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OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 1994-1995 - Vangelo di Luca
INDICE
1994
Mi capitava oggi, all'ora di pranzo, di accendere un momento la TV: sono stato colpito dal vedere là tutta una schiera di Cardinali vestiti di rosso, riuniti intorno al Papa; avevo dimenticato che oggi c'era questa cerimonia. Mi sono fermato a guardare qualche istante: sentivo il commentatore ricordare come l'abito rosso dei Cardinali, oltre ad essere un ricordo dell'antica porpora, segno del potere, è oggi soprattutto segno della loro disposizione al martirio; e in più ricordava come tra coloro che sono stati nominati cardinali, ce ne sono molti che hanno dietro le spalle una storia drammatica, fatta spesso di prigione, di fedeltà coraggiosa al messaggio di Cristo.
Mi veniva in mente questo, leggendo le parole forti che abbiamo ascoltato nel Vangelo di stasera, e una riflessione che ho fatto altre volte nella vita: che forse noi Cristiani - ma forse anche gli uomini in genere - siamo più attrezzati per gli eventi straordinari, per i momenti drammatici, che per la vita di tutti i giorni. Quando capita una disgrazia, qualche cosa che squassa la vita (l'abbiamo visto anche in quest'ultima alluvione) si vede tanta gente tirar fuori coraggio, buona volontà, impegno, dedizione, altruismo. Le vecchie chiese di Roma, durante la guerra erano piene - nei sottoscala, nelle soffitte - di Ebrei, di gente perseguitata, di gente che fuggiva! Nei momenti drammatici il cristiano sa tirar fuori il suo coraggio, il suo impegno, la sua dedizione, il suo amore!
Il problema si presenta nella vita quotidiana, quando subentra la stanchezza, la monotonia delle cose di ogni giorno; quando la vita, come spesso accade, si ammanta di grigio; quando non c’è una grande impresa da compiere o un nemico da combattere, quando non si capisce più nemmeno dov’è il bene e dove il male! Allora, là, è difficile portare la forza della speranza, il coraggio dell'impegno: non si capisce più che cosa si può fare per dar la propria mano perché il mondo faccia un passo avanti. E non è che non lo capiamo soltanto noi, che cominciamo ad avere i capelli bianchi e le forze che vengono meno: a volte non lo capiscono nemmeno i giovani.
Mi capitava di parlare con qualcuno di loro nei giorni passati e di vedere come anche loro vivono l'incertezza, il dubbio, la fatica, la monotonia di ogni giorno. E allora capita di assistere, guardando le cronache sui giornali, alle imprese di giovani che, non sapendo che fare, vanno a tirar sassi sulle macchine che passano nell'autostrada; o che vanno allo stadio portandosi il coltello in tasca, per menar le mani... A questa gente, forse, manca la guerra; se ci fosse stato un periodo di guerra, sarebbero tornati a casa come eroi, magari decorati con la medaglia d'oro! Ma, lo capite subito, non possiamo augurarci la guerra per venire incontro al malessere dei giovani.
Torna il problema del nostro quotidiano; torna il problema della vita di ogni giorno; torna il problema dell'impegno della speranza, messo nelle cose che facciamo, quando ci alziamo al mattino e andiamo a lavorare, andiamo a scuola, viviamo con la gente: qui abbiamo bisogno di speranza!
Siamo in Avvento: il Dio che aspettiamo non è un Dio per tempi eroici. Pensateci un momento: Gesù è venuto in mezzo a noi e per 30 lunghi anni è vissuto a Nazareth facendo il falegname: aggiustando ruote di carri, riparando tavoli, costruendo qualche mobile. Chi sa se anche Lui, qualche volta, si sarà guardato intorno, con gli occhi smarriti, che ho visto in qualche ragazzo nei giorni passati! Chi sa se qualche volta anche Lui non si sarà domandato: "Ma che posso fare qui, perché il mondo sia più bello? Qual è il contributo che io posso dare alla vita? Quanto posso mettere qui, di impegno, di coraggio, di speranza?" Poi, magari, si sarà chinato a cercare di fare meglio la ruota del carro, a cui stava lavorando o avrà cercato di sorridere al cliente petulante, che veniva a chiedergli anzi tempo il tavolo che doveva riparare!
Anche Lui, forse, non aveva imprese eroiche da fare per rendere il mondo un po' più bello; ma è venuto - per questo Lo aspettiamo! - per portare nei nostri giorni, nel nostro quotidiano, la sua luce, la passione per la vita, il coraggio della fede, l'impegno di guardarsi intorno, di riconoscere, in chi ci sta accanto, un fratello! Il Dio che aspettiamo a Natale, è un Dio che si fa bambino, che si affida alle nostre mani, che vuol crescere nella nostra vita di ogni giorno, che vuole spazio nella nostra ventura quotidiana! Non viene, il Dio che aspettiamo, a risolvere con un colpo di bacchetta magica i nostri problemi, non viene nemmeno a proporci imprese eroiche e belle, non ci garantisce entusiasmo e sicurezza: è il Dio che viene a camminarci accanto, a condividere la nostra vita, a portarci la sua luce e la sua tenerezza, e a chiederci passione per questa vita: il coraggio di mettere, ogni giorno, un pizzico di amore in più in quello che facciamo, un pizzico di senso, un pizzico di speranza! Viene a chiederci di essere testimoni di Vita! Lo dobbiamo a noi stessi, lo dobbiamo ai ragazzi che ci crescono intorno! Per questo è venuto Gesù: perché sappiamo mettere passione per la vita e speranza nei nostri giorni.
Il Signore ci aiuti ad aspettarLo e ad accoglierLo!
1994
Avete sentito quanti nomi, all'inizio del Vangelo che abbiamo letto oggi? L'imperatore, tutti i piccoli regnanti - o, come li chiama Luca, i tetrarchi -: perché tutti questi nomi? Non so se ve lo siete domandato, ascoltando queste parole. Luca vuole che quello che lui sta per dire - l'annunzio di Gesù e, ancora prima, la voce di Giovanni - si radichi profondamente nella vita concreta della gente cui parla. Luca sa che c'è una tentazione per l'uomo religioso: di confinare queste storie - la venuta stessa di Dio! - nelle favole, nel mito, nelle cose lontane, lontane dalla vita di tutti i giorni. Tutti questi nomi, che Luca vi ha ricordato all'inizio (che voi non conoscete, ma per la gente del tempo erano persone ben concrete, persone della storia di tutti i giorni) sono un po' dei simboli, come gli alberi che hanno disegnato qui: vogliono esprimere la nostra vita concreta, non le favole, non i miti, non le cose lontane dal nostro quotidiano!
Vedete, io ho l'impressione che a volte il nostro parlare di peccato, di conversione, di sentieri da raddrizzare, sia pieno di favole, di storie... Un sacerdote spagnolo molto tempo fa - un amico, che è passato qui nella nostra parrocchia - diceva: "Don Checco, quando si vengono a confessare, io li lascio dire e poi finisco sempre così: "Adesso hai detto quello che pensavi che io volessi sentire, ma ora dimmi un po': che ti pesa sulla coscienza?". Io non ho mai fatto discorsi del genere, perché non mi sembrano troppo rispettosi di chi mi sta davanti; però penso che sia molto giusto. A volte, parlando del peccato, si ha l'impressione che la gente si porti dentro tanti sensi di colpa per delle "favole"!
C'è della gente che si sente in colpa (per fare qualche esempio, perché possiate capire quello che voglio dirvi stasera) perché prova dei sentimenti di simpatia, di antipatia, di rancore qualche volta, o di rabbia. Capita forse anche a qualcuno di voi di provare un senso di antipatia verso la nuora o la suocera: non c'è niente di più normale, in questo mondo! Noi non siamo padroni di questi sentimenti; non ci possiamo far niente! Non possiamo farci diventare simpatico uno che ci sta antipatico; al più possiamo non trattarlo male...
Oppure ci sono delle persone che si sentono in colpa, per le distrazioni nella preghiera, dicono: "Io, don Checco, comincio a pregare, ma poi la testa mi va in giro, chi sa dove". "Significa che non so pregare? - aggiunge qualcuno - significa che non ho fede?". Ma a tutti quelli che pregano, la testa, dopo un po', se ne va in giro di qua e di là... Oppure qualcuno si sente in colpa (questo, qualche volta, capita anche ai ragazzi ) per una fede incerta e dubbiosa... ma la fede senza dubbi non esiste!
Oppure, c'è gente che, qualche volta, si sente in colpa, perché glielo dicono gli altri. Ogni tanto capita di parlare con qualcuno che vive una situazione affettiva non del tutto ordinata; e dice: " Ha sentito cos'ha detto il prete tale... cosa c'era scritto sul giornale?!" si sentono in colpa, poveri!, per delle situazioni in cui cercano di fare quello che possono, di rispondere meglio che possono alla vita! Oppure qualcuno che usa dei metodi anticoncezionali... ogni tanto c’è qualche vescovo, qualcuno che alza la voce... e si sentono in colpa! Si sentono in colpa, perché l'hanno detto gli altri... favole, miti, che nulla hanno a che fare con il vero peccato della loro vita!
Oppure qualcuno che si porta dentro antichi sensi di colpa, magari per fatti accaduti quand'era bambino... E c’è anche chi - capita forse anche a qualcuno di voi - è andato al supermercato e gli hanno dato in resto 500 lire di più, e si sente in colpa! È bello, che si sentano in colpa; perché si vede che sono persone oneste! Ma si tratta anche di sciocchezze: prendi le 500 lire, le dai al primo povero che incontri e poi non ci pensi più. Invece, c'è gente che si mette in ansia, per queste cose.
Vedete, in ansia per cose che appartengono alle favole! ma questo, qualche volta, ci impedisce di riconoscere i veri "sentieri tortuosi" della vita di tutti i giorni! Non si tratta di domandarsi se ho detto qualche parolaccia in più, o se sono stato distratto nella preghiere, o se una volta non sono andato a Messa, la domenica. Si tratta di domandarsi se nel mio lavoro sono stato onesto, se ho vissuto con impegno le cose di tutti i giorni, se ho usato attenzione, tenerezza, buona educazione nei confronti di chi mi sta accanto! Se no vi capita - come capita a me qualche volta - di sentire: "Don Che’, c'è quella signora che va in chiesa quasi tutti i giorni e poi non ci si può nemmeno parlare! e poi disturba quelli che stanno sopra o sotto e fa sempre rumore, anche la notte!".
Posso darvi un consiglio? consiglio di uno che, strada facendo, ha perso quasi tutti i principi morali...Uno, credo sia importante conservarlo dentro di sé: "Ma quello che faccio, fa forse soffrire qualcuno? è forse di peso a chi mi sta accanto? E posso fare qualche cosa, per dare un po' di gioia, un po' di piacere, un po' di tenerezza a chi mi sta accanto?". Son le vere domande che occorre farsi per scoprire il proprio peccato.
Il Natale che viene ci trovi più attenti, più disponibili a chi ci vive accanto ogni giorno. Lasciate perdere le malinconie dei sensi di colpa! Guardiamoci tutti - io per primo - intorno: vediamo se qualche cosa possiamo fare, per togliere un pizzico di sofferenza dal mondo, per fare un sorriso in più, per dare un po' di gioia, un po' di piacere a chi ci vive intorno!
È questo il "cuore nuovo" che Gesù si aspetta di trovare, quando viene! È questo che possiamo fare, per convertirci un po’, in attesa di Lui!
Il Signore ci aiuti!
1994
Abbiamo sempre fatto fatica, nella nostra parrocchia - ma penso che sia così in tutte le parrocchie del mondo - a trovare delle persone, delle mamme di famiglia, che facessero Catechismo, che si prendessero un po' cura, oltre che dei figli propri, anche di quelli degli altri ed anche dei genitori (che spesso è anche più complicato). Si fa in genere una gran fatica, ma qualche volta troviamo qualcuno, che ci aiuta. Una delle nostre catechiste racconta, ogni tanto, di aver deciso che poteva anche lei essere catechista, quando son tornati i figlioli da scuola e le hanno detto: "A ma', il prete ci ha detto che Maria sì, ha saputo mettere al mondo il figlio! no come quelle zozzone delle vostre madri..."
Al di là della battutaccia romana, che qualche volta i preti dicono per fare gli spiritosi, se ci pensate, trovate dietro queste parole tutte le manie sessuofobiche, che hanno attraversato la storia della Chiesa e si sono riversate sulla figura di Maria. Per capire veramente chi è Maria nella storia della nostra fede, chi può essere Maria per tutti noi, occorre che vi liberiate di queste manie; occorre anche che vi liberiate della "grande mamma" - con 3 o 4 emme - della nostra tradizione mediterranea. Chi ha i capelli bianchi sa che qualche volta abbiamo pregato Maria, che, come brava mamma, ci difendesse dai castighi del Padreterno! Il Padreterno lo abbiamo sempre considerato un po' severo e pronto a castigare... e allora ci raccomandavamo a Maria, che ci proteggesse. No, non è questo Maria: né il "bianco giglio", che non ha niente a che spartire con le vicende della carne e della sessualità umana; né la "grande mamma", che ci protegge dall'ira divina.
Per il credente, Maria è la maestra della fede, colei che può insegnare l'accoglienza, l'apertura allo Spirito di Dio, alla Sua luce; colei che sa dire: " Eccomi! sia fatta la tua volontà". Se ci pensate, è quello che Gesù ci ha insegnato a chiedere nel "Padre nostro". Come avete sentito dalle parole del Vangelo, Lei lo ha saputo fare fin dall’inizio: Lei sa farsi accoglienza, disponibilità, apertura; sa fare spazio, nella sua vita, a Dio che viene! Ed anche se riconosce la propria debolezza e fragilità, se sa di essere una povera cosa - come ogni uomo che vive sulla terra - dice: "Eccomi! fa' di me quello che vuoi! Sono la serva del Signore, serva della vita!".
E se continuate a leggere il Vangelo, vedrete che l'accoglienza verso Dio in lei si traduce subito in disponibilità verso chi le vive accanto, verso chi può aver bisogno di lei. Del grande annunzio dell'Angelo, che le dice che diventerà madre in maniera straordinaria, e madre del Figlio di Dio, lei sembra recepire soltanto una piccola cosa: che la sua cugina Elisabetta sta per avere un bambino e può aver bisogno di lei. Prepara subito il suo fagotto e parte verso la montagna - viaggio lungo, a quel tempo! -: chi si prepara ad accogliere Dio, si accorge subito di chi può aver bisogno.
Le nostre persone perbene - le persone "perbene" della nostra tradizione - l'avrebbero subito fermata: "Fermati! sta' qui, dove vai?! Prega! sta per nascere Gesù: dimenticati di tutto il resto! Non pensare alle cose di questo mondo: stai per diventare la madre di Gesù! Non farti distrarre dalle cose materiali, pensa alle cose dello spirito!". Lei non avrebbe ascoltato tutte queste, che sembrano belle voci: sarebbe partita, perché aveva scoperto che la cugina poteva aver bisogno di lei! Non sa nemmeno, se ne ha proprio bisogno: parte, va, si rende disponibile, si mette al servizio!
Chi sa accogliere Dio, sa accogliere il fratello: è quello che ci ha ripetuto Gesù tante volte! È quello che anche noi occorre che impariamo, se - come ci dicono i bambini - vogliamo accogliere Gesù con un cuore nuovo: un cuore che sappia essere disponibile, attento, verso chi ci passa accanto ogni giorno.
Maria sia il modello e la maestra della nostra fede!
1994
Manca una decina di giorni a Natale e penso che in molte delle vostre case sarete affaccendati nei preparativi per celebrare questa grande festa, con un pizzico di follia, con un po' di sciupio, come si conviene a una grande festa. In questi giorni, preparatevi, perché non c’è solo il parroco, come predicatore, tra le sciagure che capitano ai cristiani, ma tante altre. Tutti vi diranno che siete dei consumisti, che sprecate la roba, che c’è gente che muore di fame. Ricordatevi, con un sorriso, che dal tempo di Adamo ed Eva e fino ai nostri giorni, quando uno ha voluto fare festa, ha sempre fatto festa con un pizzico di follia, sciupando qualche cosa. Non c'è festa, se non c'è un po’ d'abbondanza! Questo lo facevano anche i nostri vecchi e loro facevano la fame; eppure, quando era Natale bisognava che ci rimanesse qualche cosa, anche per darla al maiale, quando tutti si erano saziati. È la vita degli uomini; gli uomini hanno bisogno della festa esteriore.
Ma Giovanni ci ricorda anche, che andare incontro al Signore non è solo questo - questo è un segno, importante, è giusto che lo facciamo - ma ciascuno di noi, in questo tempo che si avvicina al Natale, deve anche domandarsi con semplicità: "E noi che cosa dobbiamo fare? Che cosa possiamo fare? Cosa possiamo fare di positivo? Abbiamo anche noi qualcosa da dividere?". Dice Giovanni: "Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha". Abbiamo anche noi qualcosa da dividere con gli altri: un gesto di tenerezza, un gesto di riconciliazione, un gesto che concretizzi un desiderio di tenerezza, di amore. Ma non basta un piccolo gesto! È la nostra vita che deve essere una vita fatta con onestà, fatta con fedeltà al nostro lavoro di ogni giorno, fatta con il coraggio della giustizia.
Dice Giovanni: "Gli esattori delle tasse non prendano nulla di più di quanto è dovuto". Dovremmo essere tutti attenti a questa onestà e non trovare la scusa: "Ma gli altri fanno così! Ma vedi come sono i nostri amministratori! Ma tutti rubano!". A noi questo non interessa. Non so se questo discorso riguarda qualcuno di voi, se non vi riguarda, dimenticatelo per cercare il vostro discorso: "Io cosa posso fare?" Sì, per fare un piccolo gesto, ma anche per ritrovare il senso della giustizia, delle cose buone, giuste, importanti della mia vita. Tenete conto , però, che questo non si può fare se non aspettiamo Gesù! Che cosa significa aspettare Gesù? Significa sperare che Lui ci metta nel cuore, dentro, il desiderio vivo di questi valori; perché, certo, altrimenti io mi domando: ma chi me lo fa fare ad essere giusto? I nostri amministratori di Ostia, poveretti, sono finiti su tutte le pagine dei giornali; ma se voi li andate a interrogare , vi dicono: "Ma così fanno tutti!". E il tragico è che hanno ragione! In tutte le circoscrizioni si fa come nella nostra, chissà perché hanno incriminato solo questi! Ma vi siete mai domandati: "Ma perché quando intorno a me tutti chiedono una "bustarella", io non la debbo chiedere?" Lo posso fare solo a una condizione: se ho nel cuore il valore che la vita è un'altra cosa, che essere onesti vale più di tutti i soldi. Se non credo a questo, non solo prenderò le "bustarelle", ma farò di peggio.
A voi, probabilmente, la "bustarella" non riguarda, ma quando i capelli cominciano a diventare bianchi, me ne accorgo spesso anche per me, rischiamo di essere intolleranti, di giudicare gli altri, di non sopportare più la gente che ci sta intorno. Chiediamo a Gesù che ci metta nel cuore il desiderio della tolleranza, la compassione per gli altri, la delicatezza nel capire le persone. Abbiamo bisogno di un cuore che abbia i valori di Gesù, altrimenti è inutile che vi faccia prediche. Quando vi domandate: "E che dobbiamo fare?", non c'è nessuno che lo può dire. Ma se nel cuore abbiamo lasciato che Gesù ci metta i suoi valori: la pace, le giustizia, la tolleranza, l'accoglienza; allora, la domanda sarà semplice e la risposta la troveremo giorno per giorno; perché come dice il Vangelo: "Tireremo fuori dal tesoro del nostro cuore, le nostre cose". Allora, con coraggio, andiamo incontro al Signore che viene, chiediamo a Lui che ci metta nel cuore, nel profondo del cuore, il desiderio vivo della vita, della giustizia, della bontà, del bene.
Il Signore lo faccia per noi.
1994
Quando ero piccolo - ma credo che non sia successo solo a me, ma anche a molti di voi - ho sentito molte prediche in cui si diceva che prepararsi al Natale significava fare grandi sacrifici, grandi penitenze e mortificazioni. Sempre a quei tempi si parlava di sacrifici e di rinunce! A me - e penso a molti di voi - la religione appariva come qualche cosa di cupo, di negativo, qualche cosa che comportava sempre sacrifici e rinunce.
Quando sono diventato un po' più grande e cominciavamo a diventare "sciuri" anche da noi, in Italia, ho sentito tante prediche contro il consumismo, contro lo spreco, contro lo sciupio che c'è nelle feste.
Mi dicevo - preparando qualche cosa da dirvi stasera - che non dovevo fare così: che era importante predicare la gioia, dire che per Natale bisogna avere la gioia nel cuore! Poi mi son fermato; perché, almeno nella mia fantasia, ho visto gli occhi di qualcuno (forse anche tra voi) che non hanno la possibilità di celebrare il Natale nella gioia! Ed ho pensato che, se avessi detto qualcosa del genere, avrei messo un peso sulle spalle della gente. Perché c'è qualche cosa che è ancora più pesante del dire ad un cristiano: "Tu ti devi convertire, sacrificare, devi fare delle rinunce!". Ed è dire: "Tu devi essere gioioso!" La gioia non può essere un dovere: si rischia di mettere un carico, forse ancora più duro e pesante, sulle spalle, sul cuore di chi gioioso non può essere!
E allora, come capite, le parole mi son morte sulle labbra: "E che cosa dico, adesso?!" Mi è venuto in mente di farvi fare un viaggio con la fantasia: di tornare ad assistere alla scena descritta nel Vangelo stasera. E allora, venite con me, andiamo lontano nel tempo e nello spazio, in un piccolo paese della terra di Giuda - Luca la chiama "una città"...quattro case, in mezzo alla montagna! ‑ Là sta per arrivare Maria: viene da lontano per far visita, per dare una mano a sua cugina, Elisabetta; ha fatto un viaggio di più di 100 Km... È salita sulla montagna, un po' a piedi, un po' sull’asino, come si usava a quel tempo (per noi oggi fare 100 Km è cosa da niente, con le nostre macchine): a quel tempo si andava a piedi e lei è anche incinta da poco, la prima volta per lei: qualche nausea, la fatica di camminare, la stanchezza!
Ma ecco, ormai è arrivata alla casa, la fatica è dimenticata. La cugina la vede da lontano e le corre incontro. Si abbracciano; hanno tante cose da dirsi! Tutt’e due stanno aspettando un bambino! Ed è la prima volta per loro! Hanno tante cose da raccontarsi! Hanno da cantare la loro attesa, la loro gioia, hanno da esprimere tutta la bellezza della vita!
Capiterà forse anche a qualcuno di voi, in queste feste, di andare a trovare parenti lontani, di ritrovare la gioia di incontrarsi dopo tanto tempo, la gioia di raccontare, di narrare la vita! Forse troverete anche qualcuna che aspetta un bambino e parteciperete alla sua gioia, alla sua attesa!... Ma, forse, c'è qualcuno in mezzo a voi, che in questo Natale non avrà nessuno da andare a trovare: che non farà viaggi, nemmeno soltanto per andare a Roma... Qualcuno di voi, forse, sarà solo: nessuno verrà a trovarlo! Allora, ascoltate quello che sta succedendo in quella casa dove siamo arrivati nel nostro viaggio indietro nel tempo...
Là non ci sono soltanto due donne che hanno da narrare la loro storia: là c’è una donna che dice: "Beata te! Beato il frutto che ti porti nel grembo!"... C'è qualche cosa di straordinario: il bambino che nasce non è un bambino comune... è Dio che si fa carne! E viene nelle case anche di chi è solo: viene per tutti! Viene anche per chi non ha figli!
E aggiunge, Elisabetta: "Beata te, che hai creduto!" Maria può cantare la sua gioia: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio!"... E - straordinario, il Vangelo di Luca! - anche il bambino nel seno di Elisabetta "sussulta di gioia"! È un'esplosione di esultanza, di gioia!
Possiamo soltanto chiedere al Signore che ci dia la capacità di stupore, di meraviglia, che hanno queste donne! Che ci metta nel cuore un pizzico di gioia, un pizzico di esultanza, in questo Natale che viene!
E se qualcuno di voi non ci riuscirà, non si preoccupi, non si porti un peso nel cuore! Canteremo insieme, come Maria, la nostra povertà, la nostra incapacità! la nostra incapacità anche a provare la gioia per Natale... ma ci sentiremo Dio vicino! Dio nasce per noi, ci viene accanto, viene a condividere la nostra vita!
Un bambino che nasce non sa ancora fare carezze... ma, Gesù è un Bambino speciale: può fare una carezza a chi tra voi per il prossimo Natale si sentirà solo, a chi non avrà la gioia nel cuore! Chi sa se una carezza di Gesù può portarvi un soffio di serenità e di gioia, nel Natale che viene...
Chiediamolo insieme al Signore!
1994
Da qualche anno ci aiutano a celebrare il Natale queste belle statue del presepe: vedete, scolpite in legno prezioso dalle abili mani di un artigiano, che ha saputo rendere nel volto di Maria e di Giuseppe lo stupore di questa notte. Cose preziose, che ci accompagnano in questa notte straordinaria.
Ma quest'anno, per noi, ancora più prezioso è quel disegno che c'è dietro: più semplice, fatto da qualcuno di noi e, soprattutto, arricchito dai nostri bambini. Lo hanno preparato, curato, in tutto questo tempo d'Avvento. Vedete: c'è rappresentata una pineta: questo nostro angolo di mondo, la nostra vita; quello che noi siamo: il nostro lavoro, la nostra vita in famiglia, la fatica di ogni giorno... la ventura di essere uomini!
Se vi avvicinate, vedrete che i bambini hanno messo là dei fiori: piccoli fiori di campo, il segno di tutta la bontà che c'è anche in mezzo a noi: tanti gesti di tenerezza, tanti gesti di amore, di attenzione dell'uno verso l'altro... che ci sono qui, in mezzo a noi: non sto parlando del paradiso! Sto parlando di voi, sto parlando di Ostia: le cose che non fanno rumore, le piccole margherite di ogni giorno, che fanno bella la vita! I nostri bambini le hanno messe lì per noi.
Sono buoni, i nostri bambini! Non ci sono le ombre, non ci sono le spine: le sofferenze, i dubbi, le incomprensioni, le difficoltà... i bambini ce le hanno risparmiate! E anche le cartacce - le cose che sporcano e sciupano la vita - le hanno tolte, perché ci vogliono bene: le hanno messe in un gran secchio dell'immondezza che non c'è più.
Questo disegno, questi pini, questi fiori, anche le spine che non ci sono, stanno lì per dire che Gesù viene a nascere nella nostra vita, nel nostro quotidiano: oggi, qui, in mezzo a noi! Un piccolo bambino: a questo "segno" ci chiamano gli angeli: "Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia". Un bambino piccolo, appena nato! Non domandiamoci, subito, che viene a fare, cosa ci porta: un bambino appena nato non porta niente! Gli occhi spalancati sulla vita, le mani che si tendono; non può ancora, forse, nemmeno sorridere... Non domandiamoci a che cosa serve, perché è venuto: dilatiamo gli spazi del cuore per accoglierlo: è un bambino! Ha bisogno di noi! Cerca spazio nella nostra vita. È la follia di Dio! È la gratuità di Dio! Viene a condividerela nostra ventura di uomini, a camminare con noi: Dio si fa bambino, Dio si fa carne, Dio viene ad attraversare la nostra vita!
Ci vuole stupore, gratuità, capacità di meravigliarsi, per accoglierlo tra le mani, per fargli spazio! Perché viene a cercare spazio nella nostra vita, nei nostri giorni, in mezzo alle nostre margherite... anche in mezzo alle nostre spine: in mezzo alle nostre ansie, ai nostri dubbi! Viene, compagno della nostra fatica di essere uomini! Se avremo pazienza, crescerà e allora avrà da portarci qualche cosa di grande: la sua luce, la fiamma del suo calore, la sua gratuità, la sua passione per la vita, il coraggio della giustizia e dell’onestà, la sua libertà, la forza di costruire un mondo più bello! Gesù è venuto in mezzo a noi per portare nei nostri giorni la speranza e la festa di Dio! Ma questo viene dopo: per ora è soltanto un bambino.
Guardatelo, un bambino! Facciamolo crescere appena un po’, che sappia farci almeno un sorriso, stanotte! Ed una carezza! La carezza di Dio, soprattutto a chi, in mezzo a noi, si sente solo; a chi ha un peso sul cuore, a chi magari si sente lontano da questa notte; a chi forse non ha un sorriso! Guardate: un bambino sorride per voi! E fa una carezza! È la carezza di Dio, è la tenerezza di Dio, che viene a sfiorare la nostra guancia in questa notte straordinaria. È Dio! È Dio che si fa vicino a ciascuno di noi! La Sua mano si stringe alla nostra... e insieme camminiamo. Insieme viviamo, con tutta la passione e la luce che Dio viene a mettere nel nostro cuore!
Questo è Natale: un bambino, una carezza, una speranza! La carezza di Dio, la luce di Dio, la passione di Dio per la nostra vita!
Messa di fine d'anno e "Te Deum" 31 Dicembre 1994
Ci ritroviamo insieme in questa ultima sera dell'anno e penso che il sentimento che qui ci riunisce insieme sia un sentimento di gratitudine, di ringraziamento al Signore, per il tempo che ci ha donato di vivere.
Capita anche a me - come penso a molti di voi - di essere vittima della cultura dei mezzi di comunicazione (della TV, dei giornali), che mettono sempre l'accento sui fatti straordinari. Mi domandavo, preparando - sempre con un po' di difficoltà, negli ultimi anni! - qualche cosa da dire a conclusione dell’anno: "Che cosa possiamo dire? Per che cosa abbiamo da ringraziare nella nostra comunità cristiana?". E ripercorrendo l'anno trascorso, non trovavo dei fatti "straordinari", particolarmente importanti: non sono successi, in mezzo a noi, dei terremoti, non ci sono, per fortuna, guerre; non ci sono nemmeno grandi delitti, non abbiamo avuto le visite di personaggi importanti, non abbiamo nemmeno "crisi di governo" nella nostra parrocchia; o, se volete in termini religiosi, non abbiamo avuto "miracoli" o apparizioni di qualche santo o della Madonna, non abbiamo avuto la visita del Papa o di qualche personaggio importante della Chiesa; né abbiamo avuto visite di qualche diavolo! (Non so se avete notato che tra i personaggi della vita religiosa che più spesso appaiono in TV, oltre al Papa, c’è la figura un po' lugubre del padre Amorth, che si occupa di diavoli!...).
Niente di tutto questo, per nostra fortuna, in mezzo a noi. Ma poi mi dicevo: "Ma sono veramente queste, le cose "essenziali"?" Prima dei fatti "straordinari", che spesso vediamo alla TV, di cui leggiamo sui giornali, non c'è il nascere, il vivere, il morire? Di questo ne abbiamo fatto esperienza anche noi: anche fra di noi degli occhioni si sono aperti alla vita quest'anno; in più di una famiglia della nostra parrocchia ci si è rallegrati per la nascita di un bambino e abbiamo visto anche qui in chiesa, il sorriso di questi bimbi!
Qualcuno, invece, ha chiuso per sempre gli occhi sulla luce di questo tempo!
E poi, per tutti noi, la ventura di vivere: il cercare, il pensare; l'amare, il gioire, il soffrire: la vita di tutti i giorni! E la vita delle vostre famiglie: il tentativo di stare insieme in armonia, l'attenzione dell'uno verso l'altro, il servizio, anche nei gesti quotidiani. E la fatica dei ragazzi che crescono: il loro cercare il senso della vita e il proprio posto nella ventura umana e la fatica - a volte ancora più grande - dei genitori che cercano di aiutare i ragazzi a crescere, di dar loro un’educazione e la pazienza nello scontrarsi con questi loro figli, com'è necessario nell'età dell'adolescenza! E poi, il lavoro, l'impegno che molti di voi svolgono ogni giorno con dedizione, con onestà, con fedeltà a volte straordinaria! O anche i pensionati, che cercano ancora di mettere qualche cosa della loro vita a servizio degli altri!
Tutto questo non è la cosa "essenziale" della vita?
E qui, nella nostra parrocchia, non è stato importante il nostro ritrovarci insieme ogni sabato sera, ogni domenica, per pregare il Signore, per spezzare il pane insieme, come ci ha insegnato Gesù? per cercare la Sua luce! E questa luce tentare di comunicarla anche agli altri: con passione i nostri catechisti lo fanno con i bambini, con i loro genitori, con i ragazzi più grandi. E poi, i gesti di servizio all'Ospedale, con i ragazzi che studiano, alla mensa... Non è questo l'essenziale della vita? Niente di tutto questo comparirà mai sui giornali; ma questo è la realtà più profonda della ventura di vivere!
Di tutto questo, io credo, noi siamo qui stasera per dire il nostro grazie al Signore: per tutto il bene che ci abbiamo messo dentro. E, se volete, anche per chiedere perdono degli sbagli che abbiamo fatto, delle cose che non abbiamo fatto giustamente; delle nostre pigrizie; delle disavventure che abbiamo avuto nel nostro tentativo di essere testimoni di Gesù. Chiediamo perdono, ma soprattutto ringraziamo il Signore, ci ringraziamo tra noi ed insieme invochiamo la benedizione del Signore e la Sua luce sui giorni che ancora ci stanno davanti!
È nel ricordo di Natale, è sentendoci accanto Gesù, che vogliamo cominciare quest'anno nuovo: per camminare nella Sua luce, per lasciarLo crescere dentro di noi; perché venga in mezzo a noi il Suo regno, perché si moltiplichino in mezzo a noi la Sua bontà e il Suo amore!
Il Signore ci aiuti a farlo!
1995
Avrete notato che grande contrasto c'è tra il racconto che abbiamo letto in questa festa dell'Epifania, e quello che abbiamo letto nella notte e nel giorno di Natale. In quel racconto, che troviamo nel Vangelo di Luca, spira un'atmosfera di serenità e di pace: tutto si svolge in un piccolo paese, tra gente semplice, lontano dal rumore della città, dal chiasso della folla, dalla violenza dei potenti. C'è, sì, la povertà di una mangiatoia, c’è la semplicità dei pastori; c'è la tenerezza di Maria, di Giuseppe; ci sono gli angeli che cantano, ma tutto il rumore della folla, la violenza di questo mondo è lontana. È il clima sereno, semplice, pacifico, gioioso di Natale!
Quello che abbiamo letto oggi è completamente diverso: la nascita di Gesù è immersa nel rumore della città, la grande Gerusalemme; ci si scontra con il potere e la violenza di questo mondo: Erode il terribile, colui che - se leggete qualche riga appresso - farà uccidere tutti i bambini di Betlemme! E poi la folla, che si agita, che fa rumore; i sommi sacerdoti, i maestri del popolo, che sanno tutto, ma non si muovono... Un racconto pieno di contrasti, in cui c'è tutto il dramma della vita.
Ma se ci pensate, questa è un po' la storia del nostro incontro con il Signore! È successo a me; ma penso sia successo alla maggior parte di noi, (qualche eccezione certamente ci sarà; ed è un'altra storia): tutti noi abbiamo conosciuto Gesù nel tranquillo clima delle nostre famiglie; tutti noi abbiamo cominciato ad incontrare Gesù proprio a Natale, mettendo magari il Bambinello - quando avevamo 2 o 3 anni - nella culla: in un clima di serenità, in cui tutto sembrava pacifico, tutto sembrava vero, tutto sembrava credibile!
Poi siamo cresciuti! ed anche noi abbiamo fatto l’esperienza della violenza, del dramma del mondo; anche noi abbiamo conosciuto la morte dei bambini, l'esperienza terribile della guerra. Anche noi abbiamo conosciuto la forza del potere, anche noi abbiamo fatto l'esperienza della folla, che si agita, che fa rumore; della gente che sempre ha da gridare, da parlare, ma che poi non riesce a concludere nulla. Anche noi abbiamo fatto l'esperienza del dubbio, dell’incertezza, della luce che spariva dalla nostra vita: quello che c'era sembrato così pacifico, così tranquillo, così vero, così giusto nella nostra casa, tutto sembrava annebbiarsi, tutto sembrava oscurarsi! Dov'è il Signore? Dov'è Dio?
E lo sapete: molti non hanno più saputo ritrovare la strada del Signore! Io non ho avuto la sfortuna d'incontrare nella mia vita - quand'ero ragazzo, nel momento in cui la luce si smarrisce almeno un po' - i maestri troppo saccenti. Ma nella mia lunga storia di prete ho ascoltato tante volte storie di gente che si è scontrata con preti che pensavano di saper tutto, che erano sempre pronti ad alzare la voce, a giudicare, a condannare; a volte senza conoscere, senza sapere quasi niente della vita! Ho incontrato chi si sentiva turbato dalle parole delle autorità della Chiesa, spesso pronte a condannare, a giudicare, senza comprensione della vita! C'è anche chi ha incontrato preti a volte meschini, attaccati al denaro; più spesso, lontani dalla vita... E tutto questo ha fatto smarrire la luce, e qualcuno non l'ha più ritrovata!
Ma se noi siamo qui, è perché nella nostra esperienza di credenti abbiamo incontrato dei "Magi"! Della gente che cercava la luce, che la cercava con passione, con cuore sincero; gente che, magari, veniva da lontano, che non ci aspettavamo... ma che è stata, nella nostra vita, testimone di ricerca della luce, di passione per la verità; gente che si portava nel cuore "la fame e la sete" della giustizia, della luce! Ed anche noi, se siamo qui, siamo stati cercatori di luce: un po' come dei Magi, andando quasi a tentoni! Ed abbiamo provato la gioia di scoprire Gesù!
E abbiamo vinto la tentazione che avranno avuto i Magi, di dire: "Tutto qui?! È questo il Signore che aspettavamo?! Di fronte ai problemi del mondo, di fronte alla violenza, di fronte agli Erodi che ancora ci sono, soltanto un piccolo, indifeso bambino?!"... Abbiamo superato anche questo, se siamo qui! Abbiamo visto in questo Bambino, che si schierava dalla parte delle vittime, la gratuità di Dio! Se siamo qui, è perché anche noi, con gioia nel cuore, abbiamo scoperto in Gesù l'Amore di Dio, che si faceva bambino e veniva a condividere la nostra vita, a camminare con noi!
Invochiamo con forza lo Spirito perché ci conservi un cuore così, capace ancora di cercare la luce, senza pensare di sapere tutto, senza pensare di avere sempre una risposta! Un cuore fragile, che vada cercando per le strade del mondo la luce, che sappia riconoscere nei nostri giorni - anche quando ci sembrerà difficile - in Gesù l'Amore di Dio!
Ci conservi, lo Spirito, nel cuore un po' della gioia di Natale, in quest’anno, che ci sta davanti; ci dia - a tutti! - la gioia di essere, almeno un po', testimoni di Lui!
1995
C'è una cosa, su cui tutti i nostri catechisti sono d'accordo, sia adulti sia giovani: ed è che, quando si cerca di comunicare un po' di quello che noi sappiamo e conosciamo di Gesù, molto spesso è più quello che si riceve, che quello che si riesce a dare. Ed io sono pienamente d'accordo con loro: nella mia, ormai lunga, vita di prete, è molto di più quello che ho ricevuto dalla gente - da tutti: dai ragazzi, dai giovani, dagli adulti - di quello che son riuscito a dare.
Ed una delle cose più preziose che ho ricevuto è la sensazione di freschezza del Vangelo, dell'incontro con Gesù, che ti dà chi si avvicina per la prima volta al Signore, alla Sua parola! Succede con i bambini, che magari non hanno mai letto il Vangelo e lo leggono con tutta la freschezza e l'ingenuità della loro infanzia. Succede con i giovani, che magari riscoprono il Vangelo negli anni dell'adolescenza, quando i problemi si fanno vivi ed acuti. Succede anche con gli adulti: capita a volte di incontrare qualcuno che magari da parecchio tempo è lontano dalla Chiesa, che non ha più frequenza alla Messa o alle parole religiose, che si avvicina di nuovo al Signore e riscopre la vita cristiana, riscopre la vicinanza del Signore, la bellezza della Sua parola! E ti aiuta a sentire il Vangelo, l'incontro con Gesù, come una cosa viva, fresca!
Perché, vedete, noi siamo abituati - capita a me, ma penso che capiti anche a voi - a parole che sono ricche, forse, di tradizione, ma che qualche volta diventano come stantie, troppo note e abitudinarie. Chi come me, come forse qualcuno di voi, ha avuto l'avventura quest'anno di leggere il Catechismo della Chiesa cattolica - o altri catechismi in passato - sa che abbiamo incontrato parole pesanti, insensate, lontane dalla vita concreta, parole a volte sacralizzate, che vogliono essere grandi, ma che non ti dicono più nulla.
Ma anche la nostra pratica cristiana, a volte, diventa quasi un'abitudine! C'è ancora in mezzo a noi - forse non tra voi che siete qui - chi vive il Cristianesimo soltanto in certe celebrazioni: battesimi, matrimoni, funerali. C’è gente, anche, che viene la domenica, una volta ogni tanto, a Messa, così, quasi per abitudine. Noi tutti siamo stati battezzati da piccini e come diceva un mio amico quasi tutti diventiamo "vaccinati" di fronte al Cristianesimo: lo assumiamo a piccole dosi e non siamo più capaci di sentirlo come una cosa vera, profonda, che ti prende dentro, nel concreto della vita di ogni giorno.
E allora è bello trovare qualcuno che ti dà, di nuovo, tutta la freschezza dell'incontro con il Signore, che ti fa sentire Gesù vicino, che ti dice parole che son vive, che parlano alla tua vita, che ti aiutano a riscoprire i valori autentici e profondi dell'incontro con Gesù!
Se questo è vero anche per qualcuno di voi, capite perché i primi Cristiani dicevano che Gesù non è venuto a battezzare "con l'acqua", ma "con lo Spirito e il fuoco"! Per loro il Battesimo di Giovanni è solo un rito esteriore, l’acqua è una cosa che non conta più. Gesù viene a portarci lo Spirito di Dio: il soffio di Dio che fa liberi; che dona senso alla vita, che fa riscoprire i valori profondi dell'esistenza! E per i primi cristiani il credente è sempre un inseguitore dello Spirito: perché in ogni angolo della terra, là dove c'è uno sprazzo di luce, di verità, di vita, di passione autentica per la giustizia... là il credente sente che può afferrare qualcosa dello Spirito di Dio, che può toccare lo Spirito che feconda la terra!
E sentivano il Battesimo di Gesù, l’incontro con Lui come "un fuoco": un fuoco che riscalda, che dà luce! Ricordate tutti la parola del Vangelo: "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra! e come vorrei che fosse acceso!" Ecco, i primi Cristiani sentivano che Gesù dovrebbe essere per noi un fuoco che arde, che dà calore, luce e senso alla vita!
Fermiamoci un momento, in questa celebrazione, ad invocare lo Spirito di Dio! Che ci aiuti tutti a cercare la luce di Gesù, a tentare di portare il Suo soffio nel concreto delle nostre vite di ogni giorno: nelle nostre case, nel posto dove lavoriamo, nell'incontro con la gente. Che Gesù ci accenda con il Suo fuoco, che ci dia la gioia di trovare i Suoi valori nel profondo del nostro cuore e di esserne testimoni intorno a noi, giorno per giorno!
Lo Spirito ci aiuti a farlo!
l995
Sapete cos'è questa? una bottiglia di vino straordinario! Non pensate che sia frutto di qualche miracolo, eh? Niente di tutto ciò. Non era prima acqua e poi è diventato vino: è stato sempre vino.
Ieri sera eravamo con un gruppo di persone a leggere il Catechismo della Chiesa cattolica... e quando, verso la fine, eravamo tutti un po' brilli, ubriacati dalla lettura di quelle parole, in gran parte insensate, una coppia di amici, Ciccio e Tea, che venivano dalla Sicilia, ci hanno offerto due bottiglie di vino straordinario (una è rimasta ancora, perché ieri sera mancava qualcuno). E questo vino straordinario ha rallegrato il nostro stare insieme: un bicchiere di questo vino è un segno di Dio, infinitamente più prezioso delle tante ed inutili parole che avevamo lette su quel libro; e anche di quelle - un po' meno, forse, inutili - che ci eravamo dette fra di noi.
Vedete, per fare questo vino non c'è stato bisogno di un miracolo; ma Ciccio ha detto che ha dovuto raccogliere l'uva. Gli abbiamo chiesto: "Ma era uva speciale?" - "No, uva normale. Ma bisogna raccoglierne tanta e poi spremerla - con i piedi, alla maniera antica - poi prendere 50 Kg. di buon mosto, metterlo in una grande caldaia di rame, farlo bollire con dei rami di amarena, per quasi tutto il giorno, finché non diventano, da 50, 25 Kg. Si aggiungono altri 25 litri di mosto fresco; si mette nelle botti, si lascia fermentare a lungo... e poi, alla fine, esce questa cosa straordinaria!".
Gesù ha fatto qualcosa di simile ad una festa di nozze e i primi Cristiani hanno riconosciuto in questo la manifestazione, il segno di Dio: Dio che viene in mezzo a noi come un bicchiere di vino straordinario! E manifesta - attraverso questo segno - la sua gratuità, il suo amore, la sua tenerezza per la vita degli uomini. Gesù viene a comunicarci la festa e la gioia di Dio!
Quando non saprò più cosa dirvi - ormai il tempo si avvicina, perché sono 25 anni che predico a qualcuno di voi - spero di potervi offrire un bicchierino di buon vino e sarà un segno di Dio più importante e più profondo di tante parole che ho detto; per ora contentatevi soltanto di guardare. "Guardare e non toccare": come succede in tante occasioni della nostra vita! Anche noi preti, come gran parte degli uomini, a parlare siamo capaci: è anche facile! A fare, è un po' più difficile: offrire a tutti voi un bicchiere di questo vino, sarebbe una cosa un po' complicata...
Posso darvi un consiglio, però: se qualcuno in nome di Dio alza la voce, minaccia, promette castighi, invitatelo a bere un bicchiere di buon vino, se qualcuno vi esorta a fare un digiuno religioso, bevete un "gottolin" di vino! e se potete, condividetelo con chi, magari, attraversa un momento un po’ triste: è molto meglio! I discepoli di Gesù non fanno digiuno: i discepoli di Gesù bevono il vino - poco, eh?! - come segno di festa, come segno di Dio; come segno del suo amore, come segno della sua tenerezza, come segno della sua gratuità!
1995
Una delle ricchezze più preziose della mia vita di prete - e di uomo - è stata la lettura del Vangelo! L'ho letto tantissime volte: da solo, nei gruppi insieme con la gente (e anche con parecchi di voi); l'ho letto tantissime volte insieme con tutti, il sabato e la domenica, qui in chiesa. Ho studiato e ho amato con passione il Vangelo; e ho trovato nel Vangelo tesori di luce, di vita, di verità: il riflesso dello splendore di Dio! Credo che di questo un pochino voi possiate essere testimoni, voi che mi ascoltate, ormai, da tanto tempo: ho cercato di comunicare a voi, con semplicità, quello che potevo, della ricchezza di questo libro.
Questa premessa, perché stasera vorrei provare a mettervi in guardia, se mi riesce, dall'uso a volte distorto e ideologico che si fa del Vangelo: la cosa che più mi rattrista e mi addolora, - proprio perché lo amo, il Vangelo - è vederlo usato contro l'uomo, per parlare contro la sua vita, contro la sua libertà, contro la sua gioia! Qualche parola in più, per tentare ancora una volta di spiegarmi e di spiegare, se mi riesce, quello che ho capito del Vangelo.
Che cos'è il Vangelo? Come è stato scritto? Ci aiuta quello che abbiamo letto stasera. Non so se avete notato che prima abbiamo letto qualche frase, che è proprio all'inizio del Vangelo di Luca; poi abbiamo saltato 4 capitoli (quelli che abbiamo letto durante le feste passate) e poi abbiamo ripreso. In quelle prime righe Luca ci dice come ha scritto il Vangelo. Cominciamo dall'inizio e cerchiamo di capire.
Gesù è venuto su questa terra - la Parola eterna e infinita di Dio! - ed ha parlato agli uomini. Ha parlato, badate bene, col linguaggio, all’interno della cultura del suo tempo, dei problemi del suo tempo: al tempo di Gesù non c'erano né radio, né televisione, né automobili, né treni... niente di tutto questo. E il modo di parlare, di ragionare, i problemi che avevano intorno erano profondamente diversi dai nostri. Gesù parlava in quella cultura: e non poteva essere diversamente, perché altrimenti non sarebbe stato un uomo, non avrebbe parlato a delle persone concrete! Gli esempi, le immagini che si trovano nel Vangelo son tutte quelle del tempo di Gesù, a volte per noi lontane: si parla della semina, della mietitura, della pecore... tutte cose che i nostri bimbi fanno fatica ad immaginare, perché non le hanno mai viste (molti di voi, invece, hanno avuto la fortuna di vedere anche quel mondo).
Bene: Gesù ha parlato in quel mondo, un mondo profondamente diverso dal nostro. Ma - come ci ha ricordato Luca - Lui non ha lasciato scritto niente: qualcuno ha ascoltato le Sue parole e poi le ha ripetute. Ma voi siete gente avveduta e sapete che, quando uno ascolta e poi ripete, ci mette un po' anche del suo: ci mette la sua ricchezza; ma ci mette anche i suoi rancori, le sue rabbie, le sue incomprensioni!
Non solo: ma chi ha scritto - come Luca stesso vi dice - non ha ascoltato quello che Gesù diceva: ha ascoltato quelli che parlavano di Lui. Quindi, vedete, abbiamo tre passaggi: primo, Gesù che parlava nel mondo del suo tempo; poi coloro che hanno ascoltato e hanno parlato; infine, qualcuno che ha ascoltato quelli che parlavano e ha scritto. Il risultato è quello che noi leggiamo oggi. (La cosa è molto più complessa, in verità, ma non abbiamo tempo)
Allora c'è qui un problema, un problema grosso: che cosa appartiene al "messaggio" di Gesù e che cosa, invece, appartiene al "tempo" di Gesù? Cioè: quale è il nocciolo e quale la scorza, che riveste questo nocciolo? Che cosa è prezioso per noi?
E non solo: che cosa ha detto veramente Gesù e che cosa hanno aggiunto quelli che parlavano? che cosa ha aggiunto Pietro? che cosa Andrea, Giacomo, Giovanni? E poi ancora: che cosa ha aggiunto chi ha scritto? Luca ci ha messo qualcosa di suo? Voi capite facilmente che, chi si avventura nel tentare di rispondere a queste domande, in qualche modo interpreta! E allora voi (ci sono biblioteche intere che cercano di commentare il Vangelo) non vi meraviglierete di trovare qualcuno che dice una cosa, qualcuno che dice l'altra... È l'avventura di cercare di capire che cosa è essenziale e che cosa è marginale: quale è la sostanza e quale la scorza; che cosa ha veramente detto Gesù, che vale anche per noi adesso, e che cosa, invece, apparteneva alla mentalità di quel tempo.
È un'avventura! Ma è un'avventura indispensabile! Chi nega questa avventura vi inganna: anche la sua è un’interpretazione! La parola non è qualcosa di assoluto, di magico: bisogna cercare di interpretarla.
E non basta interpretarla: bisogna "attualizzarla"! Avete ascoltato oggi il Vangelo: Gesù si alza, apre il libro, legge e poi dice: "Oggi si è adempiuta questa parola!". Oggi, qui! E questo è un altro problema, molto più complesso: chi può dire che cosa dice Gesù oggi, qui, per me? Questa è ancora un'altra interpretazione, ancora un'altra avventura! E voi sapete che io... mi "avventuro" ogni domenica nel far questo: cioè nel tentare di rendere attuale e concreta la parola di Gesù, per noi, oggi! È chiaro, è normale che, se andate in un'altra chiesa, sentite uno che parla in maniera un po' diversa. Chi ha ragione? Chi ha la verità? Chi dice il giusto? Mettete un grande punto interrogativo e conservatelo! Perché - è quello che voglio dirvi oggi - diffidate sempre di coloro che vi dicono: "Gesù dice così. Questo è quello che Lui vuole".
È importantissimo, questo: noi siamo alla soglia del terzo millennio ed è fondamentale che i credenti, tutti i credenti, rinuncino a dire con sicurezza e arroganza: "Così dice Dio. Questa è la Sua volontà". Perché altrimenti diventiamo, anche noi, fautori di intolleranza, fautori di fanatismi! E il mondo non è più fatto di tanti piccoli villaggi come una volta: ormai è un villaggio globale! O diventiamo tolleranti, rispettosi di quello che pensano gli altri, oppure... Vi porto un esempio: ieri sera leggevamo il Catechismo della Chiesa cattolica, dove si dice, con grande solennità, che "non ci deve essere nessuna discriminazione in base alla cultura, al colore della pelle, al sesso, tra gli uomini, perché tutti gli uomini sono uguali". "Nessuna discriminazione": siete tutti d'accordo che non ci deve essere nessuna discriminazione? Penso di sì. Spero di sì. Beh! provate ad andare da qualcuna delle autorità della Chiesa e dire: "Avete letto qui? Non ci deve essere nessuna discriminazione in base al sesso... Quindi, da domani, cerchiamo di preparare le donne a diventare preti". -"Ooh! Non si può!" -"Perché non si può?" -"Perché Gesù ha fatto così!"
Ecco: questa è la radice di ogni intolleranza! Tenetelo bene a mente. Quando vi parlano del fanatismo dei Musulmani (è giusto guardarlo con attenzione: è uno dei grandi problemi del nostro tempo) non dimenticate che noi nella nostra storia abbiamo mandato al rogo decine di migliaia di persone..."in nome di Dio"! perché "Dio dice così"! Questo è quello che io tento di dirvi: questo è l'uso strumentale e ideologico del Vangelo! Quando qualcuno vi dice: "Questo bisognerebbe fare... però Dio dice così!", voi cercate di capire. Questa - per quello che capisco io (scusate se dico... voi cercate di capire; voi capite molto più di me, probabilmente) questa è la radice del fanatismo, questa è la radice dell'intolleranza! In nome di questa intolleranza, e di questo fanatismo, i Cristiani hanno distrutto intere nazioni: "Noi abbiamo la verità, gli altri non l'hanno!"
"Così ha detto Gesù! Così ha detto Dio!": non si può dire con assoluta sicurezza, mai! Cosa ha veramente detto Gesù, cosa vuole da noi oggi, è cosa da cercare insieme, con passione, con attenzione, con gratuità, con rispetto del nostro prossimo. Deve essere questa - per quello che ho capito io...- la base del futuro, del secolo che ci sta davanti: il rispetto del nostro prossimo! Uno la pensa diversamente da me? prima di dire che "Dio sta con me", metteteci non uno, ma mille punti interrogativi: cercate di vedere la parte di ragione che lui si porta dentro. Perché non c'è una verità assoluta! Non c'è un Vangelo che magicamente ci permetta di affermare: "Così ha detto Gesù". Bisogna cercare di interpretarlo, cercare di capire che cosa dice Gesù a me, oggi!
Un'altra piccola cosa voglio dirvi: conservate nel cuore una delle frasi più belle della Bibbia, che avete ascoltato alla fine della prima lettura: dice così: "Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza!" Avete una chiave: chiunque vi rattrista nel nome del Vangelo, chiunque non cerca di comunicarvi un po' della gioia di Dio... Ascoltate un altro, datemi retta... Stasera non ho più la bottiglia del vino, ma abbiamo l’invito di Neemia: "Andate, mangiate carni grasse e bevete vini dolci!"
"La gioia di Dio è la vostra forza! Noi abbiamo bisogno della gioia di Dio, della Sua libertà, della Sua tenerezza! (Non abbiamo bisogno delle Sue minacce, dei Suoi rimproveri... Non suoi, di coloro che si arrogano il diritto di parlare "in nome di Dio"!).
l995
Qual è la differenza fra il rispetto dell'altro, la tolleranza, la giusta ricerca del consenso, e la cortigianeria e la ruffianeria? Dove finisce il diritto - anzi il dovere - che ciascuno di noi, ciascun uomo ha, di difendere le proprie idee, di cercare la giustizia, il diritto? Dove finisce il diritto a combattere per quello che ci sembra giusto e vero, e dove comincia l'intolleranza e il fanatismo?
A leggere il Vangelo, ci sono - come voi sapete bene - tante parole di Gesù sulla tolleranza (lo ricordavamo anche domenica scorsa), tante parole sul rispetto degli altri. Vediamo inoltre Gesù chinarsi con infinita tenerezza sull'uomo in difficoltà, su chi sbaglia, sul peccatore. Ma, se leggiamo con attenzione il Vangelo, sembra esserci un problema ancora più grande; sembra esserci per l'uomo, per il credente, un pericolo ancora maggiore dell'intolleranza, ancora più diffuso forse: quello di diventare un cortigiano, di diventare un ruffiano, di ricercare l'applauso della gente, senza cercare più ciò che è giusto e vero.
Lo avete visto anche nel Vangelo di oggi: Gesù è nella sua città, la gente esprime la sua meraviglia, la sua ammirazione; e Lui comincia a fare un discorso, ruvido per quella gente: occorre che superino i confini del loro piccolo mondo! Lui non può rimanere lì! Come al tempo di Elia, al tempo di Eliseo, bisogna andare dagli altri, dagli "stranieri", dalla gente diversa! I concittadini di Nazareth non accettano; e quello che era applauso, consenso, si tramuta in rabbia: lo portano fuori dalla città, vogliono addirittura precipitarlo giù dalla rupe del monte.
E non è solo quest’episodio, ma in quasi tutto il Vangelo Gesù manifesta il suo timore della folla: ogni volta che la gente lo cerca, Lui scappa! Per rimanere solo, per cercare dentro se stesso quello che è giusto! Se leggete il Vangelo, quasi dalla prima parola all'ultima, troverete il disprezzo di Gesù verso tutti i cortigiani e i ruffiani, il suo rifiuto costante di ricercare l'applauso della gente. Sembra dunque esserci, nel Vangelo, un pericolo grande per l'uomo: è quello di diventare un ruffiano, di cercare l'applauso degli altri. E quando si parla di ricercare l'applauso, il consenso degli altri, non pensate subito al cav. Berlusconi e alle sue accattivanti TV; o non pensate al Papa, che non sembra mai aver paura delle folle e dei cortigiani... È un problema per ciascuno di noi.
Per me; per voi. È un problema persino per i genitori nei confronti dei figli: a volte i genitori ricercano - con affanno, con ansia; oggi forse più che ieri - il consenso dei figli. Hanno paura, qualche volta, di urtarli, di mettersi in conflitto (necessario conflitto!) con loro. Ma è un problema anche per gli insegnanti nei confronti degli alunni. È un pericolo, forse più grande ancora, per i giovani: pericolo di diventare ruffiani nei confronti del gruppo in cui vivono, delle mode che passano, del mondo che gli sta intorno. "Bisogna sapersi adattare ad ogni circostanza" mi diceva l’altro giorno una ragazza, citando Machiavelli. È giusto, ma bisogna avere un’anima d’acciaio, bisogna avere dei valori dentro, altrimenti diventiamo dei ruffiani, perdiamo la nostra dignità di uomini. Tutti sapete come questo pericolo ci sia sul posto del lavoro: di qualunque lavoro, in qualunque ambiente. Nella Chiesa, nell'ambiente dei preti, negli ambienti religiosi forse è più forte che in altri ambienti, perché si ammanta di "virtù", si giustifica con la "spiritualità" e "l’ubbidienza"!
Come si può rispondere alle domande che vi facevo al principio: "qual è la differenza fra la tolleranza, il rispetto, l'attenzione verso l'altro, e la cortigianeria, la ruffianeria? Dove finisce il diritto di affermare la verità - il diritto a cercare la verità - e dove comincia il fanatismo e l'intolleranza?" Se sapessi rispondere a queste domande, mi potreste fare un monumento, qua! Ma... diffidate di chi risponde a queste domande! Perché non si può rispondere in maniera generica a domande così grandi; perché a queste domande si può rispondere soltanto nel contesto concreto di una situazione! Dovete domandarvi: "Cosa succede qui, nella mia casa, nel posto dove lavoro, con gli amici?" Se lo può domandare il bambino, come il giovane, come l'adulto, come l'anziano: ciascuno in una situazione diversa. E ciascuno cercherà la sua risposta.
Ma qualche indicazione?... Due, a buon mercato; anzi tre: la prima già ve l'ho data: non cercate mai una risposta generica. La seconda: è importante per il credente - ma per l'uomo, in genere - conservare nel cuore la passione per la verità e per la giustizia, il senso della gratuità: la mia vita non vale se ricevo gli applausi della gente, ma se ho dentro il cuore un tesoro, qualche cosa di prezioso, di grande; qualche cosa per cui valga la pena di vivere. Conservare nel cuore la passione per la verità, per la giustizia, per i valori più profondi: questo è essenziale per l'uomo che vive!
E la terza cosa: il vero profeta si riconosce perché grida sempre contro i potenti e i prepotenti, mai contro i piccoli e i deboli! Il vero profeta non è colui che aggiunge un peso a chi già ne porta tanti, che alza il dito contro chi vive una condizione di debolezza e di fragilità: il vero profeta alza la voce soltanto contro chi è potente e prepotente e se vede una persona che porta un peso, corre a torglierlo!
Ricordate sempre: Lui è finito su una croce perché ha creduto fino in fondo nei valori che si portava dentro: ha avuto il coraggio di cercare la verità e la giustizia fino in fondo, di fronte a tutti! Ma si è sempre schierato, con infinita tenerezza, con chi vedeva in difficoltà, con chi si portava un peso addosso, con chi provava il senso di colpa! Non ha mai alzato, non dico una pietra, ma nemmeno il dito contro l'uomo peccatore!
Ecco il vero profeta: un uomo che sa anche rimanere solo, con una grande passione nel cuore, ma con un'infinita tenerezza! Non è semplice!
Il Signore ci aiuti!
1995
Se ricordate, Luca ci diceva, nelle Domeniche passate, che lui non ha conosciuto né ascoltato direttamente Gesù: ha ascoltato quelli che parlavano di Lui e raccontavano la loro esperienza con il Maestro. Ho fatto con voi, più di una volta, un gioco di fantasia: cercare, cioè, di cogliere sulle labbra stesse degli apostoli il racconto dei loro incontri con Gesù. Vorrei farlo anche stasera. Vi invito a fare un viaggio con la fantasia, ad andare ad ascoltare l'apostolo Pietro.
Immaginate, allora, di trovarvi in una delle case, qui vicino, ad Ostia antica, tanto tempo fa - circa 1900 anni fa - in una piccola stanza in cui è venuto l'apostolo a far visita ad un gruppetto di Cristiani, che è lì riunito - come facciamo noi, ogni sette giorni - per spezzare insieme il pane e per parlare di Gesù. Di Gesù e della loro vita.
Stasera non ci sono tante cose da dire; il discorso è finito abbastanza presto. Allora un Cristiano, giovane, un po' curioso, si rivolge a Pietro e gli fa: "Pietro, dimmi un po': come mai Gesù ha chiamato proprio te? Dovevi essere il migliore!" Pietro lo guarda un momento: ormai è abituato a questa domanda, l'ha sentita tante volte... Le prime volte un velo di tristezza gli calava sul volto; ma adesso non più. Risponde alla domanda con una gran risata, una risata da uomo cordiale, semplice. E poi, quando ha finito la sua bella risata piena di allegria, gli dice: "Tu non mi conosci! Se mi conoscessi bene adesso ‑ e soprattutto se mi avessi conosciuto allora ‑ non diresti certo che Gesù ha scelto me, proprio perché ero il migliore: sono forse uno degli ultimi tra gli uomini! Io ho avuto una grande fortuna nella vita: la fortuna di incontrare Lui! Mi ha cambiato la vita, mi ha fatto una persona diversa...
E vedi, siamo stati in pochi ad avere questa fortuna. In pochi perché a quel tempo vivevamo in un piccolo villaggio: non era certo come qui, a Roma, dove c'è tanta gente, là nei nostri piccoli villaggi sulla riva del lago. Ma non è soltanto questo: siamo stati in pochi ad avere avuto la fortuna di conoscerLo veramente. Perché, - impara, tu che sei giovane - spesso giudichiamo gli uomini soltanto dall'esterno, li giudichiamo secondo schemi e pregiudizi. Anche per Gesù è successo così: qualcuno Lo considerava un maestro, come ce ne sono tanti; qualcuno un profeta, come quelli del passato; soprattutto le persone che si ritenevano perbene, soprattutto i maestri della legge che credevano di possedere tutta la verità su Dio, non Lo potevano vedere: Lui stava spesso con i peccatori, con le donne di strada, con gente ignorante come noi!
Io ho avuto la fortuna non soltanto di incontrarLo sulla mia strada, ma di conoscerLo! E ti posso assicurare: c'era in Lui una tale carica di vita, una tale carica di liberazione, una tale carica di forza, che mi ha veramente cambiato la vita! Sono più di 30 anni che parlo di Lui e non riesco a trovare le immagini... È stato per me come un ruscello di acqua zampillante, quando nel deserto hai proprio sete; come una luce che si accende nella notte; come un fuoco, che riscalda e dà calore! Questo ed anche di più è stato per me Gesù! Sono sempre più convinto che in Lui ho fatto esperienza di Dio, della infinita luce che è all’origine della nostra esistenza! In Gesù ho toccato con mano qualche cosa della tenerezza, della vita, della grandezza, dell'infinita grandezza di Dio!
E spesso mi diceva: "Adesso tocca a te, Pietro: devi continuare la mia opera. Io non starò qui a lungo... tocca te, a ciascuno di voi!”. Scherzava sul mio mestiere: "Pietro, non basta pescare i pesci, tu devi diventare pescatore di uomini". "Sì - dicevo - per metterli in padella!" "Gli uomini hanno bisogno di vita, tu puoi comunicare loro luce e liberazione, speranza e vita!" Io gli dicevo: "Proprio io, Gesù? Ma mi conosci? Sai chi è Pietro?!"
E Pietro aggiunge: "Io ero allora - e in parte lo sono ancora - una persona intollerante e orgogliosa, uno che si arrabbiava facilmente! Anch'io volevo i primi posti, cercavo dappertutto il mio tornaconto... E non solo questo: io sono arrivato a tradirLo, a rinnegarLo, il Maestro! Una cosa posso dirti: non ho mai sentito da Lui una parola di rimprovero, non mi ha mai puntato il dito contro! E proprio quando mi sentivo disperato, quando pensavo di non poter più tornare da Lui, ho incontrato i Suoi occhi! - Tu non hai visto gli occhi di Gesù! - E mi ha chiesto per tre volte se gli volevo bene... e mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha detto: "Coraggio, Pietro! Proprio a te chiedo di continuare la mia opera: a te, che hai il cuore fragile; a te, che credi di non potercela fare; a te, che mi hai tradito! A te chiedo di essere il testimone della mia luce, della mia bontà, del mio amore, nel mondo". Ho tentato di farlo, tento ancora di farlo, come posso, vedo ancora i suoi occhi pieni di tenerezza, sento ancora la sua mano sulla mia spalla...".
E un altro Cristiano gli domanda: "Pietro, dimmi un po': ma secondo te hai ottenuto qualche risultato? Sei riuscito a portare nel mondo un po' della vita che Gesù ti aveva messo nelle mani?" Pietro lo guarda a lungo. "Sapessi - gli dice - quante volte mi son cascate le braccia, quante volte mi sembrava tutto inutile, come quando, là sul lago, lavoravamo tutta la notte senza pescare nulla! Ma poi, vedi, mi ritrovo qui, con gente come voi, posso parlare a voi di Gesù perché avete fame e sete di verità, passione per la vita! E ogni tanto sento che nasce una piccola comunità di Cristiani, anche a Corinto e ad Efeso e ad Alessandria... Ormai c'è anche tanta gente che va in giro per il mondo a parlare di Lui e allora mi dico: Coraggio, Pietro, forse proprio invano non hai lavorato. E mi ricordo di Lui, che ci parlava di un chicco di grano, di un granello di senape! E ci invitava a non aver paura; ci invitava a tentare di seminare nella vita tutti i semi di amore, di bontà, di liberazione, che possiamo".
Ed un altro gli domanda: "Pietro, ma ti è costato seguire Gesù?". Pietro lo guarda e - stavolta sì - un velo di tristezza cala sul suo volto; e gli risponde: "Mi è costato! Ho dovuto lasciare la mia terra; mi hanno distrutto la barca; mi hanno bruciato la casa; son dovuto andar via! Non ho più una patria, ma sono diventato cittadino del mondo! E, credimi, l'incontro con Gesù mi ha messo dentro una tale carica di vita, che veramente ne è valsa la pena. Mi è costato, perché mi sono scontrato contro la violenza degli uomini; ma - te lo dico con tutta sincerità - se dovessi tornare indietro, vorrei rifare le stesse cose. Troppo grande, troppo straordinario, troppo bello è stato per me l'incontro con Gesù: mi ha veramente arricchito e riempito la vita! E finché avrò un filo di voce, finché avrò un po' di forze, continuerò a testimoniare Lui, a parlare di Lui, a portare nel mondo un po' di vita!...".
Non è soltanto la storia di Pietro: è la storia di ciascuno di noi, di chiunque abbia incontrato il Signore! Anche noi, al di là dei nostri limiti, al di là del nostro peccato, siamo invitati ad essere testimoni - per quello che possiamo - della Luce di Dio! Non sono cose straordinarie: è la vita di tutti i giorni. Si testimonia Dio anche con un sorriso, con una carezza, con un piccolo gesto: piccoli semi che fioriscono e fanno bella la vita!
Il Signore ci aiuti!
1995
Per chi, come me, ha fatto le sue più belle e profonde esperienze religiose leggendo il "discorso della montagna" del Vangelo di Matteo, le "beatitudini" come sono in quel Vangelo - tutti le avete certamente nella memoria: "Beati i poveri in spirito, beati i misericordiosi, beati i miti, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, beati gli operatori di pace" - ; per chi ama queste parole e trova qui il cuore stesso del Vangelo, l'impatto con il Vangelo di Luca è duro e sconcertante.
La prima cosa che a me dà un po' di noia (non so se voi l'avete notato; forse no, perché la maggior parte di voi non ama le montagne), è che Luca fa parlare Gesù non sulla montagna, ma in un luogo pianeggiante; si vede che a Luca era antipatica la montagna... questo non è per me un buon inizio, perché io amo la montagna! Ma non è questo quello che conta. Avete tutti notato che in Luca non si proclama beata nessuna qualità interiore: "Beati voi che siete poveri, beati voi che piangete, beati voi che soffrite". E questo sembra dar ragione a chi sostiene che il Cristianesimo è esaltazione della sofferenza, esaltazione della povertà, celebrazione del piagnisteo che spesso gli uomini fanno. È un dire alla gente: Non vi preoccupate se soffrite e piangete oggi, perché avrete la ricompensa nel cielo. Questo l'ho sempre combattuto con tutte le mie forze, perché mi sembrava un tradimento del discorso della montagna e delle beatitudini; ma queste parole di Luca - lo avete sentito - sembrano dare ragione a quelle critiche.
Ma c'è di più: gli studiosi ci dicono che probabilmente è proprio questa di Luca la versione originaria: è Matteo che l'ha addolcita, per renderla più accettabile a gente come noi, che non ama questa contrapposizione così netta fra poveri e ricchi, ed ha messo l’accento sui miti, i misericordiosi, gli affamati e gli assetati di giustizia.
Ma il fatto che questa era probabilmente la versione originaria, che queste sono le parole uscite dalla bocca di Gesù, mi ha spinto a cercare ancora, a tentare di capire. E pian piano, faticosamente, mi è sembrato di capire qualche cosa. Ma all’inizio la faccenda si faceva ancora più complessa, perché mi dicevano: "Ecco, qui Gesù, si schiera, prende parte". Vedete, anch’io - come tanti ragazzi di oggi, come forse molti di voi - sono stato educato all'idea della giustizia e dell’eguaglianza - "dobbiamo essere tutti uguali" - e quando mi si dice che Dio si schiera da una parte (l'ho sentito tante volte, questo, nella mia vita): "Ah, no! Dio non può schierarsi: per Lui tutti gli uomini debbono essere uguali". Provate a dire in un gruppo di ragazzi: "Dio preferisce i poveri, Dio ama più i poveri", "Ah, no! Dio, se è Dio, deve voler bene a tutti ugualmente, poveri e ricchi, belli e brutti, bianchi e neri, per Lui siamo tutti uguali!".
C'è una frase, che don Milani riporta in un contesto completamente diverso, che mi ha aiutato a capire: "Non c'è niente di più ingiusto, che fare parti uguali tra disuguali". Questo mi ha aiutato a capire che senso avesse lo "schierarsi" di Dio: Dio che si mette al fianco di chi ha più bisogno! Come, in fondo, fa una mamma, che si schiera sempre dalla parte del figlio più bisognoso; se un figlio si ammala, la mamma è tutta per lui, gli altri quasi non esistono, e certo questo non vuol dire che fa parzialità e non vuole bene a tutti ugualmente. E questo schierarsi di Dio, questo prendere parte, di Dio, per il piccolo, per il sofferente, per il povero, prima di ogni valutazione morale, è di fondamentale importanza per chi vuole entrare nel mondo del Vangelo, per chi vuole capire Dio e il Suo progetto!
Importante: perché l'uomo religioso, in ogni angolo della terra è abituato a pensare che chi è ricco è uno benedetto da Dio, chi è sano è benedetto da Dio, chi è bello è benedetto da Dio; mentre la sofferenza, la malattia, è una punizione, un castigo di Dio! Non avete detto anche voi qualche volta: "Che ho fatto di male, perché mi capiti questo guaio?!"
Ecco: Dio che si schiera accanto all'uomo che soffre, per dirgli: "Io sto dalla tua parte. È vero, nel mondo ci sono tante disuguaglianze, tante ingiustizie, ma non c’entrano niente con la colpa e il merito, il premio e il castigo: tu non vali per i soldi che hai, tu non vali soltanto se sei bello, giovane, sano e forte: tu vali perché sei una persona, perché sei un uomo! Ed io vengo a prendere parte accanto a te!"
Ma c'è di più: lo schierarsi di Dio è un convocarci - tutti - accanto all’ultimo, al debole, al piccolo, al povero. Gesù lo ha fatto sempre: se ha incontrato un cieco, da lui è andato prima che da tutti gli altri! Se ha incontrato un lebbroso escluso dalla comunità, evitato da tutti, da lui è andato, per portare liberazione e salvezza: accanto a lui s'è messo! E non solo: la donna portata sulla piazza, umiliata e avvilita per il suo peccato, mentre intorno a lei tutti gli uomini alzano le pietre, ha visto Gesù accanto a sé: Gesù ha asciugato la sue lacrime, ha ridato a lei la fiducia e il sorriso! Così come Pietro, quando - disperato per il suo tradimento - è tornato, ha trovato la mano tesa di Gesù, la Sua tenerezza!
Non solo: ma Gesù, alla fine, ci ha lasciato un solo criterio per giudicare la nostra vita: "Avevo fame e mi hai dato da mangiare; avevo sete e mi hai dato da bere". Non conterà se siamo stati ricchi o no; non conterà se siamo stati belli o brutti, fortunati o sfortunati; non conterà nemmeno quante preghiere abbiamo detto. L'unica cosa che conterà è se anche noi ci siamo schierati; se anche noi abbiamo preso parte; se anche noi abbiamo teso una mano verso il più piccolo, il più debole, il più povero accanto a noi! (Povero seriamente, non come certi che si incontrano per via, che usano i soldi per bere o drogarsi o che sfruttano i bambini, ai quali un po' avventatamente date il vostro obolo...).
Povero, è chi ha fame e sete, ma povero è anche chi ha bisogno di tenerezza e di affetto perché si sente solo o perché si porta la sofferenza e il dolore nel cuore; perché è incapace di sorridere alla vita, e di portarsi dentro una speranza. Può essere povero anche uno che ha molti soldi. Come può essere debole anche un bambino, o un ragazzo nel fiore della sua giovinezza. Là ci chiama Gesù! ci chiama alla gratuità! Vedete, nel mondo animale il più piccolo è sempre destinato a soccombere: in un nido di avvoltoi, il più piccolo muore, in un branco di leoni o di elefanti il più debole, il vecchio e malato viene abbandonato da tutti, è destinato a soccombere, sempre: è la legge della natura, la legge della vita.
Per chi vive la gratuità di Dio, per chi tenta di seguire Gesù, il più piccolo deve essere onorato, rispettato, amato: è là che ci convoca Dio! Non perché sia beata la povertà, non perché ci sia qualcosa di buono nella sofferenza: ci convoca là per schierarci, là prendere parte, là tendere la nostra mano, per portare un po' di tenerezza, un po’ di benessere, un sorriso in chi non ce l’ha!
Il Signore ci aiuti!
1995
Abbiamo ascoltato - ve ne siete accorti tutti - parole tra le più forti e sconcertanti del Vangelo: nessuno si turbi, nessuno si spaventi! Sono parole, come amano gli Orientali: parole paradossali, parole che vogliono imprimersi nella memoria. Ci vorrebbe tanto tempo per dire soltanto qualche parola di commento; forse non basta una vita per tentare di entrare, almeno un po', in queste parole. Non voglio farlo, stasera, per due motivi: primo, perché forse non conviene fare troppi commenti al Vangelo e non bisogna fare mai prediche troppo lunghe; poi perché siamo a carnevale e conviene dire qualcosa di semplice e allegro. Ho cercato nella mia memoria l’esempio, il fatterello più semplice, più piccolo, che potesse avere un riferimento con questa pagina del Vangelo, lasciando poi a voi di trovare nella vostra esperienza i fatti e le avventure che possano arricchire la lettura di questa pagina del Vangelo.
Un fatto dunque piccolo piccolo, il più semplice che ho trovato: Chiara, è una bimba dolcissima, il Signore le ha fatto dono di un sorriso luminoso e allegro, che dispensa a tutti con grande generosità. Per tante Domeniche, in parrocchia, ci siamo rallegrati in molti, con il suo sorriso. Domenica scorsa no: è venuta in chiesa, attaccata al pantalone della mamma, con il visetto tutto imbronciato e serio. Ho chiesto: "Chiara, che hai?". Mi ha guardato con l'aria scura e non ha risposto. Allora la mamma ha spiegato: "Ha litigato con la mamma, per questo è arrabbiata". Ed io: "Come mai hai litigato con la mamma, Chiara?" Seguitava a guardarmi con la sua faccina sempre più imbronciata e severa. La mamma mi ha detto: "Eh, siamo andati a casa della nonna e quando Chiara va a casa della nonna non se ne vuol mai andare. Ma dovevamo venire in chiesa ed io l'ho portata via." E Chiara continuava a guardarmi con l'aria sempre più scura. Dico: "Chiara, sorridi! Facci vedere il tuo bel sorriso!"
No, in quel momento, eravamo "nemici", sia la mamma, sia io: la mamma non aveva fatto quel che lei voleva - cioè lasciarla a casa della nonna - ed io mi impicciavo (avrà pensato dentro di sé: "Che vuole don Checco? Che s'impiccia dei rapporti tra me e mia mamma?! Io ce l'ho con mia mamma: deve sapere che sono arrabbiata"). Eravamo due nemici! Chi sa quanto ci avrà messo Chiara, a far ritornare il suo bel sorriso sulla faccia! Forse sarà bastata una carezza della mamma... e alla fine della Messa, probabilmente, sarà uscita (io non l'ho più vista) tutta sorridente: era tutto passato!
Incontrerà altri nemici, Chiara, nella sua vita: più seri, come nemici, della mamma ed anche di me. L'ultima cosa che possiamo augurare a Chiara, è di lasciarsi prendere a schiaffi! L'ultima cosa che possiamo augurare ad una ragazza che cresce nel mondo di oggi, è di farsi mettere i piedi sulla testa, senza tenerla alta per difendere i suoi diritti! L'ultima cosa che possiamo augurare a Chiara, è di non esser capace di giudicare e di condannare, con serietà e severità, tutto il male che vede attorno a sé, di combatterlo con tutta la passione della sua vita!
Ma possiamo augurare a Chiara, di non vedere "nemici" tutti coloro che non fanno quello che a lei fa comodo. Altrimenti troverà "nemici" anche sua mamma, i suoi fratelli; e poi, crescendo, suo marito, i suoi figli, la gente che avrà intorno, i colleghi di lavoro... Possiamo augurare a Chiara, di non vedere in nessun uomo un "nemico": potrà trovare della gente da combattere, della gente diversa da lei, ma speriamo che non senta nessuno come nemico!
Quello che possiamo augurare a Chiara, è che conservi sempre la sua capacità di sorridere alla vita: che nessuno le metta nel profondo del cuore il rancore, la rabbia, l'odio, il desiderio di vendetta! Che nessuno le tolga il sorriso dal volto!
Possiamo augurare a Chiara, di fare - almeno un po' - esperienza di Dio: della Sua gratuità, della Sua misericordia! È il segreto per poter sorridere in questo mondo, in cui si incontra, quasi ad ogni passo, il male, la violenza. Un male ed una violenza da combattere; ma senza che ci porti il rancore nel profondo; senza che ci tolga, che tolga a Chiara il sorriso, così dolce e luminoso, dal suo volto! Speriamo che - fra cento anni! - la morte la colga ancora col sorriso sulle labbra: con la capacità di sorridere alla vita, con l’amore e la tenerezza nel cuore, senza avere "nemici" intorno a sé!
I1 Signore aiuti anche noi!
1995
Volevo preparare, per voi, una predica di carnevale, ma non ci son riuscito; perché non è facile, o magari non ne son capace io. Ne avevo preparata una, veramente; ma me l'hanno censurata... perché questa è una parrocchia un po' sciagurata, dove si censura anche il parroco! (ma giustamente, credo). Allora, contentatevi di quello che son riuscito a tirar fuori.
Son passati ormai diversi anni, ma l'episodio mi è rimasto impresso nella memoria: un giorno una delle nostre catechiste, presa da sacro zelo, ha portato i suoi bimbi - il gruppetto dei ragazzi che si preparavano alla prima Comunione - ad una Messa celebrata dal Papa, a San Pietro; ed è ritornata sconcertata e delusa, dicendomi: "Don Checco, mai più!" L'ho guardata, sorridendo: per lei era la prima volta; io, invece, nella mia vita ho assistito tante volte alle liturgie che si svolgono nelle basiliche romane. Tante Pasque ho dovuto tribolare a Santa Maria Maggiore, assistendo a celebrazioni in cui tutto era rito, cerimonie esteriori fatte di inchini e salamelecchi; con abiti solenni, pennacchi e flabelli. In cui ciascuno doveva fare la sua parte, tutto sempre diretto da cerimonieri che dicevano quello che bisognava fare, come bisognava farlo, come bisognava muoversi...Tutto, in gran parte, senza anima!
Ieri, andando a Roma e dovendo fare un viaggio in metropolitana, avevo portato con me un libricino orientale - il Tao - dio cui mi ha colpito una frase: quando manca la fede, si moltiplicano i riti, le liturgie. Quanto è vero, questo! Quanto è stato vero nella nostra storia di cattolici, qui in questo paese! Siamo stati tutti abituati a liturgie a volte complicate, lontane dalla vita: se ricordate (quelli di noi che hanno i capelli bianchi), quando eravamo piccoli si parlava ancora in latino; assistevamo a riti astrusi e complicati, lontani dalla vita, che non dicevano quasi niente alla nostra esperienza!
Qualcuno di voi mi domanderà: "Don Checco, ma perché ci ricorda queste cose, che ormai appartengono ad un passato lontano?" A parte il fatto che non appartengono ad un passato lontano nemmeno nella preghiera della Chiesa: ma, vi siete mai domandati perché in Italia siamo tanto propensi alle liturgie? Lunghe discussioni, chiacchiere che non finiscono mai, riti che si ripetono sempre uguali... A qualcuno di voi capita di assistere alle discussioni dei nostri politici: liturgie, chiacchiere interminabili; qualche volta, addirittura, a ruoli invertiti, come capita in questi giorni! Oppure qualche volta vi capita di assistere alle liturgie dei nostri sindacati: i soliti scioperi, le solite parole; o anche a quelle dei nostri studenti, che ogni tanto occupano le loro scuole: sempre gli stessi riti, sempre le stesse liturgie! Ma forse molti di voi hanno assistito ad una riunione di condominio: liturgie, chiacchiere infinite, in cui ognuno gioca il suo ruolo, in cui si discute per ore ed ore, su cose e con argomenti che si potrebbero risolvere in 5 minuti! O qualcuno - lo sento dire, perché questo a me capitava soltanto tanto tempo fa - avrà assistito a qualche "consiglio di classe" o a qualche "collegio dei professori": quanto tempo perso inutilmente, senza affrontare i problemi reali... Siamo abituati a liturgie sterminate e tutti le accettiamo tranquillamente... E forse vi sarete accorti che a volte facciamo riti e cerimonie anche negli incontri di famiglia...
Ora, le liturgie possono andar bene per il festival di Sanremo - stasera ne vedrete delle belle, io cercherò di farne a meno! -; o per una partita di calcio... Ma quando si tratta di problemi seri, quando sono in gioco i problemi dell'economia o dei posti di lavoro o del futuro della nostra gente, là dovrebbero essere tutti capaci di mettersi intorno ad un tavolo e fare discorsi seri! Guardandosi negli occhi, affrontando i problemi con semplicità e competenza; senza moltiplicare le parole, senza perdersi in riti formali, lontani dalla vita della gente!
Capite, allora, perché Gesù ci raccomanda, nel Vangelo di oggi, di fare attenzione a che i nostri occhi siano liberi di vedere, senza travi dentro; ci raccomanda di conservare nel cuore un tesoro di bene, per saper poi trarre, da questo tesoro, non chiacchiere vane, ma parole e gesti concreti che affrontino i problemi! Questo vale per la nostra vita pubblica, ma anche per la nostra vita privata, per il nostro comportamento di ogni giorno!
Capite, allora, perché nella nostra parrocchia, da tanti anni, non vedete più schiere svolazzanti di chierichetti vestiti di rosso? Capite perché cerchiamo - non soltanto io, ma tutti quelli che parlano - qui di usare le parole più semplici possibili? Capite perché non diamo ascolto al Sor Francesco, quando dice che quelli che distribuiscono la Comunione si dovrebbero mettere le "palandrane", come si usa in qualche parrocchia seria del Nord? (seria...si fa per dire).
È il piccolo contributo che cerchiamo di dare non tanto al nostro stare insieme qui la domenica, ma alla nostra vita! Chi sa se il Signore ci aiuterà tutti, in questo paese, ad essere un po' più seri: capaci di essere meno prolissi nel nostro parlare, meno "liturgici" nel fare sempre le stesse cerimonie, sempre gli stessi riti... senza affrontare i problemi con serietà!
Beh! anche se è carnevale, diciamo una preghiera, perché il Signore ci faccia tutti un po' più seri!
1995
E dunque, Quaresima come un cammino, come un combattimento! Avrete notato, anche da quello che abbiamo ascoltato stasera, come il camminare, il fare strada, sia una delle dimensioni essenziali della nostra fede. Noi non crediamo in un Dio che ci stia dietro le spalle, a cui ricorrere nel momento del bisogno: noi crediamo in un Dio che ci sta davanti, che ci chiama ad andare, che ci invita ad uscire fuori dalla schiavitù, a conquistare una terra "dove scorre il latte e il miele"! Noi crediamo in un Dio che ci invita a lasciare il fango dei maiali, dove si è finiti andando lontano dalle vie della vita, per ritornare nella casa del Padre, per ritrovare la gioia di stare insieme, per rendere bella e gioiosa la vita!
Anche per noi in questa Quaresima c'è un invito: i nostri ragazzi parlano di "un cammino di libertà": un cammino di libertà da tutte le nostre schiavitù, dal nostro male, dalle nostre ingiustizie, dalle nostre falsità, dalle nostre pigrizie... Un invito a costruire una vita "dove scorra latte e miele": nella famiglia, nel posto dove lavoriamo, perché ci sia tenerezza, ricchezza di vita! Un invito a tornare nella casa del Padre: un invito alla festa, perché la vita sia bella e gioiosa.
Oggi faremo un segno che vuol segnare l'inizio di questo cammino: ci alzeremo dal posto e cominceremo a camminare, per esprimere il nostro desiderio di fare strada, di cambiare, di rendere la vita più bella! E riceveremo un pizzico di cenere: è il segno della nostra schiavitù, dell'Egitto da cui Dio ci chiama ad uscir fuori, del fango dei maiali, in cui si finisce quando si va lontano dalle vie della vita, come ci ricorderà la parabola che troveremo nel cuore di questa nostra Quaresima. È un segno di tutto ciò che sciupa e rovina la nostra vita, un segno del male che dobbiamo combattere, come ha fatto Gesù.
Io stasera volevo aiutarvi a vedere qual è il fango, la schiavitù, la cenere, da cui noi dobbiamo liberarci. Ho provato (il Vangelo di oggi si presta a questo), ma mi son fermato presto, perché, quando si cerca di far l'esame di coscienza, si dicono parole che rischiano di essere ascoltate da coloro a cui non servono. Alcuni piccoli esempi, per aiutarvi: il "diavolo" - sono tutti simboli, tutte immagini, come facilmente capite - dice a Gesù: "Guarda queste pietre: trasformale in pane": è la tentazione semplice, del "pensa per te!" E volevo dirvi: "Ecco, noi forse pensiamo troppo a noi stessi"; e mi è venuto in mente che, proprio negli ultimi giorni, m'è capitato di parlare con 3 o 4 persone le quali avevano un peccato: di pensare poco a sé, di essere poco attenti alla propria persona, di custodire poco la propria vita, di pensare poco a divertirsi: perché si spendono troppo per gli altri! e questo fa male a sé e agli altri!
Poi qui si dice: "Non pensare ai regni del mondo, alle cose della terra" e viene facile dire: le cose essenziali non sono il denaro, la carriera... Io credo che in mezzo a voi ci siano parecchie persone che pensano troppo poco alle cose materiali! Presi dallo "spirito", a volte non ci preoccupiamo delle cose importanti della nostra vita, che sono il denaro, il lavoro, l’attenzione ai bisogni della vita sociale e politica, che ci sono intorno a noi.
L'ultima tentazione - Luca la mette per ultima, perché per lui è la più importante - ammonisce: "Quando pensate alla religione, non pensate ai fatti clamorosi, alle cose straordinarie!": bene, c'è qualcuno di voi che si è emozionato per questa storia delle lacrime di sangue della Madonna; avete visto quanta morbosità c'è in giro! E per me è facile dirvi: "Tutto questo non c'entra niente con la religione!" Ma poi ho pensato: "Checco, forse ci vorrebbe, anche da parte tua, un po' più di rispetto per chi ha bisogno anche di queste cose!"; e allora ho deciso: "Niente esame di coscienza: siete tutti adulti e vaccinati e allora ognuno si faccia da solo le sue domande!"
Ognuno, venendo qui a ricevere la cenere, si domandi: "Qual è la mia cenere? Che cosa sciupa la vita, per me e per chi mi sta intorno? Cosa posso fare perché ci sia un po' più di bellezza, di tenerezza, che sostituisca alla cenere una terra in cui “scorre latte e miele”?" È bella questa immagine! Come potete mettere un po' più di latte, un po' più di miele nelle vostre case? Forse un pizzico di ottimismo? un sorriso in più? il dono di una maggiore speranza per chi vi sta intorno, specie per la gente più giovane?
Ecco: tutto questo è il cammino della nostra Quaresima! Tutto questo chiediamo al Signore, venendo a ricevere questo segno, mettendoci in cammino con fiducia, con speranza; un cammino verso una vita più bella, in cui scorra un po' più di latte e di miele!
1995
I credenti di ogni tempo hanno inventato storie, hanno cercato immagini e simboli, per esprimere la loro fede, per nutrire la loro speranza! Oggi abbiamo ascoltato due di questi simboli, di queste storie straordinarie. La prima: l'immagine di Dio che passa, come un vecchio capotribù, in mezzo agli animali squartati, per giurare la sua fedeltà ad Israele: a loro darà una terra vasta e spaziosa dove scorre il latte e il miele. E poi la seconda immagine: sull'alto della montagna, Gesù si trasfigura, la sua veste diviene candida e sfolgorante, si sente la voce dall’alto: quasi un’anticipazione della Pasqua, un'anticipazione della vittoria! È il modo degli antichi di esprimere la loro fede nella fedeltà di Dio per la nostra storia, nella passione di Dio per la nostra vita: è la radice stessa della speranza del credente!
Non siamo soli nella nostra ventura di uomini: c'è Dio impegnato con noi nel cammino della vita! Lui ha giurato fedeltà alla nostra storia; Lui si è impegnato a condividere la nostra strada! Gesù è la Luce, è la Verità, è Lui la Parola che noi possiamo seguire!
Ma, avete ascoltato? Pietro cerca subito una scorciatoia - che è la tentazione di tutti noi, poveri uomini! - : Pietro si vuole fermare sul monte: non vuole tornare giù, non vuole fare la fatica di conquistarsi la speranza giorno per giorno, nel travaglio quotidiano della fatica quotidiana! Pietro pensa di essere già arrivato, vuole fermarsi sul monte... Avete sentito quanta delusione in quelle parole: "Appena la voce cessò, Gesù restò solo". Marco dice: "Non videro più nessuno: c'era solo Gesù". Ecco, qualche volta nel cammino del credente, Gesù sembra "nessuno"! Noi avremmo bisogno di segni sfolgoranti, avremmo bisogno di scorciatoie, di arrivare subito alla meta! Anche noi, come i discepoli, facciamo fatica a tornare giù in mezzo alla gente, a scendere dal monte, a conquistare ogni giorno la speranza, accettando il coraggio di seminare, di mettere un seme, magari piccolo piccolo!
Avete sentito la promessa di Dio ad Abramo? "Alla tua discendenza io do questo paese dal fiume d'Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate". Conoscete un po' la geografia: un territorio immenso! Sapete che cosa avrà Abramo, alla fine della vita, di questo immenso territorio? Un metro quadrato di terra: la terra della sua tomba!... Eppure Israele vede, in quel metro quadrato la conferma della promessa, che lo porterà poi ad avere una terra, una terra vasta e spaziosa, in cui scorre il latte e il miele.
Vedete, anche a noi occorre il coraggio di camminare giorno per giorno e di mettere semi di speranza intorno a noi: nei ragazzi che ci crescono accanto, in questa nostra società. Magari noi non vedremo una terra felice, pienamente libera, in cui scorra il latte e il miele; ma se riusciamo a mettere qualche seme, se riusciamo a dare speranza, avremo dato il nostro contributo al faticoso cammino degli uomini. Guardate intorno a noi: ci sono tanti segni di speranza! Chi è vissuto prima di noi, non è vissuto invano: tanta gente ha saputo far compiere un passo avanti al faticoso cammino degli uomini: la gente che si portava dentro una fede! La fede in Gesù, chi, come noi, ha trovato in Lui la luce; ma anche chi semplicemente aveva fede nell'umanità, fede nel futuro, fede nel cammino degli uomini, fede nella libertà!
Quanta gente ha camminato, per dare agli uomini speranza! Volete qualche piccolo segno? Il “metro quadrato di terra" che può confermare la nostra speranza: in questi giorni siamo tornati dalla Somalia con le pive nel sacco, sconfitti ancora una volta! In 50 anni ci siamo andati due volte: la prima, per conquistare un impero, la seconda per portare la pace. Tutt'e due le volte siamo tornati sconfitti; ma vedete quale radicale differenza! Dall'andare ad una guerra di rapina e di conquista, all'andare ad una missione di pace! Chi sa che la prossima volta non ci riusciamo, a portare sul serio la pace!
Ancora un altro segno: quanta strada ha fatto, nei mesi passati, negli anni passati, la lotta per guarire certe malattie! E c'è - anche in mezzo a noi - qualcuno che soltanto dieci anni fa non aveva speranza di sopravvivenza; ed oggi invece, perché c’è chi ha cercato, ha studiato, ha lavorato, si è impegnato, ha la speranza di vivere: può sorridere alla vita!
E dunque, coraggio! A volte dei piccoli gesti, anche il solo parlare di pace, a volte un pizzico di speranza dato ai ragazzi che vi crescono accanto, ai figli o ai nipoti, a volte un vostro sorriso, un po' di gioia e di fiducia che sapete mettere nella vita, è qualche cosa di grande per l'umanità!
È il cammino dell'uomo che continua e oggi possiamo uscire da questa Eucarestia, portandoci dentro la certezza di Dio, del Suo giuramento di alleanza, della Sua fedeltà alla nostra vita; la certezza della Sua passione per la nostra esistenza; la certezza che Gesù è vissuto in mezzo a noi per condividere il nostro cammino di uomini! E non è vissuto invano: Lui rimane per noi speranza e luce, coraggio di vita, passione e tenerezza!
Il Signore ci conservi la speranza nel cuore!
1995
Abbiamo ascoltato, stasera, parole particolarmente severe, che non ci aspetteremmo sulla bocca di Gesù: "Se non vi convertite, morirete tutti". Queste parole, ripetute due volte, come avete sentito, nella pagina del Vangelo, mi son tornate in mente quando, quest'anno, ci siamo imbattuti in una "dichiarazione" che nei nostri gruppi abbiamo ritenuto particolarmente importante. Perché - forse per la prima volta nella storia - uomini di tante regioni e religioni diverse si sono ritrovati insieme, in una grande riunione ( erano più di 3000 persone ), per approvare una "dichiarazione di principi morali", che valgano per tutta l'umanità.
Questa dichiarazione comincia con una diagnosi della realtà del nostro mondo, molto forte e dura; ed io stasera vorrei leggervi alcune di queste frasi, che forse possono colpire anche voi, come hanno colpito non soltanto me, ma anche gli altri che le hanno lette. Ecco, allora, vado a leggerle, se portate un momentino di pazienza:
"Il mondo è in agonia. Questa agonia è così incombente e pervasiva che noi ci sentiamo spinti a indicarne le forme di manifestazione così da poter mettere in chiaro la profondità della nostra inquietudine.
Il nostro mondo sta attraversando una crisi fondamentale: una crisi dell'economia, dell'ecologia, della politica mondiale. Ovunque si lamenta l'assenza di una grande visione, lo spaventoso ristagno di problemi irrisolti, la paralisi politica, un ceto politico poco più che mediocre, senza intelligenza e prospettive, in generale un troppo scarso senso del bene comune. Troppe risposte vecchie per sfide nuove.
Centinaia di milioni di persone del nostro pianeta sono sempre più vittime della disoccupazione, della miseria, della fame e della distruzione delle famiglie. Svanisce di nuovo la speranza di una pace duratura tra i popoli. Le tensioni tra i sessi e le generazioni hanno raggiunto un livello preoccupante. I bambini muoiono, uccidono e vengono uccisi. Diventa sempre più grande il numero degli Stati scossi da casi di corruzione politica ed economica. La convivenza pacifica nelle nostre città è resa sempre più difficile dai conflitti sociali, razziali ed etnici, dalla diffusione delle tossicodipendenze, dal crimine organizzato, dall'anarchia. Gli stessi vicini di casa vivono spesso nella paura. Il nostro pianeta continua a essere saccheggiato senza alcun riguardo. Incombe il pericolo di un tracollo degli ecosistemi.
Con particolare turbamento noi vediamo che in non pochi luoghi di questo mondo capi e seguaci di religioni non cessano di fomentare aggressioni, fanatismi, odi e ostilità xenofobe, quando addirittura non ispirano e legittimano conflitti violenti e sanguinosi. La religione viene spesso sfruttata per scopi di pura politica di potenza e addirittura per legittimare la guerra. Tutto ciò ci riempie di orrore.
Noi, uomini e donne di diverse religioni e regioni di questa terra, ci rivolgiamo perciò a tutti gli uomini, religiosi e non religiosi. Noi vogliamo esprimere la nostra convinzione comune:
• Noi tutti abbiamo una responsabilità nei confronti di un migliore ordine mondiale.
• L'impegno a favore dei diritti umani, della libertà, della giustizia, della pace e della conservazione della terra è comandato in maniera assoluta.
• Le nostre assai diverse tradizioni religiose e culturali non possono impedirci di impegnarci insieme attivamente contro tutte le forme di disumanità e in favore di una maggiore umanità.
• I princìpi enunciati in questa dichiarazione possono essere condivisi da tutti gli uomini che hanno convinzioni etiche, motivate religiosamente o meno.
• Noi però, in quanto persone religiose e orientate spiritualmente, che fondano la loro vita su una Realtà ultima, dalla quale, nella preghiera o nella meditazione, nella parola o nel silenzio, attingono, con fiducia, energia spirituale e speranza, siamo tenuti in maniera del tutto particolare a lavorare per il bene dell'intera umanità e a preoccuparci del pianeta terra. Noi non ci riteniamo migliori degli altri uomini, ma abbiamo fiducia che l'antichissima sapienza delle nostre religioni sia in grado di indicarci delle vie anche per il futuro."
Questo è soltanto l'inizio di una dichiarazione non molto lunga, che forse qualcuno di voi, poi, potrà cercare e leggere (si trova pubblicata in un piccolo libro): una dichiarazione secondo me importante, perché fatta da uomini di tante religioni diverse, che sentono il problema del mondo, e cercano principi morali comuni a tutti.
A me - e forse anche a qualcuno di voi - questa dichiarazione, alla prima lettura, è sembrata partire in maniera molto pessimistica. Ma poi mi son detto che i problemi, che qui sono citati, sono veri! Allora, se c'è qui qualcuno di voi che ritiene un po' troppo pessimistico quello che ho letto, ragioni un po’ come ho fatto io: che si tratta di problemi reali, che questo nostro mondo veramente corre rischi seri: per tante persone, rischi di morte!
Chi invece la ritenga non troppo pessimistica, consideri allora che ci sono tanti aspetti positivi, tanti motivi di fiducia e di speranza, nella realtà che ci circonda, che nelle parole che ho letto non vengono ricordati.
Ma c'è un'altra domanda che forse è sulla bocca di tutti voi: "E noi, che cosa possiamo fare?" Non aspettatevi da me una risposta... Forse quello che possiamo fare è qualche cosa di molto piccolo! Ma possiamo tentare di fare in modo che dal nostro "albero secco" siano tolti i "frutti cattivi", che son rappresentati qui - lo vedete - da titoli di giornali, e possiamo anche noi portare qualche buon frutto.
Voglio dirvi una piccola parabola, che certo non è una risposta alla domanda "Che cosa possiamo fare, noi?" ma forse può aiutarvi a cercare la risposta, perché ciascuno porti il suo piccolo frutto. Quando leggevamo queste cose e ci ponevamo questi problemi, è successo il fatto doloroso, di quel ragazzo accoltellato fuori dello stadio, prima della partita. Lo ricordate tutti, vero? E noi assistevamo, in quei giorni, alle nostre "liturgie" tipicamente italiane: tante parole, sospeso il campionato di calcio... cose forse importanti in questi casi. Ma quello che noi ci domandavamo, era: "Ma perché non cominciamo a preoccuparci dell'asilo?" Non domandatevi perché "l'asilo"! È questa la "parabola" che volevo dirvi stasera. Perché certe forme di sopraffazione dell'uno sull’altro, certe forme di violenza e di intolleranza, cominciano proprio dall'asilo! E noi nelle nostre scuole troppe volte assistiamo al diffondersi di gesti di sopraffazione, di violenza, a cui genitori, insegnanti, autorità non danno sufficiente importanza... Dovremmo educare i nostri ragazzi a capire che, in una società civile, l’intolleranza, la sopraffazione, non può essere accettata. E non è accettata nemmeno dai bambini dell'asilo!
Ma forse - ci dicevamo - la cosa più importante è studiare attentamente, con passione, tutto quello che ci succede intorno. È ormai urgente investire e tempo e risorse e capacità per cercare di capire. Altrimenti, continueremo sempre a lamentarci della violenza, senza capire perché le nostre città, i nostri ragazzi, le nostre scuole, diventano così!
Qual è il vostro "bambino dell'asilo"? Cioè: cosa possiamo fare, tutti, per portare un po' più di giustizia, qualche frutto di bene - di tolleranza, di rispetto, di tenerezza, di giustizia - nella nostra vita? Ognuno cerchi la propria risposta. Io, più che tanto, non sono in grado di aiutarvi!
1995
Quante volte nella mia vita, che ormai comincia ad essere lunga, ho incontrato "i figli" di questa parabola! L’ultima volta mi è capitato di fare quest'incontro due o tre giorni fa: una signora, che veniva a parlarmi a lungo del suo "fango" - o presunto tale, perché spesso così capita quando la gente parla dei suoi peccati, o di quelli che pensa siano i propri peccati - ma non era questo che mi ha colpito (l'ho sentito tante volte), quanto le ultime parole che mi ha detto. Prima di andarsene mi ha detto: "Un’ultima parola, padre (come suona male, questo titolo, come suona male stasera, dopo aver ascoltato questa parabola!), un'ultima domanda, padre: ma è vero che Dio punisce? Io ho sempre paura del castigo di Dio: quando faccio qualche cosa di male, ho paura che succeda qualcosa a mia figlia!"
Perché, dopo 2000 anni di Cristianesimo, dopo 2000 anni che leggiamo questa parabola, c'è ancora gente che pensa così?! Come i figli di questa parabola! Guardate un momento questi figli: ce n'è uno che se n'è andato di casa ed è finito in mezzo ai maiali, è finito nel fango...Ha rovinato e sciupato la sua vita; ha speso tutte le sue sostanze, quelle "cose" che tanto gli premevano! Perché a questo figlio premono le "cose”: vuole i suoi beni e quando ha perduto tutto si ritrova disperato: ma ancora cerca qualche "cosa": il pane - ha fame! - e vuol tornare a casa; non gli importa di essere "figlio", non gli importa la sua dignità di uomo: gli importa il pane! "Là hanno pane in abbondanza! Io qui muoio di fame...": torna a casa, per trovare il pane! Forse non gli importa più del Padre o del fratello, pensa sia giusto, che lo puniscano, che non lo guardino più... solo un po’ di pane.
E l'altro figlio: anche lui pensa alle "cose". "Questo tuo figlio - non lo chiama più "mio fratello"! - questo tuo figlio che ha sciupato tutte le sue cose e adesso tu gli dai ancora dell'altro! Ammazzi per lui il vitello e a me non hai mai dato nemmeno un capretto!" E vuole la vendetta, vuole la punizione, vuole che questo figlio, che è andato via, sconti il suo sciupare le cose: non si può spendere altra roba per lui, che ha sciupato tutto! Tutti e due presi dalle cose, presi dal rancore. Tutt'e due incapaci di guardarsi negli occhi.
Il padre no, Lui è diverso! Il padre ha assistito impotente alla rovina di un figlio: ha aspettato - inerme - che questo figlio tornasse. Ma quando questo figlio torna, e lui lo vede da lontano, corre e gli butta le braccia al collo! E non gli importa delle cose: "Portate il vestito bello! Portate il vitello grasso! Facciano festa!" E parla di lui: "Questo figlio era morto ed è tornato alla vita: s’era perduto e l'ho ritrovato!" "Ma, le cose... - dice l'altro figlio - perché?...". "Figlio, tutto quello che è mio è tuo... che importano le cose? A me interessa questo figlio: per questo figlio, io voglio la festa, che torni a vivere e a sperare!"
Ecco il Dio di cui ci ha parlato Gesù! Un Dio che ha passione per noi, per la nostra vita: che vuole per noi la festa e la gioia di vivere! Noi possiamo sciupare la nostra vita: la volta scorsa - qualcuno lo ricorderà perché, lo so, è rimasto impresso a più d'uno di voi - vi leggevo parole severe sul mondo che si sciupa... Dio guarda, come ha guardato questo figlio che è andato lontano: guarda impotente, inerme! Ma Lui ci aspetta! Non per punirci, non per calcare la mano, non per gridare la sua vendetta, non per castigarci: ma perché noi ritorniamo alla vita, perché smettiamo di sciuparla, perché siamo capaci di nuovo di guardarci negli occhi, di vivere nella pace, di ritrovare la festa! Perché il Padre ama gli uomini, ama noi, ama me!
Perché una madre, dopo 2000 anni di Cristianesimo, deve aver paura che questo Dio la punisca nella figlia?! Perché? Perché non credere in un Dio che ama la sua gente, che non può sopportare che sciupi la vita? Sì, deve assistere inerme al nostro sciuparla: non può privarci della nostra libertà, anche di sciupare il mondo! Ma quando facciamo anche solo un gesto di tornare a Lui, ci sono le sue braccia spalancate! E la festa! La festa di Dio, la festa a cui ci invita ogni volta, qui! Come può dire qualcuno di voi: "Io non faccio la Comunione, per punirmi"?! "Punirmi" di che? Cristo s'è fatto pane proprio per la gente col cuore pesante, per chi sa di non essere buono. Perché, quando venite qui con cuore sincero, Lui non può che buttarvi le braccia al collo!
Ecco, qui c’è la festa di Dio per noi! Perché Dio ci ama e ci chiama alla festa! Ci invita ad amare la vita, a farla più bella, a non sciuparla mai, a condividerla! Ci invita alla gratuità e alla tenerezza, a non guardare le cose che abbiamo, con gelosia ed invidia gli uni verso gli altri, a non rinfacciare quello che non abbiamo avuto! Ma a guardarci negli occhi, perché siamo fratelli! Fratelli chiamati alla pace, chiamati alla festa, chiamati alla vita!
Questo è l'unico Dio in cui crede uno, che tenta di andare dietro a Gesù!
1995
In un tempo in cui il fanatismo religioso sembra diffondersi e produce morte, sia nel lontano Giappone, sia - vicino a noi - nel Medio-oriente; in un tempo in cui in tanti stati ed in tante coscienze, forse anche qui da noi, si vuole ancora la pena di morte; in un tempo in cui tante madonne piangono, in un tempo in cui dobbiamo leggere encicliche severe, è bello ritrovare il Vangelo! È dolce incontrare Gesù! Avrete sentito, in questi giorni, tante parole: permettetemi di non aggiungere le mie.
Vi invito a venire con me, in quella piazza, a guardare negli occhi Gesù. Venite, andiamo! Stiamo un po' lontani, però, per non confonderci, con questi uomini che puntano il dito, ma guardate attentamente! Là in mezzo, la donna, a terra, umiliata, offesa; forse si porta sulla coscienza tutto il peso del suo peccato, ha paura per quello che ha fatto, ma soprattutto ha paura per gli sguardi che le pesano addosso: questi uomini che gridano contro di lei, che vogliono la sua morte! E guardate anche questi uomini col dito puntato: i maestri della legge, che pensano sempre di sapere tutto, che sanno sempre dove sta il bene e dove sta il male; gli uomini "giusti", che hanno fatto piedistallo della loro giustizia, per condannare e giudicare; gente che vuole giustizia, gente che pretende che si rimetta ordine con il sangue, e la punizione; gente che vuole vedere lapidata questa donna sorpresa nel peccato! Sentite tutto il peso della loro violenza, del loro odio. E non dimenticate: è in nome della legge di Dio che invocano la vendetta, che chiedono la morte per questa donna!
Non si preoccupano del loro peccato - che pure hanno! -; si preoccupano sempre del peccato degli altri, del peccato di lei. Ah! se nel mondo, non solo di allora ma anche di oggi, tutti, dal primo all’ultimo, ci domandassimo qualche volta: "Ma fosse un po' anche colpa nostra, fosse un po' anche colpa mia?!" No: i "giusti" di tutti i tempi, i farisei e gli scribi, sanno solo puntare il dito, sanno solo condannare: hanno bisogno di alzare la voce, hanno bisogno di violenza e severità.
Gesù, no! Guardate i suoi occhi, perché abbiamo - tutti - un grande bisogno di incontrarci con Lui! Si china a scrivere per terra... e quando non c'è più nessuno, si avvicina: "Donna, nessuno ti ha condannata? Neanch’io; alzati e va' e non peccare più!" Forse per la prima volta questa donna incontra qualcuno che non pensa a quello che lei ha fatto, che non si domanda se è colpevole o no: qualcuno che la guarda negli occhi con tenerezza e le dice: "Alzati e va'!"; che rispetta nel profondo la sua dignità di persona, che la invita ad alzare la testa, ad essere libera, a camminare ancora! Forse per la prima volta questa donna si sente amata e rispettata e fa esperienza della tenerezza di Dio!
L’antica tradizione ha visto in questa donna colei che spezza il vaso di profumo e lo versa sui piedi di Gesù: l’unica che sa amare fino in fondo! Forse perché lei ha fatto esperienza della tenerezza di Gesù, forse perché lei si è sentita rispettata ed amata, può dare tutto senza calcolare!
Tutti noi, fratelli, nel cammino della nostra Quaresima, qualunque sia il peso della nostra colpa, abbiamo il bisogno di fare esperienza della tenerezza di Dio, di incontrare Gesù, per ritrovare in Lui il coraggio della libertà, la voglia di alzarci e guardare lontano! Allora anche noi saremo capaci di donare senza calcolare: forse non un vaso colmo di profumo, ma solo "due spiccioli", come la donna che incontreremo domenica prossima. Sì, perché domenica prossima sarà già la domenica delle Palme; e ci introdurrà nella Pasqua una vedova che getta nel tesoro del tempio due spiccioli! È tutto quello che ha: ma lo dà senza calcolare. Anche noi, fratelli, possiamo donare qualcosa nel tesoro della vita, se facciamo, oggi, esperienza di Gesù, del Suo perdono, della Sua tenerezza!
Lo Spirito ci aiuti!
1995
Sono ormai tanti anni che sono qui e ho condiviso con molti di voi la lettura, lo studio, del Vangelo, la passione per la Parola di Gesù. Insieme abbiamo cercato di scoprire il volto di Gesù, abbiamo cercato la Sua luce. Alla fine sempre abbiamo trovato, il grande racconto della passione, della morte e della resurrezione di Gesù: quel racconto che ci prepariamo a rivivere in questi giorni. E abbiamo sempre visto, in quel racconto, il cuore stesso della vita di Gesù: il grande Santuario in cui si compiva il duello decisivo fra la vita e la morte, fra l'odio e l'amore, fra la violenza e la tenerezza; il grande Santuario in cui si manifestava tutta la passione di Gesù per la nostra vita, tutta la fedeltà alla nostra esistenza, alla nostra esperienza di uomini. La fedeltà che Lo ha spinto fino a farsi Pane per noi, fino a donarci la Sua vita!
Ci prepariamo a rivivere tutto questo nelle grandi celebrazioni di questi giorni, per partecipare, nella grande notte di Sabato, alla Sua vittoria: al trionfo della vita sulla morte, dell'amore sull’odio, della pace sulla violenza.
Ma leggendo il Vangelo con attenzione, ci siamo accorti che ogni Evangelista affida ad un episodio, che sembra piccolo, il compito di fare da preludio al grande racconto finale: c'è una donna che ci dà la chiave per entrare nel Santuario dove si manifesta pienamente la vita di Gesù. Nei Vangeli di Matteo e di Marco, lo ricordate, colei che ci dà la chiave per capire Gesù, per metterci in grado di andargli dietro, è la donna che ha tra le mani un vaso di unguento prezioso: 300 denari addirittura, contrapposti ai 30 denari del tradimento di Giuda. Questa donna, che sa accorgersi della totale povertà di Gesù e dona senza far calcoli, è il simbolo di chi sa amare fino in fondo!
Quando abbiamo letto il Vangelo di Luca - quello che quest'anno ci ha accompagnato domenica dopo domenica - abbiamo notato con sorpresa che quell'episodio non c'era; e ci siamo sentiti un po' più poveri! Ma poi abbiamo scoperto che in Luca c'è il piccolo racconto che abbiamo ascoltato stasera: non una donna che ha tra le mani un vaso di unguento prezioso che vale 300 denari (il prezzo, pensate, di un anno di lavoro), ma la vedova povera che ha soltanto "due spiccioli, due piccole monete di rame"! Se ci pensate bene, in fondo è lo stesso episodio: tutte e due danno senza calcolare: ma questa donna ha soltanto due spiccioli; dice Luca: "tutto quanto aveva per vivere".
Più tempo passa e più mi ritrovo ad aspettare l'anno di Luca, per incontrare ancora questa vedova povera. Più tempo passa e più mi rendo conto che essere Cristiani non significa saper compiere imprese grandi e straordinarie: non occorre essere eroi, non occorre avere 300 denari da buttare nel tesoro del tempio. Anche "due spiccioli" bastano! Per capire e seguire Gesù, occorre saper donare senza far calcoli, senza nemmeno domandarci se abbiamo tanto o poco da buttare nel tesoro della vita!
Il segreto per capire Gesù, per seguirLo in questa celebrazione di Pasqua, è l'Amore che sa essere attento, è la gratuità e la tenerezza! È quello che tutti noi siamo invitati a fare: anche chi ha il cuore pesante, chi sa di non avere 300 denari d'amore da mettere nel tesoro della vita, chi sa di avere soltanto "due spiccioli"... Chi sente le ginocchia vacillare, chi sa di non avere più forze, chi sente di avere il cuore pesante, non abbia paura! Non conta quanto abbiamo nel nostro gruzzolo, non bisogna essere eroi, per seguire Gesù. Basta - come fa questa povera vedova - buttare nel tesoro della vita le ultime due piccole monete di rame...
Il Signore ci aiuti ad avere nel cuore l’amore che dona: che dona senza calcolare, che dona con tenerezza ed attenzione, con rispetto e spirito di servizio!
1995
Guardate: una tavola apparecchiata; sulla tavola un po' di pane un po' di vino; un gruppo di gente, un gruppo di povera gente come siamo noi, e la memoria di Gesù: la Chiesa è tutta qui! Non abbiamo bisogno di altro: qui c'è il cuore della nostra fede. In questo pasto che Gesù ci ha lasciato, noi facciamo esperienza di Dio, della Sua presenza in mezzo a noi, della Sua passione per la nostra vita, della Sua gratuità, del Suo impegno con noi.
Qui, nel pane spezzato, noi facciamo memoria viva di Gesù: Lui, il Figlio, venuto a condividere la nostra ventura di uomini, a camminare con noi per le strade di questo mondo, per portarci la Sua luce, per guidarci alla ricerca dei valori essenziali della vita: il dono di sé, la gratuità, la pienezza dell’amore! Qui, nel pane che spezziamo insieme, nel nostro ritrovarci come fratelli intorno ad una tavola, facciamo esperienza di Dio. E non abbiamo bisogno di altro!
Poi, nella vita di ogni giorno, tenteremo di metterci l'uno al servizio dell'altro, di seguire l'invito di Gesù ad amarci come Lui ci ha amato. Ma non lo dimenticate: non è questa la cosa più importante per un credente. Un credente vive della certezza di Dio e del Suo amore, vive della Sua presenza! E non in un luogo "sacro", separato dalla vita: immaginate che io non abbia addosso questi paramenti; immaginate di essere in una delle vostre case, seduti alla tavola, semplicemente, come ogni giorno. Nel quotidiano della nostra esperienza: là dove nasciamo e moriamo, dove soffriamo e gioiamo; là dove ci impegniamo per costruire il mondo, dove facciamo esperienza di tenerezza e di amore, ma qualche volta anche di incomprensione e di fallimento!
Nel cuore della nostra vita, la certezza di Dio, della Sua gratuità, del Suo amore, della Sua passione per la nostra esistenza. Non siamo soli nella nostra ventura di essere uomini: c'è Dio con noi! Dio che si è fatto Pane! Dio che ci ha donato Se stesso! Questo è il cuore della vita della Chiesa, questa è la nostra Fede. E non abbiamo bisogno di altro: non abbiamo bisogno di miti, non abbiamo bisogno di personaggi grandi, che dicono parole forti o severe, non abbiamo bisogno di segni, di prodigi, di fatti straordinari. Perché qui, nel Pane che spezziamo, facciamo esperienza di Dio, viviamo la certezza che Dio vuole condividere la nostra vita di ogni giorno, la nostra ventura di uomini!
E tenteremo, poi, di vivere come Lui ci ha insegnato: tenteremo - come Lui ci ha detto stasera - di lavarci i piedi... e spesso non ci riusciremo! Ma ritorneremo qui e troveremo il perdono di Dio, la Sua tenerezza, la Sua festa. E l'invito, per tutti, a mangiare. E l'invito a camminare ancora, l'invito a credere e a sperare! Questo è essere credenti, solo questo! Il resto è paganesimo, è bisogno di vedere, di toccare, bisogno di segni, di parole grandi, di miti.
Gesù ha preso soltanto un po' di pane, l'ha spezzato e ha detto: "Prendete e mangiate! " Ora possiamo portare, nella nostra vita di ogni giorno, la certezza dell'amore di Dio, della Sua tenerezza, della Sua gratuità, della Sua passione! È quello che tentiamo di fare anche noi, stasera, fratelli, celebrando questo dono che Gesù ci ha lasciato, questo "segno" che ci ha messo tra le mani! Con tutta la nostra fede. Se abbiamo fede, anche solo come un granellino di senape, allora porteremo nella nostra vita di ogni giorno la certezza di Dio e del Suo amore. E questo basterà.
Dio c'è! Dio ci ama! Questo basta al credente, e non cerca altro. E poi tenta di vivere la gratuità; e se non ci riesce, sa che Dio è più grande del suo cuore! Sa che in Lui ritrova sempre la festa e il coraggio di credere e di camminare ancora! Il perdono, la festa, la gioia di Dio, la gratuità, la tenerezza, la presenza viva di Gesù! Tutto questo celebriamo insieme, stasera.
1995
Abbiamo cominciato - e non soltanto noi: in tutte le chiese del mondo - questa notte nel buio, per non dimenticare il buio che c'è, anche oggi, nella nostra vita: il buio della violenza, della guerra, il buio della povertà, dell’intolleranza, della presunzione di sapere tutto, il buio che sciupa la vita degli uomini. Ma noi siamo venuti qui per non rassegnarci a questo buio; e viviamo stanotte una grande speranza perché tanta gente, come noi, in ogni angolo della terra, si è riunita insieme per non rassegnarsi al buio.
E abbiamo acceso una candela e l'abbiamo tenuta nelle nostre mani. Quella luce - fermatevi un momento a considerarla - le letture che abbiamo ascoltato stanotte, ci hanno ricordato che viene a noi da lontano, da molto lontano!
Viene prima di tutto, dalla forza della natura: dallo splendore di questa creazione, dalla bellezza del cielo, del mare, dei fiumi, dei laghi, dei fiori... Ma viene anche dalla passione della gente che ci ha preceduto: quanti "Abramo" hanno attraversato la nostra terra: quanta gente, che ha cercato di partire verso nuovi orizzonti, di scoprire nuove terre, di avventurarsi nella vita! Quanta gente, che ha cercato la gratuità, per non possedere, con spirito di rapina, e uomini e cose! Quanta gente ha portato fino a noi il senso della tenerezza, del rispetto, dell'attenzione verso gli altri, fino ai nostri genitori, fino a chi ci ha dato la vita! Quanta gente ha rinunziato al possesso, perché i figli, gli amici, perché noi fossimo liberi! Quanta gratuità, quanta attenzione, quanta delicatezza, ha attraversato la storia degli uomini! Sì, c'è stata anche la violenza, tanta violenza che ha riempito i libri della nostra storia. Ma pensate, stanotte, alla luce, al bene, alla tenerezza, all’amore: quell'amore, quella tenerezza che non fa storia, di cui non leggerete mai sui giornali: la vita di tanta gente come noi, in tanti angoli della terra, e nei secoli che ci hanno preceduto. Quanti padri, quante madri, quanta gente che ha cercato non il proprio bene, ma il bene del figlio! Ci hanno consegnato una luce!
E al di là del piccolo mondo della vita personale, tutti i "Mosè": tutti coloro che hanno combattuto contro l'ingiustizia, tutta la gente che ha cercato di uscire dai tanti "Egitti" della storia. Tutta la gente che non si è rassegnata all'ingiustizia, tutta la gente che non si è rassegnata alla violenza. Quanta fame e sete di giustizia! Quanta gente che ha cercato la pace, che l’ha cercata dopo ogni rovina, dopo ogni guerra. Tutta la gente che dopo ogni devastazione, dopo ogni terremoto ha ricostruito sulle macerie! Tutta la passione per la vita! Noi siamo come in una staffetta: tanta gente ci ha consegnato una fiaccola nelle mani: la luce della speranza, la luce della passione per la vita, la luce del coraggio, la luce della fiducia, la luce della "fame e sete di giustizia", la luce della pace!
Ci hanno consegnato una luce, stanotte. E quella luce era per noi, soprattutto la luce di Gesù! Lui è venuto a partecipare a questa nostra storia, Lui è venuto a condividere il cammino degli uomini, Lui ha portato nella nostra ricerca di luce, la luce stessa di Dio! Per darci la certezza che non siamo soli nella ricerca, che la luce non viene soltanto dagli sforzi degli uomini, ma anche dalla passione di Dio, che ci ha voluto bene fino a farsi come uno di noi. Anche Lui - come spesso è successo ai giusti - noi abbiamo cercato di metterLo fuori: Lo abbiamo inchiodato sulla croce. Ma aveva ragione Lui; come avevano ragione tutti quelli che tenevano alta una luce! E stanotte lo celebriamo Risorto, più forte del buio e della morte e ci mette tra le mani una luce, perché continuiamo, con tutta la passione del nostro cuore, a credere nella vita; perché la sfiducia, la disperazione, non tocchi mai il nostro cuore, il cuore dei nostri ragazzi, il cuore dei nostri giovani.
A tutti noi è stata affidata una luce perché continuiamo a camminare nella libertà. Libertà da ogni moda, libertà da ogni oppressione, da ogni pigrizia; libertà di cercare la pace, libertà di amare sino in fondo! Libertà di sentirsi fratelli - tutti - sulla terra. Libertà di cercare una terra dove scorra finalmente "il latte e il miele": una terra in cui ci si senta - tutti - una sola grande famiglia, in cui regni veramente la pace!
Questa luce c'è messa tra le mani: a volte ci sembrerà piccola, tremolante, è affidata a tutta la passione del nostro cuore, a tutto il nostro coraggio di essere uomini, di non rassegnarci mai al buio, di continuare il cammino di tutti i giusti che ci hanno preceduto!
Adesso la riprenderemo tra le mani, questa luce, e ripeteremo il nostro "RINUNZIO" a tutto quello che sciupa la vita, il nostro "CREDO" in tutto quello che è bello, luminoso e giusto: la fiducia nella vita, la passione per il bene, il desiderio della libertà, il cammino verso la giustizia.
Tutto questo vogliamo ridirci, stanotte. Tutto questo vorremmo gridare al mondo intero, con tutta la passione del nostro cuore!
1995
Sarà capitato anche a molti di voi, come è capitato a me, di sentire in questi giorni, alla radio, alla TV, parole come queste: o uno ha fede o non ce l'ha; o uno ci crede o non ci crede. E quando sentite parole del genere, magari senza sapere di che cosa parlano, pensate: "Forse stanno parlando di qualche "marziano", degli extraterrestri: o ci credete o non ci credete. Oppure parlano di qualche potere parapsicologico, di qualcuno che impone le mani per guarire i malati, o di chi legge le carte e fa l’oroscopo per predire il futuro. O di qualche strana magia". No! parlano della nostra fede, parlano di Dio. Ma è la stessa fede? È proprio vero che uno la fede ce l'ha o non ce l'ha? Parliamo delle stesse cose.?
E poi vi accorgete che molto spesso, in TV, alla radio, quando si parla della nostra fede, si parla di madonne che piangono o che appaiono di qua e di là; si parla di miracoli, di segni straordinari, di prodigi; oppure si parla di diavoli che vengono cacciati... E spero che la maggior parte di voi si chieda: "Ma che ha a che fare tutto questo con la nostra fede?! Che ha a che fare con il nostro rapporto con Gesù?!" Guardate il Vangelo: la maggior parte di voi lo conosce, lo avete ascoltato tante volte qui in chiesa. Guardate l'esperienza dei discepoli: loro non potevano dubitare che Gesù fosse lì, davanti ai loro occhi! Ci vivevano insieme; ci camminavano insieme per le strade dei loro paesi; Lo ascoltavano parlare! Non dubitavano che Lui ci fosse: non si trattava di dire: o ci credi o non ci credi. Credo, a che?
Il problema dei discepoli era un altro. Man mano che Lo ascoltavano, che venivano entusiasmati dalle Sue parole, cominciavano a chiedersi: "Ma, avrà veramente ragione, Gesù? Ma le parole che Lui dice, i valori che ci propone, sono veramente i valori che fondano la nostra vita?" E andando avanti si domandavano: "Ma veramente, in Lui, Dio si è fatto vicino a noi? Ma allora perché non cambia il mondo? Perché le cose della vita non mutano? Perché la gente continua a soffrire, perché la gente continua a morire? È veramente questo il Dio che aspettiamo? È Lui che deve venire, o dobbiamo aspettare qualcun altro?"
Se leggete il Vangelo, vedete quante immagini, quanti simboli ci sono che esprimono questo "silenzio" di Dio, i dubbi e le incertezze di chi tenta di seguire Gesù. Sul mare in tempesta Gesù c'è sulla barca, ma dorme! "Non t'accorgi che stiamo morendo? Che fai?" Dorme! Oppure - sempre sul lago in tempesta - sembra "un fantasma" e i discepoli si spaventano. O - se ricordate l’episodio della trasfigurazione - per un momento vedono qualcosa... e poi "non videro più nessuno: c'era solo Gesù!". E l'invito a scendere dal monte, a camminare, a combattere contro il male. Gesù diventa "nessuno"! Ecco il dubbio dei discepoli: "Ma è veramente qualcuno, Gesù? È veramente il Salvatore? Ha veramente ragione?"
E non soltanto questo, ma: "Vale la pena andargli dietro? Ma chi me lo fa fare! È troppo scomodo: Lui parla di amore, di giustizia; ma io devo pensare a me, alla mia famiglia, alla mia casa. Andare con Lui, avventurarsi, cercare il Regno di Dio!...E poi, anche quando ci proviamo, combiniamo qualche cosa? Ci diamo da fare, predichiamo, parliamo, qualcuno di noi s'impegna... e il mondo sembra non cambiare! Sempre la stessa cattiveria, sempre gli stessi egoismi, sempre le stesse malvagità intorno a noi! Tutta l'opera di Gesù è servita a qualche cosa? E noi, a chi andiamo dietro?! ad uno che ci parla di illusioni, che ci racconta favole..."
Questi dubbi, quella povera gente - quel pugno di gente che ci ha consegnato il Vangelo - se li son portati dietro per tutta la vita! E qualche volta sbagliavano! qualche volta si sentivano egoisti e litigavano per i posti, i primi posti, perché credevano - chi sa? - che andare dietro a Gesù significasse diventare ricchi... A volte sentivano tutto il peso del proprio egoismo, delle proprie colpe; qualcuno è arrivato a rinnegarLo e a tradirLo! E si sarà detto: "Ma mi accoglierà ancora? Ma vale la pena di tornare da Lui? Ma non siamo gente incapace di tutto?!"
E qualche volta, più fortemente ancora, il dubbio non riguardava Lui, ma questo pugno di gente che gli andava dietro: arrogante, criticona, invidiosa, incapace. È il dubbio di Tommaso. Avete ascoltato attentamente il Vangelo di stasera? Tommaso mica non crede a Gesù: non crede ai suoi compagni, non crede a Pietro, ad Andrea, a Giovanni, a Giacomo. Questi gli hanno detto: "Abbiamo visto il Signore!": e lui: "Avete visto? Ma che avete visto: vi siete sognato tutto! Avete ancora paura, state ancora chiusi dentro questo cenacolo! Che mi venite a parlare di Gesù! "
Ecco i dubbi - veri! - della nostra esperienza, non "la fede ce l'abbiamo o non ce l'abbiamo, ci crediamo o non ci crediamo"... Il Cristiano questi dubbi se li porta dentro ogni giorno. Voi, non ve li portate dentro?! Quando guardate il mondo, ma non vi domandate a volte, come mi diceva un signore, qualche sabato fa: "Ma don Checco, Dio è buono? È buono Dio?" Che cosa rispondete voi ad uno a cui muore un figlio, ad uno a cui succede una disgrazia, ad uno che si guarda intorno e vede milioni di bambini che muoiono ogni giorno... che gli rispondete? "Dio è buono"?
Ecco i dubbi che ci portiamo dentro! Ecco cosa significa credere! Quali valori vale la pena di seguire, in Gesù? Che cosa è venuto a portarci, in questa nostra terra? Che cosa significa: "essere uno che si fida di Dio”, nel concreto della vita di ogni giorno? Altro che una madonna che piange! Ma che ce ne importa, a noi, se una madonna piange! Che cambia, di fronte ai bambini che muoiono, di fronte ai problemi della nostra vita di ogni giorno, di fronte alle ingiustizie quotidiane, di fronte alla nostra politica, di fronte alla nostra giustizia! Perché, questi sono i problemi della vita; dentro questa vita Gesù è venuto a portare la Sua Parola, la Sua Luce! A volte ci sembra un lucignolo che fumiga; ma Lui non l'ha mai spenta la luce! Ha sempre detto una parola di speranza: ha parlato di un piccolo seme da mettere nella terra, con la speranza che poi porti i suoi frutti! Ha parlato del coraggio di sperare, di cambiare.
E non dimenticate: quando ci ha lasciato un ricordo di Sé, non ha detto: "Io vi manderò qualcuno che caccia qualche diavolo, qualcuno che fa piangere qualche madonna, qualcuno che fa apparire segni nel sole, o sa compiere prodigi!" Ecco quello che ci ha lasciato: un pezzo di pane, una tavola, dei fratelli intorno alla tavola! Non è questione di credere o di non credere: è questione di fidarsi di Gesù, e domandarsi: "Ma Lui ha qualche cosa da dirci, qui, intorno a questa tavola, spezzando il pane nel nostro quotidiano?"
Quando domani molti di voi torneranno al lavoro, quando chi ha i capelli bianchi dovrà combattere con i nipoti ( è difficile combattere coi nipoti, vero?, con le loro intemperanze, con le loro difficoltà!), cosa significa lì "fidarsi di Gesù"? portare una parola di speranza? credere nel Suo Regno, nella Sua giustizia? Allora vi vengono i dubbi! E allora, come Tommaso, cercherete di vedere, di toccare... E non avrete da toccare altro che un po' di pane spezzato e la vita condivisa, e guardare questo Crocifisso: che non lacrima, che non fa prodigi, a cui è inutile chiedere miracoli, perché non li fa! Però là c'è l'Amore di Dio, che è venuto a condividere la nostra vita, a camminare con noi, a portare nel nostro cuore il coraggio - ogni giorno! - di continuare a cercare la Sua Luce, a cercare i Suoi Valori! Perché ciascuno di noi possa continuare a credere che Lui ha ragione, che la radice della vita è l'amore; per non perdere la fiducia in tutto quello che è bello e giusto, nel mondo!
Per questo è venuto Gesù. E quindi, vedete, non si tratta di credere o di non credere, di aver fede o di non aver fede. Si tratta di continuare a cercare la Luce, a camminare, a sperare, a fidarsi di Lui, a portare qualche cosa di Lui nel nostro quotidiano! Nel nostro quotidiano, nella nostra vita di ogni giorno: i fatti prodigiosi avvengono raramente e non cambiano la vita. In tutte le religioni, in ogni angolo della terra, sono successi prodigi. Non è il prodigio, il nostro problema. Il nostro problema è la vita di ogni giorno, è la presenza di Dio nei fatti quotidiani, è la bontà di Dio che si dona a noi, nel mistero. Tutte cose da cercare ogni giorno, tentando - come Tommaso - di passare dal dubbio alla fiducia!
E per noi è la Parola di Gesù: "Beati quelli che pur senza avere visto crederanno!" Noi! Che siamo qui, senza vedere, senza cercare segni prodigiosi, ma per continuare a credere in Gesù e nei Suoi valori e a cercarli nella nostra vita di tutti i giorni. Non sempre è facile: i dubbi ce li portiamo dentro, tutti! Guai a chi non ha dubbi! È la nostra fortuna: ci permette di non sentirci mai arrivati, di continuare a cercare la Sua Luce, di continuare a sperare e a fidarci di Gesù!
Il Signore ci aiuti a farlo ancora.
1995
Abbiamo ascoltato una delle pagine più straordinarie del Vangelo di Giovanni, con dentro tanti simboli: perché - spero - tutti voi avrete notato che qui si tratta di simboli, non di fatti prodigiosi di tanto tempo fa, ma di qualche cosa che esprime nel profondo la nostra vita cristiana, il nostro quotidiano, il rapporto con il Signore, il nostro ritrovarci qui insieme. Sarebbe lungo soffermarsi simbolo per simbolo: vorrei - se mi riesce - con un po' di fantasia, farvi notare l’essenziale di questa pagina.
Allora seguitemi! Vi invito a fare un volo con la fantasia, a tornare indietro tanto, tanto tempo fa, nella comunità - probabilmente - di Efeso, dove è nato il Vangelo di Giovanni. Un gruppo di Cristiani, certamente non tanti come noi qui, un piccolo gruppo di gente che si ritrova intorno a Giovanni come facevano ogni domenica. Ma quella era una domenica speciale, era una festa grande: si voleva celebrare la conclusione della scrittura di un Vangelo! Era costata tanta fatica mettere insieme tutti i ricordi: tante discussioni, tante ricerche... ma finalmente ce l'avevano fatta. Guidata dall'apostolo Giovanni, tanta gente di buona volontà aveva studiato, cercato, discusso, messo insieme tutti i ricordi di Gesù: volevano scrivere qualche cosa di nuovo rispetto agli altri Vangeli, che già c'erano prima: il Vangelo di Marco, di Matteo, di Luca.
Un Vangelo un po' diverso, quello di Giovanni, fatto di approfondimenti, di riflessioni: era costato tanta fatica, a questa gente! L'apostolo e gli altri erano contenti: finalmente si era scritta la conclusione, si era messo "punto". Il Vangelo era finito: bisognava ritrovarsi per far festa! E si son ritrovati una sera, come noi, intorno all'altare, hanno riletto qualche pagina del Vangelo appena concluso, quelle che sembravano le cose più importanti e la conclusione. Forse qualcuno di voi lo ricorda: noi la conclusione del Vangelo l'abbiamo letta domenica scorsa.
Ma ecco - mentre tutti erano contenti perché il lavoro era finito - uno alza la mano: "Giovanni, io ho un altro foglio". "Oh là! Sono mesi che discutiamo, sono anni che raccogliamo il materiale per questo Vangelo! Adesso, proprio quando abbiamo finito, abbiamo messo "punto", tu tiri fuori un'altra cosa!" - Immaginate quanta gente avrà brontolato, in quell’assemblea, soprattutto quelli che avevano lavorato di più! - Ma Giovanni, che era un uomo saggio, vecchio (dice la storia - o forse la leggenda - che quando Giovanni morì aveva più di 100 anni), dice: "Lasciamolo parlare, sentiamo che cosa ha da dire. Che abbia, lui, qualche cosa di nuovo da portarci, da aggiungere al Vangelo?" Ma ci sono molti che non vogliono accettare: "Abbiamo già messo "punto", abbiamo scritto anche la conclusione...".
Giovanni si guarda intorno con aria seria: "Pazienza! Ascoltiamo prima cos'ha da dire. E non dimenticate mai che a Gesù hanno rimproverato, tante volte, di apportare qualche cosa di nuovo alla antica Scrittura: quante volte abbiamo sentito dire a Lui e quante volte hanno detto anche a noi: "Cosa portate di nuovo?! Abbiamo già la Legge e i Profeti; perché volete aggiungere qualche cosa?" E Giovanni continua: "Voglia il Signore che ci sia sempre qualcuno che abbia qualche cosa da aggiungere al Vangelo, che non ci si fermi mai dal cercare, dal trovare parole nuove, dall'esprimere in modo nuovo la Luce di Dio!" E conclude rivolto a chi aveva alzato la mano: "Dicci che cosa vuoi aggiungere al Vangelo!" E quel signore comincia a dire quello che abbiamo letto stasera! E parla dei discepoli che lavorano a lungo, "nella notte", senza pescare nulla. E della difficoltà dei discepoli a riconoscere Gesù e di Pietro che si ritrova nudo davanti al Signore. E di Gesù, che li invita a mangiare e prende il pane e lo spezza per loro. E di Pietro, che per tre volte ripete a Gesù che gli vuol bene!
Giovanni lo guarda a lungo con attenzione, poi si rivolge a tutti: "Vedete, molti di voi volevano non farlo parlare; ma lui ha detto cose più importanti di tante che abbiamo scritto nel nostro Vangelo. Quello che lui ha detto è straordinario! Chi di voi, non ha avuto qualche volta la sensazione di lavorare invano tutta la notte, di aver faticato a lungo senza concludere niente?! Chi di voi non ha avuto difficoltà a riconoscere Gesù nella propria vita?! E potevamo lasciare, nel nostro Vangelo, soltanto il triplice rinnegamento di Pietro?! Avete sentito come Pietro è morto a Roma, inchiodato anche lui su una croce! Era giusto, è giusto aggiungere al Vangelo il suo triplice "ti amo": perché Pietro l'ha amato sul serio Gesù! Che problema c'è? Invece di 20 capitoli, il nostro Vangelo ne avrà 21".
Verificate a casa: alla fine del capitolo 20, il Vangelo di Giovanni si conclude; ma poi si riapre, perché qualcuno ha pensato bene di aggiungere il ventunesimo capitolo, quello che abbiamo letto stasera, forse il capitolo più straordinario del Vangelo di Giovanni. Perché non si parla di gente di tanto tempo fa: si parla di noi! Si parla della nostra fatica "nella notte", delle nostre delusioni; si parla dell’affannarsi e del correre di tanta gente, ma quando guardiamo i risultati ci accorgiamo che poco abbiamo “pescato” dei valori essenziali della vita: la giustizia, la tenerezza, la pace. Si parla delle nostre incomprensioni, della nostra difficoltà a riconoscere Gesù, dell'esperienza - che facciamo qui - di Lui che si fa Pane, che è in mezzo a noi come Colui che serve, che ci invita a mangiare! Parla del Suo perdono, dell’invito a seguirLo, della nostra fede! Ne parla, come amavano gli antichi, attraverso i simboli, le immagini: immagini preziose! conservatele nel cuore! C'è tutta la vita cristiana, in questa pagina!
È il ventunesimo capitolo del Vangelo di Giovanni: quel capitolo che qualcuno ha aggiunto. E speriamo che qualcuno di voi sappia aggiungere, ogni giorno, qualche parola al Vangelo!
Perché, altrimenti, il Vangelo resta lettera morta...
1995
È un dramma non soltanto per noi, ma per i credenti di tutti i tempi; lo era anche per i discepoli: il dramma, cioè, di guardarsi intorno e di fare esperienza della "grande tribolazione"! La tribolazione di ogni giorno: i giusti che pagano, che a volte sono uccisi; la tribolazione dei "guai", delle disgrazie che qualche volta attraversano la vita. E i credenti si domandano: "Ma dov'è Dio? Perché non ci protegge, non ci custodisce, non ci assiste? Perché Dio è lontano da queste nostre esperienze?". E i Cristiani hanno sempre trovato - non lo dimenticate, perché forse vi aiuta a credere - sul loro cammino chi diceva: "Ecco, se tribolate, se patite, è per colpa vostra, per colpa dei tanti peccati che ci sono nel mondo". I Cristiani hanno sempre trovato sul loro cammino qualche persona che diceva: "Verranno ancora castighi peggiori, verranno ancora guai peggiori!". E interpretavano in questo modo i "segni": una madonna che piange, un crocifisso che sanguina... Queste cose ci sono state sempre, nel corso della storia dei credenti!
E c'erano anche per i discepoli. Per loro il problema era più grave, perché subivano la persecuzione: li mettevano in carcere; qualcuno dei loro amici - qualche volta i figli, qualche volta i genitori - erano uccisi! Di fronte alla sventura anche loro si chiedevano: "Dov'è Dio?" e cercavano di ricordare le parole del Signore: e non trovavano mai una parola di minaccia, una parola in cui si accennasse al "castigo" di Dio! Trovavano solo parole contrarie, come quelle che abbiamo ascoltato insieme: "Nessuno potrà strapparvi dalla mano di Dio! Voi siete pecore del Suo pascolo, siete i Suoi figli; e un giorno Dio asciugherà le lacrime dai vostri occhi! " E si dicevano, spesso con fatica: "Adesso è il compito nostro combattere il male, con tutta la passione del nostro cuore".
Questo vale anche per noi, fratelli. Quando vi guardate intorno, anche voi, con occhi smarriti, quando sentite tutto il peso del dolore del mondo, quando non avete parole che vi possano consolare - specialmente quando il dolore vi tocca da vicino - non pensate mai di aver perso la fede! Conservate dentro di voi il grido, la non-rassegnazione, la ribellione al dolore, al tormento del mondo! Mi capita, qualche volta di sentire - mi capitava anche in questi giorni, forse l'avrà sentito anche qualcuno di voi - qualche persona autorevole: nella fattispecie era un vescovo, che parlava alla radio, al mattino, del dolore del mondo; mi sembrava quasi di vederlo sorridere... Sentivo dentro di me come un grido! Perché io ho visto tante volte, attorno a me, gente che piangeva, gente con il cuore straziato, gente che faceva fatica a credere che Dio custodisse ancora la loro vita! Il dolore del mondo è un dramma, per chi crede!
E allora cercate anche voi di tenere nel cuore, se vi riesce, queste parole del Vangelo, la luminosa visione dell'Apocalisse; ascoltate la parola che Gesù cercava di dire alla Sua gente: la diceva Lui, che è stato crocifisso! Lui, che noi confessiamo morto ed anche risorto: "Non abbiate paura!".
Il nostro compito è di continuare a cercare la vita, la fedeltà alla giustizia, di combattere il male e il dolore, di costruire la pace e siamo nelle mani di Dio! Nessuno potrà strapparci dalle Sue mani - cioè dalla Vita, dalla pienezza della vita - se non in questo tempo, al di là della morte! Perché verrà un tempo in cui Dio asciugherà le lacrime dai nostri occhi: in cui non ci sarà più affanno, né arsura, né dolore, né tormento! Ma nel cammino della vita il dolore, a volte, ci tocca da vicino. Ed anche a noi toccherà fare l'esperienza di Dio che non parla, che sembra lontano: ci sembrerà di non vederLo, ci sembrerà di non capire!.. Non abbiate paura! siete dalla parte di tutti i credenti della storia, di quanti hanno affidato la loro speranza - quasi con disperazione - a queste parole del Signore! Alla fedeltà di Dio al di là di tutto, al di là di ogni dolore! Fedeltà al di là del tempo!
La certezza che Dio ci vuol bene, perché Cristo ha donato la Sua vita per noi, ma non è venuto come un mago, a togliere il dolore dalla nostra esperienza! Purtroppo rimane; e nel dolore, a volte, rimane lo smarrimento del cuore e la nostra solitudine! E facciamo fatica a credere che siamo ancora nelle mani di Dio e che nessuno potrà strapparci da queste mani! La fede a volte è una fede dolorosa, è una fede faticosa. È il dire a Dio: "Sì! anche se non vedo, anche se non capisco, so che Tu ci sei e che sei un Dio di vita e non di morte". Ma - molti di voi ne hanno fatto l'esperienza - non è facile. Ecco perché i Cristiani si ripetevano queste parole di Gesù! Ecco perché ci ritroviamo in chiesa! Ecco perché guardiamo con occhi smarriti il Signore crocifisso!
E poi, non lo dimenticate: accanto alla Croce, c'è quel Cero: è il segno della Resurrezione! Ma, vedete, è una piccola fiamma, oggi quasi soffocata dalla luce del sole: è la fiamma della nostra fede, della fiducia nella presenza di Dio nella nostra vita! A volte tremula, come una fiammella di candela... Eppure, è lì il segreto della nostra fede! È lì la certezza che Dio è dalla nostra parte, dalla parte della vita! E che un giorno parteciperemo anche noi, con questa "moltitudine immensa", a quel grande momento in cui "ogni lacrima sarà asciugata" e noi potremo sentirci, tutti, figli di un unico Padre!
Il Signore ci aiuti a credere!
1995
Quando ero giovane ho studiato a lungo per diventare prete - 7 anni: sono parecchi! - ed una delle materie importanti era la Morale: quello studio che cerca di capire qual è il comportamento giusto. Ho dovuto studiare grossi libri, in cui c'era ancora il sogno dei medievali: quello di trovare una regola, un comandamento, una legge, per ogni comportamento degli uomini. Ho dovuto leggere pagine e pagine in cui si immaginavano tutte le situazioni in cui l'uomo potesse trovarsi; e si cercava una regola, un comando, un ordine per ogni situazione, per ogni circostanza, per ogni persona.
Poi, per fortuna, ho incontrato chi mi ha fatto vedere come le cose si dovessero impostare in altro modo. Poi la vita mi ha insegnato che spesso quello che sta sui libri non corrisponde alle persone: non c'è mai una persona, una situazione, un comportamento che sia uguale all’altro; e che bisognerebbe fare infinite regole - ammesso che questo serva - quanti sono gli uomini sulla terra!
Ma soprattutto ho capito che Gesù aveva fatto qualcosa di profondamente diverso. Vedete, nella storia del popolo di Israele s'erano accumulati tanti precetti, tante leggi: erano più di 600 quelle che si conoscevano ancora al tempo di Gesù; ma già nell'antica storia i comandamenti ritenuti fondamentali erano solo 10. Già i sapienti di Israele avevano compendiato tutta la Legge nei 2, che tutti conoscete bene: "ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima" e "ama il prossimo tuo come te stesso". Ma, come avete sentito oggi, anche 2 erano troppi per Gesù: Lui ha detto: "Ve ne lascio uno solo, nuovo: come io vi ho amati, così amatevi anche voi".
E vedete che, a questo punto, non c'è più nemmeno una "legge", ma c'è una "persona" che diventa legge per noi! "Come ho fatto io, come ho amato io, fate anche voi".
Noi viviamo in tempi completamente diversi, le circostanze della nostra vita sono molto lontane, nel tempo e nello spazio, da quelle di Gesù; voi capite facilmente che Gesù non può essere una regoletta, può essere soltanto un ideale; quello che conta sono i valori fondamentali che Gesù si portava nel cuore. E per noi - fra l'altro - Gesù è un modello irraggiungibile: chi può essere come Lui?! chi può amare come ha amato Gesù?! Ma Lui diventa l'unica legge della nostra vita: Lui, una persona viva! Una persona che diventa per noi un esempio, un modello, un ideale. Da vivere poi nel concreto della nostra esperienza: una Persona e le persone che abbiamo intorno a noi. E questo dovrebbe bastarci.
Ma spesso mi accorgo, con sorpresa, che c'è tanta gente - c'è forse anche in mezzo a voi - che ha bisogno di leggi, di regole, di certezze; che non ama l'avventura di avere nel cuore l'ideale di Gesù, per poi confrontarsi con le persone concrete! Vedete, alcuni di noi quest'anno hanno letto il nuovo catechismo: vi si ricorda, sì, che c'è un comandamento "nuovo", che Gesù ci ha lasciato, quello che abbiamo letto stasera; ma poi, ci ripropongono i 10 comandamenti e, dentro i 10 comandamenti, le tante regole che tentano di capire e giudicare la vita. Regole e regole... spesso anche nelle Encicliche trovate regole e regole... Con due rischi grossi, fratelli! Il primo: che molti di noi si sentono "giusti", perché dicono: io i comandamenti li ho osservati tutti. Nessuno di noi ha ammazzato, nessuno di noi ha rubato cose importanti. Ma se ci confrontiamo con l'amore di Gesù, la cosa è diversa: non ci sentiamo più tanto "giusti"! E non corriamo il secondo rischio, che forse è più grande ancora, per un credente: il rischio di giudicare senza cercar di capire, di imporre carichi pesanti, di non capire la gente, che a volte tribola e fatica per cercare di essere giusta e onesta!
Voi trovate spesso, nelle leggi della Chiesa, una durezza, una incomprensione per il travaglio della gente, per la loro difficoltà a vivere, a capire dov’è il bene e dov'è il male.
Le leggi servono agli uomini, sono importanti, sono il frutto di una ricerca durata centinaia di migliaia di anni. Ma quando ci ritroviamo qui, intorno all'altare, fratelli, dovremmo ritrovare tutta l’utopia di chi crede in Gesù: Lui è l'unica nostra legge! E quando andiamo a casa, nel posto dove lavoriamo, tenteremo di portarci nel cuore questa utopia: amare come Gesù ci ha amato; portare nel mondo un po' della Sua gratuità, della Sua tenerezza: i valori profondi della Sua vita!
E allora ci guarderemo intorno, tenteremo di guardare negli occhi chi ci vive accanto - un collega di lavoro, qualche volta un figlio, un amico - e di capire; e di condividere la vita nel rispetto, nella libertà, nell'amore. E non correremo il rischio di sentirci giusti, non correremo il rischio di imporre precetti e giudizi pesanti, che non rispettano il travaglio e il cammino dell'uomo! Un'unica legge ci ha lasciato Gesù: "Amatevi come io vi ho amati".
E non soltanto questo: si è fatto Pane, per noi, per darci la capacità di portare un po' della Sua tenerezza, della Sua vita, nella nostra vita di ogni giorno!
Ci aiuti a farlo un po', anche noi.
1995
Vi ho introdotto questa sera la messa e la prima lettura con parole un po' particolari, richiamando la vostra attenzione; e qualcuno di voi si sarà domandato: "Ma perché tanta insistenza? che c'è di così importante in questa lettura?". Tento ora, se mi riesce, di spiegarvelo, perché per me è una delle cose essenziali del nostro cammino di credenti.
Come forse avrete notato, c'era al tempo dei primi Cristiani una grande discussione: c'era chi andava in giro a dire: "Bisogna continuare a fare la circoncisione". Era un rito, la circoncisione, che - per semplificare - corrispondeva al nostro battesimo: segnava l’ingresso nella comunità, nel popolo, un rito molto antico, in Israele. E non si trattava soltanto di questo rito, ma della fedeltà a tutta la tradizione: a tutto quello che Mosè aveva scritto nella Legge, a tutte le pratiche religiose, al Tempio, all'osservanza di tutti i comandamenti. Insomma, si trattava di seguire la strada su cui si era sempre camminato; la strada che, fra l'altro, aveva seguito Gesù: Lui pure era stato circonciso, Lui aveva sempre pregato nel Tempio, Lui aveva sempre osservato le tradizioni e le leggi.
Adesso che il Cristianesimo si andava allargando per il mondo, c'erano dei pagani che non avevano mai sentito parlare di circoncisione, non avevano sentito mai parlare del Tempio, di tutti i rituali, di tutte le preghiere che si erano sempre fatte in Israele. Il problema era questo: che cosa significa essere Cristiani: occorre seguire tutte queste pratiche? Occorre seguire tutte queste tradizioni, occorre fare in modo che tutti camminino come si è sempre camminato nella fede dei credenti in Dio? Come avete sentito, la discussione era forte: da una parte il gruppo di Gerusalemme, in cui - fra l'altro - c’erano molti dei parenti di Gesù, dall'altra parte il gruppo di quelli che erano andati in giro per il mondo, di quelli che avevano fatto esperienza della diversità delle culture e delle tradizioni: Paolo, Barnaba; loro erano stati a Corinto, ad Atene, ad Efeso. E lì si parlava in un altro modo, il linguaggio era diverso.
Il problema, se ci pensate, era proprio questo: che cosa è essenziale e che cosa è marginale? È essenziale la fedeltà alle parole, alle regole, alle tradizioni, se volete a quel tipo di legge? oppure è essenziale la fede in Gesù Cristo, i valori che Gesù ha portato nel mondo? È possibile cercare di tradurre per ogni popolo, per ogni cultura, per ogni tempo, quelli che sono i valori di Gesù, senza doversi fermare alle regole, alle tradizioni? Se là si circoncidono, perché lo dobbiamo fare anche noi?
Un problema che si ritrova in tutta la storia della Chiesa. Ma - non dimenticatelo mai! - se noi siamo qui, è perché quella gente ha avuto il coraggio di dire: "A noi non interessano le cose esteriori, non ci interessano le parole che sono sempre state dette. A noi interessa l'essenziale della fede in Cristo". E quindi scrivono quella lettera così importante: "Siete liberi! Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nient'altro che..." (alcune cose che allora ritenevano fondamentali... e che forse voi avrete letto con un sorriso, perché per noi, oggi, sono sciocchezze...)
Siamo figli della libertà e a tutti noi è dato lo Spirito per aprirci al futuro, per cercare sempre, anche oggi, le cose essenziali della vita; per cercare in ogni circostanza quello che fonda la vita dell'uomo: la gratuità, la giustizia, l'amore...
È importante per voi che siete nonni e avete i capelli bianchi; è importante per i genitori, che hanno dei figli che crescono. I quali figli, magari, non parlano più il vostro linguaggio, non seguono più il vostro modo di pregare. Voi proponete ai ragazzi di dire il Rosario: per voi è stato prezioso! Per mia madre è preziosissimo, lo dice tante volte, durante il giorno! Ma quando lei ne parla con le sue nipoti, la prendono in giro, la guardano con un sorriso di sufficienza: non è più il loro modo di pregare, di esprimersi, di parlare. Eppure, mia mamma, che è una donna saggia, sa riconoscere che le sue nipoti, in certe cose, sono anche migliori di lei: non parlano come lei, non pregano come lei, ma si portano nel cuore una voglia di onestà e di giustizia! E questa è la cosa essenziale! Non è importante essere fedeli alle esteriorità, a formule che si sono sempre dette: è importante quello che c'è nel cuore e i gesti che quello che abbiamo nel cuore produce! Gesti che siano veri per il mondo di oggi! L’essenziale non sono i riti, le esteriorità: l'essenziale è quello che c'è nel cuore!
Mi diceva oggi pomeriggio una mamma: "Ma non è vero, padre, che ci sono tanti matrimoni di gente che s'è sposata in chiesa, con tutta la solennità, con tutti gli addobbi, i fotografi, i vestiti di lusso ed anche con tanta commozione e tanta preghiera, che sono più infelici dei matrimoni di altri che si sono sposati in Comune?" Perché l'essenziale del matrimonio non è l’esteriorità, non è l'abito, ma non sono nemmeno i sentimenti. È l'amore di due persone, due persone che si vogliono bene sul serio, che condividono la vita! Questo è essenziale: era essenziale un tempo, è essenziale anche adesso.
Non dimenticate: nel Vangelo abbiamo letto che Gesù ha detto ai suoi cristiani: "Anche quello che vi ho detto io, non è tutto. Verrà lo Spirito, Lui vi porterà alla verità!". E Lo avete dentro, lo Spirito, tutti! E Lo ha dentro anche chi non sta qui; Lo hanno dentro anche i vostri nipoti, che magari non sanno più pregare, ma qualche volta sentono dentro il Suo soffio: il soffio di bontà, di giustizia, di gratuità, soffio che spinge alla ricerca di cose essenziali. E un uomo vale non per quello che ha fuori, non per il modo con cui si esprime, non per i vestiti che porta - qualche volta vi lamentate dei vostri nipoti che hanno i capelli lunghi o troppo corti, o che indossano indumenti sdruciti: l'importante è quello che hanno dentro, importanti sono i valori in cui credono, importanti sono i gesti che fanno! E qualche volta sanno fare gesti d'amore migliori dei miei... non so se migliori dei vostri!
Ho incontrato nella mia vita tanta generosità, in persone che magari non venivano mai in Chiesa o dicevano parolacce; ma avevano un cuore capace di commozione, di gentilezza, di partecipazione, di gesti concreti di solidarietà, che io non riuscivo a fare! E questo è l'essenziale, queste sono le cose che veramente contano nella vita! Questo ci ha insegnato Gesù! Perché, vedete, Lui è stato il primo a non seguire troppo le tradizioni, le regole, le leggi; ad inventare qualcosa di nuovo che partisse dal cuore.
E ce l'ha detto tante volte: è il cuore che conta! Allora, come adesso.
Il Signore ci aiuti!
1995
Uno dei momenti che vengono descritti con più emozione nelle storie degli uomini, è il passaggio delle consegne fra un grande personaggio e il suo discepolo. Pensate, per esempio, ad un'antica scuola di pittura in cui insegna un grande maestro: quando lui muore o quando per qualche occasione deve andar via, uno dei sui discepoli prende la responsabilità di continuare la sua opera. Occorre prendere in mano - magari con ansia, con trepidazione - i colori, mettere mano al quadro non finito del maestro, portare a termine il suo lavoro; qualche volta riuscendo, addirittura, a superarlo.
O pensate ad un grande direttore d’orchestra, che ormai non riesce più a muovere la mano e consegna la bacchetta al suo discepolo: l’emozione, la responsabilità, il prendere il posto del maestro! Pensate ad un grande insegnante, ad un grande filosofo. Il momento del passaggio delle consegne da parte di un grande personaggio, è uno di quelli che si vivono con maggiore emozione nell’esperienza umana: l'ansia, la trepidazione, i dubbi, la paura di non esser all’altezza, ma anche il senso di responsabilità, il sentirsi adulti, la gioia per il nuovo compito, la sensazione di continuare un'opera straordinaria!
Non so se avete notato: abbiamo letto una storia simile. È Gesù, stavolta, che se ne va: è Lui che lascia le consegne, è Lui che passa il testimone, e Gesù è il più straordinario dei maestri! Noi siamo qui riuniti nella fede che Lui è venuto da Dio, per portare in mezzo a noi un riflesso dell'eterna immensità di Dio, un raggio della luce, dell'amore, della gratuità di Dio! È venuto in mezzo a noi per inaugurare il Suo Regno di giustizia, di pace, di fedeltà, di gratuità.
Ma c’è una differenza, se avete notato: qui non c'è un solo discepolo, dotato magari di qualità straordinarie, che è chiamato a prendere le consegne; ma tutti, tutti debbono continuare l'opera di Gesù! Tutti sono invitati a prendere in mano la Sua opera, a continuare la Sua missione: tutti diventano testimoni di Lui. Tutti: anche noi!
Come avete sentito, il Vangelo e gli Atti degli Apostoli manifestano tutta la perplessità dei discepoli: tutti i loro dubbi, le loro domande, il loro rimanere imbambolati a guardare il cielo. Ma Gesù insiste!
Gesù ha fiducia in noi, si fida della gente di tutti i giorni, non ha bisogno di eroi, di gente straordinaria, dotata di grandi capacità. Ognuno, nella sua vita, può prestare le proprie mani, la propria voce, il proprio sorriso, il proprio cuore a Gesù! Tocca a noi continuare la Sua opera e sentirci adulti nella Chiesa: è il nostro momento, è il momento del passaggio da Gesù, dalla Sua opera, alla nostra opera, al nostro coraggio di continuare la Sua missione.
Ecco perché i Cristiani di tutti i tempi hanno celebrato questa festa con particolare emozione: perché sentivano tutta la fiducia che Dio ripone in gente come noi, che a volte si ritrova il cuore pesante, che si porta dentro tanti dubbi, tante incertezze... e tuttavia sa di poter essere nel mondo testimone della luce, della vita, dei valori di Gesù! Ecco: è il momento del passaggio del testimone da Gesù a noi, è il momento del nostro sentirci adulti, del nostro sentirci responsabili, del nostro tentare di continuare l'opera Sua.
E non siamo soli: ci ha promesso lo Spirito! Ci prepariamo a celebrare la festa di Pentecoste, sabato prossimo, se volete a questa ora, ma soprattutto nella grande Veglia che prepareranno, per noi, i nostri ragazzi. Invocheremo lo Spirito, grideremo a Lui! Perché il soffio di Dio attraversi anche la nostra vita, così che anche noi - povera gente come siamo - sappiamo, nel nostro mondo, essere testimoni di Gesù: continuare almeno un po' la Sua opera!
Il Signore ci aiuti a farlo.
1995
Mi capitava qualche sera fa - e non mi capitava più da tanto tempo - di sentire parlare un ragazzo che è rimasto colpito dalla straordinaria figura del "dottore" nel romanzo di Albert Camus, intitolato "La peste", che spero parecchi di voi abbiano letto. Questo ragazzo era rimasto colpito dal dottor Tarrou, così si chiama il medico di questo romanzo, un santo laico, che non sa rispondere a tante domande, ma che si porta nel cuore una grande passione per la gente, che dedica tutto se stesso a combattere il male, a sollevare la miseria degli uomini. È uno che non crede, il dottor Tarrou, ma che dedica tutto se stesso agli altri, a portare un po' di bene intorno a sé.
Mi domandavo: che differenza c'è, allora, tra un credente e un non-credente? Vedete, anche noi - anche io, ma spero tutti voi - ci poniamo tante domande a cui non sappiamo dare risposte, proprio come il dottore de "La peste": tante domande che a volte ci pongono i figli o i nipoti, i ragazzi che crescono in mezzo a noi. Il credente non è uno che sa tutto, che ha una risposta per ogni domanda! Anche noi tentiamo - o almeno dovremmo farlo - di chinarci sul dolore che abbiamo intorno, di combattere il male; con il dott. Tarrou possiamo condividere quasi tutto. Allora dov’è la differenza? Il credente è uno che crede di riconoscere nel mondo la presenza di Dio; ma quando parla di questa presenza, quasi balbetta. Gli antichi erano ben coscienti che il Nome di Dio non si può nominare facilmente; e allora balbettavano qualche parola: il "soffio" di Dio, lo "spirito" di Dio, la "sapienza" di Dio, che attraversa l'esistenza degli uomini!
Vedete, uno che non crede pensa che tutto quello che abbiamo intorno venga dalle forze della natura, dal caso, dalla necessità; il credente riconosce in tutto questo - pur tra mille domande - il "soffio" di Dio. Lo vede nella natura che ha intorno: la bella immagine della Genesi: "lo spirito di Dio aleggiava come una colomba sul caos primordiale" e ha dato bellezza, ordine, perfezione a tutto questo mondo che abbiamo intorno! E non solo nelle cose, ma soprattutto nelle persone: il grido di Adamo, che riconosce in Eva la sua compagna "immagine e somiglianza di Dio"! Anche in chi ci sta accanto c'è il soffio e la presenza del Signore.
E non solo, ma i credenti vedono il "soffio" di Dio in ogni uomo che ha il coraggio di lasciare, come Abramo, la sua terra, le comode sicurezze del passato; di avventurarsi verso nuove frontiere, alla ricerca dell'Assoluto, alla ricerca di una vita che trascenda la propria esperienza; ma anche in tutti coloro che si avventurano, nel tentativo di fare un passo avanti nella conoscenza del mondo, nella scienza come nella tecnica: i tanti medici che hanno cercato di migliorare la condizione umana; i tanti scienziati che hanno cercato di conoscere il mondo, di rendere più facile la vita degli uomini!
Il credente vede il "soffio" di Dio dovunque l’uomo tenta di uscire da ogni schiavitù: come il popolo di Israele che doveva lasciare, "in fretta", l’Egitto sospinto dalla chiamata di Dio. Noi ancora, qui, usiamo un pane non lievitato: segno della fretta con cui bisogna uscire dalla schiavitù, perché Dio ci spinge, ci chiama sempre verso la libertà!
Il credente vede il soffio di Dio nel grido dei profeti contro ogni ingiustizia, nella loro passione per la vita degli uomini, per un mondo ricco di pace e di giustizia.
E soprattutto noi credenti vediamo una manifestazione di Dio - che si fa vita condivisa, strada fatta insieme - in Gesù di Nazareth: Lui viene da Dio, è nato "per opera dello Spirito Santo": è il soffio di Dio che Lo ha fatto venire in mezzo a noi! E questo soffio di Dio Lo spinge a combattere il male nel momento del Suo battesimo; questo soffio di Dio Lo fa portatore del Suo Regno in mezzo a noi: portatore di passione e di vita!
È lo Spirito di Dio - come avete sentito - che anima la Sua Chiesa: non soltanto i discepoli di tanto tempo fa, ma tanta gente nel corso della storia, che ha saputo aprirsi alla luce di Dio, che ha saputo accogliere nel profondo della propria vita il "soffio" di Dio: come un vento forte che spalanca le porte delle nostre meschine chiusure, che ci dà il coraggio della libertà, come una luce che rischiara i nostri passi, come un fuoco che riscalda e dà vita, come una forza che spinge tante persone diverse a camminare insieme, a condividere la vita, nella tenerezza, nella gratuità!
Ecco la differenza: noi crediamo di riconoscere nella nostra vita il soffio di Dio! Quasi non sappiamo Chi sia, ma tentiamo di riconoscerLo intorno a noi. E dovunque, nel mondo! Dove vediamo la giustizia, dove vediamo un uomo che sa voler bene, dove vediamo la tenerezza e l'amore, dove vediamo qualcuno che ha passione per la vita, dove vediamo un po' di giustizia e d'amore: là riconosciamo il soffio di Dio che attraversa la nostra storia! Questa è la nostra certezza, che ci riunisce qui ogni domenica: non siamo soli, c'è Dio con noi! Il Suo soffio, il Suo spirito, attraversa la nostra vita. E noi siamo qui per continuare a cercarLo: inseguitori della Sua luce, inseguitori del Suo amore, del Suo calore!
Lo Spirito ci aiuti a camminare ancora, anche noi, alla ricerca di ogni cosa bella e giusta, anche noi convinti di riconoscere le tracce di Dio nella nostra esperienza di uomini. E non soltanto nella nostra: ma in ogni angolo della terra, dovunque c'è un uomo che vive, là c'è qualche cosa del soffio di Dio che attraversa la nostra esperienza!
Il Signore ci faccia capaci di riconoscerLo sempre e di cercarLo ancora!
1995
Quando ero piccolo - ma penso che sarà capitato anche a molti di voi, che hanno la mia età, se non qualche anno di più - ho dovuto ascoltare molte prediche contro la bestemmia. E non soltanto nella mia parrocchia, ma dovunque andassi sentivo spesso i preti parlare contro quelli che bestemmiano. Ed avevano ragione, perché c'è poco di così sciocco come la bestemmia. Ma io ero tutto contento, perché a casa mia non si era mai bestemmiato; e a me, non era mai passato per la testa di dire una bestemmia. Avevo un peccato di meno da confessare: a me questo non riguardava, riguardava qualcun altro, qualche persona sciocca che usava bestemmiare. È vero che nel quartiere dove io sono nato, a Trastevere, si dicevano molte parolacce, e i preti vociavano anche contro le parolacce; ma ho avuto presto dei catechisti che dicevano più parolacce che parole, anzi sostenevano che le parolacce erano "opere buone"... Allora, anche quello non era un grande problema per me.
Quando ero piccolo, si diceva: "Scherza con i fanti e lascia stare i santi", vi ricordate?; non era cosa buona scherzare con i santi! Mi sono accorto, crescendo, che non era questo il problema. In Paradiso credo che si raccontino molte barzellette anche sui santi. E se Dio è Dio, è Quello che le sa raccontare meglio! Quindi è bene che ci prepariamo, specie chi non ama le barzellette; ma forse quelle raccontate da Dio sono più belle di quelle che raccontano gli uomini.
Il problema non era questo: dire una battuta scherzosa sui santi o dire una bestemmia. Mi sono accorto, crescendo, che il secondo comandamento che, secondo i preti, riguardava la bestemmia, nella Bibbia diceva: "Non nominare il nome di Dio invano". Già, non è scritto: "Non bestemmiare", ma "Non nominare il Nome di Dio invano". Ed era molto più ampio, diceva: "Non fabbricarti nessun idolo, non farti immagine alcuna, né di quello che è in cielo né sulla terra, né in mare”. E poi: "Non usare il nome del Signore per scopi vani". Allora, pian piano, ho capito che questo - che a me sembrava un comandamento da poco, che non mi riguardasse assolutamente, che riguardava solo gli sconsiderati che bestemmiavano - era ed è forse il comandamento più importante di tutti, che ci riguarda tutti!
I credenti hanno intuito che la tentazione più grande dell’uomo che cerca di credere - quindi anche nostra - è quella di fabbricarsi Dio a propria immagine e somiglianza, di pensare che Dio sia come io me Lo immagino, secondo le mie parole, secondo il mio comodo. Ma c'è di peggio: i credenti hanno la tentazione di usare Dio per affermare se stessi. Dio è la Verità e io faccio dire a Dio quello che mi fa comodo, mi faccio forte della Sua infallibilità! E badate bene che questo non succede solo al Papa, che pensa di essere "infallibile"; ma io ho conosciuto anche dei papà e delle mamme o degli insegnanti, per non parlare dei preti, che pensano di possedere almeno un po' dell’infallibilità di Dio, di sapere sempre dov’è la verità!
Tutti voi avrete sentito, qualche volta, qualcuno dire: "Dio è così - Dio vuole questo - Dio vuole quello - Dio ha mandato quel castigo - Dio ha mandato questa punizione". E tutto questo, sapete?, non per onorare Dio, ma per imporre il loro modo di vedere, per dominare le coscienze del prossimo!
Una delle più grandi tentazioni dell’uomo è proprio quella di "nominare il Nome di Dio invano"! di pensare di sapere chi è Dio, com'è Dio, dove interviene Dio, cosa comanda Dio! E questo, non alla ricerca appassionata della verità e della giustizia, ma per usare Dio per i propri comodi! Quanta gente ha invocato Dio per benedire le armi: per puntarle contro i nemici! Quanta gente ha usato il nome di Dio: per imporre il proprio modo di vedere agli altri! Quanti eretici sono stati bruciati: in nome di Dio! - E Dio non ci entrava niente! Dio stava da un'altra parte...
Quando uno incontra Dio, incontra la luce, la gratuità, incontra la vita! Non incontra l'odio, la sopraffazione, la violenza sull'altro, la voglia di dominare. Incontra la passione per la vita, incontra l'amore, incontra la gratuità!
E noi, fratelli, ci raduniamo qui, ogni sabato e ogni domenica, proprio per cercare il volto di Dio, per cercare il Suo mistero! Nessuno di noi sa - tanto meno io - chi è Dio! Lo cerchiamo insieme: ogni tanto intravediamo qualche barlume... e Lo cerchiamo ancora! E pensiamo di scoprire Dio, di trovare le Sue tracce, dovunque ci sia un po' d’amore, un po' di giustizia! Dovunque l'uomo sorride! Forse (ma non lo raccontate in giro!..) c'è molto più di Dio in certe barzellette che scherzano su di Lui, che in tanti severi discorsi dei preti, dei vescovi e del Papa.
La finisco qui, quindi, perché io le barzellette non ve le so raccontare. E allora pensate quella che più vi piace: là c’è un segno di Dio! Più che nelle parole che vi sto dicendo...
1995
Questa festa è un'occasione per riflettere un po’ sul nostro ritrovarci insieme ogni settimana; e proprio su questo vorrei attirare stasera la vostra attenzione, chiedendo magari scusa a chi questo discorso l'ha già sentito più volte. Ma secondo me si tratta di una cosa di particolare importanza e forse è bene ripetere, qualche volta, alcuni concetti. La domanda è proprio questa (una domanda che molti di voi, penso, si saranno sentiti fare dai figli, dai nipoti, o che magari qualcuno di voi avrà trovato dentro se stesso): perché andare a Messa una volta alla settimana? Non è meglio andare in chiesa quando uno si sente spinto a farlo, quando ne ha bisogno? Perché andare - quasi come una regola, che rischia di diventare un'abitudine - una volta ogni settimana?
Vedete, c'è in questo - se ho capito - la più grande, la più profonda delle intuizioni religiose di cui noi siamo figli. È questo che vorrei aiutarvi a capire, se mi riesce. Vedete, in ogni parte del mondo si va in chiesa - e in fondo lo facciamo spesso anche noi - si va al tempio, quando se ne ha bisogno, per le motivazioni religiose che, fondamentalmente, sono quattro: ce ne sono altre, ma permettetemi di semplificare un po'.
Si va in chiesa quando l’uomo fa esperienza del suo limite, quando si sente debole, stretto dalla malattia o dalla necessità. Noi adesso le sentiamo meno, queste necessità, ma pensate ai nostri nonni: al mattino si alzavano, magari da qualche giorno non pioveva; bisognava andare a raccomandarsi a qualche santo. Oppure c'era una vacca o un maiale ammalato, bisognava andare a pregare S. Antonio; c'era un figliolo ammalato, bisognava raccomandarsi a S.Rita o a qualche altro santo. Che altro si poteva fare?! Non avevano altri mezzi. In tutte le parti del mondo voi trovate nei templi - specialmente là dove gli scavi hanno portato alla luce le cose antiche - tanti e tanti ex-voto: piccole raffigurazioni di cuori, di braccia, di gambe, di mani, immagini di bambini... Tutti segni di persone che sono andate al tempio per invocare la protezione della divinità o per esprimere il ringraziamento, per una grazia ottenuta. Ecco, il primo motivo per cui si va nel tempio (o meglio si andava, perché adesso le necessità degli uomini sono molto limitate ) è per chiedere una grazia.
L'altro grande motivo per cui si va al tempio è il bisogno di scrutare il futuro, di proteggere il futuro; specialmente un tempo. Si partiva per un viaggio, si partiva per la guerra: si tornerà? non si tornerà? Bisognava andare al tempio, fare dei voti, offrire dei sacrifici, accendere le candele, fare una promessa, per invocare la protezione di Dio sul futuro: un futuro, per l'uomo, spesso ignoto e minaccioso. E nei templi c’erano sacerdoti che cercavano di scrutare il futuro, nelle viscere degli animali o nel volo degli uccelli.
Un altro motivo per cui si andava, e si va, al tempio è per santificare, per invocare la benedizione su alcuni passaggi fondamentali della vita dell'uomo: nasce un bambino? bisogna invocare la benedizione di Dio, festeggiare la sua nascita. La nascita, il matrimonio, la morte: si va nel tempio per "sacralizzare" in qualche modo questi passaggi della vita dell'uomo.
E un altro motivo per cui si va nel tempio in ogni parte del mondo, è far memoria di quelli che son morti: il papà, la mamma, il nonno non ci sono più; abbiamo bisogno di ricordarli, di sentirli vivi in mezzo a noi.
Si va al tempio, dunque, quando c'è un motivo, quando c'è un bisogno, quando c'è una necessità. Se posso riassumervi brevemente: si va al tempio per invocare una grazia, per invocare la protezione sul futuro, si va al tempio per sacralizzare un momento importante della vita (la nascita; il matrimonio...); si va al tempio per far memoria dei morti.
E nel tempio ci sono i preti, ai quali - come dice la prima lettura - bisogna lasciare "la decima": cioè la decima parte del raccolto, oppure, come dice la S.Scrittura, bisogna lasciare "la coscia destra" quando si fa un sacrificio: cioè la parte migliore dell'animale offerto. Ci sono i preti, che si approfittano di questi bisogni degli uomini... Quindi in ogni angolo del mondo ci sono dei templi in cui la gente va quando ne sente il bisogno; c'è tutta una casta sacerdotale che di tutto questo vive.
Ecco l'intuizione dei nostri padri, di cui noi siamo figli: non si va al tempio quando se ne ha bisogno; si va al tempio una volta alla settimana. E in mezzo a noi, un Libro! Un Libro in cui c’è l’esperienza di fede dei nostri padri; un Libro in cui troviamo, in qualche modo, la lettera che Dio ci scrive. E si va in chiesa, prima di tutto, non per chiedere, ma per ascoltare! Si va in chiesa per riflettere sulla propria vita, per cercare le cose essenziali del nostro vivere, per cercare la luce di Dio! Si va al tempio per fare esperienza di gratuità! È vero, noi siamo uomini: non possiamo andare al tempio dimenticando i nostri bisogni: se c'è una mamma che ha il figlio malato, non può stare ad ascoltare quello che dice la S.Scrittura, nemmeno il Vangelo: ha bisogno di parlare del suo figlio malato! Ma questa non è la normalità: la mamma non deve andare al tempio solo quando ha un figlio malato; deve andare in chiesa ogni settimana, per cercare Dio. Per cercarLo non a partire dai propri bisogni, ma a partire da Lui: per ascoltare la Sua parola, per cercare la Sua luce!
Non dimenticate: il popolo di Israele si è ritrovato ogni 8 giorni, come noi, intorno ad un leggio: sul leggio, un Libro! E tutti, almeno tutti i maschi (a quel tempo le donne, purtroppo, contavano poco), dovevano saper leggere. Una piccola parentesi: quando vi domandate perché nel popolo di Israele ci sono stati tanti geni, tante persone straordinarie, cercate la risposta in un Libro. In un mondo in cui il 90%, forse il 99% non sapeva leggere, tutti gli ebrei maschi adulti sapevano leggere: e non è poco! Avevano un libro fra le mani: è un fatto di estrema importanza per la vita e la cultura di un popolo.
Essere credenti significa saper aprire un libro, leggerlo e cercare. Cercare Dio, cercare la fede di coloro che ci hanno preceduti, cercare il senso della storia: cercarlo non a partire dai miei bisogni, ma a partire da Dio che mi parla! Non vado in chiesa prima di tutto per parlare, io, a Dio di quel che mi serve, ma per ascoltare Dio, che ha qualche cosa da dirmi! E quando noi ci troviamo qui, la domenica, dovremmo sapere che veniamo qui innanzi tutto per ascoltare Lui, che ha qualche cosa da dirci, per cercare la Sua luce!
E Gesù ha approfondito questo senso del nostro trovarci insieme. Vedete, anche al tempo di Gesù c'era a Gerusalemme un grande tempio, in cui c'erano i sacrifici, le caste sacerdotali, tutti i pennacchi e i paramenti e le liturgie...Gesù ha detto: "Lasciate perdere!". Niente di tutto questo: una tavola, un po' di pane, un po' di vino, per "fare memoria" di Lui! Noi abbiamo rimesso i paramenti, una casa speciale, a volte una lingua speciale, i preti ogni tanto hanno bisogno di chiedere i vostri soldi, per fare memoria dei morti, per i battesimi, per i matrimoni, ecc. ecc... Tutto questo forse serve, ma non è quello che ha voluto Gesù! Lui ha detto: "Trovatevi una volta la settimana, spezzate il pane per fare memoria di me! La vita donata, il senso della mia parola, il senso della mia vita, che illumini la vostra vita!" Per portare nella nostra vita di ogni giorno, non solo una risposta ai nostri bisogni immediati, ma il senso di Gesù: i Suoi valori, la Sua passione per la vita, la Sua gratuità, il Suo amore!
Per questo noi ci ritroviamo qui, ogni domenica. Il Signore ci aiuti a capirlo sempre un pochino di più!
1995
Nel Vangelo di Luca i fatti più importanti, gli avvenimenti decisivi della vita del Signore sono sempre sottolineati da momenti di preghiera. E anche oggi - l'avrete notato - Gesù si trova "in un luogo appartato" a pregare, e con Lui ci sono i discepoli. Ci troviamo in un momento-chiave della vita del Signore: un momento che tutti i Vangeli sottolineano... ne abbiamo parlato tante volte. Oggi, se posso, tenterei non di fare un commento al Vangelo, ma di farvi rivivere questo momento con un po' di fantasia, sperando di riuscire a far nuova questa pagina centrale, decisiva del Vangelo. Allora, un tentativo di fantasia: seguitemi, andiamo là, al tempo del Signore.
Ecco, sono ormai diversi giorni che Gesù è diventato più silenzioso e taciturno: ha la faccia seria, sembra pensieroso. E una sera dice ai discepoli: "Domani vado là, sulla montagna, a pregare; venite anche voi domani sera: desidero parlare con voi". E la mattina dopo, se ne va e passa tutto il giorno a pregare. La sera arrivano anche i discepoli. Guardateli: sono stanchi - una giornata di lavoro! ‑ Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni: tutti insieme vengono per ritrovarsi un momento con Gesù. Ma sono un po' preoccupati, perché son giorni che vedono Gesù preso da tanti pensieri ed è andato a pregare tutto il giorno: si vede che c'è qualche cosa di grosso di cui vuol parlare. Arrivano, preparano qualche pietra per sedere, accendono il fuoco perché ormai si fa sera e fa fresco sulla montagna. Qualcuno prova a dire una battuta, per alleggerire un po' la tensione.
Gesù di ritorno dalla sua preghiera, si siede con loro, li guarda, uno per uno; e poi chiede: "Che cosa abbiamo combinato, finora? Ormai sono diversi mesi che state con me, diversi mesi che mi seguite: che cosa abbiamo fatto, fino adesso?" Gli apostoli si guardano un momento negli occhi e poi qualcuno comincia a parlare: "Gesù, tu hai detto tante cose straordinarie! Alle volte la gente sembrava seguirti, qualcuno applaudiva, anche. Ma la gente ti cerca soprattutto per vedere qualche segno straordinario e tu sei costretto a scappare; la gente vuole figure mitiche, fatti straordinari, la gente cerca i prodigi! Poi, man mano che i giorni son passati... qualcuno ha cominciato ad andarsene... Eccoci qua, siamo rimasti noi: quattro gatti! Noi ti abbiamo seguito, ma gli altri dove sono? Tu ci hai chiesto di chinarci sul dolore del mondo, di impegnarci a dare una mano per togliere la sofferenza del mondo: ma è vasta come un oceano! Metti una mano da una parte e si aprono cento altre falle, dall'altra parte. E poi, il male del mondo! Tu parli bene, ma guarda quanto egoismo, quanta violenza c'è ancora intorno a noi! E poi - hai visto? - i maestri della Legge, i sacerdoti, i capi del popolo ormai cominciano a cercarti: ormai vogliono ucciderti! E ce l'hanno anche con noi... Cosa abbiamo combinato?! Le tue parole - guardiamoci negli occhi - a chi interessano?"
Sono parole pesanti. Gesù si guarda intorno e poi domanda: "E allora, che cosa dobbiamo fare? Forse voi pensate che sia meglio che io me ne torni a casa, a Nazareth: in fondo là avevo il mio lavoro - fabbricare sedie, fabbricare tavoli - , l'amicizia della gente, un posto tranquillo, una vita serena! Non è bene che io torni là?". Pietro, quasi gridando: "No, Signore! Tu ci hai messo un fuoco nel cuore, hai acceso una luce dentro di noi! Non possiamo tornare come eravamo prima: non te ne puoi andare, non puoi tornare a Nazareth, non è giusto abbandonare! La vita per me non ha più senso se Tu te ne vai". "E allora, domanda Gesù, che fare, se la gente non ascolta, se non ci segue?"
Un discepolo, quasi timidamente, alza la mano e dice: "Perché non facciamo anche noi come quelli di Qumran? Loro se ne sono andati, hanno abbandonato tutto, hanno lasciato la gente. La gente non ci ascolta? facciamo la nostra piccola città. Siamo pochi, ma abbiamo le nostre famiglie, il nostro lavoro, le nostre mani sono abili: siamo capaci di guadagnarci la vita. Ce ne andiamo in qualche posto isolato e là facciamo la nostra piccola città: stiamo tra di noi, la nostra comunità, il nostro gruppo! Là vivremo veramente la tua parola!".
Gesù lo guarda e dice: "Andar via dalla gente, dalla vita di tutti i giorni...Sì, possiamo farlo. Ma poi, rimaniamo soli: e che senso avrebbe la nostra vita?! Staremmo a consolarci fra di noi, a dirci belle parole... e correremmo il rischio di sentirci buoni e giudicare gli altri. E la gente, il mondo, possiamo lasciarli al loro destino? No, io con voi a Qumran non ci vengo! O in mezzo alla gente, o con tutti, o la ventura della vita di ogni giorno, o il coraggio di portare qualche parola in mezzo alla gente, di mettere qualche seme di vita... oppure è meglio che me ne torni a Nazareth, a fare il falegname!"
Le parole pian piano si spengono, rimane un silenzio pesante e ad un certo punto Gesù, quasi di scatto, si alza in piedi, si guarda intorno e dice: "Ma per voi - per te, Pietro, per te, Andrea, per te, Giovanni - per voi, chi sono io?". Pietro si alza anche lui, fa un passo avanti: "Maestro, per me Tu sei tutto! Per me Tu hai parole straordinarie, hai parole che mi hanno riempito la vita! In Te ho trovato la luce, i valori essenziali dell'esistenza! Con Te, vengo dappertutto: non importa quello che pensa la gente, non importa se ci perseguitano. Se Tu vai, io vengo con Te, dovunque! Non combineremo gran che... ma con Te sento che metteremo i semi giusti, nella vita. Tu hai parole che non muoiono; Tu hai portato la luce e la vita dentro di me!".
Gesù si guarda intorno e domanda: "E voi, voi siete come Pietro?". E i discepoli, pian piano, uno per uno, dicono: "Sì, Maestro: noi crediamo in Te! Noi vogliamo seguirti sulla Tua strada”. È il momento decisivo della fede: ora Gesù può cominciare a parlare del futuro e di Gerusalemme e della sua morte... e sarà come un chicco di grano che muore per portare frutto. Noi siamo qui dopo duemila anni perché un gruppo di gente come noi, ha avuto il coraggio di dire sì a Gesù.
Avrete notato: siamo nel cuore stesso del Vangelo! Noi siamo figli di questa pagina, di questo momento della vita del Signore! Ma, proprio perché siamo nel cuore, attenti però a non prendere strade sbagliate: qui si parla di croce! Troppe volte nella vita della Chiesa si è identificato il bene con la sofferenza. Noi non cerchiamo il dolore, non esaltiamo la sofferenza: l'uomo non può amare il dolore! Noi tentiamo di amare la giustizia! Qui si dice che per seguire Gesù bisogna rinunziare a se stessi, addirittura perdere la propria vita! Per seguire Gesù (badate bene!), non per seguire un uomo. Troppe volte nella Chiesa si è scambiata la fedeltà a Cristo con la fedeltà ad una persona; troppe volte della gente ha creduto di imporre se stessa in nome di Cristo; troppe volte la ruffianeria è chiamata ubbidienza, nella nostra Chiesa! A Dio, possiamo ubbidire! Alla vita, possiamo ubbidire, ma non a chi ci vuole imporre se stesso, le proprie idee, in nome di Cristo.
Noi seguiamo Gesù e Lo seguiamo per un progetto grande: il progetto che Paolo tentava di riassumervi con quelle parole straordinarie: "Non c'è più né pagano né credente, né giudeo né greco, né uomo né donna: siamo tutti una cosa sola!". Un mondo di fratelli, che crede nella giustizia e nel bene, nell'amore e nella vita. Un sogno che non abbiamo ancora realizzato. Ancora troppa differenza tra pagani e credenti. Non so se è vero - spero con tutto il cuore che non sia vero - che l'altro ieri la presidente della Camera è andata a recitare un rosario per "riparare l'ingiustizia di una Moschea costruita a Roma"... E non è questo il dramma: lei può fare quello che vuole, è una donna libera. Ma le autorità della Chiesa, che tante volte alzano la voce contro la povera gente, perché non hanno gridato tutta la loro indignazione per qualcuno che crede di "riparare", perché della gente prega, perché della gente costruisce un luogo per radunarsi a pregare! A pregare Dio! Lo stesso nostro Dio! Siamo tutti uguali davanti a Dio, siamo tutti figli di Abramo, come dice Paolo!
È un sogno ancora non realizzato..."Non c'è più né uomo né donna": troppe differenze nella Chiesa in nome di Gesù: ancora le donne non hanno nessun potere! E quante schiavitù ci sono ancora nel mondo. È un sogno che ancora ci portiamo nel cuore... Ma essere credenti questo significa: continuare a conservare questo sogno nel cuore, a camminare, tentando di seguire Gesù, a portare i Suoi valori nel mondo! Nonostante il rifiuto della gente, nonostante la persecuzione, nonostante il fallimento, tentare di dire a Gesù: "Sì! Tu per me sei tutto! Io vengo con Te!"
È quello che diciamo anche noi, tentando di credere in Lui.
1995
Vi ricordate? domenica scorsa ascoltavamo la pagina centrale del Vangelo, in cui Pietro a nome di tutti professa la sua fede, la sua decisione di seguire Gesù, di camminare sulla Sua strada. E adesso nel Vangelo di Luca comincia a delinearsi questa strada, come un lungo cammino "verso Gerusalemme”. È la strada della fede, della vita del credente. E Luca ci mette davanti - alla maniera orientale, come avete sentito, con delle frasi incisive e paradossali - le condizioni per seguire Gesù. Tento, se mi riesce, di mostrarvi quali sono.
La prima condizione è la gratuità: chi vuole andare dietro Gesù, non può farlo per interesse, per trovare ricchezze o prestigio o potere: gli uccelli del cielo hanno i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo. Si va perché si crede in Lui, gratuitamente. È importante: c’è stato chi ha usato la religione per far soldi, per cercare il potere; succedeva un tempo, succede anche adesso. E queste cose non succedono soltanto agli altri: anche a noi qualche volta succede di andare in chiesa soltanto per chiedere qualche grazia, per cercare la protezione del Signore. Abbiamo sentito anche noi la propaganda di un santuario, in cui si fanno più miracoli che in un altro, o - quando eravamo ragazzi, ma qualcuno di voi lo fa forse ancora - abbiamo detto delle preghiere perché... assicuravano più "indulgenze" che altre preghiere. È essenziale, per l'uomo che cerca Dio, avere un cuore aperto alla gratuità: non si cerca Dio per il proprio interesse! E questo vale anche per la vita di tutti i giorni: in un mondo in cui - oggi, come ieri - rischiamo di giudicare e uomini e cose soltanto in base a quello che ci servono, è importante rimettere, nel cuore del nostro cammino di credenti, la gratuità!
La seconda condizione che Luca ci mette davanti, è la vita: chi sceglie Gesù deve buttarsi dietro le spalle tutto quello che sa di morte, tutto quello che sciupa e rovina la vita! "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti": in un mondo in cui c'è violenza, sopraffazione, ingiustizia, in cui c'è tanta gente che sciupa la vita, il cristiano deve avere il coraggio di scegliere la vita: tutto quello che la rende più bella, tutto ciò che dà gioia, che dà gusto e piacere all’esistenza! È importante questo, in un cammino - l'avete sentito - che va verso "Gerusalemme". C'è stato, nella lunga storia del Cristianesimo, qualcuno che ha esaltato la sofferenza, qualcuno che s'è messo un cilicio addosso, che s'è flagellato, credendo così di dar piacere a Dio... Andare dietro Gesù significa scegliere la vita, tutto quello che la rende dolce, tutto quello che è gioioso, tutto quello che dà piacere: a sé e agli altri. Il cristiano ama la vita in ogni aspetto, ne apprezza ogni briciola, ogni frammento; lasciando, con decisione, tutto quello che sciupa, che rovina la vita.
Ma per Luca c'è ancora una condizione: è forse la condizione più importante. Per seguire Gesù bisogna avere una grande passione nel cuore, bisogna crederci sul serio: "Chi mette mano all'aratro e poi si volta indietro, non è degno del regno di Dio". Occorre mettere in cima ai propri pensieri, alle proprie scelte, la giustizia, il bene, l’amore, il coraggio di servire gli altri, di fare il bene che si può ogni giorno e farlo con tutta la decisione, con tutto il coraggio che può avere soltanto chi ci crede sul serio, chi ha una grande passione dentro!
Una scelta radicale, una grande passione nel cuore... ma proprio perché è la condizione più importante, Luca ha messo, proprio all’inizio, un segnale di allarme. Ci sono dei messaggeri che vanno in un villaggio; gli abitanti di quel villaggio non li vogliono ricevere e i discepoli che cosa fanno? invocano il fuoco dall'alto! "Vuoi che invochiamo il fuoco di Dio?" Gesù "si voltò e li rimproverò": questa è stata la parola più trascurata del Vangelo! Tanti credenti hanno invocato il fuoco di Dio e, siccome Dio non manda il fuoco, hanno pensato di accenderlo loro... la storia è illuminata dai tanti roghi su cui si sono bruciati gli eretici! L’intolleranza, il giudizio severo, il mettere carichi sulle spalle del prossimo: questo è il rischio peggiore di chi vuole andare sulla strada del Signore!
Noi tentiamo di andare dietro di Lui, portandoci nel cuore il coraggio di scegliere, il coraggio di scegliere la vita, il coraggio della gratuità, il coraggio di crederci sul serio: un grande tesoro nel cuore. Ma se facciamo questo senza tenerezza, senza guardare negli occhi chi ci sta vicino, senza "compassione" - per usare la parola del Vangelo: senza "patire-con" -, senza un cuore che vibra con chi ci sta accanto, abbiamo poco da spartire con Lui! Si volterà e continuerà a rimproverarci!
Attenzione: i Cristiani di tutti i tempi hanno prestato poca attenzione a questo rimprovero del Signore; ascoltiamolo noi, però! Perché Gesù rimprovera raramente, ma quando si volta a rimproverare, è per cose essenziali: vuole che non sciupiamo tutto con le nostre intolleranze, con il nostro voler giudicare il prossimo, con il nostro mettere pesi sulle spalle degli altri.
Avere un grande tesoro nel cuore, vivere la gratuità, scegliere con tutta la passione del nostro cuore la vita, è fondamentale per seguire il Signore; a patto che tentiamo di nutrirci di una infinita tenerezza, di una costante capacità di condividere la strada con chi ci sta accanto ogni giorno.
Il Signore ci aiuti!
1995
Capita, penso, anche a voi qualche volta, come a me, di sentire qualcuno che in TV, alla radio, domanda: "Che cosa fa la Chiesa? Che cosa dice la Chiesa? Che cosa pensa la Chiesa?" E c'è sempre qualcuno pronto a rispondere, pensando di sapere che cosa fa la Chiesa, che cosa dice la Chiesa, che cosa pensa la Chiesa. Ma secondo voi chi ha il diritto di dire che cosa pensa, che cosa dice, che cosa fa la Chiesa?
È una domanda antica come il Cristianesimo, una domanda che si è posta subito dopo la morte di Gesù: chi aveva il diritto di essere l'interprete, l'erede, il successore di Gesù? La risposta per voi non è scontata, ma per i primi Cristiani era scontatissima: nel mondo ebraico ha diritto a succedere a Gesù, a raccogliere l'eredità di Gesù, la sua famiglia, i suoi parenti. Se leggete il Vangelo e gli Atti degli Apostoli trovate qualche traccia di questo primo momento: il primo capo dei Cristiani è certamente Giacomo, uno dei parenti di Gesù: appartiene al clan di Nazareth, appartiene ai parenti del Signore e sono loro gli eredi, gli interpreti, coloro che hanno il diritto di dire che cosa pensa la Chiesa, che cosa dice la Chiesa.
Ma, come potete facilmente immaginare, non tutti erano d'accordo: gli altri, soprattutto i Dodici, dicono: "Eh no! Lui ha chiamato noi, ha mandato noi: siamo noi coloro che hanno diritto di dire che cosa pensa, che cosa fa, che cosa dice la Chiesa". La prima comunità cristiana riconosce in Pietro il capo e negli altri Dodici gli eredi di Gesù. Ma, man mano che il Cristianesimo si diffonde, c'è qualcuno che comincia a dire: "Eh no! Perché solo loro?" Avete sentito oggi: Gesù mandò "altri 72", non solo i Dodici (nel Vangelo di Luca - lo avrete notato - si sottolineano spesso gli sbagli, le incomprensioni dei Dodici...); gli altri dicono: "Ci siamo anche noi; anche noi abbiamo il diritto di dire che cosa pensa, che cosa dice, che cosa fa la Chiesa. Anche noi facciamo parte della Chiesa, anche noi siamo la Chiesa!" Lo dicono gente come Paolo, come Luca, come Marco, che non hanno mai conosciuto Gesù, che non sono stati chiamati direttamente da Lui, che non fanno parte dei Dodici. Eppure, anche loro rivendicano il diritto di dire: "Anche noi siamo la Chiesa! Anche noi pensiamo - o tentiamo di pensare - come Gesù!"
E il problema non riguarda soltanto la gente di tanto tempo fa: riguarda anche noi. Mi capitava, qualche tempo fa, di parlare con un signore che diceva: "Io vorrei che mi restasse 1 mq, per sentirmi anch'io nella Chiesa, anche se, non sempre la penso come gli altri, o, qualche volta, come la pensano i Vescovi o il Papa". Ed io penso che quest'uomo abbia tutto il diritto ad avere il suo metro quadrato. Ed credo che la mia vocazione di prete, ormai da parecchio tempo, sia di difendere coloro che rivendicano un proprio metro quadrato: ogni credente ha diritto di trovarlo, perché tutti noi siamo la Chiesa, perché Gesù ha mandato tutti!
Tutti abbiamo diritto di tentare di capire cosa significa seguire Gesù, continuare la Sua opera, ciò che è essenziale per la vita cristiana... Ricordo che una volta mi colpì una frase che c'è nella Regola di San Benedetto; dice: "Quando in un convento bisogna decidere su cose banali, è inutile stare a radunare tutti. Decidano gli anziani, quelli che hanno più esperienza. Facciano in fretta: conviene decidere e andare avanti. Ma quando si tratta di cose essenziali, chiamate tutti! perché, a volte, ha ragione il più giovane, il più piccolo, quello che non ascoltate mai!". Ed è, vedete, la condizione essenziale di ogni comunità in cui c'è rispetto per tutti, in cui nessuno si arroga il diritto di dire: "Così è! questa è la verità e voi dovete solo ubbidire". In una comunità di uomini, di uomini liberi, in una comunità di seguaci di Gesù, tutti hanno il diritto - tutti! - di cercare le cose essenziali.
E quali sono le cose essenziali? In questa straordinaria pagina del Vangelo, Luca dà, alla sua maniera, con immagini incisive e paradossali, dieci suggerimenti - quasi i comandamenti! - Io li ho scritti, perché altrimenti vi annoio troppo; poi voi, a casa, rileggetevi - ve lo consiglio - questa pagina del Vangelo e cercate quali sono, secondo Luca, questi dieci punti che costituiscono l'essenziale per chi vuole andare dietro Gesù.
E poi c'è, a conclusione di tutto, la condizione che a Luca sta più a cuore, l'atteggiamento di fondo che deve animare chi tenta di continuare l'opera di Gesù: la gratuità!
Allora, questi sono i dieci suggerimenti del Vangelo Luca:
- si va "a due a due": non si può andare da soli, per sostenersi a vicenda, per non correre il rischio di farsi ognuno il proprio Vangelo; bisogna essere almeno in due, per cercare insieme la verità, e non è sempre facile...
- si va per annunziare Lui, non per annunziare noi stessi: si va testimoni del Suo Regno!
- si va "come agnelli in mezzo ai lupi": in un mondo dove c'è tanta violenza e intolleranza, occorrono mitezza e coraggio!
- si va sprovveduti, "senza borsa, senza bisaccia": non confidando nel potere, nella forza, ma soltanto nella forza di quello che abbiamo dentro, nella Parola del Signore che ci manda. Abbiamo dentro dei valori straordinari e questi tentiamo di testimoniare in mezzo al mondo.
- si va per una cosa urgente, essenziale, la frase "Non salutate nessuno" non ci chiede di essere maleducati... No: è un modo di dire orientale per sottolineare l'urgenza e l'importanza della missione: andiamo a fare un compito fondamentale. Quale?
- "Portate la pace". La pace - shalom in ebraico - indica la pienezza della vita, la libertà, la giustizia, la tenerezza, tutto ciò che fa bella e ricca la vita: andiamo per portare la pace!
Seguono due indicazioni, che sembrano di minore importanza, ma a cui, se ho capito qualcosa, conviene prestare ogni attenzione:
- "mangiate e bevete". "Fate attenzione - sembra dire Luca - a quelli che predicano i digiuni, a quelli che fanno grandi rinunce: vogliono impossessarsi della vostra anima!" Sono pericolosi coloro che disprezzano le cose semplici della vita, molto meglio quelli che, come Gesù, "mangiano e bevono".
- "Non andate di casa in casa": è essenziale radicarsi nelle situazioni, saper condividere, fino in fondo, la vita della gente. Il rimprovero che più spesso ho sentito fare ai tanti Vescovi che si sono succeduti in questa Diocesi, è questo: si preoccupano delle idee, delle regole, a volte del proprio potere, ma non gli importa niente della gente! Non so se è vero, ma è il rimprovero che ho sentito fare più volte nella lunga storia della mia vita. E non vale soltanto per i Vescovi, vale per tutti: Don Milani scrive: "I maestri sono come i preti e le puttane: vanno con tutti e non vogliono bene a nessuno!"
- bisogna "curare i malati", chinarsi sulla sofferenza dell'uomo!
- si tratta di essere capaci di "scuotere la polvere dai piedi": di non avere compromessi con tutto quello che c'è di ingiusto nel mondo!
E siamo arrivati a dieci. Ma c'è un'ultima condizione: è quella che a Luca sta più a cuore. Quando i discepoli tornano tutti contenti, dicendo: "Abbiamo sottomesso i demoni!", Gesù li guarda con un sorriso e dice: "Non vi rallegrate perché avete avuto successo! Cercate piuttosto che i vostri nomi siano scritti davanti a Dio!". Quello di cui dobbiamo preoccuparci, come credenti, non è se abbiamo successo, se riportiamo delle vittorie, ma se abbiamo cercato davanti a Dio, con tutta la limpidezza del nostro cuore, quello che è giusto e quello che è vero, nella gratuità!
Dieci, dunque, suggerimenti, per Luca e, come ultima condizione, la gratuità: ce l'ha ripetuto tante volte! Il Signore aiuti un pochino anche noi, a camminare per questa strada. Non è strada semplice: ma abbiamo tutti il diritto di camminarci, cercando quello che è giusto: a testa alta, con coraggio e fiducia!
Il Signore ci aiuti!
1995
Quando ero un ragazzo, la figura del "buon samaritano" mi appariva una figura straordinaria, mitica: questo dipende forse dal fatto che qui si parla di briganti, di un uomo lasciato mezzo morto lungo la strada. E quando io ero piccolo non c'era la TV, non si vedevano tutte le immagini di dolore che un ragazzo di oggi vede. Non sapevo nemmeno cosa fossero i briganti e non avevo mai visto un uomo mezzo morto lungo la strada. Forse dipende da questo o forse, più probabilmente, dipende dal fatto che uno dei vizi di chi, come me, ha il non facile compito di predicare, è quello di dire sempre grandi parole, di farla complicata e difficile, per mettere pesi sulle spalle della gente, per far sentire colpevole il prossimo. E anch'io, quando ero piccolo, mi sentivo colpevole di non essere come il buon samaritano...
Poi, ho vissuto - ormai a lungo -, di "samaritani" ne ho visti tanti! Posso dire che non sia quasi passato giorno, nella mia lunga vita di prete, in cui non abbia sentito delle persone raccontare di gesti di bontà, di attenzione verso gli altri, di servizio verso chi è ammalato, in difficoltà.
Ho sentito raccontare non solo di gesti di un momento - come succede qui nel Vangelo - per uno che si incontra per la strada e si porta in un albergo; ma di persone che per mesi, per anni, si sono dedicate con generosità, con pazienza, con attenzione, ad una persona malata. Ce ne sono tanti anche qui in mezzo a voi; e non soltanto un figlio nei confronti dei genitori, ma anche una nuora o un genero, nei confronti della suocera o del suocero, o dei nipoti nei confronti della zia. A volte sono estranei nei confronti di un vicino di casa o di gente incontrata per caso; che, senza dir niente a nessuno, senza far sapere, hanno dato molto del loro tempo, della loro vita, nel servizio degli altri. O, se la parola non vi piace, nell'attenzione, nel curare una persona malata, un anziano. (Oggi i medici son diventati bravi: ci fanno vivere a lungo - qualche volta anche troppo! - dovremmo riflettere un po' sulla fine della vita; forse è tempo per tutti noi di cominciare a farlo! Ma di questo, un'altra volta.)
C'è chi assiste una persona costretta su una carrozzella, o uno che ha perso la vista, o delle persone che perdono il senno (il che, forse, è la cosa peggiore) e le curano per mesi, per anni, con dedizione, con generosità, con delicatezza! Tanti gesti di amore quotidiano, non solo verso chi è malato, ma anche verso i bambini in difficoltà o verso i ragazzi che fanno fatica a crescere.
Vi sembra una cosa straordinaria? No! se li ascoltate raccontare questi gesti, ve ne parlano come se fosse una cosa ovvia, normale: c'è una persona malata, c'è una persona che soffre: come non dare una mano?! E questo lo fanno persone che hanno non pochi anni e debbono chiedere alla vita le ultime energie; lo fanno anche i più giovani, anche i nostri ragazzi! Mi colpiva una volta, qui sul sagrato della chiesa, una delle nostre catechiste della Cresima, una ragazza giovane e bella, che parlava con una delle ragazze del suo gruppo, facendo tutti quei gesti che usano i muti per parlare. Dopo averla guardata a lungo con ammirazione e stupore, quando ha finito di fare tutti quei gesti, l'ho presa in disparte chiedendole: "Ma come hai imparato? Ma chi t'ha insegnato?" E lei: "Mi avete affidato questa ragazza; se volevo parlarle, dovevo imparare". Aveva imparato! E me lo diceva come se fosse la cosa più naturale del mondo, la più normale: e di questa "normalità" è piena la vita, se vi guardate intorno...
Se prestate attenzione, se girate fra la gente, il "samaritano" è forse la figura più comune che incontrate nella vostra esperienza di credenti, ma, forse, è meglio dire di uomini (certo non la incontrate in TV, non l'incontrate nei riti ufficiali!): la incontrate nei gesti quotidiani, nelle persone che vi stanno accanto. E lo avete fatto anche molti, molti di voi: spesso anche da voi sento questi racconti, magari da qualcuno da cui non me lo sarei aspettato: eppure, l'ha fatto anche lui! Ringraziamone il Signore di vero cuore, perché questa è la ricchezza della vita: sono i tanti "samaritani" che riempiono la storia del mondo!
Vorrei aggiungervi soltanto qualche piccola considerazione, che forse serve a sollevare la coscienza di qualcuno di voi: a volte non è semplice sapere che cosa è bene fare per aiutare l'altro, a volte non riusciamo a capire come si può dare una mano; e qualche volta il buon cuore non basta! Vi porto qualche esempio, per capirci: ci sono, ormai da mesi, questi polacchi che giacciono sulla soglia della nostra chiesa, spesso ubriachi; e stanno qui perché qualcuno di voi dà il suo obolo. Ed è un incentivo all'ubriachezza, al vagabondaggio! Ma se qualcuno prova a dir qualcosa a chi lo fa, si sente rispondere: "Eh! poverini! mi aspettano!". "Ti aspettano..." ma per fare del bene, non per fare del male...
Per fare del bene occorre chiedersi: "Giova quello che faccio, a questa persona, oppure no? O forse gli faccio del male? Lo spingo in basso, invece di aiutarlo ad essere più uomo, a vivere con più dignità?" Perché questo è importante; e qualche volta non è facile capire!
Ma un consiglio - piccolo - ve lo posso dare: uno scrittore inglese diceva che qualche volta un po' di sano egoismo è meglio dell'altruismo! Ho visto tanta gente, nella mia vita, tribolare per colpa di quelli che volevano farle del bene! Qualche volta, anche i genitori soffocano i figli per "troppo amore"... Cercare di capire! E quando non si riesce a capire, non resta che, con pazienza, continuare a cercare.
Due cose vorrei sottolineare, a quelli di voi che possono pensare: la sofferenza fisica oggi noi sappiamo, in qualche modo, come gestirla; ma c'è una sofferenza mentale, le tante forme depressive, quelle che - con una parola che non significa niente - si chiamano gli "esaurimenti nervosi", c'è tanta gente (e ci sono anche dei ragazzi!) che vivono in difficoltà, che hanno grossi problemi psichici. E qualcuno dice: "Basta un po' d'affetto, un po' di calore umano, qualche buona parola...", Non bastano! Sono vere e proprie malattie, a volte malattie gravi! E dobbiamo aiutare quelli che studiano, i medici, gli psichiatri, a scoprire cause e rimedi; non serve fare sventatamente un po' di bene: occorrono centri specializzati, studiosi che si dedichino alla ricerca!
L'altra cosa che volevo dirvi, magari per sollevare qualcuno di voi: guardate in TV questa tragedia della Bosnia: cosa si può fare, là? Cosa si può fare, nessuno lo sa; siamo in tanti, in giro per il mondo, a guardare con occhi sgomenti e non sappiamo cosa fare! Occorre cominciare a pensare. Lasciate al Papa, ai vescovi, ai preti, ai predicatori - a quei terribili predicatori dei nostri giorni che sono oggi i giornalisti! - le tante parole, che servono solo a dare sensi di colpa. Voi domandatevi, con cuore semplice e sincero: "Ma se andassi io, se dovessi mandare un mio figlio, che cosa lo manderei a fare? a sparare? a bombardare? a farsi ammazzare? Cosa si può fare, là?"
E non fatevi carico di tutto quello che c'è nel mondo: non è possibile! Noi non possiamo prenderci il peso di tutto, altrimenti i più buoni tra di voi, quelli con il cuore più sensibile, vanno a dormire con dei pesi sulla coscienza, senza poter far nulla. Parlatene con semplicità; non guardate troppo la TV. Perché altrimenti il rischio è che ci abituiamo al dolore, alla sofferenza; e poi non ci accorgiamo di chi ci sta vicino!
Soprattutto ai bambini non fate vedere troppe immagini di gente che soffre, immagini di dolore e di morte! Prendeteli per mano e portateli a trovare un compagno malato: che sappiano perdere un po' di tempo con lui, che siano capaci di fargli una carezza! Altrimenti, andrà a dormire e sentirà il cuore stretto, oppresso, per aver visto questi bambini che soffrono; e poi, se vedrà accanto a sé qualcuno che tribola, non saprà che cosa fare! perché avrà il cuore appesantito, quasi abituato a tutto il male che c'è nel mondo.
Noi non possiamo sentirci responsabili di tutto: e spesso non sappiamo cosa fare! Ma non è che non lo sapete voi: non lo so io, non lo sa nessuno: non lo sa l'ONU, non lo sa la Società internazionale. Si tratta di - pian piano - capire: qualche cosa l'abbiamo risolta; per molte cose non sappiamo ancora cosa fare! Pian piano speriamo che i nostri nipoti, i nipoti dei nostri nipoti, un po' di più capiranno come si può alleviare il dolore del mondo.
Il Signore ci aiuti !
1995
Domenica scorsa leggevamo la parabola del buon Samaritano: colui che si ferma a curare il malato (si china su di lui, lo unge con l'olio, lo carica sul suo asino, lo porta all'albergo) riceve l'elogio incondizionato di Gesù, tanto che lo scriba, che ha fatto la domanda, si sente rispondere: "Va' e anche tu fa' lo stesso". E Marta sembra aver ascoltato questo comando di Gesù - "Va' e anche tu fa' lo stesso" - e si dà da fare "impegnata in molti servizi". Ma questa volta è lei ad essere rimproverata ed è invece lodata la sorella, che non fa niente, che "s'è seduta ai piedi di Gesù". Maria riceve l'elogio e Marta un rimprovero - dolce, se volete -:"Marta Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa necessaria". Che succede qua? Domenica scorsa ci era facile capire; oggi forse lo è molto meno.
Perché Marta viene rimproverata? cos'è "essenziale"? qual è questa cosa "necessaria"? Se non è facile capire per voi, non è facile nemmeno per me. Io ho pensato di raccontarvi cinque piccoli esempi: se volete, non proprio storie, ma riflessioni. Badate, però: queste mie riflessioni non vogliono mettere pesi sul cuore di nessuno, non vogliono giudicare nessuno! È solo un invito a riflettere, a cercare di capire che cosa succede oggi nel Vangelo: perché Gesù privilegia Maria invece che Marta.
Il primo esempio che voglio dirvi è un'esperienza che io ho fatto più volte nella mia vita - ormai comincio ad avere parecchi anni dietro le spalle -: tante volte mi è capitato di conoscere delle coppie di sposi, anzi più d'una l'ho "sposata" io. Nel fidanzamento, nei primi anni di matrimonio c'è grande intesa tra i due, hanno molto tempo l'uno per l'altro; poi capita che nasce un bambino, magari due. Le mamme soprattutto sono "prese da molti servizi"; indispensabili! come si fa? Bambini piccoli: non ci si può fare staccare da loro: ci si deve dar da fare (voi, specialmente le mamme, lo sapete molto meglio di me): l'allattare, i pannolini, il lavare, il trafficare: tante cose. Passa 1 anno, 2 anni... i due sposi si accorgono di essere abbastanza lontani! È successo che, presi dalla nascita dei bambini, dai tanti servizi da fare per loro, hanno trascurato di guardarsi negli occhi, di sedersi l'uno accanto all'altra, di continuare a parlare, come facevano quando erano fidanzati! E si ritrovano un po' lontani: si trovano, non dico proprio come degli estranei, ma tanta parte della loro intimità, della loro unione, non c'è più! Perché? Se glielo domandate (io qualche volta l'ho fatto), vi dicono: "Eh! Avevamo tante cose da fare, avevamo da correre qua e là, di tante cose avevano bisogno questi bambini: dipendevano totalmente da noi! Tutta la nostra attenzione era per loro!" Specialmente le mamme dicono così. Chi sa, forse quei bambini sarebbero cresciuti più sereni se le mamme si fossero occupate meno di loro... Forse la cosa di cui ha più bisogno un bambino che cresce, è che papà e mamma continuino a parlarsi, a perdere tempo tra di loro!
Seconda storiella: mi capita sempre più di incontrare degli uomini - ma spesso anche delle donne - presi dai tanti affanni del lavoro di oggi. Ed è una fortuna incontrare queste persone, perché vedete che lavorano con passione, con impegno, con dedizione! Ed oggi spesso per lavorare ci vuole molta "grinta", perché c'è grande competizione nel lavoro: richiede, specialmente alle ragazze, molta aggressività. Pensate ad un commerciante, che deve sempre pensare in che modo possa migliorare il suo negozio; pensate anche a chi lavora in un ufficio, che deve gestire anche la concorrenza con altri uffici. Insomma, si lavora dalla mattina alla sera. E questo è uno dei motori del nostro benessere: queste persone bisognerebbe ringraziarle, far loro un monumento! (C'è tanta gente che lavora poco, in questo paese). Però anche loro, a volte, presi dal lavoro, dalla competizione, rischiano di trascurare gli aspetti più profondi della vita, di dimenticarsi della moglie, dei figli! E quando a qualcuno di loro parlate dei figli, vi dicono: "Ma che posso fare di più? Non gli faccio mancare niente: vogliono la bicicletta? gli compro la bicicletta; vogliono il motorino? gli compro il motorino: hanno tutto!" Hanno tutto: ma forse non hanno te! non hai perso un po' di tempo con loro, non ti sei seduto a giocare con loro, ad ascoltare le loro storie. "Ma avevo tanto da fare!" Un rimprovero dolce: "Marta, Marta, tu ti agiti per tante cose; ma una sola è la cosa necessaria". E badate però: se non ci fossero persone che lavorano così, saremmo tutti in miseria. Ecco perché non è facile capire! Ve l'ho detto al principio, ve lo ripeto: questo non serve per rimproverare qualcuno, ma per tentare di capire.
Un'altra cosa: guardiamo un momento il mondo che ci circonda: la natura. Noi l'abbiamo lavorata, rivoltata, trafficata, sfruttata; produciamo tutto quello che ci serve, in grande quantità... e poi, qualche volta, ci accorgiamo di averla anche un po' sciupata! Non ci manca forse il gusto di contemplare, di guardare, di stupirci di fronte alle cose? Senza pretendere sempre di manipolare, trasformare, trarre tutto quello che possono darci. Certamente la natura serve per sostenere la nostra vita, ma è importante saper contemplare, sapere stupirsi, per lasciarla, almeno un po', così com'è: perché i nostri nipoti possano godere ancora della natura!
Un'altra cosa (adesso vado un po' di fretta, perché se no vi annoio, col caldo che avete!): l'informazione. Quando noi eravamo ragazzi, non sapevamo quasi niente: non sapevamo cosa succedeva dall'altra parte del mondo. Oggi ci vengono riversate addosso, ogni giorno, valanghe di informazioni: dalla radio, dalla TV, dai giornali. dai libri... E giustamente diceva un signore ieri sera: "L'informazione è uno dei motori del mondo, una di quelle cose che mandano avanti la vita". Ma se uno si lascia prendere da tutti i giornali, da tutti i servizi televisivi; se ogni volta che si mangia, in casa, si accende la TV..."Per vedere il telegiornale: dobbiamo sapere!" Sappiamo tante cose, ma forse non siamo più capaci di ascoltare chi ci sta accanto! Tra le tante notizie che ci riempiono la testa e ci turbano, rischiamo di non essere più attenti alle piccolissime storie di un bambino, che ha avuto qualche problema a scuola...
E, per fare un altro esempio, anche il divertimento e le vacanze, sono a volte vissuti, specialmente dai giovani, come un consumo frenetico, cercando di sfruttare ogni momento e si rischia poi di essere incapaci di rapporti profondi, di godere a pieno e gli uomini e le cose.
E questo vale - se ci pensate - anche per la preghiera. Alcuni di voi sono stati abituati a moltiplicare le orazioni, a moltiplicare le Messe. "Perché servono!" - Mi capita di parlare con qualche persona che magari ha una certa età -: "Dico un rosario per quello, poi un rosario per un altro, poi un rosario per un altro ancora. Poi faccio la Comunione per quella persona, poi la faccio per quell'altra". E poi forse ti dimentichi, a forza di dir preghiere, che la cosa più importante è mettersi in ascolto di Dio: sedersi, come Maria, ai piedi di Gesù, per cercare quello che è "essenziale"!
Vedete, noi non siamo qui riuniti, intorno alla tavola, per pregare per gli altri, per trovare la forza per fare i "tanti servizi" che la vita ci richiede, ma, fondamentalmente, per ascoltare Gesù e per cercare in Lui le cose essenziali della vita, per ritrovare la "sola cosa di cui c'è bisogno": la gratuità! Non basta "fare per", occorre "essere con", saper condividere la vita!
Non è semplice, come avete capito; ma, forse, in queste piccole storie che vi ho raccontato - e che vi prego di non prendere troppo sul serio; che, ripeto, non vogliono essere un rimprovero per nessuno - c'è anche per voi, come per me, un aiuto a capire questa pagina del Vangelo. Che non è una pagina semplice, ma, come avete sentito da Gesù stesso, è la pagina "essenziale".
Una sola è la cosa di cui c'è bisogno: di che cosa c'è veramente bisogno? Qual è "l'essenziale" della vita?
Il Signore ci aiuti a capirlo almeno un po'!
"Quando sei invitato a nozze... va' a metterti all'ultimo 3 settembre 1995
posto... Perché chi si umilia sarà innalzato.
Quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi..."
Chissà se Gesù avrà qualche volta immaginato tutto l'imbarazzo che un povero prete di periferia, come sono io, avrebbe provato, quasi 2000 anni dopo, a commentare queste parole! Chissà se Gesù ha immaginato come non pochi dei suoi discepoli, nel corso di questi 2000 anni, abbiano usato le sue parole per costruire un sistema di raffinata ipocrisia!
Avete mai conosciuto quella gente che si mette sempre all'ultimo posto, sperando di essere invitata più avanti? Sono i peggio: non se po' incontra' persona peggiore, nel cammino della vita! E qui sembra che Gesù dia loro ragione...
Avete notato come spesso nella vita della Chiesa si sentono dire parole che esaltano la libertà, la democrazia, da chi non è disposto a cedere neppure una briciola del proprio potere! Troppe volte si sentono parole sull'importanza fondamentale del dialogo, del rispetto delle opinioni altrui, da gente che non ascolta nessuno, che non ha rispetto per l'opinione di nessuno, che crede di possedere tutta la verità: ipocrisia! quando alle parole non corrispondono i fatti!
Ma perché è accaduto questo? dov'è la radice dell'ipocrisia? Quando il Vangelo diventa una formuletta, da applicare alla lettera, quando l'interpretazione delle parole di Gesù è lasciata a frati e preti, portati a negare alcune delle strutture fondamentali della vita dell'uomo, non si può che arrivare all'ipocrisia, a ripeter parole, che non hanno corrispondenza alcuna con la vita concreta.
Nelle parole che oggi abbiamo ascoltato, si toccano due di queste strutture fondamentali: l'uomo è portato alla competizione, a cercare il primo posto, ad emergere, ad andare avanti. È una delle molle essenziali della vita: se non ci fosse questo sforzo di fare sempre meglio, di arrivare primi (non solo nello sport, ma anche nella vita), che ne sarebbe del mondo?
La seconda parte del Vangelo mette l'accento sulla ricerca dell'utile, del proprio interesse: quando dai un banchetto, inviti quello che speri ti ricambi l'invito... E questo vale non soltanto per il banchetto: vale per quasi tutta la vita, perché una delle strutture fondamentali dell'esistenza è la ricerca di quello che è utile, di ciò che può servire; e questo vale non solo per l'uomo, ma anche per gli animali e addirittura per le piante. E questo vale nella vita pubblica, nella vita economica, nella vita sociale, nella vita di ogni giorno.
Ora, vedete, negare queste due strutture fondamentali della vita porta all'ipocrisia; come negare - e molti lo hanno fatto nella storia della Chiesa - altre strutture fondamentali: il lavoro, il sesso, il denaro, la libertà, non può che portare, inevitabilmente, a costruire un sistema pieno di ipocrisia, a ripetere parole, magari belle e grandi, a cui non corrisponde mai la vita.
Direte: "Ma allora, che rimane di questo Vangelo di Gesù?" Ecco, il Vangelo - se ho capito qualcosa - non può mai essere una "formuletta" per risolvere i nostri problemi di ogni giorno. Non può essere usato per negare alcune delle strutture di fondo dell'esistenza: rischiamo - rileggetevi a casa il Vangelo di oggi! - di dire parole a cui poi non corrisponde niente della vita.
Ma fate attenzione: è vero che una delle strutture fondamentali della vita dell'uomo è il voler emergere, la competizione; ma oggi, se ci guardiamo intorno, il nostro mondo diventa sempre più aggressivo e competitivo: a volte, per emergere c'è chi non esita a calpestare gli altri, c'è chi non esita anche ad uccidere! Allora, nel Vangelo di oggi c'è qualcosa che ci invita tutti a riflettere: fino a che punto la competizione, la corsa ad arrivare primi, fino a che punto la lotta; fino a che punto una società competitiva?
Oppure la ricerca dell'utile: è fondamentale! Altrimenti c'è soltanto la tirannia, la dittatura, l'oppressione. Ma se la ricerca dell'utile, dell'interesse, del profitto porta a trascurare l'ultimo, il piccolo, l'handicappato, colui che non ce la fa, cosa succede della società?!
Voi direte: "E va bene, Lei pone domande; ma le risposte?" Se sapessi le risposte, potreste farmi un monumento! Risparmiatevi: non mi farete mai un monumento, perché non ho risposte. E forse non ne ha nessuno di voi. E forse non ne ha nessuno al mondo; e chi pretende di averle, chi alza la voce, chi dice parole grandi, è soltanto un ipocrita: vi inganna, vi prende in giro, dice parole vuote, o peggio!
Impariamo a parlare sottovoce e a cercare la risposta nel concreto dei nostri giorni! Cosa significa, in un posto di lavoro, volere emergere, ma senza condizionare tutto a questa lotta per arrivare al primo posto? Cosa significa correre per arrivare primi, ma tenendo conto di chi mi sta accanto? La risposta, lo sapete, nelle circostanze concrete della vita, a volte è di estrema delicatezza.
Cosa significa - nella vita sociale, economica, nella vita pubblica, nella vita politica - cercare l'utile, cercare l'interesse, senza trascurare il piccolo, l'ultimo, la giustizia per tutti?
Avessimo risposte a queste domande, avremmo veramente "svoltato". Bisogna cercarle, però, nel concreto della vita, senza negare della vita strutture fondamentali, senza dire parole a cui non possa, poi, corrispondere il concreto della nostra esperienza.
Qualche volta ci capiterà di vedere qualche sprazzo di luce e non dimenticheremo che il Vangelo più che parlare di noi e della nostra vita, parla di Dio, di come Lui vede il mondo. E nello sguardo di Dio sul mondo c'è sempre più verità che nelle nostre povere parole!
Vedete, quando ci ritroviamo qui insieme intorno alla tavola per incontrare Dio, Lui non guarda chi si mette al primo posto, chi è più bello o più bravo, chi è arrivato prima nella corsa della vita. Lui ci ama tutti: e se ha una preferenza è per il più piccolo, l'ultimo, colui che non ce la fa ad arrivare primo. Per Lui è importante anche chi di noi non riesce neanche ad essere buono, chi si ritrova qui col cuore pieno di peccato!
Il Signore ci aiuti a capire, almeno un po'!
1995
Parole particolarmente sconcertanti (penso siate tutti d'accordo), quelle di stasera; parole incomprensibili. Cosa vuole il Signore da noi? Gli antichi ci consigliavano di invocare lo Spirito, per cercare di capire, pian piano, la volontà di Dio, nella nostra vita di ogni giorno. Stasera qui, insieme, cerchiamo, se ci riesce, di intuire qualche cosa di queste parole che abbiamo ascoltato.
Più che una spiegazione forse può aiutarci, come altre volte, un po' di fantasia: cerchiamo di cogliere sulla bocca di Gesù, in una situazione concreta della sua vita, le parole che abbiamo ascoltato. È chiaro per tutti che si tratta di fantasia; ma forse, qualche volta, è più utile di tanti discorsi, per intuire - se non proprio per capire - cosa c'è dietro ad una parola di Gesù.
Facciamo allora un volo nello spazio e soprattutto nel tempo: quasi 2000 anni fa! Andiamo a trovarci anche noi una sera, quando Gesù si riunisce con i suoi discepoli. Ormai lo hanno fatto tante volte: la sera, quando la gente se n'è andata, si ritrovano tra di loro, alla luce della luna, intorno al fuoco, per parlare a lungo. Per parlare di Dio, per parlare della vita, del mondo; per raccontarsi le loro storie, i fatti quotidiani; per farsi confidenze, ormai come vecchi amici; qualche volta soltanto per ridere e scherzare insieme...
Tante volte si son ritrovati insieme con Gesù: è lì che è cresciuta la loro amicizia; è lì che hanno fatto, sempre di più, esperienza del cuore di Gesù, di quello che si portava dentro! I discepoli ricorderanno per tutta la vita quei momenti, come i momenti più preziosi del loro stare insieme con Gesù: come amici, riuniti intorno al fuoco!
Ma, avvicinatevi in silenzio, perché stasera l'atmosfera è profondamente diversa: devono radunarsi di nascosto, in una cantina: c'è soltanto un lume fumigante, che rischiara un po'; quasi fan fatica a vedersi l'un l'altro.
È già da parecchio tempo che Gesù si è messo in urto con i capi del popolo e ormai lo scontro è aperto: i soldati lo cercano, hanno mandato anche delle spie nel loro villaggio. I discepoli cominciano a dubitare addirittura dei parenti; si sentono perseguitati! Non solo, ma Lui ha detto che vuole andare a Gerusalemme, che vuole parlare anche là! Ne hanno parlato fra di loro, a gruppetti di due o di tre, hanno espresso l'un l'altro le proprie paure, le proprie ansie; ed hanno deciso che stasera ne parleranno a Gesù, Lo affronteranno. Basta! è ora di finirla; troppo pericolo, ormai!
In silenzio, dunque, un po' preoccupati... guardate: arriva Gesù! Ravvolto nell'ampio mantello, per non farsi vedere, come un congiurato! Si siede, guarda intorno i discepoli con la faccia tesa, preoccupata; e aspetta che parlino. Ed è Pietro, come al solito, il primo ad alzare la voce: quasi gridando, dice a Gesù: "Basta! Basta, non ne possiamo più! Ti rendi conto che qui stai mettendo in pericolo anche la nostra vita? Adesso dicono che vuoi andare anche a Gerusalemme... A far che? A scontrarti contro il potere di questo mondo? Non vedi? hanno le armi, sono potenti. Dove vuoi andare?! Là, rischi soltanto la morte e metti in pericolo anche noi".
Gesù lo guarda, aspetta che finisca; e poi, fissandolo negli occhi: "Pietro, cosa mi chiedi? di essere un vigliacco? di smettere? Le parole che vi ho detto... vuoi che non ci creda più? Abbiamo parlato di Dio, della giustizia, della libertà... e adesso, perché c'è pericolo, mi chiedi di smettere, di andarmene! Perché hai paura; perché avete paura, per voi stessi e per me.
No! Io voglio essere fedele sino in fondo! Io DEVO andare a Gerusalemme! È la mia missione, il compito della mia vita: devo gridare al mondo quello che mi porto dentro: le parole della giustizia, le parole della vita! Costi quel che costi. Capisco che metto a rischio anche voi; ma non posso far altro. È la giustizia, è Dio che mi chiama!"
Un altro dei discepoli, con voce più sommessa, perché Gesù ha quasi gridato, dice: "Ma non pensi a tua madre, ai tuoi parenti...". Non sa più quel che dice, balbetta. Gesù rimane un momento in silenzio, lo sguardo fisso nel vuoto, quasi perduto nei ricordi: "Sapessi quante volte ci ho pensato, a mia madre! Perché, vedi, lei era rimasta vedova, quando io me ne sono andato via dal villaggio. E mi chiedeva di restare: ero l'unico appoggio per la sua vecchiaia! Quante volte me l'ha detto: "Gesù, dove vai? Che vai in giro per il mondo! Rimani qui! Qui, siamo gente semplice, ma buona: rimani con noi. Io ho bisogno di te."
Anche lei all'inizio non capiva. E - anche voi lo sapete - è venuta a cercarmi anche qui, mia mamma! È venuta a cercarmi perché aveva paura per me, perché non voleva restar sola... E poi, pian piano, faticosamente, anche lei ha capito! Ha capito che doveva lasciarmi libero, che dovevo andare per la mia strada, che dovevo parlare di quello che avevo dentro: come un fuoco, che aveva bisogno di divampare, di ardere nel mondo! Ha capito. E - avete visto - adesso non viene più! Non mi raccomanda più di tornare a Nazareth! Lei sa! Sa che devo andare per la mia strada, sa che devo essere me stesso, sa che non posso essere un vigliacco!"
"E perché - riprende Gesù, guardando quel discepolo negli occhi - perché solo ora mi parli di mia madre? Perché non me ne hai parlato giorni fa, un mese fa? Perché non ti sei accorto che io, quando son venuto qui, tutto il tempo che ho passato con te, non l'ho passato con lei?! Adesso, perché hai paura, mi ricordi mia madre! No! Se ti facevo comodo prima, devo farti comodo anche adesso: adesso che sei in gioco anche tu; adesso che è in gioco anche la tua vita e non soltanto la mia!"
Un altro discepolo ha ancora il coraggio di alzare la mano: "Gesù, ma qui veramente è in gioco la tua vita! Se vai a Gerusalemme, lo sai che ti aspetta: ti mettono in croce! È finita per te! E se è finita, che senso ha tutto quello che hai detto? Finirai sotto terra, come tutti!" Gesù lo guarda e quasi gridando dice: "No, non sarà la fine! Nella lunga storia degli uomini, molti hanno rischiato e perso la vita: i profeti che hanno alzato la voce contro i potenti; i giusti, che hanno difeso e nascosto un uomo innocente che fuggiva impaurito; i soldati che hanno difeso la propria gente; i magistrati che hanno cercato la giustizia; chiunque ha difeso i diritti dei deboli! E noi li ricordiamo come eroi: è tutta questa gente che ha mandato avanti il mondo, la loro vita è stata preziosa! Certo sarebbe bello se nel mondo tutti credessero nella giustizia e nel bene, ma non è così...
Cosa mi chiedete: di essere un vigliacco? di tornare indietro? Se tra tanti anni si parlerà ancora di me, sarà perché avrò avuto il coraggio di essere fedele sino in fondo: non soltanto di dire parole, ma di crederci sino in fondo! Ed anche voi! Vi ricorderanno perché siete andati dietro ad uno che ci ha creduto sul serio, ad uno che è stato fedele sino in fondo: non ad un chiacchierone, ad uno che sapeva dire soltanto belle parole. La vita è degna di essere vissuta solo se uno ha nel cuore qualcosa per cui valga la pena di morire. E a volte gli sembrerà di dover “odiare”, il padre, la madre, i figli, gli amici... per restare fedele.
Io ho deciso: io vado a Gerusalemme. Voi pensateci. Se volete, venite con me!"
Gesù nella foga del discorso si è alzato in piedi: si è reso conto di aver gridato. I suoi discepoli hanno l'aria spaventata, impaurita. E allora, dopo un momento di pausa, riprende a parlare, quasi sottovoce: "Non abbiate paura, io so che avete parlato perché mi volete bene, perché volete difendere la mia vita; ma, vedete, ora ci troviamo in un momento drammatico e voi mi chiedete di rinunziare a me stesso! Ma altre volte vi sarà capitato, nella vita di ogni giorno, che proprio pensando di voler bene - a vostra moglie, ai vostri figli - avete tentato di farli come voi, di far loro seguire le vostre idee, avete cercato di impedir loro di essere se stessi e di essere liberi sino in fondo!
Vedete, non so se posso aiutarvi a capire - continua Gesù - ma tutti noi abbiamo l'istinto di difendere la nostra vita, il nostro spazio vitale, le nostre idee, le persone a cui vogliamo bene. E qualche volta non ci accorgiamo che, con questa voglia di difendere tutto, difendiamo soltanto le nostre paure, difendiamo soltanto la nostra voglia di possedere uomini e cose!
Vedete, l'istinto di conservazione, è uno degli istinti più profondi, una delle molle fondamentali della vita! La materia, la natura, la vita si basano sull'istinto di conservazione! Guardate Dio! Dio è al polo opposto: Lui è dono totale, non vuole possedere niente: Lui è gratuità, è amore! Chissà se un po' dell'amore di Dio può attraversare la vostra vita! Sì, a volte costa! Ma lì è la pienezza della vita: la pienezza della vita non è quando ci difendiamo, quando siamo impauriti, quando cerchiamo di possedere uomini e cose! La pienezza della vita è quando viviamo la libertà, la gratuità, la pienezza dell'amore!
Così è Dio! Chissà che un po' della Sua vita possa attraversare anche la vostra vita".
...ed anche la nostra vita! Il Signore ci aiuti.
1995
Ho ascoltato ed anche fatto molte prediche nella mia vita, ormai piuttosto lunga; ho parlato tante volte del Vangelo con la gente, e sempre, quando ci si trova di fronte a questa pagina, si sprecano gli aggettivi: "sono parole bellissime, straordinarie, stupende". Frasi di questo genere le ho sentite tante volte e le ho dette anch'io... il fatto è che noi siamo abituati alle "liturgie", a ripetere sempre le stesse cose, senza domandarci mai: "Ma che sto dicendo? Ma ci credo veramente a quello che dico?" Io ho sentito dire che queste pagine sono stupende, straordinarie, da persone che hanno una mentalità lontana mille miglia...
Soltanto qualche volta, quando si legge il Vangelo con qualcuno che vi si accosta per la prima volta, si sentono esprimere grosse perplessità...
E se avesse ragione lui... se questa fosse veramente la pagina più sconcertante, più paradossale, più assurda del Vangelo? Provate a pensarci seriamente, stasera, senza ricordare le tante belle parole che avete ascoltato su questa pagina. Perché, vedete, questa pagina per noi, per la nostra mentalità, per il nostro modo di concepire e vivere la giustizia, è assurda, sconcertante, incomprensibile.
La nostra "giustizia" non è forse basata sul fatto che ad una colpa, ad un delitto, deve corrispondere una pena? Tutti i codici, di ogni popolo del mondo, sono basati su questo principio: chi sbaglia, deve essere condannato e deve pagare. E quando si parla con persone serie, spesso c'è chi fa notare che una delle cose più sconcertanti del nostro paese è l'impunità, di fatto o di diritto, che a volte talune categorie di persone si trovano a vivere: i deputati, i senatori; ma anche gli zingari o i drogati; sino a sentire episodi assurdi, di gente che va in giro dicendo: "Io ho l'AIDS: non mi potete far niente!" È l'assurdo! È la fine della giustizia, è causa di corruzione profonda, anche solo l'idea che il colpevole possa godere dell'impunità: perché la nostra giustizia si basa su questo concetto - semplice, elementare - su cui tutti siamo d'accordo, su cui generazioni e generazioni di giuristi hanno lavorato: ad ogni colpa, deve corrispondere una pena; che sia giusta, che ripari il danno inflitto alla società, che permetta di espiare.
E questo concetto di giustizia non lo applichiamo solo alla nostra vita, ma anche a Dio: molte verità religiose si basano, in ogni angolo del mondo, su questo concetto, per noi semplicissimo: dove c'è una colpa deve esserci una pena. Nel lontano Oriente hanno inventato addirittura la dottrina complicatissima, della reincarnazione, basata proprio su questa idea: perché un uomo soffre nella vita? È semplice: sta scontando i suoi peccati... "Ma è buono!" Non i peccati di questa vita, ma i peccati della vita passata: perché chiunque faccia un peccato, lo deve scontare; se non può scontarlo adesso, lo sconterà quando rinasce. Tutta la dottrina della reincarnazione si basa su questo concetto semplice, elementare: chi commette una colpa, la deve espiare.
Ma non soltanto i "pagani" che vivono nel lontano Oriente: anche noi. Molte verità della nostra religione non sono forse basate su questo concetto?... Il "peccato originale": perché gli uomini tribolano? Perché Adamo ed Eva hanno commesso un peccato. Perché Cristo è finito sulla croce? Perché ha scontato i nostri peccati: Lui è buono e si è "offerto" per i nostri peccati! Ma le colpe vanno sempre espiate; se non si riesce a scontarle in questa vita, c'è l'altra: e si può scontare una colpa per sempre, eternamente! Siamo arrivati ad esprimere questo concetto (che spero agli occhi vostri appaia del tutto assurdo - e questo è un altro motivo di riflessione) di una pena "eterna": per scontare una colpa, per espiare una colpa!..
Ora, che cosa abbiamo letto stasera, insieme? Di fronte alla colpa, Dio "fa festa"! Non la pena, non l'espiazione, ma la festa.
La festa?! Che pensereste se, non io, che non conto nulla, ma il Capo dello Stato venisse qui a dire: "Sentite, gente: noi ci prepariamo a fare un grande processo a Totò Riina (supponendo che lui abbia fatto tutto quello di cui viene accusato), un processo serio e giusto, in cui tutti i suoi crimini siano rigorosamente provati e possa poi essere condannato ad uno, due, cinque ergastoli, quanti ne ha meritati per i suoi delitti... Ora io vi faccio una proposta. Niente processo! Perché un processo, una condanna, una pena? Organizziamo una grande festa, come nel nostro paese non s'è mai fatta: una festa con musiche, balli, grandi cene, fuochi d'artificio... tutto quello che volete. Perché questo, da oggi in poi, questo sarà il nostro modo di rispondere ad un delitto: fare festa!"
Che direste?... "Presto, il Presidente, poveretto, è uscito di senno; portiamolo in una clinica psichiatrica; che qualcuno gli faccia ritornare il senno!" Non diremmo tutti così?
Ma qui è Gesù, che dice così! Ha commesso una colpa? se n'è andato via di casa? ha sperperato tutto quanto? "Facciamo festa!"...
E se Dio fosse così?!
Vi dicevo la volta scorsa che la natura si basa sull'istinto di conservazione e Dio, forse, è al polo opposto: è dono, è gratuità assoluta!
La nostra giustizia ‑ la giustizia che noi uomini siamo capaci di mettere insieme, l'unica giustizia che ci sembra possibile ‑ si basa sull'idea che ad ogni colpa deve corrispondere una giusta pena. Al male e alla sofferenza causati dalla colpa noi sappiamo rispondere solo con altra sofferenza, quella della pena e dell'espiazione.
E se Dio fosse al polo opposto?! Se sapesse rispondere alla colpa con la festa!?
E che vuol dire?
E che significa, poi, questo nella vita di ogni giorno?
Vedete, che pagina sconcertante abbiamo davanti! Ma... se Dio fosse così?!
Provate a pensarci.
1995
Qualche piccola premessa prima di iniziare. Sabato sera e domenica, dopo ogni messa, c'è stato qualcuno che esprimeva perplessità sulle cose che avevo detto: le parole erano sembrate piuttosto paradossali e soprattutto - quello che più d'uno mi ha detto - "erano solo domande, senza risposte". Vorrei farvi notare due cose, per capire un po' quello che dico ed anche il modo come lo dico.
La prima è banale: già da 25 anni sono qui e mi porto dietro, ogni volta che tento di dirvi qualche parola, l'incubo di ripetere sempre le stesse cose; di più: c'è da qualche anno qualcuno che scrive quello che dico; e prima di venire qui lo rileggo. Quindi ho sempre la preoccupazione di non dirvi cose già dette, per non annoiarvi più di tanto. È per questo che, nello sforzo di dire qualcosa di nuovo, talvolta mi capita di dire parole che suonano paradossali e provocatorie.
Ma è soprattutto una delle osservazioni che mi si facevano: "più domande che risposte", che merita una parola di commento. Dalla fede, dal Vangelo - ci torneremo anche oggi - e soprattutto da una predica non ci si dovrebbero aspettare prima di tutto risposte, ma domande, possibilmente quelle giuste; perché è compito di tutti noi cercare e trovare le risposte. Chi sono io, per dirvi quello che è giusto, per interpretarvi la Parola del Signore? Lo sforzo di capire deve farlo ciascuno di voi e nessuno può togliervi questa fatica.
E c'è una terza cosa che vorrei dirvi: se qualcuno ha qualche perplessità, dopo la Messa o durante la settimana, chi ha un po' di tempo, venga: magari possiamo spiegarci meglio; anche perché le prediche devono essere corte il più possibile. E poi, soprattutto, ciascuno di voi ha il diritto - e non glielo do io, glielo dà il Padreterno - di pensare quello che vuole, di non essere d'accordo con quello che dico. Quello che dico io non ha nessuna garanzia di verità, di autenticità: sono parole di un povero prete che cerca di dire quello che pensa e di dirlo il più semplicemente possibile.
Questo vale sempre. Vale anche di più stasera: perché mi avventuro nell'attualità, recente... e anche futura. E quello che dirò, forse, lascerà perplesso qualcuno di voi, e più d'uno non sarà d'accordo. È la cosa più normale di questo mondo; specialmente quando ci si avventura in problemi d'attualità.
Perché stasera vorrei riprendere con voi la provocazione che Gesù ci ha fatto. In fondo, che cosa ha detto Gesù attraverso questa parabola? Che spesso i "figli delle tenebre", cioè quelli che si preoccupano di far soldi magari rubando, rapinando, vendendo armi o trafficando droga, sono più astuti, più capaci di capire quello che serve o nuoce al loro scopo, sono più capaci di interpretare i fatti, gli avvenimenti, dei "figli della luce", cioè di quelli che cercano (o dovrebbero cercare) il bene.
Ecco la domanda: perché tanto spesso noi Cristiani, noi Cattolici, non ci accorgiamo di quello che accade, non siamo capaci di interpretare la vita? E vorrei farvi due esempi, un po' scottanti forse; ed è per questo che il discorso si fa un po' complicato. E quindi ve lo ripeto - ma è scontato! - ciascuno di voi, se non è d'accordo, non si preoccupi: ha tutto il diritto di pensarla come gli pare.
Questa estate mi capitava di parlare con altre persone della faccenda di quell'ufficiale responsabile dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, che si cerca di far venire dall'Argentina. Ed io dicevo: "Sono passati 50 anni! Sarebbe ora di smetterla di andare a cercare i responsabili! Adesso è ora di cercare di capire". E dicevo: "Se fossi Papa (non vi preoccupate: questo è un pericolo che non correte), io scriverei una lettera ai Cristiani - prima di tutto ai tedeschi, ma poi forse anche a voi - per dire: "Gente, sono passati 50 anni: adesso, non pensiamo più a cercare il colpevole: cerchiamo di capire! Perché tanti Cattolici non si sono accorti di niente - cardinali, vescovi, preti, suore - e tanti Cristiani di tutti i giorni non hanno capito ciò che accadeva? Non hanno saputo di campi di concentramento, dello sterminio di milioni e milioni di persone! Tanti Cattolici hanno creduto che il Nazismo fosse difensore della Chiesa, come da noi il Fascismo. Per tre anni - direi ancora - nella Chiesa non si parli di altro, ora cerchiamo tutti di capire: perché tanti che leggevano il Vangelo ed andavano a Messa ogni domenica non hanno capito quello che accadeva? E non si trattava di qualche sciocchezza, ma di crimini gravissimi contro l'umanità". Perché sono stati sterminati milioni di persone nel silenzio, nell'indifferenza di tanti cristiani? C'è qualcosa che non va... è fondamentale capire; altrimenti, che ne facciamo delle parole del Vangelo?
Ma veniamo più vicino a noi: qualche cosa che, forse, è ancora più provocante per voi: ci prepariamo ad assistere al processo all'on. Andreotti. A me non interessa sapere se è colpevole o no: questo è compito dei giudici ed io, per fortuna, non son chiamato a giudicare, perché avrei molta difficoltà. Quello che mi interessa è capire.
Guardate: quest'uomo va a Messa tutte le mattine; e ricordi della mia gioventù mi fanno pensare che ci vada con cuore sincero, mi è capitato più volte di partecipare con lui alla Messa. Quest'uomo ha bazzicato, per tutta la sua vita, cardinali, vescovi, preti, suore, frati; ha ricevuto il consenso di milioni di Cattolici; era uno dei politici più ascoltati in Vaticano.
Perché non ha capito, lui per primo, e perché non hanno capito tanti altri, che certi suoi atteggiamenti, che un certo modo di far politica era pericoloso e poteva, oggettivamente, corrompere la vita sociale e favorire la mafia? Perché non si sono accorti di niente e i Papi, che lo hanno più volte benedetto, e i Vescovi, che lo hanno appoggiato, e tanti cristiani, che lo hanno votato: perché non abbiamo capito? Perché non ci siamo accorti di niente? Perché tutto questo è passato nel silenzio - se non nel consenso e nel compiacimento - di schiere numerose di cattolici?
Vedete che le domande sono serie! Forse ha ragione Gesù quando dice: "Non capite quello che vi succede intorno, non sapete guardarlo! Perché non siete capaci di leggere i segni dei tempi? Perché non vi accorgete di quello che accade?"
Qualcuno di voi dirà: "Ancora domande. E le risposte?" Le risposte, fratelli miei, non ci sono; o almeno io non ce l'ho. Ma provo a darvene qualcuna. Però attenzione! forse le domande sono serie, le risposte lo sono molto meno! Ma le dovete cercare voi, come tento di cercarle io.
Allora, la prima risposta al "Perché non ci accorgiamo?" è proprio questa: noi siamo abituati a cercare - nella Chiesa, nella fede, nei preti, nelle prediche - più le risposte che le domande. Invece una persona seria dovrebbe cercare domande e tentare, per quanto lui può, di dare risposte. Perché, se noi educhiamo un popolo (e questo è stato fatto per lunghi tempi, nella storia della Chiesa) ad avere soltanto risposte, ad avere dottrine prefabbricate, regole e leggi, senza che sia mai possibile far domande (quante volte, quando eravamo ragazzi e facevamo qualche domanda ad un prete ci siamo sentiti rispondere: "Sta' zitto, tu, che non capisci: è un mistero!") non possiamo meravigliarci se poi, tutti, non capiamo più niente! Se leggete il Vangelo, vi sono più domande che risposte.
La seconda risposta che ho tentato di darmi è questa: spesso nell'educazione cattolica si assiste ad una profonda dissociazione tra la coscienza individuale e la coscienza sociale e politica. Non ci hanno forse insegnato (ce lo insegnavano; ma in parte è vero anche adesso) che l'importante è guadagnarsi il paradiso, pensare a salvarsi l'anima? che i problemi dell'economia, del mondo del lavoro, del denaro, appartengono alle cose che passano? Noi non siamo abituati a porci domande su problemi di questo genere. Quello che conta è lo spirito, è l'interiorità! Non conta l'aldiquà: l'aldiquà appartiene alla gente del mondo, ai "figli delle tenebre"... Ma poi non ci dobbiamo meravigliare se i "figli della luce" non capiscono, se non si rendono conto di quello che accade!
Nella storia della Chiesa, strutture fondamentali della vita dell'uomo: il lavoro, l'economia, il denaro, la sessualità, la vita sociale e politica, sono state considerate di secondaria importanza, se non addirittura relegate nello spazio del peccato. È stata elevata a modello la vita dei monaci, che pensano solo allo spirito e disprezzano la vita materiale, che si tengono lontani da "tutte le cose del mondo". Allora è facile capire cosa ha portato molti cristiani all'incapacità di "leggere" la vita. Chi, come me, ha provato ‑ anche quest'anno l'abbiamo fatto insieme ‑ a cercare la "dottrina sociale della Chiesa", ha trovato soltanto una serie sconcertante di affermazioni banali, quando non delle autentiche sciocchezze.
E c'è ancora una terza risposta che io ho tentato di darmi, forse la più evangelica delle risposte: il non capire viene dal sentirsi buoni, dal sentirsi giusti; da quella che è la più devastante dottrina cattolica: quella dell'infallibilità, quando viene estesa alla vita di ogni giorno!
Mettetevi nei panni di un povero cristiano: che deve pensare un uomo che va a Messa tutte le mattine, che viene benedetto decine di volte da tutti i Papi che ha incontrato nella sua vita, che riceve il consenso di vescovi, preti, suore, frati e del popolo cristiano: che deve pensare, se non che è benedetto anche da Dio? Che deve pensare, se non che chi è amico suo, è amico anche di Dio? Se gli danno dei soldi ‑ che magari spende, almeno in parte, per beneficenza o per aiutare tante parrocchie (a Roma tante parrocchie sono state aiutate così): che deve pensare, se non di essere benedetto da Dio e che anche questi soldi sono benedetti da Dio? "Ma forse vengono dalla mafia, forse Sindona non è una persona tanto per bene...". Sindona era di casa al Vaticano e allo IOR!... Allora, che deve pensare un povero cristiano?!
Sentirsi giusti, sentirsi dalla parte di Dio! Non dimenticate: sui cinturoni delle SS c'era scritto: "Got mit uns": Dio è con noi! Loro ne erano convinti. Ma anche milioni di Cattolici erano convinti che Dio fosse con loro! Perché? ecco la domanda. E questi sono solo esempi: la domanda ci riguarda tutti nelle circostanze concrete della nostra vita: perché tanto spesso non riusciamo a capire?
Vedete: le domande che vi ho fatto forse sono serie; le risposte forse lo sono un po' meno: il discorso sarà per qualcuno risultato provocatorio. Se a qualcuno dà fastidio, porti pazienza! Senza pazienza, dicevano i nostri vecchi, non si va in paradiso! Chi è capace di pensare, tenti di pensare; perché sono domande essenziali!
E, se ho capito bene, non ve le faccio io: stasera è Gesù che ve le fa. Ci dice: "Guardate i figli delle tenebre! E voi, che volete essere figli della luce, perché non capite mai?".
Il Signore ci aiuti a capire almeno un po'!
1995
Quest'anno ho passato diversi giorni delle mie vacanze - come ormai mi capita di fare da parecchi anni - in una splendida valle delle Dolomiti, la Val Badia (forse qualcuno di voi la conosce). Sapete perché si chiama così? Perché questa splendida valle era, un tempo lontano, possesso di un convento di monache, della Badessa che abitava giù, in fondo alla valle e governava un monastero ricco e potente, che aveva immensi possedimenti, un monastero che poteva armare addirittura un esercito; che aveva il possesso di quasi tutte le terre della valle, dove i contadini erano trattati quasi come schiavi.
E se girate per le chiese della valle e dei dintorni, trovate tante rappresentazioni dell'inferno o del purgatorio, più o meno ingenue, più o meno artistiche: rappresentazioni delle fiamme che bruciano i cattivi, i ricchi potenti che sono andati di là. E probabilmente molte di queste chiese le hanno costruite proprio quelle suore; senza accorgersi che, ad ascoltare la parabola, forse toccava a loro finire tra le fiamme...
E questo non succedeva soltanto in una sperduta - anche se splendida - valle delle Dolomiti: questo accadeva quasi in tutta l'Italia. Gran parte dell'Italia era possesso di conventi di frati e di monache. E voi sapete che, in gran parte dell'Italia, l'immaginario religioso era pieno soprattutto di rappresentazioni dell'aldilà: del paradiso ma, di più, del purgatorio e dell'inferno. Pensate a Dante o al "Giudizio universale" di Michelangelo - che spero molti di voi abbiano visto nello splendore del restauro recente -. Pensate alle tante immagini che vi è capitato di vedere in mille chiese della nostra splendida Italia.
Tutto questo è finito, finito del tutto ed è finito insieme: non c'è più nessun convento che possieda grandi territori e che riduca i contadini quasi alla schiavitù; ed è sparita, dall'immaginario della nostra religione, in gran parte, ogni rappresentazione dell'inferno, del purgatorio. I nostri preti, i nostri catechisti non ne parlano più. Ai nostri bambini la parabola che abbiamo ascoltato oggi, è del tutto sconosciuta. Nessun pittore oggi si sognerebbe di dipingere una cosa del genere.
Perché? C'è ancora qualcuno che dice: "E come perché? Non c'è più religione! Non c'è più rispetto per i preti e le monache! Se n'è andata la fede!" Non vi sembra che sia il contrario? Che non se n'è andata la fede; anzi, nel nostro modo di credere si son fatti spazio la vita e la parola di Gesù; soprattutto la vita di Gesù! Vediamo se mi riesce di aiutarvi a capire.
Che cos'è la religione? In molte parti del mondo, la religione è stata il tentativo dell'uomo - in gran parte - di spiegare tutto quello che non riusciva a spiegare del mondo. (Non è soltanto questo, ma oggi non possiamo parlarne). Un tempo l'uomo non sapeva spiegare quasi nulla: né la pioggia, né lo sbocciare di un fiore, né la malattia o un terremoto: per ogni cosa trovava una spiegazione nella divinità.
Ed una delle cose che non si spiegano, di questo nostro mondo, sono le tante ingiustizie che ci sono. Perché c'è gente che "banchetta lautamente", mentre si approfitta degli altri e sfrutta il prossimo? e c'è gente povera, c'è gente miserabile, che, pur essendo giusta, patisce la fame?! Perché questa ingiustizia così grande?
La risposta religiosa è apparentemente semplice: sì, in questa vita ci sono tutte queste ingiustizie, ma Dio farà giustizia! Basta aspettare il Suo giudizio: è un giudizio giusto e severo e farà il "contrappasso"; come avete sentito nella parabola di oggi: chi tribolava, godrà; chi godeva, tribolerà. Cosa c'è di più semplice di questo? Ma vedete, - oggi ne siamo convinti in molti - questo era solo il tentativo dell'uomo di costruirsi la propria religione; di porre in Dio e nell'aldilà la risposta ai problemi del mondo!
Pensate un momento: se Gesù avesse preso sul serio questo modo di pensare, che cosa avrebbe dovuto fare? Venire a morire su una croce? non sia mai! Bastava che aspettasse, tranquillamente, in paradiso, preparandosi a fare il giudizio. Aveva a disposizione il purgatorio e l'inferno: vi pare che non basti?! Al più, come suggerisce il ricco nella parabola che abbiamo ascoltato, poteva far apparire qualche morto o mandare qualche altro segno miracoloso ad ammonire gli uomini. Poteva sedersi tranquillo in poltrona - oggi ci fanno vedere le poltrone del Paradiso anche nella pubblicità - e aspettare... aspettare che uno dopo l'altro gli uomini si presentassero davanti al suo giudizio. E lì avrebbe fatto giustizia: la giustizia che i giusti aspettano, giustizia giusta e assoluta.
Lui... non ha fatto così! Lui s'è fatto carne! Per 30 anni ha condiviso la vita della povera gente, ha fatto il falegname, ha lavorato, con mani callose, le dure assi del legno, ha condiviso la ventura dei poveri della terra! E quando ha cominciato ad alzare la voce, ha gridato la beatitudine dei poveri! Ha annunciato che Dio si schierava dalla loro parte, prendeva parte con loro in un cammino di liberazione e di vita!
Di più: Gesù si è nascosto dietro ogni "lazzaro" della terra: "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare. Ho avuto sete e mi avete dato da bere...". Qui, su questa terra! Per questo è venuto Gesù: per radicare la nostra fede nel concreto della vita di ogni giorno; per camminare accanto ai poveri, che cercano dignità e giustizia! Per gridare che non è giusto che ci sia, nel mondo, chi ha tutto e chi non ha niente! Per gridare, soprattutto, che non è giusto che questo sia fatto "in nome di Dio"! Che ci siano dei frati, delle monache (ce n'erano tanti un tempo...), che, convincendo la gente che potevano salvarsi l'anima lasciando in eredità al convento i loro beni, si erano arricchiti enormemente: in nome di Dio avevano reso come schiavi migliaia e migliaia di contadini!
Capite perché sono finiti, insieme, il potere dei conventi e l'immagine dell'aldilà? Non perché se n'è andata la fede, ma perché la fede di Cristo si è radicata nella nostra vita! E abbiamo cominciato a capire, almeno un po', che, se credevamo in Dio e nella giustizia, dovevamo schierarci dalla parte dei poveri qui, adesso e non aspettare la Sua magica giustizia nell'aldilà!
Ma cosa significa, nel concreto, schierarsi dalla parte dei poveri qui, adesso? Non vi so rispondere! Non brontolate; ancora una volta domande e non risposte... Avevo pensato di parlarvi proprio di questo: ci ho pensato a lungo, ma non ci son riuscito.
Allora ho detto: "Facciamo un passo indietro, perché la gente si abitui ad avere - almeno da me, se non l'avete, in giro, - più domande che risposte". Ma è giusto che sia così: è giusto che ciascuno di voi si domandi, con cuore semplice e sincero: "Cosa posso fare io di concreto, per mettermi seriamente dalla parte dei poveri? Per riconoscere in ogni "lazzaro" della terra il volto di Gesù?"
Perché questo, a sentire il Vangelo, è il nocciolo della fede! Ma sapere cosa significhi, in concreto, nella vita di ogni giorno, io non so dirvelo!
Gli apostoli dissero al Signore: "Aumenta la nostra fede!". 8 ottobre 1995
Volete sorridere un po', stasera? Forse c'è ancora tra voi qualcuno così sconsiderato, che non sa di vivere in una parrocchia particolarmente fortunata. Perché? Perché il parroco fa miracoli! Quest'estate più di uno ha fatto esperienza che, avendo mal di stomaco, se beveva un bicchiere del tè fatto dal parroco, prontamente guariva... Qualcun altro ha fatto esperienza che, venendo dal parroco a chiedere una benedizione, una preghiera per qualche guaio o per qualche malattia, spesso otteneva la grazia e la guarigione; e se non guarisce dipende dal fatto che è cattivo: perché Dio (come sentivo in una specie di predica, tempo fa) non ama fare grazie a quelli che sono cattivi...
E qui bisogna che mi fermi: perché può esserci anche più d'uno, fra di voi, che non prende queste parole come barzellette, ma come discorsi seri... e magari poi mi vengono a chiedere una benedizione o di fare una grazia!
Il fatto è che c'è sulla faccia della terra tanta gente che si lascia imbrogliare così; tanta, troppa gente che approfitta della credulità altrui, che sfrutta le debolezze e i bisogni degli uomini. Vedete, son discorsi da fare - e chiedo scusa se ho cominciato raccontando barzellette - con delicatezza e rispetto. Perché qui ci si avvicina al dolore, alla sofferenza, al bisogno dell'uomo; e questo va sempre fatto con grande delicatezza e rispetto.
Però, vedete, gran parte della religione è costruita proprio a partire dai bisogni dell'uomo: dalle sue debolezze, dalle sue malattie. In ogni angolo della terra l'uomo ha inventato, ha creato delle divinità, che venissero incontro ai propri bisogni, alle proprie debolezze, alle proprie malattie: delle divinità specializzate, chi nel guarire, chi nel far venire la pioggia, chi nel proteggere i viaggi, ecc...
E a queste divinità, che servono alla vita dell'uomo, bisogna pagare un prezzo. Com'è normale: perché noi siamo abituati a rapporti commerciali, con tutti: col negoziante... ma anche, qualche volta con gli amici, o addirittura con i figli. Ogni cosa ha un prezzo, ogni cosa si paga. Figuratevi se non si deve pagare qualche cosa a Dio! Magari con preghiere, sacrifici, offerte, digiuni. Si è arrivati, nella storia delle religioni, quasi in ogni angolo della terra, all'abominio di offrire a Dio sacrifici umani, quando la cosa da chiedere era di particolare importanza.
E in ogni angolo della terra c'è stato qualcuno che si è messo in mezzo tra la gente - tra i bisogni della gente - e la divinità: stregoni, sacerdoti, santoni di ogni genere, che pensano di guarire, di fare miracoli, di distribuire grazie in nome di Dio. -"Ma qualche volta Dio la grazia non me la fa!" -"Eh! è colpa tua: sei cattivo, oppure non hai saputo pregare abbastanza bene; oppure non hai fede! Oppure, come spesso succede, non hai pagato abbastanza: bisogna che paghi di più!"
Fratelli, a me piacerebbe potervi dire: "Sì, venite da me. Io vi do una benedizione e il Signore esaudirà la vostra richiesta; io vi do una benedizione e il malato che avete in casa guarirà". Ma non posso dirvelo, perché non è vero! Forse potrebbe essere utile che la religione fosse questo; ma è un'altra cosa!
Allora potreste chiedermi: "Che cos'è, allora, la fede?" Vedete, anche questo non so dirvelo fino in fondo. Non so se mi riesce, ma vorrei aiutarvi ad intuire qualche cosa, come l'ho intuita io!
Vedete, tutta la nostra vita è intessuta di bisogni, in ogni cosa cerchiamo il nostro interesse: di fronte ad uomini e cose, ci domandiamo sempre "A che cosa ci serve? A che cosa può essere utile? A che cosa mi servi tu? A che cosa mi è utile questo lavoro che faccio? E quanto devo pagare?" Viviamo quasi sempre dei rapporti commerciali, basati sull'interesse, sull'utile.
Ma pensateci un momento: le esperienze più profonde della nostra vita - quando ci sembrava di toccare con mano il fondo stesso dell'esistenza - non le abbiamo vissute quando abbiamo fatto esperienza di gratuità? Molti di voi hanno dei figlioli: non è vero che, quando avete avuto tra le mani per la prima volta il vostro bambino, non vi siete domandati a che cosa vi serviva?! Avete soltanto gridato la vostra gioia, il vostro stupore, la vostra meraviglia, per questa vita che avevate tra le mani!
Non v'è capitato qualche volta di fare - anche nell'amicizia o nell'amore, per chi l'ha vissuto fino in fondo - esperienza di gratuità? Quando vi sentivate amati e amavate l'altra persona così com'era: non perché vi serviva, al di là del bisogno e dell'interesse, con la sola gioia di condividere la vita, e di donarvi l'uno all'altro!
E non avete qualche volta fatto - anche di fronte alla natura - l'esperienza della bellezza? Di fronte ad un tramonto, di fronte al cielo stellato, di fronte alla grandezza del mare, non vi siete domandati se ne potevate ricavare qualche cosa: vi siete fermati a contemplare! vi siete stupiti! e avete toccato con mano qualche cosa del fondo dell'esistenza!
E non è vero che avete considerato un eroe chi aveva saputo vivere, non cercando solo il suo interesse - com'è naturale che lo cerchiamo - ma sapendo credere in qualche cosa, portandosi un ideale dentro, per cui vivere ed anche morire? Non avete ammirato chi aveva saputo donare la sua vita per qualcosa di più grande di lui: per la giustizia, per il bene degli altri, per l'amore che si portava dentro?!
Se queste sono le esperienze più profonde della nostra vita, non è giusto che anche la fede la mettiamo su questo versante? E non è bello per un credente incontrare Dio non a partire dai propri bisogni, dalle proprie debolezze, ma nella gratuità, nello stupore, nell'amore totale?
Guardate Gesù: ogni volta che Lo hanno cercato perché volevano dei prodigi, dei miracoli, Lui scappava! Lui, ha creduto e amato fino in fondo, anche quando gli è costato la vita! L'unico Dio in cui noi crediamo, è un Dio inchiodato su una croce: impotente, inerme: non può nemmeno staccare la mano! Gliel'hanno detto, sotto la croce: "Se sei Dio, scendi! e crederemo. Se sei Dio - dicevano quelli che erano crocifissi con Lui - salva te stesso ed anche noi!". Ma non li ha salvati e non ha salvato sé stesso: è rimasto là, inchiodato sulla croce, fedele fino in fondo, in un amore totale! Ed è l'unico Dio in cui noi crediamo.
No, non possiamo incontrare Dio in un rapporto commerciale - io ti do questo e tu...- e nessuno può mettersi in mezzo, fra noi e Lui! Io non posso dirvi: "Sì, rivolgetevi a me, e Dio vi farà le grazie che chiedete". No! Io posso essere - se mi riesce - in mezzo a voi, testimone di gratuità; posso aiutarvi a cercare la luce di Gesù! Perché è la luce che illumina, che trasforma, che fa bella la nostra vita!
Avere un briciolo di fede "che sposta le montagne" non significa operare prodigi e miracoli; significa essere capaci di conservare nel cuore la speranza, di continuare a credere nell'amore, nella gratuità, continuare a condividere la vita, a tendere una mano a chi ci sta accanto, a donare un bicchiere d'acqua! Essere capaci di continuare a credere che Gesù ha ragione, che è la Vita! Anche se, come succedeva al profeta Abacuc, le nostre preghiere rimangono inascoltate!
La nostra fede è fede nella gratuità, è fede nell'amore da cui tutti veniamo, è fede nella luce di Dio, che si è manifestata in Gesù di Nazareth!
Il mio tè forse è buono, perché è buona la bustina che ci metto dentro; forse ci metto zucchero e limone a sufficienza; ma niente di più... chi ha il mal di stomaco, purtroppo se lo tiene.
Io vorrei continuare ad essere (e per questo preghiamo insieme, stasera) in mezzo a voi testimone di speranza, della ricerca di Gesù: con cuore sincero, al di là di quello che possa servirci nell'immediato.
Il Signore ci aiuti!
"Non si è trovato chi tornasse a rendere 15 ottobre 1995
gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?".
Molti di voi saranno andati, penso, se non proprio per motivi di fede, almeno per interesse turistico, a visitare qualche santuario; e a volte vi avranno guidati a vedere intere stanze piene di ex-voto, di cuori d'argento o di altre espressioni di ringraziamento. Oppure, qualcuno di voi, andando in giro per Roma, avrà visto tante edicole della Madonna, con accanto piccole targhette di marmo bianco. Quando ero piccolo, mi incuriosivano: c'era scritto sopra: P.G.R. - le avete notate? -; mi hanno spiegato che significava "per grazia ricevuta". Era il segno tangibile del ringraziamento di qualcuno che pensava di aver ricevuto una grazia straordinaria.
Insomma: chi riceve una grazia, chi ottiene un prodigio, una cosa fa, quasi spontaneamente: va a ringraziare, porta il suo ex-voto, mette la targhetta; fa magari dipingere - ce ne sono di bellissimi, antichi! - un quadretto che descriva quello che gli è accaduto: per dire la propria riconoscenza a chi lo ha guarito.
Ma allora, perché qui, dei dieci che sono guariti, uno solo torna a dire grazie?
Il fatto è, vedete, che qui, come in tante pagine del Vangelo, non si tratta di uno strano prodigio di tanto tempo fa, ma della nostra vita: di me, di voi. Nel mondo religioso antico, in ogni parte del mondo, ci si esprime attraverso il prodigio, il miracolo, l'evento straordinario: se non si tiene conto di questo, rischia di sfuggirci il senso di molti episodi del Vangelo, che non sono un invito al miracolo, al fatto straordinario, ma a capire il senso profondo della vita di ogni giorno.
Non so se può aiutare anche voi, a prendere le distanze dai miracoli, una frase - quasi uno slogan - che mi diceva un ragazzo tanto tempo fa: "Se qualcuno può fare un miracolo e lo fa molto raramente, non è un santo, ma un delinquente". Vedete, la lebbra non è stata vinta dai miracoli, ma dagli sforzi quotidiani di tanta gente, che ha studiato, che ha cercato, che ha passato la notte e il giorno a cercare di capire. Allora, si è vinta la lebbra in quasi tutto il mondo! (Oggi ci vorrebbe poco per vincerla veramente in ogni angolo della terra, sicché appartenga ai ricordi - terribili! - della storia di tanto tempo fa: e questo, vedete, ci riporta ai fatti quotidiani).
Qui non si parla, quindi, di strani personaggi di tanto tempo fa, si parla di me, di voi, si parla del nostro vivere di ogni giorno. Perché, per il credente la vita di ogni giorno è un miracolo, tutto è un dono straordinario che viene da Dio!
Cerchiamo di capire: perché questa gente non torna indietro, a ringraziare? Il Vangelo ci fa intuire un paio di cose: Gesù dice ai lebbrosi: "Andate dai sacerdoti"; e quelli, come ai tempi antichi, devono andare: offrire il sacrificio, farsi riammettere nella comunità (a quel tempo era il sacerdote che stabiliva se uno era guarito e poteva tornare a vivere con gli altri); avevano tante cose da fare. E fra le tante cose da fare, si dimenticano, che c'è qualcuno a cui dire "Grazie!"...
Ma c'è di più: chi torna, è uno straniero: forse lui non ritiene di aver diritto a quella guarigione, che, forse, era riservata a quelli del popolo di Israele. Gli altri pensano che, in fondo, quella guarigione, dopo aver tanto pregato e gridato, era loro dovuta.
Eccoci allora nel pieno della nostra vita di ogni giorno! Non è forse la nostra vita un correre, un darsi da fare, un trafficare dal mattino alla sera? Per alcune persone il lavoro è veramente diventato un impegno totale, una competizione continua, una corsa affannosa!
E non è anche vero che da molto tempo ormai si mette più l'accento sui diritti che sui doveri? Non soltanto i giovani che crescono in mezzo a noi - che spesso rimproveriamo - ma anche la gente della mia generazione spesso parla più di diritti che di doveri. Certo, se tutto ci è dovuto, come posso sentire la vita come un dono? Se ho la sensazione di darmi da fare, di lavorare, come posso pensare che la vita è un miracolo, per cui ringraziare, ogni mattina?
Mettetevi un momento - è un'esperienza che molti di voi avete fatto - di fronte ad un figlio che cresce: quante ansie, quante preoccupazioni, quanto lavoro per lui! E anche quante aspettative, quanti sogni, che a volte non si realizzano! Non capita, qualche volta di dimenticarci che, prima di tutto questo lavoro, quel figlio è un miracolo? È un dono che ha riempito la nostra vita, l'ha arricchita, l'ha fatta degna di essere vissuta?
E quello che vale per un figlio, non vale anche per un amico, per la moglie, per il marito; per la gente che ci vive accanto; per il mondo che ci sta intorno?
Non è una questione di buona educazione: è il nocciolo della nostra fede, che vive la vita come un dono, come un miracolo che si rinnova ogni mattina!
Allora, capiamo tutti, penso, perché la Chiesa ci inviti a ringraziare non solo quando riceviamo, un miracolo, una grazia straordinaria (corriamo il rischio di non ringraziare quasi mai), ma a ritrovarci qui, ogni sabato e ogni domenica, per dire il nostro "Grazie!", per vivere la vita come un dono, per rinnovare il nostro ringraziamento. Il ringraziamento a Dio, da cui tutto viene; ma il ringraziamento, anche, a chi ci sta accanto, anche al figlio che, magari, non viene con noi a partecipare all'Eucarestia, ma che ha fatto viva e grande la nostra vita !
Il ringraziamento per tutto il miracolo della vita! Per lo splendore della natura, per la vita delle persone che ci stanno accanto, per tutto il bene che c'è nel mondo, per Gesù e la Sua luce! È questo, il vero "miracolo" della nostra esistenza; per questo ogni domenica, diciamo "Grazie!"
E con noi, Gesù: che per noi si fa pane, che è il segno dell'amore di Dio, che tutti ci avvolge, in una tenerezza che non ha confini!
Il Signore ci aiuti a vivere così la vita: come un dono! Nello stupore, nel ringraziamento nella "Eucarestia", che facciamo ogni volta che qui ci ritroviamo insieme.
"Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" 22 ottobre 1995
Quando nei nostri giorni si sente parlare di giudici e di giustizia, penso che a molti di voi, come a me, si stringe il cuore: ci prende un senso di sgomento, di smarrimento! Troppe volte i giudici debbono intervenire nella nostra vita di ogni giorno. C'è una corruzione dilagante: tangenti di ogni genere e di ogni colore; ci sono raccomandazioni quasi in ogni angolo della nostra vita; ci sono concorsi truccati; si assumono falsi invalidi; per medici ed infermieri che non svolgono il loro lavoro debbono intervenire i giudici e i carabinieri.
E non basta: ci sono giudici contro altri giudici; e alcuni, di questi giudici, sembrano aver smarrito i principi fondamentali del diritto e alcuni sembrano essere di una parte politica ed altri di un'altra parte politica. Ed anche la nostra vita politica è ridotta all'insulto e allo scontro continuo.
Che ne sarà dei nostri figli? Non diventeremo tutti disonesti e corrotti? È possibile conservare la fiducia nell'onestà, nella giustizia, nel bene? È possibile conservare la fede? Quando Gesù tornerà, troverà ancora la fede in noi? nei nostri figli?
Luca ci dice che Gesù ha raccontato questa parabola per invitarci a pregare sempre, senza stancarci. Attenzione, però: a condizione che la preghiera non diventi qualcosa di magico, come ci suggerisce la prima lettura (Esodo 17, 8-13), qualche sconsiderato l'ha messa lì, unendo le due letture. È, sì, un'immagine suggestiva quella di Mosè che tiene alzate le mani, mentre in due gliele sorreggono; e quando le mani sono alzate, Israele vince e Amalek perde..."Chi sa cosa ne penserà Amalek?..", mi domandava una volta un ragazzo. No, la preghiera non può essere un magico affidarsi a Dio.
La preghiera è un'altra cosa: è il combattimento incessante, di ogni giorno, per conservare la fede, per continuare a credere nella giustizia, nel bene, nell'onestà! Anche quando intorno a noi si vedono tante ombre. Non ci sono solo ora, fratelli; lo sapete benissimo. Al tempo di Gesù, al tempo in cui Luca scriveva il suo vangelo, il mondo era più ingiusto, più violento, più corrotto di oggi. Anche per loro c'era il problema di conservare la fede, di continuare a credere, di non diventare come gli altri, di essere per chi gli stava accanto - magari per i figlioli - testimoni di giustizia, di vita, di onestà!
Per questo ci ritroviamo qui ogni domenica; per questo Gesù ci invita a "pregare sempre": a mettere cioè la nostra vita, i nostri problemi davanti a Dio. Non potete continuare a metterli davanti ai giornalisti, davanti a quelli che urlano alla TV, davanti a quelli che vi mettono paura, che vi invitano allo scoraggiamento!
Occorre mettere i nostri problemi davanti a Dio! Occorre ritrovare davanti a Cristo la fiducia nella vita, il coraggio nel bene! Ed anche la convinzione che il bene è ancora nella maggioranza della gente! Non è vero che tutti sono corrotti! non è vero che tutti sono ingiusti! Qui c'è tanta gente perbene, gente che non fa notizia, gente che continua a lavorare.
Bisogna non credere a chi dice che tutto è corruzione! Soprattutto, bisogna continuare a credere nella giustizia! Anche se capita che intorno a noi - in qualche posto, in qualche ufficio può succedere - ci sia gente che non lavora, gente disonesta, gente che commette ingiustizie. Chi ha fede non si perde d'animo!
Un uomo, costretto a lavorare in un ambiente in cui c'erano tante ingiustizie, in cui almeno in parte si sentiva coinvolto, mi diceva: "Come faccio a guardare negli occhi i miei figli?!" Come facciamo a guardare negli occhi un bambino che cresce, se non conserviamo nel cuore la passione per la giustizia, il senso dell'onestà - qualunque cosa succeda intorno a noi?
Noi ci ritroviamo qui ogni domenica per incontrare Gesù. Lui ci ha creduto fino in fondo! Per questo è "il Signore" in mezzo a noi! E noi abbiamo stimato e continuiamo a stimare tutti coloro che, come Lui, hanno avuto il coraggio di credere e di sperare e di cercare la giustizia!
E vorremmo che i nostri figli stimassero noi, perché, anche se siamo povera gente, abbiamo cercato fino in fondo di essere onesti, di conservare la fede. Fede nell'onestà, nella giustizia, nel bene.
Il Signore ci aiuti a conservare la fede, finché non potremo incontrarLo per sempre!
Il fariseo pregava così: "O Dio, ti ringrazio che non 29 ottobre 1995
sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri..."
Avrete notato anche voi - molto prima di me, probabilmente, perché siete meno ingenui di me - che il fariseo di questa parabola non prega: giudica, condanna, insulta: "Ti ringrazio, Signore, che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri...".
Mi colpiva che quest'uomo mentre prega insulta, forse, perché cresce sempre di più in me (ma spero che cresca in tutti voi) l'insofferenza per questa società in cui si moltiplicano gli insulti. Basta accendere la TV in qualunque ora del giorno, per sentire qualcuno che alza la voce, che grida, che insulta, che vuole la condanna del suo prossimo.
La nostra vita politica spesso è una lotta a chi alza di più la voce, diventa sempre di più uno scambio di insulti e di accuse, una ricerca di colpe dell'avversario, a volte anche per fatti privati o privatissimi: e non succede solo in Grecia, ma anche qui da noi. Difficilmente si ascolta qualcuno che cerchi di affrontare i problemi reali del paese, le situazioni, a volte gravi ed urgenti. Si cerca soltanto di accusare, di condannare l'altro.
E sui giornali non si vede spesso una caccia al colpevole? non c'è la voglia di sbattere in prima pagina accuse e condanne? Ad una condanna effettiva o attesa sono, spesso, riservate nove colonne, ad una assoluzione un trafiletto in ultima pagina. I giornalisti sembrano sempre più capaci di accusare e, a volte, insultare, che di aiutare a capire.
E non soltanto nei politici, non soltanto nei giornalisti; ma qualche volta anche parlando con la gente (forse capiterà anche a voi) si sente la voglia di condanna, la voglia di giudizio, l'insulto.
E spesso scatta il meccanismo di corporazione: "Noi, noi siamo i giusti, noi abbiamo ragione!" Guai a toccare in questo paese un giudice: tutti i giudici si stringono a difesa della corporazione! Guai a far notare che un insegnante non sa o non ha voglia di insegnare: tutti gli insegnanti si difendono tra di loro! Guai a parlar male di un medico: subito la corporazione alza la voce. Per non parlare dei preti...
Certo tutto questo è amplificato dalla televisione e in genere dai mezzi di comunicazione, ma le radici sono profonde e vengono da lontano...
Perché tutto questo? Che cosa c'è dietro questa esplosione di maleducazione? È importante capire! Gesù ci aveva messo in guardia: ha raccontato questa parabola - ed altre - per quelli che si sentono giusti, per quelli che pensano sempre di aver ragione, per quelli che condannano ed ingiuriano gli altri. Ma che ne abbiamo fatto, di queste parole del Signore?!
Non è forse vero che, nella lunga storia della Chiesa, quasi mai si è cercato di capire le ragioni degli altri? Quando c'era qualcuno che la pensava diversamente, quale è stata la risposta? "È eretico! Al rogo!" E non sono soltanto cose del tempo passato: accade anche oggi. Ci sono addirittura dei Vescovi che vengono rimossi dalla loro diocesi; ci sono dei professori d'università, che vengono allontanati, per le loro idee, per i libri che scrivono. Non si oppone ad idea altra idea, a libro altro libro, ad argomento altro argomento; ma soltanto la condanna, la scomunica, il puntare il dito.
E si corrompe un popolo! Si corrompe la nostra vita! Anche a me è successo qualche volta: "Se la pensi così, sei eretico. Se la pensi così, fai bene a cambiare mestiere!". E a me veniva di rispondere con ingiurie dello stesso tono... Non mi si diceva - come sarebbe giusto - perché secondo loro io sbaglio, perché secondo loro non ho ragione, se c'era un altro argomento da opporre al mio argomento. No! Si oppone la condanna; si oppone la scomunica.
Ecco una delle radici lontane da cui viene, nel nostro paese, l'incapacità a ragionare, a pensare, a cercare. Se poi aggiungete, a questo, che nella nostra storia più recente s'è aggiunta un'altra religione, forse peggiore, in cui il Partito ha sempre ragione, in cui non si ammette nemmeno che si possa pensarla diversamente, in cui il nemico va eliminato, se non proprio fisicamente, con l'insulto o il ridicolo o la calunnia... si capisce perché in Italia c'è così poca capacità di ragionare, di capire, di cercare, di studiare.
Se aggiungete ancora che ormai da tempo, in questo paese, ci sono giornalisti - anche di quelli che vanno per la maggiore - che hanno scambiato la maldicenza e l'ingiuria con lo spirito critico, allora capite perché - oggi che tutto si deve manifestare per TV, oggi che tutto si deve mostrare, oggi che tutto è apparenza - noi assistiamo al crescere dell'insulto, al crescere della condanna, ai diti che si puntano contro, in ogni angolo della vita del nostro paese. Occorre smettere!
Fratelli miei, quando in questo paese i politici non si ingiurieranno l'un con l'altro, ma cercheranno insieme di affrontare i problemi concreti, la nostra società farà un passo avanti. Quando i giornalisti smetteranno di condannare e di giudicare e di sbattere il colpevole (o presunto tale!) in prima pagina, ma cercheranno di aiutare la gente a capire quello che c'è dietro i problemi, cominciando col riportare tutti i fatti, con grande onestà; quando ogni gruppo, ogni corporazione si interrogherà, prima che sui propri pregi, sulle proprie colpe - anche perché quelle sono più facili da correggere di quelle degli altri - ; quando si smetterà di pensare per corporazioni, di dire "Noi", ma ciascuno cercherà di capire e saprà mettersi in questione; allora vivremo in un paese più civile.
Ma non possiamo aspettare gli ultimi tempi! Dobbiamo cambiare, tutti! Non possiamo affidare il futuro dei nostri figli a chi strilla, ai politici che si insultano, ai giornalisti! Occorre che ogni papà e ogni mamma li aiuti a ragionare, a cercare, a capire le ragioni degli altri! Occorre la tolleranza; la passione per la verità, la voglia di capire! Occorre che, in ogni classe di scuola, gli insegnanti aiutino a conoscere, a cercare, a studiare, a capire. Ditelo forte, tutti voi che avete responsabilità; diciamolo insieme: non serve ingiuriare, non serve condannare, non serve strillare: occorre capire, occorre cercare, occorre studiare, occorre conoscere, occorre rispettare, occorre voglia di giustizia, in tutti!
Quando ho visto l'altro sbattuto in galera, quando l'ho messo al rogo, quando l'ho condannato, quando l'ho insultato, non ho risolto niente se non ho capito. È soltanto il capire che fa andare avanti il mondo; è la voglia di risolvere i problemi giorno per giorno, cominciando dai piccoli, che fa fare a tutti noi un passo verso il futuro!
Io ho tentato di dire cose che riguardano la vita di ogni giorno; qualcuno di voi, forse, sarà rimasto un po' turbato da queste mie parole... Passateci sopra e perdonate! Non giudicate! Ma vorrei che fosse chiaro per tutti che il nocciolo di quello che ho tentato di dire stasera, è nel Vangelo di Gesù. Ed è importante per la nostra vita!
Il Signore ci aiuti!
Apparve una moltitudine immensa, di ogni nazione razza popolo e lingua. 1 novembre 1995
"Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia".
C'è uno stupore, una meraviglia, che attraversa tutta la storia dei credenti - almeno la storia di chi ha cercato di credere sul serio - ed è lo stupore, la meraviglia, del trovare spesso in chi non crede, in chi la pensa in maniera diversa, in chi non prega, la giustizia, il bene.
Succedeva così agli antichi Ebrei che andavano in Egitto - la terra della incredulità e degli idoli -: trovavano persone buone, disposte a dar loro un po' di grano, nei tempi di carestia. Succedeva al popolo quando è stato portato in esilio, in Babilonia; e là, tra gente che consideravano nemica, là dove c'erano tanti templi degli idoli, hanno trovato tante persone che, forse, erano migliori di loro!
E il Vangelo non è forse attraversato, in molte pagine, da soldati romani che ricevono l'elogio di Gesù? E il prototipo dell'uomo buono, dell'uomo giusto, nel Vangelo, non è un Samaritano (un miscredente, un nemico)? Non è lui, che sa chinarsi con tenerezza sull'uomo ferito?
Nel libro degli Atti i discepoli si accorgono, con stupore, che lo Spirito li ha preceduti nel cuore di molti uomini. E tutto questo stupore culmina nella straordinaria visione del libro dell'Apocalisse, "di una moltitudine immensa, di ogni razza popolo e nazione", che ha camminato verso Dio!
Spero che quasi nessuno di voi mi domanderà, come mi hanno domandato tante volte nella mia vita: "Ma allora noi, che ci facciamo qui?" Ma noi, fratelli, non siamo qui perché siamo migliori degli altri, perché siamo più buoni di tanta gente che c'è nel mondo. Noi siamo qui perché abbiamo la fortuna di celebrare la nostra vita, di cantarla; abbiamo la fortuna di poter ringraziare! Ringraziare tutta questa gente, che si porta nel cuore desideri di giustizia e di verità e di pace!
Noi siamo qui per ringraziare lo Spirito: perché Lui, per fortuna, non è monopolio nostro. Soffia in ogni angolo della terra e suscita nel cuore di tanta gente sentimenti di pace, di mitezza, di bontà. Noi siamo qui proprio per ringraziare lo Spirito per il Suo "soffio", che rinnova la terra, continuamente.
Noi siamo qui per contemplare, con gli occhi della nostra fantasia, questa "moltitudine immensa". E ne abbiamo bisogno! Troppo spesso guardiamo la TV, leggiamo i giornali: e lì - lo sapete - si parla di chi fa il male, di chi uccide, del padre che maltratta i figli, di chi vende la droga, di chi fa violenza agli altri! Non si parla mai della moltitudine immensa dei padri, che ogni giorno vanno a lavorare, che si preoccupano dei figli, che cercano di provvedere al loro futuro, che custodiscono la loro vita. Non si parla mai delle mamme, che trafficano dalla mattina alla sera e circondano di tenerezza ed affetto la vita dei propri figli. Non si parla di tanti insegnanti, che ogni giorno lavorano con i loro alunni: per cercare di portare cultura, per educarli, per farli crescere.
Questa gente non fa rumore! Di questa gente ce n'è in ogni angolo della terra! E noi abbiamo bisogno di guardare qualche volta il mondo con gli occhi di Dio e non con gli occhi della TV; di guardare questa "moltitudine immensa" che popola il nostro mondo.
Noi ci ritroviamo qui, anche per riscoprire in Gesù - e nelle straordinarie parole che abbiamo ascoltato ancora una volta - il senso più profondo della nostra vita. La vita di un uomo vale se c'è nel suo cuore "fame e sete di giustizia"; se c'è mitezza, tolleranza, misericordia, desiderio vivo di pace!
Noi siamo qui per lo Spirito: perché faccia anche noi capaci di camminare insieme con questa gente, di attraversare la vita con fiducia e serenità, cercando ogni giorno di fare il bene. E un giorno, alla fine, ci ritroveremo insieme, in una "moltitudine immensa, di ogni razza, popolo e nazione"; e spero che allora non ci meraviglieremo più di trovare accanto a noi - magari un passo avanti - gente che non è venuta mai a pregare con noi, qui in Chiesa; gente che abbiamo considerato nemici, li ritroveremo nella grande festa dei giusti, nella grande festa di chi si è portato nel cuore desideri di pace, passione per la giustizia e per il bene!
Il Signore ci aiuti a contemplare questa moltitudine immensa; ci aiuti a ringraziare; ci aiuti a camminare ancora sulla strada di tutti i santi che ci hanno preceduto nelle vie della vita. E di quelli che ancora camminano su questa strada, in ogni angolo del mondo!
1995
Sono ormai più di 25 anni, che vivo in questa parrocchia; ed ognuno di questi 25 anni è accompagnato dal ricordo di qualcuno, che ha terminato il suo cammino in mezzo a noi. Più passano gli anni e più si allunga la galleria di questi volti, di questi ritratti di gente che ha camminato con noi, a cui abbiamo voluto bene, che ci ha voluto bene, che ha condiviso con noi il cammino della vita.
Alcuni, arrivati alla fine dopo una vita lunga e operosa, se ne sono andati serenamente: come dice la Scrittura, "vecchi e sazi di giorni". Altri se ne sono andati dopo una malattia più o meno lunga, magari arrivati all'età della pensione, quando era giusto che godessero il frutto di tanta fatica. Altri se ne sono andati nel fiore degli anni, a volte con dolori strazianti. Altri se ne sono andati quando erano ancora giovani, quasi ragazzi, qualcuno addirittura bambino! lasciando dietro di sé la vita sconvolta, un dolore quasi insopportabile.
Ci siamo detti tante volte, in questi anni, che l'unico modo che noi, povere creature, abbiamo di rispondere alla morte, è quello di moltiplicare la vita: tante volte ci siam detti che la morte non può spegnere in noi il desiderio di vivere, di fare il bene, la voglia di tenerezza. Ma tante volte, in questi 25 anni, ho sentito persone dire che questo è quasi impossibile: che quando se ne va un figlio, quando se ne va un ragazzo, il dolore spegne dentro ogni voglia di vivere!
Per questo la prima cosa che vorrei invitarvi a fare, stasera, è proprio pregare perché a nessuno di noi manchi il coraggio di sorridere ancora alla vita, di moltiplicare intorno a noi la gioia, la tenerezza, il piacere. È difficile... ma lo Spirito di Dio può compiere in noi questo miracolo! Lo dobbiamo chiedere! Perché il dolore non serve a niente: non serve a noi, non serve a quelli che sono morti; e loro, se fossero ancora qui, in mezzo a noi, ci chiederebbero di vivere! Di vivere con tutta la passione della nostra vita, anche se qualche volta è così difficile, quando il ricordo diventa lacerante!
E allora la preghiera stasera la facciamo per noi, perché i nostri morti non hanno bisogno delle nostre preghiere: loro sono affidati nelle mani di Dio! Siamo noi, che abbiamo bisogno di loro: abbiamo bisogno che loro ci diano il coraggio di vivere ancora, di fare il bene. Abbiamo bisogno di conservare memoria della loro vita, di quanto sono stati preziosi nel nostro cammino sulla terra. Abbiamo bisogno di conservare nel cuore la riconoscenza, la tenerezza, la gratitudine per tutto quello che ci hanno dato.
E stasera siamo qui per fare memoria di loro davanti a Dio. E invochiamo lo Spirito di Dio, ancora, per noi: perché ci ravvivi nel cuore la certezza che il Dio in cui crediamo non è un Dio dei morti, ma dei vivi! Le persone che ci hanno preceduto non sono scivolate nel nulla, ma sono affidate nelle mani amorose di Dio!
Con fiducia, camminiamo anche noi (a volte ci riesce difficile! ma per questo stasera siamo qui a pregare), camminiamo anche noi verso la luminosa visione di Isaia, quando Dio asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi e non ci sarà più la morte e potremo partecipare tutti alla grande festa che Dio prepara per noi!
E allora, con fiducia, rinnoviamo la nostra preghiera, facendo memoria di quelli che son morti!
Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere Gesù... 5 novembre 1995
poiché era piccolo di statura, salì su un sicomoro.
Ci sono nel Vangelo di Luca delle perle preziose, dei racconti straordinari, che non si trovano in nessun altro vangelo. Pensate, per esempio, al racconto dell'Annunciazione o al racconto della nascita di Gesù; pensate alla parabola del padre misericordioso o al racconto dei due discepoli di Emmaus; o a questo racconto. Luca e la sua comunità non hanno trovato queste storie nelle antiche carte, che Luca dice di aver cercato e consultato accuratamente. Sono racconti che hanno costruito con grande libertà, per esprimere la loro fede; sono dei simboli straordinari, attraverso i quali vogliono comunicarci la loro esperienza di Gesù. Hanno potuto esprimere qui tutta la loro fantasia di credenti.
E credo che sia giusto, per noi, rivivere questi racconti facendo appello alla nostra fantasia. Nessuno di voi, penso, si offenderà se cerco di farvi rivivere questa pagina, raccontandovela come faccio in genere con i bambini: l'ho raccontata ormai centinaia di volte. Non dice Gesù che, se non diventiamo bambini, non possiamo entrare nella realtà del Suo Regno? E allora, con la fantasia di un bambino, provate ad immaginare Zaccheo: guardatelo con i vostri occhi...
Un po' avanti con l'età; piccolo, calvo; un uomo grintoso, astuto, un uomo di grande valore. Fa di mestiere il pubblicano, l'esattore delle tasse: riscuote tasse per conto dei Romani, che hanno conquistato tutto il bacino del Mediterraneo, e di una cosa sola si preoccupano: prendere soldi un po' da tutti, anche lì, in Palestina, per poter vivere nel lusso, senza troppo lavorare, qui a Roma.
Tutti a Gerico, nella sua città, considerano Zaccheo un gran farabutto; ma a lui non importa come lo considera la gente; lui, fin da giovane aveva uno scopo, l'ha cercato con tutte le sue forze, Ha lavorato giorno e notte... E c'è riuscito: è un uomo "arrivato". È ricco, s'è costruita una bella casa fuori città, è un uomo importante e potente, ha fatto carriera, è un capo, ormai. Non deve più andare a bussare, casa per casa, a chiedere le tasse: manda gli altri.
È vero, per fare strada ha dovuto rubare, è passato sopra a tanta gente; a volte ha visto gente piangere, raccomandarsi, gridare, perché non riusciva a pagare... Non gli importava di tutto questo: lui voleva diventare ricco, voleva diventare una persona importante, ad ogni costo! E c'è riuscito: la gente lo teme; quando viene in città, tutti gli fanno largo; ogni tanto qualcuno viene a raccomandarsi, a chiedergli dei favori e lui, qualche volta, li concede anche. Tutto quello che voleva ottenere - essere una persona importante, potente, ricca, rispettata o meglio, più che rispettata, temuta - l'ha ottenuto.
Ma qualche volta sente dentro di sé un senso di vuoto, quasi una insoddisfazione; e non riesce a capire perché...
E un giorno sente parlare di un certo Gesù. Gli raccontano tante cose strane, di lui: tanta gente lo cerca, ha tanti amici, sembra un uomo libero, sempre gioioso, felice! E Zaccheo domanda: "Ma è forse più ricco di me?" Gli dicono: "No. Faceva il falegname, ha lasciato Nazareth, il suo paese, non ha più niente. Adesso qualche volta va a dormire da qualche amico; quando non ha nessuno, dorme sotto le stelle! Mangia qualcosa che gli offriamo noi". "Ma allora è una persona potente, un amico dei Romani?" "No, si tiene lontano sia dai Romani, sia dai capi della nostra gente: sembra che non gli interessi il potere. Lui parla con la gente, tocca il cuore della gente: lui sa farsi degli amici, ha vicino tanta gente che gli vuol bene!"
E Zaccheo non riesce a capire! Non riesce a capire quest'uomo, così diverso da lui. E sente crescere dentro di sé il desiderio di incontrarlo... vuole vederlo, Gesù! Vuole cogliere nei suoi occhi il segreto di quella vita: perché ha tanti amici? perché la gente lo cerca? perché sembra un uomo libero e felice?
E un giorno Zaccheo viene a sapere che Gesù sta per venire nella sua città. E allora va, si decide forse un po' tardi; quando arriva trova già tanta gente lungo la strada e Zaccheo, che è basso, non riesce a vedere: cerca di farsi largo, per andare più avanti, per vedere Gesù; ma nessuno lo lascia passare... Le volte precedenti, quando Zaccheo arrivava in città, tutti lo ossequiavano, si inchinavano, gli facevano spazio; oggi nessuno si muove: sembra che Gesù abbia tolto la paura dal cuore della gente! Zaccheo prova ad alzare la voce, ma nessuno lo fa passare; allora corre più avanti lungo la strada; ma, man mano che Gesù avanza, la gente gli si mette davanti. E lui non riesce a vedere!
Allora ha un'idea: "Salgo su quell'albero: nessuno mi si metterà davanti". Immaginatelo, quest'uomo di una certa età, quest'uomo potente, arrampicarsi su un albero, come un monello. E si nasconde fra le grandi foglie (Luca ci ha detto che è un albero di sicomoro: ha le foglie simili a quelle dei nostri fichi); si nasconde lì, forse impaurito da quella folla: sembra gente entusiasta, esaltata.
La folla avanza. Gesù si ferma sotto l'albero, alza gli occhi. Guardate Zaccheo: forse ha un attimo di paura! Forse si sente scoperto, là sull'albero. "Cosa farà adesso, Gesù? Aizzerà la folla? Mi farà pagare tutte le malefatte della mia vita? Tutta questa gente, che spesso ho calpestato, qualcuno che ho mandato in prigione... forse prenderanno le pietre". La paura negli occhi di Zaccheo!
Gesù lo guarda con un sorriso: "Zaccheo, scendi. Voglio venire a cena con te!" È la prima volta che qualcuno lo cerca, non per i suoi soldi, non perché ha paura di lui, non per chiedergli un favore: lo cerca perché è lui, perché vuole incontrarlo, diventare suo amico! È come se un muro crollasse, davanti agli occhi di Zaccheo: per la prima volta vede l'altra faccia della luna!... un mondo luminoso, un mondo in cui l'amicizia, la gratuità, la tenerezza, sono parole vere! Scopre tutto questo negli occhi di Gesù.
Ed esplode, nel cuore di Zaccheo, la gioia! "Scese in fretta - dice Luca - pieno di gioia". E corse a casa, a preparare la sua cena. Avrà chiamato... amici no, Zaccheo non ne aveva! Avrà chiamato i suoi dipendenti, la gente che non poteva dir di no ad un suo invito. Si raduna tanta gente nella sua casa: qualcuno mormora perché Gesù va a mangiare con un farabutto...
Ma a Zaccheo non interessa più niente. Gli interessa solo guardare gli occhi di Gesù! Si alza: "Se ho rubato, restituisco quattro volte tanto. La metà dei miei beni la do ai poveri". È la gioia! la gioia di aver visto un mondo diverso, di aver visto la realtà che Gesù si porta dentro! Le tante cose, per cui Zaccheo ha vissuto fino adesso, sembrano quasi non contare più, perché Zaccheo ha scoperto l'altra metà del mondo: ha scoperto la vita! Ha scoperto la gratuità, l'amicizia, l'amore! E si ritrova, dentro, la gioia!
Fratelli, una storia raccontata con fantasia, come si fa con i bambini... Ma se non ci facciamo un po' bambini, tutti, non possiamo incontrare Gesù! Noi siamo qui, intorno alla tavola, convocati da Gesù. Anche a noi dice: "Vieni! Voglio fermarmi a cena con te! " Come a Zaccheo, non ci rivolge rimproveri, parole aspre, non ci dice quello che dobbiamo fare. Lui vuole che facciamo esperienza di Lui, che ci ritroviamo con Lui intorno alla tavola, che sentiamo vivi i valori che Lui si porta dentro, che ci nutriamo di Lui, perché la gioia attraversi la nostra vita!
Il Signore lo faccia per noi!
"Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi." 12 novembre 1995
Uno dei misteri più profondi della vita dell'uomo, forse il più profondo, è il mistero della morte. E sotto ogni cielo, in ogni tempo, gli uomini hanno cercato di sapere cosa ci fosse al di là dell'ultima soglia: cosa ci aspetta dopo il cammino della vita.
In ogni angolo della terra, fin dai tempi più antichi, voi trovate delle storie che tentano di immaginare il cammino nell'aldilà, la lunga strada dell'ombra che ha varcato la soglia della morte: trovate racconti di questo genere nell'antico Egitto, nella Grecia come a Roma, come nel mondo degli Etruschi. E per venire più vicino a noi, tutti conoscete le innumerevoli descrizioni, che nella nostra tradizione cristiana ci sono, dell'aldilà: pensate a Dante, alla sua straordinaria "Commedia"; pensate alle tante raffigurazioni dell'Inferno, del Paradiso, del Purgatorio, che voi avete visto in tanti quadri, a volte straordinari per bellezza.
C'è nel lontano Oriente una mentalità, molto diversa: là non pensano soltanto ad una vita, ma ad una reincarnazione che si ripete diecine, forse centinaia e migliaia di volte: un essere vivente passa da una vita all'altra, portandosi dietro soltanto il peso del bene o del male che ha compiuto; di lui non resta altro che, per così dire, una spremuta della sua vita, il Karma: il peso della sua esistenza o buono o cattivo.
E anche oggi capita, in qualche trasmissione televisiva dove si parla del "paranormale", di ascoltare qualcuno che racconta di essere ritornato dal coma, dove ha visto la luce che brilla al di là della soglia della morte! O avrete qualche volta parlato con qualcuno che cerca di captare, con il registratore, una voce che viene dall'aldilà; o con chi pensa di essere entrato in contatto, nel sogno, con qualcuno di quelli che non sono più!
In ogni angolo della terra, in tutti i tempi, gli uomini hanno cercato di sapere cosa c'è al di là, cosa succede "dopo", come si vive "dopo"... Chi legge la Scrittura si meraviglia che si parli così poco, sia nell'Antico Testamento, sia nel Vangelo, dell'aldilà: sembra che non ci sia alcuna risposta a questo bisogno, che sembra essere così profondo, così radicato nel cuore dell'uomo, di sapere cosa c'è dopo la morte!
Ma, vedete, nel cuore del credente c'è la convinzione che al di là della soglia della morte c'è Dio! Non incontreremo il vuoto, ma il sorriso di Dio, la nostra vita sarà custodita dalle mani amorose e forti di Dio. E questo basta al credente!
Ogni parola che incontriamo sull'aldilà - come quella che abbiamo ascoltato oggi - è scritta per aiutarci a capire le cose essenziali della nostra vita, qui; perché poi, nell'aldilà, ci sarà Dio! e non dobbiamo aver paura di nulla.
Nel Vangelo troviamo due indicazioni importanti: la prima ci ricorda il valore assoluto della vita umana: "Dio è il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe". Dio è amico di persone che hanno un nome irripetibile, la vita concreta di queste persone è preziosa! Le loro avventure, i loro sogni, le vicende che hanno vissuto, i pensieri che hanno avuto, le amicizie, i loro sforzi per vivere con giustizia e onestà, quello che si portavano nel cuore, quello che hanno compiuto! E Dio renderà giustizia alla loro vita, custodirà nella sua mano i loro nomi: è il Dio dei vivi e non dei morti!
E la seconda indicazione che troviamo nel Vangelo di oggi ci porta al cuore della nostra vita: a chi pensa di negare e di mettere in ridicolo la risurrezione e la vita, dicendo: "Questa donna ha avuto 7 mariti; di chi sarà moglie, domani?", Gesù risponde invitandolo a vivere un sogno! Il sogno, di un mondo in cui, l'amore sarà finalmente liberato, in cui finalmente saremo liberi dal "mio" e dal "tuo"; liberi dalle invidie, dalle gelosie, dalle paure che ci impediscono di volerci bene tutti, di accoglierci tutti! Un mondo in cui cadano le divisioni dei nazionalismi, le lotte per il possesso della terra, la mancanza di pace! Un mondo di fratelli, un mondo in cui 7 uomini possono amare la stessa donna e vivere un amore pienamente liberato: un amore libero, come l'amore di Dio, che ci ama tutti allo stesso modo, che non fa distinzioni fra di noi.
Ecco, vedete: qui non si parla di quello che sarà al di là della morte, di quello che c'è dopo; qui si parla di me, di voi, della nostra vita! Qui Gesù ci ricorda che la nostra vita ha un valore assoluto, che Dio ci conosce tutti per nome e la nostra vita non andrà perduta! E ripropone davanti ai nostri occhi il sogno di un mondo, in cui finalmente saremo liberati! Liberati da tutto quello che ci impedisce di essere fratelli, liberati da tutto quello che ci divide, liberati da ogni gelosia, da ogni desiderio di possedere uomini e cose. Liberati per vivere un mondo in cui regni veramente in tutti l'amore e la pace di Dio!
Il Signore conservi anche nel nostro cuore questo sogno: è l'essenza della nostra vita!
Ecco sta per venire il giorno rovente come un forno... 19 novembre 1995
"Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà".
Quando si legge il Vangelo insieme, le parole che abbiamo ascoltato stasera - ed altre simili, che ci sono in tutti i Vangeli - suscitano sempre attenzione, perplessità, in qualcuno addirittura apprensione. C'è sempre qualcuno che domanda: "Perché questa gente aveva tanta paura? Perché tante immagini catastrofiche? Perché i primi Cristiani erano convinti che il mondo finisse di lì a poco tempo? E che c'entriamo noi con questa mentalità?"
Ecco, tenterei stasera di aiutarvi a capire un pochino la loro mentalità; ed anche - se mi riesce, ed è per me ancora più importante - aiutarvi a vedere come questa mentalità continua ancora ai nostri giorni!
Al tempo di Gesù la gente della Palestina viveva tempi estremamente difficili: l'esercito romano aveva invaso la loro terra portando distruzioni, carestie e pestilenze. La paura, la disperazione prendeva sempre più il cuore e la mente della gente. Molti non vedevano più un futuro, non potevano riporre alcuna fiducia nel domani: c'erano sempre più persone che pensavano che il mondo stesse per finire. E la fantasia della gente si popolava di immagini catastrofiche: vedevano le stelle cadere dal cielo, il fuoco e sangue invadevano il mondo, i poeti cantavano i mostri marini che uscivano a devastare la terra, e via discorrendo.
Forte era la tentazione di lasciarsi vincere dalla paura, di allontanarsi dai problemi della vita di ogni giorno. C'erano gruppi di persone (alcuni ne conosciamo abbastanza bene, perché hanno lasciato ricordo di sé in alcuni scritti, ritrovati, alcuni decenni fa, nelle grotte di Qumran, che forse qualcuno di voi avrà sentito nominare), che lasciavano tutto, vendevano ogni cosa, si ritiravano ai limiti del deserto, aspettando la fine del mondo: vivevano tra di loro, in comunità chiuse e si preparavano alla fine!
E, come avete ascoltato anche nel Vangelo di oggi, c'era chi cercava di indovinare i segni di questa fine, chi cercava prodigi e fatti straordinari: nella notte della ragione, c'è sempre chi cerca rifugio nell'irrazionalità!
Ed ancora: c'era chi aspettava "Qualcuno" che, finalmente, venisse a liberare il mondo: aspettavano il grande giorno "rovente come un forno", per bruciare tutti i malvagi, i violenti, per far risplendere i giusti! E questa liberazione era affidata ad una figura mitica, straordinaria: ad uno come un "Figlio dell'uomo", che sarebbe venuto finalmente a fare giustizia!
Qualcuno di voi (ma forse non molti) domanderà: "Ma noi con tutto questo che c'entriamo?!..." Non vi sembra, fratelli, che anche noi - chi più chi meno - viviamo momenti di grande paura? Non è successo anche a voi, come a me, di parlare con una giovane donna ‑ aveva superato già da qualche tempo i 30 anni: sana, forte, bella, intelligente - "Che aspetti - le ho chiesto - a mettere al mondo un figlio?" "Checco, come puoi pensare di far nascere un figlio in un mondo così!” E non era la prima volta che sentivo questa frase: la paura del futuro, la negazione della vita si ritrovano in alcuni ragazzi, anche in mezzo a noi!
Ma, senza arrivare a questo limite, quante volte avete sentito parlare della paura del nucleare, del mondo sempre più inquinato, del dilagare della violenza? Non avete anche voi sentito parlare del famoso "buco dell'ozono", come di un grande mostro che tutti ci minaccia? Non vi sembra che ci sia tanta incapacità di affrontare con lucidità e razionalità questi problemi? Non sentite, intorno, anche nei nostri giovani, l'ansia per il domani, la mancanza di speranza nel futuro?
E non c'è in molti la tentazione di disinteressarsi del mondo, di rinchiudersi nel proprio guscio? Forse qualcuno di voi avrà conosciuto qualche "testimone di Geova": pensano che il mondo stia per finire e si disinteressano delle vicende del mondo, della vita sociale e politica, si rinchiudono nei loro gruppi dove si sentono salvati! Ma non pensate che siano solo loro: ci sono tanti gruppi di cristiani che vivono lo stesso atteggiamento: fanno lunghe preghiere fra di loro e si disinteressano del mondo!
E non pensate solo ai credenti: guardate qualche volta anche i nostri ragazzi: si ritrovano nelle loro discoteche, con i nostri linguaggi, con i nostri vestiti, a fare i loro riti, ad esaltarsi e stordirsi con la musica, qualche volta addirittura facendo ricorso a qualche droga... Perché nel mondo non sembra esserci, per loro, speranza! È la fuga e la paura!
E quanta gente, oggi, cerca segni straordinari, prodigiosi: non vi sembra che abbiano largo mercato i maghi, i chiromanti, gli astrologi, coloro che interpretano il futuro, che leggono le carte?! Non vedete che c'è gente che si arricchisce con questo? Ed anche quando si parla di cose religiose, chi sono i membri della Chiesa che vedete più spesso in TV ? Non sono mons. Milingo, mons. Balducci, padre Tardiff, i quali propongono, tutti, cose straordinarie, segni e prodigi? Perché tanta irrazionalità in molti ambiti della nostra vita?
E non c'è, anche in mezzo a noi, nella nostra vita anche civile e pubblica, l'attesa di "Colui che deve venire"? Quanti di voi pensano che ormai ci sia poco spazio per il nostro vivere politico e che dovrebbe venire un Magistrato, grande come un mito, a risolvere i nostri problemi? Quanta gente nel mondo di oggi pensa che ci vorrebbe "Qualcuno", che finalmente ci dica quello che dobbiamo fare: qualcuno che sa tutto, che sa darci leggi e regole morali che valgano per tutti?!
Vedete, se ho capito qualcosa, il Vangelo, tutto il Vangelo non soltanto le parole che abbiamo ascoltato stasera, è il tentativo di Dio di parlare dentro le nostre paure. Mi permetterete, però, di finirla qui: perché dovrei cominciare a ripercorrere tutto il Vangelo! Dovrei parlarvi della speranza, del coraggio, che Gesù è venuto a portarci, della luce che vuole metterci dentro! Una luce che ogni credente si porta nel cuore! Dovrei parlarvi del seme, che Gesù ci invita a seminare, aspettando che porti il suo frutto! Senza lasciarsi prendere dalla tentazione di fuggire, senza cercare segni straordinari, ma con lucidità, con intelligenza, con coraggio, con perseveranza, ciascuno di noi cercherà di portare nella vita, intorno a sé, un po' di quella luce che ha dentro!
Ma questo non è il compito di una predica: è il compito di tutto l'anno che ci aspetta! Perché l'anno della nostra preghiera, lo sapete, sta per finire: fra due domeniche sarà già l'Avvento! E cominceremo ad aspettare di nuovo Gesù! Cominceremo a cercare in Lui la liberazione dalle nostre paure, il coraggio giorno per giorno, di rendere il mondo un po' più bello di come l'abbiamo trovato!
Il Signore ci aiuti a conservare questa speranza nel cuore!
"Gesù, ricordati di me..." 26 novembre 1995
Nella settimana passata ed anche stasera, in tutti i gruppi in cui ci siamo ritrovati insieme a leggere la Parola di Dio - il Vangelo di Luca o gli Atti degli Apostoli - ci è capitato di riflettere sulla necessità, ed anche sulla grande difficoltà, di distinguere tra la mentalità nostra, le nostre scelte, i nostri bisogni, i nostri modi di pensare e di parlare, e il messaggio, la realtà di Gesù.
Le mentalità cambiano: i modi di pensare, i modi di parlare, mutano attraverso i tempi e occorrerebbe essere capaci di annunziare, di testimoniare il Cristo, "dentro" le diverse mentalità, sapendo accuratamente distinguere tra l'eterna Parola di Gesù, il nocciolo del Suo messaggio, e la mentalità che ciascuno di noi inevitabilmente si porta dentro. Non è facile! Ma le conseguenze - se non si riesce a farlo - a volte sono disastrose.
Mi colpiva, in questa settimana (forse ha colpito anche qualcuno di voi), l'aver sentito alla TV il Cardinale Primate di Polonia presentare le elezioni come la contrapposizione tra il cristianesimo e il paganesimo! Con la drammatica conseguenza che s'è ritrovata la maggior parte dei fedeli pagani... E adesso vedrete le conseguenze: cercherà i colpevoli! E il colpevole non è mai lui: sono sempre gli altri! Saranno i cristiani, i preti... Perché non ha saputo distinguere tra il messaggio di Gesù, l'eterna Verità di Cristo, e la propria mentalità, le proprie scelte, le contingenze politiche. Quanto abbiamo patito, nel nostro Paese, per non aver fatto questa distinzione!
Proprio ieri un signore mi ricordava il grido, la supplica di tanti missionari, dell'Africa o dell'Asia: "Lasciateci annunziare Gesù! Non costringeteci ad annunziare la vostra mentalità, la vostra filosofia: le antiche parole di San Tommaso e di Aristotele. La gente ha bisogno di Cristo!"
Vedete, anche la festa che oggi celebriamo è stata istituita ormai parecchi anni fa, quando i capi della Chiesa volevano riaffermare il loro potere anche nel mondo temporale; e poi dovendo scegliere una pagina del Vangelo per celebrare Cristo Re, si sono ritrovati tra le mani quella che abbiamo letto stasera! Non si può fare a meno del Vangelo: ma cosa abbiamo letto? Che Gesù hanno saputo accettarLo soltanto quelli che sono andati al di là della propria mentalità, dei propri bisogni, delle proprie attese!
Intorno alla croce - avete sentito - i capi del popolo, i sacerdoti, i maestri della legge dicevano "Se tu sei il Messia, l'inviato di Dio, scendi! e allora crederemo". Si aspettavano un Inviato di Dio potente, forte: questa era la loro mentalità.
Ai soldati hanno detto che quello era il re: un re con la corona di spine in testa?!.. su una croce?!...: "Se sei un re, scendi!" e lo prendevano in giro.
Anche il ladrone accanto a Lui: "Se sei il Messia, salva te stesso e anche noi". E non è sceso da quella croce, non ha salvato né se stesso, né loro.
C'è soltanto uno, tra tutta questa gente - gente che ha la propria mentalità, che s'aspetta un Dio potente, forte, un Messia glorioso, l'erede di David, di cui ci parlava la prima lettura -, soltanto uno che Lo chiama per nome, il nome che gli aveva dato sua mamma: "Gesù, ricordati di me!"
Vedete, fratelli, noi ci ritroviamo qui, domenica dopo domenica, per tentare di dire: "Gesù!" di capire chi è Lui per noi! Al di là delle contingenze della nostra vita, dei nostri bisogni, della nostre necessità, delle nostre diverse mentalità. E l'esserci ritrovati qui ci ha permesso di scoprire in Lui tesori di vita, di liberazione, di salvezza.
E domenica prossima sarà già Avvento e cominceremo ad aspettarLo di nuovo, a cercare di nuovo il Suo volto! Chiederemo aiuto allo Spirito, che ci aiuti a comprendere Gesù, che ci aiuti a far entrare un po' della Sua vita nella nostra vita! E ancora, in quest'anno che ci sta davanti, troveremo in Gesù tesori di luce, di salvezza, di liberazione, di vita!
Lo Spirito lo faccia per noi!
"Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si 29 giugno 1995
compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili".
Rispose Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente". E Gesù: "Beato te, Simone
figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli".
Uno dei problemi del mondo di oggi - un mondo che va sempre più di corsa, che è sempre più proiettato verso il futuro - è il rischio di perdere le radici, il ricordo del passato. È un rischio che corrono soprattutto i giovani. Ed è un problema che, forse qui, da noi, si accentua: perché se andate in giro per Ostia, tutto è nuovo. Non abbiamo qui nessun palazzo, nessun monumento, nessuna chiesa antica, come ci sono in tante parti d'Italia: chiese che i nostri antichi hanno costruito, mettendo una pietra sull'altra, con il lavoro delle loro mani. Noi rischiamo di essere - lo rischiano anche i nostri ragazzi - gente senza radici, che non sa guardarsi alle spalle, che non sa tener conto di tutta la fatica che gli uomini hanno fatto, per arrivare fino a noi! E questo in tutti i campi della vita: nella tecnica che ci permette di spostarci e comunicare con grande rapidità, nella scienza, come nella medicina ed anche nei valori... Vale anche per la fede!
È giusto, quindi, che noi ci ritroviamo a far memoria degli Apostoli Pietro e Paolo, che sono stati tra i primi a portare qui la fede, l'annunzio del Signore. E dopo di loro, tanta gente, che, fino a noi, hanno testimoniato Gesù, hanno creduto, hanno sperato, hanno cercato il Signore! È importante, far memoria di questi Santi, far memoria della storia che ci ha preceduto; a patto che non facciamo, di questi Santi, delle immagini oleografiche, che sono sempre uguali gli uni agli altri: delle persone che hanno sempre ragione, che non hanno mai sbagliato, che non hanno mai peccato.
Noi per fortuna abbiamo le Scritture: se leggete il Vangelo e le Lettere di Paolo, vi accorgerete quanta diversità c'è tra lui e Pietro: sono diversi per nascita, per carattere, per gli studi che hanno fatto, per l'ambiente in cui sono vissuti, sono diversi anche per il modo di pensare e le scelte che hanno fatto. Coloro che ci hanno preceduto non erano uguali gli uni agli altri: ognuno aveva il proprio genio, il proprio modo di pensare, le proprie idee. Ed è giusto che sia così, nella chiesa di un tempo, anche in quella di oggi. Se voi leggete il Vangelo, vi accorgerete che di Pietro - il Capo! - si parla spesso per ricordare i suoi momenti di debolezza, i suoi difetti, i suoi limiti; si sottolinea che lui per tre volte ha rinnegato il Signore; si sottolineano le sue impazienze, le sue intolleranze, le sue debolezze, le sue vigliaccherie! Se leggete le lettere di Paolo, sentirete, descritte da lui stesso, tutte le difficoltà, le lentezze, i fallimenti della sua missione.
Ed è importante far memoria di questo, è importante ricordare i difetti e i fallimenti di questa gente: chi ci ha portato il messaggio di Gesù era gente come noi: hanno cercato, si son dati da fare... ma non son riusciti a cambiare gran che del mondo! Eppure, noi siamo ancora qui perché tanta gente come loro - tanta gente come noi - con i propri difetti, con le proprie diversità, ha continuato a cercare, a sperare. Alcuni - come Pietro e Paolo - sono stati testimoni fino al sangue, fino a dare la vita: per rimanere fedeli!
Facciamo memoria di questi Santi; e penso che in queste occasioni ciascuno di noi - per me, siccome gli anni passano, diventano sempre di più - fa memoria anche delle persone che noi abbiamo conosciuto, che ci sono state più vicine: i credenti che hanno consegnato a noi la freschezza del Vangelo, il coraggio di credere, di continuare a sperare nel mondo, nella vita, in Dio, in Gesù!
Ecco, noi siamo qui, stasera, proprio per far memoria di questa storia, per non perdere le nostre radici, per sentirci parte di tanta gente, che attraverso le difficoltà - anche attraverso gli sbagli, il peccato, i fallimenti - ha continuato a credere, a sperare, a tentare di costruire il mondo! Ed anche tentiamo di continuare a camminare su questa strada, per essere, anche noi, testimoni di Gesù!
Il Signore ci aiuti a farlo.