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OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 2001-2002 - Vangelo di Matteo
INDICE
Ma l'angelo le disse: "Non temere Maria! Tu I Domenica d'AVVENTO - 2 dicembre 2001
hai trovato grazia presso Dio. Avrai un figlio, Luca 1, 27-38
lo darai alla luce e gli metterai nome Gesù".
Ascolteremo, in questo cammino d'Avvento, più volte questa pagina del Vangelo, perché quest'anno i nostri bambini, le loro catechiste e i loro genitori hanno scelto di seguire questo percorso per prepararci al Natale: metterci dalla parte di Maria. I bambini sono stati invitati a chiedere alle loro mamme, ai loro papà: "Cosa è successo quando vi siete accorti che aspettavate me, che cosa avete provato?" È un invito ai bambini a conoscere le emozioni delle loro mamme e dei loro papà, le emozioni dell'attesa.
È bello che le mamme raccontino ai loro bambini che cosa hanno provato, quando per la prima volta hanno sentito muoversi dentro di sé una vita; quali erano le attese che avevano, le emozioni che hanno vissuto in quei lunghi mesi...
Poi, nelle domeniche seguenti, ci parleranno anche delle preoccupazioni, delle paure, delle ansie che si provano quando si aspetta un bambino; ma anche del senso di responsabilità, dell'impegno che richiede. Poi, alla fine, la gioia!
Oggi provate a rivivere l'emozione dell'attesa. L'esperienza che, come mi hanno raccontato molte volte, (è un'esperienza che io non ho mai avuto) tocca profondamente la vita delle persone, quando sanno che sta per nascere una vita
Una vita che è, sì, il frutto della loro unione, del loro amore, ma viene anche da un'altra dimensione, una vita che non è "loro". Per molti è un invito ad andare oltre, a conoscere, a sperimentare, a sentire, ad emozionarsi per il mistero della vita che sono chiamati a generare; e quindi a guardare verso il futuro, ad arricchire la vita di attese, di speranze.
Molte mamme, che ho incontrato in questi lunghi anni in cui sono stato prete, mi hanno detto che proprio in quel momento hanno fatto la più forte esperienza di Dio, di ciò che è oltre la loro esperienza umana, oltre le cose di ogni giorno, oltre gli affanni della vita, oltre anche la bellezza della natura. Sentire una vita dentro di sé, è fare esperienza di un'altra, misteriosa ed insondabile, dimensione: esperienza di Dio!
E che esperienza avrà fatto allora Maria che sentiva di avere dentro di sé qualche cosa di più grande? Di più grande non soltanto della sua esperienza di donna, ma di tutta la nostra storia: Dio che veniva a condividere il nostro cammino di uomini. Come avrà atteso suo Figlio, quali emozioni avrà provato? Fino a che punto anche Lei avrà capito? Se leggiamo i Vangeli ci accorgiamo che anche per Lei non è stato semplice seguire questo Figlio. Qualche volta lo avrà guardato con occhi smarriti andarsene, inseguendo la sua libertà, i sogni del suo cuore. Chissà se, quando alla fine si è ritrovata sotto la Croce, avrà capito fino in fondo quel Figlio che aveva portato dentro di sé, che aveva atteso con tanto desiderio. Anche Lei, forse, è stata più volte sorpresa da Dio che faceva irruzione nella sua vita.
Ed è questo dunque il nostro Natale. Anche noi siamo qui per aspettare Gesù che nasce, quindi per vivere un'attesa, per lasciarci sorprendere da Dio, che vuole venire dentro la nostra vita a portare luce, a portare voglia di futuro, speranza, dentro la nostra esperienza di uomini
Questo Avvento del 2001, secondo molti di noi, ha bisogno di speranza, di attesa, di voglia di futuro; ha bisogno che noi, con la passione del nostro cuore, cerchiamo la Luce di Dio, che aspettiamo Gesù che ci ridia il senso della pace, il desiderio che la vita si moltiplichi, che non sia mortificata; che venga a portare nel nostro cuore i sogni di Dio.
Anche noi dunque, anche quelli che non hanno fatto mai l'esperienza di avere un figlio, siamo invitati a tentare di generare un figlio, a far nascere Gesù nella nostra vita, a rendere viva la sua Luce, i suoi sogni, la sua esperienza, nel nostro quotidiano; esperienza di speranza, desiderio di futuro, voglia di pace, di tutto quello che fa bella e grande la vita.
Il Signore ci aiuti a vivere l'Avvento!
Sua Madre gli disse: "Figlio mio, perché ti II Domenica d'Avvento - 9 dicembre 2001
sei comportato così con noi...? Luca 2, 41-50
Egli rispose: Perché cercarmi tanto...?
Le mamme e i papà che sono qui, ma anche tutti gli altri, hanno forse provato ad immaginare, le ansie, le paure, le preoccupazioni di Maria e di Giuseppe che giravano per tre giorni in Gerusalemme cercando il loro Figlio.
L'ansia, la paura che accompagnano spesso la nascita di un bambino, il crescere un bambino, il seguire i suoi passi... Quanta ansia nel cuore di Maria perché non riusciva a capire questo Figlio! Perché è rimasto lì? Luca - avete sentito - annota "non capirono queste parole".
Poi quando Gesù cresceva, quando cominciava a pensare di andar via da quel piccolo paese, quando voleva inseguire i suoi sogni, i suoi ideali, quando voleva andare ad affrontare il mondo: quante volte il cuore di Maria si sarà stretto! Se leggete il vangelo di Marco, sembra che un giorno i suoi parenti l'abbiano convinta ad andare a cercare il Figlio; l'avevano convinta che, forse, stava diventando matto ed era bene andarlo a riprendere, per riportarlo a casa. Cosa avrà provato nel cuore quando andava con questa gente a cercare il suo Gesù? Cosa avrà avuto nel cuore anche Gesù quando andava via? Anche Lui quante paure, quante ansie si sarà portato dentro affrontando il mondo, sentendo crescere la violenza intorno a sé.
Ecco, è bene ridirci queste cose, perché tutte le mamme e i papà che sono qui, che hanno dei figli che crescono, sappiano che non sono soli nelle loro paure, nelle loro ansie: è normale. Forse oggi è più normale di ieri, perché i figli sono soltanto uno o due; e non viviamo più nei piccoli caldi paesi di una volta, ma in un mondo che si fa sempre più complesso e difficile da capire.
Se non mi inganno nella mia esperienza, mi sembra che l'ansia, la preoccupazione, la paura dei nostri ragazzi, nell'affrontare questo grande mondo, diventa sempre più forte. Ma forse oggi potremmo anche parlare, non soltanto della paura di un figlio che cresce, ma della paura che si diffonde in questo nostro mondo: la paura che ci riguarda tutti, l'ansia per il domani, il timore per il futuro.
Essere credenti significa tentare di buttare il cuore aldilà della paura: ne saremo capaci, ci riusciremo?
È importante perché la paura fa male, sciupa il mondo. Non so se è capitato anche a voi, ma in questa settimana sono rimasto colpito dal fatto che, in mezzo a noi, delle persone - anche qualcuno che conosco, cui voglio bene - hanno perso il lavoro, perché la gente ha paura di volare. Se andate stamattina sul raccordo anulare lo trovate pieno di macchine: c'è gente che fa chilometri senza preoccuparsi, magari corre troppo, senza saggezza: ma volare no! E c'è chi perde il lavoro, per questo! Perché? Perché ci facciamo impaurire? Perché ci facciamo mettere ansia nel cuore? Perché non ci difendiamo dai giornali, dalla televisione, dalla radio: dal modo con cui ci propongono le notizie? Perché la gente ha paura di volare?
Posso darvi un consiglio per Natale - forse un'opera buona, quello che una volta si chiamava "fioretto" - tutti quelli che possono facciano un viaggio in aereo per questo Natale, il più lontano possibile! Ne hanno bisogno i nostri figli, la gente che ci cresce accanto. La paura sciupa il mondo e nessuno dica: che centra questo con la fede? L'intuizione, di cui siamo figli, l'intuizione della nostra fede è che Dio vuole portarci aldilà di ogni schiavitù, aldilà di ogni paura. Il popolo d'Israele ha riconosciuto Dio quando lo chiamava fuori dalla terra d'Egitto, fuori dalla schiavitù ad affrontare il deserto, ad affrontare la conquista di una terra, la costruzione di un mondo nuovo.
Essere credenti significa tentare di buttare il cuore aldilà della paura, aldilà delle ansie, delle preoccupazioni; significa tentare di coltivare la speranza, il coraggio del futuro. Non è semplice, lo so, siamo compagni di strada di Maria, di Giuseppe, di Gesù e di tutti i credenti della storia.
Non si può andare in farmacia e chiedere una pillola contro la paura. Il coraggio di andare aldilà della paura, ciascuno di noi lo può trovare nel proprio cuore, nell'invocazione dello Spirito, nella propria fede. La paura c'è, fa parte della nostra vita, qualche volta qualcuno ce la vuole mettere dentro e non è semplice, a volte, superarla, ma essere credenti proprio questo significa. Essere credenti non significa moltiplicare le preghiere, i digiuni, i sacrifici come qualche volta ci hanno detto. Essere credenti significa conservare nel cuore il coraggio della speranza, la voglia del futuro, il tentativo di costruire il mondo, anche quando non è semplice.
Il Signore ci aiuti.
"Eccomi, sono la serva del Signore, Immacolata Concezione di Maria - 8 dicembre 2001
avvenga di me quello che hai detto" Luca 1, 26-38
Abbiamo ascoltato ancora una volta l'antico racconto del libro della Genesi: non è una storia, ma un simbolo: simbolo delle tentazioni dell'uomo, del mondo che si sciupa, simbolo di quello che, in fondo, siamo anche noi. Sono passati centinaia di migliaia di anni, eppure siamo anche noi tentati di metterci al centro del mondo, di fare in modo che gli altri siano al nostro servizio. Anche noi, come Adamo ed Eva, tentiamo di diventare come Dio. Non ci accontentiamo di essere fratelli; e la vita si complica, ci si mette gli uni contro gli altri. E, come avete ascoltato, si moltiplicano le parole, ognuno accusa l'altro, ognuno racconta storie, cercando di difendersi, di scaricare la colpa; e si diffondono la sfiducia e la paura, gli uomini si ritrovano, soli, nudi, impauriti, lontani da Dio e nemici tra loro.
Il racconto di Maria è diverso. Lei non ha tante parole da dire: quando si rende conto che è chiamata ad un compito, dice soltanto: "Eccomi". Si fida di Dio, si affida a Lui, si mette a disposizione, assume il proprio compito. Qualche volta, quando ci guardiamo in giro per il mondo, sogniamo che tutti siano capaci di farlo sulla terra.
Ma, senza guardare lontano, forse sarebbe bene che ciascuno di noi si chiedesse: "Fino a che punto anch'io sono capace di fidarmi di Dio, dei suoi valori? Fino a che punto, nella realtà in cui mi è dato di vivere, posso dire anch'io, come Maria: eccomi?".
Forse in un mondo come il nostro, in cui si moltiplicano le parole - ne sentiamo tante, ne leggiamo sui giornali, ne ascoltiamo alla radio, alla televisione - occorre, che ciascuno di noi, con semplicità, ritrovi il coraggio di dire: "Eccomi", tentando di dare una mano, tentando di fare quello che si può, perché nel mondo siano vivi i valori di Gesù. È importante che ciascuno di noi, con fiducia, con speranza, con coraggio, faccia quello che serve ogni giorno, ciascuno di noi al proprio posto, nel concreto della vita di ogni giorno, mettendoci al servizio gli uni degli altri.
Se seguitate a leggere il Vangelo, vedrete che Maria, del grande annunzio dell'Angelo, sembra capire soltanto che Sua cugina aspetta un figlio: prepara le sue cose e va. Si mette a disposizione. Il suo "Eccomi" continua, continua nei gesti di ogni giorno.
È quello che potremmo fare anche noi, tentando di fidarci di Dio, di mettere il nostro cuore, le nostre forze al servizio della vita, perché Gesù, i suoi valori, i suoi ideali, i suoi sogni nascano nella nostra vita, in questo nostro mondo, ancora povero come ai tempi di Adamo e di Eva.
Il Signore ci aiuti.
In quei giorni Maria si mise in viaggio e III Domenica d'Avvento - 16 dicembre 2001
raggiunse in fretta un villaggio che si trovava Luca 1, 39 - 45
nella parte montagnosa della Giudea.
Le semplici riflessioni di una mamma, che abbiamo appena ascoltato, forse hanno riportato alla mente, di più di uno di voi, le tante cose che avete dovuto preparare quando sono nati i vostri bimbi. Le mamme e i papà si preoccupano di tutto quello che può servire per la nascita del bambino: il lettino, la carrozzina, il passeggino… cercano di compare tutto, anche con un pizzico di gusto nella ricerca di cose belle, non contentandosi della prima cosa che capita, ma a volte - come sapete - seguendo anche le mode che passano e che portano a prendere cose inutili.
Se una coppia è saggia, non si preoccupa soltanto delle cose materiali, ma comincerà a parlare, a riflettere, a tentare di capire, a immaginare cosa possa giovare ad un bambino che cresce. Come ci si prepara ad accoglierlo? Di quale rispetto ha bisogno di essere circondato? Quali valori sarà importante comunicargli?
E l'impegno che sentono - questo l'ho sentito ripetere tante volte - è un impegno totale, assoluto, che prende fino in fondo. È forse la sola cosa che i giovani d'oggi sentono come irrevocabile. Spesso non sentono come irrevocabile la scelta di sposarsi: sanno che ci si può separare, si può andare ognuno per la propria strada, ma mettere al mondo un figlio no, è un'altra cosa. Sai che è per sempre, sai che esige una dedizione totale. E quindi si tratta di prepararsi, di essere attenti a tutto quello che può giovare a questo bambino, a questa vita che nasce e che crescerà accanto a noi. Poi - lo sapete - spesso la vita è un'altra cosa… è fatta di sorprese. Non è capitato soltanto a Maria e Giuseppe di veder crescere il bambino diversamente da come se lo aspettavano…
Ma perché dirci tutte queste cose nell'attesa del Natale? Noi non aspettiamo un bambino, noi aspettiamo Gesù! E Gesù ci chiama ad uscire dalla nostra casa, dall'attesa di un figlio, dal guardare negli occhi il nostro bambino che cresce, forse un nipotino… il mondo, la gente, gli altri, le persone che incontriamo: sono nostri fratelli... Forse questo ci ricorda il Vangelo di oggi.
Maria ha ricevuto dall'Angelo l'annunzio che sta per avere un Figlio, che viene dall'alto. Noi le diremmo: "Preparati, Maria!" Lei cosa fa: prende le sue cose e va. Va perché l'angelo le ha detto anche che Elisabetta è anziana, è arrivata al sesto mese e forse può avere bisogno di lei.
Di cosa ha bisogno il mondo accanto a noi? Cosa possiamo fare perché il Natale sia più bello, più vivo, più vero? Cosa possiamo fare perché i valori di Gesù nascano in mezzo a noi? Qual è l'impegno che ci viene richiesto nel mondo in cui viviamo? È possibile questo impegno? Il mondo non è forse troppo grande per noi? Non siamo tentati oggi, forse più che ieri, di sentirci scoraggiati, spaesati, disillusi e quindi di non fare più nemmeno quello che possiamo, concretamente, intorno a noi, nella nostra casa, nel posto dove lavoriamo, con gli amici? La capacità - se volete - semplice, piccola, di portare un sorriso, di dare speranza, di fare una carezza, di dire una parola che porti pace, di mettere un po' del nostro tempo, delle nostre possibilità al servizio di chi ci sta accanto. È possibile guardarci intorno con la voglia di capire, con l'impegno di dare una mano dove si può? Forse è bene che i giovani lo facciano studiando, tentando di capire i problemi del mondo, senza contentarsi delle facili spiegazioni: l'impegno non può essere mai superficiale. Poi è bene che anche loro non dimentichino le persone che hanno accanto. Ho conosciuto ragazzi molto impegnati fuori di casa, che non erano capaci di accorgersi della stanchezza della loro mamma.
Un figlio che nasce impegna totalmente il papà e la mamma. Perché il mondo ci impegna meno? Perché il Natale che viene non ci sprona a fare quello che possiamo per la vita intorno a noi? È vero il mondo è grande, è troppo complicato, forse però, qualcuno di noi può fare uno sforzo per tentare di capire almeno qualcosa, per tentare di dare una mano, forse anche noi possiamo fare qualche cosa di semplice, di concreto, di pratico perché il Natale, almeno per qualcuno che ci sta accanto, sia un po' più bello.
Aspettare Gesù richiede, almeno un po', il nostro impegno: a volte non è semplice.
Il Signore ci aiuti.
Ecco, la vergine sarà incinta, partorirà un figlio IV Domenica d'Avvento - 23 dicembre 2001
ed Egli sarà chiamato EMMANUELE. Matteo 1, 18-24:
Questo nome significa: "Dio è con noi".
Non so se anche a molti di voi è stata utile, nella preparazione al Natale, la strada che ci hanno proposta quest'anno: quella di metterci dalla parte di Maria.
Ci hanno invitato a rivivere le emozioni dell'attesa di un bambino e le ansie, le preoccupazioni le paure che spesso accompagnano l'aspettare un bambino. Poi abbiamo ricordato tutto l'impegno che ha richiesto e richiede un figlio.
Tutto questo forse ci ha aiutato a pensare alle tante attese e speranze degli uomini in questo Natale, all'inizio del terzo millennio: l'attesa di qualche cosa di nuovo, di una luce nuova. Forse il pensare alla ansie, alle preoccupazioni che avete provato quando aspettavate un bambino vi ha fatto tornare alla mente le tante ansie, le preoccupazioni, le paure che attraversano il mondo in questi tempi che ci è dato di vivere. Non so se anche voi avete sentito il bisogno di un impegno maggiore, per non lasciarci prendere dalle paure, dalle ansie e tentare di mettere le nostre possibilità - anche se piccole - al servizio della vita: l'impegno perché intorno a noi ci sia qualcosa di più dolce, di più tenero, di più vivo, di più bello.
Ma oggi siamo invitati - ci invita anche il Vangelo che abbiamo letto - a pensare soprattutto alla gioia che ha procurato nella vostra vita la nascita di un bambino.
A me non è mai successo di stringere tra le mani un mio figlio, ma tante mamme e tanti papà, mi hanno raccontato che hanno provato la gioia più grande della loro vita proprio quando, per la prima volta, hanno stretto tra le mani il loro bambino. Allora l'affanno dell'attesa, le preoccupazioni, anche il dolore del parto: tutto spariva per la gioia straordinaria di una vita nuova.
E allora lasciamo da parte tutte le riflessioni che questo Avvento ha portato nella nostra vita - riflessioni pure importanti - lasciamo tutto un momento da parte, per fare spazio alla gioia. Che il Natale che viene arricchisca di gioia la nostra vita, la nostra esperienza di credenti! La gioia perché Dio viene ancora a condividere il nostro cammino di uomini. Viene in mezzo a noi - piccolo indifeso bambino, come ci ricordava la riflessione della mamma - per arricchire la nostra vita dei suoi sogni, delle sue speranze, delle certezze che si portava nel cuore.
Voi lo sapete, un bambino che nasce spesso è diverso da come se lo aspettano i genitori, la gioia non toglie la sorpresa, una sorpresa che qualche volta cresce quando il bambino diventa più grande. E quindi, è bene che anche per noi, dilatiamo gli spazi del nostro cuore, che ci prepariamo e alla sorpresa, ad accogliere Gesù così come viene nella nostra vita. Chissà cosa ci chiederà nell'anno che viene? Chissà cosa porterà nella nostra vita? Ma siamo certi che Dio viene a condividere il nostro cammino di uomini, viene a condividere con noi il progetto di un mondo più giusto, viene a condividere con noi i suoi sogni, le sue speranze: viene a portare un po' di luce nel nostro cuore.
"EMMANUELE, DIO CON NOI": la certezza di Dio nella nostra vita: è questa la radice della gioia di Natale!
Invochiamo dunque lo Spirito che ci faccia capaci di gioia, che ci faccia sentire la presenza di Dio, che ci faccia sentire Dio con noi: non il Dio del prodigio, non il Dio del miracolo, non il Dio che ci risolve i problemi, ma il Dio che cammina con noi, che ci cammina davanti, che ci chiama a condividere con LUI la vita, a condividere i suoi sogni, la sua luce perché il mondo sia più bello.
Ecco, il Natale porti nel cuore di tutti noi la gioia.
Ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto NATALE 2001
il popolo: oggi vi è nato, nella città di Davide, Luca 2, 1-14
un Salvatore, che è il Cristo Signore.
Un Natale strano ci è dato da vivere quest'anno: una parola forse può esprimere le sensazioni di molti di noi: "fragilità". Ci ritroviamo a vivere in un mondo fragile e vulnerabile, ci scopriamo impauriti, indifesi, tentati di rinchiuderci nelle nostre case, di difendere il poco che abbiamo. Non spendiamo più, non voliamo più: si perdono posti di lavoro! La paura ci piglia, perché? Forse è bene che ce lo domandiamo tutti, forse è bene che se lo domandi anche chi ha i capelli bianchi.
Molti di noi hanno vissuto il Natale del '44 del '45 nel secolo passato: il nostro paese era distrutto, eppure c'era intorno a noi voglia di lottare, di ricominciare, di ricostruire, di darsi da fare.
E se volete andare più lontano, pensate al tempo di Gesù: che mondo! Quanta violenza!
Sono andato la settimana scorsa al Colosseo - vi consiglio di farlo - potete girare tutto il secondo anello e immaginare… settantamila persone che urlavano perché là in mezzo, nell'arena, c'era gente che si sgozzava, che si uccideva senza pietà. Questo era il mondo! Eppure in quel mondo i primi cristiani avevano il coraggio della speranza, di cercare la luce, di guardare al futuro. Perché noi abbiamo paura? Perché ci siamo lasciati impaurire? Ne vanno di mezzo i nostri ragazzi, il futuro dei nostri figli! Si perdono posti di lavoro, se la gente non vola più, se la gente non spende più.
Se il nostro mondo è diventato fragile, vulnerabile, dipende da noi. Ma c'è di peggio: rischiamo di essere tentati, proprio perché impauriti, di cercare l'uomo forte, quello che ha sempre ragione, che pensa per tutti. Siamo tentati di risolvere i problemi con la forza, la violenza.
E anche nella chiesa siamo tentati di ricorrere ai miti, ai santoni, a quelli che fanno prodigi. Non è questa la strada di Dio! È qui la strada di Dio: un Bambino indifeso, non fa prodigi, non fa miracoli, non ha visioni, non caccia diavoli: viene solo a condividere la nostra vita!
GESÙ BAMBINO! È li che si manifesta Dio in mezzo a noi. Un bambino indifeso che ci tende la mano, che ci invita al coraggio, che ci grida di non aver paura, che ci porta la luce, senza miracoli, senza prodigi: non ci sono scorciatoie nella vita.
È un Natale difficile quello che viviamo, ma dobbiamo scegliere la strada di Dio, l'unica strada, non ce n'è un'altra: Dio non è venuto a cambiare il mondo con la bacchetta magica, non è venuto risolvere i problemi della nostra vita: è venuto a condividerla. Un Bambino, guardatelo, solo un bambino, ci tende le mani, ci grida la sua voglia di vivere, la sua speranza, non lo dimenticate!
Celebrare il Natale è celebrare la nascita di un bambino. E come si può celebrare la nascita di un bambino se non c'è speranza? Se non c'è voglia di futuro? Se non c'è coraggio? Se non c'è voglia di capire, di conoscere? Chi difende un bambino che nasce, se non c'è passione per la vita, se non abbiamo passione per il futuro, il coraggio di buttare il cuore al di là della paura?
È vero, viviamo in un mondo che scopriamo fragile ed indifeso, ma è affidato al nostro coraggio, alla nostra passione per la vita.
Per questo Dio è venuto a condividere questa vita. Come un bambino che ha bisogno di noi, del nostro coraggio.
Un BAMBINO, GESÙ, Gesù che viene a nascere per noi. Sgranate i vostri occhi, invocate lo Spirito, gridate perché dilati gli spazi del nostro cuore, perché non ci faccia cedere alle tentazioni! Alle tentazioni della forza, della violenza, alle tentazioni di aggrapparsi al prodigio, al miracolo, alle tentazioni della paura.
E vorrei che portaste nel cuore l'ultimo segno che i bambini ci hanno lasciato per questo Natale. Guardate, è una copertina. Il bambino che l'ha portata diceva: "Forse ha bisogno di un po' di calore, di un po' di tenerezza ".
Tutti abbiamo bisogno di un po' di tenerezza, di un po' di calore, il mondo ha bisogno di calore e di tenerezza! Possiamo allora tenerci per mano, per tentare di credere ancora nella vita, per guardare ancora Dio che si fa bambino per noi, che viene a camminare con noi: ricco non di prodigi, non di forza, ma di passione per la vita. Ci viene a tendere le sue mani.
Viviamo in un mondo fragile e indifeso, ma cos'è più fragile e indifeso di un bambino? Eppure Dio è cosi! Un fragile e indifeso bambino, piccolo e vulnerabile, che però viene a condividere la nostra avventura sulla terra.
Il Signore ci aiuti a vivere anche questo Natale con il coraggio del cuore, con la passione per la vita; ma soprattutto ci faccia sentire che Lui cammina con noi, per le strade polverose del nostro mondo.
Giuseppe prese con sé il bambino e sua madre... Santa Famiglia - 30 dicembre 2001
e si ritirò nelle regioni della Galilea, a Nazareth. Matteo 2, 13-15; 19-23
In questi giorni rischiate di fare indigestione di prediche: più pericolosa di quella da dolci, da cui penso vi guardiate, ed allora qualche cosa di semplice e leggero. Vi giro qualche domanda che ci facevamo l'altro giorno, passeggiando con un gruppetto di amici sui sentieri dell'Argentario: un posto splendido che spero più d'uno di voi conosca.
Secondo voi: "Se Maria e Giuseppe avessero avuto il bambino qui, nelle nostre case, avrebbero avuto diritto al "sussidio"? Qualcuno di noi sosteneva che non avevano diritto perché, in fondo, Gesù è nato fuori della famiglia. Qualcuno diceva che, però, l'aveva legittimato Giuseppe e quindi, forse, poteva avere diritto. Certamente, se invece che in Egitto fossero venuti qui esuli e stranieri, non avrebbe avuto alcun diritto. E la conclusione era unanime: "Ma quando la finiamo, noi cattolici, di ragionare per principi astratti, per concetti che non rispondono alla vita concreta delle persone"
Quando ero un giovane prete, bisognava scrivere sul registro se un figlio era legittimo o illegittimo. Ma non sono tutti figli? Non sono tutti bambini? Sembra un tempo lontano, ma si ripropongono distinzioni: quale famiglia è pienamente legittima, quale risponde pienamente alla "natura" della famiglia? Certamente, se i due sono regolarmente sposati in chiesa, anche se tra di loro magari manca il rispetto e c'è violenza. Ma se sono sposati solo in comune si può ancora parlare di famiglia? Un tempo erano definiti "pubblici concubini"! E se poi sono solo una coppia di fatto? Non parliamo poi se - orribile a dirsi - si tratta di una coppia formata da due maschi o da due femmine, che vogliono condividere la vita ed essere responsabili l'uno dell'altro. Questo sarebbe del tutto contro natura… e torna la domanda: "Ma quando la finiamo? Ma quando cominceremo a guardare negli occhi la gente?" Non abbiamo imparato niente dalla storia! Un tempo si diceva che la natura dei neri era quella di essere schiavi, perché non erano della stessa natura dei bianchi. Si parlava della superiorità dei maschi sulle femmine, per cui bisognerà forse aspettare ancora un migliaio di anni per vedere una donna celebrare la Messa. Qualcuno di voi ha tribolato nella propria vita matrimoniale, perché c'erano dei metodi "naturali" e dei metodi "non naturali": e di queste cose c'è gente che non ride, che le piglia ancora sul serio. Siamo all'inizio del terzo millennio, quando la finiamo?
Noi siamo discepoli di un Maestro che ha detto che "non è l'uomo fatto per il sabato, ma il sabato fatto per l'uomo". Le regole, le teorie, le astrazioni o sono al servizio dell'uomo, della gente o non servono; e al servizio della gente concreta, soprattutto della gente più povera. Perché dobbiamo dare spettacolo davanti al mondo Perché noi cattolici continuiamo a chiederci - anche quando si deve dare un sussidio a un bambino in difficoltà - se è figlio di una coppia regolare, naturale o non naturale? È figlio e basta! Ha bisogno e basta! Quando la finiamo? E non ci consoli il fatto che nel mondo c'è di peggio: c'è una mamma che rischia di essere lapidata perché ha avuto il figlio fuori del matrimonio.
Non sarebbe ora di cambiare? Sono domande che rivolgo anche a voi. Noi ce la facevamo di fronte a un mare splendido, in una giornata straordinaria, forse anche questo aiuta qualche volta a pensare e a dirci : "Sarebbe ora che cominciassimo a guardare le persone negli occhi, a tentare di portare intorno a noi un po' di saggezza, un po' di tenerezza, un po' d'amore per la vita e per la gente, senza porci problemi di ideologie, di principi astratti, di regole. La gente concreta… gli occhi di chi ha bisogno, gli occhi di un bambino, i bisogni di un bambino: e questo basta!
Bastava per Gesù, perché non basta per noi?
Il Signore ci aiuti.
RINGRAZIAMENTO PER L'ANNO 2001 31 dicembre 2001
Siamo qui in quest'ultima sera dell'anno per tentare di ringraziare il Signore. Con ogni probabilità c'è in mezzo a voi qualcuno che pensa: "Ma io cos'ho da ringraziare per quest'anno che è passato? Vorrei dimenticarlo in fretta!" Chi pensa così forse può consolarsi - ma è una magrissima consolazione - con i proverbi popolari, a Napoli si dice: " Storta va, deritta vene, sempre storta non po' ì". Non è una grande consolazione, ma se qualcuno di voi pensa di non aver nulla per cui ringraziare, la predica per voi finisce qui, chiudete le orecchie perché io debbo andare avanti.
Debbo tentare di trovare qualche motivo per ringraziare il Signore, e bisogna fare un piccolo sforzo. In questi giorni mi è capitato di leggere - da lontano, perché da vicino è pericoloso - qualche titolo di giornale che parla di "anno terribile, anno orribile". Quando si leggono queste cose occorre riandare indietro nel tempo, ritornare alle cose più essenziali, diventare come uomini primitivi, quelli che cominciavano a uscire dal mondo degli scimmioni... Quella gente ogni sera aveva paura che il sole, che tramontava dietro i monti o nel mare, la mattina dopo non risorgesse. E quando al mattino si svegliavano e vedevano il sole, con gli occhi pieni di stupore, pensavano che la vita fosse un prodigio. Così gli uomini un po' più evoluti, vedevano che d'inverno il sole si abbassava sempre di più verso l'orizzonte, ma sapevano che poi, pian piano, ricominciava a salire e allora hanno inventato la festa del "Sole invitto". I cristiani l'hanno trasformata nel Natale, ma penso che quasi tutti sappiate che la festa del Natale è la cristianizzazione dell'antica festa del "Sole invitto".
Posso assicurarvi che quest'anno, ogni mattina, il sole è sorto regolarmente! Posso assicurarvi che il sole non è sprofondato nel mare, ma ha ricominciato a salire nel cielo. Il pomeriggio si è allungato già di dieci minuti e continuerà regolarmente ad allungarsi: è un motivo per ringraziare, per celebrare la vita.
Per trecentosessantacinque giorni il sole è sorto! Ha illuminato il mondo e qualcuno di noi ha potuto guardare il mondo con occhi stupefatti, ammirando la bellezza della natura.
Ma c'è di più: in quest'anno, qui in mezzo a noi, dei bambini sono nati, qualcuno sta crescendo nella pancia di qualcuna delle nostre mamme. Saremo anche nell'anno nuovo allietati da figli, qualcuno desiderato con un amore totale. I nostri ragazzi anche quest'anno sono andati a scuola, hanno studiato, qualcuno con un po' di fatica, qualcuno con passione, qualcuno addirittura è andato in giro per il mondo, a onorare il nome dell'Italia in paesi stranieri. C'è gente che ha lavorato, c'è gente che ha guadagnato abbastanza bene.
Qui nella nostra parrocchia, le nostre catechiste e i catechisti hanno continuato a tentare di annunziare Gesù con passione, con sincerità, gratuitamente. C'è gente in mezzo a noi che ha tentato di far del bene, andando all'ospedale o ad aiutare dei bambini in difficoltà a studiare. Nelle nostre case, in molte case, c'è stata tenerezza, attenzione dell'uno verso l'altro: non vi basta per ringraziare? La vita vicino a noi è stata ricca di cose belle, di tenerezza, di affetto, di amore. La natura ha continuato a risplendere intorno a noi. Per tutto questo la maggior parte di noi può continuare a dire: "GRAZIE". L'anno della nostra vita, per molti di noi, non è stato affatto orribile, ma ricco di luce, di tenerezza, di bellezza.
Qualcuna delle persone a cui abbiamo voluto bene, in quest'anno, se n'è andata, ma noi siamo convinti cha non è andata verso il nulla, ma ha incontrato l'abbraccio del Padre. Li ricordiamo qui con tenerezza e amore, li sentiamo ancora presenti nel nostro cammino.
Abbiamo tanti motivi per ringraziare, se volete ce n'è anche uno in più: uscendo trovate già sulla porta il bilancio della parrocchia, i mezzi moderni consentono di fare queste cose in tempo reale, basta spingere un bottone! Vedrete che è largamente positivo, per la vostra generosità, perché qui c'è tanta gente che presta la sua opera gratuitamente e permette di risparmiare. Sembrerebbe che tutto vada nel modo migliore… sapete che non è così! Ma di motivi per ringraziare ne abbiamo veramente tanti e speriamo che nell'anno prossimo ne troveremo ancora e forse qualcuno di più.
Il Signore ci aiuti!
Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo EPIFANIA DEL SIGNORE - 6 gennaio 2002
sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò Matteo 2, 1-12
sopra il luogo dove si trovava il bambino.
Noi siamo tutti abituati ai racconti di Natale, li abbiamo ascoltati più volte, li abbiamo anche visti rappresentati nei piccoli presepi che ci sono ancora in molte case. Quando però qualcuno comincia seriamente a leggere il Vangelo, rimane colpito dal fatto che i racconti dei due evangelisti Luca e Matteo - gli unici che parlano della nascita e dell'infanzia di Gesù - sono profondamente diversi. Sembra che raccontino due storie, l'una lontana dall'altra. In una si parla della grotta di Betlemme, dei pastori, degli angeli che cantano il "Gloria", là non c'è nessuna stella, non c'è Erode, non ci sono i Magi. In quello che abbiamo ascoltato oggi - il racconto di Matteo - ci sono i Magi, c'è Erode, ci sono i sapienti e la gente… Perché due racconti così diversi? Vedete, coloro che hanno scritto il Vangelo hanno poco interesse a raccontarci dei fatti; il loro interesse è darci il senso degli avvenimenti. Cosa significa quello che è accaduto per la loro - e quindi per la nostra - esperienza di credenti? Succede in tutti i racconti dei vangeli, ma soprattutto in questi due primi capitoli, sia del vangelo di Luca, sia del vangelo di Matteo, che sono stati scritti alla fine e in cui si vuole fare un po' il riassunto e si vuole dare il senso, il significato profondo di quello che, non soltanto la nascita, ma tutta la storia di Gesù, significa nella vita del credente. Non chiedetevi dunque: "Chi saranno stati mai i Magi, questi strani personaggi che sembrano venire da lontano?" I Magi siamo noi! Sono io, siete voi! Così come erano "Magi" i cristiani del tempo di Matteo.
Loro, quando scrivevano queste cose, erano ben convinti che essere dei credenti, significa essere come i "Magi", persone che vanno cercando la Luce, che seguono una stella, che inseguono dei sogni, dei valori, degli ideali e camminano senza stancarsi. Io, voi, tutti i credenti della terra, se vogliamo essere dei veri credenti, dobbiamo essere dei cercatori di Luce, degli inseguitori di ideali, di valori, dobbiamo tentare di camminare cercando, senza stancarci, nonostante le difficoltà, le cose esenziali della vita.
E avete ascoltato come Matteo ci ricorda - sono le stesse per la sua gente e per noi - le difficoltà che ci sono in questo cammino. Ne ha individuate tre: Erode, la violenza, il potere, i sotterfugi, le cose fatte di nascosto. Le ritroviamo anche noi, le ritrova ogni giusto in ogni angolo della terra.
L'altro ostacolo che incontrano nel cammino sono i sapienti, i maestri, coloro che sanno tutto: ce ne sono anche oggi, abbondano anche nella santa chiesa di Dio, quelli che hanno sempre una risposta pronta, sembrano sapere tutto di tutto, ma non si muovono, non cercano più.
L'antico profeta diceva: "Alzati Gerusalemme, rivestiti di Luce e cammina". Nessuno si alza, nessuno si muove, non cercano più. Ripetono antiche parole, che non hanno più calore, non hanno più la passione per la vita: ne incontriamo tanti. Troppo spesso ci capita di ascoltare, anche in televisione o alla radio, discorsi religiosi che ci ripropongono antiche parole, ma in cui manca la tensione verso la Luce, la voglia di cercare ancora.
C'è un terzo ostacolo grosso, per loro come per noi: la "folla". Si agita, fa rumore, brontola, protesta, ma anche lì nessuno cammina. È difficile continuare a camminare, a cercare, ad inseguire la Luce quando ti trovi davanti la forza del potere, del denaro; quando non c'è passione per la Luce, quando non c'è ricerca della giustizia, quando hai a che fare con quelli che sanno tutto e quando sei circondato da gente che sa solo brontolare, ma che se cerchi di muoverti e di fare qualcosa ti dice: "Ma chi te lo fa fare? Inseguire i sogni, cercare le stelle, queste non son cose per la gente seria: la gente seria si occupa di altre cose".
Ma - se ho letto bene questa pagina ed ho capito qualcosa - non sono nemmeno questi i più grandi ostacoli che i Magi incontrano sul loro cammino: ce ne sono altri due che trovano dentro di sé - non so se anche a voi è capitato di provarli -: a volte la Luce sembra sparire, cammini e ti sembra di trovarti nel buio, ti sembra di non capire più dove vai, che cosa cerchi, che cosa vuoi: il buio… la stella non c'è più, è scomparsa. Scomparsa forse perché ti sei scontrato con le difficoltà del vivere.
Ma c'è ancora un'altra difficoltà e forse la più grossa: "Hanno visto là nell'Oriente - dice Matteo - il segno del Re dei Giudei, il segno del Salvatore". Arrivano e trovano un Bambino. " UN BAMBINO!" Noi siamo venuti a cercare un re… un Bambino! Il credente si ferma davanti a quel Bambino e scopre lì il segno di Dio. È forse l'ostacolo più grande nel nostro cammino di credenti perché noi vorremmo, qualche volta, incontrare il Dio potente, il Dio che fa prodigi, il Dio che ci libera dalla violenza, dal male di questo mondo, che spazza via tutti quelli che parlano, parlano e non cercano nulla.
Ecco cosa ci comunica Matteo in questa pagina: non cercate nel cielo una stella; non ci sono stelle che si fermano, appaiono, scompaiono. Non chiedetevi chi sono i Magi: noi siamo i Magi! Io, voi! E se in quest'anno che ci sta davanti vogliamo continuare ad essere dei veri credenti, dobbiamo ancora tentare di camminare inseguendo la Luce, cercando Gesù, i suoi sogni, i suoi valori. Ecco, è il ricordo che vorrei rimanesse nel mio cuore e che mi auguro rimanga nel vostro cuore di queste feste: il ricordo dei Magi che inseguono la Luce, della "grandissima gioia" che provano nel rivedere la stella, la voglia di continuare a cercare Gesù senza stancarsi: non è semplice, lo so.
Il Signore ci aiuti.
Giovanni disse: "Io ho bisogno di essere BATTESIMO DEL SIGNORE - 13 gennaio 2002
battezzato da te e tu vieni da me?" Matteo 3, 13-17
Appena battezzato Gesù uscì dall'acqua
Ed una voce dal cielo disse: "Questi è il
Figlio mio prediletto, nel quale mi sono
compiaciuto".
Non credo sia una cosa grave, soltanto un segno del tempo che passa, del fatto che anch'io comincio a diventare vecchio: succede che, pian piano, mi sembra che alcuni pezzi delle tante cose che ho letto, ho studiato, ho conosciuto, si vadano perdendo e invece alcune parole, alcune immagini diventano sempre più forti nella mia esperienza di credente. E a queste immagini ricorro nel momento in cui mi è un po' più difficile credere, capire qualche cosa di quello che mi succede intorno.
Una di queste immagini che rimangono nel mio cuore - forse una delle più forti - è proprio quella che ci propone il Vangelo di oggi.
Vorrei tentare di comunicarvi questa immagine e anche l'importanza che ha nella mia fede, nel mio tentativo di credere. Prima di tutto uno sforzo di fantasia per vedere, anche con i vostri occhi, questa immagine che è importante in tutti i Vangeli. Dunque: andate con gli occhi della fantasia là sulle rive del Giordano dove Giovanni sta compiendo un rito che invita la gente a rinnovarsi, a immergersi nell'acqua quasi per rinascere, per una vita che sia nuova, diversa, più ricca. E immaginate una lunga fila di gente, gente che ha fame e sete di giustizia, gente che non è contenta di quello che è, di come vive, che vorrebbe qualche cosa di meglio. Gente che sente il bisogno dì rinnovarsi, di camminare, di cambiare, di cercare ancora. Guardate intorno! Ci sono là, probabilmente, dei soldati venuti forse a sorvegliare che non ci siano disordini: a quel tempo in Palestina c'era una gran paura di disordini. Ci sono i maestri della Legge, anche loro venuti a guardare con sospetto - come tante volte accade nel Vangelo - e a giudicare. Giovanni sta facendo qualcosa che è contro la tradizione, non sono le solite cerimonie del Tempio, è qualche cosa di nuovo e quindi di sospetto. E là intorno ci sono anche i "giusti" del tempo - ne incontreremo tanti leggendo il Vangelo - quelli che si sentono a posto e sanno solo puntare il dito e giudicare. Guardate, dunque, questa scena: una fila di gente che cammina, silenziosa, magari col capo chino, e intorno quelli che giudicano, quelli che condannano, quelli che sono lì solo per guardare. Ad un certo punto arriva Uno, nessuno lo conosce ancora. Guardate un momento il suo volto, scuro, bruciato dal sole, ha sempre lavorato all'aperto. Guardate le sue mani, mani callose di falegname, ha lavorato per quasi trent'anni aggiustando carri, mettendo a posto qualche ruota, costruendo una sedia, aggiustando un tavolo, riparando un aratro. Guardate i suoi piedi, piedi polverosi: è venuto da lontano, ha lasciato il suo paese, ha camminato a lungo per venire qui. E adesso silenziosamente si mette in fila con questa gente che va verso Giovanni: avete ascoltato le parole che gli Evangelisti gli mettono in bocca: là non c'erano i registratori come succede oggi e quindi tutto è ricostruito. È il tentativo di dare importanza a questa scena: gli Evangelisti fanno dire a Giovanni: "Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?". E Gesù: " Lascia fare per ora", e continua a camminare e si immerge nell'acqua.
In questo episodio i primi cristiani hanno visto la manifestazione di Dio: arriva la voce dall'alto: "Questi è il Figlio mio prediletto". Ecco, là in questo camminare, insieme a questa gente dal cuore pesante, sotto gli occhi di chi guarda solo per giudicare, là si manifesta Dio. Questa immagine di Dio che cammina con l'uomo, con l'uomo dal cuore pesante, con l'uomo che ha fame e sete di giustizia, con l'uomo che cerca, è diventata preziosa nella mia vita: ogni tanto ci debbo ricorrere.
Anche nei giorni passati mi è capitato di leggere qualche libro: la storia, la storia dei cristiani. Qualcuno "in nome di Dio " ha pensato di fare una "crociata". Qualcun altro è andato a conquistare le "Americhe" innalzando il Crocefisso. Qualcun altro ha accumulato denari: si è venduto di tutto nella lunga storia della Chiesa: il papato, le diocesi, le parrocchie, le indulgenze; si vendevano bolle per il perdono dei peccati… di tutto per arricchirsi! In nome di Dio hanno scomunicato, hanno bruciato. In nome di Dio qualcuno ha giudicato e ancora giudica. In nome di Dio qualcuno - anche magari in mezzo a voi - si sente escluso dalla Comunione. In nome di Dio!
Ed io, quando leggo queste cose, mi dico: in fondo è la storia dell'umanità o meglio di una parte di umanità, di quella parte che anch'io mi sento dentro. La voglia che ho anch'io alle volte di giudicare, di condannare, di non condividere, di non fare strada, di tenermi lontano da qualcuno. La storia dell'uomo che - come dice l'antica parola - vuole diventare come Dio, è ergersi su un piedistallo, mettere a proprio servizio e uomini e cose.
Ma Dio sta da un'altra parte! Gesù sta da un'altra parte! Vuole liberarci da questa storia, dalla storia dell'arroganza, dalla storia del potere, dalla storia del dominio sugli altri. Ecco perché è prezioso Gesù che si mette a camminare in questa fila di gente. Io lo sento camminare qui anche in mezzo a noi, perché io di gente, come quella che andava da Giovanni, ne ho conosciuta tanta. Non santi straordinari, non gente che fa prodigi, non gente che ha visioni, ma gente che cammina per il mondo tentando di capire, che si porta nel cuore la fame e la sete di giustizia, gente che cerca il bene, gente che non si sente giusta, che non si sente arrivata, che non si sente a posto: ce ne sono tanti anche in mezzo a voi. Gente che non si sente di giudicare gli altri, ma che vorrebbe - e non sempre ci riesce purtroppo - camminare con gli altri, condividere la vita, portare in mezzo agli altri sogni: sogni di giustizia, di pace, di un mondo più bello, più tenero, più dolce, più attento, più condiviso. Ecco Dio sta da questa parte! Dio si mette in fila con noi. Gesù si manifesta così: non con un prodigio, non con un miracolo, non con un'apparizione straordinaria ma mettendosi in fila, senza dire una parola, con la gente che ha il cuore pesante, ma che cerca, cerca qualche cosa di nuovo; cerca, cammina, vuole luce, vuole giustizia, vuole pace.
Gesù cammina con noi o meglio con quella parte di noi che è affamata e assetata di giustizia, che vuole camminare, che vuole cercare ancora. A condividere con noi il cammino, a camminare con noi, a sognare con noi, a cercare con noi, è venuto il Signore.
Ecco perché questa immagine diventa sempre più preziosa nella mia vita di credente. L'immagine a cui ricorro quando mi sento scandalizzato dal mondo o - se volete - anche quando mi sento scandalizzato da me stesso: allora sento il Signore che cammina con me, che cammina con me per cercare con me qualche cosa di più bello, di più luminoso, di più vivo.
Il Signore ci aiuti, aiuti tutti voi, perché credo sia prezioso conservare nel cuore questa immagine che era preziosa per i primi cristiani - tutti i vangeli la riportano - è stata preziosa per tanti credenti. Dio che cammina con noi senza parlare, senza prodigi, ma anche senza giudicare o, come diceva il profeta Isaia: senza gridare, senza alzare la voce, senza puntare il dito, senza condannare, ma facendo strada con chi sente di non essere giusto: con noi!.
E Signore ci aiuti.
Giovanni, vedendo Gesù venire verso II Domenica del tempo ordinario - 20 gennaio 2002
di lui, disse:"Ecco l'agnello di Dio, ecco Giovanni 1, 29-34.
colui che toglie il peccato del mondo!
...Io non lo conoscevo, ma sono venuto
a battezzare con acqua perché Egli fosse
fatto conoscere a Israele."
Qualche mese fa, sono andato a visitare i Musei Capitolini. E su in cima proprio prima di arrivare sulla splendida terrazza di Palazzo Caffarelli, che spero abbiate visitato tutti - se non l'avete fatto, andateci, perché è uno dei posti più belli di Roma. Prima di arrivare lì, c'era una piccola mostra dedicata a San Giovanni Battista, se mi ricordo bene, intitolata: la "riscoperta di San Giovanni", era una mostra piccolina, occupava solo due o tre stanze dei Musei Capitolini. E mi ha colpito vedere in alcuni quadri Gesù Bambino, la Madonna e accanto a Gesù Bambino, San Giovanni che giocava insieme a Lui, o con un uccellino, o con un gatto o un cagnolino; e penso che di queste immagini ne abbiate viste molte anche voi, perché tanti pittori si sono dilettati, a volte in modo straordinario, appunto a ritrarre Gesù Bambino che giocava con il suo cuginetto.
Qualcuno domanderà: che c'entra questo con il Vangelo di oggi? Vi siete accorti che due volte Giovanni dice: "Io non Lo conoscevo". "Non lo conoscevi? Come non lo conoscevi? Hai giocato insieme con lui, da bambino, era tuo cugino, come fai a dire che non lo conoscevi?
Vi siete mai chiesti perché il Vangelo di Giovanni mette due volte in bocca a Giovanni Battista questa espressione: "Io non lo conoscevo". Ecco, provate a darvi voi le vostre risposte, A me è venuto da pensare che, quando ho cominciato a celebrare la Messa, potevo dire anch'io: "Io non lo conoscevo"! Chi sa se è la stessa cosa che intendevano i primi cristiani? Lo ricordate anche voi? Quando eravamo bambini ci hanno insegnato a fare i fioretti, a recitare molte preghiere; sapevamo qualcosa delle indulgenze e delle novene, conoscevamo fatti miracolosi di molti santi. Quando ero piccolo, ero bravo sapevo a memoria tutte le rispostine del catechismo, tutte! "Chi è Dio?" "Dio è l'essere perfettissimo…" Chi ha i capelli bianchi se lo ricorda! Ma se qualcuno mi avesse chiesto: "Ma chi è Gesù? Cosa pensava? Cosa aveva nel cuore? In che cosa credeva? Che cosa era importante per lui" "Che domandina è questa!? Sul catechismo non c'è! Fammi la domandina giusta ed io ti do la rispostina giusta!"
Sembra scontato che il cristiano è uno che conosce Gesù, eppure, ci accorgiamo che spesso i cristiani seguono dei riti, ricevono delle benedizioni, celebrano dei sacramenti, conoscono dogmi, seguono regole, senza veramente sapere chi è Gesù; senza il desiderio di conoscerlo, senza cercare di capire che cosa Gesù pensava, in che cosa Gesù credeva, che cosa aveva nel cuore. E questo dovrebbe essere l'anima stessa della vita cristiana!
Qualcuno di voi dirà che non è semplice conoscere Gesù, non l'abbiamo più in mezzo a noi. Qual è il modo per conoscere Gesù? Se vi devo dire la mia esperienza, sono due le possibilità che abbiamo per conoscere Gesù: il Vangelo e la testimonianza della gente.
E mi domando perché così poco nella vita della chiesa stia a cuore il Vangelo. Io l'ho ripetuto più volte (vi chiedo scusa, ma quando uno diventa vecchio si ripete, è normale!): ho studiato sette lunghi anni per diventare prete e ho dedicato al Vangelo soltanto due mesi di questi sette lunghi anni e con un professore che capiva poco. Io sono diventato prete senza sapere niente del Vangelo. Ho poi avuto la fortuna di incontrare delle persone che mi hanno aiutato a leggere il Vangelo e continuo a leggerlo appassionatamente, continuo a parlarne con la gente, a leggerlo insieme agli altri.
Ma forse non è nemmeno questa la cosa più importante per conoscere Gesù. Quello che è stato importante nella mia vita, è stata la testimonianza viva di persone che sono cresciute con me, a cominciare dal mio papà, dalla mia mamma, dalle persone che ho incontrato, da tanti amici che ho avuto, dai tanti che, più che con le parole, dimostravano con la vita, i sogni, gli ideali, le passioni che Gesù aveva nel cuore, le cose in cui credeva: la tenerezza, l'attenzione verso gli altri, la cura degli ultimi...
Mia mamma - per esempio - e così concludo con un piccolo episodio della mia infanzia… Qualche volta bussava alla porta della nostra casa, un signore alto alto, tutto vestito di nero che non diceva mai una parola: bussava e tendeva la mano. E la mamma diceva: "Presto, prendete un'arancia, un panino, qualche cosa". Erano allora i tempi della guerra, c'era la fame e vedevo sparire nelle mani di questo signore l'arancia che avevo sognato di mangiare io! Ma mamma diceva: "Quando bussa un povero, bussa Gesù". E forse in questa frase c'è tutto il Vangelo. Allora vedete che qualche volta, la testimonianza di una persona semplice - che ha fatto solo la terza elementare come mia mamma e che il Vangelo lo ha letto quando ormai era vecchia, e forse senza capire granché - può essere più importante di tanti discorsi… Lei non aveva mai letto il Vangelo, a quel tempo era anche difficile trovarlo scritto in italiano, tutto era in latino… ma sapeva che "quando bussa un povero, bussa Gesù".
Ecco, così forse si conosce Gesù. Allora forse tutti, qui intorno alla tavola di Gesù, dovremmo dirci come Giovanni: "Io non lo conoscevo". Non lo conosciamo abbastanza e forse dovremmo continuare a cercare di conoscerlo sempre di più; cercare di conoscere i suoi sogni, i suoi valori, i suoi ideali, le cose in cui Gesù credeva, quelle che aveva nel cuore: è importante per la nostra vita.
Il Signore ci aiuti.
"Seguitemi, vi farò pescatori di III Domenica del tempo ordinario - 27 gennaio 2002
uomini". Ed essi subito, lasciate Matteo 4, 12-23.
le reti, lo seguirono.
Non so se avete notato anche voi, in questa pagina del Vangelo, una sorta di catena umana, quasi un passaggio di testimone da persona a persona. E se questo fosse il filo rosso che unisce la storia degli uomini sin dai tempi più antichi, il cuore caldo dell'esperienza umana? L'antico profeta è testimone di luce, di speranza per la sua gente: parla di un popolo che cammina nelle tenebre e vede la grande luce. E dopo di lui altri hanno continuato ad essere testimoni di speranza. E nel Vangelo di oggi c'è Giovanni il Battista e poi Gesù e dopo Gesù, altri discepoli, anche loro invitati ad essere - per usare le antiche parole - "pescatori di uomini": a portare agli uomini luce, speranza, vita.
E da allora ad oggi si è spezzata questa catena? È finito questo filo rosso? Forse noi non lo vediamo, perché è difficile leggere nella storia, perché la storia spesso ci parla di guerre, di disastri, di avventure, di conquiste, di ricchezze. Se potessimo leggere questo filo rosso, il filo della gente che ha saputo passare il "testimone" della speranza, da persona a persona, fino a noi… e noi siamo qui proprio per ricevere questo "testimone".
Gesù, nel Vangelo che abbiamo letto, sembra prenderlo da Giovanni. Quando sa che Giovanni è stato arrestato, forse pensa: "adesso tocca a me", e allora lascia Nazareth, il suo lavoro, gli attrezzi da falegname e se ne va là sulla riva del lago tra il "popolo immerso nelle tenebre", a portare la Sua luce. E chiama altri: "Venite anche voi, sarete pescatori di uomini, porterete la luce".
Forse avrete notato che il Vangelo sottolinea che alcuni stavano gettando delle reti per pescare e gli altri rassettavano le reti: Gesù li chiama nel contesto della vita di ogni giorno. Ed erano persone diverse: avevano caratteri diversi, facevano lavori diversi, hanno avuto anche vite profondamente diverse l'una dall'altra; eppure tutti hanno tentato di essere "pescatori di uomini", cioè di portare agli uomini la vita, di consegnare a qualcun altro il "testimone" ricevuto da Gesù. E questo "testimone" riguarda anche noi: siamo gente molto diversa, chi più anziano, chi meno, chi giovane, chi fa un mestiere, chi ne fa un altro, chi ha un carattere, chi un altro, chi ha un posto di responsabilità nella vita, chi può fare cose importanti e chi ha soltanto un sorriso, un gesto di tenerezza da dare: ma tutti siamo chiamati ad essere testimoni di Lui. Sentirsi cristiani è come far parte di una lunga staffetta che viene da lontano, è come se ci avessero consegnato un "testimone": anche tu portatore di speranza, anche tu chiamato ad avere il coraggio di testimoniare i valori; valori che vengono da lontano, che fanno parte di quel filo rosso che attraversa la vita degli uomini.
E oggi noi sappiamo che questo filo rosso non riguarda soltanto i credenti, riguarda tutti gli uomini di buona volontà.
Domenica prossima il Vangelo di Matteo ci dirà, nella pagina forse più straordinaria: "Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, beati quelli che sono misericordiosi, beati quelli che hanno compassione degli altri…" Beati tutti quelli che tentano di essere testimoni di luce.
Facciamo parte anche noi di questa schiera, siamo qui per continuare a provarci, per non perdere la speranza, per ricevere anche noi l'invito di Gesù. Coraggio! Anche tu vieni con me! Testimone di speranza, di luce, di vita, di bellezza. Non bisogna essere eroi, non bisogna essere persone straordinarie, a volte basta una carezza - come leggevamo stasera nel Vangelo - a volte basta un bicchiere d'acqua: un bicchiere d'acqua fresca siamo capaci di darlo tutti; una carezza, un sorriso, quello che rende la vita più luminosa, più carica di speranza. Ne abbiamo bisogno tutti perché, se guardiamo la televisione o leggiamo i giornali, a volte la vita sembra tenebrosa, tutto sembra buio, succedono solo guai.
Ecco ciascuno di noi si senta parte di questa catena ininterrotta di gente che ha saputo portare un po' di luce, un po' di speranza, un po' di tenerezza intorno a sé.
Il Signore ci aiuti!
"Beati i poveri… IV Domenica del tempo ordinario - 3 febbraio 2002
Matteo 5, 1-12
Chi conosce il Vangelo di Matteo sa che si articola in cinque grandi discorsi. In questi discorsi lui, o la sua comunità, hanno raccolto tutte le parole che sembravano loro le più importanti tra quelle che aveva detto Gesù. Questi discorsi che sono un po' il cuore del Vangelo di Matteo, cominciano con le parole che abbiamo ascoltato e finiscono con parole simili. "Avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere, ero nudo e mi hai vestito, ero malato e sei venuto a visitarmi". "Quando mai Signore?". "Ogni volta che avete fatto questo al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me". Tra queste due colonne c'è il grande tempio dei Vangelo di Matteo. Tutto sembra essere compreso tra le parole di oggi, che ci rivelano lo sguardo di Dio sulla vita e le ultime che mostrano l'essenziale dell'operare dell'uomo. E se avete notato, né qui né là, c'è più distinzione tra uomo e uomo. Non si parla di quello che credi, dei riti che celebri, dei sacramenti che hai ricevuto, delle cose che professi: l'unica cosa che conta è quello che c'è nel tuo cuore, quali sono i tuoi gesti verso chi è in difficoltà.
Vedete, noi apparteniamo a una civiltà in cui gli uomini, fin dai tempi più antichi, sono tentati di identificarsi per contrasto. Mettiamo l'accento su quello che ci differenzia dagli altri: "Io parlo così, tu parli in un altro modo, allora non sei dei miei, tu celebri questo rito, io ne celebro un altro".
1 cristiani ancora non sono riusciti a mettersi d'accordo sulla data del Natale o su quella della Pasqua: sono secoli che litigano! Per dei dogmi qualcuno è stato bruciato sul rogo, per dei riti, per dei sacramenti, ci siamo divisi. E abbiamo guardato con occhio sospettoso quelli di un'altra religione: gli ebrei, pur condividendo la stessa Bibbia, poi i musulmani, per non parlare degli altri. La cristianità ha tentato di costruire la sua "cittadella fortificata", alzando mura che dividessero dagli altri.
E se il cuore del Vangelo fosse un'altro? Se fosse beato ogni uomo che è mite, misericordioso, pacifico, che ha fame e sete di giustizia, che ha tenerezza verso gli altri, a qualunque religione, a qualunque credo appartenga? Non potremmo condividere il sogno che c'è un cuore della vita che può tutti unirci, può farci sentire tutti fratelli? Non è bello sognare un futuro in cui tanti uomini diversi, che pregano in modo diverso, che hanno fedi e riti diversi, poi si ritrovano nell'avere fame e sete di giustizia, nell'essere pacifici, misericordiosi, attenti gli uni agli altri nella tenerezza! È bello essere diversi! Magari ci raccontiamo le cose che facciamo.
Se ogni religione, ogni rito, ogni cosa, fosse finalizzata ad avere un cuore ricco di valori, di tenerezza? E abbiamo qui in mezzo a noi, il segno più bello che Gesù ha voluto lasciarci: una tavola apparecchiata, persone che si riconoscono fratelli, il pane spezzato, la vita condivisa. Volesse il cielo che questo segno che Gesù ci ha lasciato fosse sempre un segno di condivisione, di vita! Che non venga mai usato, mai, per escludere qualcuno, per far sentire qualcuno in colpa! Ancora abbiamo ascoltato in questi giorni che i divorziati non possono far la Comunione! È possibile sognare un mondo in cui i segni di Dio non vengano mai usati contro la povera gente? Contro il debole, contro chi ha subito una sconfitta nella vita: lo possiamo sognare?
Possiamo sognare un mondo in cui gli uomini si ritrovino insieme nell'unica guerra che val la pena di combattere? L'unico combattimento che è giusto è quello contro il male, contro la sofferenza, contro il dolore, contro la malattia. Se tutto questo ci unisse! Se ogni religione trovasse la sua verità, il suo senso profondo, nell'attenzione verso l'ultimo, verso il piccolo! A sentire Gesù, solo su questo saremo giudicati. "Avevo farne e mi ha dato da mangiare, ero nudo e mi hai vestito, ero malato e sei venuto a trovarmi e mi hai teso la mano". È bello avere religioni diverse, credere in tante cose, avere tanti riti, cantare canzoni diverse: tutto è bello, perché la varietà del mondo è ricca e bella! Ma se gli uomini riuscissero a trovare un cuore, un cuore mite, misericordioso, pacifico! Non possiamo conservare nel cuore questo sogno? Non possiamo viverlo qui, intorno a questa tavola, in cui Gesù ci vuole fratelli? E oggi sappiamo, non solo tra di noi, ma con ogni uomo di buona volontà in ogni angolo della terra, tutti uniti nell'unico sogno di un mondo fraterno e solidale, tutti uniti in un'unica guerra, l'unica guerra che val la pena di combattere, quella contro il male e il dolore, contro la sofferenza e la malattia, perché sul volto di un uomo ci sia il sorriso. Possiamo sognarlo? Secondo me, dobbiamo sognarlo! È l'unica cosa che possiamo sognare intorno a questa tavola.
E Signore ci aiuti.
"Voi siete il sale della terra... V Domenica del tempo ordinario - 10 febbraio 2002
Voi siete la luce del mondo..." Matteo 5, 13-16
Siamo all'ultima Domenica di carnevale e sarebbe bene fare la predica più breve del solito, se è possibile. Vorrei soltanto mettervi in guardia da due trappole, che ci sono in questa pagina del Vangelo o meglio nell'interpretazione che i cristiani ne hanno dato nel corso della storia.
Se voi dite a un gruppo di persone: "Voi siete la luce del mondo", c'è il rischio che queste persone pensino: "Ecco, noi siamo la luce, tutti gli altri sono nelle tenebre, dobbiamo convertirli, e se magari non si convertono con le buone, li convertiamo con le cattive". Se voi dite: "Siete la luce del mondo" a quelli che parlano dal pulpito, possono pensare di possedere tutta la verità e che qualunque cosa dicano rifletta la luce di Dio. Se poi una frase del genere la dite a un papa o a dei vescovi o ai vari preti che ci sono per il mondo, "nun ve salvate più". Tutti pensano di avere la verità, di sapere tutto di tutto e il sogno che possiate dialogarci, che possiate cercare insieme la luce, rimane un'illusione senza speranza. Ed è un sogno per molti cristiani di essere qualche volta ascoltati da chi pensa di avere sempre una parola su ogni cosa della vita, anche della vita concreta, anche della vita familiare. Ma, a volte, pensano di sapere tutto anche gli insegnanti: c'è chi non si aggiorna più, chi non riesce a dialogare nemmeno con i colleghi. E anche i genitori…
Qualcuno di voi dirà - ed è la seconda trappola, giudicate voi se è più o meno pericolosa - "Ma nel Vangelo Gesù non dice: Voi siete la luce, ma voi dovete essere la luce, dovete dare il buon esempio in modo che gli altri vedano e si comportino bene". Quante volte ho ascoltato mamme e papà che avevano il dubbio: "Ma io che luce sono stato per i miei figli?" Non so se qualcuno di voi ha questi dubbi stasera, perché io questo discorso me lo son sentito ripetere infinite volte, nel lungo cammino della mia vita. Sapete, i figli qualche volta pigliano una strada un po' sbagliata, non si comportano tanto bene; allora vengono da me, mamme o papà, afflitti: "Ho sbagliato tutto, ho fallito in tutto… che buon esempio ho dato ai miei figli? Non sono stato capace di fare nulla!". È il senso di colpa: un'altra di quelle terribili trappole religiose che affliggono la vita degli uomini.
Se ho capito qualcosa, ci sono due modi per sfuggire a queste trappole, gli unici modi che conosco io: lo stupore e il sorriso. Stupitevi della luce che trovate intorno a voi: la si può trovare dappertutto, anche in gente lontana, in gente che sembra che non creda a niente. Ho incontrato tante volte nella vita delle persone, che dicevano di essere atee, eppure hanno arricchito la mia vita di qualche scintilla di luce. Io non ho incontrato nessuno nella mia vita che sia "la luce" in assoluto. Ho incontrato tanta gente che ha dato luce, colore, sapore alla mia vita: a volte dei bambini, a volte dei ragazzi, a volte dei giovani, a volte degli anziani... Per questo occorre conservare nel cuore lo stupore, la voglia di cercare, il senso della meraviglia per tutto quello che intorno a noi è bello e luminoso. E quello che ci salva dall'altra trappola è il sorriso: sorridiamo di noi stessi, di quello che ci è successo, non prendiamoci troppo sul serio. È vero che voi, mamme e papà, dovete essere di buon esempio ai vostri figli, ma ciascuno di noi spesso ha cercato di fare quello che poteva! Qualche cosa è andata bene, qualche cosa è andata male: sorridete delle vostre debolezze, di quello che sembra un fallimento: lasciate giudicare al Signore. Lui guarda il cuore.. quando vi viene da dire: "Ho sbagliato tutto!" Sorridete! Io sono convinto che Dio guarda al mondo, a noi, alle nostre fragilità, ai nostri sbagli, con un grande sorriso. Ed è questo sorriso che io, ma credo anche voi, speriamo di incontrare quando andremo di là.... Quando andremo di là, magari impauriti e timorosi, e vedremo Qualcuno che sorride, sorride anche delle nostre debolezze, delle nostre incapacità.
Noi siamo luce… io per tutta la vita mi sono sentito una luce fragile, una fiammella tremolante e non c'è parola più dolce del Vangelo di quella che in cui Gesù dice di non essere venuto a spegnere la fiammella che tremola, a spezzare la canna incrinata. Lui ci accoglie così come siamo, con un sorriso: è il sorriso di Dio. Speriamo che sia anche il nostro, almeno in questa domenica di carnevale, poi domenica prossima cominceremo a fare le persone serie.
Il Signore ci aiuti.
…Gli rispose Filippo: "Duecento denari di pane I Domenica di Quaresima 17febbraio 2002
non sono sufficienti neppure perché ognuno possa Giovanni 6, 1-13.
riceverne un pezzo"… Allora Gesù prese i pani e,
dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano
seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero.
I nostri ragazzi, come avete ascoltato, parlano di sogni. Questa parola ritorna spesso, forse qualcuno di voi penserà anche troppo spesso, nel nostro linguaggio religioso. Eppure questa parola pian piano ci è diventata preziosa e forse è bene che ci chiediamo perché.
Io posso raccontarvi la mia esperienza. A me è capitato di essere introdotto alla fede soprattutto attraverso una serie di pratiche religiose, di tradizioni, di regole, di obblighi, di precetti che qualche volta mettevano un po' di peso sul mio cuore, mi facevano sentire "non giusto". Mi parlavano di digiuni, di fioretti, di confessioni, di novene, e quant'altro... Ho imparato - lo sapevo bene a memoria - tutto il catechismo, fatto di rispostine che sembravano precise. Poi pian piano nella mia vita - prima da adolescente e poi da giovane prete - mi si è aperto un altro spazio: lo spazio del Vangelo, lo spazio degli ideali di Gesù, delle cose in cui Lui credeva, delle cose che erano importanti per Lui, dei suoi sogni… ed è stato bello sognare! È stato bello rendersi conto che la fede in Gesù non si riduceva in una serie di pratiche, di regole, di affermazioni precise, ma che credere in Gesù significava diventare "cercatori di Luce", gente che si apriva ai valori essenziali della vita.
E bene hanno fatto i ragazzi che hanno preparato questa Messa, a scegliere proprio il racconto della "moltiplicazione dei pani". Questo racconto è prezioso nei vangeli, è quello più ripetuto, lo trovate ben sei volte ed è il tentativo dei primi cristiani di capire quello che facciamo qui intorno alla Tavola. Quando io sono stato educato alla fede - ma è successo anche a molti di voi - mi hanno parlato delle "regole" per stare intorno a questa Tavola: bisognava essere digiuni fin dalla mezzanotte, guai a toccare anche una goccia d'acqua, bisognava confessarsi prima, essere sicuri di essere in "grazia di Dio" e questo metteva spesso un senso di colpa nel mio cuore. Molti si sono sentiti allontanati da questa Tavola perché "non giusti", perché "non a posto". Molte volte, quando ero ragazzo, mi hanno raccontato le storie che tutti voi conoscete del "miracolo di Bolsena": l'Ostia che si apriva e gocciava sangue. Il "miracolo di Lanciano" e altri simili…
Queste storie me le hanno raccontate tante volte, dicendomi e ripetendomi che, anche se non capivo, dovevo credere che in quell'Ostia c'era Gesù; e quest'immagine del sangue che colava dall'Ostia, ha inquietato la mia fantasia di bambino. Ad un certo punto mi sono accorto che, pur dicendomi queste cose importanti, si erano dimenticati di dirmi il senso del nostro stare qui intorno alla Tavola. Perché Gesù ci ha riuniti? Che senso ha? Qual è il significato del nostro stare qui? Ed il significato i primi cristiani lo affidano al racconto di oggi: un altro sogno! Il sogno che qui intorno alla Tavola si radunino dei fratelli che sanno mettere in comune quello che hanno. C'è fame! C'è fame di pane, c'è fame di valori, c'è fame di senso nel mondo… ma se ciascuno di noi mette in comune i pochi pani che ha, ecco che la vita si moltiplica, diventa ricca. In questa Tavola, Gesù stesso si fa Pane per noi, Gesù stesso condivide la sua vita con noi, si china a lavarci i piedi: ecco il senso di questo stare insieme, ecco il sogno!
Un sogno che quando si va lontano da questa Tavola - lo sapete non solo voi, lo so anch'io - è difficile vivere. Ma di questo parleremo le volte seguenti, perché se continuate a leggere il Vangelo, dopo che il pane si è moltiplicato, i discepoli si ritrovano su un mare in tempesta: la barca sta per affondare e Gesù sembra un fantasma. Altro che sogni! Ma ne parleremo le domeniche seguenti; oggi fermatevi a riflettere sul senso di quello che facciamo qui. E ciascuno di voi ripensi al suo percorso di fede. Se siete qui non è soltanto per una regola, per una tradizione, per un obbligo, perché vi sentite in colpa. Se siete qui è perché avete creduto in qualcosa dei valori di Gesù, perché sapete che Lui è prezioso per la nostra vita. E questo pane che spezziamo è il senso della vita, donata e condivisa, il cuore della nostra fede.
Il Signore ci aiuti.
Diceva: " Abbà, Padre mio, tu puoi tutto. II Domenica di Quaresima - 24 febbraio 2002
Allontana da me questo calice di dolore! Marco 14, 32-42
Però, non fare quel che voglio io, ma quel
che vuoi tu". Poi tornò dai discepoli, ma li
trovò che dormivano.
Domenica scorsa, cominciando la nostra Quaresima, vi dicevo che le provocazioni dei nostri ragazzi erano un invito a ripensare al nostro cammino di credenti, alla nostra esperienza di fede; e consigliavo a ciascuno di ripercorrere la propria. Io ho tentato di dirvi già domenica scorsa, la mia esperienza di fede: è quello che farò anche oggi. La mia esperienza è diversa da quella dei ragazzi, è probabilmente diversa da quella di ciascuno di voi. È bene che ciascuno di noi ripensi la propria esperienza: c'è forse qualcosa di simile, ma anche qualcosa di diverso.
Vi dicevo domenica scorsa, che sono stato introdotto alla fede attraverso tutta una serie di regole, di pratiche, di riti, di rispostine del catechismo e anche attraverso la tranquilla fiducia nella "provvidenza" di Dio, la tranquilla sicurezza che Dio, o forse meglio, i suoi angeli ci proteggessero. Una delle immagini più vive della mia infanzia è l'Angelo Custode, che tiene per mano il bambino che sta per cadere nel precipizio: era una stampa oleografica dell'Ottocento che c'era nella mia casa. Poi è stato bello scoprire il Vangelo, vedere che la fede era qualcosa di diverso dalle rispostine che avevo imparato o dalle piccole regole… vi dicevo che è stato bello sognare!
Ma oggi ho da comunicarvi che anche nella mia vita ho incontrato poi la lacerazione, l'esperienza del dolore, dell'ingiustizia del mondo. Quando gli occhi dell'infanzia cominciano ad aprirsi sul mondo, ti colpisce la violenza del male, dell'ingiustizia, lontana da te, ma qualche volta vicino a te: ed è quella che forse fa più male. Io non ho provato nella mia vita grandi sofferenze, grandi dolori, grandi malattie, ma ho visto intorno a me gente soffrire, soprattutto quello che è più difficile da sopportare, è vedere un bambino soffrire. Può nascere un bambino con un tumore? È qualche cosa che ti scuote, che ti mette a confronto con la sofferenza, con il dramma della vita. Questo dramma di cui la vita ti sembra, in certi momenti, anche troppo piena.
Ma c'è una cosa che forse ancora di più ti fa fare l'esperienza dei male: è quando ti accorgi che tu hai fatto soffrire qualcuno, che tu sei stato causa del dolore di qualcun altro. Quando ti accorgi che il "sonno", di cui parla il Vangelo di oggi, non riguarda strani personaggi di tanto tempo fa, ma riguarda te, la tua esperienza di credente.
Quei sogni che hai sognato come li vivi? Come li rendi concreti con i tuoi compagni di scuola, con i tuoi amici? Quando ti scontri con la sofferenza di qualcuno, quante lacrime sei capace di asciugare? Oppure fuggi da colui che piange perché ti fa paura? Fuggi dalla sofferenza perché non ti coinvolga? Hai paura che se dai un dito ti prendano la mano e poi il braccio.
E sai! Sai perché ne fai esperienza, che non basta andarsi a confessare, ripetere la solita cantilena al prete che ti dice: "Io ti assolvo dai tuoi peccati, vai in pace". Sì, in quel momento ti senti sollevato, ti senti sollevato finché sei un bambino, ma poi, quando cresci, sai che ci vorrebbe qualcosa di diverso. Bisognerebbe svegliarsi dal "sonno", avere il coraggio di essere testimoni di quei valori che tu hai scoperto e ti accorgi che altri non hanno scoperto; e tu sei responsabile di quello che hai visto, di quello che hai sognato nell'incontro con Gesù!
Qualche volta ti senti incapace, e perché il male dei mondo è troppo vasto, e perché - e questo forse è più doloroso - dormi, perché non hai il coraggio di svegliarti, perché forse non ci credi fino in fondo. È un'esperienza dolorosa e poi, per fortuna, - è successo a me - scopri nel Vangelo che quasi in ogni pagina si dice che Gesù è venuto proprio per la gente come me: non è venuto a spegnere il lucignolo che fumiga, a spezzare la canna incrinata: è venuto per chi ha il cuore pesante, è venuto per darti la mano, per rimetterti in cammino, per continuare a farti sperare.
Scopri che nel Vangelo non ci sono eroi, scopri che anche nel momento più drammatico, c'è gente che dorme come te, eppure non perde la fiducia in Gesù. Il Vangelo non è per "santi", per "eroi", queste sono le favole che ogni tanto ci raccontano, forse per farci sentire colpevoli. Il Vangelo è per gente fragile, è per gente che si sente come "canna incrinata", come "lucignolo che fumiga". Il Vangelo è per chi qualche volta dorme: per noi, per me. Io ho sentito che Gesù, con pazienza, come fa con i discepoli del vangelo di oggi, torna a dirmi: "Coraggio, svegliati! Svegliati! il mondo ha bisogno anche della tua passione. Hai forse solo due pani e due pesci? Buttali nel tesoro della vita! Forse hai soltanto uno spicciolo, come la vedova del Vangelo? Donalo! Il Vangelo è per gente come te dal cuore fragile, pesante, non è per "i santi e per gli eroi". È questo che mi ha consolato nel cammino della vita, quando ho fatto esperienza del dolore, del dramma, ma soprattutto quando ho fatto esperienza del "mio sonno", della mia fragilità, delle mie pigrizie, dei mio peccato.
Il Signore ci aiuti.
…Maestro, affondiamo! …Egli si svegliò III Domenica di Quaresima - 3 marzo 2002
…Perché avete tanta paura? Non avete Marco 4, 35‑41.
ancora fede?...
Noi alleviamo i nostri ragazzi nella tenerezza, nel benessere; è bene che facciamo così: è il segno del mondo che va avanti. Dobbiamo sempre ricordarci di essere grati di questo a coloro che ci hanno preceduto. Io devo essere grato a mio padre, ai miei nonni, ai miei zii. Mi hanno affidato un mondo, qui, in questo paese, nella mia famiglia, in cui c'è benessere, in cui si mangia a sufficienza, in cui c'è tenerezza e rispetto. Noi alleviamo così i nostri ragazzi e poi li mandiamo, qualche volta, in giro per il mondo.
Ricordo ancora, come un'esperienza viva, quello che questa ragazza vi ha raccontato nelle brevi frasi che avete appena ascoltato. Ritornava - faceva l'hostess a quel tempo - dal viaggio a Delhi, era sconvolta da quello che aveva visto, dalla miseria: da quella miseria spaventosa che coinvolgeva tutti, vecchi, malati, bambini, la gente buttata sui marciapiedi delle strade e ricordo il suo grido appassionato: "Dov'è Dio? Dov'è Dio di fronte a questo? Dov'è Dio di fronte alle grandi tragedie della vita? Le calamità, i terremoti, i vulcani che diffondono morte, dov'è Dio di fronte alle grandi malattie? Dov'è Dio di fronte alla morte dei bambini? Dov'è Dio di fronte alla violenza, alle guerre, alle mutilazioni? Dov'è Dio?... Perché non fa qualche cosa?".
Ecco che il credente si affaccia sull'abisso dell'incredulità: "Non c'è niente, non si può credere a niente, troppo male, troppa violenza, troppa ingiustizia nel mondo".
E qualche volta questo male ti tocca da vicino. Quante volte ho ascoltato - l'ultima volta ieri pomeriggio -: "Non volevo credere più, non volevo più pregare: ancora un'altra disgrazia nella mia famiglia!" E io qualche volta ho avuto la tentazione di dire: "E te ne accorgi adesso? Ti accorgi solo ora di quanto male, di quanta violenza c'è nel mondo? Te ne accorgi adesso perché la violenza ti ha toccato da vicino!" Ci hanno sempre raccontato che Dio è Colui che protegge, è Colui che ci vuole bene, è Colui che custodisce la nostra vita: "Raccomandati a Lui, prega, insisti". E penso, tutti, abbiamo fatto l'esperienza di aver pregato e di non essere stati ascoltati. Qualche volta abbiamo pregato per una cosa importante, per una persona cara che stava male, per un amico che aveva avuto un incidente: abbiamo pregato e non siamo stati ascoltati. Dov'è Dio?
E siamo stati fortunati se qualcuno non ci ha detto che magari era colpa nostra, perché non avevamo saputo pregare bene o abbastanza. A molti di noi è stata risparmiata - ma forse qualcuno di voi l'ha anche subita – questa suprema ingiustizia: "Se Dio tace, se Dio non risponde, se Dio non ti aiuta, se Dio non ha salvato il tuo amico, è colpa tua". A volte gli uomini religiosi sanno essere crudeli!
Ma c'è un'altra cosa che, qualche volta, mi ha fatto dubitare di Dio: è quando non ho pregato per una disgrazia che mi capitava, per una persona malata, ma quando ho chiesto la cosa che mi sembrava più giusta, più gratuita da chiedere a Dio: "Aiutami ad essere migliore: ci provo ma non ci riesco, perché non mi dai una mano? Perché mi lasci solo? Perché dormi?". E a volte mi sono sentito rimproverare quando parlavo così di Dio. Mi sono sentito dire che avevo poca fede e poi mi sono accorto che il Vangelo è pieno di tanti episodi di questo genere. I discepoli sembrano sempre sull'orlo del non credere. Avete ascoltato? Sulla barca, nel mare in tempesta, Gesù dorme. In un altro episodio, Gesù sembra un fantasma e Pietro è invitato a camminare sull'acqua, ma affonda, povero Pietro! E deve gridare al Signore. La paura di essere soli, di affondare, la paura che Dio non ci sia attraversa tutto il Vangelo, attraversa la fede di chi tenta di credere.
È bene parlare di queste cose per non sentirci in colpa: è la domanda del credente, è il dubbio del credente; e poi occorre ritrovare dentro di sé il coraggio di credere.
Forse potremmo anche farci un altro paio di domande: ma il modo con cui ci hanno parlato di Dio è quello giusto? Il modo con cui parliamo di Dio è quello giusto? Forse non sarebbe meglio ritrovare l'antica saggezza d'Israele, secondo cui Dio non si può nemmeno nominare? E non si può parlare a buon mercato del Dio che ti protegge, che ti custodisce, che fa miracoli, che ti aiuta?
Poi forse un'altra domanda: se gli uomini non credono, se i nostri giovani non credono, se è difficile riconoscere Dio nella vita, non è forse anche un po' colpa nostra, perché facciamo il mondo - come diceva la prima lettura - così sporco, così brutto, così poco capace di giustizia e tenerezza?
Mi fermo qui, perché oggi non volevamo crearci sensi di colpa. Volevamo chiamare Dio qui davanti a noi, a discolparsi di quelle che ci sembrano le sue colpe e non dobbiamo aver paura di questo! Tutti i santi hanno pregato così, hanno qualche volta chiesto a Dio: "Vieni, discolpati davanti a noi". Lo ha fatto anche Giobbe. Ma forse è meglio che non chiamiamo Dio, perché non ci risponda come rispondeva a Giobbe: "Chi sei tu? Che vuoi?… Soltanto una povera creatura, guardati intorno e cerca di scoprire la vita". Ma per noi non è semplice: siamo gente fragile, il mondo ci sembra qualche volta pesante, troppo difficile per noi. Qualche volta è difficile credere, ma non siamo soli, siamo in compagnia di tutti i veri credenti della storia. Le uniche persone di cui non siamo in compagnia sono i fanatici… ma i fanatici non ci interessano. A noi interessano coloro che hanno tentato di credere e hanno tentato di ricominciare a credere ogni mattina, anche quando sentivano che Dio "dormiva" nella loro vita.
Il Signore ci aiuti.
...Gesù domandò: "Secondo te, chi di questi IV Domenica di Quaresima - 10 marzo 2002
tre si è comportato come prossimo per Luca 10, 25-37
quell'uomo che aveva incontrato i briganti?"
Il maestro della legge rispose: "Quello che ha
avuto compassione di lui". Gesù allora gli
disse: "Va' e comportati allo stesso modo".
Ci sono nel Vangelo delle immagini che tentano di descrivere l'avventura del credente. Sapete, i primi cristiani più che a discorsi, come facciamo noi, si affidano a delle immagini, a dei simboli, a volte straordinari.
Due simboli descrivono l'avventura del credente: Pietro che cammina sull'acqua. Gesù gli dice: "Vieni", e Pietro scende dalla barca e comincia a camminare sull'acqua. L'altra immagine - la leggevamo proprio ieri sera nel Vangelo - "Se hai fede come un granellino di senape, puoi dire a questa montagna di spostarsi nel mare e lo farà". Nessuno di voi penso abbia in mente di spostare montagne nel mare… Eppure essere cristiani, per i primi discepoli, significava proprio questo: essere capaci di spostare le montagne, di camminare sull'acqua. Impossibile? No! Se ci credi veramente, dicono loro. Ma non parlano certo di qualche fatto prodigioso: questo lasciatelo alle storie dei santi. Si parla della vita, della vita di tutti i giorni. Bene hanno fatto i nostri ragazzi a scegliere questa pagina del Vangelo: l'uomo, che scende da Gerusalemme a Gerico e incappa nei briganti, ha bisogno di trovare qualcuno che sia capace di spostare le montagne: qualcuno che non ha paura, qualcuno che non è come il sacerdote, che corre affannato verso il Tempio, o come il Levita che passa dall'altra parte. Ha bisogno di trovare qualcuno che ha il coraggio di fermarsi, aldilà delle paure, aldilà della sua fretta, qualcuno che ha occhi per vedere. Colui che sa vedere si ferma, ha un po' d'olio, un po' di vino da versare sulle ferite.
Ecco - se ricordate - nelle domeniche precedenti i nostri ragazzi ci parlavano del dramma di questo mondo, della vastità del dramma, che ci fa mettere addirittura in questione la presenza di Dio nella nostra vita. Ci parlavano anche dei nostri drammi… e qual è la tentazione che abbiamo? Di fare come il sacerdote del Tempio, come il levita: scansarsi, passare da un'altra parte. È la tentazione che abbiamo di fronte ai grandi mali dei mondo. Ci sembrano troppo vasti, troppo grandi per il nostro coraggio, per il nostro credere. È peggio che spostare una montagna nel mare, non si può fare! Qualche volta, quando il dolore e la disgrazia ci tocca da vicino, siamo tentati di rinchiuderci nel nostro guscio, di negare la vita, di farci prendere dalla paura. L'unico modo che abbiamo di rispondere al male - ce lo ricorda il Pane che spezziamo ogni volta che ci ritroviamo qui intorno alla Tavola - è quello di tendere la mano, di moltiplicare la vita.
Quando i ragazzi dicono di prendere posizione, non pensano di andare gridando per le strade, sì, qualche volta, bisogna fare anche quello, ma il prendere posizione che loro intendono, è il gesto concreto: per questo hanno scelto questa pagina del Vangelo. E ciascuno di noi ha bisogno di rispondere al male concretamente, dentro la propria famiglia, nel posto dove lavora...
Ma per farlo bisogna crederci, avere dentro di sé una fede, almeno piccola come un granellino di senape: allora saremo capaci di fare prodigi, di camminare sull'acqua, di spostare le montagne. Capaci di fare gesti concreti di condivisione, di amore, è l'unico modo di rispondere al male, non ce n'è un altro! È l'unico modo che abbiamo di rispondere alla disgrazia, quando ci tocca da vicino: continuare a moltiplicare la vita, continuare a portare un sorriso, una voglia di pace, di giustizia intorno a noi, nel concreto della nostra vita.
Non vorrei che queste parole vi suonino retoriche: liberatele da ogni retorica. Guardatevi intorno: là dove c'è una lacrima da asciugare, là dove c'è un cuore ferito da consolare, là dove c'è la possibilità di un gesto concreto, che significa prendere posizione, tendere una mano, che significa rendere il mondo un po' migliore!
Chi ha preparato la Messa domani dirà: "Vogliamo regalarvi un biscottino semplice semplice, che abbiamo fatto con le nostre mani". Stasera ne dovrete fare a meno, ma immaginate che ve lo diano e che vi dicano: "Ecco, un dono piccolo piccolo, ma un segno della vita che si moltiplica, un segno che vuole esprimere la capacità di rispondere concretamente alle brutte notizie, che vedremo questa sera in televisione, un modo semplice di rispondere al male - che magari ha colpito la nostra vita in questi giorni - un biscotto, un sorriso, una mano che si tende!
Ma bisogna crederci, bisogna avere dentro una fede piccola come un granello di senape: è quello che ci fa fare i veri miracoli di cui ha bisogno il mondo. Non i miracoli dei santoni, non i fatti straordinari che succedono una volta su un milione, ma un milione, un miliardo di gesti concreti di solidarietà e di pace. Questo cambia il mondo, non il prodigio che avviene una volta ogni tanti anni. Non è semplice però, è come camminare sull'acqua, è come spostare una montagna nel mare.
Il Signore ci aiuti.
…Gesù guardò in alto e disse a Zaccheo: V Domenica di Quaresima - 17 marzo 2002
"Scendi in fretta, perché oggi devo Luca 19, 1-10.
fermarmi a casa tua!"…
Ancora una volta Zaccheo nella nostra esperienza di credenti. Guardatelo un momento, Zaccheo, con gli occhi della vostra fantasia, ma soprattutto con gli occhi del vostro cuore. Zaccheo è soltanto un nome, un nome che penso ciascuno di noi possa riempire con la propria storia, la propria avventura di credente, che hanno tentato di farci rivivere in questa Quaresima.
Guardate Zaccheo: è l'uomo disprezzato da tutti perché un esattore delle tasse, uno "strozzino". Guardate il cuore di Zaccheo: si sente condannato dalla legge; si sente, forse, pieno di dubbi, sa di aver sbagliato qualcosa di importante nella vita.
Non solo il Vangelo dice che Zaccheo era piccolo: quando io penso a Zaccheo, penso a un uomo che sia un po' come me: un po' vigliacco, un po' pauroso, con tanti dubbi dentro, pieno di debolezze e incapacità.
Zaccheo sente però il bisogno di incontrare Gesù, di guardarlo negli occhi. Ha una folla davanti: la nostra folla, il rumore del mondo di cui abbiamo parlato, il male che c'è intorno a noi. Qualche volta si sarà detto (forse è capitato anche a voi: a me è capitato spesso): "Ma vale la pena? Ma chi me lo fa fare? Perché cercare ancora?". Eppure Zaccheo ha il coraggio di arrampicarsi sull'albero, di strapparsi da quella folla, di andare al di là delle proprie vigliaccherie, delle proprie paure. Ha voglia di incontrare Qualcuno! E cosa incontra Zaccheo?
Ecco l'esperienza che vogliono farci fare stasera! Zaccheo incontra gli occhi di Dio! Zaccheo è lassù, nascosto, tra le fronde dell'albero, forse ha paura che anche Gesù gli punti il dito contro, che anche Lui, come quella folla, lo giudichi uno strozzino, un malfattore, che gli dica di andare a fare penitenza, di pentirsi, di espiare; e si trova un Dio che non gli dice niente, che lo guarda soltanto. E forse per la prima volta nella sua vita, Zaccheo sente che qualcuno gli vuole bene gratuitamente e non gli chiede niente. Gli chiede soltanto di sedersi a tavola con Lui, di far festa con Lui.
È lo sguardo di Dio che incontra Zaccheo: uno sguardo che va oltre il giudizio della gente, uno sguardo che va oltre la condanna, che va oltre la Legge, che va oltre tutto, che va oltre la piccolezza, la pigrizia, che va oltre il peccato di Zaccheo, perché Zaccheo è un peccatore e lo sa! Ma lo sguardo di Dio sembra dimenticare tutto e negli occhi di Gesù, Zaccheo incontra Dio.
E scende pieno di gioia e va a casa ad organizzare la festa. E sembra che tutta la sua vita passata si sia persa negli occhi di Dio. È la festa di Dio che Zaccheo esperimenta! Per la prima volta si sente amato, rispettato per quello che è, cercato nel profondo del suo cuore. Per la prima volta fa esperienza della gratuità, forse per la prima volta Zaccheo fa esperienza della festa. Avrà partecipato a tanti festini, a tante baldorie… ma per la prima volta se ne va pieno dì gioia, fa esperienza della festa di Dio.
E allora è semplice per Zaccheo cambiare qualcosa. È semplice donare quello che ha, ormai è travolto anche lui dalla gratuità e dall'amore. Che non suonino parole retoriche! Il Vangelo non è mai retorico. Ciascuno di noi sappia tradurre l'incontro di Zaccheo con Gesù, nella propria esperienza di credente. Anche noi piccoli, paurosi, anche noi forse giudicati, anche noi ci portiamo dentro i sensi di colpa, anche noi che ci sentiamo lontani dal Signore. Che questa Pasqua sia l'incontro con gli occhi di Dio, con la festa di Dio! Sarà Pasqua se anche noi, come Zaccheo, scenderemo dal nostro albero e potremo conservare nel cuore i sogni di Dio, e saremo capaci di tradurli nel dono di noi stessi. Non si tratta di donare denari, non si tratta di donare quello che abbiamo rubato, noi forse non abbiamo rubato niente: si tratta di dare qualcosa di noi stessi, di essere capaci almeno un po' di condividere la vita, di condividere la gratuità di Dio, i sogni di Dio; di portare in giro la sguardo di Gesù, gli occhi di Gesù, la festa di Gesù: e allora sarà Pasqua!
Il Signore ci aiuti.
Mentre Gesù si trovava a Betania DOMENICA DELLE PALME - 24 marzo 2002
gli si avvicinò una donna con un
vaso di alabastro di olio profumato
molto prezioso e glielo versò sul
capo mentre, stava a mensa.
Ancora questa donna ci viene incontro, per introdurci nelle grandi celebrazioni di Pasqua. A questa donna è affidato il compito di prendere il cristiano per mano e condurlo dietro Gesù, fino al grande giorno della Risurrezione. È questa donna, nel Vangelo di Marco e di Matteo il modello del credente. Di lei, l'unica di tutto il Vangelo, Gesù dice: "Io vi assicuro che dovunque, in tutto il mondo, sarà predicato il Vangelo, ci si ricorderà di questa donna e di quello che ha fatto". Il suo gesto è il cuore del credente.
Vedete: in questa Quaresima, i ragazzi ci hanno fatto ripercorrere la nostra esperienza di credenti ed io, ma penso anche con molti di voi, ci siamo ritrovati nella fatica di credere. Ci siamo anche noi ritrovati in mezzo "folla". Questa folla che - avete ascoltato - gridava: "Osanna", ma tornate venerdì, griderà ."Crocifiggilo". La folla che ti stringe, che ti impedisce di uscire, di essere te stesso, di credere, di sperare, di pensare che si possa cambiare qualcosa. La folla del "così fan tutti", della "mentalità comune".
Ma ci siamo anche ritrovati, in questa Quaresima, nelle incomprensioni dei discepoli. Anche noi facciamo fatica a riconoscere intorno a noi chi ha veramente bisogno. A volte, anche noi, come i discepoli, ci scandalizziamo di chi rischia per amore, troviamo delle scuse… A volte non siamo capaci di accorgerci di chi si trova in difficoltà, di chi ha bisogno accanto a noi, a volte non sappiamo guardare negli occhi proprio chi è vicino a noi. Magari ci occupiamo degli altri, fuori casa - capita anche ai giovani - e non ci accorgiamo di una lacrima che silenziosamente si versa accanto a noi, forse da una persona anziana.
Anche noi, in questa Quaresima, ci siamo trovati di fronte alla violenza del mondo: quella violenza che sta per inchiodare Gesù sulla Croce, di cui ci parlavano Isaia e il Salmo. E ci siamo ritrovati impotenti, senza sapere che fare, anche noi abbiamo fatto esperienza della paura, la paura di dei tanti mali di questo mondo, dei troppi problemi che travagliano la nostra storia. Abbiamo fatto esperienza della nostra povertà, del nostro peccato, delle nostre incomprensioni. Ed ecco, alla fine del cammino, questa donna: lei è diversa, lei sa uscire dalla folla. I discepoli si scandalizzano, le dicono: "Perché sprechi tutti questi soldi? ". Lei sembra non ascoltare, lei sola sa vedere che in quel momento il vero povero è Gesù, e spezza il suo vaso, non calcola, dona quello che ha. Lei non ha più paura, lei non si domanda se questo suo gesto cambierà la storia, forse sa che non la cambia, ma in quel momento, sa che tutto quello che lei può fare è dare quello che ha senza pensarci su. È la donna della gratuità, la donna dell'amore; è la donna che sa vedere, è la donna che sa spezzare il suo vaso: è lei il modello della fede.
E allora, questa Pasqua, queste celebrazioni che ci prepariamo a vivere, portino anche noi aldilà della folla di ogni giorno, aldilà delle nostre paure, aldilà della nostra impotenza. Anche noi, forse, abbiamo un piccolo vaso da spezzare, un bicchiere d'acqua da donare, una carezza da fare. Anche noi abbiamo, come questa donna, la possibilità di vivere la gratuità, di vivere il dono. Anche noi abbiamo, come questa donna, la possibilità di credere che il cuore della vita è il dono, è la vita condivisa e donata: è quello che ci apprestiamo a vivere GIOVEDÌ, quando Gesù si farà Pane per noi. E quando VENERDÌ, là su quella Croce, si farà vicino a ogni uomo che soffre e che muore sulla terra, per poi cantare nella notte di Pasqua i "sogni di Dio", l'unica vera realtà che non muore: la gratuità, la libertà e l'amore.
È questa donna che ci può prendere per mano e condurre a celebrare la Pasqua. Il Signore ci aiuti a farlo, ci dia un cuore, almeno un po', come il cuore di questa donna.
Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò CENA DEL SIGNORE - 28 marzo 2002
a lavare i piedi dei discepoli. I lettera di Paolo ai Corinzi. 11, 23-26
...prese del pane, lo spezzò e disse: Giovanni 13, 1-15
"Questo è il mio corpo che è per voi:
fate questo in memoria di me".
Ci riuniamo ancora intorno alla Tavola per spezzare il Pane: così i primi cristiani chiamavano l'Eucarestia. Fin dall'inizio si ritrovavano insieme nella sera per spezzare il Pane.
Cosa c'è di più normale, di più semplice, di più quotidiano, almeno per noi che abitiamo nel bacino dei Mediterraneo, che sedersi intorno ad una tavola e spezzare il pane? È cosa che facciamo ogni giorno, è il gesto più semplice, più quotidiano, più legato alla vita di ogni giorno.
A questo segno che voleva radicato nel nostro quotidiano, nella vita di ogni giorno, Gesù ha affidato la memoria di Sé, la Sua vita donata. Voleva che questo gesto diventasse il cuore della nostra fede, il cuore del nostro credere in Lui. Noi uomini abbiamo tentato di difenderci da questo segno: lo abbiamo circondato di riti, di precetti, di regole, di proibizioni, per qualcuno di noi è addirittura collegato al senso di colpa. Abbiamo allontanato l'Eucarestia dai nostri problemi della vita quotidiana, dal nostro alzarci al mattino, dal far le faccende di casa, dal nostro andare a lavorare, dal nostro occuparci della vita di tutti i giorni. Gesù voleva radicare la memoria di Sé, dentro la nostra vita di ogni giorno e noi l'abbiamo riportata, come nella religione dei pagani, in uno "spazio sacro".
Quando leggete i giornali, guardate la televisione, sembra che la religione sia fatta di fatti straordinari, di prodigi, di miracoli che avvengono una volta ogni tanto: è un modo per allontanare dalla vita di ogni giorno il nostro credere, il nostro seguire Gesù. La fede, invece, vive del quotidiano tentativo di condividere la vita, di vivere la gratuità del dono, come ha fatto Gesù: per questo in quella sera, non soltanto ha spezzato il Pane, ma ha fatto un gesto che, come avete ascoltato, ha provocato la reazione dei discepoli. Pietro, ancora una volta il portavoce di tutti noi: "Signore, non mi laverai mai i piedi". Lavare i piedi era il gesto dello schiavo, del servizio umile. Nella grande cena di Pasqua, nella notte della liberazione, Gesù ha messo il gesto dello schiavo, del servizio: schiavo non per costrizione, ma per amore. Sono i gesti che voi tutti fate ogni giorno: i gesti del servizio quotidiano, a volte, per qualcuno di noi pesanti, faticosi… a volte ci sembra anche di non farcela più, quando chi ci sta vicino è malato o ha perso il senno. Chi conosce la vita cristiana sa che di questi gesti se ne compiono ogni giorno anche qui in mezzo a noi. Se guardo negli occhi qualcuno di voi vedo la fatica di ogni giorno, il coraggio del servizio, dell'attenzione verso gli altri: è questa la parte più preziosa della vita del credente. Possiamo allora mettere qui sull'altare, insieme al dono di Gesù, il nostro dono. Non sono i prodigi, non sono le stimmate, non sono i fatti straordinari, non sono le apparizioni, il vero cuore della fede, ma sono i gesti che facciamo ogni giorno: i gesti del servizio, dell'attenzione verso gli altri, i gesti della gratuità, i gesti dell'amore!
Ci riuniamo qui intorno alla Tavola, dove Gesù spezza il Pane per noi, si fa Pane per noi, ci dona Se Stesso per nutrirci di Lui e continuare a vivere la gratuità, il dono, l'amore ogni giorno. Portate stasera, venendo a fare la Comunione, i vostri gesti d'amore, quei gesti che avete il coraggio di fare ogni giorno, metteteli qui sull'altare insieme al dono di Gesù: è la ricchezza della nostra fede, è la bellezza del mondo, è la bellezza spesso nascosta, a volte faticosa, è il cuore del nostro credere! Questo cuore che non fa notizia, di cui per fortuna la televisione non parlerà mai, perché è la normalità della vostra vita. Via il senso di colpa! Via l'attesa del prodigio! Via i fatti straordinari! È la nostra vita, è la vita di ogni giorno che Gesù vuole che celebriamo, che uniamo alla Sua, che mettiamo qui intorno all'altare.
Noi non ripeteremo stasera, come non ripetiamo da anni, il gesto di lavarci i piedi, rischia di essere solo folklore, fonte di curiosità, ma mettete qui stasera, il vostro lavare i piedi di ogni giorno, soprattutto quei servizi dolorosi, pesanti perché fatti a chi é malato, a chi ha perso il senno. È il cuore della nostra fede, è la gratuità, è l'amore che uniamo all'amore di Gesù e ci nutriamo di Lui, per continuare ancora a tentare di donare noi stessi, a tentare ancora, ogni giorno, di compiere il servizio per la vita, per la bellezza del mondo.
Il Signore ci aiuti.
…L'angelo disse alle donne: "Non RISURREZIONE DEL SIGNORE - 31 marzo 2002
abbiate paura! So che cercato Gesù Matteo 28, 8-10
il crocifisso. Non è qui. È risorto!"
Con timore e gioia grande le donne
corsero a dare l'annunzio ai suoi discepoli.
Qualcuno di voi lo ricorderà... Venerdì scorso abbiamo lasciato Maria Maddalena e l'altra Maria di fronte alla grande pietra che chiudeva il sepolcro di Gesù. Si può entrare nel cuore di una persona? Forse si può! Perché Maria Maddalena e l'altra Maria siamo noi!
Cosa sarà passato nel cuore di Maria Maddalena, quando era lì seduta di fronte a quella grande pietra, davanti al sepolcro di Gesù? Forse avrà rivisto la sua vita… forse era lei che là sulla piazza aveva intorno tanti uomini con le pietre in mano, pronti a scagliarle contro di lei. Là per la prima volta aveva incontrato Gesù, l'aveva guardata negli occhi: "alzati e va'". Aveva visto altre volte Gesù sedersi a tavola a far festa, un bicchiere di vino in mano, a far festa con la gente di strada, con i pubblicani, con quelli che avevano il cuore pesante. Anche a lei avevano raccontato che un giorno, alla grande festa delle nozze di Cana, aveva cambiato l'acqua in vino. Aveva capito che era venuto a far festa con gli uomini, venuto per camminare con loro e Maria aveva capito che era venuto anche per lei e da Lui si era sentita amata e rispettata nel profondo. "Perché vuol bene a me? Perché rispetta me?" E forse all'inizio non aveva ancora capito perché non andasse dai "giusti", da quelli che sembravano persone perbene, da quelli che avevano sempre belle parole.
E poi lo aveva sentito alzare la voce contro i potenti dei tempo, contro i signori del Tempio, lo aveva sentito gridare contro quelli che usavano il Sabato contro la gente… allora aveva capito, fino in fondo, che Lui era venuto per dire che l'uomo, qualunque uomo, è più grande di tutto, più grande della Legge, più grande delle tradizioni, più grande degli ideali, anche più grande della religione. Era venuto per condividere la vita degli uomini, per portare negli uomini il coraggio di rispettare ogni uomo, di fare libero ogni uomo…
E anche Maria aveva sognato, sognato un mondo diverso, un mondo in cui la dignità fosse un diritto di ciascuno, anche di chi aveva sbagliato, un mondo in cui ogni uomo fosse rispettato per quello che è, aldilà delle ideologie, delle tradizioni, delle leggi; amato nel profondo della sua identità: aveva sognato Maria tutto questo!
E poi aveva visto i suoi sogni inchiodati sulla Croce! Forse anche lei, sotto quella Croce, aveva detto: "Scendi! Se sei Dio scendi! Vieni ancora a partecipare alla mia festa, cosa posso fare senza di Te?". Davanti a quella grande pietra, Maria forse avrà pensato che ancora una volta i sogni dell'uomo morivano, che ancora non c'era spazio per la dignità, per il rispetto, per la gioia, per la convivialità, per la pace.
Che emozione per Maria vedere quella grande pietra rovesciata! Che emozione incontrare lungo la strada Gesù che le diceva ancora: "Salve". I sogni di Dio non muoiono all'alba. I sogni di Dio possono vivere ancora nel cuore di Maria, possono vivere nel nostro cuore, perché Maria siamo noi. Gesù è venuto perché nel cuore possiamo conservare tutti i sogni di Dio: il sogno di un mondo in cui ci siano rispetto e dignità, in cui ci siano libertà e pace.
E anche noi, come Maria, siamo mandati come testimoni: "Va', annunzia; va', vivi la convivialità, il dono, il coraggio della libertà, il rispetto per ogni uomo". Quella candela che tra poco accenderemo, stringiamola forte, è il nostro coraggio di inseguire la Luce, è il nostro coraggio di sognare, di sentire che Gesù non è morto! I Suoi sogni, quello che è venuto a vivere in mezzo a noi, vive! Non è rimasto inchiodato sulla Croce: aveva ragione Lui, non hanno ragione i potenti, non ha ragione il potere, non ha ragione l'orgoglio dell'uomo, non ha ragione la violenza dell'uomo: ha ragione Lui, il Suo servizio, la Sua gratuità, il Suo amore. Lui è venuto a condividere la nostra festa, la nostra convivialità, ad alzare con noi il bicchiere della gioia: per questo è risorto Gesù!
"Abbiamo visto il Signore!" - "Se non metto II Domenica di Pasqua - 7 aprile 2002
il dito nel posto dei chiodi non crederò". Giovanni 20, 19-31
Venne Gesù a porte chiuse: "Metti qua il tuo
dito e non essere più incredulo ma credente!".
Rispose Tommaso:"Mio Signore e mio Dio!".
Qual è il problema di Tommaso? Forse che è disposto a credere? Sembrerebbe di no! Perché quando può incontrare il Signore, mettere la sua mano, Tommaso crede! Perché prima non credeva? E se il problema non fosse di Tommaso ma degli altri dieci discepoli? Loro gli hanno detto: "Abbiamo visto il Signore"! E se non fossero testimoni credibili? Se Tommaso non fosse in grado di credere perché non può fidarsi di chi gli parla di Risurrezione e di vita. Non si vede che sia cambiato qualcosa: hanno ancora paura! Nei loro occhi non brilla una luce nuova, la luce della Risurrezione. Non si sentono uomini nuovi, liberati.
Dunque il problema di Tommaso sarebbero gli altri dieci; e pensate un po': se venisse qui Tommaso, uno dei tanti "Tommaso" del nostro tempo, il problema non saremmo forse noi? Cosa testimoniamo al mondo? Il problema non sarebbe anche un po' la nostra tradizione religiosa?
Oggi mi trovavo... - un piccolo episodio della mia vita che forse può intenerire qualcuno di voi - in uno dei pranzi di famiglia, adesso bisogna farlo ogni anno perché la mia mamma è arrivata a 93 anni: prima si faceva ogni cinque, ma adesso dicono che ogni anno che passa è prezioso. Un cognato diceva una battuta: " Nonna - così si chiama in famiglia la mia mamma - se non soffri non vai in Paradiso!". Era una battuta, ma quante volte noi credenti l'abbiamo ripetuta? Quante volte abbiamo più parlato di sofferenza, di sacrifici di rinunce, che di vita, di libertà, di gioia, di liberazione? Quante volte abbiamo parlato di regole, di leggi, abbiamo messo sensi di colpa? Quante volte abbiamo parlato di riti nella nostra tradizione religiosa? Se un "Tommaso" - uno dei tanti "Tommaso" della storia - dicesse: "Cristiani, dite di essere testimoni del Risorto, testimoni della vita; parlate dei sogni di Dio e poi mi venite a parlare di sofferenze, di sacrifici, di tribolazioni, di rinunce, di penitenze, di leggi, di riti, di regole, di proibizioni: dove è la Risurrezione e la vita?".
Ma senza andare alla nostra tradizione, se domandassero a me: "Checco, senza tante chiacchiere, sei capace di testimoniare la vita? Fammi vedere quali montagne hai spostato nel mare!". Eh! Poche montagne ho spostato nel mare io, quasi nessuna...
Ma qui ho bisogno di consolarmi e di consolarvi - altrimenti cadiamo nel senso di colpa e sarebbe peggio - perché essere testimoni della Resurrezione è difficile. Parlare di leggi, di regole, di penitenze, di sacrifici è facile. Fare buone prediche e dire: "Siate buoni, comportatevi bene", lo sentite dire tante volte anche in televisione, ma mostrare nei fatti concreti della vita che in Gesù ci si crede sul serio, nei suoi ideali, ah!, questo è difficile: è come spostare una montagna nel mare o come camminare sulle acque. Allora se sentite di non essere anche voi come me, dei grandi testimoni della Risurrezione, non vi preoccupate! Perché nessuno di noi sa camminare sulla acqua, nessuno di noi sa spostare le montagne.
Eppure! Eppure siamo noi i testimoni della Risurrezione e i "Tommaso" di oggi; se vogliono mettere le mani, debbono metterle qui… Se io sono qui, se posso ancora parlare di Risurrezione e di vita, è perché ho tante volte messo le mani non in Gesù, nelle sue piaghe, ma in tante persone che mi hanno testimoniato, con gesti concreti, la tenerezza, il rispetto, l'accoglienza, l'amicizia, l'amore, il desiderio di giustizia, la voglia di pace.
Perché, non ci illudiamo, nessuno potrà trovare qui Gesù e mettere le mani nelle sue piaghe. L'unica possibilità è incontrare testimoni, almeno un po' credibili, e questi testimoni, nella nostra povertà, non possiamo essere che noi.
Il Signore ci aiuti.
Ed ecco, in quello stesso giorno, due di loro III Domenica di Pasqua - 14 Aprile 2002
andavano verso Emmaus. Mentre discorrevano Luca 24,13-35
Gesù in persona si accostò e camminava
con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di
riconoscerlo. Quando fu a tavola con loro
prese il pane, lo spezzò e lo diede loro. Allora
si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero.
Ricordate?... Domenica scorsa leggevamo l'episodio di Tommaso, che non riesce a credere alla testimonianza degli altri discepoli, ma può incontrare Gesù la Domenica seguente, e Gesù lo invita a mettere la mano nelle sue piaghe, affinché non sia più incredulo, ma credente.
Ma, forse, qualcuno tra i primi cristiani pensava che nella storia di Tommaso ci fosse qualcosa che non va: noi non possiamo mettere la mano nel costato di Gesù, e soprattutto le difficoltà di credere non le troviamo solo qui, quando ci ritroviamo tutti insieme intorno alla Tavola, ma nel cammino di tutti i giorni, lungo la strada della vita. Per questo, probabilmente, è nato nella comunità di Luca - come sapete quello che abbiamo letto stasera si trova solo nel Vangelo di Luca - questo straordinario racconto, che ci dice due cose per me importantissime, ma, penso, anche per tutti voi: in fondo Cleopa siamo noi! Ci dice che la vita è un viaggio, un cammino lungo e faticoso, a volte con le nostre delusioni, con le nostre paure, con le nostre incapacità.
Questi discepoli se ne vanno delusi e scoraggiati: speravano… ma le loro illusioni sono finite quando hanno visto Gesù inchiodato sulla Croce. Non bastano certo a fermarli le donne che dicono di aver avuto una visione… ci vuol altro. Lasciano tutto, sono stanchi, delusi, forse impauriti.
È la vita! La nostra vita, la mia vita! A volte fatta di delusioni, a volte fatta di preoccupazioni, di ansie, di paure. A volte anche noi, come Tommaso, come tutti i credenti, vorremmo trovare testimoni credibili, vedere l'entusiasmo degli altri discepoli…
E un'altra cosa il Vangelo di Luca vuol dirci: a volte i cristiani pensano di poter toccare con mano... - è capitato anche voi qualche volta? - di poter vedere qualche cosa: che appaia, che so, la Madonna, che possiamo anche noi avere una visione, toccare con mano. Non c'è dato! Il Vangelo e il Pane spezzato. E qualche volta non è semplice accogliere il fatto che quello che può scaldarci il cuore, quello che ci permette di credere, è soltanto questo: la Parola che ascoltiamo, il Vangelo che possiamo leggere e il Pane che spezziamo qui, insieme ogni Domenica.
I cristiani non hanno che questo: non illudiamoci! A volte sentiamo alla radio, alla televisione i racconti di prodigi, di fatti straordinari, di miracoli, di visioni... appare la Madonna e si vedono cristiani che corrono. Qualche volta basta un'ombra sul muro, una statua che lacrima e tutti vanno per vedere e per toccare. La vita è una cosa seria! È la ricerca di ogni giorno, tentando di conservare nel cuore i valori e gli ideali di Gesù. Io posso essere testimone in mezzo a voi: ho letto tante volte il Vangelo e tante volte, lentamente, faticosamente, s'è fatto strada nei miei dubbi, nelle mie ansie, nelle mie preoccupazioni; e tante volte m'ha scaldato il cuore e con me lo ha scaldato a tante persone insieme alle quali ho letto il Vangelo.
E anche il nostro ritrovarci qui ogni Domenica, anche quando ci sentiamo in colpa, quando ci sentiamo il cuore pesante, per nutrirci di Gesù, che si fa Pane per noi... Certo poi sparisce! Poi usciamo da quella porta e riprendiamo il cammino, a volte faticoso, ma né io, né voi ci siamo stancati di ritornare qui ogni Domenica a nutrirci di Lui, a ritrovare in Lui il coraggio di camminare ancora, conservando la speranza nel cuore. È vero! A volte ci sembra di non vedere, ma continuiamo a venire qui, senza aspettarci segni, senza aspettarci prodigi; continuiamo a venire qui per cercare Gesù che spezzi ancora il Pane per noi e ancora ci scaldi il cuore, ci faccia capaci ancora di credere, di sperare come Cleopa, come tanti cristiani, che in questi duemila anni hanno portato fino a noi la testimonianza del Vangelo.
Il Signore aiuti anche noi a farlo.
Il pastore chiama le sue pecore una per una; IV Domenica di Pasqua - 21 aprile 2002
e cammina innanzi a loro e le pecore lo Giovanni 10, 1-10
seguono perché conoscono la sua voce.
Quante prediche avete ascoltato anche voi sulle pecore, sul loro obbligo di seguire fedelmente e docilmente il pastore? Anzi con una scorciatoia, "i pastori" che camminano avanti al gregge e lo conducono sempre sulla retta via, sulla via della verità, nei pascoli della vita.
Il compito delle pecore è quello di seguire il pastore, la loro virtù principale è la docilità. Occorre poi stare attenti agli altri, a quelli "di fuori", perché sono tutti "ladri e briganti" e vengono per rubare, distruggere, rovinare il buon gregge del Signore. Le pecore poi, ascoltano solo la voce del pastore, perché la conoscono, e quindi è importante stare nel gregge e seguire fedelmente le altre pecore, che sanno riconoscere la voce del pastore. Tutto... almeno nella mia mente di ragazzo, sembrava chiaro, preciso, semplice.
La vita - come sapete anche voi - è un'altra cosa! E la vita non ammette scorciatoie. Uno è il pastore per il credente, e non sempre i "pastori" conducono sulla strada giusta.
Quando ero giovane, era Papa - si diceva allora "regnava", che non è una bella parola - Pio XII. Sapete? Penso che lo ricordiate.... Veniva chiamato con una parola latina "Pastor Angelicus", "Pastore Angelico": era una figura straordinaria, parlava sempre su tutto e sembrava che avesse una parola decisiva su qualunque argomento dello scibile e della vita umana. Dopo di lui - è stata un'esperienza forte della mia vita - è venuto Papa Giovanni: sembrava un vecchio, anche un po' rimbecillito quando è diventato papa, ma gli è bastato un anno per far sparire del tutto la memoria di Pio XII. Nessuno sapeva più chi fosse! E quel "Pastore Angelico" ci sembrava aver detto una serie inenarrabile, se non di sciocchezze, di cose che non avevano più senso per noi. Mi sono accorto - andando avanti nella vita - che non soltanto riguardava il "Pastor Angelicus", ma anche altri pastori, che ho avuto la ventura di incontrare e che non capivano sempre granché di quello che succedeva intorno.
C'è un episodio della mia vita di giovane prete, che è rimasto impresso nella mia mente: ricordo ancora oggi la sala, le persone: veniva il vescovo a far la visita in parrocchia (stavo nella parrocchia di San Luca) e c'era un gruppo di giovani universitari, (eravamo negli anni "68 o "69, era un bel gruppo di gente estremamente interessante). Il vescovo fece un lungo discorso, dicendo come lui fosse il pastore, il maestro e il padre di questi poveri "giovinastri ignoranti" (questo non l'aveva detto, l'aggiungo io!). Alla fine, dopo questo lungo discorso, un ragazzo dal fondo della sala alzò la mano , si alzò in piedi e disse: "Eccellenza, è la prima volta che la vedo: io ho altri maestri, altri padri, altri pastori" e si rimise a sedere. L'unica conseguenza che ha ottenuto è che il vescovo ha parlato per altra mezz'ora, per spiegare come lui fosse il pastore, il maestro, il padre di questi "screanzati" che non volevano ammetterlo. Gli "screanzati" hanno continuato a credere di avere altri maestri, altri pastori…
Non solo, cominciavamo ad accorgerci che gli altri, quelli "di fuori", che ci avevano sempre descritto come "briganti", a volte erano migliori di tanti cristiani. Quando studiavo per diventare prete, c'erano molti autori che venivano considerati come "il diavolo": Voltaire era uno di questi, i suoi libri all'indice: guai a leggerli! Avete provato a leggere il "Candide" di Voltaire? È quasi come il Vangelo! Ma sono "ladri e briganti"!
E c'è un'altra cosa: il Vangelo dice che le pecore riconoscono la voce del pastore e seguono solo lui, non seguono gli altri. Con gli occhi sgomenti della mia gioventù, ho visto che in Italia, e soprattutto in Germania, le buone pecore seguivano più Hitler e Mussolini che il Signore. Ed era gente che andava a Messa tutte le Domeniche! Era gente che diceva di leggere il Vangelo! Era gente che faceva la Comunione! E c'erano in mezzo anche preti, vescovi, cardinali, futuri papi: avevano seguito più Hitler che il Signore! Non avevano seguito Voltaire, avevano seguito Hitler!
Allora ho capito che la vita non è così semplice, non è così chiara, non è così luminosa come sembra anche in questa pagina del Vangelo. Per noi è difficile riconoscere la voce del pastore. Qualche volta ci facciamo trasportare dalla massa. Ci hanno insegnato ad essere docili, ci dovevano insegnare a pensare con la nostra testa! Ci dovevano insegnare ad avere il coraggio di cercare con passione la verità, senza fidarci del primo che si proponeva come nostro "pastore". Ce lo aveva detto Lui: "Uno solo è il vostro Maestro, il Cristo!". Abbiamo avuto tanti "pastori", ma spesso come "pifferai magici" ci hanno portato nel precipizio! Eppure facciamo ancora fatica - la faccio io, ma sembra che intorno a me la facciano molti cristiani - a pensare con la propria testa, ad avere il coraggio di cercare con passione quello che è giusto, quello che è vero, a cercare con passione la voce di Gesù che non è mai voce a buon mercato. Non fidatevi di chi dice che è facile: Gesù, i Suoi valori, la Sua luce, la Sua verità, vanno cercati ogni giorno con passione e non è semplice!
Il Signore ci aiuti.
Gli disse Filippo: "Signore, mostraci il Padre V Domenica di Pasqua - 28 Aprile 2002
e ci basta". Gli rispose Gesù: "Da tanto tempo Giovanni 14, 1-12
sono con voi e tu non mi hai conosciuto,
Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre"
Vi dicevo all'inizio che ci sono pagine del Vangelo che, nella nostra esperienza di credenti, sono particolarmente importanti - penso che ciascuno di voi abbia la "sua" pagina di Vangelo - ci sono anche degli episodi che sono particolarmente vivi e incisivi nel nostro cammino di fede. Tra questi ce n'è uno che penso di avervi già raccontato, perché è tra le cose che mi sono rimaste impresse. Eravamo in una stanza, nella palazzina qui accanto, e c'era un gruppo di ragazzi intorno al tavolo. Ho posto la domanda, che ho fatto tantissime volte a gruppi di ragazzi: "Chi è per voi Dio?". E tutti tentavano di dare la loro risposta. L'ultimo della fila era Riccardo, che dice: "A questo punto Dio è la vacca!"
Tutti lo abbiamo guardato con l'aria molto perplessa: "Che vuoi dire, Riccardo?". "Ma, in fondo, siamo come gli Ebrei che, uscendo dall'Egitto, hanno costruito il "vitello d'oro! Ognuno si fa il proprio dio, ognuno si fa la propria immagine di dio. Avete detto tante cose: per uno Dio è una cosa, per un altro è un'altra cosa, poi ancora un'altra: ma chi è veramente Dio?".
Riandate alla vostra esperienza di credenti, di uomini religiosi. Se ponessi a voi la domanda: "Chi è per voi Dio?" cosa rispondereste? Per qualcuno Dio è l'onnipotente. Quando eravamo bambini ci dicevano spesso: "Non si muove foglia che Dio non voglia: tutto dipende da Lui, dalla Sua volontà, Lui può dare la vita e la morte". Dio è l'onnipotente e può custodire e proteggere la tua vita. Ma per qualcun altro, forse, Dio è il "giudice", colui che guarda ogni recesso della nostra vita, ogni angolo nascosto. Una delle immagini che - non soltanto io, ma molti di voi - ci portiamo dietro dalla nostra infanzia, è un grande occhio in un triangolo. Da quest'occhio ci sentivamo scrutati, giudicati e a volte condannati. Per qualcuno, addirittura, Dio è il fondamento dell'intolleranza e dell'integralismo… pensate, che so, alle crociate o ai roghi degli eretici.
Per altri è il Dio severo che castiga, che punisce. Quando è capitato qualche guaio, molti di voi hanno detto: "Che male ho fatto? Perché Dio mi ha mandato questa disgrazia? Che male abbiamo fatto, perché Dio ci tratti così?".
Ecco, vedete, a volte, Dio è l'onnipotente, il custode della vita, colui che muove il sole e le altre stelle; a volte è il giudice severo, a volte è colui che manda castighi, colui che, addirittura, può condannare un uomo all'inferno eterno. Vi siete mai domandati se tutte queste immagini di Dio sono passate attraverso Gesù di Nazareth? Ecco perché la pagina del Vangelo di oggi è stata così importante per me: Filippo dice a Gesù: "Mostraci il Padre e ci basta". E Gesù: "Ma come, Filippo! Chi conosce Me conosce il Padre, da tanto tempo sei con me!".
Ho capito, ad un certo punto della mia vita, che la ricerca del volto di Dio doveva passare attraverso le parole di Gesù, attraverso le Sue parabole, i Suoi gesti, la Sua vita.
Come posso parlare di un dio giudice, che condanna, dopo aver letto la parabola del "Padre misericordioso?". Come posso parlare dell'inferno, dopo aver ascoltato le parabole sulla "Festa di Dio", sul suo "Banchetto di nozze"? O dopo aver ascoltato del padrone che chiama gli operai per la sua vigna, anche all'ultima ora? Come posso parlare di un Dio onnipotente, quando guardo la vita di Gesù di Nazareth, il "falegname", le sue mani callose, quando lo vedo inchiodato sulla Croce con le braccia spalancate fra cielo e terra? E lì intorno tutti dicono: "Se sei Dio, scendi!". Ma non è sceso! Il Dio che conosciamo è un Dio impotente, che ci tende la mani, che ci chiede qualche cosa.
Ecco, allora, che quelle idee di Dio, che ci portiamo dentro e qualche volta ci mettono paura, ansia, che generano sensi di colpa, si stemperano quando cominciamo ad ascoltare il Vangelo, a prendere sul serio Gesù, le Sue parabole, la Sua vita. C'è qualche cristiano, in mezzo a voi, che mi ripete: "Lei, Don Checco, m'ha tolto la paura di Dio". Non so se sia vero, ma è il più bel complimento che si possa fare ad un prete. Non so se sia vero, anzi certamente non è vero, perché non sono certo io che posso togliere la paura di Dio… ma il Vangelo, sì! Chi legge il Vangelo non ha più paura di Dio!
Non si porta più nel cuore, i sensi di colpa. E se per qualcuno di voi qualche parola, che ho detto da qui, lo ha aiutato a togliere un po' di paura, sappia che non sono le mie parole, ma le parole di Gesù: il Vangelo! E soltanto attraverso il Vangelo noi possiamo intuire qualche cosa della Luce di Dio, del Suo volto, della Sua vita, sempre più grande di ogni nostra parola, di ogni nostra immagine. Dio è da cercare con passione, con gratuità, con amore, perché Dio è più grande del nostro cuore, altrimenti, come dice Giovanni, non è Dio!
Il Signore ci aiuti.
"Io pregherò il Padre ed egli vi manderà un altro VI Domenica di Pasqua - 5 maggio 2002
Consolatore perché rimanga con voi per sempre" Giovanni 14, 15-21
Penso che tutti - specialmente chi ha i capelli bianchi - siate d'accordo: ci sono cose che si comprendono, che si arrivano a vedere bene, soltanto con l'esperienza. Quando si è giovani, tante cose non si vedono, non si capiscono bene. Una di queste cose, che mi sembra di aver capito con l'esperienza, riguarda proprio il Vangelo di oggi e lo Spirito Santo.
Avete sentito la promessa di Gesù: "Vi manderò un Consolatore". Hanno tradotto così una parola greca, che qualcuno di voi ha ascoltato in un'altra traduzione e che vi ha, forse, suscitato qualche domanda: "il Paraclito, lo Spirito Santo Paraclito". Cosa significa "Paraclito"? In greco è l'avvocato difensore, o, se volete, uno che sta vicino e suggerisce le parole giuste.
Quando ero giovane mi domandavo: "Perché un avvocato difensore? A che serve?" Poi qualcuno mi diceva: "Come a che serve?! C'è qualcuno che ti deve difendere davanti a Dio, quando Dio ti accusa e magari è pronto a condannarti: allora è bene che ci sia qualcuno a difenderti". Poi ho capito che questa era una sciocchezza, perché il Dio in cui credo non è un giudice pronto a condannare: mi vuole bene, non ha bisogno di qualcuno che mi difenda, non c'è bisogno di un avvocato per questo.
E allora perché un "avvocato difensore"? Poi pian piano l'esperienza mi ha aiutato a capire. Se quello che dice Pietro è vero, cioè che il credente è uno pronto a rendere ragione della speranza che si porta dentro. Ah! Questa speranza ha un gran bisogno di qualcuno che me la difenda dentro. Avrete fatto esperienza anche voi! La nostra speranza è spesso come un "lucignolo che fumiga": man mano che gli anni passano, sembra a volte sul punto di andar via la speranza nel bene, nella giustizia, nell'amore, nella verità. Questo mondo è così complicato, a volte così carico di violenza, di ingiustizia: come è possibile continuare a sperare? Come è possibile conservare dentro la speranza nella vita, nella giustizia, nella gratuità, nell'amore?
Qualche volta ti vien da dire: "Ma nel mondo, c'è solo male! Sembra andar sempre peggio, si stava meglio un tempo.... che speranza posso comunicare ai ragazzi che guardano al futuro? Come posso essere per loro un testimone di speranza, in un mondo così difficile e complicato?"
Ma qualche volta il dramma viene dal fatto che i cristiani, a volte anche i "capi della Chiesa", che dovrebbero comunicarti speranza, sembrano badare più all'immagine, all'esteriorità, al denaro.
Anche recenti esperienze della vita della Chiesa, (pensate al caso dei preti pedofili americani) ha visto le autorità preoccupate della loro immagine, dei soldi che stanno perdendo, più che della drammatica situazione di questi ragazzi e di questi poveri preti, anche loro vittime di una società e di scelte sbagliate. Come puoi conservare la speranza quando hai dei "capi" così? Come puoi conservare la speranza in una Chiesa che sembra preoccuparsi, più della sua immagine, preoccuparsi di mettere a tacere, di nascondere, di coprire, più che di cercare la giustizia e la verità? Come puoi conservare la speranza, quando c'è gente che legge il Vangelo e sembra preoccupata più della propria immagine, dei propri soldi, che dalle persone, dalla gente concreta, fatta di carne e di sangue?
Ma non è solo questo! La speranza, qualche volta, rischia di morirti dentro, non per colpa degli altri, ma per colpa tua, perché ti accorgi di essere pigro e vigliacco. Perché a volte ti vien da dire: "Ma chi me lo fa fare? Perché devo tribolare? Perché devo affrontare delle situazioni difficili? Perché non mi rintano anch'io nel piccolo guscio delle mie tranquillità? Che m'importa della gente? Che m'importa del mondo? Perché lavorare, faticare, tribolare? Perché occuparsi dei ragazzi che hanno la testa dura? Perché continuare a predicare a gente a cui, in fondo, del Vangelo non importa granché?"
Certe volte la stanchezza, la pigrizia ti piglia dentro! Ecco, allora, che c'è un bisogno grande di un "Consolatore", di un "Avvocato difensore", che ti mantenga vivo nel cuore il "sogno" di Gesù: i suoi valori, la speranza, il credere. E se siamo ancora qui... - io son quarant'anni che predico e tante volte ho conosciuto la tentazione di perdere la speranza - è perché, magari senza accorgercene, abbiamo avuto dentro un "Avvocato difensore", qualcuno che ti ha detto: "Ma no! Dove vai lontano dalle parole di Gesù, lontano dai Suoi valori, dai Suoi ideali, dai Suoi sogni?" Se nel mondo non c'è la possibilità di sperare in un briciolo di giustizia, in un po' d'amore, in un po' di gratuità, che senso ha la vita?
Ed ecco allora che ci ritroviamo ogni domenica qui, tentando ancora di credere, di sperare, di cercare, senza avere dentro certezze, senza avere dentro troppe sicurezze, ma cercando di conservare una speranza, di cui tentiamo di rendere ragione - anche questo non è facile - come dice l'apostolo Pietro: con dolcezza e rispetto. Magari tutti i cristiani fossero capaci di avere dentro una speranza e di renderne ragione "con dolcezza e rispetto", senza arroganza, senza intolleranza, senza sentirsi depositari della "verità", ma tentando di essere con le loro parole, ma ancor più con i gesti concreti, testimoni di speranza, testimoni del loro tentativo di credere in Gesù, nei Suoi valori, nei Suoi sogni: per questo ci è donato lo Spirito.
Il Signore ce lo doni ancora.
Quando lo videro, gli si prostrarono ASCENSIONE DEL SIGNORE - 12 Maggio 2002
innanzi, alcuni però dubitavano. Matteo 28, 16-20.
..."Andate dunque e ammaestrate
tutte le nazioni"...
Nelle letture che abbiamo appena ascoltato, facciamo esperienza di quella che ormai amo chiamare "la tenerezza" del Vangelo, nei confronti dei credenti di ogni tempo.
Non so se lo avete notato in questo racconto del Vangelo: siamo proprio alla fine della vita di Gesù, ormai tutto è compiuto su questa terra. I discepoli sono stati con Gesù durante gli anni in cui ha predicato. Lo hanno seguito fin sotto la Croce. Lo hanno visto risorto. Hanno parlato con Lui dopo la Risurrezione: adesso sta per salire al cielo.
Li raduna là sul monte, dove aveva pronunziato il Suo "grande discorso" - almeno, secondo il Vangelo di Matteo - i discepoli si prostrano per adorare Colui che ormai sanno essere il Signore. E qui Matteo annota: alcuni però dubitavano. Perché sottolineare, proprio alla fine, che c'è qualcuno che dubita? Per me, per noi, per tutti i cristiani di ogni tempo, capita di volta in volta di dubitare.
Quando ero ragazzo mi dicevano che il cristiano è uno che crede fermamente e che il dubbio e da scacciare come un cattivo pensiero.
Mi sono accorto... - è stato bello ritrovarlo nel Vangelo - che il dubbio accompagna la fede del credente, giorno per giorno: è il segno della sua debolezza, della sua fragilità.
Ma direi qualche cosa di più: è la sua fortuna! Perché guai à chi non dubita, a chi pensa di sapere tutto, di possedere la verità: rischia di diventare intollerante e di cadere nell'arroganza e nel dogmatismo. Tutto questo, come vedete, lo ritroviamo più volte nel Vangelo e mi meraviglio quando queste cose debbono ricordarcele gli altri, quelli che magari consideriamo "pagani". Oggi chiunque si occupi di studiare, di pensare, in qualunque scienza, ti dice che la prima cosa è dubitare, non accontentarsi mai delle certezze che sembrano raggiunte.
Chi con me ha condiviso l'avventura di leggere il Vangelo in questi lunghi anni, in cui son stato prete, sa che la cosa più preziosa che ci ha accompagnato è stato proprio il desiderio di cercare, la sensazione che c'era ancora molto da capire, la voglia di scoprire qualcosa di nuovo, il desiderio della luce. È cosa importante per il credente! Quindi se qualcuno di voi ogni tanto - l'ho sentito ripetere tante volte in confessionale - dice: "Ho tanti dubbi!" ringrazi il Signore! È la ricchezza della fede avere dubbi: se non avessi dubbi significherebbe o che pensi di essere arrivato e di sapere tutto, o che non te ne importa più niente, che non ti preoccupi più di Gesù, della Sua parola, dei Suoi valori. Se hai un dubbio è perché ti sta a cuore Gesù, è perché vuoi ancora cercare, vuoi ancora scoprire qualche cosa.
E il bello è che queste cose non le dico soltanto io, ma le abbiamo ascoltate proprio adesso nel Vangelo: tutti si prostrano, ma alcuni dubitano. Non se ne vanno! Continuano a cercare. Gesù proprio a chi dubita dice: "Andate, ammaestrate, siate testimoni".
E la stessa cosa dice anche il racconto di Luca, all'inizio degli Atti degli Apostoli: vanno da Gesù e gli dicono: "Signore, è questo il momento in cui ricostruisci il regno d'Israele?". Qui, non solo hanno dubbi, ma addirittura si sbagliano! Ancora non hanno capito quello che Gesù diceva e Gesù, con pazienza: "Non è questo il momento, verrà il tempo della fine. Coraggio! Andate, per il mondo, cercate ancora la luce e tentate di esserne testimoni". Questo è il cristiano! È uno che cerca, che dubita, a volte sbaglia, ma cammina ancora. È uno che non se ne va perché pensa di sapere tutto e non se ne va nemmeno perché non gli importa più niente; se resta è perché ha ancora voglia di cercare, di scoprire.
Se venite qui ogni domenica, è perché ancora cercate di sapere cosa Gesù ci ha lasciato, chi è Lui in mezzo a noi, cosa significa far memoria di Lui.
Il Signore ci aiuti a cercare ancora.
"Molte cose ho ancora da dirvi, ma ora sarebbe Pentecoste - 19 Maggio 2002
troppo per voi. Quando però verrà Lui, lo Spirito Giov.15, 26-27; 16, 12-14
della verità, vi guiderà verso tutta la verità".
Ho voluto leggervi questo brano del Vangelo, perché mi ha colpito la scelta dei ragazzi che hanno preparato la "Veglia" di stasera.
I ragazzi che si preparano per la Cresima, ci invitano stasera alle nove - come accade ormai da tanti anni - a ritrovarci qui in chiesa per la "Veglia di Pentecoste". E loro scelgono le letture: hanno lasciato la prima: il grande racconto della Pentecoste; ma per il Vangelo hanno voluto cambiare, scegliendo questa pagina: significa che si rendono conto che, per i primi cristiani, l'invocazione dello Spirito Santo è ricerca della verità. È sorprendente l'affermazione che il Vangelo mette in bocca a Gesù: "Io non vi ho detto tutto, non potete capire tutto, ci sarà lo Spirito che vi guiderà verso la verità, verso tutta la verità".
Il credente è uno che sa di non possedere la verità, sa che deve sempre cercarla e sa che lo Spirito di Dio è dato proprio agli uomini per portarli sempre "oltre". È bello notare che dei ragazzi sentano il desiderio di non accontentarsi della "verità" raggiunta, è bello vedere che pensino allo Spirito di Dio, come al soffio che spinge gli uomini a cercare e scoprire sempre nuove "verità". È importante perché, spesso, nella storia cristiana si è pensato che la fede sia nemica della ricerca, delle avventure del pensiero umano. Pensate a Galilei o a Darwin o alla psicanalisi o a certe discussioni che si ascoltano, anche oggi, sulla "bioetica": sembra che i cristiani guardino con sospetto tutto quello che è ricerca, studio, scienza.
Il cristiano serio sa che Dio è sempre Colui che spinge l'uomo a cercare, a conoscere. Il credente vede nel cammino della scienza e della conoscenza, in ogni angolo della terra, il soffio dello Spirito nella vita degli uomini.
Dovremmo anzi augurarci che dopo tanti progressi nel campo della tecnica, dopo aver tanto studiato quello che c'è nel corpo dell'uomo - qualcuno di voi avrà fatto una '"Tac", una "risonanza magnetica" - la ricerca scientifica, le risorse dell'uomo si impegnino a studiare quello che c'è nella mente e anche nel cuore dell'uomo, ed è molto più difficile.
E la ricerca della "verità" non riguarda - se ho capito qualcosa - soltanto gli scienziati, che vanno aiutati in tutti i modi. Senza andare lontano, io credo che anche nella nostra esperienza quotidiana, dovremmo sentire questo Spirito che ci spinge a conoscere sempre di più. A conoscere, magari, soltanto chi ci sta accanto, a guardare con stupore, che so, i figli che crescono, a non pensare di sapere tutto su come cresce un figlio o un nipote. Un nipote è sempre un passo avanti a quello che siamo noi, altrimenti non sarebbe un ragazzo che cresce. La mia esperienza, poi, mi dice che ciò che fa durare una coppia è proprio il desiderio di conoscersi sempre di più, il non dare mai le cose per scontate.
E quello che vale per la conoscenza tra di noi, vale anche per la religione: non possiamo pensare che le parole antiche siano sempre le parole giuste. I nostri ragazzi hanno bisogno che li aiutiamo a scoprire sempre meglio quello che c'è nel Vangelo, quello che ci ha detto Gesù.
Come si può riscoprire l'antica verità della fede, usando parole nuove? Inventando, scoprendo, cercando. Non è che abbiamo tutto nella "tradizione", nel Vangelo: c'è sempre qualche cosa di più da scoprire.
Ma forse c è ancora un discorso più radicale: il credente sa che Dio è al di là di ogni parola, c'è sempre un "oltre" verso cui lo Spirito ci spinge. L'oltre, dello stupore di fronte al mistero della vita, di fronte a Dio, di fronte ai valori essenziali.
È bello che i ragazzi sentano che la promessa di Gesù li spinge a cercare una verità, sempre più avanti, sempre oltre; a non contentarsi, a scoprire, a cercare nel futuro sempre più luce!
E non possiamo non rallegrarci di questo. Voi, stasera, non ci sarete, a pregare con i nostri ragazzi, ma dite una preghiera per loro, perché non siano soltanto parole quello che hanno scritto, ma lo Spirito di Dio li spinga sempre a cercare la verità in tutti i campi della vita, perché possano vedere qualche barlume, ma non si contentino mai di quello che hanno scoperto e cerchino sempre l' "oltre", nel loro cuore, nella vita, nel mondo, in Dio.
Il Signore ci aiuti.
"Dio ha tanto amato il mondo da dare il Santissima Trinità - 26 maggio 2002
suo Figlio unigenito, perché chiunque crede Giovanni 3, 16-19
in lui non muoia, ma abbia la vita eterna".
Una delle parole che hanno avuto un peso, un'influenza nella nostra educazione - almeno nella mia - è stata proprio la parola "mistero".
Quando ero ragazzo, dietro questa parola c'era qualche cosa di oscuro: si parlava dei misteri della notte, di persone misteriose, dei misteri dei delitti.... Insomma, sempre qualche cosa legata all'oscurità, a qualche cosa di non chiaro, di non comprensibile. E questa sensazione si accentuava in certe spiegazioni religiose che tentavano di darmi: mi dicevano che nella nostra fede ci sono dei misteri. Quello che capivo allora, era che ci sono delle cose che non si possono comprendere, su cui è bene non fare troppe domande, perché sono più grandi della nostra comprensione. E i misteri della fede, riguardano proprio Dio. Mi dicevano: "Tu non puoi capire Dio, perché Dio è mistero!
Quando eravamo ragazzi, qualcuno cercava di spiegarci, - non è successo solo a me - proprio il mistero della "Trinità": Padre, il Figlio, lo Spirito, tre persone, un solo Dio. E tentavano di parlarci del triangolo e del trifoglio per spiegarci come uno fosse tre e tre uno. Se facevamo qualche domanda in più, ci dicevano: "No, questo è mistero! Tu devi credere e non domandare". Mi sembrava di dover credere, con fede certa, a qualche cosa di oscuro, di non comprensibile, a qualche cosa che non si poteva capire.
Poi, andando avanti, mi sono accorto che, spesso, le persone che mi dicevano che Dio non si può comprendere, che Dio è mistero, sapevano sempre molte cose su Dio e parlavano di Dio in un modo che mi lasciava sempre più perplesso. Dicevano: "Dio ha ordinato questo e proibito quest'altro, Dio ha mandato il castigo là e ha premiato qua". Queste spiegazioni, man mano che mi ponevo delle domande, mi sembravano sempre più insopportabili. Questi cominciavano ad essere, per me, i veri punti oscuri.
"Perché questo è proibito e questo è lecito? Voi dite che l'ha detto Dio, ma quale dio ve l'ha detto? Dove l'avete letto che Dio parla così?" E le cose si complicavano! Finché qualcuno è riuscito a farmi vedere le cose in modo diverso. Mi hanno fatto capire che Dio è al di là delle nostre parole e la parola mistero poteva avere un senso completamente diverso.
Da allora ho cominciato ad amare la parola "mistero". Non è qualche cosa di oscuro, di incomprensibile su cui non val la pena far domande; ma è qualche cosa di talmente luminoso che è sempre oltre la mia ricerca, il mio domandare, il mio pensare. E più domande mi faccio, più tento di avere qualche risposta, più cerco, più mi interrogo, più lascio crescere dentro di me la passione per la luce, per la gratuità, per la bellezza, più mi avvicino a Dio, al Suo "mistero".
Quando credo di essere arrivato e di sapere qualcosa, so che Lui è sempre un passo avanti. E quando credo di sapere cosa Lui ordina o che cosa proibisce, chi premia e chi castiga, mi rendo conto di non aver capito niente, di dover ancora tentare di capire. Chi è giusto, chi ha ragione, chi sbaglia, chi è premiato, chi è sfortunato, chi fortunato nella vita: voi pensate di saperlo? Io no! C'è sempre un passo avanti da fare, c'è sempre un "oltre" da cercare: Dio è veramente più grande del nostro cuore. Ed è bello scoprire che queste cose sono scritte nel Vangelo, nel Nuovo Testamento. Le parole del Vangelo non si contentano mai di una risposta semplice. Sono sempre un invito a spalancare gli occhi davanti a Dio. Dio è la libertà, Dio è la luce, Dio è qualche cosa più grande di ogni parola. Sempre un passo avanti della tua ricerca. E questo passo avanti non è verso l'oscurità, ma verso la Luce.
Ma se volete intuire qualche cosa di quello che, in malo modo, ho tentato di dirvi, stasera, tornando a casa, guardate negli occhi un nipotino, la persona a cui volete bene, un figlio, guardatelo negli occhi: non c'è un mistero dietro quegli occhi, un mistero che è la cosa più bella della vostra vita?
Chi ha conosciuto fino in fondo quello che c'è in un bambino che cresce? In una vita che si sviluppa? Non è una cosa oscura! È qualcosa di straordinario, piena di luce, ma è una cosa che io non posso mai dire di aver compreso fino in fondo: solo un atteggiamento pieno di stupore ci permette se non di capire, almeno di intuire qualcosa del "mistero" di una persona!
Il cuore dell'uomo è sempre più grande del mio ragionamento, di quello che io posso intuire nei suoi occhi: è sempre un passo al di là. È il mistero! Questo è il fascino del camminare insieme. L'un per l'altro siamo mistero! L'un per l'altro siamo qualcosa di luminoso, da scoprire sempre di più. E se do per scontato tutto di chi mi sta vicino, è bene che lo saluti e me ne vada!
Se posso condividere l'amicizia, il camminare ancora, è perché non do niente per scontato, è perché so ancora guardare con occhi stupefatti, perché so ancora cercare della luce nell'altro.
E se questo è vero per il nipotino che mi cresce accanto, quanto più sarà vero per Dio? Lui è la Luce, non l'oscurità. Lui.... non sono quelle parole che s'intrecciano: Una, tre Persone, il trifoglio, il triangolo. Sciocchezze! Lui è il mistero della vita. Lui è la grandezza della gratuità, della luce. Lui è sempre "l'oltre" che io posso cercare, e posso cercarlo - badate - dentro di me, nella natura che mi sta intorno, nella gente che mi cammina accanto, nelle Parole del Vangelo, nei gesti di Gesù, nel Pane che spezziamo: perché, in fondo, Dio nessuno l'ha mai visto. Ne possiamo intuire le "tracce" in tutto quello che c'è di bello, di luminoso, di grande, dentro di noi e intorno a noi.
"Io sono il pane vivo disceso dal cielo, CORPUS DOMINI - 2 giugno 2002
se uno mangia di questo pane vivrà in Giovanni 6, 51-58
eterno e il pane che io darò è la mia
carne per la vita del mondo".
Qualche volta ci capita, - nel nostro ritrovarci insieme a tentare di riflettere sul Vangelo - di ripercorrere il cammino del nostro credere, per vedere cosa è cambiato, nel nostro modo di pensare e di vivere la fede, da quando eravamo ragazzi fino ad ora.
Quando ci guardiamo indietro, misuriamo la distanza da quello che eravamo a quello che siamo e notiamo dei cambiamenti di prospettiva, abbastanza profondi, che si sono verificati pian piano, senza quasi che ce ne rendessimo conto.
Uno di questi cambiamenti riguarda proprio l'Eucarestia. Chi ha i capelli bianchi ricorda: quando eravamo ragazzi tentavano di insegnarci l'importanza dell'Eucarestia, circondandola di regole. Vi ricordate?.... Non si poteva mangiare, né bere un sorso d'acqua; bisognava stare attenti anche a lavarsi i denti. Era un modo per dirci: "È una cosa importante!". In quel mondo queste erano cose serie. E poi ricordate? Prima di andare a far la Comunione occorreva sempre confessarsi...
E ricordate anche le grandi celebrazioni del "Corpus Domini"? Penso che molti di voi hanno partecipato alle processioni: si mettevano i drappi alle finestre, i fiori per terra. In tante parti d'Italia ci sono ancora queste cose… Quindi, tutta una serie di regole, di solennità esteriori, che mettevano in evidenza, l'importanza dell'Eucarestia.
E faceva parte, della nostra educazione alla fede, il tentare di dimostrarci, di farci toccar con mano, che lì c'è veramente il Corpo del Signore. E come tentavano di dircelo? Soprattutto attraverso i prodigi! Quelli del Vangelo: la moltiplicazione dei pani.... E poi, ricordate?... il "miracolo di Bolsena" l'ostia che si apre, il sangue che cola; il "miracolo di Lanciano" l'ostia che diventa una specie di carne viva... qualcuno provava anche... - a me, non è successo, perché ho avuto un'infanzia serena - un senso di disgusto. Ma sembrava, allora, tutto questo molto importante per provare che Gesù è veramente dentro l'ostia.
A quel tempo, se ricordate, tentavano anche di provarci che Dio esiste: abbiamo dovuto studiare le varie prove dell'esistenza di Dio.
Tentavano di provarci, sempre attraverso i miracoli, che Gesù è veramente il figlio di Dio: "Devi credere perché Gesù ha fatto tanti miracoli, ha addirittura risuscitato i morti e poi, il miracolo più grande, ha risuscitato se stesso".
Poi ci siamo accorti... - è un'esperienza che ho condiviso con altre persone - che le cose veramente importanti della vita, non hanno bisogno né di regole, né di prove.
Sono cose che senti dentro! Vi faccio qualche esempio: avete bisogno che si provi la bellezza della natura? Che vi si provi la bellezza di una montagna o del mare quando vi trovate di fronte a un tramonto? E quando vi trovate di fronte a un bel quadro?... Siamo stati mercoledì scorso ad Assisi: gli affreschi di Giotto, la crocifissione di Cimabue: avete bisogno che qualcuno vi provi la loro bellezza? No! Siete lì con gli occhi incantati, sentite che lì c'è qualcosa di bello, di grande.
O, chi ha avuto la fortuna nella vita di amare veramente... avete bisogno di prove? Avete bisogno di un segno? Avete bisogno di un prodigio? O sentite che volete bene! E se qualcuno tenta di provarvi che dovete voler bene, vi mettete a ridere!
Se qualcuno vi dicesse: "Tu devi voler bene a tuo figlio perché è una brava persona, va bene a scuola o perché ha segnato un bel gol". Voi avete diritto di pensare: "Questo è uscito pazzo!"
Le cose grandi della vita non si provano, perché le senti dentro: e se non le senti dentro, ti possono dare tutte le prove che vuoi, ma tu non credi, non vedi, non senti.
O senti dentro la fame di Gesù, senti che Lui è veramente - come dice il Vangelo di oggi - il cibo della tua vita… O hai fame e sete dei valori di Gesù e hai bisogno ancora di nutrirti di Lui, della Sua parola… O senti il bisogno di capire questo segno che Lui ci ha lasciato, di sperimentare qui il dono di Gesù, la gratuità, le cose essenziali della vita… O hai dentro questa fame, oppure, ti possono dare tutte le prove che vuoi, ti possono dare tutte le regole che vuoi, ti possono far confessare mille volte, ma non senti dentro il desiderio di Gesù, la fame dei Suoi valori: prima o poi te ne vai, come se n'è andata tanta gente.
Non c'è festa, non ci sono regole, non ci sono prove che ti mettono dentro un fuoco, una luce, un calore, un desiderio.
Noi ci ritroviamo qui ogni domenica, e spero che la maggior parte di voi non venga qui soltanto per abitudine o perché è un dovere o per paura di andare all'inferno: non ci andate all'inferno se non venite a Messa! Spero che veniate qui perché sentite il desiderio di Gesù, il desiderio di nutrirvi di Lui, della Sua parola, per trovare un segno da portare, poi, nella vita di ogni giorno: questa vita in cui si corre, in cui c'è tanta frenesia, tanti problemi; un segno delle cose che contano, un segno della gratuità, dell'amore, della libertà, della vita condivisa: questo ci tiene qui! Questo ci mette nel cuore il desiderio di Gesù, la fame e la sete di Lui, al di là dei riti, delle regole, delle tradizioni.
Ecco - ce lo siamo detto tante volte - quello che è cambiato nel nostro cammino di fede. Penso che anche a molti di voi sia successa una cosa simile e quindi potete rallegrarvi perché la vostra esperienza è comune a tanti altri. A volte qualcuno ha l'impressione di essere solo a pensare certe cose, a far un certo cammino... State tranquilli! Siamo in tanti, tanti, che al di là delle apparenze cercano qualche cosa di più sostanziale, di più profondo.
Non è sempre facile. Il Signore ci aiuti.
..."Perché il vostro maestro mangia X Domenica del tempo ordinario - 9 Giugno 2002
insieme ai pubblicani e ai peccatori?". Matteo 9, 9-13
Gesù li udì e disse: "Non sono i sani che
hanno bisogno del medico, ma i malati"
Una tavola apparecchiata, intorno alla tavola, gente come noi.
Se volete cercare i peccatori, non guardate lontano, guardate me e, se posso coinvolgervi, guardiamoci tra di noi.
Sappiamo di non essere gente, non dico perfetta, ma nemmeno capace di vivere sempre con generosità, attenzione e amore verso tutti. Sappiamo di avere spesso il cuore pesante. Sappiamo di non essere del tutto giusti.
E qualche volta... a me è successo, ma penso anche a voi... Non vi è mai capitato che un nipote, un figlio, un vicino, dicesse: "Vai in chiesa e ti comporti così? E fai pure la Comunione!" Quante volte ci hanno detto che quelli che vengono in chiesa, a volte, sono più maligni di quelli che stanno fuori! Abbiamo sentito anche noi questo rimprovero, e sappiamo che.... Lo sappiamo vero!?... spesso non avevano ragione, ma qualche volta sì!
E non solo questo!... Qualche volta abbiamo trovato proprio in chiesa chi ci diceva: "Non puoi far la Comunione, questa Tavola non è per te! Prima di far la Comunione, devi purificarti, devi digiunare, far dei sacrifici, devi confessarti".
Avete ascoltato Gesù: "Non son venuto per i giusti, ma per i peccatori; non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati". Non guardate lontano: siamo noi! Ci ritroviamo qui, non perché ci sentiamo migliori degli altri, non perché siamo più buoni degli altri. Ci ritroviamo qui perché abbiamo bisogno che anche a noi, come a Matteo, Gesù dica: "Alzati e cammina, provaci ancora, tenta ancora di mettere nella tua vita tutto quello che puoi di generosità, di altruismo, di bellezza, di dono, di apertura!".
Non servono i sacrifici, i riti, i digiuni, le purificazioni. Conviene avere nel cuore il senso della tenerezza, della misericordia o, come diceva Osea, dell'amore: "Misericordia io voglio e non sacrificio".
Tutte le religioni del mondo sono piene di sacrifici, di riti, di purificazioni, di porte sbarrate, di leggi che bisogna osservare per accedere al Signore.
Gesù, invece, è venuto a testimoniare Dio in mezzo a noi, radunando della gente intorno ad una tavola, inventando di farsi Pane per noi, per nutrirci, per prenderci per mano, per invitarci ad alzarci e camminare, a non rassegnarci alle nostre pigrizie, alle tue nostre vigliaccherie, alle tue nostre chiusure, alle nostre incapacità!
Lui ha inventato di farsi cibo del nostro cammino. Ecco perché, se leggete il Vangelo, trovate tante volte Gesù a tavola a mangiare: a mangiare con la gente come noi. Il Vangelo è nato così: gente che si radunava intorno a una tavola, gente che non si sentiva buona, che spesso era criticata dagli altri, che spesso trovava in mezzo a loro chi riproponeva antichi riti... e la certezza, invece, che in mezzo a loro c'era Gesù. Il Dio in cui Gesù ci permette di credere è al di là dei riti, dei sacrifici, delle tradizioni, delle regole, delle cose che escludono. È il Dio che viene in mezzo a noi per farsi Pane, per prenderci per mano e permetterci di camminare ancora.
Lo faccia anche per noi.
... Questi dodici Gesù li inviò dopo XI Domenica del tempo ordinario - 16 giugno 2002
averli così istruiti: "Non andate fra i Matteo 9,36 - 10,8
pagani e non entrate nelle città dei
Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle
pecore perdute della casa d'Israele"
Ho avuto la fortuna, purtroppo abbastanza rara nella Chiesa di Dio, di incontrare qualcuno che mi ha aiutato a leggere il Vangelo e anche a intuire tra le pieghe del Vangelo i problemi, le situazioni che, forse, aiutano a capire qualche cosa di importante.
Nel Vangelo che abbiamo letto c'è uno di questi problemi, anzi forse il più grosso problema che inquietava i primi cristiani.
Quando il Vangelo è stato scritto, il problema era ormai in gran parte risolto, ma se ne trovano le tracce nel Vangelo, che mostrano le difficoltà che hanno avuto i primi discepoli a capire cosa significava continuare l'opera di Gesù.
Non so se avete notato: Gesù invia i suoi discepoli dicendo: "Non andate tra i pagani, tra i Samaritani; andate soltanto tra le pecore perdute del popolo d'Israele". Qual è il problema? Un problema che i primi cristiani hanno vissuto in maniera drammatica.
Vedete: Gesù è un ebreo, nato in una famiglia ebrea, in un villaggio che era completamente ebreo. Lui, poco dopo la nascita, è stato circonciso, come ogni ebreo maschio. È stato educato nella tradizione ebraica. Faceva parte di questo popolo straordinario che, come avete ascoltato nella prima lettura, era conscio di avere una grande missione: essere un popolo sacerdotale, un popolo testimone, un popolo chiamato dal Signore, un popolo "eletto". A volte, c'è gente che pensa che siano dei presuntuosi, che si sentano "eletti di Dio". Questo è lontano dalla mentalità di un ebreo autentico. Si sentono depositari di una chiamata, di una vocazione, di una missione, a cui è importante rimanere fedeli a tutti i costi. E se ancora oggi ci sono degli ebrei nel mondo, è perché hanno tentato di essere fedeli a questo compito.
Dunque, Gesù apparteneva completamente a questo popolo: fedele alle tradizioni, anche Lui era andato nel Tempio, aveva osservato i riti ebraici, soprattutto la "Pasqua".
Dopo la morte di Gesù, i discepoli, un po' perché spinti dalla persecuzione, un po' perché spinti dal desiderio di annunciare anche altrove il messaggio di Gesù, si sono trovati a confronto con gente che ebrea non era. Prima la gente di Samaria, poi i Greci, i Romani, e là si poneva il problema. Annunziare Gesù significava far diventare anche i Greci, i pagani, i Romani, parte di questo popolo, fedeli alle tradizioni, oppure, quello che era importante era soltanto la fede?
A noi sembra un problema risolto, ma per i primi cristiani non era così! Si scontravano due tendenze. Una dice: "Gesù non è mai andato tra i pagani, è sempre stato - avete sentito nel Vangelo di oggi - tra le pecore perdute della casa di Israele. Adesso perché voi volete andare tra i pagani? Perché volete fare in modo che i pagani diventino cristiani, senza diventare ebrei? Si perde la nostra identità, si perde la nostra tradizione. Voi volete cambiare quello che ha fatto Gesù".
E gli altri rispondevano: "Ma se Gesù fosse andato ad Atene, se fosse stato a Roma, non si sarebbe preoccupato delle tradizioni! Perché non è l'uomo fatto per le tradizioni, ma le tradizioni servono per far crescere l'uomo".
Allora c'era uno scontro, uno scontro che, se ho capito, si ripete spesso nella vita della Chiesa. Alcuni dicono: "Bisogna fare quello che ha fatto Gesù, non bisogna cambiare niente di quello che faceva Lui, bisogna restare fedeli alla tradizione". Altri dicono: "Se Gesù fosse qui, si comporterebbe in modo diverso". Probabilmente anche voi avete vissuto questo problema: "Bisogna fare come hanno fatto i nostri padri, bisogna seguire le tradizioni, bisogna fare quello che s'è sempre fatto". E altri che dicono: "No! Bisogna cercare qualche cosa di nuovo, qualche cosa che sia più vicino alla mentalità, al modo di pensare, al modo di vivere di oggi". E c'è uno scontro…
Spesso chi tenta di inventare qualche cosa di nuovo, si sente dire: "Tu sbagli! Tu fai quello che ti pare!". E tenta di rispondere: "Ma se Gesù fosse qui, cosa farebbe Lui, oggi? Occorre saper distinguere cosa è veramente importante, cosa è essenziale, da ciò che appartiene alle cose che possono, anzi che debbono cambiare nel tempo!".
E badate - se ho capito bene - questo non è un problema che riguarda soltanto la religione, la fede, il rapporto con Gesù: riguarda il rapporto con la vita.
Pensate a dei genitori che dicono: "Bisogna educare i figli così come sono stato educato io". Soprattutto chi ha avuto la fortuna di avere dei genitori particolarmente capaci, bravi e dei quali conserva un ricordo vivo e prezioso, ha la tentazione di dire: "Come hanno fatto loro, così facciamo anche noi!".
Chi ha avuto la fortuna di incontrare nella propria vita un insegnante bravo, se capita anche a lui di insegnare, dice: "Come faceva il mio maestro, così faccio io".
Il problema non è di come "faceva" il mio maestro, non è come "faceva" il mio papà; ma come "avrebbe" fatto il mio papà se fosse qui! E allora vedete che il problema diventa non del papà, ma mio; non del mio maestro, ma mio.
Tentare di capire qui, in questa situazione, cosa lui che avrebbe fatto? Che cosa è importante? E voi lo sapete che se cerco di pensare rischio di sbagliare. Ma non sbaglia soltanto chi cambia. Sbaglia o rischia di sbagliare anche chi non cambia nulla, chi rimane fermo al: "Così si è sempre fatto".
Se noi siamo qui, a Roma, riuniti in una chiesa, è perché i primi cristiani non si sono fermati a quello che aveva fatto Gesù: "Non andate tra i pagani, rimanete tra le pecore perdute della casa d'Israele". Noi siamo qui perché hanno avuto il coraggio di cambiare, hanno avuto il coraggio di pensare: "Cosa avrebbe fatto Gesù?". Non si tratta di fare tutto quello che ha fatto Lui, si tratta di tentare di capire cosa "farebbe" Lui, qui. Non sempre, chi dice di essere fedele alle tradizioni, a quello che s'è sempre fatto, ai riti come si son sempre svolti, è fedele al cuore di Gesù. Ha ripetuto tante volte Gesù: "Non è l'uomo fatto per il Sabato, ma il Sabato è fatto per l'uomo". E se ho capito qualcosa questo è il cuore stesso del Vangelo, il cuore stesso della libertà e della vita; ma non è un cuore semplice.
Il Signore ci aiuti.
..."E non abbiate paura di quelli XII Domenica del tempo ordinario - 23 Giugno 2002
che uccidono il corpo, ma non Matteo 10, 26-33
hanno potere di uccidere l'anima"
Avete ascoltato, riproposto nelle letture, uno dei problemi più antichi e inquietanti della vita degli uomini e anche della vita di chi tenta di credere: perché chi fa il bene, chi è giusto, invece di incontrare il consenso e l'aiuto, incontra, spesso, l'incomprensione della gente, l'ostilità dei potenti, la persecuzione, a volte la morte? Perché succede questo? Geremia, ma anche tanti profeti dell'Antico Testamento e poi Gesù e quasi tutti i discepoli e poi una serie infinita di martiri e, non soltanto nella nostra religione, ma tra i giusti, in ogni angolo della terra, molti, proprio per la loro fedeltà alla giustizia, sono stati perseguitati, a volte uccisi. Perché?
E il problema si complica per chi crede: se "Non c'è un passero che cade senza che Dio lo voglia" perché non solo tanti passeri, ma anche tanti giusti cadono? Dov'è Dio? Perché permette questo? I credenti, hanno cercato di darsi delle risposte che, come spesso accade, sono delle scorciatoie che non risolvono il problema.
Avete ascoltato nelle letture? Geremia parla di una prova: Dio mette alla prova i suoi figli, i giusti. Ma perché Dio mette alla prova i giusti? Perché non ci evita questa prova? Perché tanti martiri? Possiamo credere in un Dio che permette tutto questo?
Ed ecco altre spiegazioni: quelle che i primi cristiani hanno trovato per spiegare perché, addirittura, il figlio di Dio avesse incontrato l'ostilità, la persecuzione e la morte. Hanno parlato di un sacrificio espiatorio: Gesù ha offerto il Suo sangue per scontare i nostri peccati. Ma tutto questo che senso ha? Dio esige il sangue del figlio per perdonare me? A volte ci dicono che la sofferenza è causa di salvezza. Perché per fiorire qualcosa di bello ci deve essere la sofferenza?
Qualche volta, ed è peggio, ci dicono: "Si tribola di qua, ma poi di là al malvagio capiterà - come avete sentito dal profeta Geremia - una sofferenza eterna; il giusto, invece, splenderà nella gloria". Perché bisogna aspettare di là? Perché non di qua?
E queste spiegazioni - se ci pensate attentamente - tolgono spessore alla violenza e al male, se tutto dipende da Dio. "Se non c'è passero che cade senza che Dio lo voglia".... Allora il malvagio può dire: "A me, nel palcoscenico della vita, è affidato il compito di fare il male, perché possa risplendere la gloria del giusto: che colpa ne ho io se tutto dipende da Dio". Ma perde spessore anche il coraggio del giusto! Se lui lo ha fatto perché così era stabilito o per guadagnarsi un premio nell'aldilà, dov'è la sua giustizia? Dov'è il suo coraggio? Dov'è la sua fedeltà?
Non domandatemi: "Ma tu ce l'hai una risposta?". "Non ce l'ho!".
Ci sono, secondo me, due strade importanti che tutti dobbiamo ancora percorrere. La prima: continuare a cercare quello che c'è nel cuore dell'uomo - e badate - non in quello di uomini lontani, perché il primo problema del giusto è l'incomprensione nostra. Nella mia vita molti giusti hanno sofferto senza che io me ne accorgessi. Nel secolo scorso, abbiamo vissuto il dramma di milioni di persone uccise nelle camere a gas, tra l'indifferenza di tutti: papi, vescovi, cristiani, gente che andava a Messa ogni domenica! Abbiamo lasciato che tutto si compisse senza essere capaci di intervenire. Perché questa indifferenza? E perché tanta violenza? Da dove viene? Che c'è nel cuore dell'uomo? È importante che continuiamo a cercare tutto questo!
Ed è anche importante che continuiamo a far memoria dei martiri! I primi cristiani non conoscevano santi, conoscevano martiri e sulla tomba dei martiri costruivano le chiese. Oggi ci siamo dimenticati dei martiri! I martiri del nostro tempo spesso non compaiono nell'elenco dei santi!
Non vi sembra che si corrompa la religione, quando molti conservano nel portafoglio o sul cruscotto della macchina immagini di personaggi mitici, così come si tiene un cornetto rosso?!
Il vero santo è il giusto fedele a Dio! E se qualcuno per questa giustizia muore ammazzato, è bene che ne conserviamo la memoria! E badate, anche a noi tocca fare il bene anche quando è difficile, non solo quando è facile. Non è semplice capire tutto questo!
Il Signore ci aiuti.
"Ho combattuto la buona battaglia, ho SS. PIETRO E PAOLO - 29 giugno 2002
terminato la mia corsa, ho conservato 2Timoteo 4,6-8.17-18 - Matteo 16,13-19
la fede".
"Tu sei Pietro e su questa pietra
edificherò la mia chiesa".
Nei giorni passati, mi è capitato di riflettere - una volta con un amico sacerdote, un paio di volte con dei cristiani di tutti i giorni - sulla nostra esperienza con i santi.
Forse, corrisponde anche all'esperienza di qualcuno di voi.
Ci sono dei santi che, nella nostra esperienza religiosa, sono legati alla protezione. Pensate a S. Antonio di Padova: quando ero bambino, se si perdeva qualcosa, mi dicevano di dire tre "Gloria" in onore di S. Antonio e l'avrei ritrovata. Mia mamma invocava S. Barbara e S. Elisabetta, quando scoppiava un temporale. Occorreva invocare S. Lucia per la protezione degli occhi. Oppure, quando una grazia era difficile bisognava ricorrere a S. Rita "la santa degli impossibili". Quando andavo in campagna, nelle stalle c'era sempre l'immagine di S. Antonio abate, quello col porcello.
Di questi santi ci raccontavano tutti i miracoli, i prodigi che avevano fatto durante la vita. E alcuni di loro erano legati a degli strani riti. Anche qui in chiesa, ogni tanto, capita di trovare un foglietto. Qualcuno deve scrivere quindici o trenta volte un'invocazione.... Poi portarlo in chiesa per vari giorni di seguito. E in genere vi trovate il nome di S. Antonio, oppure di S. Rita. Ci sono dei santi che sfuggono a tutto questo. Per esempio: un foglietto con le preghiere a S. Francesco, non l'abbiamo mai trovato e di S. Francesco voi non conoscete tanto i miracoli, quanto i suoi racconti simbolici: l'incontro con il lupo, con il lebbroso, il suo spogliarsi degli abiti nella piazza del paese, l'incontro con suo padre e quant'altro...
E la stessa cosa - ecco perché vi ho fatto questo discorso - succede nella mia esperienza di fede, con gli apostoli Pietro e Paolo.
Credo che nessuno di voi conosca miracoli fatti da S. Pietro e nessuno di voi si sia rivolto a S. Pietro per invocare la protezione per qualcosa. E la stessa cosa accade per S. Paolo. Anzi, a leggere il Vangelo, di S. Pietro più che i suoi prodigi ci raccontano i suoi momenti di debolezza, il suo non capire fino in fondo Gesù, addirittura, il suo rinnegare il Signore nell'orto degli ulivi.
E gli Atti degli Apostoli, di Paolo raccontano il suo coraggio nel cercare il Signore, la sua fede, qualche volta, le sue incomprensioni, le durezze del suo carattere, i momenti di sconforto, anche la sua disperazione: la vita di tutti i giorni, che è simile alla nostra vita, e il tentativo di cercare il Signore: a volte ci riesce di capirlo, a volte meno.
Il tentativo di credere a volte è semplice, a volte un po' più complicato, anche a noi è successo, come a Pietro, di rinnegare se non a parole, nei fatti, Gesù e i suoi valori.
Allora mi veniva di riflettere che ci sono due categorie di santi, una preposta alla protezione: si invocano quando c'è bisogno, si portano le loro immagini nel portafogli o sul cruscotto della macchina, come portafortuna. E ci sono altri santi che sono, invece, testimoni di fede. Attraverso la loro vita, qualche volta attraverso le loro debolezze, ci insegnano qualcosa: ci aiutano a scoprire i valori di Gesù, ci aiutano a conservare la fede.
Credo che ogni cristiano debba scegliere quali sono i suoi "santi" preferiti.
La lunga storia della mia vita, mi ha insegnato che i santi della prima categoria, quelli che usi come protezione, qualche volta funzionano, ma il più delle volte, no!
Ho invocato tante volte S. Antonio per ritrovare qualcosa, ma non è successo. Ho invocato S. Rita nelle grazie "impossibili", ma se erano veramente impossibili, non si realizzavano.
Invece, altri santi: S. Francesco, Pietro, Paolo, qualche cosa mi hanno insegnato. Mi hanno insegnato ad andare avanti nella vita tentando di conservare la Fede, tentando di continuare a credere in Gesù, a credere nella vita e nell'amore e credo che questo sia la cosa più importante.
Il Signore ci aiuti.
"...Chi non prende la sua croce XIII Domenica del tempo ordinario - 30 giugno 2002
e non mi segue, non è degno di me" Matteo 10, 37-42
Penso sarete d'accordo anche voi: la pagina che abbiamo letto è piuttosto complessa, per spiegare solo qualche frase ci vorrebbe parecchio tempo. In questi casi conviene fermarsi su una piccola riflessione che, forse, per qualcuno di voi può essere importante
Il Vangelo di oggi parla di "prender su la croce". "Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me".
Questa frase può essere semplice: penso che faccia parte della nostra esperienza di tutti i giorni. Capita, qualche volta, un malanno o nella propria persona o in chi ci sta accanto e bisogna prendere su la croce e armarsi di tanta pazienza.
A volte, il problema è più grosso: capita a un'insegnante di trovarsi in una classe difficile e per rimanere fedele alla propria missione, deve armarsi di tanto coraggio e pazienza, affrontare difficoltà non piccole.
Alle volte capita a un giudice, a una persona che si sforza di portare avanti la giustizia: rimanere fedeli significa esporsi a dei pericoli, a dei rischi, significa andare incontro a delle difficoltà, a volte a delle incomprensioni, a delle sofferenze, a volte, addirittura, alla morte: tutto questo fa parte della nostra esperienza.
Ma dietro quelle frasi ci sono altre cose della nostra religione che ci lasciano perplessi. A volte troviamo l'esaltazione di personaggi che hanno avuto le "stimmate", un segno della croce del Signore.
Vi siete mai chiesti: "Che senso ha? Perché?". Allora vi dicono: "Perché si vuole imitare Gesù!" Ma perché Gesù lo si deve imitare nella sofferenza? Non sarebbe saggio imitarlo nelle opere buone che ha fatto? Perché esaltare le "stimmate"? Non c'è il rischio di esaltare la sofferenza? Non c'è il rischio di pensare, come pensano molti cristiani, che soltanto quello che costa sacrificio è buono? O peggio, che il dolore sia gradito a Dio? C'è qualche cosa di più insensato del pensare che il dolore sia gradito a Dio! In che Dio crediamo? In Colui che ama la sofferenza, il sangue, il dolore? Il dolore per il dolore: perché uno che ha nelle mani le "stimmate", non giova a nessuno; non sarebbe meglio che si curasse?! Che messaggio mi da? Il messaggio della sofferenza insensata, del dolore salvifico, del dolore che va accettato perché, in qualche modo, porta del bene?
Questa mentalità a volte così radicata in certi ambienti cristiani porta conseguenze! L'Italia sembra essere l'ultimo tra paesi europei ad attuare la "terapia del dolore". In molti ospedali non si pratica l'anestesia epidurale, che eviterebbe inutili sofferenze del parto.
Che senso ha esaltare il dolore? Che senso ha esaltare la sofferenza? Perché la sofferenza è salvifica?
Vi ho detto che la croce, a volte, attraversa la nostra vita e non possiamo che prenderla su. Ci sono anche in mezzo a voi, persone che tribolano ogni giorno, o per stare dietro a dei genitori anziani, malati, qualche volta perdono anche il senno: che fai tu lì? Devi armarti di coraggio e prendere su la croce e portarla con tutta la fedeltà e l'amore di cui sei capace. Qualche volta è ancora più dolorosa perché è un figlio che prende una strada sbagliata... qualche volta è un figlio che si ammala... qualche volta è la classe della scuola... qualche volta è la società. Tutto questo, non solo è comprensibile, ma dovrebbe essere esaltato. Esaltato chiunque tenta di fare il bene, non quando è facile, ma anche quando costa, quando è difficile.
Tutto questo, credo, sia gradito al Signore. Ma la sofferenza inutile è insensata! Pensare che la sofferenza sia buona, o pensare, ed è peggio, che se non triboli non fai il bene.
Ho incontrato, tante volte, della gente che andava all'ospedale a dare una mano e, magari, tornavano a casa contenti di aver fatto un po' di bene per aver dato, come dice il Vangelo di oggi "un bicchiere d'acqua. E ho sentito delle persone venirmi a dire: "Padre, chissà, forse non l'ho fatto per fare un servizio, ma l'ho fatto perché mi faceva piacere". E se hai fatto un servizio e in più ti ha fatto pure piacere non dovresti cantare la gloria del Signore? Perche il piacere dovrebbe sembrarti sospetto? Perché a Dio deve essere gradito solo quello che ti fa soffrire? In che Dio crediamo? Nel Dio della sofferenza, del dolore, della penitenza?
Ecco, quando sentite parlare di qualcuno che ha le "stimmate" cominciate a chiedervi: "Ma che vor dì? Ma perché ce dicono 'ste cose? Che c'è dietro? Perché ce vonno fa soffrì quando non ce n'è bisogno? La vita non è già sufficientemente piena di sofferenze da accettare con coraggio e dedizione che ce dovemo annà a pià pure quelle inutili?!"
E poi sappiate: "stimmate" ce ne sono in tutte le religioni del mondo, perché c'è sempre qualcuno che pensa che il dolore sia una cosa bella e buona.
Il dolore, a volte, è una cosa necessaria, ma non è mai bella e buona per quello che io ho capito! Va sempre combattuto con tutta la passione del cuore dell'uomo, con tutti gli strumenti che la nostra mente, le nostre capacità, il nostro cuore ci mettono a disposizione.
Non è semplice, ma ci dovremmo almeno provare.
"Ti benedico, o Padre, perché hai tenute XIV Domenica del tempo ordinario - 7 luglio 2002
nascoste queste cose ai sapienti e agli Matteo 11, 25-30
intelligenti e le hai rivelate ai piccoli....
Venite a me, voi tutti, che siete affaticati
e oppressi e io vi ristorerò".
Ci sono, credo, nei più profondi rapporti umani dei momenti magici: ci sono in un rapporto di amicizia, soprattutto in un rapporto d'amore, dei momenti in cui ti sembra di scoprire fino in fondo chi è l'altro per te, qual è il senso del camminare insieme, ci sono dei momenti magici anche in un rapporto di fede.
Credo che questa pagina del Vangelo corrisponda a un momento magico del rapporto tra Gesù e i discepoli. Non mi è difficile pensarlo, perché sono convinto di aver vissuto più volte momenti magici, in cui mi è sembrato di intuire chi sia Gesù per me, di sentirlo vicino nel cammino della mia vita, di scoprire il cuore della mia fede.
Se ripenso al mio cammino di credente ricordo i momenti in cui, con un gruppo di giovani, c'eravamo posti - forse per la prima volta nella mia vita - davanti al Vangelo e avevamo pian piano scoperto che potevamo conoscere Dio in Gesù di Nazaret: al di là delle rispostine del catechismo che avevamo imparato anche noi, al di là delle tante parole che avevamo sentito su Dio, sulla sua onnipotenza, sulla sua grandezza, sul motore immobile che ha creato e mosso il mondo, scoprivamo insieme che potevamo intuire qualche cosa di Dio in Gesù, nei suoi gesti, nelle sue parole, nella sua vita.
E altri momenti magici li ho vissuti quando ho scoperto, attraverso le parole di Gesù, che coloro che pensavano di saper tutto, i "sapienti e gli intelligenti" che ho incontrato e incontro ancora nella mia vita, non avevano ragione: avevano ragione i piccoli, le persone dal cuore semplice, che invitano a camminare, a cercare, che sostengono il tuo dubbio, che ti pongono domande più che risposte, che non sanno con sicurezza chi è Dio, cosa vuole, dove punisce, dove premia, dove aiuta o dove non aiuta. E mi sono sentito, in certi momenti della mia vita, compagno di strada dei geni che ho incontrato, perché ho incontrato delle persone con una intelligenza infinitamente superiore alla mia che non mi hanno mai fatto sentire il peso della loro intelligenza, che non pensavano certo di sapere tutto, che non hanno certo una risposta per ogni domanda, ma ti pongono domande, ti aiutano a cercare. E il genio - questa è la cosa straordinaria - lo trovi compagno di strada dell'ignorante, del semplice.
Io ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia, in cui il papà aveva fatto la quinta elementare, la mamma soltanto la terza, di aver avuto parenti che appartengono al mondo contadino: gente che non ha studiato, ma che aveva delle intuizioni della vita e del Vangelo così profonde e straordinarie che mi hanno aiutato a crescere. Anche loro non avevano risposte per tutto, anche loro non avevano la sensazione di sapere ogni cosa, anche loro ti comunicavano il senso della gratuità del cammino, della voglia di cercare ancora. Compagno di strada di geni o di gente di tutti i giorni, di gente semplice, di contadini; di gente che però aveva il cuore limpido, che continuava a cercare senza pretendere di impormi il loro modo di vedere sulla vita, sul mondo e su Dio.
E ci sono stati altri momenti in cui mi trovavo con il cuore pesante , affaticato e magari avevo davanti a me gente che voleva mettermi un carico sulle spalle, gente che puntava il dito, che voleva farmi sentire in colpa; e la bellezza di trovare in Gesù queste parole straordinarie: "Venite a me voi che siete affaticati e oppressi, prendete il mio carico su di voi, il mio cuore è mite…", non condanna, non punta il dito, non mette carichi pesanti, ti mette la mano sulla spalla e ti invita a camminare. Sono i momenti forti della mia vita di credente, ecco perché ritengo che questa pagina del Vangelo sia straordinaria e vi consiglio di rileggerla, di portarvela nel cuore, perché vi difenderà sempre da tutti i prepotenti che ci sono anche nella nostra religione; li incontrate quasi ogni giorno quando aprite la radio o la televisione: gente che vi fa sentire in colpa, che vi punta il dito contro, gente che pensa di sapere tutto, gente che sa sempre chi è Dio, gente che non ha mai un dubbio, gente che crede che essere cristiani significa avere una risposta e una parola su tutto. Io qualche volta mi sgomento, quando apro la radio e sento certi cristiani, anche certi vescovi, in Italia, parlare: parlano su tutto, sanno sempre tutto di tutto, non gli viene mai il dubbio che siano degli imbecilli.
Il Vangelo ci dice che Dio si rivela ai piccoli, ai semplici, a coloro che di dubbi se ne portano dentro tanti, a coloro che ti invitano a cercare. E questi semplici - guardatevi intorno - io li ho trovati in bambini, in persone anziane, in gente con i capelli bianchi; li ho trovati in persone straordinariamente intelligenti e in gente che non aveva nessuna cultura, gente dal cuore semplice che ti invita a camminare e a cercare, che non pretende mai di importi il suo modo di vedere, le proprie idee, che non ha risposte per tutto, ma che ti invita ad avere fiducia nella vita, in Dio, nel futuro, nel bene. Ecco perché ritengo queste parole straordinarie; e spero che, come le porto io nel cuore, le portiate tutti voi.
"Ecco, il seminatore uscì a seminare… XV Domenica del tempo ordinario - 14 luglio 2002
Matteo 13, 1-23
Vi siete mai soffermati a chiedervi, davanti a una persona a cui volete bene, a un figlio, a un amico: chissà cosa starà pensando in questo momento? È difficile tentare di entrare nella mente di un altra persona, anche di una persona che conosciamo. Ancora più difficile entrare nella mente di Gesù. Come sarà nata nel Suo cuore questa parabola? Possiamo tentare con la fantasia: provate a mettervi davanti a Gesù e chiedervi: "Che starà pensando? Cosa gli passerà per la mente?".
Provate a immaginare: una sera di tanto tempo fa, Gesù seduto là sulla collina in una giornata un po' triste, piovigginosa... I suoi discepoli sono saliti sulla barca e si allontanano per pescare come fanno ogni sera: debbono lavorare tutta la notte e Lui lì, guarda la barca che s'allontana... Guardatelo un momento! Il volto serio, triste. Forse pensa: "Chi me lo ha fatto fare a lasciare Nazareth, i miei attrezzi, la mia bottega, gli aratri, le ruote: era un mestiere che conoscevo bene, invece son venuto qui a parlare a questa gente. Anche i discepoli fanno fatica a capire: parlo, parlo e sembra che non capiscano. Sono mesi ormai che tento di comunicare loro qualche cosa... come un seminatore che sparge il suo seme sulla terra, ma loro hanno la testa dura, sembra che le mie parole non le ascoltino, e non rimanga niente".
A un certo punto gli cade l'occhio su un seminatore che là, su un campo vicino, sta spargendo il suo seme e vede il seme cadere, in parte, tra le pietre - la terra della Palestina è una terra povera, come tante terre del nostro Appennino: ci sono tanti sassi, tante spine - e vede quest'uomo che va avanti e indietro lungo i magri solchi, spargendo il suo seme con fiducia. E a Gesù viene in mente: E se io fossi come lui? Se anche a me toccasse di continuare a seminare e, chissà, che nel cuore anche di quei discepoli, rimanga qualcosa! La mia parola, il mio seme, forse, un giorno porterà frutto, chissà?!... Forse anch'io vedrò la grande festa della mietitura: trenta, sessanta, cento volte addirittura, per ogni chicco di grano: è quasi impossibile! Non posso tornare a Nazaret: è importante che continui a seminare nel cuore di questa gente i semi: i semi della giustizia, i semi della ricerca di Dio, i semi della libertà, i semi della passione per la vita. Adesso, forse, sono come quel contadino: il seme sembra che si perda, sembra che non porti frutto, ma poi, forse, un giorno!"...
Quei pescatori hanno avuto il coraggio di testimoniare la loro fedeltà a Gesù, la loro passione per la vita fino a rimetterci la propria vita. Pietro è morto qui a Roma, lui, il discepolo dalla testa dura, quello che sembra sempre non capire niente, è rimasto fedele fino in fondo.
E se noi siamo qui è perché quei semi hanno portato e continuano a portare frutto. Gesù non è tornato a casa, alle sue ruote, ai suoi aratri, ai suoi arnesi di falegname, ma ha continuato a parlare, ha continuato a seminare senza scoraggiarsi… come avete fatto voi!
Papà, mamme che avete tentato di comunicare ai figli qualcosa, anche quando sembrava che le vostre parole fossero perdute. Come hanno fatto e fanno i nonni che tentano di comunicare ai nipoti qualche valore, un po' di passione per la vita.
A volte, i nipoti sembrano andarsene per tutt'altra strada, sembrano come terra arida, dura: chissà se quando i vostri occhi saranno chiusi e quei bambini diventeranno adulti, non tenteranno anche loro di passare, a chi viene dopo, un po' dei vostri semi? Come ha fatto Gesù! Il coraggio di continuare a seminare senza stancarsi. Anche certi insegnanti… e, se posso dirvi, anche certi preti... io sono ormai, quarantadue anni che continuo a spargere, anche da qui, qualche seme e, a volte, ho l'impressione che non resti niente, che tutto vada perduto; chissà che nel cuore di qualcuno, anche di quei ragazzi che son passati qui e adesso non ci sono più, sia rimasto qualche seme?... Il coraggio del seme, la fiducia nel seme, la convinzione che se quei valori che tenti di comunicare sono validi, qualcosa resta. Qualche volta vorremmo vedere subito i risultati; invece bisogna aspettare, bisogna aspettare la mietitura. Il seme cresce lentamente. A volte chiudi gli occhi e non l'hai visto fiorire, ma qualcosa resta: altrimenti non saremmo qui.
Restano i semi di Gesù e chissà che non restino anche i nostri semi! Il Signore ci aiuti.
...E i servi gli dissero: "Vuoi dunque che XVI Domenica del tempo ordinario - 21 luglio 2002
andiamo a raccoglierla? "No, rispose, Matteo 13, 24-43
perché non succeda che, cogliendo la
zizzania, con essa sradichiate anche
il grano
Vi è mai venuto il dubbio che un uomo religioso o un uomo che crede in qualche cosa di importante, può essere tollerante soltanto se non ci crede abbastanza? Vi è mai venuto il dubbio che a noi è permesso di criticare - che so - le Crociate, oppure, l'Inquisizione, soltanto perché non crediamo fino in fondo nei valori della nostra fede?
A me questo dubbio è venuto: non solo, ma queste cose, qualche volta, mi è capitato di trovarle scritte e di sentirmi ripetere da qualche amico che possiamo essere tolleranti soltanto perché siamo diventati settici. E questo mi ha costretto a pensare, a riflettere, ed ho potuto trovare - questa è stata la fortuna della mia vita - il conforto nel Vangelo.
Avete ascoltato anche oggi parabole che parlano di tolleranza: i servi vogliono andare a strappare la "zizzania". Gesù dice: "Aspettate!". "Il rischio è di strappare insieme alla "zizzania" anche il "buon seme".
E chi ripercorre la storia religiosa, anche della nostra fede, sa che ogni volta che si è acceso un "rogo", che si è condannato qualcuno, si è, quasi sempre, condannata la persona sbagliata! Si è tentato di strappare il seme che spuntava, il seme del futuro, il seme della verità. E allora, pian piano, mi è sembrato di capire fino in fondo qual'è il problema.
L'intolleranza non viene dal credere, ma dalla paura! Dalla paura di perdere la propria identità, le proprie parole, le proprie abitudini, i propri riti. L'intolleranza viene dall'identificarsi per contrasto, dal vedere nell'altro il nemico che ti rassicura nelle tue posizioni. Chi crede veramente nei valori, chi crede veramente in Dio: crede prima di tutto nell'uomo! E crede che qualunque uomo, anche il più disgraziato, può avere un barlume, un qualcosa dentro che possa fiorire!
Chi crede veramente, crede nel piccoli "semi", crede nel "lievito", crede nella speranza che ci può essere in qualunque persona. E non puoi mai pensare di strappare questa speranza, pensando di strappare la "zizzania". Rischi di strappare il "buon grano" quel piccolo seme che, forse, un giorno porterà "frutto".
Se leggete il Vangelo - dalla prima parola fino all'ultima - vedete che Gesù, anche se crede fino in fondo nei valori che è venuto a testimoniare in mezzo a noi, non ha mai puntato il dito contro un uomo! Non ha mai condannato nessuno! Ha sempre conservato la speranza che le Sue parole, che apparivano come un seme piccolissimo, come un po' di lievito, un giorno potessero fermentare e portare frutto.
E dunque: se qualche volta sentite dentro di voi che certe parole - le sentite ripetere anche oggi, non soltanto nelle religioni lontane, ma anche nella nostra, - sono frutto di fede: riflettete! Sono frutto di paura! Paura di perdere qualche cosa. Si pensa di difendere Dio e in fondo si difende soltanto se stessi: le proprie idee, le proprie abitudini e qualche volta, il proprio potere.
Chi punta il dito contro un uomo, chi vede nell'altro un nemico, ha paura di perdere qualcosa. La paura è il contrario della fede! Chi ha fede ha fede nell'uomo, ha speranza che anche nell'uomo che sembra lontano mille miglia, che sembra un nemico, possa spuntare la luce.
So che non è semplice: la vita è complicata, ma la complicazione, spesso, viene dalla paura, dalla voglia di sopraffare l'altro, dalla voglia di difendere qualche cosa e non ci accorgiamo che difendiamo noi stessi e i nostri pregiudizi, qualche volta, il nostro "potere".
Gesù non aveva bisogno di difendere nulla: voleva bene sul serio alla gente che aveva davanti e conservava fino in fondo la speranza che il Suo seme potesse fiorire.
Anche i nostri semi possono fiorire, con pazienza e soprattutto nel rispetto di chi la pensa diversamente da noi.
Il Signore ci aiuti.
"Se qualcuno vuol venire dietro XXII Domenica del tempo ordinario - 1 settembre 2002
a me rinneghi se stesso, prenda Matteo 16, 21-27
la sua croce e mi segua".
Mi capitava, qualche giorno fa, di leggere qualche parola di un libro di Norberto Bobbio, uno dei grandi patriarchi del nostro paese e spero che più d'uno di voi abbia letto qualche sua pagina. Ve ne leggo qualche riga, perché mi faceva riflettere sul Vangelo di oggi: "Però il momento dell'azione, il momento del sacrificio di se stessi, della propria vita, dell'abbandono di tutti gli interessi mondani per dedicarsi completamente agli altri che soffrono, al malato, lo vedo in persone che hanno un'ispirazione religiosa. Un conto è essere buoni, anche caritatevoli, un conto è la dedizione totale all'altro, dedicare tutta la vita all'altro. Io sento una certa deficienza nel fatto di non essere religioso, perché vedo che le persone religiose, indubbiamente, hanno qualcosa più di me. Si tratta forse di egoismo?"
Perdere la vita, donarsi totalmente, ecco quello che uno che dice di non credere riconosce in un credente. Forse non in tutti i credenti! E lui sente di non avere questa dedizione, forse - dice - perché non è un uomo religioso.
Prima considerazione da fare è rallegrarsi perché è una persona - per questo lo ritengo un grande patriarca - che sa riconoscere i valori degli altri, che sa apprezzare quello che c'è in chi sente diverso da sé: è la radice del dialogo!
Lui pensa di non essere credente e apprezza nei credenti questa capacità di dedizione totale, che è poi seguire Gesù ad ascoltare il Vangelo di oggi.
Ma noi che siamo qui, dopo esserci rallegrati perché qualcuno che non è credente sa apprezzare dei valori in chi crede; noi che siamo credenti dobbiamo interrogarci sul senso di queste parole: vorrei perciò proporvi qualche considerazione.
La prima, semplice: ho incontrato nella mia vita delle persone che credenti non erano, ma capaci di grande dedizione.
Ricambiamo così Bobbio: anche noi che siamo credenti, vediamo in chi non è credente, dei valori; a volte dei valori molto profondi, a volte una capacità di dedizione che mi ha spesso meravigliato.
Ho incontrato, per mia fortuna, tante persone non credenti che erano migliori di me.
La seconda considerazione è questa: Bobbio parla in altre pagine di questo libro, di chi è capace di lasciare tutto, di partire, magari per terre lontane: parla di missionari che vanno ad aiutare persone sconosciute e che dedicano tutta la loro vita agli altri. È solo questo seguire il Signore? Non c'è l'eroismo del quotidiano, della vita di tutti i giorni!
Bobbio, che ha dedicato la sua vita a studiare, a insegnare, a educare, non è, forse, uno che ha dedicato la sua vita agli altri?
Ho parlato dell'eroismo del quotidiano, ma forse la parola "eroismo" non è la parola giusta: è la "banalità" del quotidiano, è la vita di ogni giorno, è il servizio semplice, piccolo di chi non abbandona la casa, non parte per terre lontane, ma chi sa mettere nella banalità di ogni giorno, nelle cose semplici della vita quotidiana, tanta gratuità e tanta tenerezza. Non è anche questo donare la vita?
Insomma: il cuore della nostra fede è il sacrificio o l'amore? È il "lasciar tutto", o la tenerezza e la gratuità del quotidiano dono di sé a chi ci vive accanto?
E vorrei farvi un'altra considerazione: dobbiamo essere attenti noi uomini religiosi perché, a volte, dietro la richiesta del sacrificio di sé, del dono totale, si nasconde la violenza e l'integralismo. Si nasconde la volontà di un uomo di prendere possesso del cuore e della vita di un altro uomo e questo, per quello che ho capito io, è il più grande peccato che si possa fare sulla terra. E non pensate soltanto a dei giovani che si riempiono di tritolo e vanno a farsi esplodere in mezzo ad altra gente; pensiamo al nostro fanatismo. Nella mia vita ho incontrato tanti giovani che si son lasciati "impapocchiare" da qualche santone, da qualche figura carismatica che li invitava a lasciare... a disprezzare i propri genitori, la propria famiglia, la loro stessa vita per seguire… non il Signore ma loro"
Purtroppo, nella vita religiosa, anche nella nostra chiesa, a volte il fanatismo, a volte la voglia di qualcuno di dominare un altro, viene scambiato per dedizione, per spirito di ubbidienza, per fedeltà: non ha niente a che spartire!.....
Noi siamo fedeli a Dio, a Gesù, ai Suoi valori, all'amore di ogni giorno; non a chi vuole imporci la sua personalità e le sue idee.
Nessuno sulla terra ha diritto di impossessarsi dei nostro cuore. Nessuno ha diritto di fare di noi dei fanatici. Nessuno ha il diritto di chiederci di sacrificare la propria vita per lui.
La vita si può soltanto sacrificare all'amore, all'amore nel quotidiano per la gente che abbiamo intorno, ciascuno secondo le sue inclinazioni, il suo genio, le circostanze concrete della vita.
C'è chi di noi è chiamato ad andare in terre lontane, sperando che si comporti sempre da persona tenera e gratuita. C'è invece chi è chiamato a donare la vita intorno a sé, ai propri figli, alla propria famiglia.
Quello che conta non è il sacrificio. Quello che conta è l'amore, la gratuità, la tenerezza e nella vita di molti di voi ce n'è molta. Quindi possiamo ricambiare l'elogio di Bobbio, fatto a noi "credenti". Noi lo facciamo ai "non credenti" e io lo faccio volentieri a molti di voi che nel quotidiano sanno vivere la tenerezza.
Il Signore ci aiuti.
"Figlio dell'uomo, io ti ho costituito XXIII Domenica del tempo ordinario - 8 Settembre 2002
come sentinella per gli Israeliti…". Ezechiele 33, 7-9 - Matteo 18, 15-20
"Se il tuo fratello commette una colpa,
vai e ammoniscilo...".
Come ormai sapete tutti, è giunta per me l'ora della pensione: quindi sabato e domenica prossima sarà l'occasione per il saluto finale.
In questa occasione qualcuno ha pensato di raccogliere alcune delle prediche che ho fatto in questi anni e farne un libro, che sarà possibile prendere sabato, come un ricordo. È un modo per ricordare qualche cosa di questi lunghi anni.
Ho pensato, quest'estate, di portare con me qualche copia e di darla a qualcuno dei miei parenti, che vivono in un ambiente molto diverso dal nostro.
Un mio cugino ha letto proprio quello che riguarda il Vangelo di oggi, in cui esprimo tutta la difficoltà e tutte le perplessità che uno che vive qui a Roma ha nel fare, come dice il Vangelo: "Se un tuo fratello sbaglia, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se non ti ascolta, prendi due o tre testimoni e sulla parola si risolve il problema; se non ascolta nemmeno quei due, dillo a tutta la comunità".
Queste, per noi, son cose quasi impossibili e queste perplessità, ho espresso più volte.
Questo mio cugino diceva: "Ma da noi questo si è sempre fatto!" e mi raccontava tutta una serie di episodi accaduti in questo piccolo paese in cui son riusciti, alcune persone autorevoli insieme con il parroco, a risolvere problemi anche gravi: si trattava di casi confini, a volte, anche di furti.
Sono stati fortunati, perché hanno avuto parroci bravi e perché, in questo piccolo paese, evidentemente, c'era uno spirito di fraternità. Si riusciva, insieme, a risolvere dei problemi anche portando pazienza, anche rinunciando a qualche proprio diritto.
E lui si meravigliava che io esprimessi tanta difficoltà. Ma voi che vivete ad Ostia: avete mai visto risolvere i problemi in questo modo?
E forse, qualcuno di voi ha anche esperienza di certi paesi, - non fortunati come quello in cui vive mio cugino - in cui i problemi si risolvono perché c'è il "boss" che comanda e si fa quello che dice lui. Ci sono paesi, in Italia, dove impera la camorra, la mafia o, senza pensare a cose così gravi, dove ci sono due o tre persone che stabiliscono tutto e gli altri debbono ubbidire e tacere: questo non è lo spirito del Vangelo! Non è fraternità, questa è prepotenza di qualcuno.
Ieri sera - per raccontarvi un'altra esperienza - ho visto quel programma, forse è capitato anche a voi di vederlo, che facevano sulla terza rete sui "misteri del nazismo" e verso la fine è apparsa la lugubre figura di padre Amorth, che è il "diavolaro principe" (quando si parla di diavoli c'è sempre lui) per dire che Hitler era posseduto dal demonio e che Pio XII ha fatto esorcismi per cacciare il diavolo da lui.
Sono imbecillità che si ripetono ancora nel 2002!
Il problema è che son mancate di fronte a Hitler le "sentinelle". Avete ascoltato il Profeta: "Ti ho posto come "sentinella" per Israele". Dov'erano le "sentinelle?" Dove era la comunità dei cristiani? Chi ha avuto il coraggio di alzare la voce? Dove sono i preti, i vescovi, i papi che hanno gridato: "Questo non si può" Ma all'inizio! quando si doveva gridare, perché poi era tardi! Poi il male aveva invaso il mondo. Non c'entra niente il "diavolo"! C'entra l'indifferenza di tutti noi, c'entra l'incapacità degli uomini di essere responsabili gli uni degli altri, della società e, spesso, queste cose si ripetono.
Il male, pian piano, si diffonde non perché lo sparga il "diavolo"; perché c'è gente che per voglia di potere, qualche volta, addirittura, per la malattia mentale, fa del male e noi non facciamo le "sentinelle", non ci preoccupiamo degli altri, non ci preoccupiamo che la vita intorno a noi non si corrompa.
Questi sono i veri problemi che ci sono in questa pagina del Vangelo!
"Tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto!".... Tutto quello che non sciogliete voi, "nun ce stanno né diavoli, né santi che vengano a scioglierlo!"
Siamo noi che dobbiamo essere responsabili della nostra vita e di quello che abbiamo intorno: è la cosa più difficile.
Ecco perché dovremmo ritrovarci, sempre intorno alla Tavola e cercare di dirci: che significa essere cristiani? Che significa essere "sentinelle"? Che significa combattere il male? Che significa essere attenti?
Come è possibile che nelle nostre case, nell'ambiente in cui viviamo, nel nostro mondo non prendano il sopravvento i malvagi, la gente che fa solo gli affari loro, la gente che non si preoccupa del bene, addirittura, che non prendano il sopravvento i pazzi?
Il compito è di tutti noi! Il problema non è il "pazzo", non è il "diavolo". Il problema siamo noi! Il problema è la gente!
La colpa del nazismo non è di HitIer. Hitler è uno. La colpa del nazismo non è del "diavolo". Il "diavolo" appartiene ai miti degli antichi. La colpa del nazismo è di tutti gli uomini della Germania; anche dei filosofi, anche degli intellettuali, anche degli scienziati, anche dei preti, anche dei vescovi.
Non hanno fatto il loro compito di "sentinelle"! Non hanno vigilato. Non si sono presi a cuore e allora, è inutile parlare di "diavolo", è inutile chiamare padre Amorth.
Noi uomini dovremmo avere il coraggio di guardarci negli occhi e chiederci: "Cosa potevamo fare e non abbiamo fatto?'. Abbiamo il dovere di farci ancora la domanda irrisolta, che dovremmo sempre riproporci: "Perché, perché!?". Ve lo lascio come uno degli ultimi consigli: quando leggete un giornale, quando leggete un articolo, quando ascoltate qualcuno alla televisione che parla e magari parla male degli altri e non vi ripete incessantemente: "Perché?" e non tenta di spiegarvi almeno un po' questo "perché", girate pagina! Non serve!
Non servono quelli che gridano, quelli che alzano la voce, quelli che parlano di "diavoli". Serve soltanto chi ti aiuta a chiederti: "Perché?!" e ti fa intuire qualche cosa delle radici del male, di quello che ci succede accanto.
"Perché?!". Questa parola che anche alcuni dei giornalisti che vanno per la maggiore in questo paese hanno dimenticato da tanto tempo, tenetela nel cuore: è l'unica parola che ci fa essere uomini sul serio. "Perché?!"
Il Signore ci aiuti
RINGRAZIAMENTO E CONGEDO DI DON CHECCO.
"…Signore, quante volte dovrò XXIV Domenica del tempo ordinario - 14 Settembre 2002
perdonare a un mio fratello che Matteo 18, 21-22
mi fa del male? Fino a sette volte?
Rispose Gesù: "No, non dico fino a
sette volte, ma fino a settanta volte sette!"
Se avessi immaginato trentadue anni fa - quando son venuto per la prima volta in questa parrocchia - questo momento, mi sarei molto rallegrato (allora ero giovane) di trovare questa pagina del Vangelo. Allora avrei pensato: "Quando uno lascia ha tante cose per cui chiedere perdono, e oggi chi ascolta è invitato da Gesù a perdonare".
Non lo farò! Non vi chiedo perdono e sapete perché? Non significherebbe assolutamente nulla. Sarebbero parole retoriche e insensate.
Io potrei dirvi: "Vi chiedo perdono per tutti gli sbagli - e ce ne sono stati in questi trentadue anni - per tutto quello che non sono stato capace di fare, e per tutto il bene che non ho fatto".
E voi nella vostra generosità e anche spinti dalle parole del Vangelo direste: "Sì, ti perdoniamo volentieri". Non significa nulla! Né il mio chiedere perdono, perché ormai non c'è più tempo per rimediare; né il vostro dire: "Ti perdono". Che significa? Che vi siete dimenticati, che non ci pensate più, che volete andare oltre?
C'è qualcuno che pensa che io abbia fatto male a chiedere di andare in pensione. Qualcuno mi dice: "Sei ancora giovane!". Non sono giovane... Ho passato i sessantacinque annida sei mesi, sono trentadue anni che sono qui ed era ben tempo di andare, di lasciare a qualcun altro.
Qualcuno pensa che abbia sbagliato e io potrei dirvi: "Vi chiedo perdono!". E voi nella vostra generosità direste: "Si, ti perdoniamo". E non significa nulla!
Io sono ben convinto di dover andare, di dover lasciare a qualcun altro, e il vostro: "Ti perdono", non significherebbe nulla.
Vedete? Parole che non hanno più senso! Ho detto più volte, anche da qui che, forse, la parola "perdono" andrebbe abolita dal vocabolario cristiano, almeno per dieci anni, finché non ritrova il suo senso profondo. Spesso il nostro linguaggio è ricco di retorica vuota e senza senso.
Dunque, "perdono" non ve lo chiederò, ma il mio "grazie" voglio che sia totale e verso tutti.
Il mio "grazie", prima di tutto per avermi insegnato, in questi trentadue anni, a usare un linguaggio che non è fatto di retorica, di parole vuote, di parole che si ripetono senza domandarsi: "Ma che vor dì?".
Voi mi avete insegnato a dire parole il più possibile concrete, vicino alla vita e che abbiano o, che tentino di avere, un qualche senso, lontano dalla retorica: parole che dicano qualcosa di concreto nella vita. Me lo avete insegnato voi! Trentadue anni fa non ero così!
Ma non mi avete insegnato soltanto un modo di parlare, mi avete insegnato le cose essenziali della Fede.
Mi avete insegnato a cercare Dio con la passione del cuore; a cercarLo al di là delle parole, delle formule, delle formule che si sono sempre ripetute, dai "Credo" che si sono sempre detti; a cercarLo al di là, "nell'oltre", nell'oltre in cui abita Dio. Oltre ogni parola dell'uomo, ogni Sua immagine, oltre il tentativo di approfittarsi del "nome di Dio".
Voi mi avete insegnato a scoprire il volto di Gesù nel Vangelo, ad amare il Vangelo e a trovarci dentro, sempre di più, i valori essenziali della vita.
Tante ore passate intorno a un tavolo con - più d'uno di voi - a parlare del Vangelo, a cercare di scoprirne i risvolti nascosti, quello che Gesù tentava di comunicarci.
Tante ore passate insieme a far crescere i dubbi, le domande, la ricerca, la passione di tentare di capire in che cosa Gesù poteva arricchire nella nostra vita,
Grazie di tutto questo! Grazie perché mi avete insegnato a scoprire i valori essenziali della Fede: la gratuità, la libertà, il coraggio di cercare, il valore del dubbio che ti spinge ad andare avanti.
Grazie perché mi avete insegnato a cogliere il cuore del Vangelo: "Non è l'uomo fatto per il Sabato, ma il Sabato fatto per l'uomo". Tutto è fatto per l'uomo: le regole, la Legge, il Vangelo, la religione. Tutto dovrebbe servire affinché la vita sia più ricca.
Ho scoperto, in questi trentadue anni, la verità di una frase che sentivo ripetere quando ero ragazzo e che ancora non capivo: "La gloria di Dio è l'uomo vivente!". Soltanto l'uomo che vive, l'uomo che cammina con libertà, l'uomo che vive la gratuità, è la "Gloria di Dio"
Mi avete insegnato a mettere al centro 1'uomo" e a cercare il Volto di Dio nel volto di ogni uomo che ci cammina accanto
Mi avete insegnato a camminare nella Chiesa a "testa alta", cercando la libertà, cercando le cose essenziali, cercando la verità della nostra vita; cercandola in Dio e in Gesù
Di tutto questo, come non dirvi: "Grazie!"
Ho tentato, in questo, di esserne testimone, da qui, come ho potuto e qualcuno di voi ha potuto ricevere qualche cosa attraverso le mie parole; ma sono frutto vostro, dell'aiuto che mi avete dato, del nostro camminare insieme in questi trentadue anni .
Dunque: un "grazie" sincero, totale, di tutto cuore a tutti voi!
Risparmiatemi di elencare le varie "categorie" o di nominare delle persone, ci sarebbe sempre qualcuno che rimane fuori: vorrei dire veramente un "grazie" a tutti.
Un "grazie" anche a quelli che non ci sono più e che immagino che assistano in questo momento affacciati da qualche "nuvoletta" dal cielo, guardando giù, con tenerezza verso il nostro ritrovarci insieme.
In questi trentadue anni ho conosciuto tante persone non ci sono più, persone carissime a cui vorrei dire il mio "grazie".
Adesso le cose cambiano: vengono altri sacerdoti; non ho dubbi che voi li accoglierete con tenerezza e rispetto, come avete accolto me.
Non ho dubbi su questo! Certo per voi cambierà soprattutto la Messa della Domenica, qualcuno non si ritroverà, molti si adatteranno: l'uomo è un animale adattabile.
Io sono un'eccezione nel panorama della chiesa di oggi. Voi mi avete insegnato la libertà; forse ci siamo presi della libertà eccessive nel nostro celebrare la Messa e dunque dalla prossima domenica guardate l'orologio, forse la Messa si allunga un po'.
Qualche anno fa, parlando con uno dei nostri architetti, dicevo che andato via, avreste dovuto mettere in questa chiesa, una targa con su scritto: "In questa chiesa, per trentadue anni, ha predicato Don Checco: era corto!".
Forse non solo, forse qualcosa di più, ma non c'è solo la predica nella vita di un prete: ci sono tante cose che scoprirete in chi viene dopo di me e che certamente è migliore di me: ci vuole poco.
Ancora "GRAZIE" di cuore a tutti e a ciascuno.