesù risorto dà ai suoi discepoli il dono dello Spirito: "Ricevete lo Spirito Santo". Noi abbiamo bisogno proprio di questo, del soffio di Dio che ci riscaldi, abbiamo bisogno di cercare Dio non soltanto quando ne sentiamo bisogno, quando ci sembra che Lui possa risolvere qualcuno dei nostri problemi e poi come sappiamo; molto spesso non ce li risolve, ma cercare Dio ogni giorno, quasi il sospiro della nostra vita, la ricerca gratuita e bella della luce, del fuoco, del calore, della vita.
Ecco perché noi siamo, invitati non soltanto oggi che è Pentecoste ma tutti i giorni della nostra vita, a invocare lo Spirito Santo, a cercare la Sua luce, la Sua vita, perché ci riempia e ci trasformi e faccia di noi un segno della sua grandezza.
Il Signore ci aiuti.
1987
Mi sembra questa sera, dopo le cose che abbiamo ascoltato, di sciupare con le mie parole il clima di questa celebrazione. Vorrei dunque soltanto invitarvi con me a rallegrarvi e a rendere grazie al Signore. Perché, vedete, credo che la riscoperta dello Spirito sia nella Chiesa qualche cosa di estremamente importante: noi dobbiamo rallegrarci questa sera, perché tanta gente come noi in ogni parte del mondo, è raccolta ad invocare lo Spirito Santo. Anche a Roma a S. Pietro (per noi è un po' lontano) tanti cristiani si radunano col papa - è la seconda volta che lo fanno - per invocare lo Spirito. È arrivato fino a Roma (tutto dire!) il soffio dello Spirito Santo.
Abbiamo ascoltato insieme quella bellissima preghiera (che zia Mimì ci ha letto così bene) che apriva la nostra celebrazione (la conosciamo ormai tutti quasi a memoria); vi ritroviamo la bellezza dell'aspirazione profonda dell'uomo. È un poeta che ha scritto questa preghiera, ma i poeti scrivono se intorno a loro c'è della gente che pensa, che prega, che vive queste cose: poi qualcuno sa esprimersi con parole belle, come quelle che abbiamo letto. Vi invito anzi a rileggerle e magari a farle conoscere anche agli altri, per ritrovare là il respiro della Chiesa, che aspetta il dono dello Spirito, lo aspetta come luce, come forza, come parola, come capacità di consolazione, lo aspetta come forza per testimoniare, come coraggio per annunziare il Vangelo, come tenerezza, come perdono, come vita.
Ecco, quando noi desideriamo sul serio tutte queste cose, il nostro cuore e la nostra vita si aprono veramente al soffio di Dio.
Qualcuno di voi domanderà: ma chi è questo Spirito Santo? ne abbiamo sentito parlare così poco nella nostra vita! è per noi quasi uno sconosciuto. Vedete, fratelli, anche i primi cristiani non parlavano molto dello Spirito, ma lo invocavano spesso, esprimevano verso di Lui il desiderio profondo della loro anima cristiana, della loro fede. Come i primi affidiamo anche noi la spiegazione di chi è lo Spirito, non a tante parole, ma ai grandi simboli della lettura appena fatta: la luce che illumina, il fuoco che riscalda, che da senso alla vita, il vento che spalanca le porte, la gente che capisce, lo stesso linguaggio, gli uomini che si incontrano, che si ritrovano...
Ecco, affidiamoci a queste immagini, portiamocele nel cuore. Soprattutto invochiamo lo Spirito, desideriamo che Egli venga; apriamo a Lui il nostro cuore. Questo è celebrare Pentecoste!
Vi invito ancora a rallegrarvi con tutti i cristiani, perché quando la Chiesa riscopre lo Spirito, quando sente il desiderio di Dio, c'è veramente una speranza che tanta gente come noi si apra alla luce, al calore, alla tenerezza, alla vita, alla gioia! Lo Spirito in noi è consolazione, è pace, è libertà e novità, è speranza sempre.
Per questo lo invochiamo.
1984
Quando si leggono gli scritti del Nuovo Testamento, soprattutto quando si leggono insieme ad altra gente, la cosa da cui tutti sono colpiti è di come spesso si parli dello Spirito Santo: negli Atti degli Apostoli, la storia cioè della prima comunità cristiana, come pure nelle lettere di S. Paolo, quasi in ogni pagina, i primi cristiani sentono il bisogno di parlare dello Spirito. La nostra esperienza voi lo sapete, un po' diversa: noi non siamo abituati a sentire parlare dello Spirito Santo. Molti di noi - quando eravamo più giovani - non hanno mai sentito parlare dello Spirito, non faceva parte della nostra preghiera. Siamo ancora abituati a rivolgerci a Dio, alla Madonna, a Gesù, ma quasi nessuno di noi è abituato ad invocare lo Spirito Santo.
Anche la festa di Pentecoste che stiamo celebrando qui alla vigilia è una festa poco sentita: per noi scorre come una domenica qualunque. Stasera ci ritroveremo qui per la Veglia di Pentecoste, ma non saremo molti. Da pochi anni soltanto si fa anche a Roma la grande veglia con il Papa a piazza S. Pietro: si riuniscono là i cristiani per invocare lo Spirito Santo. Chissà perché, - qualche volta me lo sono domandato - durante questo tempo la Chiesa non ha sentito la necessità di invocare lo Spirito, come invece la sentivano i primi cristiani. I primi cristiani erano convinti che se si radunavano insieme, se potevano parlare di Gesù, se conservavano la fede nel cuore, era per la forza dello Spirito che veniva comunicata loro. Sentivano, dovremmo cercare di sentire anche noi che siamo qui riuniti insieme non per le nostre forze, ma perché qualche cosa del dono di Dio ci è stato dato, altrimenti non sarebbe arrivato fino a noi il Cristianesimo, non saremmo riuniti qui: se non ci fosse nel nostro cuore, nel cuore di tutti quelli che ci hanno preceduto, qualche cosa del soffio di Dio, del Suo calore, che ci fa fare esperienza di Dio. Vedete, noi facciamo ogni giorno esperienza di tante cose che sono importanti per la vita, esperienza del cibo che mangiamo, del lavoro che facciamo, esperienza di tante cose concrete, che riempiono la vita di ciascuno di noi. Come fare esperienza di Dio, esperienza di qualche cosa che è al di là di quello che noi vediamo, se Lui non ci aiuta? Come fare esperienza dei valori profondi della vita, come fare in questo mondo esperienza autentica di verità, di pace; come sentire il desiderio di Dio, se qualche cosa della sua forza non soffia in noi?
Ecco, vedete, perché i primi cristiani ogni volta che si riunivano - e non soltanto a Pentecoste, ma ogni domenica - sentivano il bisogno di invocare lo Spirito, sentivano il desiderio di Lui, sentivano il bisogno di fare in qualche modo esperienza dl Dio, esperienza dell'assoluto, esperienza della verità. Io non vorrei stasera moltiplicare le parole, perché penso è difficile parlare di queste cose vi inviterei non me a pregare lo Spirito perché aiuti tutti noi e i cristiani di tutta la terra, a sentire questo desiderio dei valori che lo Spirito porta. Lo avete sentito nella Lettura di oggi: il desiderio dell'unità di tutti i popoli, che tutti riescano a parlare di nuovo lo stesso linguaggio, il desiderio di essere tutti testimoni di Gesù; che ogni cristiano senta nel cuore la spinta a testimoniare il Signore, la Sua vita, la Sua verità, la Sua pace. Che ciascun cristiano senta nel cuore il desiderio di mettersi al servizio dell'altro, di condividere la vita....
Tutte queste cose da soli non possiamo farle, noi siamo povera gente: abbiamo bisogno veramente, che qualche cosa del calore di Dio, qualche cosa della forza di Dio, porti in noi la novità, il coraggio di andare avanti, il coraggio di rinnovare la nostra vita e il mondo che ci circonda. Per questo i primi cristiani invocavano lo Spirito: lo facevano sempre, gridavano a Dio perché qualche cosa di Lui fosse comunicato a loro.
Facciamolo anche noi, tutti insieme, con fede profonda: la Chiesa di oggi come la Chiesa di tutti i tempi ha bisogno di questo soffio per rinnovare la terra, ha bisogno di un desiderio profondo di unità, di rinnovamento. Ha bisogno di un desiderio profondo di pace, di vita vissuta insieme e condivisa. E tutto questo può farlo in noi lo Spirito di Dio che, come avete sentito, è come un fuoco che riscalda e illumina, come un vento che scuote e spalanca le porte e toglie la paura e dà il coraggio di camminare ancora.
Invochiamolo insieme con tutta la nostra fede.
1990
Una delle cose che più mi hanno colpito, leggendo e studiando la Bibbia, è che il cammino dell'uomo alla ricerca di Dio, (e la Bibbia proprio il racconto di questo cammino, di questa ricerca del volto di Dio), è un cammino che parte dai bisogni dell’uomo, dai suoi tentativi di costruirsi Dio a propria immagine e va sempre più verso il "mistero", la gratuità. Il credente, pian piano si rende conto che Dio è più grande delle nostre parole, di ogni nostra idea, delle nostre immagini: tanto che l'Antico Testamento arriva ad escludere ogni immagine di Dio. Non c'era nel Tempio di Gerusalemme nessuna immagine, nessun segno, niente: Dio non si può rappresentare.
E c'è un comandamento che tutti conoscete, a cui però non abbiamo dato molta importanza, se non, qualche volta, quelli di noi, che hanno avuto la sventura di prender l'abitudine di bestemmiare, se lo sentivano ricordare spesso dai sacerdoti: "Non nominare il nome di Dio invano"!
È invece un comandamento che riguarda tutt'altra cosa che la bestemmia, è proprio l’invito a non fare alcuna immagine di Dio, perché Dio è più grande di ogni nostra rappresentazione, perché gli uomini - non soltanto gli uomini antichi, purtroppo succede anche a noi - hanno la tentazione di "usare" Dio, troppo spesso. Anche voi, avrete fatto questa esperienza: capita un guaio, succede una disgrazia, c’è qualcuno che dice: "Ecco, Dio ha mandato il suo castigo", "Dio ci castiga perché siamo cattivi",
Così dicevano anche gli antichi, ma c’è sempre stato un giusto, un profeta - ecco la storia della nostra fede - che diceva: "No, non è così, non può essere che un castigo di Dio, perché spesso la disgrazia colpisce anche i giusti".
L'uomo quando non riesce a spiegare una cosa, e gli antichi non ne spiegavano tante di cose, non riuscivano a spiegare come da un seme potesse spuntare un albero e dicevano: "È Dio che lo fa spuntare, è tutto chiaro". Quando non capivano l’origine di una malattia dicevano: " È Dio che ha mandato un castigo", oppure: "È venuto un diavolo", e così via. Tante domande a cui non sapevano rispondere e dicevano: "È Dio che ha fatto questo!",
Ed anche quando cercavano delle leggi oppure non sapevano come comportarsi, c'era qualcuno trovava in Dio la risposta: "Dio dice che bisogna fare così", magari, come spesso succede anche oggi, per imporre in nome di Dio la propria idea o peggio i propri comodi!
Se voi leggete la Bibbia vedete che profeta dopo profeta, sapiente dopo sapiente c’è stato chi non si è accontentato di risposte, che sembrano semplici, ma pongono più problemi di quanti ne risolvono, chi si è reso conto che Dio non andava cercato a partire dai propri bisogni, non bisognava chiedersi a cosa potesse servirci Dio, ma occorreva cercarlo nello stupore e nella gratuità, occorreva andare alla ricerca delle sue tracce nel mondo, tracce della luce, della bellezza, della vita, della libertà, da cui tutti veniamo.
L'antico ebreo si rende conto che Dio non è Colui che risolve i problemi, che da la risposta a tante nostre domande, ma è Colui che le domande le pone, è Colui che ci chiama, Colui che ci invita a cercare.
E non vale soltanto per gli antichi ebrei, ma anche per noi che abbiamo fatto esperienza di Dio in Gesù di Nazareth, che ne facciamo esperienza qui intorno all'altare, nell'Eucarestia che celebriamo. Anche questo è un invito a non trovare, troppo facilmente, risposte a buon mercato.
È bene non dire mai: "Dio dice così, Dio ha fatto questo, Dio sta là; Dio sta qua". Dio dobbiamo cercarlo facendo sempre di più esperienza di Gesù, condividendo il pane del Suo Corpo, continuando a cercare la Sua luce, continuando a lasciarci inquietare dalle Sue parole e a camminare cercando il Suo Volto.
Il Signore ci aiuti a farlo!
1990
La Messa rischia di diventare per molti dai nostri concittadini una specie di "optional", una cosa a cui si partecipa quando se ne ha voglia, ma che non fa parte delle cose importanti della vita. Permettetemi oggi di parlare di qualche cosa di marginale rispetto alla festa di oggi, una riflessione che spero aiuti anche voi, come ha aiutato me.
Quando eravamo piccoli, almeno quando io ero bambino, non andare a Messa la domenica era considerato nella mia famiglia una casa molto grave, e ricordo che i nostri bravi preti spesso insistevano dicendo che non andare alla Messa era peccato mortale. Adesso, per i nostri catechisti, non si sa quasi più che cosa sia peccato mortale ed è giusto, perché se uno una volta non può andare, non deve farsi troppi scrupoli.
Quando ero bambino io andavo a Messa perché era dovere andare a Messa, e non sono mai mancato, ma non capivo molto che cosa stesse succedendo, il senso della Messa mi sfuggiva quasi del tutto: si andava perché si doveva andare. Adesso, la gente sente meno quest'obbligo, però chi ci va - penso la maggior parte di voi - va perché convinta, perché sente che questo è un momento importante.
E perché è un momento importante? Ecco, quello che volevo dirvi stasera è proprio questo: la Messa è proprio il contrario di una cosa opzionale, facoltativa, Gesù ci fa ritrovare qui per aiutarci a cercare quello che é essenziale della vita, quello che è necessario, quello che è veramente importante nel nostro vivere. L'uomo, avete sentito nella prima lettura "Non vive di solo pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio", "Il pane che Io vi do, è la vita", ha ripetuto Gesù nel Vangelo. Ecco, allora il nostro stare qui è cercare qualche cosa che va al di là del pane di ogni giorno, qualcosa che è l'essenza della vita.
Tutto il giorno, tutti noi - voi più di me certamente - corriamo, ci occupiamo di tante cose, abbiamo da fare i conti con i tanti problemi del lavoro, della casa, far quadrare il bilancio alla fin del mese, preoccuparsi che le cose vadano bene: son tutte cose importanti, necessarie per la vita, perché bisogna mangiare, bisogna provvedere a una casa; ma poi ci troviamo qui proprio per dire: "Ma all'uomo bastano queste cose? Non c'è qualche cosa di più, di più profondo? Al di là del correre, dell’affannarsi di ogni giorno, non é bello ritrovare qui il senso della vita? Il senso dello stupore di fronte alle cose, di fronte alla gente, che ci sta intorno? A che serve il correre di tutti i giorni, se poi non troviamo la capacità di voler bene, di essere tolleranti, di accoglierci, di rispettarci, se non sentiamo l'esigenza di cercare la luce di Dio, la Sua verità.
Ecco, non so se quello che dico adesso è giusto: sulla tavola della cena di Pasqua c'erano tante cose (perché gli ebrei dovevano preparare tante cose per la cena di Pasqua) c'era l'agnello pasquale, le erbe, la salsa, la frutta, i vari bicchieri di vino, Gesù ha preso solo un pane, un piccolo pezzo di pane e un po' di vino quasi a dirci: "Cercate le cose fondamentali della vita, e al di là delle cose che servono per nutrire, di tutte le cose importanti, che riempiono la vita, cercate l'essenziale".
Non so se questo può aiutarvi: il nostro venire qui ogni sabato sera, ogni domenica è proprio sederci, guardare il Signore e chiederci: "Ma cosa è importante nella mia vita: corro, mi affanno per tante cose, che cosa é veramente necessario?".
Ed è una cosa da cercare continuamente, se mi domandassero: "Ma don Checco, tu l'hai capito cos'è veramente importante?" Qualche cosa mi sembra di intuire, ma non ve lo dico nemmeno, tanto poco mi sembra di aver capito.
Sono convinto che ci dovremo ritrovare qui anche domenica prossima e anche le altre domeniche, finché vivremo, finché non arriveremo alla fine della vita per domandare al Signore: "Ma che cosa veramente conta? Che cosa Tu vuoi da noi? Gesù, perché Tu sei venuto in mezzo a noi? per insegnarci che?". Qualche cosa lo intuiamo, qualche cosa lo capiamo e lo cerchiamo ancora, ringraziando il Signore perché qui ci raduna, qui ogni settimana e ci aiuta a camminare, a cercare ancora, a cercare la Sua luce, il Suo Volto, la Sua verità le cose che veramente contano nella vita. Per questo è venuto.
Il Signore ci aiuti.
1987
Se avete un po' di pazienza e mi seguite un momento nel discorso, spero di potervi aiutare a fare una breve riflessione sull'Eucarestia che celebriamo ogni domenica, perché, vedete, noi, a differenza dei discepoli di Gesù, siamo abituati all'Eucaristia fin da quando eravamo bambini. Io ho cominciato ad andare a Messa quando ancora non capivo nulla - non è che adesso capisca molto di più - sulle braccia di mio papà, era lui che mi portava in chiesa. E la Messa è stata più o meno sempre quella, sempre lo stesso modo di farla, sempre lo stesso modo di viverla. E tutte le cose che si ripetono fin da bambini rischiano di diventare un'abitudine: la festa di oggi ci aiuta un pochino a riflettere e a capire, forse.
Vedete, gli apostoli hanno fatto un'esperienza completamente diversa dalla nostra. Loro erano abituati ad andare nel tempio: il tempio, al tempo di Gesù era uno spazio sacro. Lo spazio riservato alla preghiera, al sacrificio... ed era organizzato proprio in modo da essere nettamente distinto da tutto il resto della vita.
Il tempio di Gerusalemme era fatto da una serie di cortili: il primo cortile, il più grande, era il luogo dove potevano entrare tutti, anche i pagani. Lo conoscete da qualche episodio del Vangelo, - ricordate? - quando Gesù ha preso un po' di corde in mano ed ha cacciato via tutti i venditori di colombe, quelli che cambiavano le monete, perché in questo primo cortile si faceva proprio questo: il commercio, non il commercio profano, perché si vendevano le cose che servivano per il sacrificio. Si cambiavano le monete perché nel tempio, nella parte più interna, non poteva entrare nessuna immagine, tanto meno l'immagine dell'imperatore che figurava sulle monete di quel tempo. Quello era quasi un luogo di decantazione, la' si doveva passare dal mondo profano, dal mondo della vita di ogni giorno, allo spazio sacro, allo spazio di Dio, della preghiera, del sacrificio. Prima di entrare in questo spazio, bisognava purificarsi, togliere via ogni resto del mondo profano, la polvere, pulirsi le mani, lavarsi i piedi: si entrava così nello spazio sacro. In questo spazio potevano entrare soltanto gli israeliti, soltanto gli ebrei. Poi c'era un altro cortile, dove potevano entrare soltanto gli uomini, le donne infatti, dovevano rimanere fuori. Più avanti un altro cortile, là potevano entrare soltanto i sacerdoti e anche loro dovevano fare tante purificazioni, astenersi per qualche giorno prima dal commercio, dai rapporti sessuali, lasciare tutto, astrarsi dalle cose della vita di ogni giorno. Mettevano abiti speciali... e così entravano nel recinto sacro e là offrivano i sacrifici. E la gente andava e attraverso il sacerdote, offriva un sacrificio a Dio. Una specie di commercio, come dire a Dio: "Ti do qualche cosa, ti offro questo agnello, questo capretto, questo vitello... e tu in cambio mi dai la tua benedizione, la tua protezione". Attraverso la mediazione del sacerdote, in questo spazio sacro, si stabiliva un certo rapporto con Dio, un rapporto religioso, sacrale. La gente che andava nel tempio doveva lasciare fuori tutti i problemi della vita di ogni giorno, tutte le questioni ordinarie, tutto quello che costituiva il tessuto della vita, per entrare in uno spazio religioso.
Voi capite la meraviglia degli Apostoli quando si sono sentiti chiamati da Gesù fuori da questo spazio sacro e messi in una casa comune, intorno ad un tavola comune, vestiti comunemente, in mezzo alla vita di ogni giorno, e sulla tavola soltanto un po' di pane e un po' di vino: le semplici cose che non mancavano mai sulla tavola, anche più povera, di una famiglia ebrea. Anche noi viviamo più o meno nello stesso ambiente, e anche voi, quando ritornerete a casa, vi troverete intorno ad una tavola e sulla tavola ci sarà un po' di pane e un po' di vino. I discepoli hanno fatto fatica a capire perché Gesù, li aveva portati fuori dal recinto sacro e aveva messo il suo "segno religioso" nel cuore della vita di tutti i giorni.
Vedete, nel corso della storia della Chiesa poi, ci siamo preoccupati di risospingere la Messa (questo è i1 rischio anche per noi) in uno spazio sacro. Anche qui, i vestiti che ho io oggi, nessuno di voi li porta, ma se guardate bene questo mio vestito, è, un po' modificato, l'antico mantello dei romani. Vedete che ha qui dietro una specie di cappuccio, ridotto quasi a niente, perché adesso non serve più. Questo era il mantello romano, mantello di lana pesante allora, con il cappuccio che ci si metteva sulla testa quando pioveva e qui, vedete, quest'altro abito che io porto, è l'antica tunica romana. Questo è anche orlato di rosso, come erano le antiche tuniche romane. Erano gli abiti di tutti i giorni allora, adesso nessuno di noi li usa più. Sono diventati paramenti sacri, perché noi ci affrettiamo a risospingere Dio in un Suo spazio, nello spazio del sacro, nello spazio in cui anche qualcuno di noi (spero pochi!) viene qui per dire: "Ecco, oggi è domenica, andiamo in chiesa per offrire qualche cosa a Dio, e se non altro un po' del nostro tempo, così Lui ci benedice!" Non era questo quello che intendeva Gesù! Lui voleva collocare nel cuore proprio della vita di ciascuno di noi, la memoria di Lui. Per questo ha portato la gente fuori dagli spazi sacri e in una casa comune, intorno ad una tavola comune, mettendo sull'altare soltanto un po' di pane e un po' di vino, voleva che noi facessimo memoria di Lui, ma una memoria non per uno spazio sacro, separato, in cui bisognasse purificarsi, liberarsi dalla quotidianità, ma memoria nel concreto, nella vita di tutti i giorni, perché là, Gesù voleva che noi portassimo la Sua memoria. Una memoria che cambiasse questa vita, che la illuminasse con la Sua luce. Allora, vedete, la Messa ha senso per me e per voi se è soltanto una pausa in cui non lasciamo fuori dalla porta i nostri problemi di tutti i giorni: problemi del lavoro, della famiglia... e se tutti questi problemi ce li portiamo qui, per lasciarli illuminare dalla memoria di Gesù, per domandarci insieme: cosa farebbe Gesù al nostro posto? Cosa vuole che cambiamo nella nostra vita di tutti i giorni, nel posto dove lavoriamo, con la gente con cui viviamo? Cosa vuole che portiamo nel tessuto della nostra città? Cos'è far memoria di Gesù nel concreto della vita di ogni giorno?" Vedete, l'Eucarestia non è celebrazione in uno spazio sacro, nello spazio di Dio, è celebrazione della nostra vita di tutti i giorni: perché sia nutrita di Gesù, sia vissuta nella Sua luce, sia impregnata dei valori che animavano Gesù, del Suo desiderio di vita, di pace. Per questo Lui si è fatto pane: per nutrire questa nostra ricerca, questo nostro cammino. La Messa è collocata nel cuore della nostra vita o non è quello che voleva Gesù. La Messa che celebriamo è per la nostra vita, per portare là la memoria viva di Gesù o non è.
Mi fermo qui perché ve l'ho fatta già abbastanza lunga... vi chiedo scusa. Se volete, ci alziamo in piedi e preghiamo un po'.
1990
Abbiamo ascoltato ancora una volta queste sconcertanti parole che penso tutti voi abbiate presenti, sarete anche voi come tanti cristiani che ci hanno preceduto, inciampati in queste parole quando le avete lette, cercando di capire che cosa vuole il Signore da noi: effettivamente non é semplice.
Pensando e ripensando a che cosa potessero significare queste parole, mi riveniva in mente, così.... una cosa tra le tante, un discorso che facevo proprio qualche sera fà con due giovani signore sulla difficoltà di vivere in coppia, e qualcuno diceva che non è naturale, noi siamo mammiferi e tra i mammiferi non vive in coppia praticamente nessuno; nel mondo animale, pare che soltanto alcuni uccelli riescono a rimanere fedeli, finché vivono ad un solo essere, tutti gli animali vanno in giro cercando, di volta in volta, il loro partner. Mi riveniva in mente questo discorso, leggendo le parole del Vangelo di stasera.
Che cos'è di più innaturale che perdere la vita? Noi uomini abbiamo come istinto fondamentale - ma non soltanto noi uomini, ogni essere - l'istinto di conservarla la vita, di difenderla a tutti i costi, di possedere ciascuno la propria esistenza.
Che cos'è di più fondamentale per noi che l'affetto verso il padre, la madre, verso un figlio o una figlia? Che cosa dice dunque Gesù qua? Forse vuole portarci al di là della nostra stessa natura.
Mi è sembrato di intuire che, forse, seguire Gesù significa proprio andare al di là della nostra natura, portare nella nostra vita un riflesso di Dio, un pizzico della sua gratuità, più grande della vita degli uomini: perché noi poi riconosciamo guardando indietro nella storia, guardandoci intorno, che è grande chi sa effettivamente donare la sua vita per un altro, che sa sacrificarla; conosco delle persone che donano la propria vita accanto ad una persona malata, a qualche persona handicappata, gente che ha veramente quasi sacrificato la sua vita là, e noi riconosciamo veramente qualche cosa dell'amore, chissà che Dio non sia veramente un abisso di donazione di Sé, di altruismo, Colui che veramente fino in fondo, ha saputo vivere per gli altri, e non per Sé Stesso.
Ho quasi paura a fare soltanto un esempio, perché mi son reso conto nella vita che ogni volta che si dice qualche cosa, c'è qualcuno in mezzo a noi che si sente subito in colpa, che si sente subito quasi colpito dalle parole che il sacerdote dice dall'altare, quasi che siano parole magiche. Quello che io tento di dire con voi sono quasi delle riflessioni ad alta voce, cercando con voi di capire.
Cosa vuole Gesù da noi? Cosa vuole nel concreto della vita di tutti voi che siete qui? Forse soltanto che sappiamo dare ciascuno di noi un bicchiere d'acqua a chi ci vive accanto? Questo forse sappiamo farlo e potremo farlo un po’ di più, ma non è anche questo forse, un riflesso di quell'amore totale che Dio vuole da noi? Forse saper dare un bicchier d'acqua presuppone il coraggio di chi si avvia a cercare non la propria vita, ma la vita degli altri, la vita stessa di Dio. Forse un bicchier d'acqua sa darlo davvero chi sa amare sul serio, nel profondo di se stesso, chi si sa dimenticarsi. Chissà cosa vuole il Signore da noi? Certo che vuole portarci, io questo credo di averlo capito nella vita, verso un mondo più bello, più vero, più ricco di amore.
Mi fermo qui, invitandovi ciascuno a pregare per sé, per la propria vita perché possiamo capire Gesù, andargli dietro, portando bellezza, amore, bontà nella nostra vita e nella vita di chi ci sta accanto.
Il Signore ci aiuti!
1987
Ci siamo trovati di fronte a parole del Vangelo piuttosto sconcertanti. Penso che tutti voi quando avete letto per la prima volta il Vangelo di Matteo abbiate inciampato in queste parole. Avete letto e riletto cercando di capire e, anche oggi, ascoltando queste parole per l'ennesima volta, molti di voi stentano a capire. Non pretenderete dunque che io vi dia una spiegazione, potrei moltiplicare le parole, fare molte sottili distinzioni, ma questa pagina rimarrebbe con tutta la sua durezza, con la sua incomprensibilità. Ho pensato allora di prendere un'altra strada, che forse non aiuta molti di voi, ma forse, può dare a qualcuno degli spunti di riflessione. Vi racconterò tre storie, tre fatti che mi sono accaduti negli ultimi tempi, come delle parabole che forse aiutano non dico a capire, ma ad intuire qualcosa.
Il primo fatto che voglio raccontarvi è questo: don Nino, quel mio amico che è parroco in Brasile, ormai da più di 20 anni e che è venuto qui (qualcuno di voi ha avuto modo di incontrarlo) se ne torna laggiù, proprio stasera parte: io l'ho salutato l'altro ieri e mentre lo salutavo mi veniva in mente, pensando a questa pagina del Vangelo, la lunga battaglia che io ho combattuto 20 anni fa con lui perché non partisse. Mi sono sbagliato - come tante volte ho sbagliato nella vita - e in questo caso forse più del solito e ci ho ripensato a lungo, perché avevo veramente molto insistito con lui perché non andasse, portando tanti buoni motivi: che c'era bisogno di lui a Roma, che era importante restare, che era inutile andare lontano, che qui tanta gente aveva bisogno di lui, che qui faceva tanto bene... In fondo io presentavo i diritti della mia amicizia: lo avevo conosciuto quando ero ancora un ragazzo, era stato molto importante nella mia vita, sentivo - e sento ancora - molto il valore della sua amicizia, mi dispiaceva molto che andasse lontano. E lui aveva qui non soltanto me, ma tanti amici: un fratello, altri parenti e tanta, tanta gente che gli voleva bene sul serio. Ebbene, ha dato un taglio con tutti noi ed è andato lontano. Ha amato Gesù più di noi, non che a noi non volesse più bene, ma sentiva che laggiù della gente concreta, che non conosceva ancora, aveva bisogno di lui e aveva ragione: la sua vita si è arricchita, è diventata importante per tanta gente.
L'altro episodio mi capitava invece un mese fa circa: leggevamo una pagina del vangelo simile a questa e una ragazza mi chiedeva: "Don Checco, ma fino a che punto è giusto darsi da fare per gente estranea, magari trascurando quelli della propria famiglia?" Questa ragazza è figlia di due genitori molto impegnati nel lavoro e che si danno da fare per gli altri, ma anche lei si dà molto da fare fuori casa, le ho chiesto, forse un po' bruscamente: "parli per te o parli per qualcun altro?" Mi ha guardato e non mi ha risposto. Poi mi è capitato di ripensare spesso a questo piccolo episodio e mi sono chiesto: ma fino a che punto è giusto? - questa domanda l'ho sentita ripetere da molti di voi - fino a che punto è giusto trascurare i propri figli, il proprio marito... E a volte i figli brontolano perché la mamma si dà da fare per gli altri, a volte il marito si lamenta perché si sente trascurato... Sino a che punto è giusto?...
Eppure, vedete, l'esperienza mi dice (ormai ne ho anch'io un po' dietro le spalle) che spesso chi sa amare quelli che sono estranei, ama sul serio anche il marito e i figli. Spesso chi pensa troppo alla propria casa, chi si chiude nel proprio guscio, è incapace di voler bene sul serio anche a quelli che stanno nel guscio: il suo amore diventa possessivo, geloso, un amore che non lascia liberi, che non aiuta a crescere. Ho visto tanta gente che sa moltiplicare il suo cuore che sa creare intorno a sé spazi di vita e di libertà. Ripensando a quella ragazza credo che abbia imparato a vivere da suo padre e da sua madre, proprio perché qualche volta si sono dimenticati di lei, per pensare agli altri. Forse facendo così le hanno lasciato molto più spazio di quanto ne lasciano ai figli certi genitori che conosco.
Un altro fatto mi capitava qualche sera fa. Una signora mi diceva: "Ma in fondo che male c'è a pensare a se stessi? Se uno cerca di viver tranquillo, se uno fa una cosa che lo gratifica, che lo realizza: in fondo la cosa più importante non è realizzare sé stessi?" È un discorso che oggi si sente fare spesso! Ma si può pensare solo alla propria tranquillità, si può pensare solo a sé stessi, a realizzarsi, si può vivere senza aver nel cuore qualcosa per cui valga la pena buttar via la vita? Pensateci un po', guardatevi intorno: quando un uomo pensa solo a difendere la propria vita, a realizzare e gratificare sé stesso, quando uno non ha dentro di sé dei valori e degli ideali, qualcosa per cui vivere e combattere, quando il perno di tutto è sé stesso.... "Chi cerca la propria vita la perde...": forse ha ragione Gesù.
A me (perché io la mia testimonianza posso darvela solo in negativo) è capitato a volte di ricercare la tranquillità, la pace, di cercare di tener lontano tutti quelli che in qualche modo mi disturbavano, mi inquietavano... e poi ti accorgi che rimani solo, che il cuore si inaridisce, che la vita si spegne e che la ritrovi veramente se sai, almeno un po', impegnarti per gli altri, magari con sacrificio, se senti di avere qualcosa per cui vivere, se senti che il centro non sei tu, ma gli altri, gli ideali, i valori in cui credi.
Tre piccoli fatti, tre specie di parabole, ma non so se vi aiutano a capire, cerchiamo allora di invocare insieme lo Spirito Santo.
1987
Nelle letture che abbiamo appena letto, abbiamo ascoltato Pietro che per la prima volta, apertamente, proclama la sua fede in Gesù. In un momento cruciale del cammino con i suoi discepoli, Gesù ha domandato a loro: "Per voi, chi sono io?" Pietro ha avuto il coraggio di dire "Tu per me sei il Signore, ho creduto nella tua parola, ho deciso di camminare con te". E Pietro è rimasto fedele fino in fondo a questa sua scelta, a questa sua decisione di fidarsi di Gesù, di prendere sul serio la Sua parola, di camminare con Lui.
Nell'altra lettera abbiamo ascoltato invece l'apostolo Paolo, giunto verso la fine della sua vita: una lettera scritta, probabilmente, qui da Roma quando è prigioniero e ormai vede che sta avvicinandosi per lui l'ora del martirio: "il mio sangue sta per essere sparso". E fa il bilancio della sua vita con quelle parole così semplici e così profonde: "ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede". Anche Paolo, da quando ha riconosciuto Gesù, è stato fedele a questa amicizia, anche lui ha camminato, ha corso, ha combattuto, fedele alla parola di Gesù, ha annunciato il Vangelo in tutto il mondo, correndo in giro a parlare di Gesù, per testimoniarlo con le sue parole e con le sue opere.
Ecco, vedete, questa fede in Gesù, questo scegliere Lui, questo fidarsi del Signore, accomuna davanti a noi queste due persone pur così diverse nella loro vita. Pietro era un pescatore, un uomo che non aveva studiato, veniva da una famiglia povera, la sua vita si era svolta, fino all'incontro con Gesù, sulla riva del lago. Paolo invece era un intellettuale, aveva fatto l'università, aveva studiato nella scuola più prestigiosa del mondo ebraico, veniva da una famiglia ricca, era un uomo colto, aveva girato il mondo. Anche il carattere era diverso, anche la loro vita: Paolo ha corso per il mondo, spinto dall'ansia di testimoniare Gesù. Pietro invece è rimasto fermo in Gerusalemme, poi è venuto fin qui a Roma, il suo compito era più quello di mediare, di cercare di far andare d'accordo la prima comunità cristiana. Qualche volta, anche fra di loro, hanno litigato: Paolo dice in una delle sue lettere che ha dovuto resistere in faccia a Pietro, ha dovuto rimproverarlo apertamente, perché secondo lui sbagliava. Hanno avuto degli scontri, avevano idee diverse, caratteri diversi, ma hanno sempre conservato la fede nel cuore. Questo li univa profondamente, li faceva superare le difficoltà, li faceva cercare insieme di costruire la Chiesa, di dare la stessa testimonianza delle cose essenziali: la fedeltà nel seguire il Signore Gesù, il coraggio di testimoniare la Sua parola.
Noi veniamo quasi duemila anni dopo di loro anche noi siamo diversi, ma dobbiamo pregare insieme perché la stessa fede ci unisca e anche noi, come questi apostoli, possiamo avere il coraggio di credere in Gesù, di camminare con Lui, di combattere la buona battaglia, di conservare, fino in fondo, la fede.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1990
Leggo queste parole sempre con un senso di cruccio e di rammarico, il cruccio che, forse, diventa il più grande della mia vita di prete, man mano che vado avanti con gli anni, e vengon meno tante sicurezze. Mi rimane il cruccio di non aver saputo difendere molti di voi dalle tante intolleranze che vengono scambiate per Vangelo, per religione, dalla tanta gente che propone un Dio severo ed esigente, dalla paura di Dio. C'è troppa gente che scambia questo per religione. Troppe favole che girano su Dio nel mondo, e il cruccio di un prete - almeno il mio diventa sempre più forte - è quello di non saper difendere la gente, di non saper difendere molti di voi da tutto questo. Mi capitava spesso, mi capita anche in questi ultimi tempi, c'è gente che dice: "Non faccio la Comunione perché non mi sento degno"; c'è gente che crede di far piacere a Dio moltiplicando le preghiere, i digiuni, moltiplicando le opere da fare; c'è gente che sente Dio come un padrone duro ed esigente, che vuole da lui chissà che cosa; c'è gente che si sente spesso in colpa, che vede colpa dappertutto. Raccontava l'altro giorno una signora che persone pie le hanno detto che non sta bene andare al mare, perché per una donna non sta bene mostrarsi in costume, e di queste sciocchezze ne girano tante e vengono scambiate per cristianesimo. Un consiglio, se posso: Non date retta! Ascoltate Gesù, fidatevi di Lui, a Lui affidiamo la nostra vita, come povera gente, È venuto per la gente semplice, per la gente come noi, con il cuore fragile, è venuto per chi non si sente buono, per chi non si sente intelligente, per chi non sa tutto. Diffidate di chi sa sempre tutto, di chi vi punta il dito contro, di chi vi fa sentire in colpa, anche se qualche volta capita anche a me di farlo dall'altare (questo è uno dei difetti dei preti!). Non date retta! Difendetevi se io non posso difendervi, difendete da soli la vostra vita, la vostra fede. Gesù è venuto proprio per liberarci da tutto questo, dalla paura di Dio dal senso della colpa, per poter affidare a Lui la nostra vita da povera gente.
Chi è degno di Gesù? Siamo tutti povera gente! Chi è buono tra di noi...? Ma Lui ci vuole bene così come siamo, a Lui possiamo affidare con fiducia la nostra vita senza paura. Non moltiplicate i digiuni, le preghiere; sì, è bello pregare! dite mille rosari al giorno, ma non li dite per paura di Dio, diteli per amore di Dio. Non moltiplicate i digiuni! Non servono a niente, sono le sciocchezze che si scambiano per religione. Affidiamo tutti, io per primo, a Dio la nostra vita con semplicità di cuore, Lui è più grande del nostro cuore, Lui è misericordia, è perdono, è tenerezza, è affetto. Affidiamoci con fiducia nelle mani di Dio e non abbiamo paura! Per questo è venuto Gesù, lo ripete in mille pagine del Vangelo, per toglierci la paura dal cuore, perché nessuno si senta in colpa. Per questo è venuto Gesù, per toglierci il senso di colpa dal cuore, perché ogni volta che affidiamo a Lui la nostra colpa, per quanto grande sia, Lui è perdono, è misericordia, è tenerezza, è speranza. Questo è l'unico Signore che conosciamo.
1987
Abbiamo ascoltato insieme questa straordinaria parola del Vangelo di Matteo, in cui dal cuore di Gesù esce questa benedizione, questa lode al Padre: "Ti benedico Padre, Ti ringrazio perché hai rivelato queste cose ai piccoli e non ai sapienti e agli intelligenti". Vedete, la storia di tutte le religioni anche la storia del Cristianesimo, anche la storia di Gesù, è piena di questi sapienti ed intelligenti. Spero che nessuno di voi appartenga a questa categoria! Sarà capitato anche a voi di incontrarli nella vita, a me è capitato spesso.
I sapienti e gli intelligenti non sono gli studiosi noti per la profondità del loro pensiero o per la vastità del loro sapere, non sono quelli che sono dotati di grande intelligenza: questi sono doni di Dio. I sapienti e gli intelligenti in questa pagina del Vangelo, sono quelle persone che sanno sempre tutto, che hanno sempre una risposta per ogni domanda, quella gente che è sicura del bene e del male, la gente che si sente a posto, la gente che ha sempre una parola per giudicare, per condannare gli altri. La gente che in nome della legge, in nome della tradizione si mette sul piedistallo e impone agli altri carichi pesanti. La gente che non ti fa sentire a posto...
Ci sono invece i "piccoli" e spero che tutti voi ne facciate parte, è la gente che ha il cuore fragile, che ha tanti dubbi, tante difficoltà nel vivere, la gente che non si sente mai sicura, la gente che non cerca di essere a posto, che non crede di essere arrivata, che non si sente di condannare gli altri. La gente che va cercando....
Tante volte mi sono sentito dire in questi ormai più di 25 anni che sono prete: "Padre, ho tanti dubbi dentro di me, mi riesce difficile capire che cosa vuole Gesù, ho tante difficoltà nel capire il bene e il male". E spesso chi parla quasi se ne fa una colpa. Erano così anche gli apostoli, sono stati così tutti i veri Santi che hanno attraversato la Chiesa. Il dubbio fa parte del cammino di chi cerca veramente il Signore, di chi sa che la verità non si trova come qualche cosa che si mette in una scatola, ma è qualche cosa che si cerca nella vita di ogni giorno, che si cerca guardandosi intorno, tentando di capire gli altri, di accoglierli nella propria vita. La verità si cerca non nella sicurezza di chi ha trovato tutto, ma nella domanda - incessante per chi è credente - rivolta a Gesù.
A questa gente Gesù proclama la sua beatitudine, il suo grido: "Venite a me voi tutti...".
Ecco perché noi possiamo andare da Gesù, Lui può prenderci per mano, non ci risolverà tutti i dubbi, non ci darà quelle sicurezze che andiamo cercando, ma camminerà con noi per le strade del mondo e ci metterà nel cuore la pace, il ristoro, la voglia di cercare ancora, il desiderio del bene, il desiderio di incontrare l'altro, il desiderio di far strada con tutti, senza sentirci mai arrivati, senza avere la pretesa di giudicare gli altri.
Il Signore ci aiuti a camminare su questa strada, il Signore si faccia vicino e cammini con noi.
1990
Quando ero giovane, ormai parecchio tempo fà, i miei maestri mi ricordavano spesso una frase dell'apostolo Paolo su Gesù, a quel tempo parlavamo in latino, ma io ve lo risparmio, questa frase dice che Gesù ha imparato l'obbedienza dalle cose che ha patito. È una frase forte, ci parla di Gesù che impara, che fa esperienza come un qualunque mortale, una frase a cui noi cristiani non siamo abituati, forse per questo i saggi che ho incontrato me la ripetevano spesso. E io, leggendo il Vangelo, ho qualche volta cercato di immaginare Gesù che imparava, anche Lui, l'arte difficile di obbedire alla vita, di farsi fedele, attraverso le cose che pativa. Vi dico questo perché secondo me la parabola che abbiamo ascoltato viene da un momento di difficoltà, di sofferenza di Gesù. Un momento in cui ha provato una delle esperienze dolorose della vita dell'uomo - l'avrete provata, penso, anche voi - l'esperienza di lavorare invano, l'esperienza di parlare inutilmente, l'esperienza di darvi da fare, magari per un figlio o per un amico, e poi veder che i vostri sforzi non approdano a nulla, non portano frutti, non danno risultati tangibili. Anche Gesù ha fatto questa esperienza, l'ha fatta duramente! All'inizio la gente andava con Lui con entusiasmo, sembrava che molta gente lo seguisse, poi, pian piano, le delusioni: qualcuno comincia ad allontanarsi, anche i discepoli cominciano ad avere i loro dubbi e, forse, questi dubbi, questo almeno io ho immaginato, sono venuti anche a Gesù.
Cerchiamo, con la fantasia, di cogliere un momento della vita di Gesù. Immaginatelo in una sera d'autunno, alla fine di una lunga giornata, seduto sulla soglia della casa di Pietro, è solo, un po' triste, la testa tra le mani: un momento di delusione, di scoraggiamento: quante parole gettate al vento, quanta fatica che sembra inutile, quanti sforzi che non portano frutto...
E, continuate ad immaginare, ad un certo punto alza gli occhi e gli capita di vedere lontano sulla collina un seminatore, che sparge il suo seme sul campo arido e magro, come lo sono molti campi della terra di Palestina, che è terra povera specialmente sulle colline intorno al lago: è stanco, si vede, anche perché ormai si è fatto sera ed ha lavorato tutto il giorno, da solo, in una giornata umida e grigia; con un gesto lento e paziente continua a gettare il suo seme. Sembra quasi una fatica senza speranza: una parte del seme va in mezzo alla pietre, una parte tra le spine, vengono anche gli uccelli della sera a beccarlo, tanto lavoro che sembra buttato al vento... Gesù chiude gli occhi e per un momento, come in un lampo, gli vengono in mente i canti, i suoni, la grande festa della mietitura. Sì, anche quel contadino proverà la gioia del raccolto! C’è un tempo per mietere e c'è un tempo per seminare. Gli tornano in mente tutti quelli che, prima di Lui, hanno sparso il seme, tutti i profeti, la tanta gente che non ha avuto successo, che non è stata accolta, la cui fatica sembrava perduta... Poi un momento di preghiera: il mettersi davanti al Padre, per trovare in Lui il coraggio della fedeltà; il ripetersi che ciò che conta è che il seme sia giusto, quello che importa è conservare nel cuore la certezza delle cose giuste... i semi poi, pian piano, nella storia hanno portato il loro frutto.
Gli è rimasta nel cuore l'immagine del seminatore e la propone anche a noi, a me, a tutti voi che siete qui, soprattutto a chi sente la fatica del seminare, a chi vive un momento di delusione e di scoraggiamento, a chi si guarda intorno con amarezza e pensa che i suoi semi siano andati perduti.
"Se il chicco di grano caduto in terra non muore, non porta frutto...". Gesù deve aver guardato tante volte il seme caduto in terra, lo ha aiutato a capire la sua esperienza, che a volte sembra un fallimento, lo ha aiutato a vivere la speranza, a portarsi dentro la certezza che la Sua Parola non sarebbe restata senza frutto....
Anche per noi è importante che conserviamo il coraggio di seminare, la fede nel seme giusto, la speranza che porterà il suo frutto. Quando...? Non è importante vedere il risultato, l'importante è essere fedeli a quello che seminiamo.
Il Signore ci aiuti.
1990
Domenica scorsa vi ricordavo una frase della lettera agli ebrei, che per me è stata importante: quella frase che dice che Gesù ha imparato l'obbedienza dalle cose che ha patito, e vi dicevo che ho sempre amato immaginare Gesù in questa fatica di imparare dalle cose che ha patito nella vita, la fedeltà e l'obbedienza. E se l'esperienza del Signore Gesù è stata, almeno in parte, simile alla mia in questa fatica di imparare, credo che una delle esperienze dolorose della vita è quella di scontrarsi con l'intolleranza della gente, soprattutto della gente perbene.
Io quando ero giovine credevo che le persone pie, le persone buone, le persone che pregano molto, le persone zelanti, fossero proprio persone brave, avevo grande ammirazione per loro: ho sperimentato, nella mia vita, spesse volte, il giudizio severo, cattivo, la condanna, qualche volta anche la calunnia.
Anche Gesù ha fatto questa esperienza: i capi del popolo, la gente osservante, i farisei, la gente perbene, lo hanno trattato da malfattore, da ingiusto, lo hanno accusato di tradire la legge, di andare contro lo Spirito di Dio. Da questo credo che Gesù abbia imparato la pazienza.
E tante volte ha trovato anche i Suoi discepoli che gli dicevano: "Guarda quelli là che sono cattivi, vuoi che invochiamo il Padreterno che mandi il fuoco?", "Lascia perdere" - diceva il Signore - "porta pazienza".
Qualche volta anche Lui avrà guardato sulle colline i campi in cui cresceva la zizzania, e qualche volta avrà sentito qualche contadino che diceva: "non si può mica andare a strappare, si calpesta tutto, noi non capiamo molto bene dov'è la zizzania e dov'è il buon grano, aspettiamo! Pazienza ci vuole".
Una delle tentazioni più forte dei credenti, e quindi anche di noi che siamo qui, è proprio quella dell'intolleranza, quella del giudicare con severità gli altri. Capita qualche volta, sarà capitato a voi nei confronti dei figli, capita qualche volta ai figli nei confronti dei genitori, capita a voi nei confronti del parroco e anche al parroco nei confronti vostri; a volte ci giudichiamo, a volte ci condanniamo, a volte non siamo capaci di capire la diversità dell'altro, a volte siamo tentati di dire parole di condanna: il giudizio forte, severo. Gesù ci insegna che Dio non è così, e per fortuna! Perché se Dio ci giudicasse con severità, poveri noi! chi si salverebbe! E il suo giudizio potrebbe essere severo perché Lui sa guardare fino in fondo la realtà, e credo che Dio guardi e capisca.
Il Dio che io immagino è un Dio che sa sorridere delle debolezze degli uomini, anche delle mie, ho immaginato tante volte Iddio sorridere della mia vita, sorridere con tenerezza, sorridere come quando vi va bene, e sapete sorridere dei vostri figli e della gente che vi sta intorno. Se imparassimo anche noi a sorridere gli uni degli altri, a sopportarci un po', a non condannarci, a non giudicarci, se imparassimo - in questo mondo che ne ha tanto bisogno - la tolleranza, forse saremo anche noi un po' un seme di Dio.
Il Signore ci aiuti!
1987
Tre piccole parabole, come avete sentito, tre simboli, presi dalla vita del tempo di Gesù, non è più il nostro tempo, spero però che abbiate tutti avuto la fortuna di veder un piccolo seme diventare una grande pianta, di veder un campo di grano infestato dall'erba cattiva o una donna impastare la grande massa di farina, nella madia di un tempo. È importante che abbiate visto queste cose, per portare dentro di voi la forza di questi simboli, piccoli esempi presi dalla vita di tutti i giorni, ma che sono stati così importanti per Gesù per aiutare gli apostoli a capre cos'è la vita, cosa significa andare dietro di Lui.. Anche loro hanno fatto fatica a capire cosa significa seguire Gesù, Lui non ha chiamato "santi", gente straordinaria, gli apostoli non erano molto migliori di noi, erano gente di tutti i giorni, si portavano anche loro nel cuore l'intolleranza, la voglia di strappare l'erba cattiva di mezzo al grano. "Signore vuoi che invochiamo il fuoco dal cielo...?": gli hanno chiesto una volta.
Una tentazione dell'uomo religioso è proprio l'intolleranza: crede di avere Dio dalla propria parte, di possedere tutta la verità, riesce ad accettare con fatica chi la pensa diversamente. Nel corso della storia i cristiani, lo sapete, hanno fatto le crociate, hanno bruciato gli eretici... sempre cercando di togliere dal campo l'erba cattiva. Poco abbiamo ascoltato l'invito di Gesù alla tolleranza, a non cercare la pagliuzza nell'occhio del vicino senza veder la trave nel nostro...
A volte il problema per il cristiano si fa più acuto, chiama in questione Dio: perché permette che il male cresca insieme al bene? Perché tanta gente malvagia rovina la vita di molti? Perché non ci mette le mani Lui? Perché anche Gesù quando è venuto in mezzo a noi, non ha ripulito il mondo da ogni cattiveria? Non è facile da capire, non lo era per gli apostoli, non lo è per noi.
Facevano - e lo facciamo anche noi - fatica a capire il criterio del granellino di senape, del lievito che si mescola alla pasta e lentamente la fa crescere. Noi che crediamo in Dio ci aspetteremmo di vedere già l'albero cresciuto e pieno di frutti, quasi per incanto. Ci riesce difficile accettare un Dio che cammina con noi senza risolvere i nostri problemi, un Dio che ci chiama a seminare, che ci invita ad essere lievito. Noi vorremmo vedere l'albero e vorremo vederlo subito! Se Gesù viene, noi vorremmo vedere fiorire il bene intorno a noi o almeno dentro di noi... poter diventare santi! Non vedremo mai il mondo trasformato in un giardino dove tutti si vogliono bene, dove fiorisce la pace ed ogni male è sparito. Il compito del credente, di ciascuno di noi è di continuare a mettere il piccolo seme, di essere lievito nella pasta, conservando nel cuore la speranza che il seme diventerà un grande albero, che la pasta sarà tutta fermentata. Ogni generazione di cristiani è sempre lievito per quelli che vengono dopo. Non vedrà il pane cotto nel forno, sarà soltanto lievito che si perde nella pasta. Era così per gli apostoli, è stato così per tanti cristiani che ci hanno preceduto, è così anche per noi. L'importante è che crediamo sul serio nel seme, che ci portiamo nel cuore un tesoro, ma di questo parlano le parabole che leggeremo la prossima domenica.
1990
Povero Pietro! Certo non se l'aspettava una reazione così dura da parte di Gesù, forse non l'aveva mai vista. Ed é toccato proprio a lui sentirsi dire: "Sta lontano da me, satana!" Probabilmente ha visto la faccia di Gesù indurirsi, e non ha capito perché, il suo era un gesto di bontà, di tenerezza, veniva dal profondo del cuore, voleva risparmiare a Gesù l'andare a Gerusalemme, il finire su una croce.
Vedete, anche noi facciamo fatica a capire se fossimo stati lì saremmo stati tutti, penso, dalla parte di Pietro. Noi uomini, (questo é il problema, cerco, se posso, di spiegarvelo in breve) come tutti quelli che ci hanno preceduto, passiamo molto del nostro tempo a combattere la sofferenza, come è giusto. Abbiamo usato anche la religione per questo, (specialmente un tempo, adesso non usa più tanto, e vedete che siamo in pochi in chiesa) gli uomini, sotto ogni cielo, hanno usato la religione per difendersi dal male, dalla sofferenza. Pensavano che pregando molto, offrendo sacrifici, dando qualche cosa a Dio, Lui allontanasse dalla loro vita la sofferenza, e lo pensiamo in fondo un po' anche noi. Molte delle nostre preghiere sono rivolte a Dio perché tenga lontano da noi il male. Alcuni di noi pensano ancora che la sofferenza sia una punizione, sia, in qualche modo, la vendetta di Dio contro chi fa il male... e poi ci accorgiamo delle infinite smentite. Anche Pietro pensava - questo è il suo problema - che Gesù, che era veramente buono, non doveva conoscere la sofferenza: Dio non può permettere che il giusto soffra! Gesù, che comincia a conoscere qual è la Sua storia, il suo destino, dove finirà la sua vita, gli dà quella risposta così dura, che ci sconcerta: "Sta lontano da me, satana! tu non pensi come Dio, ma come gli uomini". Pietro rimane sconcertato, ma in fondo dovremmo sconcertarci tutti noi. Gran parte delle nostre preghiere, del nostro metterci davanti a Dio, gran parte della nostra religione, salta, con questa dura risposta di Gesù: perché vedete, qui salta quello che sta dietro molte delle nostre preghiere, delle nostre orazioni: la convinzione che se preghiamo, se ci rivolgiamo a Dio, se siamo buoni, Dio terrà lontana da noi la sofferenza, e non é vero! Gesù è venuto qui, in mezzo a noi per entrare anche Lui in quel mistero della vita, in quel buco nero che c'è nell'esistenza degli uomini, che è il soffrire, il dolore, il male. È venuto per dirci che Dio non è la causa della sofferenza, ma ha affidato a noi il mondo perché togliessimo la sofferenza: questo è il nostro compito vero, il compito che noi tutti abbiamo.
Soltanto gli sciocchi possono pensare, o hanno potuto pensare, che la sofferenza sia gradita a Dio. Dio odia la sofferenza, non la può soffrire, ma ha affidato a noi il compito di toglierla, ma non con le preghiere, non moltiplicando le pratiche religiose, ma cercando di eliminare la sofferenza là dove la incontriamo, nella nostra vita e nella vita di chi ci sta accanto.
Ma c'è poi una inevitabile sofferenza: tutti noi, specialmente chi ha i capelli bianchi, l'ha sperimentata. Se riandate indietro nella vita, trovate tante volte la sofferenza, il dolore che v'ha toccato in tanti modi: avete pensato che Dio non vi volesse più bene... non era vero! Gesù vi camminava accanto anche in quel momento della vostra vita. Se siamo qui è perché, nonostante la sofferenza, abbiamo cercato di amare lo stesso, di continuare a vivere, a sperare, a credere; a fare il bene anche quando il dolore ti toccava da vicino. Gesù è venuto in mezzo a noi, per camminare anche Lui attraverso la sofferenza, il dolore, e continuare ad amare e per dirci che non è Dio che manda il dolore, non è Lui che lo manda soprattutto per punizione, non é vero che Dio è vicino solo a chi sta bene, a chi è sano, a chi é bello, e sta lontano da chi soffre. Guai a pensare questo! Dio cammina accanto ad ogni uomo, perché ogni uomo sia capace di amare: questo è quello che conta! La nostra vita non vale se c'è più o meno sofferenza, ma vale se c'è più o meno amore. Questo è venuto a dirci Gesù, e a togliere dalla nostra religione quella che é stata una vera maledizione, che identificava la sofferenza e il dolore con la punizione di Dio. Ogni uomo che soffre deve sentire Gesù che gli cammina accanto, che lo prende per mano. Avete fatto esperienza, è inutile che vi illuda, Lui non vi toglie la sofferenza, abbiamo pregato tante volte perché Dio l'allontanasse dalla nostra vita e dalla vita di coloro a cui volevamo bene, e non é successo. Forse dovevamo pregare in un altro modo: che ci desse, come ha avuto Lui, la forza di amare, la forza di voler bene, la forza di continuare a sperare e a credere, e la forza, per chi ha a che fare con la sofferenza, di continuare a lottarci contro. Forse questa era la preghiera giusta: Gesù, per togliere dalla nostra vita la maledizione della sofferenza, per darci il coraggio di viverla quando ci capita, e capita nella vita di tutti, con tutto l'amore di cui siamo capaci, sapendo che Dio ci sta vicino in quel momento. Non é il suo castigo, non è la sua punizione, non è Dio che ci guarda storto: Dio, in Gesù, ci cammina accanto e soffre con noi, per farci capaci di amare.
Il Signore ci aiuti a capire, perché non è mica tanto facile.
1990
Il capitolo diciottesimo del Vangelo di Matteo, quello che abbiamo letto in parte stasera e che leggeremo ancora domenica prossima, contiene uno dei cinque grandi discorsi, che caratterizzano questo Vangelo. Se, tornando a casa, rileggerete questo capitolo, vedrete che porta un titolo: "La vita comunitaria", e se vorrete rileggerlo vi accorgerete, con sorpresa, che in tutto il capitolo non si parla mai della comunità, che tutta l'attenzione è rivolta non alla comunità, ma all'"unico", al singolo, al fratello che sbaglia, a cui tutti dovrebbero porgere la loro attenzione. Tante volte ho commentato questa pagina del Vangelo mettendo in evidenza come non ci sia comunità vera se manca l'attenzione al singolo, se non si è capaci di aver cura dell'ultimo, del più piccolo, di chi sbaglia. Tante volte ho parlato del valore assoluto che ogni persona ha davanti a Dio. Quando ero più giovane facevo anch'io tanti discorsi sulla vita comunitaria, man mano che vado avanti con gli anni, le parole mi pesano, perché le cose veramente essenziali sono poche: mi sono accorto allora che in questo discorso sulla vita comunitaria c'è un riferimento alla comunità semplicissimo, lo abbiamo ascoltato anche oggi: "Dove sono riuniti due o tre nel mio nome, io sono in mezzo a loro". Basta! Finito! Chiuso il discorso: c'è Gesù! Altre parole non servono.
Mi accorgo sempre di più dell'importanza di queste parole, perché, vedete, le prediche servono a poco, quando non fanno danno. Posso parlarvi a lungo del perdono, del servizio o della correzione fraterna... a più d'uno di voi può essere di peso, perché cerca di farlo ma non ci riesce, qualcun altro, invece, potrebbe trovare nelle mie parole un alibi per le sue pigrizie... Ma vedete, rischiamo di pensare solo a noi stessi, rischiamo di perdere di vista il motivo per cui ci troviamo qui, il senso del ritrovarci insieme: qui con noi c'è Gesù! Noi ci ritroviamo qui per questo, non per dirci se siamo più bravi o meno bravi, se siamo riusciti a fare una cosa o non siamo riusciti, se dobbiamo fare una cosa o quest'altra, che cosa è bene, che cosa è male: son tutte cose importanti, giuste, ma domenica prossima ci ritroveremo qui, ci guarderemo in faccia, ci diremo: "Siamo povera gente". Qualche cosa abbiamo fatto, il più non l'abbiamo fatto, non siamo meglio degli altri che non vengono qui!
Perché veniamo qui?
Per ritrovare la gioia di incontrarci con Lui, per guardarci negli occhi e dire: "C'è Lui", questo è quello che conta, questo ci basta. C'è l'amore di Dio, c'è la vita di Gesù donata, c'è quest'incontro con Lui, la gioia di ritrovarci con Lui, la certezza che in mezzo a noi c'è Lui. Ecco, se lo Spirito Santo ci mettesse questa gioia nel cuore, il resto verrebbe, il resto è importante, ce lo siamo detti tante volte, il resto è ricerca, il resto è tentativo di essere sempre migliori, tentativo, lo sapete, spesso non riuscito; ma tutto è vano se alla base non c'è questa esperienza di Gesù, questa certezza che qui ci ritroviamo con Lui, questa certezza che Lui è la nostra pace, il nostro perdono, la nostra riconciliazione, la nostra vita. Nel corso della storia della Chiesa, vedete, gli uomini di Chiesa, i papi, i vescovi, i preti, ne hanno fatte più che Carlo in Francia: la storia dei papi è spesso una storia di delinquenti, la storia dei cristiani è storia di "povera gente", ma c'è Gesù! La nostra certezza è che il cammino della storia, la costruzione del regno non è affidata solo alle nostre fragili mani, ma alla presenza di Dio che è venuto a condividere la nostra storia. Da qui nasce la gioia di ritrovarci con Lui, il sentirci perdonati, accolti, rimessi in cammino. Ecco, io non posso comunicarvela, chiediamola insieme al Signore, che lo Spirito di Dio ci dia questa esperienza di Gesù, questa certezza che Lui è qui con noi, si fa pane, si fa Parola ci dona la vita, ci cammina accanto, ci perdona, ci salva, ci rimette in cammino, sempre, ogni giorno, ogni volta che ci incontriamo con Lui. "Se si riuniscono due o tre... Io sono in mezzo a loro": è qui con noi!
Lo Spirito ci dia la gioia di questa esperienza!
1987
Le parole che abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi, sono tra quelle che mi hanno sempre colpito in maniera del tutto particolare, specialmente man mano che gli anni passavano e andavo confrontando queste parole con la mia vita. Sono parole che mi hanno spesso messo in difficoltà.
Vedete oggi abbiamo ascoltato parole diverse nelle letture: c'è il discorso di San Paolo, l'abbiamo sentito tante volte, tutta la legge si racchiude nell'amore, il fondamento della vita è l'amore: su tutto questo siamo tutti d'accordo; sono parole che non mi hanno mai sconcertato, ci sono abituato fin da quando ero bambino e penso sia così per tutti voi. Ma quando leggo il Vangelo e trovo parole che mi interpellano più direttamente, in cui non si parla solo d'amore, che è una parola vaga, che può significare tutto, ma c'è un'indicazione molto concreta, quasi un modello di comportamento, come succede nelle prime parole di oggi: "Se il tuo fratello commette una colpa va e ammoniscilo tra te e lui solo..." Parla con lui, magari sottovoce senza farti sentire da altri, "se poi non ti ascolta, chiama due o tre testimoni, se poi non ascolta neppure i due o tre testimoni, dillo all'assemblea". Io - è questa la cosa sconcertante di questa frase - mi sono fermato sempre alla prima parola.
Mi è capitato tante volte nella mia vita di avere, anche degli amici, delle persone che conoscevo, a cui volevo bene, che secondo me sbagliavano, stavano facendo una cosa storta, prendevano una strada non giusta e pensavo: "dovrei andare a dirgli qualche cosa". Credo di non esserci mai riuscito e mi sono consolato con l'adagio: "mal comune, mezzo gaudio". Perché non solo non ci riuscivo io, ma a volte non ci riusciva il marito con la moglie o la moglie col marito, a volte non ci riuscivano i genitori con i figli, specialmente quando i figli son cresciuti un po', a volte non ci riuscivano tra amici. Mi sono domandato spesso: perché? Perché questa parola del Signore, che sembra semplice, noi non riusciamo a metterla in pratica. Anche a me è capitato di fare quello che ho spesso visto fare agli altri: invece di andare dalla persona interessata a dirgli: "guarda, secondo me tu sbagli", si parla con un altro di lui "hai visto quello, mi sembra che stia sbagliando" ma a lui, né io né l'altro glielo andavamo a dire. E anche a me, che son 25 anni, che faccio il prete, che sono qui davanti a tutti, è capitato di sbagliare molto, ho sentito qualche volta delle persone mormoravano dicendo: "vedi il parroco come si comporta male, ha risposto male a quella persona, ha fatto questo o quello di sbagliato", ma a me qualcuno che mi sia venuto a dire con tutta tranquillità: "scusi don Checco, secondo me, lei sta sbagliando", credo che posso contare sulle dita di una mano sola le persone che hanno avuto il coraggio di dire "secondo me tu sbagli", "secondo me quello che hai fatto è sbagliato".
E allora mi dico, quando parliamo d'amore tutto sembra andare bene, quando parliamo di giustizia anche, ma poi quando si tratta di una cosa semplice semplice come il dire ad un amico, ad una persona a cui si vuol bene "guarda secondo me tu stai sbagliando" non ci si riesce più. Non parliamo poi della difficoltà che in ufficio, sul posto di lavoro, quando si prova a far notare qualcosa che non va.
Da cosa dipende tutto questo? Non lo so, vi faccio soltanto delle domande che faccio spesso a me, spero che tra voi ci sia qualcuno che sia capace, magari con delicatezza, con tranquillità è capace di dire ad un amico: "guarda, secondo me, stai sbagliando". C'è qualche marito che è capace di dirlo alla moglie o qualche moglie che è capace di dirlo al marito, l'unica cosa che posso dirvi è che siete sulla strada giusta: continuate, fatelo con delicatezza, continuate a cercare la riconciliazione, la correzione fraterna, il cercare di aiutarvi a camminare insieme, a correggere qualcosa che non va, io non ci riesco, molti di voi, penso, come me, non ci riusciranno, non ci resta che chiedere aiuto al Signore, perché tra noi un po' di più si eserciti, non la maldicenza, il parlar male degli altri, il pettegolare - che è molto facile - ma il dirci in faccia le cose che non vanno.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1990
Vorrei, se possibile, pregare più d'uno di voi (certamente più d'uno, forse molti) di non preoccuparsi per quello che abbiamo ascoltato. Quando si parla di perdono, quando si ascolta una parola sul perdono, c'è sempre in mezzo a noi qualcuno che si sente toccato nel profondo, che si sente messo in angustia, che sente nella sua vita un peso. C'è certamente in mezzo a voi qualcuno che dice: "Non riesco a perdonare, non ci riesco proprio, mi sono sforzato, ho cercato, ma non ci sono riuscito, non riesco proprio a dimenticare". Ho ascoltato tante volte queste parole nella vita! C'è certamente qualcuno in mezzo a voi stasera, che pensa queste cose. Non parla di voi il Signore, di questo posso assicuravi. Vedete, quando ero più giovane ero sicuro di tante cose, forse di troppe; man mano che passano gli anni son sempre meno le cose di cui sono sicuro, ma di una cosa però sono certo: quando una pagina del Vangelo mette nel cuore dell'uomo un peso, un carico, quando lo fa stare in angustia, quella pagina non è stata compresa. Gesù è venuto - lo ha detto tante volte - per sollevarci il cuore dai pesi, per non farci sentire schiacciati. Quelli di voi che non riescono a perdonare non si sentano in angustia; perché? Perché il perdono è la cosa, forse, più complicata a capire di tutto il cristianesimo. Io ci ho provato tante volte e ancora non ci sono riuscito. Non è una cosa semplice capire cosa sia il perdono. Vedete, l'amore tra di noi non può che chiamarsi perdono, perché non riusciamo ad essere buoni fino in fondo. Ma cosa significa perdonare in tante circostanze della vita? Cose molto diverse, spesso molto complicate da capire; e dunque non angustiatevi! Continuate a cercare serenamente cosa possa voler dire questa Parola del Signore nella vostra situazione, ma senza farvene un peso, i pesi non servono!
Io vorrei aggiungere soltanto due parole, su quello che mi sembra di aver capito di questa parabola: è una parabola in cui mi ritrovo facilmente, almeno nella prima parte, non nell'altra, perché io non ho nessuno a cui dover perdonare, per mia fortuna, nessuno mi ha fatto un torto, e quindi la seconda parte non mi riguarda, ma la prima sì. Quando mi ritrovo qui davanti al Signore, io mi sento come l'uomo di questa parabola a cui è stato condonato un debito immenso; voi mi domanderete: "Ma che peccati hai fatto?". Io non ho violato nessuna legge, quasi mai ho violato i comandamenti, ma qui non si parla di comandamenti, si parla di un debito, del debito che un uomo ha nei confronti di Dio, nei confronti della vita e, vedete, io ho un debito grande. Se guardo indietro, tutta la mia vita, tutti i doni che ho ricevuto... sessant'anni fà io non esistevo, non avevo nessun diritto a nascere, l'amore di un uomo e una donna m'ha fatto venire al mondo, ed era un amore vero, da cui sono stato circondato, accolto, custodito, rispettato fin nel profondo, e poi in questi più che cinquant'anni di vita ho avuto tanti doni, doni che hanno tutti, il sole, il mare, la luce, la bellezza delle montagne, lo splendore della natura intorno, e doni particolari: la gente, tanta gente che m'ha offerto amicizia, che m'ha offerto attenzione, delicatezza, bontà! Avrei una gran paura se il Signore, a un certo punto, decidesse anche con me di fare i conti: "Vediamo quello che devi".
C'è una parabola che mi rimane un po’ antipatica nel Vangelo: è quella dei "talenti". A ciascuno viene dato un talento e bisogna trafficarlo, e poi alla fine bisogna fare i conti: ho una gran paura che il Signore qualche volta mi chieda i conti, e dica: "Di tutte le cose che t'ho dato, di tutti i doni che hai ricevuto, che cosa porti qua? Che cosa hai trafficato della vita?". La mia speranza è che Dio non chieda i conti, è una fiducia che si rafforza ogni volta che celebriamo l'Eucarestia, perché vedete, noi veniamo qui per ringraziare il Signore, e Lui non solo non chiede conti, ma aggiunge doni, la Parola che ci offre, il Pane che spezziamo, il nostro stare insieme, la vita che ancora ci mette davanti: dono su dono.
Io mi sento, veramente, uno che ha un debito immenso nei confronti della vita, nei confronti di Dio; ho ricevuto tanto, e ho dato poco. Non tutti voi potete dire così: c'è gente per cui la vita è stata più amara, più pesante, gente che ha ricevuto meno, ma penso che tutti noi, noi che siamo qui, abbiamo ricevuto tanto, siamo debitori nei confronti del Signore. Qualche volta mi arrabbio anch'io quando qualcuno mi fa un piccolo torto, (ripeto, io non ho ricevuto dei grandi torti) se mi domandassi a chi devo perdonare qualcosa, francamente per me, non è un problema, non ho nessuno da perdonare. So che non è la stessa cosa per molti di voi, molti hanno avuto torti grandi nella vita.
Cosa significa perdonare in quel caso, non lo so, ma una cosa so: Dio non è qui oggi per chiederci il conto, per guardarci con aria severa: "Che cosa hai fatto? Che cosa puoi presentare? Che cosa hai restituito del debito che hai?" È qui per farci ancora dono, per accoglierci con la sua misericordia, con la sua grazia, per rimetterci davanti ancora la bellezza della vita, il coraggio di vivere, la forza di andare avanti.
Ecco, il mio incontro con il Signore, non può essere che l'incontro di uno che ha un grande debito con chi a questo debito non vuole pensare più, perché vuole continuare a volermi bene, vuole continuare a darmi il coraggio di vivere e di amare.
Il Signore ci aiuti.
1987
La parabola che abbiamo ascoltato è per molti versi fatta per stupire, per meravigliare. Già nel contrasto che c'è tra il debito che ha il servo con il suo padrone: 10.000 talenti una cifra quasi incalcolabile, una somma da bilancio di stato, non di una persona singola e di contro i 100 denari che il servo deve avere da un altro servo: pensate che un talento vale 10.000 denari e qui si parla di 10.000 talenti: bisogna moltiplicare 10.000 per 10.000 e vengono cifre piuttosto grosse. Ma non è soltanto questo, quello che meraviglia in questa parabola. Vi dicevo all'inizio che noi abbiamo bisogno di meravigliarci, di stupirci di fronte alla Parola di Gesù e forse quando si parla di perdono ne abbiamo ancora più bisogno, perché troppe volte noi parliamo del perdono, pensando di sapere quello che diciamo, quasi che il modo di parlare di Gesù del perdono sia un po' simile al nostro e, vedete, non è così!
Vi prego quindi di avere pazienza con le mie parole e di ascoltare se lo Spirito vi detta qualche cosa nel vostro cuore, facendo appello a tutta la vostra capacità di meraviglia.
Vedete, c'è una cosa strana in quello che abbiamo letto e comincio ad attirare su questo la vostra attenzione. Pietro è andato da Gesù e ha domandato: "Quante volte devo perdonare" e si è sentito rispondere: "70 volte 7". Nella parabola invece il padrone perdona una sola volta. Avete sentito: il padrone fa i conti con un servo, gli condona il debito, il servo se ne va e incontra l'altro servo; non sa perdonare, allora lo dicono al padrone e lo riportano davanti a lui. Quante volte il padrone deve perdonare? "70 volte 7" e invece non perdona nemmeno un'altra volta, non arriva a due. Perché? Cosa è successo qui? Perché quest'uomo non può essere perdonato? Perché il perdono non si è realizzato, perché il padrone non ha potuto perdonare a questa persona?
Facciamo un piccolo passo indietro e, forse, posso aiutarvi a capire qualcosa. Noi quando parliamo di perdono ci riferiamo in genere a qualche avvenimento, a qualche fatto: qualcuno mi ha offeso e io cerco di dimenticare questa offesa; qualche volta, magari con sforzo, cerco di dimenticare anche la persona che mi ha offeso, spesso non riesco a cancellare questo fatto e rimane nel cuore il rancore, un po' di astio, l'offesa ci brucia e non riusciamo a dire: "ho perdonato, ho dimenticato". Vorremmo farlo. Quante volte mi è successo in questi anni di ascoltare, confessando qualcuno: "Padre non riesco a perdonare, non riesco a dimenticare!". Qualche volta questo diventa anche patologico: "quella persona mi sta sempre davanti agli occhi, vorrei tanto non ripensarci più e non ci riesco". Magari quella persona ormai se ne è andata lontano eppure rimane in mente: quasi un'ossessione.
A volte trovo nella gente, un'esigenza di espiazione, se non proprio di vendetta. Anche la nostra legge prevede che per ogni colpa ci sia un'espiazione: un uomo ha rubato, merita due anni di galera, un uomo ha ucciso merita l'ergastolo e noi pensiamo che quell'uomo possa espiare la sua colpa facendo lunghi anni di carcere. Ecco, questo è un po' quello che secondo noi conduce al perdono. Ma, vedete, tutta la nostra attenzione è messa sui fatti, sulle colpe, sulle cose: per Dio è diverso, a Dio interessa non la tua colpa, ma te. Dio non si preoccupa di quello che io ho fatto, ma di me, perché Lui non vuole dimenticarmi, può dimenticare quello che io ho fatto, ma non può dimenticare me.
Capite, questa è la prima, radicale differenza e dovremmo sempre tenerlo presente, quando parliamo di perdono: per noi, spesso, il massimo del perdono è dimenticare, per Dio il massimo del perdono è ricordare, avermi presente fino in fondo, ma diverso, ma rappacificato, ma convertito, ma ritornato sulla via del bene: a quel punto non serve una lunga espiazione. Pensate a quella parabola, che tanto ci meraviglia quando l'ascoltiamo: la parabola del figlio che è andato via da casa, che ha sciupato tutto quello che aveva, noi diremmo subito: "Che paghi prima di tornare!". Leggiamo con sorpresa che, quando il figlio torna, il padre fa festa, al padre interessa quel figlio, non vuole dimenticarlo.
Se il figlio non è veramente tornato, come è successo al servo di questa parabola, il perdono non si è realizzato e anche il padre rimane impotente: ma lui non vuole dimenticare questo figlio, non vuole fare come se lui non ci fosse, vuole che questo figlio torni a casa e non è in pace e lo va a cercare come il pastore cerca la pecora che si è perduta, finché questo figlio non torna sul serio.
Perché, vedete, il nostro rapporto con Dio, non è fatto di tante colpe, che ogni tanto si cancellano, come le macchie su un quaderno. A volte capita di incontrare qualcuno che concepisce così la confessione: si fanno dei peccati, poi una bella sciacquata... e tutto ricomincia come prima, tutto rimane lo stesso. Dio non vuole dimenticare - non i miei peccati, li ha già dimenticati - non vuole dimenticare me, sono suo figlio, Lui ha troppo a cuore il fatto che io ritrovi la via della vita, e non perché ne tragga qualche interesse, ma per la gratuità del suo amore.
Quando io mi metto davanti a Dio, Lui mi perdona sempre. Ma cosa significa? Che allarga le braccia, che non fa conto di quello che io ho fatto, che vuole - lo vuole per me, per ciascuno di noi, mica lo vuole per Lui - che io riprenda la strada, che ritrovi l'amicizia, la voglia di vivere, di amare, perché questo è quello che conta.
Noi badiamo troppo alle colpe, vorremmo vederle espiate, a volte ci pesano singoli gesti o singole persone e vorremmo dimenticare: non è questo il perdono: il perdono sarebbe riuscire a far pace sul serio, riconciliarsi veramente, riprendere insieme la strada. Spesso non è possibile - lo so, lo sappiamo tutti - spesso per noi il massimo è dimenticare, ma possiamo sempre venire qui e dire: "Tu non mi dimentichi mai, perché mi vuoi bene sul serio, aiutami a non dimenticare almeno tutti quelli che posso, aiutami a ritrovare la pace, aiutami a ritrovare la via della riconciliazione e della vita"
Il Signore ci aiuti a capire qualche cosa di più.
1990
Il giornale, la radio, la televisione, ci danno più notizie cattive che buone. Ci capita di sentire quasi ogni giorno, fatti di ingiustizia, fatti di gente che si approfitta delle cose, dei beni, del denaro, del prossimo, e cresce dentro di noi la rabbia per l'ingiustizia; e il desiderio di giustizia: che a ciascuno sia dato il suo, che non ci sia nessuno che si approfitti dei beni degli altri; che la gente che lavora, soprattutto quelli che lavorano nei pubblici uffici, negli ospedali; nelle scuole, negli uffici comunali, lavorino! E si guadagnino onestamente il pane. Sentiamo intorno a noi troppa gente che non vive con onestà; con scrupolo. C'è in ciascuno di voi, penso; un grande desiderio di giustizia, in qualcuno, (pochi spero) questo desiderio riguarda gli altri, non se stessi: dovremo tutti cercare di essere invece, rigorosamente giusti prima di tutto con noi stessi, ed esigere questa giustizia dagli altri.
Insomma, nel nostro cammino di uomini, la giustizia, l'essere onesti, il ricevere quello che ci è dovuto e il dare a ciascuno quello che è dovuto, è per noi un punto di arrivo.
Il Vangelo di oggi ci mette un po' in questione: sembrerebbe che Dio è diverso, eppure la nostra vita, tutto il cammino dell'umanità; degli uomini addirittura dalle primordiali forme della vita, è proprio basato su questa giustizia: ogni azione merita una ricompensa, ogni gesto deve conseguire un risultato, altrimenti non si fa! E questo in tutto il mondo vivente, dall'ameba primordiale a tutti gli animali, a ogni uomo: ogni azione esige il contrappasso, vuole ricevere qualche cosa in cambio, vuole il giusto, e questo noi lo applichiamo a tutto nella vita; ripeto, come una esigenza di onestà e di giustizia.
Lo applichiamo anche nei confronti di Dio, moltiplichiamo le opere buone e ci aspettiamo che Dio ci ricompensi, che non ci faccia venire guai, malattie. Abbiamo costruito; specialmente quelli che hanno i capelli bianchi lo ricordano, tutto un progetto di Dio sul premio, sul castigo; il paradiso, con tanti cieli; l'inferno con tanti gironi, il purgatorio con tante pene, immaginando che la nostra logica, sia la logica di Dio; logica di premio e di castigo. Chi fa tanto, merita tanto, chi fa poco: merita poco, chi non studia: viene bocciato deve essere bocciato! Chi non lavora: non deve avere la paga, ed è giusto che non l'abbia! Chi pecca deve essere punito, ed è giusto che sia punito!
E se Dio fosse diverso! E se a Dio non piacesse questa logica! E se il suo modo di pensare fosse un altro! La parabola di oggi ci dice che forse Dio è diverso, non ama il premio e il castigo; ma il lavoro; non ama il voto, ma lo studio... e potrebbe essere una cosa sorprendente per qualche ragazzo che sta qui. Se Dio non ama l'inferno e il paradiso, ma la gente che vuol bene, se Dio è gratuità, se Dio è disinteresse, se Dio è diverso...... Pensateci un po'!
1987
Una breve introduzione alla lettura e alla spiegazione del Vangelo di oggi mi sembra sia importante richiamare la vostra attenzione sulle parole del profeta Isaia che io avevo anche ricordato all'inizio perché sono parole spesso usate male nella vita della Chiesa e non soltanto della Chiesa, ma del mondo intero. Isaia dice, facendo parlare il Signore Dio "le vostre vie non sono le mie vie, i vostri pensieri non sono i miei pensieri. Come è alto il cielo dalla terra, così le vie di Dio distano dalle vostre vie"...
Vedete, queste parole pur così importanti nella vita di ogni cristiano, non possono essere mai usate per squalificare il pensiero degli uomini, perché noi non abbiamo che la nostra testa per cercare le vie di Dio, altrimenti succede, come succede un po' in tutto il mondo, in tutte le religioni che c'è qualcuno che ti dice subito: "Dio è là inaccessibile, le Sue parole nessuno le conosce, ma adesso te le spiego io, ti dico io come pensa Dio, ti dico io qual è il pensiero di Dio"... E non c'è nessuno sulla terra che possa dirci come la pensa Dio, che possa parlare in nome di Dio.
Vedete, se c'è qualcuno che qui si siede tranquillo e dice: "adesso don Checco ci spiega il Vangelo di Gesù", si sbaglia, io non posso spiegarvi il Vangelo di Gesù, ancor meno posso parlare a nome di Gesù. Non c'è nessuno sulla terra che possa farlo!
Che posso fare io allora? Suggerirvi qualche cosa, cercare insieme con voi. Ma la parola del Signore l'abbiamo letta insieme; voi l'avete letta anche sul vostro foglietto, potete rileggervela a casa; e là dovete fare in modo che il Signore parli al vostro cuore, Lui soltanto può parlare a nome di Dio, non io! E non solo io, ma nessuno sulla terra. Le mie parole sono povere parole di uomo, di una persona che ha cercato, che ha letto, che ha parlato tante volte su questa pagina del Vangelo anche con la gente, ma queste rimangono sempre parole di un pover uomo, Quello che dico io, non posso mai affermare: "questo lo dice Dio", no, questo no, dovete fare in modo che Dio parli a ciascuno di voi nel proprio cuore.
E dunque fatta questa premessa, consigliandovi di prendere le dovute distanze da quello che dico, veniamo alla parabola di oggi che, come vi dicevo, suscita sempre tanta perplessità. In fondo l'atteggiamento di questo padrone della vigna, se lo leggiamo in un certo modo, contrasta con tutti i nostri criteri. Per noi è giusto, ma è giusto sul serio, che chi lavora di più guadagni di più... Se uno lavora tutto il giorno non può essere trattato come chi ha lavorato un'ora soltanto. Non possiamo mai prendere questa pagina per dire, per esempio, ad un operaio che fa una rivendicazione: "tu devi essere pagato così, perché la roba è mia e faccio quello che mi pare"! Oggi nessuno può più parlare così, perché riteniamo che ci siano dei criteri di giustizia, dei criteri di onestà, per cui una persona che lavora di più, una persona che metta più impegno nel suo lavoro, una persona che lavora più a lungo, abbia diritto ad essere pagata di più.
Ma allora che cosa vuol dirci qui il Signore? Di che cosa si tratta in questa parabola? Dove troviamo veramente le distanze tra le vie di Dio e la nostra via? Vedete, dobbiamo soffermarci su quello che è il nocciolo di questa parabola. Là non si tratta tanto della paga che è uguale per tutti, quanto del lavoro della vigna e dell'interesse che il padrone ha (è un padrone un po' strano questo, che va a cercare la gente anche alle 5 del pomeriggio quando sa che manca soltanto un'ora di lavoro ormai, perché a quel tempo il lavoro finiva col tramonto del sole).
Il nocciolo di questa parabola è che a questo padrone interessa veramente la sua vigna, interessa che la gente ci lavori. Lui è preoccupato che non ci sia gente che rimane oziosa; senza far niente tutto il giorno.
Allora di che si tratta? qual è questa vigna? di che cosa parla Gesù? di che cosa è simbolo questa vigna? Il discorso qui sarebbe lungo perché bisognerebbe ripercorrere la storia del simbolo della vigna della vigna nell'antico Testamento Ma cercando di essere il più breve possibile, quando si parla della vigna nel Vangelo e nell'antico Testamento, si parla sempre dell'impegno per il Regno di Dio o, per dirla con parole più semplici, lavora nella vigna chi cerca di essere giusto, onesto, chi cerca l'amore, chi cerca la pace, chi si dà da fare per gli altri. Questo è lavorare nella vigna: cercare il bene, cercare di amare... e questo, secondo Gesù è quello che dà senso alla vita dell'uomo.
Ora, vedete, noi qualche volta quando lavoriamo, vorremmo essere ripagati, anche vorremmo avere la paga... ma a noi, in fondo in fondo, non interessa poi tanto il lavoro, almeno qualche volta, la cura della vigna, ma ci interessa essere pagati.
Facciamo la contro prova: quante volte è successo anche a voi, come è successo a me, di dire: ma guarda quella persona là, non gli importa di niente, se ne frega di tutto, non gli importa dell'onestà... e tutto le va bene, è ricco, in buona salute, tutte le cose gli funzionano... invece c'è della gente che si dà da fare, che è buona, che vive onestamente e le cose gli vanno male: ma che giustizia c'è nel mondo? perché deve essere così la vita? perché il Padre Eterno permette questo? perché non manda un fulmine su quella persona? perché non fa sparire tutti i malfattori da questa terra, perché Dio si comporta così?
Qualche volta la cosa si vive sulla propria pelle, a me succede (e succede anche a voi, però) alla sera, specialmente quando durante il giorno mi sono dato da fare un po' di più, ho lavorato più del solito, magari qualche cosa mi è andata storta allora mi dico: "chi me l'ha fatto fare? ma non potevo anch'io essere come quelle persone, perché preoccuparsi degli altri, perché darsi da fare? Non vale la pena, sta meglio chi non gli importa niente di niente, chi vive alla giornata, chi...
Poi qualche volta mi guardo allo specchio e dico: "ma, Checco, che dici? ma ti cambieresti tu con una persona, così, se dalla tua vita togli quel po' di amore che ci hai messo, quel po' di impegno che cosa ne rimane? ti cambieresti tu con una persona, a cui non importa niente, che non crede nell'amore, nell'amicizia, che non crede in un minimo di giustizia, che non crede... ti cambieresti? " E allora alzo gli occhi al cielo e dico: "Signore, abbi pietà di me, sono un pover'uomo anch'io". Perché effettivamente non cambierei per nessuna cosa al mondo; e penso che anche voi, come me, abbiate scoperto che se la nostra vita vale, se ha un senso, è per quel po' di bene che ci mettiamo dentro, per quella passione che abbiamo per gli altri, per la giustizia... le cose che riempiono la nostra vita sono quell'amore che ci abbiamo messo dentro, le amicizie che abbiamo fatto, quell'esserci incontrati con la gente, l’aver condiviso almeno un po' la vita con gli altri... Che valore avrebbe la mia vita se io me ne fossi stato tutto il giorno ozioso, senza che me ne importasse niente...?
È questo, vedete, quello che sta a cuore al padrone di questa parabola. Lui esce la mattino e poi torna alle 9 e poi torna a mezzogiorno, alle 3, alle 5, perché non vuole che la gente stia oziosa, là senza far niente, perché sciupa la vita, perché la butta via. Che senso ha la vita di un uomo? Ecco, il Signore ama l'amore gratuito, la vita vissuta con impegno. Chi ha vissuto così ha già ricevuto il suo premio, ha già ricevuto la sua paga, perché la sua vita è stata ricca, è stata significativa, è valsa qualcosa, lascia qualcosa a quelli che vengono dopo, ha messo dei semi... Ma se uno è stato tutto il tempo ozioso, che ne rimane della sua vita, che valore ha la vita di quell'uomo?
Vedete, il padrone ama sul serio la vita degli uomini e va a cercare la gente e anche se uno arriva all'ultimo momento, il padrone non può che far festa, perché finalmente quest'uomo ha capito che non poteva buttar via la propria vita, che doveva trovarle un senso, che doveva darle un valore.
Per questo il Signore ci viene a cercare! E allora quando io dico: "ma chi me lo fa fare, perché non sono come gli altri?" allora veramente le vie di Dio sono alte come il cielo sulla mia via, la via di un pover'uomo, che certe volte non si accorge di che cosa grande ha ricevuto, quando ha scoperto il bene, l'amore, l'amicizia, l'impegno, la giustizia, la verità... Quando non si rende conto che tutte queste cose hanno veramente riempito la sua vita e che dovrebbe desiderare non i fulmini sulla gente che sta intorno, ma che anche loro aprano gli occhi e ritrovino il senso del vivere.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1990
Mi capitava già domenica scorsa di dirvi, parlando di altre cose, di farvi notare meglio, come ci capiti di vivere, come non era mai accaduto nella storia degli uomini, nella civiltà delle parole; siamo sommersi di parole. Se ne dicono tante, che ormai per farsi ascoltare, in quasi tutti i campi della vita, dalla politica, all'arte, allo sport ecc.., bisogna strillare forte, se uno non strilla, pare che non venga più nemmeno ascoltato. Più uno strilla, e più riceve, lo avete visto qualche volta in spettacoli televisivi, l'applauso e il consenso della gente. E anche i fatti che ci raccontano sono soltanto quelli eclatanti, quelli che meritano parole: devono essere fatti straordinari, perché altrimenti non si sprecano parole per raccontare le storie. Questo è falsare completamente il modo di vedere il mondo, la vita, le cose che ci accadono intorno, il senso della realtà. Per chi come me, comincia ad avere i capelli bianchi, o per chi, come molti di voi, ce li ha già, non sarebbe forse un grande problema, ma per i giovani lo è, probabilmente: il non rendersi più conto di quella che è la realtà della vita, di quello che significa vivere, di quelle che son le cose che contano. Facciamo allora tutti uno sforzo, di guardare i fatti, altrimenti ci scoraggiamo, perché in un mondo in cui tutti parlano, tutti strillano, fanno a chi grida più forte, tutti fanno a chi promette cose più grandi... poi per forza devono raccontarci storie e bugie, per forza devono promettere cose che non riescono a mantenere! Allora che cosa ci succede? Ci succede che ci scoraggiamo, ci succede che non riusciamo più a renderci conto della vita che abbiamo intorno, a non trovare più la speranza. Un consiglio, allora! Guardiamo i fatti, guardiamo chi fa le cose, e non le cose straordinarie, i fatti con la effe maiuscola, ma i fatti di ogni giorno. Guardiamoci intorno, cominciando da chi ci vive accanto, dal marito, dalla moglie; i figli guardino il papà, la mamma, gli amici, la gente che sta intorno, la gente che fa, che fa mica cose straordinarie, che fa le cose semplici, le cose di ogni giorno. Al Signore è gradito chi fa, chi prende la vita con serietà, chi sa insegnare con attenzione, chi sa consegnare la posta al momento giusto, chi sa cucinare un bel piatto di pastasciutta, e via discorrendo ...
Ma voi pensate: "Dici cose banali, il cristianesimo è tutto qui?". Sì, diciamocelo francamente, il cristianesimo è fatto di cose semplici, di cose di tutti i giorni, dei gesti di attenzione e di amore della vita quotidiana, il resto lasciatelo a chi parla.
Io mi fermo qui oggi, perché non posso nemmeno parlare, il Signore dice che è meglio stare zitti. Però un invito ve lo faccio di cuore, non ci scoraggiamo! Guardiamoci in giro, guardatevi anche tra di voi, qui c'è tanta gente che ogni giorno si alza al mattino e fino alla sera fa cose concrete, semplici, gesti di amore, di attenzione verso gli altri, di servizio, di bontà, li fa meglio che può, qualche volta sbagliamo tutti, ma il giorno dopo ricominciamo. Forse per questo siamo qui. Ci fermiamo un momento, ci mettiamo davanti al Signore, siamo stanchi, perché durante la settimana abbiamo lavorato parecchio e, domani si ricomincia! Si ricomincia a far le cose di ogni giorno, a farle con amore, a farle con attenzione, è questo che manda avanti il mondo. Spegnete qualche volta la radio, date retta a me! Chiudete la televisione... Guardate la gente che lavora, che fa, che vive, che ama, che spera, lasciate la gente che parla! Tutti lasciateli! Dal papa fino all'ultimo, dal primo ministro... lasciate la gente che parla! Guardate la gente che fa! Il Signore Gesù faceva così, forse per questo l'hanno messo in croce.
1987
Quando ero giovane (molto tempo fà ormai!) questa pagina del vangelo mi colpiva in maniera particolare, perché talvolta mi sentivo dire da gente che non veniva in Chiesa: "Vede, c'è tanta gente che va in Chiesa e poi si comporta male e poi è ingiusta, e poi è cattiva, è intollerante". Sentivo profondamente questo discorso, conoscevo tanti amici che non venivano mai in Chiesa e che erano migliori di me, e dicevo: "È giusto questo rimprovero, andiamo in chiesa e poi ci comportiamo male, che figura facciamo come cristiani?" Poi mi sono accorto che chi mi diceva così non erano quei miei amici che stimavo molto, cioè mi sono accorto che le persone che non venivano in chiesa ma che si comportavano bene, che cercavano di seguire la strada giusta, di essere buoni, di essere tolleranti con gli altri, non mi facevano mai quel discorso, non mi chiedevano mai perché quelli che vanno in chiesa non si comportano per bene.
Ho dovuto fare l'amara scoperta che ci sono delle persone che parlano sempre per gli altri, non parlano mai per sé. E allora il discorso, che quando ero giovane facevo spesso nelle prediche, adesso trovo una certa difficoltà a ripeterlo, cioè chiedere: "Perché noi che siamo qui, che diciamo sempre "sì" al Signore, poi fuori non ci comportiamo con coerenza?" Ho paura a farlo: sapete perché? Perché queste domande mettono un peso in più, qualche dubbio, magari un po' di scoraggiamento in chi quelle domande se le fa sempre e non interessano nulla a chi quelle domande non se le fa mai.
Mi spiego meglio: dopo molte prediche - mi è capitato spesso in questi anni - c'è qualcuno che viene e dice: "don Checco, lei parlava proprio per me stasera, ce l'aveva proprio con me!" E io non ce l'avevo con lui, avevo preparato la mia predica non pensando a nessuno in particolare, cercando invece di tradurre in parole mie quello che c'era nel Vangelo. Ma ho trovato tante persone che dicevano: "ce l'ha con me!" E, a volte, si sentivano in colpa, si sentivano un peso sul cuore!
Mi sono accorto, invece, che c'è qualcuno - forse anche qui stasera - che quando io dico qualche cosa, si guarda sempre intorno chiedendosi: "Con chi ce l'ha stasera?". Pensano sempre che io ce l'abbia con qualcuno altro: io vorrei stasera rivolgermi proprio a quelli che si ritengono giusti, a quelli tra di voi (e qualcuno ce n'è, spero non molti) che sono abituati a pregare per i peccatori, cioè sempre per gli altri.
Mi è capitato qualche volta di rispondere a chi mi dice: "don Checco, bisogna pregare molto per i peccatori", "lei prega molto per sé, vero?" No, pregano sempre per gli altri. C'è della gente che si sente sempre sicura, sempre a posto, e pensa che i cattivi siano sempre gli altri, che siano sempre gli altri quelli che non fanno, quelli che si comportano male. Soltanto perché vengono a Messa, magari tutti i giorni, magari due volte al giorno, perché recitano spesso il rosario o fanno lunghe novene. Ma poi guai a voi se li incontrate, perché sono cattivi, maligni, pettegoli e per questi è inutile che parli, perché non ascoltano, pensano che io ce l'abbia con qualcun altro. No, stasera ce l'ho proprio con voi, ma voi non mi ascoltate e allora non mi resta che rivolgermi a tutti coloro che ascoltano: facciamoci le domande con serenità davanti al Signore, senza inutili sensi di colpa, domandiamoci: "Noi che diciamo tutte le sere il Padre Nostro, che ripetiamo: "Sia fatta la tua volontà", poi cerchiamo di farla sul serio?" Non sempre ci riusciamo è vero, ma allora non ci resta che chiedere al Signore che ci converta, che ci dia il desiderio di fare la sua volontà, non solo a parole.
Vorrei rivolgermi a tutti coloro che si fanno tante domande, a chi ha il cuore fragile, a chi non si sente buono a chi sa di non di non far sempre la volontà di Dio, a tutti questi - spero che siate quasi tutti - vorrei dire: "Coraggio, continuiamo ad andare avanti cercando di fare il bene, Gesù non è venuto per condannarci, non è venuto per cacciarci via.
È venuto per prendere per mano anche noi e per fare un po' di strada con noi, per metterci il coraggio nel cuore, perché quello che conta non è tanto dire "sì", moltiplicare le preghiere, stare qui insieme, quello che conta nella vita di ogni giorno è cercare di fare la volontà del Padre, cercare di essere giusti, buoni, attenti, comprensivi, generosi... e questo cercheremo di farlo un po', anche se, lo sappiamo, non sempre ci riusciamo.
Il Signore è grande e misericordioso, per questo siamo qui, per chiedere perdono e trovare in Lui la forza di camminare ancora.
1990
I discepoli - e non soltanto loro, ma tutti noi - hanno avuto davanti agli occhi e per lunghi anni, il dramma della morte di Gesù e finché son vissuti; probabilmente, hanno cercato di capire questo dramma, e da un duplice punto di vista. La prima domanda che si facevano è: Perché Dio lo ha permesso? Perché Dio non lo ha difeso? Perché Gesù è finito su una croce? Dov'era Dio? Dov'era il Padre? Perché ha permesso che il Giusto morisse? Ed è una domanda che ancora noi ci facciamo, che gli uomini si faranno, probabilmente finché vivono. Perché Dio permette tanto male che c'è nel mondo?
Lasciamo da parte però, questa prima domanda, perché ce n’è un'altra che al principio non appare nel cuore del credente, ma che poi diventa la più intrigante la più seria, la più profonda, ed é: "Perché qualcuno lo ha ucciso? Perché lo hanno rifiutato? Perché Giuda, che Lui aveva scelto, ha tradito Gesù? Perché Pietro lo ha rinnegato?"
Che è poi una domanda che si ripercuote anche nella nostra vita di tutti i giorni: perché facciamo il male? Perché pur sapendo che delle cose sono giuste, facciamo quelle sbagliate? È una delle domande più intriganti della vita dell'uomo, perché ci riguarda tutti
Quando ci guardiamo intorno, ci chiediamo: Perché nel mondo c'è tanta gente che fa del male? Si potrebbe vivere in pace, si potrebbe star tranquilli, si potrebbe non far la guerra, si potrebbe rispettarci, perché non lo facciamo? Perché l'uomo commette il male?
È una domanda che a volte ci facciamo sugli altri, ma sarebbe giusto smetterla di farla sugli altri, per farcela ciascuno per conto proprio. Ci mettiamo davanti allo specchio e... perché? Perché Dio permette che io faccia il male? Perché non m'aiuta? Non mi da una mano? Quante volte l'avete pregato anche voi, così! Quante volte abbiamo detto nel Padrenostro "liberaci dal male", e poi magari non ci libera nemmeno dal peccato.
Rimane questo, a mio avviso, uno dei misteri del cuore dell'uomo, che le parabole di Gesù, che il Vangelo non spiegano, almeno secondo me. Io ho cercato molto, ma non c'è una spiegazione, a volte dei barlumi di luce; forse perché Gesù non é venuto per spiegarci i misteri del mondo, ma per camminarci accanto, per lottare con noi contro il male. Queste parabole - anche quelle che abbiamo letto domenica scorsa e quelle che leggeremo domenica prossima - toccano il mistero più profondo dell'uomo, della vita, quel mistero che nessun filosofo, nessun pensatore, nemmeno Gesù ci hanno mai risolto: Perché facciamo il male? Perché qualche volta io faccio quello che sento che non è giusto? Non quello che gli altri sentono che non è giusto; ma quello che io sento che non è giusto! Perché a volte non rispetto un amico?...
Vi lascio queste domande, che sono le domande eterne dell’uomo, vorrei aggiungere solo due piccole riflessioni, due annotazioni in margine a quello che abbiamo ascoltato. La prima è questa: i primi cristiani hanno la certezza - la trovano nella ventura di Gesù - che non è il successo il criterio del bene e del male: Gesù è finito su una croce, eppure Lui è il Giusto, è la pietra angolare; non aveva sbagliato Lui, avevano sbagliato gli altri: è importante saperlo nella vita, anche nella vita ai ciascuno di noi.
La seconda annotazione su cui vorrei attrarre la vostra attenzione, invitandovi a rileggere la bellissima prima lettura del profeta Isaia; è che ogni riflessione sul male, non è fatta a partire dal male commesso, ma dai doni ricevuti! Io ho ricevuto tanto, Dio ha trattato me come una vigna che ha coltivato, custodito, ha scavato una siepe... io ho avuto tanto, e non ho saputo rendere. Si aspettava che producessi uva buona, perché questa mia vigna l'aveva curata con amore, e io ho prodotto uva selvatica.
Nel Vangelo, in queste parabole di Gesù, il peccato dell'uomo, non è giudicato a partire dalla gravità. del male, ma dal dono ricevuto! Questo ci aiuta a non giudicare gli altri, perché vedete, se voi domandate a me: "Che cosa hai fatto di male? Quante persone hai ammazzato nella tua vita?" Vi direi: "Mai!" allora non hai fatto granché di male! Ma se voi cominciate a domandarmi: "Racconta Checco la tua vita, da quando eri bambino, quante cose .hai ricevuto? Quell'uomo là, di cui leggi sul giornale, che ha ammazzato, forse ha ricevuto quasi niente di quello che hai ricevuto tu!". Guardare la vita con gli occhi di Dio giudicare dal suo punto di vista, vuol dire partire dai doni che abbiamo ricevuto, non tanto dal male che abbiamo fatto.
Hai ricevuto tante cose, tante attenzioni, tanto affetto, tanta amicizia, tanta bontà, e che cosa hai saputo donare? Perché non sono riconoscente? Eppure qualche volta succede, e penso succeda anche per voi.
Chiediamo perdono al Signore, e affidiamoci a Lui.
1987
I primi cristiani diversamente (almeno in parte) da quando succede a noi, erano perseguitati, stretti da ogni parte.
I capi del popolo che avevano ucciso Gesù, i principi dei sacerdoti che lo avevano fatto mettere in croce da Pilato, ancora perseguitavano loro, ancora li cercavano per metterli in prigione, e qualcuno veniva ucciso.
Anche per loro, nei momenti di smarrimento e di difficoltà, veniva la domanda: "perché il Signore non scende a proteggerci? perché il Signore non ci difende? perché siamo esposti a tutte queste persecuzioni? Noi ci sforziamo di fare il bene, cerchiamo di seguire gli insegnamenti del Signore, eppure qualcuno di noi è messo in carcere, qualcuno viene ucciso! perché? perché Dio non ci difende? non sarà forse che hanno ragione gli altri?":
Perché, vedete, anche i primi cristiani hanno qualche volta nel cuore l'idea che forse c'è anche in noi, che se uno fa il bene, se uno ama il Signore deve avere un minimo di ricompensa, le cose non dovrebbero andargli male. C'è sempre uno scandalo nella vita di un credente: quando si accorge che la disgrazia, la sventura, la persecuzione, attraversa la sua vita.
Allora alza gli occhi verso il cielo e dice: perché?, perché a me?, che ho fatto di male? in che cosa ho sbagliato perché mi capita questo?
I primi cristiani quindi si dovevano ripetere tante volte queste parabole di Gesù che erano un atto di accusa verso i capi del popolo; riprendendo, come avete sentito oggi nella prima lettura l'antico tema della vigna, dice ai capi del popolo: "ecco, voi a cui era affidata la vigna, non avete prodotto i frutti della giustizia, voi avete ucciso i profeti e adesso anche quando viene il figlio lo cacciate fuori dalla vigna e lo inchiodate sulla croce".
I primi cristiani si ripetevano questa parabola, soprattutto con la conclusione di Gesù che sentivano molto forte per loro: ecco vi sarà tolto il regno, vi sarà tolta la vigna e sarà data ad altra gente che saprà farla fruttificare.
I primi cristiani quando si radunavano insieme, dicevano: ecco, Gesù è venuto, lo hanno ucciso, ma Dio ha tolto loro la vigna, siamo adesso noi il popolo, noi abbiamo creduto che Gesù, la pietra che i costruttori hanno scartato, era veramente la pietra fondamentale, la pietra su cui si costruisce la casa. Questa parabola che noi abbiamo ascoltato, era per loro dunque, una grande consolazione, la grande forza. Prima di domandarsi: ma noi la facciamo fruttificare la vigna? siamo capaci di produrre frutto? prima di farsi questa domanda, sentivano forte per loro la grazia di Dio che aveva affidato a loro la vigna e molti di loro erano pagani, venivano da fuori del popolo di Israele, sentivano "Dio ci ha fatto grazia, noi abbiamo potuto riconoscere in Gesù la pietra fondamentale, Dio sta dalla parte nostra, e cantavano quindi il loro inno di ringraziamento, il loro grazie a Dio, poi si facevano le domande, poi!!".
Io vorrei che anche voi vi fermaste a questo primo aspetto di questa lettura e che mettendovi davanti al Signore, insieme tutti diciamo "grazie Signore perché noi abbiamo riconosciuto in Gesù la pietra fondamentale. Perché vedete, fratelli, anche noi, anche voi forse più di me, siete in qualche modo stretti e perseguitati. Perché tante volte nel posto di lavoro, i ragazzi quando vanno a scuola, chiunque di voi provi a fare qualche opera di giustizia, si sente dire: "ma chi te lo fa fare, ma che te ne importa? altri sono i valori del mondo, altre sono le cose importanti! pensa a fare i soldi, pensa a divertirti, pensa a diventare una persona importante! perché ti preoccupi di voler bene, di essere giusto, perché te ne vuoi impicciare tu?
Allora, di fronte a questa gente noi dobbiamo dire: è sempre stato così, chiunque ha cercato la giustizia si è sentito dire queste cose, anche Gesù. Noi abbiamo scelto la pietra fondamentale, noi sappiamo che questa è la via della vita e se ne siamo convinti, allora dobbiamo dire: "grazie, Signore" tu sei venuto per questo, sei venuto per metterci nel cuore la certezza che chi cerca il bene e la giustizia ha trovato la pietra fondamentale, è sulla strada giusta e anche se incontriamo il disinteresse, anche se qualcuno ci piglia in giro, anche se dicono che siamo scemi, noi sappiamo, perché Tu c'è l'hai insegnato, che questa è la via della vita. Noi sappiamo di aver trovato la pietra fondamentale, per questo ti diciamo grazie. Tu toglierai ai potenti di questa terra, a chi cerca soltanto il denaro, a chi cerca il prestigio, a chi cerca la potenza, tu toglierai dalle loro mani le vie della vita, perché le hai messe nelle nostre mani.
Allora anche noi, tutti insieme, potremo cantare il cantico della Madonna: hai rovesciato i potenti dal trono, hai disperso i superbi, hai innalzato gli umili. È il canto che sgorga dal cuore del credente, da chi sa che Dio non è dalla parte di chi è potente, di chi ha fatto tanti soldi, di chi è sempre fortunato. Dio è sempre dalla parte di chi cerca la giustizia, come è stato fino in fondo dalla parte di Gesù. E quindi è dalla parte nostra per quel poco che cerchiamola giustizia, il bene, la verità, e l'amore.
Il Signore ci aiuti a farlo ancora.
1990
È una parabola complessa quella che abbiamo letto perché, probabilmente , è una parabola, che i primi cristiani si son detti e ridetti tante volte e, come succede agli uomini, hanno messo in questa parabola anche un po' delle loro scorie, del rancore, della rabbia dell'uomo.
Cerchiamo di andare al di là di tutto questo e cogliere l'essenziale di questa parabola, il nocciolo. È, secondo me, il nocciolo della nostra fede.
La riflessione dei primi cristiani, la riflessione sulla vita di Gesù, sul mondo, ha portato a cogliere il nocciolo di ciò che significa credere, e credere, se ho capito qualcosa, significa proprio questo: la certezza, nel profondo, che la festa si fa. Qualunque cosa succeda, la festa si fa!
Che è una cosa strana, se ci pensate. Quando si invita qualcuno per una cena, se poi non viene, la cena non si fa; bisogna riporre quel che s'è preparato. Questo strano Re, che fa un banchetto per le nozze del proprio figlio e invita tutti, invita la gente, questa gente non viene, non vuole partecipare, ma poi la festa si fa! Magari dopo qualche tempo, ma la festa si fa! Ecco il nocciolo della nostra fede è proprio questo: la certezza che Dio ha preparato per noi una festa, la festa della vita, la festa del bene, e che questa festa si fa!
Si fa perché lo ha deciso Lui! Perché questo è il progetto che ha messo dentro questa nostra storia.
Questo non è un discorso a buon mercato, non vorrei suscitare in voi, e in me, delle illusioni. Tutti sappiamo cos'è la vita, la sua durezza giorno per giorno, e soltanto talvolta abbiamo qualche barlume, qualche intuizione del suo senso profondo. Se studiate la storia, la storia della vita, la storia del mondo, v'accorgerete che dopo ogni glaciazione è ritornata la primavera, dopo ogni freddo è ritornato il calore del sole, dopo ogni incendio, qualche cosa è rispuntata sulla terra. La vita sembra qualche cosa di inarrestabile che sempre torna a fiorire, che sempre torna a spuntare, e non soltanto la vita della natura, anche la vita degli uomini.
Dopo ogni guerra, i bambini son tornati a sorridere, a giocare. Ma questo, se ci pensate bene, non basta, non basta a darci la certezza dell'esito finale di questa storia, della nostra vita, se è affidata soltanto alle nostre fragili mani, a fragili mani di uomini che possono distruggere, sciupare, rovinare tutto.
Credere che con noi, impegnato nella vita c'è Dio, credere che Lui ha fatto un progetto, che questo progetto lo porta avanti, che la festa si fa: questo è un fatto soltanto di fede! Non è questione di essere più o meno ottimisti, secondo me, è questione di credere in Dio, di credere che Dio vuole bene a questa terra, di credere che per questo, ha mandato Suo Figlio perché la festa si faccia, la festa della vita, la festa dell'amore.
Quando vi guardate intorno con aria smarrita, quando sentite il male del mondo, perché lo sentiamo, lo abbiamo detto anche nelle volte precedenti anche troppo forte: guardate il Crocefisso! Dite il Padrenostro! Ritornate alla Fede! Noi crediamo che Dio è il Padre di questo mondo, questo è il nocciolo della Fede! Essere cristiani questo significa! Non altro. Non moltiplicare le devozioni, non moltiplicare gli obblighi, non moltiplicare i doveri, non moltiplicare le penitenze. Credere significa: avere nel cuore, nel profondo del cuore, perché non è una cosa a buon mercato, la certezza dell'amore di Dio, della fedeltà di Dio alla nostra vita, la certezza che la festa si farà.
Questo significa essere cristiani. Questo significa credere in Gesù Cristo.
Noi vorremmo che le cose ci andassero sempre bene, che Dio garantisse la nostra vita, che garantisse l'oggi, il domani: non è così! Lo sappiamo! È inutile che ci diciamo sciocchezze. Dio non ci garantisce la vita, non l'ha garantita a noi, come non l'ha garantita a Suo Figlio!
Ma un giorno, per tutti, ci sarà la festa. Ci sarà qualcuno sulla terra che continuerà ad amare, a sperare, a credere, perché Dio agisce con noi e per tutti noi, in maniera - ripeto - misteriosa. Non è facile capire il perché di quello che accade nella vita, quanto vorremmo capire il perché di certe cose! Tante, troppe cose sono incomprensibili: ma credere significa avere nel cuore, portarsi nel cuore, ritrovarla dentro nel profondo, ogni volta, la certezza che Dio vuole bene a questa terra, vuole bene a questo mondo e che un giorno tutti parteciperemo alla grande festa della vita, alla grande festa che Gesù ci ha preparato.
Noi, possiamo anche dire di no! Ma la festa si fa! Se crediamo questo, rimane l'ultima parte della parabola, rileggetevela a casa, è semplice, banale. Dobbiamo parteciparci anche noi alla festa della vita, perché si può dire di no all'amore, si può dire no alla vita, ma se riusciamo a credere che Dio vuole bene alla vita, allora riusciremo anche noi a voler bene, a parteciparci, perché la festa si fa! Il compito nostro non è quello di far la festa ma di parteciparci, di mettere l'abito bello, di starci anche noi là dentro, perché il rischio è di rimaner fuori, perché Dio la festa la fa in ogni modo!
Questa è la nostra Fede. Il Signore ci aiuti.
1987
Un'altra parabola, quella di stasera, molto simile a quella che abbiamo ascoltato domenica scorsa. Anche qui si parla di servi che vengono mandati, uccisi, anche qui si parla del rifiuto dei primi che sono invitati al banchetto; c'è una cosa nuova però in questa parabola su cui vorrei proprio richiamare la vostra attenzione.
Vi sarà successo, almeno una volta, di aver invitato qualcuno a cena e le persone invitate, all'ultimo momento non sono riuscite a venire: forse un guaio improvviso, o si è guastata la macchina, è successo insomma qualcosa. Gli invitati non sono venuti: la cena non si fa più, ceniamo tra di noi un po' tristi, perché aspettavamo degli amici, pensavamo di passare una bella serata insieme, si sono preparate parecchie cose buone: bisogna mettere tutto da parte, domani mangeremo gli avanzi di stasera. La cena non si fa più!
Invece qui - e questo è il cuore della parabola - la cena si fa lo stesso: il Re manda a chiamare i suoi servi e ordina loro di andare a chiamare la gente lungo le strade: "chiamateli tutti buoni e cattivi, non importa, purché la stanza si riempia e la cena si faccia". Si deve fare questa cena: è la cena del Re, è la cena del Signore! Non può andare sciupato tutto quello che è preparato....
Quando ero ragazzo (me lo ricordo ancora perché mi ha fatto molta impressione quando poi ho capito che era una cosa diversa e più profonda), i miei buoni preti mi leggevano spesso questa parabola - l'avrete sentita anche voi più di una volta - me la leggevano per dirmi che bisognava venire a Messa la domenica ricordate? Quando si leggeva di questi invitati che vanno chi al campo, chi a curare i propri affari, mi dicevano: "Anche tu fai così, perché invece di venire a Messa, vai a giocare a pallone, vai per la strada a divertirti, trascuri gli inviti del Signore. Vedi? Tu sei come questi cattivi invitati cattivi, te ne vai in giro a giocare, a fare i tuoi affari". E queste cose le ripetevano non soltanto a noi bambini, ma anche a quelli più grandi.
Quando sono cresciuto e ho letto più attentamente questa parabola, mi son detto: "Ma come si può ridurre una parabola così straordinaria, a dire che bisogna andare a Messa, che non si deve trascurare l'invito del Signore. Qui si tratta di qualche cosa molto più grande: qui c'è il lieto annuncio di una festa che si fa, anche se alcuni invitati non vogliono partecipare. Qual'è il banchetto a cui il Signore invita la sua gente? Il banchetto è la vita stessa, il banchetto è l'amore, l'amicizia, la fraternità, a cui tutti noi siamo invitati. Il banchetto è la festa della giustizia, della pace, della verità, della tenerezza, della gioia. Il regno di Dio è simile ad un banchetto di nozze: Dio vuole che per gli uomini ci sia una grande festa in cui tutti si vogliono bene, si rispettano, in cui non si faccia più violenza ai bambini, in cui ci sia giustizia per tutti! Questo è il banchetto a cui il Signore ci invita!
Che cosa dice questa parabola? Che questo banchetto si fa perché Dio è impegnato per questo banchetto, è la festa che Lui ha preparato per noi: non siamo soltanto noi poveri uomini a costruire il futuro. Capite perché i primi cristiani leggevano questa parabola con una gioia profonda: altro che dimenticarsi di andare a Messa, per giocare a pallone! Qui c'è il cuore della nostra fede cristiana: la certezza che Dio lavora con noi nella nostra storia. La certezza che la festa della vita si compirà, che l'ultima parola è della pace, del bene, dell'amore.
Qui c'è la certezza che alla fine il banchetto si farà, anzi si va facendo anche là dove c'è un uomo che cerca la giustizia, la verità, l'amore, la pace, la fraternità, là dove c'è un uomo che si comporta come Gesù, là comincia il banchetto della vita! E per questo banchetto non siamo impegnati soltanto noi, è impegnato Dio. Questa è la nostra fede, è la suprema speranza per noi povera gente riunita qui.
Io quando faccio il mio esame di coscienza dico: "Dio ha affidato a me, a gente come noi - guardiamoci negli occhi fratelli - le sorti del mondo". Noi ci guardiamo intorno e diciamo: "che possiamo fare?" Qualche volta sarà capitato anche a voi guardando la televisione, ascoltando la radio, di dir: "Mah, come va il mondo? cosa succederà di questo mondo?". La parabola di oggi ci dice, a me, a voi, a tutti coloro che credono, che ascoltano la parola di Gesù: "non aver paura, perché c'è Dio impegnato nella storia, il banchetto si fa, il banchetto verrà, è Dio che lo vuole, è Lui che lavora per questo, per questo è venuto Gesù. Questa è la nostra suprema speranza; non siamo soli, c'è il Signore impegnato con noi. Capite la forza di questa parabola?
Certo poi ce n'è un altra di parabola, ma ci vogliono due minuti per spiegarla. I primi cristiani che sentivano molto più di noi questa gioia, questa certezza di Dio presente in mezzo a loro, di cui quello che noi facciamo qui stasera è un segno: non siamo mica soli stasera, c'è Gesù impegnato con noi! I cristiani sentivano profondamente questa gioia e ad un certo punto si guardavano negli occhi e dicevano: "ma noi, abbiamo ascoltato l'invito di Dio?". Noi che siamo qui riuniti nella sala del banchetto, siamo impegnati per il Suo Regno? Ecco, hanno aggiunto la seconda parabola: "Ce l'abbiamo il vestito di nozze?". Ma questo viene soltanto dopo aver sperimentato dentro di sé la forza della fede, la certezza che Dio è con noi, che Gesù è qui con noi, impegnato per la costruzione del mondo. Soltanto quando siamo convinti che la storia è come un grande fiume guidato da Dio verso il banchetto, possiamo domandarci: "io ci sto dentro? Ne faccio parte? Ci lavoro? Ce l'ho l'abito nuziale, sono pronto a lavorare per questo banchetto? Lo faccio ogni giorno? partecipo alla festa della vita?" È la seconda parabola che avete sentito, semplicissima, ma non vorrei che rimaneste con questo ricordo, con questa domanda; io vorrei che vi rimanesse nel cuore la certezza che Gesù vuole comunicarci con la prima parabola, la certezza che il banchetto si fa, perché è Dio che lavora per questo è Lui che sempre invita gente perché tutti partecipino alla festa della vita.
Il Signore faccia di noi della gente che sa lavorare per questo.
1990
Abbiamo letto una pagina del Vangelo che a mio avviso, ma penso all'avviso di molti di noi, è una delle più sconcertanti che si possono leggere in questo libro: sconcertante per il nostro modo di vedere la religione, per il nostro atteggiamento di fronte a Dio. Noi spesso ci aspettiamo venendo in chiesa, pregando, leggendo il Vangelo, di avere delle risposte ai problemi della nostra vita, di sapere come dobbiamo comportarci e quello che sconcerta è che qui Gesù non risponde, e non è questo il solo caso del Vangelo, anche se questo è forse il più clamoroso. Fate attenzione alla risposta, perché non è una risposta! Chiedono a Gesù: "Dicci, dobbiamo pagare il tributo, o no?". "Date quello che dovete dare a Cesare, e date a Dio quello che è di Dio" "Ma insomma il tributo lo dobbiamo pagare o no?". Gesù già sta da un'altra parte, non ha risposto! Semplicemente non ha risposto! A prima vista questo è sconcertante, perché noi cercheremmo in Dio, nel Vangelo, in Gesù, una risposta. Come debbo comportarmi in questa circostanza? Come debbo vivere questa situazione? Come mi comporto, per esempio, in ufficio, sul posto di lavoro? Cosa debbo fare con questo figlio? Come mi comporto con mio marito, con mia moglie, con il vicino di casa? Cosa è giusto fare? Potesse parlare Gesù! Potesse dirmi Lui cosa devo fare! E Gesù tace...
Ho combattuto tutta la vita la tentazione di dare una risposta, di sostituirmi alla coscienza del mio prossimo; ormai son convinto di poterlo dire con franchezza, chi l'ha data in nome di Dio, è un malfattore, perché Dio non dà risposta. La risposta spetta al sacrario della coscienza di ciascuno, a quel luogo sacro che c'è in ogni uomo e in cui nessuno dovrebbe entrare.
Siamo poveracci, allora, se Dio non ci risponde, se non ci indica la strada, se non ci dice come ci dobbiamo comportare! No, non siamo poveracci, siamo uomini liberi! Questo vuole Dio da noi, che viviamo da uomini liberi, che tentiamo, dentro noi stessi, di cercare la verità, di cercare la giustizia, di cercare il bene, di cercare la risposta ai nostri problemi.
Qualcuno di voi domanderà: "Gesù vorrà pur dirci qualcosa con la sua frase: "Date all'imperatore quel che è dell'imperatore e date a Dio quel che è di Dio". Che cosa è dell'imperatore? Che cosa è di Dio?" Qual'è il senso della risposta di Gesù? Attenzione! Qui non si tratta affatto di contrapporre la Chiesa e lo Stato, tanti l'hanno fatto nel corso della storia, qualcuno lo fa ancora oggi, ma questo è stravolgere i Vangelo: Chiesa e Stato sono due poteri di questo mondo entrambi appartengono allo spazio dell'"imperatore".
Cosa c'entra Dio, allora?. Vedete, mi sembra di aver intuito questo: mettersi davanti a Dio, è mettersi davanti all'Assoluto, alla Verità, alla Gratuità, alla Giustizia. È importante, anzi fondamentale perché, vedete, io, quando tento di risolvere i miei problemi, quando mi dico che debbo essere libero, che nessuno mi deve comandare, rischio scambiare la libertà con i miei comodi, di farmi i fatti miei, di pensare soltanto a me stesso, di essere arrogante, di essere ruffiano...
Cercare di dare a Dio quel che è di Dio; significa che nel tentare di capire che cosa è giusto, che cosa è sbagliato, io cerco la volontà di Dio che è volontà di amore totale, di gratuità e libertà piena. Dio che sta dietro ogni uomo, dietro ogni situazione, dietro ogni fatto della vita, dietro quello che mi capita, è Lui la verità profonda di ogni uomo, di ogni vita.
Direte voi: "Potesse parlare! Potesse manifestarsi! Facesse un segno!". Diventeremmo tutti dei burattini, Dio ci vuole liberi; non ci vuole dei burattini! Ci vuole gente che cerca, che sbaglia anche, perché è da uomini sbagliare, e che ricomincia mille volte cercando sempre, cercandola da uomini liberi, la giustizia; cercandola come adulti, non come bambini impauriti, che hanno sempre bisogno di qualcuno che ci dica: "Tu fa così, tu fa cosà". Gesù si è rifiutato di dirlo. Se c'è qualcuno tra voi che pensa - spero che ce ne siano pochi - che la religione sia soprattutto ordini, comandamenti, direttive, regole, - posso dirlo con franchezza - secondo me non ha capito niente del Vangelo. Il Vangelo è soprattutto libertà, ricerca della strada, della giustizia, con passione, con coraggio, ma nel profondo del nostro cuore; perché non è da fuori che viene la verità della mia vita, è da dentro di me, è dal confrontarmi con Dio che deve scaturire in me l'amore, la giustizia, il bene. Se faccio il bene per paura, soltanto perché qualcuno me lo dice, soltanto perché qualcuno mi ordina di fare così, dov'è la mia dignità di figlio di Dio? Gesù è venuto per farci liberi!
1987
Ci sarebbero tante cose da dire, ma io vedo se stasera mi riesce di dirvene una o due. Vorrei soprattutto attirare la vostra attenzione su questo: si presentano a Gesù dei discepoli dei farisei, insieme con gli erodiani per porgli un problema che allora, al tempo di Gesù, era profondamente dibattuto là in Palestina, cioè se si doveva o no pagare la tassa all'imperatore romano. Molti ebrei pensavano che non era giusto pagare quella tassa, perché l'imperatore romano era un oppressore, era uno straniero venuto a conquistare quella terra. Altri invece pensavano che conveniva pagarla, se no succedeva di peggio, altri ritenevano che era un dovere pagarla, perché l'imperatore manteneva un esercito che li difendeva e assicurava loro molti servizi. Altri ancora ritenevano che pagare la tassa significava compiere un atto di idolatria, addirittura una bestemmia nei confronti di Dio, perché l'imperatore si faceva quasi simile a Dio e quindi non bisognava assolutamente pagare quella tassa. Questo era un dibattito molto vivo tra la gente: La gente sempre discute quando si tratta di pagare le tasse, voi lo sapete! poi magari tutti ci adattiamo a pagarle, più o meno, almeno quelle che dobbiamo perché non c'è scelta. Là il dibattito era particolarmente vivo, anche perché le tasse erano molto pesanti, c'era già qualcuno che cominciava a organizzare dei movimenti di ribellione contro i romani.
Dunque, vanno da Gesù e gli dicono: "Maestro queste tasse, secondo te, si debbono pagare o no?" Vi ho detto, si possono fare molti discorsi, ma una cosa colpisce qua: Gesù non risponde. In fondo non è una risposta: "date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio" Va bene, ma le tasse sono di Cesare o no? Le dobbiamo pagare o no? Gesù non risponde. Ci sono altri episodi del Vangelo in cui qualcuno va da Gesù a porgli un problema del Genere e Lui non risponde, qualche volta replica in maniera abbastanza secca. Potete leggere, ad esempio, nel Vangelo di Luca, il caso di due fratelli che litigano per l'eredità e vanno da Gesù a dirgli: "Risolvi un po' tu la nostra questione" E Gesù risponde seccamente: "Uomo, chi mi ha posto giudice fra di voi?" Quando la gente va da Gesù a dirgli: "Come debbo comportarmi in questa circostanza?" Gesù, in genere, non risponde.
Ecco la domanda che vorrei farvi: "Perché succede così?" posso assicurarvi che io da 25 anni ormai combatto per non dare queste risposte, cioè per essere fedele a Gesù, (che non è una cosa facile!) perché la tentazione quando uno ti chiede un parere è di darglielo. Tu mi chiedi come devi comportarti e io te lo dico! Specialmente uno che viene da me che son prete, quindi c'è sempre un certo senso di rispetto, quasi un credere che quando si va dal prete si abbia una risposta che viene da Dio, in ogni caso una risposta autorevole. E io ho combattuto tutta la vita per cercare di non dare la risposta, per cercare di non sostituirmi alla coscienza dell'altro, perché (questo è il punto): Gesù non vuole sostituirsi alla coscienza dell'uomo e chiunque lo fa è un malfattore, perché in fondo spetta al segreto, al sacrario della nostra coscienza, a quel luogo sacro che c'è in ogni uomo, in cui nessuno dovrebbe entrare. Spetta là, al segreto della nostra coscienza di cercare una risposta.
E questo è il primo insegnamento che, penso, quest'episodio ci vuole comunicare. Gesù non risponde ma rimette l'uomo di fronte a Dio, come fa altre volte, per esempio nel caso dei due fratelli che vanno a chiedergli di risolvere il problema dell'eredità: Gesù si rivolge alla gente e fa un discorso che sembra non entrarci niente con la domanda, un discorso sul denaro e aggiunge una parabola. Rinvia alla coscienza dei singoli il prendere posizione. Domandarsi nel segreto della coscienza che cosa è giusto e che cosa sbagliato, cosa è vero e cosa falso, come debbo comportarmi nelle varie circostanze della vita: perché non c'è nessuno che me lo possa dire con "autorità"! Sfuggite anche voi genitori alla tentazione di dire subito ai vostri figli quando vi chiedono una cosa: Comportati così" Rispettate il segreto, il sacrario della loro coscienza! Date loro dei valori perché possano dire. "sì, secondo me , è giusto così".
Qui non parlo del bambino piccolo a cui qualche volta bisogna rispondere con uno scapaccione perché non si faccia male. Mi riferisco invece al ragazzo che sta crescendo, il quale tante volte sentirà intorno a sé delle persone che dai giornali, dalla televisione, dai compagni, dalle mode che passano, tenteranno di dirgli come deve comportarsi. Che trovi invece qualcuno attorno a sé, specialmente nella sua casa, i suoi genitori, che gli dicano: "vedi, la tua coscienza deve darti una risposta; questi sono i valori, se vuoi, ti racconto una parabola di Gesù, perché tu possa scegliere, perché tu possa sentire nel profondo della tua vita dove sta il bene e dove sta il male, perché tu impari fin da quando sei giovane, che il sacrario, il tempio della tua coscienza non dovrebbe essere mai violato da nessuno, perché è là che tu sei veramente uomo.
Ecco, Gesù insegna questo primo atteggiamento e ci dice: "vedi nella tua coscienza di dare a Cesare quel che è di Cesare, ma a Dio quel che è di Dio; metti Dio nel cuore della tua coscienza e interrogati davanti a Lui che è la verità, dov'è il giusto e dov'è lo sbagliato, dov'è il bene e dove il male".
Vedete, c'è un'offesa che è stata fatta a questa parola di Gesù quando (lo sapete: qualcuno di voi ha studiato un po' di storia) nelle diatribe tra stato e Chiesa ciascuno cercava di tirare Dio dalla sua parte: ma quando lo stato e la chiesa si contendevano brani e spazi di potere, là non era una questione tra Cesare e Dio, ma tra due Cesari, tra due poteri di questa terra. Dio è un'altra cosa, Dio è trascendente, sta al di là, non sta dietro ad un potere della terra, non sta dietro la chiesa o il papa o il vescovo. E allora, direte voi, ma se io devo mettermi davanti a Dio per dare a Lui quello che è suo, cosa posso fare? Dio sta dietro ad ogni uomo là dove l'uomo viene liberato, là dove cresce il benessere, l'intelligenza, la cultura, la gioia, la libertà dell'uomo, là c'è Dio, perché Dio ha posto la Sua gloria nell'uomo vivente e qualche volta (vi dicevo di fare attenzione alla prima lettura) Dio sta dalla parte dell'ateo, Dio sta dalla parte di Ciro il pagano, perché Lui è per la liberazione, Lui è per la vita. Dio si trova sempre la dove cresce la vita, dove cresce l'uomo, dove l'uomo è rispettato, accolto, amato... Allora io debbo entrare nel segreto della mia coscienza e dare a Dio quel che è di Dio. Che venga il Suo Regno! Lo diciamo ogni giorno, che sia fatta la Sua volontà, sia fatta da me. Che cosa vuole Dio? Non ha bisogno davvero che noi gli diamo qualcosa per sé. Sarei del tutto fuori strada, se io pensassi di risolvere i miei problemi con Dio dicendo: "Oggi devo dare qualcosa a Dio" e, mettendo mano al portafoglio, dessi, come farete in molti tra poco, un'offerta per le missioni. No, non avrei dato nulla a Dio, perché Dio vuole il nostro cuore: non dimenticate: "Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua vita". Cerca ciò che Dio vuole con tutto il tuo cuore, e Dio vuole la libertà, la pace, il benessere, l'amore, la tenerezza, il perdono, la vita. La vita in ogni espressione devi cercare nel segreto della tua coscienza. Questo è dare a Dio quel che è di Dio.
Il rispetto assoluto per l'uomo, per ogni uomo che vive, la tua collaborazione perché la vita sia rispettata e cresca dovunque sulla faccia della terra. Questo vuole Dio e Dio sarà glorificato soltanto se l'uomo vive, se è rispettato, se si sente libero e gioioso. Mai se l'uomo è disprezzato e muore, anche se è fatto in nome di Dio. I disprezzo dell'uomo non è mai una cosa che può essere gradita a Dio.
Vi ho detto qualche piccola cosa, anche con voce un po' solenne, ma non era un consiglio, altrimenti avrei tradito il Vangelo che vi ho letto. Ciascuno di voi nella sua coscienza, si rigiri dentro questa parola del Vangelo e cerchi di capire cosa il Signore vuole da lui.
1990
Le parole che abbiamo ascoltato stasera, credo che siano per tutti noi, tra le parole più conosciute del Vangelo, e non solo del Vangelo, perché queste parole non appartengono al Vangelo in prima battuta, sono parole più antiche, si trovano già nell'Antico Testamento. Il primo comandamento faceva parte della preghiera che l'ebreo recitava ogni giorno, la famosa preghiera che comincia: "Schemà Israel, ascolta Israele; il Signore Dio tuo é l'unico Signore, lo amerai con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente", e l'altro comandamento "amerai il prossimo tuo come te stesso", é un comandamento tradizionale, fa parte della Scrittura. Al tempo di Gesù si discuteva molto su quale fosse il comandamento più importante della legge, ma la risposta di Gesù, non è diversa da quella che dava un buon maestro della legge. Io mi son portato dietro per tutta la settimana una domanda, che vorrei fosse anche la vostra: "Ma Gesù cosa è venuto a portarci di nuovo, rispetto a questi comandamenti?" In fondo, se al tempo di Gesù (qui sono i farisei che domandano, un po' per malizia, per mettere alla prova Gesù, per sondare questo Rabbi, questo Maestro che pretende di essere chissà chi) qualcuno andava da un maestro della legge - a quel tempo ce n'era uno famoso, un certo Rabbi Hillel - a domandargli: "Scusa maestro, puoi riassumerci tutta la legge in un unico comandamento?" Rabbi Hillel avrebbe detto: "Sì: ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e non fare male a nessuno, non fare agli altri quello che non vorresti che gli altri facessero a te". È stata trovata scritta questa risposta del Rabbi Hillel. E allora mi chiedevo: "Gesù che cosa ci ha portato di nuovo? Che cosa è venuto a fare? Che cosa é venuto a dire?"
Ho tentato di rispondere a questa domanda, cerco di dirvi la mia risposta perché voi troviate la vostra. Secondo me, Gesù non è venuto a portarci un comandamento, a dirci altre parole: i maestri della legge bastavano e avanzavano. Quando Dio è venuto su questa terra, è venuto per camminare con noi, per vivere anche Lui, semplicemente, l'amore: chinarsi con tenerezza sull'uomo malato, sull'uomo sofferente - quello che anche molti di voi cercano di fare ogni giorno - vivere ogni giorno con onestà il proprio lavoro, difendere la gente che può fare soltanto qualche piccola cosa: ricordate forse l'episodio più bello del Vangelo: la povera vedova che butta la sua monetina nel Tempio, gli é rimasto solo uno spicciolo, e Gesù dice: "Lei ha fatto molto più di tutti gli altri". Ecco, io credo che Dio sia venuto in mezzo a noi per dirci: " Gente, coraggio! La strada la sapete, l'unico senso della vita è l'amore, non ci riuscite? Ma io son venuto per camminare con voi, per dire che ogni gesto d'amore, anche il più piccolo, è importante; son venuto per farlo con voi questo gesto, per dire che l'amore non è fatto di grandi parole, di gesti eroici, ma della concretezza semplice, anche piccola della vita di ogni giorno".
Gesù, secondo me, è venuto per dire a me, perché ne ho gran bisogno, ma anche a tutti voi: "Non abbiate paura! Dio è più grande del vostro cuore, Dio non è un giudice severo. Dio è un Padre che, anche se sbagli e vai via di casa, quando torni, ti accoglie sempre a braccia aperte. Non sei capace di amare con tutto il tuo cuore? Non vuoi bene fino in fondo al tuo prossimo? Coraggio! provaci ancora!". Per questo è venuto Gesù. Al di là di generazioni di preti che hanno cercato di inculcare la paura nel cuore degli uomini, Gesù è venuto a togliercela dal cuore questa paura. Non è venuto a darci un comandamento più grande, più severo, più esigente, non é venuto a portarci la paura di Dio, ma é Dio che mi cammina accanto e mi dice: "Checco; anche se non sai amare fino in fondo, coraggio! riprovaci ancora! giorno dopo giorno, nelle piccole cose della vita, vedi? io lo faccio con te e se ti rimane uno spicciolo non avere paura! e se anche hai le mani inchiodate sulla Croce, e non puoi far più niente, ancora tenta di dire: Padre, ecco la mia vita, quel poco che posso te lo do". Per questo è venuto Dio, per darci il coraggio di camminare, non per dirci: "Se non ami, guai a te!". Ci sono infiniti predicatori che hanno fatto questo nella storia. Non avevamo bisogno di questo, avevamo bisogno di Uno che ci camminasse accanto e ci dicesse: "È Dio con te, è Dio che ama con te, è Dio che dona con te quello che può, nella vita di ogni giorno. Io credo che per questo è venuto Gesù, e questa è la Sua differenza dai tanti maestri dell'Antico Testamento, che sapevano ripetere a memoria queste parole.
Il Signore ci aiuti.
1987
Lo immaginate facilmente... la tentazione è forte di non dir nulla su queste parole, che in fondo sono così semplici! E chi di noi può commentare e aggiungere qualche cosa a quello che abbiamo letto! Chi, penso, anche tra voi, riuscirebbe a fare una predica su queste parole? E soprattutto chi può dire: io vivo così? Io potrei soltanto confessarvi il mio peccato, anche se di scarso interesse, perché anch'io di fronte a queste parole, mi ritrovo un pover'uomo come voi.
"Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente"!
Mi ritrovo, talvolta a rivolgermi a Dio, ad averlo presente nella mia vita, soltanto quando ho bisogno di qualcosa, quando qualcosa non va, quando non mi sento tanto bene, quando c'è qualche guaio, allora sento di pregare, di raccomandarmi a Lui, allora prego un po' di più... Quando ero ragazzo i buoni preti, (ma, penso l'avranno detto anche a loro!) per convincermi ad andare a Messa alla domenica, mi dicevano "hai tutta la settimana per te, tante ore, vuoi dare a Dio qualche cosa, almeno una mezz'ora ogni settimana?". Poi mi sono accorto che era un discorso sbagliato, ma di fatto mi ritrovo a fare le stesse cose: noi con Dio abbiamo spesso un rapporto commerciale: ti offro una preghiera, vengo a Messa, accendo una candela poi però, fammi andare le cose bene a casa, sul lavoro, con la gente.... sì, ho bisogno di ringraziarTi... ma poi nella vita di tutti giorni.
Amarti con tutto il cuore, cercare quello che tu vuoi, cercare la tua volontà, cercare la tua verità: anch'io lo faccio poco. Mi dimentico spesso di Dio, del Suo Regno e so che Dio non ha bisogno di me... è proprio una sciocchezza pensare che Dio stia lì ad aspettare che io Gli dia mezz'ora del mio tempo, quasi che Lui si diverta a vedermi lì, magari a tribolare un po', come succedeva quando andavo a Messa da ragazzo, ad annoiarmi e a chiacchierare col vicino e a disturbare...
Dio, se è Dio, non ha bisogno delle nostre candele, non ha bisogno nemmeno delle nostre preghiere. Siamo noi che abbiamo bisogno di Lui. Se Dio ci chiede di vivere nell'amore totale per Lui, lo vuole per noi, perché l'amore è veramente il fondamento della nostra vita e se noi non sappiamo aprirci all’Altro, se non sappiamo amare tutto quello che ci sta intorno, in cui Dio si manifesta, la nostra vita, che vale? È fatta, come sapete, di tanti piccoli egoismi, di rinchiuderci in noi stessi... Capita anche a me!
E poi il secondo comandamento chi di noi può dire di amare il proprio prossimo come se stesso? Forse la mamma ama il figlio, qualche volta più di se stessa, qualche volta già tra marito e moglie comincia ad essere più difficile. Non parliamo poi delle nuore con le suocere! Ma la gente che incontriamo, il vicino di sopra che ci disturba, la persona che ti chiede qualche cosa e, in fondo, ti da noia, la gente che lavora con te, che qualche volta è pesante. Come facciamo ad amarli come noi stessi? Il mondo poi è così grande, dovremmo voler bene a tutti come a noi stessi? Riusciamo qualche volta a non voler bene alle persone che ci stanno vicino... eppure ci intuiamo che se non vogliamo bene, se trattiamo male, se portiamo il rancore, la nostra vita si intristisce.
Gesù l'ha detto per noi mica per Lui. Ha detto per noi che è importante volersi bene, vivere nel rispetto, nell'attenzione, camminare insieme. Sarebbe bello se fosse così, lo diciamo tante volte, ma poi non ci riusciamo: che dobbiamo fare?
Rimane il nostro cammino, per questo Gesù ci cammina davanti, per dirci: "venite con me. Lui l'ha fatto, Lui ha vissuto tenendo Dio al di sopra di ogni pensiero. E proprio perché teneva Dio al di sopra di ogni pensiero ha saputo amarci fino in fondo, fino a donarci la vita. E qui ci riunisce in un segno profondo dell'amore: si fa pane per noi e ci accoglie così come siamo, anche se siamo cattivi, Lui ci vuol bene lo stesso. Non ci dice: "Siccome voi non siete capaci di amare... via, andate fuori, che venite a fare qua?" Ci accoglie, anzi, si fa cibo per noi, ci invita tutti, anche oggi a mangiare, per metterci nel cuore un po' di desiderio di amore per noi stessi, per la gente che ci sta intorno, per la vita che viviamo e ci invita a camminare e a cercare, questo amore che spesso è lontano da noi, convinti come siamo che se sapessimo davvero amare fino in fondo, saremmo anche felici nel profondo del nostro cuore.
Siamo povera gente, lo riconosciamo davanti a Lui, ma insieme nella Sua misericordia, nel Suo prenderci per mano, nel Suo invitarci a camminare ancora (è questo il perdono!) ritroviamo la fiducia e la forza di cercare, di cercare ancora questo amore, più grande del nostro cuore.
1990
Siamo qui riuniti insieme in questo giorno che da tempo nella chiesa è dedicato alla memoria di quelli che sono morti, siamo qui riuniti insieme per far memoria di loro. Ognuno di noi ha qualche persona cara (il padre, la madre, il figlio, la figlia, un amico), tante persone che abbiamo conosciuto che qui vogliamo ricordare, non perché abbiano bisogno di noi: sono affidati alle Mani amorose di Dio, alla Sua misericordia e questo è molto più sicuro che essere affidati al maggiore o minor fervore delle nostre preghiere, o peggio ai nostri soldi. Sono affidati a Dio, al Suo amore, alla Sua fedeltà alla vita di ogni uomo.
Perché allora siamo qui? Non perché abbiano loro bisogno di noi, ma perché noi abbiamo bisogno di ricordarli.
E per due motivi: il primo è che ogni uomo ha bisogno di vivere di gratitudine, di ringraziamento. Noi dobbiamo qui far memoria di tutto quello che coloro che ci hanno preceduto, sono stati per noi, di quello che hanno contato nella nostra vita; perché le cose che per loro erano importanti, siano importanti anche per noi, perché i doni che ci hanno fatto, non vadano perduti, perché le cose che per loro hanno contato nella vita, contino nel nostro ricordo, nella nostra memoria, nella nostra gratitudine nel nostro ricordarci di loro. Ognuno di voi si porta oggi nel cuore tanti ricordi, con commozione, con delicatezza, con sentimento profondo. Sono cose, queste, preziose della nostra vita; abbiamo bisogno di conservare questa memoria, di conservare la gratitudine.
Ma questa gratitudine la esprimiamo davanti a Dio, non soltanto nel segreto del nostro cuore, tutti insieme, uniti nella preghiera. Esprimiamo questo ricordo e questa gratitudine davanti a Dio, perché noi abbiamo bisogno della certezza che quelli che ci hanno preceduto, non siano perduti nel nulla, non siano niente adesso, ma vivano - non sappiamo come - nelle Mani amorose di Dio, presso di Lui, e attraverso Dio noi ci sentiamo in comunione con loro.
Di questa fede abbiamo bisogno, questa fede celebriamo qui stasera. La fede che chiunque vive, spera e ama, che tutto il bene che chi ci ha preceduto ha fatto, non è andato perduto: è conservato nella Mani di Dio; siamo qui riuniti dalla fede nella resurrezione, celebriamo tra poco il Signore Gesù, morto e risorto, risorto per dare a ciascuno di noi la certezza che ogni persona che muore, non cade nel nulla, ma vive ed è destinata alla Resurrezione e alla vita.
Tutti quelli che ci hanno preceduto, hanno camminato davanti a noi per le strade di questo mondo, vivono adesso presso Dio e aspettano che noi e tutti gli altri che vivono con noi, li raggiungiamo, camminando anche noi, passo dopo passo, per affidarci a Dio, al Suo amore, che non lascia cadere nel nulla la vita dell'uomo.
Ecco, questa fede ci riunisce qui e quindi far memoria qui dei nostri morti, significa per noi, non tanto per loro che vedono, che sono in Dio, significa per noi la certezza che la morte non ci separa, non ci divide, non è un abisso invalicabile, perché c'è Dio che insieme ci fa vivere. Siamo qui perché davanti a Dio possiamo ricordare con tenerezza tutto quello che le persone che abbiamo amato sono state per noi. Ricordarle con cuore grato, ricordarle come un dono loro e un dono di Dio: il dono prezioso della vita che noi qui intorno all'altare sappiamo che non finisce, che non muore, ma è destinata, come Gesù, alla Resurrezione.
Questa fede ci unisce, in questa fede ci ritroviamo, con questa fede adesso celebriamo l'Eucarestia.
1990
Le parole di oggi sono molto chiare: si parla di gente che dice e non fa: io sono uno di quelli e allora non mi resta che chiedervi scusa e rapidamente passare appresso. Effettivamente fare questo mestiere, e non vi affrettate a dire che non è un mestiere, lo so, è un modo di dire: sono ormai quasi trent'anni che lo faccio, e dover ogni sabato, ogni domenica, presentarmi qui e parlare di qualche cosa, provare a commentare il Vangelo, è pesante, posso assicurarvelo, e per me lo diventa sempre di più, perché bisogna dirle certe cose, devo dire il Vangelo in qualche modo! Ma sento che il Vangelo da me, dalla mia vita è lontano, perché non faccio quello che dico, perché in molte cose vengo meno alla Parola, che qui sono chiamato a proclamare ogni domenica, e questo è un peso.
E c'è un'altra cosa che mi pesa: in questi anni ho cercato di difendermi, ma non è facile, (un po' anche per causa vostra, che vi sentite subito in colpa) dall'imporre dei carichi pesanti sulla gente. Il rischio di chi predica è di far sentire chi ascolta, colpevole, di farlo sentire in difficoltà, e questo Gesù non lo vuole, perché Lui vuole che la sua Parola, (Vangelo vuol dire "Lieto annunzio") sia un annunzio di gioia, di liberazione, di vita, quindi non l'annunzio che uno è colpevole, che deve sentirsi cattivo. Noi preti non ci riusciamo, io son qui dunque, a chiedervi scusa anche a nome di tutta la "categoria", chiedervi scusa per le cose che si dicono e non si fanno, per le sciocchezze che si dicono dal pulpito, per i sensi di colpa che, a volte, riusciamo a mettere nel vostro cuore, e anche per chiedervi di aiutarci, me, tutti, a cercare di essere coerenti nella vita, con quello che diciamo, a cercare di dire sempre meno sciocchezze, a cercare di non imporre carichi sulla vita del prossimo.
Tentate, anche se so che è molto difficile, tentate di dire qualche volta: "Mi sembra che quello che lei dice non è tanto giusto, mi sembra che come si comporta non va tanto bene". Questo aiuto fraterno, così difficile, sarebbe prezioso per il prete, ma sarebbe prezioso anche per tutti noi. Perché, vedete, queste parole non sono rivolte solo a me, ma sono rivolte anche un po' a tutti noi, perché tutti in qualche modo siamo, di volta in volta, maestri, con i figli, con i nipoti, con la gente che ci sta intorno, e tutti parliamo molto e poi non siamo coerenti.
Ma è bene che la finisca qui, perché poi qualcuno di voi si sente in colpa e il Signore s'arrabbia con me e non sta bene!
1990
Il Vangelo, ormai voi tutti lo sapete, è ricco di immagini, di simboli: è stato scritto tanto tempo fà, quando gli uomini amavano parlare attraverso i simboli, le immagini, per colpire la fantasia di chi ascoltava, di chi voleva riflettere. Il problema è che qualche volta queste immagini sono lontane da noi, e quello che sorprendeva gli uomini del tempo di Gesù, forse, non sorprende più noi e rischiamo di non cogliere il nocciolo di una parabola.
Oggi, per esempio, nell'immagine suggestiva di queste ragazze che aspettano nella notte con la lampada accesa, avrà forse colpito qualcuno di voi il fatto di queste cinque ragazze che son dette "brave", quelle che poi entrano, che non vogliono prestare un po' d'olio alle altre, che non hanno preso l'olio nella lampada. Qualcuno di voi sarà stato colpito da quest'aspetto, ma se poteste dire la vostra perplessità alla gente del tempo di Gesù, vi guarderebbero con aria un po' perplessa e sentirebbero tutta la distanza dal nostro tempo, vi direbbero subito: "Ma come! quell'olio non si può comprare! È il simbolo di qualche cosa che sta nel cuore, è il simbolo dell'attesa, del desiderio, del coraggio, della speranza, come si può comprare questo?!" Invece, qualche cosa che forse non ha colpito voi, è il nocciolo della parabola: il dramma è che questo sposo tarda a venire. Non s'è mai visto che lo sposo fa tardi, è la sposa, normalmente, che si fa aspettare, e uno sposo che arriva addirittura a mezzanotte, quando tutti dormono, è proprio un incosciente. Ma questo è il dramma della nostra vita di credenti, il dramma anche dei primi cristiani: lo Sposo tarda a venire e l'attesa sembra non compiersi. Vedete, i primi cristiani avevano incontrato Gesù. Pietro, Andrea, Giacomo Giovanni, la loro vita era stata sconvolta da Lui, avevano visto in Lui la luce, si erano messi a camminare per andarGli dietro, ed erano convinti: adesso cambiamo, prima noi stessi, poi il nostro gruppo, e poi il mondo intero perché ormai c'è Gesù con noi e quindi abbiamo la possibilità di cambiare tutto. Passano i giorni, i mesi, gli anni e non si cambia granché; si accorgevano di essere ancora povera gente! Come mai? Perché Gesù non viene? Perché non ci cambia? Perché non riusciamo a trasformare questo mondo? Perché Dio non viene? È un po' la nostra esperienza! Voi, a casa, qualche volta addirittura con la persona che avete accanto, con i figli che crescono, nel posto di lavoro, specialmente a chi si impegna seriamente a far bene, a cercare la giustizia, a cercare l'onestà, a cercare la verità, qualche volta, è vero, cadono le braccia! Ci si sforza, si prova e sembra che non si veda niente. Qualche volta, come capita a me, rinunciamo a cambiare il mondo, vorremmo, almeno, cambiare noi stessi, diventare migliori, riuscire a mettere dentro di noi un po' più di verità, un po' più di bene e ci accorgiamo che il Signore tarda a venire! Non ci dà una mano e qualche volta viene meno la speranza.
Ecco, l'immagine di queste ragazze che portano la loro lampada e che vanno nella notte incontro al Signore, è l'immagine della vita del credente, è l'immagine nostra quando, sul posto dove lavoriamo, nelle nostre case, cerchiamo di portare un po' di bene, cerchiamo di essere un po' migliori, cerchiamo di vivere con la giustizia. E questo nostro lume, qualche volta, diventa come un lucignolo fumigante, sembra quasi che la speranza se ne vada dalla nostra vita.
Ecco, il nostro ritrovarci qui ogni domenica, è incontrarci con Gesù perché tenga accesa la nostra luce, ravvivi la nostra speranza, ci dia ancora il coraggio di camminare: perché se viene meno la speranza, che senso ha camminare nel mondo? Se ogni volta che ci svegliamo al mattino, non sentiamo dentro di noi un po' di desiderio di bene, di giustizia, di verità, di amore, di tenerezza, di bontà, che viviamo a fare! Eppure qualche volta questa speranza sembra quasi andarsene, qualche volta sembra che le braccia ci cadano. Ecco, incontrarci con Gesù significa ravvivare questa speranza, significa tenere accesa la nostra luce, finché non potremo incontrarlo alla fine dei nostri giorni. È Lui che può darci l'olio, è Lui che può farci camminare, è Lui che ci cammina sempre accanto, perché riusciamo a non stancarci.
Il Signore ci aiuti.
1987
Molte parabole sono raccontate per colpire la fantasia, l'immaginazione della gente che ascolta! Si vuole attirare l'attenzione con la sorpresa, suscitando meraviglia. A volte questa meraviglia è provocata, almeno per la gente del tempo di Gesù, dalla semplicità del racconto, addirittura dalla banalità. Di fronte ad un raccontino semplice, semplice, la gente è portata a chiedersi: "cosa vuol dire, cosa c'è dietro?" Qualche volta, invece, come nel racconto che abbiamo letto stasera, sono alcuni aspetti della parabola che possono suscitare sorpresa. Ce ne sono tantissimi nella parabola di oggi che suscitano sorpresa, o meglio suscitavano sorpresa al tempo di Gesù. Voi non penso che siate stati sorpresi dal fatto che le ragazze debbano muoversi per andare incontro allo sposo: "quando mai, - avrebbe detto uno del tempo di Gesù - si va a cercare lo sposo, è lo sposo che deve venire a cercare la ragazza!" La ragazza aspettava in casa e lo sposo doveva venire lui, anche da lontano e guai se faceva tardi perché lo sposo deve arrivare sempre prima! Voi siete stati invece probabilmente sorpresi da un'altra cosa: avrete forse detto: "ma guarda un po' queste ragazze così cattive che non vogliono dare un po' d'olio alle altre! Perché non hanno diviso l'olio? Quelle che si erano portate il bricchetto dell'olio, perché non ne hanno dato un po' alle altre? Si tratta proprio di egoismo! Che vuole dirci il Signore? Vuole invitarci ad essere egoisti?" Gli antichi, ad ascoltare questi discorsi, vi avrebbero guardato come gente che viene da un altro pianeta, vi avrebbero detto: "Ma come, l'olio non si compra, quest'olio non si compra!" Ecco, vedete, questo forse vi aiuta a capire qual è il significato della parabola: si parla non tanto dell'olio che fa' luce, ma dell'olio simbolo dell'attesa amorosa, del desiderio.
L'olio per gli antichi era una cosa importante, perché loro vivevano la sera sempre alla luce di queste lucerne, specialmente d'inverno, quando il sole tramonta presto, qualche volta esponevano questa lucerna fori, accanto alla porta. La mamma, quando magari il figlio era uscito per andare dagli amici, lasciava questa lucerna. E doveva andare, ogni tanto, a mettere un po' d'olio nella lucerna perché non si spegnesse prima dell'arrivo del figlio. "Quant'olio mi hai fatto consumare per aspettarti!" Sarà successo anche a voi di restare in piedi con la luce accesa, senza dormire, ad aspettare un figlio che non tornava, guardando l'orologio continuamente. Era il vostro desiderio, la vostra ansia, la vostra preoccupazione per questo figlio, per questa figlia che non tornava all'ora stabilita. Questa attesa, questo desiderio, questo aspettare, era simboleggiato per gli antichi proprio dall'olio della lucerna.
Dunque quest'olio non si compra: è l'attesa amorosa, è il desiderio di Gesù che rimane vivo, anche quando Lui tarda a venire. È il desiderio della giustizia, è il desiderio del bene, è il desiderio della vita che qualche volta non si realizza.
Questo c'è in questa parabola! È uno dei problemi più grandi, per me e forse anche per voi, specialmente oggi, (e lo era anche per gli antichi per i quali è stata raccontata questa parabola): a volte quando ci impegniamo per qualche cosa, quando qualcuno di noi si dà da fare per fare il bene, per aiutare una persona: che cosa si aspetta? Di riuscire prontamente, di poter realizzare qualcosa di positivo e di essere anche accolto da quella persona. O quando gli insegnanti cercano a scuola di dare una cultura ai ragazzi, di farli crescere... vorrebbero vedere i risultati, vorrebbero vedere prontamente realizzarsi qualcosa; e così sul posto di lavoro, così nella vita parrocchiale... insomma, siamo tutta gente che vorrebbe vedere arrivare presto lo sposo, con il suo carico di giustizia, di vita. Non preghiamo ogni giorno : "Venga il Tuo Regno"?!
I più avveduti tra di noi sanno che questo Regno si realizza, lentamente e faticosamente, ogni giorno, nella vita dove siamo, nella nostra famiglia, nel posto dove lavoriamo. Per me che son parroco si realizza, nella mia parrocchia, tra la gente con cui vivo, nella Chiesa che mi circonda. E, qualche volta, voi lo sapete, cadono le braccia. Sembra di non realizzare mai nulla, sembra sempre che i problemi siano più grandi di noi e allora ci scoraggiamo, come dice la parabola di oggi: ci mettiamo a dormire un po', cominciamo a dire: "Chi me lo fa fare di continuare a cercare, a sforzarmi...". Quante volte ho sentito dire dalla gente: "Nel posto di lavoro io cerco, cerco... ma sembra che non cavi un ragno dal buco; mi sono stancato, non ce la faccio più".
Qualche volta succede anche nella famiglia, con i figli, nelle nostre relazioni, ci stanchiamo, l'olio finisce! Lo dicevo all'inizio: io mi sento spesso come una lucerna col lucignolo che fumiga, perché sento che, qualche volta, dentro di me, viene meno proprio il desiderio vivo della giustizia, del bene. Vorrei vederla realizzata prontamente in me e anche intorno a me... e i giorni passano, si moltiplicano gli sforzi, ma i risultati non vengono e allora ci si scoraggia. Ecco, la parabola è detta proprio per noi: l'importanza di tenere accesa la nostra lampada, la lampada della nostra speranza.
Tante parabole nel Vangelo parlano di questo: del desiderio vivo che ci deve essere dentro di me e che, spesso, non può realizzarsi oggi, ma deve essere come un seme che porterà i suoi frutti nel futuro.
Ma se non faccio questo, che faccio della vita? Se dalla mia lampada, dalla mia vita se ne va la speranza, il desiderio del bene, l'impegno per costruire il mondo intorno a me, con la gente che ho accanto, che ne è della mia vita?
Ecco, quando viene lo sposo io sarei trovato senz'olio: che non ci capiti mai! Cosa significa essere trovati senz'olio? Significa essere diventati gente che non spera più, che non cerca più, che non si sforza più di costruire il mondo. Per questo il Signore ci direbbe: "non ti conosco". Noi non vogliamo essere così!
Io credo che molti di voi siate come me: col lucignolo che fumiga, con la speranza sempre vacillante, con il pericolo di dire: "ma basta, chi me lo fa fare di cercare il bene nella vita..." Ecco, ogni volta che noi ci incontriamo con Gesù, Lui non spegne mai il nostro lucignolo, ma è sempre in mezzo a noi per metterci nel cuore un po' di speranza, è come un amico che ti mette la mano sulla spalla e ti dice : "coraggio, ci sono io accanto a te, cerca ancora, metti il tuo seme nella vita, niente del bene che fai andrà perduto, anche se non vedi i risultati subito, il bene che metti intorno a te, nella tua casa, nel posto dove lavori, tra la tua gente, tutto questo pian piano, porterà dei frutti, conserva nel cuore la speranza, ne va della tua stessa vita.
1990
Voi siete tutta gente perbene, e credo che siate tutti d'accordo con questa parabola. Io vorrei provare un po' a scandalizzarvi e dirvi che non è giusto, è una parabola sbagliata, è una parabola fatta male, o forse, non fatta male, ma è una parabola per far riflettere tutti noi. Siete d'accordo con questa parabola? Credete che Dio sia così? È un padrone duro ed esigente, che miete dove non ha seminato e raccoglie quello che non ha sparso? Ma se ci ha amato fino a morire sulla croce! Che doveva fare altro per seminare? È vero che Dio vuole fare i conti con noi? E ci chiede conto di ciò che abbiamo fatto, e se non gli portiamo qualche cosa, ci butta fuori? Se questa parabola fosse stata scritta per far riflettere soprattutto quelli di noi che hanno paura di Dio, che hanno un'idea della vita dura ed esigente?
Anche stasera, leggendo il Vangelo, qualcuno diceva: "Fin da piccolo ho visto il Vangelo come una cosa difficile, come un impegno superiore alle mie forze". Ma è questo il Vangelo? Per questo è venuto Gesù? Chi ci ha messo questa paura di Dio nel cuore? Chi ha ucciso la tenerezza, la speranza del Signore nel nostro cuore?
Questa parabola è raccontata per attirare la nostra attenzione su quest'ultimo servo, sulla sua paura. Lui è andato a nascondere il suo talento (il talento era una cifra molto grossa in quei tempi), per paura, perché la vita per lui è dura ed esigente, perché credeva di doversi sempre confrontare con gli altri, perché guardava, probabilmente, quello che ne ha avuti cinque di talenti e che era bravo e sapeva trafficare bene e faceva fruttare i suoi talenti. Diceva tra sé: "E io che posso fare? Vado a nasconderlo!"
Chi ha tolto a quest'uomo la speranza della vita? Chi gli ha messo la paura nel cuore, chi ha ucciso la sua gioia di vivere? Questo è il dramma dell'ultimo servo. Questo ci dice Gesù: "Non togliete a nessuno, prima di tutti a voi stessi, la gioia di vivere, non abbiate paura di Dio". Gesù è venuto per annunciarci la tenerezza di Dio, il suo perdono, la gioia di ricominciare sempre. Quando il figlio torna perché ha sciupato tutto, il padre non lo butta fuori, ma fa festa per lui. Questo è il Dio che conosciamo, l'unico Dio che ci ha annunziato Gesù Cristo. Perché questo servo ha paura? Chi gli ha parlato di Dio in questo modo? Chi gli ha spento la gioia del perdono? Se qualcuno di voi ha paura di Dio, guardi Gesù. Lui è venuto per togliercela questa paura, per annunciarci il perdono, la voglia di ricominciare ogni giorno, il coraggio di andare avanti. Se abbiamo sciupato i suoi talenti, lui vuole che torniamo, che ricominciamo a trafficare la nostra vita, ad avere speranza, a gioire, perché vuole togliere la paura dal cuore. Il figlio che torna a casa era pieno di paura, diceva: "Non trattarmi come figlio, ma come un servo", ma il padre ha fatto per lui una festa, come non si era vista mai in quella casa, perché quel figlio avesse non più paura e tornasse ad amare la vita. Gesù ha raccontato questa parabola perché nessuno di noi abbia più paura di Lui e della vita.
Ci aiuti Lui.
1987
"A uno cinque talenti a uno due talenti a uno un talento... " voi che non avete familiarità con questo pensate a una moneta, ma un talento erano trentacinque chili d'oro o d'argento, quindi si tratta, come vedete, di somme consistenti: pensate a quanto possano valere oggi, chi sa fare i conti rapidamente, trentacinque chili d'oro: una somma enorme.
Di più: altra cosa che sorprendeva quella gente, chi ha ricevuto i cinque talenti, va a trafficarli e ne guadagna subito altri cinque: questo non succede, non si raddoppia il capitale in breve tempo, per guadagnare altri cinque talenti ci vuole una vita e forse non basta!
Ma la cosa che forse ha sorpreso anche voi è la strana posizione dell'ultimo servo, qui veramente il Signore ci propone qualche cosa che a prima vista sembra ingiusta: perché prendersela così duramente con questo servo che in fondo non ha rubato niente: è l'obiezione che noi gli faremmo: "Ma Maestro, quello in fondo non ha rubato niente, forse sì, non è riuscito a guadagnare un po' d'interesse, perché te la pigli con lui?"
E soprattutto cos'è questa storia di un padrone duro ed esigente che toglie all'ultimo servo quell'unico talento che ha, per darlo a quello che già ne ha tanti: a chi ha dieci talenti viene dato anche l'unico talento di questo poveraccio che ne aveva uno solo... perché aveva poca capacità probabilmente. Cosa vuol dire il Signore qui? Perché questa strana parabola?
Ecco facciamo prima di tutto attenzione proprio all'ultimo servo: perché è andato a nascondere il suo unico talento? Perché aveva paura. E proprio di questa paura Gesù vuole parlarci, su questa paura vuole richiamare la nostra attenzione, perché io penso che molti di noi, oggi sempre di più - succedeva anche ai primi cristiani, per questo è raccontata questa parabola - vedono la chiesa un po' come il luogo dove ritirarsi dai problemi del mondo, della vita di tutti i giorni!
L'ho sentito dire più volte: "Don Checco, vengo in chiesa mi sento tranquillo non ho da combattere con la gente, non ho da preoccuparmi per tutto il male che c'è in giro, quando sono in chiesa mi sembra quasi di essere al di fuori dei problemi, delle storie di questo mondo". Quindi per alcuni la chiesa, lo stare qui insieme è visto un po' come un rifugio, ma la parabola di oggi ci dice che è un po' come venire qui a seppellire il talento, per paura.
Questa paura, che oggi si tocca quasi con mano, la percepisco anche nei ragazzi. Seguitemi un po' con attenzione, se posso comunicarvi - così forse vi aiuta a capire questa parabola - una sensazione che ho io, che mi ha stupito la prima volta e rallegrato. Quando io ero un prete più giovane, 15 - 20 anni fà, se voi radunavate un gruppo di ragazzi per parlare dei loro genitori, ragazzi di 15, 16, 17 anni, sentivate dire, forse lo avrete detto anche alcuni di voi: "I miei genitori non mi capiscono, a casa mi capita sempre di litigare, non vado d'accordo, non posso parlare con loro, mi sento del tutto incompreso". Adesso, mi capitava anche in questa settimana e questo mi faceva pensare, dicono: "Tutto bene". La cosa strana è che questi ragazzi in casa si trovano bene, parlano con i genitori, si sentono capiti, rispettati. Domandavo a qualche ragazzo: "Ma tu sei convinto che tuo papà e tua mamma abbiano fiducia in te?" Quindici anni fà sarebbe stato un coro "no! non hanno nessuna fiducia". Oggi il coro è diverso: tutti questi ragazzi sentono di avere una grande fiducia da parte dei loro genitori. Chi sente queste cose, si rallegra: è bello, si vede che oggi i genitori parlano di più con i loro figli, hanno più fiducia in loro.
Ma poi parlando ti accorgi che questi ragazzi hanno una gran paura del mondo che sta loro intorno e vedono la famiglia un po' come il rifugio, il luogo in cui stare tranquilli, non avere paura. Ecco allora il problema: non è che noi educhiamo questi ragazzi, proprio con il fargli la famiglia troppo accogliente, simile ad un rifugio, che poi in fondo li rende deboli di fronte al mondo, incapaci di affrontarlo, di vivere senza troppe paure: ecco quando io mi rallegro che questi ragazzi si trovano molto bene in casa, mi sorge poi il dubbio che in casa li si educhi troppo alla paura, al timore di quello che c'è fuori. Non è che gli parlate troppo della droga, dei pericoli della delinquenza, di tutto quello che c'è di male... non è che perpetuiamo, anche noi, il grande rischio che c'è in questa parabola: quando Gesù la raccontava è perché vedeva che i suoi discepoli correvano il rischio di stringersi intorno a Lui e di dire: "Signore con Te stiamo bene!" Ricordate la tenda sul monte, quando lassù sull'alto del Tabor, Pietro ha detto a Gesù: "Com'è bello! Signore facciamo le tende, fermiamoci!"
Gesù direbbe oggi: "Amico se ti fermi qua tu stai sotterrando i doni che t'ho dato." E vedete quando Gesù parla di questi talenti - v'ho detto prima che si tratta di una grande somma - Gesù parla anche del nostro incontro con Lui, del Vangelo che dovrebbe fare del cristiano uno che si proietta al di fuori. Non rischiamo forse anche oggi, forse ne ho colpa un po' anch'io, di fare della chiesa il luogo del rifugio, per cui quando il cristiano esce fuori non sente l'impegno a testimoniare, a darsi da fare perché il mondo che sta intorno diventi più vivo, più ricco.
Cos'è la religione? Un rifugiarsi in Dio, un cercare in lui la protezione? Gesù oggi ci dice che è lo stimolo per trafficare il dono che abbiamo ricevuto, anche quello che abbiamo qui. Il Vangelo che ascoltiamo, l'Eucarestia di cui ci nutriamo non può essere la consolazione dai guai del mondo, ma il nutrimento per andare ad affrontarlo senza paura, per testimoniare là che crediamo veramente in qualche cosa e che tentiamo di costruire un mondo diverso.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1990
In quest'ultima sera dell'anno della nostra preghiera, possiamo dirci (così, sottovoce tra di noi, quasi per fare un bilancio) di essere persone ben fortunate per essere qui. La nostra grande fortuna - per me, ma penso per tutti voi, se siete qui - è di aver conosciuto Gesù. Pensateci un po': sulla terra siamo circa cinque miliardi: di tutta questa gente, almeno tre miliardi, ma forse di più, Gesù non lo hanno sentito mai nominare, non sanno nemmeno chi sia, non lo conoscono. E anche degli altri due miliardi che lo hanno sentito nominare, che magari qualche volta si rivolgono a Lui nella preghiera, quanti lo conoscono veramente? Io in questi anni - ormai ne ho qualcuno dietro le spalle - mi sono sempre meravigliato di quanta poca gente conosca Gesù, lo conosca veramente, in profondità. Per qualcuno, anche che capita qui ogni tanto, Gesù è una specie di mago a cui ricorrere quando se ne ha bisogno, è Uno che dice che bisogna volersi bene, che bisogna aiutarsi. Ma Gesù, la Sua vita, i Suoi gesti, i suoi valori, la Sua tenerezza, il Suo amore, la Sua carica di liberazione, la Sua parola siamo veramente pochi a conoscerli!
Gesù - questa è stata la nostra fortuna - ha attraversato la nostra vita e ci ritroviamo qui, domenica dopo domenica, per incontrarci con Lui, ascoltare la Sua parola: spero che tutti voi vi sentiate dentro al cuore, la voglia di ringraziare il Signore.
Anche in questo anno abbiamo potuto il Natale, abbiamo visto Gesù che nasce per noi, lo abbiamo sentito accanto a noi, nella nostra vita. Abbiamo avuto la fortuna di ascoltare tante volte le Sue parole, le abbiamo sentite veramente come parole di vita, parole che ci toccavano il cuore, parole che ci davano coraggio, che ci invitavano a camminare, che ci mettevano dentro la speranza.
Abbiamo celebrato la Sua morte e gridato la Sua resurrezione, ci siamo nutriti di Lui. Abbiamo sperimentato tante volte, il Suo perdono, la Sua tenerezza, il Suo darci coraggio.
Allora come non ringraziare?
E stasera ci ha ricordato anche che siamo fratelli di tanta gente in ogni parte del mondo: che non sono fortunati soltanto quelli che, come noi, conoscono Gesù, ma chiunque fa un gesto di carità, da un bicchiere d'acqua: lo ha dato a Lui.
Questo Maestro che sparisce dietro la gente che ci vive accanto ogni giorno, che tiene conto di ogni bicchiere d'acqua, di ogni gesto di tenerezza, di ogni volta che mi sono chinato verso il vicino di casa....
Ecco, ringraziare anche il Signore per questi gesti che abbiamo fatto e sentirci fratelli di quei miliardi di persone che Gesù non lo conoscono, ma hanno nel cuore desideri di pace, sono capaci d'amore, sanno fare gesti di bene, sentire che tutti insieme andiamo incontro a Gesù, il nostro Maestro.
È Lui veramente il Signore! L'ultima parola di questo nostro mondo è la tenerezza, la bontà, l'amore di Gesù! Per questo stasera possiamo avere il cuore pieno di gioia e di gratitudine e ringraziare il Signore per la fortuna che ci è stata data, di celebrare in tutte queste sere il Signore presente in mezzo a noi.