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OMELIE DI DON CHECCO
Indice
1990
Siamo entrati in Avvento e penso che molti di noi, che abbiamo ormai alle spalle tanti anni di vita cristiana, abbiamo cominciato a domandarci: "Che cosa possiamo fare per prepararci al Natale?" E ciascuno avrà fatto il suo progetto: cercherò di fare qualche opera buona, andrò alla Messa una volta di più, farò qualche piccolo sacrificio; qualcuno avrà programmato il suo digiuno, in molti cercheremo di correggere qualche nostro difetto... Son tutte cose giuste, importanti, le abbiamo fatte sempre e cercheremo di farle anche quest'anno.
Ma oggi vorrei attrarre la vostra attenzione su un'altra cosa e, direi, su quello che c'è prima: guardiamo a Gesù, ritroviamo nel nostro cuore la certezza che Lui viene, attendiamo la presenza Sua nella nostra storia, nel nostro mondo, nella nostra vita.
Tutti noi viviamo la vita di ogni giorno con i suoi tanti problemi, spesso guardiamo la televisione, leggiamo il giornale e sentiamo in questi giorni tante notizie: notizie che molti di voi leggeranno con paura, perché si sentono rumori di guerra. L'O.N.U. autorizza ad usare la forza, poi sembra che si possa trovare un accordo; il prezzo del petrolio sale e noi siamo preoccupati perché la benzina costa troppo e l'inflazione cresce; ci sono problemi nel mondo del lavoro, problemi nella famiglia, e poi l'affanno di ogni giorno, la fatica del vivere, i problemi che coinvolgono tutto quello che noi siamo. E qualche volta ci dimentichiamo di alzare gli occhi o di ritrovare, nella nostra fede, la certezza che in questo mondo c'è Dio: ha scelto di camminare con noi! Al di là di quello che fanno Bush o Saddam, è importante per ciascuno di noi ritrovare il senso della vita, che va al di là delle onde che l'increspano ogni giorno, il senso ultimo: il senso profondo, la certezza che nel cammino della nostra vita è venuto Gesù.
Il Natale viene ogni anno per metterci nel cuore la certezza, che quello che conta è Lui, il suo amore, la tenerezza del suo perdono, il suo Regno che cresce accanto a noi, la gioia di camminare con Lui.
Ecco, dentro la nostra vita, dentro i nostri giorni, dentro i nostri affanni quotidiani proviamo a mettere la certezza che Gesù viene: è venuto, si è fatto uno di noi, tornerà alla fine della storia. E allora, quando Bush, Saddam, i potenti di questo mondo saranno soltanto uomini come tutti, saranno pecorelle del grande gregge di Dio, noi vedremo il mondo con gli occhi di Dio, vedremo il mondo nella dimensione di Gesù e soltanto quello che Lui ha detto e ha fatto conterà per sempre.
Ecco, ritroviamo questa nostra fede, nel cammino d'Avvento.
I nostri bimbi hanno immaginato una lettera: hanno immaginato che Gesù scrivesse, per dire: "Ragazzi, arrivo, vengo, ci sono io; forse qualche volta ve ne dimenticate!".
Cerchiamo ciascuno di noi di farci scrivere una lettera da Gesù, di farci ricordare che Lui viene in questo nostro mondo, che Lui viene per toglierci la paura, l'ansia, la preoccupazione per tutto quello che ci accade, per i tanti rumori che turbano il nostro cuore.
Gesù vuole camminare con noi nella nostra vita, vuole portarci qualcosa di più profondo che ci tocchi il cuore: il bisogno di verità, di assoluto, di vita, di amore, di tenerezza che soltanto Lui può darci.
La certezza della presenza di Gesù nella nostra vita, sia il dono di questo Avvento.
1987
Abbiamo ascoltato l'invito a vegliare, a guardare lontano, ad aspettare il Signore, come uno che è partito per un lungo viaggio e che tornerà. Vedete, nella vita cristiana c'è sempre (potete leggere il Vangelo in lungo e in largo, lo troverete in ogni pagina) questa dimensione dell'attesa, della speranza, del cammino da fare. Un cristiano non si sentirà mai uno che è arrivato, che ha chiuso, che dice: "Ecco ho camminato, adesso mi posso sedere". Il Vangelo che ascoltiamo, la liturgia che viviamo, ci invita sempre ad alzare gli occhi e guardare lontano. E anche se ci siamo un po' addormentati, ecco che ritorna l'Avvento e ci ricorda: "Viene Gesù! Guarda verso di Lui, aspettalo! Ha affidato a te un compito: costruire la tua vita, la tua giustizia, il Regno!"
Ecco, fratelli, non dobbiamo moltiplicare le parole qui, è importante che cerchiamo di vivere questo Avvento. Ci prepariamo al Natale: fra non molto saremo travolti dal clima di Natale, dalle feste, dai regali da fare. Tutte belle cose, importanti, perché c'è il clima di famiglia, il clima delle cose dolci, il clima della nostra infanzia. Ma c'è anche questa dimensione più profonda che è il desiderio vivo della giustizia, il desiderio vivo di un mondo più vero, più giusto che dipende dalle nostre mani, che Gesù chiede alla nostra responsabilità, e questo possiamo farlo guardandoci intorno, domandandoci: "io, questo mio mondo, nel posto dove lavoro, nella mia famiglia, tra la mia gente, come posso renderlo un po' più giusto? Come posso renderlo un po' più vero, come posso svolgere un po' meglio il compito che mi ha affidato Gesù?"
E senza perderci di speranza, perché Lui viene senz'altro: state sicuri il Natale verrà, lo celebreremo insieme, avremo ancora la certezza che il Signore nasce con noi, nella nostra vita e che verrà alla fine dei tempi.
Il compito nostro è di non dubitare della Sua venuta, è di prepararla, vegliando e dandoci da fare, cercando di costruire giorno per giorno le nostre opere di giustizia. Allora, mentre tirate fuori in questi giorni, per i vostri figlioli o per i vostri nipoti, le statuine del presepio, gli addobbi dell'albero, (le tirate fuori con amore, è giusto!) cerchiamo di ritrovare anche, nei confronti dei figli, del marito, della moglie, della gente che vi sta intorno, una giustizia profonda, quello che è "fare pace", quello che è costruire il Natale vero: che significa ritrovarsi, accogliersi, perdonarsi seriamente, non compiere ingiustizie tra noi, credere che si possa ancora camminare insieme. Ecco, il Signore ci metta dentro al cuore questa speranza viva di Lui e ci dia il coraggio di sentire questo impegno a camminare. Allora Gesù viene veramente, per aiutarci a costruire un mondo più giusto, anche attraverso i nostri piccoli gesti di ogni giorno.
1990
Nella prima domenica di Avvento, le letture ci invitavano a guardare verso il Signore che viene, ad alzare il capo e guardare verso la Sua luce, verso la Sua speranza.
Il Signore viene! È il lieto annunzio che abbiamo ascoltato anche noi. Lo sottolineavo, era importante che guardassimo verso di Lui. Ieri ci siamo ritrovati insieme per celebrare Maria e le letture ci invitavano a guardare verso di Lei: ancora una visione luminosa, la sua accoglienza, la sua fede. Abbiamo pregato perché Maria insegnasse anche a noi ad accogliere il Signore.
Oggi, i profeti e poi Giovanni Battista ci invitano a guardare a noi, a guardare le strade storte, gli avvallamenti, i monti e i burroni sulla nostra strada... e non è un bel guardare; perché quando guardiamo verso di noi, verso il nostro mondo, ci accorgiamo di averlo, almeno in parte, sciupato.
È importante che sia un guardare sereno, che sia un guardare costruttivo, e se nel guardare qualcuno si sente un peso sul cuore, se uno si sente impaurito, cambiate subito strada. Non è questo il senso del guardarsi cristiano. Il guardarsi che fa venire un senso di paura, un senso di peso, un senso di oppressione, che dà un senso di colpa, va cacciato come un cattivo pensiero. Dobbiamo dare alla nostra vita uno sguardo che sia teso al futuro, che sia un domandarsi: "Cosa posso fare per raddrizzare le strade?".
Guardiamoci allora! E non confrontiamoci con la legge, con i comandamenti. Se ci confrontiamo con la legge, tutti noi diciamo: "Non abbiamo ucciso, non abbiamo rubato niente di importante, non abbiamo mai tradito, non abbiamo mai giurato il falso". Non è questo lo sguardo serio da dare alla vita. Confrontiamoci con Gesù, con il Suo amore, con il Suo impegno, con la Sua libertà, con la Sua tenerezza e confrontiamoci con la vita concreta che c'è intorno a noi.
I ragazzi hanno dipinto, sotto l'annunzio "Il Signore viene", Ostia e come vedete l'hanno dipinta, volutamente, un po' grigia, perché molto spesso la nostra vita non ha i colori vivaci dell'amore, dell'accoglienza, della liberazione. Ciascuno di noi si guardi intorno, cominciando da me, e si domandi: "C'è qualche situazione in cui io porto sofferenza, dolore, qualche cosa che sciupo della vita intorno a me, in casa, fuori? Cosa posso fare perché la vita sia più bella?". Fatevi domande semplici, l'esame di coscienza è stato complicato dalla tradizione cattolica con tante domande storte. Secondo me, conviene partire dalla sofferenza: "C'è qualcuno che soffre per causa mia?, c'è qualche sofferenza che io potrei togliere? C'è una lacrima che io posso asciugare? C'è una mano che posso tendere? Cos'è che sciupo nella mia vita?". Ecco, domandiamocelo seriamente davanti al Signore e, se ci riesce, per il Natale raddrizziamo qualche sentiero. A volte può bastare poco: un sorriso, una parola, un po' più di attenzione.
Il Signore ci aiuti!
1987
Succedeva al tempo di Gesù, come succede - penso per molti di noi - oggi: la gente non ci sperava più, la gente non credeva più che potesse intervenire il Signore, che potesse cambiare qualche cosa, che ci potesse essere qualche cosa di nuovo. Troppe cose andavano come sempre: l'uomo sembrava non cambiar mai. Di più in Israele c'era un problema: la voce dei profeti, che aveva fatto la grandezza della storia del popolo, ormai sembrava sepolta per sempre. Erano secoli che non c'era più un profeta che gridasse qualcosa, che invitasse alla speranza, a guardare lontano. Tutto sembrava andare avanti come sempre, senza una scossa, un sussulto di vita.
Ecco perché tutti i Vangeli riportano la voce di Giovanni il Battista che viene a scuotere la gente, a dire: "Coraggio, preparate la strada, perché sta per venire il Signore".
Le nostre catechiste hanno posto la domanda: che cosa significa "fare avvento", "prepararsi al Natale"? I genitori, sentivano il problema che abbiamo tutti: "Come si può sperare ancora nel Natale, come si può renderlo credibile per i nostri bambini?". Tutti sentivano il bisogno di un mondo più giusto Hanno detto: "scegliamo quest'anno il tema della giustizia, ridiamoci la speranza di qualche cosa di nuovo e più giusto".
E oggi vogliono sollecitare ciascuno di noi, con questa idea semplice: "la speranza nasce se qualcuno fa qualche gesto concreto di giustizia". Vedete cosa hanno scritto: "Gesù, aiutaci a dare speranza, attraverso gesti concreti di giustizia".
Qualcuno di voi, lo dicevo anche prima, leggerà e dirà: "Tutto qui?". Fratelli, tutto qui. Non siamo capaci di inventare grandi cose. Forse nel nostro mondo non abbiamo nemmeno bisogno di inventare grandi cose.
Ma se ciascuno di noi, nella propria casa, nell'ambiente in cui sta, con i suoi amici, riuscisse a fare qualcuno di questi gesti semplici che ci sono suggeriti dai bambini, se ciascuno di noi facesse in questo tempo un gesto di giustizia, se qualcuno di noi riuscisse a cambiare qualche cosa, ecco, il Natale che viene ci porterebbe la speranza.
Per noi sarebbe come per la gente al tempo di Gesù. Un profeta grida: "Si può cambiare qualcosa, si può preparare la strada, si può far spazio a Gesù". L'invito è anche per noi: ciascuno di noi può preparare la strada al Signore che viene. Ma se non facciamo qualche piccolo gesto, come ci nascerà nel cuore il desiderio di Gesù? Come crederemo che Lui possa cambiare qualcosa nella nostra vita ?
È l'impegno che ci consegnano i ragazzi, anche attraverso questo foglio. Cerchiamo di accoglierlo, perché i ragazzi hanno bisogno di vedere in noi, anche nei nonni, qualche piccolo gesto che dia loro la speranza che, anche quando si è stanchi, anche quando la vita volge verso la fine, si può ancora fare un passo per essere più giusti.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1990
Ieri, oppure sabato sera, qualcuno di voi lo ricorderà, abbiamo letto nel Vangelo della domenica, l'inizio del Vangelo di Marco e la storia di Giovanni il Battista. Quando si legge il Vangelo di Marco, c'è sempre qualcuno che domanda con curiosità perché quel Vangelo non parli per niente della Madonna. Vedete, il Vangelo di Marco è il primo che è stato scritto, ed è stato scritto da gente quasi abbagliata dalla luce straordinaria di Gesù: vedono soltanto Lui, non si accorgono di nessun altro. Poi, man mano che passano gli anni, (e il vangelo di Luca è stato scritto un po' dopo il Vangelo di Marco), la prima comunità cristiana comincia a riflettere sulla figura di Maria e pian piano comincia a vedere in Lei, non soltanto la mamma di Gesù - questo lo avevano sempre saputo! - ma anche colei che può diventare la mamma della Chiesa, perché, attraverso la sua esperienza insegna ad ogni credente, e quindi anche a noi, come accogliere Gesù, come credere in Lui.
E Maria che insegna ad accogliere il Signore, è stata vista (e le letture che oggi abbiamo ascoltato ce lo confermano) in contrasto con la figura di Eva.
Al tempo di Gesù tutti gli Ebrei, e quindi anche gli apostoli, andavano il sabato (non la domenica come noi) a sentire le antiche storie, le storie dell'inizio, in cui si parla della prima donna, colei che aveva mangiato il frutto e causato la rovina degli uomini. È un mito, un'immagine, certamente. Perché Eva aveva preso il frutto, dov'era il suo peccato? Non certo nell'aver mangiato la mela o qualcosa di simile: lei voleva mettersi al posto di Dio, lei e anche Adamo, evidentemente, l'uomo in genere. Il Satana aveva detto: "Se tu prendi la mela, diventerai come Dio, sarai al centro di tutto". Da questo, viene la paura, il non poter più parlare con Dio, l'incolparsi a vicenda.
Il contrasto con il Vangelo che abbiamo letto è evidente: Maria è colei che parla con Dio, è colei che non vuole mettersi al posto di Dio, ma dà tutta sé stessa perché Lui venga in mezzo a noi. Eva aveva detto a Dio "Togliti un po' di mezzo, mi metto io al centro, tutti gli altri serviranno me". È quello che facciamo anche noi quando facciamo il male. Che cos'è fare il male se non dire a chi ci sta intorno: "Ecco, adesso tu ti metti al mio servizio, io sono come Dio. Regolo io quello che è giusto e quello che è ingiusto, lo regolo secondo il mio capriccio, faccio quello che mi fa comodo". Così facendo sciupiamo la vita.
Maria è colei che sa dire: "Sia fatta la tua volontà, si faccia di me secondo la tua parola"; Maria è colei che sa fare spazio nella sua vita a Dio, sa mettersi a servizio di Gesù e diventa così la nostra madre: madre perché ha generato il Signore, madre perché può prenderci per mano ed aiutarci a credere, perché il problema del nostro avvento, della nostra vita, è proprio quello che io, che ciascuno di noi, sappia far posto a Gesù.
Vedete, essere cristiani non significa compiere imprese straordinarie, fare delle cose eccezionali. Non significa diventare protagonisti di tutto. Significa soltanto che nella vita di ogni giorno noi sappiamo far posto a Dio, al suo progetto, alla sua volontà di servizio, di pace; significa non mettersi al centro del mondo, ma mettere al centro, al cuore della nostra vita, Dio, riconosciuto nel fratello che ci passa accanto.
Questa è la grandezza di Maria secondo il Vangelo: Lei ha saputo fidarsi di Dio, ha saputo affidare a Lui la sua vita, ha saputo fargli spazio e allora il Signore può nascere.
Noi stiamo pregando: "Gesù, vieni ad aiutarci a costruire un mondo più giusto". C'è un solo modo perché Gesù ci aiuti a costruire un mondo più giusto: che noi gli facciamo spazio, che noi ci fidiamo di Lui, della Sua parola. Che sappiamo accoglierlo nella nostra vita. E allora stasera, con fede, tutti ci uniamo per chiedere a Maria: "Tu che hai saputo accogliere Gesù, Tu che hai saputo farGli spazio, pigliaci per mano, come una mamma prende per mano i suoi figli e insegnaci a credere, insegnaci a non fidarci di noi stessi, delle nostre idee, del nostro orgoglio, insegnaci a far spazio a Gesù, insegnaci a lasciarGli posto nella nostra vita e allora verrà la salvezza di Dio".
1990
Quando eravamo giovani, per il tempo di Natale eravamo abituati tutti a confessarci, ad andare dal sacerdote e ripetere il solito elenco di peccati e qualcuno provava un senso di sollievo e se ne ritornava al suo posto riconsolato. Quando ero giovane prete, accanto al confessionale c'era una lunga fila di gente. Qualcuno di voi lo fa ancora, prova gioia nel farlo. In questi giorni, noi sacerdoti siamo a disposizione per chi volesse celebrare questo Sacramento.
Ma vedete, non è questo l'essenziale. Anche quello era un modo di celebrare, qualche volta c'era tanta abitudine, tante cose che non andavano; per questo, per molti di voi ha perso di significato. Non è una mancanza fondamentale! Non è una mancanza decisiva. Se facciamo tutti uno sforzo di cammino, di conversione, questo è importante. Il confessarsi, anche lo stare qui la domenica, è soltanto un modo di celebrare la nostra vita, il Signore, il cammino verso di Lui. Ma quello che conta è fare un passo nella vita di ogni giorno e cercare di essere testimoni di Lui, cercare di prestare le nostre mani, i nostri piedi, la nostra bocca, il nostro cuore al Signore, perché germogli la giustizia, perché spunti un po' di pace, perché venga un po' di tenerezza.
Non basta essere venuti qui. Qui lodiamo, cantiamo, parliamo, riflettiamo, ci sediamo un momento; ma poi nella vita di tutti i giorni il Signore ci chiede di fare il nostro piccolo passo, il nostro gesto concreto di tenerezza, di accoglienza. Allora, nel momento dell'Offertorio, mentre io offro il Pane e il Vino, ciascuno cerchi di offrire quello che può al Signore, il suo piccolo gesto di conversione e di vita. Basta un sorriso, qualche volta, per donare un po' di gioia, basta un gesto di riconciliazione, basta un po' di attenzione a chi ci sta accanto ogni giorno. È questo quello che vuole il Signore. Natale sarà più vero se offriremo qualche cosa al Signore: anche noi come bambini, con la nostra semplicità, nella nostra povertà, andremo al presepe e come gli antichi pastori, porteremo il nostro semplice dono, un po' del nostro cuore, un pizzico di buona volontà, un po' di attenzione, una carezza fatta con dolcezza, un gesto di riconciliazione e di pace perché spunti nella nostra vita, intorno a noi, un po' della giustizia che il Signore ci vuole portare.
Il Signore ci aiuti.
1987
Come avete sentito, queste letture sono un invito alla gioia, al posto del Salmo la liturgia ci ha riproposto la grande preghiera di gioia di Maria: "l'anima mia esulta nel Signore". Il mio compito è quindi quello di predicare la gioia, ma è difficile: noi preti, infatti, siamo capaci di affliggere la gente predicando le minacce e le inquietudini; ma quando si tratta di annunziare la gioia, ci diventa difficile, forse perché bisognerebbe averne dentro in abbondanza per saperla comunicare agli altri. E avere la gioia nel profondo di sé è esperienza abbastanza rara, anche per chi tenta di credere.
Mi domandavo: "Ma che cos'è la gioia per un cristiano?". Mi venivano le risposte più semplici: la gioia viene quando facciamo qualche opera di bene; qualcuno di voi in questo tempo di Avvento avrà provato a fare qualcosa, si sarà recato a trovare qualcuno, qualche persona malata.... avrà fatto qualche gesto di attenzione verso gli altri; e avrà sentito dentro di sé, ritornando a casa la sera, la gioia del bene che ha fatto. Noi preti siamo stati bravi ad insinuarvi nel cuore il sospetto nei confronti di questa gioia e a farvi venire, quando vi sentite contenti per il bene fatto, il dubbio: "chi sa se l'ho fatto per me o l'ho fatto per gli altri?". Dimenticateli oggi questi sospetti che vi hanno messi nel cuore e sentite questa gioia come la vicinanza di Dio. È giusto, è buono, è bello che quando abbiamo fatto un'opera buona, che quando abbiamo sentito vicino a noi un fratello, ci sentiamo la gioia nel cuore.
È giusto anche gioire del bene che fanno gli altri; per questo vi abbiamo dato un foglio preparato, come i precedenti, da gruppi di bambini con i loro genitori, in cui trovate alcuni gesti di bontà fatti da persone intorno a noi: gente che non solo in questo tempo di avvento, ma anche nel resto della vita fa qualche cosa di buono nei confronti di quelli che sono malati, dei bambini che sono soli. Domenica scorsa, lo ricordate, facevamo quell'appello affinché alcuni bambini, che sono nell'orfanotrofio, passassero le vacanze di Natale presso qualche famiglia: si sono presentate molte famiglie che domani andranno là a Santa Marinella per vedere di mettersi d'accordo. Molti quindi hanno offerto la propria casa: è un impegno serio e dobbiamo rallegrarci di questo, perché c'è il bene intorno a noi; rallegrarci per tutte le persone che anche in mezzo a noi, nella nostra Parrocchia, spendono un po' del loro tempo, della loro vita, del loro cuore, delle loro energie, per fare del bene agli altri.
Questo deve rallegrarci: nel mondo non ci sono soltanto cose cattive... ma - mi domandavo - la gioia cristiana viene solo da qui? Non è troppo poca cosa il fatto che io gioisca per quel poco di bene che riesco a fare, per aver visto un sorriso spuntare sulla bocca di una persona? La gioia nostra non è qualcosa di più profondo? E allora mi veniva in mente la Parola che avete ascoltato anche voi dal Vangelo di oggi: "c'è in mezzo a voi uno che voi non conoscete": nella nostra vita c'è la presenza di Gesù, nella nostra Chiesa, nel nostro essere cristiani. La gioia viene da Lui: certezza che la nostra vita non è abbandonata a sé stessa, che c'è il Signore presente in mezzo a noi.
Mi venivano in mente allora le pagine forse più belle del Vangelo di Marco, quando sul lago in tempesta, gli apostoli hanno paura e Gesù, sul fondo della barca sembra dormire; allora gridano e Lui si sveglia e dolcemente li rimprovera per la loro poca fede. Sulla barca c'è Lui, i discepoli sono invitati a riconoscere la sua presenza e a conservare la gioia nel cuore. Un altro episodio, in cui i discepoli sono, da soli, ancora sul lago in tempesta e fanno fatica a remare perché il vento è contrario (la fatica di vivere di cui a volte tutti facciamo esperienza) e Gesù passa, ma sembra un fantasma e loro gridano per la paura. Ma Lui li rassicura: "Non abbiate paura, sono io!". Ecco c'è in mezzo a noi uno che non riconosciamo. A volte con ci accorgiamo che nella nostra vita c'è la presenza di Gesù.
Mi viene in mente quella bella parabola che viene a noi dal lontano Brasile: un uomo rivede in sogno la sua vita, come orme di passi sulla sabbia: e nel sogno parla al Signore: "Tu mi avevi assicurato di essere sempre con me: spesso ho visto due orme sulla sabbia, ma a volte una sola, nei momenti più difficili mi hai lasciato solo!" E la voce del Signore risponde nel sogno: "In quei momenti c'era un'orma sola, perché io ti portavo in braccio!" Ecco, non ci accorgiamo a volte della presenza del Signore nella nostra vita, una presenza amorosa che non ci lascia mai soli!
Questa è la radice più profonda della gioia cristiana: la certezza che Gesù cammina con noi, tutti i giorni della nostra vita. Per questo ci prepariamo al Natale, per questo la Chiesa ci invita a gioire ed è un invito che rivolgo a me stesso e a tutti voi, chiedendovi scusa per le mie povere parole: non si può predicare la gioia, forse non ci riesce nessuno, solo Gesù è riuscito a farlo. Ma allora non ascoltate le mie parole, guardate a Lui; ecco accenderò la terza candela del nostro Avvento: la luce si avvicina, il Signore viene nella nostra vita, apriamo gli occhi per riconoscerLo, sentiamoLo presente in mezzo a noi, in Lui è la vera fonte della nostra gioia.
1990
In questi giorni alcuni predicatori vi hanno ripetuto che non è una cosa giusta far tutti questi regali; ma voi, ormai, siete abituati a non dar retta a quelli che predicano, siete persone sagge. Penso che le nonne abbiano fatto già i regali ai nipoti, se no "vociano". Mia madre, l'altro giorno, è dovuta andare in banca a prendere i soldi, se no i nipoti, se non si dà loro quello che si conviene per Natale "vociano".
Qualcuno di voi ha fatto anche qualcosa di più, si è ricordato dei più poveri, ha messo da parte qualcosa per condividere la festa di Natale con gli altri. Qualcuno di voi, anzi molti di voi, hanno cercato di fare, in questo tempo di Avvento, un cammino verso il Signore, correggendo qualche difetto, facendo pace con qualcuno. Ci ritroviamo, forse, un pochino migliori, non molto, perché siamo povera gente. Ma adesso siamo qui per aiutarci a celebrare il Natale, l'essenziale del Natale; e allora dobbiamo smettere di pensare a noi stessi, alle cose da fare. Abbiamo soltanto poco tempo, perché poi quando riusciamo da quella porta, ritorniamo a casa e siamo ripresi dalle tante cose: perché il Natale è anche fatto di regali, di festa, di albero, di luci e di tante cose che sono importanti anche per noi.
Ma la cosa essenziale per cui facciamo tutto questo è Gesù. Noi siano qui per aiutarci insieme a guardare Gesù. Questo dovrebbe essere il mio compito, io non riesco molto, ma voi supplite con la vostra preghiera, con l'attenzione del vostro cuore.
Chiediamo insieme a Dio che ci dia la meraviglia, lo stupore, la capacità di guardare il Signore; che ci faccia sentire, nel profondo del cuore, Dio che si fa carne, che viene a condividere la nostra vita, a camminare con noi; che ci faccia sentire che l'essenziale è proprio questo, la vita che si condivide, il cammino fatto insieme, che ci metta nel cuore l'accoglienza e la pace.
Ancora una volta, in questo tempo di Avvento, ci viene incontro Maria. Lei ha saputo accogliere Gesù, ha saputo stupirsi, meravigliarsi, ha saputo spalancare gli occhi, ha saputo dare spazio a Gesù, che viene per condividere la nostra vita, per metterci nel cuore desideri profondi di pace, di verità, di giustizia. Basta aprire gli occhi e guardare a Lui.
Ecco, ci è data questa Messa, questo tempo; il canto, il silenzio, la preghiera, ci aiutino a guardare Gesù, ad accoglierlo, perché il dono di Natale è Lui.
Per questo ci scambiamo i doni, ci facciamo gli auguri: per essere capaci di accogliere il Signore nella nostra vita, di stupirci di Dio e del Suo amore.
1987
È la seconda volta che leggiamo questa pagina del Vangelo in questo tempo d'avvento: lo ricorderete, il giorno della festa dell'Immacolata abbiamo letto esattamente la stessa pagina; si vede che la Chiesa che ha costruito queste nostre preghiere, questo stare insieme in Avvento, dà grande importanza a questa pagina.
Non c'è forse pagina migliore per prepararsi al Natale, perché in questa pagina si parla di noi, della nostra storia, della nostra vita e penso che abbiamo fatto esperienza di quello che siamo anche in questo Avvento. Qui sono ricordate due donne, una sterile ed una vergine: siamo noi! Incapaci di generare il Cristo, incapaci di costruire il Regno, incapaci di fare la giustizia. Siamo noi, ciascuno, il mondo in cui viviamo: siamo sterili, siamo vergini. Vergine non è qui (tutti voi, penso, l'abbiate avvertito) un titolo di merito, ma espressione di una impotenza radicale: una donna vergine non può generare un figlio, non può in modo assoluto! Siamo noi: pensiamo tanto spesso di costruire da soli la nostra casa. Ognuno di noi ha i suoi criteri: chi cerca la sua tranquillità, chi cerca il successo, chi cerca di accumulare soldi, chi cerca di vivere in pace stando lontano dagli altri. Cerchiamo di costruire il mondo e ci accorgiamo che a volte non riusciamo a costruire nemmeno la nostra casa, nemmeno la nostra famiglia, non sappiamo rendere più bella la vita nemmeno per la gente che ci sta intorno. Abbiamo fatto ancora questa esperienza durante questo tempo d'Avvento, avevamo detto all'inizio (ce l'avevano indicato i bambini) "Costruiamo un mondo più giusto!" e ci siamo dati da fare, qualche cosa abbiamo fatto, come questi bimbi, che hanno messo là i loro mattoni per costruire una casa, lo vedete: c'è un muro un po' sbrecciato: questo siamo noi!
E poi, se ci guardiamo intorno, il vasto mondo che cerca di costruire il suo benessere, la sua giustizia. Spesso si ritrova in mano la cenere, ma non dobbiamo guardar lontano; penso che ciascuno di noi dovrebbe guardare la propria vita e allora non ci resta che dire come Maria: "Com'è possibile? Noi non siamo capaci!" e ascoltare, ma ascoltare nel profondo, l'annuncio dell'angelo: "Vi nascerà un figlio, verrà il Signore, è opera dello Spirito di Dio, non è opera vostra". Noi non possiamo costruire il Regno di Dio, se non facciamo spazio a Gesù. Natale è questo: far spazio al Signore che nasce, rinunciare a costruire noi, con i nostri criteri, il proprio comodo, ciascuno pensando a sé stesso, la propria casa, il proprio mondo: lasciamolo costruire al Signore. Facciamo come Maria, anche noi diciamo "Ecco, io non posso, ma se viene lo Spirito, ecco, sono la serva del Signore".
Facciamo spazio al Signore nelle nostre case, tra la nostra gente, nel posto dove lavoriamo, facciamo spazio a Gesù, al Suo criterio, al Suo amore; non mettiamo sempre noi al centro, mettiamoci da parte, facciamo un po' di vuoto, che nasca il Signore, che lo Spirito irrompa nella nostra vita e allora sarà Natale. Non siamo noi a costruire la casa, dobbiamo lasciarla costruire a Lui: è lo Spirito di Dio che vuole costruire la nostra casa.
Se facciamo l'esperienza di essere come Elisabetta, di essere come Maria, impotenti a far nascere qualcosa, non resta che - come loro - proviamo a gridare al Signore perché venga, perché riempia la nostra vita, come ha riempito la loro.
Il Signore ci aiuti.
1990
Se provate a chiudere per un momento gli occhi, potete guardare con gli occhi della vostra fantasia, dell'immaginazione, potete vedere in giro per il mondo la tanta gente che, come noi, si raduna intorno alla tavola per celebrare la Nascita di Gesù. Ce n'è in ogni angolo della terra, nelle chiese più grandi e belle della nostra città, S. Pietro, S. Maria Maggiore... ma anche in qualche capanna sperduta nella savana africana, o in qualche baracca nelle favelas di Rio de Janeiro, dove fa un caldo soffocante in questi giorni, perché dall'altra parte del mondo il Natale si fa con il caldo, con il solleone... Nella neve, al caldo cocente, c'è tanta gente che come noi è riunita in questo momento in preghiera, ascolta la stessa pagina del Vangelo e soprattutto si porta nel cuore gli stessi sentimenti che abbiamo noi, qui: sentimenti di pace, di buona volontà, desideri vivi di giustizia.
Tanta gente, in ogni parte del mondo, gente come noi, gente di tutti i giorni, gente semplice, gente che lavora, gente che fa la fatica di vivere. Gente che sente nel cuore che la vita è giusta se si ama, se si vuol bene, se si cerca la pace: tutta questa gente è la nostra speranza.
Tante volte quando leggiamo il giornale o guardiamo la televisione ci sembra che nel mondo ci sia tanto male, tanta gente che fa violenza: non teniamo conto di tutta la gente come noi, tutta la gente che come noi si riunisce in questo momento per pregare, per celebrare il Signore; dei sentimenti che questa gente ha nel cuore, del desiderio di pace che ha portato l'uomo a camminare sempre. Dopo duemila anni ancora siamo qui a celebrare il Signore, la sua nascita, e con noi una moltitudine immensa in ogni parte del mondo, tanta gente che cerca la pace.
È la nostra speranza. E la radice di questa speranza è Lui: questo Bambino che nasce per noi, perché non è un bambino come gli altri: è Dio che ci manifesta così la passione per la nostra vita, la passione per questa nostra terra così splendida e fragile, la passione per questo nostro mondo, per gli alberi, il mare, gli animali, la vita... La passione per la gente, per la gente come noi, la passione per chi fatica a vivere ogni giorno, per chi è povero, per chi è fragile, per chi è piccolo. La passione per la pace, per la giustizia: Dio stesso è venuto a condividere questo nostro cammino; a dire che i sentimenti che ci portiamo dentro stamattina sono quelli giusti, che il mondo può essere bello se tutti cerchiamo la pace.
Ecco, la radice della nostra speranza è un Dio che viene a camminare con noi, a condividere la nostra vita, a confermare i desideri che abbiamo nel profondo. E si affida a noi, questo Dio, fragile e indifeso come un bambino, si affida a noi perché lo accogliamo, lo facciamo crescere, perché gli facciamo spazio. Perché i desideri di oggi ce li portiamo dentro per tutto l'anno che viene. Perché la gioia di Natale riempia tutta la nostra vita. Questo è Natale.
1987
C'è Natale e Natale nella vita dell'uomo: a volte - sarà capitato anche a voi, penso, a chi come me ha ormai parecchi Natali dietro le spalle - il Natale viene nella gioia, nella serenità, nella tranquillità. A volte il Natale viene nel dolore, ed è per quelle famiglie che stasera vorrei parlare, soprattutto per loro. A volte il Natale viene quando c'è una persona che si ammala magari gravemente. A volte il Natale viene in una famiglia dove c'è un bambino, un ragazzo, un giovane, malato seriamente e questo è quasi insopportabile e allora ti viene da pensare che il Signore ha distolto da te il Suo sguardo, dalla tua gente, che non ti voglia più bene. Allora a Natale ti viene da gridare al Signore che se viene, faccia qualcosa per te, ti dia una mano, risolva il tuo problema. E poi, quando vai davanti al Presepe, ti accorgi che è un bambino, un bambino piccolo piccolo, appena nato, che non parla, che non risponde, a cui non puoi chiedere niente, perché è Lui che ti chiede qualche cosa: di essere coperto, difeso dal freddo che fa, dalla notte. Allora non ti resta che tendere la mano e, con quella fede che hai, credere che là Dio è venuto accanto a te, si è fatto bambino, nasce nella tua casa per farti sentire che Dio non ha distolto lo sguardo da te: anzi, che ti viene vicino a condividere il tuo problema, il tuo dramma, la tua pena, il tuo affanno. Dio viene a vivere con te, e se sai accoglierLo nella tua vita, allora è Natale anche per te, è Natale perché senti Dio dalla tua parte, che cammina con te, perché Dio nasce soprattutto là dove c'è un uomo che soffre, che tribola.
A volte noi guardiamo come in questo Presepe, che hanno fatto i nostri artisti, dalle nostre case, tranquilli, pacifici. Guardiamo il dolore del mondo e non ci lasciamo inquietare, siamo abituati ormai. Le nostre case sono tranquille, riscaldate, serene. Al di là della finestra c'è un mondo che soffre, un mondo dove c'è la guerra, anche oggi, dove c'è la gente che ha fame sul serio. Ecco, Lui nasce di là e là ti tende la mano e ti chiede qualche cosa. Lui nasce accanto a chi ha una lacrima sul viso, a chi ha la tribolazione nel cuore e là stende la mano a tutti: a me e a ciascuno di voi e là porta la certezza di un Dio che viene a condividere la nostra vita, fino in fondo. Un Dio che viene perché ci vuole bene, un Dio che vuole vivere con noi, che vuole attraversare con noi questo mondo e chiamarci e gridare.
Non viene a cambiare il mondo con un prodigio, non viene con un colpo di bacchetta magica a risolvere i nostri problemi. Viene a gridarci l'appello di tutti quelli che tribolano e viene a farci sentire che Lui è da quella parte. Non sono i maledetti da Dio, Dio non ha distolto lo sguardo dalla sua gente, da nessuno di voi; soprattutto non l'ha distolto da quelle famiglie dove c'è la tribolazione, la malattia, la sofferenza, la delusione. Dio non è andato via dalla vostra casa, anzi viene e viene per chiamarci là tutti, perché facciamo sentire il calore dell'uomo che crede! Questo significa credere: accettare questo Dio, non il Dio potente, forte, grande, non il Dio che cambia la storia con un colpo di bacchetta magica, ma il Dio bambino che tende le mani, impotente, inerme. Ha bisogno Lui che lo copriamo, che lo accarezziamo, che gli stiamo vicino. Dio nasce là dove l'uomo soffre e là ci chiama e là grida verso di noi e là l'amore di noi, di noi tutti, può fare il miracolo, il miracolo della gioia, il miracolo della consolazione, il miracolo della vita che si rinnova, perché Dio, Dio che si fa bambino, nasce per noi, per tutti, per me e per ciascuno di voi.
Il Signore ci dia il coraggio di accoglierLo, di lasciarci prendere per mano, di lasciarci condurre là dove Dio ci vuol condurre, accanto a ogni uomo che tribola, accanto a ogni persona indifesa, accanto a ogni uomo che conosce il dolore: perché là nasce Dio.
1990
Tante volte nella mia vita sono stato portato a riflettere sui trenta anni vissuti da Gesù nella sua casa di Nazareth. Ma quest'anno il pensiero mi è andato più spesso del solito a quegli anni, a quella casa; forse perché in quest'anno, attraverso i racconti di parecchie persone, ho toccato con mano la difficoltà di vivere in una famiglia: la difficoltà tra marito e moglie, le difficoltà con i figli...
Vedete, noi crediamo che Dio è venuto su questa nostra terra; ebbene dei circa 33 anni che ha vissuto tra noi ben 30 li ha vissuti nel segreto e nella semplicità di una casa qualunque, sperduta in un piccolo paese di questa nostra terra. Di questi 30 anni non sappiamo nulla, i Vangeli di Matteo e di Luca ci dicono qualcosa solo sulla nascita di Gesù, il Vangelo di Marco, il Vangelo che leggiamo quest'anno, non dice su quei 30 anni nemmeno una parola: il silenzio è totale!
E allora possiamo immaginare, immaginare la soddisfazione per un lavoro ben fatto, un tavolo, una sedia - Gesù faceva il falegname - le quattro chiacchiere scambiate davanti al camino, alla sera prima di andare a letto stanchi per il lavoro del giorno, le feste per i compleanni (chi sa se a quel tempo usavano le torte con le candeline), i mal di denti, le malattie, le ansie quando qualcuno si metteva in viaggio e la gioia di ritrovarsi al ritorno, tanti giorni l'uno uguale all'altro, le gioie, le preoccupazioni, le fatiche di una vita qualunque: Dio ha vissuto così per 30 lunghi anni.
Noi che capiamo sempre tutto ci affretteremmo a domandare: perché? Con tutto quello che c'è da fare nel mondo perché sprecare il tempo a non fare niente?
Che Dio abbia voluto dirci che la salvezza passa proprio attraverso la vita di tutti i giorni, che per diventare santi, non bisogna fare grandi cose? Che Dio ami la nostra semplice vita, le nostre case, la gente comune?
Una cosa è certa: Dio ha voluto vivere per 30 anni in una semplice casa come le nostre... Chiediamo a Lui che benedica le nostre famiglie e tutte le famiglie del mondo e ci aiuti a vivere nelle nostre case la pace, la tenerezza, l'accoglienza e l'amore come nella famiglia di Nazareth.
1987
Oggi cercherò di essere il più breve possibile per una serie di motivi: il primo è che in questi giorni rischiamo di fare indigestione sia di Vangelo che di prediche; un altro motivo è che della famiglia di Nazareth nel Vangelo non se ne parla quasi niente. E allora uno può dire quello che vuole: voi che avete sentito parecchie prediche nella vostra vita, avrete constatato che ogni sacerdote dice, a proposito della famiglia, quello che vuole, a seconda di come se la immagina. Ma proprio perché nel Vangelo si parla appena di questa famiglia, si dice che c'è, come abbiano sentito oggi, ma non c'è altro; non sappiamo come vivevano. Noi perciò immaginiamo che si volessero bene (almeno loro!). Non ultimo, dobbiamo tenere presente che in mezzo a noi ci sono molti che non hanno più famiglia perché magari sono rimasti soli, altri hanno una famiglia che si è lacerata, altri che hanno problemi con i figli.
E allora a fare l'elogio della famiglia si rischia soltanto di provocare sofferenze in chi si trova in queste condizioni. Infine, io sono uno che non ha famiglia, quindi sono il meno adatto a parlare della famiglia.
È vero, ho la mia d'origine che ho lasciato, ma non mi sono fatto una mia famiglia. Per noi preti è facile dare buoni consigli, ma quando ci capita di parlare con la gente che veramente è radicata in una famiglia, con la gente che veramente fa l'esperienza di quello che è un figlio, allora là conviene sempre parlare poco e poi nelle prediche succede spesso (me ne sono accorto in questi anni) che quando uno parla, in genere ascolta chi non deve ascoltare. Ascoltano cioè sempre gli altri, quelli che ne avrebbero poco bisogno e che magari se ne fanno un senso di colpa, un senso di preoccupazione, di ansia. E siccome non vorrei aggiungere preoccupazioni a nessuno, questa di oggi è una "non-predica", per cui invito voi e me a pregare insieme per tutte le famiglie del mondo. Soprattutto per chi vive in famiglia delle difficoltà e ce ne sono tante! Per gli sposi che non vivono più l'accordo tra di loro, per quelli che hanno dei problemi con i figli, per quelle famiglie che vivono nella guerra, che vivono nella fame...
Ecco, per tutti loro, ricordiamoci di tutti e quelli di voi che hanno una famiglia bella, felice, tranquilla, ringrazino nel cuore il Signore e il Signore conceda a voi la Sua benedizione e accresca sempre di più l'amore, perché è quello che conta veramente nella famiglia.
1991
Siamo qui insieme per cominciare quest'anno, che il Signore ci mette davanti, nel nome di Gesù. Il Vangelo che abbiano ascoltato ha visto i pastori andare, raccontare le cose che hanno sentito e abbiamo sentito parlare di Maria che conservava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. Ecco, la vita cristiana è proprio questo: camminare per le strade del mondo portandosi nel cuore il ricordo vivo di Gesù, del suo amore, della sua vita vissuta e condivisa con noi.
L'augurio che dobbiamo farci stamattina è proprio questo: di saper camminare tutti nella luce del Signore, di portarceLo nel cuore, nella vita di ogni giorno; Lui, se ci lasciamo condurre, crescerà in mezzo a noi, ci porterà sulle vie della vita, sulla via della pace. Perché oggi, come sapete, è da qualche anno una giornata dedicata alla pace, a riflettere, a meditare sulla pace. E dobbiamo in questo giorno sentirci cittadini del mondo, soprattutto di quei paesi là dove la pace non c'è.
Ci sono in mezzo a noi parecchi che hanno qualche anno dietro alle spalle e che hanno fatto anche qui da noi l'esperienza amara della guerra. Alcuni di voi sanno che cos'è vivere l'incubo delle bombe che cadono, passare i giorni con il rombo del cannone nelle orecchie. Questi giovani, per loro fortuna, non hanno fatto questa esperienza. Possiamo essere testimoni, molti di noi, di quanto sia terribile la mancanza della pace.
Ma la pace è qualche cosa di più che l'assenza della guerra. È fatta anche di comprensione, di attenzione, di tenerezza. A volte manca la pace anche nelle nostre case, quando non sappiamo comprenderci, quando non sappiamo accoglierci, quando non sappiamo rispettarci, quando non sappiano conoscere e riconoscere le nostre diversità. E allora questo segno che abbiamo oggi qui in mezzo a noi - di persone che vengono da paesi diversi e come avete sentito parlano lingue diverse - ci accompagni in quest'anno; la pace si costruisce se ci sappiamo accogliere, se ci sappiamo rispettare nelle nostre diversità, diversità di idee, di mentalità, di carattere.
Quest'anno che incomincia ci veda tutti impegnati a costruire la pace tra di noi: è questo che vuole il Signore, per questo Gesù è nato in mezzo a noi. Conserveremo il ricordo di questi ragazzi che sono venuti qui, che hanno trovato in mezzo a noi un po' di ospitalità; conserveremo il ricordo di gente che cerca la pace, che la desidera, che per questo prega e vive ogni giorno. Pregheremo il Signore perché tutti noi sappiano essere nel mondo testimoni della pace. E dunque con questi propositi e con questi auguri che di cuore ci facciamo, noi cominciamo questo anno con l'impegno di camminare insieme, di camminare alla luce del Signore, di portare nel nostro cuore il ricordo di Lui, di essere nel mondo testimoni dell'amore del Signore.
1988
Abbiano ascoltato le prime parole del Vangelo di S.Giovanni, il cosiddetto prologo, l'introduzione di questo Vangelo. Sono parole un po' complicate e sarebbe un'impresa difficile spiegarle tutte. Quello che invece vorrei fare stasera, è cogliere, al di là di queste parole antiche, il senso profondo ed importante per tutti noi, di quello che abbiamo ascoltato, ed è in fondo un invito ancora a celebrare il Natale, a guardare Gesù.
Lasciatemi però fare un piccolo passo indietro e dire, forse, qualche parola difficile anch'io. Vedete, ogni uomo da sempre cerca Dio, cerca di sapere chi è. Ogni uomo cerca Dio non solo per il gusto della ricerca, ma perché ogni uomo che è vissuto su questa terra sa di non avere in sé stesso la spiegazione della vita. Nessuno di noi ha scelto di nascere: ci hanno fatto nascere ed anche i genitori non hanno scelto, ma qualcuno li ha fatti nascere. E allora ciascuno di noi non ha in sé la spiegazione della vita: se per esempio io faccio una sedia, posso spiegare come è stata fatta perché l'ho fatta io. Ma io da me non mi sono fatto e vado cercando la spiegazione, quello che sta dietro la mia vita: da dove vengo, perché sono così. E se è vero quello che dice la Genesi, che ogni uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio, cercando Dio, in fondo, cerchiamo noi stessi, cerchiamo la radice di quello che noi siamo.
Ma qual è il problema per l'uomo di tutti i tempi? Il problema è che Dio nessuno l'ha mai visto, Dio non si vede, non si può toccare e allora il rischio, che ogni uomo che ha camminato su questa terra ha corso, è stato quello di farsi un Dio, almeno un po', a propria immagine e somiglianza. Ognuno si fabbrica Dio come gli comoda e non è questo un discorso per gente vissuta molto tempo fà, è un discorso che riguarda me e ciascun di voi. Non so se avete mai provato a domandare a qualcuno: "Chi è per te Dio?" e vi sarete sentiti dare tante risposte diverse. Uno dei nostri ragazzi l'altro giorno diceva: "e allora a questo punto Dio è come il vitello!" (sapete, il vitello d'oro nel deserto) "ognuno se lo fabbrica a suo comodo".
C'è qualcuno per cui Dio è il consolatore, a cui ci si rivolge quando si è un po' in crisi, quando ci si sente soli, l'amico, colui a cui parlare e raccontare le proprie cose. Per altri, invece, è il giudice, colui che ha stabilito i comandamenti, colui che punisce chi sbaglia. Per altri ancora Dio è colui che custodisce l'ordine del mondo.
Molti genitori, se provate a domandare perché insegnano la religione ai loro figli, vi risponderanno: "Perché senza religione non trovano la strada, ci vuole qualcuno che insegni la retta via!". Ecco, ciascuno di noi rischia di farsi Dio secondo che gli serve, secondo che gli comoda, secondo che ne ha bisogno. Nel corso della storia abbiamo avuto il Dio che combatteva contro il Dio dell'altro popolo: il mio Dio è più forte del tuo, il mio Dio mi protegge quando combatto contro di te. Ecco che ognuno di noi corre il rischio di farsi Dio come gli fa comodo, di farsi Dio a propria immagine, di costruirselo.
Il Vangelo di oggi ci dice che Dio si è fatto carne, è venuto ad abitare in mezzo a noi. Il Vangelo di oggi ci dice che là, in quel bambino simile a quello che abbiano qui nel presepe, noi possiamo toccare con mano qualche cosa della gloria e dello splendore di Dio. Ma allora dovremmo andare là per imparare. In tanti anni di vita che ho vissuto ormai, in tanti anni che sono prete, che ho letto il Vangelo con la gente, mi sono sempre reso conto che molte persone cercano di interpretare Gesù a partire dalla propria idea di Dio. Voi, per esempio, andate davanti a quel bambino là e dite: "Tu sei Dio, quindi conosci tutto, tu sei Dio, quindi puoi tutto, tu sei Dio quindi sai il futuro!" e potete facilmente capire che quel bambino là non è più un bambino, è qualche cosa che voi immaginate: voi pensate di sapere chi sia quel Bambino! Commettiamo quel grosso sbaglio che spesso ci impedisce di conoscere Dio, cioè ci avviciniamo a Gesù sapendo che è Dio. Dovremmo invece avvicinarci a Gesù per sapere chi è Dio, è da Lui che impariamo chi è Dio. Quando io penso che Dio è infinitamente potente e lo contemplo tremante di freddo sulla paglia, posso incominciare a dire: "Ma cosa significa la potenza di Dio che si fa un bambino così indifeso, tremante, bisognoso di cura? Quando io penso che Dio sia colui che mette ordine nel mondo, colui che divide i buoni e i cattivi, e guardo quel bambino indifeso e penso che finirà crocefisso, allora l'ordine che Dio mette, il modo in cui è presente nella mia vita... Insomma, vorrei dirvi questo: noi dovremmo essere convinti che Dio è venuto ad abitare in mezzo a noi, si è fatto bambino, è cresciuto, ha parlato... e che soltanto lì noi possiamo toccare con mano, sapere qualche cosa, avere un segno della luce, della gloria di Dio. Come dice il Vangelo di Giovanni che abbiamo letto oggi: "il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi e noi abbiamo visto la Sua gloria, gloria dell'unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità." Là c'è la luce, là c'è la grazia, là c'è la verità. Dovremmo andare là col cuore semplice, cercando di sapere là che cos'è la luce, cercando di sapere là che cos'è la verità; chiedendola a Gesù tendendo a Lui la mano, non pretendendo di sapere già la verità. Nessuno di noi ha mai visto Dio; possiamo toccare qualche cosa in Gesù, se gli facciamo spazio, se lo lasciamo crescere nella nostra vita.
Il Signore ci aiuti!
1991
Abbiamo finito di ascoltare proprio ora il secondo racconto che abbiamo della nascita di Gesù. Tutti voi, penso, ricorderete il primo racconto: lo abbiamo letto la notte di Natale e il giorno di Natale, ricorderete l'atmosfera di quel racconto: fuori dalla città, lontano dal rumore degli uomini, soltanto Maria, Giuseppe, qualche pastore di buona volontà. Tutto il rumore della gente, la violenza della città, è lontana; nella semplicità, nella povertà di una capanna, nasce Gesù e intorno, i cori degli angeli, il canto della gloria di Dio. L'atmosfera di quello che abbiano letto stamattina, il racconto che Matteo ci fa, è profondamente diversa. Matteo sentiva con forza la presenza, il rumore della città intorno alla nascita di Gesù. L'arroganza dei sacerdoti, dei maestri della legge, di chi sa tutto, di chi pensa di possedere la verità, di chi non ha più bisogno di niente; il conformismo, la pigrizia della folla, della gente, la città che si agita, ma nessuno si muove. L'inganno di Erode, la sua violenza, la violenza del potere di questo mondo.
Queste cose le troviamo ancora oggi: meno, certamente, che al tempo di Gesù; il tempo in cui Gesù è nato era profondamente più violento di quello di oggi, più intollerante, ma ancora queste cose le troviamo; è la parte oscura che c'è nel nostro mondo.
Insieme alla luce ci sono anche le tenebre nel nostro mondo: le ritroveremo domani, nella nostra vita concreta, nel posto di lavoro; chi si guarda intorno, chi guarda la televisione, ritroverà l'intolleranza, la pigrizia, la violenza.
Il dramma è che queste cose non stanno soltanto fuori di noi, in mezzo alla gente, sono anche dentro di noi: nel nostro cuore, nella nostra vita si annida lo spirito dell'intolleranza, si annida lo spirito della violenza, c'è la pigrizia nella nostra vita, l'incapacità di andare, le tenebre. Nelle tenebre, il Vangelo di oggi ci propone come esempio, come modello per la nostra vita, questi tre Magi. Tre persone di cui non sappiamo niente; soltanto sappiamo di loro che inseguono la luce: hanno visto sorgere una stella e vanno, la leggenda dice: traversando valli e deserti, camminando inseguitori di Luce, alla ricerca della verità, del senso, vanno! E non si fermano! Non li ferma la città, non li ferma la folla, non li ferma la violenza di Erode. Solo per prudenza se ne tornano per un'altra strada al loro paese, ma vanno cercando la luce e quando arrivano, non sono lì a chiedere, ma hanno qualcosa da offrire, qualche cosa da donare.
Anche noi abbiamo questo da fare in quest'anno che ci sta davanti: anche noi chiediamolo allo Spirito, che ci faccia tutti cercatori di Luce nella vita di ogni giorno, mendicanti di senso, di verità, che anche noi possiamo scoprire la gioia di conoscere Gesù, di trovare in Lui la luce che illumina i nostri passi e il coraggio di dare qualche cosa, di offrire un po' di noi stessi. Non abbiamo oro, incenso e mirra, siamo gente di tutti i giorni, ma un po' della nostra vita, un po' di quello che siamo possiamo donarlo, qualche bicchier d'acqua a chi cammina con noi. Eccoci! il cristiano è questo: un cercatore di Luce, un mendicante di verità, è uno che sa donare qualcosa di sé.
Il Signore ci aiuti.
1988
Quello che abbiamo ascoltato oggi non è il seguito di quello che abbiamo ascoltato la notte e il giorno di Natale, è un'altra narrazione. Si tratta infatti del racconto che il Vangelo di Matteo fa della nascita di Gesù, un racconto che si presta per quest'ultimo giorno delle feste di Natale: come avrete notato anche voi, l'atmosfera è completamente diversa. Mentre Luca ci ha donato nel suo Vangelo l'atmosfera del Natale, un'atmosfera pacifica con il canto degli angeli, i pastori che vengono ad adorare il Signore, la povertà di Gesù, che nasce in una stalla, Matteo ci propone invece un racconto ricco di contrasti profondi, un racconto drammatico.
Penso che sia abbastanza difficile capire tutto quello che vi è di sconvolgente in questa pagina, specialmente per un ebreo come Matteo. Matteo ha messo qui tutto il suo sconcerto per quello che è accaduto, per l'esperienza che ha fatto: era nato in quella terra, faceva parte della grande storia di Israele. Gli ebrei ponevano la loro sicurezza da tempo (ma era scritto anche nella Bibbia) nelle grandi istituzioni di Israele. Gerusalemme innanzi tutto. Avete sentito nella prima lettura il Canto di Isaia per Gerusalemme che diventa il luogo di raduno di tutti i popoli: tutti dovrebbero accorrere là e Gerusalemme risplende come un monte di luce. In Gerusalemme c'era il tempio di Dio: il popolo di Israele era convinto che Dio abitasse là, e il tempio dava sicurezza al suo popolo.
L'altra grande istituzione di Israele è il re, il discendente di David: è Erode, il legittimo re di Israele. E poi i Sacerdoti, tutta l'istituzione sacerdotale che ogni giorno offriva il sacrificio al Signore, era mediatore tra Dio e il popolo, garanzia della Sua benedizione. E poi i maestri della Legge, coloro che studiano le antiche scritture, che sanno tutto di Dio e della religione
Tutto questo - lo avete ascoltato- è spazzato. La stella, quando arriva a Gerusalemme, addirittura si oscura, i Magi non la vedono più; soltanto quando sono usciti dalla città santa, ritrovano la luce. Le grandi istituzioni, quelle che davano sicurezza alla gente, non hanno permesso di incontrare Gesù, di accogliere il Dio che viene! Gesù nasce fuori da Gerusalemme, mentre il re lo perseguita, i sacerdoti non sanno riconoscerlo, gli scribi dicono dove deve nascere, ma nessuno lo va a cercare.
Per Matteo, questo è veramente la fine di un mondo, il dramma di chi non ha saputo accogliere Gesù: perché non l'hanno saputo accogliere? Perché si sentivano sicuri, credevano di avere la salvezza, perché credevano di essere ormai il popolo di Dio. Loro avevano il tempio, la città santa, il Sacerdozio, la discendenza regale. Matteo si accorge, ed è il dramma della sua vita, che tutto questo non conta niente, che dei pagani, degli stranieri, degli increduli, hanno riconosciuto Gesù, perché loro inseguivano la luce, loro cercavano, mentre gli altri, la gente di Gerusalemme, difendevano chi la tradizione, chi la propria scienza, chi il proprio potere, il loro stare tranquilli... nessuno cerca più il Signore.
Tutti noi veniamo dall'aver celebrato le feste di Natale; penso che tutti noi ci sentiamo buoni perché magari nelle nostre case abbiamo fatto il Presepe, siamo venuti a Messa tante volte in questi giorni, abbiamo compiuto il nostro dovere, abbiamo celebrato Gesù: è nato ancora in mezzo a noi! Ecco, questa pagina sconvolgente del Vangelo di Matteo ci dice: "non basta questo, anzi, può essere pericoloso" Non basta sapere chi è Gesù, non basta vederlo nascere nelle nostre Chiese, nelle nostre case, non basta fare il Presepio, sentire il pizzicore nel cuore nei giorni di Natale. Occorre cercare il Signore, far strada con Lui, inseguire la sua luce e questo è compito di tutti i giorni, compito possibile a chi non si sente buono, a chi non si sente arrivato, a chi non si sente giusto. Così si sentivano gli scribi, i sacerdoti, così si sentiva Erode.
Noi dovremmo essere invece come i magi: è l'augurio che io faccio anche a me stesso, prima di tutto, e a ciascuno di voi: che in quest'anno anche noi, come i Magi, sappiamo andare alla ricerca, inseguitori di luce, inseguitori di giustizia, quella giustizia che non abbiamo dentro di noi, che non ci è garantita dal fatto di essere qui, a pregare in questa Chiesa. Quella luce e quella giustizia che dobbiamo cercare ogni giorno: dove il Signore nasce accanto a noi e ci tende la mano, nella gente che vive con noi. È là che dobbiamo cercare la luce del Signore, è là che, come i Magi, dobbiamo inseguirla.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1991
Tante volte ho commentato con voi questa pagina del Vangelo; perché leggiamo ogni anno quest'episodio del Battesimo di Gesù e, se permettete, quest'anno, anche per non ridirvi sempre le stesse cose, pensavo di dire qualche cosa su un'altra frase che suscita sempre nei cristiani molte domande. La frase su cui vorrei attirare la vostra attenzione è questa: "Io vi ho battezzato con acqua", sono parole di Giovanni Battista, "ma Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo".
Che cos'è questo Battesimo con lo Spirito Santo? È una domanda che mi sono sentito fare molte volte.
I primi cristiani sentivano così fortemente che il Battesimo di Gesù era qualche cosa di profondamente, radicalmente diverso da tutti i riti di acqua che si conoscono sulla faccia della terra, che loro non lo facevano nemmeno. Il rito di acqua è comune a quasi tutte le religioni; l'acqua è uno dei simboli più profondi e antichi dell'uomo. È il simbolo della pulizia, ma soprattutto il simbolo della vita che rinasce. Tutti, penso, avrete visto alla televisione, gli indù che si bagnano nel Gange, avrete, forse, letto sui libri che in molte tribù dell'Africa si usa l'acqua per i riti di purificazione o che gli Etruschi facevano i loro bagni nelle piogge di primavera. L'acqua è un simbolo universale, un grande simbolo. Ma i primi cristiani avevano paura di questi simboli; sembrava loro di ridiventare pagani e volevano addirittura togliere ogni simbolo. Il Battesimo di Gesù era allora l'invocazione del Suo nome e l'imposizione delle mani. Poi si sono resi conto che noi uomini siamo povera gente, abbiamo bisogno anche dei nostri simboli. Anche in mezzo alla nostra chiesa, c'è ancora l'acqua e ancora battezziamo con acqua. Ma l'importante è che il Battesimo sia anche per noi un Battesimo nello Spirito Santo e non un rito quasi magico.
Qui fate attenzione! Che cos'è il Battesimo? E che cosa non è il Battesimo? Non è un rito magico che serve a scacciare le malattie: ci sono ancora alcuni che hanno paura che, se i loro bambini non vengono battezzati, Dio poi possa mandare al bambino qualche malanno. Oppure qualcuno pensa che il Battesimo sia una specie di lavacro, in cui si purifica l'anima del bambino, la si libera da una specie di macchia, si toglie quella specie di colpa, quasi magica, che è il peccato originale. C'è ancora qualcuno che pensa che se il bambino non viene battezzato vada al Limbo, lontano da Dio.
Voi siete tutte persone sagge! Potete pensare che Dio mandi le malattie ad un bambino non battezzato e non le mandi ad un bambino battezzato?! E che Dio sarebbe! O che Dio allontani da sé un bambino non battezzato?! E che colpa ne ha quel bambino!
Tutte queste cose, che sono ancora radicate nella mentalità di molte persone, per chi tenta di credere seriamente, per chi pensa le cose della fede, per chi prega sul serio, sono sciocchezze.
Il Battesimo è qualche cosa che riguarda non la magia, non la scaramanzia, non la paura delle malattie, non la paura di andare all'inferno (perché tutti per fortuna, siamo affidati all'amore di Dio!): riguarda la proclamazione dell'amore di Dio sulla vita degli uomini.
Ecco perché il Battesimo è qualcosa che riguarda noi adulti e che, nel caso del Battesimo di un bambino, riguarda la fede dei genitori. Ai genitori è richiesto, al momento del Battesimo, di professare la propria fede e di scegliere di camminare nello Spirito.
Ma prima della scelta c'è una cosa su cui vorrei richiamare la vostra attenzione. Il Battesimo è proclamazione dell'amore di Dio; è dire al mondo che Dio vuole bene ai bambini, agli uomini, alla vita, a tutti, non solo a quelli a cui si mette l'acqua sulla testa.
Quando si sente la voce che proclama: "Tu sei il Figlio..." Perché prima non lo era Figlio di Dio? Lo era anche prima! Eppure in quel momento si sente la voce! Si proclama! Si manifesta! Si confessa! Si crede! Si gioisce per qualche cosa che è da sempre. Gesù è da sempre il Figlio di Dio.
Quel bambino che i genitori portano al fonte battesimale, è un figlio di Dio come ogni bambino che nasce sulla terra; questo bambino è immerso nell'amore di Dio e noi proclamiamo e ringraziamo e celebriamo: il bambino non può farlo, ma i genitori sì.
Scegliamo di camminare nella luce di Dio, di cercare la luce dello Spirito, di cercare la volontà del Padre. Noi tutti siamo battezzati nello Spirito Santo! Che significa? Significa che Dio ci ama tutti e che noi tentiamo di amare Dio, di cercare la Sua luce, la Sua volontà.
Il giorno del Battesimo ci è stata consegnata la preghiera del "PADRE NOSTRO". È la preghiera dei figli, e che cosa diciamo? Padre, noi sappiamo che Tu sei Padre per noi, cerchiamo la Tua volontà, cerchiamo che sia santificato il Tuo nome, cerchiamo di camminare con Te, cerchiamo di volerci bene, di perdonarci.
Questo significa essere battezzati nello Spirito Santo. Non quindi qualche cosa che ci toglie una macchia, che ci fa diversi dagli altri, ma proclamazione dell'amore di Dio e scelta di voler bene a Dio, come Lui vuole bene a noi, ricerca ogni giorno della Sua volontà.
Il Signore ci aiuti.
1988
Abbiamo lasciato soltanto mercoledì scorso Gesù bambino, ancora nella culla. Le feste di Natale ci hanno portato a contemplare in Gesù Dio che si fa carne, che diventa uno di noi, che nasce fuori della città, in una stalla, in mezzo alla povera gente. Abbiamo contemplato Dio in un piccolo bambino indifeso e inerme; lo abbiamo contemplato ritrovando la sorpresa e lo stupore, tentando di vivere il Mistero del Natale. Abbiamo contemplato Dio, che a volte immaginiamo grande, potente, che si fa, per amore nostro, un piccolo bambino.
Ci siamo sorpresi davanti alla capanna di Betlemme, ma la sorpresa non è minore oggi! Il Bambino è cresciuto ormai e comincia la sua missione: il Figlio di Dio, fatto carne, diventato uno di noi, comincia la sua opera in mezzo agli uomini, e come la comincia? Un uomo che viene da Nazareth e che si mette in fila con tutta l'altra gente che va a riconoscere il proprio peccato. Va a farsi battezzare: un rito di purificazione che è comune un po' a tutte le religioni del mondo. Un uomo che vuole essere purificato, lavato, che vuole immergersi nell'acqua per rinascere di nuovo, che vuole ricominciare una nuova vita.
C'era tanta gente che accorreva alla predicazione di Giovanni il Battista e che veniva da Gerusalemme, e si immergeva nell'acqua, per purificarsi, per ricominciare una nuova vita, perché sentivano di non essere giusti. In mezzo a loro un uomo venuto da Nazareth: per voi Nazareth è la città di Gesù, la città in cui Gesù è cresciuto, in cui ha vissuto per più di 30 anni... ma per gli apostoli, per i primi discepoli Nazareth era un piccolo paese sperduto: quando io ero bambino si diceva: "che vieni da Sgurgola?" per indicare un paese insignificante, un paese abitato da gente quasi selvatica e un po' sciocca. "Cosa può venire di buono da Nazareth?" si legge in una pagina del Vangelo. Così era considerata Nazareth al tempo di Gesù: un piccolo paese insignificante in una terra semi-pagana, un paese di pecorai, di gente ignorante e anche un po' miscredente.
Ecco, un uomo viene da là. Un uomo di tutti i giorni, un operaio, un falegname, un muratore, un fabbro, qualche cosa del genere: perché Gesù ha fatto un po' tutti questi mestieri, come succede in questi piccoli paesi dove non c'è il fabbro, il muratore, il falegname. C'è uno che fa tutto, che sa arrangiarsi con le sue mani. Così era Gesù: un uomo qualunque, da un piccolo paese qualunque: viene, non con un segno di potenza, non si mette a fare il giudice, non dice a Giovanni: "Ecco, adesso fatti da parte perché sono arrivato Io". No, si mette in fila con la gente di tutti i giorni, come potremmo essere noi.
Vi invitavo, all'inizio di questa nostra celebrazione, proprio a metterci in fila, a riconoscere che in fondo anche noi non siamo giusti, non siamo buoni. E Gesù, se venisse in mezzo a noi, non verrebbe a dirmi: "Checco, adesso togliti un po' di mezzo". Io farei come ha fatto Giovanni, direi subito: "Vieni qua, mettiti al posto mio; che faccio io più qui, se sei venuto Tu? Mi tolgo subito di mezzo!" E Gesù direbbe come a Giovanni: "Lascia, adempiamo ogni giustizia".
Se oggi Gesù venisse qui a cominciare la Sua missione, sarebbe in mezzo a noi, sconosciuto: un uomo qualunque, semplice, senza grande cultura, senza alcun segno apparente. Si metterebbe accanto a voi (accanto a me, anche) per fare strada con noi. La liberazione di Dio viene attraverso uno che ci si mette accanto e che vuole camminarci vicino, vuole mostrarci la strada, vuole portarci la speranza e la vita. Ecco, lo Spirito di Dio scende su di Lui perché possa essere la guida di chiunque vuole seguirlo. Perché possa condurre tutti gli uomini, e quindi anche noi, alla liberazione da ogni male, alla pienezza della vita e dell'amore. Allora non ci resta che accogliere Gesù, compagno della nostra strada, prenderlo per mano e dirgli: "Fa scendere anche su di noi il Tuo Spirito, fa che possiamo camminare con te, liberaci dal male, liberaci dall'egoismo che ci portiamo dentro, rendici ricchi del tuo amore, facci fare strada con Te, facci camminare con Te.
È la preghiera che possiamo rivolgergli insieme, in questa prima domenica del tempo ordinario dell'anno. È la strada che della povera gente come noi, della gente che sa di non essere buona, della gente che ha il cuore pesante, può fare insieme a Gesù, perché Lui è venuto per noi, non per chi si sente giusto, ma per chi sa di non farcela ad essere buono; è venuto per camminarci accanto e per darci la speranza della salvezza.
Preghiamolo insieme.
1991
Spero che pochi tra di voi, si aspettino che io dica qualche cosa sui terribili fatti che stanno succedendo in questi giorni. Non dirò niente per tre motivi che ritengo buoni: il primo e forse il più importante è che non ne sono capace; il secondo è che voi ascoltate, in questi giorni, tante e forse troppe parole e un po' più di silenzio servirebbe al nostro essere uomini; il terzo - ritengo anche questo importante - è che di fronte alle grandi paure dell'uomo, la cosa migliore è che ciascuno di noi si concentri su quello che deve fare ogni giorno, e cerchi di farlo il meglio possibile. La risposta alla paura, all'ansia per il futuro, è, secondo me, vivere il presente alla luce del Signore meglio che si può.
Allora, io mi sforzo di dirvi due parole sul Vangelo che abbiamo ascoltato e voi cercate di accogliere le mie parole con benevolenza, come si conviene a bravi cristiani, e anche di riflettere un po' su questa pagina del Vangelo: per questo siamo qui, per ritrovarci con il Signore, per trovare in Lui un po' di Luce per il nostro cammino.
Vorrei richiamare la vostra attenzione su una parte di questo Vangelo. Noi abbiamo letto qui la chiamata dei discepoli, lo abbiamo letto nel Vangelo di Giovanni. Interrompiamo in questa domenica la lettura di Marco. Domenica prossima leggeremo lo stesso fatto nel Vangelo di Marco e sarà un po' diverso. Qui, Giovanni vuol mettere in evidenza qualche cosa: i discepoli, Andrea, Giacomo, Pietro, Giovanni, hanno incontrato Gesù mentre erano discepoli di Giovanni Battista: tutti insieme, andavano da lui. Anche Gesù, lo abbiamo visto domenica scorsa, è andato a farsi battezzare da Giovanni. Ad un certo punto, Giovanni stesso, che era parente di Gesù, ha indicato ai discepoli il Maestro, ha indicato Gesù con le parole che noi ripetiamo nella Messa: "Ecco l'Agnello di Dio".
Poi Giovanni attira la nostra attenzione su quello che succede dopo. I discepoli vanno da Gesù e si mettono a camminare dietro di Lui. In un primo momento la scena si svolge quasi in silenzio: Gesù va sulla strada e i discepoli camminano dietro. Ad un certo punto si volge e domanda: "Che cercate?". I discepoli rispondono: "Maestro, dove abiti?" Questa parola "dove abiti?" ritorna tre volte, non nella traduzione, ma nel testo greco. Nel modo di esprimersi di Giovanni, è un modo forte per dire: "Chi sei, che cosa pensi, che cosa fai, dove stai, qual è il tuo modo di agire?".
Gesù non dà lunghe spiegazioni, dice: "Venite e vedrete". E andarono, dice il Vangelo, e videro dove abitava e si fermarono ad abitare con Lui: stettero presso Gesù. Con queste poche righe, il Vangelo di Giovanni ci dice chi è un cristiano, qual è il nocciolo del nostro essere cristiani, il senso del nostro ritrovarci qui domenica dopo domenica. Il cristiano è uno che cerca di scoprire dove abita Gesù, chi è Gesù, che cosa vuole Gesù, cosa pensa Gesù, come si comporta Gesù, quali sono i valori in cui Gesù crede.
Questo sembrerebbe scontato, e non lo è. Non lo è per me, penso non lo sia per voi. Non siamo abituati a misurare tutto quello che pensiamo, che diciamo, che facciamo con Gesù, con i suoi valori. Ogni tanto mi capita che qualcuno mi porti un libricino di qualcuno che passa per una persona pia; oppure qualcuno che mi racconta strane storie, come storie edificanti. Qualche giorno fa, mi portavano uno di questi libretti e mi chiedevo: "Come è possibile che mi diano come una cosa cristiana questo scritto! È pieno di rancore, di odio, pieno di intolleranza, i protestanti sono chiamati addirittura "figli prediletti del diavolo"; possibile che qualcuno pensi che questo sia lo Spirito di Gesù?" Ma quante volte è capitato qualcosa di simile nella storia della Chiesa, in ogni angolo del mondo!
Ogni cristiano, di fronte agli avvenimenti, al momento di giudicare dovrebbe chiedersi: "Ma Gesù cosa pensa?". Dove c'è intolleranza, dove c'è odio, dove c'è rancore, dove c'è violenza, là non c'è lo Spirito di Gesù. Dove c'è il parlar male degli altri, dove non c'è la comprensione per i piccoli, per i poveri, là non c'è lo Spirito di Gesù! Perché anche noi diciamo, qualche volta, che è cristiano il nostro rancore, la violenza che abbiamo dentro? Essere cristiano significa tentare di camminare giorno per giorno, portando un po' della luce di Gesù nella nostra vita.
"Maestro, dove abiti? Come giudichi il mondo? Cosa pensi di quello che ci capita intorno?" Ecco la domanda che dovrebbe far parte della vita di un cristiano. E dove troviamo lo spirito che è contrario allo Spirito di Gesù dovremmo dire: "No, questo non è giusto! Questo non è cristiano!" e andare per un'altra strada.
Essere cristiani non significa fare grandi cose, non significa moltiplicare tante preghiere, non significa avere tante immagini in giro per la casa. Essere cristiani significa soltanto cerare Gesù, i Suoi valori, la Sua vita, il Suo amore, la Sua comprensione, la Sua bontà. CercarLo ogni giorno e, se ci riesce, portare un pizzico dei suoi valori nella nostra vita.
1988
A volte ci si rammarica dei cambiamenti che ci cono stati negli ultimi tempi nella vita della Chiesa. Mi capita, infatti, di sentire qualche persona che ha qualche anno di più (ma succede anche con gente più giovane) che rimpiange i tempi di una volta, quando la Messa era in latino, quando si facevano le feste, le processioni... e non si accorge, in questo rimpianto, in questo ripensare al passato, di quelli che sono i veri cambiamenti, profondi, che sono accaduti nel nostro tempo, all'interno della vita della Chiesa.
Ed è proprio su questo che vorrei attirare oggi la vostra attenzione. Posso parlare in maniera personale: sono nato in Trastevere, là sono cresciuto, la mia chiesa era S. Maria in Trastevere: spero che qualcuno di voi sia stato a visitarla perché è una delle più belle chiese di Roma. Chi è stato a visitarla sa che, rispetto alla nostra, è una chiesa immensa, molto vasta e ricordo che, quando ero ragazzo, la chiesa era sempre piena di gente. A quel tempo la maggiore parte della gente andava in chiesa. Io, fino a 16, 18 anni, quando ho cominciato a leggerlo sui libri, non avevo mai incontrato una sola persona che avesse detto: "io non credo in Dio, non credo nella Madonna". Quando nel mio quartiere si facevano le processioni, (quando ero bambino, adesso non si fanno più) tutto il quartiere partecipava in fila. Si era cristiani allora perché tutto il mondo intorno a noi era cristiano.
Ricordo l'impressione profonda che mi fece - quando avevo 15, 16 anni - il fatto di due miei cugini, due cugini un po' più grandi di me, che io guardavo con ammirazione quando andavo al paese dove sono nati i miei genitori, un piccolo paese sperduto sull'Appennino, come tanti altri paesi d'Italia. Ero dunque colpito dal fatto che questi due miei cugini più grandi di me, ogni sera andavano in chiesa, al Rosario e poi alla Messa. A me non garbava molto e quindi non ci andavo, anche perché mi era abbastanza noioso recitare il Rosario come facevano loro. Ma ero ammirato per questo paese in cui tutti, la sera, quando tramontava il sole, dopo il lavoro e prima della cena, si radunavano in chiesa, pregavano, partecipavano alla Messa e al Rosario. La cosa che mi colpì profondamente è che quando questi miei cugini sono venuti a Roma per lavorare (sono stati qua un paio di mesi), dal giorno del loro arrivo, fino al giorno in cui sono ripartiti, non sono più andati alla Messa. E questo, me ne ricordo ancora, mi aveva colpito profondamente e mi chiedevo: "Cosa succede, perché questo, dove andiamo con la nostra religione?". Perché io a Roma, a 15, 16 anni, ero già abituato al fatto che molta gente non veniva alla Messa, ma io che ci andavo, ormai cominciavo a fare la mia scelta, diventava un fatto personale! Ma mi colpiva che questi miei cugini, che ritenevo migliori di me, perché andavano tutti i giorni alla Messa, quando sono venuti qua, non ci sono più andati. E quello che è successo a loro, è successo a tanti ragazzi, a tanti giovani in questo nostro paese. Quando io ero bambino, l'80% andava alla Messa, oggi va alla Messa il 10, 15% della gente. Allora, vedete, il cambiamento radicale che è accaduto nel nostro essere cristiani, è proprio qui: noi siamo ricondotti - ed ecco il perché di questo discorso - al tempo di Gesù Cristo, quando essere cristiani era una scelta, era la risposta ad una chiamata, non una cosa fatta per abitudine, perché così facevano tutti. Noi siamo ricondotti alla situazione in cui ciascuno di noi deve preoccuparsi di scegliere Gesù, di conoscere il Signore, di rispondere alla Sua chiamata.
È questa l'unica condizione che ci permetterà di essere cristiani e lo permetterà ai nostri figli e ai nostri nipoti. Non possiamo più contare sul fatto che il cristianesimo sia un fatto sociologico e credo che non valga più nemmeno la pena di rammaricarcene, perché quando la mia Chiesa era piena di gente, la maggior parte chiacchierava, non ascoltava (anche perché la Messa era in latino); c'era tanta buona gente sì, ma faceva le cose per abitudine. Oggi possiamo fare le cose soltanto per scelta e questa scelta esige però che ci rimettiamo nelle condizione di questi discepoli che cercano il Signore e Lui si volta indietro e domanda "Che cercate?" e loro rispondono "Maestro, dove abiti, chi sei, che cosa fai, qual è la tua parola?" e Gesù dice: "Venite e vedrete!". Questo invito è rivolto anche a tutti noi: se vogliano continuare ad essere cristiani, dobbiamo andare e vedere e conoscere il Signore.
A volte sono colpito, quando mi trovo con qualche ragazzo, magari con quelli che si preparano per la Cresima, e domando: "Chi è per te Gesù? se dovessi parlare a qualcuno che non lo conosce, che cosa diresti? che cosa ha detto Gesù, che cosa ha fatto?" e vedo che mi guardano a bocca aperta, non sanno dire gran che. Allora mi domando: "Come faranno a rimanere cristiani, se non conoscono il Signore, se non lo cercano ogni giorno, se non cercano la sua parola?". Noi viviamo una situazione già vissuta dai discepoli - ce la ricordava il ritornello dell'alleluia - c'è stato un momento di crisi nel rapporto di Gesù con la gente: la gente cominciava ad andarsene e Gesù si rivolge ai discepoli e chiede: "volete andarvene anche voi?" e Pietro risponde "dove andremo, Signore, Tu solo hai parole di vita eterna". Ecco la condizione irrinunciabile per essere cristiani oggi: aver scoperto che Gesù ha parole di vita, ha parole che possono arricchire, illuminare, trasformare la nostra vita. Ecco allora l'esigenza per tutti noi di continuare a cercare il Signore, perché non è una ricerca che si fa una volta per tutte: lo si cerca per tutta la vita.
Io ho più di 50 anni e ho letto innumerevoli volte ormai il Vangelo; eppure posso assicurarvi che, ogni volta che lo leggo, scopro qualche cosa di nuovo. E poi non basta cercarLo, occorre anche testimoniare la sua vita, il suo amore, la sua parola. Io questo non ho saputo farlo, come dicono i nostri bimbi, sono un parroco un po' sciagurato; spero che voi siate un po' meglio di me, che possiate continuare a cercare veramente il Signore e a testimoniare la Sua vita e il Suo amore.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1988
Domenica scorsa abbiamo ascoltato un altro racconto della chiamata dei discepoli; gli stessi personaggi: Simone, suo fratello Andrea, Giacomo e Giovanni. Ma il racconto che abbiamo sentito domenica era profondamente diverso da quello che abbiano ascoltato oggi. Se ricordate, domenica abbiamo ascoltato che questi personaggi (Andrea, Simone, Giacomo e Giovanni) erano discepoli di Giovanni il Battista e lui ha indicato loro Gesù, con la parola che ripetiamo nella Messa "ecco l'Agnello di Dio". E questi discepoli hanno cominciato allora a seguire Gesù. Gesù si volta e chiede "Chi cercate, cosa andate cercando?'' e loro domandano: "Maestro, dove abiti?" e Gesù dice: "Venite e vedete". E quei discepoli sono andati e hanno cominciato a conoscerlo, a stare con Lui.
Oggi ascoltiamo un racconto diverso. Questi uomini, infatti, sono a pescare sul lago, a fare cioè il loro mestiere di pescatori e Gesù passa, - sembra che non lo abbiano mai conosciuto, a leggere il Vangelo di Marco, - e li chiama e loro lasciano le reti e lo seguono. Sempre, quando si legge il Vangelo con la gente, c'è chi domanda: "Ma come è possibile: non lo conoscono e subito lo seguono!" Se a noi capitasse che qualcuno che non abbiamo mai conosciuto ci chiami, ci inviti a seguirlo, risponderemmo: "dove? chi sei, perché mi chiami; cosa vuoi?". Invece nel Vangelo che abbiamo ascoltato oggi, tutto sembra straordinario: Gesù passa e i discepoli, appena sentono la Sua voce, subito lasciano tutto e vanno.
Perché hanno raccontato così? Le cose sono andate probabilmente come abbiamo ascoltato domenica scorsa. Ma perché, man mano che i discepoli raccontano la loro chiamata, sempre più mettono l'accento su questo fatto quasi straordinario che Gesù ha attraversato la loro vita, si sono sentiti chiamare e lo hanno seguito. Io non posso dirvi che cosa pensavano gli Apostoli quando hanno scritto queste cose: dico, come sempre, quello che penso io, evidentemente! Riflettendo su questo racconto, mi è venuto di ripensare alla mia vita, e questo può forse aiutare anche voi a ripensare alla vostra, perché se siamo qui tutti noi siamo stati chiamati, abbiamo ascoltato la voce del Signore. Mi è successo tante volte di sentire la fatica di cercare il Signore, qualche volta mi sembra di fare un grande sforzo a superare i miei dubbi, a riconoscere la Sua voce a prendere sul serio la Sua parola. Sembra che tutto dipenda dal tuo sforzo, dalla ricerca che fai, e ti dimentichi della fortuna che hai avuto perché Lui ha attraversato la tua vita. In fondo Gesù non ce lo siamo costruito noi, attraverso la voce per me di mio padre, di mia madre, della gente che ho conosciuto, del Vangelo che ho potuto leggere: ha attraversato la mia vita prima che potessi cercarlo, prima che potessi fare il mio sforzo, debbo rendermi conto della fortuna che ho avuto perché Lui mi ha attraversato la vita.
Ma qualche volta il discorso si fa più complicato, qualche volta a me è capitato di dire (forse a voi no, perché siete più bravi di me, ma forse è capitato anche a qualcuno di voi): "Ma perché mi è capitato di conoscere il Signore, perché ho cominciato a leggere il Vangelo? Forse vivrei meglio se non l'avessi mai conosciuto, se non avessi mai ascoltato la sua Parola; vivrei pensando ai fatti miei, non impicciandomi degli altri. Chi me l'ha fatto fare? perché non sono nato in un'altra parte del mondo e non ho mai sentito parlare di Lui?" Poi ci ripenso e dico tra me: "Ma cosa sarebbe la mia vita senza la luce del Signore? Senza la sua chiamata, senza quello che ho trovato in Gesù: l'annunzio della libertà, della vita, l'annunzio della tenerezza di Dio, del Suo perdono, l'annunzio del progetto del Regno... Cosa sarebbe la mia vita?"
Vedete, a volte questo succede per tante cose della nostra vita: ci sentiamo dei grandi lavoratori, della gente che vive con grande impegno; a volte ci costa fatica vivere, anche in casa: sarà successo anche a voi qualche volta di lamentarvi per lo sforzo che fate per i vostri figli, la fatica che vi è costata per crescerli. Alle volte viene voglia di dire: ma se non avessi conosciuto questa donna, quest'uomo, forse sarei stato/a meglio poi ci ripensate e dite: "Ma che dico; cosa sarebbe stata la mia vita senza i miei figli? Cosa sarebbe la mia vita senza mia moglie, mio marito?" A volte lo sforzo che facciamo ci fa dimenticare la fortuna che abbiamo avuto perché certe persone hanno attraversato la nostra esistenza. Incontri che abbiamo fatto... La stessa cosa vale per Gesù.
Io vorrei invitarvi, oggi con me, a questa riconoscenza: c'è tanta gente nel mondo che non ha avuto la fortuna di conoscere il Signore, di sentire la Sua parola, di camminare alla Sua luce. Noi siamo persone fortunate che abbiamo sentito parlare di Lui, che abbiamo potuto ascoltare il Suo appello, la Sua chiamata, la Sua voce. Dovremmo avere una grande riconoscenza nel cuore, come l'avevano i discepoli.
Domenica scorsa la parola di Gesù era: "Chi cercate?" Sembra quasi che loro andassero cercandolo... Man mano che raccontano, dicono: "Ci ha chiamati, Lui ha attraversato la nostra vita: è stata la nostra grande fortuna, ci ha cambiati dentro, ci ha trasformati, ci ha messo nel cuore la gioia di vivere, ci ha data il senso della vita".
Questa è stata la nostra fortuna! Allora diventiamo pescatori di uomini, allora ci sforziamo di dare agli altri il dono che abbiamo ricevuto. Allora sentiamo di essere creditori nei confronti della vita: abbiamo ricevuto tanto....
Tutti noi che siamo qui abbiamo ricevuto tanto dalla vita, e dono su dono: la gente che ci sta intorno, le persone che abbiamo amato, le persone che ci hanno voluto bene. Quanta gente nel mondo può dire così?... E la fede, l'aver conosciuto il Signore!
E allora se conserviamo questa gratitudine nel cuore, sentiamo anche l'esigenza di dare, di rendere amore per amore, di restituire alla vita un po' di quello che abbiamo ricevuto.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1991
Continuiamo oggi e continueremo ancora domenica prossima a leggere il primo straordinario capitolo del Vangelo di Marco, una delle pagine più belle di questo Vangelo. Marco, domenica scorsa, ci aveva detto che lui e gli altri sono stati chiamati dal Signore. Un giorno Gesù aveva attraversato la loro strada e gli sono andati dietro, hanno cominciato a seguire il Signore e subito dopo, nel Vangelo che oggi abbiamo letto, Marco ci dice: "Guardate che non siamo andati dietro a Uno qualunque, non era come gli altri maestri, aveva autorità Lui, sapeva vincere il male, sapeva camminare veramente nella via del bene, ha saputo essere fedele fino in fondo".
Se noi siamo qui, se voi siete qui, se io sono qui, è perché anche noi abbiamo riconosciuto in Gesù il Maestro che ha autorità.
Che significa questo? Sarebbe bello, - ma qui siamo in tanti - se ciascuno di noi potesse venire qui a dire: "Perché io credo in Gesù? Perché Lui è per me un Maestro straordinario?" Cerco di rispondere con le mie parole, ma ciascuno di voi risponda poi a questa domanda: pensate di parlare ai vostri figlioli, a un vostro nipotino, per spiegar loro perché credete in Gesù, perché Gesù, per voi, è Uno che ha "autorità"! Direste certamente parole diverse da quelle che dico io e probabilmente direste parole più belle, parole più vere.
Se a me facessero questa domanda, risponderei così: io credo in Gesù, credo che Lui sia un Maestro diverso dagli altri maestri, perché ho visto tanti maestri nella mia vita che cercavano di occupare la mia coscienza, di farmi pensare come la pensavano loro, di occupare spazi della mia libertà. Gesù è stato per me un Maestro che mi ha invitato, sempre, a essere libero, libero di fronte a tutti, libero di fronte alla folla, al modo di pensare della gente, alle tante mode che attraversavano il cammino della mia vita.
In Gesù ho trovato sempre, nella mia vita, l'invito a cercare le cose essenziali, a guardare al nocciolo della vita, a cercare la luce! Non cercava, come tanti maestri, di spiegarmi ogni cosa, mi lasciava intuire il mistero della vita, mi invitava a cercare le cose essenziali dell'esistenza. In Gesù ho scoperto i grandi valori dell'amore, della gratuità, della tenerezza, il desiderio vivo della libertà, il desiderio vivo della pace e della giustizia.
In Gesù, io ho trovato l'annunzio dell'amore di Dio, della Sua tenerezza, del Suo voler camminare accanto a me nella vita.
Gesù, per questo io credo in Lui, è stato Uno che queste cose non solo le ha dette, ma le ha vissute per primo, camminandomi davanti, fedele fino in fondo, fino a donare la vita. È stato un uomo che ha saputo amare con tutto Se Stesso.
È stato un uomo che era con Se Stesso esigente, totalitario, ma con me non lo è stato mai e con la gente, Lui, ha saputo essere sempre comprensivo, tenero, ha saputo perdonare non una, ma mille volte, non ha guardato mai con occhio severo il piccolo, il povero, il timido, come spesso sono stato io. Lui guardava con occhio severo soltanto l'arrogante, il potente, colui che credeva di sapere tutto.
Gesù è stato accanto a me con la forza della Sua luce, con la forza della Sua verità, con la testimonianza del Suo amore e mi ha camminato davanti, fedele fino in fondo, fino a donare la vita, fino a farsi Pane per me, ogni volta che lo volevo. Per questo Gesù è stato per me, non come gli altri maestri, ma come "Uno che ha autorità".
1988
Un sabato come questo di molti anni fa, Gesù è entrato nella sinagoga. La sinagoga è un po' qualcosa di simile alla nostra chiesa, in cui la gente del tempo di Gesù si radunava per ascoltare la parola del Signore e poi, di volta in volta, qualcuno prendeva la parola per commentare, per fare la predica. Nel Vangelo di oggi si parla appunto di Gesù che predica, di gente che ascolta, che riconosce in Lui uno che ha autorità. Questo fatto ha portato me a fare una doppia considerazione, che vi offrirei come spunto di riflessione che, in qualche modo, può aiutare anche voi.
Io mi sono posto da due punti di vista, di chi ascolta le prediche (e voi non avete solo questo compito) e di chi le fa. Vediamo allora la prima parte: io che ascolto la parola del Signore, che ascolto Gesù che parla e che riconosco in Gesù colui che ha autorità. Avete sentito ripetuta questa frase nel Vangelo di oggi: "insegnava non come i loro scribi, non come i loro maestri, ma come uno che ha autorità". Cosa significa "che ha autorità"?. Per me significa questo: qualcuno che, quando ti parla, tocca veramente i problemi reali, profondi della tua vita, qualcuno che non ti fa un discorso astratto, ma qualcuno che ti fa sentire che è in gioco quello che sei, quello che vali, quello che è il tuo progetto.
E io debbo dire che ho sentito veramente questa autorità di Gesù nella mia vita. Mi capita ogni volta che parlo di Gesù un po' più a lungo, anche con i ragazzi, di sentire dentro di me un senso profondo di gratitudine. Io sono stato nella mia vita, lo riconosco, un uomo fortunato, perché ho riconosciuto nel Vangelo una parola di verità, una parola che è un invito alla libertà, alla responsabilità e alla gioia, una parola che ti dà il senso di quello che sei. Gesù è veramente stato per me Colui che mi ha parlato con autorità, perché io ho sentito da Lui una parola che mi prendeva nel profondo, che mi dava il senso della mia vita e ho visto in Gesù anche questo: Uno che non ha soltanto parlato, perché anch'io (come penso molti di voi) sono stanco di parole. Ho visto in Gesù Uno che le cose le ha anche fatte, Uno che non ha soltanto detto: "fai questo, fai quest'altro", ma Uno che le cose, prima di dirle, le ha fatte Lui per primo. Ho sentito in Gesù Uno che mi camminava davanti, Uno che, se mi chiedeva di essere libero, Lui lo era stato per primo fino in fondo, libero da tutti, libero anche di fronte alla morte. Uno che ha avuto il coraggio di andare fino in fondo sempre, Uno che non parlato soltanto di amore, ma che ha saputo amare sul serio. Uno che ha avuto tenerezza per ogni uomo, uno che ha saputo perdonare, andare incontro, avvicinare ogni persona, dire ad ogni persona la parola giusta. E ho sentito nella mia vita che questa parola l'ha anche detta per me.
Ma qui mi dicevo: "Bene, io posso parlare con entusiasmo di Gesù. Ma quanto poi io ho fatto resistenza alla Sua parola? Quanto anche Lui non è riuscito a cacciare i diavoli che avevo dentro? Quanto in me ho lasciato prevalere la pigrizia, il menefreghismo, il pensare soltanto a me stesso? Perché questo è il diavolo che qui viene cacciato: se non volete pensare ad un figura con le corna e la coda, pensate a tutto quello che c'è di cattivo dentro di noi, anche dentro di me. Io mi guardo dentro qualche volta e dico: "Ho detto tante volte che Gesù ha ragione, ho detto tante volte come Pietro: "Signore, tu solo hai parole di Vita eterna, Tu dici la verità, Tu mi parli nel profondo" e poi mi rendo conto che spesso rimango con i miei diavoli, con le mie pigrizie, con le mie incapacità.... che non voglio gridare!" Perché qui, avrete sentito, questo diavolo grida forte si ribella e io tante volte, non ho voluto che il Signore mi cacciasse i diavoli da dentro, cacciasse la mia pigrizia, la mia trascuratezza, la mia mancanza d'amore, il mio egoismo. Li porto dentro!
Passo alla seconda parte, alla seconda riflessione: io predico da tanti anni ormai, e ogni tanto qualcuno di voi viene da me dopo la Messa e dice: "don Checco, ha fatto una bella predica". Ricordo ancora le mie vecchiette, quando ero ancora un giovane prete, che mi dicevano "don Checco, come predica bene lei: è così corto!" (si vede che alle sei e mezzo del mattino erano un po' assonnate e si stancavano facilmente). Io penso di essere rimasto fedele alle mie vecchiette, vedete che non faccio mai prediche troppo lunghe, e ancora adesso qualcuno viene da me in sacrestia o fuori della porta e mi dice "come predica bene lei!"
Fa piacere ricevere un complimento, naturalmente, non bisogna vergognarsi; ma poi qualche volta quando ci ripenso mi domando: ma quanti diavoli Dio è riuscito a cacciare, attraverso le mie parole? Perché la gente non grida e non viene a dirmi: "Don Che', perché mi ha rotto le scatole oggi, perché mi ha inquietato, perché mi ha dato fastidio, perché mi son sentito come se una carta vetrata mi passasse sulla pelle e ho sentito l'impulso a cambiare qualche cosa?".
Non è che io con le mie belle parole, come spesso facciamo noi preti, vi accarezzo le orecchie e in fondo i diavoli che avete dentro ve li tenete bene caldi? Noi cristiani (e qui passo da me a voi, se non vi dispiace, perché non me le devo fare solo io le domande, tocca pure a voi) non è che noi cristiani diciamo tante belle parole, ma di diavoli riusciamo a cacciarne pochi? Non è che noi stiamo tutti abbastanza tranquilli? Nessuno grida quando parliamo, perché in fondo abbiamo perso il senso della parola, della parola che scuote, della parola che cambia qualcosa nella vita.
Insomma Gesù a forza di cacciar diavoli vedete com'è finito! Lui parlava sul serio e la gente si ribellava, la gente gridava, protestava... A me, ve lo dico francamente, nessuno, come si dice a Roma, ha mai detto "cotica", nessuno mi ha mai perseguitato, nessuno mi ha messo in croce, nessuno mai è venuto a "vociarmi", nessuno (se non qualche volta, per delle sciocchezze) è venuto a dirmi dopo la predica: "Lei oggi ha detto qualcosa che mi ha offeso, lei ha detto qualcosa che mi ha fatto arrabbiare..." Mi dicono: "lei parla bene, ha la voce melliflua, dolce..." Ma la voce di un profeta, a volte, non è dolce: la voce di un cristiano, la voce di una Chiesa... anche la vostra voce, pensate un po' voi genitori ai vostri figli (ma adesso non vorrei inquietarvi troppo) non è che anche con i figli la vostra voce si è fatta troppo dolce, gliele date tutte vinte... per cui si coltivano i loro diavoli, perché abbiamo paura che si arrabbino.
Gesù diceva parole che toccavano sul vivo e i diavoli gridavano e Lui riusciva a cacciarli e la gente si arrabbiava, anche se poi qualcuno sapeva riconoscere in Lui chi parla con autorità, chi sa prenderti dentro e parla per il tuo bene, per cacciar via tutto quello che c'è di male e sciupa la vita.
Noi viviamo in un mondo - come singoli, come Chiesa, come preti - in cui non facciamo più arrabbiare nessuno. Non sarà perché non sappiamo più dire le parole giuste, non sappiamo più parlare con autorità? Non sarà che i nostri figli si arrabbiano poco con i genitori, perché questi non sanno più dire le parole che li toccano, che li cambiano, che li inquietano, che vogliono farli crescere sul serio? Chi lo sa? Ho già parlato troppo.
1991
Continuiamo a leggere questo straordinario primo capitolo del Vangelo di Marco, ricco di tantissime suggestioni. Ci vorrebbe molto più di una predica per commentare soltanto un po' di quello che abbiamo letto stasera: quasi ogni riga merita che ci si soffermi. Vediamo l'essenziale soltanto. Gesù dice che noi tutti siamo come la suocera di Pietro, a letto con la febbre, incapaci di alzarci, di metterci al servizio degli altri.
Quello che noi facciamo qui stasera, celebrando l'Eucarestia, è proprio lasciare che il Signore ci prenda per mano, ci sollevi e ci dia la capacità di metterci al servizio gli uni degli altri, al servizio del mondo, al servizio della vita. Gesù ci prende per mano proprio per portarci incontro alla sofferenza del mondo.
Di fronte a quella casa in cui Gesù ha preso la suocera di Pietro per mano, si raduna la gente dolente, la gente che ha tante malattie, che ha tante sofferenze; si raduna la gente con tanti diavoli, tutto il male che c'è nel mondo.
Ecco il compito del cristiano: andare incontro alla sofferenza, al dolore, al male che c'è nel mondo e là portare un po' dell'amore, del servizio, della carità di Cristo. Uscendo da quella porta dovremmo essere capaci di andare incontro a tutto quello che c'è nel mondo. Ma come si fa? direte voi, specialmente in questo momento in cui c'è paura e difficoltà intorno a noi.
Siamo in tempo di carnevale. L'altro giorno una maestra mi diceva: "Ho detto ai miei ragazzi di non fare carnevale, perché con tutto quello che si sente, non si può". Stasera nella riunione, una signora diceva: "Anch'io ho detto alla mia figliola che non era bene andare a ballare per le feste di carnevale". Io credo che non sia giusto. Se sapessi farlo, stasera vi racconterei una barzelletta, ma non ne sono capace e allora la pianto qui in modo di regalarvi due o tre minuti in meno di predica; già è qualcosa di buono. Penso che una cosa possiamo fare di fronte alla sofferenza, di fronte ai grandi problemi del mondo: è regalare un sorriso a chi ci sta accanto. Non credo che abbia fatto bene quella maestra che ha detto di non fare carnevale; credo che abbia fatto bene quella ragazza, stasera, ad andare a ballare, a divertirsi un po', a cercare di portare un sorriso intorno a sé.
Quando tornate a casa, non mettete paura a chi trovate là, portategli un sorriso, portate il sorriso di Gesù, il coraggio della vita, la voglia di sperare, di costruire ancora; dite ai vostri ragazzi: "Divertitevi! e fate divertire chi vi sta accanto". Divertitevi anche voi che non siete più ragazzi. Un sorriso in più, un gesto di tenerezza, un bacio a chi volete bene, anche questo è un segno di Gesù, del chinarsi con tenerezza su chi ci sta accanto.
Il Signore ci aiuti.
1988
Più leggo il Vangelo di Marco, che non conoscevo quando ero giovane, e più lo trovo straordinario: veramente qui c'è tutta la forza di Gesù, del Suo messaggio e voi capite la mia difficoltà a comunicarvi qualche cosa della forza di questo Vangelo. Le parole rimangono sempre inferiori rispetto a quello che ci sarebbe da dire! Il mio consiglio, dunque, è quello di rileggervi questo Vangelo, di entrarci dentro pian piano perché bisogna forse leggerlo molte volte per capirlo, parola per parola, e trovare la tutta la forza di Gesù.
Oggi cercherò di dirvi qualche cosa su questa pagina che ritengo una pagina veramente straordinaria. Facciamo un passo indietro, se permettete, ritroviamo cioè nella nostra vita il grido di Giobbe che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Anche voi, penso tutti, avrete sentito nella vostra vita il grido del dolore: "perché succedono queste cose? perché nel mondo c'è la guerra, ci sono dei bambini che soffrono, perché Dio permette questo?". Poi, quando la domanda ci tocca più da vicino: "Perché questa disgrazia? perché questo guaio nella mia vita, perché?". Ciascuno di noi, penso, almeno una volta nella vita, avrà alzato gli occhi verso il cielo e chiesto, come Giobbe, ragione a Dio di quello che succede: "Perché, tu che sei buono, permetti questo, perché tanto male nella vita di un uomo, perché?". Penso che anche voi avrete sentito un brivido di fronte alle risposte della religione: "È una punizione per il peccato, è una prova che Dio ci manda...". Avrete sentito nel profondo di voi stessi che queste non erano le risposte giuste, avrete sentito forse un grido di ribellione verso chi vi diceva così. Non è possibile che sia una prova, che sia un castigo il dolore che c'è nel mondo. Cos'è allora? perché ce n'è tanto?
Immaginate che, come nelle sinagoghe di un tempo, venisse qui anche oggi Gesù a parlare con voi e vi dicesse: "Fate una domanda!". Penso che la maggior parte di noi farebbe proprio questa domanda "Perché? spiegaci il perché, tu che sai tutto, dicci perché capitano queste cose, perché soffrono i bambini" e Gesù (questo ci dice la pagina di oggi) non ci risponderebbe, ma ci direbbe "Venite con me, tutti, andiamo incontro alla gente che soffre, andiamo incontro ai malati, andiamo incontro alla gente sola: là, rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare". Ecco il messaggio di questa pagina del Vangelo: "gli portarono tutti i malati, tutta la città davanti alla porta e Gesù diceva ai discepoli: "venite con me, andiamo là ad asciugare una lacrima, a togliere un po' di dolore, un po' di solitudine, tutti, venite con me!".
Ma nella casa di Pietro, tra i discepoli, c'è chi ha la febbre. La febbre: tutti noi abbiamo avuto la febbre, non c'è bisogno di Gesù, non dobbiamo nemmeno pregarlo per essere guariti dalla febbre perché basta prendere un'aspirina, si sta qualche giorno a letto, poi la febbre passa, se non c'è qualche cosa di più grosso dietro!
Allora capite bene che Marco non parla di quella febbre, ce lo dice l'ultima parola: "Gesù si accostò, la prese per mano, la sollevò ed ella si mise a servire". Ecco la nostra febbre, l'incapacità di mettere la nostra vita al servizio degli altri. Questa è la febbre che ci piglia: la febbre della pigrizia, della paura, la febbre che non ci fa andare incontro a chi tribola, a chi è in difficoltà, per asciugare una lacrima, per dare una mano... e succede intorno a noi. Venerdì scorso andavo a portare la Comunione a una vecchietta che abita da sola, in uno dei nostri condomini. Tanta gente che le abita sopra, nell'altra scala.... e lei è vecchia, sola e le gambe non la reggono più. Si muove per la casa strusciando con una seggiolina a cui si appoggia perché è tutta curva, qualche volta cade per terra e non c'è chi la rialzi. "E allora, dice, mi struscio piano piano fino alla porta e poi prendo un bastone e busso perché qualcuno venga, e qualche volta la notte sono ancora lì e allora riesco a tirar giù qualche coperta dal letto e mi copro alla meglio, aspettando..." e poi dice "ma di tanta gente che c'è qui, nessuno che al mattino, quando esce per andare a fare la spesa, bussi alla porta e mi chieda: "come stai, sei ancora in piedi o sei per terra? hai bisogno di qualcuno che ti alzi?". Perché fra tutta questa gente, nessuno si domanda se sono viva, se campo, se crepo, se sono lì per terra e aspetto qualcuno che mi tiri su perché da sola non ce la faccio più". Ecco, quante ce ne sono attorno a noi di queste malattie, di queste solitudini, di queste lacrime che noi potremmo asciugare e basterebbe poco, dice lei, qualcuno che mi dia una voce al mattino e mi dica : "Ci sei ancora?". E noi non siamo capaci nemmeno di fare questo! Ecco la nostra febbre, ecco perché Gesù vuole venirci accanto, prenderci per mano, sollevarci e portarci là dove c'è qualcuno che tribola, senza star tanto a perderci in chiacchiere. Le risposte poi, forse, ce le darà la vita stessa quando, come Gesù ci saremo rimboccati le maniche e saremo andati ad asciugare le lacrime. Poi potremo domandarci il perché, poi potremo dire - e dovremo farlo come cristiani - che c'è qualcosa di più grande del cibo che si mangia, del lavoro che si fa, qualcosa di più grande ancora della salute del corpo: è l'incontro con Dio, il senso profondo della vita, la preghiera, il senso di quello che siamo, qual è il nostro destino ultimo, cosa ci accadrà dopo...
Perché avete sentito questa pagina straordinaria: Gesù al mattino presto, se ne va quando era ancora buio, va a pregare. E lo cercano! I discepoli: "la gente ti cerca". Gesù dice "Andiamocene altrove, devo predicare anche là il Regno di Dio". Ma un cristiano può annunciare il Regno di Dio, può annunciare qualche cosa che è al di là della vita stessa, soltanto quando ha preso sul serio, come Gesù ci insegna, il dolore dell'uomo. Quando non rimane insensibile di fronte ad una lacrima, di fronte ad un uomo malato, un uomo solo e in difficoltà, allora può trovare il coraggio di annunciare qualche cosa di più grande, altrimenti parla invano. Gesù non lo ha fatto: ha preso tutti noi per mano, come la suocera di Pietro, ci ha sollevato perché la nostra vita diventi servizio, dono, attenzione, soprattutto a chi tribola.
Il Signore ci aiuti!
1991
Questa pagina del Vangelo, come vi sarete accorti, è una pagina abbastanza seria che dovrebbe intrigarci un pochino tutti, perché il problema della emarginazione è ancora presente in mezzo a noi, anche se non ci sono più i lebbrosi. Vedete, io cercavo, siccome oggi è sabato di carnevale, di fare una predica un pochino più allegra, anche se il Vangelo di oggi non lo permette troppo. Sono rimasto colpito da una cosa strana: il Vangelo di oggi dice "in quel tempo venne a Gesù un lebbroso, lo supplicava in ginocchio e gli disse se vuoi puoi guarirmi" e poi seguita "mosso a compassione, Gesù stese la mano... ecc...".
Io, cercando nei libri di commento, vedevo che un commentatore diceva, al posto di "mosso a compassione": "Gesù arrabbiatosi, stese la mano e lo toccò. Mi sono chiesto: com'è qui che uno dice "Gesù si muove a compassione" e l'altro invece che "si arrabbia" ?
Allora per curiosità, sono andato a leggermi quattro o cinque libri per cercare di capire il perché di questa storia, questo comportamento così diverso e contrastante. Così mi sono chiesto, Gesù allora si arrabbia, proprio come noi?
Ricordate, per esempio, l'episodio di Gesù che caccia i mercanti dal tempio: quando si legge quella pagina insieme alla gente, c'è sempre qualcuno che dice "come mai Gesù si arrabbia così? Noi ce lo immaginavamo buono, dolce, mite... perché Gesù si è arrabbiato?" E così pensavano anche i primi cristiani. Per cui è successo che Marco ha scritto che Gesù si era arrabbiato; ma quando copiavano... (sapete a quel tempo non c'era la stampa, il Vangelo bisognava copiarselo a mano!). Ogni Parrocchia se voleva avere un Vangelo da leggersi la domenica, bisognava che due o tre si mettessero con buona volontà a ricopiarselo a mano, parola per parola. E allora il bravo copista, come avrebbe fatto uno di noi, quando trovava: "Gesù arrabbiatosi": - no, non sta bene, cancellava la parola "arrabbiatosi" e scriveva "mosso a compassione". E allora noi abbiamo in molti manoscritti "mosso a compassione", ma in altri c'è scritto che Gesù si arrabbia. E Marco ha scritto che "si arrabbia" e si arrabbia due volte qua, a leggere il testo greco. Una volta si arrabbia di fronte a questo lebbroso: "mosso da indignazione, irritato" e l'altra volta si arrabbia davanti al lebbroso quando è guarito e gli dice severamente "non dirlo a nessuno".
Perché Gesù si arrabbia? ve lo siete domandato qualche volta? È giusto arrabbiarsi?
Vedete, Gesù si arrabbia, si indigna e siccome Gesù era veramente un giusto, credo che fosse profondamente arrabbiato. (Io, qualche volta, condivido questa ira dentro di me). Perché? perché qua si trova di fronte quello che un libro, che leggevo questa mattina, chiama "il capolavoro della religione": cioè quando all'uomo che soffre gli si dice "tu soffri per colpa tua", "tu sei emarginato, devi andare in giro gridando: immondo immondo, nessuno mi tocchi, nessuno si avvicini a me" e ti dicono "è colpa tua, perché tu, con il tuo peccato, ti sei guadagnato la tua lebbra". Per questo Gesù si arrabbia e vedete, Gesù dice anche a quell'uomo, severamente, "adesso sta' zitto, non dir niente a nessuno, che non vengano a cercarmi soltanto per questo, perché io non voglio fare il guaritore!".
Non so se è capitato anche a voi, come a me, di sentire raccontare tante storie di "santoni" che ci sono in giro anche da noi, anche vicino a Roma. Nei luoghi, dove tanta gente va per essere guarita, per ottenere il miracolo! e miracoli se ne vedono pochi! e allora là, spesso, della gente - che io ho ascoltato qualche volta con le lacrime agli occhi - si è sentita dire: "se tuo padre sta morendo di cancro è perché nella tua famiglia c'è qualcuno che si comporta male!". Là allora Cristo veramente si arrabbiava e io vi invito tutti ad arrabbiarvi con Lui, con forza, a gridare che non è così, che non può essere così, che Dio non manda il cancro per punire qualcuno, non possiamo credere in questo Dio! Vedete, diventiamo discepoli di Gesù quando sentiamo, anche dentro di noi, nascere questa ribellione, il grido che non ci permette di accettare queste spiegazioni. Dio non è così, Dio non castiga in questo modo a causa del peccato. Il peccato è una cosa seria e procura tanti guai, basta guardarsi intorno, quello che è il mondo della violenza degli uomini. Ma quando viene una malattia, nessuno mai può dire in nome di Dio "ecco, tu soffri perché tu, o qualcuno per te, ha peccato!". È terribile dire ad un figlio "tuo padre sta morendo perché tu hai peccato, è terribile dire ad una madre "tuo figlio sta male perché tu sei colpevole". Questo non dovrebbe dirlo mai nessuno. Il lebbroso era uno che si portava non soltanto le croste della sua lebbra, ma anche questo peso che fosse colpa sua, che per i suoi peccati lui tribolava e Gesù, davanti a questo, si indigna. Gesù davanti a questo grida che non è possibile: è andato in collera e per questo guarisce e rimanda nella fraternità degli uomini e raccomanda a quest'uomo: "non dire niente, perché io non voglio fare il guaritore, non voglio che tutti mi cerchino". E difatti se ne deve andare in luoghi deserti perché non vuole fare il male; il Suo è un segno di liberazione dell'uomo, perché poi è compito di ciascuno di noi, dei medici, ma anche di tutti noi, guarire i mali, cercare di andare al di là di tutte le sofferenze degli uomini per sollevarle, per curarle....
È là che il Signore ci conduce!
1991
Penso che molti di voi, ascoltando la prima lettura di oggi, - parole un po' strane, molto lontane da noi, - hanno avuto davanti agli occhi l'arcobaleno, questo antico simbolo di pace; e anche il racconto che abbiamo letto ce lo ripropone come un simbolo di pacificazione totale dell'universo; la pacificazione tra Dio e gli uomini, la pacificazione del mondo intero, la pacificazione della natura e penso che al di là delle parole, tutti voi avete sentito dentro il bisogno di arcobaleno, il bisogno di pace.
Sembrava quasi arrivata la pace e invece tutto continua, continuano le bombe...., continua l'ansia, la paura, la preoccupazione.
Corriamo un rischio, secondo me: il rischio che avendo fatto poco carnevale, facciamo poca Quaresima. Domenica scorsa mi sono permesso di esortare qualche ragazzo a fare carnevale, ad andare a ballare, attirandomi le critiche di qualche genitore; ma avendo fatto domenica questa esortazione, oggi devo dire, prima a me stesso, poi a tutti voi, di fare Quaresima sul serio.
Era giusto ballare e divertirci a carnevale, come è giusto che adesso non ci facciamo prendere dalla paura, dall'ansia, dalle cose lontane e dimentichiamo poi le cose vicine, quelle di cui noi siamo responsabili, perché noi non portiamo sulle spalle tutto il fardello e il peso dell'umanità. Voi che siete qui, avete poca responsabilità in quello che succede laggiù nel Golfo; tutti ne abbiamo un po', ma questo sarebbe un discorso troppo complicato e non voglio nemmeno toccarlo. Diciamo, allora, che non abbiamo molta responsabilità, però ciascuno di noi ha responsabilità per i propri pesi; io sono responsabile delle mie mancanze di libertà, sono responsabile delle mie intolleranze, delle piccole guerre che faccio verso chi mi sta accanto, delle incomprensioni, della mancanza di attenzione, sono responsabile quando non riesco ad essere libero - veramente, nel profondo - di amare, di voler bene, di condividere la vita: di questo io sono responsabile. Sono poco libero io, mi porto sulle spalle un fardello; direte voi: "Ma rispetto ai fardelli grandi...", ma allora rischiamo di non far niente, di lasciarci solo prendere dalla paura.
Rischiamo di non andare a ballare a carnevale e di non fare un piccolo passo per la Quaresima. Il mio compito di povero predicatore, inascoltato prima di tutto da sé stesso e poi da voi, è quello di ricordarvi che tra poco ascolteremo le parole di Gesù: prendiamole sul serio come parole rivolte a ciascuno di noi: "Convertiti e credi al Vangelo".
E cominciamo da qui, dal credere, dal credere che è possibile che il Regno di Dio venga, che venga per me, nella mia vita, nelle piccole cose. È possibile che io faccia un passo avanti, un passo verso la liberazione del Signore e che un po' di quel peso che porto sulle spalle, si può porre a terra. Ecco, se vogliamo incamminarci verso la Pasqua, insieme, tra di noi e con tutti i cristiani, prendiamoci per mano, con la speranza nel cuore di poter fare un piccolo passo. Magari faremo Pasqua ancora nell'ansia e nella paura, chissà, quest'anno! Ma se qualcuno intorno a noi può dire: "Ecco, quest'uomo è diventato più libero, ha fatto un sorriso, la vita in casa è un po' più dolce, un po' più bella", ecco, nel mondo avremo portato quello che noi possiamo di pace, di giustizia, di liberazione: facciamolo!
Non possiamo fare le grandi cose, il mondo non lo cambieremo in questa Quaresima, ma forse qualche piccola cosa sì! Per questo è venuto Gesù, per darci questa speranza; per questo a ciascuno di noi, personalmente, ripete la parola: "Convertiti e credi al Vangelo". Tra poco ci incammineremo per ricevere questo antico segno della "cenere", segno di penitenza, ma non è importante il segno, ma le parole di Gesù sì! La Sua parola rivolta a me e a ciascuno di voi, l'invito a fare un passo, a cambiare qualcosa, ad essere un po' più liberi, a guardarsi un po' più intorno, ad essere un po' più teneri, a voler più bene!
1988
Siamo alla prima domenica di quaresima, qualcuno di voi dice: "Oggi non viene più rispettata la quaresima!" Ci sono alcuni dei nipoti che durante la quaresima vanno anche a ballare e qualcuno tra di voi dirà: "Ai tempi nostri guai a far qualcosa del genere!"
Ci sono alcuni di voi che sono venuti a prendere le ceneri devotamente mercoledì scorso; è venuto anche qualcuno che non si vede spesso in chiesa, magari portando dei bambini piccini, di due o tre anni, e mi guardava un po' strano quando dicevo: "A lui no, cos'ha da convertirsi? Volete convertirli a due anni!" Quando poi sarà la fine di questa quaresima, la domenica delle Palme, vedrete la chiesa piena di gente (quello che è diventato per noi una specie di incubo!), tanta gente che viene, facendo gran confusione, per avere la palma. E c'è gente che viene ben raramente alla chiesa, ma che viene quel giorno per avere la palma. Allora, vedete, tutti noi, anche noi che siamo qua, rischiamo di prendere la quaresima, le ceneri, le palme, come un rito, un'osservanza da fare. Siamo abituati a fare così, facevano così i nostri nonni, facciamo così anche noi e rischiamo di essere contenti quando torniamo a casa con un po' di cenere sulla testa o con un rametto di palma in mano. Ma il Vangelo di oggi, lo avete ascoltato, è un invito serio a convertirsi.
La Quaresima è un tempo di 40 giorni che è offerto anche a noi (come Gesù se li era procurati) per rivedere un po' la nostra vita, per metterci davanti al Signore, per tentare di fare un passo di conversione, di vita rinnovata. Allora qui dobbiamo evitare un'altra tentazione: la gente come me, ma penso come molti di voi, dirà: "Ma io di quaresime ne ho vissute nella mia vita 40, 50, 70!, sempre ho tentato di convertirmi, ma sempre mi sono poco convertito". Avete davanti a voi un esempio lampante, uno che di quaresime ne ha fatte tante, anche con buona volontà, ma che di passi di conversione non ne ha fatti molti!
Allora dovremmo dire: "E risentiamo le stesse parole, ci abbiamo provato, ma non riusciamo proprio a convertirci". Ecco fratelli siamo qui per provarci ancora. Io mi auguro che anche voi, come me, speriate di arrivare alla fine della vita ancora tentando, provandoci ancora, avendo il desiderio di fare un passo; perché la cosa più importante della nostra vita è veramente quella di convertirci, di essere più capaci di voler bene, di amare, di fare un passo verso gli altri, di fare un passo verso Dio, di prendere sul serio la sua parola, di credere sul serio.
1985
Come vi dicevo al principio della Messa vorremmo tentare quest'anno insieme un vero cammino di conversione. Quelli tra di voi che hanno qualche anno di più ricorderanno che un tempo ci confessavamo in molti, facendo lunghe file davanti al confessionale. Adesso non lo facciamo più: un po' perché la confessione di allora era un ripetere mnemonicamente le stesse cose, senza che cambiasse nulla, ma corriamo il rischio di perdere, insieme all'abitudine della confessione, anche il senso del peccato.
Vedete, quello che è importante non è tanto confessarsi, ma tentare di convertirci. Vorremmo allora recuperare in questa quaresima, aiutati dai Vangeli che leggeremo in queste domeniche, l'antico cammino penitenziale: povera gente come siamo noi, che si mette in cammino per celebrare la Pasqua e rinnovare la propria vita, per risorgere con Gesù; che si mette in cammino proprio cominciando col riconoscere il proprio peccato.
Dobbiamo metterci davanti a Dio: Lui sa quello che giova alla nostra vita, sa quello che è importante per noi. Dobbiamo stendere la nostra vita davanti al Suo volto, per guardare alla Sua luce le persone, i fatti, gli avvenimenti, le cose che ci succedono intorno e per metterci in cammino.
Vorremmo tentare in questa Quaresima di rivivere la parabola del FIGLIOL PRODIGO. Sapete il figlio che è andato lontano e che ha finito col diventare guardiano dei porci e che là, sotto l'albero si ferma a pensare: "perché sono qui, perché sto lontano dalla mia casa?" e si decide a mettersi in cammino per ritornare.
Noi oggi vorremmo ricominciare da qui: tentare di guardarci in faccia e dirci qual è il nostro cammino. Abbiamo preparato dei fogli per indicare a ciascuno di voi una riflessione. Vorremmo che li prendeste sul serio, li consideraste, almeno un po', come la lettera che Dio vi invia. Ma siccome l'abbiamo scritta noi non può essere certo considerata come la lettera di Dio, ma solo un aiuto perché, mettendovi davanti a Lui, possiate ascoltare le domande che Dio vi rivolge - a ciascuno - per poter cambiare la vostra vita.
Ma non esiste soltanto il peccato personale, esiste anche il peccato collettivo e di questo io vorrei parlare oggi. Qualcuno mi diceva, mentre preparavamo queste cose: "Ci vorrebbe un profeta come Amos!" Bisogna che cerchiate altrove: io non ho certo la stoffa del profeta; ci provo qualche volta; ma ciascuno di voi si guardi intorno, faccia lui il profeta là dove io non riesco ad arrivare. I profeti antichi sapevano gridare alla propria gente il loro peccato: bisogna prima convertire se stessi!
Allora tenterò di dire il male che c'è nel mondo, non il bene, quello lo diremo un'altra volta. Cominceremo dalla nostra vita parrocchiale, il nostro stare insieme.
Per molti di noi venire a Messa è già uno sforzo grande. Trovo sempre più gente che quando parla con me, sembra dirmi: "Vedi, ti faccio un favore a venire a Messa!" Un favore a me? Essere una comunità cristiana non significa solo venire a Messa e poi delegare tutto agli altri... e allora c'è poca gente, sempre gli stessi che si impegnano, che cercano di fare qualcosa, di inventare il servizio per i più poveri, di prestare attenzione ai ragazzi che crescono, di fare un po' di catechismo, ecc... Molti dicono: "Questo è compito degli altri, ci pensino i preti, ci pensi chi è capace: noi non ne siamo capaci!" Pochi sentono che qui si deve tentare di essere una comunità, dove ognuno si prende le proprie responsabilità; invece come spesso succede in giro nel mondo, si delega, si pensa che sia compito degli altri. E anche le iniziative che si vanno prendendo, spesso cadono nel disinteresse.
Qualche piccolo fatto: ultimamente nelle varie parrocchie di Ostia si è cercato di costituire una banca del sangue perché ce ne fosse a disposizione per chi ne ha bisogno qualche flacone in più: sapete quanti ne sono andati della nostra parrocchia? Sei. E gli altri? Gli altri dicono: "Bah, non è compito mio, io adesso non ne ho bisogno, quando ne avrò bisogno vedrò!" e poi quando se ne ha bisogno, sentiamo soltanto brontolare... "Qui come mai le cose non funzionano? come mai non si fa la raccolta del sangue? come mai non c'è sangue per tutti?" Non c'è perché nessuno di noi dice: "Anch'io posso fare qualcosa!"
Hanno fatto un incontro sul servizio civile, sono venuti dei volontari, delle persone importanti che dedicano la vita a questo: sette od otto sono andati là. Fanno sempre gli altri, sempre quei pochi che hanno il coraggio e gli altri aspettano "Se mi chiamano, farò qualche cosa anch'io e poi quando mi chiamano, non posso questo o quell'altro".
Molti, troppi stanno a guardare. Ma non è soltanto un fatto della nostra parrocchia. Guardiamoci intorno, quello che succede nelle nostre famiglie, nella vita della gente che ci vive accanto. Troppe coppie sono in crisi, non sanno più parlare, non sanno più capirsi, non sanno più accogliersi, tutti tesi a rivendicare i propri diritti e non a mettere in comune qualche cosa, l'uno al servizio dell'altro con generosità e con coraggio. In troppe famiglie, anche oggi nel XX secolo, c'è qualcuno che picchia l'altro, il marito che picchia la moglie e noi magari lo sappiamo e non facciamo niente.
E i nostri figli? troppi figli sono orfani, riempiti di cose (perché li riempiamo di cose, di giocattoli, di computer, di tutto quello che serve) ma poi mancano di tenerezza, di affetto, spesso non sono seguiti, spesso si trovano soli, specialmente i ragazzi che crescono, nella crisi dell'adolescenza. Molti ragazzi li incontrate in giro e i genitori non sanno mai dove stanno, che cosa fanno, con chi vanno. Pochi valori autentici passano attraverso le nostre famiglie; poche volte i genitori si sforzano di inculcare anche i principi elementari dell'educazione. Cresce fra di noi, se ne accorgono anche a scuola, la maleducazione, l'inurbanità, il non comportarsi civilmente gli uni con gli altri. Spesso i genitori si chiudono in un piccolo bunker che soffoca tutti e ciascuno pensa di risolvere i suoi problemi all'interno della famiglia senza preoccuparsi degli altri, senza sapere che oggi, più che mai, non c'è una famiglia che possa vivere da sola.
E la scuola? assistiamo in molti casi a un degrado della scuola. Passano sempre meno valori autentici. Sempre di più ci si preoccupa delle piccole cose, sempre di più si incontrano insegnanti incapaci di fare il loro mestiere, che non si preoccupano di fare un minimo di aggiornamento, di riflessione sul lavoro che fanno, di prendere sul serio il loro lavoro. Anche i genitori quando vanno, domandano solo: "Che voto ha preso mio figlio?" Senza preoccuparsi d'altro: "Perché non ne siamo capaci, perché devono farlo gli altri... che ci sta a fare il ministro?" E noi, la nostra responsabilità, il desiderio di collaborare, di prendere sul serio le cose, di prenderci ciascuno le nostre proprie responsabilità? E spesso nelle scuole cresce, anche nelle nostre scuole, la violenza, la maleducazione. Il pensare a farsi i fatti propri, il pensare a studiare il meno possibile, favorito da tante cose, comprese la famiglie.
E sul lavoro? Sembra crescere il particolarismo, ciascuno che pensa a sé stesso, l'assenteismo, il menefreghismo: tanto così fanno tutti, tanto non c'è niente da fare, tanto è compito degli altri, è compito del capo, del superiore. E si trova sempre meno gente capace di dire "Io sono responsabile di questo fatto, io cerco di migliorare il mio lavoro, io cerco di prendere sul serio quello che faccio". Cresce la disonestà, perché tutti fanno così. Cresce la sciatteria, si fa tanto per fare, specialmente nei servizi pubblici. E spesso la gente deve aspettare per ore, se una pratica dura mesi e mesi e la colpa è sempre degli altri. Non si trova mai qualcuno che dice: "è anche colpa mia"; il coraggio di resistere, il coraggio di combattere, il coraggio di essere onesti fino in fondo, manca in troppi di noi.
E l'ambiente quotidiano sempre più si degrada, sempre più si inquina, ma anche qui è sempre colpa degli altri. Si va per le strade e si vedono sporche perché gli altri non puliscono, ma noi abbiamo buttato per strada sacchetti di immondizia, pezzetti di carta e pacchetti di sigarette. Tutto, tanto ci pensa qualcun altro, ci deve pensare qualcun altro e i giardinetti dove portiamo i bambini, non ci si può quasi più andare. Perché qualcuno non pulisce, non perché io sporco...
E girando in macchina, si trova sempre più l'intolleranza, la maleducazione, le parole cattive. Perché ci facciamo prendere dal clima di intolleranza che c'è intorno e si sta a guardare.
C'è un ospedale a Ostia che non si apre da mesi: cosa abbiamo fatto noi per sollecitare qualcuno a dire: qui non bisogna sprecare denaro: perché costa milioni ogni giorno. Non bisogna sprecare le strutture: ma è colpa dei politici e noi stiamo a guardare.
Ci sono troppi poveri intorno a noi, troppe ingiustizie in questa nostra città: la colpa è sempre degli altri. "Ma io cosa ci posso fare?" Pensiamo a noi stessi soltanto, pensiamo a fare i furbi, a metterci da parte le nostre cose, a garantirci. Assistiamo al degrado della vita intorno a noi.
Nella Bibbia il peccato non è dire qualche parolaccia: il peccato è stare a guardare. Rischiamo, come dice la Genesi, di diventare statue di sale, come la moglie di Lot. Perché davanti alla chiamata di Dio non si può stare a guardare, non si può dire che il compito è sempre degli altri. Ciascuno di noi deve avere il coraggio di prendersi le sue responsabilità, il coraggio di dire: " Questo dipende da me, questo io lo posso fare, questo è il mio compito!" Il coraggio di essere onesti fino in fondo, il coraggio di prendere parte alle cose della vita comune, fino in fondo. Il coraggio di occuparci di quello di cui possiamo occuparci.
Vedete che sono un profeta da poco. Ci vorrebbe Amos per dirvi seriamente qual è il nostro peccato, il peccato di tutti, il mio per primo. Ma ciascuno di voi può essere profeta sul serio.
Il foglio che stiamo per darvi adesso può aiutarci tutti a metterci in cammino, a prendere sul serio la nostra vita e la vita degli altri.
1991
Nel cammino di Quaresima è importante che brilli la luce della Pasqua. Quando ci si mette in viaggio, per un lungo e difficile cammino, è bello pregustare il momento dell'arrivo, la gioia di arrivare finalmente alla meta. È quello che noi possiamo fare stasera, e non soltanto in questa sera perché è domenica, ma tutte le volte che ci incontriamo con il Signore. Ogni Eucarestia che facciamo è un po' come ritrovarci con il Signore sul monte, per vedere qualche cosa della Sua luce. Qui, nel pane spezzato, nella vita condivisa, nel nostro stare insieme, brilla per noi qualche cosa della speranza di Gesù. Questa speranza, che è importante che ci sia nella vita di tutti i giorni, perché poi nella vita di tutti i giorni, noi ci ritroviamo come questi discepoli a non vedere più nessuno accanto a noi. "C'era solo Gesù!": che strane parole, solo Gesù! Nella vita di tutti i giorni, non soltanto per Pietro, Giacomo, Giovanni, ma anche per noi che siamo qui, vi è la fatica di vivere, di credere nei valori di Gesù, di credere nella giustizia, nel bene, nell'amore.
Quando a casa, stasera, apriremo con ansia il televisore, perché si stanno decidendo, adesso, le sorti del mondo, e vedremo, forse, scene di morte, di violenza e domanderemo: "Ma l'amore esiste?, Dio ci vuole ancora bene? C'è possibilità di luce?" e ci smarriremo in questi pensieri, in queste domande, magari non saremo più capaci di un gesto di tenerezza, di amore per chi ci sta vicino, magari anche noi reagiremo alla violenza e al male, con la violenza, con il male, con la paura, con il chiuderci, con il diventare intolleranti con chi ci sta accanto.
Ecco, Gesù di fronte alla violenza e al male reagisce donando la vita, facendosi pane, spezzando la sua vita per noi e anche stasera lo fa per noi, perché ciascuno di noi, uscendo di qui, nella fatica di ogni giorno, del vivere con la gente che ci sta accanto, nella fatica di guardare la televisione, nella fatica di accettare questo mondo, possa portarsi nel cuore la certezza che l'amore è l'ultima cosa del mondo, che Dio è un Dio di amore, di vita e non di morte, che ci ha voluto così bene da farsi uno di noi, che è venuto per portare in mezzo a noi la vita spezzata, donata, l'amore che si fa carne, che cammina con te! A portarci la certezza che il lento cammino del nostro mondo non è lo scorrere verso il nulla. Non vinceranno le armi, non saranno il male e la violenza, l'ultima parola: l'ultima parola è la parola dell'amore di Dio; questo amore che Cristo ci ha manifestato sulla croce, un amore che anche noi dobbiamo conquistare ogni giorno, perché non è frutto di magia.
Qualcuno dice: "Ma perché Dio non interviene? Perché non fa qualche cosa? Perché non ferma le armi? Perché non spegne i rumori di guerra?". Ma Dio vuole accendere nel mio, nel vostro cuore, nel cuore di ciascuno di noi, la fiammella dell'amore, perché sia la nostra fiammella, non la fiammella di un mago, sia il nostro coraggio di amare, il nostro coraggio di voler bene, il nostro coraggio di fare la pace, a trasformare il mondo.
Non guardiamo, allora, verso di Lui aspettando che intervenga: è là con le braccia in croce, impotente; è qui nel pane spezzato. Il Padre ci rivolge ancora la Sua parola: "Questi è il Mio Figlio: ascoltatelo!". Accettiamo dentro di noi la luce di Gesù, la forza del Suo amore, lasciamolo crescere nel cuore di ciascuno di noi. Non c'è altra strada, non c'è la magia che viene a fermare il mondo. Il mondo è affidato alle nostre tenere, fragili mani. Gesù è venuto per mettere dentro di noi, nel cuore di ciascuno, il coraggio della Sua speranza, la luce della Pasqua. Per questo siamo qui stasera, per questo ci ritroviamo ogni domenica: per incontrarci con Lui e trovare in Lui la forza di guardare al termine del nostro cammino, il coraggio di credere che dopo ogni Quaresima brilla il sole di Pasqua.
Il Signore ci aiuti a credere.
1988
In questa tappa del cammino verso la Pasqua, che quest'anno vogliamo percorrere, se ci riesce, con un po' più di intensità, riflettendo insieme e singolarmente su alcuni temi che ci sembrano importanti, vorremmo fermare la nostra attenzione sulla parola che abbiamo ascoltato: "Questi è il Mio Figlio diletto, ascoltatelo!".
Noi siamo qui riuniti insieme, perché abbiamo ascoltato in qualche modo, la Parola del Signore. Qualche volta mi sorprende vedere quanto poco, i cristiani, anche noi che siamo qui, conosciamo il Vangelo. Mi sorprende a volte trovare dei ragazzi, o anche degli adulti, che non fanno mai riferimento al Vangelo nei loro discorsi. Mi sorprende anche vedere della gente che viene in Chiesa tutte le domeniche e non conosce tante parti del Vangelo: perché? Da che dipende tutto questo?
È una domanda che dovremmo farci insieme. Qualche volta mi capita di parlare con qualcuno meravigliato perché un testimone di Geova ha bussato alla sua porta ed ha scoperto così che loro conoscono a memoria molti versetti del vangelo, mentre noi lo conosciamo così poco. Loro conoscono tanti versetti staccati, ma non è di questo che voglio parlare adesso: la domanda che ci dobbiamo fare è: "Perché noi cristiani, noi cattolici soprattutto, conosciamo così poco il Vangelo? Perché lo leggiamo poco, perché ci interessa poco, perché lo meditiamo poco?"
E il Vangelo è importante, altrimenti la religione (come spesso succede anche in mezzo a noi) diventa religione della legge, dell'obbligo o peggio, la religione della paura, paura del castigo di Dio, ansia per il futuro. Oppure diventa la religione del bisogno, di chi si ricorda di pregare solo nel momento in cui capita qualche guaio, perché le cose vadano bene, di chi fa una specie di commercio con Dio... Quanto è lontano tutto questo dalla predicazione di Gesù!
Ricordate l'episodio del Vangelo in cui Gesù si rivolge ai discepoli (il rapporto della gente con Gesù è andato in crisi e molti cominciano ad allontanarsi) e chiede: "Volete andarvene anche voi?" e Pietro risponde: "Dove andiamo, Signore? Tu solo hai parole di vita eterna!" Ecco, potrebbero risponder così al Signore quelli tra noi che hanno fatto veramente l'esperienza dei discepoli, che avevano trovato in Gesù parole di vita eterna, parole che li avevano colpiti dentro, parole che sentivano essere parole di vita. Parole che danno il senso di quello che siamo, che illuminano il nostro cammino.
E quelli di noi che conoscono il Vangelo debbono farsi altre domande: "Fino a che punto ho preso sul serio queste parole? fino a che punto mi sono lasciato coinvolgere dalla Parola di Gesù? Fino a che punto, tra le tante parole del mondo, tra le preoccupazioni della vita di ogni giorno, tra il voler stare tranquillo e non aver fastidi, fino a che punto la Parola del Signore mi piglia veramente dentro e mi trasforma la vita? Fino a che punto so tradurla in pratica?"
Qualcuno, a volte, mi rimprovera, e giustamente, perché io ho il compito di commentarlo il Vangelo; qualcuno appunto dice che la vita, la vita di tutti i giorni, i problemi, sono lontani da quello che io dico, dal commento che ne faccio: è vero anche questo perché la Parola di Gesù dovrebbe illuminare veramente la nostra vita, illuminarla ogni giorno.
Facciamo allora uno sforzo in questa Quaresima, lo sforzo di non venire in Chiesa soltanto per abitudine o per obbligo: non basta sedersi, ascoltare il vangelo e magari le parole del parroco, poi andare e non pensarci più! Cerchiamo di domandarci un po': "Qual è il mio rapporto con Gesù, con la Sua Parola? Fino a che punto l'ho presa sul serio? Fino a che punto questa Parola illumina la mia vita? Fino a che punto la conosco, la capisco, è entrata nella mia vita?".
Ecco, poi vi invito a ritrovarci insieme in questa settimana: ci sono tanti incontri e abbiamo bisogno di confrontarci tra di noi. Le difficoltà dell'uno, forse, sono quelle dell'altro e forse possiamo aiutarci a fare qualche passo in più, ad essere cristiani più consapevoli, cristiani che vivono non soltanto un'abitudine, non soltanto una religione fatta di tradizioni o di devozioni o di commercio con Dio, ma cristiani che pigliano sul serio il Signore Gesù e il suo Vangelo!
1991
Abbiamo ascoltato parole che ci mettono di fronte alla realtà della vita e del nostro essere qui. Possiamo domandarci: "Se Gesù venisse qui, che cosa avrebbe da rimproverarci?". Noi siamo tranquilli nella chiesa, ciascuno al suo posto, ordinatamente cantiamo. Al tempo di Gesù, quando Lui è arrivato, tutti erano là, in buon ordine; perché al tempo di Gesù, nel Tempio si vendevano buoi, pecore, c'erano quelli che cambiavano le monete; tutto era fatto secondo la legge, tutto era fatto con ordine. Secondo la legge e l'ordine i preti ci guadagnavano sopra, perché loro avevano il controllo di questo commercio; si dovevano pagare le tasse, i giudei offrivano il loro sacrificio e se ne tornavano a casa gratificati, consolati e si sentivano protetti, sicuri perché Dio era con loro, perché loro avevano offerto a Dio quello che era giusto. Quando andavano a casa, anche loro brontolavano contro quelli che non erano venuti nel Tempio e non avevano offerto il sacrificio.
Gesù arriva e spazza via tutto. Cose di tanto tempo fa: ma se venisse oggi, cosa avrebbe da rimproverare a me? e cosa avrebbe da rimproverare a ciascuno di noi? Il nostro stare qui è anche per noi, forse, troppo tranquillo? Un cercare, anche noi, la sicurezza di Dio? Uscire da quella porta e sentirci buoni, perché siamo stati in chiesa?
Abbiamo fatto il nostro dovere, abbiamo fatto anche la Comunione e poi, magari, quando andiamo a casa, giudichiamo con severità gli altri, non riusciamo a capire forse, un figlio o un nipote: "Tanto lui è cattivo, non viene a Messa". Qualche volta, anche noi veniamo qui con lo spirito commerciale di fronte a Dio: "Ti do qualche cosa perché Tu mi dia qualche cosa". C'è, nel nostro stare qui, come al tempo di Gesù, poca generosità vera, poca gratuità vera.
O quello che è più grave nel Vangelo di oggi, quando Gesù dice: "Distruggete questo Tempio e Io lo ricostruirò in tre giorni". Con quella frase così enigmatica, Lui parlava del Tempio del Suo corpo. Ormai la manifestazione di Dio non è più nelle belle pietre, nelle cose esteriori, ma nella presenza viva di Gesù. Se Gesù ci domandasse: "Fino a che punto tu credi in me? Fino a che punto, nella vita di ogni giorno, porti la ricchezza, la pienezza del Mio amore? Fino a che punto non ti contenti di andare a Messa la domenica, ma cerchi di vivere ogni giorno nei rapporti con gli altri, con la gente, la tenerezza, l'amore, la bontà, il rispetto? È là che si incontra Dio. "Avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere".
Ecco, se venisse qui il Signore, cosa avrebbe da rimproverarci? Abbiamo a che fare, noi, ancora con i Comandamenti? Forse sì! Ce li ricordava la prima Lettura. Per il cristiano dovrebbero essere cose del passato, eppure se noi li scorriamo, anche noi dobbiamo dire: "Signore, ho bisogno di chiederti perdono, ho bisogno della Tua fiducia, ho bisogno della Tua misericordia". Allora, ciascuno di noi si metta davanti al Signore, chiederemo al Padre che ci perdoni, che ci riconcili, che ci rimetta in cammino, che ci faccia capaci di andare un po', al di la del nostro peccato per vivere il bene, come ci ha insegnato Gesù.
Per questo siamo qui: non per sentirci a posto, giustificati, non per aver fatto il nostro dovere, ma per trovare in Gesù la forza, il coraggio, la speranza, perché usciti da quella porta la nostra vita sia un po' migliore.
1988
Gesù va nel tempio, prende in mano una sferza... È un Vangelo che colpisce, perché vedere Gesù arrabbiato, sempre ci lascia un pochino perplessi. Il tempio era una delle grandi istituzioni del tempo di Gesù e a Gerusalemme il Tempio era un po' il cuore di tutta la città: come avete sentito, là si cambiavano i soldi, si faceva mercato, si facevano tante cose. E Gesù arriva e prende posizione, cacciando fuori tutti! Mi chiedevo allora: "E se venisse qui?" Vorrei invitarvi proprio a riflettere sul nostro rapporto con le istituzioni, con la società in cui viviamo.
Se voi andate a cercare nel Vangelo qualcosa che affronti direttamente questo tema, difficilmente lo trovate, perché il Vangelo è stato scritto tanto tempo fa e il mondo di allora non era certo quello di oggi; ma se ci pensate un po' vi accorgete che tutto il Vangelo parla di questo, sì, secondo me, proprio tutto. Perché al centro della nostra fede il Vangelo parla di un Dio che è venuto a farsi carne, che è venuto per essere uno di noi, per entrare in questo mondo a condividere con noi la vita e non per chiamarci lontano da questo mondo, ma per invitarci a costruirlo. Vi ricordate domenica scora, leggevamo il Vangelo della Trasfigurazione: là sul monte i discepoli rimangono a bocca aperta e Pietro dice subito: "Facciamo qui tre tende... ci fermiamo qui, stiamo bene sul monte, lontano dalla gente, dalle preoccupazioni della vita di tutti i giorni".
Tutto scompare e Gesù invita i suoi discepoli ad andar giù: bisogna tornare tra le strade polverose di questo mondo per costruire un mondo più giusto, nell'attenzione ai più poveri, ai più deboli, a quelli che sono in difficoltà... Ma quando cerchiamo di tradurre un vago impegno in questo mondo, in attenzione ai problemi concreti: ne abbiamo molti anche qui ad Ostia: abbiamo problemi della Circoscrizione (funziona come funziona), problemi dell'Ospedale (tante cose vanno bene, ma molte ancora non funzionano), abbiamo problemi della casa, problemi del lavoro, specialmente per i più giovani, problemi della scuola... quando si parla un pochino di queste cose o quando ci capita di pensare a questi problemi, molti di noi dicono: "Mah, cosa ci possiamo fare? Sono problemi più grandi di noi!" Ci prende, a volte, un senso di scoraggiamento. A qualcuno di voi dà fastidio se anche soltanto si accenna a questi problemi, qui in Chiesa, nella predica... Ma a chi prova fastidio per questi discorsi direi di riflettere un pochino in questa settimana: che cosa significa essere cristiani, se non prendiamo a cuore anche queste cose, se non sentiamo la nostra responsabilità di fronte a questi problemi? A volte qualcuno pensa che essere cristiani sia soltanto ritirarsi in Chiesa, per pregare, per prepararsi l'anima per il mondo che viene...
Ma riflettete un pochino: Gesù non aveva bisogno di farsi carne per questo; ci avrebbe invitato sul monte, a pregare. Non aveva bisogno di diventare uno di noi, un uomo come noi, carne della nostra carne; se lo ha fatto vuol dire che questo mondo in cui viviamo, con i suoi problemi, con le sue difficoltà, con le sue realtà, lo ha preso sul serio, sul serio fino in fondo. Se fosse oggi qui, ci aiuterebbe probabilmente, avrebbe una parola, non una parola che dà la soluzione, perché Gesù queste parole le ha sempre rifiutate, ma avrebbe da dirci qualcosa che illumina il nostro impegno nei problemi che ci stanno intorno, nei problemi di questa Circoscrizione.
Tra poco sarete chiamati a decidere se Ostia deve diventare o no comune. Non è un problema semplice e tutte le volte che sento parlare di questo problema, mi sembra di costatare che c'è una grande disinformazione e molta superficialità. In fondo chi manovra queste cose? I commercianti, i giornalisti... gente che ha tanti interessi! E voi metterete là un segno che decide, in parte, della vita dei vostri figli e dei vostri nipoti. E come mai di queste cose ce ne interessiamo così poco? Dove possiamo trovare le informazioni corrette? Dove cercare un po' di luce?
Ecco, io oggi vorrei soltanto farvi delle domande. Anche per i problemi dell'Ospedale, della scuola... perché così poca gente che se ne interessa? Un tempo quando io ero giovane, specialmente i giovani, credevano di risolvere tutto nella partecipazione. Oggi mi sembra che ci siamo tutti un po' rinchiusi nel nostro guscio... ognuno pensa alla propria famiglia, alla propria casa... anche nel mondo del lavoro si ha l'impressione che ogni gruppo, ogni categoria, pensi solo ai propri interessi. E ogni volta ci viene il dubbio che questa nostra società stia andando "a ramengo".
In questa situazione è possibile che un cristiano faccia qualcosa, sia come singolo che come comunità...?
Io vi lascio queste domande: vi pregherei di rifletterci un pochino se non altro come uno stimolo ad informarvi di più, a far sentire la vostra voce . Perché questo è già molto importante: non lasciare sempre che decidano gli altri, che parlino gli altri, che manipolino anche la vostra testa, quella dei vostri figli. Anche i nonni parlino con i nipoti, cerchino di capire un po' come va questo mondo intorno a noi.
E poi quando mi dicono: "E cosa possiamo fare noi per migliorare l'ambiente in cui viviamo?" Sento oggi tanta gente che parla dell'ambiente, dell'inquinamento... basta che andiate a fare un giro nella pineta qui dietro e vedrete il numero incredibile di buste di plastica che ci sono! Se prendessimo anche soltanto l'impegno di non buttar più carta e buste per la strada, se prendessimo l'impegno di fare il meno rumore possibile anche quando siamo in casa, per riguardo a chi abita sopra o sotto di noi... Alle volte la gente, specialmente gli anziani, si lamentano per il fastidio di dover ascoltare musica ad altissimo volume. Se abbassassimo un po' il volume del televisore, se quando uno cammina per casa non si mette gli zoccoli ma le pantofole... Ecco, se quando andiamo in macchina facessimo tutti uno sforzo per essere più attenti a non dar fastidio a chi cammina accanto, a non tagliare bruscamente la strada, se cercassimo di essere meno aggressivi, se usassimo parole gentili... già il vivere nelle nostre città sarebbe un pochino più civile!
Tutti siamo invitati a preoccuparci dell'ambiente in cui viviamo, del mondo in cui viviamo, del mondo... non del mondo lontano, astratto, ma di questo mondo vicino: dell'ospedale, della circoscrizione, della scuola... Almeno per conoscere, per poterne parlare, per fare opinione, per vedere se possiamo informare un po' di più.
Io non so darvi indicazioni - credo che non sia nemmeno il mio compito - ma se tutti voi ci pensate, se qualcuno di voi può partecipare agli incontri per aiutarci a riflettere insieme. Chi non può partecipare direttamente, scriva un parere, dia un suggerimento.
Ecco, noi come parrocchia, forse, potremmo fare questo. È un problema di tutti. Noi vorremmo vivere in un mondo più civile, vorremmo fare qualche piccolo passo: quale può essere questo passo? Qual è la nostra responsabilità di cristiani? Non possiamo sempre aspettare che qualcun altro ce lo dica, che altri pensino a queste cose, altrimenti, lo sapete, ci pensano i malfattori, ci pensa chi ha qualche interesse economico. La vita sociale va avanti se c'è un po' di gente che si interessa con gratuità, perché ha a cuore il bene comune e si preoccupa di questi problemi, altrimenti se ne occupa solo chi vuole specularci sopra, e noi non possiamo poi solo brontolare, lamentarci che tutto va male. Se ciascuno di noi non ha fatto quello che poteva, il suo passo, il suo sforzo, se ciascuno di noi non ha cercato di informarsi, di conoscere, di parlarne... poi non ha il diritto di brontolare e lamentarsi.
1991
Domenica scorsa leggevamo l'episodio di Gesù che cacciava dal Tempio i mercanti, i venditori di colombe, i cambiavalute e ci domandavamo: Se Gesù venisse oggi in mezzo a noi, qui, cosa avrebbe da rimproverare a ciascuno di noi? E ci siamo fatti un po' di esame di coscienza, ci siamo guardati dentro; qualcuno di voi lo avrà fatto anche durante la settimana e avrà continuato a chiedersi: "Che cos'è che non va nella mia vita? Se Gesù venisse qui, a parlarmi, Lui, cosa avrebbe da rimproverarmi?"
Oggi, siamo invitati non più a guardare a noi stessi, ma a guardare a Gesù. "Come nel tempo del deserto - così cominciava il Vangelo di oggi - gli ebrei guardavano al serpente innalzato, il serpente di bronzo". In mezzo alla nostra chiesa, ogni volta che entriamo, innalzato in mezzo a noi, con le braccia spalancate tra cielo e terra, c'è Lui, il nostro Maestro. È venuto, non per giudicarci, non per condannarci, non per chiederci conto delle nostre azioni, ma per salvarci, per farci sentire amati nel profondo. Lui è il segno dell'amore totale di Dio per noi. Noi, qualche volta, ci aspettiamo un Dio che risolva i nostri problemi, che guarisca i nostri mali, che risani le nostre ferite.
Ogni volta che veniamo in chiesa, possiamo alzare lo sguardo, guardare Lui e dire: Il Signore ci ha voluto bene sul serio, si è compromesso nella nostra vita, con questo nostro mondo, ha saputo amare fino in fondo, camminando con noi, accanto a chi ha il cuore pesante, a chi si sente oppresso dal peccato, accanto a chi soffre. È venuto, non per condannare, non per allontanare, non per dividere; è venuto perché ciascuno di noi si senta amato sul serio da Dio. "Vedi fino a che punto t'ho voluto bene?"- può dire il Signore a ciascuno di noi che guarda verso di Lui.
Chi tra di noi si porta, stasera, il peso di un peccato, per quanto grande sia il peccato, chi si sente afflitto, chi si sente solo: guardi il Signore. Ci ha voluto bene fino a farsi Uno di noi, fino a donare la Sua vita, fino a lasciarsi inchiodare su una croce. Non è il Dio magico, non è il Dio che cambia la nostra situazione; ma è il Dio che ci avvolge tutti della Sua tenerezza, del Suo perdono. È il Dio che ci guarda negli occhi e ci dice: "Coraggio! non pensare al tuo peccato, togli dal tuo cuore i pesi e cammina con fiducia".
Ciascuno di noi può contare sull'amore totale di Dio, sul Suo impegno, sulla Sua vita condivisa fino in fondo. Ecco perché ogni volta che entriamo in chiesa possiamo volgere lo sguardo verso Gesù. Ecco perché qui troviamo la nostra salvezza. Ecco perché guardando qui, ciascuno di noi, qualunque sia il peso che si porta nel cuore, può sentirsi amato da Dio. Ecco perché uscendo da quella porta, ogni volta che veniamo in chiesa, possiamo sentirci riconciliati.
Dio non ha mandato Suo Figlio per condannare il mondo, ma per salvare il mondo, per salvare ciascuno di noi, perché ciascuno di noi si senta amato da Dio.
Per questo siamo qui, per questo possiamo guardare Gesù, per questo tra poco spezzeremo il Pane, per questo ci nutriremo di Lui; perché ciascuno di noi si senta amato, perché nessuno di noi si senta condannato, perché nessuno di noi si senta solo, perché accanto a ciascuno di noi stia la tenerezza, l'amore, la fedeltà di Dio.
Il Signore ci aiuti a credere fino in fondo.
1991
C'è una certa fatica all'inizio del Vangelo di oggi - l'avrete notato anche voi - è la nostra fatica, la fatica degli uomini, la fatica di chi cerca di credere. Alcuni Greci, gente che viene da lontano, vanno a chiedere ai discepoli di poter vedere Gesù: "Fateci vedere Gesù" e Filippo va a dirlo ad Andrea, Andrea va a dirlo a Pietro e Pietro va a dirlo a Gesù. Sembra che tutto proceda a fatica. Perché non vanno direttamente da Gesù?
E quando arrivano da Gesù, Gesù non dice: "Sì, andiamo da questi Greci, fatemeli conoscere", ma comincia a fare uno strano discorso: "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" e poi: "Chi ama la sua vita, la perde, chi mi vuol servire mi segua...". Che avranno capito quei poveri Greci?
Ma quei poveri Greci siamo noi, la nostra fatica ad accogliere Gesù nella nostra vita, a vivere la logica del chicco di grano che si perde nei solchi della storia. Noi siamo tutta gente che non amiamo il seme: vorremmo vedere subito i frutti. Un papà, una mamma, vogliono vedere che il loro figliolo cresca buono, bravo, bello; vogliono vedere presto i frutti. Un insegnante vuole che i suoi alunni capiscano presto e se non capiscono si scoraggia. La gente, sul posto di lavoro, vorrebbe vedere presto la giustizia. Una persona che lavora per bene, con entusiasmo, vorrebbe vedere che tutto l'ufficio si trasformasse, che diventassero tutti più buoni, che ci si aiutasse, che si lavorasse con competenza e passione. Allora ci scoraggiamo, perché poche volte siamo capaci di amare la fatica di seminare, la fatica di aspettare che il seme che abbiamo messo nel cuore del nostro figlio, nel cuore di un alunno, nella gente che ci sta intorno, porti frutto, magari dopo parecchio tempo.
Gesù è venuto in mezzo a noi, non come il mago con la bacchetta magica che trasforma il mondo, ma è venuto come un seme che si è lasciato cadere nella nostra terra e ha accettato di morire quando degli uomini come noi lo hanno rifiutato. Ecco perché i Greci che cercano di vedere il Signore, si trovano davanti questa fatica. È la fatica di accettare la logica del Signore, di accettare la logica di Dio che viene qui nella nostra terra non per cambiare di colpo i nostri problemi, ma per essere come un seme perduto nei solchi della storia.
Se siamo qui, se siamo in tanti, stasera, con il desiderio di pregare, di essere generosi, con la speranza di vita che abbiamo dentro, è perché Lui, un giorno di tanto tempo fa, ha accettato di morire per amore. Se fra cento anni ci sarà ancora gente qui, è perché Lui ha accettato di essere Uno come noi e di amarci fino in fondo, di amarci fino a morire sulla Croce.
Un piccolo seme che sembrava perduto quando ha tratto l'ultimo respiro, ma che ancora continua a portare frutti di luce, di vita in noi.
Se vogliamo andarGli dietro, non resta anche a noi che accettare questa logica e continuare - nel posto dove stiamo, con la gente che lavora con noi in questo mondo, che a volte ci sembra arido, che a volte è ancora un mondo che crocifigge i giusti e manda liberi i violenti - continuare con coraggio a mettere il seme del bene, a credere nella giustizia, a seguire Gesù. Lui è venuto per prenderci per mano, per camminare con noi; non è venuto per risolvere di colpo i nostri problemi, ma per perdersi nei solchi della nostra storia e per amarci fino in fondo. Celebrare la Pasqua è proprio questo: accettare di camminare con Gesù, continuare a mettere i semi delle cose migliori che abbiamo dentro, con la speranza, anzi con la certezza, che un giorno tutto questo fiorirà.
1991
Ormai da tanti anni nella nostra chiesa, come introduzione alla Settimana Santa, leggiamo questo racconto, quasi per lasciarci prendere per mano da questa donna, convinti di essere così fedeli alla Parola di Gesù che abbiamo ascoltato: "In verità vi dico: ovunque sarà annunziato il Vangelo, ci si ricorderà di questa donna e di quello che ha fatto". Di fronte alle chiacchiere dei discepoli, alle tante chiacchiere che sentiamo nel mondo, anche in questi tempi abbastanza complicati che viviamo, di fronte anche a quest'ultima guerra, alla gente che moriva, abbiamo sentito chiacchiere, chiacchiere e chiacchiere, in ogni giorno, sulla tante reti televisive, sui giornali, sulle riviste, dappertutto parole! Parole di gente che sa, parole di gente che dice quello che si deve fare, quello che non si deve fare. Così come questa donna, ha sentito le chiacchiere dei discepoli che dicevano: "Perché tutto questo spreco?". C'è tanta gente che parla nel mondo, ma il Vangelo vuole che ci lasciamo prendere per mano da questa donna che non spreca parole, che ha il suo vasetto di profumo prezioso, un vaso di alabastro che spacca per versare tutto il profumo. Gli altri brontolano: "Si poteva vendere per trecento denari!", una cifra enorme.
Lei non ha calcolato, ha dato! Senza parlare, silenziosamente. Ha saputo accorgersi che in quel momento il più povero era proprio Lui e non ha fatto calcoli, si è lasciata cogliere dalla tenerezza di fronte all'uomo che soffre. Ha saputo guardarLo negli occhi e ha saputo non fare calcoli.
Ecco il modello del cristiano. Questa donna che sa guardare negli occhi il Signore che soffre, che non si perde in parole, che non si stordisce di chiacchiere, che versa il suo profumo. Vale trecento denari: non importa, tradiranno Gesù soltanto per trenta monete! Lei ne ha in mano trecento e le dà via in un gesto d'amore, di tenerezza, di accoglienza, di pace. Lasciamoci prendere per mano da questa donna, perché soltanto se abbiamo nel cuore un pizzico del suo amore, della sua gratuità, della sua capacità di voler bene, sapremo capire come Dio, venuto in mezzo a noi, può essere arrivato fino a dare la vita sulla Croce.
È soltanto l'amore che rende comprensibile la vita. Un amore che è fatto di gesti, di saper capire, di sapersi guardare negli occhi, di tenerezza, di accoglienza. Il Signore ci aiuti a credere, ci aiuti a lasciarci prendere per mano da questa donna, per seguirLo fino sulla Croce.
1991
Tommaso... che poi siamo tutti noi! Penso che sarei preoccupato se in mezzo a noi ci fosse qualcuno che dicesse: "Io non sono come Tommaso". Segno brutto, la gente che crede sempre di saper tutto e di essere sicura di tutto.
Tommaso, dunque, - il rappresentante nostro e di ogni credente che vive sulla terra - non vuol credere alla risurrezione e non vuol credere perché la testimonianza dei suoi amici non gli sembra credibile. Ha ragione! Perché otto giorni dopo, quando sono ancora riuniti intorno alla tavola, hanno paura, le porte sono ancora chiuse, sbarrate per paura dei giudei. La Risurrezione, l'incontro con il Signore Risorto non sembra averli trasformati radicalmente: si ritrovano intorno a quella tavola, otto giorni dopo, ancora povera gente bisognosa di Gesù e del suo coraggio, e Tommaso non può riconoscere, in questa gente, il segno del Signore Risorto, il segno della vittoria di Dio.
Sono troppo impauriti... Chissà se Tommaso aveva in mente quello che abbiamo ascoltato nella prima lettura? I discepoli capaci di essere "un cuor solo e un'anima sola", capaci di mettere ogni cosa in comune, di condividere tutto. Se Tommaso aveva in mente questo ideale e pensava che il Signore Risorto avrebbe trasformato i suoi compagni di avventura in gente capace di donare, di amare, capace di essere un cuor solo e un'anima sola, ha ragione di non fidarsi di loro! Ha ragione di chiedersi: "Ma è possibile che il Signore è Risorto? Dove si vede che il Signore è risorto!"
Abbiamo lo stesso problema. Se prendete sul serio le parole della prima lettura, se pensate alla chiesa "un cuor solo e un'anima sola", gente disposta a condividere tutto, gente capace di testimoniare Gesù e vi guardate intorno, guardate me e io guardo voi, diciamo l'un l'altro: "Bah! Andiamo a cercare da un'altra parte i segni del Signore Risorto".
Uno dei drammi della vita dell'uomo, in tutti i campi, anche nella Fede, è quello di avere delle grandi attese e quindi di non saper riconoscere i segni della Risurrezione. In questa Pasqua, girando per le case, ho incontrato persone malate, persone in carrozzella, qualcuno che non ci vede, qualcuno che non può alzarsi dal letto, e sono stato colpito dalla pazienza, dalla tenerezza e dall'attenzione della gente che è intorno a loro, a volte quasi incredibile. Anche ascoltando le confessioni in questa Pasqua, quanta gente che dice: "Non son venuto a Messa, perché avevo da star vicino a una persona malata, a una persona che non può uscire". Quanti di questi gesti ci sono intorno noi! Quanti ne conosciamo!
Una signora che è in casa malata mi diceva: "Purtroppo le notizie cattive le sappiamo subito, i tanti gesti di bontà non li conosciamo". E io dico: "Per fortuna!", perché significa che ancora la bontà è normale e quindi non fa notizia e invece il male, la violenza, proprio perché non è normale, finisce sui giornali. Allora non ci lamentiamo se i giornali son pieni di cose cattive: significa che sono ancora le cose straordinarie. Non vi aspettate di trovare gente che vende tutto quello che ha e sa condividere ogni cosa, perché allora non riconoscerete mai i segni del Signore Risorto.
Guardandoci intorno, nel tessuto della nostra vita, della nostra città, anche qui in mezzo a noi: se non vi aspettate "un cuor solo e un'anima sola", se non vi aspettate gente che ha cacciato via ogni paura, gente piena di gioia, capace di donare la vita, sapremo riconoscere i segni della bontà, della tenerezza, dell'attenzione. Potremo ascoltare anche noi la beatitudine di Gesù: beati voi che avete creduto senza vedere, senza vedere le cose straordinarie, ma riconoscendo i segni della vittoria del Signore in tanti gesti di bontà che ci sono intorno a noi.
Ci sono le eccezioni, ma per fortuna sono poche e fanno notizia. Mentre il bene, la vittoria dell'amore, la tenerezza, la generosità - e ce n'è tanta anche in mezzo a noi - la generosità di chi si occupa di una persona anziana, malata, incapace di muoversi, con una delicatezza e pazienza quasi infinita... là possiamo toccare il Signore Risorto! Come Tommaso, mettere il dito e vedere e cantare la lode di Dio: è il trionfo dell'amore di Gesù.
1991
La parola "testimoni" ricorre due volte nelle letture che abbiamo ascoltato; ed è di queste letture una parola chiave.
Negli Atti degli Apostoli Pietro dice: "Noi siamo i testimoni". Nel Vangelo - lo abbiamo ascoltato alla fine - si legge: "Di questo voi siete testimoni", e non solo i discepoli, anche noi.
Essere cristiani significa essere testimoni di Gesù. Ed è proprio su questo che stasera vorrei attirare la vostra attenzione, per aiutarvi a fare una distinzione.
Vedete, spesso noi pensiamo che essere testimoni è un fatto di parole, di discorsi; o ancora di più noi pensiamo spesso che essere testimoni significa convincere gli altri di qualche cosa. Nel corso della storia della Chiesa, spesso abbiamo pensato che bisognava convincere gli altri in tutti i modi, che testimoniare Gesù significava sforzarsi di convertire tutta la gente alla Fede, con le buone se era possibile e se non era possibile, anche con le cattive.
L'anno prossimo faremo l'anniversario della conquista dell'America: l'abbiamo fatta sventolando croci e vessilli, con il "buon risultato" di aver ammazzato quasi tutti. Credo che per noi cristiani dovrebbe essere un'occasione anche di batterci un po' il petto. Ma non è solo una questione degli Spagnoli del millecinquecento. Spesso, e con conseguenze abbastanza serie, le nonne o qualche volta anche i papà e le mamme, pensano che essere testimoni significa convincere i nipoti o i figli ad andare in Chiesa, a credere a Gesù e magari, se non vanno in Chiesa, giudicano male questi nipoti, questi figli. Quando si fa così, spesso si finisce soltanto per scocciare i nipoti o i figli, non per essere testimoni. Ci succedeva anche stasera di ascoltare una mamma che si rammaricava di non essere stata capace di essere testimone per i suoi figli. Quei figli sono migliori della mamma, ma - come spesso capita - quando crescono non vanno più in Chiesa: lei è convinta di non aver per loro testimoniato Gesù. Non si testimonia il Signore convincendo gli altri a pensare come noi! Non si testimonia Gesù convincendo gli altri a fare quello che facciamo noi, a pensarla come la pensiamo noi, a seguirci dove andiamo noi.
Si testimonia Gesù con la vita. E testimoniare Gesù, significa prima di tutto, non essere intolleranti, non giudicare gli altri, rispettare le persone. Si testimonia Gesù rispettando la libertà dei nostri nipoti, dei nostri figli, della gente che ci sta intorno, offrendo agli altri con semplicità quello che riusciamo a portare nella nostra vita della liberazione di Gesù.
Il nostro essere qui intorno all'altare a celebrare la Pasqua, a spezzare il Pane, a condividere la vita, significa cercare di mettere dentro di noi il desiderio della vita condivisa, della pace, dell'amore portato nelle cose di ogni giorno. E allora, anche se abbiamo i dubbi uscendo di qui, anche se facciamo fatica, testimonieremo quello che crediamo, quello che abbiamo dentro. Non serve dire tante parole! sono inutili! Non serve soprattutto cercare di convincere gli altri. Offriamo agli altri quello che siamo, quello che Gesù ci ha messo dentro: il desiderio di liberazione, di rispetto, di attenzione verso gli altri, la tenerezza di cui facciamo esperienza qui. Tutti noi stasera, tutti! - nessuno escluso! - Siamo invitati a mangiare Gesù, siamo invitati noi, che siamo povera gente.
Quando andiamo a casa, non guardiamo male quelli che non son venuti qui stasera con noi. Gesù invitava anche loro, forse sono migliori di noi in alcuni aspetti. Allora il nostro modo di testimoniare è di rispettare il loro modo di pensare, è il tentare di camminare con loro, di condividere con loro la vita, di far sentire il nostro animo sereno, di ritornare a casa senza un po' di paura, con un po' di gioia in più perché abbiamo incontrato Gesù. Allora forse, qualcuno di loro verrà anche qui, ma soprattutto noi avremo testimoniato intorno a noi un po' della pace, un po' della tenerezza, un po' della libertà che Gesù stasera vuole metterci nel cuore.
1988
Una delle sensazioni più pesanti per chi predica, specialmente per chi predica da tanto tempo, è quella di ripetere un po' le stesse cose, e qui ci sono in mezzo a voi delle persone che hanno la sfortuna di sentire le mie prediche da ormai quasi 20 anni! Io mi sforzo di cambiare, qualche volta; poi penso che certi discorsi, quando si ripetono, a volte servono ad uno, a volte servono ad altri. E quindi veniamo al discorso di questa sera. Mi pare, nel Vangelo di oggi, di cogliere soprattutto il dubbio di questi discepoli: hanno ascoltato già il racconto delle donne che sono andate al sepolcro, lo hanno trovato vuoto e hanno sentito l'annuncio; hanno ascoltato già Pietro a cui è apparso il Signore, hanno sentito questi due discepoli che ritornano da Emmaus.... Eppure sono là spaventati, credono di vedere un fantasma! Vedete, noi preti siamo abituati a parlare alla gente della Fede come se fosse una cosa monolitica, sicura, certa: o c'è o non c'è. In molti c'è il sospetto che quando ad uno passa un dubbio per la mente, è il segno che non sia credente.
Diceva l'altro giorno una signora: "Queste cose non dovrei nemmeno dirle in chiesa, eppure mi vengono in testa!" Che cosa le veniva in testa? Il dramma di questi discepoli. Perché poi, vedete, i dubbi che ci prendono non sono quelli se Gesù c'è o non c'è, se ci sia Dio o non ci sia Dio, ma sono dubbi più concreti; dubbi che ci prendono nella vita quando la carne brucia per qualche ferita.
Cosa dice Pietro? "Voi avete rinnegato il Santo e il Giusto e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino! Voi avete chiesto che Barabba, l'assassino, sia liberato e Gesù, il giusto, lo avete messo sulla croce". Questo è lo scandalo. Perché gli assassini se ne vanno in giro liberi e il Giusto muore sulla croce? Perché succede questo, perché non fa niente? È quello che diceva quella signora: "Perché mio marito è morto e tanti malfattori vanno in giro per il mondo? Perché? Perché certa gente tribola e soffre nell'ospedale e non vede l'ora di morire e della gente giovane e sana muore, perché?"
Dio perché fai questo?... Quante volte anche a voi è venuta in mente questa domanda e magari siete venuti in chiesa a lamentarvi dal Signore, e l'avete fatto magari con le mani davanti alla bocca... perché queste cose non si possono dire in chiesa: è una bestemmia verso Dio! Eppure questi dubbi ce li portiamo dentro e sono i dubbi che hanno anche i discepoli nel riconoscere Gesù.
Avrete forse sentito qualche volta delle spiegazioni, qualcuno avrà tentato di spiegarvi il perché del dolore, ma io fratelli devo invece dirvi la mia convinzione profonda: nel Vangelo una risposta a queste domande non c'è. Noi non sappiamo il perché. Qualche volta mi è capitato nella vita di sentire delle persone che dicono: "Beato te che credi, perché hai delle risposte! " E io mi sono trovato tante volte a non avere risposte dentro di me.
Credere, non significa sapere perché succedono certi eventi, perché c'è un terremoto, perché muore un bambino, perché capitano certe disgrazie... perché? perché Dio permette questo? Dobbiamo allora guardarci negli occhi e dire "non lo sappiamo". Non è che non ve lo posso dire: non lo so! La mia fede non mi dà risposta a queste domande; che pure sono le nostre domande che ci facciamo più fortemente quando fatti dolorosi capitano nella nostra vita.
Cos'è allora credere? cosa significa aver fede? Aver fede significa al di là di tutto, nonostante le tragedie della vita, fidarsi di Dio, rimanere fedeli alla Sua parola, alla Sua promessa. Aver fede significa credere che Gesù ha vinto la morte: non si vede mica facilmente questo! Aver fede significa credere che quell'uomo, il Giusto, che è inchiodato sulla croce e che sulla croce è morto (è morto sul serio, non ha fatto finta di morire!) mentre l'assassino se ne andava libero, non è rimasto nella morte. Significa credere che Lui aveva ragione! Che la Sua vita, vissuta nella pienezza dell'amore era la vita giusta; e continuare a credere a questo e a camminare nonostante tutto sulla via dell'amore, della fiducia in Dio. Aver fede è qualche volta tener stretta, nel buio, nella notte, la mano di Dio, aspettando la luce, tentando di rimanere fedeli, e credere che la vita è più forte della morte, che l'amore vince l'odio. Ma qualche volta non si vede nulla! A volte quello che vediamo intorno, quello che ci capita nella vita, ci mette il dubbio nel cuore: ma Dio ci è veramente fedele? Ma Dio ci vuole bene? Ma l'ultima parola è veramente la parola di Dio? Fratelli, se vi portate nel cuore un dubbio, se vi portate nel cuore il buio: non abbiate paura: non siete soli! È la condizione abituale di un cristiano!
Per questo Gesù è morto sulla croce gridando: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Anche Lui ha vissuto il Suo momento di buio, anche Lui ha dovuto tendere la mano e aggrapparsi al Padre con fiducia, anche se non vedeva più. Questo significa aver fede: fidarsi di Dio, credere che Gesù è veramente risorto e che quindi la morte non ha l'ultima parola. Per questo i racconti della Risurrezione sono pieni del dubbio dei discepoli, della fatica a riconoscere Gesù e a credere. Non è solo il dubbio loro, è anche il dubbio nostro; ma sappiatelo: non ha fede chi non ha mai un dubbio, ha fede chi, nonostante il dubbio, nonostante il buio in cui vive, tende la mano verso Dio; chi si fida del Padre, chi si fa prendere la mano e cammina conservando nel cuore la speranza.
Il Signore ci aiuti.
1988
Una cosa da sempre, fin da quando ero più giovane, mi ha impressionato: quando si sta insieme con un gruppo di gente e si parla della propria fede o dell'idea che ciascuno di noi ha di Dio o anche soltanto della preghiera, di come uno prega..., la cosa che più mi impressiona, quando si fanno questi discorsi è vedere la grande varietà, che c'è in molti di noi, di opinioni, di immagini di Dio, di modi di rivolgerci a Lui.
Domandavo ad un gruppo di ragazzi (la stessa cosa sarebbe se lo domandassi anche a voi): "Che cos'è per te pregare, cosa significa pregare?". Allora uno diceva: "Per me pregare è parlare con Dio; quando mi sento solo, quando non ho nessuno a cui rivolgermi, mi rivolgo a Dio!" Un altro diceva: "Quando ho bisogno di essere ascoltato, quando mi sento piccolo, mi sento debole.... mi rivolgo a Dio". Un altro ancora diceva: "Qualche volta ho paura, paura dell'aldilà, paura di morire... e allora mi rivolgo a Dio". Ecco, vedete, qualche volta Dio è il Consolatore nel momento del bisogno, qualche volta Dio è il rifugio, qualche volta Dio è colui che fa paura. Quanta gente, tra i cristiani, ho trovato che ha paura di Dio, del suo castigo, della sua punizione, del suo sguardo severo.
Quando noi eravamo giovani, e questo vale per molti di voi che avete qualche anno di più, tutti ricorderete il triangolo con un occhio in mezzo, e questo triangolo che ci seguiva, che ci scrutava, che ci metteva paura. L'occhio di Dio che ci seguiva un po' dappertutto.
Ecco, l'impressione che ho a volte parlando con la gente, anche con i ragazzi, è che spesso abbiamo idee molto diverse su Dio e soprattutto che non fanno riferimento a Gesù. Gli antichi, come avete sentito nelle letture di oggi, erano un po' diversi da noi: loro affidavano il loro tentare di esprimere la loro fede non tanto alle parole quanto a delle immagini, a dei simboli. Oggi le letture che abbiamo ascoltato, ce ne hanno messi davanti due tra i più profondi, tra i più belli. Domenica prossima ne troveremo un altro: quello della vite e del tralcio radicato nella vite.
Oggi due simboli importanti: Gesù è per il cristiano - quindi per me come per voi - come la pietra fondamentale di una casa, una pietra che i costruttori hanno scartato, ma su cui invece bisogna costruire la casa. Noi non siamo più abituati alle case costruite con le pietre: le vediamo, come questa nostra chiesa, tutte costruite in cemento. Pensate alle case antiche, in cui si metteva proprio sull'angolo verso la valle, la grande pietra che reggeva tutto. Ecco, Gesù per me è come la pietra angolare su cui posso costruire la mia casa. Ed è, a volte, una pietra "scartata", non soltanto allora dai "capi del popolo", anche aggi spesso viene scartata. Molti di voi, specie chi è più giovane, chi va a lavorare... Gesù Cristo... sì, belle parole, parole di un sognatore, ma la vita è un altra cosa! Nel mondo del lavoro, nel mondo della società civile, nell'economia, nel costruire la città, spesso ci siamo sentiti dire: "Gesù non conta, non è questo quello che serve per costruire il mondo: quello che conta è la potenza, avere soldi, essere importanti". Per chi è cristiano sul serio Gesù - la Sua vita, il Suo pensiero, i Suoi valori - è ciò su cui si può costruire una vita che val la pena di essere vissuta.
E l'altra immagine, il Vangelo di oggi ce la proponeva con parole splendide. Certo per noi che non abbiamo mai avuto a che fare con le pecore questo può essere solo un animale un po' stupido, simbolo di mitezza e docilità. Ma al tempo di Gesù l'immagine del pastore che conosce la sua pecora era il simbolo di un rapporto profondo... di uno che ti conosce fino in fondo, di cui tu riconosci la voce e Lo cerchi e Lo segui, perché di Lui ti puoi fidare pienamente, e che ti conduce sui pascoli della libertà, della vita!
Ecco, questo dovrebbe essere Gesù per noi: non uno che ti mette paura, non uno che ti mette l'ansia o ti fa sentire in colpa, non uno a cui ricorrere soltanto nel momento del bisogno, ma qualcuno con cui stabilisci un rapporto profondo, perché per te ha "parole di vita eterna": in Lui trovi i valori fondamentali della vita, di Lui ti puoi fidare e cerchi la Sua parola e Lo segui e ti nutre di sé, ti porta sui pascoli della vita vera. Portare ogni giorno dentro di noi questi grandi simboli del Vangelo ci libererebbe da una religione solo del bisogno, dell'ansia, del senso di colpa, della paura e ci metterebbe in un rapporto di fiducia e fede autentica con il Signore Gesù.
Lo Spirito ci aiuti a farlo!
1991
Oggi ancora un'immagine che ci aiuta a incontrare il Signore, a celebrarLo, a sentirLo presente nella nostra vita. Domenica scorsa l'immagine della "pietra angolare" su cui costruire la propria casa, la pietra fondamentale e poi l'immagine del pastore che conosce una ad una le sue pecore. Oggi un'immagine ancora forte, di un mondo che non è più il nostro: l'immagine del "tralcio e della vite". Pochi di voi, penso, hanno curato, potato, innestato le viti. Mio nonno, ad esempio, era molto bravo a fare gli innesti delle viti, sapeva bene come un tralcio dovesse radicarsi nella vite per portare frutto e frutto abbondante. Queste immagini però, anche se sono un po' lontane da noi, ci aiutano a capire chi è il Signore per noi.
Vorrei attirare la vostra attenzione su un aspetto di quello che abbiamo ascoltato e oggi ci aiuta anche la prima lettura. Quando ero giovane mi dicevano... e poi l'ho sentito molte volte da voi, che essere cristiani è una cosa difficile, una cosa quasi impossibile, che richiede tutto l'impegno, richiede quasi di essere degli eroi, quasi che essere cristiani fosse sforzarsi di compiere opere grandi. Non è così secondo me. Il nocciolo, la radice della nostra fede è: fidarsi di Dio, affidarsi a Dio, rimanere radicati in Lui. Qualcuno pensa che a Dio siano graditi i sacrifici, i fioretti, il moltiplicare le preghiere, il moltiplicare le nostre opere, quasi che tutto dipenda dal nostro impegno. Essere cristiani, se ho capito qualcosa del cristianesimo, è affidarsi a Dio come un bambino, mettersi nelle Sue mani.
Si legge nel Vangelo che Gesù prese una volta un bambino, lo mise in mezzo ai discepoli e disse: "Se non diventate come lui, non entrerete nel Regno dei Cieli". Un bambino al tempo di Gesù non era l'immagine dell'innocenza: era l'immagine di chi non ha difese, di chi non può difendersi da sé, di chi non può compiere imprese grandi, eroiche, di chi non può fare quasi nulla, di chi deve soltanto affidarsi, fidarsi. C'è qualcuno, anche in mezzo a noi, che ha paura di Dio. Ascoltate le parole di Giovanni: "Se il vostro cuore vi rimprovera qualche cosa, non abbiate paura! Dio è più grande del vostro cuore". Il nocciolo della fede è: affidarsi nelle mani di Dio come un bambino, cercare di essere radicati in Cristo, credere con tutti noi stessi che Dio è più grande del nostro cuore.
Poi la vita di ogni giorno, il tentare di portare un po' di questo amore con cui Dio ci avvolge, nei rapporti che abbiamo con la gente che ci vive accanto, non per essere degli eroi, non per compiere imprese grandi, non certo per moltiplicare le opere e i sacrifici, ma per comunicare a chi ci vive accanto un po' dell'amore che abbiamo sentito da Dio, un po' della fiducia che abbiamo in Lui. Essere credenti significa: fidarsi di Dio, affidare a Dio la propria vita radicata in Gesù, come un tralcio attaccato alla vite e se siamo attaccati a Lui porteremo molto frutto.
Il Signore ci aiuti.
1988
Se mi riesce, tenterei di fare stasera una predica molto corta, proprio per affidare a voi, a me, la meditazione, la riflessione, l'approfondimento, il conservare nel cuore questa immagine del Vangelo che credo sia abbastanza semplice anche se pochi di voi hanno esperienza personale in merito: forse qualcuno ha fatto il vignaiolo e quindi sa che cos'è una vite, come la si pota... Ma, quello che dobbiamo conservare per noi, è questa immagine (che forse è la più forte) che Gesù ci ha voluto comunicare.
Gesù amava, come vi siete accorti in queste due domeniche, parlare alla sua gente attraverso immagini, attraverso simboli che ci aiutassero a capire nel profondo di noi stessi: vi ricordate, domenica scorsa, l'immagine della pietra, su cui si costruisce la casa, l'immagine del pastore che conosce una ad una, le sue pecore. Oggi l'immagine è ancora più forte: l'immagine del tronco che sostiene i rami, mentre i rami prendono vita dal tronco e Gesù dice: "Rimanete in me, se rimanete in me portate frutto". Vedete, quando si pensa a queste immagini, quando si fanno queste riflessioni viene subito in mente a noi cristiani la domanda: "ma io sono veramente radicato in Gesù? Io veramente sono unito a Lui? Io veramente osservo la Sua Parola?" Cominciamo a farci una serie di domande: se siamo bravi, se siamo buoni... Vi inviterei oggi a buttar via tutto questo... invece di domandarvi se siete bravi, se siete buoni, se siete radicati in Gesù, fermatevi su questa possibilità che il Signore ci ha offerto: non siamo soli; non ci ha detto soltanto: "Andate, camminate, fate i bravi, siate buoni, portate frutto, vogliatevi bene", ma ha detto "Rimanete uniti a me, state radicati in me; io vi offro la mia vita, voglio comunicarvi la vita, come il tronco comunica la vita al tralcio". Abbiamo questa fiducia in Dio! Avete sentito anche la prima Lettura: se il nostro cuore ci rimprovera qualche cosa, abbiamo fiducia: Dio è più grande del nostro cuore. Io credo che noi cristiani qualche volta siamo abituati a farci delle domande, anche a portarci dentro il senso di colpa, ma questo forse, va bene per la quaresima. Celebrare la Pasqua è sentire che Dio è più grande del nostro cuore, è sentire che Dio ha inventato di farsi uno di noi per comunicarci un po' della Sua vita, per tenerci radicati in Lui, per comunicarci un po' del Suo amore.
Noi siamo qui per celebrare l'Eucaristia: tra poco io, ma anche voi tutti, saremo invitati a nutrirci di Cristo, a mangiare quel pane che è anche il Suo corpo. Questo ha inventato il Signore, per farci sentire che Lui non è soltanto uno che indica la strada, che ci cammina davanti, ma anche uno che ci ha donato il Suo Spirito, la Sua Vita, vuole comunicarci se stesso. Noi possiamo contare su di Lui e radicarci in Lui.
Questa dovrebbe essere la gioia profonda del cristiano: la fiducia nel Signore!
E allora, anche se il cuore ci rimprovera, come dice San Giovanni, "abbiamo fiducia". Dio è veramente più grande del nostro cuore. Rimaniamo radicati in Lui: in Lui troviamo la nostra vita e la nostra gioia.
1991
Abbiamo ascoltato parole di straordinaria bellezza, permetterete quindi di non aggiungerne tante delle mie. Vorrei soltanto ricordarvi che qui siamo nel cuore della nostra fede, nel cuore della vita. Essere cristiani significa proprio questo credere nell'amore di Dio, in questo amore totale di Dio che ci ha amati per primo, non perché eravamo buoni, ci ha amati così come siamo. Ha amato questo mondo in cui c'è violenza, c'è male. Ha amato questo mondo fino a donare Suo Figlio. Gesù è venuto fino a farsi uno di noi, fino a dare la vita. "Nessuno ha amore più grande di questo: dare la vita per i suoi amici". Essere cristiani significa credere che l'amore è la realtà ultima della vita.
"Amatevi come io vi ho amati", questo è il comandamento che il Signore ci ha lasciato. È Lui la legge della nostra vita, questo amore di Gesù che si è fatto servizio, che è arrivato fino in fondo, fino a farsi tutto per noi, fino a lasciarsi inchiodare sulla croce, fino a farsi Pane. Questo amore dovrebbe essere l'amore che ci unisce, l'amore tra di noi. "Questo comandamento vi lascio": uno solo! "Amatevi come io vi ho amati". L'amore al centro della vita. Di fronte a queste parole, forse qualcuno di voi si spaventa, le sentiamo troppo grandi, forse suonano addirittura per noi parole retoriche.
Non spaventatevi! Siamo anche noi cristiani come i cristiani di ogni tempo. Leggevamo stasera con un gruppo di gente quelle straordinarie parole del Vangelo di Marco che sono il capitolo nono e decimo, che posso consigliare di rileggervi a casa. Sono parole di grande consolazione per noi, perché raccontano di questi poveri discepoli che vanno dietro a Gesù, tentando di capire questo straordinario amore. Gesù va davanti a tutti, lungo la strada che sale, i discepoli tentano di andargli dietro, ma non sanno cosa pensare, alcuni hanno paura. Siamo noi! È la nostra realtà di povera gente che va tentando di credere che l'amore è la radice ultima della vita, che Dio ci vuole bene fino a farsi uno di noi, fino a donarci la vita.
Non è facile crederlo quando le cose non ci vanno bene, quando ci capitano dei guai; quando alla sera guardiamo la televisione e guardiamo tanti mali del mondo, è difficile credere in Dio. Quando ci guardiamo tra di noi, quando guardiamo chi ci sta accanto, quando guardiamo il nostro cuore e diciamo: come osserviamo questo comandamento di amarci come Gesù ci ha amati? Siamo povera gente, il cuore spesso è pesante, facciamo tanta fatica a volerci bene, qualche volta facciamo fatica anche a sopportarci... eppure siamo qui! Come i discepoli nel Vangelo di Marco che hanno paura, che non capiscono, che qualche volta sentono Gesù che li rimprovera; eppure sono sempre lì a tentare di capire, a camminare con Lui, a cercare la Luce. Hanno scoperto, come abbiamo scoperto tutti noi, che in Lui c'è la luce, che Lui ha parole di vita che non muoiono.
Facciamo fatica a crederlo, per questo per cinquanta giorni celebriamo la Pasqua, perché un po' della gioia di Dio, un po' della certezza del Suo amore, il credere che l'amore è veramente la radice della vita, sia sempre più il cuore della nostra fede; per questo lo vogliamo professare qui insieme, lo vogliamo cantare, ce lo vogliamo ripetere più e più volte. Nonostante le paure, le stanchezze, le pesantezze del nostro cuore, siamo ancora qui a tentare di capire l'amore di Dio, a tentare di proclamare che è bello volerci bene tra di noi. Non ci riusciamo? Eppure ancora cerchiamo, convinti che Dio è veramente più grande del nostro cuore, che Lui ci ha amati sul serio e che anche noi possiamo tentare di farlo.
Il Signore ci aiuti.
1991
Il tempo della vita cristiana, il nostro cammino sulla terra, a volte lieto e sereno, a volte faticoso e pesante, trova la sua radice, il suo senso profondo nell'essere uno spazio, un tempo tra Gesù e... Gesù: questa è la nostra fede. Siamo qui ogni domenica per far memoria del passato e attendere il futuro, per far memoria di Gesù, della Sua vita, di quello che è stato in mezzo a noi. Oggi celebriamo che Lui aveva ragione, che veniva da Dio e a Dio è ritornato, celebriamo il Suo essere in mezzo a noi, testimone di fedeltà, di amore, di liberazione, di vita. Aveva dalla Sua parte Dio stesso, l'impegno di Dio per noi uomini: l'ultima parola della vita di Gesù non è la morte sulla Croce, là Lui ha saputo amarci fino in fondo, Dio ha dato ragione a quell'amore e oggi lo celebriamo glorioso presso Dio e Gesù ritornerà e sarà Lui l'ultima cosa del mondo.
In questo bel racconto ricco di fantasia, i discepoli stanno lì con gli occhi verso il cielo e sentono la voce dell'angelo che dice: "Questo Gesù che avete visto salire al cielo ritornerà, aspettatelo!".
Il nostro cammino sulla terra è un andare verso Gesù, un aspettare il Suo ritorno perché tutto il mondo, quello che noi siamo, la nostra fatica sulla terra diventi, manifesti la dimensione di Gesù. Allora vedremo le montagne che si abbassano, le valli che si riempiono, come dice l'antica parola di Isaia, vedremo quelli che ci sembravano potenti, grandi, forti, essere persone che non contano, perché l'unica cosa che conterà sarà l'amore di Gesù: chi è stato come Lui, chi come Lui si è saputo chinare sui piccoli, sui poveri, chi come Lui è stato seme di liberazione e di vita, chi come Lui ha saputo dare un bicchiere d'acqua.
Ecco noi andiamo verso Gesù aspettando che tutto quello che facciamo di bene, un giorno risplenda come risplende la vita del Signore. Allora questo è il nostro tempo, il tempo di gente come noi a cui è affidato il compito di continuare l'opera di Gesù, di essere Suoi testimoni, di annunziarLo, non tanto con le parole ma con i gesti semplici della vita di ogni giorno. Ecco, noi siamo qui per dire: la nostra vita trova il suo fondamento in Gesù. Quello che c'è di vero nella nostra vita è ripetere i gesti di Gesù, mettere nei nostri giorni un po' del Suo amore, della Sua liberazione, della Sua vita.
Oggi siamo noi le mani di Dio, noi siamo oggi gli annunciatori di Dio, i testimoni della Sua bontà: aspettando che il Signore faccia risplendere questi nostri gesti - che oggi facciamo nell'oscurità, nel silenzio, a volte nel dubbio, nella paura - nella luce stessa di Dio, come oggi celebriamo la luce di Gesù.
Il Signore ci aiuti a credere e a camminare con Lui.
1991
Quello che ho capito della storia della Chiesa è che, nel corso dei secoli, la Chiesa ha attraversato momenti in cui conosceva la paura, il rischio di ripiegarsi su sé stessa, la voglia di guardare al passato, il timore del mondo che la circondava, nelle cose che cambiavano; ma c'erano dei giusti, delle persone che guardavano lontano, che cominciavano a invocare lo Spirito Santo. Invocavano lo Spirito Santo come fonte di liberazione, di speranza, come coraggio di spalancare le porte: come il soffio di Dio che toglieva la paura dal cuore degli uomini.
Posso, allora, dare a me stesso e a voi un suggerimento: cominciamo a invocare lo Spirito con tutta la forza della nostra fede per piccola che sia, perché io temo che la Chiesa, che siamo noi, riattraversi un periodo di paura.
C'è gente che ricomincia, come al tempo degli Apostoli, a parlare della fine del mondo. C'è gente che ha paura del vicino della porta accanto, le ansie che abbiamo per quello che ci succede intorno, paura della gente che viene, paura di chi ha la pelle di colore diverso. Ho sentito con un certo senso di inquietudine, che abbiamo mandato alle frontiere l'esercito, sì, perché abbiamo paura degli Iugoslavi; forse è giusto, ma è un sintomo non bello. La paura, la paura di chi ci sta accanto, la paura di chi vive di sotto, la paura della gente che incontriamo per strada e anche la paura del mondo che ci circonda, che sembra prendere qualcuno nella vita della Chiesa.
Ecco, lo Spirito ci è stato promesso proprio per liberarci il cuore, per aprire le porte, per scaldarci il cuore, per farci respirare aria pulita, perché non ci rinchiudiamo nei gusci delle nostre case, delle nostre Chiese, del nostro piccolo mondo.
Invochiamo lo Spirito Santo, invochiamoLo come un soffio di aria bella, come un vento che scuote, che fa liberi, che spalanca le porte. InvochiamoLo come un fuoco che riscalda, che ci fa capaci di accogliere chi ci sta accanto. InvochiamoLo soprattutto come liberazione dalla paura, da ogni paura, paura del futuro, paura dell'altro, paura del domani, paura della morte. Chi vive nello Spirito di Dio, veramente non ha più paura, perché sente il soffio di Dio dentro di sé.
Invochiamo lo Spirito affinché ci faccia conoscere tutto quello che Gesù ha detto e ha fatto, affinché ci conduca alla verità tutta intera, la verità della nostra vita, che ci faccia capaci di riconoscere un fratello.
Lo Spirito ci faccia conoscere la Risurrezione di Gesù, ci dia il coraggio di guardare senza paura al futuro. Niente può capitare di veramente cattivo a chi sente Dio accanto a sé.
Invochiamo insieme lo Spirito Santo.
1991
La prima lettura che abbiamo ascoltato oggi e il Vangelo, sono uniti dalla stessa parola, la parola "Alleanza". È una parola che, nel nostro ritrovarci insieme la domenica, nel nostro celebrare l'Eucarestia, spesso non ha tutta l'attenzione che merita, perché sono cose che vengono a noi da tempi lontani. Per questo vorrei dirvi qualche parola in più su questo.
Avete sentito la prima lettura: una cerimonia arcaica, che viene a noi da tempi lontani, una cerimonia in cui ha grande spazio il sangue, qualche cosa che a noi dà un senso di fastidio, di orrore. Pensare soltanto che qui noi potremmo portare dei catini pieni di sangue, spargerli sull'altare e poi spruzzare sangue su di voi, è qualche cosa che al solo immaginarlo ci dà un senso di fastidio, un senso di brivido, qualche cosa che certamente non appartiene alla nostra cultura.
Come possiamo, allora, andare al di là di queste immagini lontane? Per gli uomini antichi erano immagini cariche di un profondo significato. In questa cerimonia che Mosé organizza, che viene descritta nella prima lettura, gli uomini di un tempo antico sentivano un impegno profondo che si stabiliva tra loro e Dio: l'impegno di Dio ad essere amico del popolo, a camminare con loro: "Io sarò il vostro Dio"; l'impegno del popolo, un impegno così forte che non si può più spezzare, come l'impegno che c'è tra fratelli, tra un genitore e un figlio; perché questo spargere il sangue significa: adesso ci unisce la stessa vita, siamo come fratelli, abbiamo lo stesso sangue, noi e Dio; impegnati siamo per la vita e per la morte, con un impegno che non può mai essere spezzato.
Sono cose che appartengono a un tempo lontano, eppure, noi siamo qui per celebrare un'Alleanza e un'alleanza fatta nel sangue. Tra poco, io alzerò quel Calice e dirò: "Questo è il Calice della nuova ed eterna Alleanza, nel Mio sangue".
Noi siamo qui e non abbiamo più bisogno di fare cose truculente come gli antichi, ma in quel Calice pieno di vino consacrato, noi rinnoviamo questa Alleanza con Dio, noi celebriamo l'impegno di Dio con noi fino a darci il Suo sangue, fino a dare Se stesso, l'impegno di Dio con la nostra vita, con questo nostro mondo, l'impegno con questa nostra terra; che non è un impegno tanto per dire: è l'impegno di chi è venuto a camminare con noi e ci ha amato fino in fondo.
Dice il Vangelo: "Dopo aver amato i suoi, li amò sino alla fine". Dio ci ha amato totalmente: ne facciamo l'esperienza insieme, quando celebriamo l'Eucarestia! Ma questo esige anche l'impegno nostro con Dio: essere qui non è soltanto un rito, una cosa che facciamo per abitudine ogni domenica, ma è il nostro impegnarci con Dio ad osservare il Suo comandamento, la legge della nuova Alleanza, che è: "Amatevi come Io vi ho amato". Ecco quello a cui noi ci impegniamo. Ci impegniamo a volerci bene come Dio ha voluto bene a noi, ci impegniamo a metterci al servizio l'uno dell'altro, a condividere la vita.
Celebrare la Messa significa sentire Dio che si impegna con noi e noi che ci impegniamo con Dio. Questo ha inventato il Signore per noi, questo ci fa ritrovare qui ogni domenica intorno alla tavola, per questo spezziamo il Pane, alziamo il Calice, per questo ci nutriamo di Gesù: per fare esperienza di Lui che ci ama fino in fondo e per impegnarci con Lui, per camminare con Lui, per portare nella nostra vita un po' del Suo amore.
Il Signore ci aiuti a farlo ogni giorno.
1988
Mi capitava qualche settimana fa di leggere proprio il brano del Vangelo che abbiamo ascoltato stasera, con un gruppo di ragazzi che si stanno preparando per la Cresima e una ragazza domandava: "Che cos'è, don Checco, questo calice dell'Alleanza, questo sangue dell'Alleanza? perché Gesù ha detto questo?". Devo dirvi che l'ho guardata storto; ho detto subito: "Ma dove hai fatto la Prima Comunione? non l'hai fatta qui, come non sai cos'è l'Alleanza? una cosa così importante..." E poi mi sono pentito, perché forse pretendiamo che le cose che diciamo la gente se le dovrebbe ricordare e dovrebbero anzi rimanere ben impresse. È troppo! E allora vi ripeto ancora, perché penso che ci sia qualcuno anche fra voi che si possa porre la stessa domanda: "Che cos'è il calice dell'Alleanza? Perché Gesù parla del calice dell'Alleanza?". Ecco, le letture che abbiamo ascoltato ci aiutano a capire questo aspetto così importante dell'Eucaristia che celebriamo. Per noi questa idea dell'Alleanza è un'idea un po' lontana: per gli antichi (qui parlo veramente degli antichi, non di 50 anni fa, ma dei tempi di Gesù) questa era un'idea fondamentale, importante. Qualcuno di voi ha preso in mano qualche volta una Bibbia e ha letto "Antico Testamento" e "Nuovo Testamento".
Quella parola è la stessa che è usata qui come Alleanza. Allora, vedete, che addirittura si divide la Bibbia in Antica Alleanza e Nuova Alleanza. Per loro questa parola era importante: perché? Cerchiamo di chiarire il più brevemente possibile: avete sentito la prima lettura, vi suggerivo anche di farvi attenzione. Si parla là di una stranissima cerimonia di Mosé che prende i catini del sangue e li sparge in parte sull'altare, in parte lo asperge sul popolo. A noi queste cose sembrano tutte un pochino strane: che cos'è questo sangue che viene sparso e poi perché tanto sangue? Noi abbiamo quasi l'istinto di difenderci da queste cose e rischiamo per questo di non capire. Per gli antichi il sangue era quello che contiene la vita dell'uomo: loro vedevano che quando uno perdeva il suo sangue, moriva e pensavano allora che la vita fosse nel sangue. Voi anche conoscete quelle parole dei tempi antichi che dicono: "quei due sono dello stesso sangue, sono fratelli!" cioè hanno lo stesso sangue, sono parenti. Ecco, questo modo di parlare, che non è più il nostro, per gli antichi era importante.
Qualcuno di voi avrà visto forse al cinema o sentito raccontare che in certe tribù di uomini primitivi, o lo fanno anche gli zingari qualche volta ancora, quando vogliono fare un patto, quando vogliono stringere un'amicizia, fanno un piccolo graffio, fanno sgorgare qualche goccia di sangue, uniscono il sangue. Quello è un patto di sangue, un patto che non si può sciogliere. Allora vedete qua: gli antichi avevano inventato questo: di fare un patto di sangue con Dio, cioè qualche cosa che li "facesse diventare della stessa famiglia", come se avessero lo stesso sangue. Loro erano abituati - le tribù degli antichi ebrei - a celebrare un rito, quando volevano fare un'alleanza fra di loro: i due capi si incontravano con grande solennità, ciascuno faceva il suo graffio sul braccio, li univano e dicevano: "Ecco, adesso siamo fratelli, adesso non possiamo più far guerra fra noi perché abbiamo fatto fra noi un patto di sangue, ci siamo impegnati l'un con l'altro". Dicevano: "Tu ti impegni con me a vivere in pace, a rispettarmi come fratello e io mi impegno con te. Adesso abbiamo lo stesso sangue, adesso abbiamo fatto tra noi un patto che non si può più rompere. Guai a chi lo rompe!". E qui seguivano sempre le grandi maledizioni che usavano gli antichi.
Il popolo di Israele vuole fare un patto con Dio: non avevano a disposizione... il braccio di Dio, ecco perché inventano questa strana cerimonia che abbiamo sentito. Prendono il sangue degli agnelli, lo mettono nei catini, poi lo spargono un po' sull'altare, che era allora il Simbolo di Dio, e un po' sulla gente e dicevano: "Ecco, adesso abbiamo fatto un patto con Dio, siamo fratelli, amici di Dio, o meglio, siamo figli di Dio. Abbiamo con Lui lo stesso sangue e ci siamo impegnati con Dio. Ci siamo impegnati ad osservare il codice dell'alleanza: le tavole della legge". Quello era il codice, il patto a cui si impegnavano. Il popolo, lo avete sentito anche nella lettura che abbiano ascoltato, dice: "quello che il Signore ha detto, noi lo faremo sempre!" e dall'altra parte sentivano che Dio si era impegnato con loro.
Ora, vedete, durante l'ultima cena, lo abbiamo ascoltato nel Vangelo, Gesù ha preso il calice del vino che ricordava proprio quella Alleanza, che ricordava quel patto e ha detto: "Adesso lo facciamo nuovo, lo facciamo nuovo nel mio sangue". Non più il sangue degli agnelli, non più il sangue dei capri, ma il sangue di Gesù.
Allora, ogni volta che noi ci ritroviamo qui a celebrare l'Eucaristia (e su questo vorrei che stasera ci riflettessimo un momento), noi non facciamo altro che rinnovare un patto con Dio, rinnovare un'alleanza con Dio. Ogni volta che noi la domenica ci sediamo qui intorno, dovremmo sentirlo: ci impegniamo con Dio. Ogni volta che la domenica ci sediamo qui intorno, Dio si impegna con noi e si impegna fino in fondo, fino a donarci la sua vita. Celebrare l'Eucaristia è questo: non è soltanto fare una preghiera, celebrare un rito, fare dei bei canti, ma è partecipare, vivere, rinnovare, sentire un patto fra Dio e noi e tra noi e Dio. Dio si impegna con noi, ma si impegna sul serio, si impegna fino a darci la vita, si impegna fino a farsi pane. E noi ci impegniamo con Lui ad osservare l'unico comandamento che Gesù ci ha lasciato: "Amatevi, come io vi ho amato".
Allora, vedete, quello che noi stiamo facendo anche qui stasera, quello che abbiamo fatto ogni domenica in quest'anno, è proprio questo, è proprio impegnarci con Dio e sentire il Suo impegno con noi. Vorrei concludere... per non farla troppo lunga: guardate un momento il Signore! Lui dice a me e a ciascuno di voi stasera, come ogni volta che ci raduniamo qui: "Senti, io voglio esserti amico; nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i propri amici; io do la mia vita per te, non dubitare più dell'amore di Dio! Hai visto, hai toccato con mano fino a che punto io sono impegnato con te; sono impegnato fino al sangue, sono impegnato fino a donarti me stesso, sono impegnato fino a donarti la vita; nessuno ha amore più grande di chi dà la vita per i propri amici". E poi Gesù ci chiede: "E tu vuoi impegnarti con me? un solo comandamento ti lascio: amatevi come io vi ho amato, lavatevi i piedi gli uni con gli altri".
Ecco che cos'è l'Eucaristia: rinnovare questo patto di amore con Dio e tra di noi: rinnovare l'alleanza. Dovremmo fare (il Concilio lo suggerisce ma è troppo complicato) la Comunione non soltanto con il pane, ma anche con il vino: dovremmo tutti prendere in mano il calice dell'Alleanza. È troppo complicato: noi non siamo più abituati a bere tutti nello stesso bicchiere. Ce lo impedisce l'igiene, ci vorrebbe un calice per uno! Gli antichi non avevano questi scrupoli, tutti bevevano allo stesso bicchiere. Noi oggi, e giustamente, siamo un po' più scrupolosi; ma venendo a fare la comunione, oggi pensate di prendere in mano anche il calice e di poter bere là. È il calice dell'alleanza, il calice del sangue di Gesù, il calice del sangue sparso anche per me, il calice di un amore che va fino in fondo, che dà la Sua vita. È il calice del mio impegno con Gesù, a vivere dello stesso amore, a dare anche io un po' della mia vita.
Il Signore ci aiuti.
1991
Il Vangelo di oggi è una pagina un po' strana, penso che molti di voi non l'avevano nella mente, poche volte nel corso degli anni leggiamo questa pagina. Quest'anno, proprio perché la Pasqua è arrivata molto presto, ci capita di leggere questo Vangelo.
Ci sarebbero tante cose da dire su questo brano, ma sarebbe un discorso molto lungo e vorrei, invece, attirare la vostra attenzione su una frase che abbiamo letto: "In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà mai perdonato in eterno". Quando si legge questo, più d'uno domanda con ansia: "Qual è questo peccato contro lo Spirito Santo? Qual è questo peccato che non può essere perdonato? Cosa non può essere perdonato? "
Questa ansia, questa domanda, dipende, purtroppo, da quel senso di paura di Dio che molti di noi si portano dentro, paura di essere in peccato, paura di non poter essere perdonati. Ho sentito tante volte nella mia vita gente che dice: "Padre, Dio non può perdonare quello che ho fatto, ho fatto qualcosa di grosso, qualche cosa di pesante". C'è sempre, in mezzo al popolo cristiano, qualcuno che ha paura di Dio, che ha paura di incontrarsi con Lui, che ha paura di non meritare il perdono; una frase, questa, che ho sentito troppe volte nella mia vita. Vorrei ricordarvi questo: la maggior parte degli studiosi che commentano questa pagina del Vangelo, interpretano questo peccato, che non può perdonato, proprio come il rifiuto del perdono.
C'è una sola cosa che può impedire il perdono di Dio: è quando noi non ci fidiamo di Lui, del Suo perdono, quando rifiutiamo il Suo perdono, quando non sentiamo quell'impulso del cuore che ci fa affidare a Lui. È l'ultimo "no" che tentiamo di dire al Signore: "No, io non voglio tornare da Te, io non voglio sentirmi perdonato, io non voglio dimenticare". Non vogliamo affidarci a Lui, vogliamo fidarci di noi stessi fino in fondo, anche quando ci accorgiamo di aver sbagliato.
L'esempio di questo, nel Vangelo, è Giuda. Giuda viene considerato, nel Vangelo, perduto non per il peccato gravissimo che ha fatto, ma perché ha rifiutato di tornare da Gesù, ha rifiutato di affidarsi a Lui! Gesù è venuto proprio per chi ha sbagliato e l'ha detto tante volte nel Vangelo: "Io non sono venuto per i giusti, ma per i peccatori, non sono venuto per chi si crede a posto, ma per chi ha il cuore pesante, non sono venuto per chi non sbaglia mai, ma per chi sente di aver sbagliato".
Ma c'è una cosa in cui anche Gesù non può farci niente: se noi non ci affidiamo a Lui, se non sentiamo che Lui è venuto proprio per rimetterci in cammino, per darci speranza, per consolarci. E l'ultimo "no" che possiamo dirGli è il rifiuto del Suo perdono, che è rifiutare Lui. Lui è venuto per il perdono, per la gioia, per rimetterci in cammino, per parlarci di Dio e non di un Dio severo, di un Dio che caccia via chi sente di aver sbagliato.
Tutti conoscete la parabola più bella del Vangelo: il figlio che torna a casa e trova che il Padre fa festa per lui. Dovremmo sentirla, questa festa, ogni volta che ci ritroviamo intorno all'altare. Questa tavola è per tutti. Non ci sono tra di noi giusti e peccatori, non c'è qualcuno che è degno di far la Comunione e qualcuno che non è degno, non c'è nessuno che il Signore manda via da quella porta, ci accoglie tutti, perché siamo tutti povera gente. Ripeteremo fra poco: "Signore, io non sono degno... ", ma tutti ci nutriremo di Lui, perché è venuto per noi, è venuto per chiunque abbia il cuore pesante, per chiunque senta di aver sbagliato, per chiunque abbia paura di Dio.
Gesù è venuto a toglierci questa paura e l'unico peccato che Lui non può perdonarci è il rifiuto di affidarci a Lui, il rifiuto del Suo perdono.
Il Signore ci aiuti.
1991
Abbiamo ascoltato insieme quella che ritengo una delle pagine più belle e profonde del Vangelo di Marco, un Vangelo che vi consiglio di rileggere sempre con grande attenzione perché è straordinario.
La prima parabola è una parabola insolita che molti di noi non conoscono perché c'è solo nel Vangelo di Marco, è una perla che riguarda solo lui: gli altri evangelisti l'han lasciata cadere. Mi è capitato tante volte nella vita di sentir predicare il Vangelo, ma non mi è mai capitato di sentire spiegare questa parabola; eppure ritengo che sia importante perché noi, che viviamo nel ventesimo secolo, ne abbiamo un grande bisogno.
La prima parabola che abbiamo ascoltato ricorda un fatto che per un contadino, per i saggi contadini, era una cosa abbastanza normale, per noi rischia di non esserlo più. Quando andate in campagna, tutto è meccanizzato, anzi addirittura computerizzato: quando si deve innaffiare, come si deve seminare e quando. Sono tutte cose importanti perché in base a questo noi mangiamo. Se non ci fosse tutto questo lavoro, anche di pensiero, del mondo contadino, noi non camperemmo più. Ma i contadini di un tempo, almeno quelli che ho conosciuto io, qualche volta, si fermavano davanti al loro campo e dicevano: "Ma guarda, io metto il seme nella terra e questo seme pian piano mette fuori due foglioline e poi cresce... e poi la spiga e poi i chicchi nella spiga ... e come avviene tutto questo?". Era un mistero per il contadino, il mistero della forza della vita. È capitato anche a voi, qualche volta, di fermarvi sull'orlo della strada, magari quando aspettate il bus e vedete in un punto l'asfalto che si è spaccato, si è crepato e una fogliolina è spuntata fuori. La forza della vita che rompe anche l'asfalto, la forza del seme che germoglia, che produce vita ... il mistero della vita.
Noi siamo preoccupati, giustamente, di quello che dobbiamo fare noi, del nostro compito, il contadino si preoccupa di come deve seminare il seme, di quando deve seminarlo e di come deve mettere acqua... e qualche volta si dimentica di guardarlo questo seme, di guardare questa vita, di stupirsi di fronte alla sua forza prorompente.
La stessa cosa - dice Gesù - succede per il Regno di Dio. C'è gente tra di noi che si dà da fare, che si impegna, che lavora, che fatica, che cerca di tirar su i figli, che cerca di dedicarsi con passione agli alunni, che cerca di sforzarsi di far del bene andando all'ospedale ecc... Sono tutte cose giuste, importanti; però nel nome del Signore, qualche volta, fermatevi a contemplare la vita, a guardare che la vita è qualche cosa di più grande di noi, del nostro povero sforzo. Al di là di quello che un papà fa per un figlio, al di là di tutta la fatica che ci vuole per tirar su un figlio, c'è la grandezza, lo splendore, la tenerezza, la bellezza, la delicatezza di un figlio, di una vita, di quello che c'è nel profondo di noi. Al di là dei miei sforzi di fare un po' di bene, c'è il bene che fa Dio, c'è la grandezza dell'amore di Dio per noi, c'è l'impegno di Lui con la nostra storia, con questo nostro mondo. Pensate se il mondo, se la vita, se il futuro fosse affidato soltanto a gente come noi, a gente come me, se il futuro della Chiesa fosse affidato solo alle nostre fragili forze! Per fortuna c'è la forza di Dio che cammina in mezzo a noi, c'è la misteriosa presenza di un amore che viene da lontano, che è forte come il seme che spacca l'asfalto, per far germogliare una fogliolina, un fiorellino che spunta.
Possiamo credere che questo nostro mondo, le cose che abbiamo intorno, il cammino della storia, non siano soltanto il prodotto dei nostri poveri sforzi, ma che siano anche il frutto dell'amore di Dio, che attraversa la nostra vita, della forza stessa della vita che ci è stata donata. La vita, prima di essere una conquista, uno sforzo, un impegno, è un dono da accogliere, da contemplare, da ammirare, da cantare, di cui gioire.
Il Signore ci dia la forza di farlo.
1988
Devo avervelo già detto più di una volta ma, come spesso mi capita, ripeto le cose che mi stanno a cuore e che mi colpiscono: le esperienze che nella mia vita sono diventate importanti e preziose. Vi ho detto quindi già più di una volta che il Vangelo di Marco è diventato per me il Vangelo che mi è più caro, che sento più bello, più vicino, più profondo. È un'esperienza che ho fatto leggendolo e rileggendolo ed è quindi questo il consiglio che do, con semplicità, anche a voi. È un Vangelo forse difficile quello di Marco perché è estremamente semplice: ci sono pochi discorsi di quelli che colpiscono subito, ci sono tanti simboli, tante immagini, sia nelle parabole come quella di oggi, sia anche nei racconti che hanno bisogno forse di essere letti più di una volta, per poter gustare sempre di più la bellezza, la freschezza, la forza di questo Vangelo straordinario.
Ecco perché vi consiglio di leggerlo e rileggerlo; è anche un Vangelo cortissimo, si fa presto. Ma forse proprio perché è corto, lo si legge in fretta, invece ha bisogno di essere gustato in profondità, "fermandoci" un pochino, anche perché il Vangelo di Marco è il primo di quelli che abbiamo, il più vicino a Gesù, quello che secondo me conserva di più la forza e la freschezza della luce che Gesù ha comunicato agli uomini.
Poi, sapete, man mano che ci si allontanava da Gesù i cristiani cercavano di mettere "qualche pezza" a quello che aveva detto Gesù, forse perché pensavano che Gesù esagerasse un po'. Noi siamo sempre dell'idea che Dio esageri! Vedete, per esempio, il caso di oggi: penso che tutti voi conosciate la seconda parabola che abbiamo letto, quella del granello di senapa che viene seminato e diventa un albero. Avrete sentito tante volte parlare del granellino di senapa, ma pochi di voi conoscono la prima parabola, la parabola del seme che cresce da solo. Sapete perché non la conoscete? perché questa parabola non c'è più negli altri Vangeli: l'hanno tolta: Matteo e Luca, che riportano la seconda parabola, hanno lasciato cadere la prima. Si vede che a quel tempo pensavano che i cristiani fossero persone poco serie e bisognava non dirgli che il seme cresceva da solo: se uno non lo lavora come fa a crescere? Il contadino non può star fermo!
Se noi siamo buoni contadini, dobbiamo sapere che bisogna vangare, lavorare, custodire la terra, perché se ci fidiamo che il seme cresca da solo, se ci mettiamo a braccia conserte ad aspettare... i primi cristiani dicevano: "Il seme non cresce più, la terra deve essere lavorata per bene". Le parabole in cui bisogna lavorare la terra, sono tutte conservate con cura negli altri Vangeli; ma questa parabola in cui il contadino "dorma o vegli, lavori o no, il seme cresce", questa parabola è stata fatta cadere.
Ma voi siete persone serie e credo che nella vita abbiate tanto cercato di lavorare coi vostri figli, nel vostro lavoro, in casa, nel mondo che vi circonda e forse, proprio perché siete persone serie, avete bisogno (a volte io l'ho sentito forte) di questa parabola di Gesù, che ci dice "gente abbiate fede, perché non siete solo voi a lavorare in questo mondo: il crescere un figlio, il portare avanti una classe di scuola, il costruire la terra, non dipende soltanto da voi"!
Per fortuna c'è Dio impegnato con noi: è Lui che ha un progetto per questa terra. Non è affidato soltanto alle nostre forze! Dio ha un'idea e pian piano, in maniera misteriosa, a volte incomprensibile per noi, la porta avanti.
Qualche volta ci sembra che tutto finisca! Gli uomini tante volte hanno provato questa sensazione, specialmente quei cristiani che sono attenti alla storia più degli altri (se voi rileggete la storia della Chiesa lo potete riscontrare); si sono guardati intorno e hanno detto: "Qui è la fine di tutto, il Cristianesimo sta per finire, non c'è più il bene sulla terra, sembra che il male trionfi". Poi il mondo continuava ad andare avanti, tornava gente che sapeva sorridere e ritrovare fiducia e speranza, c'era chi tornava a guardare con serenità intorno a sé per vedere che il bene è ancora più "normale" del male, perché non siamo solo noi a lavorare. Qualche volta ce ne dimentichiamo e pensiamo che tutto dipenda da noi... ci dimentichiamo di Dio! Ci dimentichiamo che Lui ci ha tracciato un progetto, una strada.... ci dimentichiamo che il Regno di Dio non conosce soltanto il nostro impegno, ma l'impegno Suo: è morto per questo! E volete che la Sua vita, la Sua morte, vada sprecata? Volete che il vostro lavoro, quello della Chiesa, di tutti gli uomini di buona volontà che ci sono nel mondo, tutto cada nel nulla? Sarebbe vissuto invano, sarebbe morto invano! La suprema speranza della nostra vita è là, in un Dio impegnato con noi, e fino in fondo, nella storia di questo mondo. Possono succedere tante cose che a volte non capiamo, ma alla fine quello che trionferà sarà la vita, la gioia, l'amore, la bellezza... Per questo Dio è impegnato con noi. Se fosse affidato tutto soltanto nelle nostre mani, potremmo dubitare dell'esito della storia del mondo; ma se siamo convinti che c'è Dio con noi, se siamo convinti che Lui ha un progetto per la nostra storia, allora possiamo andare avanti con fiducia e guardare con fiducia alla nostra storia privata, personale di ciascuno e alla storia del mondo: perché Dio non ci lascia soli.
Si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca. 22 giugno 1997
Gesù se ne stava a poppa sul cuscino e dormiva.
Lo svegliarono: "Maestro, non t'importa che moriamo?"
Ci dicevano, quando eravamo giovani: "Scherza coi fanti e lascia stare i Santi". Penso che anche voi abbiate imparato che "scherzare con i Santi" è meno pericoloso e in più, a volte, si impara qualche cosa. E allora stasera proviamo scherzare con i Santi.
Mi capitava, martedì scorso, di camminare per una delle tante belle montagne della nostra Italia; e siccome la passeggiata è stata breve, nel pomeriggio siamo andati a visitare una graziosa cittadina. Tra l'altro l'abbiamo trovata in gran parte restaurata, pulita, ordinata: cosa che mi capita sempre più spesso di vedere, andando in giro per l'Italia. Questo significa che il benessere e la civiltà avanzano nel nostro Paese; ed è una bella cosa! Ma di questo, un'altra volta.
E dunque girando per questa cittadina, siamo entrati nella chiesa principale, dedicata ad un grande Santo del luogo. E c'era una grande teca con la salma del Santo e, in un angolo, le reliquie della sua vita e dall'altra parte una grande lapide che narrava di un prodigio accaduto in quella chiesa: tutto il popolo era riunito e pregava il Santo; ad un certo punto è caduto un fulmine! ha rovinato la cupola della chiesa e tutti i fedeli hanno invocato il Santo e nessuno è stato colpito dal fulmine!...
Ma non poteva, il Santo, far cadere il fulmine un po' più in là ed evitare un coccolone alla gente che stava là, a pregarlo? "Scherzi da prete": si diceva un tempo per indicare uno scherzo pesante ed un po' stupido: gli scherzi dei santi debbono essere peggiori...
Mi faceva venire in mente che una volta una signora tornava da un pellegrinaggio ad uno dei santuari, qui nei dintorni di Roma, dove c'era - almeno a quel tempo - uno dei "santoni" locali. E tornava dicendo: "Don Checco, ho avuto un miracolo!". -"Quale miracolo?" -"Sono caduta: mi son rotta tre costole". "E dov'è il miracolo?" -"Sono caduta sul pullman: mi potevo rompere la testa! Mi son rotta solo tre costole"...
Fino a questo punto arriva il bisogno del miracolo, di avere una protezione! Qualcuno di voi dirà: "Ma è così naturale cercare una protezione dall'alto, una protezione nei Santi! Perché scherzare su queste cose?" E allora, se volete, non scherziamo più: facciamo le persone serie.
È capitato anche a voi di vedere, ultimamente, le immagini dell'arresto di un personaggio, che sembra essere uno dei grandi boss della mafia siciliana? E siete stati colpiti dall'aver visto le pareti della sua casa tutte ricoperte di immagini di Santi, grandi fotografie di Padre Pio che è oggi uno dei campioni del miracolismo?
E non vi sembra che, se qualcuno di voi fosse andato a dire: "Ma scusa, tu che sei così devoto del Santo, come mai ti comporti in questo modo?", vi avrebbe forse risposto, come forse risponderebbe qualcuno di voi: "Che c'entra questo! Io cerco, nel Santo, protezione per me, per i miei figli!". Ma cos'è allora la religione: bisogno di protezione o ricerca dei valori essenziali della vita?
E il Vangelo di oggi parla di un Gesù che ci protegge nel cammino della vita o della certezza dei discepoli, che in Lui ci sono parole di vita, che in Lui possiamo cercare i valori essenziali della nostra esistenza, al di là delle tempeste della vita?
Qualche volta nella vita ci sono tempeste: qualche volta scoppiano i fulmini, qualche volta arrivano malattie, capitano guai, che i Santi non ci evitano: non li hanno evitati mai, nel cammino degli uomini!
Ma al di là di tutto questo, chi crede continua a cercare, in Gesù, i valori essenziali della sua esistenza. Questo è aver fede! Altrimenti rischiamo anche noi di riempire le nostre case di immagini di Santi, di immagini di Padre Pio; e di non essere più capaci di cercare la giustizia e l'onestà, la verità e la tenerezza, la pace, nel cammino di ogni giorno: i valori essenziali della vita!
Per questo è venuto Gesù; ed è questo il cuore della nostra fede.
Il Signore ci aiuti!
1994
In molti libri in cui è scritto il Vangelo (probabilmente anche in quello che avete a casa con voi), si dà un titolo ad ogni episodio; per quello che abbiamo letto stasera, io ho sempre trovato il titolo "La tempesta sedata" (con una parola antica) cioè la tempesta calmata; oppure "Il miracolo della tempesta calmata". E penso che più d'uno di voi, ascoltando questo racconto stasera, ha subito pensato al miracolo di Gesù, che calma la tempesta, che quieta il mare: uno dei tanti miracoli del Vangelo, un fatto accaduto tanto tempo fa.
Non so se mi riesce di aiutarvi a vedere come il Vangelo si può leggere in un altro modo: prestate un attimo di attenzione. In ogni religione, in ogni angolo della terra, quando si vuol mostrare la potenza di Dio, la presenza di Dio, si parla di un miracolo: è il simbolo che tutti i popoli della terra hanno usato per parlare di Dio, per mostrare un Suo intervento. Nel linguaggio religioso di tutti i tempi, la cosa più comune è il miracolo; ma se il Vangelo si legge da questo punto di vista, si rischia di non capire.
Posso darvi un consiglio: cambiate il titolo a questo racconto. Potreste intitolarlo così: non "il miracolo della tempesta sedata" ma "il non-miracolo della tempesta, quando c'è Gesù nella barca" - "il non-miracolo di Gesù che dorme sulla barca" - "il non-miracolo dei santi, degli apostoli, che hanno paura". Tutto questo si tenta di esprimere nel racconto che abbiamo letto: non tanto il miracolo di un mare che si calma, ma l'esperienza - espressa con i simboli cari ai primi Cristiani, che per la maggior parte erano, come sapete, dei pescatori ‑ l'esperienza sconvolgente che a volte il credente fa: che la sua vita e anche la vita della Chiesa, è talvolta squassata dalla tempesta: le onde sembrano sommergere la barca, il male sembra avere la vittoria sul bene, e ‑ quello che è ancora più forte per il cuore del credente ‑ Dio sembra assente, Dio sembra lontano, Dio non interviene! Espresso, nel racconto che abbiamo ascoltato, con una forza straordinaria: Gesù, mentre il lago è sconvolto dalla tempesta, a poppa, su un cuscino, dorme!
Forse non c'è immagine più forte per esprimere quello che a volte è anche il nostro dramma: Dio sembra assente dalle tempeste della nostra vita! Non interviene! Non solo non interviene per calmare il lago, ma non interviene neppure per toglierci la paura dal cuore: rimane la paura! Ne avete fatto esperienza anche voi, più di una volta nella vostra vita. Vorrei dire, allora, soltanto una parola, stasera.
C'è probabilmente, anche in mezzo a voi, qualcuno che attraversa un periodo burrascoso della propria vita e si ritrova la paura nel cuore e qualche volta pensa di non aver fede... Ecco, questo Vangelo è scritto per voi: anche i santi, anche gli apostoli, anche i maestri della nostra fede, hanno avuto paura; anche loro hanno gridato, disperati, al Signore: "Moriamo...non te ne accorgi?".
Essere Cristiani significa ritrovare, nel profondo delle nostre tempeste, il coraggio della speranza, il coraggio della fede; e non sempre è semplice! A volte tutto sembra finire; a volte il male sembra avere il sopravvento; a volte anche a noi sembra di non farcela... Tendiamo una mano verso il Signore! Che ce la prenda, che ci sollevi, che ci tolga la paura dal cuore! Ma molte volte - ne avete fatto l'esperienza - non lo fa; a volte sembra lontano, a volte sembra distante. E allora, per noi, la paura si fa forte!
Chi si porta questa paura nel cuore, non tema di essere lontano da Dio: Dio può essere più vicino di quanto lo immaginiamo, può - anche nella nostra barca - "dormire sul cuscino"... ma è là! E ci chiede con tenerezza, come l'ha chiesto agli apostoli, di non aver paura, di ritrovare il coraggio della speranza, la certezza che il male non avrà il sopravvento nell'ultimo orizzonte, che il bene sarà l'ultima parola della vita, che Gesù rimane la presenza più forte ed importante della nostra esperienza di uomini!
Il Signore ci aiuti!
1991
Siete persone sagge e avete imparato un po' a leggere il Vangelo, soprattutto questo straordinario Vangelo di Marco che quest'anno ci accompagna nelle varie domeniche e ci accompagnerà fino ad ottobre. Voi sapete che il Vangelo, soprattutto questo, non va letto come un fatterello, ma come un racconto ricco di simboli profondi per la nostra vita di tutti i giorni. Se lo leggete come un fatterello, non finite di farvi domande su quello che abbiamo ascoltato: È possibile che Gesù dormiva? Si può dormire in una grande tempesta? E poi che significa che questi discepoli, dopo che Gesù ha calmato il vento e il mare, sono ancora presi da grande timore? ecc... Potreste farvi domande quasi all'infinito.
Se voi riandate indietro nella vostra vita, credo che tutti noi, io per primo, abbiamo fatto questa esperienza: in certi momenti ci sembrava che l'esistenza fosse come una navicella sbattuta sull'acqua, ci sembrava che la nostra vita o quello che ci capitava nella vita, fosse pieno di angosce, di paura, di ansia per il futuro.
Qualche volta - non so se è sembrato anche a voi - poteva capitare che la Chiesa, questa fragile barca, in cui noi siamo i credenti, fosse sull'orlo di naufragare; sembrava, in certi momenti, che tutto fosse perduto, che tutte le tradizioni migliori se ne andassero, che la gente che cresceva non credesse più, che in chiesa venissero sempre meno ecc... Anche a chi è giovane sembra, qualche volta, che l'umanità stia addirittura sull'orlo del fallimento. Mi è capitato di incontrare nella mia vita dei ragazzi che dicevano: "Com'è possibile mettere al mondo un figlio in un mondo così?". Ho sentito una frase del genere più di una volta. Ecco, quella fragile barca che è l'umanità sembrava sul punto di naufragare, di non aver più speranza.
Il dramma del credente è Dio: la paura, la sensazione amara che Lui sia lontano. Molti di voi dicono: "Dio non ci vuole più bene, sembra che il Signore dorma, che sia assente". Ecco quello di cui parla il Vangelo di oggi: l'esperienza forse più viva della nostra vita di credenti. Allora tutti possiamo ascoltare il dolce rimprovero di Gesù: "Perché non avete fede? Perché non continuate ad affidare la vostra vita a Dio?" Ad un Dio più grande delle tempeste che increspano i giorni della nostra vita, la certezza che Dio c'è, qualche volta al di là delle nuvole.
Diceva Teresa di Gesù Bambino: "Io so che il sole c'è, ma vedo soltanto nuvole". C'è forse qualcuno, stasera, anche tra di voi, che vede solo nuvole nella propria vita, che sente dentro il suo cuore la paura, l'ansia per il futuro, l'angoscia. Io non posso comunicarvi la certezza che Dio c'è, anche se sembra dormire: chiedetela! Chiediamola tutti nella preghiera, per chi in mezzo a noi è come una piccola barca sbattuta dalla tempesta. Dio metta nel cuore la certezza della Sua presenza, la certezza che al di là delle nuvole il sole ancora splende, che c'è ancora un'alba, che c'è ancora un domani al di là della notte. Il Signore conservi a tutti noi questa certezza della Sua presenza e del Suo amore nel nostro cuore: anche se sembra dormire nella nostra barca, il Signore è là.
Ci conservi nel cuore questa fede.
"Figlia, la tua fede ti ha salvata"... "Fanciulla, io ti dico, alzati". 26 giugno 1994
E furono presi da grande stupore.
Alcuni di voi - spero non molti - si meraviglieranno se dico che quello che abbiamo appena ascoltato è una lezione di catechismo sul Battesimo. Sì, proprio così: una lezione di catechismo sul Battesimo. Vedete, noi siamo abituati a sentire lezioni di catechismo con parole astratte, a volte anche complicate: quelli di voi che hanno i capelli bianchi ricordano che quando eravamo bambini abbiamo imparato tante domande e risposte, le abbiamo ripetute a pappagallo, non capivamo gran che di quello che dicevamo...
Gli antichi non amavano parole astratte: loro amavano raccontare, narrare storie, racconti simbolici. Il Vangelo è pieno di questi racconti, che tentano di spiegare i due fatti fondamentali della vita cristiana, i due simboli essenziali che Gesù ci ha lasciato: l'Eucarestia, che noi viviamo qui, insieme, e il Battesimo, che celebra il nostro incontro con Gesù.
Il Vangelo è pieno di racconti di cene, di feste, di banchetti: troviamo molte volte Gesù a tavola con la gente (spesso con i peccatori): tanti racconti, per esprimere i molti aspetti del nostro ritrovarci qui ogni domenica. Ma il Vangelo è anche pieno di racconti di guarigioni: ci sono paralitici che si alzano e camminano, ciechi che recuperano la vista, morti che risorgono. È il tentativo di esprimere ‑ attraverso questi segni, questi simboli ‑ il dono che Dio ci fa nel Battesimo: l'incontro con Gesù, che libera e dà vita.
I primi Cristiani esprimono la loro esperienza dell'incontro con Gesù che hanno celebrato nel Battesimo, parlando di un paralitico che si alza e cammina; di un cieco che recupera la vista: uno che non vedeva, non capiva quello che gli succedeva intorno e che comincia a scoprire, a riconoscere uomini e cose; e soprattutto ‑ il segno più forte ‑ il passaggio dalla morte alla vita. Loro dicevano: "Noi eravamo come morti, incapaci di scoprire i valori autentici, di scoprire che cos'è la vita, incapaci di amare veramente, incapaci di vivere. Ma quando abbiamo incontrato Gesù, siamo passati dalla morte alla vita, abbiamo cominciato a vivere!".
Il racconto che abbiamo ascoltato tenta di esprimere, per prima cosa, il dono di Dio, il mistero di Dio che attraversa la nostra vita. I primi Cristiani dicevano: "Quando abbiamo incontrato Gesù, è stato come se un soffio di vita ci avesse scossi e liberati dai lacci della morte. È stato il Suo dono!". Per questo si parla di una bambina, una bambina di appena 12 anni, incapace ancora di scelte autentiche, incapace di essere una persona adulta: tutto in lei è dono, tutto in lei è incontro con Gesù! Lei non può nemmeno parlare. Gesù la prende per mano e la libera: la libera dal male, la libera dalla negatività, la libera dalla schiavitù, la libera dai lacci della morte!
Ma i primi Cristiani tentano di esprimere anche l'impegno dell'uomo: ecco perché oggi abbiamo ascoltato due racconti, incastrati l'uno nell'altro: nel primo racconto si parla di una bambina e si tenta di esprimere il dono di Dio, il mistero della Sua presenza nella nostra vita; ma nell'altro si parla di noi. C'è una donna che perde sangue e per gli antichi il sangue è la vita. La sua vita se ne sta andando, senza che lei nemmeno capisca perché; ha tentato con i medici, ha sciupato tanti soldi, ma non è riuscita a niente... Si avvicina a Gesù: da dietro (avete sentito: Marco in questo racconto è straordinario) tocca Gesù: si sente guarita! Tutto sembra risolto, ormai: è guarita... Non è ancora risolto niente: perché ci sono gli occhi di Gesù! "Gesù si guardava intorno, per vedere chi lo avesse toccato". Questa donna deve incontrarLo... e finalmente viene fuori: si strappa dalla folla, capisce che non può rimanere confusa in quella folla che stringe, che non è capace di libertà, che non è capace di incontrare veramente Gesù. Questa donna sente che deve trovare il coraggio di guardare Gesù negli occhi e di professare "tutta la verità"!
Ecco cosa significa essere Cristiani: non soltanto accogliere la mano tesa di Gesù che ci libera, ma anche trovare il coraggio di strapparsi dalla folla, dalla negatività, dal conformismo, dalla passività di questo mondo, per incontrare gli occhi del Signore e professare "tutta la verità". Questo è vivere il proprio Battesimo: attraverso questi simboli i primi Cristiani tentano di esprimere il nostro incontro con Gesù, la nostra vita cristiana, il nostro impegno.
Rileggetevela, a casa questa pagina del Vangelo! Non come un fatterello di tanto tempo fa: si parla di noi, del nostro incontro col Signore Gesù, della nostra esigenza di uscire dalla folla, di trovare il coraggio di incontrare Gesù, di guardarLo negli occhi, di credere nei Suoi valori, di seguirLo, con tutta la passione della nostra vita!
Il Signore ci aiuti!
1991
Quello che abbiamo letto è uno dei capitoli più importanti del Vangelo di Marco; un capitolo lungo e ci vorrebbero tante ore per spiegarlo, ma ho intenzione di essere breve; però vorrei attirare la vostra attenzione su quello che abbiamo letto. La prima domanda che ci dobbiamo fare, ogni volta che leggiamo il Vangelo, è questa: di chi si parla qui? Di persone vissute tanto tempo fa o in qualche modo ci siamo implicati anche noi? Che c'entriamo noi con questa pagina del Vangelo, con questo strano racconto? Le ultime parole che abbiamo letto, forse, vi fanno pensare che si parla di noi: Gesù prende per mano la bambina, la consegna ai genitori e ordina di darle da mangiare. Noi siamo qui proprio per mangiare.
Il racconto che abbiamo letto è un tipico racconto che parla del Battesimo: perché per i primi cristiani il Battesimo era un passaggio dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce, dall'egoismo all'amore. E in questo cammino tutti noi siamo implicati. È il cammino che scegliamo di percorrere ogni volta che ci raduniamo qui, è il cammino per cui Gesù ci nutre, facendosi pane.
Ma vorrei attirare la vostra attenzione sull'episodio che è inserito in questo brano: abbiamo letto un racconto dentro il quale ce n'è un altro. È un racconto su cui Marco si ferma perché è per lui di capitale importanza. Ve lo rammento questo episodio: mentre Gesù va, circondato dalla folla (si insiste su questa folla), c'è una donna che arriva da dietro e tocca il mantello di Gesù. È una donna che va perdendo il suo sangue, (il sangue, per gli antichi, era il simbolo della vita) sta perdendo la sua vita, sciupa la vita giorno per giorno.
Questa donna arriva da dietro, tocca Gesù e subito è guarita. Tutto sembra finito, sembra che il racconto possa ormai continuare, ma è proprio qui che Marco richiama la nostra attenzione. Gesù si volta e dice: "Chi è che mi ha toccato?". I discepoli Gli dicono: "Ma guarda quanta gente c'è, che ti stringe, tutti ti toccano! Come puoi dire: Chi è che mi ha toccato? ". "Ma - continua Marco - Gesù si guardava intorno per vedere colei che lo aveva toccato" Voi avete fantasia, forse più di me: guardateli questi occhi di Gesù che cercano gli occhi di questa donna! Nascosta tra la folla, tremante. Deve trovare il coraggio - su questo Marco insiste per tutto il suo Vangelo - di uscire dalla folla e finalmente questa donna lo fa. Si strappa quasi dalla folla, viene davanti a Gesù e gli confessa tutta la verità. Per chi conosce il greco: "pasan ten aletheian" che non è solo quello che le era successo: "tutta la verità" è la professione di fede, il riconoscere il bene, la giustizia, l'amore che si manifesta in Gesù.
Per Marco, e specialmente i giovani facciano attenzione, la condizione per essere cristiani è strapparsi dalla folla, andare al di là della mentalità corrente, delle mode che passano... avere il coraggio di pensare con la propria testa, di scegliere con la propria volontà, con il proprio cuore. Se non sappiamo far questo, secondo Marco, non possiamo essere cristiani. Viviamo in un mondo - e chi è giovane lo vivrà sempre di più - in cui da ogni parte ci si vuol far diventare folla: folla nel modo di vestirci, folla nel modo di comportarci, folla nella macchina che dobbiamo acquistare... folla nei valori che dobbiamo scegliere.
Il coraggio di essere noi stessi, il coraggio di non essere folla, il coraggio di pensare con la propria testa, il coraggio di cercare i valori autentici, il coraggio di domandarci, quando andiamo a scuola, in ufficio: "Che cosa è giusto? " La storia degli uomini, la fragile storia degli uomini si basa su quella gente che ha il coraggio di fare così. Se tutti seguiamo la folla. il mondo non va avanti. Ci vuole qualcuno che si domandi: "Cosa è importante qui? Cosa è giusto? Quali sono i valori veri?". Per questo è venuto Gesù.
Essere cristiani, secondo il Vangelo di Marco, non lo dimenticate mai, specialmente i più giovani, significa: strapparsi da questa folla, avere il coraggio di fare le proprie scelte, il coraggio di cercare ciò che è giusto al di là di quello che pensa la folla intorno a noi. Il Signore, per questo ci invita a mangiare, a nutrirci di Lui. È venuto sulla terra proprio per essere in mezzo a noi, testimone di coraggio, di vita, di scelte, di speranza.
Il Signore aiuti anche noi ad essere un po' così.
1988
Quello che abbiamo letto stasera è uno dei racconti più importanti del Vangelo di Marco e ci vorrebbe qualche oretta per spiegarlo! Non spaventatevi però: coglieremo soltanto un aspetto di questa pagina così complessa che vi inviterei poi a leggere tutta con grande attenzione per poterne cogliere tutte le sfumature: si tratta di un pagina molto ricca. Marco ha messo grande attenzione nel costruire questo racconto.
Prestate quindi attenzione : qui si parla di noi, non di strane persone di tanto tempo fa, di cui, come avete ascoltato, non conosciamo neppure il nome: si parla di me, di voi, perché io e voi, in questo momento, siamo radunati intorno alla tavola e Gesù mi comanda di darvi da mangiare: come a questa bambina.
Avete ascoltato: dopo che Gesù l'ha presa per mano e l'ha sollevata dal suo letto di morte, dice ai genitori: "datele da mangiare". Ecco, siamo noi qui radunati intorno alla tavola, pronti per mangiare, gente che Gesù invita - nella nostra esperienza di ogni giorno - a passare dalla morte alla vita. E siccome nella comunità cristiana anche al tempo di Marco (come oggi tra noi) c'era qualcuno che diceva: "Ma io mica sono morto, non ho commesso nessun peccato mortale!", per questo Marco ha inserito nel racconto della ragazza che è morta, quello di una persona che perde lentamente il suo sangue: simbolo di chi sciupa a poco a poco la sua vita.
Allora, vedete, qui si parla di me, di voi. La maggior parte di voi quando va a confessarsi dice subito: "Non ho commesso nessun peccato mortale" ed è giusto, non abbiamo commesso nessuna colpa particolarmente grave: non abbiamo ammazzato nessuno, non abbiamo rubato nulla di importante, non abbiamo rotto la convivenza matrimoniale... niente di particolarmente grave. Ma se ci domandiamo come abbiamo usato la vita che il Signore ci ha donato, allora, anche noi come la donna del Vangelo ci accorgiamo che spesso la lasciamo scorrere via, senza fare molto di bene, sciupiamo pian piano il dono di Dio... Anche noi allora, pur non avendo fatto niente di grave, siamo bisognosi di salvezza: abbiamo bisogno di incontrarci con Gesù.
Vedete con quanta cura Marco attira la nostra attenzione su questa donna, che lungo la strada incontra Gesù. Lei sa di perdere il suo sangue: per la gente del tempo il sangue è la vita! Ha bisogno quindi di essere salvata: si avvicina a Gesù, lo tocca e immediatamente il suo sangue si ferma. La donna si accorge di essere guarita: ha raggiunto il suo scopo, tutto sembra finito! Ma nel racconto di Marco non è ancora nulla concluso... anzi. La donna è ancora tutta impaurita e tremante in mezzo alla folla: Gesù si guarda intorno per cercare di incontrarla. Questa donna deve trovare, e finalmente ci riesce, il coraggio di uscire dalla folla e di incontrarsi con Gesù, di tendere la mano verso di Lui, di mettersi davanti a Lui, di confessare tutta la verità.
Che verità dobbiamo confessare io e voi? Che verità dobbiamo dire davanti al Signore? Ma semplicemente questo: "Guarda verso di noi, siamo povera gente: è vero non abbiamo fatto nulla di male, ma quanto bene riusciamo a mettere nella nostra vita, quanto amore, quanta tenerezza, quanta gioia? Quanto rendiamo bello il mondo che ci hai dato? Anche noi lasciamo scorrere i nostri giorni, sciupiamo i doni che ci hai fatto! Se ci chiedi cosa facciamo, ti rispondiamo subito: come tutti gli altri!"
Siamo ben mimetizzati tra la folla: non ne vogliamo uscire. E Gesù si volge verso di noi, ci cerca col suo sguardo. Rileggete questa pagina del vangelo, contemplate questo sguardo di Gesù, che va cercando questa donna, come cerca me e ciascuno di voi, perché abbiamo finalmente il coraggio di uscire dalla folla, di renderci conto che nella vita non è importante solo non far niente di male, ma occorre tentare di vivere nell'amore, nella tenerezza, nel dono e nella gioia, come ha fatto Lui.
Essere cristiani significa incontrare Gesù, tendere la mano verso di Lui, per essere salvati. Per questo questa pagina è costruita dalla comunità di Marco con tanta attenzione; per questo si dice che alla ragazza - che si alza dal suo letto di morte - occorre dare da mangiare! Anche noi siamo invitati a mangiare per incontrare Gesù, perché il contatto con Lui ci faccia finalmente uscire dalla folla, essere capaci di non sciupare la nostra vita, di trasformarla almeno un po' nella Sua vita.
Lui lo faccia per noi!
Gesù andò nella sua patria... e molti ascoltandolo rimanevano 6 luglio 1997
stupiti e si scandalizzavano di Lui. Ma Gesù disse loro:
"Un profeta non è disprezzato che tra i suoi parenti
e in casa sua". E si meravigliava della loro incredulità.
Anch'io - ma penso che sarà successo a molti di voi, almeno a quelli che hanno i capelli bianchi - sono cresciuto guardando film in cui gli indiani erano tutti brutti e cattivi e i cow-boys tutti belli e buoni. E poi... lo stupore nel vedere che spesso la storia è scritta dai vincitori, che dipingono i nemici, i vinti, come "brutti e cattivi". Lo scoprire che spesso il modo di scrivere la storia è condizionato dalla ideologia, dal potere di quelli che hanno vinto, mi ha fatto intravedere la complessità della vita.
M'avessero detto, quando ero ragazzo, che queste cose le avrei ritrovate anche nel Vangelo, avrei guardato chi mi parlava così, come un eretico, un miscredente! Avevo torto... come per tante cose, quand'ero giovane. Perché anche il Vangelo è stato scritto da gente come noi. E come non immaginare che delle scorie umane sarebbero entrate anche nella luce, che il Signore ci ha lasciato?!
Perché vi dico questo? Perché, vedete, oggi noi leggiamo un brano di storia scritta dai vincitori, i quali dicono che loro, quelli della casa di Gesù, i suoi parenti - ne avete sentito i nomi, di questi suoi "fratelli" (come li chiama il Vangelo di Marco): Giacomo, Joses, Giuda, Simone - sono dei miscredenti! Anzi, in un'altra parte del Vangelo, Marco dice che sono rei di un peccato imperdonabile: perché hanno conosciuto Gesù e Lo hanno rinnegato! Ma non è mica vero!
Se leggete attentamente il Nuovo Testamento, vi accorgete che proprio queste persone - Giacomo, Joses, Giuda Simone - sono stati i primi discepoli di Gesù: coloro che dopo la sua morte hanno avuto il coraggio di continuare a credere in Lui. Se noi siamo qui riuniti, lo dobbiamo - prima che a Pietro, Paolo, Giacomo, Giovanni, Marco - proprio a questi. I quali, però, ad un certo punto sono entrati in conflitto con gli altri... E hanno perso! E sono stati scomunicati, messi fra quelli "brutti e cattivi"!
Cogliamo anche qui uno degli antichi mali delle religioni: l'intolleranza, il pensare che Dio stia dalla parte nostra e che gli altri sono cattivi e miscredenti, destinati al fuoco dell'inferno. E siccome il fuoco dell'inferno è un po' lontano, ogni tanto lo organizziamo noi: abbiamo acceso roghi per bruciare gli eretici o almeno i loro libri...
Oggi ci capita di ascoltare, con orrore, storie di crudele intolleranza, in certe regioni del mondo. E questa intolleranza è ancora più inaccettabile, quando è in nome di Dio e della religione. Ma, nel corso della storia, noi cattolici abbiamo descritto come "brutti e cattivi" gli Ebrei, i Protestanti, i Saraceni, i Turchi, alcuni scienziati... Spesso senza cercare di capire le ragioni degli altri! Senza renderci conto dell'intolleranza, che usa il nome di Dio per difendere il proprio potere!
E ci conviene non dimenticare che questa intolleranza ce la portiamo anche dentro di noi: fa parte del nostro cammino di uomini, fa parte del cammino delle nostre Chiese! A volte nelle parole delle autorità della Chiesa si ritrova quest'antica radice dell'intolleranza: il pensare di possedere la verità di Dio, di aver sempre ragione, l'incapacità di ascoltare la voce degli "altri"!
Diffidate di tutto questo! Il Signore ci chiama a cercare con pazienza la verità: dentro di noi e intorno a noi; con il coraggio di renderci conto che in ogni uomo c'è un riflesso della luce di Dio! E che, prima di giudicare e di condannare, occorre capire! Prima di schierarci e di dividerci, occorre il coraggio dell'intelligenza! Non sarà, anche, perché abbiamo dietro le spalle una lunga tradizione di intolleranza, che è così difficile, in questo paese, ragionare pacatamente e cercare insieme ciò che è veramente importante? Interminabili liturgie, interminabili discussioni! Spesso sembra mancare la capacità di ragionare, senza scomuniche reciproche, senza dividerci sempre, su tutto, in destra e sinistra, in bianchi e neri! Senza descrivere gli altri come brutti e cattivi! Chi sa se un giorno diventeremo tanto saggi da cercare le cose essenziali nel rispetto e nella ragionevolezza?
Il Signore ci liberi da ogni intolleranza! Soprattutto da quelle fatte nel Suo Nome!
1994
Se vi domandassi chi è stato il primo capo della comunità cristiana, il primo capo della Chiesa di Gesù, penso che la stragrande maggioranza di voi non avrebbe alcun dubbio: "Ma come! È Pietro il capo della prima comunità cristiana". Eppure, se leggete attentamente gli Atti degli apostoli, se ascoltate coloro che se ne intendono, vedrete che il primo capo della Chiesa non era Pietro, ma questo Giacomo di cui si parla nel Vangelo di oggi, il "fratello" del Signore, uno dei parenti di Gesù.
Il fatto è che anche Giacomo, con i suoi parenti, con tutti quelli della sua casa, è stato spazzato via da questa domanda che i primi Cristiani si saranno posti tante volte: "Perché proprio coloro che erano stati preparati dal Signore per secoli, proprio quelli del popolo di Israele, quelli della sua gente, hanno rifiutato Gesù?". Da dove viene il rifiuto del Signore? Perché gli uomini a volte rifiutano il bene, rifiutano le cose giuste, rifiutano quelli che portano qualche cosa di nuovo?
Non è una domanda secondaria: è la domanda fondamentale di chi è credente. Una domanda che riguarda anche noi: perché anche a noi talvolta capita di rifiutare le cose giuste, di non saper accogliere chi ci sta intorno. Vedete: Giacomo e i "fratelli" del Signore, sono diventati il simbolo di questo rifiuto (anche se, in verità, sono stati loro i primi ad accogliere Gesù). I primi cristiani hanno visto in loro i "suoi", i "vicini" che non hanno saputo accogliere Gesù. Perché? Come avete sentito dal Vangelo di oggi, tentano delle risposte, anche se l'ultima risposta non la trovano; forse è nel mistero della libertà umana.
Ci sono tre accenni: il primo: "Da dove gli viene questa sapienza?" Le parole di Gesù fanno problema, il suo modo di parlare di Dio, il suo modo di annunziare il perdono, il suo modo di trattare i peccatori, ha urtato contro la tradizione, contro la mentalità della sua gente. E poi il secondo accenno: i "miracoli": "Perché va in giro per il mondo a fare i miracoli? Perché non li fa qui da noi, a casa sua, nella sua città? Perché per 30 anni ha vissuto qui e non li ha fatti, i miracoli?". Ed ecco il terzo accenno: "Non è lui il carpentiere? È stato con noi per 30 anni, lo abbiamo visto aggiustare tavoli, riparare sedie...Adesso che fa? Dove va in giro? È possibile che un Profeta, un Giusto - anzi, per noi, addirittura il Figlio di Dio! - passi 30 anni in uno sperduto paese ad aggiustare sedie, a riparare tavoli, ad aggiustare carri?".
Accenni... ma non è anche la nostra esperienza, non capita anche a noi di rifiutare, a volte, chi ci sta accanto - magari un figlio, un nipote - perché la pensa diversamente da noi, perché il suo modo di pensare urta la nostra mentalità?... In fondo noi andiamo d'accordo con chi la pensa come noi: non ci domandiamo tanto se è giusto quello che uno dice, ma se va d'accordo con noi. E giudichiamo tutto a partire da noi stessi. Ed anche di fronte alle persone, non ci domandiamo forse "A che cosa mi serve? A che cosa mi può essere utile?".
"Va a fare il bene fuori..." Quante volte ho sentito, nella mia vita ormai lunga, dire dai genitori: "Questo ragazzo va bene a scuola, va anche a servire alla Mensa, e a casa sua non si rifà nemmeno il letto..." E non riusciamo ad accettare chi "fa il bene da un'altra parte"...
Infine - quello che è più difficile, se ci pensate, da accettare - la quotidianità: noi vorremmo sempre, dalle persone, qualche cosa di straordinario, qualche cosa di nuovo, qualche cosa che ci sorprenda; e ci fa fatica accettare la monotonia dei giorni sempre uguali, accettare così come sono le persone che ci stanno accanto.
Il fatto è che spesso giudichiamo e uomini e cose a partire da noi stessi, dal nostro modo di pensare, dai nostri bisogni. Incontrare Gesù, aprirsi a Dio, e in fondo aprirsi agli altri, esige nel profondo la gratuità: non il chiedersi "A che cosa mi serve, se è simile a me!", ma chiedersi con cuore sincero: "Che cosa è giusto? Che cosa è vero? Che cosa è buono?". Solo chi sa mettere gratuità nel profondo di se stesso, è capace di accogliere Gesù, è capace di accogliere Dio, è capace in fondo di accogliere gli altri!
Vedete, la domanda sul rifiuto di Gesù ci porta alla gratuità, cioè al cuore stesso della fede, nel cuore stesso della vita. E per questo, da questa domanda, Giacomo, il primo capo della Chiesa, è stato spazzato via, è diventato il simbolo - perché noi non ce ne dimentichiamo mai! - di colui che ha rifiutato il Signore, di colui che non ha saputo fare spazio, nella gratuità e nell'amore, al messaggio di Dio!
Lo Spirito aiuti tutti noi ad aprirci, a portare nel cuore un pizzico di gratuità, per accogliere Gesù, per accogliere la vita, per accogliere gli altri.
1991
La meraviglia che Marco mette in bocca a Gesù è, probabilmente, la meraviglia della prima comunità cristiana, dei primi discepoli e se ci pensate bene, anche la nostra meraviglia.
Noi tutti, quando eravamo ragazzi, ma anche quando siamo cresciuti, abbiamo desiderato conoscere, incontrare Gesù. Sarebbe bello che Lui vivesse in mezzo a noi, che Lui crescesse qui nelle nostre strade, che potessimo incontrarlo la mattina andando a lavorare o al mercato, che potesse venire con noi a fare il bagno al mare in questo tempo, potesse venire a condividere il nostro pregare insieme. Ebbene, gli abitanti di Nazaret per trent'anni hanno vissuto con Lui e quando è venuto il momento buono, non l'hanno riconosciuto.
Ecco lo stupore, la meraviglia. Come è possibile non riconoscere Dio che ti vive accanto per trent'anni! Come è possibile non riconoscere in Lui l'Uomo veramente buono, giusto!
Se ci pensate bene, però, se ci guardiamo più da vicino, se quelli che hanno i capelli bianchi ripercorrono la propria esperienza: quante volte non L'abbiamo riconosciuto! E allora non ci stupiamo più della gente di Nazaret, perché il non riconoscere non è soltanto di quegli uomini vissuti tanto tempo fa, ma è anche un po' il nostro non riconoscere.
E perché non riconosciamo? Probabilmente perché ci aspettiamo qualche cosa di diverso e questo ci accade per molte cose. Sarà capitato anche a voi: andiamo a vedere un film, ci aspettiamo che sia in un certo modo e poi ci delude perché è diverso dalle nostre attese; o ci capita anche andando a fare una gita o a visitare una città. Il dramma è che qualche volta ci capita anche di fronte alla gente. A quanti di voi è capitato di rimanere stupefatti, increduli, meravigliati davanti a un figlio che cresce! Ve lo aspettavate in un certo modo e lui è diverso. Vi aspettavate che si comportasse in una maniera e si comportava nell'altra. In molti di voi siete riusciti ad accettare tutto questo, ma avete fatto esperienza di quanto a volte sia duro accettare.
E questo non succede solo nei confronti della gente: succede anche nei confronti di Dio. Ce lo aspettiamo in un certo modo e Lui viene in un modo diverso. È che noi vogliamo essere sempre la misura delle cose. Vogliamo decidere noi come debbono essere le cose, vogliamo decidere noi come deve essere la gente, come devono essere gli amici che ci stanno intorno, come devono essere i figli che ci crescono accanto, il marito, la moglie che condivide con noi la vita. Vogliamo essere noi la misura delle cose, della gente e qualche volta non riusciamo ad accettarla, accoglierla così com'è. Vogliamo essere, a volte, la misura di Dio.
Gli abitanti di Nazaret pensavano - e spesso lo pensiamo anche noi - che Dio non può essere così quotidiano, non può perdere trent'anni della Sua vita a lavorare il legno, a riparare qualche attrezzo, a vivere così condividendo la vita quotidiana degli uomini. È capitato di conoscere tanta gente che viene in chiesa soltanto quando ha bisogno: il Dio dei momenti difficili, il Dio di quando non sappiamo più a chi rivolgerci. Ci fa difficoltà accogliere il Dio di tutti i giorni, il Dio della quotidianità, il Dio che ci vive accanto e che ci chiede qualche cosa quando la mattina andiamo al lavoro, al mercato, nell'incontro con i figli, con la gente; eppure è in questo tessuto quotidiano che possiamo incontrare Dio. Gli abitanti di Nazaret l'hanno avuto accanto per trent'anni e quando è stato il momento buono non l'hanno saputo accogliere. Si aspettavano chissaché.
Chiediamo con fiducia al Signore lo stupore, la meraviglia, la capacità di accogliere chi vive con noi. Il non voler essere sempre noi la misura delle cose, il non voler decidere come devono essere gli uomini e come deve essere Dio, la capacità di stupirci, di accogliere, di accettare, di condividere.
Il Signore ci aiuti.
1988
Come vi dicevo all'inizio, c'è una domanda che attraversa tutto il Vangelo: perché della gente ha rifiutato Gesù, perché non l'ha accolto? Se voi vi rileggete con pazienza il Vangelo di Marco, vedrete che prima di questo si assiste al rifiuto dei capi del popolo, del farisei, dei maestri della legge. Là si potrebbe forse risolvere il problema dicendo: "È gente dal cuore duro, non vogliono riconoscere il Signore perché sono malvagi!"
Nel Vangelo di oggi, invece, si fa un passo in avanti: avete sentito l'insistenza: "un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti, in casa sua". Il problema dunque, non è soltanto degli altri, dei lontani, ma anche dei vicini. Gesù non è accettato nella Sua casa, e qui già noi ci sentiamo un po' inquieti, perché noi siamo nella sua casa, siamo la Sua gente! Ma se voi leggete più avanti il Vangelo, trovate che sono proprio i suoi, quelli che Lui ha scelto, che non accettano Gesù, che Gli sono infedeli.
Voi tutti conoscete la storia di Giuda; e non solo Giuda: è anche Pietro e gli altri discepoli che lo rinnegano e fuggono. Quindi la domanda è questa, una domanda che mi coinvolge, che vi coinvolge tutti e ciascuno: perché a volte noi uomini non accogliamo Gesù? Eppure anche noi, come i discepoli, siamo convinti che Lui è la luce, che in Lui c'è la verità, che in Lui c'è la manifestazione dell'amore. Eppure perché siamo infedeli? Una domanda a cui Gesù, sembra, non ha risposto, perché nel Vangelo (potete leggerlo in lungo e in largo) non trovate una sola risposta se non, come oggi, lo stupore, la meraviglia. Gesù "si meravigliava della loro incredulità". Potremmo domandarci: "Ma come, non sapeva Lui il perché? Perché si meraviglia? Non sa?" Ecco, sembra che nemmeno Gesù sappia perché questa gente non l'accetta: i suoi, la sua casa.
Il Vangelo di oggi abbozza una risposta, ma non sono convinto che sia quella giusta. Dicono: "Forse non l'hanno accettato perché si aspettavano qualcosa di diverso. Avete visto come insistono: "Non è Lui il carpentiere non è il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda, di Simone? I suoi parenti non sono tutti qui in mezzo a noi?" C'era della gente là che aveva giocato con Gesù fin da quando era bambino, erano andati a scuola insieme, avevano lavorato con Lui; la maggior parte di quel paese gli avrà portato ad aggiustare una pentola rotta, a riparare il carro: era il carpentiere, faceva un po' tutto! L'avevano visto nella vita di ogni giorno e forse per questo non l'hanno accettato. Si aspettavano forse qualche cosa di straordinario, qualche cosa di grande. È questa una risposta? Chi lo sa?
Pensate un po', quelli di voi che hanno un po' più di esperienza: molti di voi sono sposati, hanno fatto esperienza di vivere insieme, molti di voi hanno dei figlioli... Se un figlio è malato, o ha qualche problema, subito (genitori ne ho visti tanti ormai nella vita!) si dedicano completamente a lui. Quasi dimenticano tutto il resto. Hanno invece, spesso, nella vita di ogni giorno tante piccole mancanze di attenzione, di delicatezza che sciupano la vita. Pensate anche fra marito e moglie: non è forse quello che sciupa la vita, la quotidianità, la monotonia, il non accorgersi qualche volta dell'altro, l'infedeltà quotidiana? Non nei fatti gravi, che qualche volta capitano, suscitando scompiglio, ma che poi, qualche volta, fanno fare un passo avanti.
Quello che forse è più difficile nella vita è accettare la monotonia di ogni giorno, è sapersi accorgere dell'altro e rimanere fedeli nelle piccole cose quotidiane.
Il Vangelo suggerisce che, forse, per questo la gente di Nazareth non ha saputo riconoscere Gesù... Forse si aspettavano da Dio che facesse cose straordinarie, che facesse prodigi: per questo dicono: "Gesù l'abbiamo visto crescere con noi: può essere che Dio sia così normale? Così quotidiano? Il Dio di tutti i giorni, che lavora aggiustando un carro, stagnando una pentola? Può essere che Dio sia così? È il fratello della nostra vita?"
Se Dio ci viene incontro nel quotidiano, nella vita di ogni giorno, è là che possiamo cercare la nostra infedeltà: perché non sappiamo riconoscere il Signore e qualche volta in casa, nel posto di lavoro, tra la nostra gente, sciupiamo la nostra vita? Rimane questa grande domanda: è in fondo il mistero del cuore dell'uomo. Rimane il fatto che noi - spesso io, ma penso di poter coinvolgere anche voi - siamo infedeli al Signore e così facendo sciupiamo la nostra vita. Non c'è che una strada, secondo il Vangelo: affidarsi alla Misericordia di Dio: è quello che facciamo anche noi in questo momento.
Allora Gesù chiamò i Dodici e incominciò a mandarli a due a 13 luglio 1997
due e diede loro potere sugli spiriti immondi... E scacciavano
molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.
Sapete cosa ci vuole per essere dichiarati "santi" nella Chiesa, per avere il proprio nome scritto sul calendario? Valeva un tempo, ma vale anche oggi: ci vuole qualche "miracolo" - cacciare qualche diavolo, guarire qualche malato - ma soprattutto ci vogliono molti soldi... Soldi che non tira fuori il "santo", chiaramente, ma quelli che vengono dopo - un ordine religioso, un gruppo di cristiani - a cui il "santo" serve per esaltare la propria ideologia o il proprio potere.
E se il Cristianesimo fosse totalmente un'altra cosa? Si capirebbe allora l'insistenza di Gesù: "né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa". Solo i sandali, nemmeno due tuniche, anche se fa freddo... Insiste, perché sa quello che minaccia il cammino della sua gente: la ricerca del potere, la sfiducia nella Sua Parola, il pensare che il Suo nome, i Suoi valori possano essere diffusi con la forza del denaro, con la potenza.
Nel corso di questi 2000 anni, non pochi hanno pensato che si potesse diffondere il messaggio di Gesù con la forza: hanno conquistando popoli e nazioni e con la Croce e la spada nella mano!
E, vedete, non è soltanto con la forza delle armi che si esercita il potere nella vita della Chiesa: se vi dicono: "In quel santuario c'è qualcuno che fa i miracoli; in quell'altro c'è qualcuno che scaccia i diavoli", pensateci: anche questo è potere, anche questo è voler esercitare il proprio potere sui bisogni, sui desideri, sul cuore della gente!
E se essere Cristiani fosse totalmente un'altra cosa? Se cacciare i "diavoli" non fosse faccenda di qualche strana pratica, di cui, talvolta, qualche buffo prete parla in TV? se fosse cosa di ciascuno di noi, nella vita di ogni giorno? Fosse combattere l'ingiustizia, l'intolleranza, la violenza nel nostro quotidiano, nel posto dove lavoriamo, nelle nostre case?
Se "guarire i malati" non fosse il prodigio, che succede una volta tanto, ma il chinarsi dell'uomo di buona volontà sulle tante sofferenze del mondo? Sofferenze del cuore, oggi che la medicina ha vinto tanti malanni del corpo: gente che ha bisogno di una tenerezza, di un conforto, di un aiuto per essere capace di vivere!
Se essere discepoli di Gesù, fosse qualche cosa di tenero, di quotidiano, lontano da ogni forma di potere, da ogni ideologia, da ogni sopraffazione sugli altri? Se fosse il chinarsi su chi ci sta accanto? L'essere testimoni di giustizia, di onestà, di fedeltà, nella vita di ogni giorno? Il coraggio di "scuotere la polvere dai piedi", quando incontriamo qualche ingiustizia intorno a noi?
Se essere Cristiani è tutto questo, allora noi abbiamo i nostri Santi! Ce ne sono anche qui, in mezzo a voi; e ce ne sono parecchi! Qualcuno se ne comincia ad andare, perché anche la Parrocchia ormai diventa vecchia...
Abbiamo i nostri Santi in Paradiso! Non cercatene il nome sul calendario, eh? Non abbiamo i soldi... Ma nel cuore di Dio ci sono loro! E forse più avanti di tanti che hanno i nomi scritti sul calendario: molti di quei nomi (non lo raccontate in giro) erano dei delinquenti. "Quello era un gran Santo - vi dicono - ha organizzato una grande crociata, quell'altro ha fatto bruciare molti eretici!" I Santi che ho conosciuto io non hanno ammazzato nessuno! Hanno dato una carezza, quando potevano; ci hanno portato un sorriso quando potevano; hanno fatto l'amore, quando potevano; sono stati testimoni di giustizia e onestà; hanno resistito al male, ogni volta che hanno potuto!
Questi sono i Santi veri! Non serve fare prodigi, non servono fatti straordinari: è la fedeltà di ogni giorno! Noi ne abbiamo conosciuti tanti. E speriamo che tutti noi, anche io, possiamo fare qualche piccolo gesto sulla via della santità vera, dove ci chiama Gesù!
Il Signore ci aiuti!
1994
"Senza pane, senza bisaccia, senza denaro nella borsa, senza portare due tuniche": perché tanta insistenza di Gesù, su questo aspetto? Vedete, io sono abbastanza vecchio per aver sentito tante prediche contro il denaro: quando ero giovane, dei buoni frati lo chiamavano "lo sterco del diavolo", ci mettevano in guardia contro i pericoli del denaro, esaltavano la povertà. E questo era in contrasto con l'esperienza che io andavo facendo in famiglia, dove ogni denaro che entrava era considerato benedetto: quando io ero ragazzo si faceva la fame, ogni lira che entrava in casa era una benedizione del Signore!
Poi, nella vita, ho capito - ho capito anche per merito, se così si può dire, di quei buoni frati che parlavano tanto della povertà e contro la ricchezza; poi viaggiavano in aereo, o sciupavano centinaia di milioni - di quei tempi - per costruire mausolei in onore della povertà...- ho capito che queste parole del Signore non c'entrano nulla con i soldi di tutti i giorni, con il far quadrare il bilancio alla fin del mese, con il compito, che ognuno ha, di moltiplicare la ricchezza, il benessere intorno a sé.
C'è in queste parole qualche cosa di più profondo, qualche cosa che tocca il cuore della nostra fede: Gesù voleva mettere in guardia la Sua Chiesa - che poi siamo noi - dal pensare di diffondere il Vangelo, di testimoniare i suoi valori con il denaro, con la forza, con la potenza. I valori si testimoniano con i valori, Gesù si testimonia con la vita, con il coraggio della fede!
I denari servono per vivere, sono importanti per vivere. Vedete, questa chiesa è costata non poco, costa molto pagare le bollette della luce, le bollette del gas, comprare i detersivi: per fortuna ci sono delle brave signore che mettono le loro forti mani a disposizione, per farvi trovare ben pulito; perché, se dovessimo pagare anche loro, dovremmo chiedervi ogni domenica denari in più! Quello che voi date serve per pagare tutte queste cose, come in una buona famiglia: per far andare avanti la baracca, per comprare da mangiare per noi, che viviamo qui, in qualche modo al vostro servizio. Ma se pensassimo che avere più denaro o moltiplicare le strutture e aumentare i locali, ci potrebbe servire a far crescere la fede, avremmo veramente sbagliato strada! Gesù si testimonia con la vita di tutti i giorni, con il coraggio di fare il bene.
Volete un altro esempio? In questo momento, in Italia, mi sembra di capire (ma non è una cosa nuova: è successo infinite volte, nel corso della storia) che alcuni Vescovi tentano di saltare sul carro del vincitore. Il "vincitore" può anche aver ragione, ma non ha ragione perché ha vinto, non ha ragione perché è diventato più potente, non ha ragione perché magari può aiutarci a costruire un po' di chiese... Ha ragione se - e in quanto - promuove il bene di tutti, promuove i valori autentici della vita civile. Saltare sul carro del vincitore, pensare che il più forte ci aiuti a testimoniare il Vangelo, è un'illusione antica come il Cristianesimo (forse antica come gli uomini).
Ma senza andar lontano: pensate a qualche famiglia - forse non la vostra - che avete conosciuto, in cui i genitori pensano di tener lontani i figlioli dai pericoli, moltiplicando i doni, moltiplicando il denaro a loro disposizione (e magari li mettono nei pericoli, più che allontanarli...). Non si testimonia il bene, non si fa crescere la vita con i soldi: è necessario proporre valori autentici e profondi.
Abbiamo due indicazioni nel Vangelo di oggi, solo due: occorre chinarci con tenerezza sulla sofferenza, ungere ogni malato e cacciare i diavoli, scuotere la polvere di tutto ciò che è male! Avessimo il coraggio di farlo, tutti quelli che ci diciamo cristiani! Il coraggio di scuotere la polvere di tutto quello che è male, che è ingiusto. Avete sentito questa triste storia - credo che sia una delle storie più penose di questo nostro paese, negli ultimi anni - di questi ufficiali (speriamo che non sia vero!) della Finanza: alcuni saranno passati qui vicino, per Ostia; alcuni avranno pregato nella nostra chiesa... Se avessero trovato il coraggio di scuotere la polvere contro tutto quello che è disonestà, contro tutto quello che non è frutto di onesto lavoro, il nostro paese andrebbe meglio.
Ecco il denaro che corrompe! Non il denaro che voi usate per arrivare alla fine del mese. Gesù ci dà due indicazioni: "State lontano dal male, scuotete la polvere dai piedi, cacciate il diavolo come potete (il diavolo, non quello con le corna e la coda: il diavolo è dovunque c'è il male!) e fate del bene: chinatevi sull'uomo che soffre, ungete la sofferenza del malato".
Ecco le uniche due possibilità che abbiamo di testimoniare Lui. Il denaro è soltanto un mezzo: prezioso importante utile, dobbiamo far di tutto per moltiplicarlo... ma non è quello, che farà il mondo più giusto, non è quello che farà il mondo più vero, non è quello che può portare i valori autentici!
Il Signore ci aiuti!
1991
La prima lettura che abbiamo ascoltato, quella del profeta Amos, ci ricorda il Vangelo di domenica scorsa, che è immediatamente prima di quello di oggi, e che ci ripropone un tema che nel Vangelo di Marco troverete fino alla fine, fino all'Ultima Cena. Il tema è questo: come si reagisce al male? Come si reagisce al rifiuto? Come si reagisce all'ingiustizia? Ricordate, domenica scorsa, leggevamo di Gesù che andava a Nazaret. A Nazaret non lo hanno accolto, lo hanno cacciato: è il simbolo del rifiuto dell'uomo, il simbolo del rifiuto che troviamo anche dentro di noi.
Come si reagisce a questo rifiuto? Come si reagisce al male. Una cosa che mi colpisce in questi giorni, è che viviamo in un mondo in cui tutti strillano, tutti brontolano, tutti si lamentano. Gesù raccomanda ai Suoi discepoli di non portarsi dietro niente, né bisaccia, né due tuniche, né pane, niente! Se venisse oggi direbbe a tutti: "Non prendete radio, televisione, giornali, non strillate!". Voi direte: "Noi che abbiamo a che spartire con la radio, la televisione, i giornali?". Ma anche voi ne siete vittime, e strillate pure voi ogni tanto! Troppa gente si lamenta, brontola, si lamenta di tutto e di tutti, credendo di stare nel giusto. Ma dopo esservi arrabbiati, dopo aver gridato, come si dice a Roma, avete fatto solo la prima fatica, poi bisogna fare la seconda. La seconda fatica è: tentare di fare le persone serie! Tentare di reagire al male, non urlando, ma scuotendo la polvere dai piedi, dicendo: "Io con questo non ho niente a che spartire".
Se andate in un ufficio dove poca gente lavora, dove poca gente vive correttamente, è inutile che brontoliate, finché non cercate di vivere con onestà, con dedizione, facendo quello che potete. Gesù dice ai suoi discepoli: "Ci rifiutano, ci cacciano; a noi il compito di seminare". Il mondo non è convertito da chi strilla, non è convertito da chi fa grandi cose. Il mondo è convertito dalla gente di tutti i giorni che cerca di combattere il male come può, nella vita di tutti i giorni, con semplicità, con fedeltà. Il mondo è convertito da chi si china con tenerezza sui mali, sulle debolezze degli uomini.
Il Vangelo non parla di chi caccia i diavoli facendo esorcismi; queste sono cose che succedono molto raramente e spero che nessuno di voi ne sia capace. Non parla dei guaritori, di quelli che impongono le mani, anche questo credo che nessuno di voi sa farlo; ma voi sapete fare - e per fortuna, altrimenti il mondo sarebbe finito - i piccoli gesti dell'onestà, della fedeltà, della tenerezza di tutti i giorni. C'è gente in mezzo a voi che non sarebbe capace non solo di toccare mille lire, ma nemmeno una puntina da disegno che non sia la sua. Ecco, è inutile lamentarsi che i nostri politici rubano, che tutti si approfittano, che tutti fanno del male, continuiamo a essere onesti, e insegniamolo ai nostri figli. Di quello che è comune non si tocca niente, nemmeno uno spillo, nemmeno un fiore colto sulla siepe del vicino. Non ho niente a che spartire con chi ruba. Non basta che strillo, che brontolo: debbo dimostrare con la coerenza della vita la mia onestà. Così va avanti il mondo.
Per fortuna in mezzo a voi ce ne sono tanti. Ci sono anche quelli che brontolano, ma un consiglio: non prendete esempio dalla gente che parla troppo nel mondo; tutti strillano, sembra che per farsi ascoltare bisogna urlare, bisogna gridare più forte dell'altro. Non lo fate! Preghiamo insieme il Signore che ci aiuti a essere più onesti e più buoni verso gli altri.
1988
Cerchiamo di far presto: vedo che tutti abbiamo un bel caldo in questi giorni e allora una rapida riflessione su questa pagina che abbiamo letto.
Vi ricordate, domenica scorsa abbiamo letto nel Vangelo di Marco (potete poi controllare a casa: ormai sono parecchie volte che vi invito a rileggere il Vangelo a casa) l'episodio in cui si narra di Gesù che va a Nazaret e viene rifiutato dalla Sua gente, dalla Sua casa. Vi ricordate attiravo la vostra attenzione proprio su questo rifiuto che Gesù incontra: quel rifiuto di cui tante volte i discepoli e i primi cristiani cercano il perché; e questa rimane anche la nostra domanda.
A questo rifiuto - ecco la cosa sorprendente del Vangelo di Marco - Gesù reagisce mandando in missione i suoi discepoli. Strano questo, hanno rifiutato Lui, la cosa migliore sembrerebbe di piantarla lì: ne siamo tentati tutti - io, ma penso anche voi - tentati di dire: "Ma se ci rifiutano è meglio che ce ne andiamo, chi ce lo fa fare a parlare con gente che non vuol sentire!" Gesù invece manda i suoi discepoli. Non solo li manda, ma se avete ascoltato con attenzione dice loro: "Andate senza niente, non portate la borsa, il denaro, la bisaccia, niente: andate solo con la forza della Parola". I discepoli avranno obiettato: "Ma se la rifiutano!" "Andate lo stesso" - ha insistito Gesù - "abbiate fede come un granello di senape, come un chicco di grano che si perde nei solchi della storia... andate parlate; e non solo parlate: guarite i malati, cacciate i diavoli".
È quello che i cristiani hanno fatto in questi duemila anni. E io vorrei invitarvi a far memoria di tutta questa gente, della povera gente - gente come noi - che non aveva "né denari, né bisaccia, né bastone", che non credeva nelle armi, che non amava la violenza: hanno fatto arrivare fino a noi la freschezza del Vangelo.
È vero che ci sono stati anche cristiani che hanno pensato di propagandare il vangelo con la forza delle armi, lo avete letto sui libri di storia - non si fidavano molte delle parole di Gesù, dicevano: "Se ci rifiutano cerchiamo di convincerli, se necessario anche con la forza delle armi, con la spada si può convertire la gente!". Altri pensavano: "Se rifiutano noi, non rifiuteranno i nostri soldi: qualche strada, un ospedale, un po' di riso... e si convertiranno".
Per fortuna c'è stata tanta gente, tanta gente semplice, come siete voi, che ha continuato a fidarsi di Gesù, a parlare di Lui, a testimoniare Lui, soprattutto con i gesti di ogni giorno, con la voglia di pace che si portava dentro.
Allora pian piano, da padre a figlio, da nonno a nipote, attraverso i secoli, fino a noi è rotolata la Parola di Gesù, non con la forza dei denari, non con la spada, non con il potere e la gloria, nemmeno con la gloria dei Papi e dei Vescovi.
Se vi capita di andare a S. Pietro e rimanete stupiti di tanta grandezza e magnificenza, ricordate: non sono le grandi costruzioni che ci hanno trasmesso la fede; e non dimenticate di dare uno sguardo ai "sampietrini" che lastricano la piazza: sono stati pagati con i soldi delle prostitute di Roma erano un esercito, non erano degne di costruire le cose "nobili", soltanto il pavimento che si calpesta con i piedi, magari con un senso di disprezzo... eppure quante di loro avevano una fede profonda che ha testimoniato Gesù con più verità e passione dei marmi sontuosi della Basilica o del potere temporale dei Papi.
Ecco, ciò che ha portato il Cristianesimo fino a noi è stata la testimonianza semplice, tranquilla, generosa di gente come voi, tanta gente che ci ha preceduto, il cui nome sui libri di storia non lo trovate mai, tanta gente che si è lasciata affascinare dalla Parola di Gesù, che se ne è andata in giro per il mondo, sprovveduta di potenza e soldi, ricca soltanto della sua capacità di fare il bene, ricca soltanto del suo amore: un amore che non era poi neppure tanto grande. Non trovate il loro nome scritto sul calendario: non erano dei "santi", erano gente come noi, gente però che ci credeva sul serio e ha testimoniato Gesù, nonostante il peccato: ha sbagliato tante volte (come sbagliamo noi) e ha sempre continuato a parlare di Lui e quando trovava una lacrima, cercava di asciugarla e se qualcosa non andava cercava di pazientare e combattere: qualche volta ci riusciva, qualche volta no... Così è arrivata fino a noi la testimonianza di Gesù, la gloria del Signore.
Possiamo ancora leggere il Vangelo, ancora ascoltare la Sua Parola e tentare anche noi di essere fedeli e continuare a costruire il Suo Regno, a testimoniare il Signore.
Lui ci aiuti a farlo.
"Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’" 20 luglio 1997
Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro...
e si mise ad insegnare loro molte cose.
"L'uomo propone e Dio dispone": così dicevano i nostri vecchi, per esprimere l'imprevisto che spesso sconvolge i progetti dell'uomo. E questo da Gesù non ce l'aspetteremmo... Eppure, come avete ascoltato, anche Lui, quando va con i suoi discepoli in un luogo solitario per riposarsi un po', si trova circondato da "molta folla" e deve ricominciare a parlare...
Molti di noi non credono più che Dio disponga gli avvenimenti della nostra vita: ma se questo risolve qualche problema del nostro credere, non risolve certo i problemi del nostro vivere. Penso che anche a molti di voi succeda che spesso gli imprevisti vengano a turbare i progetti e il desiderio di riposarsi un po'.
A volte è un malanno, un acciacco, un incidente; più spesso è la folla delle preoccupazioni, dei problemi di ogni giorno. Conosco molti di voi e so che anche qualcuno che ha i capelli bianchi - e avrebbe ogni diritto a riposarsi e a stare tranquillo - deve ancora occuparsi dei figli, magari dei nipoti: la vita di ogni giorno presenta tanti problemi, tanti affanni, bisogna sempre correre!
E per più d'uno di voi - direi per molti di voi - anche la preghiera diventa un problema. Uno viene in chiesa, cerca un luogo solitario, dicendo: "Vado a fermarmi un momento con Gesù, a parlare un po' con Lui!". E poi, quando si mette a pregare, subito una folla di pensieri, di preoccupazioni; e la testa se ne va chissà dove...
È normale che sia così. Non solo è normale, ma è bene che sia così: vuol dire che anche voi, come Gesù, vi preoccupate degli altri. E quando vi viene in mente la folla dei problemi... allora il cuore vi porta là: un cuore attento alle persone, ai problemi di chi vi sta intorno ed ha bisogno di voi! Com'era il cuore di Gesù, un cuore capace di volere bene! Soltanto chi è insensibile, soltanto chi sa solo chiacchierare, può pensare ad una cosa sola e star lontano dalle preoccupazioni.
Eppure, vedete, è importante che troviamo anche qui un po' di equilibrio. Abbiamo tutti bisogno di un po' di riposo, ne ha bisogno il nostro corpo e soprattutto ne ha bisogno il nostro cuore: abbiamo bisogno tutti di incontrare qualche volta il Signore e di trovare in Lui il distacco dall'affanno di ogni giorno, la capacità di guardare i problemi con l'occhio di Dio; di ritrovare in Gesù la pace, la serenità! Ma questo - lo sapete - è facile a dirsi; molto più difficile a viversi ogni giorno!
E allora ci conviene chiedere al Signore di poter trovare, anche noi, qualche momento di quiete, di riposo, di incontro con Lui; ma soprattutto che non ci tolga mai dal cuore la straordinaria capacità, che aveva Lui, di accorgersi della gente, di preoccuparsi degli altri, di essere attenti ai bisogni di chi ci sta attorno!
E qualche volta - lo sapete per esperienza - il riposo se ne va: bisogna correre, darsi da fare, tendere ancora una mano! E così faremo, finché il Signore ci darà forza. Ma questa è la nostra ricchezza! Questo è essere Cristiani!
E magari molti di voi, che hanno i capelli bianchi, si riposeranno soltanto quando si troveranno seduti, finalmente, ai piedi di Gesù e potranno, allora, parlare con Lui senza più doversi preoccupare di tutti i problemi di ogni giorno, che a volte sono tanti e non ci lasciano in pace!...
Il Signore ci aiuti!
1994
Qualcuno di voi lo ricorderà: domenica scorsa abbiamo letto nel Vangelo di Marco come Gesù abbia inviato i Suoi discepoli in missione, a due a due, affidando loro il compito di cacciare i demoni, di chinarsi con tenerezza sulla sofferenza, sulle malattie degli uomini: è l'invito a continuare la Sua missione; un invito che vale per ogni cristiano, anche per noi.
Oggi, come avete ascoltato, il Vangelo di Marco ci narra (brevemente, com'è suo costume), del ritorno di questi discepoli. Tornano da Gesù e raccontano quello che hanno fatto: noi possiamo tentare di immaginare i racconti di questi discepoli. Qualcuno sarà tornato pieno di entusiasmo, a riferirgli tutto quello che ha fatto: magari ha guadagnato qualche discepolo, ha compiuto qualche prodigio, ha fatto qualcosa di straordinario. Altri, forse i più, parlano dei propri insuccessi, dei fallimenti di quella missione: non sono, in fondo, riusciti a cacciare nessun diavolo, hanno anche incontrato difficoltà ad asciugare una lacrima.
Qualcuno parlerà dell'incontro, sempre così penoso, con la superficialità e il conformismo della "folla", con l'incoerenza e la mancanza di serietà e di impegno. Qualcuno, con maggior pena, racconterà dello scontro con la violenza del mondo: qualcuno è stato cacciato, qualcuno è stato, forse, anche malmenato... Tutti hanno qualcosa da raccontare. E Gesù invita tutti in un luogo in disparte, a riposarsi un po'.
Hanno tutti bisogno di fermarsi un momento, di guardare un po' da lontano la loro esperienza: ne hanno bisogno anche quelli che credono di aver avuto il successo, hanno bisogno anche loro di imparare la commozione, la compassione, le radici della tenerezza! Un uomo non fa il bene soltanto quando ha ottenuto il successo! Il successo rischia di corrompere la missione del credente, che corre il rischio di pensare di aver fatto bene quando ha raggiunto il successo, quando ha ricevuto l'applauso della gente... e può invece aver preso una strada sbagliata!
Ma ne hanno bisogno, soprattutto, quelli che hanno fatto esperienza del fallimento, quelli che hanno il cuore pesante, quelli che sentono le braccia cadere; quelli che hanno fatto l'esperienza della stupidità della folla, quelli che hanno fatto l'esperienza, dura, della violenza degli uomini! Anche loro hanno bisogno di fermarsi, di ritrovare in Gesù il coraggio della speranza, di ritrovare le radici autentiche della vita.
Vedete, questa non è la storia soltanto dei discepoli: è la storia di tutti noi. Anche noi ci ritroviamo qui, un momento, in disparte; abbiamo tutti dietro le spalle una settimana di lavoro, una settimana in cui abbiamo corso, ci siamo affannati; anche noi abbiamo fatto, a volte, esperienza della superficialità e della cattiveria del mondo, anche noi abbiamo conosciuto, a volte, l'insuccesso, o, qualche volta, l'entusiasmo!
Abbiamo bisogno di sederci ai piedi di Gesù, di guardare i Suoi occhi, di cercare in Lui il senso autentico e profondo della nostra vita, i valori veri; abbiamo bisogno di riscoprire, qui insieme, ai Suoi piedi, la gratuità, la tenerezza, il fare il bene per l'altro non per il nostro successo, non per cercare il nostro tornaconto, non per ricevere una ricompensa. Abbiamo bisogno di riscoprire, ai piedi di Gesù, che cosa significa amare sul serio, che cosa significa donare se stessi senza aspettarsi la ricompensa o l'applauso, ma anche senza scoraggiarsi quando si fa esperienza del fallimento, quando non si riceve riconoscenza da chi incontriamo sulla strada.
Sedersi ai piedi di Gesù per trovare le radici dell'amore più autentico e vero: è quello che tentiamo di fare ogni sabato, ogni domenica, quando ci ritroviamo intorno all'altare, quando ci incontriamo con Lui, quando ci nutriamo di Lui!
Lo Spirito ci aiuti a farlo anche oggi!
1991
Quando ero giovane amavo molto di più la prima lettura, che oggi abbiamo ascoltato, quella che comincia: "Guai ai pastori che fanno perire e disperdere il gregge" - forti parole del profeta Geremia. Man mano che il tempo passa, vedo che la mia attenzione si sposta verso il Vangelo, verso letture in tono minore. La verità, in genere, sta a metà strada.
Ma mi sono accorto che le parole forti spesso ci fanno voltare per dire: "Con chi ce l'ha Geremia? Chi sono oggi i pastori che disperdono il gregge?". E voi certamente pensate subito ai nostri politici, o potrebbe capitarvi di peggio, che pensiate a voi stessi; allora viene il senso di colpa, l'ansia, l'affanno. Qualche genitore, quando si parla del pastore, pensa ai propri figli che passano magari un momento difficile, e allora le parole forti suscitano in noi o il desiderio di guardarci intorno per accusare qualcuno o il senso di colpa che ci mette in difficoltà e ci rende frustrati.
Allora ascoltiamo le parole di Gesù: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’". Il nostro ritrovarci qui la domenica ha soprattutto questo senso: fermarci un po' con Gesù. La vita per molti di voi è un affanno, un correre in cui non avete, come succedeva agli Apostoli, il tempo di mangiare. Il tempo per mangiare lo abbiamo, ma anche quando mangiamo il pensiero corre dietro a quel problema, a quella preoccupazione. Preoccupazione per i soldi che non bastano, a volte per il lavoro che non riesce, a volte per i figli ecc... Tanti problemi, per cui a volte non riusciamo nemmeno a pregare.
Nella mia vita ho sentito infinite volte dire: "Quando prego, subito la testa mi va da un'altra parte". È così per tutti noi! Ho dovuto consolare tanta gente, e dire che è un male comune. La testa se ne va, perché la vita ci corre intorno, abbiamo tanti problemi, tanti affanni. Gesù ci invita, invece, a fermarci un po' con Lui, per trovare in Lui il riposo, la pace profonda che viene dal guardare le cose un po' con lo sguardo di Dio. Uno sguardo che è perdono, uno sguardo che è andare alle cose essenziali, uno sguardo fatto di tenerezza, di pace, di accoglienza verso di noi.
Ecco, fermiamoci qui per riposarci un po' dai tanti problemi che ci corrono intorno, per incontrarci con Gesù, per ritrovare in Lui le cose che veramente sono importanti: il fatto che Gesù è qui con noi, che ci ama, che dietro la nostra vita c'è la tenerezza di Dio, c'è la Sua comprensione per noi. Se abbiamo sbagliato qualche cosa, il Signore ci perdona. Se non siamo riusciti, ci dà coraggio per continuare ancora. Ecco il riposarci con Gesù: se le cose ci sembrano troppo importanti, Lui con un sorriso ci aiuta a ridimensionarle. In fondo, quando le guardiamo qui di fronte a Gesù, quando ci nutriamo di Lui, tante cose che ci preoccupavano, si sbiadiscono almeno un po'.
Poi ci sarà qualcuno di voi che veramente avrà dei problemi seri, qualcuno che attraversa momenti di sofferenza e di dolore; allora si stringerà alla Croce dolorosa del Signore e con Lui tenterà di imparare la pazienza.
Ma per la maggior parte di noi, questo può essere veramente un momento di riposo, un guardare alla nostra vita con certo senso di distacco, un fermarci dal nostro correre, un incontrarci con Lui, e chiedere a Lui il riposo e la pace nel profondo.
Il Signore ce la conceda stasera.
Gesù moltiplica il pane e la gente vuol farlo "re", 24 luglio 1994
ma... "si ritirò sulla montagna, tutto solo"
Il racconto che abbiamo appena finito di ascoltare si trova per ben 6 volte nei Vangeli, con piccole o grandi variazioni fra l'uno e l'altro: è l'episodio che viene riportato più volte e più volte lo abbiamo commentato insieme; non è quindi semplice dire qualche cosa di nuovo su questa pagina.
Ho pensato a lungo, oggi pomeriggio, come si poteva dire qualche cosa di nuovo... e non ci sono riuscito. Alla fino ho detto: "Forse è meglio che, con grande semplicità, racconti un po' dei pensieri che mi son venuti in mente: chi sa che non possano aiutare a riflettere su questa pagina del Vangelo; che è, poi, riflettere su quello che facciamo insieme qui, ogni domenica".
E dunque, ho cominciato da uno slogan che mi è venuto in mente: "moltiplicare il pane, senza voler diventare re", che tradotto significa: moltiplicare la vita, moltiplicare il benessere, il sapere, la gioia - tutto quello che voi volete - senza aspirare al potere, alla riconoscenza, al prestigio, alla gloria. E poi mi son detto: "Niente di più banale... cose che abbiamo detto tante volte!".
E poi pensavo: "Ma... banale o forse essenziale? Non è questo uno degli aspetti fondamentali della nostra vita, soprattutto della vita di un credente?" E mi dicevo: "Se i nostri governanti badassero al bene comune, a moltiplicare il benessere, a moltiplicare la cultura, a moltiplicare tutto quello che è vita civile, senza aspirare al potere, al prestigio..." E dicevo: "Cosa ancora più banale, cosa ancora più scontata!"
Banale, scontata! Viviamo in un mondo - mi dicevo ancora - in cui tutto diventa immagine, tutto diventa rappresentazione, tutto diventa ostentazione. Avete visto che spettacolo è stato l'incontro dei 7 grandi in quegli splendidi posti che sono a Napoli! Una grande ostentazione di potere. E questo succede spesso nel nostro tempo; e forse è importante che ci abituiamo sempre di più a giudicare chi ci governa non da come si mostra, non da come ostenta il suo potere, il suo prestigio, ma da quello che fa, dai gesti concreti che moltiplicano la vita, che moltiplicano il benessere, che moltiplicano il lavoro, che moltiplicano la cultura e tutto quello che "fa" la vita civile. Un discorso, allora, non tanto banale e credo che sia importante che noi ci ritorniamo sopra spesso.
Ma poi mi son detto: "Perché pensi a chi ci governa? Questo discorso, in fondo, riguarda anche te". Ed è giustissimo: riguarda anche me! Perché il mio compito è quello di moltiplicare la vita, di far crescere la conoscenza di Gesù, senza cercare il prestigio, senza cercare nemmeno il vostro applauso né la vostra riconoscenza, senza cercare - che sarebbe ancora peggio! - di dominare le vostre coscienze, di imporre a voi il mio modo di vedere.
Ma quello che vale per me, vale anche per voi. Vale per gli insegnanti che son qui, i quali hanno anche loro il compito di moltiplicare la cultura, la vita degli alunni, e non vale solo per gli insegnanti, vale per chiunque lavora e vale anche in casa tra marito e moglie, tra genitori e figli: il compito di ogni uomo sulla terra è quello di moltiplicare la vita, il benessere, la gioia, senza voler prevalere sugli altri, senza dominare sugli altri. Qualcuno di voi sorriderà, come mi è capitato di veder sorridere tante volte la gente, a questi discorsi: "È quasi impossibile!..."
È quasi impossibile, sì! Ecco perché questo racconto c'è 6 volte nel Vangelo. Ecco perché noi ci ritroviamo qui ogni domenica: per tentare l'impossibile, per tentare di moltiplicare la vita senza voler "diventare re", senza prevalere sugli altri, senza imporre noi stessi. Cerchiamo di imparare qui, intorno alla tavola, spezzando il pane, a mettere in comune quello che abbiamo!
Voi, come il ragazzo del Vangelo, direte: "Abbiamo soltanto 5 pani d'orzo (che erano i pani che mangiavano i più poveri) e 2 pesci rinsecchiti!" Bastano! Bastano e avanzano! Purché tutti mettiamo in comune quello che abbiamo, cerchiamo di moltiplicare la vita, di donare ciò che possiamo, perché la vita sia più ricca - in casa, fuori, nel posto di lavoro - senza pretendere di "diventare re".
Non è facile! Per questo Gesù ci convoca qui ogni domenica; per questo ancora continua a spezzare il pane con noi; per questo, senza stancarsi, continua ad invitarci, a nutrirci di Sé!
Lo faccia ancora per noi, stasera.
1991
Se sfogliate il Vangelo, troverete per ben sei volte nei vari Vangeli, il racconto che abbiamo ascoltato stasera. Li troverete con parole diverse, con accenti diversi, perché ogni evangelista che racconta questa storia, mette la sua attenzione su un aspetto particolare. Questo racconto è ripetuto sei volte perché non parla di qualche strano episodio accaduto tanto tempo fa, ma di quello che noi facciamo qui insieme ogni domenica; quello che da sempre i cristiani fanno.
Una delle cose che sono più chiare nel Nuovo Testamento è che subito dopo la risurrezione di Gesù, i discepoli hanno cominciato a riunirsi insieme ogni sette giorni, prima il sabato, poi la domenica, per spezzare il pane, far memoria di Gesù e nutrirsi di Lui.
Per questi duemila anni, la gente ha continuato a farlo. Qualche volta, nel corso di questi anni si capiva quello che si faceva insieme, qualche volta non si capiva. Qualcuno ricorderà, quando era più giovane, come capitava a me, di andare in chiesa e di capire poco: c'era gran rumore, gran confusione, e c'erano stati tempi ancora peggiori. Ma sempre il popolo cristiano ha sentito l'esigenza di ritrovarsi intorno alla tavola, di rimanere fedele a questo gesto che Gesù ci ha lasciato: spezzare il Pane, nutrirsi di questo Pane, convinti che là non ci nutrivamo di qualche cosa di materiale, ma della vita stessa di Gesù, della Sua vita donata per noi. I cristiani hanno sempre tentato di capire quello che facevano insieme, ogni volta che si ritrovavano per spezzare il Pane, come aveva insegnato Gesù, ed è quello che facciamo anche noi stasera. Tentiamo di capire che lo stare qui insieme, non è cercare di risolvere i bisogni immediati col Signore; avete sentito come Giovanni lo sottolinea alla fine del racconto: lo cercano per farlo re, e Lui se ne scappa.
Se n'è scappato tante volte anche da noi, vero? Siamo venuti qualche volta in chiesa a chiedere con fervore che un amico fosse guarito, che un figlio andasse meglio a scuola, e Lui se n'era andato via, non ci ha risposto, non ci ha esaudito la maggior parte delle volte; e le volte che ci siamo sentiti esauditi, era più un caso che una risposta del Signore.
Allora, come la comunità di Giovanni, anche noi siamo invitati a chiederci: cosa veniamo a fare qui, se non veniamo a cercare una guarigione, un aiuto per il figlio che deve fare un esame o cercare un posto? Ecco, veniamo a cercare Gesù, la Sua vita, i valori per cui Gesù ha vissuto; veniamo perché la nostra vita sia riempita in maniera sovrabbondante dal Signore, dalla Sua realtà, dalle cose in cui Gesù credeva, dal Suo amore, dalla Sua giustizia, dalla Sua tenerezza, dalla Sua bontà. Sono questi i valori profondi, sono i valori che fanno ricca la vita, sono questi i valori che veniamo a cercare qui.
Ma, il Vangelo di oggi ci dice che c'è una condizione: noi siamo povera gente, abbiamo, come questo ragazzo, soltanto cinque pani d'orzo, erano i pani più semplici che c'erano e l'Apostolo dice: "Cos'è mai questo per tanta gente? ". Abbiamo poca cosa, ma quel poco che abbiamo dobbiamo avere il coraggio di metterlo in comune. Se questo ragazzo non porta i suoi pochi pani, non si moltiplica la vita, Gesù non si fa presente. Allora, vedete, noi siamo povera gente, portiamo qui la nostra povera vita, veniamo a cercare che Gesù ci nutra di sé, ci riempia dei Suoi valori; ma se non siamo disposti a condividerla questa vita, se non offriamo quello che abbiamo, anche Gesù rimane impotente in mezzo a noi.
Faremo tra poco l'offertorio, e non è certo le monete che metteremo nel cestino quello che il Signore vuole da noi, ma l'offerta della nostra vita, quello che siamo, quello che abbiamo, magari poca cosa, come questo ragazzo: cinque pani d'orzo che sono niente per il gran mondo, ma il Signore vuole che li mettiamo insieme, che li uniamo tutti insieme, perché Lui ci riempia della Sua vita, del Suo amore, della Sua tenerezza, della Sua gioia.
Il Signore ce lo conceda.
Gesù rispose: "Trascurando il comandamento di Dio, 31 agosto 1997
voi osservate le tradizioni degli uomini".
Una volta, tanto tempo fa, una signora mi diceva: "Don Checco, noi vorremmo che quando Lei predica non dicesse le sue opinioni, ma ci desse la dottrina sana, tradizionale, il pensiero della Chiesa, il pensiero di Gesù". Queste parole, quando le ascoltavo allora, mi turbavano un po', come potete immaginare. Poi, l'esperienza della vita mi ha insegnato tante cose: ho sorpreso spesso queste persone (come si dice a Roma) "col sorcio in bocca"... Chi parla così o è in mala fede perché vorrebbe che io dicessi come "parola della Chiesa" quello che lui pensa; o, più semplicemente, - ed era probabilmente il caso della signora - è stato ingannato.
C'è tanta gente, anche oggi, che cerca di impapocchiarvi, facendo passare le proprie opinioni come opinioni della Chiesa o, addirittura, "parola del Signore"! Io ve l'ho detto tante volte e torno a ripetervelo ancora una volta: le mie sono soltanto parole di uomo; le mie sono soltanto opinioni personali. Ma chi vi dice il contrario, vuole ingannarvi. E guardatevene bene! Nessuno può togliervi il rischio di capire da soli cosa vuol dirci il Signore, qual è veramente la Sua parola e nelle concrete circostanze della vita. È, come avete ascoltato nel Vangelo di oggi, un problema antico: si tratta di distinguere le tradizioni degli uomini, le parole degli uomini, dalla "Parola di Dio".
Capita spesso, nella vita della Chiesa, che ci sia chi vuole educarvi a non pensare, ad accettare passivamente opinioni che sembrano venire da Dio e sono soltanto opinioni di uomini. Posso forse, a mo' di esempio, raccontarvi l'esperienza che ho fatto in questa vacanza.
Stavo, con un po' di altra gente, in un paesino dell'alto Adige; qualche volta ci capitava di sconfinare nel Veneto, incontrando, là, l'antica e veneranda tradizione cattolica di quelle regioni: grandi chiese (non sempre belle, per la verità), sulla porta i manifesti che annunciavano feste, processioni, tradizioni: un'antica cultura cattolica, forse più orientata all'ossequio, all'obbedienza, che alla ricerca, allo stimolo a pensare con la propria testa.
E, discorrendo, ci capitava di notare come in quelle regioni sembra prendere largamente piede ogni forma di "lega", o "liga". E qualcuno ricordava che anche al tempo del terrorismo, là c'era uno dei focolai più importanti che forniva uomini per il terrorismo.
Che sia questa una delle conseguenze della lunga tradizione cattolica, volta più all'ossequio e all'obbedienza, che a pensare con la propria testa? Se un giovane non è abituato a pensare con la propria testa, quando sente il bisogno di cambiare, rischia di andar dietro al primo mito che passa, di lasciarsi cogliere dalla prima avventura, per quanto assurda e pericolosa sia.
Vedete, noi ci prepariamo a festeggiare il giubileo: lo festeggeremo con pifferi, pennacchi ed ovazioni... Non sarebbe, secondo voi, il caso di festeggiarlo riflettendo su questo millennio? I Cristiani in questi mille anni hanno conquistato e dominato il mondo; ma non sempre l'hanno fatto nella tenerezza e nel rispetto! Non sarebbe importante riflettere su tutto questo tempo? Sulle tante cose che abbiamo fatto passare come "parola di Dio" ed erano soltanto tradizioni di uomini, se non addirittura voglia di potere e di dominio sul mondo?
Ci sarebbe molto da riflettere; ma... in questo giubileo non succederà. Aspetteremo quello del Tremila! Spero di non farvi offesa nel dirvi che noi non ci saremo: staremo affacciati a qualche balcone del cielo e guarderemo giù una Chiesa che finalmente avrà imparato a riflettere! Qualcuno di voi penserà che forse nel Tremila non ci sarà una Chiesa, forse non ci sarà il mondo. Non dimentichi: nel Mille erano molti a pensare così! Sono passati mille anni: siamo ancora qui... Quindi l'appuntamento è per il Tremila: assisteremo al giubileo dall'alto, affacciati ad un balcone del cielo. E speriamo che allora i Cristiani abbiano imparato a pensare con la propria testa, a cercare con il proprio cuore la Parola del Signore!
Intanto, se qualcuno di noi ne è capace, ci conviene cominciare a farlo.
Il Signore ci aiuti!
1991
Gesù, in questo episodio del Vangelo, se la piglia con questi bravi maestri della legge, i farisei, che si lavano le mani prima di mangiare, cosa che noi, penso, abbiamo imparato a far tutti. Qui sembra essere soltanto un problema di igiene. Tornando dal mercato, dopo aver girato per i banchi, penso che nessuno di voi si metterebbe a tavola senza aver lavato le mani. Allora perché Gesù se la prende tanto? Qual è il problema?
Il problema è questo, e ci riguarda un po' tutti: è quando un fatto di igiene diventa un fatto religioso, diventa un comandamento di Dio. Al tempo di Gesù, se uno non faceva queste abluzioni, si sentiva escluso dalla comunità dei credenti. Capita anche a voi, qualche volta, di sentirvi esclusi, magari soltanto per una tradizione degli uomini, dall'Eucarestia, dalla Comunione. C'è ancora in mezzo a noi qualcuno che non può fare la Comunione, chissà se proprio per un comandamento di Dio, o per una tradizione degli uomini. Noi uomini, in tutti le religioni del mondo, abbiamo la tendenza a far parlare Dio; a stabilire, in nome di Dio, che cosa è giusto.
Vedete quest'abito che ho io? Era un abito comune al tempo dei primi cristiani. Pietro, Paolo e soprattutto i cristiani di Roma vestivano più o meno così... oggi nessuno di voi viene più in chiesa vestito così, perché son cambiati i modi vestire; eppure questo è diventato un paramento sacro, se non lo portassi qualcuno di voi si scandalizzerebbe.
Lavarsi le mani, portare uno strano paramento sacro... non è cosa di grande importanza e avete perfettamente ragione; a me non dà nessun fastidio portare questo paramento, è un segno, un modo per intenderci. Ma quando si tratta del modo di comportarci, delle differenze tra le generazioni - specialmente oggi che i tempi mutano a velocità vertiginosa - allora per noi il problema diventa importante e urgente.
Io vengo, per mia fortuna, da posti di villeggiatura lontani dalla città, in cui c'è ancora il vecchio mondo contadino, e questo problema si sente fortemente, perché i giovani vivono in questo tempo, hanno un'altra mentalità e gli anziani, i papà, le mamme, sono ancora legati alle tradizioni, tradizioni che hanno sostenuto e guidato tutta la loro vita. Qual è la difficoltà? Capire quello che è essenziale, capire quello che è il cuore, capire quello che veramente conta e quello che è soltanto tradizione degli uomini.
Sapete una cosa che non bisogna fare in questi casi? Domandare ai preti, perché i preti, nella stragrande maggioranza dei casi, la pensano come gli antichi, sono legati alla tradizione, alle cose che si sono sempre fatte, sono abituati a portare strani abiti, sono come i maestri del tempo di Gesù e, forse, di ogni tempo. Abbiamo continuato a pregare in latino, quando il latino da circa seicento anni non lo parlava più nessuno, ma... era diventata una lingua sacra. Attenzione, dunque, a non far diventare una cosa sacra certi modelli di comportamento: davanti a un figlio che cresce, davanti a una persona che cambia, davanti a un atteggiamento diverso, l'importante è sempre il cuore, l'intenzione profonda.
Non tutto quello che è nuovo è buono! Questo lo sapete bene. Noi che abbiamo i capelli bianchi, cominciamo a pensare che quello che è vecchio è buono e quello che è nuovo è cattivo; ma è sempre stato così. C'è un po' di buono e un po' di cattivo dappertutto, in tutti i tempi, in tutte le condizioni. Direte voi: "Ma non è sempre facile scoprire quello che è veramente importante, quello che è veramente essenziale". Ecco perché continuiamo a venire qui, ad ascoltare il Vangelo e pregare il Signore. Lo facciamo anche oggi e preghiamo il Signore che ci aiuti a non fermarci ai nostri pregiudizi, alle nostre tradizioni, a quello che si è sempre fatto; ma ci faccia capire quello che è veramente importante, quello che veramente il Signore vuole da noi, quello che è essenziale per la nostra vita
Lui ci aiuti a farlo.
... gli condussero un sordomuto. E portandolo in disparte 7 settembre 1997
lontano dalla folla ... disse "Effatà" cioè "Apriti".
E subito gli si aprirono gli orecchi e parlava correttamente.
Ho incontrato ancora una volta, in questa estate, lo stupore doloroso e scandalizzato di un giovane di fronte all'uso che noi facciamo della parola "miracolo". Ed è proprio l'incontro con questo stupore scandalizzato, che mi spinge stasera a farvi questo discorso.
E vi prego di prendere sul serio lo stupore di questo ragazzo, che è condiviso da tante persone come lui: è in gioco la loro possibilità di credere! E credo che sia compito di tutti noi - dei più giovani, ma anche dei più anziani - di fare in modo che sia possibile anche ad un giovane del nostro tempo - e soprattutto a quelli che hanno una sensibilità più acuta, un'attenzione più forte verso gli altri - credere ancora.
Perché questo ragazzo era scandalizzato? Il fatto lo conoscete tutti: un pullman di pellegrini va da padre Pio; due banditi assaltano il pullman; un colpo di pistola: un uomo viene sfiorato, l'altro ucciso. E colui che viene sfiorato - badate, non è un giudizio: chi scampa ad una disgrazia simile può dire qualunque cosa, lui, i suoi familiari... Ma noi siamo qui, tranquilli, a riflettere sulla nostra fede - ed è di questo che si parla, non di quella persona - e dunque, colui che è scampato dice: "Padre Pio mi ha fatto un miracolo!". E l'altro...? E colui che è rimasto ucciso?
E questo giovane diceva anche: "A volte, quando c'è un disastro aereo, tante persone morte, qualcuno scampa e dice: "Ho ricevuto un miracolo". E gli altri? Lui ha diritto di parlare così; ma noi abbiamo il diritto di parlare così? Si può ancora usare così, la parola "miracolo"?
Perché uno muore e l'altro vive? Perché tanti muoiono e altri vivono? La risposta a queste domande, che a volte si coglie nella tradizione popolare, o meglio, sulla bocca di qualche prete o di qualche santone, riempie di orrore la nostra fede. Di orrore: perché c'è sempre la colpa di qualcuno, perché si va a cercare di chi è la colpa di quella disgrazia. E non c'è niente di peggio, nel cammino della fede!
Ma qualcuno di voi mi può dire: "Don Checco, c'è tanta gente che continua ad andare ai santuari; anche tanti giovani ci vanno". E qui occorre un'altra riflessione: "Tanti ci vanno". Per esempio, in pellegrinaggio da padre Pio vanno decine di migliaia di persone. 100 mila? 300 mila? un milione? Ma in Italia siamo 57 milioni di abitanti; e più di 50 milioni di persone non ci vanno. E di queste dobbiamo anche tener conto.
E spesso si vede tanta gente in TV - perché la TV è abituata a mostrarci le folle - anche nei prossimi giorni lo vedrete: un grande concerto, il Papa, tanti giovani. Vi diranno: "300 mila ragazzi"... Non dimenticatelo: 3 milioni di giovani non sono lì! E se le parole del Vangelo hanno un qualche senso, di questi 3 milioni dobbiamo preoccuparci!
È compito mio; ma è compito di tutti noi. Le nostre parole a volte impediscono a questi giovani di credere. E non ai peggiori, ma ai migliori! A coloro che davanti alla parola "miracolo" si domandano subito: "Perché a quello sì e a quell'altro no? Perché se il Santo poteva fare un miracolo, non l'ha fatto anche per l'altro? Perché se uno è scampato al disastro aereo, non sono scampati tutti? Se Dio poteva intervenire, se il Santo poteva fare qualcosa, perché non l'hanno fatto?".
Son domande serie: domande dei nostri ragazzi, domande della gente che ha il cuore sensibile! O ci decidiamo a prenderle sul serio, o non possiamo lamentarci se la gente migliore non crede più! Scusate se ho alzato la voce; ma, come forse avrete capito, il problema mi sta a cuore. Mi sta a cuore la fede dei nostri ragazzi!
Allora, o la parola "miracolo" non è più il privilegio di qualcuno, beneficato da Dio o dal Santo non si sa perché, o la parola "miracolo" ridiventa - come nel Vangelo - una realtà quotidiana, qualcosa che ci riguarda tutti: i tanti miracoli, gli infiniti miracoli dell'amore del mondo! La gente che si china sul dolore del prossimo, le tante "suocere di Pietro" (per usare le parole del Vangelo), che si alzano per servire! O è meglio che cancelliamo dal nostro parlare la parola "miracolo".
O il miracolo esprime la nostra fede in Gesù che può aprire il nostro cuore alla speranza, la sua capacità - come per l'uomo del Vangelo di oggi - di portarci lontano dalla folla, dal rumore del mondo, dalle tante parole che ci rintronano la testa, per darci la capacità di ascoltare il segreto della vita... oppure è meglio che cancelliamo dal nostro vocabolario la parola "miracolo".
O il miracolo esprime lo stupore di fronte alla bellezza del mondo - il miracolo di un fiore che sboccia, del sole che spunta ogni mattino - o è bene che cancelliamo dal nostro parlare la parola "miracolo"!
Il miracolo non può essere il privilegio di Dio, ad uno dato e ad un altro no. Ma un fatto che ci riguarda tutti. Un Cristiano se non fa i miracoli, dice il Vangelo, che fa?! Quando ci alziamo per fare un sorriso, quando ci chiniamo sul dolore del prossimo, quando facciamo una carezza, quando siamo capaci di dare un momento di gioia... là avviene un miracolo! Il prodigio della vita! Fatto di tutti i giorni, fatto che ci riguarda tutti! Non eccezione voluta da un Dio o da qualche Santo, che a loro capriccio fanno quello che vogliono!
La fede, la fede di oggi, la fede dei nostri ragazzi, la sensibilità di chi ama e di chi spera, non è conciliabile con quest'uso della parola "miracolo". Forse sarebbe bene che tutti riflettessimo su queste cose!
Il Signore ci aiuti!
1994
Io vengo da vacanze lunghe e serene e questo mi dà, forse, la forza di affrontare un discorso un po' complicato e difficile, che mi porto dentro da tanto tempo, ma che proprio per la sua complessità è difficile svolgere qui in chiesa - l'abbiamo trattato più volte, nei nostri gruppi - ma credo che, anche se è un discorso che sconcerterà qualcuno di voi (e chi si sconcerta, cerchi di tapparsi le orecchie ed andare avanti; tanto, le parole del parroco valgono sempre quello che valgono...), sia importante per qualcun altro riflettere su queste cose, perché l'aiuta a ripensare il Cristianesimo in maniera forse più seria, più matura, più adulta. E allora, chi non è d'accordo, chi si sconcerta, passi pure oltre, senza preoccuparsi; chi invece trova in queste riflessioni uno spunto per pensare un po', presti particolare attenzione questa sera. Anche perché, come dicevo, il discorso è complesso e quando si deve fare in breve - ed ho intenzione di farlo il più in breve possibile - si rischia di non riuscire a spiegarsi bene. Comunque, se qualcuno avesse qualche perplessità, poi potrà domandarmi quel che vuole.
Vorrei affrontare con voi stasera il tema dei miracoli. Perché, vedete, il Vangelo è pieno di miracoli: ce ne sono quasi in ogni pagina; e chi di voi ha letto (non per sua fortuna!) le vite dei Santi, anche quelle le ha trovate piene di miracoli e questo non succede solo nella nostra religione, ma in tutte le religioni del mondo. Nei tempi antichi, fino ai tempi dei nostri nonni o bisnonni, il miracolo era uno dei segni di Dio; anzi, quando io ero bambino ed andavo al catechismo, il miracolo era una delle "prove" dell'esistenza di Dio, della "divinità" di Gesù. Il mondo cambia! Per molti dei giovani di oggi, ma forse anche per molti di voi, il miracolo, invece di essere una prova di Dio, è uno scandalo, una difficoltà. Perché è così cambiato il modo di pensare? È quello che tenterei di dirvi stasera, se mi riesce; almeno, per quello che ho capito io.
Vedete, per gli antichi il mondo era un fatto del tutto misterioso: loro non ne capivano quasi niente, non conoscevano quasi nessuna delle leggi che regolano il mondo e la vita. Vedevano il sole sorgere e tramontare e pensavano che ci fosse un dio che trasportava il sole nel suo carro... come potevano sapere? Loro pensavano che la terra fosse piatta, che stesse ferma, che il sole le girasse intorno... Ed anche delle malattie, non ne conoscevano quasi di nessuna l'origine e le cause e pensavano che ci fosse un diavolo...Uno non vedeva: perché? il diavolo gli tappava gli occhi. Uno aveva la febbre: perché? il diavolo aveva preso un po' di fuoco dall'inferno e glielo aveva messo dentro... E quindi, se tutto ora così vago, tutto poteva essere cambiato: le leggi non c'erano e quindi il dio poteva intervenire per fare del bene e il diavolo per fare del male!
Per noi è tutto diverso: un ragazzo che va a scuola scopre pian pianino tutte le leggi che regolano questo nostro mondo, così complesso e così vasto. Tante generazioni di gente prima di noi hanno studiato il mondo, per capire... e siamo riusciti a curare molte malattie. Quando abbiamo cominciato a pensare che uno non ci vedeva, non perché ci fosse un diavolo che gli tappava gli occhi, ma perché c'era qualche motivo fisico, quando abbiamo studiato bene l'occhio, abbiamo capito che se uno mangia troppo fa crescere il diabete e rischia di diventare cieco; e se uno ha un glaucoma o la cataratta, rischia... ecc. ecc. Sappiamo tante cose; e sappiamo anche - sanno i medici, quando riescono - curare tanti mali.
E allora, a chi conosce il mondo così, riesce difficile pensare che ci possano essere tante eccezioni delle leggi della natura... sono leggi serie, si possono studiare per conoscere e migliorare il mondo! E chi può violare e cambiare queste leggi? Ecco il secondo progresso: ai tempi antichi il potere era nelle mani di una persona: l'imperatore poteva disporre di uomini e cose, aveva diritto di vita e di morte. E quindi, quando l'uomo pensava a Dio, pensava come ad un grande Imperatore, che poteva fare quel che voleva: disponeva, cambiava; cambiava le leggi, cambiava il modo di fare: era Lui il Padrone supremo del mondo! Per noi è impensabile pensare che il "capo" abbia un potere assoluto: non può disporre di uomini e cose; anche lui deve seguire dei valori, dei criteri autentici di giustizia... E questo vale per tutti. Vale anche per Dio: non può fare nemmeno Lui come gli pare: altrimenti ci sembra profondamente ingiusto!
Ed ecco il terzo punto: la giustizia. Perché a quello sì e a quell'altro no? Ed un altro punto: la sensibilità al dolore, alla morte, che abbiamo noi, gli antichi non l'avevano. La violenza e la morte era un fatto quotidiano. Si andava al circo per vedere uomini che si uccidevano, nelle nostre terre due terzi degli uomini vivevano come schiavi, in un salmo della Bibbia si poteva trovare una preghiera a Dio perché lasciasse sfracellare sulla roccia i bambini dei nemici... tutto ciò ci fa orrore. A quel tempo, sapete, le donne mettevano al mondo, in media, da 10 -12 figli - su dieci bambini, otto morivano; prima di arrivare a dieci anni. E allora la morte era un fatto quotidiano! Per noi, il dolore, la sofferenza, è diventato qualcosa di quasi insopportabile - e dobbiamo far sì che diventi sempre di più, insopportabile! Attenti, quindi, alla televisione! - Noi pensiamo: se Dio può fare qualcosa per i bambini della Bosnia, per i bambini del Ruanda, per tutta la gente che soffre nel mondo, e non lo fa, non ci è più possibile credere in Lui; perché per noi il dolore è qualcosa di terribilmente serio! Se Dio può fare i miracoli, perché non li fa per tutti quelli che sono malati? Perché all'uno sì, e all'altro no? Questo urta il nostro senso profondo della giustizia!
Vedete, vi racconto una storiella, che per me è stata importante e forse anche per qualcuno di voi. È successo proprio qui: una sera eravamo in una delle nostre sale, a commentare il Vangelo: si facevano proprio questi discorsi. E ad un certo punto un signore ha alzato la mano e ha detto: "Io ho ricevuto nella mia vita, un grande miracolo!" e tutti ci siamo fatti attenti, a sentire qual era il miracolo di questo signore. Era un signore anziano - adesso non c'è più: se n'è andato anche lui in paradiso; e guarderà il mondo con gli occhi trasfigurati di Dio! ‑ un signore molto dolce, che non parlava mai e quel giorno aveva da dirci la cosa più importante della sua vita: diceva: "Vedete, quando molto tempo fa, nella guerra, io sono stato preso prigioniero, un ufficiale tedesco mi ha puntato una pistola alla tempia. Io mi sono raccomandato a Dio, ai Santi: ho pregato con tutta l'intensità del mio cuore. E quell'ufficiale ha premuto il grilletto...ma il colpo non è partito: la pistola ha fatto cilecca!". Io avevo davanti a me un insegnante, una delle persone più giuste e buone che io abbia conosciuto nella mia vita - adesso anche lui non c'è più! - Ci siamo guardati negli occhi, uno sguardo d'intesa, e non abbiamo parlato, perché ci sembrava giusto rispettare il segreto della vita di quell'uomo. Quell'uomo, da ormai quasi 40 anni, viveva la sua vita come un "miracolo", perché quella pistola aveva fatto cilecca!
Ma accanto a me, sulla destra, poco più in là c'era un generale, un generale dell'esercito, il quale subito ha alzato la voce: "Eh, però, quante pistole hanno sparato!" Ci siamo di nuovo guardati negli occhi con quell'insegnante e abbiamo sorriso! Pensavamo la stessa cosa, ma non volevamo dirla, noi. Però quel generale forse sentiva più forte, nella sua coscienza di uomo, che tante, troppe pistole, troppo bombe, avevano sparato e seminato milioni e milioni di morti! E allora io ho detto a quel signore: "Vede, noi abbiamo sorriso e adesso Le dobbiamo una spiegazione. Come vede, il generale ha ragione: molte pistole hanno sparato, milioni di persone son morte per la guerra! Però, vede, anche Lei ha ragione: perché per un Cristiano, per un credente, ogni volta che si sveglia al mattino, che si guarda intorno, che vede il sole; che vede gli alberi, che vede lo splendore della natura, vede tutto questo con senso di gratitudine, come un miracolo. Noi non abbiamo fatto il sole, non abbiamo fatto la vita; ogni volta che ci svegliamo, è un miracolo! La bellezza delle cose che abbiamo intorno...e non soltanto della natura: anche della gente! Perché se io posso fare questi discorsi, stasera, è perché tanta gente, prima di me, ha cercato la giustizia, ha studiato la vita, ha combattuto le malattie. Lo stupore, la meraviglia, la bellezza della vita, degli uomini, del coraggio, dell'impegno della gente: tutto questo è qualcosa da vivere come un miracolo!
E allora, vedete, per chi crede, ogni istante, ogni momento è un miracolo, da vivere con stupore, con meraviglia, da vivere con gratitudine, da vivere con senso di ringraziamento! E noi siamo fortunati, perché - lo vedremo; oggi non c'è tempo - ogni miracolo del Vangelo è un segno di questa vita: non invito al prodigio, al fatto straordinario, alla cosa eccezionale che succede una volta tanto, ma un invito a vivere la nostra vita, la vita di ogni giorno, con meraviglia, con senso di stupore, di contemplazione, di gratitudine, con senso di ringraziamento. Ed anche con impegno: per moltiplicarla, questa vita, per fare crescere intorno a noi - nelle nostre case, fra la nostra gente - il miracolo della gente che cerca con passione: che cerca la giustizia, che è sensibile al dolore del prossimo, che vive con tenerezza, che moltiplica tutto quello che è bello e buono nel mondo!
Il Signore ci aiuti a farlo!
1991
Forse, qualcuno di voi ricorderà, assistendo al Battesimo di un bambino, quando si fanno i segni conclusivi del rito, di aver visto il sacerdote toccare le orecchie e la bocca del bambino e magari ripetere anche la parola che abbiamo ascoltato oggi nel Vangelo: "Effatà". È una parola della lingua di Gesù che significa "Apriti". Molti di voi non avranno visto questo segno, perché noi, nel correre degli anni, siamo diventati attenti all'igiene, e quindi, non sembrava più bene che il sacerdote toccasse con la sua saliva la bocca di un bambino. Volevo richiamare la vostra attenzione sul fatto che questo piccolo, semplice episodio, che abbiamo letto nel Vangelo, è passato nel rito stesso del Battesimo. A tutti noi il sacerdote avrebbe dovuto toccare le labbra dicendo: "Effatà" cioè "Apriti". Quello che abbiamo ascoltato, dunque, ci riguarda tutti.
Che cosa abbiamo ascoltato? Un annunzio carico di forza e di speranza per ogni cristiano. Marco sottolinea al principio che siamo dalle parti di Tiro e Sidone, in pieno territorio della Decapoli, siamo cioè in pieno mondo pagano, in un mondo fatto di violenza, di forza, di potere, di morte: questo, per i primi cristiani il mondo pagano. In questo mondo che sembra così lontano da Dio, c'è qualcuno che grida a Gesù e Lui lo prende per mano e lo porta in disparte - questo per Marco è molto importante - lo porta lontano dalle folla e li gli tocca le orecchie, la bocca, perché sia in grado di ascoltare e parlare.
Noi non siamo più in questo mondo pagano, ma il mondo che ci circonda è un mondo pieno ancora di violenza, di menefreghismo, di sopraffazione, di disinteresse. È un mondo in cui si grida da ogni parte, un mondo il cui rumore riempie in tutti i sensi la nostra vita. I giornali parlano di tante cose e la maggior parte delle cose non sono buone. Tutti, quando veniamo qui, siamo come storditi dal rumore di questo mondo, le nostre orecchie sono quasi incapaci di ascoltare. Chi ce le aprirà? Chi ci farà vedere quello che è veramente importante, tra le tante cose che riempiono il mondo?
Noi veniamo qui non soltanto per adempiere un rito, per compiere un obbligo, ma siamo qui, per cercare il senso e i valori essenziali della nostra vita.
Siamo qui perché Gesù ci porti un po' in disparte dalla folla, lontano dal rumore di tutti i giorni, dal chiasso che ci sta intorno, e ci apra le orecchie e ci faccia cogliere le cose che sono importanti per la nostra vita, le cose che contano nella nostra esistenza di ogni giorno.
Rivolgiamola di cuore una preghiera al Signore, perché ci apra veramente le orecchie e ci faccia anche capaci di essere - con le parole, ma soprattutto con i fatti - testimoni dei valori che abbiamo scoperto in Gesù.
Dobbiamo avere un po' di coraggio, però! Il coraggio di lasciarci prendere per mano da Lui, di lasciarci portare lontano dalla folla. Dimentichiamo, per un po', il rumore, il chiasso; dimentichiamo, anche, le ansie, le paure che le tante voci ci mettono dentro; lasciamo, almeno un po', i sentimenti di delusione e di rabbia per le troppe cose che non vanno, altrimenti corriamo il rischio di perdere la fiducia, il rischio di non guardare più avanti, di non capire, di non far più nulla. Ci toglie la speranza questo rumore, ci toglie la gioia di vivere, il coraggio di amare. Lasciamoci prendere per mano da Gesù: ci porterà in disparte, ci toccherà le orecchie, ci farà capaci di ascoltare, nel profondo di noi stessi, i valori che fanno bella e vera la vita.
Lo faccia per noi il Signore!
1988
Abbiamo letto questo piccolo racconto del Vangelo di Marco. Sembra un racconto come tanti altri: qualcuno di voi si sta cominciando ad abituare, (specialmente chi ha seguito il consiglio che ho dato tante volte, nelle Domeniche prima dell'estate, di leggere con un po' di pazienza, a casa, il Vangelo di Marco, questo Vangelo così breve eppure così profondo) qualcuno dicevo avrà imparato a cogliere tra le righe tutte le sottolineature, le sfumature, le intenzioni che Marco vuol mettere in evidenza. Stasera non posso fermarmi su tutti gli aspetti di questa pagina, ma vorrei farvi notare alcune cose che vi permettano di entrare sempre più dentro questo Vangelo, che secondo me è straordinario.
Avete notato come all'inizio Marco dice che Gesù è di ritorno da Tiro e Sidone e si trova in pieno territorio della Decapoli. Ecco la prima sottolineatura: "in pieno territorio della Decapoli". Voi non siete tenuti a saperlo, ma il territorio della Decapoli , come le città nominate prima, Tiro e Sidone, sono tutte città pagane. Ecco, Marco vuole sottolineare che "in pieno territorio" dei pagani, là dove a Dio non si pensa, dove nessuno si occupa del Signore, dove non c'è religione, dove tutti sono ostili a Dio, proprio là Gesù incontra qualcuno.
E poi un'altra sottolineatura: "e gli condussero un sordomuto e Gesù, prendendolo in disparte, lontano dalla folla (notate questa folla) lo tocca, anzi con la saliva (a noi dà un po' fastidio) tocca la sua bocca".
Vedete dunque in piena terra pagana è possibile che qualcuno esca dalla folla, si lasci prendere per mano da Gesù ,si incontri con Lui e sia guarito. Non sentiva e comincia a sentire; non parlava e comincia a parlare. Sentire, parlare fa parte dell'antico linguaggio battesimale: è la capacità di ascoltare la Parola di Dio; la capacità di professare la fede.
Ecco allora il messaggio di Marco ai suoi cristiani: in qualunque parte del mondo, nel posto peggiore della terra, si può incontrare Gesù; in mezzo ai pagani, in mezzo a gente che non crede, in mezzo a gente contraria si può vivere la fede, basta che si abbia il coraggio di uscire dalla "folla", di non lasciarsi condizionare dalla gente che intorno spinge e preme; basta avere il coraggio di incontrare Lui, di lasciarsi guarire da Lui.
Vedete, ai tempi di Marco, c'era il grande impero di Roma, c'era il paganesimo; man mano che i cristiani aumentavano hanno conosciuto, la persecuzione, i tribunali, le accuse, qualcuno anche è stato ucciso. Nel corso della storia molto spesso un uomo che viveva in un paese in cui la maggioranza era contraria alla religione, era quasi impossibilitato a conoscere Gesù. Oggi noi diciamo di vivere in un paese molto libero, non abbiamo i romani, coloro che ci governano nel simbolo del partito hanno anche una croce... eppure penso che tutti voi, a casa, a scuola, nel posto di lavoro avete sentito il peso della "folla", il peso di un mondo che spesso è contrario a Gesù, ai Suoi valori; che pensa invece per prima cosa al potere, ai soldi, al prestigio; ciascuno cerca di fare i propri comodi, i propri interessi e quando avete provato a dire: io voglio essere onesto e anche disponibile verso gli altri, generoso... il "mondo" che vi sta intorno (non con la forza, che anzi tutti si affannano a dirvi che siete liberissimi e potete fare quel che volete) in mille modi, anche alla sera quando guardate la televisione o quando leggete il giornale, vi suggerisce un modo di vedere la vita, vi propone un modo di giudicare la realtà, un mondo in cui gli uomini contano soltanto per i soldi che hanno, per la macchina che guidano, per il posto che occupano nella società, vi invita a pensare soltanto a voi stessi, ai vostri interessi.
E se tentiamo di dire che Gesù è diverso e vogliamo seguire Lui, allora ci accorgiamo che lo sforzo dei primi cristiani è anche il nostro, il mio, quello di ciascuno di voi: lo sforzo di uscire dalla folla, di uscire da questo mondo che ci pesa addosso, per incontrarci con Lui, per guardarLo negli occhi, per lasciarci toccare da Lui, guarire da Lui. Anche noi dobbiamo trovare il coraggio di dirGli: "Hai ragione Tu, il tuo modo di guardare la vita è quello vero: apri le mie orecchie e apri la mia bocca, perché sappia anch'io testimoniare Te". Ma per fare questo bisogna imparare ad uscire dalla "folla", imparare ad essere liberi veramente e non è facile. La cosa che più mi colpisce, quando guardo la gente che conosco, è vedere come siamo tutti incapsulati nei ruoli, ognuno ha il suo modo di essere nella società. Vi siete accorti anche voi, per farvi degli esempi che vi sono vicini, che a volte quando dite qualcosa ai vostri figli, alzano le spalle: "Papà, tu devi dire queste cose, questo è il tuo compito" e voi nonni, nonne quando parlate ai nipoti: "Uffa, sempre le stesse cose dice la nonna, la nonna brontola sempre". Ognuno di noi ha spesso in questa società il suo ruolo, ognuno ascolta certe persone. Gesù ci chiama: chiama me, ma chiama anche ciascuno di voi e ci invita ad uscire insieme dalla folla, a cercare insieme la verità: non solo quello che fanno tutti, non solo quello che è la mentalità comune, non solo ciò che fa parte del nostro ruolo, del nostro schema di vita, ma quello che è giusto, quello che è importante, quello che è vero.
Vi ho annoiato un po' e vi chiedo scusa; ma anche in questa Messa e poi in questa settimana ciascuno di noi si sforzi di incontrarsi con Lui, di lasciarsi guarire da Lui, di domandarsi davanti a Lui che cosa è giusto, che cosa è vero che cosa è importante nella vita. Tentiamo di non dire: "Così fan tutti, che male c'è? Tanto tutti si comportano allo stesso modo! Ma Tu che ne pensi? "
Ecco, questo è avere fede: Lui ci aiuti.
E come Mosè innalzò il serpente ESALTAZIONE DELLA CROCE - 14 settembre 1997
nel deserto, così bisogna che sia Numeri 21, 4-9 - Giovanni 3, 13-17
innalzato il Figlio dell'uomo, perché
chiunque crede in Lui abbia la vita eterna.
Se vi capita, come è successo a me in questa estate, di girare per le splendide montagne del nostro Paese, vedrete, quasi su ogni cima, una croce e, se salite in alto, ne vedrete tre, cinque, dieci... Lassù, nel punto più in vista, i credenti hanno posto un segno della propria fede: la croce di Gesù. E in ogni chiesa, al centro, trovate una croce. Nella nostra chiesa - e dentro e fuori - ce ne sono decine: di ogni tipo, di ogni forma; perché il nostro architetto amava particolarmente le croci!
Ma forse c'è anche qualcuno di voi - io ho incontrato molte persone così - che si porta nel cuore un'ossessiva presenza di questa croce: fin da quando era bambino gli è stato detto "Guarda: Gesù soffre per te! Guarda: Gesù è morto per i tuoi peccati!". Queste parole tutti noi le abbiamo ascoltate e ci sono scivolate addosso come acqua sul vetro, come tante parole della nostra fede. Ma a qualcuno queste frasi sono rimaste nel cuore, quasi un'ossessione.
E allora vedete che, legato alla croce, non c'è soltanto il cuore della nostra fede, ma anche qualche cosa di oscuro, qualche cosa che può diventare ossessivo. Di cosa si tratta, dunque?
Anzitutto il fatto: Gesù - di questo nessuno che abbia conoscenza della storia dubita - è morto inchiodato su una croce. E i primi Cristiani hanno visto in Lui la presenza di Dio nella nostra vita. Per noi tutto sembra semplice e scontato! Ma allora suscitavano scandalo, ovunque proponessero Gesù e la sua croce. Perché l'uomo è abituato a vedere "l'inviato di Dio" nella gloria, non umiliato nel fallimento e nella sofferenza più atroce, com'è la morte in croce!
E allora i Cristiani hanno tentato, nel lungo cammino della loro storia, di dare una spiegazione: perché Gesù è morto in croce? È la spiegazione che voi avete forse nelle orecchie (l'abbiamo ascoltata quasi tutti al catechismo: la potete ancora leggere in qualche catechismo recente e famoso): Dio ha mandato il suo Figlio per "espiare" i nostri peccati: su quella croce c'è la "vittima" che Dio ha chiesto, per perdonare il nostro peccato! Il peccato si espia attraverso la sofferenza, il sangue, il dolore, la morte.
Ma questo lascia, nel cuore di molti di noi, un brivido di disgusto e di orrore: in che Dio crediamo? Chi è questo Dio che esige addirittura il sangue, la sofferenza e la morte del suo Figlio? Crediamo in un Dio che è Padre o in un Moloc o in qualcuno che esige (come succedeva in certi lati oscuri delle religioni del mondo) la sofferenza, il sacrificio, la morte? Il Dio in cui noi crediamo ama la morte, ama il sangue, ama il dolore? È qualcosa che ci lascia profondamente interdetti ...
Ma c'è di più: nella storia della Chiesa, a questo spesso si unisce l'invito ad imitare il Cristo e, quindi, l'esaltazione della sofferenza! Non è stato proposto anche a voi, qualche volta, come modello, come "Santo", qualcuno che aveva le stimmate e che, quindi, portava nel proprio corpo la sofferenza di Cristo? E l'invito, quindi, all'imitazione, al sacrificio, al digiuno, alla rinunzia?
In che Dio crediamo? Perché qualcuno ci ha detto queste cose? Non è sempre innocente: c'è a volte in qualcuno la voglia, la libidine, il desiderio di dominare altri uomini. Ci sono state nella lunga storia della Chiesa e ci sono ancora oggi, purtroppo, delle persone che appaiono virtuose, perché hanno rinunziato a sposarsi, ad avere soldi, ad ogni piacere terreno... ma vogliono dominare la coscienza del prossimo. Cosa c'è di più libidinoso di volere imporre la propria personalità su un altro, di vedere un altro che rinuncia e soffre, perché glielo dici tu, in nome di Dio?
Ma che se ne fa, Dio, delle sofferenze di un uomo, di un ragazzo, di una ragazza?! Che se ne fa, se si mette il cilicio intorno ai fianchi, se fa digiuni e penitenze, se rinunzia alla propria vita?! È questo il Dio in cui crediamo?
Allora qualcuno può domandare: "Ma che rimane, allora, della croce di Cristo? Perché la teniamo ancora qui, in mezzo a noi?" Fermi! Prima di toglierla, guardiamo un momento la nostra vita (qui c'è gente che ha i capelli bianchi ed una lunga esperienza): quante volte avete incontrato la croce? Qualche volta in maniera drammatica - ve lo ricordate? - quando per essere giusti, per rimanere fedeli ai vostri ideali, avete dovuto rinunziare a qualcosa di importante; forse avete dovuto mettere a rischio la vostra vita! Durante la guerra - qualcuno degli anziani lo ricorda - molti dei nostri uomini, dei nostri contadini, della gente semplice, ha rischiato per salvare un uomo che fuggiva, per salvare un ebreo, un perseguitato; e più d'uno è rimasto vittima della sua solidarietà!
Ma quanta gente, più semplicemente, nel posto del lavoro, per rimanere fedele alla giustizia, per non accettare compromessi gravi, ha messo a rischio il proprio posto di lavoro, la propria famiglia! Per rimanere onesto! Per credere sul serio in qualche cosa, che sentiva giusta, dentro di sé!
No, non possiamo toglierla questa croce: dobbiamo continuare a predicarla ai nostri ragazzi, sempre! Oggi ne hanno forse più bisogno di ieri: perché fin da piccoli hanno tutto. Sono abituati a non lottare per niente. E rischiano, quando si trovano di fronte ad una difficoltà, di rinunciare! E non abbiate paura di dirglielo! Perché, nella mia esperienza (ormai è lunga), i ragazzi apprezzano questo discorso: perché sentono che qui c'è qualche cosa di importante, sentono che qui c'è qualche cosa di giusto. C'è, è vero, qualcuno che vive con indifferenza... ma spesso nei ragazzi c'è tanta generosità. Hanno bisogno di sentirsi dire che, se vogliono essere giusti, se vogliono rimanere onesti fino in fondo, se vogliono fare qualche cosa di importante nella vita, devono avere il coraggio anche di accettare la croce, di sacrificarsi, di rischiare la propria vita.
Ma c'è un altro aspetto della croce, che forse ha attraversato la vita di quasi tutti voi: è la sofferenza senza senso, è il dolore, è la morte di una persona cara. Che pensare, di questo? La cosa che assolutamente non possiamo pensare, è che lì ci sia un castigo, una punizione. Ed è, purtroppo, la prima cosa che viene in mente a molti credenti: "Che male ho fatto? Perché Dio mi castiga così?". Non c'entra niente il castigo! Sono i guai che qualche volta attraversano la vita dell'uomo; e questo non può avere nessuna spiegazione nel castigo, in una punizione, in qualche cosa che viene dall'alto: altrimenti non potremmo più credere in Dio!
Eppure, queste cose succedono; e l'uomo malato rischia di non valere più, di non essere più considerato, nella vita! Noi dobbiamo conservare una croce, in mezzo a noi! Perché l'uomo sofferente, il fallito, perché la persona anziana, perché colui che non ha più le forze, "vale" come un giovane forte, coraggioso! Perché l'uomo non vale per la sua bellezza, per lo splendore della sua gioventù: l'uomo vale per quello che si porta nel cuore! E a volte chi tribola ha dentro di sé dei valori grandi.
Ma noi non possiamo fermarci qui: noi dobbiamo combattere la sofferenza con tutte le nostre forze: la sofferenza del corpo, la sofferenza del cuore - e ce n'è tanta, io la incontro quasi ogni giorno. Dobbiamo darci da fare tutti, con lo studio, con la ricerca, con tutti i mezzi che la scienza mette a nostra disposizione. Ma anche con la tenerezza, con cui dobbiamo circondare ogni uomo che soffre. Tutta la tenerezza, la gratuità di un cuore credente si rivolge al più debole che incontra sulla sua strada, all'uomo sofferente: solo così manifesta il suo credere in Dio, nella tenerezza di Dio, nella gratuità di Dio, nell'amore di Dio per chi è più piccolo e più debole!
Via, dunque, le spiegazioni che riempiono di tristezza e di orrore la nostra vita! Ma tutti insieme, per quanto ci è possibile, rimbocchiamoci le maniche, per chinarci, con tenerezza, sul dolore del mondo!
Per questo la croce di Cristo è bene che rimanga in mezzo a noi, quando ci ritroviamo qui, ogni domenica, a pregare: perché qui veniamo a cercare le cose essenziali della vita. Ed è essenziale alla vita che noi facciamo il bene non soltanto quando non ci costa nulla e magari riceviamo l'applauso; perché è essenziale alla vita che tutti noi ci sforziamo di chinarci sul dolore del mondo, sulle lacrime per asciugarle, per portare un pizzico di gioia intorno a noi!
Questo è il cuore della nostra fede: così è vissuto Gesù! Ecco perché in mezzo a noi ci sarà sempre questa croce!
"Se qualcuno vuol venire dietro di me 11 settembre 1994
rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua".
Continuiamo oggi la serie dei discorsi difficili e quindi chi non è d'accordo porti pazienza; chi invece è interessato ascolti con un po' più di attenzione del solito.
Ci troviamo, nel cuore del Vangelo di Marco, nel cuore stesso della nostra fede: avete ascoltato, ancora una volta, la domanda decisiva per ogni credente, la domanda di Gesù: "Chi sono io per te?". E avete sentito Pietro rispondere a nome di tutti: "Tu sei il Cristo! Tu sei il Signore!": esprime così il suo desiderio, la sua decisione di seguire Gesù, di camminare con Lui; anche se - povero Pietro! - non sa bene dove vada a parare... E quando Gesù comincia a parlare di Gerusalemme, Pietro Lo prende da parte e comincia a rimproverarlo, ma la risposta di Gesù è durissima: "Sta' lontano da me, Satana! Tu non pensi come Dio, ma come gli uomini".
E poi Gesù insiste: "Chi vuol venire con me rinneghi se stesso, prenda la sua croce, perda la sua vita!". Penso che tutti voi capiate che un errore di prospettiva - qui, nel cuore della nostra fede - ha conseguenze devastanti sul modo di concepire la fede, la religione; sul "seguire" il Signore. E nel corso della storia della Chiesa, purtroppo, a volte queste parole sono state fraintese.
Vedete, nel corso della storia è capitato che si siano impossessati della religione, della spiegazione della nostra fede, i monaci, i frati; che hanno interpretato il "rinnegare se stessi" come la negazione di alcune strutture fondamentali della vita dell'uomo. Vediamo quali.
Negazione della sessualità: per cui l'ideale diventava il celibe, colui che non aveva alcun rapporto con l'altro sesso, con la conseguenza che la sessualità diventava qualcosa di oscuro, di peccaminoso, relegato negli angoli bui della vita dell'uomo.
La seconda struttura che la tradizione ha negato è stata la struttura dell'economia, dei soldi, del denaro: l'ideale diventava l'uomo assolutamente povero, che si era liberato di ogni bene della terra, che viveva come un passero, come un mendicante: colui che non si curava dei soldi. La conseguenza è che anche l'aspetto economico entrava a far parte delle cose oscure della vita, qualche cosa di cui si occupavano i pagani, i non credenti: il frate, il monaco, mai si occupava delle cose materiali! (Poi, magari, possedevano mezza Italia... ma questa è un'altra storia!).
Terza negazione, quella della struttura della libertà e dell'autonomia dell'uomo, per cui l'ideale diventava colui che obbediva ciecamente: "obbediente - dice S.Ignazio, maestro di fede - perinde ac cadaver". Come un cadavere: questo era l'ideale del Cristiano: uno che non diceva nemmeno "sì", perché non parlava nemmeno più... Come un cadavere: sempre pronto ad obbedire, a pensare come il "Capo".
E la quarta struttura fondamentale che è stata negata nel corso della nostra storia, era il desiderio di felicità, la ricerca del piacere: la conseguenza era che si poneva come ideale colui che si mortificava, addirittura che si flagellava, che faceva lunghi digiuni, che rinunciava ad ogni gioia e ad ogni piacere della vita. Si arrivava ad identificare il bene con il dolore e la sofferenza.
Che ne è venuto da tutto questo? Una religiosità in gran parte cupa, volta alla negatività, che disprezza molti dei valori della vita, che esalta il dolore e la sofferenza; una religiosità dell'ubbidienza che umilia la ragione, l'autonomia e la libertà dell'uomo, una religione dell'esteriorità e della legge. Ma c'è di più: una tale religiosità diventa spesso una educazione raffinata all'ipocrisia. Perché - voi lo capite - quando le strutture fondamentali della vita si cacciano dalla finestra, rientrano per mille rivoli oscuri... Molte persone nel corso della storia, hanno dovuto vivere la propria sessualità, o il proprio lavoro o la propria ricerca intellettuale, come qualcosa di peccaminoso e si andavano a confessare, ed erano convinti che quello che dicevano non corrispondeva alla propria coscienza; ma lo dovevano dire, perché così insegnavano i preti! Di più: quando la gente vive un'ubbidienza che è dire sempre di sì, la conseguenza la conoscete - qualcuno di voi ha esperienza della vita...- è la ruffianeria!
Qualcuno dirà: "Ma non è tutto così!". Certo che non è tutto così! altrimenti non staremmo qui, né io né voi. Ma questo ha occupato parte della storia della Chiesa nei secoli passati. Ed anche oggi ne portiamo le conseguenze non solo nella vita della Chiesa, ma anche nella nostra società italiana, così impregnata di cultura cattolica.
Ma c'è una domanda più importante, per chi crede: dove vanno a finire, allora, le parole di Gesù che abbiamo ascoltato?: "Chi vuole seguirmi rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Chi vuol salvare la propria vita, la perderà...". Che ne facciamo, di queste parole? le buttiamo via? Tutt'altro: rimangono e diventano sempre più forti per noi! Ma ad una condizione: che da tutti noi la vita sia accettata in maniera totale, incondizionata, gioiosa, piena; che ne siano apprezzati fino in fondo i valori fondamentali. Allora soltanto potremo dirci, guardandoci negli occhi: "Attenzione! Corriamo tutti la tentazione di vivere la vita come un possesso!". Come un possesso egoistico: per me e non per gli altri; corro il rischio di tenere per me la vita, i denari, il potere; e di sfruttare chi mi sta intorno, di calpestare chi mi passa accanto. E allora la vita diventa un inferno! Non più la gioia di condividerla, di viverla nella pienezza, nell'amore.
Ecco cosa intende Gesù, quando dice che occorre rinnegare se stessi: occorre rinnegare il proprio egoismo, gli aspetti negativi della propria esperienza, la volontà di possesso, di dominio su chi vive con me, su chi condivide con me la vita! Occorre vivere la gratuità, occorre riscoprire la pienezza dell'amore, occorre riscoprire la pienezza della gioia! Queste parole di Gesù trovano la loro forza quando noi abbiamo il coraggio di non vivere la vita come un possesso, ma di condividerla gioiosamente con gli altri, di pensare che le cose non possono essere soltanto mie, ma debbono essere condivise con tutti.
Ed ecco, infine, il discorso della croce: "Che ne è della croce? Allora, non bisogna sacrificarsi!". Voi siete persone che avete vissuto e siete esperti di croce: quando sul posto di lavoro, nell'ufficio, in casa, avete cercato la giustizia e avete cercato di voler bene sul serio, vi siete scontrati con la difficoltà, avete incontrato la persecuzione o conosciuto il fallimento.
Di più: a volte la sofferenza, il dolore, a volte addirittura la tragedia, attraversa la nostra vita! E allora si tratta veramente di prendere su la propria croce! E non scoraggiarsi! Non perché si debba amare la sofferenza; non perché la sofferenza abbia un senso; ma perché, anche nella sofferenza, il credente sa che quello che conta è amare, quello che conta è buttare il proprio cuore al li là del proprio dolore, quello che conta è condividere la vita e tentare di renderla quanto più bella è possibile!
Allora, vedete, queste parole di Gesù trovano un forte e profondo eco nel nostro quotidiano, nella nostra vita; a patto che nessuno di noi ne rifiuti le strutture fondamentali; a patto che ci sentiamo amanti della vita, capaci di camminare a testa alta, di sentirci liberi, di credere in tutte le cose belle e giuste della nostra esperienza terrena!
Il Signore ci aiuti!
1991
La pagina del Vangelo di oggi è una pagina che ormai abbiamo commentato infinite volte e che, penso, tutti avete nella memoria. In tutti i Vangeli si legge questo episodio, che è l'episodio centrale del Vangelo, del rapporto tra Gesù e i suoi discepoli.
La domanda che Gesù rivolge, prendendo l'iniziativa, ai discepoli è: "Chi sono io per voi?" e Pietro risponde: "Tu sei il Cristo". È la risposta della vita di Pietro, la decisione di Pietro di seguire Gesù. Non so se avete notato: Gesù fa la domanda a tutti i discepoli: "Voi chi dite che io sia?" ma risponde uno solo, perché ciascuno di noi, di fronte a questa domanda deve prendere la sua decisione, deve avere il coraggio della sua risposta, non è una risposta che possiamo dare tutti insieme. Nel profondo della nostra vita, c'è questa domanda: Chi è Gesù per me? Chi è Gesù per ciascuno di noi? Fino a che punto Gesù è importante nella nostra vita e fino a che punto, nel concreto della vita, siamo disposti ad andargli dietro? È la domanda decisiva per ogni credente, ed è una domanda a cui non è così semplice rispondere.
Pietro risponde, risponde con decisione, con entusiasmo, è convinto di andare dietro a Gesù; ma poco dopo deve ascoltare quella parola pesante, quasi un'ingiuria: "Sta' lontano da me, Satana! tu non pensi come Dio, ma come gli uomini". Che cosa ha fatto inciampare Pietro? Qual è il suo dramma? Perché Gesù lo tratta così duramente? Perché arriva quasi all'ingiuria? Che cos'è che Pietro ha bisogno di capire? Qual è la porta bassa per cui deve entrare? Purtroppo, non è la porta bassa soltanto di Pietro, ma per tutti noi.
Pietro è un uomo che a questo punto ha già vissuto abbastanza: è un pescatore dalle mani callose, sa che cos'è la vita, sa quanto costa vivere, sa il sacrificio, conosce, probabilmente, anche il fallimento. Anche lui avrà provato ad educare dei figli e qualche volta si sarà domandato: "Che cosa ho fatto! Che ho combinato!" Sa che gli uomini, spesso, falliscono nella loro impresa, sa che spesso i giusti vanno incontro alla sofferenza, alla morte, al fallimento, ma da Dio questo non può accettarlo. Lui adesso ha riconosciuto che Gesù non è un uomo qualunque, è la presenza di Dio nella vita degli uomini. Gli sembra ormai di poter cantare la sua gioia: ha "svoltato", non è più solo nella sua vita, c'è Dio con lui, lui è disposto ad andare dietro a Gesù, perché è la manifestazione di Dio, e quando Gesù gli dice: "Guarda, anch'io conoscerò il fallimento, la disfatta, finirò su una Croce, inchiodato, inerme", Pietro si ribella: prende Gesù da parte e comincia a rimproverarlo; questo non può accettarlo. Dio non può essere come uno di noi.
Ecco, Pietro si ferma davanti a questa porta bassa. Ha ancora, nel suo andar dietro al Signore, un po' di magia, quella magia che tutti ci portiamo dentro. Noi vorremmo che il Dio della nostra vita, il Dio che preghiamo, il Dio a cui ci rivolgiamo, sia un Dio potente, forte; un Dio che viene a custodirci, a garantirci, a proteggerci, in qualche modo, a salvarci dai guai della vita. E quando ci ritroviamo un Dio così impotente, inchiodato su una croce, nella gratuità di una vita che è soltanto dono, che si perde nei solchi della storia, questo facciamo fatica ad accettarlo. Quante volte, io e voi, abbiamo detto: "Ma dove sei? Perché hai chiuso gli occhi? Perché te ne vai? Perché ci abbandoni? Perché ci lasci soli?" Lo hanno detto infinità di uomini sulla faccia della terra. Accettare un Dio così, che viene in mezzo a noi, per camminare con noi, per morire con noi, per lasciarci tutto il coraggio e la fatica di vivere: questo si fa fatica ad accettarlo e Pietro si prende questa ingiuria. Prendiamocela anche noi!
Significa uscire da una fede che è magia, da un Dio che tappa i buchi della nostra debolezza; significa accettare un Dio che è ricco soltanto di amore, di vita condivisa, che ci vive accanto gratuitamente, che non ci promette che le cose vadano bene, ma che ci rimarrà sempre accanto per condividere con noi la vita.
Sarebbe anche ora di finirla di dire: "Se mi capita questo, è perché Dio mi punisce". Gesù non aveva fatto nulla di male, Lui è andato incontro al fallimento e alla morte per condividere la nostra debolezza, perché ciascuno di noi si senta sempre accanto il Signore. Quando mi capita un guaio, quando mi si rompe un piede, mi cade un sasso sulla testa... non posso dire: "Che cosa ho fatto di male?" Nulla! Non c'entra niente il male con questo, non c'entra niente! Dio è venuto accanto a noi, perché non ci sentiamo mai soli, perché non ci sentiamo mai condannati, perché non ci sentiamo mai rifiutati; per darci il coraggio di prendere la vita nelle nostre mani.
Ma attenzione! È venuto in mezzo a noi nella debolezza, nella povertà, non è venuto come un mago che toglie l'inciampo dal nostro passo. L'inciampo dobbiamo superarlo da noi, se ci riusciamo, e quando non ci riusciamo, Dio ci sarà accanto anche in quel momento, a soffrire con noi, a condividere fino in fondo la nostra debolezza, ricco soltanto della gratuità dell'amore. Non è potente il Dio che conosciamo, non è forte, non cambia il corso della nostra storia; ma ci ama fino in fondo, condivide fino in fondo, con noi, il dramma della nostra vita, fino in fondo proclama accanto a noi la libertà e la salvezza.
Il Signore ci aiuti a credere in tutto questo, perché non è semplice; ci aiuti a camminare con Lui.
1988
Una cosa mi ha colpito delle tante parole, probabilmente inutili, che si sono dette - io non leggo i giornali; ho solamente ascoltato la radio, la televisione - sull'ultimo film su Gesù, di cui anche voi avete sentito parlare, che è stato presentato alla mostra di Venezia e che tante questioni ha sollevato (ma non preoccupatevi troppo, tutto bisogna vendere a questo mondo e spesso tutto si risolve in una questione di soldi o poco più) Una cosa mi colpiva: anche in questo film non si fa morire Gesù di morte violenta, ci si rifiuta di vederlo morire sulla croce. Io non ho visto il film (non mi interessa poi molto), ma per quello che ho sentito, sembra che Gesù, non muoia ma scenda dalla croce e continui a vivere per lungo tempo. Anche perché, nel corso della storia, parecchia gente ha rifiutato proprio questo aspetto della vita di Gesù. Mi colpiva quest'anno leggendo il Corano dove si parla (il Corano è il libro fondamentale dei mussulmani, scritto almeno in parte da Maometto), si parla a lungo e favorevolmente di Gesù; ma anche là è scritto che Gesù non è morto: sulla croce un altro è morto al suo posto perché il profeta, l'inviato di Dio non può morire.
Non si può accettare che Dio faccia morire colui a cui vuol bene, non si può accettare che Dio faccia morire suo Figlio: se muore non è il figlio di Dio.
Vedete, non soltanto uno che non crede, che fa un film almeno in parte - così dicono - offensivo su Gesù; non soltanto uno di un'altra religione come Maometto, ma anche Pietro, e credo sia prezioso per noi che il Vangelo ci abbia conservato questo rifiuto del capo degli apostoli. In tutte le religioni, in ogni parte della terra, ma anche nelle storie di tutti i popoli, si tende a glorificare i fondatori, gli iniziatori di una storia, i primi di una stirpe; e quindi anche i primi cristiani avevano tutto l'interesse a far grandi i primi apostoli; poi, sapete, li abbiamo fatti tutti santi, in onore di Pietro si è costruita a Roma una grandiosa basilica. Dobbiamo quindi essere grati al Vangelo che invece ci ha conservato questo rifiuto di Pietro e quella durissima parola che Gesù gli rivolge: "Stai lontano da me, Satana", perché anche Pietro, come i pagani, come gli increduli, anche Pietro non riesce ad accettare la morte di Gesù.
Ma guardiamoci negli occhi: chi di noi riesce ad accettarla fino in fondo? Io per primo, non so se posso coinvolgervi tutti, ma chi di noi accetta fino in fondo lo scandalo della croce? Chi di noi accetta veramente, fino in fondo, che Gesù è morto, morto sul serio, solo, abbandonato da tutti, gridando verso il Padre? Il fallimento apparente di una vita: chi di noi accetta nella propria vita il dolore e la sofferenza? Chi di noi non si rivolge a Dio per domandare: "perché? perché lo fai?" Guardiamo ogni volta che veniamo qui il Crocifisso, molti di noi vengono qui a toccarlo, a baciarlo; ma poi nella vita, quando la sofferenza ci punge, allora anche noi, come Pietro, diciamo: "Signore, non è possibile!"
Perché vedete, c'è questo sconcertante mistero nella vita del Signore, nella nostra vita, questo mistero sconcertante che è il mistero del silenzio di Dio, di Dio che sembra lasciar l'uomo nei suoi guai, nelle sue sofferenze, nei suoi mali, nelle sue atrocità.
C'è lo sconcertante mistero di un amore che passa molte volte nella vita attraverso la sofferenza e il dolore, e Dio sembra assistervi impassibile; sembra addirittura chiederci di rinunciare alla nostra stessa vita, per saper amare fino in fondo. Perché deve essere così? Perché il Figlio di Dio, venuto su questa terra, ha accettato di morire sulla croce? Perché non ha staccato le mani? Perché non è sceso? Perché non stacca le nostre mani quando sono inchiodate sulla croce? Non so se voi avete una risposta, io non ce l'ho!
Nel Vangelo rimane questo mistero: Gesù sembra prenderci per mano e dirci: "Vieni, adesso non capisci, ma l'amore nella vita passa, a volte, attraverso la sofferenza e soltanto chi ha il coraggio di prendere sulle spalle la croce, sa amare sul serio. Se non passi attraverso questo non sei sulla strada di Dio, non sei sulla strada dell'amore, non sei sulla strada della vita". Non si può amare soltanto quando è facile, non si può amare soltanto quando si sorride, soltanto quando tutto va bene: occorre passare attraverso tutto, come è passato Lui: non so dirvi il perché, ma non c'è altra strada. L'unica strada dell'amore è questa, il Dio che conosciamo è un Dio inchiodato sulla croce.
Lo Spirito ci dia la forza di seguirLo là.
"Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti". 21 settembre 1997
E preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse:
"Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me ..."
"Servus servorum Dei" (non preoccupatevi: non voglio parlarvi in latino stasera; non sono uscito pazzo...): tra le prime parole latine che ho imparato, questo è uno dei titoli del Papa: "Servo dei servi di Dio"! E mi colpiva, quand'ero piccino, che anche il Papa il giovedì santo si chinasse a lavare i piedi della gente e dicesse di essere "l'ultimo e il servo di tutti".
E poi ho cominciato a studiare la storia ed ho letto che il Vaticano è stato - come tanti luoghi di potere del mondo - teatro di lotte feroci, senza esclusione di colpi: tradimenti, veleni, uccisioni. Le grandi famiglie del tempo, e italiane e straniere, si contendevano il potere del Papato.
Perché le parole del Vangelo non diventino anche per noi ipocrite e vuote, come spesso è successo nella vita della Chiesa, proviamo stasera a contestare Gesù.
Ma, secondo voi, si può essere gli ultimi? La natura, la vita, non sono basate sulla ricerca di un posto al sole, sulla lotta per essere primi?
E che sarebbe la nostra storia, che sarebbe la nostra vita, senza lo sforzo di tanta gente per essere i primi? Pensate a tutti quelli che nel corso della lunga avventura dell'uomo hanno cercato di essere i primi ad inventare qualche cosa: dalla prima pietra scheggiata, che serviva a tagliar meglio la carne, a tutte le invenzioni, frutto dello sforzo di chi cercava di migliorare la vita. E di farlo prima degli altri!
Che sarebbe la nostra Italia senza tutti i grandi quadri dei pittori, che si sforzavano di essere i primi? Michelangelo, Raffaello, Leonardo... cercavano di essere migliori degli altri. Che sarebbe la nostra vita, la nostra salute, se non ci fossero anche oggi tanti medici, che si sforzano di essere primi, di essere capaci più degli altri, di curare qualche malanno? La vita non è tutta basata sulla competizione, sul desiderio dell'uomo di essere primo, di arrivare in alto?
Qualcuno di voi dirà: "Ma per arrivare in alto, spesso si calpesta il prossimo, si schiacciano gli altri. La voglia di arrivare - di uomini e di nazioni - ha comportato guerre e distruzioni e stragi!".
Allora, dov'è la differenza fra l'uomo che si sforza di arrivare primo, per far fiorire, per far fruttare tutte le sue potenzialità, e l'uomo che si sforza di arrivare primo per sfruttare e calpestare il prossimo? La differenza non è sempre evidente, come voi sapete per esperienza.
La discriminante non può essere in questo "bambino", che Gesù colloca di fronte ai suoi discepoli? "Se volete essere i primi ... LUI!". E non pensate ai nostri bambini, coccolati, rispettati, forse anche un po' viziati... I bambini al tempo di Gesù erano veramente "gli ultimi", come succede in natura: i piccoli sono sempre l'ultima ruota del carro.
Se la discriminante fosse proprio questa: la capacità di mettere tutte le proprie potenzialità al servizio degli altri, al servizio del più piccolo tra gli altri? Qualcuno di voi, lo so, chi ha esperienza della vita, forse sorride e dirà: "Ma non è possibile! Se uno vuole arrivare primo, qualche volta deve calpestare il prossimo".
Ebbene, nella mia esperienza (ma riandate anche alle vostre esperienze, alle più profonde della vostra vita) ho incontrato tante persone eccezionali: per intelligenza, per personalità; qualcuno aveva anche raggiunto i primi posti nella sua professione... eppure, conservavano una grande tenerezza e una capacità di accorgersi del più piccolo!
Ho incontrato dei grandi medici, che trattavano l'ultimo, il più povero dei pazienti come il più ricco e il più facoltoso. Ho incontrato dei grandi insegnanti, che si preoccupavano per l'ultimo e il più piccolo, anche più che del migliore della classe! Allora è possibile essere i primi, è possibile far fiorire tutte le potenzialità che uno ha dentro, senza dimenticarsi di farlo nella gratuità e nella tenerezza! E nel rispetto del più piccolo!
Ma chi è "il più piccolo" fra di noi? E come si può aiutare il più piccolo? Non pretenderete ch'io risponda a queste domande... Rimanga questo simbolo, questo "bambino": portiamocelo nel cuore!
Chi è l'ultimo in casa? In molte delle nostre case i bambini, specialmente quando ce n'è uno solo, non è certo l'ultimo, il più piccolo: è il despota, il padrone assoluto: del papà, della mamma, dei nonni, dei bisnonni e degli zii.
E anche gli ultimi su cui a volte in TV, e spesso anche nella Chiesa, si fa tanta retorica.... i drogati, gli zingari... spesso non sono gli ultimi. Quando un drogato va a scippare una povera vecchietta, se lo prendono dice: "Sono drogato!": come se fosse un titolo di merito... Non sono gli ultimi. Quella vecchietta, che ha paura perché vive sola e teme di uscire da casa, forse oggi è più ultima di tanti ultimi, su cui si sprecano molte parole.
E come si aiutano gli ultimi? Mi fermo qui, perché non so darvi risposte. Ma guardiamoci intorno: forse ciascuno di noi si può accorgere di chi è l'ultimo in casa, tra gli amici, nel posto del lavoro.
E ciascuno di noi sappia che se vuole essere il primo, come è giusto, se vuole esplicitare tutte le ricchezze del proprio amore, non può farlo se non si ricorda dell'ultimo!
Come? Le risposte concrete, nella vita di ogni giorno, al nostro coraggio, alla nostra fede, al nostro amore, alla nostra tenerezza, alla nostra gratuità!
E il Signore ci aiuti!
1994
Dobbiamo interrompere la serie dei discorsi complicati, perché - come avete sentito - oggi in mezzo a noi c'è un bambino! È importante, questo bambino: è messo qui proprio all'inizio di una strada, di una via, (avete sentito quante volte, nel Vangelo di oggi, si parla di camminare, di una via, di una strada): per Marco questa è la strada della vita cristiana, la strada di colui che sceglie di seguire Gesù, di camminare con Lui.
Ed è una strada difficile! Anzi, come sentirete nelle domeniche seguenti, i discepoli dicono che è quasi impossibile camminare su questa strada! Perché è una strada che non ha un termine, che non ha confini: è la strada che va verso la gratuità, verso la totalità dell'amore di Dio, di un amore che non conosce limiti!
All'inizio di questa strada non c'è, però, come avete notato, un "eroe", la figura di un "santo": anzi, i santi - Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni - fanno una ben cattiva figura... All'inizio di questa strada, collocato in mezzo ai discepoli, c'è un bambino: e sentirete, fra qualche domenica, come Gesù dice che bisogna diventare come questo bambino, per camminare con Lui!
Quando pensate ad un bambino, è bene che non pensiate ai nostri bambini di oggi - protetti, coccolati, a volte anche viziati -: i bambini del tempo di Gesù erano veramente le ultime ruote del carro: persone che non avevano diritti, a cui tutti potevano comandare; erano veramente gli "ultimi"! Passavano la loro vita dietro le pecore, facendo i servizi in casa; tutti potevano rivolgere loro un rimprovero, una parola di comando.
Ma il bambino - allora come oggi - è anche colui che ha gli occhi stupefatti, spalancati sulla vita: è colui che si guarda intorno con stupore e meraviglia. È colui che vive la vita come un dono, che non ha ancora diritti da accampare, non ha ancora costruito i suoi piedistalli, da cui giudicare e condannare il suo prossimo. Non sa ancora tutto e non ha paura di far domande (come avete sentito, i discepoli hanno paura...). E non ha ancora costruito tante difese, tanti sospetti nei confronti del suo prossimo: non partecipa ancora alla lotta per il potere, per cercare di passare avanti, di scavalcare gli altri.
Il bambino è uno che ama il gioco, che cerca la felicità. Il bambino è uno che vive ancora la vita come dono, come gratuità: con il cuore spalancato! Il bambino è uno che ha ancora tutta la vita davanti: che vive di speranza, di fiducia! Questo bambino Gesù colloca in mezzo a noi! Questo bambino è il modello della vita cristiana: non un eroe, non un santo, ma uno che ha il cuore libero e aperto, che ha gli occhi stupefatti, che vive la meraviglia, che vive la gratuità, che vive l'accoglienza! Uno che sente nel cuore il desiderio della gioia, la passione per la vita!
Una preghiera per tutti noi, stasera: il Signore conservi a ciascuno di noi gli occhi stupefatti di un bambino, il coraggio della vita!
1991
Domenica scorsa leggevamo nel Vangelo la professione di fede di Pietro. Pietro dice a Gesù: "Tu sei il Messia, Tu sei la presenza di Dio in mezzo a noi". Con queste parole, Pietro decide di camminare dietro Gesù, di seguirlo, di andare con Lui, di andare sulla sua strada. Se voi leggete con un po' di attenzione il Vangelo di Marco (e vi consiglio di farlo, perché i capitoli che seguono sono straordinari), Marco, dopo questo episodio, descrive il cammino verso Gerusalemme. È un cammino impegnativo, è un cammino in salita, un cammino verso l'amore di Gesù, che è totale, verso il dono della vita.
Marco sente che nella morte di Gesù in Croce, c'è la totale gratuità, il totale dono che Dio ci ha fatto, il manifestarsi della pienezza dell'amore di Dio che viene a condividere la nostra vita, che viene a donare tutto se stesso e dunque 1a meta è: l'amore totale di Dio, il dono completo di sé. Il cammino è un cammino lungo, tentando di capire e di seguire Gesù.
Nella pagina che abbiamo letto oggi, che è l'inizio di questo cammino, mi colpiva particolarmente questo: i discepoli più volte dicono che è impossibile andare per questa strada.
All'inizio di questo cammino, se avete notato, c'è uno strano imbarazzo: sembra che nessuno voglia parlare, tutti tacciono! Gesù attraversava la Galilea, ma voleva che non lo sapesse nessuno, infatti parlava ai suoi discepoli di andare verso Gerusalemme; poi Marco aggiunge che i discepoli non comprendevano le parole di Gesù. Poi arrivano a Cafarnao, Gesù domanda: "Di che cosa parlavate lungo la via?" ma quelli non rispondono. Non so se sembra anche a voi, ma qui c'è qualcosa di strano: tutti tacciono, Gesù non vuole che si sappia, i discepoli non capiscono; non so se sbaglio, ma Marco vuol metterci in guardia dal semplificare troppo questo cammino.
Marco ci vuol dire quello che credo di aver imparato per esperienza - e credo che anche voi lo abbiate imparato - ma su cui è bene riflettere: non dite troppo facilmente che cosa è giusto, che cosa è sbagliato, che cosa è amore, che cosa non lo è.
Nel Vangelo di oggi si parla del servizio: "Chi vuol essere primo tra voi sia l'ultimo e il servo di tutti". E si parla di un servizio che deve essere gratuito.
Il bambino, per noi, è il segno della tenerezza: nessuno rifiuterebbe di accogliere un bambino. Al tempo di Gesù non era così, il bambino era l'ultima ruota del carro. Gesù mette in mezzo un bambino e dice: "Dovete saper accogliere anche Lui, uno che non può darvi niente in cambio, dovete farlo con totale gratuità". Ecco, il cuore di questo cammino è la totale gratuità. Ma che cosa significa gratuità totale? Siamo capaci di viverla questa gratuità?
Mi capitava, qualche giorno fa, di parlare con un papà che si lamentava dei suoi figli e mi son quasi morso le labbra per non dirgli: "Poveri figli con un padre così!". Aveva le sue idee dei figli e non riusciva ad accettare un modo diverso di pensare e di vivere e, probabilmente, credeva di essere la persona che aveva dato tutto ai suoi figli gratuitamente e non sapeva accorgersi che loro andavano per un'altra strada e chiedevano soltanto la gratuità di lasciarli andare per la loro strada. Ma non è soltanto una questione di padri; i figli non hanno forse troppo? Gli diamo tutto, non sono più abituati a conquistarsi niente. Dare gratuitamente significa questo? E quando non parliamo di figli, ma di gente adulta, di gente che viene da paesi lontani e chiedono una casa e bisognerebbe dargliela gratis... mi guardo intorno e so che molti di voi, una casa se la sono conquistata col sudore della fronte, lavorando, a volte, anche di notte; perché qui intorno c'è gente che la casa se l'è costruita con le proprie mani. E allora, che diritto ha la gente di chiedere gratuitamente la casa!
Allora mi domando: ma che cos'è la gratuità? Quando il Signore parla di accogliere un bambino, quando il Signore parla di farsi servi? Cosa significa per quel papà? Cosa significa per quei genitori? Cosa significa per questo stato? Cosa significa per tutti noi? Mi domanderete a questo punto: ma dove vuoi andare a parare, stasera, don Checco? Non voglio andare a parare, volevo soltanto dirvi: Gesù ci pone davanti un cammino, un cammino lungo, un cammino verso la pienezza dell'amore, un cammino che richiede il domandarci ogni giorno: cosa significa per me voler bene? Senza avere subito la risposta fatta, perché nessuno di noi ce l'ha, perché la risposta è bene che ce la cerchiamo giorno per giorno, guardandoci intorno, cercando di domandarci che cosa significa "un pizzico di gratuità" nella nostra vita, perché la vita senza gratuità non ha senso. Ma che significa amare, che significa amare senza voler niente in cambio? Che significa per noi, ogni giorno?
Il Signore ci aiuti ogni giorno a capirlo un po', ma soprattutto a farlo.
1988
Il tema del servizio è un tema centrale nel Vangelo e come voi potete essere testimoni nella nostra Parrocchia, è un tema che abbiamo trattato tante volte in tanti modi: anche quando, tempo fa, si cercava il titolo del giornalino della nostra Parrocchia, chi si occupava di queste cose non ha avuto dubbi e metteva come titolo 'servire'. Ne abbiamo parlato tante volte, purtroppo - incominciando da me - più a parole che con i fatti, anche se è vero che tanti piccoli gesti di servizio, si compiono anche in mezzo a noi. Ecco, siccome ne abbiamo parlato tante volte, io lascerei il tema di fondo alla vostra riflessione personale e vi direi alcune sciocchezzuole sul servizio: sono sciocchezze un po' a margine ma che possono aiutare qualcuno di noi a riflettere sulla propria vita. Quindi quello che dico non è il cuore del Vangelo di oggi, che presenta più di un tema, ma qualche sciocchezza a margine che può aiutare a riflettere.
Due sciocchezze, la prima: non c'è in questo mondo della gente deputata al servizio e altra no. Non ci dovrebbero essere ruoli definiti in tante cose, figuriamoci nel servizio. Vedete, non so se anche voi siete stati colpiti qualche volta quando si sta in fila alla posta per fare un versamento di c/c. Alle volte bisogna aspettare molto perché la fila è lunga e c'è sempre gente che brontola: brontolano perché chi sta dietro allo sportello non lavora per bene, non fa in fretta, non cerca di darsi da fare e lui è pagato per fare un servizio e ogni lavoro dovrebbe essere inteso come un vero servizio verso la comunità, specialmente quando per questo servizio si è pagati. Ma avrete notato che la gente che brontola di più in genere è quella che non ha mai i soldi pronti per pagare, non ha preparato i soldi per far presto, è chi non ha compilato esattamente il modulo di c/c, cioè, chi vi fa perdere tempo. E allora vi vien da dire: "Ecco, spesso si pretende di essere serviti a dovere, ma non ci si preoccupa di mettersi al servizio della comunità, facendo in modo che si perda poco tempo nella fila".
Una sciocchezza, ma vedete questo succede spesso anche nei posti di lavoro, ma di più succede anche in casa, perché spesso in casa si affidano dei ruoli: la mamma per esempio deve fare certe cose, i figli si aspettano da lei questo e quello e qualche volta danno tutto come dovuto, come scontato e loro non è che si diano molto da fare per mettersi, nei limiti della loro possibilità, al servizio della mamma. Questo succede qualche volta anche tra moglie e marito. Quante volte si da tutto per scontato, quante volte si dà per scontato che gli altri debbano fare certe cose e noi non ci sforziamo di renderle più facili; al più riusciamo a brontolare un po' se le cose non son fatte a puntino!
Questo porta alla seconda sciocchezza che volevo dirvi per vostra riflessione: il servizio non solo in pratica, ma anche in teoria non è una cosa semplice, non è che più uno si metta al servizio degli altri e più fa bene, se non si mette al servizio con intelligenza. Mi spiego: con degli esempi si capisce meglio che con giri di parole contorte.
Oggi la maggior parte della gente giovane ha uno o due figlioli: in casa mia eravamo in cinque, intorno a me c'erano molte famiglie così; oggi chi ha 5 figli lo si guarda come un incosciente. Quando in una famiglia ci sono 5 figli è chiaro che il primo, come è successo a me, deve arrangiarsi, dovendo la mamma occuparsi degli altri, se io non mi rifacevo il letto mia madre mi dava uno scapaccione.
Oggi mi dà l'impressione che i bambini non sanno più farsi il letto, perché lo fa sempre la mamma e molti ragazzi non sanno cuocere due uova, perché lo fa sempre la mamma. E non si tratta solo di saper cuocere due uova, qualche volta è anche il saper prendere delle decisioni, il saper essere responsabili della propria vita; qualche volta si ha l'impressione che oggi, volendo togliere ai figli tutte le castagne dal fuoco, volendo mettersi totalmente al loro servizio, non si serve autenticamente la loro crescita! Mettersi al servizio di un altro, significa cercare di mettersi nei panni dei veri bisogni di quell'altro e qualche volta c'è bisogno che io gli dica "Tu fa' da solo adesso, non ti posso più dare una mano, altrimenti non cresci più, non diventi responsabile".
Sono soltanto degli esempi, volevo dirvi, sul servizio; anche perché spesse volte ho l'impressione che ascoltano le prediche quelli che non le devono ascoltare! C'è in mezzo a voi della gente che si dà molto da fare per gli altri e forse sarebbe meglio che si desse da fare un po' di meno. Allora se io faccio una predica, sul servizio in genere, l'ascoltano quelli che si danno molto da fare, i quali si danno da fare un po' di più, invece si dovrebbero dar da fare un po' di meno.
Vorrei che ascoltasse chi non si preoccupa per niente degli altri non, chi degli altri non se ne cura, perché almeno pensasse quando fa la fila per pagare il bollettino postale... ecc. E vorrei ancora ripetere che, in fondo, il servizio è utile quando fa del bene all'altro, non soltanto quando io ho fatto tante cose; e che qualche volta, per servire l'altro, è bene che io faccia di meno, è bene che lasci fare a lui.
"Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua 28 settembre 1997
nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in
verità che non perderà la sua ricompensa"
"Signore, c'è qualcuno che fa del bene nel Tuo nome, ma non è dei nostri; quindi abbiamo cercato di impedirglielo".
Ma è così difficile non dividersi sempre fra "i nostri" e gli altri? E non giudicare sempre a partire dal "nostro" gruppo? È difficile, è difficile veramente! Perché è difficile non aver paura, è difficile credere sul serio. E badate, qui di questo si tratta: non sono solo parole o regolette di buona educazione - si tratta di credere veramente, si tratta di non aver paura. E per l'uomo - per me, per voi, per la gente che ci sta intorno - è veramente difficile!
E ce ne accorgiamo nei momenti in cui la paura più serpeggia in mezzo alla gente: si moltiplicano allora le difese dell'uomo, l'attaccarsi alle ideologie, agli slogan, alle parole; ai miti; alle camicie più o meno colorate. E ci si difende descrivendo "gli altri", quelli che non sono "dei nostri" - che non ripetono le nostre parole, non hanno i nostri simboli, non credono nei nostri miti - come "brutti e cattivi". È il frutto delle nostre paure! Ma è difficile non aver paura.
E non pensate soltanto a problemi della nostra Italia: anche nella nostra Chiesa... Una delle cose che mi colpisce, quando vado in giro per il centro di Roma, è vedere dei giovani sacerdoti che si rimettono la lunga tonaca nera... È uno scudo, una difesa dal mondo di cui hanno paura!
E c'è sempre qualcuno che si rammarica perché non si ripetono le stesse parole: "Perché, don Checco, in questa chiesa non dite il "Gloria?". Oggi, dopo un matrimonio celebrato nel pomeriggio, un ragazzo - giovane! - viene a dirmi: "Come mai hanno letto una poesia? Che c'entra, la poesia! Noi abbiamo la Parola di Dio, lo Spirito!". E si riempie la bocca di parole... e non sa nemmeno cosa sia "la Parola di Dio, lo Spirito"! "La poesia non conta niente: è degli "altri"! Noi abbiamo la nostra Parola!". È la paura!
Capite, allora, lo stupore dei discepoli, che hanno avuto la fortuna di incontrare Uno, che ci credeva sul serio. Gesù credeva sul serio nel bene, nella giustizia, nell'amore. E se incontrava qualcuno che faceva il bene... come non rallegrarsi! -"C'è uno che fa il bene; non è dei nostri" -"Che t'importa, che non sia dei nostri! l'importante è che faccia il bene".
Perché Lui non ha paura, non ha bisogno di identificarsi "contro gli altri". Perché crede in quello che sente dentro, perché crede nel bene!
E non c'è bisogno, per fare il bene, di essere degli eroi, di fare delle grandi cose: un bicchiere d'acqua! "Hai dato un bicchiere d'acqua? È già un gesto d'amore... piccolo... che importa! Quello aveva sete e tu gli hai dato un bicchiere d'acqua".
E invece a quell'altro - a quel bambino, a quel piccolo, a quell'uomo stordito - gli hai messo un po' di paura nel cuore: lo hai "scandalizzato"! Gli hai fatto perdere un po' dell'entusiasmo e della gioia della vita... allora sì, è meglio che ti metti una macina di mulino al collo e che vai a buttarti nel mare! Far perdere ad un uomo un pizzico di speranza: questo è il vero dramma! Non ripetere le stesse parole, non avere la croce sulla fronte e non appartenere "ai nostri": importa poco, questo è frutto della paura. E mettere paura nel cuore di qualcuno e fargli perdere la speranza della vita, questo è quello che veramente fa male!
Se credi sul serio, allora per le cose in cui credi sei disposto a dar tutto! A farti tagliare anche una mano! E quanta gente, nel corso della storia, se l'è fatta tagliare veramente, la mano! Perché credeva nella giustizia e nell'amore! E non gli importava se i gesti di questa giustizia e di questo amore li facevano anche persone diverse da lui, che appartenevano ad un'altra religione, ad un altro popolo, ad un'altra razza.
Chi ci crede sul serio, si sente fratello di ogni uomo che, come lui, crede nei valori e ci crede sul serio! Ed è disposto a sacrificarsi e a dare se stesso!
Vedete, fratelli: nelle parole che abbiamo letto stasera è in questione la nostra fede, sono in questione le nostre paure. Ma tutti ci portiamo dentro paure... Abbiamo bisogno di invocare lo Spirito: che dilati lo spazio del nostro cuore, che ci faccia credere sul serio! E allora non ci farà ombra il fratello che ci cammina accanto, che magari non viene in chiesa, che magari bestemmia il Signore, che magari dice di essere ateo, che magari dice di non credere a niente! Ma quando incontra una lacrima, è pronto ad asciugarla! Quando può tendere una mano, la tende!
Se invece ci lasciamo prendere dalle paure, tutto ci fa ombra: ci rintaniamo nei nostri gusci - nei nostri slogan, nelle nostre parole - e la vita si intristisce!
Gesù è venuto a portarci il fuoco, dentro: il coraggio di credere! È venuto a tentare di allontanare le paure dal nostro cuore! Ma non è semplice.
Per questo ci ritroviamo qui ogni domenica e affidiamo le nostre paure nelle mani del Signore, sperando che Lui ce ne liberi e ci faccia capaci di credere sul serio.
Il Signore ci aiuti!
1994
Tentiamo ancora - abbiamo fatto una pausa, domenica scorsa, come si doveva, leggendo quella pagina del Vangelo - tentiamo di riprendere la serie dei discorsi complicati, un po' difficili, su cui certamente qualcuno di voi non sarà d'accordo. Chi non è d'accordo, porti pazienza; ma forse anche chi non è d'accordo, può trovare qualche stimolo di riflessione.
Dicevo già da qualche domenica che ci troviamo nel cuore della nostra fede, nel cuore del Vangelo; e che un errore di prospettiva o una trascuratezza, qui, ha conseguenze devastanti fino alla periferia del nostro vivere da cristiani. In quello che abbiamo letto oggi, c'è un episodio che rischia di essere trascurato; e di fatto lo è stato: c'è un discepolo, Giovanni, che va da Gesù e gli dice: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri". E Gesù gli dice: "Lascia fare!".
Ecco, c'è, per chi va dietro al Signore, una tentazione: la tentazione dell'intolleranza, "dei nostri", che sanno tutto, che hanno la chiave del bene o del male, che hanno il criterio della giustizia, che sanno dove ci porta il Signore! Gesù ci aveva messo in guardia, forse in maniera troppo blanda: non ha detto parole forti, magari come quelle che seguono in questa pagina del Vangelo; e noi, poveri cristiani, non ce lo siamo filato per niente... Nel corso della storia della Chiesa abbiamo costruito una grande, immane struttura, per dire che noi, solo NOI, abbiamo la Verità e tutti gli altri sono brutti e cattivi: la salvezza è soltanto all'interno della Chiesa! Soltanto all'interno della Chiesa c'è il modo di arrivare a Dio; chi non fa parte della Chiesa, se muore, va all'inferno; o magari un bambino che non è battezzato va al "limbo"...
Per dire che noi siamo i portatori della Verità, abbiamo scomodato la Trinità intera: il Padre, di cui ci sentiamo i veri rappresentanti; lo Spirito, di cui siamo i depositari esclusivi il Cristo, di cui siamo gli interpreti ufficiali, i soli che possano dire che cosa insegna, che cosa vuole Gesù! Siamo arrivati a definire "l'infallibilità" della Chiesa, del Concilio, del Papa. Noi abbiamo la Verità! E avendo noi la verità, chi non la pensa come noi lo si può anche arrostire sul fuoco o mettere in prigione o esiliare; o, come succede oggi, dato che non si usa più, per fortuna, arrostire la gente sul fuoco, escluderlo dall'insegnamento, togliendogli i mezzi per vivere.
Non solo, ma all'interno della vita della Chiesa abbiamo costruito gerarchie, abbiamo costruito delle caste, delle corporazioni, che si sentono privilegiate, investite di autorità dall'alto. La prima distinzione, forte, che c'è all'interno della nostra Chiesa, è tra clero e laici: tutto il potere è al clero, i laici debbono obbedire e pagare, mettere mano al portafoglio, ma non hanno alcun peso nelle decisioni, nella ricerca di ciò che è giusto e vero. Perché i preti sanno tutto, hanno il monopolio dello Spirito... e non basta: ma all'interno del clero, ci sono anche lì caste e corporazioni: i vescovi, oppure i frati, i monaci.
Noi, in Italia, abbiamo un guaio supplementare, perché, spesso il Papa è stato anche capo del governo, specialmente qui nelle nostre terre: e se voi andate in giro per Roma, trovate ancora delle targhe ai muri, in cui si proibisce di buttare "immondezze" in quei luoghi, "sotto pena di scudi 5 ( o 10, a seconda...)" ed altre pene "ad arbitrio di S. Eccellenza". Sua Eccellenza fa come gli pare e voi non lo potete critica'; perché Sua Eccellenza parla sempre in nome di Dio (era spesso un Vescovo o un Cardinale, S.Eccellenza, il quale comminava pene "a suo arbitrio"!).
Qualcuno di voi dirà: "Ma che c'entra tutto questo? Perché ci ricorda don Checco queste miserie della Chiesa antica, queste cose che appartengono ormai alla storia?". A parte che non appartengono alla storia, quello su cui volevo portarvi stasera, il discorso complicato che intendevo fare, è questo: che tutto questo non abbia, ancor oggi, conseguenze serie e gravi nella nostra vita civile, che alcuni dei nostri guai non possano venire da qui? Se voi andate alla Posta o in un ufficio pubblico e l'impiegato vi tratta male, non potrebbe derivare, il suo comportamento, dalla sua educazione "cattolica", in cui chiunque appartenga ad un apparato si sente mandato direttamente da Dio e non può essere giudicato da nessuno? Non può essere che il fatto che ci siano tante corporazioni chiuse, in questo nostro paese, dipenda un po', anche, dall'aver trascurato questa parola di Gesù sui "nostri"?
Provate a chiedere un controllo, in questo nostro paese, su un medico o su un giudice o su un giornalista o su un insegnante: vedrete subito scattare feroci meccanismi di corporazione: tutti si uniranno per difendere questa persona, per dire che voi avete torto, perché loro appartengono ad una casta privilegiata e protetta, che si sente investita di un'autorità quasi sacrale!
Allora, vedete, se questo è un po' vero, dobbiamo riflettere con cura sulla nostra educazione cattolica, sul nostro modo di leggere o di trascurare certe cose del Vangelo. A me restano in mente alcuni piccoli episodi, che non sono un "giudizio", ma nella mia vita sono serviti un po' come esempi, come simboli, come stimoli alla riflessione: ve li racconto, così voi cercate anche i vostri.
Qualche anno fa - questo mi era rimasto abbastanza ben impresso, anche perché c'era capitata in mezzo mia sorella; e le cose che ti toccano da vicino, magari te ne preoccupi o ci pensi di più - qualche anno fa all'aeroporto di Fiumicino succedeva che, nel trasporto dei bagagli - dall'aereo al momento in cui venivano riconsegnati al viaggiatore - sparivano molte cose. E la gente cominciava a protestare e qualcuno aveva detto: "Mettiamo delle telecamere, per controllare quelli che lavorano, in modo che non rubi più nessuno". Ribellione totale! "Come controllare! Noi! Mai essere controllati: noi siamo tutti persone per bene". Ma la roba continuava a sparire... Non si può controllare nessuno, in questo paese.
Mi capitava, qualche anno fa, di andare a Parigi: fra le cose straordinarie che ci sono in quella città, mi hanno colpito due particolari, che attengono al nostro discorso: anche qui non è un "giudizio": solo dei simboli, ma forse vi aiutano a capire. In quella città, in ogni ora del giorno si vedevano degli spazzini (oggi si chiamerebbero "operatori ecologici") lavorare a pulire le strade; nel nostro paese è un'esperienza rara, vedere un operatore ecologico! e spesso, quando si vedono, chiacchierano tra loro. In Francia, al Louvre c'era un quadro in restauro ed io son rimasto con gli occhi spalancati, perché davanti al quadro in restauro non c'era la classica incannucciata all'italiana che impedisce di vedere: c'era un bel telo di plastica trasparente e si vedeva il quadro e la gente che lavorava. Da noi, alla Cappella Sistina, il "Giudizio universale" per 2 anni o 3 (non so quanti) è stato invisibile; perché non bisogna vedere la gente che lavora! E ancor meno controllare!
Controllare uno che lavora, sapere quanto pulisce uno spazzino, qual è il suo rendimento, vedere come lavora uno che restaura un quadro: questo da noi non si fa. Che sia anche questo a causa della nostra educazione cattolica? perché siamo abituati a sentirci sempre dalla parte del giusto, sempre incontrollabili: nessuno deve poter sindacare su quello che noi facciamo...
Ora, invece, mi sembra che sia importante che ci sia un controllo, che ci si abitui tutti, in ogni angolo del nostro vivere civile, a controllare: noi stessi, prima di tutto. Perché, avete sentito, l'intolleranza è contro se stessi: "Se la tua mano ti scandalizza, tagliala e buttala via. Se il tuo piede...". Parlavo qualche tempo fa con una maestra, una delle migliori insegnanti che ci siano state qui ad Ostia; la quale diceva: "A me, m'ha salvato il fatto di domandarmi sempre: "Ma fosse un po', anche, colpa mia?!" Questa brava insegnante, invece di tagliare (in senso metaforico, chiaramente...) le mani o i piedi agli alunni, invece di dire che è sempre colpa loro, che sono loro che non capiscono niente, si è sempre domandata: "Ma fosse, per caso, un po' colpa mia?! Avessi da cambiare io qualche cosa nel mio atteggiamento?! Avessi io da tagliare qualche mano o qualche piede a me, invece che agli altri?" (veramente, se posso farvi una confidenza, non parlavamo di lei, ma del Papa). Sono convinto che noi tutti Cristiani, dal Papa all'ultimo, a me che mi trovo dietro l'ultimo, sarebbe opportuno che cominciassimo a domandarci: "Ma fosse un po' colpa mia? Ma avessi io da cambiare qualche cosa, prima di alzare la voce e gridare contro gli altri! Fosse un po' colpa mia, se le cose non vanno bene intorno a noi!". C'è bisogno, da parte di tutti, di più serietà, di capacità di autocontrollo, di accettare sulla propria corporazione, sul proprio lavoro, il controllo di tutti. Seriamente, coraggiosamente: per diventare tutti più giusti ed onesti.
Il Signore ci aiuti!
1991
Abbiamo ascoltato parole forti nel Vangelo di oggi. Il mio compito non è quello di spiegare queste parole, perché per comprendere fino in fondo questi simboli, queste immagini del Vangelo, non basta una vita. Il mio compito è quello di mettervi in grado di comprendere, di intendere questi segni, questi simboli, queste immagini vive, alla maniera degli orientali, che amano molto il linguaggio colorito. Per comprendere queste parole occorre che ricordiate il punto del Vangelo in cui siamo. Siamo in viaggio. Ormai da tre domeniche seguiamo questo viaggio: un viaggio dietro a Gesù, che ci porterà fino là, sulla Croce, nel momento dell'amore supremo del Signore.
Marco mette oggi su questo cammino, che è il cammino della vita cristiana, come dei segnali, dei cartelli indicatori, per avvertirci. Vorrei attirare la vostra attenzione su tre segnali che, secondo me, sono, tutti e tre, molto importanti. Si tratta chiaramente di simboli, non di ricette - nel Vangelo di Marco non ce ne sono, perché nella vita non servono - sono dei simboli, delle immagini, che ciascuno di noi tradurrà nella sua vita concreta.
Il primo simbolo è questo: Giovanni dice a Gesù: "Abbiamo visto uno che cacciava i demoni nel Tuo nome e noi glielo abbiamo impedito". Giovanni si aspettava un elogio - cercate di immaginarlo con la vostra fantasia - e Gesù lo guarda con un sorriso: "Lasciali fare, chiunque fa un po' di bene o cerca di farlo è dalla vostra parte". Ecco il primo cartello, il primo segnale, il primo avvertimento. Nell'andare dietro a Gesù si corre un rischio, il rischio dell'intolleranza. È un rischio che tutte le religioni hanno corso, perché chi va dietro a Gesù dice: "Noi siamo dalla parte giusta, c'è Dio dalla nostra parte, guai a chi non sta con noi!"
Ci è dato (purtroppo, non avrei voluto dire mai queste parole) di vivere un tempo nella vita della chiesa in cui ritorna l'intolleranza. La risentiamo in tante parole dei vescovi, addirittura qualche volta del papa, l'intolleranza di chi crede di sapere tutto, sui tanti problemi della vita. Raccontate ai vostri figli, raccontatela sempre, questa immagine del Vangelo: quando Giovanni va a dire a Gesù: "Abbiamo cercato di impedirglielo perché non era dei nostri"... il sorriso di Gesù. È un sorriso contro ogni intolleranza, contro l'uomo che in nome di Dio si fa nemico di un altro uomo, impone il suo parere ad un altro uomo. Il primo segnale è questo ed è un segnale importante.
Il secondo segnale è un bicchiere d'acqua: "Chiunque avrà dato solo un bicchiere d'acqua a uno di questi piccoli non perderà la mia ricompensa". Andiamo in un cammino che ci porta fino al dono della vita, all'amore gratuito più totale; ma un solo bicchiere d'acqua su questo cammino non andrà perduto. Ricordiamolo sempre tutti, perché è la nostra consolazione, almeno la mia, ma credo anche la vostra.
Quando guardo indietro nella mia vita - ormai ne ho vissuta parecchia - e mi chiedo: Che cosa ho fatto? non trovo grandi risposte, ma qualche bicchiere d'acqua a qualcuno l'ho dato. E questo basta davanti al Signore. Andare dietro a Gesù è un cammino grande, è il cammino dell'amore totale, il cammino della gratuità assoluta; ma un bicchiere d'acqua non sarà dimenticato.
Il terzo segnale ci viene proposto con parole forti: "Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo e buttalo via, se la mano ti scandalizza, tagliala e buttala via". Che cosa vogliono dire queste strane parole orientali? Vogliono dire questo: Siamo in un cammino in cui dobbiamo essere tolleranti, in cui dobbiamo contentarci; ma siamo in un cammino in cui è in gioco la nostra vita. È meglio perdere un braccio o un occhio, che perdere l'andare dietro a Gesù. L'andare dietro a Gesù non significa appartenere a un gruppo, far parte di una setta, essere dei nostri, ma significa: camminare sulla strada dell'amore. Se non c'è amore, che vale la vita! Anche se abbiamo le mani sane, ma non c'è amore nel cuore, la vita diventa niente. Ecco l'ultimo cartello. Questo cammino dietro Gesù è un cammino decisivo per la nostra vita di uomini: è il cammino delle cose essenziali, è il cammino dell'amore, della gratuità, della vita che si fa amicizia, attenzione, tenerezza. Se non c'è questo, possiamo avere gli occhi, le mani, le ricchezze, ma la nostra vita non vale niente. La vita senza amore, la vita senza un pizzico di Gesù nel cuore, non conta.
Ecco i tre segni del Vangelo di oggi. Spero di avervi messo in grado di leggere questa pagina. Adesso voi rivoltatevela nella vostra vita, insegnatela ai più giovani, perché questi tre segnali sul cammino della vita di Gesù, facciano parte del nostro cammino cristiano .
1988
Molte le tentazioni per chi predica, davanti a questa pagina del Vangelo; è una pagina molto complessa ve ne sarete accorti anche voi. Una tentazione è quella di spiegare parola per parola e quindi di entrare in questioni piuttosto complicate; un'altra tentazione è quella di semplificare, di dire qualcosa di semplice e, in fondo il testo si presta, e io in questa settimana sono stato fortemente tentato di dirvi qualcosa di molto semplice, di dirvi due parole sull'intolleranza. Lo avete sentito: è uno dei temi di fondo delle letture di oggi. Anche la prima lettura ci ripropone lo stesso episodio: alcuni vedono delle persone che fanno del bene; corrono i primi da Mosé a dire: "Glielo andiamo ad impedire perché parlano in nome tuo"; gli altri vanno da Gesù: "Quelli hanno cacciato demoni nel tuo nome, ma non erano dei nostri, glielo andiamo ad impedire?". Quindi la tentazione che ho avuto è stata quella di dire due semplici parole sull'intolleranza; ma poi ci ho riflettuto, ci ho ripensato ed ho dovuto scegliere - anche per onestà nei vostri confronti - una via più difficile, perché in questa pagina di Vangelo non è in gioco solo la tolleranza verso gli altri: è in gioco qualcosa di più: è in gioco la fede.
Cosa significa credere, cosa significa seguire Gesù? E allora portate un pochino di pazienza, cerco di dirvi quelle che sono state le mie riflessioni in questi giorni, tentando di capire cosa c'è sotto questa pagina, il che non è semplice. Avete sentito che mette vicino parole strane e molto diverse: da una parte le parole di Gesù: "Chi non è contro di voi è con voi" (ricordate in un altra pagina di Vangelo si legge: "Chi non è con me è contro di me, chi non raccoglie con me disperde"); poi Gesù dice: "Vi assicuro che se uno vi dà anche un solo bicchiere d'acqua, non perde la sua ricompensa". Ma questo è accanto a parole sconvolgenti: "Se la tua mano ti scandalizza tagliala, se il tuo occhio ti scandalizza cavalo".
Allora uno si domanda: "Cosa devo fare per essere cristiano: mi devo cavare gli occhi o basta che dia un bicchiere d'acqua? Se credo in Gesù, come mi comporto con chi non crede? Cosa vuol dire essere cristiano?".
Un passo indietro e cerchiamo di capire da dove viene l'intolleranza, questa intolleranza che ha attraversato tutta la storia della Chiesa e non soltanto la nostra. Se andate tra i mussulmani trovate che è lo stesso, se andate tra i buddisti anche: in ogni angolo della terra dove trovate gente che crede, c'è intolleranza; e non solo nelle cose religiose: guardate per esempio i partiti politici. Sempre l'uomo sente l'esigenza di mettere i picchetti, di distinguere chi è con me e chi è contro di me, i nostri e quelli che non lo sono.
Ce lo troviamo intorno questo bisogno, ce lo troviamo dentro. Viene dalla paura, dalla paura di non riconoscersi, dalla paura di perdersi, dalla paura di perdere le cose che ci stanno a cuore: sarà la propria identità, le proprie idee, sarà la terra, sarà il potere o i privilegi. Quasi sempre la storia degli uomini è storia di potere, di terre, di soldi: storia di gente che ha paura di perdere qualcosa e che tenta, a tutti i costi di difendere la propria vita: allora cosa fa? Chiama attorno a sé gente che la pensa come lui; magari si arma, prende in mano spade e fucili e cannoni e dice: "Ecco guardate: quegli altri sono i nemici, noi dobbiamo difenderci, difendere le nostre cose, dobbiamo difendere la patria, l'onore!" E se qualcuno dall'altra parte fa cose buone, non posso certo dirlo: il nemico è sempre cattivo e più lo si dipinge brutto e cattivo, più ci si può difendere da lui e sparargli contro. Altrimenti, come si fa a sparare ad un uomo se lo guardi nel profondo degli occhi? Occorre dipingerlo molto cattivo, quasi un mostro: allora si diventa intolleranti.
Quando incontri sulla tua strada uno come Gesù - che crede - ma crede sul serio, nella giustizia, nella verità, nel bene; quando incontri uno come Gesù che è veramente libero, allora ti accorgi che se Lui incontra un'altra persona che fa il bene, non ne ha paura, non deve difendersi da lui, non ha poteri o privilegi da difendere: ha soltanto la verità da cercare, la verità da annunziare, la bontà, il bene, da testimoniare e diffondere. Allora se trova un'altra persona che cerca la verità, che fa il bene, si rallegra, grida di gioia: "Ho trovato uno che fa il bene!" Non ha paura che gli porti via un po' di potere.
Gesù dice che Lui è venuto per servire, Gesù si è chinato a lavare i piedi: non ha bisogno di difendere il suo potere. Se qualcuno gli dona un bicchier d'acqua lo accoglie con gioia e riconoscenza: la gioia di aver incontrato un giusto! Se io cerco sul serio la verità, la giustizia, il bene, non ho paura che venga a togliermi un po' di posto.
Ma se sono in pericolo la giustizia e la verità, se l'amore corre il rischio di perdersi, allora sì mi taglio la mano - la mia, non la sua - se questa mano mette in pericolo le cose che mi stanno più a cuore, le cose fondamentali della mia vita.
Allora quando Gesù dice queste cose, non mette solo in questione la nostra buona educazione, il modo di trattare le altre persone, il considerare alcuni dei nostri ed altri no, mette in questione la nostra fede. Ci crediamo sul serio ai valori di Gesù? Ci crediamo sul serio che le cose importanti della vita sono cercare la verità e la giustizia, il bene e l'amore per gli altri? Ci crediamo sul serio che è importante l'uomo che mi sta davanti... e non da che parte sta, se è dei miei o no; ma se quest'uomo cerca con me il bene, la giustizia, l'amore, allora vedrò in lui non il nemico, uno contro cui combattere, da cui difendermi, ma uno con cui posso fare un po' di strada e mi rallegro di ogni passo che posso fare con lui.
Gesù era uno che credeva veramente e non aveva paura. Noi ci portiamo dietro tante paure: io lo sento, me ne porto dietro tante e questo mi fa diffidare degli altri, mi fa a volte intollerante verso il mio prossimo.
Vedete, oggi c'è una cosa che fa paura, anche a molti di voi: è la droga. Ci sono papà e mamme che hanno dei figli che crescono, che la vedono dappertutto e se qualche volta li sentite parlare di chi spaccia droga, magari fuori delle scuole, il giudizio più dolce che sentite è che vanno messi al muro e fucilati, subito, senza pensarci un momento. Ecco, questa gente vive con questa grande paura e crede che il pericolo più grande per i loro figli sia lo spacciatore alla porta della scuola. No, il vero pericolo per i loro figli è la paura di quei genitori: li fanno crescere deboli, preoccupati, timorosi! Dategli la certezza dell'onesta, della giustizia, della vita, dell'amore, senza paura e non saranno minimamente sfiorati dalla droga, potete metterci la mano sul fuoco. Se invece avranno paura, se avranno timore di vivere, se saranno ragazzi timorosi, incerti e indecisi, se non avranno dentro qualcosa in cui credere, allora cadranno vittime dello spacciatore. Lui pensa solo ai soldi e non gli importa d'altro. Ma quello che rovina un ragazzo (ormai ho abbastanza esperienza per aver visto queste cose) è la paura di vivere, la paura di amare, la paura di crescere: una paura che a volte noi adulti comunichiamo ai ragazzi.
Diamogli la passione per il bene, per la vita, il coraggio e una fede e vedrete che attraverseranno il mondo con tranquillità e sicurezza e non saranno sfiorati dalla droga.
Chi sta là, aspetta che tu abbia paura per ghermirti in tutti i campi. Fratelli, l'intolleranza, l'odio, il desiderio di vendetta aspettano le nostre paure. Gesù era un uomo che non aveva di queste paure, che credeva sul serio e su questa strada ci invita a camminare.
Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolto all'uomo, 5 ottobre 1997
una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse:
"Questa volta essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa".
E i due saranno una carne sola.
"Lasciate che i bambini vengano a me... In verità vi dico: chi non
accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso".
Qualcuno di voi, credo, ama come me, seguire qualche volta, alla TV, dei documentari sulla vita degli animali. E avrà notato - forse con un certo stupore - che tra gli animali la coppia stabile di un maschio e una femmina è un fatto abbastanza raro: se tra gli uccelli capita in diverse specie, tra i mammiferi è una rarissima eccezione: a parte qualche sciacallo e qualche iena, non c'è nessun mammifero che vive in coppia per tutta la vita.
Ma noi apparteniamo al mondo dei mammiferi! Da dove viene, allora, nell'uomo il sogno di formare una coppia, in cui due persone crescano insieme, fino a diventare "una cosa sola"?
Avete ascoltato l'eco di questo sogno, sia nella prima lettura, sia nel Vangelo. Di dove viene il sogno d'amore di una coppia stabile e fedele, che va al di là della nostra natura di mammiferi?
Il fatto è, vedete, che la natura si basa sulla legge della conservazione: ogni individuo è programmato per conservare se stesso e la propria specie. Ogni maschio deve trasmettere i suoi geni al maggior numero possibile di figli. Avrete quindi notato, nei documentari sulla natura, le lotte tra i maschi per il possesso di più femmine, per generare quanti più figli sia possibile.
Noi uomini abbiamo tentato di gettare il cuore al di là della natura: per noi uomini non è importante soltanto il trasmettere la vita, ma anche l'amore, la tenerezza, la gratuità, la bellezza di stare e di crescere insieme. Ma per fare questo bisognava andare al di là delle forze della natura... e non è stato semplice.
Se conoscete la storia degli uomini, sapete che molte volte, nelle società umane, le leggi sulla coppia erano basate sul diritto del maschio a trasmettere i suoi "geni": ci sono stati degli uomini che avevano molte donne (pensate agli harem dei re biblici e di tante parti della terra); e l'unione dell'uomo e della donna, era circondata da regole e leggi ferree: è sempre il maschio, che vuole essere sicuro di trasmettere i propri geni, come fa il leone, come fa lo stambecco, come fanno tutti i maschi. E ancora leggi crudeli rimangono in tante parti del mondo: avete visto certe volte le donne coperte, con un velo fino ai piedi! Un tempo, quando avere molti figli era considerata una benedizione, per molti uomini la moglie era colei che faceva i figli... L'amica, l'amore, il sogno li cercavano al di fuori, in qualche altra donna. Nell'antica Grecia addirittura l'amore vero era tra maschi. La donna era colei che fabbrica figli, com'è per tutti i mammiferi di questo mondo.
Oggi, in una coppia, figli se ne fanno uno o due, le leggi diventano sempre meno ferree: voi capite che sempre di più l'unione tra l'uomo e la donna è affidata alla libertà delle due persone, alla libertà di due esseri che si incontrano, si scelgono e che vogliono, al di là del mettere al mondo dei figli e di crescerli, formare una coppia, costruire insieme la loro vita: vogliono realizzare tra di loro la gratuità dell'amore! Come meravigliarsi se questa è un'impresa quasi impossibile, se appartiene ai "miracoli" della vita?!
Come meravigliarsi, se intorno a noi si vedono delle coppie andare incontro a fallimenti?! Quando la vita è affidata alla libertà, quando è affidata al desiderio di stare insieme, quando è affidata alla voglia di costruire un sogno, un ideale, che va al di là delle forze stesse della natura... come meravigliarsi se ci sono dei fallimenti! E nella vita cristiana questi fallimenti non possono certo essere affidati ai soldi e agli avvocati dei processi rotali!
Cosa serve, allora, perché si realizzi questo sogno, questo ideale, nella vita dell'uomo? Beh! prima di tutto, se vogliamo essere sinceri, serve un pizzico di fortuna; anzi, forse, più di un pizzico di fortuna!
Bisogna incontrare la persona giusta (qualcuno dice che ci vogliono, addirittura i cromosomi adatti, i "geni" giusti). Poi, devono incontrarsi i caratteri; poi le due persone debbono crescere insieme e non in maniera troppo differenziata. Poi, nella struttura psicologica di queste persone non ci devono essere troppi guasti o difficoltà. Poi, bisogna avere un po' di benessere materiale: ci vuole un lavoro, una casa... E tutto questo non basta ancora...
Ci vuole buona volontà e impegno e la voglia di stare insieme e di condividere la vita; la capacità di dialogare, il desiderio l'uno dell'altro. Ci vuole la libertà e il rispetto, la fantasia e la tenerezza ed anche, lo sapete, una dose non piccola di pazienza!
Ma non dimenticate: al di là di tutto questo, c'è un "bambino" su questa strada! Qualcuno di voi dirà: "Ma che c'entra, un bambino?!". Perché Gesù ha preso un bambino e lo ha messo al termine di questo discorso sulla coppia umana? Perché - se ho capito qualche cosa della vita - affinché due persone riescano a vivere insieme per tutta la vita e ad amarsi sul serio, è importante che rimangano sempre un po' bambini! Che si guardino sempre con stupore, che si sentano donati l'uno all'altro!
Ci sono mille modi, per esprimere questo. Un giovane marito - giovane, si fa per dire: è arrivato ormai a 50 anni! - diceva l'altro giorno: "Dove troverei in tutto il mondo una donna capace di sopportare uno come me!". È anche questo un modo per esprimere lo stupore e la gioia per la persona che ha avuto la fortuna di incontrare nel suo cammino.
Conservare questa gioia, questo stupore, questa meraviglia per l'incontro; sentire l'altro come un dono, è un po' rimanere bambini. Chi è il bambino, se non uno che guarda la vita intorno a sé, con stupore che si rinnova ogni mattina? Uno che sente che, al di là di quello che ha costruito (e un bambino ha costruito ancora poco), è tanto quello che riceve dalla vita!
La capacità di vivere in coppia per tutta la vita è, secondo me, basata proprio su questo stupore, su questa capacità di accogliersi l'un l'altro come un dono; su questa capacità di donarsi l'uno all'altro, di ricominciare ogni mattina, di essere un po' come bambini che affidano la propria vita alla speranza, alla voglia di ricominciare ogni giorno, al futuro! Che non danno mai le cose come scontate, tutto come fatto, tutto come costruito da noi! Che sentono che il vivere insieme è prima di tutto un dono, da accogliere nella meraviglia!
Il Signore ci aiuti!
1994
Nel cammino dietro a Gesù qui, nel cuore del Vangelo, avete sentito riproporre l'ideale, il sogno dell'amore umano: di un amore totale! Avete sentito l'invito forte di Gesù - anche contro la tradizione, anche contro l'autorità di Mosè - l'invito a compiere il capolavoro di una coppia che diventa "una cosa sola", che si ama di un amore completo.
Io, nella mia vita, sono stato molto fortunato ed ho visto il compiersi di questo capolavoro: ho incontrato delle coppie che, giunte ormai al tramonto della vita, si guardavano ancora con immutata tenerezza, con stupore, con meraviglia. Ho conosciuto delle persone che si capivano con uno sguardo, che si accoglievano l'un l'altra ancora come un dono stupendo!
Li ho sentiti raccontare le mille vicissitudini della loro vita, le gioie e i dolori della loro ventura umana, le tante storie del loro quotidiano; li ho sentiti parlare della fatica di accogliersi, di rispettarsi, la fatica di rinunciare alla volontà di possedersi, per essere liberi di stare insieme nella pienezza dell'amore.
Li ho sentiti raccontare della loro vita sessuale, vissuta con passione, con gioia e tenerezza, a volte fino agli sgoccioli della loro esperienza terrena; li ho sentiti dire dei tanti momenti in cui si erano sostenuti, tenuti per mano; li ho sentiti raccontare i mille "sì" che si erano ripetuti nella vita: come ogni mattina avevano ricominciato daccapo; come dopo ogni sbaglio avevano ripreso il cammino. Li ho sentiti raccontare della pazienza, della gioia, della tenerezza, dello sforzo di capirsi, di condividere tutto, di mettere in comune tutto quello che avevano, tutto quello che erano!
Ho visto il compiersi, il realizzarsi di questo straordinario capolavoro - non facile, come sapete - che è il formarsi di una coppia. Io spero che tutti voi conserviate nel cuore questo sogno, questo ideale; che tentiate di realizzarlo - per quanto è possibile - nella vostra esperienza di vita. Per questo pregheremo insieme stasera: pregheremo per tutte le coppie del mondo.
Pregheremo anche - oggi sembra che si debba pensare così - affinché anche coloro che non riescono ad aprirsi all'altro sesso possano, anche loro, realizzare una coppia: vedremo sempre di più alla luce del sole (ci sono state sempre, fin dal primo mattino del mondo) coppie di soli uomini e coppie di sole donne, perché a loro non è dato di realizzare la pienezza della coppia maschio-femmina. Anche per loro pregheremo, perché forse più degli altri hanno bisogno di un amore stabile e duraturo, di qualche cosa che dia stabilità alla loro vita.
Ma non vi inviterò a pregare, stasera, perché la gente rimanga insieme per forza! Ho visto, nella mia vita, gente rimanere per forza nella stessa casa, costretti a volte dalle difficoltà economiche, dalla incapacità di andare ognuno per la propria strada: ed è terribile! Ci sono persone che vivono come in gabbia; costrette a condividere lo stesso tetto e spesso ciò si accompagna a violenza e maleducazione e sopraffazione! No, non pregheremo perché la gente rimanga insieme per forza!
Spesso, nemmeno per amore dei figli! Abbiamo visto - ormai lo avete visto tutti - "figli sereni e felici, di amori perduti" (come diceva un libro, scritto qualche tempo fa); abbiamo visto figli infelici o perduti di famiglie che sembravano perfette; abbiamo visto figli sereni, di genitori costretti a separarsi, perché non riuscivano più a capirsi, ad andare d'accordo, a rispettarsi! E là, dove manca il rispetto, è meglio che ognuno vada per la propria strada.
E se qualcuno di voi si porta nel cuore un profondo disgusto per la Sacra Rota, i tribunali ecclesiastici, dove si giudica dell'amore umano fra avvocati e milioni, tra menzogne e false testimonianze; se qualcuno si porta il disgusto per tutto questo, sappia di non essere solo, ma in numerosa e buona compagnia nella vita della Chiesa...
Chi fallisce il suo progetto d'amore deve essere accolto da tutti con un'infinita tenerezza, perché possa ritrovare il coraggio e la speranza di vivere l'avventura dell'amore umano, possa ritentare la strada per formare una coppia felice. Abbiamo visto tutti delle persone che, dopo aver fallito una volta, sono riusciti a vivere una vita di coppia in cui si è capaci di amarsi.
Detto tutto questo, torneremo a pregare perché alla maggior parte di noi, alla maggior parte degli uomini del mondo, sia dato di compiere il capolavoro di un amore vero, di una coppia autentica: in cui ci si ami sul serio, in cui si diventi veramente "una carne sola"! E Gesù ci ricordava che, per compiere questo capolavoro, non bisogna essere dei santi, né degli eroi, né dei grandi geni... bisogna essere un po' come bambini: capaci di stupore, di meraviglia; capaci di vivere la vita come un dono; con la voglia di guardare avanti sempre; con il coraggio di ricominciare ogni giorno, con la passione per la vita!
Il Signore conservi, nel cuore di tutti noi, questo desiderio di vita, questa capacità di ricominciare ogni giorno, di dire mille volte il proprio "sì", per tentare di realizzare il capolavoro di una coppia in cui ci si voglia bene fino in fondo!
Il Signore ci aiuti!
1991
Uno dei guai che capitano e sono capitati sovente nella storia della Chiesa è il far dire ad una pagina del Vangelo più di quanto effettivamente dica. Uno dei motivi credo che sia la sottile tentazione, che c'è in ogni uomo, di dominare la coscienza del prossimo, ed è tentazione da cui gli uomini di Chiesa non sono certo esenti; credono spesso di essere liberi da altre tentazioni più basse, ma la tentazione di dominare le coscienze è stata spesso forte, in questi duemila anni, in chiunque abbia avuto potere nella Chiesa. Ma questo discorso ci porterebbe lontano...
Torniamo al Vangelo di oggi: ormai lo sapete stiamo seguendo il cammino che Marco ci indica per andare dietro a Gesù: è il cammino della gratuità, il cammino dell'amore totale, il cammino dell'ideale.
In questa pagina non si parla, secondo me, di divorzio, di separazione, del fallimento di un amore. Ci sono altre pagine del Vangelo, tantissime, in cui si parla dell'uomo che sbaglia, dell'uomo che fallisce, dell'uomo che non ce la fa. Chi sbaglia, chi non riesce a portare fino in fondo il suo progetto, non può che essere circondato di attenzione, di tenerezza, di misericordia, di pazienza. Non può che essere aiutato a rimettersi in cammino, a realizzare, se non tutto, almeno una parte del progetto di amore, senza il quale la vita non ha senso.
Quando incontrate qualche persona che vive con difficoltà il proprio matrimonio o qualcuno che si è separato - voi lo sapete per esperienza - di tutto ha bisogno quella persona, meno che del vostro giudizio, della vostra condanna. Se potete date una mano, ma non giudicate! Soprattutto non giudicate in nome del Vangelo! Il Vangelo con questo non c'entra nulla... Se il Vangelo non è comprensione e misericordia...
Voi mi direte: "Perché insiste, don Checco? Noi non siamo divorziati, né abbiamo intenzione di farlo". Molto bene! È proprio a voi che è rivolta la pagina del Vangelo che abbiamo letto. Proprio a voi che potete dire: "Io, grazie a Dio, non ho mai divorziato, io, grazie a Dio, non ho nessuna intenzione di farlo". Ma sei arrivato a essere "una cosa sola"? Vivi l'invito di Gesù a non stancarti di cercare la pienezza dell'amore, di condividere la vita, di riscoprire ogni mattina la bellezza, il gusto di volere bene, di capire, di accettare, di perdonare, di accogliere, di ricominciare sempre?
Ecco, di questo si parla qui. Di un ideale forse più grande del cuore dell'uomo. Se leggete il Vangelo di Matteo vedrete che i discepoli dicono: "Se è così è meglio non sposarsi!" Sembrava loro una cosa quasi impossibile diventare una "cosa sola". E voi avete sperimentato che non è certo una cosa semplice, e avrete anche intuito, come dice Gesù in un'altra pagina del Vangelo, che qui c'è la pienezza della gioia.
Ecco, di tutti noi si parla in questa pagina del Vangelo, di noi che tentiamo di andare dietro a Gesù, di camminare con Lui: noi non possiamo mai dire: "Sono arrivato, ormai la mia famiglia è perfetta, io sono a posto!" Nel cammino dietro a Gesù non si è mai arrivati: si tratta di ricominciare mille volte, di ricominciare sempre, di tentare di amare fino in fondo, come ci ha amato Lui. Vedete Gesù ci ha amato fino a condividere tutto, fino a donarci la sua vita, fino a farsi mangiare per essere una sola cosa con noi.
Ecco l'ideale delle nostre case: dei genitori verso i figli, dei figli verso i genitori, del marito verso la moglie e della moglie verso il marito: l'ideale di essere una "cosa sola", di donare se stessi, di dare tutto, di "farsi mangiare", di raggiungere veramente... non si può mai raggiungere... di camminare senza stancarci verso la pienezza dell'amore!
Di noi dunque si parla in questa pagina del Vangelo, non di chi non ce la fa a vivere il suo matrimonio, di chi ha fallito il progetto: di loro si parla in altre pagine.
Chiediamo allora al Signore che ci aiuti a camminare su questa strada, che rinnovi in tutti noi che siamo qui, la voglia di volere bene, di costruire veramente una famiglia in cui ci si ami fino in fondo.
Il Signore ci aiuti a farlo.
1988
Quando ripenso alla mia vita, riconosco di essere stato un uomo molto fortunato ed una delle fortune più grandi che mi è capitata, è quello di esser nato e di aver vissuto a lungo in una famiglia in cui il papà e la mamma (almeno finché, come dicevano gli antichi, la morte non li ha separati), si volevano bene sul serio, si capivano, camminavano insieme, erano veramente l'uno per l'altro. E come spesso succede, la fortuna non aiuta la gente a crescere, a capire: io per lungo tratto della mia vita sono andato avanti con la convinzione che volersi bene sul serio, in una casa, fosse una cosa naturale, semplice, facile, a portata di tutti. Per lungo tempo ho giudicato quelle famiglie in cui non si riusciva a volersi bene, come della gente incapace; perché era così semplice! io avevo vissuto questa semplicità nella mia casa, tutto mi sembrava ovvio, scontato, naturale.
L'esperienza che poi ho fatto mi ha insegnato tante cose, mi ha insegnato la difficoltà di vivere insieme, di essere una coppia; non è una cosa semplice. Facevo fatica, le prime volte che leggevo il Vangelo, a capire la reazione durissima che si legge negli altri Vangeli, soprattutto nel Vangelo di Matteo, a queste parole di Gesù. I discepoli non capiscono come non si possa ripudiare una moglie. Non capiscono questa idea, tanto che Gesù deve dire che non tutti possono capire questo discorso, lo capiscono soltanto quelli a cui è data questa grazia: ma come, c'è bisogno della grazia di Dio per capire l'importanza di volersi bene, di essere veramente una coppia!? Per i miei era tutto così semplice; la mia esperienza - ma penso l'esperienza di tutti voi - dice che semplice non lo è affatto, e forse è ovvio anche questo, perché tutte le cose grandi di questo mondo hanno bisogno dell'impegno dell'uomo, di un impegno totale; e non solo dell'impegno, ma anche della fortuna.
Avete ascoltato quell'antica parola della Genesi che suscita in voi, specialmente nei ragazzi più giovani un po' di curiosità: la storia della costola, staccata per formare la donna; vedete, gli antichi pensavano che all'inizio l'uomo fosse doppio: maschio da una parte, femmina dall'altra; che Dio l'avesse staccato e avesse mandato uno da una parte e uno dall'altra finché non si potessero incontrare. E quindi (come si diceva quando ero giovane io) ognuno cerca la propria metà, quella da cui Dio ci ha staccati in qualche vita precedente.
Ma non è sempre facile trovare l'altra metà. Ecco la prima sfortuna: molta gente non trova la sua metà; dobbiamo riconoscerlo francamente, semplicemente e aver comprensione per la gente che non l'ha trovata, che si è sbagliata, che ha trovato la persona che non era giusta: non era la sua metà, non andavano d'accordo i loro caratteri, né il loro modo di vivere, le loro idee e quindi tante cose non funzionavano in quella coppia.
Poi, perché una coppia sia veramente una coppia, c'è bisogno di un minimo di equilibrio mentale, un minimo di capacità di relazione con gli altri. Anche questo l'esperienza mi dice che non è facile!
E poi c'è la durezza del cuore e poi il peccato, c'è la pigrizia, la mancanza di coraggio, la mancanza di voglia di aprirsi, di condividere la vita. Tutto questo fa, del formare una vera coppia di uomini, una cosa quasi impossibile e oggi le cose si complicano perché molta gente intorno dice ai nostri ragazzi che non è bene formare una coppia per tutta la vita, uno deve fare tante esperienze, conoscere tanta gente.
Ecco, io credo fratelli che noi dobbiamo, come cristiani, come lettori del Vangelo, come gente che crede, riproporre a noi stessi e alla gente che cresce intorno a noi, l'ideale di una coppia, ma non come una cosa facile, a buon mercato: come un'impresa quasi impossibile che la grazia di Dio può donarci, dobbiamo avere il coraggio di dire alla gente che chi fa tante esperienze, non fa quella esperienza così preziosa per gli uomini, di invecchiare insieme; perché, vedete, l'esperienza di invecchiare la fanno tutti, (me ne accorgo perché comincio anch'io a vivere l'esperienza di invecchiare) ma il tenersi per mano fino alla fine, quella è veramente una grande impresa, l'impresa di chi ha saputo veramente mettere in comune qualche cosa, di chi ha saputo costruire, costruire con tutto l'impegno del proprio cuore, della propria intelligenza, del proprio amore, una coppia: una coppia in cui si condivide la vita, in cui si cammina insieme.
Non rimpiangete, non rimpiangete i tempi in cui si stava insieme per forza! Chi di voi ha conosciuto quel tempo sa quanto è difficile, sa quante violenze sono passate all'interno del matrimonio. Chi, come me, è stato dietro una grata di un confessionale prima, seduto ad un tavolino adesso, sa quanta violenza passa dentro le famiglie, quanta sopraffazione, quante umiliazioni! Non rimpiangiamo quando si stava insieme per forza, perché non era un bel mondo quello; ma testimoniamo, con tutto il nostro coraggio, la nostra fede nella possibilità di amarsi, e facciamolo tutti.
Io sono in mezzo a voi, e spero di farlo (pregate per questo) sempre più gioiosamente, testimone che si può vivere anche da soli e non c'è bisogno per vivere di una compagna e spero di esserne testimone fino alla fine della mia vita. Perché per volersi bene, in fondo, bisogna essere liberi, convinti che si può vivere anche da soli: solo allora si può vivere in due. Non so se mi sono spiegato: se uno non ha imparato a vivere da solo, se cerca l'altro soltanto perché ha bisogno dell'altro, non sarà mai capace di formare una vera coppia.
Allora io sono testimone che si può vivere gioiosamente da soli, che si può donare amore (almeno spero); ma voi, specialmente gli anziani, quelli che hanno la fortuna di avere il compagno, la compagna accanto, siate testimoni per i giovani di quello che significa volersi bene, amarsi, capirsi... La tenerezza degli anziani: è lo spettacolo che mi ha commosso di più nella vita; datela questa testimonianza, datela con gioia!
Chi è più giovane, i papà le mamme che sono qui, date ai vostri figli testimonianza di come ogni difficoltà, ogni dissidio si può superare con buona volontà, ricominciando da capo ogni mattina.
I ragazzi diano testimonianza che si può scegliere, che si può decidere di amare sul serio un'altra persona, che ci si può impegnare per tutta la vita, non soltanto per qualche tempo. Di questo ha bisogno il mondo di oggi, non di leggi che chiudano, che incapsulino, che regolino; ma di amore, di passione. Non dimenticate che alla fine di questo discorso, Gesù ha messo un bambino: non perché è ingenuo, ma perché il bambino ha la vita davanti, perché è capace di ricominciare ogni giorno, perché non c'è nessuno che abbia più passione, più desiderio di vivere di un bambino.
Ecco, questo dobbiamo testimoniare, il desiderio di vivere, ma dobbiamo farlo tutti, io, voi, i giovani, gli anziani: per essere in mezzo al mondo testimoni di questo ideale che Gesù ci ripropone con forza, l'ideale che c'era al primo mattino del mondo, l'ideale di una coppia umana che diventi veramente una "cosa sola".
Il Signore ci aiuti.
"Figlioli, com'è difficile entrare nel regno di Dio! 12 ottobre 1997
È più facile che un cammello passi per la cruna di un
ago, che un ricco entri nel regno di Dio" -"E chi mai
si può salvare?" -"Impossibile presso gli uomini,
ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio"
"Da dove vieni?", domandavo quest'estate ad un mio cugino, nel piccolo paese dove son nati i miei genitori. "Sono stato a lavorare al Pian dei Monaci e adesso me ne torno a casa", mi ha risposto. Già, il Pian dei Monaci: il terreno migliore del paese; adesso è proprietà di questo mio cugino, ma al tempo dei suoi nonni e dei suoi bisnonni, era proprietà dei monaci, che avevano tutti i terreni più buoni. E la povera gente era costretta ad andare a lavorare su, verso le cime dei monti, dove la terra produceva ben poco... e la fame era tanta!
E questo non è successo soltanto nel piccolo paese dove son nati i miei: mezza Italia un tempo era proprietà dei monaci! E potete immaginare quante prediche, i contadini di un tempo, hanno dovuto sentire sulla povertà... E quanta esaltazione di coloro che, come i monaci, lasciavano tutto per seguire il Signore! E intanto avevano i terreni migliori!
Le parole che si dicono a commento del Vangelo mi sembrano, a volte, un'orgia di retorica e di ipocrisia: parole vuote, insensate, lontane dalla vita concreta della gente.
Ma, vedete, il problema è serio: qualche volta ho la sensazione, che anche le parole che io dico, a commento del Vangelo, siano retoriche, lontane dalla vita concreta della gente: dai problemi del vostro lavoro, delle vostre case, delle vostre famiglie; dai problemi dei soldi, che sono importanti e che tutti ci coinvolgono. A volte mi capita di rileggere le cose che dico e trovo che sono parole astratte, lontane dalla vita.
Eppure, sono convinto - e me ne convinco sempre di più - che nel Vangelo ci sono le cose essenziali della nostra esperienza di uomini; che là potremmo trovare, insieme, i valori profondi ed essenziali della nostra vita. E penso che, per molti di voi, l'unico modo di incontrare la Parola di Gesù è il ritrovarci qui, insieme, ogni domenica: perché molti di voi non hanno altri spazi durante la settimana, per incontrare il Vangelo, per riflettere un momento sulle cose importanti della vita.
Perché vi dico tutto questo, trascurando magari, stasera, un po' il Vangelo? Perché, vedete, abbiamo un sogno - ce lo portiamo dietro da qualche anno, in parecchi - e quest'anno vorremmo tentare, se possibile, di renderlo, almeno un po', concreto: il sogno di rendere più viva, più partecipata, più autentica la nostra Messa, il nostro stare insieme la domenica.
Non può bastare quello che io dico! Perché un'assemblea di 300 persone deve dipendere da un uomo solo, e scemo come me? Perché non c'è qualcun altro che possa, in qualche modo, far partecipare tutti della sua fede, della sua fantasia, delle ricchezze del suo cuore? Non è una cosa semplice: è un sogno! e quest'anno vorremmo provarci.
E quindi da domani ricominciano gli incontri per le letture: trovate sulla porta due cartelli con gli orari. Non so in quanti gruppi si sceglierà di fare questo; ma penso che almeno in due o tre gruppi si farà. Poi vi faremo noto tutto, domenica prossima.
Vorremmo tentare di riflettere insieme sulla Messa, sul nostro ritrovarci qui; vedere come questa Messa possa essere - un po' più - un fatto di tutti. Sappiamo che non è semplice: quando si ritrovano insieme 300 persone, come siamo noi stasera, comunicare, far partecipare, non dipendere da una persona sola, che qui si arrabatta a fare il meglio possibile, è cosa difficile. Ma vorremmo che il nostro ritrovarci qui fosse più vivo, più fantasioso, più ricco: più ricco di segni, di temi, di simboli, di parole, di testi. Molti di voi non possono partecipare agli incontri che si svolgono durante la settimana, presi dalle cose della vita. Ma se qualcuno di voi ha un'idea, se conoscete dei testi, se avete delle esperienze, scrivetele o parlatene, o fate una telefonata.
Abbiamo bisogno di tutti, per tentare di realizzare, almeno un po', il sogno che il nostro ritrovarci insieme qui, il sabato e la domenica, sia più vivo, meno retorico, più concreto, più vicino alla vita! Ci aiuti, da una parte, a fare esperienza di Dio: di questo Dio che, come ci ha detto Gesù, è il solo "buono" - "Perché mi chiami buono? Solo Dio è buono" -. Fare esperienza di Lui significa fare esperienza dell'origine della nostra vita, dell'essenza del nostro essere uomini, dei valori assoluti.
Ma anche vorremmo che il nostro stare qui ci aiutasse a riflettere sul concreto della nostra esperienza: una parola che ci aiuti a trovare le cose essenziali del nostro cammino sulla terra. Per questo ci ritroviamo qui!
Non sarà semplice: ci vorrà un po' di pazienza da parte di tutti. Ma ci proviamo! Ve lo ripeto: se qualcuno di voi può partecipare a questi incontri vi diremo in quali giorni e orari si farà questo tentativo; se qualcuno di voi ha delle idee, dei testi, dei suggerimenti, dei segni, dei simboli, dei modi, delle esperienze... tutto sarà gradito, per tentare questa impresa!
Il Signore ci aiuti!
1994
Come avete ascoltato, "in viaggio" dietro a Gesù (è ricordato esplicitamente, questo viaggio, all'inizio di quello che abbiamo letto), nel cuore della nostra fede: oggi si affronta il problema dei soldi. Un problema molto complesso, se è vero - come dicono gli studiosi - che Marco riunisce qui almeno tre o quattro episodi diversi della vita di Gesù, messi insieme, forse, anche, in maniera non del tutto ordinata: Marco vuole che si guardi questo problema da vari aspetti. È una pagina importante perché tocca tanti aspetti della nostra fede; ma io non vorrei trattarne nessuno, praticamente: non vorrei stasera farvi una spiegazione di questa pagina così complessa; vorrei raccontarvi soltanto un paio di fatterelli, che servano per voi come simboli, come stimolo per pensare, per trovare poi le mille strade della saggezza della vita, saggezza così preziosa, come ci ricordava la prima lettura. Un paio di premesse, però, ai due fatterelli che voglio raccontarvi stasera.
La prima premessa: se queste parole del Vangelo si prendono alla lettera, come delle formule o, peggio, come delle leggi: se il modello del cristiano diventa colui che vende tutto, che si spoglia persino dei suoi abiti per seguire Gesù, la conseguenza è la negazione di una delle strutture fondamentali della vita dell'uomo, la struttura del denaro, della economia, del lavoro e la conseguenza è l'ipocrisia. Se non peggio: se non un incentivo allo sfruttamento della gente, dicendo ai poveri: "Tu rimani povero, perché tanto avrai, dopo, un premio nell'aldilà, nel paradiso". È successo anche questo nella storia dalla Chiesa e appartiene agli aspetti più ignobili della vita cristiana. Quindi parole, quelle che abbiamo letto, che possono essere uno stimolo a pensare, un invito a riflettere, ma mai una regoletta, mai il modello può essere l'uomo che lascia tutto.
La seconda premessa che vorrei farvi è che io non ho mai lodato il "bel tempo antico": chi ha conosciuto, come me, il tempo dei nostri nonni, quando la maggior parte della gente lavorava duramente, da mattina a sera, per guadagnare un pezzo di pane, per sopravvivere, non può rimpiangere quel tempo. Il tempo che noi viviamo è infinitamente più felice, più libero! Ci permette di vivere una vita dignitosa, da esseri umani. Certe prediche che ho sentito sul "consumismo" del mondo di oggi, sono un insulto alla fatica di chi ha lavorato duramente - i nostri nonni, i nostri padri - per permetterci di vivere in una società del benessere, in cui si può vivere la vita, non soltanto per mangiare, ma per tante altre cose.
Queste premesse vi pregherei di non dimenticarle, perché altrimenti fraintendete quello che vengo a dirvi adesso. Due fatterelli, dunque, semplici cosette, sciocchezzuole, ma che possono essere per voi un aiuto a riflettere. Mi trovavo in vacanza, quest'anno, e mi capitava di discutere con una giovane mamma: il problema era questo: "Fino a che punto - diceva questa mamma - io posso dire di no ai miei figli, quando mi chiedono - che so? - una bicicletta nuova, un paio di scarpe nuove, un vestito nuovo o di fare un viaggio, magari nell'altra parte del mondo?". Ed è un problema serio; perché - dicevo - io quando ero ragazzo, ai miei genitori certe cose non le potevo chiedere: perché non me le potevano dare ed io sapevo quali erano i miei limiti. Tutto quello che potevano darmi, me l'hanno dato: tutto! Questa mamma si trova nella condizione di poter dare ai propri figli qualche cosa, ma di non doverglielo dare. E quando non glielo deve dare? e come vive suo figlio questo rapporto con la mamma, che gli può dare qualche cosa, ma che non gliela vuol dare, per qualche motivo? e qual è questo motivo? Come ha da regolarsi questa mamma che non può dare ai figli tutto quello che le chiedono, anche se i soldi li avrebbe?
Un bambino riassumeva per noi la situazione: un papà ci diceva che un suo figliolo che va all'asilo gli chiedeva: "Papà, ma perché dobbiamo andare all'asilo a piedi, noi che abbiamo la macchina?" Io ho avuto la macchina a 30 anni: - nella mia famiglia non c'erano macchine (ora ce ne sono una decina), poi a 30 anni ho imparato a guidare e ho avuto la prima "seicento" scassatissima! - questo bambino, invece, appena nato ha la macchina. Chi gli spiegherà che può andare all'asilo a piedi per godersi una giornata di sole? per chiacchierare un po' col papà? per risparmiare un po' di carburante? per non inquinare il mondo? "Papà, ma se noi abbiamo la macchina, perché dobbiamo andare a piedi?" E soprattutto come giudicherà, questo bambino, chi la macchina non ce l'ha? Lo considererà ancora un uomo o un essere appartenente a qualche razza inferiore?
Il secondo raccontino che volevo farvi, con una piccola premessa: mi capita spesso, in questi giorni, di sentire parlare di soldi, capirete... viviamo in un momento di tangenti, di gente che ruba; e allora spesso si sente parlare di soldi. C'è molta sensibilità su questo discorso: quando se ne parla, si vede la gente subito animarsi: "Questi ladri dovrebbero tutti...". Se voi provate a metter là il discorso della libertà, della democrazia, del rispetto dei diritti della gente, vedrete già molto meno sensibilità! Ad ascoltar molte persone, sembra di essere in un paese in cui il governo è fatto tutto di rapinatori, pronti a spennarci come poveri pollastri, per metterci al fuoco... Tutti si lamentano, brontolano, gridano, strillano, quando si parla non dei soldi degli altri, che gli altri hanno rubato, ma quando si parla dei soldi propri: tutti noi sembriamo gente destinata ad essere assalita da avvoltoi, pronti ad approfittare dei nostri denari!
Ecco allora il secondo fatterello: sono andato venerdì scorso a portare la Comunione a delle persone malate, ‑ stanno in casa, le gambe non le reggono più, poverine! - mi colpivano due signore pensionate, le quali pagano anche l'affitto di casa e quindi fan fatica a tirare avanti, come potete immaginare. Bene: tutt'e due, dopo anni, sono per caso, in quest'estate, uscite di casa; e sapete che cosa ha colpito tutt'e due? Una è andata, accompagnata da una signora amica, al mercato e al supermercato, felice perché dopo tanto tempo poteva uscire e far qualche passo aiutata dal bastone e dalla sua amica, e sapete cosa ha detto?: "Mamma mia! quanto spende la gente! Sembra che tutti abbiano tanti soldi da spendere!"
L'altra, è andata in giro per l'Italia, portata da una famiglia amica che l'ha ospitata per qualche giorno - anche lei tutta contenta, perché usciva di casa dopo tanti anni - e pure lei ( mi ha colpito il fatto che tutt'e due facevano lo stesso discorso) diceva: "Mamma mia, quanto benessere! La gente spende e spande!". Allora, chi è che sta male? Chi è che è spennato? Sembra, a sentir la gente, che siano tutti sull'orlo della crisi più profonda: eppure, a guardarsi attorno, c'è tanto benessere! Ed è una cosa senz'altro buona!
Ma allora, perché ci lamentiamo tanto, se ci chiedono qualche sacrificio? Non sono giudizi, queste mie parole, non vogliono esserlo, la realtà è sempre molto complessa; sono solo fatterelli. Non dimenticate il bambino che dice: "Papà, ma se noi c'avemo la macchina, perché dovemo anna’ a piedi, all'asilo?". Non dimenticatelo, perché questo è un problema per tutti i genitori, che dovranno sempre di più dire di no ai figli, per cose che, pure, possono dar loro.
E non dimenticate queste due vecchiette, poverine, che non possono uscir di casa, ma che, quando escono, dicono: "Mamma mia! quanto spende la gente!" (tutta gente che se lamenta, che sta quasi pe' morì de fame!...).
1991
Ormai, penso, siete tutti abituati al linguaggio del Vangelo di Marco, e sapete che le sue parole non possono mai diventare una regoletta, una legge. I pochi che hanno fatto diventare legge o regola il "vender tutto" per seguire Gesù, hanno poi finito di vivere a ricasco degli altri, come potete immaginare, anche al tempo degli apostoli; perché voi sapete che la vita è una cosa seria, e il pane bisogna guadagnarselo lavorando con le proprie mani e l'ultima cosa da fare è "il vender tutto". Così poi non si può pensare di ricevere "chi lascia tutto, cento volte tanto in case, fratelli, sorelle e madri"; non si possono avere cento case, non si possono avere cento madri. Tutto questo per dirvi, ancora una volta, che queste parole non vanno prese come una regoletta, come una legge da seguire, altrimenti non le capiamo più. Sono però delle indicazioni che toccano il profondo della nostra vita, perché voi lo sapete, il denaro è una cosa importante nella vita dell'uomo, e spesso per il denaro l'uomo corrompe la sua vita. A volte, le guerre, le uccisioni, i rapimenti, sono fatti per sete di denaro, perché l'uomo ha basato la propria vita soltanto su quello che possiede. Voi vi sentite lontani dalle guerre, dalle rapine, dalle estorsioni, dal vender droga: nessuno di voi lo fa. Eppure, se riandate alla vostra esperienza, forse, qualcuno anche alla propria esperienza personale, vi accorgete che spesso il denaro, le cose, hanno corrotto la vita. Ho visto, a volte, dei fratelli litigare per un pezzo di terra lontano chilometri, e che loro non avevano mai visto. Lo avevano ricevuto in eredità e non riuscivano a mettersi d'accordo, non riuscivano a fare a meno di quella terra.
Mi raccontava mia madre.... Martedì scorso sono andato a trovarla e tornava dal suo piccolo paese dove è nata; e là, in cima a una roccia c'è una piccola chiesina in cui la gente del luogo, quattro case e non più di venti persone, vanno da cento anni e più; praticamente da quando c'è, sono sempre andati a pregare in questa chiesina. Un tempo, quando i preti erano abbondanti, andava qualche sacerdote anche a dire la Messa, ora non succede più. Sono andato anch'io una volta o due a dire una Messa per queste persone. Dunque, questa chiesina con della terra intorno è stata ricevuta in eredità da una persona la quale ha detto subito: "Datemi la chiave, la chiesa è mia e ci entro quando lo voglio io", e ha fatto scrivere da un avvocato a questa gente dicendo: "la chiesa è mia!" E badate bene, chi ha chiuso la chiesa va a Messa tutte le domeniche, fa parte anche di gruppi di cristiani ferventi.
È scattato in loro il meccanismo del possesso, il meccanismo del leone, della tigre che marcano il loro territorio, e guai se qualcuno ci entra dentro! Per il leone e la tigre fa parte della loro vita e fa parte anche della nostra vita, perché nelle nostre case non vogliamo che entrino gli altri: ed è giusto che sia così! Voi direte: ma non è giusto che hanno chiuso quella chiesa! Tra l'altro chi ha ricevuto l'eredità, non è mai entrato in quella chiesa, perché sta lontano, su uno scoglio. Voi direte: "Noi non l'avremmo fatto, noi non l'avremmo chiusa quella chiesa!" Ma voi non l'avete ricevuta in eredità! Chissà cosa sarebbe successo se l'aveste ricevuta in eredità? Se non avreste detto anche voi: "Questa è mia e guai a chi la tocca!". Perché vedete, il possedere le cose è qualche cosa che sta nel nostro cuore, e vi dico questo non perché giudichiate quella persona - posso assicurarvi, perché la conosco da quando ero bambino, che è persona bravissima, onesta - ma è scattato il meccanismo del possesso, dell'avere, un meccanismo che qualche volta scatta in me, qualche volta scatta in voi.
Ecco perché Gesù dice: "Occorre che noi superiamo questo sentimento del possesso che a volte corrompe la vita". Ma qui capite anche perché i discepoli dicono: "Ma se è così non si salva nessuno!" e capite la risposta di Gesù che non dice: "È facile"; dice anzi " È impossibile a voi, ma non per Dio! Perché a Dio tutto è possibile". È possibile anche togliere dal nostro cuore questa brama di possedere, questo basare la nostra vita su quello che abbiamo e non su quello che siamo. Questo Gesù ci invita a capire: la nostra vita non dipende dalle nostre cose, la nostra vita è più grande di quello che abbiamo; se non togliamo dal nostro cuore la volontà di possedere, di dominare, di attaccamento alle cose, non possiamo capire i valori più profondi della vita. Ma non è una cosa semplice, anzi per dirla come i discepoli: "è impossibile". Allora non ci resta che invocare lo Spirito che ci aiuti a farci più liberi, perché in questa libertà sta la gioia di vivere e di seguire il Signore.
1988
Come certamente vi siete accorti, la maggior parte di voi, ci troviamo nel cuore del Vangelo di Marco, in quegli ultimi capitoli in cui si tratta di andar dietro a Gesù, in quella strada che sempre più come avete ascoltato si manifesta impossibile: la strada dell'impossibile amore. Vedrete, domenica prossima arriveremo in fondo. Sono le pagine più forti del Vangelo di Marco, le pagine che rimangono davanti ad ogni cristiano. Se vi ricordate, ma non pretendo che ricordiate anche i miei commenti al Vangelo, domenica scorsa avevo incominciato facendo riferimento alla mia esperienza. Vi dicevo che io sono stato molto fortunato nella mia vita perché sono vissuto in una famiglia in cui ci si voleva bene. Vi ricordate: domenica scorsa il Vangelo parlava della coppia umana del diventare una "cosa sola". Se non vi dispiace troppo, continuerei su quella strada, farei ancora riferimento alla mia esperienza, continuo la storia, la storia del mio incontro con questa pagina del Vangelo. Vedete, un'altra delle mie fortune e forse non la più piccola, è quella di essere nato in una famiglia semplice, povera (forse non siete convinti che sia una fortuna nascere in una famiglia povera) allora diciamo la parola giusta: in una famiglia in cui c'era un corretto rapporto con il denaro. Vedete, ci si pensa sempre dopo a queste cose, penso che sarà capitato anche a molti di voi, ma quando io ho ripensato alla mia vita, mi son sempre dovuto rammaricare per quanto poco mi sono accorto degli sforzi che mio papà e mia mamma hanno fatto per crescerci (dico dal punto di vista proprio dei soldi) per permettere a tutti noi - eravamo 5 figli - di studiare.
Io sono nato nel 1937 proprio alla vigilia della guerra: i tempi della mia infanzia erano tempi difficili. I miei facevano i portieri in uno stabile, non c'erano molti soldi; vivevamo in una casa piccola, semplicissima, non c'era nemmeno lo spazio sufficiente per tutti, quando siamo diventati in sette. Eppure io sono cresciuto senza accorgermi che mi mancasse qualcosa, anche perché intorno eravamo tutti così, avevamo tutti quelle poche povere cose, andavamo tutti a scuola con i vestiti rattoppati e i bambini di oggi non sanno più che cosa è una toppa su un vestito, non sanno che esiste un uovo di legno (molti di voi sì) per rammendare i calzini, perché allora tutti andavamo in giro con i calzini rammendati (Sora Maria annuisce perché lei ne ha rammendati tanti di calzini in vita sua) e così tanti altri di voi, adesso non si usa più. Allora tutti avevano l'uovo di legno in casa, tutti avevamo i vestiti rivoltati: quando erano lisi, si rigiravano dall'altra parte e non ci accorgevamo che mancava qualche cosa. Mi accorgevo di qualche cosa quando, ragazzetto, accompagnavo la mamma al mercato (perché la borsa della spesa era pesante) e lei andava al mercato verso la fine, quando le baracche stavano per chiudere e passava tempo a contrattare sul prezzo. Io mi vergognavo come un ladro di questo suo contrattare, per risparmiare qualche lira. Ricordo l'imbarazzo di mio padre quando dovevamo andare a comperare un vocabolario grande: bisognava trovarlo usato, perché i soldi non c'erano e qualche volta (io ci ho ripensato dopo) si saranno tolti qualche cosa di bocca. Non sono andati mai a vedere un cinema; perché noi avessimo le scarpe, perché non ci mancassero le cose necessarie; non avevamo il superfluo, ma il necessario sì; per loro i soldi erano importanti, raggranellare qualche lira era uno degli scopi della loro vita.
E qualche volta quando andavo in chiesa - sapete allora i preti vociavano un po' - sentivo dire che il denaro era la rovina del mondo, era lo sterco del diavolo. Avete sentito anche voi questa frase, vero? Mi dicevo: in casa mia siamo fortunati, soldi non ce ne sono molti, noi siamo poveri, anche se non ci mancano le cose essenziali, anzi si dà sempre qualcosa ai poveri: mai un povero ha bussato alla nostra porta senza avere una mela, un arancio, qualche cosa.
Poi ci fu un episodio che mi fece molta impressione (ancora mi rimane impresso): una volta (facevo la prima o seconda media) sono entrato in una casa ricca: marmi per terra, tutto lucido, tende alle finestre, ci hanno servito la colazione - non riesco a ricordarmi perché capitai là - ci hanno servito la colazione su un vassoio d'argento, non avevo mai visto una cosa del genere. Sapete cos'era? Un convento di monache! Ho saputo dopo che erano monache americane; appartenevano ad un mondo di ricchi, noi eravamo poveracci dopo la guerra, ma l'ho saputo dopo, allora non lo sapevo. Sono entrato per la prima volta in una casa di ricchi ed era una casa di monache e mi è rimasto impresso! Poi nella vita ne ho viste e sentite tante: ho sentito frati vociare contro la ricchezza, poi pigliavano l'aereo per spostarsi.
Mio papà non è mai salito su un aereo, ma lui non parlava male dei soldi. Ho capito che i soldi sono una cosa terribilmente seria nella vita e gli uomini per bene, si danno da fare per procurarseli con l'onesto lavoro, trafficano dalla mattina alla sera per curarsi dei figli, per assicurare loro un avvenire tranquillo, per dar loro una casa, un futuro, per assicurarsi una serena vecchiaia; ho scoperto che giustamente nel mondo c'è gente che si dà da fare per moltiplicare il denaro, quindi il lavoro, il benessere. E tutto questo è veramente benedizione di Dio.
Qualcuno a questo punto dirà: "Ma che c'entra tutto questo con il Vangelo di oggi? Don Checco oggi se n'è andato per un'altra parte". Se mi seguite ancora un attimo con un po' di pazienza vi mostro che non me ne vado per un'altra strada. Tento di spiegarvi il Vangelo di oggi e sono convintissimo che se ne può parlare solo se siamo d'accordo su questo: che il denaro non è lo sterco del diavolo, non è una cosa cattiva, non è una cosa che porta rovina, anzi è cosa importante della vita. Allora possiamo andare oltre e ascoltare seriamente Gesù, perché ho visto tante volte nella vita, e anche voi potete essere testimoni, delle famiglie dividersi per un pezzetto di terra a 300 km. di distanza, che non avrebbero mai visto; quante famiglie rovinate per un po' di eredità, quanti litigi, quanti fratelli che non si parlano più, magari per un pugno di terra che non hanno mai visto... e hanno soldi in abbondanza! Ho visto amicizie finite per il denaro, ho visto della gente, spesso i commercianti, trascurare i figli, la moglie, per far soldi, preoccupati solo di questo.
Allora Gesù ha ragione, quando i soldi non sono uno strumento per rendere serena, felice, tranquilla la nostra vita, quando non sono un mezzo per far crescere bene i figli, per assicurar loro un avvenire. Quando i soldi, le cose, diventano il fine, quando io giudico una persona e me stesso per quello che ho, per la casa che sono riuscito a costruire, non per quello che sono, non per quello che ho nel cuore, per i miei sentimenti. Quando per i soldi tradisco un'amicizia, allora veramente sono perduto, veramente non c'è più salvezza per me. Ma per dire questo occorre prendere sul serio i soldi: non sono la rovina, sono una cosa importante, ma sono solo un mezzo, uno strumento, servono per assicurare la vita. Anche Gesù, che faceva il falegname, il muratore, si faceva pagare, perché era importante per lui mantenere la madre, la sua casa. Anche gli apostoli hanno conservato tutto, basta che leggiate le lettere di Paolo, perché i soldi sono una cosa seria, ma non possono essere il fine della vita, altrimenti, lo sapete, si diventa disonesti, si perdono i valori, si tradisce la vita.
Vi ho annoiato abbastanza, preghiamo un momento insieme.
"Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore. 19 ottobre 1997
Il Figlio dell'Uomo infatti non è venuto per essere servito,
ma per servire e dare la propria vita..."
Non giudicate male questi due apostoli: sono due eroi, due persone straordinarie. Non per nulla - come, penso, tutti sapete - Giacomo e Giovanni sono tra gli apostoli più importanti. Quello che Gesù chiede loro è di essere capaci di affrontare il combattimento fino alla morte: "Siete capaci di bere il calice che io sto per bere?". E dicono sì! Sono degli eroi che hanno seguito Gesù, fino a donare la vita. Cosa c'è allora di più normale, per due persone straordinarie come Giacomo e Giovanni, che chiedere una ricompensa, che cercare di ottenere qualche cosa? Non è questa la cosa più normale per un uomo?
E dove, allora, vuole portarli Gesù? -"Siate come me, che non son venuto per essere servito, ma per servire". Che significa, nella vita di questi due uomini disposti a dare tutto, anche a dare la vita? Cercano una ricompensa: forse Gesù vuole che gettino il loro cuore al di là. Forse vuole che nella loro vita ci sia solamente gratuità: capaci di donare, senza chiedere nulla in cambio?
C'è forse qualche cosa di più: l'invito a questi discepoli - ed anche a noi - ad andare addirittura al di là dell'essere eroi: "Come me!". Ma com'è vissuto, Gesù? Qualche volta noi ce lo dimentichiamo...
In mezzo alla nostra chiesa c'è questa croce: è il momento dell'esaltazione! Anche Lui è stato un eroe, anche Lui è stato capace di donare la vita! Ma per 30 anni non è stato forse nella sua casa di Nazareth? Là, la fatica di crescere e di diventare adulto; il lavoro di ogni giorno, la monotonia quotidiana! Senza che nessuno lo conoscesse, senza che nessuno sapesse niente. Non è questo, forse, il "servizio" più grande che un uomo possa fare? La vita silenziosa di ogni giorno, il quotidiano lavoro, il quotidiano accogliersi, la gioia dell'amicizia, la tenerezza di un incontro, la carezza fatta ad un bambino: non è questo, forse, l'aspetto più profondo e più autentico della vita e - se vi piace la parola - del servizio? Forse Gesù metteva la sua fantasia nel fare un po' meglio la ruota di un carro, nel mettere un fregio in più nella gamba di un tavolo, perché fosse più bella! Quel pizzico di gratuità, che fa più bella la vita: non è questa la tenerezza e l'amore, la gratuità, a cui Gesù invita Giacomo e Giovanni? Al di là dell'essere eroi, al di là del diventare persone importanti, al di là del cercare una ricompensa: la vita di ogni giorno, l'attenzione all'altro, il lavoro fatto con fedeltà?! Quelle cose che nessuno vede, quelle cose per cui non sarai nemmeno ricordato, per cui non ti innalzeranno una croce in mezzo ad una chiesa!
Vedete, noi Cristiani spesso siamo capaci di reagire, quando ci vengono chieste delle azioni straordinarie, eroiche. E magari si ha la ricompensa di essere ritratti dalla TV, apparire di fronte alla gente, sentirsi degli eroi. E questo è già una ricompensa. Tutti voi, penso, vi sarete rallegrati anche questa volta, nella disgrazia, della generosità degli uomini: migliaia di volontari, andati a prestare la loro opera, a mettersi al servizio della gente, con tenerezza, con dedizione. Anche voi vi sarete rammaricati quando nei giornali e alla TV vi hanno fatto conoscere e vedere solo gli aspetti più tristi, là dove mancava qualcosa. Una vecchietta la sentivo dire: "Cosa potevano fare di più, per noi? Ci mancava tutto e ci hanno dato tutto!". La tenerezza di chi si sente intorno persone che le vogliono bene, che cercano di darle una mano, di farle riprendere la vita!
Ma è questo solo il servizio? Ma è questo l'amore? Non è soprattutto la vita di tutti i giorni? Non è il lavoro di ogni giorno fatto con scrupolosa onestà e sollecitudine e magari condito con un sorriso e un pizzico di gratuità?
E in casa, i tanti gesti di servizio quotidiani, che magari non considerate gesti di gratuità: a nessuno viene mai in mente di dire "come Gesù!". Sì, come Gesù, quando vi siete messi la cravatta più bella per fare piacere alla vostra donna; quando, anche se non vi andava, l'avete portata a ballare perché a lei faceva piacere; quando, le avete fatto una carezza; quando avete fatto con passione l'amore con lei! "Come Gesù". Perché questa è la vita quotidiana, il servizio di ogni giorno.
È il crescere i figli, è il rispettarli così come sono, è aiutarli a diventare adulti, è il tentare di comunicare loro dei valori profondi. Non è questo il gratuito servizio di ogni giorno, quello di cui nessuno parla, quello che non apparirà mai sui giornali, quello che non vi farà nemmeno sentire degli eroi, ma della gente comune, di tutti i giorni... Non è questa, la grandezza dell'amore?
E poi, l'accoglierci e il rispettarci così come siamo e il perdonarci, quando c'è qualcosa da perdonare e il ricominciare! Non per aspettarci l'applauso o la ricompensa, nemmeno per guadagnarci il paradiso! Ma così, gratuitamente, per amore: l'amore di tutti i giorni, l'accoglienza di tutti i giorni, la tenerezza di tutti i giorni!
Se Gesù volesse dire a questi due, che si accingono a diventare degli eroi - e lo sono stati - semplicemente "Come me", nella vita di tutti i giorni, come quei 30 anni di Nazareth, senza essere un eroe (ed è brutto, quando si deve diventare eroi: c'è sempre di mezzo o la disgrazia o la violenza del mondo!); la tenerezza di ogni giorno, la vita condivisa, la gratuità, l'accogliersi, il camminare insieme... se Gesù volesse dire questo, a quella gente? Se il servizio, se l'amore, se il seguire Gesù fosse tutto qui: qualche cosa di tenero, di quotidiano, di bello?.....
Il Signore ci aiuti!
1994
"Come il Figlio dell'uomo, come Gesù, che non è venuto per essere servito, ma per servire e donare la propria vita per tutti": siamo arrivati alla fine del nostro "viaggio"! Come Gesù: è Lui la nostra meta, è Lui il punto d'arrivo del nostro cammino, è Lui la nostra guida, il nostro modello: è Lui l'unica nostra legge! Tenetela da conto, questa pagina straordinaria del Vangelo, che conclude il lungo cammino che Marco ci ha fatto fare dietro a Gesù.
Io, come sa chi mi ha ascoltato le domeniche precedenti, ho preferito, quest'anno, non fare commenti, ma raccontarvi dei fatterelli; e lo farò anche stasera. Soltanto dei fatterelli: vi prego di non prenderli troppo sul serio (non bisogna mai prendere sul serio le parole dei preti; tanto meno le mie...); di non considerarli, soprattutto, come un giudizio sulla vita: il giudizio sulla vita è sempre estremamente complesso, come complessa è la vita! Soltanto dei fatterelli, che io mi diverto a raccontarvi - mi son divertito a pensarli, a ritrovarli nella mia esperienza - e che voi spero vi divertiate un po' ad ascoltare; e, forse, per qualcuno può essere uno stimolo a pensare. Quindi, non un commento del Vangelo, ma soltanto dei fatterelli, dei simboli, delle parabole, se volete, sul "servizio" che forse vi aiutano a pensare.
Il primo: lunedì scorso sono andato ad una riunione dei preti qui, di Ostia: soliti discorsi un po' noiosi, come voi potete immaginare; ma poi - si era verso la fine - un sacerdote ha cominciato a raccontare di un'esperienza che avevano fatto nella loro parrocchia: l'anno precedente hanno accolto dei bambini di Chernobyl, molte famiglie si erano rese disponibili per ospitare questi bimbi; e poi diceva: "Vedete, anche nelle strutture pubbliche questi bambini sono stati accolti subito, a scuola li hanno fatti partecipare alle attività, anche all'ospedale li hanno subito visitati..." Io ascoltavo con un certo interesse. Accanto a me c'era un sacerdote di Ostia, mio amico da quando eravamo proprio ragazzi, una persona che ha sempre avuto una straordinaria capacità di intuire le situazioni; il quale mi fa: "Ecco, è la solita storia della moglie e dell'amante!". Io lo guardo come fate voi, con l'aria perplessa; e dice: "Sì: all'amante le si dice sempre di sì, le si fanno tutte le coccole e la moglie non la si fila per niente. Prova tu ad andare all'ospedale a farti visitare: te fanno aspetta' due o tre mesi, se tutto va bene! " .
Raccontavo questa storia ad un dottore, qualche sera fa; e diceva: "Eh sì, anche se c'hai un tumore o un cancro, te fanno aspetta' due o tre mesi". Forse è un'esagerazione; però qualche cosa di vero c'è!
È sempre comodo il "servizio" quando si fa una volta tanto, magari con tanto di giornalisti, fotografi e telecamere... Quello che conta è il servizio di tutti i giorni. Mi veniva in mente che questo discorso l'ho sentito fare tante volte dalle mamme, le quali brontolano contro i figli: "Va a fare il servizio, magari alla mensa o a fare ripetizioni agli altri; a scuola si comporta bene, aiuta pure gli altri, e a casa non si piega nemmeno un pantalone, non mette a posto la gonna, non tiene in ordine le scarpe." Chi sa se qualcuno di questi ragazzi - forse ce n'è anche in mezzo a voi - quando sarà diventato grande e il proprio partner si sarà fatto l'amante, si renderà conto che, in fondo, è lo stesso meccanismo! Che quello che è difficile è far le cose quotidiane, le cose di tutti i giorni: la fatica di condividere e servire la vita degli altri!
Una fatica - ecco il secondo fatterello - che qualche volta pesa! Mi capitava, qualche giorno fa, di parlare con una signora, che circostanze particolari della sua vita hanno portato a fare un po' il bilancio della propria esperienza. E con me faceva la lode della sua vita: ha avuto un bravo marito, ha avuto dei bravi figlioli; si rammaricava solo... me lo diceva: "L'unica cosa che mi dispiace, l'unico mio cruccio, che potrei anche confessare, è che ho fatto tutto il lavoro di casa senza entusiasmo: ho fatto tutto come se fosse un peso". Lo ha fatto! Dice: "L'ho fatto. L'ho fatto tutti i giorni; ho fatto tutto il mio dovere; ma non ci ho messo dentro l'entusiasmo". A lei tentavo di spiegare - questo l'ho fatto infinite volte, nella vita - che l'amore non consiste nell'entusiasmo; che lo spirito di servizio è fare il bene dell'altro, anche quando qualche volta ti pesa. E a lei ricordavo una frase, che mi disse parecchi anni fa, ormai, una giovane signora: ve la dico in romanesco, perché è più incisiva: "A Che', a noi c'ha fregato il '68! Dovemo fa' le stesse cose che facevano le nostre madri; solo che a noi ce scoccia!".
E quella signora aggiungeva: "E vede, padre, non solo a noi ci scoccia, ma noi dobbiamo fare anche, spesso, un lavoro fuori casa, a volte pesante; e in casa dobbiamo fare tutti i lavori che facevano le nostre madri. Questo mi ha pesato, nella vita". - E questo ha arricchito la vita di tanti di noi!
E aggiungeva, questa signora, che ormai sentiva di poter parlare liberamente: "Vede, padre: il fatto poi è che nemmeno se ne accorgono! Io sabato e domenica ho passato ore e ore a fare il cambio di stagione (sa, adesso viene il freddo ): ho fatto trovare a mio marito tutti i vestiti bene in ordine nell'armadio; così ai figli. Lo sa che non se ne sono nemmeno accorti? Nessuno che mi abbia detto: "grazie!". Danno sempre tutto per scontato, sempre come se tutto fosse dovuto!". E questa signora continuava a ringraziare la vita è continuava a rammaricarsi che non aveva fatto tutto questo con passione ed entusiasmo! Per fortuna che c'è qualcuno che lo fa ancora!
E allora, l'ultimo fatterello (ma questo, non è nemmeno un fatterello): qualche volta mi capita di vedere qualche persona che fa l'elemosina a degli aitanti signori che puzzano di vino lontano un miglio o a zingari che portano in braccio bambini piccoli. Non sarebbe forse meglio portare una rosa alla propria moglie e dirle "grazie" per i vestiti che ha messo in ordine?... Qui me devo ferma'; perché quando faccio 'sti discorsi c'è sempre qualche persona dal cuore gentile che poi, dopo la Messa, me vocia perché ho detto che non bisogna dare l'elemosina agli zingari... Avere il cuore gentile è una cosa buona; però forse sarebbe bene, qualche volta, anche pensare un po', per non incrementare l'alcoolismo o lo sfruttamento dei bambini!
Il "servizio" bisogna farlo con il cuore, ma anche un po' con la testa: per capire quello che veramente è servizio del prossimo, per apprezzare i gesti di amore e di servizio quotidiani nel posto dove si lavora: a casa, all'ospedale, per le strade... Di tutto questo noi viviamo: del servizio quotidiano, che a volte pesa, ma che ‑ per fortuna ‑ c'è ancora tanta gente che continua a farlo!
Il Signore ci aiuti tutti a farlo ancora un po'!
(Io vi ho raccontato soltanto dei fatterelli, se qualcuno di voi s'è divertito - e quindi la predica non è stata pesante ‑ io ho già fatto il mio "servizio". Se poi a qualcuno di voi ho dato anche uno spunto per pensare, abbiamo da ringraziare il Signore!)
1991
Come vi dicevo all'inizio, il nostro lungo cammino è finito - almeno a parole - perché sapete bene che si tratta del cammino della vita, il cammino di ogni cristiano che tenta di andare dietro Gesù. Ma nel Vangelo di Marco questo cammino finisce qui. Se voi tornando a casa, aprirete questo straordinario Vangelo, vedrete che subito dopo quello che abbiamo letto stasera, resta soltanto il grido dei ciechi che chiedono a Gesù di poter vedere, e poi c'è l'ingresso a Gerusalemme. Si arriva ormai in cima alla montagna. In cima alla montagna, alla fine del nostro cammino, come avete sentito, c'è Gesù. È Lui il modello del nostro andare, è Lui la nostra legge, è Lui la nostra montagna senza cima. Marco descrive il cammino dell'impossibile amore, quello che Matteo dice con una parola: "Siate perfetti come è perfetto Dio". Ecco, il nostro cammino non conosce confini, è il cammino della perfezione stessa di Dio, è il cammino dell'amore totale, è Gesù il modello della nostra esistenza: è dietro di Lui, dietro la perfezione del Suo amore, che noi tentiamo di camminare, tentiamo ogni giorno così come possiamo, da povera gente.
Voi capite bene.... ve l'ho ripetuto tante volte in queste domeniche in cui abbiamo letto questo lungo viaggio, che il Vangelo non può essere una regoletta. Se il Vangelo diventa una regola non si capisce più.
Oggi si tocca una cosa importante: il servizio, il non voler essere al centro, ma mettersi al servizio degli altri. Domenica scorsa si parlava dei denari, delle cose: oggi si parla di noi stessi. Cosa significhi questo nel concreto nei nostri giorni è qualche cosa da cercare senza stancarci.
Non può essere dunque una regoletta: in molte famiglie che io conosco, i genitori si mettono troppo al servizio dei loro figli e questo non è fare il loro bene; non significa che nell'ufficio bisogna accettare tutto, che bisogna essere coloro che fanno piaceri a tutti... non può essere una regola il Vangelo! È un atteggiamento del profondo, è il tentare ogni giorno di essere come Gesù, uno che non si mette al centro, uno che non pensa solo a se stesso, ma che vuole condividere la vita con gli altri.
A volte significa soltanto mettersi il vestito bello per far piacere alla moglie, a volte significa qualche cosa di più profondo, a volte significa addirittura, donare la vita. È la vita, sono le circostanze che ci diranno cosa significa per ciascuno di noi, nel concreto.
Questo servizio, l'ho detto tante volte ma lo ripeto, non significa fare cose straordinarie: non fa servizio soltanto chi va alla "mensa", è importante, va fatto, ma non è solo quello! Non fanno servizio soltanto i missionari: oggi è la giornata missionaria. Il servizio è fatto anche di cose quotidiane: metterci un vestito per far piacere a chi mi sta accanto, condividere la vita ogni giorno, fare il proprio lavoro onestamente e con attenzione verso chi ci sta intorno. È tutta la nostra vita, è quello che facciamo ogni giorno che è servizio.
E l'altra cosa che mi preme dirvi - perché ogni tanto ritorna questo problema - che il servizio è importante farlo, non sentire di farlo. Alcuni si pongono tante domande: Ma lo faccio per me o lo faccio per gli altri? Ma se lo faccio e mi fa piacere, non è ancora egoismo... Lasciate a chi scrive sui libri tutte queste inutili domande Il servizio è tentare di far piacere a chi mi sta accanto, è tentare di condividere la vita con chi vive con me. Tentiamo ogni giorno di dare un bicchiere d'acqua, di spartire la nostra esistenza con chi ci vive accanto, senza metterci sempre al primo posto, senza pensare di essere il centro del mondo. Condividiamo la vita, meglio che possiamo, questo ci farà sempre camminare con Gesù, che è venuto non per essere servito, ma per servire, per dare la Sua vita a noi e a ogni uomo che vive sulla terra.
1988
Come avete sentito, ritorna davanti a noi il tema del servizio che avevamo ritrovato soltanto un mese fa leggendo il Vangelo di Marco e lo troviamo alla fine del lungo viaggio. Se voi prendete in mano il Vangelo di Marco, vedrete che arriveremo alle soglie di Gerusalemme. Il viaggio, il lungo viaggio seguendo Gesù, si conclude con questa pagina. Dopo di questa, prima dell'ingresso delle Palme, che tutti conoscete, c'è soltanto il grido del cieco "Fa' che io veda".
I discepoli, lo vedete, non ce la fanno a seguire Gesù: domenica li abbiamo sentiti dire: "Ma se è così, chi si salva?". E noi tentiamo di andar dietro, su questa montagna che Gesù sale verso Gerusalemme, è il cammino della vita cristiana.
Ci troviamo qui - tutti voi ve ne siete resi conto ascoltando il Vangelo in queste tre domeniche, con oggi concludiamo questo ciclo - nel cuore del Vangelo di Marco, nel cuore del seguire Gesù, lo avete ascoltato nelle parole finali: "come il Figlio dell'Uomo che non è venuto per essere servito, ma per servire". Dico questo per sottolinearvi l'importanza di questa pagina del Vangelo che vi consiglio di rileggervi. Io, in queste due Domeniche - oggi ancora farò così - facendo appello alla vostra pazienza, vi ho raccontato un po' di fatterelli della mia vita, questo anche perché ormai da molto tempo, predico in questa chiesa. C'è qualcuno di voi che mi sente da vent'anni. Ma senza pazienza non si guadagna il paradiso, dicevano gli antichi. E allora uno deve anche inventarsi qualche cosa per non annoiarvi troppo; ecco allora io mi sono inventato di raccontarvi qualche storiella della mia vita. Poi succedono cose strane, qualcuno nelle domeniche precedenti mi ha detto che era contento perché aveva ritrovato qualche cosa della propria vita e che aveva riscoperto o almeno sentito dire dall'altare qualche cosa che aveva sempre pensato. E se questo è vero, anche questo è servizio.
Vi dicevo le volte precedenti, e poi con questo finiamo, non vi annoierò più, che io sono stato molto fortunato nella mia vita, nella mia famiglia, ma c'è stata anche una sfortuna. Io ho avuto la sfortuna di nascere in una famiglia in cui c'erano i primi e i secondi: io ho avuto la sfortuna di nascere primo, maschio e poi di farmi prete!
Allora, primo e maschio: i miei genitori vengono da una antica tradizione contadina, il primogenito maschio ha i suoi diritti e io li ho avuti tutti questi diritti. Mi ricordo che quando avevo 11‑12 anni, assistevo con aria divertita e distaccata, alle liti furibonde delle mie tre sorelle (dopo di me io ho 3 sorelle) che litigavano per lavare i piatti, non si sapeva mai a chi toccava, c'erano litigi furibondi, che poi mia mamma risolveva lavandoli lei. Io assistevo a tutto questo con aria molto giuliva perché a me non competeva, io ero maschio... mai lavare i piatti!
Poi mi sono fatto pure prete... non sia mai che un prete lavi i piatti, e questa è la mentalità che ha anche qualcuno di voi. Qualche volta mi trovano alla mattina a buttar via l'acqua o a spazzare il pavimento e dicono: "Lei fa queste cose?! non tocca a lei a far questo, i preti non lo fanno". Capite allora che nella mia vita ho fatto fatica a capire questa pagina del Vangelo in cui Gesù dice "chi vuol essere primo, sia l'ultimo e servo di tutti".
Io avevo in casa mia tanti servi: mia madre, mio padre, le mie sorelle; poi quando sono diventato prete ne dovevo avere altri. Per fortuna ho incontrato tanta gente, tanti amici, tanti preti, che mi hanno fatto capire lo spirito del Signore... e poi queste pagine del Vangelo, l'insistenza che c'è nel Vangelo di Marco sul servizio, mi hanno fatto vedere che questi privilegi non dovrebbero esistere nella chiesa, che il prete è un uomo come un altro, che anche lui deve dare la propria vita nel servizio, non solo nelle belle parole, ma nel concreto dei piccoli gesti di ogni giorno.
E vedete, non si tratta tanto di pulir per terra o di prendere una scopa per buttar via l'acqua, ma è una questione molto più profonda: è domandarsi: "Le cose che faccio, le scelte che opero, le faccio per mettermi in mostra, per avere sempre il primo posto, oppure per un vero servizio alla gente? "
C'è una domanda che attraversa la vita di un prete, un prete di parrocchia: "Nella cose che faccio, non condiziono forse gli altri, non li lascio liberi di essere se stessi?": forse sono questioni difficili, ma spero che qualcuno di voi possa capirmi.
Vedete, una cosa che mi è sempre pesata nel mio essere prete, è proprio questa: il rendermi conto di quanto senza volerlo il prete, un parroco, condiziona la vita della propria parrocchia. Delle persone si sentono accolte, delle altre no. Delle persone si sentono rispettate, valorizzate, delle altre no. E ti domandi: questo succede perché tu ami circondarti di persone che la pensano come te, che hanno il tuo stesso carattere? E allora lo hai fatto mettendoti al primo posto, non cercando di dare spazio a tutti, di valorizzare i doni di tutti, di accogliere tutti, di essere veramente al servizio di tutti.
Vedete, queste domande che attraversano ogni giorno la vita di un prete, la vita di uno che cerca di leggere il Vangelo, sono domande che dovrebbero attraversare la vita di ciascuno di noi: io ho parlato di me, ma questa domanda riguarda chi lavora in un ufficio, chi educa dei figli, chi insegna nella scuola. Quello che io faccio, lo faccio con spirito di servizio, di attenzione verso gli altri, cercando di lasciare la gente libera, oppure cerco di mettermi avanti, di mettermi al primo posto?
Io ho dovuto combattere contro i tanti pregiudizi che mi porto dentro da quando ero bambino: che un uomo, un maschio, un primogenito, un prete, ha tanti diritti e pochi doveri e non credo di aver vinto tutte le tentazioni.
Spero che voi siate più buoni di me.
Bartimeo, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 26 ottobre 1997
Allora Gesù gli disse: "Che vuoi che io ti faccia?". E il cieco a Lui:
"Rabbunì, che io riabbia la vista."
Quante volte nella vita ho incontrato persone che mi dicevano: "Beato te che hai la fede, perché possiedi la luce e non hai dubbi! Beato chi crede perché ha certezze nel cuore!". Quante volte nella vita ho ascoltato le autorità della Chiesa proporsi come "maestri di fede", che sanno tutto, che non sbagliano, che partecipano dell'infallibilità di Dio! Quante volte nella vita mi sono stati proposti, come modelli, dei "santi": uomini dalle virtù eroiche, che facevano il bene e non sbagliavano mai!
E poi, ti accorgi che, al di là della tua fede, ti porti tanti dubbi nel cuore; ti accorgi che colui che si presenta come datore di luce, spesso dice sciocchezze; ti accorgi che spesso nelle storie dei "santi" - di coloro che ti propongono come modelli - ci sono tante magagne: intolleranza, incapacità di capire il prossimo, arroganza!
Quelli tra voi che hanno fatto la stessa esperienza, possono facilmente capire lo stupore gioioso che mi ha colto quando ho cominciato a scoprire il Vangelo!
Perché qui, alla fine del viaggio - e badate: alla fine, non al principio del viaggio - c'è un cieco che grida. È lui il modello del credente! Non è colui che sa tutto. Non è colui che si sente buono: vi ricordate? lo abbiamo incontrato, lungo la strada, uno che si sentiva buono: il giovane che diceva: "Io ho osservato i comandamenti, tutti! Fin da quando ero bambino". Eppure, si ferma, convinto di essere buono, di essere arrivato. E quando Gesù gli dice: "Vieni con me", lui non ha il coraggio di camminare con Gesù!
Il nostro ritrovarci qui, intorno alla tavola, non è incontro di gente che sa tutto, che non si porta mai dubbi nel cuore, che si sente buona. È incontro di povera gente, di mendicanti di luce, di persone dal cuore pesante, che hanno bisogno di incontrarsi con Gesù; hanno bisogno del suo perdono, della sua liberazione, di essere, sempre di nuovo, rimessi in cammino!
Se aprite il Vangelo, leggete che Gesù tante volte si ferma a tavola, non con chi è buono, non con chi sa tutto, non con chi è arrivato... ma con i peccatori, con la gente dal cuore pesante, con la gente come noi! Con chi cerca la luce, con chi cerca la giustizia e il bene!
E allora, coraggio! Il nostro ritrovarci qui è incontrarci con Gesù: Lui ci pone davanti, ogni volta, il suo amore totale, la sua gratuità assoluta, la pienezza dei suoi valori. Ma poi ci prende per mano, così come siamo, ci accoglie alla sua tavola con i nostri dubbi, con le nostre cecità, con le nostre debolezze e incapacità! E ci invita a camminare ancora.
E allora gridiamo a Lui, come il cieco lungo la strada... È lui il modello della nostra fede, è lui il modello del Cristiano. È lui che Marco pone non all'inizio, ma alla fine della strada. È questo cieco, che accompagna il nostro cammino di credenti: uno che cerca la luce, che desidera, con passione, verità e vita!
E speriamo di farlo anche noi...
Il Signore ci aiuti!
1994
Vi dicevo, domenica scorsa, che il lungo cammino nel Vangelo di Marco, la lunga strada dietro Gesù era finita; un pochino in anticipo, come avete notato... non era ancora finita la strada: mancava il grido del cieco. Alla fine della strada c'è il grido del cieco, il suo bisogno di luce che esprime il bisogno di luce di tutti noi!
Vi ricordate la "strada"? La prima volta parlavamo dei soldi, del nostro rapporto con il denaro; la seconda volta del tentativo dell'uomo di formare una coppia in cui ci si ami fino in fondo; domenica scorsa si parlava del "servizio", della vita donata, condivisa: di essere "come Gesù". E abbiamo sentito, in questo "viaggio", i discepoli esprimere più volte il loro sconcerto: "Com'è possibile questo? come si può essere come Gesù?!". Questo sconcerto - ma soprattutto il bisogno di luce, di vita - è espresso oggi con forza dal grido di questo cieco: "Signore, fa' che io veda". Il grido del cieco va messo in questa "strada", altrimenti rischiamo di non capire, di vedere qui soltanto il prodigio; rischiamo di cercare Dio sempre a partire dai nostri bisogni, di pregare soltanto nei momenti di difficoltà, di non essere cercatori di luce, di senso, di valori autentici.
È importante che usciamo dalla "infanzia" del nostro essere credenti, per ritrovare, dentro di noi, il senso vero di Dio, il bisogno profondo di luce, di gratuità, di vita! Non so se - come ho fatto nelle domeniche precedenti - può aiutarvi a capire bene quello che tento di dirvi, un piccolo racconto, un fatto. Stavolta è proprio un raccontino piccino piccino...
Mi capitava, qualche giorno fa, di parlare con una ragazzina buona, dolcissima, che ormai frequenta le scuole medie e quindi comincia ad incontrare qualche problema nel cammino della sua vita: esce dall'infanzia, comincia a sperimentare la fatica di guardarsi intorno e di affrontare il mondo! E veniva a dirmi che aveva due problemi. Il primo: si accorge che qualche volta i suoi genitori sono ingiusti: se la pigliano con lei che è la più grande, mentre il torto è della sorellina più piccola... "Danno tutte le colpe a me e qualche volta non ce n'ho!". Ed io le dicevo: "Ecco, tu sei fortunata, perché questo significa che cominci a diventare grande: cominci ad accorgerti che qualche volta anche i genitori sbagliano. Ed è importante che tu sappia giudicare con la tua testa quello che è giusto e quello che è sbagliato. Porta pazienza! Ne avrai tanto di tempo, per crescere... Si fa fatica a crescere: bisogna conquistarsi il "diventare grandi"; e per far questo bisogna anche litigare un po' con i genitori". E lei mi guardava ed assentiva: aveva già capito - ormai è cresciuta - che qualche volta bisogna litigare anche con i genitori, bisogna non essere d'accordo con loro.
Il secondo problema che aveva era un problema di carattere religioso. Diceva: "Vedi, io ho pregato tanto, l'altro giorno, perché mi andasse bene la mia interrogazione; ma mica mi è andata tanto bene... e non è la prima volta che questo mi succede: prego, prego, ma Dio non mi ascolta!". La guardo e dico: "Adesso ascoltami attentamente: non solo con i genitori devi litigare, ma anche con Dio". Ha spalancato i suoi occhioni e ha detto: "Come?!". "Eh - dico - sì! Vedi, tu hai cominciato a litigare anche con Dio: hai chiesto qualche cosa; Dio non te l'ha data e tu brontoli con Lui! Ed è importante, questo; è importante per te: perché così, piano piano, capirai chi è Dio per te. Vedi, sarebbe troppo comodo se, ogni volta che devi sostenere un'interrogazione, bastasse chiedere aiuto a Dio! Perché un'interrogazione vada bene, bisogna studiare: è importante che tu capisca questo. È importante che tu capisca che Dio non viene a tappare i buchi, quando tu non riesci a fare bene una cosa: è importante il tuo sforzo, il tuo impegno! È importante che tu cerchi in Dio quello che è veramente importante nella vita!".
L'importante - possiamo aggiungere - è che ciascuno di noi cerchi in Dio la luce, i valori autentici. Il grido del cieco non può partire dai nostri bisogni, ma dall'incontro con Gesù, dai valori, dalla luce che Gesù si porta nel cuore! Non è importante soltanto per questa bambina che si affaccia alla vita: è importante per tutti noi uscire da una religione infantile, anche se perdiamo un po' della tenerezza e dell'ingenuità dell'infanzia.
Importante è sapere chi è Dio per noi, che cosa è venuto a fare Gesù sulla terra: non a risolvere i nostri problemi, non a tappare i nostri buchi - i buchi del nostro limite, della nostra incapacità - ma a portarci la sua luce, la sua passione per la vita, i suoi valori! Di questi abbiamo bisogno!
Il Signore ce li metta nel cuore! Lo Spirito ci apra gli occhi, ci doni la luce di Gesù!
1991
Brevemente, se mi riesce, perché in questa settimana ci incontreremo ancora venerdì che è festa di Tutti Santi, e poi sabato, e poi domenica: quindi rischiamo di fare indigestione di Messa e quindi anche di prediche. Avete sentito le ultime parole del Vangelo che abbiamo letto: il cieco va da Gesù, riacquista la vista e "prese a seguire Gesù lungo la strada". Qualcuno di voi che è attento dirà: "Ma come! Non siamo arrivati alla fine di questa strada? Non abbiamo seguito Gesù in questa lunga strada che Marco ci metteva davanti? E come mai il cieco si trova alla fine della strada? Alla fine della strada bisognerebbe trovare la luce! Come mai questo cieco proprio alla fine?".
Io sono sempre più convinto - credo di riuscire a comunicarvelo almeno un po' - che il Vangelo di Marco è qualche cosa di straordinario. Mi pare importante che questo cieco stia proprio alla fine: perché vedete, anche a voi qualche volta hanno raccontato quelle storie che sembrano barzellette, ma sono storie che ci fanno soffrire. Vi hanno raccontato che il cristiano è uno che non ha mai dubbi, che si fida ciecamente di Dio, che sempre vede tutto, che sa sempre come comportarsi; perché uno che legge il Vangelo ha la luce del Signore: quindi non può avere dubbi!
Marco è convinto che alla fine della strada non ci resta che gridare al Signore: "Fa' che ci veda! Dammi un po' della Tua luce!". Lo abbiamo cantato all'inizio. E che cosa ci riunisce qui se non questo desiderio di Lui! Di Gesù che illumini i nostri passi, ci faccia capire qual è la strada, qual è il bene da fare ogni giorno, qual è il senso profondo della vita. Chi di noi lo sa fino in fondo? Chi di noi ha capito? Chi di noi non si porta dentro, nel profondo del cuore, qualche dubbio, qualche difficoltà, l'ansia di vivere, di avere rapporti con la gente, di capire questo mondo, a volte così confuso, che ci sta intorno? Crede di vedere soltanto chi è intollerante, chi crede di sapere tutto. Se uno si porta dentro, come questo cieco e come spero tutti noi, un bisogno vero e profondo di luce.....
Avete sentito, questo cieco grida, cercano di farlo smettere e lui grida più forte, e quando gli dicono: "Vieni, Gesù ti chiama!" balza in piedi, butta il mantello e corre. Si porta dentro un bisogno di luce, di verità, di senso, la voglia di incontrare Gesù. Penso che ce ne sia un po' anche in noi, se giorno dopo giorno, da anni, ci ritroviamo qui ogni domenica con questo desiderio di incontrare Lui. Non vi preoccupate se anche a voi, che avete i capelli bianchi, ogni tanto vengono dei dubbi, se non riuscite a capire tutto, se non riuscire a vedere! È la condizione normale del cristiano. È il bisogno di luce che ci portiamo dentro. Ci ritroviamo qui ancora come poveri ciechi che chiedono a Gesù: "Fa' che ci veda un po', fa' che capisca, tieni accesa la mia luce finché non potrò incontrarti". Allora, finalmente, i nostri occhi si apriranno e potremo vedere pienamente la luce di Dio. Per ora è cammino, cammino attraverso questo nostro mondo, tenendo acceso quello che a volte è il lucignolo della nostra Fede, che fa un po' di luce, ma ci mette dentro ancora il bisogno di incontrarci con Gesù, perché ancora di più apra i nostri occhi.
Lo faccia per noi!
Apparve una moltitudine immensa, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. 1 novembre 1997
"Beati i poveri... gli afflitti... i miti... quelli che hanno fame e sete
della giustizia... i misericordiosi... gli operatori di pace ...
Qualcuno di voi avrà visto, venerdì scorso, verso la fine del programma "Super Quark", un servizio sul parto fatto con l'anestesia epidurale: parola un po' difficile, che suscitava la mia curiosità. Perché anch'io - dovendo fare qualche tempo fa una piccola operazione di prostata - ho approfittato di questa meraviglia della medicina moderna: una anestesia che toglie soltanto il dolore e lascia intatti i movimenti e tutta la capacità dell'uomo di partecipare a tutto quello che accade.
E oggi questa tecnica viene usata anche per partorire. Ma in quel programma veniva sottolineato il fatto che in Italia si usa molto raramente questa tecnica.
Mi capitava il giorno dopo di parlare di questo con una dottoressa, che lavora qui nell'ospedale di Ostia; la quale mi dava una buona notizia: all'ospedale di Ostia si usa questa tecnica. Ma poi parlavamo del fatto che molto spesso in Italia - e lei conveniva su questo - i medici sono poco sensibili al tema del dolore, della sofferenza: "Fa parte della natura, soffrire!" (figuriamoci se non è naturale soffrire quando si partorisce... non dice anche la Bibbia: tu partorirai con dolore?).
Molti di voi a questo punto diranno: "Ma che c'entra tutto questo con la festa dei Santi!". Eh, pensateci un po': non hanno detto anche a voi che i Santi erano esperti nel soffrire? A me, quand'ero piccino raccontavano che S.Luigi Gonzaga il venerdì non ciucciava il latte della mamma... per fare digiuno! E mi raccontavano di santi che si flagellavano, che si mettevano il cilicio. Insomma, spesso una esaltazione della sofferenza.
Se poi a questo aggiungete l'importanza che ha nella nostra tradizione il mito della natura, ecco spiegato il nesso tra il fatto che in Italia si pratica poco il parto epidurale e il culto dei Santi.
Perché, vedete, i Santi appartengono spesso al mondo del mito: loro erano persone concrete, ma poi, quando si narrano le loro storie, spesso vengono utilizzati in maniera ideologica, per imporre un modo di pensare, per controllare la coscienza delle persone, perché la gente non pensi! E il mito fa comodo a molta gente, perché è faticoso pensare... Ma fa comodo anche a chi comanda: il quale non desidera altro che le persone non pensino...
Considerate qualche mito dei nostri giorni e, se non volete avventurarvi nella cronaca, andiamo alla storia: pensate a Hitler, a Mussolini. E ricordate le celebrazioni, le feste, molto simili alle processioni dei Santi: grande folla, grandi applausi, grandi rituali, forti emozioni!.. Perché la gente non pensi! Perché gli uomini non si sentano liberi!
Ecco, allora il corto circuito fra una certa tradizione - l'esaltazione dei modelli, dei miti, dei prodigi - e la storia.
Quanto lontano, da questo, il Vangelo! Il Vangelo non ci presenta dei miti, non ci presenta dei personaggi straordinari. I discepoli sono descritti in tutta la loro povertà: la difficoltà di seguire il Signore, le loro vigliaccherie, i loro dubbi, la loro fatica di credere!
E anche Gesù - lo ricordate?- lo leggevamo soltanto qualche domenica fa: gli si presenta uno e gli dice: "Maestro buono..." - "Perché mi chiami buono? Solo Dio è buono!" E un altro gli chiede: "Che debbo fare in questa circostanza?" - "E perché lo chiedi a me? Non hai una testa, per pensare tu quello che è giusto?".
E le parole di oggi: non un modello: "Beati quelli che si portano nel cuore la fame e la sete della giustizia; beati i misericordiosi, beati i pacifici"... Quanta gente ha attraversato il mondo senza che nessuno li conoscesse, senza che diventassero un mito, senza che il loro nome fosse scritto nella storia e nemmeno sui giornali!
Quanti ne abbiamo conosciuti anche in mezzo a noi: gente dal cuore tenero, gente appassionata e desiderosa di giustizia, gente mite e misericordiosa, operatori di pace!
A questo ci chiama il Signore.
E speriamo anche noi di conservare nel cuore i valori di Gesù!
1994
Un antico proverbio, che penso voi tutti conosciate, diceva: "Scherza coi fanti e lascia stare i santi". Proviamo stasera a "scherzare coi santi": forse in chiesa si può fare. Chi sa che aiuti qualcuno a riflettere o almeno impedisca a qualcuno di voi di fare, in questi giorni, indigestione di prediche... che sono indigestioni sempre molto pericolose!
Qualche giorno fa, in una delle nostre riunioni, si è posta questa domanda: "Chi è più santo: san Francesco oppure Agnelli, il mitico fondatore della FIAT?" Qualche anno fa una domanda del genere sarebbe sembrata una bestemmia, come penso sembri a molti di voi, vero? Qualcuno diceva: "Ma, in fondo, Agnelli ha lasciato delle fabbriche che hanno dato benessere, sicurezza, lavoro, a migliaia e migliaia di persone. San Francesco che ha lasciato? i francescani, i loro conventi: che spesso hanno affamato la povera gente. Allora, chi è il santo?". Un altro diceva: "Ma i francescani non hanno fatto solo questo e san Francesco ci ha lasciato anche la sua poesia, il suo senso di Dio, che sono cose preziose!". L'abbiamo piantata qui, perché era poco più di uno scherzo; avevamo altre cose da discutere.
Tutto questo mi è tornato in mente, preparando quello che dovevo dire stasera; mi son chiesto: "Checco, chi sono i santi?" E sapete la prima risposta che m'è venuta in mente? "Papà, nonno, la zia Maria, lo zio Pietro...". Non vi preoccupate se non li conoscete: non è che vi sfuggano, per ignoranza, grandi personaggi della mia famiglia! Non sono "nessuno" queste persone che vi ho nominate. Sono persone che hanno vissuto la loro vita facendo il proprio dovere, giorno per giorno, con pazienza e fedeltà. Il loro nome non lo cercate sui libri di storia: non c'è; non cercatelo nemmeno sui giornali - sui giornali vecchi: ormai non ci sono più, da qualche anno!-: non lo trovate nemmeno lì.
Non erano proprio nessuno, nella storia del mondo! erano gente di tutti i giorni. Gente che ha vissuto il proprio dovere con fedeltà quotidiana, con pazienza, gente che ha saputo fare i piccoli miracoli dell'amore di ogni giorno, i gesti di tenerezza, di attenzione verso gli altri, era gente mite, pacifica, buona. Gente fedele al proprio quotidiano! Gente di tutti i giorni! Ed io credo che valga la pena fare memoria di questi santi, in un tempo come quello che noi viviamo, in cui sembra contare soltanto chi appare, chi ha un nome altisonante, chi si vede alla TV (adesso, fanno anche Cardinali, per meriti televisivi...); un tempo in cui si fanno molti proclami, in cui troppi sentono il bisogno di alzare la voce.
E non soltanto c'è questo desiderio di apparire, di mostrarsi; c'è anche, nella gente, forse un po' anche dentro di noi, il desiderio dei "miti": di qualcuno da esaltare, del "salvatore della patria"! La spina dorsale della vita sono persone come mio padre, come mio nonno, come mia zia, mio zio: gente come molti di voi: gente che fa il proprio dovere giorno per giorno, anche se non è ripreso dalla TV, anche se il loro nome non appare sui giornali. Gente che ha il coraggio di vivere il proprio quotidiano con fedeltà, con amore: facendo ogni giorno il proprio dovere, lavorando con passione, essendo attento agli altri, cercando di mettere nella vita un po' di tenerezza, un po' di amore, un po' di fedeltà e tutta la pazienza che ci vuole! perché a volte, lo sapete, ce ne vuole molta!
Ecco, questi sono i santi che hanno fatto la storia: la spina dorsale dell'umanità, quelli che hanno portato fino a noi il progresso, la ricchezza della vita. Per un medico il cui nome appare sui giornali, pensate quanti ce ne sono che lavorano quotidianamente, ricercando nei laboratori, studiando, curando... per sapere il loro nome, dovete leggere libri di specialisti e forse non li trovate nemmeno. Pensate quanta gente che lavora, in ogni professione, in ogni angolo della terra, con onestà e dedizione! Sono i santi di tutti i giorni, i santi senza nome, quelli di cui oggi facciamo memoria: la gente che vive il proprio compito quotidiano, che vive il proprio dovere di ogni giorno; che, con pazienza, cerca di fare il mondo un po' più bello di come l'ha trovato, quando è nato!
Speriamo di far parte anche noi di questa schiera! Il Signore ci aiuti.
1991
Mentre pensavo a qualche cosa da dirvi in occasione di questa festa, mi veniva in mente la lettura che abbiamo fatto, proprio in questi giorni, del secondo capitolo del Vangelo di Luca: il contrasto che c'è, all'inizio del Vangelo, tra il grande Augusto, l'imperatore di Roma, che allora riempiva di sé tutto il mondo, e il piccolo Bambino Gesù, un Bambino, una stalla, una mangiatoia; eppure la verità, la vita, stava dalla parte di quel Bambino. Era Lui il Signore della storia, non il grande Augusto.
Voi direte: Cosa ci combina questo con la festa di tutti i santi! Ma se avete notato, scorrendo il calendario, tutti quelli che sono scritti là, hanno fatto grandi cose: chi ha costruito qualche cosa, chi ha fondato una città, chi ha fondato un ordine religioso.. Insomma, sono anche loro un po' come Augusto. Penso che a nessuno di voi sfugga il sapere che oggi per essere dichiarati santi, di una cosa fondamentale c'è bisogno: avere molti soldi. Senza soldi non si cantano Messe, non si fanno santi!!
Noi non facciamo memoria di quelli che sono scritti sul calendario, ma di tutta la povera gente del mondo, che magari sono più santi di quelli che stanno sul calendario: perché se leggete la loro storia, scoprite che uno ha fatto bruciare cinquecento eretici, un altro ne ha ammazzati duemila: chissà se il Padreterno li ha considerati come santi, quelli là! C'è oggi, per fortuna, questa festa in cui si fa memoria dei santi anonimi, di quelli che non stanno scritti sul calendario, di quelli che nessuno conosce: soltanto Dio li conosce. È gente che ha attraversato la vita con la fame e la sete di giustizia nel cuore. Gente misericordiosa, o che almeno ha cercato di esserlo, gente mite, gente paziente, gente che ha cercato di donare intorno a sé un po' della propria vita, gente che ha cercato la luce, che ha camminato sulla strada del Signore.
La bella immagine dell'Apocalisse dice che sono una moltitudine immensa, e non soltanto di cristiani, ma di ogni razza, popolo e nazione. Credo che anche voi abbiate i vostri santi nella vostra vita, qualcuno che vi ha offerto un po' di sé, qualcuno che vi ha testimoniato Gesù, qualcuno che è stato per voi un segno di tenerezza, di bontà, di mitezza, di misericordia, qualcuno che ha avuto con voi fame e sete di giustizia. Ecco, di tutti questi noi facciamo memoria oggi, sentendoci in cammino con loro. Penso che nessuno di voi finirà sull'elenco dei santi - penso di non farvi un torto dicendovi questo - ma Dio non si dimenticherà di nessuno di noi, povera gente che cerca di camminare seguendo il Signore, cercando la Sua pace, la Sua giustizia. È questa la santità vera.
Il Signore ci aiuti a camminare sulla Sua strada.
Io lo so che il mio Salvatore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! 2 novembre 1997
"Questa è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede
in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno".
In ogni angolo della terra, sotto tutti i cieli, fin da tempi antichissimi, si conservano ricordi del culto dei morti: l'uomo ha sentito il bisogno di onorare i morti, di far memoria di quelli che non c'erano più, di sentirli ancora vivi e presenti. Ma sentiva anche, con forza, l'esigenza di difenderli, di fare qualcosa per loro.
Spesso questo culto dei morti era - e in parte forse è ancora - basato sulla paura: paura che, al di là della soglia della morte, ci fosse qualche cosa di tenebroso: il mondo delle ombre, il mondo dei pericoli! E allora si parla degli Inferi, dei mostri, di grandi fiumi da attraversare, di viaggi avventurosi, a cui bisognava preparare la persona morta. Sono state trovate sepolture antichissime di persone che avevano una moneta tra i denti: una moneta che serviva per affrontare qualche pericolo al di là della soglia della morte.
La grande fede di Israele, ha cercato di cancellare questa paura, di conservare la certezza che al di là della morte non c'è qualche cosa di tenebroso, il buio, le cupe forze del male; ma il volto e il sorriso di Dio! Lo avete sentito espresso nelle parole di Giobbe: "Io so che, ultimo, sulla polvere, si alzerà il mio Salvatore!"
E Gesù è venuto proprio per toglierci questa paura delle ombre della morte, dei terrori dell'aldilà, dei mostri notturni. È vero che noi abbiamo sostituito questa paura con un'altra paura: la paura del Giudizio, le cupe e tenebrose immagini dell'Inferno, del Purgatorio, la gente che tribola nelle fiamme... E quindi il bisogno di far qualcosa per loro: i suffragi moltiplicati, le messe ripetute, nel tentativo di aiutare i nostri morti.
Un bisogno da molti sentito profondamente e alimentato molte volte, nel corso della storia, dai frati, dai conventi, dai preti, che di questo vivevano (a volte nel profondo bisogno!). Voi avete anche il merito di averci - almeno qui - liberati dal bisogno di dover chiedere.
E forse per questo, e con maggiore franchezza, possiamo dire: "Ma in che Dio crediamo?! Qual è il Dio che ci annunziato Gesù?" È il Dio che libera dalla paura, anche dalla paura di quello che c'è di là, dalla paura del Giudizio, dalla paura della vendetta di Dio, dalla paura delle fiamme!
Noi non possiamo far nulla per quelli che son morti! E non perché è irrimediabile la loro sorte, ma perché sono affidati nelle mani di Dio: mani più forti, più amorose, più tenere delle nostre! Coloro che ci hanno preceduto, a Dio li abbiamo affidati, alla sua luce, alla sua vita; al suo amore, alla sua tenerezza!
"Allora - dirà qualcuno di voi - perché farne memoria qui?". Per due fondamentali motivi. Il primo è un motivo di giustizia: non dobbiamo permetterci di dimenticare le persone che ci hanno voluto bene, che ci hanno circondato di tenerezza, che ci hanno offerto un po' della loro vita!
Uno dei segni della vita che passa (e chi ha i capelli bianchi può capirmi) è che si allunga l'elenco dei morti! Ci pensavo proprio nei giorni passati. Ormai son 27 anni che sono qui: l'elenco delle persone care andate di là, si allunga sempre di più! Persone giuste, buone, che ci hanno circondato di amicizia, che hanno vissuto con onestà, con tenerezza, con amore, in mezzo a noi! Noi ne facciamo memoria, perché siamo debitori verso di loro, di tutto quello che ci hanno dato!
Ed è giusto conservare la gratitudine nel cuore; è giusto ricordarli qui, anche tutti insieme!
Ma c'è un altro motivo: noi li ricordiamo, qui insieme, intorno alla tavola, perché insieme vogliamo far memoria di Dio, del suo amore! A Lui queste persone, che ci hanno voluto bene, sono affidate! La fede in Dio è quello che cerchiamo di alimentare qui; la speranza che il cammino della nostra vita non è un lento scorrere verso il nulla, ma l'andare verso Dio, verso il suo sorriso, la sua luce!
Il mondo che ci circonda non viene dal nulla - non è scaturito dalle forze cieche del caso - e non va verso il nulla. Ci riunisce qui la fede che noi veniamo dalla tenerezza di un amore e che verso questa luce, questa tenerezza andiamo!
E le persone che ci hanno preceduto sono nelle sue mani: la loro vita è custodita in Lui! Il bene che hanno fatto non andrà perduto! Per questo siamo qui. Non hanno bisogno di noi; non hanno bisogno che facciamo nulla per loro. Siamo noi, che abbiamo bisogno di fiducia, di speranza; di credere alla vita, di conservare la gratitudine nel cuore!
Per questo siamo insieme, anche oggi.
1994
Uno dei prezzi più alti che dobbiamo pagare al progresso dell'uomo, è la sensibilità di fronte alla morte. Vedete, i nostri vecchi e quelli che son vissuti ancora prima, vedevano la loro vita spesso attraversata da epidemie, che portavano via tante persone: vecchi ma anche giovani, anche bambini. Quasi tutti hanno conosciuto anche la guerra, che uccideva tanti giovani che andavano a combattere. La maggior parte dei bambini moriva prima di raggiungere i 5 anni. Intorno alle chiese di un tempo c'erano sempre i cimiteri, che rendevano la morte qualche cosa di familiare.
Per noi, per fortuna, non è più così. La morte di un bambino, la morte di un giovane - che per noi avviene spesso per un incidente, per una malattia improvvisa, per qualche causa che non riusciamo a capire o per la violenza del mondo - è qualcosa di insopportabile, un dolore lancinante che sconvolge nel profondo. Queste cose noi le vediamo alla TV e ci sembrano sempre lontane; ma poi, quando attraversano da vicino la nostra vita, la vita è come lacerata, distrutta. Ed anche le antiche parole della fede non ci sostengono più: il grido verso Dio è un grido doloroso, a volte disperato! Quelli di voi che hanno provato queste sensazioni, che hanno sentito la loro fede non abbastanza forte, per sostenerli in questi momenti, non si scoraggino, non si sentano in colpa, non abbiano paura! È la nostra condizione di uomini che, per nostra fortuna, per merito di tutti quelli che ci hanno preceduto, non siamo più abituati alla morte, soprattutto alla morte di un bambino o alla morte di un giovane.
Ma proprio questo dolore così forte e lacerante ci fa scoprire la bellezza della vita! In un tempo in cui capita spesso di sentire la gente che si lamenta di tante cose, sono proprio questi momenti che ci danno il senso di quanto la vita sia preziosa, in ogni suo attimo, in ogni suo momento, in ogni suo spicciolo! Di fronte alla morte di un giovane sentiamo tutto il valore della vita, sentiamo che vale la pena che si faccia di tutto, perché sia sempre più bella, per chi ci sta intorno, per la gente che vive con noi!
E noi siamo qui, proprio per fare memoria di tutti i momenti, che le persone che ci hanno preceduto, ci hanno regalato: di tutti gli attimi di tenerezza, di bontà, di attenzione!
La maggior parte di noi penso sia stata fortunata: abbiamo avuto delle persone care, da cui siamo stati amati, che ci hanno arricchito la vita: li ricordiamo con nostalgia; ricordiamo tanti momenti belli, che hanno fatto più dolce e più ricca la nostra vita.
E proprio mentre ricordiamo ogni attimo, ogni spicciolo di vita, li affidiamo con fiducia nelle mani di Dio. Spero che nessuno di voi, che è qui stasera a far memoria dei propri morti, abbia paura che loro soffrano in questo momento: non si può soffrire nelle mani di Dio! Gli uomini spesso conoscono la violenza, che fa soffrire; ma Dio non può conoscere la violenza!
Noi conserviamo la vita di coloro che ci sono stati cari nella nostra memoria, nel nostro affetto, nella nostra riconoscenza; e li affidiamo alle mani amorose di Dio, convinti che è il Dio della vita, il Dio della tenerezza, il Dio della gioia, e che Lui li ha accolti nella Sua festa!
Non è facile a volte, per noi, credere in questo, specialmente quando il dolore è forte, quando lacera la nostra esistenza. E allora guardiamo la croce di Cristo e come Cristo gridiamo: "Padre, nelle tue mani affidiamo la vita!" La vita nostra, la vita di chi ci ha preceduti! A volte è soltanto un grido, un gemito, quello che riusciamo ad emettere. Ma questa è la fede che ci riunisce qui: la vita dell'uomo è nelle mani di Dio, è nelle mani del Dio della vita!
Con questa fede, noi facciamo memoria di coloro che non sono più!
1991
Siamo qui riuniti in questo giorno da sempre dedicato alla memoria di quelli che sono morti. Mi domandavo: Perché facciamo memoria di loro? Perché è importante fare memoria delle persone che sono morte? Vedete, quando ero piccino... sono tra i primi ricordi del mio mondo religioso, ricordo che ero preoccupato per quelli che erano morti, perché mi avevano detto in tanti che dovevo immaginarli tra le fiamme, sofferenti, e che io dovevo pregare Dio con insistenza, perché Dio aiutasse queste persone. Io mi sentivo un po' responsabile, perché se non pregavo, questi continuavano a soffrire e un po' poteva essere anche colpa mia.
Allora erano persone generiche, perché non avevo nessuno di cui far memoria; c'erano ancora tutti: ho avuto la fortuna di conoscere tutti i miei nonni, non ho avuto nessuna tragedia da bambino che mi avesse fatto incontrare con la morte; era qualche cosa di generico. Vedevo, qualche volta, delle immaginette con tutta questa gente tra le fiamme e sentivo che dovevo pregare, io piccolo bambino, affinché Dio liberasse qualche anima. Forse devo essere grato a quelle persone che mi hanno parlato così; perché poi, crescendo, ho avuto la gioia di scoprire chi è Dio veramente.
Ma pensate che Dio possa aver bisogno di un bambino per liberare un'anima? Le persone che sono morte sono affidate a Dio! La nostra preghiera per loro non può essere che una preghiera gratuita. Nel mio crescere - e spero che anche voi abbiate avuto questa gioia - ho scoperto la gratuità del rapporto con Dio. Un rapporto commerciale nuoce alla nostra religione. Dico una preghiera e Dio fa qualche cosa per quella persona che mi è cara. Faccio un'offerta e Dio libera un'anima. Al tempo di Lutero si diceva che quando la moneta tocca il fondo della cassetta, l'anima schizza fuori dal purgatorio... Adesso possiamo ridere di queste cose.
Abbiamo scoperto, - almeno io l'ho sentito e posso testimoniarvene - la gratuità dell'incontro con Dio, la gratuità dell'amore di Dio.
Ma mi domanderete: Allora perché facciamo memoria dei nostri morti? Che senso ha farne memoria? La prima cosa per cui dobbiamo far memoria è la gratitudine. Tutti noi abbiamo qualcuno a cui siamo grati, qualcuno che ci ha preceduto, qualcuno che ci ha valuto bene, qualcuno che ci ha circondato di affetto. Questa memoria è giusto che la conserviamo nel cuore, è giusto che il bene che ci hanno voluto non lo dimentichiamo, è giusto che ogni tanto ci fermiamo a ricordarci di loro, a ricordare la tenerezza, la bontà che hanno avuto per noi.
Ma il far memoria davanti al Signore significa anche che i nostri morti non sono affidati soltanto alla nostra memoria, altrimenti, finiti noi, finirebbero anche loro: no! Ci riunisce qui la fede che i nostri morti sono affidati a Dio. Ecco perché ne facciamo memoria davanti all'altare: per conservare nel profondo del nostro cuore la speranza che Dio non permette che i nostri morti siano caduti nel nulla e non permetterà che nemmeno noi finiamo per sempre.
È la parola del Signore: "Io li risusciterò!" Gesù è venuto per non perdere nessuno, anche noi andiamo con fiducia verso la vita. Da Dio veniamo e verso di Lui andiamo. Nel momento supremo, quando arriverà quel momento che a volte ci fa paura (è normale che ci faccia paura) troveremo anche noi il coraggio di dire come Gesù: "Padre, nelle Tue mani affido la mia vita".
Ecco, la nostra vita, la vita dei nostri cari non è affidata soltanto al nostro affetto, al nostro ricordo: è affidata all'amore di Dio, è affidata alla forza di Dio. Ecco perché noi ci ritroviamo qui, facciamo memoria di loro, per conservare nel nostro cuore la ricchezza della nostra fede, della nostra speranza, per sentirci uniti a quelli che sono morti, perché siamo tutti uniti in Dio, viviamo in Dio.
Il Signore conservi nel nostro cuore questa fede e questa speranza.
1988
Da tanto tempo sono convinto che alla morte si addice il silenzio, e mi fa sempre una gran fatica parlare ad un funerale e così quando si fa la memoria dei morti. Preferirei che nel giorno del mio funerale dicessero solo una parola: "addio", nel doppio significato che ha questa parola di saluto e soprattutto di un affidamento a Dio. Non so se ci avete mai pensato, ma la parola "addio" viene proprio da questo, dal dire ad una persona "ti affido a Dio". E questo lo dicevano i nostri vecchi quando ci si metteva in viaggio: si diceva "a Dio" "nelle mani di Dio" e lo si dice soprattutto nell'ultimo grande viaggio "addio!". Consegnato nelle mani di Dio, le mani grandi, forti di Dio che salva.
Ecco, noi siamo qui in questa fede, che le persone che ci hanno preceduto, che tutti quelli che hanno bussato alla porta del Signore, non hanno trovato il vuoto, ma... e sono affidati a Lui e quindi non hanno bisogno di noi. Noi non possiamo far niente per loro: cosa possiamo fare per qualcuno che è affidato nelle mani grandi, misericordiose di Dio?
Ma ne abbiamo bisogno per noi, per non essere ingrati. Perché le persone che ci hanno preceduto, che ci hanno dato l'amore, la tenerezza, l'affetto, non cadano dalla nostra memoria, dal nostro ricordo, dal nostro cuore... e non cadono certamente!
Tutti voi vi portare nel cuore il ricordo delle persone care: le loro facce, le loro carezze, la loro tenerezza, i loro gesti di affetto, i loro sacrifici, le cose che hanno fatto per noi, lo sforzo della vita. E quelli di voi che hanno già i capelli bianchi, hanno ormai una lunga serie di morti da ricordare e man mano che vado avanti si allunga anche l'elenco dei miei morti, delle persone che mi hanno voluto bene, che mi hanno circondato di tenerezza, di affetto, di bontà, che si sono sacrificate per me e di queste persone noi siamo qui stasera a fare memoria, ciascuno delle proprie e insieme facciamo memoria di tutte. Di tutti quelli che sono morti qui nella nostra Parrocchia e che magari abbiamo conosciuto; e vorremmo anche fare memoria di tutti quelli che sono morti in ogni parte della terra, della grande schiera che pian piano ha camminato sulla terra e ha bussato alla porta di Dio. Che Dio abbia di tutti misericordia. Hanno bussato gente buona e gente meno buona, ma credo che il cuore di Dio sia grande, molto più grande del nostro. A questo cuore affidiamo tutti quelli che ci hanno preceduto, a questo cuore affidiamo i nostri cari facendo di loro preziosa memoria.
1979
"Ci gloriamo in Dio".
Gloriarsi, vantarsi, andare orgogliosi: di cosa, della nostra forza, della nostra bontà, dei nostri successi, delle nostre realizzazioni, della nostra esistenza? È assurdo vantarsi di tutto quello che siamo e che abbiamo, perché tutto fin dall'inizio è segnato dal sapore della morte.
Di cosa allora vantarsi? Paolo risponde: soltanto in Dio e di Dio! Un fondamento solido, stabile.
Ma quale Dio? Non un Dio generico, un Dio che si può costruire con la propria immaginazione. Ma il Dio di Gesù, cioè il Dio a cui Gesù è stato fedele e che è stato fedele a Gesù
Il Dio del quale Gesù ha parlato e per il quale è vissuto: il Dio della benevolenza, il Dio degli ultimi e dei piccoli, il Dio incontrato e scoperto come Padre, il Dio che si preoccupa dei gigli dei campi e degli uccelli del cielo, il Dio che fonda e motiva il progetto di una umanità fraterna e conviviale, da cui sofferenza e ingiustizia vengono bandite. Il Dio dell'alleanza e della fedeltà: in una parola il Dio della vita e non della morte.
Perché parlare di tutto questo e non della morte? Perché sia chiara una cosa fondamentale: il punto cruciale dell'esistenza nostra, come dei nostri cari, non è sapere cosa ci attende dopo la morte, ma su cosa fondiamo fin da ora la nostra vita. Se solo su noi stessi o su Dio.
Se crediamo sul serio che la vita di ogni uomo e di ogni donna è nelle mani di Dio, che è Dio dei viventi e non dei morti, allora la fede nell'aldilà non è un di più!
Se confesso che il mio nascere e il mio gioire, il mio amare e il mio soffrire, il mio lottare e il mio fallire, il mio sognare e il mio disperare, non avvengono senza di Lui, ma in Lui e con Lui; anche il mio morire avverrà in Lui e con Lui: ciò significa che non avviene nel nulla, ciò significa che sulla sponda dove tutto tace, e ogni voce diventa impotente, l'uomo incontra la sorpresa e la gioia di una accoglienza piena. Proprio come Gesù, là dove il suo sogno fallì, sul deserto dell'estremo abbandono, non incontrò l'abisso del nulla, ma fu accolto dal sorriso della vita.
Ecco allora il senso del nostro ricordo e della nostra preghiera per i defunti: la preghiera è abbandono a Dio, è resa al suo mistero, è affidare alle sue mani i gemiti e i frammenti della nostra esistenza e non solo della nostra, ma di ogni vivente: pregare è rimettere a Dio non solo noi stessi, ma anche coloro che amiamo e coloro che abbiamo amato.
Celebrare l'Eucarestia è celebrare la nostra certezza di trovarci nelle mani di un Dio, che trionfa sulla morte e che in Cristo risorto ci fa dono della risurrezione: non solo a me, ma anche a coloro che non sono più e che si sono affidati al suo Nome.
"Amerai il Signore Dio tuo... Amerai il prossimo tuo... 30 ottobre 1994
Non c'è altro comandamento più importante di questi".
Quando ero giovane - ormai son passati quasi 40 anni - ho studiato molto per diventare prete; ed una delle cose che più bisognava studiare, a quel tempo, era la morale, cioè quella scienza che cerca di interpretare il comportamento dell'uomo, di capire che cosa è giusto e che cosa è sbagliato. Ed io ho letto pagine e pagine di leggi, di precetti, di regole... erano veramente dei libri molto grossi e facevo una gran fatica; perché coloro che mi avevano preceduto - attraverso quasi 1000 anni di storia - avevano cercato di immaginare tutte le situazioni possibili dell'uomo, per capire dov'è il bene e dove il male. Ed io dovevo studiare tutte queste regole, tutte queste leggi, tutte queste norme, cosa che a me sempre ha dato un gran fastidio.
Capirete, allora, con quanta gioia io leggevo queste pagine del Vangelo, quale senso di liberazione provavo nel vedere che in fondo la legge, il comandamento, è uno solo: "Ama il Signore tuo Dio, ama il tuo prossimo": l'unica legge è l'amore! Ho ripetuto tante volte, con senso di liberazione e gioia, le parole di S.Agostino: "Ama e fa' quel che vuoi". E mi capita, qualche volta, di ripeterle ancora. Non accusatemi, però, di ingenuità (so di essere ingenuo: lo ero allora e in gran parte lo sono rimasto!), non accusatemi di ingenuità se vi dico che ho dovuto poi accorgermi che l'amore, l"ama e fa' quel che vuoi", non risolve il problema di capire che cosa è giusto e che cosa è sbagliato nelle circostanze della vita.
Cosa significa "amare"? Amare significa mille cose diverse, nelle circostanze diverse. Se l'amore non è soltanto un sentimento, un moto del cuore, ma scelte pratiche, gesti concreti, fatti... allora se mi metto davanti ad un uomo, cosa può significare "volergli bene"? Infinite cose: per essere estremisti, volergli bene può andare dall'ucciderlo al morire per lui! Con tutte le sfumature intermedie che la vita può suggerire.
Allora, come si fa a capire che cosa è giusto, che cosa è sbagliato? Come si fa a capire che cosa, in concreto, significa voler bene ad una persona? Bisogna tornare indietro, alla legge, alle regole? Quei libri che mi erano così pesanti, bisogna che io vada a ricercarli? Non vale la pena, perché nei libri non c'è mai la vita concreta, la vita della gente; non ci son mai le persone singole, con i loro mille problemi! Allora può risolvere il problema appellarsi all'Autorità - ai discorsi, magari, del Papa o dei Vescovi o - perché no? - alle prediche domenicali del Parroco? Rinunziate subito: in genere sono sempre parole astratte, parole che "vagano per l'aura"; non riguardano mai il caso concreto della vostra vita.
E allora come si fa? bisogna rinunziare?! Rinunziare del tutto, no, fratelli miei; ma non c'è la pillola che vi risolve il problema: a volte capire che cos'è bene e che cos'è male nella vita, è cosa semplice; ci sono invece dei momenti in cui diventa terribilmente complicato! Che fare, allora?
Vorrei darvi soltanto alcune indicazioni che sono state preziose, nella mia vita, che mi hanno aiutato a capire cosa c'era dietro questo problema. Ve le dico un po' in fretta, nella speranza che non sia troppo conciso e che possa riuscire a spiegarmi ugualmente.
La prima cosa che occorre, secondo me, per capire che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, dov'è il bene e dov'è il male, è avere un cuore fragile, un cuore che si fa tante domande, che non pensa di sapere tutto; un cuore che va alla ricerca della verità, della luce; che cerca senza stancarsi, sapendo che il bene e il male sono cosa da conquistare ogni giorno. Un cuore da bambino, dunque; un cuore stupefatto, che si pone tante domande, che non ha mai risposte a buon mercato!
E la seconda cosa che ci vuole, è avere una luce dentro, un tesoro nel cuore, dei valori profondi per cui vale la pena di vivere! Per questo ci ritroviamo qui, ogni domenica, ascoltiamo le parole di Gesù nel Vangelo: per conservare accesa la nostra luce, per avere qualcosa di grande in cui credere.
E la terza cosa, forse la cosa più importante: occorre saper guardare gli altri negli occhi: non bisogna fare mai dei discorsi morali astratti, senza tener conto, in concreto, di questa persona che ho davanti con tutto il suo carico di vita, con tutti i suoi problemi, con tutta la sua realtà profonda. È soltanto in questa situazione concreta che io posso avere qualche barlume di luce su quello che è giusto e su quello che è sbagliato! Dobbiamo avere la capacità di guardare negli occhi chi ci sta vicino, di accoglierlo nella nostra vita, di rispettarlo per quello che è, di comprenderlo: a casa, come nel posto di lavoro, come con gli amici, come con la gente di ogni giorno.
E ancora, può aiutarci anche il consiglio di qualche persona: io l'ho fatto tante volte nella mia vita: ho chiesto un po' di luce, per cercare di capire cos'era giusto, cos'era sbagliato. È sempre importante confrontarci con gli altri, per non ripiegarci su noi stessi, per uscire dal nostro punto di vista, sempre troppo "particolare".
E a questo punto, vorrei darvi io un consiglio, a buon mercato, perché non ve lo faccio nemmeno pagare, stasera... soltanto un minuto di attenzione. Quand'ero giovane, a me lo hanno dato: non l'ho seguito e ne ho pagato le conseguenze! Se c'è qualche giovane, qui, lo segua, per favore: vi risparmierete di tribolare!
Quando chiedete un consiglio non chiedetelo mai alle persone troppo buone, non chiedetelo mai a quelli che dicono grandi parole: parlano bene, ma spesso vi mettono un peso sulla coscienza! Non chiedetelo a chi si dà molto da fare, a chi passa per una persona molto impegnata: spesso sono persone maligne nel profondo, che ci godono a mettervi un peso (non a togliervelo!), ad accusarvi, a puntarvi contro il dito.
Se volete sapere dov'è il bene, chiedetelo a gente che ha il cuore fragile, a gente che ha rispetto per chi gli sta accanto, a gente che cerca la verità, a gente che non pensa di saper tutto, a gente che non dice grandi parole, ma che sussurra parole leggere, incerte, dolci! A chi cerca con voi la strada e tenta di mettere un po' di luce nella vostra vita, di togliere qualche peso, se gli riesce. E se non gli riesce di togliere un peso, tace!
Disprezzate chi vi mette pesi sul cuore! disprezzate chi vi punta il dito contro! disprezzate chi vi accusa! Gesù è venuto per darci una mano, per aiutarci a camminare, per toglierci ogni peso dal cuore! È quando si toglie un peso dal cuore, che si vede meglio dov'è bene e dov'è il male! E soprattutto, si trova il coraggio di fare un passo in più!
Il Signore ci aiuti.
1991
Avrete certamente tutti ascoltato tante volte queste parole del Vangelo che ci portano nel cuore della legge. Le stesse parole le abbiamo sentite ripetute due volte, prima da Gesù e poi dal maestro della legge: sono tutti d'accordo. C'è una cosa che colpisce in questo Vangelo, almeno ha colpito me, e su cui vorrei attirare la vostra attenzione. Alla fine del dialogo, vedendo - dice Marco - che lo scriba, il maestro delle Legge, aveva risposto saggiamente, Gesù gli dice: "Non sei lontano dal Regno di Dio".
Lontano non è, ma ancora non è arrivato! Che cosa gli manca? Perché lui non è nel Regno di Dio ancora? Che cosa è per Marco importante per entrare nel Regno? Vedete, leggendo e rileggendo il Vangelo di Marco - l'ho fatto tante volte anche insieme alla gente - mi sono fatto una convinzione: per Marco, per la sua comunità manca il farsi discepoli di Gesù, il mettersi a camminare con Lui.
Per Marco, le parole, i comandamenti, la legge, rischiano di essere parole vuote se non c'è qualche cosa di concreto, se non c'è un esempio vivo. Gesù non è soltanto parola, non è soltanto un comandamento. Il maestro della legge, tutto l'Antico Testamento, tutti sono d'accordo: è successo anche a noi: sulle parole siamo d'accordo; ma vivere l'amore, con la tenerezza di Gesù, questo è qualche cosa che si fa, se ci si mette a camminare con Lui, se la legge della nostra vita non è una parola, magari una parola grande come l'amore, ma diventa l'esempio concreto, la vita di Gesù condivisa con noi.
E c'è un'altra cosa di cui sono convinto: quando uno si mette ad andare dietro al Signore, quando cerca di seguire Lui, al di là delle parole, fa esperienza della tenerezza, della fiducia, del perdono di Gesù. Una delle cose che nel camminare dietro al Signore ci fa più ostacolo - a me, ma penso a tutti voi - è il senso di colpa, il sentirsi inadeguati di fronte al comandamento dell'amore. La legge, le parole, a volte, ci spaventano, a volte ci schiacciano, e incontrarci con Gesù è fare esperienza della Sua tenerezza, della Sua speranza, della voglia che il Signore ci dà di rimetterci in cammino ogni mattina. Camminare con Lui non significa soltanto confrontarsi con parole grandi, con parole che a volte possono mettere un senso di timore: seguire Lui significa incontrarsi con un Amico, Uno che è venuto a condividere la nostra vita, uno che cammina con noi, rinnovando ogni mattina la nostra speranza.
Forse è questo che manca allo scriba: diventare amico di Gesù, camminare con lui, buttare il suo cuore nel grande amore di Dio, per poter conservare la speranza.
Il Signore aiuti ciascuno di noi a farlo.
"...la gente gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. 6 novembre l994
Ma venuta una povera vedova, vi gettò due spiccioli..."
Se vi capita di andare a trovare una delle signore a cui portavo ieri la Comunione, armatevi di pazienza: suonate il campanello e poi dovete aspettare 3 o 4 minuti almeno, finché venga ad aprirvi. È rimasta sola nella sua grande casa e cammina spostandosi lentamente, tutta appoggiata ad una piccola sedia: le gambe non la reggono più! Aspettate 3 o 4 minuti, ma poi vi fa entrare, vi accoglie tutta festosa e comincia a raccontavi tutti i suoi guai, ma con senso di grande tranquillità, di grande pace. Vi dice come le sue gambe non funzionano più; come l'ortopedico cerca di mettere qualche protesi che le consenta di reggersi in piedi; vi parla della sua serenità di fondo, che è il dono più prezioso che la vita le ha fatto; vi dice come ogni tanto capita qualcuno, che viene a raccontare a lei le sue pene: si vede che ha un cuore accogliente!
Parlare con lei è un bagno di serenità, è un bagno di tranquillità. Una persona che non ha molto da offrire alla vita: soltanto le sue parole! E la promessa di pregare: mi ha detto che avrebbe pregato per me, ma anche per tutti voi! E me ne sono andato via da lì con il senso di serenità, che questa donna riesce a comunicare.
Poi ho attraversato la strada e sono andato da un'altra signora, che ha un carattere ancora più allegro: racconta i suoi malanni con qualche battuta, quasi con umorismo! - "Hanno inventato - diceva - una bella penna per fare le iniezioni di insulina. Adesso non c'è più bisogno di chiamare l'infermiere: basta prendere la penna..." e mi faceva vedere questa penna. - "Il guaio è - diceva - che le mani mi tremano e quindi sono tutta piena di lividi, a forza di farmi le iniezioni con la penna. La ci vorrebbe, dice: la medicina del "menanni"! Il fatto è che si trova difficilmente...". Penso che anche chi non è toscano capisca qual è la medicina del "menanni": bisognerebbe avere un po' d'anni di meno... ma è una medicina che non si trova! Ed anche da lì te ne vai con un sorriso, per tutte le battute che sa raccontare, perché riesce a non pianger troppo sui suoi mali.
Poi sono andato a trovare ancora un'altra persona: ha soltanto i suoi occhioni, questa donna, da spalancare sulla vita e le sue antiche preghiere, ancora in latino: se le ricorda tutte bene! Ma ormai non la reggono più le gambe e nemmeno la testa: le orecchie non le funzionano più, ha solo i suoi occhi ancora, spalancati sulla vita: soltanto questo, forse, l'ultimo spicciolo da offrire nel tesoro del mondo! (Non è così per chi la accudisce, per chi con infinita pazienza, da anni, sta dietro a lei e la cura e la custodisce; magari è soltanto la nuora che fa questo per la suocera - e ce ne sono tante, in mezzo a noi! - Ma lì non si tratta più di "spiccioli": si tratta di grosse monete da buttare nel tesoro della vita! E per fortuna, molti di noi lo fanno).
Ma torniamo ai nostri "spiccioli": ieri sera mi capitava ancora, per concludere la giornata, di parlare con una signora: ormai ha i capelli bianchi, gli anni le cominciano a pesare, e dice che è proprio stanca di combattere! Ha combattuto tutta la vita, eppure lo fa ancora: seguita ancora a dare quello che può. Se qualcuno ha bisogno di appoggiarsi su una spalla, si appoggia sulle sue spalle, ormai fragili e deboli... E lei continuerà ancora, finché le forze la sorreggeranno, a combattere, a buttare nella vita gli spiccioli che può!
Qualche volta capita anche a me di sentire alla TV - magari velocemente, perché cambio subito canale - qualche persona importante, magari qualcuno che ha autorità nella Chiesa, che sa soltanto alzare la voce, gridare, proibire, minacciare... Oppure capita anche a me di vedere alla TV gente che si affanna a cercare i primi posti - e se non glieli danno, son guai! -; magari gente che si riempie la bocca di tante parole, ma, se non le date un posto importante per sé o per la propria corrente, minaccia sfracelli e ci mette sempre in pericolo di crisi di governo!.. Oppure mi capita ‑ sempre di meno, però, perché ho imparato a difendermi - di parlare con qualche persona che si dà molto da fare, che pensa di far del bene continuamente o che "ostenta lunghe preghiere"... ma che ha sempre parole per rimproverarti, per accusarti di qualche cosa, per farti sentire in colpa!
E allora capite come un canto di gioia mi sgorga dal profondo del cuore, nel rileggere questa pagina del Vangelo di Gesù! Lui, per fortuna, ha cantato l'elogio della vedova! Per Lui non conta chi fa grandi cose, chi si mette sempre in mostra, chi alza la voce, chi grida... Per Lui è importante la vedova che butta i due spiccioli nel tesoro del Tempio! E io, non solo adesso che gli anni son passati, ma anche quando ero giovane, mi sono sempre riconosciuto in questa vedova: ho sempre saputo di non avere che pochi spiccioli da gettare nel tesoro della vita.
Vi confesso che ieri sera sono andato a letto contento: queste donne avevano buttato nella mia vita tesori: spiccioli d'amore!
Ed hanno detto che pregano anche per voi...
1991
Abbiamo ascoltato insieme questo episodio che sembra piccino, e che io considero una delle cose più straordinarie di questo Vangelo di Marco, che è il più bello, almeno per me. Non so se riesco a comunicarvi quanto c'è di grande e di straordinario in questa pagina: una pagina che, penso sia diventata cara, non solo a me, ma anche a parecchi di voi.
Vi ricordate la strada che Marco ci aveva fatto percorrere? E guardate che qui siamo arrivati praticamente alla fine del suo Vangelo. Domenica prossima ascolteremo il discorso sulla fine del mondo; poi celebreremo la festa di Cristo Re, e poi la lettura di Marco per quest'anno è finita. L'anno prossimo è Luca che ci prenderà per mano. Cominceremo a prepararci al Natale che ormai si avvicina. Riguardando indietro questo Vangelo, Marco ci ha condotto per una strada che sembrava impossibile. Ce lo avevano ripetuto tante volte anche i discepoli: "E allora chi si può salvare?". Era la strada dell'impossibile amore, il seguire Gesù verso Gerusalemme, verso la pienezza del dono di Sé.
Ricordate domenica scorsa il comandamento dell'amore "Ama il Signore Dio tuo con tutte le tue forze, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima: ama il prossimo tuo come te stesso". Noi abbiamo seguito Gesù verso la pienezza dell'amore: potremmo trovarci sgomenti, e Marco quasi venendo a prenderci per mano, a metterci, come si mette a un fratello più piccolo in difficoltà, la mano sulla spalla, ci porta a guardare questa vedova: non ha che due spiccioli da mettere nel grande tesoro della vita. Voi tutti capite che qui non si parla di denaro, si parla di qualche cosa di molto più profondo: questa donna dona se stessa, tutto quello che ha per vivere.
A molti di noi, a me per primo, spesso rimangono pochi spiccioli. Ci rendiamo conto che il nostro carattere, il nostro modo di essere, non ci permette di fare grandi cose, non ci permette di essere degli eroi, di fare cose straordinarie: abbiamo spesso soltanto due spiccioli. Ed ecco Marco che viene a consolarci, o meglio è Gesù che viene a consolarci, a metterci la mano sulla spalla, e a dirci: "Coraggio, Checco! se hai solo due spiccioli, a Me non importa nulla, non guardo le cose grandi, guardo la vita donata con gioia. Cerca di mettere nel tesoro della vita quello che hai, il cammino con Me non è il cammino dei gesti straordinari, l'amore si manifesta anche negli spiccioli che tu sai gettare nel tesoro della vita". A volte basta un sorriso per aver donato tutto quello che uno poteva donare in quel momento.
Il grande cammino del Vangelo di Marco, la pienezza dell'amore - non lo dimenticate mai, perché è la nostra consolazione più grande - finisce qui, davanti a questa donna che ha soltanto due spiccioli e li butta con gioia nel tesoro della vita. A volte, anche noi abbiamo solo due spiccioli: non conta, conta donarli con gioia. Il Vangelo di Gesù è qui: due spiccioli donati, un bicchiere d'acqua dato con gioia, nell'amore con cui Dio avvolge tutta la nostra vita.
"...quando già il ramo del fico si fa tenero e mette le foglie, voi 16 novembre 1997
sapete che l'estate è vicina. Così anche voi, quando vedrete
accadere queste cose, sappiate che il Figlio dell'uomo è vicino, alle porte.
Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno".
Al tempo del profeta Daniele, al tempo di Gesù ed anche nel tempo nostro, quante paure attraversano il cuore dell'uomo! Quante paure, a volte, impediscono all'uomo di credere, di sperare, di gioire! Da dove viene la paura? Perché la paura?
Vedete, la paura è uno dei meccanismi fondamentali della vita: il bambino comincia, con le sue prime esperienze, a sapere che il fuoco brucia e che bisogna averne paura; comincia ad aver paura del vuoto, sa che non deve sporgersi, perché se cade di sotto...
La paura serve a difendere la vita: uno strumento prezioso. Ma, come per tutte le cose preziose, c'è qualcuno che rischia di approfittarsene: per controllare, per dominare, per fare i propri interessi. È così fin dagli albori della storia e spesso anche la religione è stata sfruttata per alimentare la paura.
Nei tempi antichi, avevano mille paure: paura delle malattie, paura delle tempeste, paura del fulmine. E là, nel tempio, c'era qualcuno che diceva di poter fornire protezione da queste paure e sosteneva di poter offrire sacrifici che difendevano dai pericoli: ed è chiaro che quanto più un sacrificio è grande, tanto più è potente. Se poi pensate che al sacerdote spetta sempre "la coscia destra" dell'animale sacrificato, capite che ha tutto l'interesse a far crescere la paura, anche dipingendo la divinità come potente e minacciosa. Spesso nel tempio c'era anche chi diceva di poter interpretare il futuro e descriveva il futuro con immagini catastrofiche. E magari vendeva un amuleto, capace di proteggere dai guai. E non è solo una questione di denaro, anzi i "migliori" tendevano a rendersi indispensabili, a rendere gli altri dipendenti dalla propria opera.
Sembrano cose che appartengono ad un tempo lontano; ma anche oggi - se vi guardate intorno - c'è tanta gente che ci vuol mettere paura. Molti di noi si portano dentro la paura delle malattie, dell'AIDS, della droga, dei sequestri, delle violenze, dell'inquinamento, del terremoto, della bomba atomica che può distruggerci tutti...
Vi siete mai domandati: "Perché tante paure?". Non capita anche a voi di notare che spesso alla TV, alla radio, sui giornali, si parla di cose catastrofiche, si mettono in evidenza le cose più brutte che ci succedono intorno? Non dipende, forse, dal fatto che il giornalista vuol rendersi indispensabile per noi e ci vuole dire: "Guardate che, se non ci sono io, voi tutte queste cose non le sapete e non potete capire il mondo"?
E tanta gente si porta dentro mille paure... Paure che impediscono di affrontare la vita per quello che è. Voi correte infinitamente più pericolo nell'andare in macchina da Ostia a Roma, di quanto corriate pericolo per l'AIDS, per la droga, per il terremoto, per i sequestri di persona, per la gente che tormenta i bambini. E rischiate di non essere attenti - come succede a molti - quando guidate sulla strada da Ostia a Roma. E accadono gli incidenti. E c'è gente che muore...
E non sono così, qualche volta, anche i medici? A sentire certi medici parlare, anche alla TV, sembra che siamo minacciati da mille malattie, da mille pericoli. Tutto sembra esporci a pericoli: il cibo che mangiamo, l'aria che respiriamo, l'acqua che beviamo. E poi ci accorgiamo, che la vita si allunga sempre di più. È che anche i medici vogliono essere indispensabili per noi e la gente, portandosi dentro la paura di prendersi chissà quali malattie, rischia di non essere più capace di curarsi sul serio, di far le cose giuste per conservare e custodire la propria vita.
E non è capitato anche a voi, qualche volta, di sentir ripetere dall'altare la minaccia più terribile: la paura, per voi e per i vostri cari, delle fiamme, dell'Inferno, del Purgatorio?
E - senza andare tanto lontano - non capita, a volte, nelle nostre case che il papà e la mamma, presi da tante ansie e da tante paure, cercando di custodire i figli, di difenderli da tutti i pericoli del mondo, li fanno crescere più fragili e più incapaci di affrontare i pericoli? Non è vero forse, che a volte i ragazzi più fragili, quelli che incappano veramente nei pericoli, sono quelli che hanno assorbito, fin da piccoli, le paure del papà e della mamma?
La paura è spesso generata da chi ci vuole fragili, indifesi, e rischiamo poi di non saper ragionare, di attaccarci al primo mito che passa, di lasciare che gli altri decidano della nostra vita!
Gesù è diverso! Lui, come avete ascoltato, dentro i timori e gli incubi del suo tempo, ci invita a non aver paura, ad essere lucidi e vigilanti, ci invita alla libertà e al coraggio e vuole conservarci nel cuore una certezza: "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno!" I valori di Gesù, quello che fa grande e bella la vita non finisce e, al di là di tutto, tornerà Lui!
E questa speranza è affidata a due dei simboli più belli del Vangelo: "Guardate il ramo del fico. Quando si fa tenero e mette le gemme, voi sapete che l'estate è vicina...". E se leggete più avanti: "Non sono i dolori che generano la morte, ma le doglie del parto, che fanno nascere una vita nuova!".
Sì: il contrario della paura non è mettere la testa sotto terra, rifiutarsi di guardare i guai del mondo, far finta di niente; il contrario della paura è il coraggio della speranza: è l'occhio vigile e attento, è cercare di capire il mondo, dare una mano, per quanto si può, perché faccia un passo avanti. Il contrario della paura è la fiducia e la speranza; è la certezza che ognuno di noi si porta nel cuore: che Gesù sarà l'ultima parola della nostra esperienza!
Il Signore ci aiuti!
1994
Parole complesse, complicate, quelle che abbiamo ascoltato stasera... Ho notato che spesso un po' di fantasia aiuta qualcuno di voi, più di lunghe spiegazioni,: abbiamo tentato altre volte di immaginare la prima comunità cristiana, quando le parole che oggi troviamo scritte nel Vangelo si andavano pian piano formando, attraverso i ricordi degli Apostoli. Vorrei tentare anche stasera questa strada, per aiutare, forse, qualcuno di voi a capire cosa c'è in questa pagina di Vangelo, che abbiamo ascoltato. Vi inviterei, dunque, a fare un volo con la fantasia: ad andare indietro di 2000 anni quasi, per trovarci qui vicino, ad Ostia antica, in una casa dove si raduna un piccolo gruppo di Cristiani, che ha invitato stasera l'apostolo Pietro a sedersi con loro e celebrare l'Eucarestia: anche loro, come noi, "spezzavano il pane". Dobbiamo andare uno per uno, però, perché allora non avevano una chiesa grande come questa.
Un pugno di gente - 14, 15 persone, non di più - radunate intorno ad una semplice tavola; sulla tavola un po' di pane e un po' di vino: là si trovano insieme per "spezzare il pane", per fare memoria di Gesù, per rivedere nella sua luce la loro vita. E tutti potevano parlare. Allora, entriamo, se volete, uno per uno, ci sediamo in un angolo e guardiamo quello che succede.
Ecco, guardate: c'è in un canto un gruppetto di persone che parlano animatamente fra di loro: sembra che stiano discutendo di qualcosa d'importante; parlano però sottovoce, per non farsi sentire dagli altri. Il presidente dell'assemblea (il prete, diciamo così) cerca di farli tacere: "È arrivato Pietro! state zitti; dobbiamo cominciare". Sembrano non ascoltarlo. Ripete 2 o 3 volte l'invito...e Pietro s'accorge che sta perdendo la pazienza; allora lo ferma e dice: "Aspetta, aspetta: sentiamo di cosa discutono". Poi, rivolgendosi a quelli: "Dite un po' anche a noi: di che cosa state discutendo? perché tanta animazione?". Allora uno comincia a parlare: "Pietro, non hai sentito quello di cui parlano, un po' per tutta Roma, in questi giorni? C'è stato un mago d'Oriente, che ha detto che fra 6 anni il mondo finirà: la luna cadrà dal cielo le stelle si spegneranno e tutto finirà, sarà la fine di tutto: il nulla! E noi stavamo discutendo su cosa dobbiamo pensare, cosa dobbiamo fare". Pietro lo guarda e dice: "Anche qui sono arrivate queste storie! Sapessi quante volte le ho sentite dire, io, nella mia terra. Avevamo tante volte letto, il sabato, quando andavamo in sinagoga, le parole del profeta Daniele, che parla di queste cose. Si vede che queste voci sono arrivate qui, a Roma: il mondo è piccolo!".
E il cristiano domanda: "Ma dicci: Gesù cosa diceva, di queste cose?" "Ah - risponde Pietro - qualche volta glielo abbiamo chiesto; ma Lui diceva: "Non date retta! Queste cose non le sa nessuno, nemmeno il Figlio: solo il Padre".
Ma voi non abbiate paura, perché nell'ultimo orizzonte non c'è nulla di quanto dice il vostro mago: nell'ultimo orizzonte c'è la Festa di Dio! Lui ci ha promesso che tornerà! che tornerà per farci partecipare alla grande Festa! Ci diceva Gesù: "Quando sentite questi rumori, queste voci, alzate la testa, guardate lontano! Sappiate che il vostro compito è quello di mettere nella vita i semi del bene!". E un giorno, quando Lui tornerà, tutto quello che abbiamo seminato di buono, fiorirà! Non date retta ai maghi di Oriente, anche se vengono qui a Roma. Non ascoltate chi vi mette paura! Sappiate che noi andiamo incontro a Gesù! che Lui è l'ultimo orizzonte della nostra esperienza di uomini: c'è la Sua festa, c'è il Suo ritorno! Il compito nostro è di alzare il capo e di seminare i semi del bene ".
Mentre Pietro faceva questi discorsi, c'era in un angolo un bambino con la faccia un po' perplessa; ad un certo punto alza la mano, questo ragazzetto - immaginatelo fra gli 11 e i 13 anni - e dice: "Pietro, ascolta pure me, fammi parlare un po': perché qui non bastano i problemi di tutti i giorni...ci mancavano anche i maghi dell'Oriente. A me, non m'interessa il mago dell'Oriente: il mio problema è quello che mi succede intorno. Qui ogni tanto mi parlano di malattie complicate: qualche volta, in qualche parte - sento dire - scoppia il vaiolo, la peste, il colera! In qualche altra parte succede il terremoto; da un'altra, una inondazione! Sentivo l'altro giorno a scuola dire anche che il lago di Castelgandolfo era un antico vulcano e che può anche riprendere ad eruttare e che noi saremo sommersi dalla lava! E poi c'è un'altra cosa: mia nonna dice che tutti questi sono castighi di Dio!". "Ah! - dice Pietro - pure tu, che sei un ragazzo! anche a te hanno detto che questi sono castighi di Dio! Vedi, ascolta un momento: quando dicevamo queste cose a Gesù, Lui si arrabbiava. Poche volte l'ho veduto arrabbiarsi, ma quando gli dicevamo che una torre cascata su della gente o che una disgrazia, una malattia, era un castigo di Dio, Gesù si arrabbiava e diceva che Dio, con queste cose, non c'entra!
"Sta' attento - dice ancora Pietro al ragazzo - tu sei giovane: il tuo compito (Gesù ce l'ha ripetuto tante volte!) è di combattere il male, di toglierlo dalla terra e puoi farlo solo se smetti di pensare che c'è il diavolo, dietro al male; che c'è un castigo di Dio! Rischi - Dio te ne scampi! - di dire ad una persona: "Triboli? È una grazia del Signore, perché Lui ti mette alla prova! oppure permette che tu possa scontare qualcuno dei tuoi peccati!". Non le pensare mai, queste cose! Se vedi un male, cerca di combatterlo, cerca di toglierlo dal mondo. Gesù ci ha detto tante volte: " Guarite i malati! Curate le persone che soffrono! Datevi da fare per allontanare il male dal mondo! Ma non pensate che ci sia dietro Dio! altrimenti non combatterete più con tutto il coraggio del vostro amore!". Non pensare mai - ripete Pietro al ragazzo - che dietro una disgrazia ci sia un castigo di Dio! Non pensarlo mai! Gesù ce l'ha ripetuto tante volte ed era questa una delle cose per cui si arrabbiava sul serio!
E, se permetti, voglio darti un altro consiglio: anche tu che sei un ragazzo ti sarai accorto che la gente, quando capita una disgrazia, una catastrofe, si agita, grida, protesta, si lamenta, cerca un colpevole... poi, passato il guaio, nessuno ci pensa più, tutto torna come prima! Non fare così, tu: cerca, studia, impegnati - proprio quando nessuno ne parla più - per combattere il male, per fare il mondo un pochino più bello, e cerca di non aver mai paura di niente.
C'era, in un altro angolo, una persona che guardava e ascoltava tutte queste parole con l'aria un po' seria: a lui, quei discorsi del bambino non interessavano molto: cose da ragazzi...Lui aveva un altro problema, un problema serio, e diceva: "Qui sembra, Pietro, che questa gente abbia quasi paura che venga Gesù. Io l'aspetto! non vedo l'ora che venga Lui! perché deve finire la storia di questo mondo, in cui ci sono tanti malvagi, tanta gente che ci fa violenza! Vedi, ci sono quelli che ci perseguitano, quelli che uccidono, quelli che rubano... E tutti questi dovranno andare nel fuoco! Quando verrà Gesù - non l'ha detto Lui? - tutti all'inferno, tutti a bruciare! Finalmente avrò la mia soddisfazione, a vedere i malvagi, gli arroganti, puniti nel fuoco che non finisce!".
Pietro lo guarda in silenzio, per un momento; poi gli dice: "Vedo che tu sei un po' diverso da me: quando io ero ragazzo, avevo paura di andarci io, all'inferno! Vedo che tu ti auguri che ci vadano gli altri... Ascolta: Gesù ha tolto a me la paura di finire all'inferno; vorrei che tu riuscissi a superare il desiderio di vederci andare gli altri, all'inferno! Pensaci un po', un momento: ma che te ne viene, se questa gente che ci fa del male, un giorno va a finire bruciata? Vedi, Gesù ci ha insegnato a sognare, per la fine dei tempi, la Festa di Dio! La festa in cui il male finisce davvero: non il tempo in cui la gente brucia! La festa in cui tutti si convinceranno che la vita è bella, se ci si vuol bene sul serio! Vedi, questa è la differenza fra noi - fra te - e Dio: noi (qualche volta l'ho sognato anch'io!) pensiamo che la vendetta sia la punizione degli altri, la sofferenza, il castigo; io credo che per Dio l'unica vera "vendetta" sia la partecipazione di tutti alla Festa! Il male finisce, quando tutti siamo capaci di vivere nel bene: non quando c'è gente che soffre per sempre! Pensaci un momento: potresti essere contento, tu, se sapessi che un tuo figlio soffre per sempre? Se sapessi che un tuo amico soffre per sempre? E se non sei contento tu, come può essere contento Dio?!
Ricordati - conclude Pietro - se ho capito qualcosa, il ritorno di Gesù è la Festa di Dio! Allora tutti apriremo gli occhi, tutti scopriremo la bellezza della vita, tutti scopriremo di volerci bene! Tu però comincia fin da ora, se vuoi partecipare, già adesso, alla festa, che Gesù ci ha promesso e che ci sarà nell'ultimo orizzonte della nostra vita. Non il fuoco, non il castigo, non la sofferenza, non il male: ma la Festa di Dio!
Per questo è venuto Gesù! Questa è la nostra speranza!".
1991
Le parole che abbiamo ascoltato sia nella prima lettura, sia nel Vangelo, sono parole serie e gravi: parole che forse a qualcuno di voi hanno messo un brivido di paura. Se io sono capace, se mi riesce, vorrei, invece, farvi sorridere, perché secondo me, è importante che sappiate sorridere di tante cose del mondo è importante anche che voi sappiate sorridere di questo straordinario Vangelo di Marco, che ci ha accompagnato in tante domeniche in quest'anno, e a cui siamo veramente grati di averci consegnato tanto della verità di Gesù.
Eppure anche il Vangelo di Marco è stato scritto da gente come noi, da povera gente con tutte le loro paure, le loro ansie, e loro ne avevano più di noi (non è che il mondo sia cambiato molto da questo punto di vista). Perché vorrei invitarvi a sorridere? Avete sentito che il Vangelo di Marco dice con solennità: "la luna cadrà dal cielo, il sole si spegnerà, le stelle cadranno sulla terra, e tutte queste cose avverranno durante questa generazione". Quante generazioni sono passate! Decine e decine, centinaia di generazioni. Noi siamo ancora qui! Il sole splende ancora nel cielo, la luna non è crollata, le stelle rischiarano ancora le nostre notti, almeno quando non ci sono le nuvole, come forse succederà stanotte. Marco pensava invece, ma non soltanto lui, tutta quella comunità, che il mondo stesse per crollare, stesse per finire. Tra l'altro dicono anche che nessuno lo sa, e questo dovrebbe invitarvi a sorridere; nessuno, nemmeno gli angeli, nemmeno il Figlio, solo il Padre: non lo sanno, però succede presto. Perché dicono così? Perché hanno paura. Perché c'è anche tra loro della gente che dice: "Il mondo sta per finire". Erano comunità perseguitate; i Romani stavano invadendo la Palestina, tutto sembrava crollare.
Perché vi dico queste cose? Perché vedete, siamo nel 1991, mancano nove anni al duemila e sapete, quando si avvicina la fine di un millennio, c'è chi comincia a mettere paura. Apparirà - vedrete negli anni prossimi - qualche santone che dice: "Il mondo sta per finire". Siccome oggi non va più di moda dire che la luna cade dal cielo, che gli astri si spengono, vi racconteranno che vengono le punizioni di Dio, le catastrofi, che Dio minaccia con i suoi castighi. Non date retta! Ridete! Ma ridete di gusto, e dite con forza, ma anche con serenità, a chiunque vi mette paura: "Non è Dio che ti manda! Dio viene a liberarci dalla paura, che tutti spesso ci portiamo dentro". Il mondo basta a farci paura, perché non venga anche qualcuno a metterci paura in nome di Dio!
Gesù è venuto, e questa pagina di oggi ne è testimone, per mettere dentro le nostre paure, dentro le nostre ansie, dentro il timore per il futuro, la certezza della Sua venuta. Nell'ultimo orizzonte della nostra vita non c'è il vuoto, ma c'è Gesù, la Sua tenerezza, il Suo amore. Di fronte a chiunque minaccia il castigo, le sciagure, i segreti paurosi: ridete! l'unica difesa che abbiamo è il sorriso. Ridete di cuore! Ridete di chiunque vi mette paura in nome di Dio.
Dite forte: "Dio è venuto per consolarci, Dio è venuto per metterci nel cuore la speranza, Dio non può mai far paura, altrimenti non è Dio". Noi crediamo in Gesù che è venuto per darci la speranza, la fiducia, la voglia di camminare. Noi crediamo in Gesù che è venuto per darci la speranza che sull'ultimo orizzonte della nostra vita ci sarà Lui. Certo, nel mondo ci sono tanti guai. C'è la guerra proprio vicino a noi, c'è gente che muore, c'è la fame in tante parti del mondo, e queste cose, sì, ci fanno paura, ma Dio no! Il nostro compito è di combattere ogni paura e quello che la genera, di togliere dal cuore di chi ci sta accanto, con tutte le nostre forze, la paura del prossimo, la paura del futuro. Il nostro compito è quello di togliere questa paura soprattutto dal cuore dei nostri ragazzi, perché ogni uomo possa vivere con fiducia, possa costruire il mondo con speranza.
Il Signore ci aiuti a farlo.
"Il mio regno non è di questo mondo. CRISTO RE - 23 novembre 1997
...Per questo son venuto nel mondo:
per rendere testimonianza alla verità".
Pilato chiede a Gesù: "Tu sei re?" e Gesù risponde: "Il mio regno non è di questo mondo, non è di quaggiù". Se vi chiedessi: "Siete d'accordo con questa frase di Gesù?" penso che la maggior parte di voi risponderebbe prontamente: "Certo che siamo d'accordo: il regno di Gesù non appartiene alle cose materiali; il regno di Gesù riguarda lo spirito, l'anima, l'interiorità, le verità eterne. Il regno di Gesù non riguarda le cose di questo mondo che passa; il regno di Gesù riguarda l'aldilà: non dice anche il profeta Daniele, che Lui verrà sulle nubi del cielo e giudicherà tutti i popoli?"
Eppure, vedete, dietro queste parole, dietro questa convinzione che molti cristiani si portano dentro, c'è una delle tentazioni più forti del mondo religioso: è la tentazione di cercare Dio al di fuori della vita. I fatti della vita quotidiana appartengono al mondo "profano": la fatica di essere uomini, il lavoro di ogni giorno, i soldi, la carriera, la ricerca del potere, il governo, l'economia la politica, tutto questo appartiene alle vicende terrene. E Dio è un'altra cosa!
Va cercato in alto, Dio, nella luce! Gli uomini in tutti gli angoli della terra hanno costruito dei santuari, spesso in cima alle montagne, li hanno cinti, a volte, di mura, per realizzare uno spazio "sacro": lo spazio di Dio, lo spazio della sua luce, lo spazio dell'aldilà, in cui si cerca di salvarsi l'anima, si fa memoria dei morti. Lo spazio sacro! E c'è, laggiù, lontano, lo spazio profano, sporco, pesante, della vita di ogni giorno.
Guardate Colui che sta davanti a Pilato: non è certo un personaggio celeste, un fantasma delle visioni notturne; fermatevi un momento, guardate le sue mani: son mani callose, di un falegname; ha lavorato per 30 anni, s'è guadagnato per 30 anni, faticosamente, il pane. Noi riconosciamo in quell'uomo Dio!
Ascoltate le sue parole - le ricordate? - "Beati quelli che. hanno fame e sete di giustizia": qui, su questa terra! non aspettando di salvarsi l'anima per l'altra vita! "Beati quelli che sono miti, che sono misericordiosi, che non amano la violenza. Beati quelli che operano la pace". "Chi vuol essere il primo, si faccia l'ultimo e il servo di tutti".
Ricordate le sue parole: "Non potete servire a due padroni - ai poteri di questo mondo, al denaro, e a Dio -".Ed eccolo, ora, di fronte a colui che è rappresentante di un potere, che si dice divino ("al divino Cesare"). Ecco, allora, si scontra là il potere di chi pretende di governare uomini e cose, di sostituirsi a Dio, con Chi è venuto in mezzo a noi per testimoniare la verità e la libertà, e si porta nel cuore la passione per la giustizia, il desiderio della gratuità e della pace!
Dio lo si incontra nel cammino concreto della nostra vita quotidiana! Soltanto qui: nell'avventura di cercare ogni giorno quello che è giusto, quello che fa l'uomo più libero, più capace di gioia, di vita, noi incontriamo Dio.
E nel giorno del nostro battesimo, anche noi siamo stati consacrati "re", discepoli di questo Signore, invitati a costruire il suo Regno, a cercare di fare questo mondo, almeno un po' di più, come Dio lo vuole.
Il regno di Gesù "non è di questo mondo" nel senso che non è un regno in cui conta chi ha più potere, in cui non comandano il denaro, il prestigio, la potenza, l'apparire; ma la voglia di giustizia, la tenerezza, la misericordia, il desiderio di pace!
Qui, su questa terra, Gesù è venuto a portarci la sua libertà, il suo amore, la sua giustizia. Per questo noi Lo riconosciamo nostro re, re del nostro mondo.
E vorremmo che il mondo fosse un po' di più a sua misura! "Se fossimo tutti come Gesù - diceva un bambino - saremmo in Paradiso".
1994
I catechisti che preparano i ragazzi per la Cresima, mi hanno chiesto di dire qualche cosa ai ragazzi che si accingono a ricevere questo sacramento, per loro importante. E questa richiesta mi ha in qualche modo costretto - o, se volete una parola più leggera, invitato - a ripensare un po' la mia avventura cristiana, la mia avventura di incontrare e scoprire, piano piano, Gesù nella mia vita.
Forse qualcuno di voi si meraviglierà (non la maggior parte, credo) se vi dico che io non solo son diventato cristiano, ma son diventato prete senza conoscere il Vangelo. Ho studiato tanto, per diventare prete (7 lunghi anni!); ho studiato libri complicati e astrusi; ma son diventato prete senza aver studiato quasi per niente il Vangelo: ho dovuto imparare a conoscerlo con gente come voi. Ripensavo a questa avventura, mi venivano in mente ricordi, fatti, quasi dei flash, come succede quando si ricordano cose lontane nel tempo, lontane ormai più di 30 anni. Ricordo la ricerca fatta con un gruppo di giovani, quando andavamo cercando cosa significasse per noi essere cristiani - cristiani sul serio - rimettendo in discussione tante cose. E ci accorgevamo che tutti ci portavamo dentro una religione in parte pagana, una religione, cioè, in cui si cerca Dio soltanto quando se ne ha bisogno, in cui si cerca in Dio una protezione per la propria vita, per il proprio futuro: una protezione dai guai, dalle malattie; una religione fatta di riti (a volte complicati), di tradizioni, di leggi, di proibizioni. Una religione spesso lontana dalla vita di ogni giorno.
È stata per noi una gioia scoprire Gesù! Un Dio che si faceva carne, che veniva a condividere la nostra esperienza, a portare nel cuore della nostra ventura di uomini la passione per la vita, i suoi valori, la ricchezza della sua gratuità! E allora parole come libertà, pace, giustizia, perdono, servizio, gratuità, prendevano per noi, in Cristo, un senso vivo e profondo!
Tentavo di comunicare queste cose ai ragazzi; ma mi rimane sempre difficile - come penso rimanga anche a voi difficile - comunicare le esperienze più profonde. Così, come quando una ragazza mi obiettava: "Ma don Checco, questi valori di cui Lei parla - la giustizia, la gratuità, la pace, l 'amore, il servizio - che Lei ha scoperto in Cristo, io li vedo anche in tante persone che cristiane non sono, che non vengono con noi a pregare, a celebrare la Messa". E dicevo a questa ragazza: " Sapessi quanta gioia ho provato io, quando ho scoperto la bellezza di vedere che i valori, che io scoprivo in Cristo, li aveva anche tanta gente! Tanta gente che, quando ero ragazzo, mi avevano abituato a chiamare "i compagni cattivi, i pagani, gli increduli, i miscredenti"...o "i peccatori"! Quante preghiere ho recitato, quand'ero bambino, per i "peccatori"...che erano sempre gli altri! Poi mi sono accorto con gioia che "i peccatori" erano spesso più buoni di me... e me ne sono accorto con gioia - tentavo di dire a questa ragazza - perché i valori che io ho scoperto in Cristo non possono essere mai un possesso geloso: è importante, è bello vederli moltiplicarsi nella vita. E le dicevo: "Guarda che Gesù queste cose le ha dette tanto, tanto tempo fa: se tu leggi il Vangelo, troverai proprio alla fine Gesù che dice: "Avevo fame e mi hai dato da mangiare; avevo sete e mi hai dato da bere..." E ci sarà chi gli dirà: "Ma quando mai...?" E questo, dicevo alla ragazza, non lo potrai dire tu, perché tu sai che Gesù lo trovi nel povero che incontri per la via. Lo udrai dire dal pagano, dal cinese, dal negro: da persone che non hanno mai sentito parlare di Gesù! E Gesù in loro si riconosce: "Ogni volta che avete fatto questo al più piccolo dei fratelli, lo avete fatto a me".
E se volete un altro flash: chiedevo a questi ragazzi: "Ma secondo voi, qual è la cosa più bella e la più brutta, che ricordate della vostra esperienza, come Cristiani, nella vita della Chiesa?" E una ragazza, saggia, diceva: "Una domanda troppo grossa, don Che'; io non saprei rispondere; ci metti in imbarazzo!". E allora ho detto: "Provo a rispondere io: se mi faceste a bruciapelo, questa domanda, io vi direi: Ho scoperto in Cristo soprattutto la libertà! La libertà dalle leggi che opprimono, la libertà dal senso di colpa, la libertà dai diti puntati contro, la libertà dalle tradizioni che inaridiscono la vita, dalle mode che passano, dalla superficialità e dal conformismo. La libertà anche da se stessi: la libertà dal proprio egoismo! Libertà per cercare i valori autentici e profondi della vita. E se mi chiedi qual è la cosa più brutta, ti dico che la cosa più brutta che ho trovato nella mia ventura, è l'ipocrisia: l'ipocrisia di parole, che spesso si dicono nella vita della Chiesa, parole a volte grosse, a cui non corrispondono i fatti, la passione per la vita; il Vangelo usato per mettere pesi sulle spalle della gente e non per portarla verso la liberazione e la gioia di vivere! Gesù non è venuto per questo!
Il Gesù che io ho incontrato, il Gesù che ho scoperto, è il Gesù della vita, della tenerezza, del perdono, della liberazione: il Gesù dell'amore totale!".
L'ultima cosa che volevo dirvi, è quello che diceva, proprio ieri sera, una ragazza: "Gesù sulla Croce, vedi, Checco, non è per me il segno del dolore: è il segno dell'amore totale!". Ed è profondamente vero: è certamente, anche, il segno del dolore, della fatica di vivere; ma prima di essere questo, è il segno di Uno che ha saputo amare fino in fondo, che ha saputo donarsi totalmente! Ecco la ventura di incontrare Cristo, la ventura di scoprirLo; la ventura che tutti voi, se siete qui, avete vissuto, forse in maniera diversa da me.
Un invito stasera, dunque, nel concludere un anno di preghiera: a cantare il nostro grazie al Signore: a dirGli dal profondo del cuore "Grazie!" per la luce, per la liberazione, per la vita che ci ha messo dentro! Domenica prossima ricominceremo ad aspettarLo: ci prepareremo al Natale, tenteremo ancora di accoglierLo in mezzo a noi.
Il Signore ci aiuti!
1991
Ed eccoci dunque alla fine di questo nostro cammino, alla fine dell'anno della nostra Preghiera. In questa ultima domenica, la Chiesa ci invita a guardare indietro, a ripercorrere tutto questo anno per ringraziare Gesù, per celebrarlo Signore della storia e della nostra vita. Facciamo insieme allora un rapido volo attraverso quest'anno che abbiamo vissuto insieme, ritrovandoci qui, domenica dopo domenica, per incontrare il Signore, per celebrarlo in mezzo a noi. Ricordate? È passato quasi un anno: lo abbiamo aspettato, e poi celebrato Bambino, piccolo Bambino indifeso, affidato alle nostre mani, alla nostra tenerezza. In questo Bambino abbiamo riconosciuto Dio che si faceva uno di noi, e poi lo abbiamo visto crescere.
È stato il Vangelo di Marco, quest'anno, questo straordinario Vangelo, che ci ha preso per mano, ci ha invitato a riconoscere nel falegname di Nazareth, in Gesù, il figlio di Dio. Ci ha invitato a guardarLo, prima, mentre si metteva in fila nella lunga schiera della gente che andava a farsi battezzare, in fila con i peccatori, Lui che veniva da Dio, dalla pienezza del Suo amore. Si metteva in fila per farsi compagno di strada, per portare a ciascuno di noi l'annunzio della pienezza del Suo amore, della Sua giustizia, la Sua passione per la verità, per il bene, la sua passione per la gente, la tenerezza per chi sbaglia, per chi non ce la fa ad andare avanti, il perdono, la misericordia, la voglia di riprendere la strada, di ricominciare ogni giorno.
Marco ci ha invitato ad andare da Gesù, ad incontrarLo lontano dalla folla, ci ha invitato ad avere il coraggio di prenderLo sul serio, a seguirLo, ad accogliere nel profondo della nostra vita, i Suoi valori. Ci ha fatto riconoscere in Gesù, non il Dio che viene con potenza a sconvolgere il mondo, a risolvere i problemi della nostra vita, ma il Dio che si fa servo, l'ultimo, il più piccolo, che viene a lavarci i piedi, che viene a mettersi al servizio di tutti. "Non sono venuto per essere servito, ma per servire e dare la mia vita a tutti".
E lo abbiamo visto donarci la vita. Vi ricordate? Abbiamo celebrato, e lo celebriamo ogni volta che ci ritroviamo, Gesù che si fa Pane, Gesù che ci dà la vita fino a morire per noi. Abbiamo riconosciuto che Lui aveva veramente ragione, Lo aspettiamo alla fine dei tempi.
È Lui il Signore della storia, è Lui l'ultima parola sulla nostra vita. La nostra vita non è affidata ai potenti di questo mondo, a coloro che fanno la guerra, a coloro che uccidono, a coloro che sciupano il mondo. L'ultima parola del mondo è Gesù, per questo Lo proclamiamo "Signore": il Suo amore, la Sua tenerezza, la Sua passione per il bene, per la giustizia. È Lui in cui crediamo, è Lui che sentiamo presente anche oggi, qui, Signore della nostra vita, Signore della storia.
"Il Signore mi ha dato forza, perché per mio mezzo 29 giugno 1997
si compisse la proclamazione del messaggio."
"Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa."
Pietro la roccia, l'uomo dalla fede forte e sicura, il capo indiscusso della prima Chiesa, colui che con mano ferma e infallibile guida la prima comunità cristiana: è questa l'immagine che mi ha consegnato il catechismo, quando ero ragazzo. Quanto distante da questa immagine - così segnata dalla ideologia, dalla ricerca del potere, dalla esaltazione dell'infallibilità del Papa - l'immagine che mi ha consegnato, in questi lunghi anni, la ricerca nel Vangelo, negli Atti degli Apostoli!
Pietro è l'uomo dalla fede fragile, è l'uomo dai mille dubbi, dalle tante paure, dalle molte vigliaccherie. Ha scoperto in Gesù colui che ha "parole di vita eterna" e tenta di andargli dietro, ma non sempre ci riesce.
A Pietro Gesù rivolge la parola più dura del Vangelo: "Stai lontano da me, Satana! Tu non pensi come Dio, ma come gli uomini". Pietro Lo rinnega: giura di non conoscerlo, là nell'orto, quando la piccola serva gli dice: "Anche tu eri amico di Gesù". -"Non l'ho mai conosciuto. Non so chi sia".
E non è che tutto sia finito con la Resurrezione e la Pentecoste, quando anche su Pietro è disceso lo Spirito! Paolo deve rimproverare a Pietro di essere un vigliacco, di comportasi male, di aver paura dell'autorità di Gerusalemme!
Pietro, l'uomo dalla fede fragile e indifesa; l'uomo dai mille dubbi, l'uomo dai molti tradimenti. Che non si stanca, però, - è questa la sua grandezza - di cercare Gesù; non si stanca di aver fiducia in Lui, di tornare da Lui, al di là dei suoi fallimenti, dei suoi dubbi, delle sue paure.
E questo me lo ha fatto sempre sentire vicino. Vicino nel mio cammino di credente: anch'io con i miei dubbi, con le mie paure, con le mie vigliaccherie, con i miei tradimenti! Anche io, come Pietro, ho continuato a credere in Gesù e a cercarLo! E credo sia così per molti di voi!
Non ho potuto invece mai sentire molto vicino Paolo: perché mi è sembrato di cogliere in Paolo una personalità straordinaria; l'ho sentito simile alle persone straordinarie - più d'una ho avuto la fortuna di incontrarne - persone che avevano un carattere forte, una personalità eccezionale! Così doveva essere Paolo.
Un uomo che ha avuto il coraggio di portare il Cristianesimo al di là del piccolo guscio della nazione ebraica; di correre per il mondo, di affrontare vari luoghi e diverse culture; di essere un testimone appassionato della libertà, che sentiva di avere scoperto in Gesù!
Nelle sue Lettere abbiamo trovato alcune delle parole più belle del Nuovo Testamento, alcune delle intuizioni più profonde della nostra fede. Non che avesse sempre ragione, anche lui era un uomo... Quest'anno abbiamo riso più volte delle sue parole e invito tutti voi a leggere qualche volta le Lettere di Paolo, per ridere della tante sciocchezze che anche l'apostolo ha detto.
Anche questo ci fa liberi! Sentire che una persona straordinaria come Paolo - un campione della libertà, un uomo che ha saputo dire cose straordinarie - anche lui qualche volta dice sciocchezze, anche lui qualche volta scambia le sue fantasie, le sue paure, con la dottrina del Signore! Succedeva al tempo di Paolo, succede anche oggi.
Anche noi a volte scambiamo le nostre sciocchezze con la luce di Gesù e non solo noi: anche i capi, anche quelli che parlano di Gesù alla radio e alla TV, a volte dicono sciocchezze! Continuiamo a sorridere e a cercare Gesù, la Sua luce.
Essere cristiani, in fondo, è questo: al di là delle nostre paure, dei nostri sbagli, delle nostre vigliaccherie, dei nostri errori, continuare a fidarci di Lui, convinti che solo Lui, come diceva Pietro, "ha parole di vita eterna"! E tentiamo di essere Suoi testimoni nella vita di ogni giorno.
E non ci stancheremo di farlo. Ed dopo di noi ci sarà gente che cercherà Gesù: come hanno fatto gli apostoli e i tanti credenti, in questi 2000 anni.
Gesù ci aiuti a cercare ancora la Sua luce!
1994
Nella Chiesa d'Italia - anzi nella Chiesa universale - siamo solo noi, oggi, a ritrovarci intorno all'altare per celebrare l'Eucarestia. E ci ritroviamo intorno all'altare, perché ormai da tempo gli apostoli Pietro e Paolo sono onorati come patroni di Roma (a loro, come sapete, sono dedicate due delle più grandi chiese di questa nostra città).
Quando io ero ragazzo mi avevano insegnato a riconoscere negli apostoli Pietro e Paolo (almeno, così avevo capito, ma forse mi ero sbagliato) i fondatori della Chiesa di Roma, coloro che avevano portato per primi, qui, nella nostra città, l'annunzio di Gesù, la Sua parola.
Capirete la mia delusione quando, crescendo, ho scoperto - attraverso gli studi di gente che se ne intendeva - che non erano stati affatto loro i primi a portare a Roma l'annunzio di Cristo: quando, quasi per caso, Pietro e Paolo son venuti a Roma, c'era già qui un gruppo di credenti, un pugno di gente che testimoniava Cristo! Era gente molto semplice: alcuni schiavi (a quel tempo la maggior parte degli abitanti di Roma erano schiavi), alcune prostitute, alcuni poveracci dei vicoli della Suburra: e loro hanno accolto per primi il messaggio cristiano, loro hanno cominciato ad essere testimoni di Gesù in questa nostra città, loro hanno fondato la Chiesa di Roma.
Quando Pietro o Paolo sono venuti qui, hanno trovato un gruppo di Cristiani, che si ritrovavano, come noi, intorno alla tavola per "spezzare il pane", per far memoria di Gesù; hanno trovato della gente, che credeva sul serio in Gesù Cristo e cercava di vivere la Sua Parola. Pietro e Paolo sono stati accolti, con rispetto e riconoscenza - erano tra i primi che hanno conosciuto Gesù e hanno testimoniato la Sua Parola -; ma non sono stati loro a fondare la Chiesa di Roma, non sono stati loro i primi a parlare di Gesù in mezzo a noi!
Questa cosa, le prime volte, mi ha sorpreso, mi ha lasciato un po' deluso: perché noi uomini, specialmente quando si è giovani, pensiamo che la storia sia fatta dai grandi personaggi... Ma poi, andando avanti nella vita, mi sono accorto che la Chiesa non è fatta di personaggi straordinari! A Roma ne sono passati tanti: hanno fatto rumore, più spesso hanno fatto danno...
Se il Vangelo di Gesù è arrivato fino a noi, è perché tanta gente di tutti i giorni - tanta gente come voi, e io ne ho incontrata tanta, nel mio cammino di credente - tanta gente semplice, tanta gente a volte senza grande cultura, senza grandi doti umane, ha saputo credere in Gesù, ha saputo testimoniare la Sua parola, vivere il Suo messaggio!
Ecco, noi riconosciamo negli apostoli Pietro e Paolo due testimoni del Signore, che qui sono stati uccisi dalla violenza degli uomini, che hanno saputo essere fedeli a Gesù sino all'effusione del sangue, due personaggi straordinari che hanno onorato la nostra città... ma, se volete unirvi con me, con gioia oggi possiamo ringraziare il Signore perché qui in Roma Pietro e Paolo hanno trovato una Chiesa già formata, una Chiesa di povera gente che ha saputo continuare ad essere testimone autentica di Gesù fino ai nostri giorni, che ha portato fino a noi la freschezza del Vangelo.
Continueremo, con fiducia e coraggio, a testimoniare Gesù sulla scia dei tanti che lo hanno fatto prima di noi. E, se posso aggiungere una parola, ci conviene diffidare dei personaggi importanti, di coloro che pensano di testimoniare Gesù alzando la voce, gridando: spesso fanno più danno che utile!
La testimonianza del Vangelo è silenziosa, quotidiana, fatta di gesti piccoli, ma sinceri e profondi: testimonianza dell'amore di Gesù nel mondo!
Lo Spirito dia, anche a noi, di farlo!
"Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su 9 novembre 1997
questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre...
Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri
adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità.
Dio è spirito e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità"
Se qualcuno, incontrandovi per via, vi chiede dov'è la chiesa, a nessuno di voi penso che salti in mente di rispondere "Sono io! Vuoi sapere dove possiamo trovare anche gli altri cristiani?". Eppure, vedete, i cristiani di un tempo avrebbero risposto così.
"Chiesa" è una parola che significa "l'assemblea dei credenti", molto prima che una costruzione e un luogo; soltanto poi, perché non c'era uno spazio in cui i credenti, ormai numerosi, potessero riunirsi, ritrovarsi insieme, si son dovuti costruire degli spazi, degli edifici, che i primi Cristiani chiamavano la casa della Chiesa... che siamo noi. Ecco perché questo edificio si chiama chiesa.
Se un uomo di un'altra religione vi chiede: "C'è in questo quartiere un luogo sacro?" credo che anche a lui voi indichereste la chiesa; e fate bene a fare così. A nessuno di voi passa in mente di dire: "Io! Sono io l'unico spazio sacro: il mio cuore, la mia vita, è il vero luogo sacro".
Perché, vedete, in ogni angolo della terra l'uomo ha sentito il bisogno di costruire degli spazi sacri. Per i primi uomini bastava soltanto qualche pietra messa in cerchio, che dividesse lo spazio sacro dallo spazio profano, dalla vita di tutti i giorni. E spesso, come avete ascoltato, questi spazi erano "in cima al monte": là, lontano dal rumore della vita di ogni giorno, si andava a cercare Dio, e là, spesso, sono stati costruiti dei grandi templi, degli straordinari edifici, per accogliere la gente che accorreva in gran numero.
E perché si andava a cercare Dio? Per chiedere una grazia, per cercare di interpretare il futuro, per fare memoria dei morti, per cercare in Dio la propria sicurezza. E si cercava di fare il tempio sempre più grande, pensando di dare gloria a Dio innalzando una grande costruzione, in cui si potesse fare sfoggio di cerimonie fastose: con stuoli di sacerdoti vestiti con abiti strani, che parlavano spesso lingue esoteriche, che facevano riti complicati, con l'intento di dar gloria a Dio.
Gesù ha tentato di portarci lontano da tutto questo: intorno alla tavola, in una casa qualunque, sulla tavola un po' di pane e un po' di vino... per lasciarci la convinzione che la "gloria di Dio" è la nostra vita, che quello che veramente dà gloria a Dio è il cuore dell'uomo! Un cuore - come ci ricordava proprio un settimana fa - affamato e assetato di giustizia, mite, misericordioso, pacifico. Quello che dà gloria a Dio è la vita dell'uomo, in cui si realizzi la pace! È questo il vero tempio di Dio.
E allora il nostro ritrovarci qui, insieme, ogni domenica non può essere soltanto il venire a cercare una grazia, quando ne abbiamo bisogno, il venire a cercare una sicurezza o un momento di pace, nell'affanno della vita di ogni giorno.
Il nostro incontrarci qui la domenica non può che essere un cercare Gesù, la sua luce; far memoria di Lui; cercare i valori essenziali del nostro cammino sulla terra: perché la nostra vita sia "sacra", perché risplenda in qualche modo della luce di Dio; perché ci sia nella nostra vita la pienezza della giustizia, del bene, della gioia, del piacere, della felicità! Perché Dio risplenda attraverso la vita e la luce degli uomini!
La Chiesa, il tempio di Dio, il vero spazio sacro, siamo noi: ciascuno di noi e la nostra vita. Noi, tutti, siamo chiamati ad essere lo spazio in cui, in qualche modo, si manifesta Dio e si può incontrare Dio: la sua pace, la sua tenerezza, il suo amore!
Il Signore ci aiuti!