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OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 1993-1994 - Vangelo di Marco
Indice
1993
"Come uno che è partito per un lungo viaggio... e ritornerà". Vedete, una delle intuizioni fondamentali della nostra fede - della fede del popolo d'Israele, prima, e poi della nostra fede di credenti in Cristo - è che Dio lo si incontra nel futuro, non nel passato: non è il rifugio a cui tornare nel momento del bisogno, non è la protezione che ci sta alle spalle; Dio lo possiamo incontrare nella sfida di ciò che accadrà: occorre guardare avanti e camminare verso di Lui, verso la piena realizzazione del suo progetto. Noi siamo qui, riuniti nella fede che Gesù viene, viene in questo Natale, viene all'orizzonte della storia. È Lui la nostra speranza, è Lui la certezza che ci riunisce insieme. Nel futuro del cammino dell'uomo c'è Dio: i suoi valori, la sua realtà, la pienezza della sua gratuità, la pienezza del suo regno. Verso di Lui noi camminiamo. Per questo noi dobbiamo vegliare e cercare con passione le cose che per Gesù erano importanti, i valori che ha realizzato in questo nostro mondo. E Gesù ha tentato di realizzare, in mezzo a noi, la pace, la pienezza della vita, la tenerezza, il servizio, la vita condivisa e donata!
Vedete, noi ci mettiamo in cammino, in questo Avvento, ci volgiamo al Natale, ormai quasi alle soglie del secondo millennio. Chi di voi conosce la storia sa che, quando si avvicina la fine di un millennio, c'è sempre qualcuno - e cominciano a sorgere già in mezzo a noi - che vuol mettere paura: c'è chi crea ansia, minaccia catastrofi, chi annuncia la fine del mondo, oscure previsioni per il tempo che viene. Io vorrei - non l'ho fatto quasi mai - ma vorrei darvi un compito per questo Avvento e per l'anno che viene: un compito! Un compito come quelli che si davano a scuola: un compito serio! Sperando, anche, che qualcuno porti i risultati di questo compito.
E qual è il compito che vorrei affidarvi? Cercare - con attenzione, con passione, con dedizione - tutti i segni di fiducia, di speranza, che possiamo consegnare ai nostri ragazzi, alla soglia del duemila. Non è una cosa facile! Ma ci dobbiamo riuscire. Io son qui, per chi vuole parlarmi, chi vuole scrivere, chi vuole comunicarmi le sue idee. È importante che tutti ci impegniamo in questa ricerca!
Che cosa può dare fiducia ad un bambino che nasce oggi? Questo bambino che qui, in mezzo a noi, faceva sentire la sua vocina - nato da poco: quanto avrà? nemmeno un anno, penso! - si sentiva soltanto il suo grido: che speranza possiamo dare a questo bambino per il futuro, per il 2000? Lui vivrà nel 2000; gli auguriamo di vedere quasi il 3.000 - uno che nasce adesso può arrivarci a vedere il 3000... no... Eh! mi sono allargato, portate pazienza! Il 2100 possiamo augurargli di arrivare a vederlo! Che speranza possiamo dargli per la sua vita? Occorre fare due ricerche: una grande, che riguardi le tendenze globali della vita dell'uomo, i segni positivi di un mondo che cambia; una piccola, alla ricerca dei gesti di ogni giorno, dei segni concreti che ciascuno può vedere con i propri occhi e che danno fiducia e speranza.
Io, questa domanda, ho già cominciato a farmela e, guardandomi intorno, ho trovato che questo bambino conoscerà un mondo in cui gli uomini vivranno un grande bisogno di unità, cercheranno di capirsi sempre di più. Mi sono accorto, da quello che si legge, dal modo di parlare, che oggi c'è sempre un'attenzione verso coloro che la pensano diversamente da noi, verso le altre culture, le civiltà lontane (anche a voi sarà capitato di leggere o sentir raccontare qualcosa sull'India, sulla religiosità indiana). Questo desiderio di conoscersi, di capire e rispettare l'altro, di essere uniti (non è sempre stato così!) è uno straordinario motivo di fiducia per un bambino che nasce in questa fine di millennio!
Ancora, se mi guardo intorno trovo che nell'uomo d'oggi c'è una sempre maggiore sensibilità verso il dolore degli altri: non sopportiamo più di vedere la gente soffrire! La TV ci mostra immagini di gente che soffre e ci commuoviamo, magari non sappiamo cosa fare e ci sono i primi timidi tentativi di intervenire: fare qualcosa per la Bosnia, per la Somalia.... Non dimenticate che al tempo di Gesù Cristo la gente andava allo stadio per vedere esseri umani che si scannavano! Era gente indifferente al dolore; anzi il dolore era uno spettacolo! Non dimenticate: gli uomini sono andati in un altro paese quasi sempre, solo per depredare e distruggere!
Oggi noi non sopportiamo più di sentire che accanto a noi c'è tanta sofferenza: spesso, poi, non sappiamo cosa fare... Ma noi consegniamo a questo bambino l'insofferenza per il dolore: non lo sopportiamo più! E non è una cosa che sia sempre accaduta nella storia degli uomini!
In più, mi sembra di capire che negli anni 2000 l'uomo dedicherà sempre più le sue risorse non tanto a moltiplicare la tecnica: ormai abbiamo aerei che viaggiano a velocità superiore al suono; abbiamo costruito macchine sempre più perfette. I medici hanno scoperto quasi tutto del nostro corpo, ormai sono capaci di vincere quasi tutte le malattie. Forse è arrivato il tempo - e se ne cominciano a vedere le avvisaglie - di dedicarsi a capire cosa c'è nel cuore dell'uomo. Adesso è importante capire il cuore! Forse questo bambino che nasce, fra 10 o 20 o 30 anni, troverà attorno a sé tante persone che dedicano energie, ricerche, risorse economiche, attenzione a scoprire cosa c'è nel cuore dell'uomo: da dove viene la sua violenza, da dove viene il desiderio di sopraffare gli altri, da dove viene la lotta che c'è, il desiderio di conquistare il potere.
Ed un'altra delle speranze che consegniamo a questo bambino è un rispetto sempre crescente per la natura che abbiamo intorno: la capacità e la voglia di ammirare e contemplare le straordinarie bellezze del creato, il desiderio di non sciupare il mondo che abbiamo intorno e di goderlo come un dono!
Questo ho scoperto io; ma ora spero che scopriate voi altre cose, che mi diciate: "Don Checco, s'è scordato di questo... di quest'altro; non ha tenuto in conto questa cosa..." Che anche voi scopriate tutte le cose che danno fiducia, tutte le cose che racconteremmo volentieri a questo bambino, quando andrà a scuola. Perché tanta gente cercherà di mettergli paura!
E non dimenticate di guardare anche i segni piccoli, quelli che succedono nella famiglia della porta accanto! Ed io, qui, non la finirei più; e quindi devo subito mettere punto. Perché di questi segni piccoli voi ne fate ogni giorno: segni che danno fiducia, segni che fanno credere alla vita! Tutti i gesti di bontà, di tenerezza, di amore, che ci sono e di cui io sono spesso oggetto: il bene, l'amicizia, l'attenzione, la gentilezza... tutto questo dà fiducia!
Allora, un compito per questo Avvento e per l'anno che viene (e ripeterò questo discorso, spero, più di una volta): cerchiamo - con passione, con tutto il nostro coraggio - tutte le cose che possono dare fiducia ad un bambino che è nato in quest'anno, tutte le cose che possono dirgli: "Non aver paura! La luce comincia ad accendersi e diventerà sempre più grande: non aver paura! Il mondo che ti aspetta, è un mondo che può essere sempre più bello: ecco, posso mostrartene i segni! Vedi? le luci si accendono: quella piccola candela che abbiamo acceso qui in mezzo a noi è solo un piccolo segno di luce: possiamo mettercene altre!"
Il Natale che viene ci dà fiducia: questo è aspettare il Signore! E poi, non dimenticate mai che Lui è la nostra speranza, anzi la nostra certezza! Il mondo non è affidato soltanto alle nostre fragili mani: è affidato a Dio, che ha deciso di venire a condividere la nostra storia. E noi Lo aspettiamo! Ma non tenendo le mani in mano: cercando con passione i segni della luce, i segni che danno fiducia: quello che può mettere speranza in un bambino che nasce oggi.
Il Signore ci aiuti! Il Signore vi aiuti!
"..si presentò Giovanni a battezzare... predicando un 5 dicembre 1993
battesimo di conversione per il perdono dei peccati."
Isaia dice al suo popolo che ha scontato, ormai, il castigo per tutti i suoi peccati; Giovanni annunzia un battesimo di conversione per la remissione dei peccati; noi ci prepariamo al Natale e, ascoltando queste parole, siamo portati a pensare ai nostri peccati.
Che cos'è il peccato? Quando io ero ragazzo - ma, forse, come succedeva a me, succedeva anche a molti di voi - immaginavo il peccato come una serie di macchie su un abito bianco. Conservo vivo questo ricordo della mia infanzia: immaginavo la mia anima come una specie di tunica, tutta bella bianca, che con le mie mancanze si sporcava; e quindi, ogni tanto, bisognava andare al confessionale a ripulirla. (Ancora qualcuno di voi, quando viene a confessarsi, dice: "Sono venuto a darmi una bella sciacquata". Si vede che questa immagine non è soltanto mia...).
E l'altra immagine, per me legata al senso del peccato, era l'idea del castigo: io pensavo che, quando facevo un peccato, mi meritavo un castigo; ed immaginavo un po' Dio come il mio papà, che, quando la facevamo grossa ci minacciava qualche castigo: qualche volta - a quel tempo non si faceva tanta economia!- volava qualche scappellotto; nei momenti più gravi, tirava fuori anche la cinghia. Ma era buono e spesso tutto si risolveva con una bella ramanzina; e poi si andava avanti tranquillamente. E immaginavo che anche con Dio le cose andassero più o meno in questo modo.
E poi c'era qualche cosa di oscuro, che quando ero piccolo non riuscivo a capire: mi dicevano che il bambino nasceva con una specie di macchia: cioè che quella tunica, che io immaginavo, fin dalla nascita era macchiata e veniva lavata con il Battesimo; e se un povero bambino non poteva sciacquare la sua tunica nell'acqua del Battesimo, non andava in Paradiso: poteva andare soltanto al "Limbo"! E questa a me, che ero bambino, non sembrava una cosa tanto giusta. Ma sentivo anche stasera che questa idea non l'ho avuta soltanto io: in molti abbiamo pensato che non era poi giusto che un bambino cinese, che non c'entrava niente - povero! - dovesse andare al Limbo, a causa di questa oscura colpa che si portava sul cuore, ereditata fin da Adamo!
Tutto questo, per tanto tempo, mi ha impedito di riflettere con serietà su quello che è il peccato, sulla realtà del peccato. Ed è una realtà che, invece, merita tutta la nostra attenzione. Vedete, io penso che non c'è più bisogno, oggi, di immaginare un bambino che nasce con una tunica sporcata da una grande macchia; e che il Battesimo lavi questa tunica; e che se non viene lavata il bimbo va al Limbo! Tutti questi discorsi non ci aiutano più a capire, non servono più a spiegare ad un ragazzo che cresce fra noi, il problema del male. È importante, invece - e mi capitava in questa settimana di raccomandarlo anche a qualche catechista - di parlare, a questo ragazzo, della realtà del peccato che un bambino, alla nascita, trova intorno a sé. Perché vedete, un bambino, che nasce oggi, trova intorno a sé un mondo profondamente segnato dal peccato di coloro che l'hanno preceduto: un bambino che nasce, nasce innocente: su questo siamo tutti d'accordo! Non c'è nessuna differenza fra un bambino, che nasce in mezzo a noi e viene battezzato, e un bambino cinese o un bambino che nasce nel profondo dell'Africa! La differenza reale è un'altra: i bambini risultano segnati in modo molto diverso dal male di coloro che l'hanno preceduto. Io, vedete, sono nato in una famiglia di gente per bene: ho conosciuto intorno a me, fin da quando sono nato, la tenerezza, l'affetto, il rispetto, l'educazione, l'attenzione! Pensate un po' ad un bambino che nasce in una famiglia in cui c'è violenza, in cui si ruba, in cui manca l'onestà, in cui non c'è rispetto, in cui c'è sopraffazione, brutalità! Questo bambino sarà profondamente segnato da tutto questo, molto più di quanto io sono stato segnato.
E allora, è importante che un catechista dica ai bambini: "Guardati intorno! Vedi quanto male c'è e come un bambino è segnato da questo male! E renditi conto che tu, che sei nato in una famiglia per bene, sei molto più fortunato rispetto a certi altri bambini!"
E io spero che gli uomini (forse è un invito che possiamo fare ai giovani che sono tra noi) si decideranno a studiare con attenzione tutto il male che c'è, tutto quello che condiziona un bambino che nasce: a studiare addirittura le tare che vengono dal peccato di chi l'ha preceduto, a studiare i condizionamenti psicologici che pesano sull'infanzia, a studiare la violenza che c'è intorno a noi, a cercare di capire l'aggressività delle nostre città convulse. Dobbiamo mettere un bambino che nasce in condizione di essere sempre più libero! Ed io spero che gli anni duemila vedranno sempre più uomini e risorse impegnati in questi studi... e chissà che l'uomo non riesca a trovare le strade per limitare il male!
Ma intanto, cominciate anche voi a domandarvi: "Da dove viene il male? Che cosa condiziona un bambino?" Anche nelle vostre case. Perché, vedete, io ho conosciuto dei bambini che crescono, poveri!, condizionati dalle paure dei genitori, dalla mancanza di coraggio dei genitori, dalla loro incapacità di sforzarsi di accettare la vita con più ottimismo, con più serenità! Ho conosciuto ragazzi che si portano dentro, fin da quando sono piccini, tante paure, tante ansie, troppe preoccupazioni! e in tali condizioni diventa difficile essere uomo!
E allora, per fare un piccolo riassunto, sono importanti tre cose: 1°) che ci rendiamo conto - e aiutiamo i ragazzi a rendersene conto - che c'è nel mondo, intorno a noi, un male forte, pesante: non qualche cosa di oscuro, non qualche cosa di magico, ma la realtà della violenza, del male che c'è nel mondo. 2°) È importante che i nostri bambini sappiano di essere fortunati rispetto ad altri bambini, che si rendano conto di questa fortuna! 3°) Ed è importante studiare e conoscere tutto il male che c'è nel mondo e quali ne sono le cause, per cercare di cambiarlo.
Ma poi c'è un altro aspetto, che ci riguarda tutti: vedete, c'è un mistero nel cuore dell'uomo! È vero: io sono condizionato da tutto quello che c'è prima di me: sono condizionato dal male, ma per fortuna anche dal bene, dall'amore che mi hanno dato...
Ma c'è un mistero dentro di me: io posso scegliere il male! E qualche volta lo faccio! Sarebbe facile fare il bene, certe volte; sarebbe facile tendere una mano; sarebbe facile accogliere; sarebbe facile rispettarsi; sarebbe facile non arrabbiarsi; sarebbe facile vivere in pace! E parlo della casa, del posto dove lavoriamo... A volte, invece, siamo tentati di sopraffare gli altri, di essere intolleranti, di sciupare la vita! Perché lo facciamo?! C'è questo mistero, che è la libertà che c'è in ciascuno di noi.
Ed è proprio a questo nostro spazio di libertà, che si rivolge Giovanni il Battista quando dice: "Tu, prepara la strada al Signore! Vedi che puoi fare per rendere un po' più bello il mondo - il mondo che ti sta intorno - per causare un po' meno di sofferenza, per mettere un po' più d'amore! Vedi quello che puoi fare, per passare dall'egoismo alla gratuità!"
È importante conoscere il male che c'è intorno a noi, è importante studiare tutti i condizionamenti che limitano la libertà; ma è fondamentale poter rivolgere a noi stessi e ad ogni uomo, anche negli anni duemila, l'invito alla conversione, a lasciare il male per vivere il bene: altrimenti non siamo più uomini! Se qualcuno non può dirmi: "Checco, coraggio! cerca di amare, invece di odiare! Guarda: tu puoi passare dall'egoismo alla gratuità e all'amore!", se qualcuno non può dirmelo, io finisco di essere uomo!
E allora, coraggio! Il Natale che viene ci trovi impegnati a "raddrizzare le strade", a mettere un po' più d'amore intorno a noi.
Il Signore ci aiuti!
Allora Maria disse: "Eccomi, sono la serva del Signore". 8 dicembre 1993
Quando si cammina in montagna e si fatica per raggiungere la cima, è bello incontrare qualcuno che ritorna, con gli occhi incantati e luminosi, qualcuno che è già arrivato in cima e sta ritornando verso la valle e ti dice che è possibile arrivare, che lassù il panorama è stupendo!
All'uomo che combatte contro il male, che sente il bisogno di liberarsi dall'egoismo che si porta dentro, che lotta col male che c'è intorno a sé, è importante che venga incontro qualcuno che ha raggiunto lo scopo, che è riuscito a vincere il male: è importante, per lui, incontrare un segno luminoso, un segno di bellezza!
Vedete, fin dai primi tempi della vita della Chiesa, Maria è stata questo segno di speranza, questo segno di luce: lei è riuscita! È riuscita a vincere il male, è riuscita ad essere libera e - quello che forse era più importante per i primi Cristiani - non compiendo imprese eroiche e grandi, non facendo cose straordinarie, ma soltanto sapendo accogliere nella sua vita Dio! Nella sua vita piccola e quotidiana, nella semplicità della casa di Nazareth, Maria ha saputo fare spazio a Dio!
Vedete, abbiamo ascoltato, ancora una volta, il racconto della Genesi, in cui i simboli dell'uomo - Adamo, Eva; l'uomo la donna - tentano di essere come Dio, di farsi il centro del mondo, di imporsi agli altri, di essere loro a regolare il bene e il male, di stabilire ciò che è giusto e ingiusto, a partire dal proprio comodo, dal proprio egoismo. E le conseguenze: la paura, la sfiducia reciproca, la corruzione...
Maria è il contrario, non vuole mettersi al centro: lei sa farsi da parte, sa fare spazio, sa mettersi al servizio, sa accogliere nella sua vita il progetto di Dio, sa fare spazio a Gesù, sa far nascere la Luce! Ed è questa la sua grandezza!
In questa semplice donna di Palestina, che ha passato la sua vita, come molte di voi, trafficando ogni giorno nella sua casa, che ha saputo accogliere nel profondo di se stessa il progetto di Dio, che ha saputo credere alla Sua parola, che ha saputo accettare nella sua vita Gesù, la Sua luce, in questa donna i cristiani di tutti i tempi hanno visto la vittoria sul male: hanno visto il segno della luce, hanno visto la realizzazione del progetto di Dio, hanno visto colei che sapeva donare al mondo l'amore, la vita, la speranza!
Anche per noi, dunque, nel cammino verso il Natale, è importante incontrare Maria, sui nostri passi: se lei è arrivata, se lei ha saputo accogliere Gesù, se lei ha saputo passare dall'egoismo alla gratuità e all'amore, possiamo farlo anche noi! Possiamo lasciarci prendere per mano da lei, che è Mamma di ogni credente e farci guidare sulla strada del bene, che è l'accoglienza di Dio, l'accoglienza della luce di Gesù nella nostra esperienza di uomini.
Il Signore ci aiuti a farlo!
1993
"Chi sei tu? - domandano a Giovanni - sei forse il Cristo?" - "No, non lo sono." - "Sei il profeta, allora?" - "Non sono nemmeno il profeta." - "Sei Elia?" - "Non sono Elia." - "Perché allora battezzi? Chi sei?" - "Soltanto una voce che grida..."
Vedete, in quello che abbiamo ascoltato ritroviamo una delle esperienze che pesano sulla vita degli uomini. Spesso giudichiamo gli altri in base a schemi, a pregiudizi, spesso il nostro giudizio sugli altri è condizionato dalle nostre attese. Io non so se è capitato anche a voi: a volte ho sentito pesare sulla mia vita questo modo di giudicare. Qualcuno mi diceva: "Tu sei prete; allora devi fare così... devi comportarti in questo modo... devi essere così..." Gente che non guardava come io ero - con i miei limiti, con i miei difetti, con i miei pregi, con le mie qualità - ma mi giudicava in base ad un'idea che aveva -"Tu sei prete e allora devi fare il prete così..."- E questo, qualche volta, mi ha creato qualche tribolazione.
Vedete, io sono diventato prete a 25 anni, la mia personalità era in gran parte già formata, ma ho conosciuto dei ragazzi su cui le attese dei loro genitori hanno pesato veramente! A volte i genitori si aspettano qualche cosa dai figli, pensano che debbano essere così... che debbano crescere in un certo modo, che debbano realizzare i loro progetti... E quando il figlio cresce in maniera diversa... queste aspettative, questi giudizi, pesano sulle persone!
E quello, che vale nei rapporti fra gli uomini, a volte vale anche nei rapporti con Dio. Ho incontrato molta gente, nella mia vita, che non riusciva più a credere, perché si aspettava un Dio che doveva comportarsi in un certo modo; e invece il Dio che avevano accanto non riuscivano a scoprirlo! Come dice Giovanni: "C'è uno in mezzo a voi, che non conoscete". Se rileggete il Vangelo, trovate che spesso il dramma del rifiuto di Gesù dipende dalle tante attese di Dio, del Messia, che la gente del suo tempo si portava dentro, dai tanti schemi con cui si aspettavano la manifestazione di Dio, anche sotto la Croce c'è chi dice a Gesù: "Se sei il Figlio di Dio, scendi! E allora crederemo...Se sei il Messia, salvati e salva anche noi! E allora crederemo." E non si è salvato, non è sceso dalla Croce... e non hanno saputo credere in Lui!
Vedete, una delle speranze che possiamo consegnare agli uomini degli anni 2000, è la capacità di andare al di là degli schemi, di giudicare uomini e cose senza lasciarci condizionare dai pregiudizi, dalle idee fatte; la capacità di aprirsi all'altro, di riconoscere l'altro; la possibilità di conservare nel cuore un desiderio di meraviglia, di stupore: la capacità di lasciarsi sorprendere da chi ci sta accanto, dalle cose che cambiano, dai ragazzi che crescono intorno a noi!
E questo, anche nella vita della Chiesa. È molto probabile che ci saranno delle novità anche nell'ambito della vita della Chiesa: è urgente, è importante che ci siano! Forse un domani ci saranno anche da noi, come nella Chiesa anglicana, delle donne che parleranno qui al posto mio: non ci sarebbe nulla di strano! Già ci sono delle persone che distribuiscono la Comunione: e qualcuno di voi non riesce ad accettare di prendere la Comunione dalle mani di una donna... Ho provato a volte a domandare: "Ma se venisse il papa a darti la Comunione?". "Magari!". Eppure Gesù è sempre Lui, chiunque me Lo dia! Il papa, il vescovo, una donna, un bambino... O sono capace di andare al di là delle forme esteriori, dei miei schemi, dei miei pregiudizi, per accogliere le cose essenziali della vita, o rischio di perdere Gesù! Chiunque me lo dia, l'importante è Lui!
È importante conservare l'essenziale della vita: nei nostri rapporti tra uomini, nei nostri rapporti con Dio. Una speranza per gli uomini del 2000, è la capacità di superare gli schemi, i pregiudizi; è la possibilità di conservare nel cuore la meraviglia, lo stupore! Lo Spirito ce ne dia in abbondanza, per consegnarli a quelli che vengono. Saper distinguere la "scorza" dalla "sostanza", saper riconoscere le cose che contano veramente, perché anche la nostra fede sia più viva, più aperta agli uomini che crescono in mezzo a noi.
Il Signore ci aiuti!
1993
Per prepararci al Natale, oggi in questa pagina di Vangelo, uno dei simboli forti della nostra fede, della nostra tradizione religiosa; per comprenderlo fino in fondo, fate con me un piccolo passo indietro.
Nella lunga storia d'Israele, quando il popolo attraversava dei tempi cupi, in cui viveva l'instabilità, l'insicurezza, la caduta dei valori, in cui veniva meno la certezza del futuro, nei momenti in cui c'era la guerra, la confusione, il popolo sperava che sorgesse qualcuno che sapesse aprirsi alla giustizia, al bene; qualcuno che si aprisse a Dio; qualcuno che sapesse accogliere nella sua vita il Suo "soffio". E il popolo d'Israele esprimeva questo suo desiderio della venuta di Dio attraverso uno dei simboli più forti: il simbolo della vita, della vita che nasce dalla sterilità!
Noi abbiamo letto, nella prima lettura, una pagina del libro di Samuele. Samuele è proprio il grande profeta che nasce, dopo un lungo tempo di attesa, da una donna sterile: lei è il simbolo del suo popolo; il simbolo di un popolo che vive un momento di confusione, un momento di smarrimento, un momento in cui si è perso il senso della giustizia, il senso della moralità. Anna, la madre di Samuele, invoca il Signore, e da lei ormai anziana, da tutti creduta sterile, nasce un figlio! Ecco il simbolo della vita, della vita che nasce; che nasce là dove sembrava quasi impossibile che nascesse. Nasce perché Dio viene e qualcuno sa aprirsi al Suo "soffio"!
Nel Vangelo che oggi abbiamo letto, abbiamo incontrato due donne: una sterile, Elisabetta; l'altra addirittura vergine, Maria: è il segno dell'impotenza radicale, dell'impossibilità assoluta, che lei esprime con le parole: "Com'è possibile che nasca un figlio?! Non conosco uomo..." Ed ecco la parola dell'angelo: "Verrà lo Spirito, ti riempirà e tu potrai far nascere il figlio che il mondo attende!"
Vedete, un simbolo, un simbolo profondo della nostra esperienza: noi uomini viviamo, spesso, questa impotenza a far nascere Cristo, a realizzare i Suoi valori di giustizia, di amore. Noi siamo "sterili", noi siamo "vergini": siamo incapaci di generare il Cristo.
In questo momento in Italia - se capisco qualche cosa - viviamo un grande momento di confusione: nessuno di noi sa a chi ci si può rivolgere, qual è la speranza che può illuminare il nostro futuro. Assistiamo, in TV, a spettacoli a volte penosi: c'è un paese che sembra avere smarrito il senso della giustizia, il senso dell'onestà, il senso dell'ordine; sembriamo un popolo che vaga "come pecore senza pastore"... Non serve gridare, brontolare, lamentarsi: occorre che ciascuno di noi si apra al "soffio" di Dio, ritrovi la realtà del Suo progetto: il senso della giustizia nelle cose di tutti i giorni, nel proprio lavoro, nell'attenzione agli altri, nel comunicare speranza per il futuro, nel non rinchiuderci su noi stessi. Insomma, tutto quello che è il "soffio" dello Spirito: che è soffio di libertà, che è soffio di calore, che è soffio di vita, che è soffio che apre al futuro!
Questo vale per la nostra vita pubblica, che in questo momento ha un grande bisogno di speranza. Ma anche per la nostra vita personale, privata: nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nel nostro cuore: c'è sempre per noi - nelle nostre sterilità, nelle nostre incapacità - un grande bisogno di aprirci a Dio, di fare spazio al Suo progetto, di credere nella giustizia, nel bene, nella liberazione. È Dio che viene a visitarci! È Dio che viene a compiere per noi le Sue promesse! Sappiamo fargli spazio, accoglierLo!
Ce lo insegni Maria! Lei è il simbolo della nostra povertà: diventi anche il simbolo della nostra accoglienza, della nostra apertura! Anche noi, come Lei, sappiamo dire a Dio: "Sia fatta la Tua volontà". Si realizzi, nel nostro cuore, qualche cosa della Tua luce, della Tua tenerezza, del Tuo coraggio, della Tua libertà, del futuro a cui il Signore Gesù ci chiama!
Il Signore ci aiuti!
1993
"Corre per il mondo la voce che l'Infinito si è manifestato in Gesù di Nazareth": così cominciava una straordinaria pagina di un Catechismo ormai vecchio: "Corre per il mondo la voce che l'Infinito si è manifestato in Gesù di Nazareth". Pensate a qualche uomo di terre lontane - che so? - un uomo che vive in Cina, che non ha mai sentito parlare di Gesù, a cui giunge questa notizia, questa voce: "L'Infinito si è manifestato in Gesù di Nazareth!" Immaginate che venga qui in mezzo a noi e ci chieda: "Dove posso vedere l'Infinito? Dove posso toccare con mano Colui che ha fatto il cielo e la terra?" Lo portiamo qui davanti: un bambino!...
Ma forse ci conviene non pensare a gente di terre lontane: forse sarebbe bene che tutti noi ci buttassimo dietro le spalle tanti anni di religiosità, tanti discorsi su Dio, tante idee religiose che ci portiamo dentro; ed anche noi sentissimo - con lo stupore di un cinese o di un uomo che vive nel profondo dell'Africa - questa notizia: "Corre voce che l'Infinito si è manifestato!" Andiamo! Andiamo a vedere l'Infinito che si è manifestato...: ci troviamo davanti un piccolo bambino, indifeso, inerme. Ci tende le mani: soltanto le mani può tendere, un bambino appena nato; forse non sa ancora nemmeno sorridere, forse può soltanto piangere!
Tende le mani: ha bisogno di tenerezza, ha bisogno di essere accolto, accettato; ha bisogno di essere protetto, di essere avvolto dal calore, dalla tenerezza degli uomini; ha bisogno del rispetto, dell'attenzione. Non potete chiedergli niente: non si chiede niente ad un bambino appena nato, gli si può soltanto dare, gli si può soltanto fare una carezza, gli si può donare tutta la passione per la vita, che ciascuno riesce a trarre dal proprio cuore! La passione per la vita, l'attenzione per l'altro, la tenerezza... forse per questo l'Infinito è venuto in mezzo a noi come un piccolo bambino inerme ed indifeso... e ci tende le mani: per risvegliare nel nostro cuore tutta la passione per la vita, tutta la capacità di tenerezza, tutta la capacità di stupore, di gratuità, che possiamo trarre fuori dal nostro cuore!
E vedete, non soltanto un bambino che tende le mani: un bambino che le tende dalla paglia! È ruvida, la paglia, punge... Il simbolo di tante "paglie" che ci sono intorno a noi. Non pensate soltanto alle cose terribili che succedono lontano, dove c'è la guerra: pensate anche alle "paglie" che ci sono intorno a noi, a volte nelle nostre case: là dove c'è la solitudine, là dove c'è la sofferenza del corpo e del cuore! Dio è venuto a tenderci la mano a nome di tutti quelli che tribolano nel mondo, ad invitarci accanto a loro.
Ma un bambino non tende soltanto le mani: è anche una promessa di vita, una speranza per il futuro. E se questo bambino è l'Infinito, se questo bambino è Dio, allora dal futuro scompare la paura: perché c'è Dio con noi, a condividere la nostra vita su questa terra, a condividere la passione per il domani, la passione per il bene, il coraggio della giustizia, il coraggio della verità! Ne abbiamo bisogno, in questo tempo come in tutti i tempi della storia: abbiamo bisogno che Dio ci venga accanto e ci gridi la speranza per il futuro, il coraggio di camminare verso la vita.
Un bambino è una promessa di vita, non si può fermare: bisogna camminare con lui, bisogna lasciarlo crescere, bisogna fare spazio alla vita. Sì, alla Vita! Via tutte le paure, le ombre che attraversano anche questa nostra Italia in questo momento: c'è la speranza di Dio con noi! C'è il coraggio della giustizia, il coraggio dell'onestà, il coraggio di guardare al futuro; il coraggio di costruire, il coraggio di rimboccarsi le maniche; il coraggio di amare la vita con tutta la passione del nostro cuore! Per questo Dio è venuto a condividerla.
Questo è Natale! Un bambino che ci tende le mani, un bambino che è promessa di vita, un bambino che è speranza, un bambino che toglie la paura, un bambino che porta la luce!
Questo è Natale! Lo stupore, la meraviglia, il coraggio di amare, dentro il nostro cuore, questo è Natale!
1993
Credo che la maggior parte di voi conosca una vecchia barzelletta: un papà voleva educare il suo bambino e gli portava come esempio Gesù, sempre ubbidiente, sempre rispettoso, sempre attento a quello che dicevano il papà e la mamma; ed invitava il bambino a seguire l'esempio di Gesù. Una volta il bambino torna dal catechismo e dice: "Ah! ho letto nel Vangelo che un giorno Gesù è scappato e non lo trovavano: lo hanno cercato per tutta la giornata; e poi, quando alla fine, l'hanno trovato nel tempio, ha pure risposto male!" Il papà lo guarda un po' perplesso, poi si gira verso il crocifisso: "Vedi, però, che fine ha fatto!.."
Effettivamente, è rischioso prendere il Vangelo per trarne degli insegnamenti morali. Il bambino aveva un po' di ragione: Gesù è stato il grande "disobbediente"! Ha disobbedito a tutti: ai genitori, ai capi del popolo, ai sacerdoti, alla legge, al sabato, al tempio! Solo il Padre... Qui, sulla terra ha disobbedito a quasi tutto quello cui si poteva disobbedire...
A leggere attentamente il Vangelo, ci sono due cose che colpiscono (almeno me): la prima è il radicarsi di Dio, il lasciarsi coinvolgere fino in fondo: in una famiglia, in un piccolo sperduto paese di questa nostra terra. Non arrivavano, probabilmente, a 1000 abitanti: un paese piccino piccino, Nazareth, fatto di pastori, di contadini, di gente semplice. E il lavoro quotidiano...: Lui faceva il falegname, il fabbro, un po' di tutto, come era tradizione nella sua famiglia; e intorno a Lui, la gente, la gente di tutti i giorni, gente a volte pesante!
Non pensate soltanto alla famiglia composta da Maria, Gesù e Giuseppe; la famiglia di Gesù era molto più vasta. C'era il clan di Gesù: i suoi parenti, i parenti anche stretti - il Vangelo li nomina, ogni tanto, e li chiama " i fratelli e le sorelle di Gesù": Giacomo, Giuseppe, Giuda... Sono parecchi e, anche se sono stati loro i primi discepoli di Gesù, non deve essere stato semplice incontrarsi e scontrarsi con questa gente, dalla mentalità un po' chiusa, spesso incapace di capire fino in fondo il Signore; non dev'essere stato facile per Lui, vivere lì, in quel piccolo paese! Eppure si è radicato per più di 30 anni in quella piccola realtà: ha condiviso fino in fondo la strada degli uomini.
Ma poi - ed è la seconda cosa che colpisce, nel Vangelo - Gesù non si è lasciato chiudere in questa famiglia: ha aperto orizzonti che abbracciavano l'universo intero! Nel Vangelo si legge che un giorno Gesù era in una casa, con della gente, a parlare e gli dicono: "guarda, ci sono fuori i tuoi parenti; son venuti a cercarti" (erano andati a cercarlo perché pensavano che fosse diventato matto!) Gesù si rivolge alla gente e dice: " Chi è mia madre? chi sono i miei fratelli? Chi fa la volontà di Dio, quello è per me fratello, sorella e madre." Ha avuto il coraggio di andare al di là dei limiti della propria famiglia, di rompere i legami col suo piccolo paese, di diventare cittadino del mondo: di portare nel mondo tutta la forza e il coraggio dell'Amore di Dio!
Vedete, se volete trarre (se proprio ce n'è bisogno) una morale per le nostre famiglie, per i giovani anche che ci sono qui: è importante radicarsi in una casa, è importante vivere rapporti autentici con le persone che ci sono intorno: è una grande scuola di vita! Ma poi non bisogna lasciarsi chiudere: occorre allargare gli spazi! Oggi i nostri giovani, spesso, vivono la famiglia come un rifugio: come un rifugio che coccola, che chiude, che protegge dalle tante paure del mondo.
Avere il coraggio di spalancare le finestre, di portare la vita al di fuori; il coraggio di affrontare il vento che soffia! Altrimenti si rischia di soffocare! La famiglia con le sue tenerezze, con i suoi affetti - ma anche con le sue paure - rischia di rinchiuderci! Gesù ci è vissuto per 30 anni, nella sua famiglia; ma il suo cuore era più grande del suo piccolo paese: ha saputo portare nel mondo il coraggio della pace, il coraggio della giustizia, il coraggio di costruire il Regno di Dio, il coraggio di affermare i grandi valori, che fanno grande la vita dell'uomo!
Il Signore aiuti anche noi a farlo! Almeno un po'...
"Maria serbava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore." 1° gennaio 1994
Il Vangelo di Luca, quando parla di Maria, intende descrivere la condizione del cristiano, vuole presentarla come modello del credente. Abbiamo ascoltato insieme: "Maria conservava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore."
Il cristiano è, secondo la prima comunità cristiana, secondo il Vangelo di Luca, uno che cammina per le strade del mondo, conservando nel cuore la certezza di Dio, della Sua presenza nella nostra vita, della Sua passione per la nostra storia. Anche noi, in questo Natale, abbiamo contemplato, con stupore e meraviglia, Dio che si fa bambino in mezzo a noi, abbiamo accolto Dio che cammina con noi.
Ecco, essere Cristiani significa vivere il tempo che il Signore ci mette davanti, portandosi nel cuore la certezza che Dio cammina con noi. E questo, vedete, è la nostra suprema speranza! Non siamo soli - noi, poveri uomini - nell'avventura di vivere: c'è Dio con noi! È la suprema speranza di ogni credente.
Con questa speranza nel cuore ci siamo dati, quest'anno, all'inizio dell'Avvento (forse qualcuno lo ricorderà) un "compito": quello di cercare intorno a noi, con costanza, con coraggio, tutti i segni di speranza che gli uomini ci offrono, vicino o lontano. È questo l'augurio che vi faccio in questo primo giorno dell'anno: guardatevi intorno, scrutate con i vostri occhi i segni dei tempi, cercate, con la lucerna in mano - come Diogene che "cercava l'uomo" - cercate i germogli della speranza.
Cerchiamo tutti i motivi che possono dare, ad un bambino che nasce oggi, la speranza per questo tempo - un nuovo millennio - che fra poco ci verrà incontro. Tutto quello che aiuta l'uomo a credere, a vivere. E ce ne sono tanti, di questi segni, intorno a noi: basta cercarli con attenzione, basta non lasciarsi condizionare troppo da tutti quelli che predicano alla TV, che alzano la voce, che gridano...
Guardatevi intorno! Proprio l'altro giorno mi capitava di parlare con alcuni ragazzi, che notavano come c'è oggi, rispetto al passato, - è gente che conosce la storia - un grande bisogno di sincerità, di trasparenza: non sopportiamo più l'ipocrisia! Chi conosce la storia degli uomini, chi conosce soprattutto la storia della Chiesa, sa quanto sia piena di ipocrisia, terribile! In parte ce n'è ancora oggi. Ma oggi non le sopportiamo più queste cose; i ragazzi che crescono in mezzo a noi hanno bisogno di trasparenza, di sincerità.
Lasciamola crescere, dunque, in quest'anno che comincia, intorno a noi, questa trasparenza, questa sincerità, questo bisogno di essere onesti anche nelle parole! È una speranza per i ragazzi che vengono: avranno un mondo meno ipocrita!
È solo un esempio, un piccolo seme di speranza per questo primo giorno dell'anno, ma, guardandoci intorno, si trovano tanti segni di speranza: cerchiamoli insieme, in questo tempo che ci sta davanti!
La finisco qui, augurandovi di tutto cuore che possiate vivere giorni sereni: in salute, prima di tutto, con la serenità nel cuore, con la pace intorno a noi. Che il Signore vi dia giorni pieni di pace, di tranquillità; soprattutto, che vi conceda di fare un po' di bene, in questo anno che la Sua bontà ci mette davanti.
1994
Parole un po' complesse, quelle di oggi! È l'inizio del Vangelo di Giovanni. Gli studiosi ci dicono che quello che abbiamo ascoltato è un antico inno: la comunità di Giovanni, quando si radunava, come noi, la domenica intorno alla tavola, cantava esprimendo la fede con queste parole, forse un po' lontane da noi. Ma l'essenza della fede è sempre la stessa ed è questo, che poi conta, non tanto il modo di esprimersi.
E il nocciolo della nostra fede è che noi possiamo fare esperienza di Dio in Gesù di Nazareth! Nei gesti, nelle parole, nella vita di Gesù, noi possiamo toccare con mano qualche cosa della Luce inaccessibile di Colui che "ha fatto il cielo e la terra", di Colui che è il fondamento di tutta la nostra vita, di tutto quello che ci circonda, della nostra esperienza di uomini.
Vedete, fin dall'inizio gli uomini hanno cercato Dio, quasi a tentoni... e corrono un rischio! Quante volte ho sentito, nella mia, ormai lunga, esperienza di fede, questo discorso e queste domande: "Come possiamo conoscere Dio? Come possiamo fare, in qualche modo, esperienza di Lui...? Perché ciascuno di noi è tentato di farsi Dio un po' a propria immagine; di farsi Dio secondo i propri bisogni, i propri desideri..." Dio, in fondo, nessuno di noi Lo ha mai visto: abita in una Luce inaccessibile! Non so se anche voi vi siete fatta questa domanda: io l'ho sentita ripetere infinite volte.
Qualche piccolo suggerimento, all'inizio di questo nuovo anno, perché la vita del credente è sempre ricerca di Dio, del Suo volto, della Sua luce. Come possiamo sfuggire alla tentazione di farcelo, ognuno, a proprio uso e consumo, secondo quello che ci fa comodo? Alcune indicazioni, se riesco a dirvele in breve.
La prima: occorre avere dentro di noi, profondo, il senso - se non vi disturba la parola - del Mistero: il senso della grandezza di Dio, Dio più grande di ogni parola, di ogni immagine che l'uomo possa farsi. Occorre avere il senso della gratuità: cercare Dio non perché mi serve, ma perché è Lui: cercare la Sua luce, lo splendore della Sua gloria, il mistero ultimo dell'esistenza, da cui tutti veniamo! Occorre avere dentro di sé il senso dello stupore, della meraviglia, della ricerca gratuita: il senso della grandezza di Dio!
La seconda indicazione: è importante che noi, che siamo cristiani, cerchiamo Dio nel Vangelo: nei gesti, nelle parole di Gesù. È sorprendente trovare, talvolta, dei Cristiani che parlano di Dio, che si immaginano Dio a prescindere dal Vangelo! "Dio può far tutto, Dio sa tutto. Dio interviene di qua, Dio fa di là..." E poi, se leggete il Vangelo, trovate che il Dio che si è manifestato in Gesù di Nazareth, il Dio che ha parlato con parole simili alle nostre, è diverso da quello che noi immaginiamo! Qualcuno mi faceva notare: "E sì, però anche il Vangelo rischiamo di interpretarcelo a modo nostro: prendiamo soltanto quello che ci fa comodo...!" È vero anche questo. Ricordate sempre il I° punto: ci vuole la gratuità, nella ricerca! Se io vado cercando quello che mi fa comodo, non c'è rimedio possibile: se non metto gratuità nel mio cammino, non c'è speranza per me! Bisogna che io esca un po' dai miei bisogni, da quello che è soltanto il mio modo di vedere, da quello che mi è utile, per cercare ciò che è importante, ciò che è giusto. Gratuità, nella mia ricerca!
Ma poi, un'altra cosa importante è ascoltare la Chiesa: ma fate attenzione! la Chiesa. Guardatevi intorno. Non guardate la TV ...oh Signor, siete perduti! La Chiesa - non dimenticatelo mai - non è soltanto l'autorità della Chiesa, non sono solo quelli che parlano alla TV a nome della Chiesa! Rischiate di sentir parlare degli "Anticristi", della fine del mondo, come alla fine del primo millennio! Siamo alle soglie del duemila: molti cercheranno di mettervi paura. NO! In nome di Cristo, NO! Nessuno che vi metta paura, parla in nome di Dio, nessuno! chiunque sia.
Ascoltate i bambini che crescono in mezzo a noi: dalla loro voce ascoltate un riflesso della parola di Gesù! Ascoltate i giovani! Ascoltate la gente di tutti i giorni, la gente che vi sta accanto, la gente che cerca, che spera: che cerca di portare la luce di Gesù nella propria vita! Sono loro la Chiesa, la Chiesa vera, la Chiesa di tutti i giorni, la Chiesa che ci sta accanto, la Chiesa che occorre ascoltare, per sfuggire al rischio di farsi un Cristo a proprio uso e consumo.
La gratuità, dunque, l'ascolto del Vangelo, l'ascolto della Chiesa, della Chiesa concreta, fatta di gente che cresce col Vangelo, di gente di tutti i giorni, di gente dal cuore sincero: questo ci aiuta a cercare Dio nella nostra vita, ad allontanare dalla nostra ricerca ogni paura, ogni ansia, ogni timore di Dio... Un Dio che mette paura, un Dio che mette ansia nel cuore, non è il Dio di Gesù Cristo! Lui si è fatto bambino, si è fatto carne, si è fatto uno come noi, per portare la speranza nella nostra vita!
AccogliamoLo e cerchiamo di camminare nella Sua luce! Quest'anno che viene sia per tutti noi ricerca della luce di Dio, del Suo volto: ricerca nella gratuità e nella serenità, nella passione per la vita!
Il Signore ci aiuti!
1994
Siamo ormai nel 1994, ma può ancora capitare a qualcuno di voi di accendere la TV e sentir dire che c'è qualcuno che va in giro per il mondo, cercando l'arca di Noè, magari mettendo a repentaglio la propria ed altrui esistenza; o che c'è qualche scienziato che cerca di individuare la stella che ha guidato i Magi: quale delle tante comete, che hanno attraversato il nostro cielo, possa essere stata la stella di Betlemme... Non è mai esistita un'arca capace di contenere tutti gli animali della terra; non c'è stato mai un diluvio che ha sommerso tutta la terra; così come non c'è stata una stella del cielo a guidare i Magi!
Basta leggere attentamente il racconto che abbiamo ascoltato proprio adesso: la stella si muove davanti ai Magi, guida il loro cammino, si ferma su una casa: cosa che le stelle non fanno! Sono simboli, simboli importanti per la nostra fede!
Il fatto è che molti uomini - e forse ce n'è anche qualcuno in mezzo a voi - non si rassegnano all'idea che la nostra fede non è fatta di cose straordinarie, di avvenimenti misteriosi e magici, ma coinvolge la nostra vita di ogni giorno. O la fede coinvolge la nostra vicenda quotidiana, ci riguarda personalmente nella nostra esperienza di uomini, o, se aspettiamo una manifestazione magica, misteriosa, un fatto straordinario, rischiamo di perdere il nocciolo della nostra fede: Dio che si fa carne, che viene a condividere la nostra vita, che viene a camminare con noi, nel nostro quotidiano, nelle strade concrete della nostra esperienza di uomini. Ed è là che possiamo cercarLo!
Vedete, il racconto che abbiamo letto oggi, non è la storia misteriosa di strani personaggi di tanto tempo fa: è la descrizione di quello che noi possiamo essere: io e ciascuno di voi! Cercatori di luce, del senso della vita, inseguitori di speranza; ad ogni età: anche quando i capelli diventano bianchi, anche quando le forze vengono meno! La nostra fede è un cammino alla ricerca della luce del Signore, alla ricerca della Sua speranza, alla ricerca dei valori che danno senso alla nostra vita di ogni giorno, al nostro camminare su questa terra.
Ci siamo detti tante volte, in questo tempo di Avvento, anche nel giorno di Natale, il "compito" per questi anni che vengono, prima che scocchi il 2000: essere come i Magi: inseguitori di speranza, cercatori - quasi a tentoni - di tutto quello che dà senso alla vita in questo mondo!
Qualche volta la stella si oscura (come è successo ai Magi) perché ci sono, anche oggi, gli "Erodi", coloro che fanno violenza, coloro che ingannano; ci sono anche oggi i sapienti, quelli che sanno tutto, quelli che hanno sempre una risposta. Li sentite parlare quasi ogni giorno, ce ne sono anche all'interno della Chiesa, forse più che in altri posti: è normale! Molti, che dicono di credere, pensano di avere la verità di Dio, di sapere tutto della vita...
Essere cristiani non è sapere tutto della vita: è essere inseguitori della Luce! Come questi Magi: guardateli: attraversano deserti, montagne, camminano; camminano inseguendo la luce. Gli altri sono tutti lì, fermi: mormorano, si agitano, ma nessuno si muove. E loro continuano a camminare, a cercare...
Questo è essere Cristiani! I Magi possiamo essere noi: non strani personaggi di tanto tempo fa, ma ciascuno di noi quando si mette alla ricerca della luce di Gesù, della Sua speranza, dei valori che danno senso alla vita. Facciamolo in quest'anno! camminiamo cercando la luce! Cercando la luce finché saremo su questa terra, finché non potremo vederla, un giorno, risplendere nella gloria di Dio!
Il Signore ci aiuti.
1994
Una delle immagini di Dio che gli uomini si portano dentro - sotto ogni cielo, non soltanto qui da noi - è l'immagine del giudice, di Colui che giudica gli uomini, che separa i giusti dagli ingiusti: pensate, se volete, al "Giudizio universale" di Michelangelo o, più semplicemente, pensate a certi discorsi che avete sentito intorno a voi, sul bisogno che Dio venga a giudicare e a mettere ordine, finalmente, sulla nostra terra. O, chi conosce il Vangelo, ripensi alle parole di Giovanni il Battista: lui si aspetta un Messia che venga finalmente a fare giustizia, a separare il grano buono dalla paglia e a bruciare la paglia con un fuoco senza fine. Ecco: un Dio che venga finalmente a fare giustizia, a separare i buoni dai cattivi, a bruciare tutto il male che c'è nel mondo e a far risplendere il bene!
Molti uomini si portano dentro questa immagine, perché, spesso, l'immagine che ci facciamo di Dio è la proiezione dei nostri bisogni e, in questo caso, dei nostri bisogni di giustizia. Spesso noi uomini sentiamo il bisogno che si faccia giustizia sulla nostra terra: in questo momento, forse, ce lo portiamo dentro tutti. Ma riflettete un po': non è un bel momento, per un paese, quando, per molti, l'Eroe è un giudice: non più un ricercatore, uno scienziato o un poeta o un educatore..., ma un giudice! Esprimiamo così il nostro bisogno di giustizia, ma spesso è un bisogno di vendetta, un bisogno di giustizia sommaria, il bisogno di trovare dei "capri espiatori", di far piazza pulita, per vedere, quasi magicamente, risolti i nostri problemi, le nostre difficoltà. E talora, proiettiamo in Dio i nostri desideri: "Ah! venisse Dio! venisse Lui, che è sommamente giusto, e facesse finalmente giustizia!" Con un colpo di bacchetta magica, come se lo aspettava Giovanni il Battista!
I primi Cristiani hanno riconosciuto Dio non nel giudice, ma nell'uomo di Nazareth: un lavoratore dalle mani callose, un uomo qualunque, un artigiano, che aveva passato trent'anni in un piccolo, oscuro paese, e veniva a mettersi in fila con la gente in cammino verso un rito di purificazione, che veniva a condividere la strada con l'uomo che sente il cuore pesante, ma che esprime anche - nel suo camminare verso l'acqua - il bisogno di cambiare, di rinnovarsi. È venuto a mettere nel cuore di quest'uomo la sua speranza, a dirgli: "Coraggio! C'è Dio che cammina con te! Non aspettarti magie, ma sta' certo che nella tua lotta contro il male, nel tuo desiderio di giustizia, puoi contare su Dio, puoi sentirLo solidale con la tua strada!"
Per cambiare il mondo non ci sono soluzioni magiche: non lo può fare un giudice, non può farlo nemmeno Dio! Dobbiamo farlo tutti insieme, camminando con coraggio verso una maggiore giustizia, verso un maggiore impegno di onestà, di verità, di servizio degli uni verso gli altri; di vita civile vissuta insieme. Solo il coraggio di ciascuno, l'impegno di ciascuno, l'onestà di ciascuno, può cambiare il mondo! Altrimenti aspettiamo un "repulisti" - e credo che ci sia più di una persona, in questo paese, che l'aspetta - perché poi tutto ricominci come prima!
È giusto che vogliamo vedere le cose cambiare, è giusto che facciamo un passo avanti, ma lo dobbiamo fare tutti insieme, con il coraggio e l'onestà di ciascuno: occorre che ciascuno di noi ritrovi il coraggio di liberarsi da comportamenti sbagliati, da comportamenti ingiusti, da comportamenti disonesti! Ciascuno di noi, per quello che ci compete, per quello che possiamo fare! E Gesù è venuto per camminarci accanto, non per mettersi dalla parte del giudice, di chi divide buoni e cattivi, di chi fa giustizia sommaria. Accanto all'uomo che cammina: che cerca liberazione, che invoca giustizia; ma comincia Lui a farla, la giustizia, cerca di mettere i semi del bene e dell'onestà.
Se ci fosse qui, Gesù, sarebbe nascosto in mezzo a voi! Non sarebbe qui, dalla parte mia, nemmeno a predicare: sarebbe nascosto in mezzo a voi, per condividere la vostra vita di ogni giorno, il vostro cammino di povera gente alla ricerca del bene, aspetterebbe che lo riconosciate, per mettervi nel cuore il coraggio dell'onestà, la fame e la sete della giustizia!
AccogliamoLo, dunque, il Signore e cerchiamo di lasciarci prendere per mano da Lui, e camminiamo insieme con Lui verso un mondo un po' migliore! Se ci riesce... Ma dipende da noi!
1994
Vi ricordate? - sarà successo per la maggior parte di voi, magari sarà successo tanto tempo fa, ma son cose che non si dimenticano - vi ricordate quando la persona amata vi ha chiesto l'indirizzo o, più recentemente, il numero di telefono? poteva essere la storia di una serata, il rapido incontro per una festa... è stato l'inizio di un'avventura, l'avventura di una vita: il conoscersi, il frequentarsi, il capirsi e poi il vivere insieme! È cominciato così, chiedendo l'indirizzo, chiedendo il numero di telefono.
Avete sentito: oggi gli apostoli chiedono l'indirizzo di Gesù ed anche per loro non è stato un incontro fugace, l'avventura di un giorno, ma la storia di una vita: hanno cominciato a cercare il Signore e Lo hanno cercato per tutta la vita. Hanno cercato di capire chi era, che cosa pensava, quali erano i valori che si portava dentro. E questo è l'essenza dell'essere cristiani: chiedere l'indirizzo di Gesù e avventurarsi in un cammino con Lui, cercando di vivere un'amicizia, cercando di vivere un incontro che si fa sempre più profondo!
È sorprendente vedere come a volte i Cristiani non facciano riferimento a Gesù! Forse sapete che alcuni di noi hanno cominciato quest'anno, a leggere insieme il Catechismo della Chiesa cattolica. La cosa che ha lasciato sorpreso me - ma ho visto che ha lasciato sorpresi anche molti di quelli che leggono insieme con me - è vedere come in questo libro si faccia così poco riferimento a Gesù: alla Sua parola, al Suo Vangelo, ai valori che si portava dentro; o spesso è solo un riferimento molto superficiale. Si pone grande attenzione alla legge, alle regole, all'istituzione, ma Gesù... Una cosa stupefacente, in un libro di catechismo... Ma sarà capitato anche a voi, qualche volta, di ascoltare delle trasmissioni in TV che sembrano parlare di religione: si parla di miracoli, di fatti straordinari, di apparizioni; qualche volta si parla di diavoli; raramente si parla di Gesù.
Se ho capito qualche cosa, essere cristiani è fondamentalmente questo: cercare Gesù, cercare il Suo indirizzo - come due innamorati - continuare a cercare le Sue parole, continuare a cercare il Suo volto, continuare a cercare quello che Gesù si porta nel cuore! Essere Cristiani è fondamentalmente questo! E poi essere capaci di tradurlo, almeno un po', nella vita quotidiana (ma di questo parleremo magari la prossima volta) ed essere anche noi, come gli apostoli, con semplicità, testimoni per chi ci sta accanto e magari ci domanderà ragione della nostra fede: "Ma perché tu vai in Chiesa, perché preghi?" "Ho conosciuto Gesù! Ho chiesto il Suo indirizzo: ho cercato Gesù, ho scoperto qualche cosa dei Suoi valori e continuo a cercare la Sua parola! Sono un pover'uomo: non è che io sia una persona particolarmente virtuosa; ma per questo credo, perché ho scoperto Gesù, perché ho conosciuto Gesù, perché cerco Gesù, perché mi piace diventare sempre più amico di Gesù!"
È questo il nocciolo del Cristianesimo. Il resto è solamente legge, precetti, istituzione; oppure fatti magici, che riguardano fenomeni strani, come cose da caravanserraglio. Il cuore di quello che riguarda sul serio la nostra vita, tutta la nostra vita, è un'amicizia con Lui, è la ricerca dei Suoi valori.
Il Signore ci aiuti!
1994
Quando io ero ragazzo - ormai tanto tempo fa; ma penso che la stessa cosa sia accaduta anche per molti di voi - il catechismo, ma anche le prediche dei nostri bravi sacerdoti, erano in gran parte basate su degli esempi (a Roma li chiamavamo "i fattarelli"); e ricordo che, quando io ho cominciato a fare catechismo, nel lontano 1950, ancora piuttosto piccolo, mi dovevo preparare qualche "fattarello" da raccontare ai ragazzi (ai ragazzini: erano piccini, di terza elementare ) a cui facevo catechismo: non si poteva andare senza avere qualche fattarello da raccontare!
Questo ha reso difficile - per me, ma anche, vedo, per molti di voi - capire il Vangelo: perché il Vangelo non è un fattarello, non può essere letto come un esempio: si rischia di non capirne nulla. Guardate il Vangelo di oggi. Ci sono dei pescatori sulla riva; passa Gesù: "Venite con me". E quelli subito lasciano le reti e vanno. Diceva l'altro giorno una catechista: "I bambini fanno: "e com'è possibile?! e do' vanno? lasciano il padre?! e com'è possibile lasciare il papà!" Per i bambini lasciare il papà, specialmente oggi, è la fine del mondo... Sembra una cosa assurda, una cosa che non ha senso.
Vedete, se il Vangelo si legge come un fattarello, non lo si capisce: perché il Vangelo è un simbolo, non un raccontino (I raccontini poi - questo l'ho imparato nella vita - si scelgono spesso per far dire ad un santo o ad una persona importante quello che vuol dirti chi parla.)
Il Vangelo è un simbolo, semplice, grande, che ciascuno di noi deve avventurarsi non tanto a spiegare - perché c'è poco da spiegare - quanto ad incarnare nella propria vita di tutti i giorni. E allora questa "incarnazione" è diversa per ciascuno: ognuno prende le sue strade, ognuno cerca di attuare quella parola nella sua vita, cerca di calarla nel proprio quotidiano, in mille modi diversi.
Vedete il Vangelo di oggi: non è un racconto, non risponde alla domanda "Che cosa è successo tanto tempo fa sulla riva del mare?", ma risponde alla domanda "Chi è un credente? Chi è un cristiano?"
Marco ci dice: "Vedete, un cristiano è uno che ha ascoltato il lieto annunzio, la notizia straordinaria, meravigliosa, che il Regno di Dio viene sulla terra: il tempo è compiuto e il Regno di Dio viene". In Gesù si è manifestata la passione di Dio per la vita degli uomini, si è manifestato l'impegno di Dio per la giustizia, per la tenerezza, per la salvezza dell'uomo! Questo progetto di Dio, questa passione di Dio, si manifesta in Gesù di Nazareth e noi siamo invitati a seguirLo, a camminare con Lui, a calare nella nostra vita di ogni giorno la Sua parola, il Suo modo di vivere, la Suoi valori. E siamo invitati anche a lasciare qualche cosa!
E allora ciascuno di noi deve avventurarsi: "Cos'è per me questo lieto annunzio di Gesù? Chi è Gesù per me? Quali valori della Sua vita io ho trovato? Come ho incontrato Gesù nella mia vita? E nel concreto dei miei giorni, cosa significa seguire Gesù?". Questo significa una cosa per me, una cosa diversa per ciascuno di voi: perché seguire Gesù non è affare di una mezz'ora passata qui insieme la domenica, ma riguarda la gente che avete accanto, il lavoro che avete da fare, le persone che incontrate ogni giorno... È una cosa che riguarda anche le vostre tribolazioni, gli affanni della vostra vita...
Dentro tutto questo noi possiamo rispondere all'invito di Gesù. L'invito a portare nella vita di ogni giorno il coraggio dell'amore, della giustizia, dell'onestà, della verità... e ciascuno di noi deve lasciare qualche cosa... Ma quello che devo lasciare io non è certamente quello che dovete lasciare voi!
Qualcuno di noi, ha da lasciare la propria pigrizia, la propria paura di tendere la mano - "perché, chi sa, se poi gli do un dito, mi piglia tutto il braccio...". Cercare la giustizia, cercare i valori di Gesù significa, qualche volta, rinunziare alle proprie sicurezze, rinunziare alle proprie paure, rinunziare al proprio star chiusi, tranquilli, nel proprio guscio. È avventurarsi... Ma questo che cosa significa per una persona che ha i capelli bianchi o per un ragazzo? qualche cosa di profondamente diverso!
Vedete, se io raccontassi un fattarello, una storiella, farei una scelta che potrebbe mettere pesi insopportabili sul cuore di una persona anziana o potrebbe ingannare il ragazzo, che ha bisogno di tutto il suo coraggio, di tutta la sua passione, che ha bisogno di avventurarsi in questo mondo... Perché, vedete, il mondo che ci sta davanti è un mondo in cui vedremo crollare tante sicurezze, anche dal punto di vista della società, della politica; e bisognerà individuare quello che è nuovo, bisognerà cercare di capire quello che ci succede intorno. E c'è bisogno di tutto il coraggio di una persona giovane, che affronta adesso la vita!
Ma quelli di voi che hanno i capelli bianchi, che ormai sono stanchi... Come mia mamma che, quando sente queste parole, dice: "Questo non mi riguarda più! Ormai ho troppi anni dietro le spalle: il tempo che mi resta da vivere è piccolo!" Che cosa ha da lasciare lei? Forse è tutta un'altra cosa. Forse per lei seguire Gesù è una cosa completamente diversa! Posso allora raccontare lo stesso fattarello? No! Ma lo stesso simbolo, sì: Gesù che ti passa sulla strada e che ti dice: "Vieni con me!". E può significare qualche cosa anche nell'ultima ora della vita: l'invito a non aver paura, l'invito a credere che al di là della vita c'è la mano potente di Dio, il sorriso e la tenerezza di Gesù! Anche questo può significare l'invito di Gesù: può significarlo per chi è vecchio e sazio di vita!
Non significa le stessa cosa per un ragazzo, che s'affaccia adesso alla vita: per lui, l'invito di Gesù è passione per la giustizia, è portarsi nel cuore il coraggio d'amare, è portarsi nel cuore il coraggio della vita; è credere nella speranza, credere in quello che verrà; è aprirsi al futuro e lasciarsi dietro tutte le sue pigrizie, tutte le sue paure! È avventurarsi, nel tentativo di portare nel mondo un po' della tenerezza e della luce di Dio!
Vedete come si può leggere il Vangelo? Non come una storiella, ma come un simbolo di quello che è la nostra vita, delle cose essenziali della nostra esistenza. Ed è per questo che ci ritroviamo qui ogni domenica e leggiamo, dopo 2000 anni, le stesse parole: perché in queste Parole troviamo i valori importanti della vita, un punto di riferimento tra le tante voci che, ogni giorno, rischiano di frastornarci. E poi c'è l'impegno ad avventurarci nel seguire Gesù nel quotidiano, a incarnare i Suoi valori nella nostra vita di ogni giorno!
Il Signore ci aiuti!
1994
Ce n'erano molti, di maestri, al tempo di Gesù. Non pensate ai maestri di scuola; pensate ai maestri della Legge, a quelli che predicavano nelle sinagoghe, che spiegavano le Scritture: ce n'erano tanti, al tempo di Gesù, come ce ne sono in ogni tradizione religiosa. Anche nella nostra, anche oggi.
E, come spesso succede ai maestri della legge, erano legati alla tradizione, ritenevano la mentalità tradizionale una cosa quasi sacra. Ripetevano stancamente antiche parole, moltiplicavano le norme, i precetti, con minuziose analisi dell'antica legge; mettevano carichi pesanti sul cuore, sulla coscienza della gente!
I primi discepoli, quando hanno incontrato Gesù, hanno sentito che Lui non era come gli altri maestri, in Lui c'era qualche cosa di veramente nuovo! Hanno sentito che Lui non ripeteva antiche parole, che non badava alle tante minuzie della legge, ma che andava al cuore, che parlava parole di vita, che scendevano nel profondo! L'incontro con Gesù era come una sorsata di acqua fresca nel deserto, come un raggio di luce che rischiara la notte. In Lui hanno trovato i valori essenziali della vita, le Sue parole erano "parole di vita eterna..."
Chi sa se i primi - Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni - hanno sentito incontrando Gesù quel senso di vertigine, quasi di vuoto, che si prova nell'ascoltare qualche cosa di nuovo: nel lasciare le antiche parole, le abitudini tradizionali, la tranquilla sicurezza della legge!
Io questo senso di vertigine l'ho provato più volte. Con me l'hanno provato, tante volte, le persone con cui ho letto insieme il Vangelo. Per fare un esempio: il Vangelo di oggi, parla di uno spirito immondo, che viene cacciato: quando si spiega che non si tratta certo del "diavolo" con le corna, la coda e il forcone... ma soltanto di un simbolo del male, un simbolo della violenza, dell'ingiustizia, che c'è nella vita dell'uomo; c'è spesso qualcuno che dice: "Ecco, cominciamo a togliere i diavoli, poi non crediamo più agli angeli, poi non crediamo più ai miracoli, poi finiamo col non credere più a niente!".
Si prova una sensazione di smarrimento, come se, lasciando le antiche parole, si rischi di perdere tutto! Ma poi ti accorgi che è importante vivere quest'avventura. È importante il coraggio di rischiare, il coraggio di avventurarsi, il coraggio di seguire le ispirazioni che ci sentiamo dentro, senza paura! Senza paura, perché il Signore ci ha dato l'intelligenza per pensare! Il Signore ci ha dato l'intelligenza per cercare la luce, senza sentirci legati alle parole che si son sempre dette, ad una mentalità superata, a leggi e tradizioni antiche! E ti ritrovi portato sempre più a scoprire le cose che veramente contano, i valori fondamentali, le realtà essenziali della nostra fede.
Vi ricordate, qualche tempo fa - molti di voi l'hanno vissuto - quanti scrupoli abbiamo avuto, prima di fare la comunione, perché nel lavarci i denti - chi sa? - abbiamo forse ingoiato qualche goccia d'acqua... sembrava che non si potesse fare la Comunione! Molti di noi si son portate dentro tante paure, finché qualcuno ci ha detto: "L'acqua non rompe il digiuno". Ci siamo guardati fra noi: "l'acqua non rompe il digiuno..." non si perdeva nulla di importante, anzi...
Vi ricordate quando - ma anche questo con timore, per alcuni di voi - ci siamo trovati fra le mani l'Ostia: dovevamo cercare quello che era essenziale, nella Comunione: l'incontro con Gesù! Non erano tanto importanti le regole, le tradizioni, le paure... ma il dono che il Signore ci ha fatto! E ci siamo sentiti più liberi! e abbiamo sentito che lì c'era la vita donata! Non soltanto regole, digiuni, minuzie, paure d'ingoiare un goccio d'acqua... ma la Vita di Gesù, che veniva a condividere la nostra vita! Gesù, che si faceva pane! Gesù, che mi faceva sentire il Suo amore in un simbolo straordinario!
E questo vale per tante cose della fede. Gesù non è venuto a ripeterci antiche parole, a moltiplicare le leggi, ma a portarci l'essenziale: la passione per la vita, per la giustizia, il coraggio di essere liberi, la fiducia nel Signore che ci libera dai pesi che abbiamo sul cuore, la certezza dell'amore e della tenerezza di Dio!
Ecco, per questo i discepoli dicevano: "Lui non è come i nostri maestri. Lui parla con autorità, Lui dice parole di vita eterna, Lui ci mette nel cuore qualche cosa della Luce di Dio!".
Il Signore lo faccia anche per noi!
1994
Noi siamo qui perché, anche a noi, Gesù ha attraversato la strada e ci ha chiamati ad andare con Lui; e noi abbiamo riconosciuto in Lui il Maestro che ha "parole di vita", il Maestro che non è come gli altri maestri, una persona eccezionale, cui vale la pena andar dietro. E dove vuol condurci Gesù? Ecco l'indicazione del Vangelo di Marco: a chinarci, con tenerezza, sul dolore del mondo, sulla sofferenza dell'uomo!
E occorre non guardare lontano: noi viviamo in un mondo in cui ogni sera la TV e la radio ci riversano, negli occhi e negli orecchi, l'immenso dolore del mondo e rischiamo di non accorgerci di quello che sta "fuori la porta": davanti alla porta della nostra casa, si riunisce, a volte, un'umanità dolente: una persona anziana, una persona sola, una persona che ha il cuore pesante, un malato...
È là, prima di ogni altro posto, che ci chiama Gesù, è lì che vuole condurci: a chinarci, con tenerezza, sulla sofferenza, sul dolore del mondo; senza tanti discorsi, senza tante parole. Qui non si fa - lo avete sentito - una sola parola sul perché c'è questa sofferenza: ci si china sull'uomo che soffre, si cerca di dare una mano, di recare sollievo!
E non solo il dolore, c'è un demonio. Il demonio (ormai lo sapete) quando si legge il Vangelo di Marco, non è uno strano essere spirituale: c'è il demonio là dove c'è l'intolleranza, là dove c'è la violenza, là dove c'è l'odio, dove c'è la cattiveria, dove c'è l'ingiustizia. Ce ne sono tanti di demoni allora intorno a noi. Non pensate a quelli lontani, a quelli grossi, alla guerra, alle tangenti, alla mafia... pensate all'ingiustizia quotidiana, che incontriamo forse anche nelle nostre case, nel posto dove andiamo a lavorare: è là che Gesù ci chiama a scacciare i diavoli! E se no che cristiani siamo, se non sappiamo scacciare qualche demonio, almeno di quelli piccoli?...
Scacciare il diavolo è cercare di cacciare dal mondo tutto quello che è disonestà, malvagità, violenza, maleducazione, intolleranza...! È là, che ci chiama Gesù!
Ma, vedete, abbiamo un problema: abbiamo spesso "la febbre". Avete sentito: nella casa di Pietro (questa è "la casa di Pietro", siamo noi "la casa di Pietro") c'è qualcuno che ha la febbre. Cos'è questa febbre? È l'incapacità di alzarci per servire, l'incapacità di dare una mano là dove c'è bisogno, l'incapacità di chinarci sulla gente che ci sta intorno. Per poter uscire incontro al dolore del mondo, occorre che Gesù ci prenda per mano, ci faccia alzare in piedi, ci faccia capaci di metterci al servizio degli altri, come la suocera di Pietro, che ha una febbre più profonda di quella che si manda via con qualche aspirina: è l'incapacità di voler bene, l'incapacità di dare una mano. Guariti da Gesù sapremo, anche noi, alzarci per "servire"!
E poi, quando avremo messo questo nel profondo della nostra vita, allora potremo alzarci, al mattino, e andare cercando Dio, per non correre il rischio di lasciarci condizionare dall'applauso della gente o dal successo o peggio per non diventare intolleranti. Soprattutto, andremo cercando i valori preziosi ed essenziali della vita: andremo cercando l'Assoluto, andremo cercando Dio, andremo cercando di annunziare il Vangelo!
Ma potremo farlo soltanto dopo esserci chinati sulla sofferenza e sul dolore dell'uomo. Quando avremo dato da mangiare a chi ha fame, dato da bere a chi è assetato, quando avremo asciugato una lacrima, quando avremo consolato chi è afflitto, allora dovremo sapere - dovremo dire, a noi stessi prima di tutto - che questo non basta: che occorre diventare mendicanti di Assoluto, che occorre cercare i valori essenziali della vita, che occorre cercare Dio, che occorre pregare, per non lasciarsi irretire dal successo, dall'intolleranza o dalla superficialità di questo mondo; per trovare le cose profonde della vita, per cercare i valori assoluti, per cercare Dio!
Perché un cristiano non può fermarsi soltanto a fare il bene che può intorno a sé: deve diventare mendicante di Dio, cercatore dell'Assoluto!
Il Signore ci aiuti!
1994
Gli uomini che hanno potuto vivere la fine del primo millennio, mille anni fa, hanno visto le strade d'Europa, di queste nostre città, attraversate da lunghe processioni: gente che andava gridando la propria disperazione, che invocava la liberazione dalla peste o dalla lebbra. Molti uomini come noi hanno fatto parte di lunghe schiere di gente, che andavano flagellandosi, battendosi il petto, cercando di espiare il peccato, perché Dio li liberasse dalla peste, dal vaiolo, dalla lebbra. Erano malattie terribili, che di volta in volta facevano morire centinaia e centinaia di migliaia di persone, quando attraversavano, come ondate, l'Europa! E la gente viveva nella paura, nel terrore di queste malattie; e spesso vedevano, in questi mali, un castigo di Dio, una punizione dell'Altissimo: bisognava pregare, moltiplicare le penitenze, i sacrifici!
Non sono state le processioni o le flagellazioni che hanno vinto queste terribili malattie, ma la lenta paziente ricerca dell'uomo, la passione di molti per la vita, la dedizione di tante persone nel prendersi cura del prossimo.
Noi siamo alla fine del secondo millennio e questi spettacoli ci sono risparmiati: il cammino dell'uomo ha liberato l'umanità dal peso di queste terribili malattie. Voi non sapete più che cos'è la peste, che cos'è il vaiolo; ed anche la lebbra è ricordo di terre lontane, che si potrebbe curare facilmente.
Ecco, chi affronta il terzo millennio, ormai prossimo, ha la certezza che ormai quasi tutte le malattie, quasi tutti i mali sono sconfitti, può conservare la speranza che ancora molti passi si faranno su questa strada!
Ma c'è ancora qualcosa di importante da fare perché i nostri ragazzi affrontino con ancora maggiore speranza il terzo millennio. C'è, ancora oggi, tanta gente che si sente discriminata, emarginata, com'erano un tempo i lebbrosi, gli appestati: avete sentito: dovevano andare in giro gridando: "Immondo! Immondo!" Anche oggi, le persone che sono portatrici di un handicap, le persone che sono malate o molto anziane, o le persone che in qualche modo sono diverse, che hanno una natura diversa dalla normalità, si sentono spesso discriminate, qualche volta addirittura condannate in nome della religione!
Ecco: il progetto che ci sta davanti - a cui anche noi, gente di tutti i giorni, possiamo collaborare - è fare in modo che il terzo millennio veda la liberazione non solo dalle malattie (perché questo è raggiunto, ormai, con lo sforzo di tanti), ma anche la liberazione da ogni discriminazione, da ogni condanna dell'uomo; perché non ci sia mai più una persona che, per il suo modo di comportarsi o per l'handicap che si porta o per gli anni che gli hanno appesantito la vita, si senta emarginato, non trattato come una persona umana, non rispettato, non accolto dalla comunità degli uomini! Anche per questo Gesù è venuto a condividere il nostro cammino di uomini e si è chinato con tenerezza sul lebbroso.
Ci sarà più pace, più speranza, più gioia nella vita degli uomini, se riusciremo a togliere ogni emarginazione: ogni cosa che divide gli uomini, ogni cosa che umilia la vita di un nostro simile!
Il Signore ci aiuti a farlo!
1994
Quest'anno abbiamo scelto, per il cammino di Quaresima, di rivolgere la nostra attenzione alla prima lettura più che al Vangelo: ai grandi simboli che hanno nutrito la fede di tanta gente prima di noi e che possono nutrire anche la nostra fede.
Avete sentito, oggi, nella prima lettura, due simboli: il diluvio e l'arcobaleno. È importante che ciascuno di noi porti nel cuore questi simboli, cercando di comprendere che cosa vogliano dire, perché poi ciascuno di noi sia capace di riempirli del concreto della propria vita. È quello che cercheremo di fare durante la settimana: perché la vita di ogni giorno è diversa per ciascuno di noi che siamo qui: chi lavora in un ufficio, chi in un altro; chi vive in una casa, chi in un'altra, ognuno in ambienti diversi. Ed è importante che ciascuno di noi riempia questi simboli del concreto della propria vita, dei fatti di ogni giorno: soltanto allora la parola di Dio ci parlerà nel profondo della nostra esperienza di uomini. Il mio compito è quello - se mi riesce - di aiutarvi a capire un po' questi simboli.
Allora vediamo il primo, il simbolo negativo: il diluvio, l'acqua che distrugge ogni forma di vita, l'acqua che ricopre tutta la terra. Un simbolo chiaramente, sapete, non è una storia: è l'intuizione che gli antichi avevano e che possiamo fare nostra: l'intuizione che il male dell'uomo sciupa la vita, rovina il mondo. Rovina il mondo della nostra esperienza di uomini, ma arriva a rovinare anche le piante, gli animali, la terra. Oggi siamo sempre più coscienti di questo: sappiamo che il nostro male, la nostra trascuratezza, rischia di distruggere addirittura la vita intorno a noi... pensate all'inquinamento, ai mari e ai boschi sciupati dal nostro egoismo, o riandate alle terribili immagini della guerra nella vicina Ex-Jugoslavia: città e case distrutte, corpi di uomini massacrati...
Ma se non volete andare lontano, pensate a quello che succede nel posto di lavoro: dove, se c'è qualcuno che non fa le cose con impegno, qualcuno che tratta male gli altri, qualcuno che si approfitta delle cose che non sono sue, la vita si sciupa, diventa sofferenza, non si lavora più volentieri. Pensate, se volete andare più vicino, alla vostra casa: quando si diventa intolleranti, insofferenti, incapaci di mettersi al servizio gli uni degli altri, la vita si sciupa, si rovina: va via la pace, non c'è più il bene, si soffre, si tribola!
Ecco: qual è il "diluvio" mio, personale? Che cosa, di quello che io faccio, sciupa la vita intorno a me? Che cosa fa soffrire chi mi sta accanto, nel posto di lavoro, con gli amici, con i figli, con i genitori, con la gente che mi sta intorno? Sono sempre più convinto che il male è tutto ciò che fa soffrire qualcuno, quello che procura tribolazione, quello che sciupa la vita di chi mi sta accanto.
Ma c'è un altro segno, per nostra fortuna, nella grande storia di Noè: il segno dell'arcobaleno, forse uno dei segni più belli che ci è dato vedere in natura! Vi è capitato, qualche volta, di vedere un bell'arcobaleno? di quelli che coprono tutto il cielo, da una parte all'altra e che annunziano il sereno, la bellezza del sole, dopo una tempesta?
Ecco, è importante che abbiamo dentro di noi anche questo segno: l'incontro dell'uomo con Dio - qualunque sia il male che si porta dentro, che ha intorno a sé - è possibilità dell'arcobaleno, è speranza dell'arcobaleno, è voglia di arcobaleno! È voglia di pace, è voglia di ricominciare; è voglia di mettere il proprio impegno al servizio del bene, perché la vita non sia più sciupata, intorno a noi, lontano da noi.
Oggi, alcuni, anche dei nostri bambini, sono andati a Roma, a partecipare ad una "marcia della pace": è bello che i bambini sognino la pace, che facciano qualche piccolo passo per la pace... Cominciamo a sognarla per i nostri fratelli che sono vicini a noi, al di là del mare. È bello fare questi sogni!...
Ma noi dobbiamo vivere anche di "arcobaleni" concreti: nella nostra casa, con la gente che ci sta accanto. Allora questa Quaresima sia per noi preghiera, invocazione per la pace, sogno della pace per chi conosce le tragedie della guerra, le tempeste della guerra! Ma sia anche impegno concreto, per fare un po' di pace intorno a noi, dove lo possiamo: per asciugare qualche lacrima, per togliere un po' di sofferenza, con la gente che ci sta intorno.
La nostra Pasqua sarà più bella, se faremo un po' di arcobaleno intorno a noi, se crederemo nell'arcobaleno nel concreto della nostra vita! Due simboli, dunque: il diluvio - un segno di distruzione e di morte - e l'arcobaleno - un segno di bellezza di splendore di pace! È importante che ciascuno di noi, in questa settimana, li riempia del concreto della propria vita; e sarà diverso per ognuno di noi. Ma ci ritroveremo qui, domenica prossima, a ringraziare il Signore, perché avremo fatto qualche piccolo passo sulla via della pace.
Il Signore ci aiuti!
1994
Un simbolo sconvolgente in questa seconda domenica di Quaresima, un racconto che, alla prima lettura, sembra una follia: un padre chiamato ad immolare suo figlio, che stende la mano per prendere il coltello! È un racconto folle!
Perché nella Bibbia si conserva questa racconto? Vedete, gli studiosi ci dicono che questo racconto viene a noi, forse, dalle profondità della storia: gli uomini, un po' in tutte le religioni, hanno conosciuto il sacrificio umano, l'offerta a Dio - nei momenti drammatici della guerra, della carestia, della peste - dei primogeniti. Israele capisce che Dio non può volere questo, che è un orrore sacrificare una persona umana (infatti avete sentito che, alla fine della storia, si sostituisce il figlio con un capro); e pian piano, nella storia di Israele, diventa normale che non si parli più di sacrifici di bambini. Anzi la valle accanto a Gerusalemme, in cui una volta, nei tempi antichissimi, si facevano queste cose, diventa il luogo dell'orrore, il luogo della negatività, l'immagine della distruzione: la valle della Geenna!
Ma questo racconto rimane. Non solo rimane, ma si arricchisce di particolari. Perché? Perché hanno conservato questo racconto, così insensato? Vedete, Israele intuisce che qui, in questa storia di Abramo, c'è una delle verità più profonde della nostra vita: perché tutti noi - ed ogni uomo che vive sulla terra - ha una tentazione: la tentazione di possedere, di far proprie non soltanto le cose, ma anche le persone. Ed ognuno di noi dovrebbe sapere che ogni persona, prima di essere sua, è di Dio: e a Dio deve "immolarla", perché questa persona sia libera, sia pienamente se stessa!
Vedete, molte di voi sono mamme: hanno fatto la fatica - nove mesi e poi il parto - di mettere al mondo un figlio! Ma non era finito il vostro compito: perché avete avuto anche voi la tentazione di possederlo, questo figlio, di trattenerlo per voi; avete forse tentato, inconsciamente, di avvilupparlo di mille dolci legami, perché rimanesse vostro, perché fosse l'immagine della vostra vita! E questo figlio ha dovuto strappare questi legami e voi avete dovuto generarlo di nuovo...perché, prima di essere vostro, fosse figlio di Dio: per poter crescere libero, per essere immagine non soltanto di sua mamma, ma di Dio: immagine della Sua libertà!
E molti di voi sono stati padri ed hanno avuto la tentazione di vedere nel figlio il compimento dei propri sogni, dei propri ideali. Ed avete tribolato, quando vi accorgevate che questo figlio, crescendo, era diverso da come voi lo volevate: non poteva essere la risposta ai vostri bisogni, ai vostri sogni, magari per realizzare quello che voi non eravate riusciti a realizzare! Questo figlio doveva andare per la sua strada! E voi, per essere veramente padri, dovevate farlo libero, dovevate non volerlo vostro, non possederlo: dovevate lasciarlo essere figlio di Dio, accettare che si realizzasse in lui tutta la libertà e la dignità di un figlio di Dio!
E quello che vale per un figlio - lo avete sperimentato tutti - vale anche nel rapporto fra uomo e donna, fra marito e moglie. Quante famiglie ho visto tribolare, nel tentativo dell'uno e dell'altra, di imporre la propria immagine, i propri desideri, su chi gli stava accanto, di farlo come lui lo voleva! E questo diventava soltanto tribolazione: era mancanza di rispetto, era incapacità di accettare fino in fondo l'altro, perché fosse libero e accolto nella sua pienezza!
Ma questa è una tentazione non soltanto dei mariti e delle mogli: è una tentazione dei preti! Forse qualcuno di voi ha tribolato nel vedersi conculcare la propria libertà di pensiero, di giudizio, quasi dominare la propria coscienza: in certi gruppi ecclesiali questo avviene abbastanza spesso... Ma è la storia di ogni amicizia, di ogni relazione umana: se vuoi l'altro come pare a te, lo perdi; se lo lasci libero, lo trovi!
Anche nel racconto del Vangelo abbiamo sentito i discepoli che cercano di trattenere Gesù solo per loro: Lo vedono trasfigurato, in un momento di gloria, e Pietro dice subito: "Facciamo tre tende! Fermiamoci qui! Gesù è nostro: che c'importa degli altri, laggiù!". E Gesù non può essere trattenuto, perché anche Lui deve essere libero, deve andare per la Sua strada, deve essere capace di amare fino in fondo!
Chi sa se vi ho aiutato a vedere un po' - dentro questo folle racconto di Abramo - le nostre storie: la storia di ognuno di noi, le esigenze più profonde della nostra vita! Allora il compito vostro è quello di riempire questa storia del concreto della vostra esperienza, per fare un po' più libero chi vi sta accanto. Allora la nostra Quaresima sarà più vera e ricca di vita!
Senza sensi di colpa, però! I sensi di colpa non servono a niente. Ciascuno si guardi intorno e dica: "Forse posso fare un po' più libero, posso rispettare un po' di più, posso "immolare" a Dio un po' di più, chi mi sta accanto! Perché l'altro sia più se stesso: un figlio, un amico, il marito, la moglie, la gente che ci vive intorno. Tutti abbiamo bisogno di crescere nella libertà. Tutti abbiamo bisogno di sentirci liberi e di far liberi chi ci sta accanto.
Il Signore ci aiuti!
1994
Dunque, abbiamo due simboli, in questa terza domenica di Quaresima, che ci guidano nel cammino verso Pasqua
Il primo vi è certamente familiare: specie chi ha qualche anno in più, ha visto più volte - anche rappresentate nelle immagini, a volte immagini straordinarie, di grandi artisti - le due tavole su cui è impressa la Legge.
La legge, una delle grandi conquiste dell'uomo! Vedete, l'uomo, quando ha incominciato a uscire dalla sua situazione di quasi-scimmione, che andava vagando nelle savane africane, ha cominciato a sentire il bisogno di darsi delle regole, di difendere la vita umana, proteggendola con la legge, a volte anche con la severità della legge.
Nella Bibbia troviamo i primi oscuri tentativi, ricordate: "Occhio per occhio; dente per dente; vita per vita"; cioè: "Se qualcuno ti ha rotto un dente, solo un dente puoi rompergli! Non puoi cavargli l'occhio, che è una cosa molto più preziosa; altrimenti si innesca la violenza".
Poi, da questi primi oscuri tentativi, si è passati a leggi sempre più perfezionate e complesse: man mano che si arricchiva la vita sociale, sempre più si sentiva il bisogno di difendere la vita dell'uomo. E ne facciamo esperienza anche oggi: quando non c'è più legge, c'è il sangue, c'è la violenza, c'è la corruzione, a volte anche la morte! L'uomo ha inventato la legge per difendere la propria vita, per difendere soprattutto i più deboli: una cosa preziosa, dunque, la legge; una difesa della vita dell'uomo, della sua civiltà, della sua tranquillità, specialmente dei più deboli!
Israele vede, anche, nella legge, un dono di Dio; e colloca questa legge nel cammino della liberazione. Avete sentito: "Io sono il Signore tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto". Israele ricorda l'Egitto come il luogo dell'orrore, il luogo della violazione della legge, il luogo in cui la dignità dell'uomo è calpestata, in cui si uccide, si fa ingiustizia, senza alcun rispetto. Israele esce da questo luogo dell'orrore, va verso la libertà; ma sa che questa libertà va difesa. E allora vive la legge come un dono di Dio, come un impegno con Lui: vive la legge come l'Alleanza con Dio, il dono che Dio gli fa, perché la sua vita sia protetta.
E sacralizza questa legge: come si usava allora, anche con tante promesse di premio e minacce di castigo. La legge, dunque, Israele la sente come un dono prezioso che Dio gli fa, la vive come l'impegno dell'Alleanza con Lui.
Ma io sto parlando a gente che, fino a qui, è pienamente d'accordo, vero? Voi siete tutti d'accordo sull'importanza della legge; anche perché, qui davanti: tutte persone oneste! Voi siete "gente per bene", voi non rubate, non uccidete, non fate violenza, rispettate gli altri; siete anche di quelli bravi - ormai siete rimasti in pochi - che rispettano la domenica: "Ricordati di santificare le feste" e voi siete tutti qui, a santificare la festa!
Allora, lasciate un momento da parte il primo simbolo: perché ce n'è un altro! Che è più inquietante per noi che siamo qui: Gesù che prende un po' di cordicelle, ne fa una frusta, e come un ciclone caccia via tutti dal Tempio! Eppure, è tutta gente osservante della legge. Perché era tutto regolare: nel Tempio si cambiavano le monete, perché sulle monete romane c'era l'immagine dell'imperatore, con scritto sopra: "Al divino imperatore". Non sia mai! avete sentito il comandamento di non fare immagini: non poteva entrare nessuna moneta pagana... Si vendevano le pecore, i buoi, per il sacrificio. I bravi, i fedeli, venivano e - come farete voi fra poco - mettevano mano al portafoglio, davano l'offerta. Il prete prendeva sempre la "coscia destra", com'è giusto! Se no, che ci sta a fare il prete? La parte migliore spetta a lui. Quindi i preti ci guadagnavano, si arricchivano; la gente se ne andava via contenta, perché aveva fatto il proprio dovere: aveva osservato la legge del Signore, si sentiva protetta da Lui. Tutto a posto!
Arriva Gesù e come un ciclone caccia via tutti! E se venisse qua? Che direbbe a noi, osservanti della legge? Forse non ci caccerebbe via, perché, in fondo, poi, Gesù era una brava persona, ma anche noi siamo brave persone; gli diremmo: "Buono! Fermo! Facci capire qualche cosa!".
Forse ci direbbe due cose: "Vedete, voi siete qui, osservate la legge, la legge del riposo festivo -"santificate la domenica"- osservate anche tante altre leggi. Attenzione, però, io son venuto per dirvi che, al di là della legge, è il cuore che conta! Se venite qui soltanto per sentirvi a posto, per sentirvi giusti davanti a Dio, sappiate che queste cose sono importanti, ma più importante è la misericordia, la tenerezza, la fedeltà!
"Io son venuto - vi direbbe Gesù - non per invitarvi soltanto ad osservare la legge esteriore (magari, come una abitudine...), ma a mettere l'amore, la giustizia, la passione per la vita, la tenerezza in tutte le cose che fate... E attenzione - direbbe ancora - guardate che l'osservanza della legge, spesso, diventa un piedistallo per giudicare gli altri".
Voi, che siete venuti a Messa, che avete avuto anche la pazienza di ascoltare la predica del parroco - un po' lunga, stasera, ma adesso finisco subito - poi andate a casa e magari rischiate di giudicare il figlio o il nipote: "Tu non sei venuto a Messa! Tu sei "un poco di buono", perché non vai a Messa!". E magari non capite che quello, forse, è anche migliore di voi!
C'è un rischio, nella legge: è l'abitudine, è l'esteriorità è il far le cose soltanto per avere un premio. E un rischio ancora peggiore: è il piedistallo per giudicare gli altri, che non ci fa mettere tenerezza nella vita. E allora, vedete, oggi c'è un segno per tutti. Ma forse quello che più ci riguarda da vicino è il segno di Gesù!
Senza sensi di colpa, senza spaventarci! Ma accogliamo l'invito di Gesù, a riflettere: perché siamo qui? Che senso ha, per noi, essere persone oneste? Siamo capaci di voler bene fino in fondo? Sappiamo andare al di là dell'onestà esteriore della legge? Conserviamo nel cuore il desiderio del bene, della giustizia, la capacità di amare sul serio? E poi, riusciamo a non giudicare e condannare chi ci vive accanto? A non fare della nostra onestà un piedistallo, che ci impedisce di essere misericordiosi?
Il Signore ci aiuti!
1994
Dunque, il primo segno di oggi: l'editto di Ciro. Ciro il pagano, il grande re della Persia, comanda che il popolo di Israele - che da più di 70 anni è in esilio in Babilonia - possa tornare in patria. E il popolo parte e ritorna nella sua terra: si rinnova l'uscita dall'Egitto!
Vedete, Israele ha la grande intuizione (e noi siamo figli di questa intuizione) che Dio Lo si incontra in un cammino di liberazione e di vita. Là dove si fa un passo avanti verso la vita, là dove l'uomo trova tracce di liberazione, là dove l'uomo cammina verso la libertà: là si fa esperienza di Dio! Vi sembra una cosa scontata, forse, questa, ma non lo è, nella nostra tradizione cattolica: spesso il nostro guardare il mondo - lo sentite da tanti discorsi che si fanno all'interno della Chiesa ed anche, spesso, dalle autorità della Chiesa - è intriso di cupo pessimismo: tutto sembra cattivo, tutto sembra negativo. Noi cristiani abbiamo un senso acuto del peccato, del male, ma spesso mi è capitato di notare l'incapacità di cogliere, intorno, i segni di liberazione e di vita: le cose che fanno fiorire la speranza, le cose che sembrano anticipare un mondo più bello. Anche quando vengono da "pagani", da gente che dice di non credere in Dio.
Io credo che il compito di un cristiano sia - e potrebbe esserlo sempre di più per tutti noi - quello di guardarsi intorno e di scoprire i segni di liberazione, i segni di un mondo nuovo, che diventa più bello, più positivo. Non dite subito che non ci sono! cerchiamoli, intorno, con passione: quando ascoltate la Radio, quando leggete il giornale, non guardate subito il mondo con l'ottica negativa del male, del peccato! Questo porta la paura del futuro, per molti Cristiani anche la paura di Dio, il pessimismo verso la vita! Ricordate! Ricordate l'editto di Ciro: Israele sa che incontra Dio, quando trova liberazione, quando trova vita!
Vi porto soltanto due esempi, piccoli; le ultime notizie che mi risuonavano nell'orecchio, mentre oggi passeggiavo in pineta e mi domandavo: "Che segni di speranza posso dire, oggi?". Due, i primi che mi son venuti in mente. Voi ne troverete molti altri, se ascolterete con attenzione la Radio, stasera, o leggerete con attenzione il giornale; non per prestare attenzione alle notizie cattive (di quelle ne sentite tante...) ma per cercare di cogliere quelle buone.
Un primo segno: tornano a casa dalla Somalia i nostri soldati: non hanno combinato granché: i primi goffi tentativi di portare aiuto! Ma non dimenticate: non molto tempo fa siamo andati là, sperando di conquistare un Impero; adesso siamo andati là - e qualcuno ci ha anche rimesso la vita - per tentare di dare una mano, per tentare di portare pace, per tentare di aiutare altri uomini. Non ci sono riusciti; ma vedete che differenza, vedete che speranza di un mondo nuovo! Siamo andati a tentare di portare la pace! Non andiamo più a conquistare imperi, a piantare le nostre orgogliose bandiere: andiamo a tentare di tendere una mano. Stavolta non ci siamo riusciti del tutto, ma la prossima volta faremo un passo di più e la terza volta ci riusciremo, saremo capaci di portare la pace! Forse noi no, che abbiamo già i capelli bianchi, ma i nostri nipoti, sì!
Un secondo segno di speranza: sono state ordinate, in Inghilterra, nella Chiesa anglicana, delle donne-preti. Qualcuno brontolerà, vi vedrà il segno del maligno... È il mondo che va avanti, è la parità dei diritti, è la pari dignità, anche per le donne; ed è giusto che sia così. Si realizza finalmente la parola dell'Apostolo: "In Cristo non c'è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna..." E i nostri nipoti (noi no, abbiamo già i capelli bianchi) vedranno qui una donna, a parlare al posto mio. E si rallegreranno, perché anche questa è liberazione, anche questa è vita, anche questa è speranza di un mondo più giusto, di un mondo più rispettoso dei diritti di tutti.
Cercateli, ne troverete tanti, di segni di speranza! Là dove c'è un cammino di liberazione, là dove si fa un passo verso la vita, là c'è Dio! Dove c'è paura, dove tutto sembra male, dove c'è pessimismo, là Dio è lontano!
E l'altra immagine di oggi: è familiare a tutti noi: è Lui, in croce. Non è venuto per giudicare il mondo, ma per salvare il mondo! Se qualcuno di noi, stasera, si sente il cuore pesante, se porta dentro di sé un po' di paura di Dio, se sente il peso del peccato, se ha paura di essere giudicato, guardi Lui! Ci ha voluto bene fino a donare la vita: le braccia spalancate fra il cielo e la terra, segno di perdono e di vita, segno di amore totale!
Non è venuto per giudicarci e per condannarci; non è venuto per metterci paura: è venuto per salvarci, per metterci la tenerezza nel cuore, per darci la fiducia di poter ricominciare sempre, di poter camminare sempre, di potere andare con fiducia verso Dio!
Il Signore ci aiuti!
1994
E dunque, due segni, due simboli ancora, in questa quinta domenica di Quaresima, che ci guidano nel cammino verso la Pasqua. Ve li ho già ricordati, li abbiamo ascoltati insieme.
Il primo segno: un cuore di carne, in cui è scritta la legge del Signore. Non più le "tavole" della legge, la legge incisa sulla dura pietra; non più la severità esteriore della legge, ma i valori della legge nel cuore dell'uomo, l'amore del Signore nell'animo della gente. È il sogno dell'uomo, è il sogno del credente!
Il sogno di un mondo in cui non ci sia più bisogno della legge esterna per distogliere l'uomo dal male, il sogno di un mondo in cui ciascuno si porti dentro la passione per la giustizia, l'amore per gli altri, la tenerezza! Un mondo in cui non ci sia più bisogno dei giudici, delle pene, delle carceri, un mondo in cui il bene non si fa più per sperare un premio o per la minaccia di un castigo, ma perché ciascuno sente dentro di sé la passione per la vita, la passione per il bene!
Un sogno, un'utopia all'orizzonte della storia! ma è il sogno più grande che un Cristiano si porta dentro, il sogno che l'Amore di Dio sia in ciascuno di noi e non ci sia più bisogno nemmeno di maestri. Un sogno - credo che per qualcuno di voi sia piacevole - in cui don Checco non predichi più, in cui non ci sia più bisogno che vi ripeta sempre le stesse cose, le stesse parole... Perché si è fatto spazio all'Amore di Dio nel cuore di ciascuno di noi!
E vedete, questo sogno cammina nella storia del mondo; e ogni volta che vi capita di incontrare, sulla vostra strada, un ragazzo, un giovane - e ce ne sono tanti; a me capita spesso di incontrarli - che sentono sempre di più l'avversione per l'idea del premio, del castigo, a cui dà fastidio il fatto che si studi solo per prendere un bel voto; ogni volta che incontrate, qualcuno che fa le cose perché ne sente il valore e non per avere un premio, che fa le cose non per tradizione o per paura del castigo, ma perché sente che è giusto così... si fa un passo verso il sogno di un mondo completamente trasformato dall'Amore di Dio!
Voi direte: "Ma è un sogno, è all'orizzonte della nostra storia!" Sì, è un sogno; ed è un sogno non facile da realizzare. Per questo abbiamo bisogno del secondo segno: un chicco di grano,che si perde nei solchi della storia. Perché tante volte, nella vita dell'uomo, chi crede nella giustizia, chi si dà da fare per realizzare il bene, non ottiene subito il risultato, non vede il frutto dei suoi sforzi. È accaduto anche a molti di voi, quando avete tentato di educare i figli; agli insegnanti, che hanno cercato di trasmettere i valori della cultura. Qualche volta vi cadevano le braccia, pensavate che il vostro sforzo, la vostra fatica andasse perduta; pensavate che fosse inutile quello che facevate... ma avete avuto il coraggio di continuare. Perché credevate nell'importanza di quello che cercavate di comunicare a vostro figlio, o ad un vostro alunno; perché accettavate di vivere anche il fallimento, nella speranza che qualche cosa in lui fiorisse, portasse frutto! Purtroppo, nel faticoso cammino della vita, non sempre, ogni volta che si getta un seme, lo si vede fiorire: a volte deve morire, a volte ci vuole molto tempo.
Ma noi siamo qui, per conservare dentro di noi la speranza e il coraggio che ogni seme giusto un giorno fiorirà! Noi siamo qui, per camminare con tutto il coraggio della nostra vita, verso l'utopia di un mondo in cui, nel cuore di ogni uomo, ci sia la passione per il bene, per la vita, ci sia la giustizia, l'onestà, la tenerezza.
Non succederà domani! Domani, ancora, alcuni di noi cercheranno di sacrificarsi, di essere come un seme per il futuro, ad alcuni di noi sembrerà di vedere fallita la propria vita... Guardate Lui, piccolo seme perduto nei solchi della nostra storia! Quando è morto sulla croce tutto sembrava finito: la Sua vita sembrava essere stata inutile; il coraggio della Sua libertà, il dono di Sé, la passione per la vita, tutto sembrava finito!
Noi siamo ancora qui, riuniti nel Suo nome; in ogni parte del mondo c'è gente riunita nel Suo nome; e i semi che Lui ha messo, continuano a fiorire nella nostra storia e ancora fioriranno
È questa la nostra fede; è questo che ci riunisce qui, è questo che ci prepara a celebrare con gioia la festa di Pasqua, a gridare al mondo la nostra speranza: la speranza di un mondo in cui, finalmente, l'amore sia nel cuore di tutti. Per ora, coraggio! continuiamo a seminare. Come ha fatto Lui!
1994
Porterete a casa questo piccolo ramo d'ulivo, lo conserverete per tutto l'anno come segno della vostra fede; non potete - purtroppo non siamo in grado di farlo: avete sentito : "era molto prezioso" - non potete portare a casa un vasetto di alabastro spezzato, pieno di profumo: sarebbe bello se stasera le vostre case si riempissero di profumo prezioso!
Portatelo nel cuore, allora, il profumo di questo unguento straordinario, che la donna del Vangelo ha versato sulla testa di Gesù! Lei ha spaccato il vasetto: era prezioso, di alabastro! ha preso il profumo: nardo purissimo! e lo ha versato sulla testa del Signore! Una donna straordinaria, che non fa calcoli, che sa riconoscere chi tribola, chi soffre, chi è in difficoltà! Portatelo nel cuore, il ricordo di questa donna: è questo il secondo segno della liturgia di oggi: un vasetto prezioso, spezzato!
La gente che fa conti, che pensa ai denari dice: "Vale 300 denari! Si potevano dare ai poveri!". Uno di loro tradirà il Signore per 30 denari... Sono forse numeri immaginati da chi ha scritto il Vangelo; ma teneteli nel cuore: il prezzo del tradimento è di 30 denari, chi sa amare sul serio ne butta via 300! Perché non calcola...
Guardate l'amore di questa donna: è l'unica fra tanti - fra tutti questi maschi indaffarati, che sanno far bene i conti - l'unica che sa accorgersi, accorgersi fino in fondo, che in quel momento il più povero è proprio Gesù! È Lui, che ha bisogno di un gesto di tenerezza: è ormai alla vigilia della morte e sente intorno a sé la violenza del mondo. E questa donna sa guardarLo negli occhi, sa accorgersi di Lui; e quando se ne accorge, non calcola più!
Ecco, noi possiamo entrare nella "settimana santa", possiamo portare il ricordo della nostra professione di fede in questo ramo d'ulivo, soltanto se ci portiamo nel cuore un po' dell'amore di questa donna. Perché amare non è fare grandi cose, gesti straordinari... ma la capacità di accorgersi, con tenerezza, di chi ci sta accanto, la capacità di guardare negli occhi il vicino, di saper accorgersi di un momento di smarrimento, di bisogno, di una lacrima...e saper tendere una mano, senza calcolare più!
Questo è l'amore di questa donna! Questo è l'amore che ogni Cristiano dovrebbe portarsi nel cuore! A volte non ne siamo capaci; per questo lo chiediamo al Signore anche oggi. Questo ramo di ulivo tenetelo in onore nella vostra casa; e ogni volta che lo guardate, ricordatevi che oggi avete acclamato al Signore. E ricordatevi del profumo del Vangelo di oggi: conservate nel cuore il "segno" di questa donna, del suo amore: del suo accorgersi di Gesù e del suo dare senza calcolare!
Il Signore ci aiuti!
1994
Quando la violenza e l'intolleranza degli uomini stavano per inchiodarLo sulla croce, quando Giuda si apprestava a tradirLo, quando i discepoli stavano per abbandonarLo e lasciarLo solo di fronte alla morte, nei bassifondi della nostra storia, là dove la vita dell'uomo diventa assurda e incomprensibile: là Gesù ha lasciato la Sua eredità, il cuore della Sua vita affidato a questo segno che noi celebriamo. Un pane spezzato ha inventato! Ha inventato di farsi pane per noi! Segno che è nel cuore della nostra fede: segno di una vita donata, segno di una gratuità totale! Segno che la vita conta per quanto c'è dentro di amore, di dono di sé, di gratuità!
La vita non è soltanto la ricerca di quello che è utile; non è soltanto ammucchiare cose; la vita non è il bene cercato per desiderio del premio o per paura del castigo. Al di là di tutto questo è la gratuità di donare se stessi, è la vita condivisa fino in fondo, il farsi pane per nutrire gli altri!
Ecco, nel cuore della nostra esistenza di credenti, Gesù ha messo questo segno! E ci ha riuniti, intorno a questa tavola, come fratelli! Come fratelli che a volte si ritrovano il cuore pesante, perché a volte la vita è difficile: anche noi a volte facciamo esperienza - se non proprio del tradimento - delle intolleranze della vita... Nel cuore della nostra esistenza, quando la vita si fa difficile, Gesù ci invita a non rispondere con il rancore al rancore, con l'odio all'odio, con l'intolleranza all'intolleranza; ma ci aiuta a capire che la vita vale, la vita conta, la vita diventa bella, se può essere donata, se scopriamo la gratuità!
Anche noi siamo invitati a non fare il bene per meritarci un premio o, peggio per evitare un castigo; anche noi siamo invitati alla gratuità, a scoprire che il cuore della vita è il dono di sé, è l'amore!
E allora Gesù ci lascia, in questa sera, un altro segno: un catino, un asciugamano, i piedi lavati! Non perché abbiamo bisogno di purificarci, stasera; non perché abbiamo bisogno di essere lavati da chissà quali peccati: abbiamo bisogno di portarci dentro al cuore il gesto di Gesù, che si china a lavarci i piedi e guardandoci negli occhi ci dice: "Hai capito quello che ho fatto? Io, il Signore, il Maestro, Colui che ha creato il cielo e la terra, sono qui per chinarmi a lavare i tuoi piedi!". Segno di servizio, segno di tenerezza, mano che si tende...
Perché anche noi possiamo portare questo ricordo di Lui nella nostra vita di tutti i giorni: il donarci nel servizio. Nel servizio quotidiano. Non i gesti eroici, straordinari: la tenerezza di ogni giorno, l'attenzione dell'uno verso l'altro, il servizio del lavoro, della vita in casa, il tendersi verso chi è più povero, verso chi ha bisogno, dove c'è una lacrima da asciugare!
Il servizio di ogni giorno è l'unica legge della nostra vita cristiana. Perché qui, intorno a questa tavola, mentre ci nutriamo del pane che Gesù spezza per noi, mentre ci lasciamo lavare i piedi da Lui, riconosciamo che abbiamo un'unica legge: non ce n'è nessun'altra! Non c'è per noi la paura del castigo, non c'è il volerci meritare il premio: c'è, nel profondo del nostro cuore, una unica legge: la legge dell'amore, la legge del metterci gli uni al servizio degli altri, la legge di condividere la vita!
É questa la strada in cui Gesù ci invita a camminare. E per questo si fa pane, per questo vuole nutrire la nostra vita. Per questo ci invita tutti - nessuno escluso - qui, a mangiare, a condividere la Sua vita, a portarci, dentro di noi, un po' del Suo amore e della Sua gratuità! È il segno che è il cuore della nostra fede: Gesù che si fa pane e ci lava i piedi.
Il Cristianesimo è tutto qui!
1994
La morte arriva, a volte, nella vita dell'uomo alla fine, quando è "vecchio e sazio di giorni", come dice la Scrittura: è una morte attesa, a volte desiderata; non è questa la morte che fa problema.
La morte di un bambino, la morte di un giovane, l'innaturale morte di un figlio prima di quella dei suoi genitori; la morte causata dalla violenza e la morte dei giusti, la morte di chi cerca la pace, la morte della gente fragile, indifesa, abbandonata alle bombe, alla crudeltà, al terrore della guerra: tutta questa morte, tutta la violenza, tutto il dolore del mondo, noi ritroviamo davanti a questa croce!
Gli uomini hanno cercato di capire, anche di giustificare; c'è stato anche chi è arrivato a pensare che in questa morte ci fosse un sacrificio, una espiazione, un'offerta gradita a Dio...quasi che Dio possa amare il dolore! Dio odia il dolore, odia la violenza, la sofferenza.
E Gesù è venuto a condividere i bassifondi della nostra storia, proprio perché nessuno nel momento della sofferenza si sentisse allontanato da Dio. È venuto anche per metterci nel cuore il coraggio di combatterla, la sofferenza: il dolore, la violenza, la morte. È venuto per darci il coraggio, perché regni la giustizia e la pace in mezzo a noi. E a volte non riusciamo a capire perché, per arrivare alla pace, bisogna soffrire: non capiamo perché il cuore dell'uomo è capace di violenza; non capiamo perché, qualche volta, anche noi siamo capaci di odiare!
Ecco, Gesù è venuto per dirci che si può amare fino in fondo, si può essere fedeli fino in fondo. Questo non giustifica la Sua come le altre morti: rimane una cosa assurda, rimane il frutto della violenza cieca dell'uomo! Ma dentro questa violenza Dio è venuto a mettere l'amore, e insieme all'amore la speranza!
Tra poco noi pregheremo per tutto il dolore che c'è nel mondo. A volte è troppo, questo dolore; a volte vorremmo che sparisse; a volte facciamo nostro il grido cinico della gente sotto la croce: "Se tu sei Dio, salvati: salva te stesso ed anche noi".
Dio non può far sparire il male con un colpo di magia: è venuto perché noi siamo capaci di portare la salvezza e la liberazione, nel nostro cuore e intorno a noi; è venuto perché noi siamo capaci di amare.
Ecco, a Lui presentiamo la sofferenza del mondo; il dolore del mondo è anche il nostro dolore. A Lui chiediamo, adesso, in una grande preghiera, il coraggio della fedeltà e dell'amore. Anche se non riusciamo a capire!
1994
La morte arriva, a volte, nella vita dell'uomo alla fine, quando è "vecchio e sazio di giorni", come dice la Scrittura: è una morte attesa, a volte desiderata; non è questa la morte che fa problema.
La morte di un bambino, la morte di un giovane, l'innaturale morte di un figlio prima di quella dei suoi genitori; la morte causata dalla violenza e la morte dei giusti, la morte di chi cerca la pace, la morte della gente fragile, indifesa, abbandonata alle bombe, alla crudeltà, al terrore della guerra: tutta questa morte, tutta la violenza, tutto il dolore del mondo, noi ritroviamo davanti a questa croce!
Gli uomini hanno cercato di capire, anche di giustificare; c'è stato anche chi è arrivato a pensare che in questa morte ci fosse un sacrificio, una espiazione, un'offerta gradita a Dio...quasi che Dio possa amare il dolore! Dio odia il dolore, odia la violenza, la sofferenza.
E Gesù è venuto a condividere i bassifondi della nostra storia, proprio perché nessuno nel momento della sofferenza si sentisse allontanato da Dio. È venuto anche per metterci nel cuore il coraggio di combatterla, la sofferenza: il dolore, la violenza, la morte. È venuto per darci il coraggio, perché regni la giustizia e la pace in mezzo a noi. E a volte non riusciamo a capire perché, per arrivare alla pace, bisogna soffrire: non capiamo perché il cuore dell'uomo è capace di violenza; non capiamo perché, qualche volta, anche noi siamo capaci di odiare!
Ecco, Gesù è venuto per dirci che si può amare fino in fondo, si può essere fedeli fino in fondo. Questo non giustifica la Sua come le altre morti: rimane una cosa assurda, rimane il frutto della violenza cieca dell'uomo! Ma dentro questa violenza Dio è venuto a mettere l'amore, e insieme all'amore la speranza!
Tra poco noi pregheremo per tutto il dolore che c'è nel mondo. A volte è troppo, questo dolore; a volte vorremmo che sparisse; a volte facciamo nostro il grido cinico della gente sotto la croce: "Se tu sei Dio, salvati: salva te stesso ed anche noi".
Dio non può far sparire il male con un colpo di magia: è venuto perché noi siamo capaci di portare la salvezza e la liberazione, nel nostro cuore e intorno a noi; è venuto perché noi siamo capaci di amare.
Ecco, a Lui presentiamo la sofferenza del mondo; il dolore del mondo è anche il nostro dolore. A Lui chiediamo, adesso, in una grande preghiera, il coraggio della fedeltà e dell'amore. Anche se non riusciamo a capire!
1994
In questa Quaresima - molti di voi lo ricordano - ci siamo fatti portare per mano verso questa Pasqua dai grandi segni della nostra fede; tanti segni, domenica dopo domenica, ci hanno accompagnato fin qui. Ed anche questa notte è tutta piena di segni: il fuoco, il buio, il grande Cero, la luce, il canto, la parola... E non abbiamo ancora finito: tra poco l'acqua, le nostre piccole candele...
Ma adesso dobbiamo andare a vedere il segno più grande, più importante della nostra fede, ma forse anche il più difficile. Venite con me: fate appello a tutta la vostra fantasia. Andiamo là, dove i discepoli sono radunati: c'è Pietro, Giovanni, gli altri. E arriva Maria Maddalena, di corsa, affannata, a dirci: "Hanno portato via Gesù dal sepolcro!". E corriamo! Corriamo anche noi con Pietro e Giovanni; ci fermiamo un po' da lontano, a vedere che succede: la grande pietra è rovesciata, il sepolcro vuoto!
Ma si fa fatica a credere, si fa fatica a vedere, si fa fatica ad entrare! Noi siamo abituati ai segni del dolore: ci è familiare il Crocefisso. L'abbiamo sempre qui, in mezzo a noi; quando veniamo in Chiesa, guardiamo: Gesù in croce! La sofferenza, la morte, il dolore, ci sono familiari. È difficile andare in chiesa e trovare una grande pietra rovesciata, una tomba vuota... Qualche volta noi amiamo i segni del dolore. Qualcuno ha osato dire che Dio gradisce il sacrificio, la sofferenza, il tormento degli uomini.
Il cuore della nostra fede è una grande pietra rovesciata, un sepolcro vuoto! Il nostro Dio è il Dio della vita e stasera vuole comunicarci tutta la Sua passione per la vita! Noi crediamo, con tutta la nostra forza, che Dio Lo si incontra là dove l'uomo si libera, dove l'uomo sorride, dove l'uomo passa dal pianto alla gioia, dove l'uomo passa dal dolore alla festa, al piacere, alla vita!
Tutti noi, tutti noi siamo impegnati per la vita, siamo impegnati per il bene degli altri, per il rispetto dell'uomo, per la sua libertà. Tutti noi dobbiamo portare nel cuore, stasera, la passione per la vita. Tutti: i giovani, che hanno il loro coraggio, le loro energie, la loro forza da mettere al servizio degli altri, al servizio di chi sta loro accanto, al servizio di chi tribola, al servizio di chi non è rispettato, al servizio di chi non si sente amato, al servizio di chi si sente oppresso. Ma tutti, anche chi ha i capelli bianchi, anche chi sente le forze andar via: tutti siamo chiamati a portare la vita, un sorriso una carezza, una lacrima asciugata...
Là c'è Dio, là c'è Dio! Là c'è la forza del Signore risorto! Là c'è l'anticipo della grande festa, a cui tutti siamo chiamati! Non dimenticate: è facile per noi uomini credere nella sofferenza, nel dolore (ne facciamo esperienza ogni giorno); è difficile credere nella gioia; è difficile gridare la vita; è difficile conservare la speranza; è difficile diffondere intorno a noi la passione per il bene, il servizio verso l'uomo, la tenerezza, la gratuità! Eppure, per questo viviamo: questo è il cuore della nostra esperienza!
Venite! Entriamo in quella tomba ed anche noi crediamo! Apriamoci alla vita di Gesù! Non è rimasto sulla croce. L'ultima parola non è la sofferenza: l'ultima parola è la vita. E noi siamo chiamati a moltiplicare la vita, a moltiplicare il piacere, a moltiplicare il sorriso, a moltiplicare la gioia, a moltiplicare la gratuità, il rispetto, la festa dell'uomo. La festa è l'ultima parola a cui il Signore ci chiama!
Venite! Una pietra rovesciata, una pietra spezzata, un sepolcro vuoto: la festa della vita! Questa è Pasqua! A questo ci invita il Signore!
Tutti, tutti consegnati alla vita. Tutti invitati a gridare la gioia in mezzo a questo mondo, a portare la speranza intorno a noi, finché non potremo partecipare alla Grande Festa, per cui Dio ci ha creati!
1994
Era un uomo pratico, Tommaso, un uomo concreto: forse un uomo abituato a trattare affari, là dove é necessario che 2 e 2 facciano sempre 4; e Tommaso ha bisogno di vedere, di toccare; non può fidarsi delle parole. Non ci si fida di chi parla, negli affari: occorre vedere, ci vogliono i documenti, bisogna saper fare i conti. Tommaso non riesce a credere a chi gli annuncia la risurrezione di Gesù: vuol vedere, toccare...
Gesù, con tenerezza, prende la mano di Tommaso; ma poi dice: "Beati coloro che, pur non avendo visto, crederanno!".
Occorre che qualcuno spieghi a Tommaso - a quel Tommaso che tutti ci portiamo dentro - che le cose essenziali della vita non si possono vedere, toccare. Non si tocca l'amore, il desiderio della giustizia, la passione per la libertà, la speranza nel futuro di un mondo più bello e più vero: di queste cose se ne possono intravedere le tracce, si possono cogliere vaghi segni!
Occorre spiegare a Tommaso, che se vuol fare esperienza di Dio non deve aspettarsi di vedere, di toccare qualche cosa. Come tutti i grandi credenti nella storia, deve andare in ricerca dei segni, deve stupirsi per le cose che ha intorno, deve conservare dentro di sé la meraviglia! E soprattutto, deve cercare nella propria esperienza di tutti i giorni - nelle esperienze di liberazione e di vita - le tracce di Dio! Le tracce di un amore, di una tenerezza, da cui tutti veniamo. Occorre spiegare questo a Tommaso, altrimenti Tommaso non potrà mai credere.
Altrimenti Tommaso corre un grande rischio (non il discepolo di tanto tempo fa, ma il Tommaso che c'è in tanta gente che ci sta intorno, e che, forse, anche noi ci portiamo nel cuore): corre o il rischio di diventare cinico, di non credere più a niente, di ritenere importante soltanto il denaro, le cose concrete, i conti, l'arrivare alla fine del mese; oppure rischia ancora di peggio: di credere che il futuro glielo può svelare chi gli fa le carte e, mostrandogli una strana figura di un "tarocco", gli dice: "Ecco, vedi, qui c'è il tuo futuro, puoi toccare con mano quello che ti accadrà...". O crederà che può andare ad incontrare Dio là dove c'è una madonna che piange o addirittura che versa copiose lacrime di sangue...o dove la religione serve a garantire il potere o gli affari.
Dite a Tommaso che per scoprire le cose essenziali della vita, non serve saper fare i conti: quando si parla di amore, di giustizia, occorre la fantasia del poeta, la capacità di sognare, occorre la passione per la vita, occorre saper apprezzare i fiori che stanno per sbocciare, le promesse del futuro! Dite a Tommaso che non può vedere, che non può toccare Dio: deve contentarsi delle Sue tracce.
Altrimenti lo ingannano, gli mostreranno Dio dove c'è il prodigio, dove c'è un fatto straordinario, e non si accorgerà che Dio Lo incontra in chi gli sta accanto, che i segni della resurrezione li trova là dove scopre dei segni d'amore, dove si tende una mano, dove c'è un gesto di tenerezza, dove l'uomo fa un passo verso la libertà!
Se Tommaso venisse qui e guardando verso di noi ci dicesse: "Mostratemi i segni del Signore risorto!" e Tommaso volesse vedere - come dice la prima lettura - un "cuor solo e un'anima sola": gente che dà via tutto, gente che ama fino in fondo, gente che non pensa più a sé stessa; Tommaso se ne andrebbe via deluso e sfiduciato. Non saprebbe guardare nei vostri occhi, non saprebbe riconoscere nella nostra vita tutti i segni che voi sapete fare, di tenerezza, di bontà. Quanti gesti di bontà ci sono anche in mezzo a noi! Quanti gesti di servizio, quanti gesti d'amore, quanta tenerezza nella vita di ogni giorno! Se Tommaso sapesse vedere, riconoscerebbe, in mezzo a noi, la forza del Signore risorto!
Volete che aggiunga un'altra parola? Dobbiamo aiutare Tommaso e moltiplicare questi gesti! Chiediamolo al Signore, in questa Messa: che sappiamo fare quei segni, quei gesti d'amore, in cui un cuore sincero può ritrovare le tracce di Dio, le tracce della resurrezione del Signore, perché tutti i Tommasi che ci sono intorno a noi e il Tommaso che c'è dentro di noi possa credere, pur senza vedere il bene già compiuto e pienamente realizzato!
Basta che si porti nel cuore il desiderio e la passione per la vita, la fantasia, il sogno, il coraggio del futuro, la speranza, la voglia di credere: non nelle cose già compiute e realizzate, ma nel fiore che sta sbocciando, nella primavera che si annuncia.
Il Signore ci aiuti!
1994
M'avessero detto, quando ero ragazzo, che i discepoli di Gesù avrebbero manifestato la paura, lo spavento, il dubbio non di fronte alla Croce, ma di fronte al Signore risorto, proprio non avrei potuto crederlo! A quel tempo ancora non conoscevo bene il Vangelo. Se i miei catechisti mi avessero detto che i discepoli hanno paura, sono stupefatti, spaventati, hanno dubbi non di fronte alla Croce, ma di fronte al Signore risorto, avrei detto: "Ma di che mi state parlando! ".
Eppure, avete ascoltato il Vangelo di oggi: è proprio davanti a Gesù risorto che i discepoli si spaventano, hanno i loro dubbi; il Vangelo di Luca quasi balbetta: "Per la troppa gioia non riuscivano a credere", come se fosse la gioia ad impedire loro di credere; e poi parla di paura, di stupore: "credevano di vedere un fantasma"...
Ecco, si tenta di esprimere così quella che - poi l'ho capito! Perché ci vuole la vita, per capire tante cose - è una delle esperienze più importanti dal credente e, forse, una delle esperienze più importanti dell'uomo. Per l'uomo è più facile vedere il male che il bene, è più facile credere nel dolore che nella gioia, nella colpa che nel perdono, è più facile provare paura, conoscere lo sconforto e la delusione, che trovare il coraggio della speranza, è più facile credere nella morte che nella vita! È più facile fare esperienza della Croce che della Risurrezione! È difficile per l'uomo credere nel bene quando vede il male intorno a sé, ritrovare la speranza quando fa esperienza di dolore, di sofferenza, di morte.
Anche nella nostra religione - o quella che molti credono essere la nostra religione - ne avete fatto esperienza anche voi: leggete ogni tanto, nel giornale, che qualcuno pensa di veder apparire una Madonna: sempre che piange, mai che ride! Non leggete mai che è stata trovata una statua della Madonna che ride.
Ho fatto tante volte questo discorso alla gente, e più di una volta qualcuno mi ha risposto: "A don Che’, che c'è da ridere, secondo Lei?!". Forse anche tra di voi c'è qualcuno che la pensa così... Fratelli, non si tratta di ridere: si tratta di credere! Il credente anche di fronte al male fa esperienza del Signore risorto. Se qualcuno di voi dice: "Cosa c'è da ridere?", si fermi e gridi verso lo Spirito: "Aumenta la mia fede!" Di fronte al dolore, alla malattia, alla morte, quando fa le esperienze più laceranti della sua vita, il credente tenta di rispondere alla sofferenza moltiplicando la vita, donando un sorriso, tendendo la mano... Credere che Gesù è risorto significa credere che l'amore è più forte del male, che la vita va al di là della morte.
Quando guardate la TV e vedete tutto il male che ci riversano, ogni giorno, a dosi massicce, e vi domandate: "Cosa c'è da ridere? ", guardate chi sta accanto a voi - un figlio un nipote un amico - e fate un sorriso, fate una carezza, un discorso di speranza, moltiplicate la vita: sentite dentro di voi l'esigenza di rispondere al male che c'è nel mondo, con tutta la passione del bene, con tutto il coraggio della speranza, della vita! Invocate lo Spirito, perché non è facile...
E cercate, cercate con passione, attorno a voi, tutti i segni di speranza, di vita, che ci sono.
Questo è credere nella Resurrezione! Non mettere paura, moltiplicare i sensi di colpa, moltiplicare le minacce, le paure per il domani; ma moltiplicare i gesti della vita, moltiplicare il sorriso, la tenerezza, moltiplicare la voglia di amare, di donare se stessi, di credere!
Gesù ci invita ad esser suoi testimoni. Noi siamo testimoni di resurrezione ogni volta che sappiamo rispondere al male col bene, alla paura con la speranza, al dolore con la gioia, alla morte moltiplicando la vita. Quando dico che io spero di vedere una Madonna che ride, nessuno mi dica più: "Che cosa c'è da ridere!". Tutti siamo impegnati a moltiplicare la speranza, perché crediamo nel Signore risorto, perché vogliamo credere che al di là della morte c'è la Vita!
Per questo è venuto Gesù. Se fosse soltanto morto sulla Croce, potremmo andar via tutti. Gesù non è soltanto morto: è anche risorto, per mettere nel nostro cuore la certezza che al di là del male c'è il bene, al di là della colpa c'è il perdono, al di là della morte c'è la vita, al di là del dolore c'è la gioia. Di questo noi siamo testimoni. Questo significa essere Cristiani.
Il Signore ci aiuti!
1994
Io sono abbastanza vecchio per aver conosciuto il mondo contadino, un mondo dal sapore antico, dove le cose sono rimaste immutate per secoli; quando io ho potuto conoscerlo non era molto diverso da quello del tempo di Gesù. Là, quasi ogni famiglia aveva il suo piccolo gregge di pecore, quasi tutti facevano l'esperienza del pastore; anch'io qualche volta sono andato ad accompagnare qualche mio cugino che faceva il pastore a condurre le pecore al pascolo. Le case si costruivano ancora con la pietra e un bravo muratore si riconosceva dalla sua capacità di scegliere le pietre giuste e tutti sapevano cos'era una pietra "angolare".
Abbastanza vecchio, e, nella mia vita, anche molto fortunato, per avere incontrato degli uomini di grande fede: non dimenticherò mai l'impressione che mi fece quando una volta - ormai son passati molti anni: ero ancora giovane - un mio zio, un uomo di grande fede, una figura che sembrava un antico patriarca biblico, mi prese sotto braccio e mi disse: "Vieni, ti faccio vedere la pietra d'angolo di cui parla il Vangelo". M'ha portato là, sulla strada dove passava ogni mattina per andare a lavorare e m'ha fatto vedere sull'angolo di una vecchia casa una pietra grande, enorme, che reggeva tutta la casa. Quella pietra era stata per lui molto più importante di tante parole, di tante prediche: gli aveva fatto capire come la sua vita doveva essere basata su Gesù, sulle Sue parole, sui Suoi valori, sulle cose che aveva detto e fatto! Era stata importante nella sua vita, più di tutte le prediche che aveva ascoltato, probabilmente.
Mi è rimasto impresso quel discorso, quella pietra, perché spesse volte mi è capitato di fare un'esperienza nella vita della Chiesa: tante volte i Cristiani - ma capita anche a me - non fanno riferimento a Gesù nel modo di pensare, nel modo di parlare, nelle scelte di vita di ogni giorno. Gesù ci sembra cosa di tempi lontani; le Sue parole non sono il fondamento della nostra esperienza di uomini, della nostra esistenza!
Insieme alcuni di noi - lo sapete, ve l'ho già detto - abbiamo vissuto quest'anno l'avventura (o forse sarebbe meglio dire la disavventura) di leggere insieme il Catechismo della Chiesa cattolica: è impressionante quanto poco faccia riferimento a Gesù: alle Sue parole, ai Suoi gesti, ai Suoi atti! Gesù spesso è visto in modo ideologico, serve soltanto a fargli dire quello che fa comodo - come talvolta succede anche a me - nella nostra vita di poveri Cristiani.
Insomma, volevo dire soltanto questo, stasera: si è Cristiani quando si mette Gesù a fondamento della propria esperienza, quando si fa riferimento a Lui come "la pietra d'angolo" su cui si costruisce la casa, come "il pastore" che ci conosce, ci dona la vita, ci conduce sui pascoli, in cui si viene nutriti di parole che danno il senso profondo alla vita dell'uomo.
È Gesù il fondamento della nostra esperienza, ma, va cercato nella gratuità, va cercato nella semplicità di cuore! Non possiamo farGli dire soltanto quello che ci fa comodo, altrimenti non è più il Gesù del Vangelo. Dobbiamo cercarLo nella gratuità, nella generosità, perché Lui diventi per noi "la verità e la vita"; perché Lui sia per noi il fondamento della nostra esperienza: sia Colui che ha parole che non muoiono, sia Colui che ci comunica veramente la vita!
Lo faccia per noi il Signore Gesù!
1994
Ancora un simbolo. Nel Vangelo ce ne sono tanti, perché i simboli esprimono meglio di tante parole il nostro rapporto con Dio. Ricordate: domenica scorsa avevamo trovato il simbolo della pietra d'angolo, su cui si costruisce la casa e il simbolo del pastore che conosce, una ad una, le sue pecore e le conduce al pascolo.
Oggi, se possibile, un simbolo ancora più forte: è il simbolo di un tralcio innestato sulla vite, innestato per comunicare della stessa vita, per nutrirsi della stessa linfa: il simbolo del nostro rapporto con Gesù, del nostro rapporto con Dio! Può essere espresso soltanto attraverso queste immagini, perché Dio - come ci ricordava Giovanni nella prima lettera - "è più grande del nostro cuore"! E l'incontro dell'uomo con Dio non può essere che l'incontro con la Sua infinita grandezza e gratuità, l'incontro con il Suo "Mistero" di luce e di amore. Un incontro che si basa sulla contemplazione, sullo stupore, sulla ricerca, sulla vita vissuta.
Noi - forse non vale soltanto per me, ma anche per voi - abbiamo difficoltà a contemplare, a stupirci, ad accogliere nella nostra vita il mistero di Dio; e spesso cerchiamo scorciatoie... Vedete, di questa pagina che abbiamo ascoltato, - una pagina che ci propone un simbolo così profondo e straordinario come quello del tralcio e della vite, che tenta di esprimere come una stessa vita ci può unire a Gesù - sapete quali sono le due frasi che più spesso ho sentito citare nella mia vita, quando ero ragazzo? Due frasi: una dice: "Se il tralcio non rimane attaccato alla vite, si taglia, si butta, e poi c'è chi lo raccoglie e lo butta nel fuoco e lo brucia". La paura, il castigo, la minaccia: pensavano, così, di aiutarmi ad essere cristiano... E l'altra frase: "Se invece rimani in Gesù, chiedi qualunque cosa e ti sarà concessa". Vedete: il bastone e la carota, la minaccia e l'allettamento, la paura e il tentativo di dirmi: "Però puoi chiedere qualunque cosa se rimani in Gesù e Lui te la concederà".
E poi la vita e la frequentazione del Vangelo mi hanno fatto capire che le cose non erano così semplici, che dovevo conservare gli occhi spalancati sul mistero di Dio! Perché anche a me è capitato, come è capitato a tutti voi, di aver pregato senza ottenere nulla, di aver chiesto a lungo e non m'è stato dato niente... E c'è stato anche qualcuno, nella vita, che ha detto anche a me, come forse hanno detto a voi: "Ecco! perché non hai saputo chiedere, perché non sei veramente radicato in Gesù; se lo fossi, avresti ottenuto." Ho capito che si poteva rispondere con parole... molto romane a questi discorsi!
Ma è stata poi la frequentazione del Vangelo che mi ha fatto capire che "Dio è più grande del nostro cuore": che non poteva essere ridotto alle miserie del nostro cuore di uomini; che in Dio potevo ritrovare la grandezza della gratuità, la grandezza delle cose fatte per amore e non soltanto per ottenere quello che chiedevo o per paura di essere bruciato nel fuoco. Perché Gesù voleva comunicarmi la Sua vita, la linfa della Sua parola, la linfa vitale dei valori che Lui s'era portati dentro!
E allora - ed è il consiglio che ho dato tante volte a me stesso e che stasera do anche a voi - conservate nel cuore i grandi simboli del Vangelo: la pietra angolare su cui costruire la casa, il pastore, che ci conduce nei pascoli della vita, il tralcio innestato nella vite. Conservateli nel cuore! E conservate un cuore stupefatto, aperto al mistero, allo stupore, alla ricerca e alla meraviglia: "Dio è più grande del nostro cuore"! Non possiamo ridurre il nostro rapporto con Dio ad un fatto di premio e castigo. Lui è gratuità, è dono, è vita vissuta, è amore per i valori autentici! Valori cercati perché fanno bella la vita, non per paura di un castigo o per meritarsi un premio.
La gratuità di Dio, il mistero di Dio, gli occhi spalancati su Lui, la certezza di poter radicare la propria vita sui valori di Gesù! Non per paura, non per meritarsi qualche cosa, ma perché è bello che sia così: perché Gesù ha ragione, perché i Suoi valori rendono piena la vita, la arricchiscono, la fanno profonda e bella!
Il Signore ci aiuti!
1994
A volte, ventate di integralismo e di intolleranza attraversano la vita della Chiesa: è successo tante volte, nel corso dei secoli e, se capisco qualcosa, rischia di accadere anche oggi. È per questo che stasera vorrei richiamare la vostra attenzione sulla prima lettura, lasciando poi alla vostra meditazione il Vangelo, ricco - l'avete sentito - di tante belle parole, e, se volete, anche la seconda lettura, che non abbiamo letto stasera.
La prima lettura, la pagina degli "Atti degli Apostoli", che abbiamo ascoltato poco fa, è una delle pagine più straordinarie di questo libro, almeno a mio parere. Ogni volta che la leggo rimango stupito chiedendomi come gli Apostoli, i primi Cristiani, siano arrivati a scrivere queste cose e, di più, come mai queste parole siano state spesso trascurate, con grave danno, nella storia della Chiesa.
Vedete, i primi Cristiani, tutti gli Apostoli, le prime comunità, venivano dalla grande tradizione ebraica: una tradizione tutta tesa ad affermare che il popolo di Israele è il popolo eletto, chiamato da Dio, unico tra tanti popoli. Molte delle parole della religione ebraica sono volte a sacralizzare ogni cosa: a sacralizzare la Legge, le istituzioni, le persone. Noi invece abbiamo ascoltato che Pietro, il capo degli apostoli, chiamato da Gesù ad essere il continuatore della Sua opera, quando entra nella casa di un pagano e questi gli si inginocchia davanti, prontamente lo rialza: "Sono un uomo anch'io! Perché ti chini davanti a me?"
Un uomo, che deve anche lui cercare la verità, con pazienza, con rispetto, nello stupore! Ed ecco che Pietro, davanti alle persone che sono lì riunite, manifesta tutta la sua meraviglia di ebreo, che viene da una lunga tradizione di integralismo: "Adesso finalmente capisco! Chiunque pratichi la giustizia, chiunque ami il Signore, è a Lui accetto, a qualunque popolo appartenga!"
Pietro si sente un uomo che va cercando la verità, che deve nutrirsi di rispetto degli altri, che deve essere attento alla vita degli altri e che deve saper scoprire il bene, là dove si manifesta. E lo riconosce in questa gente, senza integralismi, senza intolleranze.
Ma c'è di più: Pietro si accorge con meraviglia che su questa gente è già venuto lo Spirito di Dio! E dice: "E come posso, io, rifiutare il Battesimo - cioè un segno della nostra fede - a questa gente, che ha già lo Spirito di Dio?!"
Ecco, vedete, Pietro - e con lui la prima comunità cristiana - non si sentono possessori dello Spirito, non pensano di avere loro le chiavi della salvezza: si sentono inseguitori dello Spirito di Dio! Lo Spirito di Dio soffia dove vuole! Il soffio di Dio attraversa la vita degli uomini! Ed ogni credente non può che essere un inseguitore di questo Spirito, attento, perché spesso soffia di là, dove noi non ce lo aspettiamo. Noi ci aspetteremmo che soffiasse qui, in mezzo a noi; ci aspetteremmo di essere sempre dalla parte della verità; qualche volta ci sentiamo noi i soli giusti, quelli che hanno sempre ragione...
Ed invece, per vivere da credenti, occorre avere occhi che sappiano cercare Dio nelle pieghe della storia, sappiano incontrare lo Spirito dovunque soffi! In qualunque angolo della terra, a qualunque popolo, a qualunque religione, a qualunque fede un uomo appartenga, si porta dentro il cuore un po' del soffio di Dio! E a volte questo soffio è più forte di quello che noi ci portiamo dentro. I primi Cristiani lo dicono con le parole straordinarie che abbiamo ascoltato poco fa.
Noi ci prepariamo a celebrare la Pentecoste, ad invocare lo Spirito di Dio, a gridare al Suo soffio perché venga ad attraversare anche la nostra vita. Ma lo faremo con il senso della ricerca, con il senso dello stupore, con la certezza che lo Spirito di Dio non soffierà soltanto in mezzo a noi, ma che soffia in ogni parte della terra; e che, se vogliamo credere, dobbiamo cercarLo, inseguirLo e non sentirci mai possessori di Dio, della Sua verità! Mai! Né noi, né chiunque, nella vita della Chiesa. Pietro insegni!
1994
Quelli di voi che hanno seguito le nostre celebrazioni, domenica dopo domenica, sanno che quest'anno abbiamo tentato di mettere l'accento sui grandi simboli della nostra fede, della nostra preghiera: ricordate? nel tempo della Quaresima ed anche in queste domeniche dopo Pasqua.
Oggi ‑ ve ne sarete accorti, forse ‑ i simboli sono troppi: se dovessi tentare di dirvi una parola su tutti, finiremmo domani mattina... Avete ascoltato, e nella prima lettura e nel salmo e nel Vangelo, i segni più strani, più straordinari: Gesù che sale verso il cielo, la nuvola che Lo avvolge, gli angeli, gli squilli delle trombe, il trono regale e poi nel Vangelo, il cacciare i demoni, il prendere in mano i serpenti, il bere il veleno! Cosa significa tutto questo? Cosa c'è dietro?
Vedete, queste letture che la Chiesa ha riunito, tentano di esprimere il significato di questa festa. Che è una festa importante per noi; perché in qualche modo celebra - celebra attraverso tutti questi simboli - gli ultimi momenti di Gesù in mezzo a noi, nella nostra storia di uomini. Tenta di dire - attraverso le immagini della nube o del salire verso il cielo - che nel falegname di Nazaret, nelle Sue parole, nei Suoi gesti, nella Sua vita, noi abbiamo toccato con mano qualche cosa di Dio, della Sua luce, del mistero della Sua vita, della grandezza del Suo amore! È venuto in mezzo a noi, ha camminato con noi, adesso ritorna!
Ritorna, ma non per sempre, verrà di nuovo tra noi, nell'ultimo orizzonte del nostro cammino, perché Lui è l'ultima parola di questa nostra storia. La storia degli uomini, la ventura di chi cammina sulla terra non è un lento scorrere verso il nulla, ma andare incontro al Signore, andare incontro a LUI! Lui è la dimensione vera della vita, Lui ha realizzato pienamente l'essere uomo! Dio è venuto in mezzo a noi, per mostrarci il termine del nostro cammino, la pienezza della nostra vita. E la pienezza della vita si compirà, quando, in tutto il mondo, si realizzeranno i valori di Gesù, la Sua libertà, la Sua vita donata e condivisa, il coraggio della fedeltà, l'amore che arriva fino in fondo!
Ma le letture che abbiamo ascoltato non esprimono soltanto questa fede, questa attesa del ritorno di Gesù, esprimono anche il nostro compito. Se Gesù va via, se ritorna là, da dove era venuto, affida a noi il compito di essere qui, su questa nostra terra, le Sue mani, la Sua voce, il Suo coraggio, il Suo cuore. E dobbiamo farlo "cacciando i diavoli, prendendo in mano i serpenti, non avendo paura di bere il veleno": tutti simboli, tutte immagini! che esprimono la ventura di noi uomini, circondati da tanti "veleni" da tanti "diavoli". Noi ne facciamo esperienza anche in questo nostro paese, che faticosamente cerca di uscire dall'ingiustizia, dalla disonestà, dal male, dalle tante cose che avvelenano la vita: la diffidenza degli uni verso gli altri, l'intolleranza, l'egoismo, ecc.
Ecco i veleni da cui non dobbiamo farci contaminare e poi c'è da guarire i malanni che ci sono intorno a noi, c'è da chinarci con tenerezza sull'uomo che soffre, c'è da portare il soffio di Gesù! Il soffio della Sua pace, del Suo amore, adesso è affidato a noi, alle nostre fragili mani: è il tempo nostro, il tempo di essere testimoni di Lui, di continuare la Sua opera, di mettere le nostre mani, il nostro povero cuore, a disposizione di Dio!
Siamo povera gente! Per questo ci ritroveremo qui - sabato prossimo, domenica prossima - ad invocare lo Spirito: sarà Pentecoste, la festa forse più importante della vita della Chiesa, perché è invocazione dello Spirito: "Se Tu vuoi che siamo testimoni, allora scendi! Manda il Tuo soffio! Attraversa la nostra vita!"
Ci ritroveremo - tutti quelli che vorrete - anche sabato sera, alle 21 e 30: ci invitano i ragazzi che si preparano alla Cresima. Hanno preparato per noi la grande veglia di Pentecoste, per gridare allo Spirito che faccia di tutti noi dei testimoni di Gesù! Almeno un po' della sua vita, passi attraverso la nostra vita, per poter continuare la Sua opera, finché Lui non tornerà!
1994
Sotto ogni cielo, in ogni angolo della terra, una delle tentazioni più forti dell'uomo religioso è quella di impossessarsi di Dio, di mettere Dio al proprio servizio, di servirsi di Lui. Nella lunga vicenda della storia degli uomini c'è chi si è servito di Dio per esaltare il potere personale o la gloria della propria persona o la propria nazione o il proprio esercito. Non dimenticate, siamo arrivati lontano, su questa strada: sui cinturoni delle SS era scritto: "Gott mit uns" - "Dio è con noi". Probabilmente Dio stava da un'altra parte...
La Bibbia non nasconde questa tentazione: i sacerdoti cercano di servirsi del "sacro" per arricchire, per aumentare il loro prestigio; il re si serve della religione per consolidare e aumentare il proprio potere; e non sono solo storie di tanto tempo fa, riguardano anche oggi la nostra Nazione, anzi ciascuno di noi, perché tutti siamo tentati di ricorrere a Dio solo quando ci fa comodo, di pensare che stia sempre dalla nostra parte, che la pensi come noi...
Vedete, i credenti di tutti i tempi ‑ soprattutto i credenti di cui leggiamo l'esperienza nella Bibbia ‑ hanno tentato di aprirsi a Dio nella gratuità, hanno cercato in Lui la verità, i valori essenziali della vita e non solo quelli che ci "fanno comodo". E uno dei simboli più forti per tentare di esprimere Dio è proprio nel vento. (Dal vento viene la parola "Spirito" che noi usiamo oggi per celebrare la festa di Pentecoste). Perché, vedete, il vento (specialmente per gli antichi) non si sa da dove viene, non si sa dove va, non si può afferrare, non si può dire: "È qui"; non lo si può fermare. A volte spira da un lato, ma poi improvvisamente si volge da un'altra parte.
I credenti di tutti i tempi sanno che Dio non Lo si può afferrare, bisogna inseguirLo, cercarLo; bisogna gridare a Lui, bisogna cercare il Suo soffio, soffio a volte leggero e dolce come la brezza del mattino, a volte impetuoso e forte, che scuote le costruzioni degli uomini, spesso fragili e meschine. Avete sentito anche oggi, quante immagini, che tentano di esprimere questo Dio, che nessuno può possedere! Un vento forte che spalanca le porte e toglie la paura, un fuoco che viene a riscaldare il cuore, una fiamma che illumina la strada e permette alla gente di guardarsi in faccia e riconoscersi fratelli: tanti popoli diversi, lontani tra loro, eppure tutti comprendono lo stesso linguaggio... e nessuno può più dire: "Dio sta con noi", perché ogni uomo porta in sé un riflesso della sua luce, in ciascuno c'è una traccia del "soffio" di Dio... e occorre cercaLo, inseguirLo... un credente non può essere che un inseguitore dello Spirito.
E noi siamo qui anche stasera per invocare lo Spirito, per gridare a Lui perché venga ad attraversare la nostra vita; non possiamo pregarLo soltanto, chiusi nei nostri piccoli gusci, perché le cose ci vadano bene, perché non ci faccia male la gamba, perché guarisca la persona che ci è cara... certo sono cose importanti della nostra vita, ma noi siamo qui per inseguire Dio, per cercare la Sua luce, perché il soffio della Sua vita attraversi la nostra vita e la nostra vita sia riscaldata dall'amore di Dio, illuminata dalla Sua luce. Perché lo Spirito dilati gli spazi del nostro cuore e ci renda attraenti ed amorevoli gli uni verso gli altri, ci faccia riconoscere in chi ci sta accanto - anche se è tanto diverso da noi - un fratello, ci aiuti a parlare la stessa lingua.
Abbiamo bisogno - noi poveri uomini, sempre tentati di rinchiuderci in noi stessi, sempre tentati di rinchiuderci nelle nostre paure, nei nostri egoismi - che il soffio di Dio attraversi la nostra vita. Abbiamo bisogno di aprirci a Lui, di accogliere il Suo soffio nella nostra esperienza!
Facciamolo, allora, insieme! E chi vuole, si ritrovi più tardi con i nostri ragazzi che invocheranno lo spirito sulla loro giovane vita; chi non può partecipare, lo faccia in questa Messa, e domani. Invochiamo lo Spirito: ciascuno di noi ne ha bisogno! Ma ne ha bisogno la nostra Chiesa, ne ha bisogno questo nostro paese, ne ha bisogno il mondo intero. Il mondo intero ha bisogno della gratuità, della libertà, della luce, dell'amore di Dio: ha bisogno del Suo soffio per non ricadere nella violenza, nei particolarismi, nei nazionalismi, nelle guerre.
Il soffio di Dio è libertà, il soffio di Dio è gratuità, il soffio di Dio è luce. E va sempre inseguito! Facciamolo anche noi, con tutta la passione del nostro cuore!
Lo Spirito ci aiuti a farlo!
1994
Domenica scorsa, celebrando la festa di Pentecoste - forse qualcuno di voi lo ricorderà - cominciavo il mio tentativo di dirvi qualche cosa a commento di quella celebrazione, dicendo che una delle tentazioni più ricorrenti dell'uomo religioso, sotto ogni cielo, è quella di impossessarsi di Dio, di mettere Dio, attraverso i riti, al proprio servizio.
Oggi vorrei cominciare dicendovi che una delle tentazioni dell'uomo religioso è quella di costruirsi il proprio Dio, secondo i propri bisogni, proiezione dei propri desideri, delle proprie ansie, delle proprie paure. Vedete, io - ormai da più di trent'anni sono prete - ho sentito tante persone, nei gruppi o quando si parla così, semplicemente, tentare di rispondere a questa domanda: "Chi è Dio per te?". E ho sentito risposte le più diverse, ho sentito esprimere tante cose disparate: per qualcuno Dio è il grande Consolatore, per qualcuno è il Potente a cui ricorrere nel momento del bisogno; per qualcuno Dio è colui che castiga, che punisce il male (e quindi mette ansia), per qualcuno Dio è il grande Ordinatore del mondo, e via dicendo: potremmo arrivare fino a domattina, narrando tutte queste cose... Si ha spesso la sensazione che ciascuno di noi è tentato di costruirsi Dio a propria immagine e somiglianza.
Vedete, noi siamo figli di una storia, in cui i credenti hanno tentato di scoprire Dio non a partire dai propri bisogni, ma di scoprirLo nella gratuità, di trovare tracce della Sua presenza nella storia, nella vita concreta. La prima lettura che oggi abbiamo ascoltato ci ricordava l'importanza che ha per gli Ebrei l'esodo, l'uscita dall'Egitto: è là, in un cammino verso la libertà, in un cammino verso gli spazi aperti e la terra promessa, che Israele riconosce Dio come Colui che gli cammina davanti, che lo chiama fuori, che lo invita ad essere libero.
Gli studiosi ci avvertono che la storia di Mosè, all'inizio, doveva essere una storia piccola piccola: un gruppetto di uomini - forse una diecina - che hanno trovato il coraggio di scappare dalla schiavitù, di abbandonare la terra in cui venivano oppressi, tenuti schiavi, e di avventurarsi, rischiando la vita attraverso le paludi del delta del Nilo, per riuscire a guadagnare il deserto, per riuscire a guadagnare la libertà. Una piccola storia: un gruppo di uomini che si avventura, che rischia tutto, pur di essere libero. In questa storia Israele ha riconosciuto la chiamata di Dio, ha creduto di riconoscere là il proprio Signore! Non un Dio che sta dietro le spalle o un Dio che ci protegge quando ricorriamo a Lui, ma un Dio che ci cammina davanti, che ci chiama fuori, verso gli spazi aperti della libertà. Una piccola storia diventa la grande epopea di tutto un popolo, che riconosce là il proprio Dio.
Ma, se ci pensate bene, anche la storia di Gesù è una piccola storia: un uomo che per 30 anni è vissuto a Nazareth, un piccolo oscuro paese di questa nostra terra. Per 30 anni ha lavorato duramente, come capita a molti di voi: faceva il falegname - aggiustava sedie, costruiva tavoli, riparava le ruote dei carri - senza che nessuno nel mondo si accorgesse di Lui. Eppure noi in questa piccola storia riconosciamo Dio! Poi ha lasciato la sua casa, sentiva dentro di sé qualche cosa da dire. Ci ha parlato di Dio, della sua tenerezza: è stato testimone di giustizia, ha tentato di rompere le barriere che dividono i popoli tra di loro; ha tentato di liberarci dalle pastoie della legge, dai riti complicati delle liturgie...
Era troppo per noi! Lo abbiamo inchiodato sulla croce. E là, in quest'uomo inerme con le braccia inchiodate, spalancate tra cielo e terra, noi abbiamo riconosciuto Dio! Vedete, noi siamo figli di questa storia, siamo invitati a riconoscere Dio in questa storia: in Gesù di Nazareth, in quello che Lui ha detto, nelle Sue parabole straordinarie, nei fatti della Sua vita.
E questo ci libera dal rischio di farci il Dio che ci fa comodo, cui ricorrere soltanto quando ci serve: il Dio dei nostri bisogni o, peggio, delle nostre paure. Il Dio che abbiamo riconosciuto in Gesù è un Dio forse debole, impotente, inerme; ma è un Dio che ha saputo condividere fino in fondo la nostra vita, che ha saputo mettere nel nostro cuore i valori autentici, che ha saputo camminarci accanto: testimone di fedeltà e di libertà, di tenerezza e di coraggio, fino in fondo!
Non dovremmo mai dimenticare - noi che ci riuniamo qui, intorno alla tavola, la domenica - che noi riconosciamo Dio in Gesù di Nazareth: in Lui, nella Sua piccola storia, noi tentiamo di fare esperienza di Dio, di liberarci dalle chiusure dei nostri piccoli bisogni, delle nostre piccinerie, dei nostri particolarismi... per riconoscere, nel cuore grande di Gesù, la testimonianza di Dio in mezzo a noi.
Lui ci aiuti a farlo!
1994
Ho tentato di dire qualcosa, nelle domeniche precedenti - celebrando le feste, prima, della Pentecoste, poi, della SS.Trinità - invitandovi a riflettere sulle tentazioni religiose in ogni parte del mondo. Permettetemi oggi di concludere il ciclo tentando di mostrarvi qual è la conseguenza di quelle tentazioni - la tentazione, cioè di farsi Dio a propria immagine, la tentazione di ricorrere a Dio solamente nei momenti di bisogno, la tentazione di impossessarsi di Dio e di metterLo al proprio servizio -.
La conseguenza, che voi trovate in ogni religione, è la costruzione di uno spazio sacro: in cima alle montagne o, là dove non c'erano le montagne, costruendo delle grandi piramidi, l'uomo ha cercato di costruire degli spazi in cui incontrare Dio. E quando si va nello spazio sacro? Quando si ha bisogno di Dio... o per ottenere una grazia, un favore quando l'uomo si sente debole e fragile o per chiedere la guarigione da una malattia. È impressionante vedere come, nei templi antichi di tutte le religioni, c'erano tanti ex-voto: braccia, gambe, piedi... Sono andato, circa un mese fa, a visitare un museo etrusco a Tarquinia e sono rimasto colpito nel vedere tante vetrine, piene di organi sessuali, uteri, membri virili... Evidentemente a quel tempo il bisogno di avere un figlio era grande; e chi non riusciva, andava al tempio e portava un simbolo, sperando che Dio desse una mano.
Oppure si andava al tempio quando si sentiva l'esigenza di espiare un peccato; e non dimenticate: gli antichi credevano che una carestia, una pestilenza, fosse causata dal peccato di qualcuno e bisognasse espiare, moltiplicando i sacrifici, a volte addirittura sacrifici umani.
Oppure si andava al tempio quando bisognava, in qualche modo, interpretare il futuro, difendersi dal futuro: si doveva partire per un viaggio: "Chi sa come andrà a finire?!" (specialmente i viaggi di un tempo); si andava nel tempio, magari si gettavano le sorti; oppure quando (un tempo succedeva spesso) si partiva per la guerra: "Chi sa se si ritorna?" Si andava nel tempio a tentare di interpretare il futuro.
Oppure si andava nel tempio per venerare i morti - ne son pieni tutti gli spazi religiosi -, per offrire per loro un sacrificio.
E lo spazio sacro si organizza: si costruiscono recinti, sempre più difficili da superare; e dentro i recinti, linguaggi complicati, quasi magici, lingue che spesso la gente non parla più da tanto tempo, là riti complessi, che soltanto gli esperti sanno celebrare. E dentro questo spazio sacro, una casta sacerdotale, sempre più articolata, con vesti speciali, con i pennacchi sulla testa. Com'è normale tra gli uomini, quelli che stanno nel tempio hanno sempre diritto alla "coscia destra": ci guadagnano, in qualche modo, nell'offerta del sacrificio!
E lo spazio sacro è sempre più separato dallo spazio profano; quando si entra nello spazio sacro, bisogna fare riti di purificazione sempre più severi e occorre lasciare fuori tutto quello che appartiene alla vita di tutti i giorni, tutti quelli che sono i problemi della fatica quotidiana. Perché lì si va per incontrarsi con Dio; e davanti a Dio ci si prostra in adorazione profonda! E non è importante guardarsi in faccia: a che serve guardarsi in faccia? Noi siamo venuti qui per guardare Dio, per venerarLo, con un senso di rispetto profondo, spesso di timore: perché Lui è il Potente, il Forte; da Lui aspettiamo la grazia!
E l'altra conseguenza - se ci pensate - è che, quando si entra nello spazio sacro, quando ci si mette davanti a Dio, quando si cerca la Sua grazia o si va a fare un'offerta per i defunti, non c'è più alcuna differenza fra il capo-mafia e l'uomo più onesto del mondo: là, davanti a Dio, tutto si appiattisce: quello che conta è la maestà di Dio, quello che conta è prostrarsi. Le differenze non si vedono più: là non c'è il ricco e il povero: tutti si chinano, tutti si prostrano, tutti venerano Dio!
Questo, nel tempio di Gerusalemme, era stato portato - nella lunga tradizione del popolo ebreo - quasi alla perfezione. Voi potete vedere ancora le rovine del grande tempio di Gerusalemme, la costruzione più bella, più straordinaria che sia stata innalzata su quella terra dai tempi di Adamo sino ai nostri giorni.
Gesù ha tentato di portare la sua gente fuori da tutto questo: fuori da quello spazio sacro, fuori dai riti complicati, fuori dalle lingue esoteriche, fuori dallo spazio riservato ai sacrifici; e ha convocato la Sua gente - noi! - nel cuore della città: in una casa qualunque, intorno ad una tavola qualunque; e sulla tavola, le cose più semplici della vita: un po' di pane e un po' di vino.
Là nel cuore della nostra vita - fuori dagli spazi sacri, nella vita di tutti i giorni, dove si lavora, si combatte per fare quadrare i conti alla fine del mese, si tirano su i figli, si cerca di essere persone oneste - là Gesù ha collocato la memoria di sé, memoria di vita donata! Là, intorno a quella tavola, bisogna guardarsi in faccia e condividere la vita, là occorre tentare di "far memoria" di Gesù, calare nella propria esperienza i Suoi valori, la Sua vita; e allora intorno a quella tavola, si distingue subito il mafioso dall'uomo più onesto del mondo, se non vogliamo ingannare se stessi. Perché là occorre confrontarsi con Gesù, con la Sua vita donata: là occorre portare, nel cuore della vita di tutti i giorni, il coraggio della libertà, il coraggio di amare, tutti i valori della vita di Gesù!
Era troppo per noi, lo potete capire facilmente!... Ci siamo accuratamente difesi: vedete? questo altare non somiglia ad una tavola qualunque, qui ci sono tutte cose ben sacre: vasi sacri, libri sacri, paramenti sacri, io sono sacro, voi siete tutti qui pieni di religioso rispetto, qualcuno anche di timore di Dio... e Gesù - mi permettete una parolaccia? - Lo abbiamo fregato! Non vogliamo che ci venga ad inquietare nella vita di tutti i giorni: "Stattene là; quando ci servi, veniamo!"; ma poi i nostri fatti ce li regoliamo da noi, combattiamo, lavoriamo...
E invece Lui voleva porre - voleva porre e lo vuole ancora: ci invita a farlo - voleva porre nel cuore della nostra vita, voleva porre nei nostri giorni, nei nostri spazi profani - quando andiamo a lavorare al mattino, quando facciamo i conti alla fin del mese, quando tiriamo su i figli, quando insegniamo a scuola - nella nostra vita di tutti i giorni voleva porre la memoria di Sé: i Suoi valori, la vita donata, il coraggio di voler bene. Perché Gesù voleva trasformare la nostra vita, voleva essere lievito che facesse fiorire, nella nostra vita di tutti i giorni, i Suoi valori, il Suo Regno. Voleva essere seme seminato nei solchi della nostra storia!
Chiediamo perdono per noi, per la lunga storia dell'Eucarestia; e chiediamo allo Spirito che ci aiuti a capire questo gesto di Gesù! Vedete, se voi leggete il Vangelo, più della metà è dedicato a capire quello che Gesù ha fatto: perché ha fatto questo? perché ci ha portati fuori dal tempio? perché ci ha riuniti attorno ad una tavola? Cosa cercava da noi?
Cercava solamente questo: condividere la nostra vita, essere lievito nella nostra vita di tutti i giorni, mettere il fermento della Sua presenza nel nostro quotidiano! E noi, cerchiamo di rinchiuderLo di nuovo in uno spazio sacro! Ma Lui continua a bussare alla nostra porta, non si stanca; fino alla fine. E alla fine - questa speranza ci riunisce qui - vincerà Lui! Avrà ragione Lui!
Il Signore ci aiuti.
1994
Per vivere si fa fatica, a volte molta fatica, come sa chi tra voi comincia ad avere i capelli bianchi. Se poi uno vuol vivere facendo il bene, cercando di realizzare qualcosa di importante, questo esige un impegno ed uno sforzo a volte davvero notevole. Ed è giusto che educhiamo noi stessi a questo sforzo; è giusto che i genitori educhino i figli all'impegno serio, allo sforzo costante.
Ma attenzione: la prima, straordinaria, parabola che oggi abbiamo ascoltato ci ricorda che, al di là dello sforzo, è importante fermarsi a contemplare la vita, è importante fermarsi a guardare la forza della vita, la ricchezza della vita.
Vedete, mi capitava, un mesetto fa, di dire due parole a due ragazzi che si stavano sposando e dicevo: "Voi avete fatto una gran fatica per arrivare qui: avete dovuto crescere, studiare, vi siete dovuti trovare un lavoro, avete dovuto preparare una casa, acquistare dei mobili... Avete fatto una gran fatica! Adesso - dicevo - dimenticate tutto questo: per un momento, guardatevi negli occhi, ritrovate lo stupore di quando vi siete incontrati. Perché, in fondo, questa è la cosa più importante. Voi fate tanta fatica per guadagnare uno stipendio, per comprare i mobili e tutto quello che avete, per costruire la casa.... ma voi due non vi siete costruiti! Voi due siete il prodotto della vita, siete il dono che Dio fa l'uno all'altra! O sbarrate gli occhi e ritrovate tutto lo stupore di fronte a quello che voi siete l'uno per l'altra, oppure rischiate di dimenticare la cosa più importante".
Oppure pensate all'esperienza che voi mamme avete fatto: quanta fatica per mettere al mondo un bambino! Nove lunghi mesi, a volte dei disturbi, le nausee, le preoccupazioni, le ansie...E poi, lo stupore di fronte al bambino che nasce! Avete sentito che quello non era il frutto della vostra fatica, del vostro sforzo, ma era un dono: era la forza della vita, era la meraviglia e lo stupore della vita, che voi avevate tra le mani! Ed esigeva, prima di tutto, lo stupore, la meraviglia, il rispetto... eccetera.
Qualche volta mi son domandato perché la gente ‑ la gente comune, come siamo noi, ma a volte anche le persone impegnate, ‑ sia così pessimista sul mondo, sul futuro! A leggere il giornale, a sentire i tanti predicatori che parlano alle nostre TV, sembra che il mondo sia sul punto di finire, che tutto stia per crollare. In Italia almeno da 30 o 40 anni sentiamo dire che il nostro paese è sull'orlo del fallimento; sembra sempre che domani debbano succedere chi sa quali catastrofi... E poi ci si accorge, guardandosi indietro, che il mondo lentamente, faticosamente, è andato avanti. Perché, allora, tanto pessimismo?
Il fatto è che spesso noi uomini crediamo che tutto dipenda da noi, dal nostro sforzo, dal nostro impegno. E quando uno si mette con impegno a fare delle cose, vorrebbe vedere il risultato del suo impegno, vorrebbe vedere fiorire i semi che lui mette. L'importante non è che il seme fiorisca presto: l'importante è che ci sia il seme giusto. E siccome nella vita tanta gente, a volte senza accorgersene - gente semplice, come voi - mette i semi giusti, il mondo va avanti. È andato avanti fino adesso e andrà avanti ancora di più! Non perché ogni tanto appaiono uomini straordinari, ma perché tanta gente di tutti i giorni, ogni giorno mette il suo seme: un seme di bontà, un seme di amore, un seme di attenzione, un seme di libertà. Magari non lo vede fiorire subito... ma in quel seme c'è la forza della vita!
Guardate Gesù: alla fine della vita sembrava tutto perduto: il Suo sforzo, le Sue parole... tutto sembrava inutile! Noi siamo ancora qui, dopo 2000 anni, riuniti nel Suo nome; e la forza della Sua parola ancora cammina per il mondo! E andrà ancora avanti!
Buttiamo via, allora, se ci riesce, stasera di fronte a questa parola del Vangelo, di fronte a Gesù, buttiamo via le paure, le ansie per il futuro; via gli scoraggiamenti, via le paure di fallire! L'importante è che ciascuno di noi metta nella vita quello che può, il suo piccolo seme; l'importante è che contempliamo questa vita; l'importante è che crediamo, tutti insieme, nella forza della vita, nella forza del bene! Il Signore ci aiuti!
1994
In molti libri in cui è scritto il Vangelo (probabilmente anche in quello che avete a casa con voi), si dà un titolo ad ogni episodio; per quello che abbiamo letto stasera, io ho sempre trovato il titolo "La tempesta sedata" (con una parola antica) cioè la tempesta calmata; oppure "Il miracolo della tempesta calmata". E penso che più d'uno di voi, ascoltando questo racconto stasera, ha subito pensato al miracolo di Gesù, che calma la tempesta, che quieta il mare: uno dei tanti miracoli del Vangelo, un fatto accaduto tanto tempo fa.
Non so se mi riesce di aiutarvi a vedere come il Vangelo si può leggere in un altro modo: prestate un attimo di attenzione. In ogni religione, in ogni angolo della terra, quando si vuol mostrare la potenza di Dio, la presenza di Dio, si parla di un miracolo: è il simbolo che tutti i popoli della terra hanno usato per parlare di Dio, per mostrare un Suo intervento. Nel linguaggio religioso di tutti i tempi, la cosa più comune è il miracolo; ma se il Vangelo si legge da questo punto di vista, si rischia di non capire.
Posso darvi un consiglio: cambiate il titolo a questo racconto. Potreste intitolarlo così: non "il miracolo della tempesta sedata" ma "il non-miracolo della tempesta, quando c'è Gesù nella barca" - "il non-miracolo di Gesù che dorme sulla barca" - "il non-miracolo dei santi, degli apostoli, che hanno paura". Tutto questo si tenta di esprimere nel racconto che abbiamo letto: non tanto il miracolo di un mare che si calma, ma l'esperienza - espressa con i simboli cari ai primi Cristiani, che per la maggior parte erano, come sapete, dei pescatori ‑ l'esperienza sconvolgente che a volte il credente fa: che la sua vita e anche la vita della Chiesa, è talvolta squassata dalla tempesta: le onde sembrano sommergere la barca, il male sembra avere la vittoria sul bene, e ‑ quello che è ancora più forte per il cuore del credente ‑ Dio sembra assente, Dio sembra lontano, Dio non interviene! Espresso, nel racconto che abbiamo ascoltato, con una forza straordinaria: Gesù, mentre il lago è sconvolto dalla tempesta, a poppa, su un cuscino, dorme!
Forse non c'è immagine più forte per esprimere quello che a volte è anche il nostro dramma: Dio sembra assente dalle tempeste della nostra vita! Non interviene! Non solo non interviene per calmare il lago, ma non interviene neppure per toglierci la paura dal cuore: rimane la paura! Ne avete fatto esperienza anche voi, più di una volta nella vostra vita. Vorrei dire, allora, soltanto una parola, stasera.
C'è probabilmente, anche in mezzo a voi, qualcuno che attraversa un periodo burrascoso della propria vita e si ritrova la paura nel cuore e qualche volta pensa di non aver fede... Ecco, questo Vangelo è scritto per voi: anche i santi, anche gli apostoli, anche i maestri della nostra fede, hanno avuto paura; anche loro hanno gridato, disperati, al Signore: "Moriamo...non te ne accorgi?".
Essere Cristiani significa ritrovare, nel profondo delle nostre tempeste, il coraggio della speranza, il coraggio della fede; e non sempre è semplice! A volte tutto sembra finire; a volte il male sembra avere il sopravvento; a volte anche a noi sembra di non farcela... Tendiamo una mano verso il Signore! Che ce la prenda, che ci sollevi, che ci tolga la paura dal cuore! Ma molte volte - ne avete fatto l'esperienza - non lo fa; a volte sembra lontano, a volte sembra distante. E allora, per noi, la paura si fa forte!
Chi si porta questa paura nel cuore, non tema di essere lontano da Dio: Dio può essere più vicino di quanto lo immaginiamo, può - anche nella nostra barca - "dormire sul cuscino"... ma è là! E ci chiede con tenerezza, come l'ha chiesto agli apostoli, di non aver paura, di ritrovare il coraggio della speranza, la certezza che il male non avrà il sopravvento nell'ultimo orizzonte, che il bene sarà l'ultima parola della vita, che Gesù rimane la presenza più forte ed importante della nostra esperienza di uomini!
Il Signore ci aiuti!
26 giugno 1994
Alcuni di voi - spero non molti - si meraviglieranno se dico che quello che abbiamo appena ascoltato è una lezione di catechismo sul Battesimo. Sì, proprio così: una lezione di catechismo sul Battesimo. Vedete, noi siamo abituati a sentire lezioni di catechismo con parole astratte, a volte anche complicate: quelli di voi che hanno i capelli bianchi ricordano che quando eravamo bambini abbiamo imparato tante domande e risposte, le abbiamo ripetute a pappagallo, non capivamo gran che di quello che dicevamo...
Gli antichi non amavano parole astratte: loro amavano raccontare, narrare storie, racconti simbolici. Il Vangelo è pieno di questi racconti, che tentano di spiegare i due fatti fondamentali della vita cristiana, i due simboli essenziali che Gesù ci ha lasciato: l'Eucarestia, che noi viviamo qui, insieme, e il Battesimo, che celebra il nostro incontro con Gesù.
Il Vangelo è pieno di racconti di cene, di feste, di banchetti: troviamo molte volte Gesù a tavola con la gente (spesso con i peccatori): tanti racconti, per esprimere i molti aspetti del nostro ritrovarci qui ogni domenica. Ma il Vangelo è anche pieno di racconti di guarigioni: ci sono paralitici che si alzano e camminano, ciechi che recuperano la vista, morti che risorgono. È il tentativo di esprimere ‑ attraverso questi segni, questi simboli ‑ il dono che Dio ci fa nel Battesimo: l'incontro con Gesù, che libera e dà vita.
I primi Cristiani esprimono la loro esperienza dell'incontro con Gesù che hanno celebrato nel Battesimo, parlando di un paralitico che si alza e cammina; di un cieco che recupera la vista: uno che non vedeva, non capiva quello che gli succedeva intorno e che comincia a scoprire, a riconoscere uomini e cose; e soprattutto ‑ il segno più forte ‑ il passaggio dalla morte alla vita. Loro dicevano: "Noi eravamo come morti, incapaci di scoprire i valori autentici, di scoprire che cos'è la vita, incapaci di amare veramente, incapaci di vivere. Ma quando abbiamo incontrato Gesù, siamo passati dalla morte alla vita, abbiamo cominciato a vivere!".
Il racconto che abbiamo ascoltato tenta di esprimere, per prima cosa, il dono di Dio, il mistero di Dio che attraversa la nostra vita. I primi Cristiani dicevano: "Quando abbiamo incontrato Gesù, è stato come se un soffio di vita ci avesse scossi e liberati dai lacci della morte. È stato il Suo dono!". Per questo si parla di una bambina, una bambina di appena 12 anni, incapace ancora di scelte autentiche, incapace di essere una persona adulta: tutto in lei è dono, tutto in lei è incontro con Gesù! Lei non può nemmeno parlare. Gesù la prende per mano e la libera: la libera dal male, la libera dalla negatività, la libera dalla schiavitù, la libera dai lacci della morte!
Ma i primi Cristiani tentano di esprimere anche l'impegno dell'uomo: ecco perché oggi abbiamo ascoltato due racconti, incastrati l'uno nell'altro: nel primo racconto si parla di una bambina e si tenta di esprimere il dono di Dio, il mistero della Sua presenza nella nostra vita; ma nell'altro si parla di noi. C'è una donna che perde sangue e per gli antichi il sangue è la vita. La sua vita se ne sta andando, senza che lei nemmeno capisca perché; ha tentato con i medici, ha sciupato tanti soldi, ma non è riuscita a niente... Si avvicina a Gesù: da dietro (avete sentito: Marco in questo racconto è straordinario) tocca Gesù: si sente guarita! Tutto sembra risolto, ormai: è guarita... Non è ancora risolto niente: perché ci sono gli occhi di Gesù! "Gesù si guardava intorno, per vedere chi lo avesse toccato". Questa donna deve incontrarLo... e finalmente viene fuori: si strappa dalla folla, capisce che non può rimanere confusa in quella folla che stringe, che non è capace di libertà, che non è capace di incontrare veramente Gesù. Questa donna sente che deve trovare il coraggio di guardare Gesù negli occhi e di professare "tutta la verità"!
Ecco cosa significa essere Cristiani: non soltanto accogliere la mano tesa di Gesù che ci libera, ma anche trovare il coraggio di strapparsi dalla folla, dalla negatività, dal conformismo, dalla passività di questo mondo, per incontrare gli occhi del Signore e professare "tutta la verità". Questo è vivere il proprio Battesimo: attraverso questi simboli i primi Cristiani tentano di esprimere il nostro incontro con Gesù, la nostra vita cristiana, il nostro impegno.
Rileggetevela, a casa questa pagina del Vangelo! Non come un fatterello di tanto tempo fa: si parla di noi, del nostro incontro col Signore Gesù, della nostra esigenza di uscire dalla folla, di trovare il coraggio di incontrare Gesù, di guardarLo negli occhi, di credere nei Suoi valori, di seguirLo, con tutta la passione della nostra vita!
Il Signore ci aiuti!
1994
Se vi domandassi chi è stato il primo capo della comunità cristiana, il primo capo della Chiesa di Gesù, penso che la stragrande maggioranza di voi non avrebbe alcun dubbio: "Ma come! È Pietro il capo della prima comunità cristiana". Eppure, se leggete attentamente gli Atti degli apostoli, se ascoltate coloro che se ne intendono, vedrete che il primo capo della Chiesa non era Pietro, ma questo Giacomo di cui si parla nel Vangelo di oggi, il "fratello" del Signore, uno dei parenti di Gesù.
Il fatto è che anche Giacomo, con i suoi parenti, con tutti quelli della sua casa, è stato spazzato via da questa domanda che i primi Cristiani si saranno posti tante volte: "Perché proprio coloro che erano stati preparati dal Signore per secoli, proprio quelli del popolo di Israele, quelli della sua gente, hanno rifiutato Gesù?". Da dove viene il rifiuto del Signore? Perché gli uomini a volte rifiutano il bene, rifiutano le cose giuste, rifiutano quelli che portano qualche cosa di nuovo?
Non è una domanda secondaria: è la domanda fondamentale di chi è credente. Una domanda che riguarda anche noi: perché anche a noi talvolta capita di rifiutare le cose giuste, di non saper accogliere chi ci sta intorno. Vedete: Giacomo e i "fratelli" del Signore, sono diventati il simbolo di questo rifiuto (anche se, in verità, sono stati loro i primi ad accogliere Gesù). I primi cristiani hanno visto in loro i "suoi", i "vicini" che non hanno saputo accogliere Gesù. Perché? Come avete sentito dal Vangelo di oggi, tentano delle risposte, anche se l'ultima risposta non la trovano; forse è nel mistero della libertà umana.
Ci sono tre accenni: il primo: "Da dove gli viene questa sapienza?" Le parole di Gesù fanno problema, il suo modo di parlare di Dio, il suo modo di annunziare il perdono, il suo modo di trattare i peccatori, ha urtato contro la tradizione, contro la mentalità della sua gente. E poi il secondo accenno: i "miracoli": "Perché va in giro per il mondo a fare i miracoli? Perché non li fa qui da noi, a casa sua, nella sua città? Perché per 30 anni ha vissuto qui e non li ha fatti, i miracoli?". Ed ecco il terzo accenno: "Non è lui il carpentiere? È stato con noi per 30 anni, lo abbiamo visto aggiustare tavoli, riparare sedie...Adesso che fa? Dove va in giro? È possibile che un Profeta, un Giusto - anzi, per noi, addirittura il Figlio di Dio! - passi 30 anni in uno sperduto paese ad aggiustare sedie, a riparare tavoli, ad aggiustare carri?".
Accenni... ma non è anche la nostra esperienza, non capita anche a noi di rifiutare, a volte, chi ci sta accanto - magari un figlio, un nipote - perché la pensa diversamente da noi, perché il suo modo di pensare urta la nostra mentalità?... In fondo noi andiamo d'accordo con chi la pensa come noi: non ci domandiamo tanto se è giusto quello che uno dice, ma se va d'accordo con noi. E giudichiamo tutto a partire da noi stessi. Ed anche di fronte alle persone, non ci domandiamo forse "A che cosa mi serve? A che cosa mi può essere utile?".
"Va a fare il bene fuori..." Quante volte ho sentito, nella mia vita ormai lunga, dire dai genitori: "Questo ragazzo va bene a scuola, va anche a servire alla Mensa, e a casa sua non si rifà nemmeno il letto..." E non riusciamo ad accettare chi "fa il bene da un'altra parte"...
Infine - quello che è più difficile, se ci pensate, da accettare - la quotidianità: noi vorremmo sempre, dalle persone, qualche cosa di straordinario, qualche cosa di nuovo, qualche cosa che ci sorprenda; e ci fa fatica accettare la monotonia dei giorni sempre uguali, accettare così come sono le persone che ci stanno accanto.
Il fatto è che spesso giudichiamo e uomini e cose a partire da noi stessi, dal nostro modo di pensare, dai nostri bisogni. Incontrare Gesù, aprirsi a Dio, e in fondo aprirsi agli altri, esige nel profondo la gratuità: non il chiedersi "A che cosa mi serve, se è simile a me!", ma chiedersi con cuore sincero: "Che cosa è giusto? Che cosa è vero? Che cosa è buono?". Solo chi sa mettere gratuità nel profondo di se stesso, è capace di accogliere Gesù, è capace di accogliere Dio, è capace in fondo di accogliere gli altri!
Vedete, la domanda sul rifiuto di Gesù ci porta alla gratuità, cioè al cuore stesso della fede, nel cuore stesso della vita. E per questo, da questa domanda, Giacomo, il primo capo della Chiesa, è stato spazzato via, è diventato il simbolo - perché noi non ce ne dimentichiamo mai! - di colui che ha rifiutato il Signore, di colui che non ha saputo fare spazio, nella gratuità e nell'amore, al messaggio di Dio!
Lo Spirito aiuti tutti noi ad aprirci, a portare nel cuore un pizzico di gratuità, per accogliere Gesù, per accogliere la vita, per accogliere gli altri.
1994
"Senza pane, senza bisaccia, senza denaro nella borsa, senza portare due tuniche": perché tanta insistenza di Gesù, su questo aspetto? Vedete, io sono abbastanza vecchio per aver sentito tante prediche contro il denaro: quando ero giovane, dei buoni frati lo chiamavano "lo sterco del diavolo", ci mettevano in guardia contro i pericoli del denaro, esaltavano la povertà. E questo era in contrasto con l'esperienza che io andavo facendo in famiglia, dove ogni denaro che entrava era considerato benedetto: quando io ero ragazzo si faceva la fame, ogni lira che entrava in casa era una benedizione del Signore!
Poi, nella vita, ho capito - ho capito anche per merito, se così si può dire, di quei buoni frati che parlavano tanto della povertà e contro la ricchezza; poi viaggiavano in aereo, o sciupavano centinaia di milioni - di quei tempi - per costruire mausolei in onore della povertà...- ho capito che queste parole del Signore non c'entrano nulla con i soldi di tutti i giorni, con il far quadrare il bilancio alla fin del mese, con il compito, che ognuno ha, di moltiplicare la ricchezza, il benessere intorno a sé.
C'è in queste parole qualche cosa di più profondo, qualche cosa che tocca il cuore della nostra fede: Gesù voleva mettere in guardia la Sua Chiesa - che poi siamo noi - dal pensare di diffondere il Vangelo, di testimoniare i suoi valori con il denaro, con la forza, con la potenza. I valori si testimoniano con i valori, Gesù si testimonia con la vita, con il coraggio della fede!
I denari servono per vivere, sono importanti per vivere. Vedete, questa chiesa è costata non poco, costa molto pagare le bollette della luce, le bollette del gas, comprare i detersivi: per fortuna ci sono delle brave signore che mettono le loro forti mani a disposizione, per farvi trovare ben pulito; perché, se dovessimo pagare anche loro, dovremmo chiedervi ogni domenica denari in più! Quello che voi date serve per pagare tutte queste cose, come in una buona famiglia: per far andare avanti la baracca, per comprare da mangiare per noi, che viviamo qui, in qualche modo al vostro servizio. Ma se pensassimo che avere più denaro o moltiplicare le strutture e aumentare i locali, ci potrebbe servire a far crescere la fede, avremmo veramente sbagliato strada! Gesù si testimonia con la vita di tutti i giorni, con il coraggio di fare il bene.
Volete un altro esempio? In questo momento, in Italia, mi sembra di capire (ma non è una cosa nuova: è successo infinite volte, nel corso della storia) che alcuni Vescovi tentano di saltare sul carro del vincitore. Il "vincitore" può anche aver ragione, ma non ha ragione perché ha vinto, non ha ragione perché è diventato più potente, non ha ragione perché magari può aiutarci a costruire un po' di chiese... Ha ragione se - e in quanto - promuove il bene di tutti, promuove i valori autentici della vita civile. Saltare sul carro del vincitore, pensare che il più forte ci aiuti a testimoniare il Vangelo, è un'illusione antica come il Cristianesimo (forse antica come gli uomini).
Ma senza andar lontano: pensate a qualche famiglia - forse non la vostra - che avete conosciuto, in cui i genitori pensano di tener lontani i figlioli dai pericoli, moltiplicando i doni, moltiplicando il denaro a loro disposizione (e magari li mettono nei pericoli, più che allontanarli...). Non si testimonia il bene, non si fa crescere la vita con i soldi: è necessario proporre valori autentici e profondi.
Abbiamo due indicazioni nel Vangelo di oggi, solo due: occorre chinarci con tenerezza sulla sofferenza, ungere ogni malato e cacciare i diavoli, scuotere la polvere di tutto ciò che è male! Avessimo il coraggio di farlo, tutti quelli che ci diciamo cristiani! Il coraggio di scuotere la polvere di tutto quello che è male, che è ingiusto. Avete sentito questa triste storia - credo che sia una delle storie più penose di questo nostro paese, negli ultimi anni - di questi ufficiali (speriamo che non sia vero!) della Finanza: alcuni saranno passati qui vicino, per Ostia; alcuni avranno pregato nella nostra chiesa... Se avessero trovato il coraggio di scuotere la polvere contro tutto quello che è disonestà, contro tutto quello che non è frutto di onesto lavoro, il nostro paese andrebbe meglio.
Ecco il denaro che corrompe! Non il denaro che voi usate per arrivare alla fine del mese. Gesù ci dà due indicazioni: "State lontano dal male, scuotete la polvere dai piedi, cacciate il diavolo come potete (il diavolo, non quello con le corna e la coda: il diavolo è dovunque c'è il male!) e fate del bene: chinatevi sull'uomo che soffre, ungete la sofferenza del malato".
Ecco le uniche due possibilità che abbiamo di testimoniare Lui. Il denaro è soltanto un mezzo: prezioso importante utile, dobbiamo far di tutto per moltiplicarlo... ma non è quello, che farà il mondo più giusto, non è quello che farà il mondo più vero, non è quello che può portare i valori autentici!
Il Signore ci aiuti!
1994
Qualcuno di voi lo ricorderà: domenica scorsa abbiamo letto nel Vangelo di Marco come Gesù abbia inviato i Suoi discepoli in missione, a due a due, affidando loro il compito di cacciare i demoni, di chinarsi con tenerezza sulla sofferenza, sulle malattie degli uomini: è l'invito a continuare la Sua missione; un invito che vale per ogni cristiano, anche per noi.
Oggi, come avete ascoltato, il Vangelo di Marco ci narra (brevemente, com'è suo costume), del ritorno di questi discepoli. Tornano da Gesù e raccontano quello che hanno fatto: noi possiamo tentare di immaginare i racconti di questi discepoli. Qualcuno sarà tornato pieno di entusiasmo, a riferirgli tutto quello che ha fatto: magari ha guadagnato qualche discepolo, ha compiuto qualche prodigio, ha fatto qualcosa di straordinario. Altri, forse i più, parlano dei propri insuccessi, dei fallimenti di quella missione: non sono, in fondo, riusciti a cacciare nessun diavolo, hanno anche incontrato difficoltà ad asciugare una lacrima.
Qualcuno parlerà dell'incontro, sempre così penoso, con la superficialità e il conformismo della "folla", con l'incoerenza e la mancanza di serietà e di impegno. Qualcuno, con maggior pena, racconterà dello scontro con la violenza del mondo: qualcuno è stato cacciato, qualcuno è stato, forse, anche malmenato... Tutti hanno qualcosa da raccontare. E Gesù invita tutti in un luogo in disparte, a riposarsi un po'.
Hanno tutti bisogno di fermarsi un momento, di guardare un po' da lontano la loro esperienza: ne hanno bisogno anche quelli che credono di aver avuto il successo, hanno bisogno anche loro di imparare la commozione, la compassione, le radici della tenerezza! Un uomo non fa il bene soltanto quando ha ottenuto il successo! Il successo rischia di corrompere la missione del credente, che corre il rischio di pensare di aver fatto bene quando ha raggiunto il successo, quando ha ricevuto l'applauso della gente... e può invece aver preso una strada sbagliata!
Ma ne hanno bisogno, soprattutto, quelli che hanno fatto esperienza del fallimento, quelli che hanno il cuore pesante, quelli che sentono le braccia cadere; quelli che hanno fatto l'esperienza della stupidità della folla, quelli che hanno fatto l'esperienza, dura, della violenza degli uomini! Anche loro hanno bisogno di fermarsi, di ritrovare in Gesù il coraggio della speranza, di ritrovare le radici autentiche della vita.
Vedete, questa non è la storia soltanto dei discepoli: è la storia di tutti noi. Anche noi ci ritroviamo qui, un momento, in disparte; abbiamo tutti dietro le spalle una settimana di lavoro, una settimana in cui abbiamo corso, ci siamo affannati; anche noi abbiamo fatto, a volte, esperienza della superficialità e della cattiveria del mondo, anche noi abbiamo conosciuto, a volte, l'insuccesso, o, qualche volta, l'entusiasmo!
Abbiamo bisogno di sederci ai piedi di Gesù, di guardare i Suoi occhi, di cercare in Lui il senso autentico e profondo della nostra vita, i valori veri; abbiamo bisogno di riscoprire, qui insieme, ai Suoi piedi, la gratuità, la tenerezza, il fare il bene per l'altro non per il nostro successo, non per cercare il nostro tornaconto, non per ricevere una ricompensa. Abbiamo bisogno di riscoprire, ai piedi di Gesù, che cosa significa amare sul serio, che cosa significa donare se stessi senza aspettarsi la ricompensa o l'applauso, ma anche senza scoraggiarsi quando si fa esperienza del fallimento, quando non si riceve riconoscenza da chi incontriamo sulla strada.
Sedersi ai piedi di Gesù per trovare le radici dell'amore più autentico e vero: è quello che tentiamo di fare ogni sabato, ogni domenica, quando ci ritroviamo intorno all'altare, quando ci incontriamo con Lui, quando ci nutriamo di Lui!
Lo Spirito ci aiuti a farlo anche oggi!
1994
Il racconto che abbiamo appena finito di ascoltare si trova per ben 6 volte nei Vangeli, con piccole o grandi variazioni fra l'uno e l'altro: è l'episodio che viene riportato più volte e più volte lo abbiamo commentato insieme; non è quindi semplice dire qualche cosa di nuovo su questa pagina.
Ho pensato a lungo, oggi pomeriggio, come si poteva dire qualche cosa di nuovo... e non ci sono riuscito. Alla fino ho detto: "Forse è meglio che, con grande semplicità, racconti un po' dei pensieri che mi son venuti in mente: chi sa che non possano aiutare a riflettere su questa pagina del Vangelo; che è, poi, riflettere su quello che facciamo insieme qui, ogni domenica".
E dunque, ho cominciato da uno slogan che mi è venuto in mente: "moltiplicare il pane, senza voler diventare re", che tradotto significa: moltiplicare la vita, moltiplicare il benessere, il sapere, la gioia - tutto quello che voi volete - senza aspirare al potere, alla riconoscenza, al prestigio, alla gloria. E poi mi son detto: "Niente di più banale... cose che abbiamo detto tante volte!".
E poi pensavo: "Ma... banale o forse essenziale? Non è questo uno degli aspetti fondamentali della nostra vita, soprattutto della vita di un credente?" E mi dicevo: "Se i nostri governanti badassero al bene comune, a moltiplicare il benessere, a moltiplicare la cultura, a moltiplicare tutto quello che è vita civile, senza aspirare al potere, al prestigio..." E dicevo: "Cosa ancora più banale, cosa ancora più scontata!"
Banale, scontata! Viviamo in un mondo - mi dicevo ancora - in cui tutto diventa immagine, tutto diventa rappresentazione, tutto diventa ostentazione. Avete visto che spettacolo è stato l'incontro dei 7 grandi in quegli splendidi posti che sono a Napoli! Una grande ostentazione di potere. E questo succede spesso nel nostro tempo; e forse è importante che ci abituiamo sempre di più a giudicare chi ci governa non da come si mostra, non da come ostenta il suo potere, il suo prestigio, ma da quello che fa, dai gesti concreti che moltiplicano la vita, che moltiplicano il benessere, che moltiplicano il lavoro, che moltiplicano la cultura e tutto quello che "fa" la vita civile. Un discorso, allora, non tanto banale e credo che sia importante che noi ci ritorniamo sopra spesso.
Ma poi mi son detto: "Perché pensi a chi ci governa? Questo discorso, in fondo, riguarda anche te". Ed è giustissimo: riguarda anche me! Perché il mio compito è quello di moltiplicare la vita, di far crescere la conoscenza di Gesù, senza cercare il prestigio, senza cercare nemmeno il vostro applauso né la vostra riconoscenza, senza cercare - che sarebbe ancora peggio! - di dominare le vostre coscienze, di imporre a voi il mio modo di vedere.
Ma quello che vale per me, vale anche per voi. Vale per gli insegnanti che son qui, i quali hanno anche loro il compito di moltiplicare la cultura, la vita degli alunni, e non vale solo per gli insegnanti, vale per chiunque lavora e vale anche in casa tra marito e moglie, tra genitori e figli: il compito di ogni uomo sulla terra è quello di moltiplicare la vita, il benessere, la gioia, senza voler prevalere sugli altri, senza dominare sugli altri. Qualcuno di voi sorriderà, come mi è capitato di veder sorridere tante volte la gente, a questi discorsi: "È quasi impossibile!..."
È quasi impossibile, sì! Ecco perché questo racconto c'è 6 volte nel Vangelo. Ecco perché noi ci ritroviamo qui ogni domenica: per tentare l'impossibile, per tentare di moltiplicare la vita senza voler "diventare re", senza prevalere sugli altri, senza imporre noi stessi. Cerchiamo di imparare qui, intorno alla tavola, spezzando il pane, a mettere in comune quello che abbiamo!
Voi, come il ragazzo del Vangelo, direte: "Abbiamo soltanto 5 pani d'orzo (che erano i pani che mangiavano i più poveri) e 2 pesci rinsecchiti!" Bastano! Bastano e avanzano! Purché tutti mettiamo in comune quello che abbiamo, cerchiamo di moltiplicare la vita, di donare ciò che possiamo, perché la vita sia più ricca - in casa, fuori, nel posto di lavoro - senza pretendere di "diventare re".
Non è facile! Per questo Gesù ci convoca qui ogni domenica; per questo ancora continua a spezzare il pane con noi; per questo, senza stancarsi, continua ad invitarci, a nutrirci di Sé!
Lo faccia ancora per noi, stasera.
1994
Io vengo da vacanze lunghe e serene e questo mi dà, forse, la forza di affrontare un discorso un po' complicato e difficile, che mi porto dentro da tanto tempo, ma che proprio per la sua complessità è difficile svolgere qui in chiesa - l'abbiamo trattato più volte, nei nostri gruppi - ma credo che, anche se è un discorso che sconcerterà qualcuno di voi (e chi si sconcerta, cerchi di tapparsi le orecchie ed andare avanti; tanto, le parole del parroco valgono sempre quello che valgono...), sia importante per qualcun altro riflettere su queste cose, perché l'aiuta a ripensare il Cristianesimo in maniera forse più seria, più matura, più adulta. E allora, chi non è d'accordo, chi si sconcerta, passi pure oltre, senza preoccuparsi; chi invece trova in queste riflessioni uno spunto per pensare un po', presti particolare attenzione questa sera. Anche perché, come dicevo, il discorso è complesso e quando si deve fare in breve - ed ho intenzione di farlo il più in breve possibile - si rischia di non riuscire a spiegarsi bene. Comunque, se qualcuno avesse qualche perplessità, poi potrà domandarmi quel che vuole.
Vorrei affrontare con voi stasera il tema dei miracoli. Perché, vedete, il Vangelo è pieno di miracoli: ce ne sono quasi in ogni pagina; e chi di voi ha letto (non per sua fortuna!) le vite dei Santi, anche quelle le ha trovate piene di miracoli e questo non succede solo nella nostra religione, ma in tutte le religioni del mondo. Nei tempi antichi, fino ai tempi dei nostri nonni o bisnonni, il miracolo era uno dei segni di Dio; anzi, quando io ero bambino ed andavo al catechismo, il miracolo era una delle "prove" dell'esistenza di Dio, della "divinità" di Gesù. Il mondo cambia! Per molti dei giovani di oggi, ma forse anche per molti di voi, il miracolo, invece di essere una prova di Dio, è uno scandalo, una difficoltà. Perché è così cambiato il modo di pensare? È quello che tenterei di dirvi stasera, se mi riesce; almeno, per quello che ho capito io.
Vedete, per gli antichi il mondo era un fatto del tutto misterioso: loro non ne capivano quasi niente, non conoscevano quasi nessuna delle leggi che regolano il mondo e la vita. Vedevano il sole sorgere e tramontare e pensavano che ci fosse un dio che trasportava il sole nel suo carro... come potevano sapere? Loro pensavano che la terra fosse piatta, che stesse ferma, che il sole le girasse intorno... Ed anche delle malattie, non ne conoscevano quasi di nessuna l'origine e le cause e pensavano che ci fosse un diavolo...Uno non vedeva: perché? il diavolo gli tappava gli occhi. Uno aveva la febbre: perché? il diavolo aveva preso un po' di fuoco dall'inferno e glielo aveva messo dentro... E quindi, se tutto ora così vago, tutto poteva essere cambiato: le leggi non c'erano e quindi il dio poteva intervenire per fare del bene e il diavolo per fare del male!
Per noi è tutto diverso: un ragazzo che va a scuola scopre pian pianino tutte le leggi che regolano questo nostro mondo, così complesso e così vasto. Tante generazioni di gente prima di noi hanno studiato il mondo, per capire... e siamo riusciti a curare molte malattie. Quando abbiamo cominciato a pensare che uno non ci vedeva, non perché ci fosse un diavolo che gli tappava gli occhi, ma perché c'era qualche motivo fisico, quando abbiamo studiato bene l'occhio, abbiamo capito che se uno mangia troppo fa crescere il diabete e rischia di diventare cieco; e se uno ha un glaucoma o la cataratta, rischia... ecc. ecc. Sappiamo tante cose; e sappiamo anche - sanno i medici, quando riescono - curare tanti mali.
E allora, a chi conosce il mondo così, riesce difficile pensare che ci possano essere tante eccezioni delle leggi della natura... sono leggi serie, si possono studiare per conoscere e migliorare il mondo! E chi può violare e cambiare queste leggi? Ecco il secondo progresso: ai tempi antichi il potere era nelle mani di una persona: l'imperatore poteva disporre di uomini e cose, aveva diritto di vita e di morte. E quindi, quando l'uomo pensava a Dio, pensava come ad un grande Imperatore, che poteva fare quel che voleva: disponeva, cambiava; cambiava le leggi, cambiava il modo di fare: era Lui il Padrone supremo del mondo! Per noi è impensabile pensare che il "capo" abbia un potere assoluto: non può disporre di uomini e cose; anche lui deve seguire dei valori, dei criteri autentici di giustizia... E questo vale per tutti. Vale anche per Dio: non può fare nemmeno Lui come gli pare: altrimenti ci sembra profondamente ingiusto!
Ed ecco il terzo punto: la giustizia. Perché a quello sì e a quell'altro no? Ed un altro punto: la sensibilità al dolore, alla morte, che abbiamo noi, gli antichi non l'avevano. La violenza e la morte era un fatto quotidiano. Si andava al circo per vedere uomini che si uccidevano, nelle nostre terre due terzi degli uomini vivevano come schiavi, in un salmo della Bibbia si poteva trovare una preghiera a Dio perché lasciasse sfracellare sulla roccia i bambini dei nemici... tutto ciò ci fa orrore. A quel tempo, sapete, le donne mettevano al mondo, in media, da 10 -12 figli - su dieci bambini, otto morivano; prima di arrivare a dieci anni. E allora la morte era un fatto quotidiano! Per noi, il dolore, la sofferenza, è diventato qualcosa di quasi insopportabile - e dobbiamo far sì che diventi sempre di più, insopportabile! Attenti, quindi, alla televisione! - Noi pensiamo: se Dio può fare qualcosa per i bambini della Bosnia, per i bambini del Ruanda, per tutta la gente che soffre nel mondo, e non lo fa, non ci è più possibile credere in Lui; perché per noi il dolore è qualcosa di terribilmente serio! Se Dio può fare i miracoli, perché non li fa per tutti quelli che sono malati? Perché all'uno sì, e all'altro no? Questo urta il nostro senso profondo della giustizia!
Vedete, vi racconto una storiella, che per me è stata importante e forse anche per qualcuno di voi. È successo proprio qui: una sera eravamo in una delle nostre sale, a commentare il Vangelo: si facevano proprio questi discorsi. E ad un certo punto un signore ha alzato la mano e ha detto: "Io ho ricevuto nella mia vita, un grande miracolo!" e tutti ci siamo fatti attenti, a sentire qual era il miracolo di questo signore. Era un signore anziano - adesso non c'è più: se n'è andato anche lui in paradiso; e guarderà il mondo con gli occhi trasfigurati di Dio! ‑ un signore molto dolce, che non parlava mai e quel giorno aveva da dirci la cosa più importante della sua vita: diceva: "Vedete, quando molto tempo fa, nella guerra, io sono stato preso prigioniero, un ufficiale tedesco mi ha puntato una pistola alla tempia. Io mi sono raccomandato a Dio, ai Santi: ho pregato con tutta l'intensità del mio cuore. E quell'ufficiale ha premuto il grilletto...ma il colpo non è partito: la pistola ha fatto cilecca!". Io avevo davanti a me un insegnante, una delle persone più giuste e buone che io abbia conosciuto nella mia vita - adesso anche lui non c'è più! - Ci siamo guardati negli occhi, uno sguardo d'intesa, e non abbiamo parlato, perché ci sembrava giusto rispettare il segreto della vita di quell'uomo. Quell'uomo, da ormai quasi 40 anni, viveva la sua vita come un "miracolo", perché quella pistola aveva fatto cilecca!
Ma accanto a me, sulla destra, poco più in là c'era un generale, un generale dell'esercito, il quale subito ha alzato la voce: "Eh, però, quante pistole hanno sparato!" Ci siamo di nuovo guardati negli occhi con quell'insegnante e abbiamo sorriso! Pensavamo la stessa cosa, ma non volevamo dirla, noi. Però quel generale forse sentiva più forte, nella sua coscienza di uomo, che tante, troppe pistole, troppo bombe, avevano sparato e seminato milioni e milioni di morti! E allora io ho detto a quel signore: "Vede, noi abbiamo sorriso e adesso Le dobbiamo una spiegazione. Come vede, il generale ha ragione: molte pistole hanno sparato, milioni di persone son morte per la guerra! Però, vede, anche Lei ha ragione: perché per un Cristiano, per un credente, ogni volta che si sveglia al mattino, che si guarda intorno, che vede il sole; che vede gli alberi, che vede lo splendore della natura, vede tutto questo con senso di gratitudine, come un miracolo. Noi non abbiamo fatto il sole, non abbiamo fatto la vita; ogni volta che ci svegliamo, è un miracolo! La bellezza delle cose che abbiamo intorno...e non soltanto della natura: anche della gente! Perché se io posso fare questi discorsi, stasera, è perché tanta gente, prima di me, ha cercato la giustizia, ha studiato la vita, ha combattuto le malattie. Lo stupore, la meraviglia, la bellezza della vita, degli uomini, del coraggio, dell'impegno della gente: tutto questo è qualcosa da vivere come un miracolo!
E allora, vedete, per chi crede, ogni istante, ogni momento è un miracolo, da vivere con stupore, con meraviglia, da vivere con gratitudine, da vivere con senso di ringraziamento! E noi siamo fortunati, perché - lo vedremo; oggi non c'è tempo - ogni miracolo del Vangelo è un segno di questa vita: non invito al prodigio, al fatto straordinario, alla cosa eccezionale che succede una volta tanto, ma un invito a vivere la nostra vita, la vita di ogni giorno, con meraviglia, con senso di stupore, di contemplazione, di gratitudine, con senso di ringraziamento. Ed anche con impegno: per moltiplicarla, questa vita, per fare crescere intorno a noi - nelle nostre case, fra la nostra gente - il miracolo della gente che cerca con passione: che cerca la giustizia, che è sensibile al dolore del prossimo, che vive con tenerezza, che moltiplica tutto quello che è bello e buono nel mondo!
Il Signore ci aiuti a farlo!
1994
Continuiamo oggi la serie dei discorsi difficili e quindi chi non è d'accordo porti pazienza; chi invece è interessato ascolti con un po' più di attenzione del solito.
Ci troviamo, nel cuore del Vangelo di Marco, nel cuore stesso della nostra fede: avete ascoltato, ancora una volta, la domanda decisiva per ogni credente, la domanda di Gesù: "Chi sono io per te?". E avete sentito Pietro rispondere a nome di tutti: "Tu sei il Cristo! Tu sei il Signore!": esprime così il suo desiderio, la sua decisione di seguire Gesù, di camminare con Lui; anche se - povero Pietro! - non sa bene dove vada a parare... E quando Gesù comincia a parlare di Gerusalemme, Pietro Lo prende da parte e comincia a rimproverarlo, ma la risposta di Gesù è durissima: "Sta' lontano da me, Satana! Tu non pensi come Dio, ma come gli uomini".
E poi Gesù insiste: "Chi vuol venire con me rinneghi se stesso, prenda la sua croce, perda la sua vita!". Penso che tutti voi capiate che un errore di prospettiva - qui, nel cuore della nostra fede - ha conseguenze devastanti sul modo di concepire la fede, la religione; sul "seguire" il Signore. E nel corso della storia della Chiesa, purtroppo, a volte queste parole sono state fraintese.
Vedete, nel corso della storia è capitato che si siano impossessati della religione, della spiegazione della nostra fede, i monaci, i frati; che hanno interpretato il "rinnegare se stessi" come la negazione di alcune strutture fondamentali della vita dell'uomo. Vediamo quali.
Negazione della sessualità: per cui l'ideale diventava il celibe, colui che non aveva alcun rapporto con l'altro sesso, con la conseguenza che la sessualità diventava qualcosa di oscuro, di peccaminoso, relegato negli angoli bui della vita dell'uomo.
La seconda struttura che la tradizione ha negato è stata la struttura dell'economia, dei soldi, del denaro: l'ideale diventava l'uomo assolutamente povero, che si era liberato di ogni bene della terra, che viveva come un passero, come un mendicante: colui che non si curava dei soldi. La conseguenza è che anche l'aspetto economico entrava a far parte delle cose oscure della vita, qualche cosa di cui si occupavano i pagani, i non credenti: il frate, il monaco, mai si occupava delle cose materiali! (Poi, magari, possedevano mezza Italia... ma questa è un'altra storia!).
Terza negazione, quella della struttura della libertà e dell'autonomia dell'uomo, per cui l'ideale diventava colui che obbediva ciecamente: "obbediente - dice S.Ignazio, maestro di fede - perinde ac cadaver". Come un cadavere: questo era l'ideale del Cristiano: uno che non diceva nemmeno "sì", perché non parlava nemmeno più... Come un cadavere: sempre pronto ad obbedire, a pensare come il "Capo".
E la quarta struttura fondamentale che è stata negata nel corso della nostra storia, era il desiderio di felicità, la ricerca del piacere: la conseguenza era che si poneva come ideale colui che si mortificava, addirittura che si flagellava, che faceva lunghi digiuni, che rinunciava ad ogni gioia e ad ogni piacere della vita. Si arrivava ad identificare il bene con il dolore e la sofferenza.
Che ne è venuto da tutto questo? Una religiosità in gran parte cupa, volta alla negatività, che disprezza molti dei valori della vita, che esalta il dolore e la sofferenza; una religiosità dell'ubbidienza che umilia la ragione, l'autonomia e la libertà dell'uomo, una religione dell'esteriorità e della legge. Ma c'è di più: una tale religiosità diventa spesso una educazione raffinata all'ipocrisia. Perché - voi lo capite - quando le strutture fondamentali della vita si cacciano dalla finestra, rientrano per mille rivoli oscuri... Molte persone nel corso della storia, hanno dovuto vivere la propria sessualità, o il proprio lavoro o la propria ricerca intellettuale, come qualcosa di peccaminoso e si andavano a confessare, ed erano convinti che quello che dicevano non corrispondeva alla propria coscienza; ma lo dovevano dire, perché così insegnavano i preti! Di più: quando la gente vive un'ubbidienza che è dire sempre di sì, la conseguenza la conoscete - qualcuno di voi ha esperienza della vita...- è la ruffianeria!
Qualcuno dirà: "Ma non è tutto così!". Certo che non è tutto così! altrimenti non staremmo qui, né io né voi. Ma questo ha occupato parte della storia della Chiesa nei secoli passati. Ed anche oggi ne portiamo le conseguenze non solo nella vita della Chiesa, ma anche nella nostra società italiana, così impregnata di cultura cattolica.
Ma c'è una domanda più importante, per chi crede: dove vanno a finire, allora, le parole di Gesù che abbiamo ascoltato?: "Chi vuole seguirmi rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Chi vuol salvare la propria vita, la perderà...". Che ne facciamo, di queste parole? le buttiamo via? Tutt'altro: rimangono e diventano sempre più forti per noi! Ma ad una condizione: che da tutti noi la vita sia accettata in maniera totale, incondizionata, gioiosa, piena; che ne siano apprezzati fino in fondo i valori fondamentali. Allora soltanto potremo dirci, guardandoci negli occhi: "Attenzione! Corriamo tutti la tentazione di vivere la vita come un possesso!". Come un possesso egoistico: per me e non per gli altri; corro il rischio di tenere per me la vita, i denari, il potere; e di sfruttare chi mi sta intorno, di calpestare chi mi passa accanto. E allora la vita diventa un inferno! Non più la gioia di condividerla, di viverla nella pienezza, nell'amore.
Ecco cosa intende Gesù, quando dice che occorre rinnegare se stessi: occorre rinnegare il proprio egoismo, gli aspetti negativi della propria esperienza, la volontà di possesso, di dominio su chi vive con me, su chi condivide con me la vita! Occorre vivere la gratuità, occorre riscoprire la pienezza dell'amore, occorre riscoprire la pienezza della gioia! Queste parole di Gesù trovano la loro forza quando noi abbiamo il coraggio di non vivere la vita come un possesso, ma di condividerla gioiosamente con gli altri, di pensare che le cose non possono essere soltanto mie, ma debbono essere condivise con tutti.
Ed ecco, infine, il discorso della croce: "Che ne è della croce? Allora, non bisogna sacrificarsi!". Voi siete persone che avete vissuto e siete esperti di croce: quando sul posto di lavoro, nell'ufficio, in casa, avete cercato la giustizia e avete cercato di voler bene sul serio, vi siete scontrati con la difficoltà, avete incontrato la persecuzione o conosciuto il fallimento.
Di più: a volte la sofferenza, il dolore, a volte addirittura la tragedia, attraversa la nostra vita! E allora si tratta veramente di prendere su la propria croce! E non scoraggiarsi! Non perché si debba amare la sofferenza; non perché la sofferenza abbia un senso; ma perché, anche nella sofferenza, il credente sa che quello che conta è amare, quello che conta è buttare il proprio cuore al li là del proprio dolore, quello che conta è condividere la vita e tentare di renderla quanto più bella è possibile!
Allora, vedete, queste parole di Gesù trovano un forte e profondo eco nel nostro quotidiano, nella nostra vita; a patto che nessuno di noi ne rifiuti le strutture fondamentali; a patto che ci sentiamo amanti della vita, capaci di camminare a testa alta, di sentirci liberi, di credere in tutte le cose belle e giuste della nostra esperienza terrena!
Il Signore ci aiuti!
1994
Dobbiamo interrompere la serie dei discorsi complicati, perché - come avete sentito - oggi in mezzo a noi c'è un bambino! È importante, questo bambino: è messo qui proprio all'inizio di una strada, di una via, (avete sentito quante volte, nel Vangelo di oggi, si parla di camminare, di una via, di una strada): per Marco questa è la strada della vita cristiana, la strada di colui che sceglie di seguire Gesù, di camminare con Lui.
Ed è una strada difficile! Anzi, come sentirete nelle domeniche seguenti, i discepoli dicono che è quasi impossibile camminare su questa strada! Perché è una strada che non ha un termine, che non ha confini: è la strada che va verso la gratuità, verso la totalità dell'amore di Dio, di un amore che non conosce limiti!
All'inizio di questa strada non c'è, però, come avete notato, un "eroe", la figura di un "santo": anzi, i santi - Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni - fanno una ben cattiva figura... All'inizio di questa strada, collocato in mezzo ai discepoli, c'è un bambino: e sentirete, fra qualche domenica, come Gesù dice che bisogna diventare come questo bambino, per camminare con Lui!
Quando pensate ad un bambino, è bene che non pensiate ai nostri bambini di oggi - protetti, coccolati, a volte anche viziati -: i bambini del tempo di Gesù erano veramente le ultime ruote del carro: persone che non avevano diritti, a cui tutti potevano comandare; erano veramente gli "ultimi"! Passavano la loro vita dietro le pecore, facendo i servizi in casa; tutti potevano rivolgere loro un rimprovero, una parola di comando.
Ma il bambino - allora come oggi - è anche colui che ha gli occhi stupefatti, spalancati sulla vita: è colui che si guarda intorno con stupore e meraviglia. È colui che vive la vita come un dono, che non ha ancora diritti da accampare, non ha ancora costruito i suoi piedistalli, da cui giudicare e condannare il suo prossimo. Non sa ancora tutto e non ha paura di far domande (come avete sentito, i discepoli hanno paura...). E non ha ancora costruito tante difese, tanti sospetti nei confronti del suo prossimo: non partecipa ancora alla lotta per il potere, per cercare di passare avanti, di scavalcare gli altri.
Il bambino è uno che ama il gioco, che cerca la felicità. Il bambino è uno che vive ancora la vita come dono, come gratuità: con il cuore spalancato! Il bambino è uno che ha ancora tutta la vita davanti: che vive di speranza, di fiducia! Questo bambino Gesù colloca in mezzo a noi! Questo bambino è il modello della vita cristiana: non un eroe, non un santo, ma uno che ha il cuore libero e aperto, che ha gli occhi stupefatti, che vive la meraviglia, che vive la gratuità, che vive l'accoglienza! Uno che sente nel cuore il desiderio della gioia, la passione per la vita!
Una preghiera per tutti noi, stasera: il Signore conservi a ciascuno di noi gli occhi stupefatti di un bambino, il coraggio della vita!
1994
Tentiamo ancora - abbiamo fatto una pausa, domenica scorsa, come si doveva, leggendo quella pagina del Vangelo - tentiamo di riprendere la serie dei discorsi complicati, un po' difficili, su cui certamente qualcuno di voi non sarà d'accordo. Chi non è d'accordo, porti pazienza; ma forse anche chi non è d'accordo, può trovare qualche stimolo di riflessione.
Dicevo già da qualche domenica che ci troviamo nel cuore della nostra fede, nel cuore del Vangelo; e che un errore di prospettiva o una trascuratezza, qui, ha conseguenze devastanti fino alla periferia del nostro vivere da cristiani. In quello che abbiamo letto oggi, c'è un episodio che rischia di essere trascurato; e di fatto lo è stato: c'è un discepolo, Giovanni, che va da Gesù e gli dice: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri". E Gesù gli dice: "Lascia fare!".
Ecco, c'è, per chi va dietro al Signore, una tentazione: la tentazione dell'intolleranza, "dei nostri", che sanno tutto, che hanno la chiave del bene o del male, che hanno il criterio della giustizia, che sanno dove ci porta il Signore! Gesù ci aveva messo in guardia, forse in maniera troppo blanda: non ha detto parole forti, magari come quelle che seguono in questa pagina del Vangelo; e noi, poveri cristiani, non ce lo siamo filato per niente... Nel corso della storia della Chiesa abbiamo costruito una grande, immane struttura, per dire che noi, solo NOI, abbiamo la Verità e tutti gli altri sono brutti e cattivi: la salvezza è soltanto all'interno della Chiesa! Soltanto all'interno della Chiesa c'è il modo di arrivare a Dio; chi non fa parte della Chiesa, se muore, va all'inferno; o magari un bambino che non è battezzato va al "limbo"...
Per dire che noi siamo i portatori della Verità, abbiamo scomodato la Trinità intera: il Padre, di cui ci sentiamo i veri rappresentanti; lo Spirito, di cui siamo i depositari esclusivi il Cristo, di cui siamo gli interpreti ufficiali, i soli che possano dire che cosa insegna, che cosa vuole Gesù! Siamo arrivati a definire "l'infallibilità" della Chiesa, del Concilio, del Papa. Noi abbiamo la Verità! E avendo noi la verità, chi non la pensa come noi lo si può anche arrostire sul fuoco o mettere in prigione o esiliare; o, come succede oggi, dato che non si usa più, per fortuna, arrostire la gente sul fuoco, escluderlo dall'insegnamento, togliendogli i mezzi per vivere.
Non solo, ma all'interno della vita della Chiesa abbiamo costruito gerarchie, abbiamo costruito delle caste, delle corporazioni, che si sentono privilegiate, investite di autorità dall'alto. La prima distinzione, forte, che c'è all'interno della nostra Chiesa, è tra clero e laici: tutto il potere è al clero, i laici debbono obbedire e pagare, mettere mano al portafoglio, ma non hanno alcun peso nelle decisioni, nella ricerca di ciò che è giusto e vero. Perché i preti sanno tutto, hanno il monopolio dello Spirito... e non basta: ma all'interno del clero, ci sono anche lì caste e corporazioni: i vescovi, oppure i frati, i monaci.
Noi, in Italia, abbiamo un guaio supplementare, perché, spesso il Papa è stato anche capo del governo, specialmente qui nelle nostre terre: e se voi andate in giro per Roma, trovate ancora delle targhe ai muri, in cui si proibisce di buttare "immondezze" in quei luoghi, "sotto pena di scudi 5 ( o 10, a seconda...)" ed altre pene "ad arbitrio di S. Eccellenza". Sua Eccellenza fa come gli pare e voi non lo potete critica'; perché Sua Eccellenza parla sempre in nome di Dio (era spesso un Vescovo o un Cardinale, S.Eccellenza, il quale comminava pene "a suo arbitrio"!).
Qualcuno di voi dirà: "Ma che c'entra tutto questo? Perché ci ricorda don Checco queste miserie della Chiesa antica, queste cose che appartengono ormai alla storia?". A parte che non appartengono alla storia, quello su cui volevo portarvi stasera, il discorso complicato che intendevo fare, è questo: che tutto questo non abbia, ancor oggi, conseguenze serie e gravi nella nostra vita civile, che alcuni dei nostri guai non possano venire da qui? Se voi andate alla Posta o in un ufficio pubblico e l'impiegato vi tratta male, non potrebbe derivare, il suo comportamento, dalla sua educazione "cattolica", in cui chiunque appartenga ad un apparato si sente mandato direttamente da Dio e non può essere giudicato da nessuno? Non può essere che il fatto che ci siano tante corporazioni chiuse, in questo nostro paese, dipenda un po', anche, dall'aver trascurato questa parola di Gesù sui "nostri"?
Provate a chiedere un controllo, in questo nostro paese, su un medico o su un giudice o su un giornalista o su un insegnante: vedrete subito scattare feroci meccanismi di corporazione: tutti si uniranno per difendere questa persona, per dire che voi avete torto, perché loro appartengono ad una casta privilegiata e protetta, che si sente investita di un'autorità quasi sacrale!
Allora, vedete, se questo è un po' vero, dobbiamo riflettere con cura sulla nostra educazione cattolica, sul nostro modo di leggere o di trascurare certe cose del Vangelo. A me restano in mente alcuni piccoli episodi, che non sono un "giudizio", ma nella mia vita sono serviti un po' come esempi, come simboli, come stimoli alla riflessione: ve li racconto, così voi cercate anche i vostri.
Qualche anno fa - questo mi era rimasto abbastanza ben impresso, anche perché c'era capitata in mezzo mia sorella; e le cose che ti toccano da vicino, magari te ne preoccupi o ci pensi di più - qualche anno fa all'aeroporto di Fiumicino succedeva che, nel trasporto dei bagagli - dall'aereo al momento in cui venivano riconsegnati al viaggiatore - sparivano molte cose. E la gente cominciava a protestare e qualcuno aveva detto: "Mettiamo delle telecamere, per controllare quelli che lavorano, in modo che non rubi più nessuno". Ribellione totale! "Come controllare! Noi! Mai essere controllati: noi siamo tutti persone per bene". Ma la roba continuava a sparire... Non si può controllare nessuno, in questo paese.
Mi capitava, qualche anno fa, di andare a Parigi: fra le cose straordinarie che ci sono in quella città, mi hanno colpito due particolari, che attengono al nostro discorso: anche qui non è un "giudizio": solo dei simboli, ma forse vi aiutano a capire. In quella città, in ogni ora del giorno si vedevano degli spazzini (oggi si chiamerebbero "operatori ecologici") lavorare a pulire le strade; nel nostro paese è un'esperienza rara, vedere un operatore ecologico! e spesso, quando si vedono, chiacchierano tra loro. In Francia, al Louvre c'era un quadro in restauro ed io son rimasto con gli occhi spalancati, perché davanti al quadro in restauro non c'era la classica incannucciata all'italiana che impedisce di vedere: c'era un bel telo di plastica trasparente e si vedeva il quadro e la gente che lavorava. Da noi, alla Cappella Sistina, il "Giudizio universale" per 2 anni o 3 (non so quanti) è stato invisibile; perché non bisogna vedere la gente che lavora! E ancor meno controllare!
Controllare uno che lavora, sapere quanto pulisce uno spazzino, qual è il suo rendimento, vedere come lavora uno che restaura un quadro: questo da noi non si fa. Che sia anche questo a causa della nostra educazione cattolica? perché siamo abituati a sentirci sempre dalla parte del giusto, sempre incontrollabili: nessuno deve poter sindacare su quello che noi facciamo...
Ora, invece, mi sembra che sia importante che ci sia un controllo, che ci si abitui tutti, in ogni angolo del nostro vivere civile, a controllare: noi stessi, prima di tutto. Perché, avete sentito, l'intolleranza è contro se stessi: "Se la tua mano ti scandalizza, tagliala e buttala via. Se il tuo piede...". Parlavo qualche tempo fa con una maestra, una delle migliori insegnanti che ci siano state qui ad Ostia; la quale diceva: "A me, m'ha salvato il fatto di domandarmi sempre: "Ma fosse un po', anche, colpa mia?!" Questa brava insegnante, invece di tagliare (in senso metaforico, chiaramente...) le mani o i piedi agli alunni, invece di dire che è sempre colpa loro, che sono loro che non capiscono niente, si è sempre domandata: "Ma fosse, per caso, un po' colpa mia?! Avessi da cambiare io qualche cosa nel mio atteggiamento?! Avessi io da tagliare qualche mano o qualche piede a me, invece che agli altri?" (veramente, se posso farvi una confidenza, non parlavamo di lei, ma del Papa). Sono convinto che noi tutti Cristiani, dal Papa all'ultimo, a me che mi trovo dietro l'ultimo, sarebbe opportuno che cominciassimo a domandarci: "Ma fosse un po' colpa mia? Ma avessi io da cambiare qualche cosa, prima di alzare la voce e gridare contro gli altri! Fosse un po' colpa mia, se le cose non vanno bene intorno a noi!". C'è bisogno, da parte di tutti, di più serietà, di capacità di autocontrollo, di accettare sulla propria corporazione, sul proprio lavoro, il controllo di tutti. Seriamente, coraggiosamente: per diventare tutti più giusti ed onesti.
Il Signore ci aiuti!
1994
Nel cammino dietro a Gesù qui, nel cuore del Vangelo, avete sentito riproporre l'ideale, il sogno dell'amore umano: di un amore totale! Avete sentito l'invito forte di Gesù - anche contro la tradizione, anche contro l'autorità di Mosè - l'invito a compiere il capolavoro di una coppia che diventa "una cosa sola", che si ama di un amore completo.
Io, nella mia vita, sono stato molto fortunato ed ho visto il compiersi di questo capolavoro: ho incontrato delle coppie che, giunte ormai al tramonto della vita, si guardavano ancora con immutata tenerezza, con stupore, con meraviglia. Ho conosciuto delle persone che si capivano con uno sguardo, che si accoglievano l'un l'altra ancora come un dono stupendo!
Li ho sentiti raccontare le mille vicissitudini della loro vita, le gioie e i dolori della loro ventura umana, le tante storie del loro quotidiano; li ho sentiti parlare della fatica di accogliersi, di rispettarsi, la fatica di rinunciare alla volontà di possedersi, per essere liberi di stare insieme nella pienezza dell'amore.
Li ho sentiti raccontare della loro vita sessuale, vissuta con passione, con gioia e tenerezza, a volte fino agli sgoccioli della loro esperienza terrena; li ho sentiti dire dei tanti momenti in cui si erano sostenuti, tenuti per mano; li ho sentiti raccontare i mille "sì" che si erano ripetuti nella vita: come ogni mattina avevano ricominciato daccapo; come dopo ogni sbaglio avevano ripreso il cammino. Li ho sentiti raccontare della pazienza, della gioia, della tenerezza, dello sforzo di capirsi, di condividere tutto, di mettere in comune tutto quello che avevano, tutto quello che erano!
Ho visto il compiersi, il realizzarsi di questo straordinario capolavoro - non facile, come sapete - che è il formarsi di una coppia. Io spero che tutti voi conserviate nel cuore questo sogno, questo ideale; che tentiate di realizzarlo - per quanto è possibile - nella vostra esperienza di vita. Per questo pregheremo insieme stasera: pregheremo per tutte le coppie del mondo.
Pregheremo anche - oggi sembra che si debba pensare così - affinché anche coloro che non riescono ad aprirsi all'altro sesso possano, anche loro, realizzare una coppia: vedremo sempre di più alla luce del sole (ci sono state sempre, fin dal primo mattino del mondo) coppie di soli uomini e coppie di sole donne, perché a loro non è dato di realizzare la pienezza della coppia maschio-femmina. Anche per loro pregheremo, perché forse più degli altri hanno bisogno di un amore stabile e duraturo, di qualche cosa che dia stabilità alla loro vita.
Ma non vi inviterò a pregare, stasera, perché la gente rimanga insieme per forza! Ho visto, nella mia vita, gente rimanere per forza nella stessa casa, costretti a volte dalle difficoltà economiche, dalla incapacità di andare ognuno per la propria strada: ed è terribile! Ci sono persone che vivono come in gabbia; costrette a condividere lo stesso tetto e spesso ciò si accompagna a violenza e maleducazione e sopraffazione! No, non pregheremo perché la gente rimanga insieme per forza!
Spesso, nemmeno per amore dei figli! Abbiamo visto - ormai lo avete visto tutti - "figli sereni e felici, di amori perduti" (come diceva un libro, scritto qualche tempo fa); abbiamo visto figli infelici o perduti di famiglie che sembravano perfette; abbiamo visto figli sereni, di genitori costretti a separarsi, perché non riuscivano più a capirsi, ad andare d'accordo, a rispettarsi! E là, dove manca il rispetto, è meglio che ognuno vada per la propria strada.
E se qualcuno di voi si porta nel cuore un profondo disgusto per la Sacra Rota, i tribunali ecclesiastici, dove si giudica dell'amore umano fra avvocati e milioni, tra menzogne e false testimonianze; se qualcuno si porta il disgusto per tutto questo, sappia di non essere solo, ma in numerosa e buona compagnia nella vita della Chiesa...
Chi fallisce il suo progetto d'amore deve essere accolto da tutti con un'infinita tenerezza, perché possa ritrovare il coraggio e la speranza di vivere l'avventura dell'amore umano, possa ritentare la strada per formare una coppia felice. Abbiamo visto tutti delle persone che, dopo aver fallito una volta, sono riusciti a vivere una vita di coppia in cui si è capaci di amarsi.
Detto tutto questo, torneremo a pregare perché alla maggior parte di noi, alla maggior parte degli uomini del mondo, sia dato di compiere il capolavoro di un amore vero, di una coppia autentica: in cui ci si ami sul serio, in cui si diventi veramente "una carne sola"! E Gesù ci ricordava che, per compiere questo capolavoro, non bisogna essere dei santi, né degli eroi, né dei grandi geni... bisogna essere un po' come bambini: capaci di stupore, di meraviglia; capaci di vivere la vita come un dono; con la voglia di guardare avanti sempre; con il coraggio di ricominciare ogni giorno, con la passione per la vita!
Il Signore conservi, nel cuore di tutti noi, questo desiderio di vita, questa capacità di ricominciare ogni giorno, di dire mille volte il proprio "sì", per tentare di realizzare il capolavoro di una coppia in cui ci si voglia bene fino in fondo!
Il Signore ci aiuti!
1994
Come avete ascoltato, "in viaggio" dietro a Gesù (è ricordato esplicitamente, questo viaggio, all'inizio di quello che abbiamo letto), nel cuore della nostra fede: oggi si affronta il problema dei soldi. Un problema molto complesso, se è vero - come dicono gli studiosi - che Marco riunisce qui almeno tre o quattro episodi diversi della vita di Gesù, messi insieme, forse, anche, in maniera non del tutto ordinata: Marco vuole che si guardi questo problema da vari aspetti. È una pagina importante perché tocca tanti aspetti della nostra fede; ma io non vorrei trattarne nessuno, praticamente: non vorrei stasera farvi una spiegazione di questa pagina così complessa; vorrei raccontarvi soltanto un paio di fatterelli, che servano per voi come simboli, come stimolo per pensare, per trovare poi le mille strade della saggezza della vita, saggezza così preziosa, come ci ricordava la prima lettura. Un paio di premesse, però, ai due fatterelli che voglio raccontarvi stasera.
La prima premessa: se queste parole del Vangelo si prendono alla lettera, come delle formule o, peggio, come delle leggi: se il modello del cristiano diventa colui che vende tutto, che si spoglia persino dei suoi abiti per seguire Gesù, la conseguenza è la negazione di una delle strutture fondamentali della vita dell'uomo, la struttura del denaro, della economia, del lavoro e la conseguenza è l'ipocrisia. Se non peggio: se non un incentivo allo sfruttamento della gente, dicendo ai poveri: "Tu rimani povero, perché tanto avrai, dopo, un premio nell'aldilà, nel paradiso". È successo anche questo nella storia dalla Chiesa e appartiene agli aspetti più ignobili della vita cristiana. Quindi parole, quelle che abbiamo letto, che possono essere uno stimolo a pensare, un invito a riflettere, ma mai una regoletta, mai il modello può essere l'uomo che lascia tutto.
La seconda premessa che vorrei farvi è che io non ho mai lodato il "bel tempo antico": chi ha conosciuto, come me, il tempo dei nostri nonni, quando la maggior parte della gente lavorava duramente, da mattina a sera, per guadagnare un pezzo di pane, per sopravvivere, non può rimpiangere quel tempo. Il tempo che noi viviamo è infinitamente più felice, più libero! Ci permette di vivere una vita dignitosa, da esseri umani. Certe prediche che ho sentito sul "consumismo" del mondo di oggi, sono un insulto alla fatica di chi ha lavorato duramente - i nostri nonni, i nostri padri - per permetterci di vivere in una società del benessere, in cui si può vivere la vita, non soltanto per mangiare, ma per tante altre cose.
Queste premesse vi pregherei di non dimenticarle, perché altrimenti fraintendete quello che vengo a dirvi adesso. Due fatterelli, dunque, semplici cosette, sciocchezzuole, ma che possono essere per voi un aiuto a riflettere. Mi trovavo in vacanza, quest'anno, e mi capitava di discutere con una giovane mamma: il problema era questo: "Fino a che punto - diceva questa mamma - io posso dire di no ai miei figli, quando mi chiedono - che so? - una bicicletta nuova, un paio di scarpe nuove, un vestito nuovo o di fare un viaggio, magari nell'altra parte del mondo?". Ed è un problema serio; perché - dicevo - io quando ero ragazzo, ai miei genitori certe cose non le potevo chiedere: perché non me le potevano dare ed io sapevo quali erano i miei limiti. Tutto quello che potevano darmi, me l'hanno dato: tutto! Questa mamma si trova nella condizione di poter dare ai propri figli qualche cosa, ma di non doverglielo dare. E quando non glielo deve dare? e come vive suo figlio questo rapporto con la mamma, che gli può dare qualche cosa, ma che non gliela vuol dare, per qualche motivo? e qual è questo motivo? Come ha da regolarsi questa mamma che non può dare ai figli tutto quello che le chiedono, anche se i soldi li avrebbe?
Un bambino riassumeva per noi la situazione: un papà ci diceva che un suo figliolo che va all'asilo gli chiedeva: "Papà, ma perché dobbiamo andare all'asilo a piedi, noi che abbiamo la macchina?" Io ho avuto la macchina a 30 anni: - nella mia famiglia non c'erano macchine (ora ce ne sono una decina), poi a 30 anni ho imparato a guidare e ho avuto la prima "seicento" scassatissima! - questo bambino, invece, appena nato ha la macchina. Chi gli spiegherà che può andare all'asilo a piedi per godersi una giornata di sole? per chiacchierare un po' col papà? per risparmiare un po' di carburante? per non inquinare il mondo? "Papà, ma se noi abbiamo la macchina, perché dobbiamo andare a piedi?" E soprattutto come giudicherà, questo bambino, chi la macchina non ce l'ha? Lo considererà ancora un uomo o un essere appartenente a qualche razza inferiore?
Il secondo raccontino che volevo farvi, con una piccola premessa: mi capita spesso, in questi giorni, di sentire parlare di soldi, capirete... viviamo in un momento di tangenti, di gente che ruba; e allora spesso si sente parlare di soldi. C'è molta sensibilità su questo discorso: quando se ne parla, si vede la gente subito animarsi: "Questi ladri dovrebbero tutti...". Se voi provate a metter là il discorso della libertà, della democrazia, del rispetto dei diritti della gente, vedrete già molto meno sensibilità! Ad ascoltar molte persone, sembra di essere in un paese in cui il governo è fatto tutto di rapinatori, pronti a spennarci come poveri pollastri, per metterci al fuoco... Tutti si lamentano, brontolano, gridano, strillano, quando si parla non dei soldi degli altri, che gli altri hanno rubato, ma quando si parla dei soldi propri: tutti noi sembriamo gente destinata ad essere assalita da avvoltoi, pronti ad approfittare dei nostri denari!
Ecco allora il secondo fatterello: sono andato venerdì scorso a portare la Comunione a delle persone malate, ‑ stanno in casa, le gambe non le reggono più, poverine! - mi colpivano due signore pensionate, le quali pagano anche l'affitto di casa e quindi fan fatica a tirare avanti, come potete immaginare. Bene: tutt'e due, dopo anni, sono per caso, in quest'estate, uscite di casa; e sapete che cosa ha colpito tutt'e due? Una è andata, accompagnata da una signora amica, al mercato e al supermercato, felice perché dopo tanto tempo poteva uscire e far qualche passo aiutata dal bastone e dalla sua amica, e sapete cosa ha detto?: "Mamma mia! quanto spende la gente! Sembra che tutti abbiano tanti soldi da spendere!"
L'altra, è andata in giro per l'Italia, portata da una famiglia amica che l'ha ospitata per qualche giorno - anche lei tutta contenta, perché usciva di casa dopo tanti anni - e pure lei ( mi ha colpito il fatto che tutt'e due facevano lo stesso discorso) diceva: "Mamma mia, quanto benessere! La gente spende e spande!". Allora, chi è che sta male? Chi è che è spennato? Sembra, a sentir la gente, che siano tutti sull'orlo della crisi più profonda: eppure, a guardarsi attorno, c'è tanto benessere! Ed è una cosa senz'altro buona!
Ma allora, perché ci lamentiamo tanto, se ci chiedono qualche sacrificio? Non sono giudizi, queste mie parole, non vogliono esserlo, la realtà è sempre molto complessa; sono solo fatterelli. Non dimenticate il bambino che dice: "Papà, ma se noi c'avemo la macchina, perché dovemo anna’ a piedi, all'asilo?". Non dimenticatelo, perché questo è un problema per tutti i genitori, che dovranno sempre di più dire di no ai figli, per cose che, pure, possono dar loro.
E non dimenticate queste due vecchiette, poverine, che non possono uscir di casa, ma che, quando escono, dicono: "Mamma mia! quanto spende la gente!" (tutta gente che se lamenta, che sta quasi pe' morì de fame!...).
1994
"Come il Figlio dell'uomo, come Gesù, che non è venuto per essere servito, ma per servire e donare la propria vita per tutti": siamo arrivati alla fine del nostro "viaggio"! Come Gesù: è Lui la nostra meta, è Lui il punto d'arrivo del nostro cammino, è Lui la nostra guida, il nostro modello: è Lui l'unica nostra legge! Tenetela da conto, questa pagina straordinaria del Vangelo, che conclude il lungo cammino che Marco ci ha fatto fare dietro a Gesù.
Io, come sa chi mi ha ascoltato le domeniche precedenti, ho preferito, quest'anno, non fare commenti, ma raccontarvi dei fatterelli; e lo farò anche stasera. Soltanto dei fatterelli: vi prego di non prenderli troppo sul serio (non bisogna mai prendere sul serio le parole dei preti; tanto meno le mie...); di non considerarli, soprattutto, come un giudizio sulla vita: il giudizio sulla vita è sempre estremamente complesso, come complessa è la vita! Soltanto dei fatterelli, che io mi diverto a raccontarvi - mi son divertito a pensarli, a ritrovarli nella mia esperienza - e che voi spero vi divertiate un po' ad ascoltare; e, forse, per qualcuno può essere uno stimolo a pensare. Quindi, non un commento del Vangelo, ma soltanto dei fatterelli, dei simboli, delle parabole, se volete, sul "servizio" che forse vi aiutano a pensare.
Il primo: lunedì scorso sono andato ad una riunione dei preti qui, di Ostia: soliti discorsi un po' noiosi, come voi potete immaginare; ma poi - si era verso la fine - un sacerdote ha cominciato a raccontare di un'esperienza che avevano fatto nella loro parrocchia: l'anno precedente hanno accolto dei bambini di Chernobyl, molte famiglie si erano rese disponibili per ospitare questi bimbi; e poi diceva: "Vedete, anche nelle strutture pubbliche questi bambini sono stati accolti subito, a scuola li hanno fatti partecipare alle attività, anche all'ospedale li hanno subito visitati..." Io ascoltavo con un certo interesse. Accanto a me c'era un sacerdote di Ostia, mio amico da quando eravamo proprio ragazzi, una persona che ha sempre avuto una straordinaria capacità di intuire le situazioni; il quale mi fa: "Ecco, è la solita storia della moglie e dell'amante!". Io lo guardo come fate voi, con l'aria perplessa; e dice: "Sì: all'amante le si dice sempre di sì, le si fanno tutte le coccole e la moglie non la si fila per niente. Prova tu ad andare all'ospedale a farti visitare: te fanno aspetta' due o tre mesi, se tutto va bene! " .
Raccontavo questa storia ad un dottore, qualche sera fa; e diceva: "Eh sì, anche se c'hai un tumore o un cancro, te fanno aspetta' due o tre mesi". Forse è un'esagerazione; però qualche cosa di vero c'è!
È sempre comodo il "servizio" quando si fa una volta tanto, magari con tanto di giornalisti, fotografi e telecamere... Quello che conta è il servizio di tutti i giorni. Mi veniva in mente che questo discorso l'ho sentito fare tante volte dalle mamme, le quali brontolano contro i figli: "Va a fare il servizio, magari alla mensa o a fare ripetizioni agli altri; a scuola si comporta bene, aiuta pure gli altri, e a casa non si piega nemmeno un pantalone, non mette a posto la gonna, non tiene in ordine le scarpe." Chi sa se qualcuno di questi ragazzi - forse ce n'è anche in mezzo a voi - quando sarà diventato grande e il proprio partner si sarà fatto l'amante, si renderà conto che, in fondo, è lo stesso meccanismo! Che quello che è difficile è far le cose quotidiane, le cose di tutti i giorni: la fatica di condividere e servire la vita degli altri!
Una fatica - ecco il secondo fatterello - che qualche volta pesa! Mi capitava, qualche giorno fa, di parlare con una signora, che circostanze particolari della sua vita hanno portato a fare un po' il bilancio della propria esperienza. E con me faceva la lode della sua vita: ha avuto un bravo marito, ha avuto dei bravi figlioli; si rammaricava solo... me lo diceva: "L'unica cosa che mi dispiace, l'unico mio cruccio, che potrei anche confessare, è che ho fatto tutto il lavoro di casa senza entusiasmo: ho fatto tutto come se fosse un peso". Lo ha fatto! Dice: "L'ho fatto. L'ho fatto tutti i giorni; ho fatto tutto il mio dovere; ma non ci ho messo dentro l'entusiasmo". A lei tentavo di spiegare - questo l'ho fatto infinite volte, nella vita - che l'amore non consiste nell'entusiasmo; che lo spirito di servizio è fare il bene dell'altro, anche quando qualche volta ti pesa. E a lei ricordavo una frase, che mi disse parecchi anni fa, ormai, una giovane signora: ve la dico in romanesco, perché è più incisiva: "A Che', a noi c'ha fregato il '68! Dovemo fa' le stesse cose che facevano le nostre madri; solo che a noi ce scoccia!".
E quella signora aggiungeva: "E vede, padre, non solo a noi ci scoccia, ma noi dobbiamo fare anche, spesso, un lavoro fuori casa, a volte pesante; e in casa dobbiamo fare tutti i lavori che facevano le nostre madri. Questo mi ha pesato, nella vita". - E questo ha arricchito la vita di tanti di noi!
E aggiungeva, questa signora, che ormai sentiva di poter parlare liberamente: "Vede, padre: il fatto poi è che nemmeno se ne accorgono! Io sabato e domenica ho passato ore e ore a fare il cambio di stagione (sa, adesso viene il freddo ): ho fatto trovare a mio marito tutti i vestiti bene in ordine nell'armadio; così ai figli. Lo sa che non se ne sono nemmeno accorti? Nessuno che mi abbia detto: "grazie!". Danno sempre tutto per scontato, sempre come se tutto fosse dovuto!". E questa signora continuava a ringraziare la vita è continuava a rammaricarsi che non aveva fatto tutto questo con passione ed entusiasmo! Per fortuna che c'è qualcuno che lo fa ancora!
E allora, l'ultimo fatterello (ma questo, non è nemmeno un fatterello): qualche volta mi capita di vedere qualche persona che fa l'elemosina a degli aitanti signori che puzzano di vino lontano un miglio o a zingari che portano in braccio bambini piccoli. Non sarebbe forse meglio portare una rosa alla propria moglie e dirle "grazie" per i vestiti che ha messo in ordine?... Qui me devo ferma'; perché quando faccio 'sti discorsi c'è sempre qualche persona dal cuore gentile che poi, dopo la Messa, me vocia perché ho detto che non bisogna dare l'elemosina agli zingari... Avere il cuore gentile è una cosa buona; però forse sarebbe bene, qualche volta, anche pensare un po', per non incrementare l'alcoolismo o lo sfruttamento dei bambini!
Il "servizio" bisogna farlo con il cuore, ma anche un po' con la testa: per capire quello che veramente è servizio del prossimo, per apprezzare i gesti di amore e di servizio quotidiani nel posto dove si lavora: a casa, all'ospedale, per le strade... Di tutto questo noi viviamo: del servizio quotidiano, che a volte pesa, ma che ‑ per fortuna ‑ c'è ancora tanta gente che continua a farlo!
Il Signore ci aiuti tutti a farlo ancora un po'!
(Io vi ho raccontato soltanto dei fatterelli, se qualcuno di voi s'è divertito - e quindi la predica non è stata pesante ‑ io ho già fatto il mio "servizio". Se poi a qualcuno di voi ho dato anche uno spunto per pensare, abbiamo da ringraziare il Signore!)
1994
Vi dicevo, domenica scorsa, che il lungo cammino nel Vangelo di Marco, la lunga strada dietro Gesù era finita; un pochino in anticipo, come avete notato... non era ancora finita la strada: mancava il grido del cieco. Alla fine della strada c'è il grido del cieco, il suo bisogno di luce che esprime il bisogno di luce di tutti noi!
Vi ricordate la "strada"? La prima volta parlavamo dei soldi, del nostro rapporto con il denaro; la seconda volta del tentativo dell'uomo di formare una coppia in cui ci si ami fino in fondo; domenica scorsa si parlava del "servizio", della vita donata, condivisa: di essere "come Gesù". E abbiamo sentito, in questo "viaggio", i discepoli esprimere più volte il loro sconcerto: "Com'è possibile questo? come si può essere come Gesù?!". Questo sconcerto - ma soprattutto il bisogno di luce, di vita - è espresso oggi con forza dal grido di questo cieco: "Signore, fa' che io veda". Il grido del cieco va messo in questa "strada", altrimenti rischiamo di non capire, di vedere qui soltanto il prodigio; rischiamo di cercare Dio sempre a partire dai nostri bisogni, di pregare soltanto nei momenti di difficoltà, di non essere cercatori di luce, di senso, di valori autentici.
È importante che usciamo dalla "infanzia" del nostro essere credenti, per ritrovare, dentro di noi, il senso vero di Dio, il bisogno profondo di luce, di gratuità, di vita! Non so se - come ho fatto nelle domeniche precedenti - può aiutarvi a capire bene quello che tento di dirvi, un piccolo racconto, un fatto. Stavolta è proprio un raccontino piccino piccino...
Mi capitava, qualche giorno fa, di parlare con una ragazzina buona, dolcissima, che ormai frequenta le scuole medie e quindi comincia ad incontrare qualche problema nel cammino della sua vita: esce dall'infanzia, comincia a sperimentare la fatica di guardarsi intorno e di affrontare il mondo! E veniva a dirmi che aveva due problemi. Il primo: si accorge che qualche volta i suoi genitori sono ingiusti: se la pigliano con lei che è la più grande, mentre il torto è della sorellina più piccola... "Danno tutte le colpe a me e qualche volta non ce n'ho!". Ed io le dicevo: "Ecco, tu sei fortunata, perché questo significa che cominci a diventare grande: cominci ad accorgerti che qualche volta anche i genitori sbagliano. Ed è importante che tu sappia giudicare con la tua testa quello che è giusto e quello che è sbagliato. Porta pazienza! Ne avrai tanto di tempo, per crescere... Si fa fatica a crescere: bisogna conquistarsi il "diventare grandi"; e per far questo bisogna anche litigare un po' con i genitori". E lei mi guardava ed assentiva: aveva già capito - ormai è cresciuta - che qualche volta bisogna litigare anche con i genitori, bisogna non essere d'accordo con loro.
Il secondo problema che aveva era un problema di carattere religioso. Diceva: "Vedi, io ho pregato tanto, l'altro giorno, perché mi andasse bene la mia interrogazione; ma mica mi è andata tanto bene... e non è la prima volta che questo mi succede: prego, prego, ma Dio non mi ascolta!". La guardo e dico: "Adesso ascoltami attentamente: non solo con i genitori devi litigare, ma anche con Dio". Ha spalancato i suoi occhioni e ha detto: "Come?!". "Eh - dico - sì! Vedi, tu hai cominciato a litigare anche con Dio: hai chiesto qualche cosa; Dio non te l'ha data e tu brontoli con Lui! Ed è importante, questo; è importante per te: perché così, piano piano, capirai chi è Dio per te. Vedi, sarebbe troppo comodo se, ogni volta che devi sostenere un'interrogazione, bastasse chiedere aiuto a Dio! Perché un'interrogazione vada bene, bisogna studiare: è importante che tu capisca questo. È importante che tu capisca che Dio non viene a tappare i buchi, quando tu non riesci a fare bene una cosa: è importante il tuo sforzo, il tuo impegno! È importante che tu cerchi in Dio quello che è veramente importante nella vita!".
L'importante - possiamo aggiungere - è che ciascuno di noi cerchi in Dio la luce, i valori autentici. Il grido del cieco non può partire dai nostri bisogni, ma dall'incontro con Gesù, dai valori, dalla luce che Gesù si porta nel cuore! Non è importante soltanto per questa bambina che si affaccia alla vita: è importante per tutti noi uscire da una religione infantile, anche se perdiamo un po' della tenerezza e dell'ingenuità dell'infanzia.
Importante è sapere chi è Dio per noi, che cosa è venuto a fare Gesù sulla terra: non a risolvere i nostri problemi, non a tappare i nostri buchi - i buchi del nostro limite, della nostra incapacità - ma a portarci la sua luce, la sua passione per la vita, i suoi valori! Di questi abbiamo bisogno!
Il Signore ce li metta nel cuore! Lo Spirito ci apra gli occhi, ci doni la luce di Gesù!
1994
Un antico proverbio, che penso voi tutti conosciate, diceva: "Scherza coi fanti e lascia stare i santi". Proviamo stasera a "scherzare coi santi": forse in chiesa si può fare. Chi sa che aiuti qualcuno a riflettere o almeno impedisca a qualcuno di voi di fare, in questi giorni, indigestione di prediche... che sono indigestioni sempre molto pericolose!
Qualche giorno fa, in una delle nostre riunioni, si è posta questa domanda: "Chi è più santo: san Francesco oppure Agnelli, il mitico fondatore della FIAT?" Qualche anno fa una domanda del genere sarebbe sembrata una bestemmia, come penso sembri a molti di voi, vero? Qualcuno diceva: "Ma, in fondo, Agnelli ha lasciato delle fabbriche che hanno dato benessere, sicurezza, lavoro, a migliaia e migliaia di persone. San Francesco che ha lasciato? i francescani, i loro conventi: che spesso hanno affamato la povera gente. Allora, chi è il santo?". Un altro diceva: "Ma i francescani non hanno fatto solo questo e san Francesco ci ha lasciato anche la sua poesia, il suo senso di Dio, che sono cose preziose!". L'abbiamo piantata qui, perché era poco più di uno scherzo; avevamo altre cose da discutere.
Tutto questo mi è tornato in mente, preparando quello che dovevo dire stasera; mi son chiesto: "Checco, chi sono i santi?" E sapete la prima risposta che m'è venuta in mente? "Papà, nonno, la zia Maria, lo zio Pietro...". Non vi preoccupate se non li conoscete: non è che vi sfuggano, per ignoranza, grandi personaggi della mia famiglia! Non sono "nessuno" queste persone che vi ho nominate. Sono persone che hanno vissuto la loro vita facendo il proprio dovere, giorno per giorno, con pazienza e fedeltà. Il loro nome non lo cercate sui libri di storia: non c'è; non cercatelo nemmeno sui giornali - sui giornali vecchi: ormai non ci sono più, da qualche anno!-: non lo trovate nemmeno lì.
Non erano proprio nessuno, nella storia del mondo! erano gente di tutti i giorni. Gente che ha vissuto il proprio dovere con fedeltà quotidiana, con pazienza, gente che ha saputo fare i piccoli miracoli dell'amore di ogni giorno, i gesti di tenerezza, di attenzione verso gli altri, era gente mite, pacifica, buona. Gente fedele al proprio quotidiano! Gente di tutti i giorni! Ed io credo che valga la pena fare memoria di questi santi, in un tempo come quello che noi viviamo, in cui sembra contare soltanto chi appare, chi ha un nome altisonante, chi si vede alla TV (adesso, fanno anche Cardinali, per meriti televisivi...); un tempo in cui si fanno molti proclami, in cui troppi sentono il bisogno di alzare la voce.
E non soltanto c'è questo desiderio di apparire, di mostrarsi; c'è anche, nella gente, forse un po' anche dentro di noi, il desiderio dei "miti": di qualcuno da esaltare, del "salvatore della patria"! La spina dorsale della vita sono persone come mio padre, come mio nonno, come mia zia, mio zio: gente come molti di voi: gente che fa il proprio dovere giorno per giorno, anche se non è ripreso dalla TV, anche se il loro nome non appare sui giornali. Gente che ha il coraggio di vivere il proprio quotidiano con fedeltà, con amore: facendo ogni giorno il proprio dovere, lavorando con passione, essendo attento agli altri, cercando di mettere nella vita un po' di tenerezza, un po' di amore, un po' di fedeltà e tutta la pazienza che ci vuole! perché a volte, lo sapete, ce ne vuole molta!
Ecco, questi sono i santi che hanno fatto la storia: la spina dorsale dell'umanità, quelli che hanno portato fino a noi il progresso, la ricchezza della vita. Per un medico il cui nome appare sui giornali, pensate quanti ce ne sono che lavorano quotidianamente, ricercando nei laboratori, studiando, curando... per sapere il loro nome, dovete leggere libri di specialisti e forse non li trovate nemmeno. Pensate quanta gente che lavora, in ogni professione, in ogni angolo della terra, con onestà e dedizione! Sono i santi di tutti i giorni, i santi senza nome, quelli di cui oggi facciamo memoria: la gente che vive il proprio compito quotidiano, che vive il proprio dovere di ogni giorno; che, con pazienza, cerca di fare il mondo un po' più bello di come l'ha trovato, quando è nato!
Speriamo di far parte anche noi di questa schiera! Il Signore ci aiuti.
1994
Uno dei prezzi più alti che dobbiamo pagare al progresso dell'uomo, è la sensibilità di fronte alla morte. Vedete, i nostri vecchi e quelli che son vissuti ancora prima, vedevano la loro vita spesso attraversata da epidemie, che portavano via tante persone: vecchi ma anche giovani, anche bambini. Quasi tutti hanno conosciuto anche la guerra, che uccideva tanti giovani che andavano a combattere. La maggior parte dei bambini moriva prima di raggiungere i 5 anni. Intorno alle chiese di un tempo c'erano sempre i cimiteri, che rendevano la morte qualche cosa di familiare.
Per noi, per fortuna, non è più così. La morte di un bambino, la morte di un giovane - che per noi avviene spesso per un incidente, per una malattia improvvisa, per qualche causa che non riusciamo a capire o per la violenza del mondo - è qualcosa di insopportabile, un dolore lancinante che sconvolge nel profondo. Queste cose noi le vediamo alla TV e ci sembrano sempre lontane; ma poi, quando attraversano da vicino la nostra vita, la vita è come lacerata, distrutta. Ed anche le antiche parole della fede non ci sostengono più: il grido verso Dio è un grido doloroso, a volte disperato! Quelli di voi che hanno provato queste sensazioni, che hanno sentito la loro fede non abbastanza forte, per sostenerli in questi momenti, non si scoraggino, non si sentano in colpa, non abbiano paura! È la nostra condizione di uomini che, per nostra fortuna, per merito di tutti quelli che ci hanno preceduto, non siamo più abituati alla morte, soprattutto alla morte di un bambino o alla morte di un giovane.
Ma proprio questo dolore così forte e lacerante ci fa scoprire la bellezza della vita! In un tempo in cui capita spesso di sentire la gente che si lamenta di tante cose, sono proprio questi momenti che ci danno il senso di quanto la vita sia preziosa, in ogni suo attimo, in ogni suo momento, in ogni suo spicciolo! Di fronte alla morte di un giovane sentiamo tutto il valore della vita, sentiamo che vale la pena che si faccia di tutto, perché sia sempre più bella, per chi ci sta intorno, per la gente che vive con noi!
E noi siamo qui, proprio per fare memoria di tutti i momenti, che le persone che ci hanno preceduto, ci hanno regalato: di tutti gli attimi di tenerezza, di bontà, di attenzione!
La maggior parte di noi penso sia stata fortunata: abbiamo avuto delle persone care, da cui siamo stati amati, che ci hanno arricchito la vita: li ricordiamo con nostalgia; ricordiamo tanti momenti belli, che hanno fatto più dolce e più ricca la nostra vita.
E proprio mentre ricordiamo ogni attimo, ogni spicciolo di vita, li affidiamo con fiducia nelle mani di Dio. Spero che nessuno di voi, che è qui stasera a far memoria dei propri morti, abbia paura che loro soffrano in questo momento: non si può soffrire nelle mani di Dio! Gli uomini spesso conoscono la violenza, che fa soffrire; ma Dio non può conoscere la violenza!
Noi conserviamo la vita di coloro che ci sono stati cari nella nostra memoria, nel nostro affetto, nella nostra riconoscenza; e li affidiamo alle mani amorose di Dio, convinti che è il Dio della vita, il Dio della tenerezza, il Dio della gioia, e che Lui li ha accolti nella Sua festa!
Non è facile a volte, per noi, credere in questo, specialmente quando il dolore è forte, quando lacera la nostra esistenza. E allora guardiamo la croce di Cristo e come Cristo gridiamo: "Padre, nelle tue mani affidiamo la vita!" La vita nostra, la vita di chi ci ha preceduti! A volte è soltanto un grido, un gemito, quello che riusciamo ad emettere. Ma questa è la fede che ci riunisce qui: la vita dell'uomo è nelle mani di Dio, è nelle mani del Dio della vita!
Con questa fede, noi facciamo memoria di coloro che non sono più!
1994
Quando ero giovane - ormai son passati quasi 40 anni - ho studiato molto per diventare prete; ed una delle cose che più bisognava studiare, a quel tempo, era la morale, cioè quella scienza che cerca di interpretare il comportamento dell'uomo, di capire che cosa è giusto e che cosa è sbagliato. Ed io ho letto pagine e pagine di leggi, di precetti, di regole... erano veramente dei libri molto grossi e facevo una gran fatica; perché coloro che mi avevano preceduto - attraverso quasi 1000 anni di storia - avevano cercato di immaginare tutte le situazioni possibili dell'uomo, per capire dov'è il bene e dove il male. Ed io dovevo studiare tutte queste regole, tutte queste leggi, tutte queste norme, cosa che a me sempre ha dato un gran fastidio.
Capirete, allora, con quanta gioia io leggevo queste pagine del Vangelo, quale senso di liberazione provavo nel vedere che in fondo la legge, il comandamento, è uno solo: "Ama il Signore tuo Dio, ama il tuo prossimo": l'unica legge è l'amore! Ho ripetuto tante volte, con senso di liberazione e gioia, le parole di S.Agostino: "Ama e fa' quel che vuoi". E mi capita, qualche volta, di ripeterle ancora. Non accusatemi, però, di ingenuità (so di essere ingenuo: lo ero allora e in gran parte lo sono rimasto!), non accusatemi di ingenuità se vi dico che ho dovuto poi accorgermi che l'amore, l"ama e fa' quel che vuoi", non risolve il problema di capire che cosa è giusto e che cosa è sbagliato nelle circostanze della vita.
Cosa significa "amare"? Amare significa mille cose diverse, nelle circostanze diverse. Se l'amore non è soltanto un sentimento, un moto del cuore, ma scelte pratiche, gesti concreti, fatti... allora se mi metto davanti ad un uomo, cosa può significare "volergli bene"? Infinite cose: per essere estremisti, volergli bene può andare dall'ucciderlo al morire per lui! Con tutte le sfumature intermedie che la vita può suggerire.
Allora, come si fa a capire che cosa è giusto, che cosa è sbagliato? Come si fa a capire che cosa, in concreto, significa voler bene ad una persona? Bisogna tornare indietro, alla legge, alle regole? Quei libri che mi erano così pesanti, bisogna che io vada a ricercarli? Non vale la pena, perché nei libri non c'è mai la vita concreta, la vita della gente; non ci son mai le persone singole, con i loro mille problemi! Allora può risolvere il problema appellarsi all'Autorità - ai discorsi, magari, del Papa o dei Vescovi o - perché no? - alle prediche domenicali del Parroco? Rinunziate subito: in genere sono sempre parole astratte, parole che "vagano per l'aura"; non riguardano mai il caso concreto della vostra vita.
E allora come si fa? bisogna rinunziare?! Rinunziare del tutto, no, fratelli miei; ma non c'è la pillola che vi risolve il problema: a volte capire che cos'è bene e che cos'è male nella vita, è cosa semplice; ci sono invece dei momenti in cui diventa terribilmente complicato! Che fare, allora?
Vorrei darvi soltanto alcune indicazioni che sono state preziose, nella mia vita, che mi hanno aiutato a capire cosa c'era dietro questo problema. Ve le dico un po' in fretta, nella speranza che non sia troppo conciso e che possa riuscire a spiegarmi ugualmente.
La prima cosa che occorre, secondo me, per capire che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, dov'è il bene e dov'è il male, è avere un cuore fragile, un cuore che si fa tante domande, che non pensa di sapere tutto; un cuore che va alla ricerca della verità, della luce; che cerca senza stancarsi, sapendo che il bene e il male sono cosa da conquistare ogni giorno. Un cuore da bambino, dunque; un cuore stupefatto, che si pone tante domande, che non ha mai risposte a buon mercato!
E la seconda cosa che ci vuole, è avere una luce dentro, un tesoro nel cuore, dei valori profondi per cui vale la pena di vivere! Per questo ci ritroviamo qui, ogni domenica, ascoltiamo le parole di Gesù nel Vangelo: per conservare accesa la nostra luce, per avere qualcosa di grande in cui credere.
E la terza cosa, forse la cosa più importante: occorre saper guardare gli altri negli occhi: non bisogna fare mai dei discorsi morali astratti, senza tener conto, in concreto, di questa persona che ho davanti con tutto il suo carico di vita, con tutti i suoi problemi, con tutta la sua realtà profonda. È soltanto in questa situazione concreta che io posso avere qualche barlume di luce su quello che è giusto e su quello che è sbagliato! Dobbiamo avere la capacità di guardare negli occhi chi ci sta vicino, di accoglierlo nella nostra vita, di rispettarlo per quello che è, di comprenderlo: a casa, come nel posto di lavoro, come con gli amici, come con la gente di ogni giorno.
E ancora, può aiutarci anche il consiglio di qualche persona: io l'ho fatto tante volte nella mia vita: ho chiesto un po' di luce, per cercare di capire cos'era giusto, cos'era sbagliato. È sempre importante confrontarci con gli altri, per non ripiegarci su noi stessi, per uscire dal nostro punto di vista, sempre troppo "particolare".
E a questo punto, vorrei darvi io un consiglio, a buon mercato, perché non ve lo faccio nemmeno pagare, stasera... soltanto un minuto di attenzione. Quand'ero giovane, a me lo hanno dato: non l'ho seguito e ne ho pagato le conseguenze! Se c'è qualche giovane, qui, lo segua, per favore: vi risparmierete di tribolare!
Quando chiedete un consiglio non chiedetelo mai alle persone troppo buone, non chiedetelo mai a quelli che dicono grandi parole: parlano bene, ma spesso vi mettono un peso sulla coscienza! Non chiedetelo a chi si dà molto da fare, a chi passa per una persona molto impegnata: spesso sono persone maligne nel profondo, che ci godono a mettervi un peso (non a togliervelo!), ad accusarvi, a puntarvi contro il dito.
Se volete sapere dov'è il bene, chiedetelo a gente che ha il cuore fragile, a gente che ha rispetto per chi gli sta accanto, a gente che cerca la verità, a gente che non pensa di saper tutto, a gente che non dice grandi parole, ma che sussurra parole leggere, incerte, dolci! A chi cerca con voi la strada e tenta di mettere un po' di luce nella vostra vita, di togliere qualche peso, se gli riesce. E se non gli riesce di togliere un peso, tace!
Disprezzate chi vi mette pesi sul cuore! disprezzate chi vi punta il dito contro! disprezzate chi vi accusa! Gesù è venuto per darci una mano, per aiutarci a camminare, per toglierci ogni peso dal cuore! È quando si toglie un peso dal cuore, che si vede meglio dov'è bene e dov'è il male! E soprattutto, si trova il coraggio di fare un passo in più!
Il Signore ci aiuti.
l994
Se vi capita di andare a trovare una delle signore a cui portavo ieri la Comunione, armatevi di pazienza: suonate il campanello e poi dovete aspettare 3 o 4 minuti almeno, finché venga ad aprirvi. È rimasta sola nella sua grande casa e cammina spostandosi lentamente, tutta appoggiata ad una piccola sedia: le gambe non la reggono più! Aspettate 3 o 4 minuti, ma poi vi fa entrare, vi accoglie tutta festosa e comincia a raccontavi tutti i suoi guai, ma con senso di grande tranquillità, di grande pace. Vi dice come le sue gambe non funzionano più; come l'ortopedico cerca di mettere qualche protesi che le consenta di reggersi in piedi; vi parla della sua serenità di fondo, che è il dono più prezioso che la vita le ha fatto; vi dice come ogni tanto capita qualcuno, che viene a raccontare a lei le sue pene: si vede che ha un cuore accogliente!
Parlare con lei è un bagno di serenità, è un bagno di tranquillità. Una persona che non ha molto da offrire alla vita: soltanto le sue parole! E la promessa di pregare: mi ha detto che avrebbe pregato per me, ma anche per tutti voi! E me ne sono andato via da lì con il senso di serenità, che questa donna riesce a comunicare.
Poi ho attraversato la strada e sono andato da un'altra signora, che ha un carattere ancora più allegro: racconta i suoi malanni con qualche battuta, quasi con umorismo! - "Hanno inventato - diceva - una bella penna per fare le iniezioni di insulina. Adesso non c'è più bisogno di chiamare l'infermiere: basta prendere la penna..." e mi faceva vedere questa penna. - "Il guaio è - diceva - che le mani mi tremano e quindi sono tutta piena di lividi, a forza di farmi le iniezioni con la penna. La ci vorrebbe, dice: la medicina del "menanni"! Il fatto è che si trova difficilmente...". Penso che anche chi non è toscano capisca qual è la medicina del "menanni": bisognerebbe avere un po' d'anni di meno... ma è una medicina che non si trova! Ed anche da lì te ne vai con un sorriso, per tutte le battute che sa raccontare, perché riesce a non pianger troppo sui suoi mali.
Poi sono andato a trovare ancora un'altra persona: ha soltanto i suoi occhioni, questa donna, da spalancare sulla vita e le sue antiche preghiere, ancora in latino: se le ricorda tutte bene! Ma ormai non la reggono più le gambe e nemmeno la testa: le orecchie non le funzionano più, ha solo i suoi occhi ancora, spalancati sulla vita: soltanto questo, forse, l'ultimo spicciolo da offrire nel tesoro del mondo! (Non è così per chi la accudisce, per chi con infinita pazienza, da anni, sta dietro a lei e la cura e la custodisce; magari è soltanto la nuora che fa questo per la suocera - e ce ne sono tante, in mezzo a noi! - Ma lì non si tratta più di "spiccioli": si tratta di grosse monete da buttare nel tesoro della vita! E per fortuna, molti di noi lo fanno).
Ma torniamo ai nostri "spiccioli": ieri sera mi capitava ancora, per concludere la giornata, di parlare con una signora: ormai ha i capelli bianchi, gli anni le cominciano a pesare, e dice che è proprio stanca di combattere! Ha combattuto tutta la vita, eppure lo fa ancora: seguita ancora a dare quello che può. Se qualcuno ha bisogno di appoggiarsi su una spalla, si appoggia sulle sue spalle, ormai fragili e deboli... E lei continuerà ancora, finché le forze la sorreggeranno, a combattere, a buttare nella vita gli spiccioli che può!
Qualche volta capita anche a me di sentire alla TV - magari velocemente, perché cambio subito canale - qualche persona importante, magari qualcuno che ha autorità nella Chiesa, che sa soltanto alzare la voce, gridare, proibire, minacciare... Oppure capita anche a me di vedere alla TV gente che si affanna a cercare i primi posti - e se non glieli danno, son guai! -; magari gente che si riempie la bocca di tante parole, ma, se non le date un posto importante per sé o per la propria corrente, minaccia sfracelli e ci mette sempre in pericolo di crisi di governo!.. Oppure mi capita ‑ sempre di meno, però, perché ho imparato a difendermi - di parlare con qualche persona che si dà molto da fare, che pensa di far del bene continuamente o che "ostenta lunghe preghiere"... ma che ha sempre parole per rimproverarti, per accusarti di qualche cosa, per farti sentire in colpa!
E allora capite come un canto di gioia mi sgorga dal profondo del cuore, nel rileggere questa pagina del Vangelo di Gesù! Lui, per fortuna, ha cantato l'elogio della vedova! Per Lui non conta chi fa grandi cose, chi si mette sempre in mostra, chi alza la voce, chi grida... Per Lui è importante la vedova che butta i due spiccioli nel tesoro del Tempio! E io, non solo adesso che gli anni son passati, ma anche quando ero giovane, mi sono sempre riconosciuto in questa vedova: ho sempre saputo di non avere che pochi spiccioli da gettare nel tesoro della vita.
Vi confesso che ieri sera sono andato a letto contento: queste donne avevano buttato nella mia vita tesori: spiccioli d'amore!
Ed hanno detto che pregano anche per voi...
1994
Parole complesse, complicate, quelle che abbiamo ascoltato stasera... Ho notato che spesso un po' di fantasia aiuta qualcuno di voi, più di lunghe spiegazioni,: abbiamo tentato altre volte di immaginare la prima comunità cristiana, quando le parole che oggi troviamo scritte nel Vangelo si andavano pian piano formando, attraverso i ricordi degli Apostoli. Vorrei tentare anche stasera questa strada, per aiutare, forse, qualcuno di voi a capire cosa c'è in questa pagina di Vangelo, che abbiamo ascoltato. Vi inviterei, dunque, a fare un volo con la fantasia: ad andare indietro di 2000 anni quasi, per trovarci qui vicino, ad Ostia antica, in una casa dove si raduna un piccolo gruppo di Cristiani, che ha invitato stasera l'apostolo Pietro a sedersi con loro e celebrare l'Eucarestia: anche loro, come noi, "spezzavano il pane". Dobbiamo andare uno per uno, però, perché allora non avevano una chiesa grande come questa.
Un pugno di gente - 14, 15 persone, non di più - radunate intorno ad una semplice tavola; sulla tavola un po' di pane e un po' di vino: là si trovano insieme per "spezzare il pane", per fare memoria di Gesù, per rivedere nella sua luce la loro vita. E tutti potevano parlare. Allora, entriamo, se volete, uno per uno, ci sediamo in un angolo e guardiamo quello che succede.
Ecco, guardate: c'è in un canto un gruppetto di persone che parlano animatamente fra di loro: sembra che stiano discutendo di qualcosa d'importante; parlano però sottovoce, per non farsi sentire dagli altri. Il presidente dell'assemblea (il prete, diciamo così) cerca di farli tacere: "È arrivato Pietro! state zitti; dobbiamo cominciare". Sembrano non ascoltarlo. Ripete 2 o 3 volte l'invito...e Pietro s'accorge che sta perdendo la pazienza; allora lo ferma e dice: "Aspetta, aspetta: sentiamo di cosa discutono". Poi, rivolgendosi a quelli: "Dite un po' anche a noi: di che cosa state discutendo? perché tanta animazione?". Allora uno comincia a parlare: "Pietro, non hai sentito quello di cui parlano, un po' per tutta Roma, in questi giorni? C'è stato un mago d'Oriente, che ha detto che fra 6 anni il mondo finirà: la luna cadrà dal cielo le stelle si spegneranno e tutto finirà, sarà la fine di tutto: il nulla! E noi stavamo discutendo su cosa dobbiamo pensare, cosa dobbiamo fare". Pietro lo guarda e dice: "Anche qui sono arrivate queste storie! Sapessi quante volte le ho sentite dire, io, nella mia terra. Avevamo tante volte letto, il sabato, quando andavamo in sinagoga, le parole del profeta Daniele, che parla di queste cose. Si vede che queste voci sono arrivate qui, a Roma: il mondo è piccolo!".
E il cristiano domanda: "Ma dicci: Gesù cosa diceva, di queste cose?" "Ah - risponde Pietro - qualche volta glielo abbiamo chiesto; ma Lui diceva: "Non date retta! Queste cose non le sa nessuno, nemmeno il Figlio: solo il Padre".
Ma voi non abbiate paura, perché nell'ultimo orizzonte non c'è nulla di quanto dice il vostro mago: nell'ultimo orizzonte c'è la Festa di Dio! Lui ci ha promesso che tornerà! che tornerà per farci partecipare alla grande Festa! Ci diceva Gesù: "Quando sentite questi rumori, queste voci, alzate la testa, guardate lontano! Sappiate che il vostro compito è quello di mettere nella vita i semi del bene!". E un giorno, quando Lui tornerà, tutto quello che abbiamo seminato di buono, fiorirà! Non date retta ai maghi di Oriente, anche se vengono qui a Roma. Non ascoltate chi vi mette paura! Sappiate che noi andiamo incontro a Gesù! che Lui è l'ultimo orizzonte della nostra esperienza di uomini: c'è la Sua festa, c'è il Suo ritorno! Il compito nostro è di alzare il capo e di seminare i semi del bene ".
Mentre Pietro faceva questi discorsi, c'era in un angolo un bambino con la faccia un po' perplessa; ad un certo punto alza la mano, questo ragazzetto - immaginatelo fra gli 11 e i 13 anni - e dice: "Pietro, ascolta pure me, fammi parlare un po': perché qui non bastano i problemi di tutti i giorni...ci mancavano anche i maghi dell'Oriente. A me, non m'interessa il mago dell'Oriente: il mio problema è quello che mi succede intorno. Qui ogni tanto mi parlano di malattie complicate: qualche volta, in qualche parte - sento dire - scoppia il vaiolo, la peste, il colera! In qualche altra parte succede il terremoto; da un'altra, una inondazione! Sentivo l'altro giorno a scuola dire anche che il lago di Castelgandolfo era un antico vulcano e che può anche riprendere ad eruttare e che noi saremo sommersi dalla lava! E poi c'è un'altra cosa: mia nonna dice che tutti questi sono castighi di Dio!". "Ah! - dice Pietro - pure tu, che sei un ragazzo! anche a te hanno detto che questi sono castighi di Dio! Vedi, ascolta un momento: quando dicevamo queste cose a Gesù, Lui si arrabbiava. Poche volte l'ho veduto arrabbiarsi, ma quando gli dicevamo che una torre cascata su della gente o che una disgrazia, una malattia, era un castigo di Dio, Gesù si arrabbiava e diceva che Dio, con queste cose, non c'entra!
"Sta' attento - dice ancora Pietro al ragazzo - tu sei giovane: il tuo compito (Gesù ce l'ha ripetuto tante volte!) è di combattere il male, di toglierlo dalla terra e puoi farlo solo se smetti di pensare che c'è il diavolo, dietro al male; che c'è un castigo di Dio! Rischi - Dio te ne scampi! - di dire ad una persona: "Triboli? È una grazia del Signore, perché Lui ti mette alla prova! oppure permette che tu possa scontare qualcuno dei tuoi peccati!". Non le pensare mai, queste cose! Se vedi un male, cerca di combatterlo, cerca di toglierlo dal mondo. Gesù ci ha detto tante volte: " Guarite i malati! Curate le persone che soffrono! Datevi da fare per allontanare il male dal mondo! Ma non pensate che ci sia dietro Dio! altrimenti non combatterete più con tutto il coraggio del vostro amore!". Non pensare mai - ripete Pietro al ragazzo - che dietro una disgrazia ci sia un castigo di Dio! Non pensarlo mai! Gesù ce l'ha ripetuto tante volte ed era questa una delle cose per cui si arrabbiava sul serio!
E, se permetti, voglio darti un altro consiglio: anche tu che sei un ragazzo ti sarai accorto che la gente, quando capita una disgrazia, una catastrofe, si agita, grida, protesta, si lamenta, cerca un colpevole... poi, passato il guaio, nessuno ci pensa più, tutto torna come prima! Non fare così, tu: cerca, studia, impegnati - proprio quando nessuno ne parla più - per combattere il male, per fare il mondo un pochino più bello, e cerca di non aver mai paura di niente.
C'era, in un altro angolo, una persona che guardava e ascoltava tutte queste parole con l'aria un po' seria: a lui, quei discorsi del bambino non interessavano molto: cose da ragazzi...Lui aveva un altro problema, un problema serio, e diceva: "Qui sembra, Pietro, che questa gente abbia quasi paura che venga Gesù. Io l'aspetto! non vedo l'ora che venga Lui! perché deve finire la storia di questo mondo, in cui ci sono tanti malvagi, tanta gente che ci fa violenza! Vedi, ci sono quelli che ci perseguitano, quelli che uccidono, quelli che rubano... E tutti questi dovranno andare nel fuoco! Quando verrà Gesù - non l'ha detto Lui? - tutti all'inferno, tutti a bruciare! Finalmente avrò la mia soddisfazione, a vedere i malvagi, gli arroganti, puniti nel fuoco che non finisce!".
Pietro lo guarda in silenzio, per un momento; poi gli dice: "Vedo che tu sei un po' diverso da me: quando io ero ragazzo, avevo paura di andarci io, all'inferno! Vedo che tu ti auguri che ci vadano gli altri... Ascolta: Gesù ha tolto a me la paura di finire all'inferno; vorrei che tu riuscissi a superare il desiderio di vederci andare gli altri, all'inferno! Pensaci un po', un momento: ma che te ne viene, se questa gente che ci fa del male, un giorno va a finire bruciata? Vedi, Gesù ci ha insegnato a sognare, per la fine dei tempi, la Festa di Dio! La festa in cui il male finisce davvero: non il tempo in cui la gente brucia! La festa in cui tutti si convinceranno che la vita è bella, se ci si vuol bene sul serio! Vedi, questa è la differenza fra noi - fra te - e Dio: noi (qualche volta l'ho sognato anch'io!) pensiamo che la vendetta sia la punizione degli altri, la sofferenza, il castigo; io credo che per Dio l'unica vera "vendetta" sia la partecipazione di tutti alla Festa! Il male finisce, quando tutti siamo capaci di vivere nel bene: non quando c'è gente che soffre per sempre! Pensaci un momento: potresti essere contento, tu, se sapessi che un tuo figlio soffre per sempre? Se sapessi che un tuo amico soffre per sempre? E se non sei contento tu, come può essere contento Dio?!
Ricordati - conclude Pietro - se ho capito qualcosa, il ritorno di Gesù è la Festa di Dio! Allora tutti apriremo gli occhi, tutti scopriremo la bellezza della vita, tutti scopriremo di volerci bene! Tu però comincia fin da ora, se vuoi partecipare, già adesso, alla festa, che Gesù ci ha promesso e che ci sarà nell'ultimo orizzonte della nostra vita. Non il fuoco, non il castigo, non la sofferenza, non il male: ma la Festa di Dio!
Per questo è venuto Gesù! Questa è la nostra speranza!".
1994
I catechisti che preparano i ragazzi per la Cresima, mi hanno chiesto di dire qualche cosa ai ragazzi che si accingono a ricevere questo sacramento, per loro importante. E questa richiesta mi ha in qualche modo costretto - o, se volete una parola più leggera, invitato - a ripensare un po' la mia avventura cristiana, la mia avventura di incontrare e scoprire, piano piano, Gesù nella mia vita.
Forse qualcuno di voi si meraviglierà (non la maggior parte, credo) se vi dico che io non solo son diventato cristiano, ma son diventato prete senza conoscere il Vangelo. Ho studiato tanto, per diventare prete (7 lunghi anni!); ho studiato libri complicati e astrusi; ma son diventato prete senza aver studiato quasi per niente il Vangelo: ho dovuto imparare a conoscerlo con gente come voi. Ripensavo a questa avventura, mi venivano in mente ricordi, fatti, quasi dei flash, come succede quando si ricordano cose lontane nel tempo, lontane ormai più di 30 anni. Ricordo la ricerca fatta con un gruppo di giovani, quando andavamo cercando cosa significasse per noi essere cristiani - cristiani sul serio - rimettendo in discussione tante cose. E ci accorgevamo che tutti ci portavamo dentro una religione in parte pagana, una religione, cioè, in cui si cerca Dio soltanto quando se ne ha bisogno, in cui si cerca in Dio una protezione per la propria vita, per il proprio futuro: una protezione dai guai, dalle malattie; una religione fatta di riti (a volte complicati), di tradizioni, di leggi, di proibizioni. Una religione spesso lontana dalla vita di ogni giorno.
È stata per noi una gioia scoprire Gesù! Un Dio che si faceva carne, che veniva a condividere la nostra esperienza, a portare nel cuore della nostra ventura di uomini la passione per la vita, i suoi valori, la ricchezza della sua gratuità! E allora parole come libertà, pace, giustizia, perdono, servizio, gratuità, prendevano per noi, in Cristo, un senso vivo e profondo!
Tentavo di comunicare queste cose ai ragazzi; ma mi rimane sempre difficile - come penso rimanga anche a voi difficile - comunicare le esperienze più profonde. Così, come quando una ragazza mi obiettava: "Ma don Checco, questi valori di cui Lei parla - la giustizia, la gratuità, la pace, l 'amore, il servizio - che Lei ha scoperto in Cristo, io li vedo anche in tante persone che cristiane non sono, che non vengono con noi a pregare, a celebrare la Messa". E dicevo a questa ragazza: " Sapessi quanta gioia ho provato io, quando ho scoperto la bellezza di vedere che i valori, che io scoprivo in Cristo, li aveva anche tanta gente! Tanta gente che, quando ero ragazzo, mi avevano abituato a chiamare "i compagni cattivi, i pagani, gli increduli, i miscredenti"...o "i peccatori"! Quante preghiere ho recitato, quand'ero bambino, per i "peccatori"...che erano sempre gli altri! Poi mi sono accorto con gioia che "i peccatori" erano spesso più buoni di me... e me ne sono accorto con gioia - tentavo di dire a questa ragazza - perché i valori che io ho scoperto in Cristo non possono essere mai un possesso geloso: è importante, è bello vederli moltiplicarsi nella vita. E le dicevo: "Guarda che Gesù queste cose le ha dette tanto, tanto tempo fa: se tu leggi il Vangelo, troverai proprio alla fine Gesù che dice: "Avevo fame e mi hai dato da mangiare; avevo sete e mi hai dato da bere..." E ci sarà chi gli dirà: "Ma quando mai...?" E questo, dicevo alla ragazza, non lo potrai dire tu, perché tu sai che Gesù lo trovi nel povero che incontri per la via. Lo udrai dire dal pagano, dal cinese, dal negro: da persone che non hanno mai sentito parlare di Gesù! E Gesù in loro si riconosce: "Ogni volta che avete fatto questo al più piccolo dei fratelli, lo avete fatto a me".
E se volete un altro flash: chiedevo a questi ragazzi: "Ma secondo voi, qual è la cosa più bella e la più brutta, che ricordate della vostra esperienza, come Cristiani, nella vita della Chiesa?" E una ragazza, saggia, diceva: "Una domanda troppo grossa, don Che'; io non saprei rispondere; ci metti in imbarazzo!". E allora ho detto: "Provo a rispondere io: se mi faceste a bruciapelo, questa domanda, io vi direi: Ho scoperto in Cristo soprattutto la libertà! La libertà dalle leggi che opprimono, la libertà dal senso di colpa, la libertà dai diti puntati contro, la libertà dalle tradizioni che inaridiscono la vita, dalle mode che passano, dalla superficialità e dal conformismo. La libertà anche da se stessi: la libertà dal proprio egoismo! Libertà per cercare i valori autentici e profondi della vita. E se mi chiedi qual è la cosa più brutta, ti dico che la cosa più brutta che ho trovato nella mia ventura, è l'ipocrisia: l'ipocrisia di parole, che spesso si dicono nella vita della Chiesa, parole a volte grosse, a cui non corrispondono i fatti, la passione per la vita; il Vangelo usato per mettere pesi sulle spalle della gente e non per portarla verso la liberazione e la gioia di vivere! Gesù non è venuto per questo!
Il Gesù che io ho incontrato, il Gesù che ho scoperto, è il Gesù della vita, della tenerezza, del perdono, della liberazione: il Gesù dell'amore totale!".
L'ultima cosa che volevo dirvi, è quello che diceva, proprio ieri sera, una ragazza: "Gesù sulla Croce, vedi, Checco, non è per me il segno del dolore: è il segno dell'amore totale!". Ed è profondamente vero: è certamente, anche, il segno del dolore, della fatica di vivere; ma prima di essere questo, è il segno di Uno che ha saputo amare fino in fondo, che ha saputo donarsi totalmente! Ecco la ventura di incontrare Cristo, la ventura di scoprirLo; la ventura che tutti voi, se siete qui, avete vissuto, forse in maniera diversa da me.
Un invito stasera, dunque, nel concludere un anno di preghiera: a cantare il nostro grazie al Signore: a dirGli dal profondo del cuore "Grazie!" per la luce, per la liberazione, per la vita che ci ha messo dentro! Domenica prossima ricominceremo ad aspettarLo: ci prepareremo al Natale, tenteremo ancora di accoglierLo in mezzo a noi.
Il Signore ci aiuti!
1994
Nella Chiesa d'Italia - anzi nella Chiesa universale - siamo solo noi, oggi, a ritrovarci intorno all'altare per celebrare l'Eucarestia. E ci ritroviamo intorno all'altare, perché ormai da tempo gli apostoli Pietro e Paolo sono onorati come patroni di Roma (a loro, come sapete, sono dedicate due delle più grandi chiese di questa nostra città).
Quando io ero ragazzo mi avevano insegnato a riconoscere negli apostoli Pietro e Paolo (almeno, così avevo capito, ma forse mi ero sbagliato) i fondatori della Chiesa di Roma, coloro che avevano portato per primi, qui, nella nostra città, l'annunzio di Gesù, la Sua parola.
Capirete la mia delusione quando, crescendo, ho scoperto - attraverso gli studi di gente che se ne intendeva - che non erano stati affatto loro i primi a portare a Roma l'annunzio di Cristo: quando, quasi per caso, Pietro e Paolo son venuti a Roma, c'era già qui un gruppo di credenti, un pugno di gente che testimoniava Cristo! Era gente molto semplice: alcuni schiavi (a quel tempo la maggior parte degli abitanti di Roma erano schiavi), alcune prostitute, alcuni poveracci dei vicoli della Suburra: e loro hanno accolto per primi il messaggio cristiano, loro hanno cominciato ad essere testimoni di Gesù in questa nostra città, loro hanno fondato la Chiesa di Roma.
Quando Pietro o Paolo sono venuti qui, hanno trovato un gruppo di Cristiani, che si ritrovavano, come noi, intorno alla tavola per "spezzare il pane", per far memoria di Gesù; hanno trovato della gente, che credeva sul serio in Gesù Cristo e cercava di vivere la Sua Parola. Pietro e Paolo sono stati accolti, con rispetto e riconoscenza - erano tra i primi che hanno conosciuto Gesù e hanno testimoniato la Sua Parola -; ma non sono stati loro a fondare la Chiesa di Roma, non sono stati loro i primi a parlare di Gesù in mezzo a noi!
Questa cosa, le prime volte, mi ha sorpreso, mi ha lasciato un po' deluso: perché noi uomini, specialmente quando si è giovani, pensiamo che la storia sia fatta dai grandi personaggi... Ma poi, andando avanti nella vita, mi sono accorto che la Chiesa non è fatta di personaggi straordinari! A Roma ne sono passati tanti: hanno fatto rumore, più spesso hanno fatto danno...
Se il Vangelo di Gesù è arrivato fino a noi, è perché tanta gente di tutti i giorni - tanta gente come voi, e io ne ho incontrata tanta, nel mio cammino di credente - tanta gente semplice, tanta gente a volte senza grande cultura, senza grandi doti umane, ha saputo credere in Gesù, ha saputo testimoniare la Sua parola, vivere il Suo messaggio!
Ecco, noi riconosciamo negli apostoli Pietro e Paolo due testimoni del Signore, che qui sono stati uccisi dalla violenza degli uomini, che hanno saputo essere fedeli a Gesù sino all'effusione del sangue, due personaggi straordinari che hanno onorato la nostra città... ma, se volete unirvi con me, con gioia oggi possiamo ringraziare il Signore perché qui in Roma Pietro e Paolo hanno trovato una Chiesa già formata, una Chiesa di povera gente che ha saputo continuare ad essere testimone autentica di Gesù fino ai nostri giorni, che ha portato fino a noi la freschezza del Vangelo.
Continueremo, con fiducia e coraggio, a testimoniare Gesù sulla scia dei tanti che lo hanno fatto prima di noi. E, se posso aggiungere una parola, ci conviene diffidare dei personaggi importanti, di coloro che pensano di testimoniare Gesù alzando la voce, gridando: spesso fanno più danno che utile!
La testimonianza del Vangelo è silenziosa, quotidiana, fatta di gesti piccoli, ma sinceri e profondi: testimonianza dell'amore di Gesù nel mondo!
Lo Spirito dia, anche a noi, di farlo!