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OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 1999-2000 - Vangelo di Marco
INDICE
"Ti saluto, Maria! Il Signore ti ha Prima Domenica d'Avvento - 28 novembre 1999
colmata di grazia. Avrai un figlio... Luca 1, 26-38
"Com'è possibile? Io sono vergine...
Eccomi, sono la serva del Signore:
Dio faccia con me come tu hai detto".
I giovani, che hanno preparato per noi, quest'anno, il cammino d'Avvento hanno voluto iniziare da una riflessione sulla verginità di Maria, che diventa per loro l'icona-simbolo della nostra povertà, della nostra sterilità, della nostra impotenza a generare vita. Questo nostro mondo è spesso impotente, sterile; un mondo in cui c'è violenza, c'è ingiustizia, c'è mancanza di tenerezza, c'è povertà di vita. Ma i nostri ragazzi non vogliono che ci rassegniamo a tutto questo.
E allora ci hanno proposto la lettera di mons. Bello così ricca di speranza e questi simboli - vedete - che sono qui: una casa dalle porte e finestre chiuse, che occorrerà pian piano aprire; e poi un po' di sabbia simbolo del deserto, della nostra aridità, in cui però spunta un piccolo albero. Fra poco ci spiegheranno il perché di questo segno.
Vogliono comunicarci speranza e ci invitano a riflettere su questa pagina del Vangelo: Maria esprime all'angelo tutta la sua impotenza a generare un Figlio: "Come è possibile dal momento che io sono vergine?" E l'angelo la invita a non aver paura, a credere, a fidarsi di Dio.
Ecco: noi siamo spesso come questa casa dalle porte serrate, dalle finestre chiuse: non ci lasciamo coinvolgere dalla luce, non apriamo la porta del nostro cuore ai sogni di Dio! Maria ci invita ad aprirci allo Spirito, ad aprirci alla luce, a dar forza e calore alla nostra speranza, a guardare lontano, ad aspettare il Signore che viene!
E questo "aspettare" - ce lo diranno nelle domeniche seguenti - non significa compiere grandi cose. Significa dare senso alla nostra vita di ogni giorno; significa essere capaci di gesti che intorno a noi moltiplichino la vita; significa essere assetati di senso, di verità, di giustizia, di luce! Significa credere che può spuntare, nella nostra vita, qualche albero, qualche foglia, qualche nuovo frutto di giustizia, di tenerezza! A volte basta soltanto una carezza. A volte basta mettere più impegno nelle nostre cose quotidiane. A volte basta guardare con occhi più attenti chi vive con noi ogni giorno.
I ragazzi ci invitano a credere nella vita, a conservare la speranza nel nostro cuore! Ma prima di loro è Maria che ci invita a credere che l'impossibile diventi possibile. E Gesù ci chiede di farlo nascere ancora in mezzo a noi, nella vita concreta di ogni giorno!
I ragazzi hanno preparato anche una professione di fede in cui tentano di esprimere ancora questi concetti; e poi una preghiera dei fedeli. Allora, se volete, ci alziamo in piedi per recitarle insieme.
"Va', vendi tutto quello che possiedi, II Domenica d'Avvento - 5 dicembre 1999
dallo ai poveri ... Poi vieni e seguimi". Matteo 19, 16-22
Ma il giovane se ne andò via triste,
perché aveva molte ricchezze.
Può sembrare paradossale che i nostri ragazzi ci propongano una riflessione sulla solitudine, proprio in questo Avvento del 1999: le statistiche ci dicono che siamo arrivati a sei miliardi sulla terra! Come ci si può sentire soli in mezzo a sei miliardi di persone? Affollati, stretti... eppure qualche volta ci sentiamo soli.
Qualche volta a me è capitato di trovarmi imbottigliato in una lunga fila, o sulla Colombo (penso che questa esperienza l'abbiate fatta in molti) o sul Raccordo: tante macchine, tanta gente. Eppure sei solo, chiuso nella tua macchina, in mezzo alla folla.
E credo che un'esperienza simile facciano anche i nostri ragazzi, quando si ritrovano in tanti - addirittura a volte migliaia di persone - in una discoteca, tra il frastuono di una musica assordante, dove nessuno può nemmeno più rivolgersi una parola! Tanta gente... eppure anche lì fanno spesso esperienza della solitudine. E forse in qualcuno di quei ragazzi ci sarà la voglia che quella musica sparisca, che la gente se ne vada e che ci si possa ritrovare - se non proprio da soli - in due o in tre, per potersi parlare, per potersi incontrare, per potersi guardare negli occhi.
Potrebbero essere due simboli del nostro tempo, perché è vero - e i nostri ragazzi lo sentono - che ci sono tante solitudini intorno a noi. Ci sono anziani che si sentono soli, malati che si sentono soli, stranieri che si sentono soli; gente handicappata che non trova la comprensione di chi gli sta intorno; gente che si sente diversa e che non è accettata nella propria diversità... Tante solitudini!
Ma è anche vero - e i ragazzi ce lo hanno giustamente sottolineato - che a volte siamo noi che ci condanniamo alla solitudine. Mi è capitato di verificarlo spesso nella mia esperienza: a volte quelli che si lamentano di essere soli, lo sono perché non hanno avuto il coraggio di superare la paura di aprirsi agli altri: non hanno vinto la pigrizia per intessere relazioni. Ma a volte, peggio: hanno sacrificato i rapporti con gli altri alla carriera, alla corsa al successo, al denaro. Mi sembra giusta la scelta che i ragazzi hanno fatto oggi della pagina del Vangelo: il giovane ricco se ne va triste e solo, perché non ha saputo rinunciare a nulla!
Il Natale che viene ci invita a superare la solitudine: il Dio in cui noi crediamo, s'è fatto uomo per condividere la vita con noi, perché nessuno di noi si senta più solo! Ha scelto, come segno da lasciarci in memoria di sé, il pane condiviso: per invitarci a camminare insieme, ad accoglierci, ad aprire gli occhi su chi ci sta accanto!
Il Natale che viene ci trovi disponibili a tendere una mano, a provare a togliere un po' di solitudine intorno a noi, a superare le nostre solitudini! A volte ci sono solitudini nella stessa famiglia, nella stessa casa: tra marito e moglie, tra genitori e figli. A volte ci sono chiusure nella coppia che non sa aprirsi agli altri; a volte anche nella Chiesa ci sono gruppi, di persone che si ritrovano insieme, per chiudersi nei propri gusci, nell'apparente tranquilla sicurezza di sentirsi nel giusto e non sanno aprirsi agli altri.
Gesù è venuto per condividere la nostra vita, per tenderci la mano, per invitarci a tenderla a chi vive con noi!
In questa casa, dalla porta e le finestre serrate, simbolo delle nostre chiusure i ragazzi ci invitano ad aprire una finestra: l'aprirò per voi al momento dell'offertorio. Ma è soltanto un simbolo. Lo Spirito di Dio, il Natale che viene ci aiutino ad aprire qualche porta della nostra casa, del nostro cuore a chi vive con noi! Un po' meno solitudine... e il Natale sarà più vero!
Il Signore ci aiuti!
...si accorsero di essere nudi e si Immacolata concezione di Maria - 8 dicembre 1999
nascosero dal Signore Dio. Genesi 3, 9-15.20 - Luca 1, 26-38
"Lo Spirito santo scenderà su di te...
Colui che nascerà sarà dunque santo
e chiamato Figlio di Dio"....
"Eccomi, sono la serva del Signore!"
I giovani che hanno preparato, quest'anno, per noi il cammino d'Avvento, che ci aiutano nella preghiera di questi giorni di preparazione al Natale, ci hanno proposto, fin dalla prima domenica, Maria come icona, come immagine della nostra povertà, della nostra incapacità a generare vita. Ci hanno fatto riflettere sulla verginità di Maria, sulla sua impotenza: simbolo della nostra povertà, delle nostre debolezze di uomini.
E la prima lettura di oggi ci ricordava che non solo c'è debolezza nella nostra vita umana, ma anche la pretesa di essere al centro del mondo, di diventare come Dio! E spesso, come Adamo ed Eva, ci ritroviamo soli e impauriti, chiusi nei nostri egoismi.
Ma i ragazzi ci propongono, anche, Maria come modello di accoglienza: lei ripete all'Angelo "Com'è possibile per me far nascere un figlio? non conosco uomo!". Ma poi si apre al soffio dello Spirito, fa propri i sogni di Dio: il sogno di Dio di farsi uno di noi, di venire a condividere la nostra vita. Maria si rende disponibile: accetta il progetto di Dio, il suo sogno; e può far nascere Gesù! Diventa mamma di Dio che viene a condividere la nostra ventura umana, mamma della nostra fede, del nostro cammino, della nostra speranza.
Ed allora i nostri ragazzi ci invitano a prendere esempio da lei: ad aprire le porte del nostro cuore, a dilatare gli spazi del nostro spirito, a farci capaci di accoglienza; a superare le nostre chiusure, le nostre paure; a rinnovare la fiducia, la speranza, il coraggio del nostro cuore.
Non solo, ma il Vangelo di oggi ci ricorda che Maria, nel momento in cui si prepara ad accogliere Gesù, sa aprire gli occhi sui bisogni di chi le sta accanto. Del grande annunzio dell'Angelo Maria sembra capire una cosa sola: Elisabetta, la sua cugina, nella sua tarda età aspetta un figlio! Può aver bisogno di lei: allora prepara le sue cose e parte. Ecco, aspettare Gesù, fare spazio a Dio significa aprire gli occhi sui bisogni di chi ci sta accanto! Mentre ci prepariamo al Natale, mentre cerchiamo di accogliere Dio, quando tentiamo di fare spazio ai suoi sogni nella nostra vita di ogni giorno, occorre che apriamo gli occhi su chi ci sta accanto, su chi vive con noi; occorre che siamo capaci di vedere là dove ci può essere una solitudine da consolare, una mano da tendere.
Ecco, Gesù nasce in mezzo a noi nel momento in cui la vita si condivide, in cui i sogni di Dio - i suoi sogni di pace, di tenerezza, di giustizia, di vita - diventano i nostri sogni! Per questo Gesù nasce in mezzo a noi.
Maria ci insegni ad accoglierlo, a farlo crescere; ci insegni a conservare, nel nostro cuore, i sogni e la vita di Gesù e ci faccia capaci di attenzione e di condivisione tra noi!
Il Signore ci aiuti!
"Un uomo incappò nei briganti, che lo Terza Domenica d'Avvento - 12 Dicembre 1999
spogliarono e lo percossero, lasciandolo Luca 10, 29-37
mezzo morto... Un sacerdote, quando
lo vide, passò oltre. Anche un levita
lo vide e passò oltre. Invece un samaritano
ne ebbe compassione ...
In questa domenica d'Avvento, come avete ascoltato, ci propongono una riflessione sulla fretta e sull'impazienza. La fretta!... ne siamo quasi tutti presi, ci coinvolge: chi lavora, chi ha un impegno, sa che si corre tutto il giorno. Ed anche per i ragazzi... studio, sport, divertimento, a volte è tutta una corsa. E questo correre ci impedisce di fermarci a gustare la vita, ad apprezzarne le cose belle, a goderne gli attimi che passano in fretta. Per la riflessione dei bambini una signora proporrà domani il ricordo di un esperimento che, forse, abbiamo fatto tutti, quando andavamo a scuola: un disco, su cui sono disegnati vari spicchi con i colori dell'arcobaleno e se gira rapidamente si vede tutto bianco: i colori non si distinguono più!
Ed è quello che rischiamo anche tutti noi: di perdere i colori della vita. A volte non siamo più capaci di apprezzare la bellezza del creato che ci sta intorno: lo splendore del cielo, del mare, il sole, i fiori... Ma soprattutto le persone che ci stanno accanto: la dolcezza di chi ci vuol bene, i figli o i nipoti che crescono, la tenerezza e l'amore!
E forse anche il sacerdote o l'uomo del tempio della parabola correvano dietro ai loro impegni e non si sono accorti dell'uomo ferito sulla strada... anche noi, a volte, forse per la fretta che ci accompagna spesso, non ci accorgiamo, non ci diamo pensiero di chi, sotto i nostri occhi, ha bisogno di un gesto di tenera attenzione, che ci spinga a fermarci un momento, a tendergli una mano, ad aiutarlo.
Fermarci, guardandoci intorno, essere capaci di scorgere il bisogno dell'altro, è importante per tutti noi; ma soprattutto per chi ha la giornata piena di tanti impegni: per chi deve correre, per chi deve trafficare, per chi deve produrre; per chi ha il problema - serissimo! - di occuparsi del denaro, del lavoro, della gestione dei concreti problemi di ogni giorno.
Ma i nostri ragazzi ci invitano, anche, a riflettere sul fatto che noi viviamo in tempi di impazienza: un mondo, una società, che consuma presto tutto; quando uno si propone qualche cosa, vuole vedere i risultati quasi immediatamente. E si rischia così di perdere il senso dei tempi lunghi, della fatica del seminare. Le cose importanti fioriscono a volte dopo anni, a volte dopo secoli: perché c'è stato qualcuno che ha avuto il coraggio di cercare, di proporre intorno a sé i valori autentici della vita.
Noi aspettiamo, per Natale, Dio che si è fatto uno di noi: ed ha accettato di vivere per 30 anni in un piccolo paese; e poi ha parlato a poche persone, spesso senza essere capito: forse per questo ha parlato spesso del seme e della fatica di seminare. E quando alla fine lo hanno inchiodato su una croce, tutto sembrava perduto... Eppure, noi siamo qui - 2000 anni dopo - ancora riuniti nel suo Nome, ancora a portare nel cuore i valori che Lui ha seminato!
Chi sa se Gesù ha potuto vederci, sognare che tanta gente, secoli dopo, ancora porta nel cuore qualcosa dei semi che Lui, con pazienza, ha messo nei solchi della storia!
Eccoci dunque in cammino per accogliere Gesù, seme di Dio nei solchi della nostra storia, per accogliere i suoi sogni; per avere anche noi il coraggio di continuare a mettere, anche oggi, intorno a noi, i semi del bene! Con pazienza, anche se non potremo mai vederli tutti fiorire!
Il Signore ci aiuti! Il Natale che viene ci trovi un po' meno frettolosi, un po' più pazienti: capaci tutti noi, come Gesù, di mettere i semi giusti nei solchi della storia!
"Perché cercarmi tanto? Non sapevate che IV Domenica d'Avvento - 19 dicembre 1999
io devo essere nella casa del Padre mio?". Luca 2, 41-50
Ma essi non capirono il significato di quelle parole.
Vedete, il grande simbolo che accompagna il nostro Avvento è ormai pronto: le finestre aperte, anche la porta è spalancata, è pronta già la culla. Tutto è pronto per aspettare Gesù. Se venite domani, alla Messa dei bambini, vedrete anche sulla porta un bel fiocco azzurro, come si conviene quando nasce un bambino. E avete ascoltato ancora, da parte dei nostri giovani - oggi ci parlano delle giovani coppie - l'invito a dilatare gli spazi del nostro cuore, per fare spazio a Gesù: per credere nei suoi sogni, nei valori che Gesù viene a vivere con noi, in mezzo a noi, condividendo la nostra ventura di uomini, il nostro cammino per le strade sulla terra... Il sogno della gratuità, della giustizia e della tenerezza, del rispetto e della libertà, della pienezza della vita!
Ma, come avete ascoltato, queste giovani coppie, che hanno fatto da poco l'esperienza di mettere al mondo un figlio, che se lo vedono crescere pian piano accanto, ci parlano dello stupore e della gratuità che occorrono per accogliere una vita diversa da come ce l'aspettavamo. E non accade soltanto per i nostri bambini... anche Dio a volte è diverso da come lo sogniamo, da come lo vorremmo! Tutti noi ci aspetteremmo un Dio grande, potente, che risolva i problemi della nostra vita, che ci dia sicurezza ed è un Bambino, quello che siamo invitati ad accogliere nelle nostre braccia! Un Dio bambino, che si affida a noi, che ci chiede il coraggio di farlo crescere, di dilatare gli spazi della sua presenza in mezzo a noi!
Ma queste giovani coppie, che da poco hanno avuto il coraggio e la fiducia nella vita che occorrono per far nascere un figlio, ci invitano anche a pensare che Dio si fida di noi, ha fiducia in noi forse più di quanto noi ne abbiamo in noi stessi. Ed è bello sentire che Dio viene in mezzo a noi proprio perché crede in noi, proprio perché ha fiducia in noi! Vivere il Natale così è bello: Dio stesso ci invita ad avere fiducia in noi stessi, nell'umanità, nel cammino dell'uomo!
Ed io, alla fine di questo cammino d'Avvento, vorrei parteciparvi la mia gioia per quello che i nostri ragazzi hanno preparato in queste quattro domeniche. So che a qualcuno di voi questa novità è costata un po' di pazienza. Ma chi ha dovuto esercitare la pazienza sappia che c'è stata molta gente - anche che veniva da lontano - che è stata entusiasta di queste parole; che mi ha chiesto di dire un "Grazie!" a questi ragazzi, che mi ha chiesto di parteciparvi la gioia: perché - mentre quest'anno se ne va, mentre sta quasi finendo questo millennio - c'è ancora gente capace di comunicarci valori, di parlarci di speranza, di farci partecipi di riflessioni autentiche!
A volte, quando ascoltiamo la radio o vediamo la TV, sembra che i ragazzi siano tutti persi dietro allo stordimento delle discoteche, se non addirittura alla droga... in ogni angolo della terra, ci sono ragazzi capaci di cercare, di credere, di comunicarci speranza, di testimoniare valori autentici: come tutti quelli che, con grande sforzo, hanno preparato questi fogli, che sono frutto di ricerca, di pensiero, di discussioni fatte insieme, di appassionato lavoro! Tutto questo l'hanno fatto per noi: per comunicarci non soltanto qualche parola, ma la speranza del loro cuore.
È bello, dunque, per Natale vivere la gioia di giovani che credono, che sperano, che ci invitano ad accogliere Gesù e a fargli spazio!
E poi... e poi avremo tempo, venerdì notte, di guardare a Gesù. Perché quello che conta è che Dio viene a nascere nella nostra vita, a camminare con noi.
Maria ci aiuti ad accoglierlo! magari un po' diverso da come ce lo aspettiamo; come lei ha saputo accoglierlo diverso da come se lo aspettava. E qualche volta (come ci ricordava il Vangelo di oggi) non capiva nemmeno chi fosse veramente quel Bambino che le cresceva accanto! Eppure anche lei, come noi, ha creduto in Lui ed ha cercato di conservare nel suo cuore i sogni di Gesù, i sogni di Dio!
Il Signore ci aiuti!
"... ecco, vi annunzio una grande gioia: oggi Natale del Signore - 25 dicembre1999
vi è nato un Salvatore, che è il Cristo Signore. Luca 2, 1-14
Questo per voi il segno troverete un bambino,
avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia".
Ecco ancora una volta a celebrare la notte di Natale, a guardare il Bambino Gesù! Ancora una volta a tentare di vivere la follia di Dio nella mia vita. Penso di poter coinvolgere anche voi; ma vorrei parlare in prima persona. Io ho la sensazione - anche se gli anni son passati, anche se di Natali ne ho celebrati tanti - di non riuscire ancora a capire fino in fondo cos'è Natale!
Vedete, fin da quando ero bambino m'hanno detto che quel bambino, che ho davanti nella notte di Natale, è Dio. Me l'hanno ripetuto tante volte: m'hanno detto che Dio è onnipotente, che può far tutto! Ed io guardavo quel bambino - e guardo quel bambino - ma per me non è ancora un bambino. Quando ero piccolo andavo a chiedergli che mi facesse trovare qualche dono sotto l'albero, gli chiedevo che portasse la pace, che facesse star bene il papà e la mamma. Quando son cresciuto, portavo davanti a quel bambino i miei dubbi, le mie difficoltà: Lui sapeva tutto!
E non riesco ancora ad accettare che Dio diventa un piccolo cucciolo d'uomo: impotente, indifeso. Che cos'è un bambino? soltanto desiderio di vita, soltanto bisogno di protezione, di tenerezza, di affetto. Un Dio che mi tende le mandi che viene a condividere la mia vita, che viene a portare nella mia vita i suoi sogni... Ma ecco, vedete, già comincio a parlare dei suoi sogni; già voglio che quel bambino cresca, che diventi grande, che cominci a far qualcosa... Qualcosa per me, per la mia vita, per questo mondo.
E non ho ancora accettato la follia di Dio che si fa bambino: non parla, non dice nulla: è in mezzo a noi, è accanto a me nella mia vita! E prima di far qualcosa, vuole che io lo accolga nella mia vita, vuole che lo accetti così, indifeso, che mi tende le mani. Vuole che senta, finalmente, che il dio onnipotente, grande, che risolve i miei problemi, non c'è! Che l'unico Dio che io conosco è un bambino che si affida a me, che mi tende le mani!
Forse farei bene a guardare il sorriso, un po' stanco e disfatto, di Maria: tanta fatica per mettere al mondo un figlio! Quel sorriso che ho visto tante volte sul volto di mamme a cui ho voluto bene: il sorriso affaticato, magari ancora nel letto, stanco... Eppure, la gioia di una vita. Una vita interamente a loro affidata, cui non potevano chiedere nulla, perché le dovevano tutto! Eppure, quella vita era la ricchezza più grande del loro esistere.
Natale è Dio che diventa uno di noi, che viene a camminare con noi, che vuol essere accolto da noi, che ci tende le mani, che ci chiede qualcosa... non affrettiamoci a farlo diventare grande! Guardiamo: ci vuole meraviglia nella notte di Natale! La meraviglia davanti ad un bambino che nasce, ad una vita che ci è affidata. Una vita che dobbiamo custodire, che dobbiamo sentire nostra.
Dio, Dio in mezzo a noi, è un cucciolo d'uomo: piccolo, indifeso, inerme. Accoglierlo come lo ha accolto Maria, con il sorriso della mamma, con la passione per questa vita che nasce! Poi crescerà: avrà anche delle cose da dirci, ci chiederà anche l'impegno... Ma stasera vorrei che non parlassimo d'impegno, di sforzo: che guardassimo soltanto. Poi... una mamma sa che crescere un bambino le costa; una mamma sa che proteggere la vita richiede tutto il suo impegno... Ma lasciamola guardare il suo figlio, adesso!
Permettete anche a me, ancora una volta, di guardare Gesù. E guardatelo con me: è Dio! Non cercate il dio potente e grande; non cercatelo nelle grandi parole, non cercatelo nelle grandi manifestazioni, nelle grandi cerimonie! Una mangiatoia, la paglia, il sorriso della mamma e la passione della vita: questo è Dio in mezzo a noi!
Ed io ancora faccio fatica a capirlo; ancora devo chiedere a Dio il coraggio di accettarlo così. Lo vorrei diverso, lo sognerei potente: vorrei che mi dicesse tante cose, che cambiasse il mondo... E Lui è piccolo: forse piange soltanto, forse grida la sua passione per la vita come ogni bambino che nasce. Poi crescerà, poi parlerà, poi mi chiederà qualcosa... Ma stasera vuole soltanto che io lo guardi e che lo senta presente nella mia vita. Nella mia, nella vostra, nella vita di ogni uomo.
Questo è Natale!
...portarono il bambino a Gerusalemme per Santa Famiglia - 26 dicembre l999
offrirlo al Signore... Quando ebbero tutto Luca 2, 22 - 40
compiuto secondo la Legge del Signore, fecero
ritorno in Galilea, alla loro città di Nazareth.
Soltanto ieri ci siamo trovati qui intorno alla tavola, per celebrare il Natale e abbiamo ascoltato la narrazione di Luca: la grotta, i pastori, il canto degli angeli. Oggi (forse lo avete notato) Luca ci descrive con cura tutte le osservanze della Legge, cui Maria e Giuseppe si devono sottoporre: devono andare al Tempio, a Gerusalemme, portare l'offerta delle colombe, circoncidere Gesù; occorre che "osservino tutta la Legge". Poi se ne tornano a casa, a Nazareth, e vivono come ogni famiglia del tempo: una casa molto diversa dalle nostre, un modo di vivere completamente diverso dal nostro. Anche la Legge, che loro osservavano, noi non l'osserviamo più: non abbiamo più il Tempio, non abbiamo più le colombe da offrire, i sacrifici; non c'è più la circoncisione, che tanto ha fatto tribolare i primi Cristiani.
Eppure, avete ascoltato: Luca sottolinea che quello che conta è lo stupore di Maria e Giuseppe, il desiderio di luce del profeta, l'annunzio di Gesù che fa anche la vecchia profetessa.
Vedete, l'uomo non può vivere senza regole, senza leggi, senza abitudini... ma queste cambiano nel corso della storia: erano profondamente diverse al tempo di Gesù. Ma dentro la legge ci vuole un cuore, dentro le abitudini ci vuole un desiderio della luce, la passione della vita.
E questo vale anche per le nostre regole e le nostre leggi. Vedete, anche per noi, anche nelle nostre case, nei rapporti tra marito e moglie, mentre i figli crescono, c'è bisogno di stupore, di meraviglia e capacità di accogliere. Cambiano le abitudini, le mode; cambiano anche le leggi: i nostri ragazzi... ci siamo prima preoccupati perché si lasciavano allungare i capelli e adesso ci preoccupiamo perché se li rapano.
Non riusciamo sempre a capirli, facciamo fatica ad accettarli! Chi sa se ci può consolare che anche Maria e Giuseppe hanno fatto fatica ad accogliere il loro figlio, a capirlo, a inseguire i suoi sogni! La cosa essenziale, per la loro casa, è proprio lo stupore, il senso di meraviglia, il desiderio di capire, l'accoglienza, il rispetto, la libertà, che si deve ad ogni uomo e che si deve esigere da ogni uomo.
Anche la voglia di correre per il mondo, di inseguire i sogni, che aveva Gesù... chi sa se possiamo comunicarla anche ai nostri ragazzi, che a volte si rifugiano nel guscio tranquillo della loro famiglia: per essere protetti, per non affrontare le grandi tempeste del mondo!
Passione per la luce, voglia di crescere, desiderio di libertà, rispetto, tenerezza: sono questi i valori autentici!
Poi, cambiano le mode, cambia il modo di vestirsi, cambiano le regole, le leggi, i tempi... ma le cose essenziali son sempre le stesse.
Il Signore ci aiuti a viverle anche nella nostra casa!
"Maria serbava tutte queste cose, Maria SS. Madre di Dio - 1 gennaio 2003
meditandole nel suo cuore." Luca 2, 15 - 21
Ecco, ci troviamo insieme per cominciare un anno nel nome del Signore. Io spero che siate tra quelle persone sagge che non ritengono necessario moltiplicare le parole e fare prediche lunghe e complicate. Spero che condividiate con me il desiderio di scambiarci gli auguri semplicemente, sinceramente, all'inizio di quest'anno che il Signore ci mette davanti.
L'augurio che possiamo farci, spero lo condividiate, è di trascorrere giorni abbastanza tranquilli, con un po' di buone salute, con un po' di serenità dentro di noi, attorno a noi, nelle nostre case, nell'ambiente in cui ci è dato di vivere, e, se è possibile, anche un po' di pace in questo mondo complicato e travagliato.
Possiamo anche augurarci di conservare nel cuore la capacità di stupirci. Credo che sia uno dei segreti della vita. Ieri, ricordate, era una giornata grigia, ha piovuto anche parecchio. Oggi è una giornata piena di luce, penso che anche voi vi siate fermati un momento a guardare il cielo, il mare, in questa splendida mattina del primo gennaio.
Auguriamoci di cuore di condividere la meraviglia per la luce che comincia a risplendere ogni mattina, per la bellezza del mare, dei fiori, così anche di qualche montagna, che speriamo di vedere in quest'anno che ci sta davanti.
Auguriamoci di conservare la capacità di stupirci di fronte alla tenerezza della gente che ci sta intorno, al sorriso di un bambino; e speriamo di avere anche noi il coraggio di sorridere, anche quando le cose non andranno proprio come vorremmo.
Auguriamoci poi di continuare a cercare i segni della speranza, della bellezza della vita. A volte, lo sapete, la televisione, la radio, i giornali ci mettono davanti solo notizie negative, tutto quello che nel mondo non va. Auguriamoci di continuare a cercare anche le cose belle, i segni della speranza che ci sono intorno a noi: la gente che continua a studiare, a cercare, i nostri ragazzi che crescono, quelli che s'impegnano a fare un po' di bene. C'è tanto bene che non fa rumore, di cui spesso non ci accorgiamo, ed allora continuiamo a cercarlo, a scoprirne i segni, magari intorno a noi, fra la gente che cerca di fare andare avanti il mondo, con impegno, coraggio e serenità.
Noi siamo qui intorno all'altare e possiamo allora anche augurarci di essere almeno un po' come Maria. Luca propone Maria come modello per il cristiano, come maestra di fede che può insegnarci ad accogliere il Signore e a fargli spazio. Nel Vangelo di oggi abbiamo ascoltato: "Maria conservava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore": ogni cristiano può iniziare l'anno portandosi nel cuore i segni di Natale: un Bambino nato per noi, l'ottimismo di Dio, la certezza che Lui viene a condividere la nostra vita, a camminare con noi per le strade di questo mondo. È bene che ciascuno di noi si porti nel cuore il desiderio di vedere crescere questo bambino, di conoscere i suoi ideali, i suoi sogni, le cose che aveva nel cuore, cercando di farle nostre in quest'anno, di renderle vive per noi.
Possiamo finalmente augurarci, credo che sia la cosa più importante, che in quest'anno possiamo fare un po' di bene. Non cose straordinarie, forse non ne siamo capaci, almeno io non ne sono capace. Porgere ogni giorno un bicchier d'acqua a chi ci sta accanto, un po' d'impegno nel nostro lavoro, nella vita di casa, l'attenzione verso gli altri. Piccoli gesti quotidiani che ci permettono di asciugare una lacrima, di fare del bene, di dare un bicchier d'acqua a chi ne ha bisogno. Sono le semplici cose che il Signore conserva nelle sue mani, nel suo cuore: è il grande tesoro del mondo. Noi possiamo forse solo mettere i nostri spiccioli, come la donna del Vangelo. Ma per Dio sono preziosi anche gli spiccioli! Allora auguriamoci di cuore che in quest'anno possiamo fare anche un po' di bene perché il mondo sia più bello e più sereno per noi e per tutti.
In principio era il Verbo e il Verbo era II Domenica dopo Natale - 2 gennaio 2000
presso Dio e il Verbo era Dio ... Giovanni 1, 1-18
E il Verbo si fece carne e venne ad
abitare in mezzo a noi.
Chi come me ha i capelli bianchi ha ascoltato queste parole del Vangelo tantissime volte. Forse non lo ricordate più, perché son passati ormai tanti anni; ma un tempo queste parole si ripetevano ad ogni Messa, sia festiva che feriale: questa pagina era considerata dagli antichi la pagina più importante di tutto il Vangelo. E anch'io, quando studiavo, ho dovuto passare ore e ore per cercare di analizzare ogni sfumatura di queste parole, in greco addirittura; per tentare di ricostruire tutto il mondo culturale e filosofico che c'è dietro le parole che avete ascoltato: "In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio... In Lui era la vita...".
Queste parole sono il frutto della ricerca appassionata di una comunità, vissuta tanto tempo fa; sono parole che molti Cristiani hanno amato... anch'io, quando ero giovane sono rimasto affascinato da queste parole solenni. E poi, pian piano, a me e a molte persone che conosco, sono morte in bocca e forse nel cuore! Sono parole che non esprimono più il nostro rapporto con Gesù!
E mi sembra di aver capito quale deve essere stata la difficoltà dei primi Cristiani: coloro che erano abituati a parlare della nascita di Gesù con le semplici parole del Vangelo di Luca, quelle che abbiamo letto anche noi la notte di Natale: la capanna, i pastori, gli angeli... Ascoltando queste nuove parole avranno pensato: "Qui si cambia tutto! Che diritto hanno di usare parole così difficili?". E qualcuno non se l'è sentita di seguire il cammino della Chiesa, di usare queste parole; qualcuno voleva che fossero cancellate.
E questo è successo tante volte, nel cammino della Chiesa, e succede anche oggi. Ci sono persone che credono che le parole siano ciò che conta; che cambiare le parole significa cambiare tutto, significa cambiare la fede! C'è gente - c'è stata sempre nel cammino della Chiesa - che pensa di difendere la tradizione, le parole che si sono sempre dette: "La Verità!". E difendono soltanto le proprie intolleranze, le proprie paure, la propria incapacità di capire il prossimo.
Oggi i nostri ragazzi hanno bisogno di parole nuove per tentare di esprimere lo stesso mistero di Dio, per tentare di capire Gesù che nasce in mezzo a noi. Vedete, in questo Natale abbiamo fatto anche noi le nostre piccole esperienze: avevamo preparato per la notte del Natale precedente un bel libretto: ci sembravano parole moderne... Quest'anno era ancora quasi nuovo, ci sembrava che non ci fosse bisogno di cambiarlo... I nostri giovani l'hanno voluto cambiare: in un anno, le parole erano già vecchie! C'è costato un po', perché stampare un libretto costa anche un pochino; ma poi ci siamo accorti che avevano ragione loro: che le parole erano più fresche, più vive, più vicine alla nostra sensibilità.
E forse possiamo dire che anche le parole sono relative e che, al di là di tutto, quello che conta è il nostro cuore, il nostro rapporto con Gesù! Le parole nascono, crescono, muoiono; anche i gesti che facciamo qui in chiesa, anche i canti e le preghiere... quello che conta è che ciascuno di noi sappia riconoscere Gesù nella vita di ogni giorno. Le parole forse più semplici del Vangelo sono quelle che ci sentiremo ripetere alla fine: "Avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere... - Ma quando, Signore? - Ogni volta che hai fatto questo al più piccolo dei miei fratelli, l'hai fatto a me".
Vedete, allora, che parole, simboli, canti, riti... tutto è relativo, tutto fa parte di tempi e culture che mutano e, sembra, sempre più in fretta... Al di là delle parole, al di là delle frasi più o meno importanti, essere credenti è riconoscere il Signore in chi ci vive accanto e ci tende la mano! E questo ci fa sentire che qui, intorno all'altare, potremmo essere compagni di tutti gli uomini del mondo: anche di quelli che parlano lingue e appartengono a culture profondamente diverse; anche di quelli che Gesù non l'hanno mai sentito nominare; anche di quelli che Lo bestemmiano!.. ma che, magari, se incontrano una persona in difficoltà, sanno dare la mano meglio di noi!
Vedete, in fondo le parole cambiano, le culture muoiono, le parole - pur così necessarie e a volte così belle - non sono tutto... quello che conta è la vita di ogni giorno! E là, nella vita di ogni giorno, il Vangelo ci invita a riconoscere Gesù e a tendere la mano come possiamo!
Il Signore ci aiuti a farlo!
Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo EPIFANIA DEL SIGNORE - 6 gennaio 2000
sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò Matteo 2, 1-12
sopra il luogo dove si trovava il bambino.
Al vedere la stella, i Magi provarono una
grandissima gioia... videro il bambino con
Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono.
È capitato forse anche a voi, come è capitato a me in questi giorni, di ascoltare più di una volta discorrere degli scienziati (o almeno così si definiscono) su quale possa essere la stella del tempo in cui è nato Gesù. Chi parla di una cometa, chi di una congiunzione di pianeti, chi di una "supernova"... Ora, non so se anche voi trovate stupefacente questa ricerca... Il Vangelo di Matteo parla di una stella che sorge, accompagna i magi nel loro cammino; ad un certo punto si ferma, poi riprende a muoversi; poi scende su una casa e si ferma lì. Secondo voi, chi ha un po' di sale in zucca può andare a cercare in cielo qualcosa del genere? Questo non è certamente un astro del cielo: gli astri non si muovono in questo modo, non "camminano" insieme agli uomini, non si fermano sulle case! Evidentemente quegli "scienziati" non hanno mai letto il Vangelo.
Eppure nel 2000 c'è ancora gente che va a cercare questa stella nel cielo! E la cosa ci farebbe solo sorridere, se dietro non ci fosse tutto un atteggiamento religioso, molto comune nel nostro paese, che tende a confinare la religione in quella specie di limbo in cui ci sono le favole, i miti, dove si ripetono tradizioni e riti, senza mai chiedersene il senso; in cui i sacerdoti, i "maestri della fede" ripetono antiche parole, ripetono quello che secondo i più devono dire, ma nessuno li ascolta...
Se leggete attentamente la pagina del Vangelo di Matteo che abbiamo letta stasera, vedrete che, anche al tempo di Matteo, accadevano le stesse cose: i sacerdoti, i maestri della Legge, quelli che sanno tutto, quelli che rispondono prontamente: "A Betlemme deve nascere il Messia"... ripetono antiche parole, ma non gliene importa niente! Erode, il grande personaggio, il difensore della tradizione, colui che ha costruito il più straordinario Tempio di Gerusalemme, dal tempo di Salomone in poi, diventa un persecutore di Gesù! La folla si agita come sempre... Nessuno si muove! Riti, cerimonie...
Chi si muove? Soltanto tre "pazzi" che vengono da lontano, inseguono la luce, prendono sul serio la loro ricerca, non si fermano nemmeno di fronte alle difficoltà, nemmeno di fronte alla violenza, nemmeno di fronte a quelli che sanno tutto! Non si contentano di parole che si sono sempre dette, continuano a cercare! Questi, gli unici, "con grandissima gioia" incontrano Gesù! Ed è gente che viene da lontano, gente che non appartiene alla religione ufficiale, gente che non viene a Gerusalemme per compiere i soliti pellegrinaggi, i soliti riti. Gente che insegue la luce!
E dunque, vedrete, anche a noi quest'anno proporranno i soliti riti, anche noi ascolteremo le solite parole, vedremo ripetersi gesti e tradizioni; anche noi ascolteremo miti e favole, di tutti i tipi... Non serve a nulla, se nel nostro cuore non c'è, come per i Magi, il desiderio della Luce, la voglia di incontrare Gesù, di prenderlo sul serio. Non lasciamo la religione nel limbo delle favole dei bambini! Invochiamo lo Spirito perché diventi qualche cosa di vivo, perché sia per noi ricerca appassionata di luce e di senso, nella vita di ogni giorno!
Al di là del rito, al di là delle tradizioni, essere credenti significa cercare la Luce di Gesù nei fatti quotidiani. Non sarà sempre semplice, ma questo sarà il nostro cammino: anche noi, come Magi, tenteremo di incontrare il Signore Gesù, in quest'anno che ci sta davanti.
Lui ci aiuti!
In quei giorni Gesù venne da Nazareth di Battesimo del Signore - 9 gennaio 2000
Galilea e fu battezzato da Giovanni nel Giordano. Marco 1, 7-11
E si sentì una voce dal cielo: "Tu sei il Figlio mio
prediletto, in te mi sono compiaciuto"
Sulle rive del Giordano, dove Giovanni sta battezzando, Marco convoca anche noi. E sarebbe bene che anche noi portassimo nel cuore lo stupore dei primi credenti : è affidato ad una frase semplicissima, a cui siamo abituati, che non ci stupisce più, ma che esprime tutta la meraviglia e lo stupore dei primi Cristiani: un giorno, da Nazareth di Galilea, è arrivato Gesù!
Nazareth di Galilea era un piccolo paese sperduto, all'interno delle colline della Galilea: paese di pastori, di pecorai, di gente senza cultura; un piccolo paese senza storia. Da quel paese arriva uno qualunque, vestito come tutti; si confonde tra la folla. Un uomo di tutti i giorni: le mani callose del muratore, del falegname, che per circa 30 anni è vissuto nel modo più semplice, facendo la vita di tutti: alzandosi al mattino, lavorando faticosamente per guadagnare il pane; la sera in casa oppure con gli amici, a raccontare qualche storia, a divertirsi un po'; aspettando il giorno dopo: ancora il lavoro, gli incontri, le persone, le possibilità del piccolo bene di ogni giorno.
In quest'uomo i primi Cristiani riconoscono Dio in mezzo a loro! Affidano questa professione di fede alla voce che viene dall'alto: "Questi è mio Figlio". Noi non siamo più abituati a guardare a Gesù come ad un uomo qualunque, un operaio... se fosse qui, sarebbe nascosto in mezzo a voi, vestito normalmente. Anche voi forse avrete visto (mi dicono che l'hanno visto in molti) l'ultimo lavoro televisivo su Gesù di Nazareth: "Jesus", mi pare si chiami. Alcuni mi han detto di aver notato una visione più moderna di Gesù, più vicina alla nostra sensibilità. Ma, Gesù era ancora vestito con gli abiti del suo tempo e questo lo colloca in quel mondo lontano da noi. Per noi è difficile vedere Gesù come un uomo qualunque. E non si tratto solo di abiti...
Marco ci invita ad incontrare Gesù e a riconoscere Dio nella sua vita! Ma Marco ha una preoccupazione: che noi ci avviciniamo a Gesù credendo di sapere prima chi sia, conservando dentro di noi le nostre idee di Dio. Se leggete le prime pagine del suo Vangelo vedrete che affida questa preoccupazione ad una immagine stranissima per chi legge oggi: sono i diavoli che sanno chi è Gesù e non possono parlare! È il modo che Marco usa per metterci in guardia dalle nostre idee di Dio.
Molti di noi si portano dietro un'immagine di Dio, che ci impedisce di incontrare Gesù, di riconoscere Dio in Gesù di Nazareth. Ho incontrato nella mia vita molte persone che hanno paura di Dio, molti che pensano a Dio come al Grande Giudice, che premia a castiga; molti cercano in Dio un protettore, il custode della propria vita. A molti di noi capita di venire in Chiesa nel momento del bisogno, per chiedere, per domandare. Molti cercano Dio nel prodigio, nei fatti straordinari. E rischiamo - sia chi ha paura, sia chi cerca protezione e conforto - di non incontrare Gesù!
Marco ci invita a "stare" con Lui. Non affrettiamoci a sapere chi sia, dove ci voglia portare! Fermiamoci con lui: dice Marco (lo leggeremo tra qualche settimana): "chiamò i suoi perché stessero con lui". Ecco il cammino della nostra preghiera in quest'anno: siamo invitati a stare con Gesù, a sederci ai suoi piedi, a guardare i suoi gesti, ad ascoltare le sue parole!
Non pretendiamo di sapere in anticipo chi sia! Facciamoci condurre da lui, lasciamoci prendere per mano! Conserviamo nel cuore lo stupore, la meraviglia: nelle sue parole, nei suoi gesti potremo intravedere qualche cosa di Dio!
E allora - statene certi - non avremo più paura, non cercheremo più Dio a partire dai nostri bisogni: guarderemo a Lui con meraviglia, con cuore capace di cantare, di cercare la luce e la gratuità! E lo sentiremo presente nella nostra vita!
Il Signore ci aiuti!
Samuele rispose subito: "Parla Signore, II Domenica del tempo ordinario - 16 gennaio 2000
perché il tuo servo ti ascolta" .... I Samuele 3, 3-19 - Giovanni 1, 35-42
"Che cercate?". Gli risposero: "Rabbì,
dove abiti?". Disse loro: "Venite e vedrete".
Le letture di oggi ci ripropongono una delle dimensioni essenziali della nostra fede: essere credenti significa rispondere ad una chiamata di Dio nel concreto della propria esperienza quotidiana. Chi crede cerca Dio, il suo volto, la sua volontà, che è volontà di libertà, di giustizia, di gratuità.
Non crediate che questa dimensione sia la più comune nella religione. Se andiamo a scavare - anche in noi stessi, oltre che della storia religiosa in ogni angolo del mondo - ci accorgeremo che gli uomini vedono nella religione prima di tutto il rito, la protezione dall'alto, oppure il culto dei morti, o la purificazione dalla colpa... poche volte l'uomo cerca in Dio il senso della giustizia, del bene concreto della vita di ogni giorno.
La Scrittura è invece ricca di racconti di chiamate: Adamo ed Eva, poi Abramo, Isacco, Mosè; e poi tutto il popolo, che è chiamato ad uscire dall'Egitto, dalla schiavitù, per andare verso la libertà, verso la terra "dove scorre il latte e il miele". E anche il Vangelo insiste sulla chiamata dei discepoli a seguire Gesù. Essere credenti significa tentare di capire dove ci chiama il Signore, dove ci porta Dio, che cosa è giusto, che cosa è buono, che cosa è importante nella vita di ogni giorno.
E il racconto di Samuele, che ascolta una voce dall'alto, è solo un simbolo: a nessuno di voi - che siete persone assennate - è mai successo di aver "sentito" la voce di Dio (È sempre pericoloso sentire voci). Ma ci suggerisce la difficoltà di comprendere Dio e la sua voce. Chi ci dice, nel concreto della vita di ogni giorno, qual è la chiamata di Dio, che cosa è giusto? Non siamo tutti tentati di farci a nostro uso e consumo, la volontà di Dio? Non possiamo dire che Dio vuole quello che ci fa comodo? Chi ci dice che cosa veramente Dio vuole?
Fate attenzione! perché nella lunga storia della Chiesa tante persone hanno approfittato di questa difficoltà per sostituirsi all'uomo nella sua ricerca. Non ostante la parola di Gesù - che dice: "Non chiamate nessuno padre e maestro sulla terra" - se leggete la storia della Chiesa o se vi guardate intorno anche oggi, vedrete che la Chiesa è piena di padri spirituali, di maestri spirituali, di direttori spirituali: tutta gente che sa sempre quello che Dio vuole!
Ma allora come possiamo sapere qual è la nostra chiamata? Non ci sono soluzioni facili. Anche noi come Samuele tentiamo di ascoltare la voce del Signore, ma facciamo fatica a riconoscerla: una volta, due volte, tre volte... Anche per noi come per i discepoli è importante cercare Gesù e chiedergli: "Dove abiti?". Anche a noi risponderà: "Venite e vedrete". E pian piano, stando con lui, intuiremo qualche cosa.
Nessuno sulla terra può dirci cosa Dio vuole: è la nostra coscienza che pian piano, nella vita quotidiana, ci farà intuire che cosa è giusto. Qualche volta è facile saperlo; qualche volta - lo sapete per esperienza - non è affatto semplice capire che cosa in concreto giova alla libertà e alla pace, alla verità e alla giustizia. L'importante è mantenere un cuore sincero e gratuito che non cerca solo il proprio comodo, ma che ricerca la giustizia e la luce. E poi, non dimenticatelo: ciascuno di noi ha il diritto di sbagliare; e anche di peccare... Poi, torniamo indietro e il Signore ci rimette in cammino! L'importante è non stare mai fermi; l'importante è continuare a cercare. Il vero peccato, per il credente, è non cercare più. Certo, chi si muove, chi cerca, chi prova, sbaglia a volte!
Poi è anche prezioso incontrare qualcuno che ti aiuti a incontrare Dio. Qualcuno che non vuole sostituirsi a Dio, ma come Eli ti aiuta ad ascoltare la sua voce, qualcuno che non vuole sostituirsi a Gesù ma - come i discepoli del Vangelo di oggi - ti aiuta ad incontrarlo.
Perché l'importante è poi che ciascuno di noi incontri personalmente il Signore, che ciascuno di noi cerchi la verità. Ma è bello avere qualcuno che ti dia una mano, avere un amico con cui confrontarti, qualcuno che ti dia l'esempio. Io sono stato fortunato: fin da quando ero bambino, mio papà, mia mamma, tante persone che ho conosciuto, mi hanno aiutato a tentare di scoprire, nella mia vita, che cosa era giusto e importante.
Essere Cristiani è tutto qui: tentare di capire cosa Dio vuole, nel concreto della nostra vita, dove ci chiama il Signore; continuare senza stancarci a cercare il suo volto, la sua volontà.
Per questo siamo qui; per questo anche oggi ripetiamo il Padre nostro: e chiederemo a Dio di saper fare, almeno un po', la sua volontà! Convinti che nella volontà di Dio c'è la pienezza della nostra vita, la pienezza della libertà e del bene.
Il Signore ci aiuti!
"Seguitemi, vi farò diventare III Domenica del tempo ordinario - 23 gennaio 2000
pescatori di uomini". Marco 1, 14-20
Ancora una volta chiediamo aiuto a un po' di fantasia, per cogliere il nocciolo di questa pagina del Vangelo. Vi invito ad andare lontano nel tempo, ma non nello spazio. Basta spostarci qui vicino, ad Ostia antica, al tempo in cui Pietro era arrivato a Roma. Qui c'erano già dei gruppi di credenti, che, come noi, il sabato sera si radunavano intorno alla tavola. Non era certo una chiesa come questa: una stanza qualunque. Non erano certo in tanti, come noi stasera: un gruppetto di persone, di gente semplice che intorno alla tavola condivideva la cena. E, come facciamo noi, "spezzavano il pane", facendo memoria di Gesù. E immaginate che quella sera, di tanto tempo fa, fosse con loro anche Pietro, arrivato da poco dalla Palestina.
Ecco, cominciano a parlare. Pietro ascolta volentieri le storie di questi Cristiani: come sono arrivati alla fede, come vivono, le loro difficoltà, i loro problemi. Li lascia parlare a lungo, fa domande, si interessa alla loro vita di ogni giorno.
Poi, quando la conversazione un po' langue, c'è un bambino che alza la mano e domanda: "Pietro, mi togli una curiosità? Perché sei venuto qui? Tu sei nato in Palestina, tu eri nella terra di Gesù; perché l'hai lasciata? forse non ti piaceva?". Pietro lo guarda: un velo di tristezza cala sui suoi occhi, forse una lacrima sta per spuntare... E poi risponde al bambino:
"Come, non mi piaceva?! È la mia terra: tu non l'hai mai vista. Sapessi com'è bello il lago di Galilea! Come sono belle le colline all'intorno! Là era la mia vita: la mia famiglia, la mia barca, la pesca sul lago... Non avrei mai pensato di lasciare la mia terra. Mi hanno cacciato! per questo sono qui. Mi cercavano per uccidermi... Gente intollerante... volevano che rinnegassi Gesù. L'ho fatto una volta, là nel cortile del Sommo Sacerdote... ma poi ho cercato di non farlo più: ho tentato di rimanere fedele a Gesù. Per questo mi hanno perseguitato, per questo mi hanno cacciato, per questo ho dovuto lasciare la mia terra. Ho lasciato tutto: il mio lago, le mie colline, la mia barca, la mia gente, i miei figli! Ho dovuto lasciarli tutti, perché volevo rimanere fedele a Gesù! Sono dovuto scappare, per questo sono qui. Ma sono qui soprattutto perché ho conosciuto Gesù!
Non voglio parlarti delle cose tristi della mia vita, di quello che ho dovuto lasciare; ma della fortuna del mio incontro con Gesù! Era una mattina - continua Pietro - di qualche tempo fa. Ero lì sul lago a pescare; avevo portato la mia barca a riva, come facevo ogni mattina... Ed è arrivato LUI! L'avevo conosciuto, perché eravamo andati insieme ad ascoltare Giovanni, il Battista, sai? quello che battezzava sulle rive del Giordano. E lì avevo conosciuto anche Gesù: era suo parente, suo cugino. Poi se n'era tornato là, a Nazareth.
Adesso avevano messo in carcere Giovanni. Ed io me ne stavo lì, quella mattina, triste e avvilito: ancora la solita storia, ancora un profeta, un giusto, Giovanni, ancora in galera, senza poter parlare! Sembrava che ancora una volta la speranza cadesse dal mio cuore: ero andato con tanta fiducia ad ascoltare Giovanni... Riassettavo, come al solito, le reti, tutto preso da quei tristi pensieri, sull'arresto di Giovanni... quando è arrivato lui! L'ho riconosciuto: si è seduto accanto alla mia barca, ha cominciato a parlare. Poi è tornato ancora una volta; poi un'altra... Spesso veniva al mattino, là, a parlare con la gente. Aveva lasciato la sua casa di Nazareth, il suo lavoro di falegname. Pian piano ho cominciato a conoscerlo e gli sono diventato amico.
Ah! le sue parole! erano parole straordinarie. Ci comunicava qualche cosa di grande, ci metteva un fuoco dentro, ci dava la luce. Avessi conosciuto anche tu, Gesù, che persona eccezionale! Ho condiviso i suoi sogni, i suoi valori, son diventato partecipe della sua vita, sono diventato suo amico, ho tentato di continuare la sua opera. E l'hanno inchiodato sulla croce, dopo che in un triste pomeriggio anch'io, per paura, l'ho rinnegato; ma poi sono tornato da lui: ho continuato a cercare la sua luce, la sua amicizia; ho continuato a conservare i suoi sogni nel cuore! Per questo mi hanno perseguitato, per questo sono qui.
Mi hai chiesto perché son venuto a Roma. No, non son venuto di mia volontà. Son venuto perché ho voluto rimanere fedele a Gesù! Questo mi ha costretto a lasciare la mia terra; ma non potrò mai - continua Pietro - rinnegare Gesù, la sua luce, i suoi sogni. Voglio continuare ad essere testimone di lui, fino alla fine. È stato troppo bello, per me, incontrare Gesù! Mi ha messo dentro qualche cosa di grande, di straordinario, a cui vorrei rimanere fedele per tutta la vita".
Ecco, con un po' di fantasia, quello che Marco ci ha detto in due parole; due parole in cui voleva comunicarci la straordinaria importanza, per Pietro, di avere incontrato Gesù - non solo per Pietro, ma anche per gli altri discepoli - e anche come questo li ha costretti a lasciare qualche cosa.
E non è soltanto la storia di Pietro, di Andrea, di Giacomo e di Giovanni: è la storia di chiunque crede! Se voi siete qui, è perché avete conosciuto di Gesù; e tentate, anche voi, di conservare i suoi sogni nel cuore, di camminare con lui. E questo, qualche volta, ci costringe a lasciare qualcosa... se non altro, un po' della nostra pigrizia, un po' delle nostre vigliaccherie, delle nostre paure.
Gesù ci aiuti a camminare con lui, come hanno camminato Pietro e gli altri; a tentare di essere testimoni di lui, della sua luce, della sua vita!
Il Signore ci aiuti!
"Il Signore tuo Dio susciterà IV Domenica del tempo ordinario - 30 gennaio 2000
per te, in mezzo a te, fra i tuoi Deuteronomio 18, 15-20 - Marco 1,21‑28
fratelli, un profeta pari a me...."
A Cafarnao, entrato proprio di
sabato nella sinagoga, Gesù si
mise ad insegnare. Ed erano stupiti...
perché insegnava loro come uno
che ha autorità e non come gli scribi.
Vi ho suggerito di ascoltare con un po' di attenzione le frasi del libro del Deuteronomio, perché pongono uno dei problemi essenziali per un credente. Israele si rende conto che Dio non parla direttamente, non ci sono visioni, voci... ("che io non oda più la voce del Signore mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia": così si esprimevano gli Ebrei antichi). Dio non è a disposizione dell'uomo.
Mi è capitato l'altro giorno di vedere un documentario in cui una "sciamana", dopo una lunga serie di suoni e canti, entra in trance e dice di essere posseduta da una divinità, da uno Spirito; e parla con la voce di questo Spirito. Questo era molto diffuso nel mondo antico, ma oggi lo consideriamo del tutto estraneo alla nostra sensibilità religiosa.
Ma allora come possiamo ascoltare Dio, incontrare la sua luce, la sua parola? C'è nel Deuteronomio una promessa: un profeta; qualcuno che parlerà in nome di Dio. Ma come avete ascoltato c'è anche il rischio che il profeta non parli in nome di Dio. Chi mi dice allora se uno è un profeta vero o è un profeta falso? Sono io, a dover decidere. Ma voi lo sapete, io posso sbagliarmi, mi posso ingannare... Come usciamo da questo dilemma?
Badate, non ci sono risposte semplici a queste domande. Qualcuno potrà dirvi: Eh! però nella Chiesa basta ascoltare l'Autorità, basta rimanere fedeli alla dottrina ufficiale. Purtroppo non è così: nella storia ne abbiamo infiniti esempi.
Stamattina, era quasi l'ora di chiudere la chiesa, quando è arrivata una signora che aveva in mano un foglio di carta, datole da un suo amico. Lei forse si aspettava che io dicessi che era falso... su quel foglio c'erano alcune frasi (il suo giovane amico le aveva trovate su Internet) di un decreto del Santo Uffizio che nel 1860 dichiarava perfettamente legittima la schiavitù. "Nel 1860, com'è possibile questo? - diceva la signora - Cosa rispondo al mio amico?" Purtroppo ho dovuto dirle che quelle parole erano autentiche: la Chiesa nel 1860 - la Chiesa di Pio IX, del Cardinale Antonelli - era particolarmente retriva e tradizionalista. Era quella la verità? oggi tutti dicono di no. E allora, un povero cristiano del 1860 come faceva a sapere dove poteva trovare la parola di Dio? Non la può trovare in se stesso, perché rischia di ingannarsi. Non la può trovare nell'Autorità; non la può trovare certamente (nel 1860 forse non c'erano, ma oggi ci sono) nelle statistiche, che ci dicono quello che pensa la gente.
Un cristiano come me e come voi come può cercare la verità? come può sapere quello che dice Dio? Chi lo aiuta? Ve lo ripeto: per quello che ho capito io, non ci sono scorciatoie. Posso indicarvi tre tracce da seguire, che sono state importanti per me.
La prima: cercare di conservare il più possibile un cuore sincero e gratuito: un cuore assetato di giustizia e di verità, desideroso di luce; che non cerca soltanto quello che ci fa comodo, quello che è semplice e facile, ma quello che è giusto e vero. Poi, la seconda: fare un riferimento serio, profondo, al Vangelo: che Gesù diventi anche per noi - per me lo è diventato pian piano nella mia vita - "uno che ha autorità", capace di dire parole di vita, ricche di gratuità, tenerezza, libertà...
E la terza traccia (anche questo per me è stato molto importante): la gente intorno a me, le tante persone che con le parole, con l'esempio, mi hanno dato testimonianza di luce e di verità. Sono stati tanti: bambini, anziani, padri e madri di famiglia, giovani; persone di tutte le culture... mi hanno in qualche modo aiutato a cercare la luce! E non mi sono mai sentito solo, anche quando la pensavo un po' diversamente dalle voci ufficiali; mi sono sentito sempre in compagnia di gente che, come me, non si sentiva sicura, ma andava alla ricerca della luce!
Non dimenticate quello che dice oggi - alla sua maniera, un po' buffa per noi - Marco: chi sa quello che dice Dio, chi sa chi è Gesù, è il diavolo! Diffidate di tutti quelli che, nel cammino della fede, sanno sempre tutto, non hanno mai un dubbio, si dicono certi di ogni cosa. Marco direbbe: Non date retta! appartengono al mondo del diavolo! Appartengono cioè al mondo di chi pensa di possedere la verità e non si muove più a cercare.
Il credente è uno che si porta tanti dubbi, dentro; è uno che continua a cercare, desideroso di luce. È uno che ascolta, perché non è mai assolutamente sicuro della luce che ha, e quando intuisce qualcosa non lo vive come un "possesso", ma come un invito a cercare ancora... a cercare Dio, la sua luce; Gesù, il suo volto! Per questo siamo qui ogni domenica.
Il Signore ci aiuti!
La suocera di Simone era a letto con la V Domenica del tempo ordinario - 6 febbraio 2000
febbre... Gesù, accostatosi, la sollevò Marco 1, 29-39
prendendola per mano; la febbre la
lasciò ed essa si mise a servirli.
Ascoltando il Vangelo, avrete capito perché i nostri bimbi, che oggi hanno preparato la loro Messa, hanno detto che questa è "la domenica dell'influenza". È la suocera di Pietro che è malata; ma - come ci dicono i ragazzi e i loro genitori - non si tratta della influenza, che ha procurato guai a parecchi di noi, con la febbre a 40, con i dolori alle ossa, con lo stomaco in subbuglio. Si tratta, per usare le loro parole, di una febbre subdola, traditrice; per cui non ci sentiamo mai veramente ammalati; anzi per qualcuno di noi la febbre è diventata cronica e ci accompagna sempre nel nostro cammino.
È la febbre che ci impedisce di alzarci per metterci a servizio gli uni degli altri per un mondo più giusto e più vero; la febbre che ci impedisce di seguire Gesù là dove ci vuol condurre: a chinarci sulla "malattia": sulla sofferenza, sul dolore, di questo mondo. Oggi affidiamo la cura delle malattie ai medici, che riescono a curarle in gran parte; ma ci sono ancora, intorno a noi, ogni giorno, tante sofferenze del cuore, tante solitudini, tanto bisogno di affetto, di tenerezza. E noi spesso ci rinchiudiamo nei nostri gusci...
La nostra febbre è fatta di pigrizia, di indifferenza, di incapacità di guardare negli occhi chi ci sta accanto, per riconoscere i loro bisogni.
E poi Gesù ci conduce là, dove ci sono diavoli da cacciare. Non pensate al diavolo con le corna, le zampe forcute, la coda... Si tratta delle tante ingiustizie, delle tante intolleranze, delle tante violenze che ancora attraversano questo nostro mondo. Anche lì la nostra febbre è fatta di vigliaccheria, di paura, del lasciar correre; della poca voglia di arrabbiarci seriamente di fronte alle tante ingiustizie di questo mondo... e non siamo più capaci di scacciare i diavoli, nemmeno quelli piccoli che si annidano nella nostra casa, nel posto dove lavoriamo... i gesti di impazienza, di piccole intolleranze, di ogni giorno, le incomprensioni, la mancanza di tenerezza e di giustizia e di pace.
Ma non è solo la "domenica della febbre", è anche, per fortuna, la domenica di Gesù che viene a prenderci per mano, a sollevarci, a metterci in grado di essere gli uni al servizio degli altri, per un mondo più bello! I nostri ragazzi dicono che abbiamo bisogno di una buona dose di vitamine per guarire ed hanno fatto un gioco (provate a farlo anche voi): hanno cercato qualche vitamina per ogni lettera dell'alfabeto. Io ve ne leggo qualcuna, non posso leggerle tutte perché faremmo tardi. Ascoltate:
= Vitamina A: come attività, altruismo, amore, allegria... vitamina B: come bontà, benevolenza, bellezza ... vitamina C: come coraggio, compagnia, curiosità ... vitamina D: come disponibilità, dinamismo, desiderio ... Andiamo alla fine: vitamina R: come ricerca, rispetto, ragione, responsabilità... vitamina U: come umorismo, unione ... vitamina V: come volontà... =
E ci dicono: cercatene anche voi: che ognuno trovi la sua vitamina, con l'aiuto di Gesù! Quelle vitamine che ci permettano di alzarci, per metterci a servizio delle sofferenze, piccole e grandi, che troviamo intorno a noi; che ci facciano capaci di cacciare i diavoli, i piccoli o grandi diavoli che attraversano anche la nostra vita.
Poi, potremo, come Gesù, andare nel deserto, nel silenzio, per incontrare Dio! Andremo là per fuggire dalla folla, dall'applauso, dal consenso, dal successo; per cercare la verità del nostro rapporto con gli altri. Andremo là perché anche noi, come ogni vero credente, non ci accontenteremo di fare un po' di bene: tenteremo di essere mendicanti di Verità, di Assoluto, di Luce: cercatori di Dio!
Il Signore ci aiuti! Ci aiuti a guarire dalle nostre febbri; ci aiuti a cercarLo nel profondo del nostro cuore e intorno a noi!
Allora venne a lui un lebbroso: VI Domenica del tempo ordinario - 13 febbraio 2000
lo supplicava in ginocchio e gli Marco 1, 40-45
diceva: "Se vuoi, puoi guarirmi!"...
stese la mano, lo toccò e gli disse:
"Lo voglio, guarisci!". Subito la
lebbra scomparve ed egli guarì.
Il Vangelo di Marco, che ci accompagna in tutto quest'anno, è stato in questi duemila anni il più trascurato dei Vangeli, forse perché risultava, alla lettura dei credenti, un Vangelo troppo breve, stringato, senza discorsi di Gesù, tutto pieno di simboli. E forse, proprio per questo, è un Vangelo particolarmente difficile a leggere.
Nella mia esperienza, pian piano il Vangelo di Marco è diventato il Vangelo più importante. Tutta una serie di circostanze della mia vita mi hanno aiutato a scoprire la bellezza straordinaria di questo Vangelo; che, però, lo ripeto, non è facile. Cosa ci aiuta a leggere un Vangelo? Cosa può renderlo vivo per la nostra esperienza di credenti? Forse il racconto di oggi si presta - almeno si presta per me - ad aiutarvi a capire come lo si possa leggere.
Ci aiutano - almeno hanno aiutato me, ma potrebbero aiutare anche voi - i libri degli studiosi, i quali su queste pagine hanno consumato giorni e giorni della loro vita. Ci aiuta poi - ha aiutato me, almeno - l'incontro con le persone, il riflettere insieme su queste pagine. Ci aiutano, ancora - hanno aiutato me, almeno - le circostanze della vita. Vediamo come tutto questo può applicarsi al nostro caso, può aiutarci a capire questa pagina del Vangelo di Marco.
Pagina che, ad una prima lettura, sembra semplice. Almeno, la facevano semplice quando la spiegavano a me, quand'ero ragazzo: qui, come è suggerito anche dal Salmo e dalla frase dell'Alleluja, si parla del peccato; il lebbroso è il simbolo del peccatore... Il lavoro che ho fatto su questa pagina del Vangelo di Marco, mi porta a pensare che qui, del peccato, non si parla affatto. Qui, c'è solo l'incontro di Gesù con un lebbroso, un uomo malato, sofferente, allontanato da tutti. Non solo ma gli studiosi ci avvertono che qui c'è qualcosa di strano: abbiamo letto questa frase: In quel tempo venne a Gesù un lebbroso. Gesù, "mosso a compassione", stese la mano e lo toccò. Ma nel testo greco c'è anche un'altra parola, al posto di "mosso a compassione": una parola che si può tradurre con "preso da indignazione": Gesù si indigna davanti a questo lebbroso!
Spiego: voi sapete che un tempo il Vangelo non era stampato: come tutti i libri dell'antichità, occorreva, con pazienza ricopiarlo a mano. E il copista, o i copisti, di un tempo, non comprendendo il motivo dell'indignazione di Gesù davanti ad un povero lebbroso, hanno scritto "mosso a compassione". Ma gli studiosi che in qualche manoscritto leggono "preso da indignazione", pensano che Marco abbia scritto proprio così! (Per chi sa il greco: il termine usato da Marco - orghisteis - esprime proprio "indignazione").
Adesso ci vuole il secondo passo: perché Gesù si arrabbia? Come faccio a capire il senso di questa indignazione di Gesù? Per fare questo aiuta la lettura di tutto il Vangelo e aiuta il confrontarsi con le persone. Che cosa ho capito io? Gesù "si indigna" di fronte a questo lebbroso: e questa sua reazione la incontriamo più volte nel Vangelo; quando incontra l'uomo malato, l'uomo sofferente, Gesù prova un fremito: non si rassegna al dolore, alla sofferenza, al male! È un'offesa all'uomo, il dolore.
Ma qui c'è di più: Gesù "si indigna" perché quest'uomo, come avete sentito, deve andare in giro con le vesti strappate, gridando: Immondo! Immondo! È isolato da tutti, emarginato, messo da parte, escluso dalla vita comune...
Ma c'è un'altra cosa ancora più grave, che fa "indignare" Gesù: quest'uomo è ritenuto un peccatore. Infatti, come avete sentito, una volta guarito deve andare dal sacerdote, a fare la sua offerta per la purificazione; anche se è guarito, se è stato graziato, deve purificarsi dal suo peccato! Uno studioso diceva che questo è "'il capolavoro" della religione: non solo tu soffri, ma è colpa tua se soffri: soffri perché sconti la pena del tuo peccato. Per questo Gesù si indigna; e questa indignazione la trovate più volte, in tanti episodi del Vangelo. Dunque ho letto il Vangelo, ho cercato di capire perché Gesù si indigna. Adesso devo fare un altro passo.
Oggi non ci sono più lebbrosi, almeno tra noi; ma io posso condividere ancora questa indignazione di Gesù? Che senso può avere nella mia vita di oggi? Ecco: quest'anno le circostanze della vita mi hanno permesso di capire il senso di questa indignazione. A me è capitato quest'anno di assistere alla lenta malattia e agonia di persone care: l'impotenza, nonostante i tanti successi, della nostra medicina, di fronte a certe malattie! Mi è capitato quest'anno di partecipare alla ventura di due giovani sposi, il cui bambino è nato con un tumore! Si può nascere con un tumore?! Perché la nostra medicina ancora non può fare niente per impedirlo? Non si può non sentire un fremito di indignazione, di fronte a simili tragedie, che ancora accadono!
Ed ho poi notato che spesso si dà per scontato il loro dolore... La nostra cultura cattolica ritiene che la sofferenza in qualche modo è salvifica, fa parte del piano di Dio... Non è forse il dolore l'eredità di Adamo? Non è stato detto alla donna: "Tu partorirai con dolore"? Se una donna che sta per partorire si lamenta con il medico dei suoi dolori, le si dice che è naturale, per lei, soffrire... I nostri medici molte volte non hanno la cultura del dolore: se il malato si lamenta, è naturale che si lamenti... Eppure, oggi la medicina dovrebbe essere in grado di non permettere che le persone malate soffrano.
Ma c'è un'altra cosa che può suscitare oggi la nostra indignazione: ancora oggi, come al tempo di Gesù, tante persone vengono emarginate per la loro malattia. Pensate, per esempio, ai malati di AIDS, che vengono trattati come i lebbrosi di un tempo; o pensate ai portatori di certe forme di handicap, che vengono allontanati! Questa emarginazione che ancora c'è verso chi è malato, verso chi è anziano, verso chi perde il senno, verso chi contrae certe malattie, dovrebbe suscitare la nostra indignazione.
Qualcuno di voi dirà: "Ma oggi, almeno, nessuno ritiene che la malattia sia causata dal peccato". Un momento! perché quest'anno ho fatto anche questa esperienza: mi è capitato di incontrare delle persone che avevano problemi, seri, di malessere psicologico: pensate a certe forme di depressione, a certe forme di nevrosi. A casa che cosa dicono a chi ha questi problemi? "Datti da fare! Reagisci! Scuotiti!" E se va dal medico di base - spesso i nostri medici sono profondamente ignoranti, in questo campo, permettetemi di dirlo - anche il medico gli dice: "Muoviti! Datti da fare! Reagisci! Scuotiti!"; e se quello non riesce a scuotersi, che cosa si può concludere? Che è colpa sua, è peccatore! Non ci mette buona volontà. Perché, dirgli "Smuoviti, datti da fare!"? Non significa caricare quella persona, - spesso sono giovani - di un peso , di un senso di colpa? Non ha senso dire a queste persone (per questo io parlo di queste cose): "Va' a parlare col prete"... no! Non il prete! Non in chiesa, a pregare! Ma da qualcuno che possa aiutarti! Avrebbero bisogno di essere affidati ad uno specialista! Ma troppo spesso anche i nostri medici, non riconoscono come malattia la malattia psichica! E poi ci sono pochi specialisti veri in questo campo.
Ed anzi, nei confronti delle malattie psichiche c'è, nella nostra società, una sorta di disinteresse, come di rimozione. Voi avete spesso partecipato, e generosamente, alle raccolte per la lotta al tumore, alla sclerosi multipla, alla leucemia e quant'altro... Avete mai partecipato ad una raccolta per gli studi sulla depressione, per qualche forma di psicosi o di nevrosi? Ancora oggi c'è gente che parla di "esaurimento nervoso": parola del tutto generica e senza senso. Occorrono studi e ricerche per tentare di curare le tante forme di disagio psichico, che fanno soffrire ancora troppa gente, che spesso si sentono in colpa perché non riescono a sforzarsi di star meglio... Occorre anche qui tenere alto il livello della nostra insofferenza, della nostra "indignazione" verso la malattia, la sofferenza e il dolore.
Non so se sono riuscito nel mio intento: tentavo di dirvi come per leggere il Vangelo occorre l'aiuto degli studiosi e poi la riflessione personale e il confronto con altre persone; ma sono poi spesso le circostanze della vita che ci aiutano a capire perché Gesù si comporta in un certo modo e poi - forse è la cosa più importante - come posso vivere oggi l'atteggiamento di Gesù.
Il Signore ci aiuti a capire e vivere la sua parola.
...a Cafarnao, in casa, si radunarono VII Domenica del tempo ordinario - 20 febbraio 2000
tante persone da non esserci più Marco 2, 1-12
posto neanche davanti alla porta;
e Gesù annunziava loro la parola...
Il paralitico si alzò, prese il suo lettuccio
e se ne andò in presenza di tutti ...
Voi che siete persone sagge e avete, ormai, un po' di consuetudine con il Vangelo di Marco, sapete che quello che abbiamo ascoltato non può essere considerato il racconto di un fatto accaduto: non è un fatterello della vita di Gesù. Come voi sapete, i racconti di Marco sono dei grandi racconti simbolici. Non solo: Marco concentra in questo racconto la sua riflessione su uno dei temi più importanti della vita cristiana: il tema del peccato. Per quello che ho capito io, Marco in questo racconto tocca molti aspetti; ed io devo fare in fretta; quindi vi chiedo già scusa se devo servirmi di scorciatoie, sperando di essere il più chiaro possibile.
Allora, cominciamo a vedere gli elementi che abbiamo. Anzitutto la descrizione del peccato: domenica scorsa - vi ricordate? - vi dicevo che nel racconto del lebbroso non si parla di "peccato": lì è la malattia. Oggi, invece, avete ascoltato più volte la parola "peccato". Per Gesù, che cos'è il peccato? come lo immagina? (o meglio, forse, dovremmo dire come lo immaginano Marco e la sua comunità). Un paralitico, una persona incapace di muoversi, di alzarsi, di vivere. È la realtà drammatica del peccato: quest'uomo ha sciupato la propria vita, l'ha buttata via. Si è ridotto su un letto, incapace di muoversi, di vivere, quasi come se fosse morto.
Davanti a lui c'è la folla: la folla che gli impedisce di incontrare Gesù e di rendersi conto della sua drammatica situazione. Cos'è questa folla? questa folla che gli impedisce di avvicinare chi può rimetterlo in piedi. Pensate - per capire ciò che intende Marco - ad una persona che è nata, cresciuta e vissuta in un ambiente mafioso: forse non si rende più nemmeno conto che la violenza è il peccato, che la sopraffazione, l'ingiustizia sciupano la vita. O pensiamo ai nostri ragazzi storditi dalla musica e dalla ressa della discoteca o di uno stadio... Ma forse è meglio pensare alla nostra vita: quante volte - nel posto del lavoro, nel nostro comportamento sociale - ci siamo giustificati dicendo: così fan tutti... io, in fondo non faccio male a nessuno. Per Marco la folla è qualcosa di simile!
Quest'uomo ha bisogno di incontrare Gesù! Ha bisogno di incontrare la sua parola. Non può farlo perché c'è la folla; bisogna che si liberi da questa folla. E allora ecco che ci sono quattro amici, che sollevano la sua barella e lo portano addirittura sul tetto, per calarlo giù! Non è facile superare la folla! Non è facile incontrare Gesù! Non è facile ascoltare la sua parola: quella parola che ti apre orizzonti nuovi, che ti comunica i valori essenziali, che ti fa scoprire la bellezza autentica della vita e ti fa capire quanto c'è di sciupato, di rovinato nella tua vita! E Marco lo sa: più si incontra Gesù, più si fa amicizia con lui e più ci si rende conto di quello che è male! Non basta soltanto non rubare, non uccidere... quando non si è capaci di gratuità, di tenerezza e d'amore!
Incontrando Gesù, ascoltando la sua parola, vivendo con Lui (ma per far questo bisogna andare al di là della folla e sono importanti degli amici che ti diano una mano, o almeno, lo sono stati nella mia vita)... allora puoi incontrare il sogno di Dio! puoi incontrare la gratuità di Gesù, il suo amore totale, la sua vita donata! E allora ti rendi conto di quanto tu sei un poveruomo, paralizzato...
Nell'incontro con lui, ecco, diventi partecipe di questo sogno, di quest'amore, di questa gratuità. E allora Gesù ti rimette in cammino e puoi tentare di andare, di camminare, di prender su il tuo lettuccio: le tue difficoltà, le tue infermità e tentare di camminare seguendo il Signore. E non è cosa che si fa una volta per tutte... per questo domenica prossima e poi ancora saremo qui a cercare di incontrare Gesù e i suoi sogni, per non rassegnarci al nostro peccato...
Vedete quale complessa riflessione ci propone, in questo racconto, Marco! La parola di Gesù, i suoi sogni, la sua vita. Quattro amici che ti fanno superare la folla: è la Chiesa - gli altri, i compagni di strada, la gente - che ti fa incontrare la parola del Signore. Il peccato, visto come la paralisi... sono i grandi simboli di Marco.
Adesso, un'altra piccola riflessione (sperando di non farla troppo lunga): pensate un momento alle parole che abbiamo ascoltato più volte, alle quali siamo abituati: Isaia scrive: "Io cancello i tuoi peccati - è Dio che parla -; per riguardo a me non mi ricordo più dei tuoi peccati". E Marco mette in bocca a Gesù: "Ti son rimessi i tuoi peccati". Vi siete mai chiesti: "Ma che senso hanno queste parole?"... Che sono questi peccati?
Quando io ero piccolo, pensavo ai peccati come a delle macchie sul vestito bianco che mi avevano dato quando mi avevano battezzato. Poi, mi parlavano del lebbroso, tutto piagato. Quando sono cresciuto, mi hanno parlato dei peccati come delle colpe secondo il codice penale: uno ruba e commette un reato, un altro aggredisce e ferisce e commette un altro reato. E si allunga l'elenco delle colpe... Queste colpe hanno bisogno di una sanzione e debbono essere espiate con una pena. In questo modo si parla anche dei peccati.
Adesso torniamo al paralitico: se ha incontrato Gesù, se si è rialzato, se ha superato il suo male, che senso ha dirgli che i peccati sono perdonati, dimenticati? E se non ha superato il suo male, se questo paralitico non si è veramente rimesso in cammino, che cosa significa dire: "I tuoi peccati sono cancellati"? non ce li ricordiamo più? Vi ricordate quando eravamo bambini (forse, non solo bambini...) ed andavamo a confessarci? Uscivamo con un sospiro di sollievo: ci sentivamo come liberati da un peso... poi ritornavamo a casa e ricominciavamo la lista... "Ti sono perdonati i peccati": forse, non significa nulla, assolutamente nulla! perché, ci confrontiamo con la legge, facciamo un elenco! Pensiamo che Dio li cancelli come si fa con una spugna e che tutto ricominci come prima...
Quanto diversa l'immagine del paralitico! che si confronta non con una legge, che non ha un elenco di colpe da dimenticare... ma si incontra con Gesù, con la sua parola, con i sogni di Dio! Che tenta di non rassegnarsi alla sua paralisi, ma di rialzarsi ogni volta che incontra il Signore, di camminare! Se pensiamo al peccato come ad una serie di colpe da condannare, da sanzionare, da espiare... poi, dietro, troviamo l'idea di un Dio che condanna e punisce, l'idea che le malattie e le disgrazie sono, in qualche modo, un castigo; l'idea che con le penitenze e i digiuni si possono espiare i peccati; e poi le indulgenze che permettono di avere uno sconto di pena, il purgatorio dove con il fuoco si espiano le colpe della vita e quant'altro... Sono tutte idee che - non so se sia lo stesso anche per voi - sono lontane ormai mille miglia dalla mia fede... mentre mi è sempre più vicina l'immagine di Marco: l'immagine del paralitico che sciupa la vita, che si confronta con Gesù, con le sue parole, con i suoi sogni! E tenta, lasciandosi prendere per mano da lui, di camminare ancora: di cercare ancora la vita, di cercare di mettersi al servizio degli altri. Non fa più l'elenco delle colpe, non chiede a Dio di dimenticare le sue colpe: chiede al Signore di camminare, costruendo la vita, costruendo l'amore! È un'altra cosa!
Il Signore ci aiuti!
"Ti farò mia sposa per sempre, VIII Domenica del tempo ordinario - 27 febbraio 2000
nella giustizia e nel diritto, Osea 2, 16-l7; 21-22 - Marco 2, 18-22
nella benevolenza e nell'amore."
"Possono forse digiunare gli
invitati a nozze quando lo
sposo è con loro?... Ma verranno
giorni in cui sarà loro tolto lo
sposo e allora digiuneranno".
Il mio compito, come sapete, è quello di aiutarvi a leggere con un po' di attenzione questo straordinario Vangelo di Marco, che parla attraverso simboli, forse un po' complicati per noi. Allora tentiamo di capire il Vangelo di oggi. Noi abbiamo ascoltato - forse non ve ne siete accorti, ma potrete poi verificarlo a casa - due fatti e due interpretazioni di questi fatti. A questo aggiungerò poi il mio tentativo di capire che cosa è accaduto là. Ma oggi non posso fare l'ultima parte, che però forse è la più importante: quella di tradurre nella vita concreta ciò che abbiamo intuito nel Vangelo, ma questo siete abbastanza bravi per farlo da voi stessi.
Allora, quali sono i due fatti? Quando c'era Gesù, come avete ascoltato, né Lui né i discepoli facevano digiuno. I discepoli di Giovanni e i discepoli dei Farisei fanno digiuno, ma i discepoli di Gesù non fanno digiuno! Il "digiuno" appartiene alle tante cose della pratica religiosa, alle quali Gesù non dava importanza e che ha tentato di togliere di mezzo. Il Vangelo parla spesso dei riti di purificazione, delle osservanze esteriori del sabato, delle lunghe preghiere... Gesù pensava che fossero tutte le paccottiglie religiose e riteneva che non conveniva "mettere toppe" su un vestito vecchio: era meglio buttar via il vestito e farlo nuovo del tutto. Bisognava avere un atteggiamento religioso diverso.
Ecco dunque il primo fatto: con Gesù non si fa digiuno; e la prima spiegazione: Gesù non lo ritiene importante, fa parte di una pratica religiosa basata sulla legge e l'esteriorità; meglio buttar via tutto, meglio fare un "vestito nuovo". Se è "vino nuovo" il messaggio di Gesù, ci vogliono "otri nuovi".
Ma c'è un altro fatto che avete ascoltato nel Vangelo: quando Marco scrive i discepoli di Gesù son tornati a fare digiuno. E perché? Ne danno una interpretazione: allora - riprendendo il tema di Osea - non si faceva digiuno perché c'era lo sposo, era la festa di nozze; adesso lo sposo è stato tolto, non c'è più e quindi si può tornare a fare digiuno. Capite che in questa spiegazione c'è qualcosa di inquietante: è come se noi qui, riuniti intorno alla tavola, dicessimo: Gesù oggi non c'è e quindi dobbiamo fare digiuno. Penso che i più saggi tra voi direbbero: Che stiamo a fare qui, se non c'è Gesù? Non spezziamo il pane, non celebriamo l'Eucarestia, non c'è Gesù presente in mezzo a noi, non ci nutriamo di Lui!?
Ed ecco, allora, il tentativo di capire, che ci porta - per quello che capisco io - nel cuore stesso della fede. Perché i primi cristiani sentono il bisogno di dire: Quando c'era Gesù non facevamo digiuno, Lui non voleva che facessimo digiuno; ma adesso noi torniamo a farlo? Perché il digiuno è così importante? Fa parte di tutte quelle "opere" (San Paolo le chiama così) con cui l'uomo tenta di ingraziarsi Dio. Vediamo se riesco a spiegarmi il meglio possibile.
Se noi pensiamo che Dio è il grande Provvidente, Colui che regola le cose del mondo, da cui dipendono la salute, la malattia, le vicende della vita, se Lui è il Potente che tutto può, io debbo in qualche modo ingraziarmelo. E quando mi capita un guaio, se mi trovo in una grossa difficoltà, debbo fare qualcosa. Vedete, per spiegarmi meglio: l'altra sera ci trovavamo con un gruppo di persone e si parlava di una mamma, che ha un figliolo con un serio problema di salute. Va a cercare i luminari, i migliori medici che ci sono qui a Roma. E questi le dicono che loro non possono fare niente: forse in un'altra parte d'Italia c'è qualcuno che può aiutarla. Quella madre andrà certamente là; e se non basta lì, andrà in Francia o negli Stati Uniti. Insomma, non si fermerà, finché non avrà fatto tutto il possibile per suo figlio.
Un tempo non c'erano luminari: c'era un unico rimedio, rivolgersi a Dio, è Lui che può tutto! E come ci si rivolge a Dio? Come si può ottenere la sua benevolenza? Facendo un dono, una offerta, un voto, un pellegrinaggio: offrendo quanto di più prezioso si ha. Se la mamma ha l'anello prezioso che le ha lasciato sua nonna, lo porterà e lo offrirà al Signore, per avere la grazia che desidera. Se le dicono di fare un pellegrinaggio, lo farà, magari carponi, rovinandosi le ginocchia. Potete vedere queste immagini ancora in terre lontane, magari in TV. Insomma quella madre farà un lungo digiuno, farà una lunga preghiera, farà molte novene, farà visita al Santuario... farà tutto il possibile: non può stare senza fare qualcosa per suo figlio!
Ecco perché si ritorna a fare digiuno. E poi considerate che il digiuno è spesso collegato con l'idea del peccato: il digiuno espia il peccato, accorcia il castigo. Quando scoppiava in Europa una pestilenza - la peste o il colera - si pensava che fosse una punizione per i peccati della gente e subito si indiceva un grande digiuno, delle grandi penitenze. C'erano quelli che andavano per le strade flagellandosi, quelli che portavano un cilicio. Anche con la convinzione che a Dio sia gradita la sofferenza: se tu soffri, Dio lo gradisce; se tu digiuni, Dio ti aiuta! E guardate che il digiuno non era predicato ai ricchi, che avevano da mangiare in abbondanza, ma alla povera gente, a chi faceva fatica a mettere insieme il pranzo con la cena: quelli dovevano fare digiuno, per ingraziarsi Dio! Una religione basata sul bisogno e sulla paura rischia di finire in un rapporto commerciale con Dio.
Gesù aveva tentato di spazzare via tutto questo, di basare il nostro rapporto con Dio sulla gratuità, sulla fiducia, sulla semplicità, sul coraggio di cercare le cose essenziali. Un rapporto non basato sul bisogno, ma sull'amore, sulla fiducia, sulla ricerca della giustizia! Ma l'uomo ha bisogno di fare qualcosa nel momento in cui ha un problema: ha il bisogno di offrire qualcosa, di fare un sacrificio, di rovinarsi le ginocchia, di fare qualche cosa di importante e di gravoso, sperando che Dio si decida a fare la grazia...
Se poi (ma questo conviene dirlo sottovoce) pensate che su questo bisogno della protezione di Dio si sono arricchiti e hanno campato legioni di frati, centinaia di conventi e di monasteri e di santuari, capite perché queste idee non scompaiono tanto facilmente, nel cammino della storia della Chiesa. Di questo mangiavano un tempo i frati e le monache; oggi, se non fate attenzione, ci mangiano quelli che alla TV vendono amuleti e talismani, fanno le carte, cacciano il malocchio e quant'altro. È sempre lo stesso bisogno di fare qualcosa: quando non basta il medico... che qualcuno mi dia una mano, che mi procuri un filtro magico, o qualche medicina prodigiosa, che mi dia una pozione, che mi dia un amuleto! Sempre un rapporto basato sul bisogno!
Gesù voleva "otri nuovi": un rapporto basato sulla gratuità e sull'amore, sulla ricerca della giustizia, sulla passione per la vita! Ma forse per noi uomini, afflitti - oggi come allora - da tanti bisogni, è troppo difficile... Ma quando siamo qui, ci conviene ricordare che lo Sposo è con noi, che non è bene fare digiuni. Dio non è così, non ha bisogno delle nostre sofferenze: ha bisogno della nostra passione per la giustizia, ha bisogno del nostro amore! È quello che conta!
Il Signore ci aiuti!
Mosè disse: "Sei giorni faticherai e IX Domenica del tempo ordinario - 5 marzo 2000
farai ogni lavoro, ma il settimo giorno Deuteronomio 5, 12-15 - Marco 2, 23-3,6
è il sabato per il Signore tuo Dio".
Gesù diceva: "Il sabato è stato fatto per
l'uomo e non l'uomo per il sabato!"
Ma se po'? - diciamo a Roma - Hai da di' quarcosa sul sabato e citi un episodio che col sabato c'entra poco, in cui qualcuno magna il pane riservato ai sacerdoti e lo dà pure all'artri? Là dove comandano i preti er minimo che te po' capita' è de fini' in croce... E ringrazia pure che so' preti der tempo; perché poi t'avrebbero arrostito sur foco..."
Al di là delle battute di Carnevale, avrete capito che qui si tocca un punto fondamentale del messaggio di Gesù, quello che secondo Marco lo porta sulla croce. Perché una reazione così dura dell'autorità? Perché, come avete ascoltato, Gesù rimette al centro l'uomo - l'uomo concreto, con i suoi bisogni: il bisogno di cibo, il bisogno di guarigione, il bisogno di vita - e per Lui l'uomo è l'unica realtà sacra, al di là di tutto: al di là della tradizione, al di là della legge, addirittura al di là della Parola di Dio! Quando è in gioco il rispetto dell'uomo, per Gesù non c'è istituzione, non c'è regola, non c'è ideale, non c'è legge, non c'è autorità che tenga. E questo forse è troppo, per gli uomini che hanno il potere, in ogni tempo: Gesù finisce sulla croce.
Voi siete persone sagge (io devo far presto, perché è Carnevale e non posso farvela troppo lunga) e sapete che non è semplice per noi. Noi uomini abbiamo bisogno di regole, abbiamo bisogno di leggi, di autorità, di istituzioni; abbiamo bisogno di princìpi, di ideali: sono indispensabili per il nostro vivere. Tutto questo rischia a volte di diventare un ostacolo per la libertà, la salute, la vita dell'uomo. Anche in questi giorni, di fronte ai tanti problemi del nostro mondo - se ne parla spesso sui giornali o in TV - ci tocca ascoltare i tanti "guru" del nostro mondo "cattolico", che alzano la voce, invocando princìpi astratti, princìpi che non tengono conto dei problemi degli uomini; ideali astratti e regole rigide che sanno fare i conti con la realtà concreta della vita umana sul nostro pianeta, con le persone che soffrono e muoiono in tante parti del mondo: pensate all'Africa!
E, se ho capito qualcosa, non si tratta soltanto di rimettere al centro l'uomo, ma di ritrovare il senso autentico e profondo delle leggi, dei princìpi, degli ideali. Pensate al sabato, come vi facevo notare introducendo la prima lettura, è una delle più grandi istituzioni del popolo di Israele. Il sabato era veramente fatto per l'uomo: per permettere all'uomo il tempo del riposo, il tempo della memoria, il tempo della contemplazione, della convivialità, della festa. Quando tutto questo, così importante nella vita dell'uomo, diventa una regoletta... Gesù alza la sua voce.
Ma - lo sapete - non è facile cercare il valore vero delle regole, dei princìpi, della legge, delle tradizioni.... non è semplice per noi trovare il senso autentico di tutto quello che facciamo: a casa, nel nostro vivere in famiglia, con la gente, sul posto di lavoro. Succede qualche volta anche per il nostro ritrovarci qui insieme, la domenica: se la Messa diventa soltanto un rito, un obbligo, una presenza esteriore, senz'anima, perdiamo di vista la bellezza del nostro ritrovarci insieme: la gioia di condividere Gesù, la sua Parola, il suo Pane; il ritrovarci tra fratelli! Tutto diventa esteriorità, legge, obbligo, magari scrupolo di coscienza. C'è ancora qualcuno che, se una volta è rimasto a casa malato e non è potuto venire a Messa, si sente in colpa... E poi, magari, quando viene a Messa, non si rende nemmeno conto di quello che sta facendo. Ecco, tutto rischia di diventare guscio vuoto, senz'anima, senza rispetto per l'uomo.
Gesù tenta di dirci che, al di là delle regole, quello che conta è l'uomo. Ci invita a riscoprire l'anima, il cuore vivo delle tradizioni, delle regole, dei riti, di quello che noi facciamo insieme. Come sapete bene, non è semplice per noi...
Il Signore ci aiuti!
Dio disse a Mosè e ai suoi figli con lui: Prima Domenica di Quaresima - 12 marzo 2000
"Ecco, io stabilisco la mia alleanza con voi..." Genesi 9, 8-15 - Marco 1, 12-15
Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel
deserto e vi rimase quaranta giorni,
tentato da satana
Ve l'ho ripetuto tante volte, penso fin quasi a stancarvi; ma per quel che ho capito, qui c'è il cuore della nostra fede: della fede di Israele prima e poi della fede di chiunque si riconosce in Gesù di Nazareth. Israele crede di scoprire il vero volto di Dio nel cammino dell'Esodo: in questa storia - che forse all'inizio era soltanto la piccola storia di qualcuno riuscito a fuggire dall'Egitto per andare verso la patria, verso la libertà e poi è diventata l'epopea di tutto il popolo - Israele si rende conto di incontrare Dio, il senso vero e profondo della propria fede.
Vedete, nella tradizione religiosa - e accade in ogni angolo della terra - spesso dio è dietro le spalle: colui al quale ci si rivolge nel momento del bisogno, a cui si ricorre per avere una protezione o per interpretare il futuro o per santificare qualche evento della vita, che so? la nascita o la morte. Israele pensa invece che Dio sia davanti: è Colui che invita a camminare verso la libertà, che "spinge" ad andare verso una terra nuova; che non vuole che il suo popolo ritorni in Egitto, là dove c'è la schiavitù, dove c'è la negatività, dove c'è il male. Il Dio in cui Israele crede è un Dio che chiama, che cammina davanti al suo popolo, che invita a camminare, a cercare, a costruire la vita e il mondo.
In questo cammino Israele inserisce il concetto di "alleanza", di patto tra Dio e l'uomo, tra l'uomo e Dio. Un patto che è impegno reciproco - è il "monoteismo etico" -: chi crede in Dio sa che deve impegnarsi per la giustizia, per fare la sua volontà, che è volontà di liberazione e di vita.
E l'idea dell'alleanza Israele la estende a tutti i racconti della sua tradizione: anche nell'antico mito del diluvio - così comune a tante culture - troviamo l'alleanza. Qui è un'alleanza che Dio fa con tutta l'umanità; anzi non solo con l'umanità, ma con la natura stessa: "non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra". Diceva l'altra sera un signore (forse l'avrà pensato anche qualcuno di voi): "Chi sa che diranno quelli del Mozambico se domenica ascolteranno questa lettura!".
Israele non è così ingenuo da pensare che se un uomo fa alleanza con Dio si risolvono tutti i problemi della nostra terra. C'è una frase che io ritengo importantissima nel cammino dell'esodo: quando Israele arriva sulle colline e vede da lontano la terra - la terra verso cui Dio lo spinge - si sente dire: "Ecco la terra che io ti ho donato: vattela a conquistare". Noi diremmo su bito: "Ma come? se me la doni non devo conquistarla; e se devo conquistarla, non è più un tuo dono"; e non avremmo capito il senso della fede di Israele. Israele sa che Dio non è il mago che ci risolve i problemi: è colui che ci mette davanti i suoi sogni, che ci chiama verso la libertà, che ci spinge verso l'impegno, che ci chiama a costruire la terra!
E allora il tema della prima lettura è importante per noi, che sentiamo in questi anni un gran bisogno di riconciliarci con la natura, con la terra che stiamo sciupando. Questo non lo farà Dio per noi: è il nostro impegno, il nostro sogno; il sogno di una terra rispettata, pacificata, in cui l'uomo possa vivere liberamente, combattendo tutto ciò che la sciupa.
E anche nel Vangelo di oggi - un brano brevissimo, come avete ascoltato - Marco esprime l'antico concetto della fede di Israele: è lo Spirito di Dio che "spinge" Gesù fuori, nel deserto - ancora il cammino dell'Esodo - ad affrontare il satana: la violenza, il male che c'è nel mondo.
E subito dopo Marco dice che quando Giovanni è stato messo in prigione, Gesù ha lasciato il suo villaggio e ha cominciato a predicare. Quando Giovanni è in prigione, quando si scatena la violenza e il male del mondo, Gesù non può lasciarsi prendere dalla paura, non può rintanarsi nel piccolo guscio di Nazaret: lo Spirito lo "spinge" affrontare quel mondo, quella violenza, quel male.
Quel male lo porterà sulla croce! Ma sino in fondo Gesù sarà fedele al suo sogno: spendere la sua vita perché il mondo sia più giusto e più libero. A nessuno di noi sarà chiesto di finire su una croce; ma a tutti noi lo Spirito di Dio chiede di uscire dalle nostre gabbie, dai nostri limiti, da tutto quello che ci impedisce di vivere una vita degna di essere vissuta, di essere liberi veramente.
Su questo tema ritorneremo domenica dopo domenica. Ci aiuteranno i nostri ragazzi, i nostri giovani: ci aiuteranno a riflettere un po' sui limiti della nostra vita, dei nostri rapporti umani; a tentare di fare qualche piccolo passo perché la nostra vita sia più libera e più bella!
Il Signore ci aiuti!
L'angelo disse ad Abramo: "Ora so Seconda Domenica di Quaresima - 19 marzo 2000
che tu temi Dio e non mi hai rifiutato Genesi 22, 1-2. 10-13. 15-18 - Marco 9, 2-10
tuo figlio, il tuo unico figlio".
Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello
per noi stare qui; facciamo tre tende, una
per te, una per Mosé e una per Elia!"
A volte qualcuno mi chiede (mi è capitato anche questa settimana): "Perché leggiamo ancora queste antiche storie? Perché nel 2000 leggere ancora la storia di Abramo, il sacrificio di Isacco?". È, secondo me, lo stesso motivo per cui ancora oggi, leggiamo i grandi classici del pensiero, della letteratura; per cui ancora andiamo a vedere le grandi tragedie greche: nelle opere dei grandi artisti, nella voce dei poeti, troviamo qualche cosa di essenziale della nostra condizione umana. E nella nostra parrocchia, abbiamo avuto la fortuna - cercando, parlando, ragionando insieme tante volte - di intuire in questa storia di Abramo, ad una prima lettura così sorprendente, qualche cosa di profondo: c'è forse l'essenza stessa dei nostri rapporti umani.
Abramo è chiamato a "sacrificare" suo figlio; a rendersi conto che quel figlio non è "suo", ma di Dio. Ma questa, a pensarci, non è la realtà di ogni genitore? e forse, più profondamente, non è la realtà di ogni rapporto umano?
Una mamma fa fatica a portare suo figlio, per nove mesi, dentro di sé, lo sente parte di sé; e poi - dolorosamente - lo mette al mondo! Quando per la prima volta lo stringe tra le braccia si rende conto che è profondamente diverso da sé: quel figlio è suo, lo ha generato lei; ma, insieme, non è "suo", viene da un'altra dimensione; è un dono che viene dalle profondità della vita. E man mano che il figlio o la figlia crescono, sperimenterà quanto sia faticoso e, a volte, doloroso accettarli per quello che sono, spesso diversi da come lei li ha immaginati, da come lei li ha sognati, da come li vorrebbe! Accettare di vederli pensare con la propria testa, vederli andare per la loro strada è come partorirli ancora, faticosamente... Guarderà con sospetto la ragazza che cercherà di portarle via suo figlio: perché lo vorrebbe "suo" sino in fondo ...
Ed anche il papà, quante volte vorrebbe vedere realizzati nel figlio i propri sogni, i propri desideri! E tenterà, con fatica, di accettare che quel figlio non è "suo": è figlio di Dio! Non è fatto a immagine sua, ma a immagine di Dio. E l'immagine di Dio dovrà realizzare nel cammino della vita.
E quello che vale per i genitori nei confronti dei figlio, non vale forse anche per il marito nei confronti della moglie, e per la moglie nei confronti del marito? Quante volte ci si vuole cambiare, ci si vuole modellare? Quanta fatica si fa ad accettare l'altro per quello che è: con la sua libertà, con i suoi pregi e i suoi limiti, coi suoi sogni, con la sua voglia di essere se stesso? Quanto è doloroso rinunciare alla volontà di cambiare l'altro, di farlo come noi lo vorremmo! E spesso le coppie si lacerano proprio perché vogliono cambiarsi l'un l'altro e non accettano che l'altro sia diverso da come si vorrebbe che fosse.
E questo vale anche per gli amici, per i compagni di lavoro... ogni rapporto umano dovrebbe sostanziarsi di rispetto, di oblatività, di gratuità, di libertà!
Ma a dirlo da qui è semplice, viverlo nella vita di ogni giorno è molto più complesso: dove finisce il dovere dei genitori di educare un figlio e dove comincia il diritto del figlio di essere se stesso? Dove comincia il dovere di una coppia di cercare di condividere scelte e valori, per essere "una cosa sola" e dove comincia il diritto di ciascuno di sentirsi libero, di realizzare i propri sogni? È la vita, la complessità della vita di ogni giorno, la fatica di vivere sino in fondo il rispetto, la gratuità; il coraggio di lasciare l'altro libero di essere se stesso e non come lo vorremmo.
Su questa strada possono aiutarci i consigli e i libri degli psicologi, ma se non c'è nel fondo l'atteggiamento di Abramo, non serve consiglio o libro. E l'atteggiamento di Abramo è quello di lasciare che l'altro sia se stesso: libero di realizzare in sé l'immagine del suo Dio!
Questa storia è bene che non la leggano i preti o i maestri, perché sono sempre tentati di dire: "Sì, è vero: tu devi essere immagine di Dio. Ma chi ti dice quello che Dio vuole da te? Per questo sto qui io!". E siamo daccapo: è l'antica storia, di chi pensa di poter parlare a nome di Dio, di chi ritiene di sapere sempre dove Dio voglia condurre un uomo.
E poi il Vangelo di oggi ci suggerisce anche un altro rischio nei rapporti umani: Pietro, là sul monte, vuol costruire le tende e fermarsi lì! È bello qualche volta ritrovarsi in famiglia, con i figli intorno alla tavola; è bene ritrovarsi nel guscio caldo della casa! E noi, spesso, siamo tentati di rendere il guscio sempre più accogliente e ovattato, di trattenervi i figli per difenderli, dai pericoli, da tutto quello che c'è fuori; vorremmo costruire una bella tenda in cui si sta bene.... e si rischia che manchi l'aria!
Bisogna scendere dal monte, là dove la vita propone le sue difficoltà, dove - se leggete il Vangelo di Marco - ci sono i "diavoli": le difficoltà, i pericoli, i rischi. Ma nel guscio chiuso di una casa protettiva, non si vive, non si diventa liberi: si soffoca. Non si può rimanere "sul monte" anche se tutto sembra bello: bisogna con Gesù - faticosamente - scendere dal monte ed affrontare la vita! E quello che vale per i discepoli - per Pietro, Giacomo e Giovanni - vale anche per tutti noi, vale per i nostri ragazzi.
E dunque, il cammino verso la libertà non è cosa semplice; ma siamo invitati a compierlo con coraggio!
Il Signore ci aiuti!
"Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto Terza Domenica di Quaresima - 26 marzo 2000
uscire dal paese d'Egitto... Esodo 20, 1-17 - Giovanni 2, 13-25
"...non fate della casa del Padre mio
un luogo di mercato".
Quando io ero bambino - ma penso che sia successo a molti di voi - una delle prime cose che si imparava a memoria, andando al catechismo, era proprio il "decalogo". E una delle prime cose che ci spiegavano i nostri preti e i nostri catechisti erano i dieci comandamenti. Ricordo che a noi bambini molti dei comandamenti interessavano poco. Uno su cui insistevano era il secondo: Non nominare il nome di Dio invano. E ci parlavano a lungo della gravità della bestemmia; perché c'era qualcuno dei miei compagni (questo per fortuna a casa mia non è mai successo) che in casa avevano degli adulti che spesso dicevano bestemmie e a loro capitava di ripeterle. Ma più spesso ci raccomandavano di non dire "parolacce" o di non nominare il nome del Signore. Ancora mi accade di ascoltare qualcuno che si confessa: "Ho detto "Dio mio" o "Madonna mia"...
Eppure i nostri preti non si accorgevano - probabilmente sono antiche abitudini - che invece nominavano spesso, invano, il nome di Dio, pretendendo di sapere chi è Dio, che cosa dice Dio, che cosa comanda Dio, chi sono i suoi amici e i suoi nemici...! Non solo, ma ci proponevano un'immagine di Dio che fa dire ancora, a molti di noi: "Quand'ero giovane avevo paura di Dio!". Qualcuno di voi forse ricorderà quel grande occhio, nel triangolo, da cui ci sentivamo scrutati: ci parlavano di un Dio che punisce, del purgatorio, dell'inferno, delle fiamme, dei castighi... Nessuno mi ha allora aiutato a riconoscere il Dio dell'Esodo, che fa uscire "dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù". Il comandamento dice di non farsi immagine "alcuna" di Dio, di non pronunziare invano il nome di Dio perché Dio è al di là di ogni nostra immagine, di ogni nostra parola, nessuno può appropriarsi del Suo nome! Vedete cosa succede quando le grandi intuizioni d'Israele, le grandi parole del Decalogo diventano regoletta, formuletta.
Posso farvi un altro esempio: il terzo comandamento parla del "sabato": è la grande intuizione di Israele: è il giorno della festa, della memoria, della gratuità, della contemplazione, della convivialità, dell'incontro con Dio e tra di noi... Per noi era: Ricordati di santificare le feste. Ed io sapevo che dovevo preoccuparmi di andare a Messa ogni domenica. Guai a non andarci! Si rischiava di finire all'inferno, perché è peccato mortale! E mi preoccupavo anche di non bere: perché altrimenti non potevo fare la comunione... Eppure io andavo a Messa per sentirmi protetto dal Signore: mi dicevano: "Hai tante ore durante il giorno, per fare quello che vuoi; mezz'ora del tuo tempo offrila al Signore! Lui ti proteggerà; magari ti farà andare bene a scuola". Ed io, con questo spirito un po'... commerciale, andavo in chiesa; e me ne uscivo tutto contento; ed anche mi sentivo buono e più bravo dei miei compagni, che a Messa non erano venuti.
Non ho mai immaginato allora - ma adesso posso immaginarlo - che forse Gesù sarebbe venuto accanto a me con una cordicella in mano, come ha fatto con i rivenditori del Tempio; allora c'era qualche bravo prete, che parlava qui di soldi... ma c'è ben altro dei soldi, quando Gesù parla del "mercato" del Tempio! È il rapporto commerciale con Dio. A questo si può ridurre la grande intuizione del "sabato": ad andare in chiesa per fare un commercio con Dio: Io ti do qualche cosa, Tu mi dai la protezione; io ti offro il sacrificio, Tu me la mandi buona...
Soltanto due esempi, ma il discorso può valere per tutti i comandamenti: rischiamo di ridurli a regole, abitudini; peggio: rischiamo di ridurre la loro osservanza a piedistallo che ci permette di sentirci buoni e giudicare gli altri. E questo può diventare una "gabbia" per noi: qui nessuno di voi uccide, nessuno ruba, vi capita raramente di mentire, almeno in cose serie... e questo ci può far credere di aver osservato la legge, di aver adempiuto ogni giustizia, ci può far sentire migliori degli altri... E magari non c'è, nel nostro cuore, il desiderio vivo della libertà, di fare il bene che possiamo, di trafficare i talenti che il Signore ci ha dato, perché la vita intorno a noi sia più bella e più libera! Eppure il Signore ci chiama verso questa libertà!
Lo so che non è semplice per noi, per questo ci ritroviamo qui ogni Domenica: non per osservare una legge, per adempiere una piccola regola; ma per cercare con il Signore le strade della libertà, della vita vera, dell'amore! Il Signore ci aiuti!
Tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il Quarta Domenica di Quaresima - 2 aprile 2000
popolo moltiplicarono le loro infedeltà... 2Cronache 36,14-16.19-23 - Giovanni 3,14-21
"La luce è venuta nel mondo, ma gli
uomini hanno preferito le tenebre alla luce..."
Il Vangelo di Giovanni oggi pone, come avete ascoltato, qualche problema. Dice: "Dio non ha mandato il suo figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui". Ma subito dopo: "Chi non crede in lui è stato già condannato, perché non ha creduto nel nome di Gesù". Com'è possibile interpretare queste parole?
Vedete, quando io ero ragazzo, sentivo ripetere spesso la frase: Fuori dalla Chiesa non c'è salvezza. Qualche volta anche in latino: Extra Ecclesiam nulla salus: se uno non crede, se non è battezzato, non può essere salvato.
Poi, crescendo, mi parlavano dei "cristiani anonimi", coloro che erano cristiani senza saperlo; mi portavano come esempio non soltanto della gente che ha creduto in Cristo, come Martin Luther King, ma anche alcuni come Gandhi, che Gesù lo avevano appena sentito nominare: che certo non erano stati battezzati e non credevano in lui. Non solo, ma ho avuto la fortuna di incontrare delle persone che non credevano in Gesù, che dicevano di essere atei - alle quali non potevo nemmeno dire che erano dei cristiani anonimi, che credevano in Dio senza saperlo, perché non sembrava loro giusto, perché non riconoscevano in Gesù la salvezza - eppure queste persone erano migliori di me; almeno io credevo che fossero migliori di me. (Loro magari pensavano che io fossi migliore di loro... ma questo ha poca importanza: succede tra persone di buona volontà!).
Ho anche avuto la fortuna che nella mia vita crescesse l'amore per il Vangelo, il desiderio di conoscere sempre meglio Gesù e la sua parola: ho scoperto sempre di più, in Lui, la liberazione e la vita! Sentivo che Gesù proclamava beati tutti quelli che hanno "fame e sete di giustizia", che amano la pace, che sono miti, misericordiosi: a qualunque popolo appartengano! Più credevo in Gesù, più amavo il Vangelo e più potevo sentirmi fratello di ogni uomo: anche di chi non crede, anche di chi Gesù non 1'ha mai sentito nominare! E non per questo diventavo meno credente, anzi!
Pian piano ho cominciato a capire che per scegliere la luce non è importante avere un'etichetta, pronunziare il nome del Signore, ma avere nel cuore i suoi valori, credere nei suoi sogni! E che un uomo - a qualunque popolo appartenga, a qualunque religione appartenga, o anche quelli che religione non hanno - deve essere stimato non per le parole che dice, per quello che professa, ma per i suoi gesti: per i valori che ha nel cuore, per quello che tenta di vivere nella vita di ogni giorno.
E la prima lettura ci ricorda che Ciro, il pagano, era strumento di salvezza e quindi compiva la volontà di Dio, quella volontà che non compivano i capi del popolo, i sacerdoti, coloro che avevano provocato la rovina del popolo. È un discorso importante anche per noi: abbiamo anche oggi tanti pregiudizi, facciamo fatica, specialmente oggi che vengono nel nostro paese gente di tante razze, di tante culture, che pensano in maniera diversa, a riconoscere che ogni persona va giudicata per quello che fa, per i valori che si porta nel cuore; non per la sua religione, per la sua razza, per il colore della sua pelle... Dobbiamo andare al di là dei pregiudizi che ci impediscono di accostare l'uomo per quello che è, che ci impediscono di aprirci a lui e di fare strada insieme.
Ci sono nel mondo miliardi di persone che non potranno mai essere qui con noi a celebrare l'Eucarestia; eppure, sono persone che credono nei valori di Gesù, che cercano la luce, che tentano di fare il bene!
Il Signore ci aiuti ad essere sempre più liberi da ogni pregiudizio, da ogni divisione, per camminare insieme con tutti gli uomini di buona volontà!
"In verità vi dico: se il chicco di grano Quinta Domenica di Quaresima - 9 aprile 2000
caduto in terra non muore, rimane solo; Giovanni 12, 20-33
se invece muore, produce molto frutto".
Penso che anche voi, come molti di coloro insieme ai quali ho letto questa pagina del Vangelo nella scorsa settimana, abbiate trovato piuttosto complicato e macchinoso l'inizio di questo brano del Vangelo di Giovanni: ci sono dei Greci che vanno da Filippo e gli dicono: "Vogliamo vedere Gesù". Filippo va da Andrea e poi Andrea e Filippo, quasi timorosi, vanno da Gesù. E Gesù comincia a fare uno strano discorso: "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, resta solo; se muore produce frutto. Chi ama la propria vita la perde, chi perde la propria vita la salva". Ecco: è il modo con cui Giovanni tenta di dirci che la logica del chicco di grano, la logica del perdere la vita - che per lui è fondamentale per capire e seguire Gesù - non è affatto semplice! Non era semplice per i primi Cristiani; non è semplice per noi.
Occorre rinunciare a qualcosa di sé, mettere in gioco la propria vita. E questo non vale solo per qualche eroe della storia, di cui ci parlavano i libri di scuola, o per qualche eroe contemporaneo di cui ci parla la TV, facendoci assistere al funerale di un finanziere o di un carabiniere o di un giudice, che ha perso la vita nel compiere il suo dovere sino in fondo; oppure dei tanti giusti, in ogni parte del mondo, che per amore della pace e della giustizia rischiano la vita. Qui si parla della nostra vita di ogni giorno. Si parla delle nostre case, in cui si può vivere e crescere se ciascuno mette in gioco la propria vita, la propria libertà. Se ciascuno vuol difendere i propri spazi di potere, vuole affermare se stesso... non c'è più pace, ma guerra: l'uno contro l'altro, a strapparsi brandelli di spazio, di autorità, di potere. Lo fanno i genitori nei confronti dei figli, i figli nei confronti dei genitori; il marito nei confronti della moglie e viceversa. C'è pace, c'è gioia, c'è vita che si moltiplica se ciascuno di noi rinuncia ad una parte del proprio spazio, mette in gioco se stesso, cerca di costruire la vita insieme con gli altri!
E questo non vale soltanto in casa, ma anche nel posto dove si lavora: se ciascuno vuole affermare se stesso, magari calpestando l'altro, se ciascuno vuole avere tutto il potere, c'è solo competizione, lotta dell'uno contro l'altro. E lo stesso per la società.
È importante per i bimbi, che se vogliono studiare seriamente debbono rinunciare al loro divertimento, ma anche per poter giocare insieme con serenità, per costruire una squadra... se ciascuno pensa per sé, non si va lontano. Vale per chi cresce e diventa adulto e deve imparare a rispettare la libertà degli altri. Vale per gli anziani che a volte fanno fatica a rispettare le scelte dei più giovani, a non far pesare sugli altri i propri bisogni, la propria solitudine...
E quanto è importante anche per noi nella vita quotidiana, la logica del chicco di grano! Non vale soltanto per qualche grande scienziato del passato, che incompreso nel suo tempo ha portato frutti dopo la sua morte! Vale anche per tanti genitori che non hanno visto subito, nei figli, i frutti del loro insegnamento e magari debbono ancora sudare per aiutarli a crescere. Lo stesso vale per gli insegnanti: quante fatiche, che sembrano sprecate! Quanti chicchi che sembrano gettati al vento! La logica del chicco di grano, il coraggio di continuare a fare il bene, anche quando sembra che i frutti non arrivino mai...
Quando accettiamo di perdere un po' di noi stessi, quando riusciamo a rinunciare a un po' del nostro egoismo e della nostra pigrizia, quando riusciamo a metterci in gioco, a condividere con gli altri le nostre esperienze; quando il rispetto della libertà dell'altro diventa il fondamento del nostro cammino, allora la vita diventa più bella e si moltiplica!
Ma questo non era complicato soltanto per i Greci del tempo di Gesù: lo è, ancora oggi, per tutti noi! Per volare fuori dalla gabbia dobbiamo addirittura essere liberi da noi stessi: dal nostro egoismo, dal nostro voler essere sempre il centro di tutto, dal nostro desiderio di potere, dal nostro voler sopraffare gli altri! Allora soltanto potremo volare liberi come i gabbiani! Come ha fatto Gesù, come hanno fatto i giusti della storia!
Il Signore ci aiuti!
Mentre Gesù stava a mensa, giunse una donna Domenica delle Palme - 16 aprile 2000
con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato Marco 14, 1-9
di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto
di alabastro e versò l'unguento sul suo capo.
Questa settimana più d'uno, leggendo questa pagina del Vangelo, diceva: "Ma c'era proprio bisogno di spaccare il vaso del profumo? Perché romperlo? Non bastava versare il profumo sulla testa di Gesù?". E se noi avessimo proprio bisogno di questo segno forte: di un vaso di profumo "spaccato"?
Vedete, noi come gli uomini di tutti i tempi - ma, forse, oggi in modo particolare - viviamo spesso di calcoli, di conti. Sono necessari: la maggior parte di voi deve contare attentamente quello che serve per arrivare alla fin del mese; se c'è da fare una spesa, bisogna calcolare con cura. La TV ci parla dell'inflazione: aumenta di mezzo punto... e tutti ci preoccupiamo. L'inflazione che aumenta, significa guai: le cose che costano di più, alcuni che diventano più poveri... Occorre contare i disoccupati, i possibili posti di lavoro: ne va della vita della gente! La nostra vita è fatta di conti, di cifre, di numeri... e guai se non ci fosse chi se ne occupa con oculatezza ed attenzione.
Ma c'è qualcosa di più: ci sono degli istituti di gente abilissima, che calcola quante persone hanno visto un programma alla TV... e si rischia di giudicare il valore di un programma dal numero di quelli che lo hanno visto. Avete letto sui giornali che anche il Giubileo si giudica a numeri: se vengono milioni di pellegrini va bene, altrimenti no...
Sentivo in questa settimana parlare di una persona cara: "è arrivata a guadagnare 5 milioni al mese". E se guadagnasse soltanto un milione e mezzo?! Forse abbiamo bisogno di un vaso spaccato, di questa donna che non calcola più. Rischiamo di giudicare le persone da quello che guadagnano, di fare calcoli anche per l'amicizia, l'amore, la tenerezza, la vita! Calcoliamo la nostra disponibilità, il tempo da donare, la vita da condividere: se ti do un dito mi pigli una mano, se ti do una mano, mi pigli il braccio... e allora? Allora rischiamo di ridurre il nostro amore a briciole, di calcolare tutto: Io ti do... e tu che mi dai?
Guardate questa donna: non è che non pensi: tra tanta gente che chiacchiera e fa i conti, è l'unica che pensa veramente! È l'unica che si accorge di Gesù, della sua solitudine, della sua paura. Gli altri hanno addirittura trovato come scusa i poveri! Lei è l'unica che, tra tanti uomini chiacchieroni, si accorge che in quel momento chi ha bisogno è Gesù! Ha bisogno di un gesto di tenerezza, ha bisogno di un gesto di affetto, ha bisogno di una carezza! E lei, quel gesto lo fa, senza calcolare! Non si domanda quanto costa il profumo che ha in mano, non si chiede cosa gliene viene: spacca il suo vaso di profumo prezioso! È il simbolo della vita donata, il simbolo di chi ha occhi per vedere, di chi sa accorgersi e poi non calcola più. Chi calcola, come Giuda, tradirà Gesù per 30 denari; questa donna spacca il suo vaso di profumo che ne costa 300!
Se vogliamo essere liberi come questi gabbiani che ci accompagnano in questa Pasqua dobbiamo anche noi essere capaci di spaccare il nostro vaso: nell'amore, nella vita, per essere liberi, occorre non giudicare le persone da quello che guadagnano; occorre non fare calcoli quando si tratta del nostro tempo, della tenerezza, della gratuità, della vita condivisa, dello stare insieme! Per essere liberi bisogna andare al di là del calcolo: bisogna spaccare il vasetto per versare il profumo!
Per questo è importante questa donna. Per questo Marco la mette qui, all'inizio del racconto della Passione di Gesù. Soltanto se si ha un cuore come quello di questa donna, si può capire perché Gesù è venuto a condividere i bassifondi della nostra storia, perché ha saputo amare fino a donare se stesso. Lui veramente non ha calcolato: non ha calcolato la sua vita, non si è lasciato prendere dalla paura; è rimasto fedele sino in fondo; ha saputo amare fino a lasciarsi inchiodare su una croce!
Forse è troppo per noi... Ma se vogliamo seguirLo occorre che il nostro cuore sia un po' come il cuore di questa donna! almeno un po'! È quello che chiederemo adesso al Signore.
Prima della festa di Pasqua Gesù, mentre Cena del Signore - 20 aprile 2000
cenavano... si alzò da tavola e, deposte le Giovanni 13, 1-15
vesti, versò dell'acqua nel catino e cominciò
a lavare i piedi dei discepoli ...
Una gabbia con le sbarre spezzate, un gran volo di gabbiani: è il segno della libertà, che i ragazzi hanno consegnato alla nostra attenzione in questa Pasqua. Il Vangelo ci parla di Gesù che si china a lavare i piedi dei discepoli: è il gesto dello schiavo, il gesto del servo; in quel tempo ce n'erano tanti. Proprio agli schiavi competeva di lavare i piedi a chi sedeva a tavola. Che contrasto tra un volo di gabbiani - tra questo segno di libertà - e il gesto della schiavitù!
Ma non possiamo fermarci sulla porta di quella sala: occorre entrare e guardare negli occhi Gesù e tentare di capire: che sia Lui, veramente, il più libero di tutti? Che sia venuto per portarci tutti sulla strada della libertà? Guardatelo un momento: avete sentito? Giuda sta per tradirlo, stanno per metterlo sulla croce, intorno a Lui si scatena la violenza di questo mondo, ancora una volta. E Lui?
Lui non si lascia prendere dalla paura, non fugge, non risponde alla violenza con la violenza, non maledice: è libero dentro, sa rispondere al male con l'amore: "avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine". Un gesto di servizio, il chinarsi a lavare i piedi dei suoi che magari, come Pietro, non capiscono... E Lui non si preoccupa nemmeno che non capiscano: sa che mette un seme nel loro cuore! Non si preoccupa che c'è poca gente intorno a quella tavola, che la folla - lontano - già comincia a rumoreggiare. È libero anche da questa folla! Libero dalla incomprensione, libero dalla ricerca del consenso, libero da ogni ruffianeria, libero di donare la vita! E affida il ricordo di sé ad un pane spezzato: "Questa è la mia vita donata per voi". Guardatelo negli occhi: Lui è veramente libero: libero di donare la vita, libero di inseguire i suoi sogni, libero di amare sino in fondo.
E viene a liberare anche noi da tutte le sovrastrutture religiose. Non più i riti complicati di un tempo: sulla tavola un po' di pane e un po' di vino e null'altro. Non più i riti severi della purificazione: non ce n'è bisogno! intorno a quella tavola ci sono i vigliacchi che fuggiranno; c'è Pietro che lo rinnegherà. E pure per Pietro - ed anche per Giuda, se volesse capire - Lui si fa pane; per quei discepoli che lo lasceranno solo sulla croce, Lui si fa pane! Non c'è bisogno, per incontrare Gesù, di essere puri, di lasciarsi alle spalle tutto il peccato: anche chi ha il cuore fragile può incontrarlo! Ci libera da una religione fatta di esclusioni, di scomuniche; come ci libera da una religione fatta di folle, di fiumane di gente che applaude, di grandi celebrazioni... Un po' di pane, un gruppetto di amici intorno alla tavola... e lì c'è tutto!
E il segno che ci lascia: la sua vita donata, il chinarsi a lavare i piedi, va al di là delle appartenenze religiose, riguarda ogni uomo; e si riconoscerà chi è dalla parte di Gesù non perché dice grandi parole di fede, non perché fa solenni preghiere, ma perché si china a lavare i piedi del proprio fratello: "Voi mi chiamate Signore e Maestro e dite bene, perché lo sono: anche voi dunque lavatevi i piedi gli uni gli altri". La religione è tutta qui; ed è religione per gente semplice! religione che non ammette esclusioni, che conosce una sola legge: quella dell'Amore, quella del donarsi l'uno all'altro.
Ecco: come un volo di gabbiani, liberi nel cielo azzurro: così Gesù vorrebbe che fossimo anche noi, liberi dalle tradizioni, liberi dalla folla, dai miti; liberi di essere noi stessi, di credere nell'Amore, di volerci bene, di camminare insieme. E fratelli di ogni uomo, anche di chi non è qui con noi, anche di chi non sa niente del "pane spezzato"! L'importante è che sappia qualche volta tendere una mano, che si chini a lavare i piedi del proprio fratello. E allora possiamo sentirlo fratello nostro e fratello di Gesù ...
Gesù è venuto per farci liberi di inseguire i sogni di Dio, liberi di credere nell'amore, l'unica cosa che veramente conta, sulla nostra terra. Il gesto dello schiavo diventa per noi il gesto supremo della libertà! Il pane che si spezza e la vita donata e condivisa sono il cuore della nostra fede, ma anche il cuore della vita, per noi e per ogni uomo che vive sulla terra! Per questo, dopo 2000 anni, siamo ancora qui, intorno alla tavola. Noi siamo in tanti, ma immaginate: in qualche sperduto paese dell'Africa o nella foresta dell'Amazzonia soltanto 3 o 4 persone stasera si ritroveranno intorno alla tavola: anche lì c'è Gesù, la sua vita donata! E pensate: in questo momento, in ogni angolo della terra, c'è gente che si china a lavare i piedi dei propri fratelli: negli ospedali, dove c'è la solitudine e il dolore, dove c'è la povertà e la violenza; tanta gente che non fa storia, tanta gente di cui stasera il telegiornale non vi parlerà. Siamo fratelli di tutti loro, perché questo ci ha lasciato Gesù... liberi anche noi di sognare, liberi di credere nell'amore sino in fondo!
Il Signore ci aiuti!
Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta Passione e morte del Signore - 21 aprile 2000
la regione fino alle tre del pomeriggio... Marco 14,1 - 15,47
Gesù diede un forte grido e morì.
Signore Gesù, anche noi spesso aspettiamo che venga Elia o qualcun altro a togliere dalla croce coloro che soffrono: le tante vittime della malattia, della violenza di questo mondo, dell'ingiustizia. Anche noi vorremmo che ci fosse qualcuno capace di rendere semplice la nostra vita, quando anche noi incontriamo il dolore. Tu hai voluto camminare con noi nei bassifondi della nostra storia: là dove l'uomo tribola, là dove si sente solo, dov'è insultato, dove la giustizia non trova spazio, dove non c'è più tenerezza. E là, in mezzo alla gente che urlava, che insultava, anche quando i tuoi amici sono tutti fuggiti e qualcuno ti ha tradito con un bacio, Tu sei rimasto fedele a te stesso, al coraggio di amare fino in fondo!
Per noi non è semplice capire. A volte stimiamo "eroi" coloro che sanno donare fino in fondo, sanno essere liberi da tutto, sanno essere fedeli a se stessi! Ma per noi non è facile: abbiamo paura a volte; a volte ci manca il coraggio; a volte la sofferenza anche per noi è troppo grande.
Ti preghiamo: cammina accanto a noi, Signore, che sei venuto per condividere la nostra vita. Non sei Tu l'Elia che ci strappa dalla croce; non sei Tu il Signore potente che forse aspettiamo! Sei il Signore, che ha vissuto in mezzo a noi la solitudine e la paura, la sofferenza e l'abbandono, ma anche la libertà di amare fino in fondo, il coraggio di donare Te stesso! Sei Tu che vuoi insegnare anche a noi ad essere fedeli, ad essere liberi: liberi di amare, liberi di donare noi stessi. Liberi anche noi di affrontare, quando non possiamo farne a meno, il dolore e la sofferenza, con il coraggio, anche noi, di amare fino in fondo e di donare la vita!
Cammina con noi, Signore Gesù! Cammina con noi, specialmente nel momento del dolore!
"Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. Pasqua di Resurrezione - 23 aprile 2000
È risorto, non è qui... Andate, dite ai suoi Marco 16, 1-8
discepoli che egli vi precede in Galilea.
Là lo vedrete, come vi aveva detto"
Era all'inizio, probabilmente, una storia piccola piccola, che riguardava uno sparuto gruppo di persone, forse 4 o 5, che erano riuscite a fuggire dall'Egitto, a lasciarsi dietro le spalle la schiavitù, a ritornare a casa. E là, nella sera, accanto al fuoco, continuavano a raccontare la loro avventura, la loro storia; la raccontavano con passione, con entusiasmo. Erano riusciti a lasciarsi alle spalle la negatività, la schiavitù, l'oppressione; erano riusciti a tornare a casa; avevano riconquistato la libertà!
E questa piccola storia, pian piano negli anni, è diventata la grande epopea di tutto il popolo: tutto il popolo era riuscito a fuggire dall'Egitto, a camminare verso la libertà, tra due muraglie d'acqua! Il cammino trionfale di chi ha saputo lasciare dietro le spalle la violenza, l'oppressione, la schiavitù, per andare verso la libertà!
Non solo: ma questa storia è diventata, pian piano, il cuore della fede di Israele e la sua festa più importante, che Israele ha continuato a celebrare anno dopo anno, perché in questa storia ha conosciuto DIO: il Dio che cammina davanti, che chiama verso la libertà! Non il dio dei pagani, il dio che è dietro le spalle, cui si può ricorrere nel momento del bisogno, da cui si può andare per chiedere protezione, divinazione per il futuro: il dio del bisogno, il dio della paura... Israele ha riconosciuto Dio in questa storia di liberazione e di vita: il Dio che cammina davanti, che chiama verso una terra nuova dove c'è giustizia, dove c'è libertà, dove c'è vita!
E sono quasi tremila anni che i credenti nel Dio di Israele - che è anche il nostro Dio - continuano a celebrare la Pasqua, il passaggio attraverso l'acqua verso la libertà.
E vedete, i nostri ragazzi quest'anno hanno preparato questa gabbia, con le sbarre spezzate ed un volo di gabbiani, verso la libertà! Ancora un segno della nostra fede, del Dio in cui crediamo: il Dio che ci chiama, che ci provoca a liberarci dalle nostre gabbie; hanno fatto, vedete, i nostri ragazzi, una gabbia dalle sbarre "colorate" perché a volte ci sembrano belle le nostre sbarre, ci rintaniamo nelle nostre paure, ci giustifichiamo dicendo: "Così fanno tutti"; ci lasciamo condurre da chi grida più forte, da chi ci propone facili miti, dalle mode che passano. I nostri ragazzi ci invitano, come vedete, a volare come i gabbiani nel cielo!
Ma Pasqua per noi è anche - soprattutto - memoria di Gesù che è venuto a farsi uno di noi, a condividere la nostra storia, per essere in mezzo a noi testimone di libertà! Lui è stato veramente libero: da ogni regola, da ogni tradizione, da ogni moda; libero di credere nei suoi sogni, nei valori che si portava nel cuore. Ha ripetuto tante volte: "Non è l'uomo fatto per il sabato, ma il sabato per l'uomo". Ogni legge, ogni tradizione, ogni regola ha senso soltanto se è a servizio dell'uomo, della sua vita, della pienezza del suo esistere.
È venuto per liberarci da una religione che sa soltanto puntare il dito e condannare, che mette pesi e sensi di colpa sulla coscienza della gente. Alla donna che, sorpresa in adulterio, gli hanno trascinato davanti, ha detto: "Alzati e cammina!". Ci ha parlato di un Dio che, come un padre, quando il figlio torna dopo aver sciupato la sua vita, gli prepara il banchetto della festa, gli dona la gioia dell'abbraccio!
Lui ha saputo essere libero anche davanti all'incomprensione, al tradimento, all'insuccesso; libero dalla ricerca del successo, dal consenso della folla, dall'applauso della gente. Ha creduto in se stesso; ed anche di fronte alla violenza del mondo ha continuato ad inseguire i suoi sogni! Piccolo seme perduto nei solchi della nostra storia!
Noi credevamo che fosse stato ucciso dalla violenza degli uomini; ma Dio ha dato ragione a Lui: alla sua fedeltà, al suo coraggio di amare fino in fondo, al suo desiderio di vita. E noi siamo qui per credere in Lui, nella sua vita che non muore! Lui aveva ragione! Hanno ragione coloro che inseguono i sogni; chi cammina nella libertà, chi crede nella vita, chi tenta di costruire un mondo più giusto! Ha ragione chi crede che l'amore è più forte dell'odio, che la vita è più forte della morte, che la pace è più forte della violenza!
E Lui, ancora, invita tutti noi a camminare verso la libertà, a tentare di costruire un mondo più giusto. Essere liberi non significa fare quello che ci pare, l'ultima cosa che ci passa per la mente, seguire l'ultima stravaganza di moda... Essere liberi significa cercare le cose giuste, credere in se stessi e negli altri, camminare per le vie del mondo tentando di lasciare, a chi viene dopo, un mondo più vero, più vivo, più libero! Per questo siamo qui.
E avete ascoltato: il Vangelo di Marco (che è tenero con noi!) ci dice che le donne, che sono andate al sepolcro ed hanno visto l'Angelo ed hanno sentito l'annunzio della Resurrezione, escono e non dicono niente a nessuno "perché hanno paura!". Anche noi, come le donne di un tempo, usciremo dalla chiesa e ci porteremo ancora le nostre paure nel cuore, le nostre "gabbie", le nostre pigrizie, la nostra indifferenza!
Stanotte abbiamo acceso anche noi una candela (le vedete ancora tutte lì, intorno al Cero, simbolo della luce di Gesù), perché vorremmo camminare per le strade del mondo tenendo in mano una luce, tentando di credere - al di là delle nostre paure - nella vita, di conservare la speranza nel cuore, di cercare, anche noi, un cammino di libertà!
A questo ci chiama Gesù! per questo è venuto a condividere la nostra vita; per questo anche noi oggi celebriamo la Pasqua!
"Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi II Domenica di Pasqua - 30 aprile 2000
e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto Atti 4, 32-35 - Giovanni 20, 19-31
la mia mano nel suo costato, non crederò".
E se avesse ragione Tommaso? Se fosse proprio lui l'autentico modello del credente? Vedete, la storia religiosa - non soltanto della nostra religione - è fatta spesso di folle credulone e fanatiche: di gente che insegue i prodigi e i segni, che accorre là dove c'è un santone che fa miracoli, dove c'è una madonna che piange, dove ci sono delle reliquie miracolose, dove c'è qualcuno che predice il futuro, qualcuno che ha le stimmate; c'è stata sempre tanta gente che si è lasciata incantare da fanatici predicatori che spingevano a fare crociate o grandi penitenze. E se fosse Tommaso, invece, - l'uomo del dubbio, l'uomo che continua a cercare, che vuole toccare con mano, che non si contenta, che vuole rendersi conto, che vuol capire - l'antidoto di ogni fanatismo e della facile creduloneria?
Molti di voi lo ricordano: quando eravamo ragazzi, quando la nostra intelligenza cominciava a porsi delle domande, se raccontavamo i nostri dubbi a qualche sacerdote o all'insegnante di religione ci sentivamo rispondere che per essere credenti non bisogna farsi tante domande, occorre credere fidandosi ciecamente di ciò che dice la Chiesa. È proprio questa la fede? Se il messaggio di Gesù è arrivato fino a noi lo dobbiamo ai tanti "Tommasi" - ed io ho avuto la fortuna di incontrarne parecchi - tante persone che volevano conoscere, capire, che continuavano a cercare, che non si contentavano di risposte facili e ipocrite.
Avete ascoltato anche voi la prima lettura: i discepoli vendevano tutto, mettevano tutto in comune, perché non ci fosse tra loro nessuno bisognoso. Ci hanno raccontato tante volte che ci sono nella Chiesa coloro che vendono tutto, che mettono tutto in comune: sono i frati, i quali rinunciano a possedere qualunque cosa. Chi di voi conosce la storia, sa che i conventi dei frati un tempo possedevano mezza Italia, che l'abbazia di Farfa in un certo periodo era più potente addirittura di Roma... Eppure continuavano a ripetere che loro seguivano l'ideale della prima comunità cristiana: rinunciavano a tutto... forse non conveniva chiedere la ragione di tanta ipocrisia ai contadini che spesso pativano la fame!
Ma non è forse questa idealizzazione ipocrita che rende noi cattolici incapaci, ancora oggi, di capire che cosa possiamo fare perché nel mondo ci sia meno gente bisognosa? Avete mai provato a cercare nella "dottrina sociale" della Chiesa qualche suggerimento per risolvere i grandi problemi della fame e dei tanti bisogni degli uomini?... trovate il vuoto o vaghe e astratte parole... eppure c'è chi continua a dire che basta credere, fidarsi; senza pensare, senza cercare, senza impegnarci!
E badate: questo non succede soltanto nell'ambito religioso. Stiamo concludendo un secolo e ancora non ci siamo chiesti seriamente: "Perché tanti cattolici, che leggevano il Vangelo e andavano a Messa ogni domenica, hanno applaudito Hitler? Perché in Italia folle "oceaniche" hanno applaudito Mussolini?". Piazza Venezia era piena di gente che applaudiva; le grandi piazze del Nazismo erano piene di gente fanatica... Ed ancora oggi nella Chiesa c'è tanta gente che non ha paura delle folle che applaudono acriticamente! Vi siete mai chiesto il perché?
Abbiamo bisogno di Tommaso. Abbiamo bisogno di chi non si contenta di quello che dicono gli altri: di chi vuole pensare, di chi vuole cercare, di chi vuole porsi le domande serie della vita! Essere credenti significa cercare Gesù senza contentarci di facili risposte! Che significa che Gesù è risorto, per me, per la mia vita? Come posso toccare con mano la presenza viva di Gesù nella mia esperienza di credente? Come posso capire cosa significa per me e per il mio cuore, la mia intelligenza, credere nei suoi ideali, inseguire i suoi sogni, perché la vita sia più bella, più ricca? Non servono facili applausi o fanatismi, occorre ascoltare la lezione di Tommaso: l'uomo del dubbio, l'uomo della ricerca. Lo sapete, non è semplice.
Il Signore ci aiuti!
Perché siete turbati e perché sorgono III Domenica di Pasqua - 7 maggio 2000
dubbi nel vostro cuore? Guardate le Atti 3, 13-19 - Luca 24, 35-48
mie mani e i miei piedi: sono proprio io!"
Ci sono in mezzo a noi alcune persone che hanno una fede tranquilla, serena, senza problemi: pregano, partecipano alle celebrazioni senza porsi tante domande, con grande senso di fiducia nel Signore. E ci sono, invece, altri che si portano nel cuore tanti dubbi, tante difficoltà a capire. Perché - come dice la prima lettura - anche oggi gli assassini se ne vanno liberi e invece dei giusti tribolano in un letto di ospedale o addirittura muoiono? E quando questo tocca qualcuno di noi da vicino, le domande si fanno più acute, più penetranti, più difficili. Com'è possibile comprendere il dolore di questo mondo? Dov'è Dio? Perché non interviene?
Per altri di noi il problema è diverso: è la difficoltà a capire cosa significa essere "testimoni" di Gesù nel concreto della vita di ogni giorno: cosa possiamo fare per essere testimoni della sua Resurrezione? Come rispondere al male, alla violenza, ai drammi del mondo con il bene, con l'amore? Cosa significa credere in Gesù quando vado a lavorare, quando mi incontro con gli altri, quando affronto i problemi del mondo? Tanti dubbi, tante difficoltà, cui non riusciamo, in molti, a trovare risposta.
Chi ha ragione? Qual è la vera fede? quella tranquilla, fiduciosa, serena, che si abbandona al Signore? o quella che si porta dentro tanti dubbi? Questa domanda, a mio avviso, è insensata. Non c'è un modello della fede; il modo di credere dipende dal proprio carattere, da come uno è fatto; o dalle circostanze della vita; perché a volte è la vita che ci mette dentro i dubbi, che ci pone delle domande.
Avete ascoltato il Vangelo: è tenero con noi, sembra non preoccuparsi di chi ha una fede tranquilla e serena, ma di chi ha i dubbi nel cuore. Il Vangelo di Luca - lo avete sentito - quasi balbetta: i discepoli sono sgomenti, impauriti, Gesù sembra loro un fantasma: - per la grande gioia ancora non credevano! - Come si può non credere per la gioia? Il Vangelo è dalla parte di chi ha difficoltà, di chi si porta dubbi nel cuore, di chi non riesce a capire la vita!
Se dunque c'è qui in mezzo a noi, stasera, qualcuno che ha il cuore particolarmente pesante, che ha avuto magari la vita bruciata da qualche avvenimento, che non riesce a capire il senso di quello che capita... non abbia paura, non si senta solo! Ha dalla sua parte il Vangelo: l'esperienza degli apostoli.
E noi ci ritroviamo qui ogni domenica con i nostri dubbi nel cuore, con le nostre difficoltà, con i guai che qualche volta capitano nella vita; qualche volta non riusciamo a capire, qualche volta ci piglia lo scoramento... come i discepoli di un tempo, "stupiti e spaventati" crediamo, a volte, che Lui sia un fantasma... Siamo qui per non perdere la speranza, per continuare a cercare quello che può essere giusto, quello che fa - per noi e per chi ci sta intorno - la vita più ricca e più pacifica. Non è facile per qualcuno di noi, lo so.. Per questo ci rivolgiamo a Gesù: perché ci aiuti a capire, perché spezzi ancora il pane con noi, perché lo sappiamo riconoscere presente in questo segno così povero! Ma è il vero segno della nostra fede! Nel pane che spezziamo, nella vita di Gesù che si dona per noi, c'è l'unico segno di Dio in mezzo a noi!
E Gesù continua a farsi pane per noi, per darci la forza di camminare ancora, per aiutarci a credere e sperare.
E quindi chi di voi si porta dubbi nel cuore, non abbia paura! Non significa che credete di meno perché non riuscite a capire, perché a volte fate fatica, perché a volte Gesù vi sembra un fantasma. Succedeva così anche ai discepoli; e non prima della Resurrezione: dopo la Resurrezione! Per questo vi dicevo che il Vangelo è tenero con noi: anche quando lo hanno visto risorto in mezzo a loro, "non riuscivano a credere"! Come succede a più d'uno di noi...
Il Signore ci aiuti!
"Io sono il buon pastore, conosco le mie IV Domenica di Pasqua - 14 maggio 2000
pecore e le mie pecore conoscono me, come Giovanni 10, 11-18
il Padre conosce me e io conosco il Padre"
Questo brano del Vangelo è certamente uno dei più conosciuti. Io ne ricordo ancora le prime parole, in greco, da quando mi toccava tradurle sui banchi del liceo... l'ho poi riletto tantissime volte ed ho ascoltato molte prediche a commento di queste parole...
Quello che mi ha colpito, nel lungo cammino della mia vita (anche quando ero molto più giovane, prima ancora di diventare prete), è che nel commentare questo Vangelo, in genere i sacerdoti parlavano dei pastori più che del Pastore. È, credo, la tentazione di tutti i ministri in tutte le religioni del mondo, di identificarsi con la divinità: lui è il Pastore, ma noi siamo i pastori da lui delegati e quindi ascoltate quello che noi diciamo.
Nonostante il Vangelo si affanni a dire che noi abbiamo un solo Pastore, un unico Maestro, ai cristiani tocca sentir parlare più dei pastori che del Pastore! Essere credenti significa - per quel che ho capito io - riconoscere in Gesù l'unico Maestro, cercare nella Sua parola i valori essenziali, tentare di capire cosa significhi credere in Lui nella nostra esperienza quotidiana.
Quante volte poi ho sentito parlare dei mercenari, dei cattivi pastori! Mica erano i preti o i vescovi, erano sempre gli altri: quelli cattivi, gli atei, quelli che parlavano male della religione. Eppure, a dir la verità, ho imparato forse di più da loro che dai cosiddetti buoni pastori; perché quello che conta, a volte, è la ricerca della verità più che la sicurezza di sapere tutto. Mi capita anche in questi giorni di leggere pagine scritte da un non credente, ma così ricche di passione per la verità, così profonde nel proporre dubbi e domande concrete sulla nostra vita, pagine ricche di libertà, di umanità, di apertura, di ricerca sincera e appassionata! Tutte cose che spesso la sicumera di chi si sente ripetere - o crede di ripetere - le parole del Pastore, non ha. Troppe volte nella mia vita ho sentito persone - che sapevano tutto di Dio, di Gesù, della vita - che dicevano di essere i veri pastori.
E troppe volte ho sentito parlare delle "pecore" e delle loro qualità: debbono essere umili, remissive, pazienti, debbono, senza pensare, seguire la voce dei pastori. Mi colpiva questa settimana, rileggendo ancora con la gente questo brano del Vangelo, che si parla del pastore che conosce le sue pecore e le pecore conoscono lui "come io (dice Gesù) conosco il Padre e il Padre conosce me": addirittura il nostro rapporto con Gesù sarebbe come il suo con il Padre! ed è certamente questo rapporto così misterioso, un rapporto di libertà, di conoscenza reciproca, di scambio, di dono, di arricchimento! Altro che essere una pecora che senza pensare, senza mai alzare la testa, umile, ubbidiente e remissiva, segue il gregge!
Ho avuto la grande fortuna di avere incontrato qualcuno che, fin da quando ero un ragazzo, mi diceva che, se volevo essere cristiano, dovevo esserlo con la testa alta: appassionato della Verità, tentando di seguire il Signore non come una pecora stupida, ma con tutta la passione del mio cuore; con il mio diritto di essere libero, di cercare quello che è giusto e vero; con il mio diritto anche di sbagliare... E ho sbagliato tanto, nella vita! Ma ho sbagliato, forse, più per seguire pedissequamente quello che dicevano gli altri, che per aver cercato con passione le cose giuste della vita. Se mi guardo indietro, la ricchezza del mio cristianesimo è aver cercato con libertà, con sincerità, con passione, Gesù: i suoi valori, le ricchezze del suo cuore, i suoi sogni!... e di aver tentato di portarli (senza riuscirci purtroppo) nella mia vita di poveruomo, di povero cristiano, di povero credente.
Questo, per quello che ho capito io, significa essere una pecora del gregge di Gesù. E se l'immagine non vi piace, abbandonatela pure. Non sono le immagini che contano (queste sono immagini antiche: risalgono a 2000 anni fa); quello che conta è il nostro rapporto con Gesù: se siamo qui dopo 2000 anni, è perché crediamo in Lui, perché abbiamo trovato in Lui qualche cosa di importante per la nostra vita e vogliamo in Lui continuare a cercare i valori autentici!
Il Signore ci aiuti!
Figlioli, non amiamo a parole né con la V Domenica di Pasqua - 21 maggio 2000
lingua, ma coi fatti e nella verità... I Giovanni 3,18-24 - Giovanni 15, 1-8
"Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me
ed io in lui, fa molto frutto...Chi non rimane in
me viene gettato via come il tralcio e si secca".
Nel Vangelo troviamo le immagini che aiutavano i primi Cristiani a vivere il loro rapporto con Gesù: l'immagine della pietra angolare, il fondamento di tutta la casa; l'immagine del pastore che conduce le sue pecore sui sentieri della vita. Oggi, l'immagine forse più forte, più straordinaria: l'immagine del tralcio e della vite. Io amo pensare che queste immagini risalgano proprio a Gesù, poi ci sono i commenti dei primi cristiani e ci complicano un po' la vita, come è normale che sia.
L'immagine della vite e del tralcio è il simbolo di un rapporto vitale, un rapporto che non è basato sul bisogno, sulla necessità di ottenere qualcosa: facciamo parte della stessa pianta, condividiamo la stessa linfa vitale, partecipiamo della stessa vita! Se volete uscire dall'immagine: essere credenti significa conservare nella propria vita, nel proprio cuore, i sogni di Gesù, i suoi ideali, i suoi valori, le cose in cui Lui ha creduto. Essere Cristiani significa condividere con Gesù la stesse speranze, lo stesso sguardo sul mondo, le stessa passione per la giustizia e la vita. Ed è un rapporto di gratuità totale, anche perché la vite non porta frutto per se stessa, ma per rallegrare la vita degli uomini. I contadini antichi lo sapevano bene: ogni contadino custodiva con cura la sua piccola vigna, per poter offrire con orgoglio agli amici il frutto della vite.
Le prime parole della lettera di Giovanni ci dicono le stesse cose: "Non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità..." Essere radicati in Gesù significa vivere la gratuità dell'amore, coi fatti concreti della vita di ogni giorno!
Ma purtroppo gli antichi, come avete ascoltato, uniscono sempre a questa immagine di gratuità, la minaccia di un castigo e la promessa di un premio. E come forse avete tante volte sperimentato, chi predica su queste pagine più che parlare di gratuità, parla del fuoco che ci aspetta o del premio che occorre meritare. Non solo: siccome il Vangelo parla del tralcio che si secca e poi qualcuno lo raccoglie e lo brucia; ogni tanto, nelle piazze delle nostre città, Cristiani impazienti non hanno aspettato il fuoco dell'inferno, ma hanno acceso i loro falò...
Non un tralcio del Signore: un tralcio nostro! Perché questo è il dramma: siamo tentati di dire che se uno non parla come noi, non fa parte del nostro gruppo... è un tralcio secco, da bruciare.
E c'è un altro aspetto che ci riguarda più da vicino e forse è ancora più drammatico ed ha pesato sulla vita e sulla coscienza di tante persone: abbiamo ascoltato queste frasi: "Qualunque cosa chiediamo la riceviamo da Lui perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo ciò che è gradito a Lui"; e il Vangelo dice: "Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato". È successo anche a voi che qualcuno vi abbia detto che, siccome non avete ricevuto quello che avete chiesto, la colpa era vostra, perché non eravate radicati in Gesù o perché non avete saputo pregare bene? Se a voi non è successo, sappiate che questo se lo sono sentito dire milioni di Cristiani!
Ed è l'aspetto più terribile della religione! Io ho visto piangere delle persone perché da alcuni dei "santoni" di questo tempo si son sentiti dire: "Se il tuo papà ha il cancro, se tuo figlio non guarisce è colpa tua... non hai saputo pregare o non ti sei comportato bene". E questa è la cosa più indegna che si possa dire in nome del Vangelo e di Dio! Non dimenticatelo!
Però conservate nel cuore la straordinaria immagine che il Vangelo ci consegna: è l'immagine della gratuità, l'immagine della bellezza della vita. Se voglio essere credente è bene che conservi nel cuore - per quello che posso, poveramente; il Vangelo ci ricorda che basta un piccolo "spicciolo" gettato nel tesoro della vita - i valori, i sogni, gli ideali di Gesù e che io porti frutto e non per me ma per gli altri! Perché la vita è bella se si può condividere, se si può donare qualcosa, se si può arricchire il mondo.
Non è semplice per noi: per questo siamo qui. Il Signore ci aiuti!
Pietro disse: "In verità sto rendendomi conto VI Domenica di Pasqua - 28 maggio 2000
che Dio non fa preferenze di persone". Atti 10, 34-35. 44-48 - Giovanni 15, 9-17
"Come il Padre ha amato me, così anch'io
ho amato voi. Rimanete nel mio amore",
Mi permetterete di attirare la vostra attenzione, più che sul Vangelo, sulla prima lettura. Non so se anche più d'uno di voi è rimasto colpito dalla frase di Pietro: "In verità sto rendendomi conto che chi ama il Signore e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui gradito". Ma come! è stato per parecchio tempo con Gesù, ha ascoltato le sue parole, si è seduto con lui la sera intorno alla tavola... e ancora deve rendersi conto di una verità che noi, povera gente, abbiamo già capito da parecchio tempo?
Vedete, questo è il vero problema di tanti Cristiani; anzi direi di tutti i Cristiani; e non soltanto dei singoli cristiani, ma della comunità intera. Non basta avere dei principi, avere ascoltato la parola di Gesù "tutto ciò che ha udito dal Padre": occorre poi "rendersene conto" nella vita di ogni giorno.
Gesù ha ripetuto tante volte a Pietro che siamo tutti figli di un unico Padre, che non c'è differenza tra di noi, che non è l'uomo fatto per il sabato, ma il sabato fatto per l'uomo: le tradizioni, le regole, le culture sono tutte a servizio dell'uomo. Eppure Pietro, quando incontra Cornelio, deve rendersi conto che questo pagano - che non fa parte del popolo eletto - anche lui è gradito al Signore! E non è facile, come sanno bene quelli di voi che hanno un po' d'esperienza.
Considerate un momento la lunga storia della Chiesa. L'apostolo Paolo scrive: "non c'è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna: tutti siamo uguali davanti a Dio".Voi sapete che agli uomini di Chiesa ci son voluti quasi duemila anni per rendersi conto che non ci deve essere la schiavitù; per lungo tempo si è ritenuto normale che un nero fosse deportato dalla sua terra e reso schiavo, quasi considerato una persona inferiore!
Non son bastati duemila anni perché qui a parlare ci sia una donna: "non c'è né uomo né donna": siamo tutti uguali, però sull'altare... E credo che la Chiesa di Dio dovrà aspettare altri mille anni perché sul soglio di Pietro segga una Piera… occorre "rendersi conto". Ed è faticoso, a volte.
Per quello che ho capito io, occorrono due cose: occorre non pensare di saper tutto; mettersi in ricerca, e poi - forse ancora più importante - saper ascoltare, saper guardare negli occhi le persone. Se avessero guardato negli occhi un nero, se si fossero messi nella sua pelle, probabilmente non ci sarebbero voluti duemila anni per riconoscere che era un uomo come tutti e che non poteva in nessun modo esser fatto schiavo!
Perché è così difficile guardare negli occhi le persone? Perché è così difficile mettersi nei panni della gente? Perché è così difficile immedesimarsi nei problemi degli altri? Perché tante volte, anche nella vita della Chiesa, c'è gente che pensa sempre di saper tutto, di saper dov'è il bene e dove il male? Perché c'è tanta gente che parla sempre di dialogo e non ascolta mai nessuno, non guarda mai negli occhi la gente?
Non parlerebbero tanto facilmente, alcuni uomini di Chiesa, di pillola anticoncezionale, di divorzio, di aborto, di eutanasia, di gay e quant'altro, se ci si guardasse negli occhi; se ci si mettesse in ascolto degli altri! Allora, come Pietro, anche a noi sarebbe più facile dire: "In verità sto rendendomi conto che chi pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è gradito a Dio". Ci vuole capacità di ascolto! E vale per tutti noi: perché non è facile ascoltare, non è facile immedesimarsi. Ho incontrato troppe volte persone che pensano di sapere, che giudicano. Giudicano prima di essersi messi in ascolto, prima di aver guardato negli occhi le persone.
Poi, per fortuna, qualche volta capita qualcosa nella vita, che ti fa aprire gli occhi! Almeno, alla gente come noi, a chi non vive nei palazzi del potere, a volte succede qualcosa che costringe a guardare negli occhi un vicino; o forse a guardarsi allo specchio... E allora, pian piano, faticosamente, ci si rende conto! Gesù dice: "Amatevi gli uni gli altri; amatevi come io vi ho amato". Ma che significa, nel concreto della vita, voler bene?! Bisogna veramente saper guardare negli occhi, essere capaci di ascoltare...
E poi, avete ascoltato l'altra cosa straordinaria di questa pagina degli Atti degli Apostoli: Pietro non si sente il depositario dello Spirito! Si accorge che su Cornelio e sugli altri "è già sceso lo Spirito" (forse è la stessa cosa che dire: sono delle brave persone anche loro); e dice: "Che potevo fare io? Lo Spirito mi ha preceduto!".
Vedete, la tentazione degli uomini di Chiesa è si sentirsi depositari dello Spirito: di essere in grado di giudicare dove e su chi soffia lo Spirito, di sapere quali sono le condizioni perché venga donato.
Pietro si accorge che lo Spirito lo precede: a lui non resta che inseguirlo. E questo è fondamentale, non soltanto per i capi della Chiesa, ma anche per me. Ma non solo per me: anche per voi! Ma non è una cosa semplice. Per questo siamo qui ogni domenica.
Il Signore ci aiuti!
"Uomini di Galilea perché state a guardare il cielo?" Ascensione del Signore - 4 giugno 2000
"Nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno Atti 1, 1-11 - Marco 16, 15-20
lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti…"
C'è un "tormentone" che ha accompagnato fin dall'inizio la mia ormai lunga vita di prete: è quello dei "segreti di Fatima". Ogni tanto rispuntano, come le lumache quando piove: ancora, in questi giorni se ne parla; sembrava svelato, poi c'è ancora qualche cosa di misterioso... E i mezzi di comunicazione - la stampa, la TV, la radio - son sempre pronti ad interessarsi di tutte queste cose; come anche qualche sprovveduto Cristiano.
Non solo i segreti di Fatima: la mia vita di prete è stata anche accompagnata da tutta una serie di apparizioni, di rivelazioni… madonne che piangono di qua, che piangono di là (le madonne, come sapete, non ridono mai...). E c'è tra i Cristiani (forse anche qualcuno di voi) chi crede che questo sia una specialità del Cristianesimo. Chi di voi conosce un po' la storia sa che non c'è niente di più falso: in tutte le religioni del mondo, soprattutto nelle religioni pagane, si raccontavano queste storie. Il mondo greco, il mondo latino, erano pieni di templi in cui si pronunciavano misteriosi oracoli: segreti detti e non detti; si sperava che qualcuno li spiegasse. E non li spiega mai nessuno; se no, che segreti sono?! E c'erano racconti di apparizioni di divinità, statue che parlavano o piangevano… forse perché nell'uomo - e anche in noi - c'è la tentazione di conoscere qualcosa del futuro, di sapere quello che accadrà; oppure di avere qualche segno di ciò che è al di là dei nostri occhi!
Anche i primi discepoli, come avete ascoltato, aspettavano un segno, cercavano di conoscere il futuro; "Signore, è questo il tempo…?". E la risposta è piuttosto brusca: "Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti…". E quelli però non si convincono: rimangono imbambolati a guardare in alto; e deve venire l'angelo a dire: "Oh! è ora di finirla: andate! È il tempo vostro". È, come dice il Vangelo di Marco, il tempo della testimonianza: occorre "scacciare i demoni, parlare lingue nuove, prendere in mano i serpenti, bere i veleni, curare i malati...".
Guardatevi intorno: il nostro mondo è pieno di apparizioni, di segreti, di rivelazioni strane; ma è anche pieno di tanti veleni, pieno di tanti serpenti! Ci sono "i diavoli" in mezzo a noi! Non pensate al diavolo con le corna o ai serpenti che sono (ormai tutti lo sanno) animali per lo più innocui e anzi utili, perché mangiano i topi. Ma pensate ai veri veleni, che di tempo in tempo ritornano in mezzo a noi: la violenza, il razzismo, l'incomprensione, l'indifferenza! È di questo che un cristiano si dovrebbe occupare; e dovrebbe essere capace di inventare le lingue nuove che permettono di comunicare ai ragazzi i valori eterni, di curare i mali che possiamo: mali del corpo, ma soprattutto i mali del cuore: le solitudini, gli affanni che a volte attraversano la nostra vita.
Essere Cristiani significa soltanto questo: credere in Gesù, credere che Lui ha ragione, che sarà Lui l'ultima parola, l'ultima verità della nostra vita! All'orizzonte della nostra storia c'è Lui! Noi siamo testimoni di questa fede perché crediamo nei valori di Gesù e tentiamo di renderli concreti nella vita di ogni giorno.
C'è una preghiera che i nostri bambini ripetono volentieri e che le nostre catechiste amano: comincia così: "Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani; Cristo non ha labbra, ha soltanto le nostre labbra…". Non c'è niente di più vero: essere Cristiani significa proprio prestare a Gesù le proprie mani, la propria bocca, per continuare ad essere nel mondo testimoni dei suoi valori. A parole, lo sapete, è facilissimo; ma nella vita di ogni giorno è più difficile: i veleni fanno male anche a noi, l'indifferenza rischia di prendere il nostro cuore! Siamo qui ogni domenica per conservare nel cuore la speranza di camminare verso Gesù! Spero che nessuno di voi si aspetti segni, rivelazioni; che nessuno si aspetti che chi parla da qui riveli qualche segreto...
Non ci sono segreti: la vita è una cosa seria! Il futuro è nelle mani di Dio, il presente è nelle nostre mani. A noi è affidato il compito di portare avanti, come possiamo, la testimonianza di Gesù, i suoi valori, nella vita di ogni giorno!
Il Signore ci aiuti!
"Quando verrà il Consolatore che io vi Pentecoste - 11 giugno 2000
manderò dal Padre, lo Spirito di verità che Atti 2, 1-11 - Giovanni 15,26-27; 16,12-15
procede dal Padre,egli mi renderà testimonianza;
ed anche voi mi renderete testimonianza".
Una delle domande che più volte mi sono sentito rivolgere, in questi lunghi anni del mio cammino di prete, è proprio questa: Chi è lo Spirito Santo? E credo che questo non sia successo soltanto a me, ma a molti sacerdoti in ogni angolo della terra.
Ripensavo in questi giorni, tentando di preparare qualcosa da dirvi, all'esperienza che facevo quando ero giovane: tentavo di rispondere in qualche modo a questa domanda, ma vedevo che le persone rimanevano perplesse, insoddisfatte dalle mie risposte. Tanto che spesso erano proprio le stesse persone che, alla prima occasione, riproponevano la domanda.
Allora rimanevo turbato dal fatto di non riuscire a soddisfare la domanda... poi, pian piano, ho capito anch'io... Ho capito che se chi mi faceva quella domanda, fosse stato convinto, dalla mia risposta, di sapere chi è lo Spirito, lo avrei ingannato! Lo Spirito per noi credenti è Dio. E Dio è sempre al di là delle nostre parole, di ogni nostro tentativo di descriverlo, di spiegarlo!
Per i credenti nel Dio di Israele, fin dai tempi antichi, lo Spirito è la presenza di Dio nel nostro cuore, nella nostra vita, è il "soffio" che anima la nostra esistenza. Ma può essere espresso soltanto attraverso i simboli, attraverso le immagini. Non può essere definito; non si può mai sapere con certezza chi sia lo Spirito! Possiamo solo cercarne le tracce dentro di noi e intorno a noi...
E allora, avete ascoltato come i primi Cristiani tentano di esprimere questa presenza attraverso i simboli: il vento che scuote la casa e spalanca le porte, il fuoco che riscalda, la luce che illumina, tante persone di popoli diversi che si incontrano e si capiscono... L'apostolo Paolo nella sua lettera ai Galati dice così: il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Evidentemente Paolo quando scopre qualche barlume di mitezza, di fedeltà, di gioia pensa di incontrare le tracce dello Spirito di Dio!
E Paolo e i primi Cristiani non si ritengono possessori dello Spirito: lo inseguono, lo cercano, tentano di scoprirne le tracce. E non soltanto nei credenti, in quelli che la pensano come loro, ma anche negli altri. Non badano (o tentano di non badare) alle etichette, ai distintivi, ma pensano di incontrare il "soffio" di Dio, dovunque ci sia giustizia, bontà, tenerezza, fedeltà!
E allora è giusto che, ogni volta che qualcuno mi domanda chi è lo Spirito, io non possa e non sappia rispondere. Com'è giusto che i Cristiani continuino a porre la domanda, continuino a cercare lo Spirito (o meglio, le tracce dello Spirito) nel proprio cuore e intorno a sé. Quando c'è un po' di luce nel proprio cuore, quando sentono un desiderio di bontà, quando si sentono spinti verso gli altri, quando un po' di paura se ne va dal loro cuore, quando sentono che, anche dopo una tragedia, ritorna il coraggio di vivere, spunta ancora il sorriso sulle labbra... allora possono dire: Ecco, il soffio di Dio sta attraversando anche la nostra vita! Senza mai averne la sicurezza: perché dello Spirito noi non possiamo avere sicurezza! Noi lo andiamo cercando intorno a noi, dentro di noi; senza stancarci, inseguendone le tracce.
Inseguendone le tracce anche in chi ci cammina accanto ogni giorno, anche in chi da noi è diverso: cercando in ogni uomo un riflesso della bellezza, della bontà di Dio! Il Signore ci aiuti a farlo ancora, perché celebrare la Pentecoste è proprio questo: continuare a cercare Dio e il suo soffio, continuare a inseguirne le tracce, continuare a invocare questo "soffio" perché attraversi anche la nostra vita e il nostro mondo!
Il Signore ci aiuti!
"Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole SS. Trinità - 18 giugno 2000
nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Matteo 28, 16-20
Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".
Quando ero bambino, il discorso su Dio sembrava semplice e chiaro. Da una parte, le rispostine del catechismo, che quelli di voi che hanno i capelli bianchi avranno, come me, imparato a memoria: Chi è Dio? Dio è l'Essere perfettissimo creatore e Signore del cielo e della terra. E le persone della SS.Trinità quante sono? Tre: Padre, Figlio e Spirito Santo. E non conviene far tante domande, perché è Mistero! e nel mistero occorre credere, senza troppo pensare. Dall'altra parte, le parole semplici ed ingenue dei nostri vecchi, in mezzo alle quali io, come voi, sono cresciuto: Non si muove foglia che Dio non voglia! È Lui la spiegazione di tutto quello che accade. Qualunque cosa succeda sulla terra, trova in Dio la sua ragione: è Lui che tutto ordina e dispone.
E poi, l'invito ad affidarsi con fiducia a Dio, a rivolgersi a Lui che protegge e custodisce la nostra vita. Ricordate le ingenue preghiere di noi bambini, perché non ci succedesse niente di male? perché andassimo bene a scuola?… E tanti racconti di prodigi, di miracoli, per rafforzare la nostra fiducia nella Provvidenza…
E poi, crescendo, tanti dubbi, tante domande... Le domande della scienza: com'è possibile conciliare l'evoluzione della vita, con il Dio che crea in sette giorni ogni cosa? e come conciliare la serietà delle leggi scientifiche con il miracolo? E poi, acuto - per me, ma anche per tanti miei compagni - il senso del Male del mondo: perché tanto male? dov'è Dio di fronte ad un bambino che soffre e che muore? perché, se Dio può intervenire, non interviene? perché ci narrano tante storie di miracoli e noi non li vediamo mai?
Un compagno riassumeva il problema con questa frase - forse vi scandalizza, ma vi pregherei di conservarla nel cuore, perché è stata per me di grande aiuto per ripensare tante cose - diceva così: "Se qualcuno può fare miracoli, ma li fa molto raramente, non è un santo ma un delinquente". Non vi scandalizzi! è una frase che nasce da un acuto senso del male, del dolore che c'è nel mondo: come si può conciliare con il Dio provvidente, con il Dio che tutto regola, da cui tutto dipende?
E poi, per fortuna, - per questo sono qui e per questo probabilmente siete qui anche voi - abbiamo scoperto il Dio che si incontra nella Scrittura, in un cammino di liberazione e di vita; il Dio che non sta dietro le spalle, cui ricorrere nel momento del bisogno; ma il Dio che cammina davanti, che ci chiama verso un progetto di liberazione e di vita. Il Dio della gratuità! Il Dio della libertà!
Ma soprattutto siamo qui perché pian piano abbiamo scoperto il Dio di Gesù: il Dio che si manifestava nel bambino nato in una mangiatoia, che si affidava alle nostre mani; il Dio che parlava di beatitudini e di festa; il Dio che ci chiamava a condividere la passione per gli uomini e la vita, che ci chiedeva di chinarci - senza aspettare il prodigio - sulle sofferenze e sul dolore del mondo! Il Dio dalle braccia spalancate, inchiodate sulla croce, aperte fra cielo e terra. Intorno a quella croce tutti gridano, quasi sfidandolo: "'Se sei Dio, salva te stesso e anche noi!". Ma le sue braccia restano inchiodate su quella croce... Il Dio impotente e indifeso, travolto dalla violenza del mondo, il Dio che condivide i bassifondi della nostra storia.
Al di là delle risposte del catechismo, al di là delle ingenue parole dei nostri vecchi, abbiamo continuato a cercare del volto di Dio: il Dio di Gesù, il Dio della libertà, della gratuità; il Dio che condivide la vita, che cammina con noi. Il Dio impotente! Il Dio che possiamo incontrare qui, nei segni più semplici della nostra esistenza: un po' di pane e un po' di vino, la vita donata e condivisa! Noi siamo qui per continuare a camminare nella sua luce, sapendo che ogni parola su di Lui è sempre come il balbettio di un bambino; eppure noi vogliamo continuare a cercare il Dio di cui ci parla Gesù: il Dio della nostra vita, il Dio della gratuità e della libertà, il Dio dell'amore e della vita! Senza stancarci ...
Il Signore ci aiuti!
"Prendete, questo è il mio corpo"... Corpo e del Sangue del Signore - 25 giugno 2000
"Prendete, questo è il mio sangue, Esodo 24, 3-8 - Marco 14, 12-16. 22-26
il sangue dell'alleanza, versato per tutti".
Immaginate di poter fare un volo con la fantasia, per andare a visitare alcune delle chiese in cui si celebra la festa del Corpo e del Sangue del Signore.
Potete cominciare da piazza San Pietro, dove si raduna tanta gente, con il Papa, con una folla di cardinali e di vescovi: una cerimonia solenne, fastosa. Potete fare un giro per le splendide cattedrali o per i tanti santuari della nostra Italia o del mondo: vedreste chiese affollate da migliaia di persone riunite intorno a qualche vescovo, potreste notare la presenza di persone importanti. E poi non fermatevi qui: con la fantasia andate in qualche piccola chiesa sperduta del nostro paese o in qualche capanna vicino al deserto dell'Africa o nella foresta amazzonica: c'è solo un gruppetto di persone - poche, magari malvestite - intorno ad una tavola semplice e spoglia.
A prima vista sembra esserci una grande differenza. Ma guardate bene: dal punto di vista della fede non c'è differenza. Dio si fa pane sia nella basilica di San Pietro, dove ci sono il Papa, i cardinali, tanta gente, sia in quella capanna sperduta, vicino al deserto dell'Africa o nella foresta amazzonica. Anzi, a pensarci bene, la prima volta che Gesù ha spezzato il Suo Pane, c'era intorno alla tavola soltanto un piccolo gruppo di persone: Lui non amava le folle, quando poteva fuggiva lontano. Dio si fa pane per la gente che lo cerca, dovunque essa sia! E là dove un gruppo di persone si ritrova intorno alla tavola per spezzare il pane, là può fare memoria di Gesù; là può rinnovare l'alleanza con Lui; là c'è la Chiesa: non manca nulla!
Con gli occhi della fantasia potete ammirare a San Pietro la cupola di Michelangelo e il colonnato di Bernini, nelle tante cattedrali della nostra Italia opere d'arte meravigliose, straordinarie; in quelle capanne dell'Africa o dell'Amazzonia solo qualche muro di paglia e di fango, un povero tetto di frasche… eppure dal punto di vista della fede non è questo che conta… Dovunque i credenti si riuniscono c'è Dio che si fa pane. Anzi - se riflettete con attenzione - San Pietro è forse il frutto della volontà di potere, di apparire. Noi contempliamo le opere d'arte e facciamo bene: appartengono alla ricchezza dell'umanità. Ma dietro, spesso c'è la ricchezza, spesso lo sfruttamento della povera gente! Allora, forse, Gesù lo trovereste più facilmente là, in mezzo a quella povera gente.
Ma provate anche ad immaginare che intorno alla tavola, stasera, si raduni - che so? - un gruppo di monaci molto virtuosi, di gente che ha rinunciato a tutto, che prega sempre. O immaginate che in qualche angolo del mondo si raduni un gruppo di gente particolarmente virtuosa; e poi tornate qui, guardiamoci negli occhi, o meglio, guardate me: noi non siamo persone particolarmente virtuose, siamo povera gente, dal cuore pesante, gente che ha sbagliato spesso nella vita... eppure Gesù si fa pane per noi! Forse, soprattutto per noi!
Quando Gesù ha spezzato il pane per i suoi discepoli, c'era chi lo ha tradito, chi dopo poche ore lo ha rinnegato, chi è fuggito: uomini paurosi, dalla fede incerta e vacillante! Per loro Gesù si è fatto pane! La Chiesa non è un fatto di persone sante, nemmeno di personaggi potenti, di folle numerose, di autorità che ostentano il loro potere. È un fatto di poche persone, di povera gente, magari col cuore pesante, desiderosa di salvezza e di giustizia, che si ritrova intorno alla tavola per spezzare il pane e fare memoria di Gesù! E tenta di rinnovare con Lui l'alleanza; e cerca di portare nella vita di ogni giorno un po' dei suoi valori, dei suoi sogni, la ricchezza dei suoi ideali!
Gesù si fa pane per noi: per me e per voi. Nella nostra Chiesa non ci sono opere d'arte? non siamo persone importanti? non siamo in tanti? Gesù si fa pane per noi! Non siamo santi? non ci sentiamo buoni? abbiamo il cuore pesante? Gesù ci invita a mangiare, ci invita a fare memoria di lui! Perché non perdiamo la speranza; perché continuiamo a cercare; perché continuiamo a tentare di essere giusti! Anche se sappiamo, ormai, di non riuscirci mai del tutto...
Il Signore ci aiuti!
"Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' XIII Domenica del tempo ordinario - 2 luglio 2000
in pace e sii guarita dal tuo male" Marco 5, 21-43
...."Fanciulla, io ti dico,alzati!".
Subito la fanciulla si alzò e si mise
a camminare; aveva dodici anni.
Gesù ordinò di darle da mangiare.
Quest'anno, leggendo insieme - per l'ennesima volta - questa pagina del Vangelo, ci siamo per la prima volta accorti di una curiosità: una cosa di relativa importanza, ma che forse vi aiuta a capire la difficoltà, per noi, di leggere il Vangelo e soprattutto, forse, il Vangelo di Marco. Dov'è questa curiosità? Avrete notato che più volte, verso la fine, si parla della "bambina": Gesù va nella casa di Giairo, che l'ha chiamato per la figlia malata; prende la bambina per mano, le dice: "Alzati". Chi traduceva questa pagina del Vangelo (sapete tutti che il Vangelo è stato scritto in greco), per non ripetere sempre "fanciulla" ha scritto "bambina". Quest'anno ci siamo accorti che ad un certo punto si dice: Aveva dodici anni. Sapete che cosa avrebbe detto una ragazza di dodici anni del tempo? "Ma quale bambina! Io sto per sposarmi!". Dodici anni, a quel tempo, significava ragazza da marito (non ditelo alle nostre ragazze di oggi, eh?; perché stanno tanto bene a casa, che prima dei trenta anni non pensano proprio a sloggiare... Ma questo è un altro discorso…).
È solo una piccola curiosità; però ci fa vedere quanta distanza c'è fra noi e il Vangelo. E non si tratta soltanto di questo. Se provassi a domandarvi: "Che cosa avete capito, voi, di questo lungo racconto?", penso che la maggior parte mi direste: "Abbiamo ascoltato il racconto di due miracoli: Gesù ha guarito, prima, una donna che aveva delle emorragie e poi addirittura ha resuscitato una bambina". Qualcuno forse aggiungerebbe: "Gesù manifesta la sua potenza per mostrare di essere Dio". E forse poi avreste difficoltà a spiegare perché Gesù manda via tutti e ordina di non dir niente a nessuno? Il miracolo non dovrebbe mostrare a tutti la sua potenza? Ma non basta: se vi domandassi: "Ma noi che c'entriamo? Questa pagina del Vangelo ci riguarda? Cosa abbiamo a che spartire con la donna che perde sangue o con la ragazza che viene risuscitata? Riguarda me? ri-guarda ciascuno di voi?", forse più d'uno di voi avrebbe difficoltà a spiegare.
Eppure, questa pagina ci riguarda tutti. Ci riguarda soprattutto nel nostro stare insieme qui ogni domenica. Avete notato che alla fine Gesù prende le mani di questa ragazza e lei si mette a camminare? E poi dice di darle da mangiare… Siamo noi! Siamo qui, intorno alla tavola; fra poco saremo invitati a mangiare! E Gesù dice a me e a voi: "Alzati! cammina!". Ma noi camminiamo... non siamo malati e tantomeno morti!… Siamo sicuri di camminare cercando ogni giorno la giustizia e il bene? Siamo proprio sicuri di non portarci dentro, anche noi, qualche cosa del mondo della morte che ci sta intorno? Non siamo anche noi come la donna che si incontra lungo la strada, la quale perde sangue: il simbolo della vita che si sciupa?! Non siamo anche noi stretti dalla folla che ci impedisce di incontrare Gesù? Non siamo qui perché lo sguardo di Gesù ci cerchi e ci aiuti ad uscire dalla folla?!
Siamo anche noi tra coloro che dicono: "Così fan tutti! Perché solo io devo sforzarmi di fare il bene, quando tutti si comportano in un certo modo? Tutti sono disonesti; se lo sono un po' anch'io... Tutti lavorano poco; se lavoro poco anch'io... Tutti si occupano poco del prossimo; se me ne occupo poco anch'io..." La pigrizia che ci portiamo dentro! la vita che si sciupa! La potenza della folla che ci stringe da ogni parte! Siamo qui perché Gesù ci strappi dalla folla, dalla pigrizia di ogni giorno.
Celebrare l'Eucarestia è questo: Gesù che di nuovo ci prende per mano - ragazze da marito o persone che cominciano ad avere i capelli bianchi - e ci dice: "Coraggio! Alzati, cammina! Vieni con me! Cerca di portare intorno a te un po' di tenerezza e di vita!". E si fa pane per nutrirci!
Quando usciamo di qui, - come avete ascoltato nel Vangelo - troveremo anche chi ride di noi, chi ci piglia in giro: "Ma come, vuoi cambiare il mondo?". Si ride anche oggi quando qualcuno dice: "Coraggio! Bisogna costruire la vita: non bisogna arrendersi al mondo della morte, alla violenza, al male"!...
Gesù ci chiama qui perché almeno noi riusciamo a non ridere, a credere nella vita, a tentare di incontrarLo, seriamente, a camminare con Lui! Allora vedete che non abbiamo ascoltato il racconto di un prodigio, di una cosa strana successa tanto tempo fa… Con i suoi simboli, alla sua maniera, Marco parla di noi, della nostra vita!
Ecco un suggerimento: quando leggete una pagina del Vangelo - e vi consiglio di leggerlo spesso - non leggetelo soltanto come un fatterello di qualche tempo fa. Domandatevi sempre: "Ma io, che c'entro? Gesù in questa pagina parla forse a me? Sono io la "bambina"? Sono io la donna che incontra lungo la strada? A me Gesù tende la mano? A me rivolge l'invito ad alzarmi? A me ordina di dar da mangiare? SI, a noi! E allora il Vangelo diventa qualche cosa di vivo!
Io devo fermarmi qui, perché su questa pagina del Vangelo (come qualcuno dei presenti sa) ci si potrebbe fermare ore ed ore... Ma basta e avanza cosi.
"Un profeta non è disprezzato che nella XIV Domenica del tempo ordinario - 9 luglio 2000
sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua". Marco 6,1-6
E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù arriva nella sua patria, tra la sua gente e i suoi concittadini non credono in lui! Quando ero giovane e ingenuo avrei chiesto: "Ma non poteva fare qualche miracolo, di quelli grandi, per convincere i suoi concittadini a credere in lui?". Allora non conoscevo il Vangelo di Marco… avete ascoltato la brusca risposta di Marco: Non poteva fare prodigi a causa della loro incredulità. Quando ero giovane, quando c'era qualche mio compagno - che so? al ginnasio o al liceo - che non credeva, mi domandavo: "Ma Dio non potrebbe fare qualche miracolo, in modo che possa anche lui vedere e credere? Perché non c'è qualche segno che lo convinca?".
Era certo frutto della mia ingenuità; ma succedeva anche perché qualcuno mi aveva educato così. E penso che anche molti di voi siano stati educati così; perché mi son sentito rivolgere tante volte queste domande, nella mia vita di prete. Ci hanno insegnato che il miracolo è il segno di Dio. Ed infatti, se voi guardate in giro - alla TV, sui giornali, nelle riviste – spesso, quando si parla di religione, si parla di segreti di Fatima, di apparizioni di madonne, di statue che piangono o addirittura versano sangue, di prodigi, di miracoli... Quando ero giovane pensavo che questi racconti fossero una caratteristica del cristianesimo poi ho imparato che i prodigi, i miracoli, i racconti straordinari sono quanto di più comune si trovi nelle religioni di tutto il mondo... Nella religione romana o greca, come in tutte le altre, troverete infinite storie di prodigi, di miracoli, di apparizioni, di statue che parlano o piangono, di segreti da svelare…
Il vero "miracolo", - la presenza di Dio in mezzo a noi - non ha nulla di prodigioso: con gli occhi del corpo non riesci a vedere nulla, occorrono gli occhi della fede.
Gli abitanti di Nazareth che cosa dovevano credere? che cosa non riescono a credere? qual era il vero "miracolo" che attraversava la loro vita? Dio che si fa un falegname, che viene a vivere una vita normale: le mani callose di uno che lavora tutti i giorni intorno al legno; gli incontri, la sera, con gli amici; la sua testimonianza di vita, il suo cuore! Dio che viene a camminare con noi per le strade del mondo: questo è il VERO "miracolo"! e non si può dimostrare. O ascolti la sua parola, o lo guardi negli occhi, o capisci che là, in quell'uomo, si manifesta Dio... oppure non c'è prodigio che tenga.
E, se volete pensate all'altro VERO "miracolo" di cui cui ci parla il Vangelo: il Signore risorge! Sarebbe bello (o forse no) se i discepoli avessero potuto dire a qualche miscredente: "Tu non vuoi credere che Gesù è risorto? Vieni, eccolo qua. Parlaci! È proprio lui, quello che avete crocifisso!". Niente di tutto questo succede: ormai, vede Gesù solo chi ha fede... E se non hai la fede? Non puoi vedere nulla, non c'è segno o prodigio che ti permetta di credere…
Ma qui, sull'altare, guardate: c'è del pane; solo un po' di pane e un po' di vino. Fra poco io dirò le Parole e voi credete che - lì - Dio si fa pane, cibo del nostro cammino. Se viene qualcuno - che so? dal Giappone o dalla Cina - che chiede di poter vedere, voi gli mostrate una piccola ostia; e quello dice: "Ma questo è pane". "No, per me è Gesù". "Ma questo è pane: ha gusto e sapore di pane". Sarebbe bello (o forse no) se potessi fare qualche prodigio - che so: l'ostia che comincia a volare per l'aria - ma, voi lo sapete non ci accadrà mai nulla di simile; e poi, pensate che servirebbe per aiutarci a vivere l'Eucarestia? È vero, un tempo ci raccontavano la storia di quel prete che non credeva, ha spezzato il pane, usciva sangue... ma è pericoloso, specialmente oggi: io ho incontrato - per fortuna raramente - chi aveva timore che nel fare la comunione la bocca gli si riempisse di sangue...
Sciocchezze! Non vedrete mai uscire sangue da quell'ostia. Non ci sarà mai un prodigio che vi farà credere. O sentite che - lì - c'è Dio che si fa vicino alla nostra vita, che si fa cibo per noi... Ma questo, che è il vero "miracolo", si può vedere solo con gli occhi della fede!
Il prodigio non serve per credere. Quello che serve per noi, è domandarci: Che senso ha ciò che noi crediamo? Perché Dio è venuto a condividere la nostra vita? Che senso ha che il Signore è risorto? Che senso ha che Gesù si fa pane? Cosa significa, questo, per la mia vita di ogni giorno? Questo è avere fede! Il resto - i prodigi, i miracoli, le apparizioni, i segreti di Fatima, le madonne che piangono, i fatti straordinari - appartiene alla paccottiglia che c'è in tutte - tutte! - le religioni del mondo. Paccottiglia, sciocchezze: cose che oggi sono per molti di scandalo, che rischiano di far perdere la fede.
La fede è una cosa seria! È sentire Dio presente nella nostra vita, senza poter vedere NULLA! Senza poter toccare NULLA! Qui, in quel pane spezzato, sempre sentiamo sapore di pane, gusto di pane, consistenza di pane; eppure, con gli occhi della nostra fede, possiamo vedere Gesù che si fa pane, che nutre la nostra vita, che ci convoca come una famiglia intorno alla tavola. Dio che viene ad essere partecipe del nostro cammino sulla terra! Questo è il vero "miracolo", questa è la nostra fede; al di là di ogni prodigio. Il Signore aiuti anche noi a non essere come gli abitanti di Nazareth, ma a credere. Altrimenti, non potremo mai vedere prodigi...
Allora Gesù chiamò i Dodici e incominciò XV Domenica del tempo ordinario - 16 luglio 2000
a mandarli a due a due... e ordinò loro Marco 6, 7-13
che, oltre al bastone, non prendessero
nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia,
né denaro nella borsa.
Ve li immaginate questi sprovveduti discepoli che Gesù manda in giro per il mondo, senza "pane, né bisaccia, né denaro nella borsa", senza nemmeno potersi portare una tunica, per cambiarsi se avessero sudato troppo? Che cosa dovevano pensare? "Gesù è uscito pazzo". Ma voi sapete ormai che, quando leggiamo queste parole, non dobbiamo pensare a personaggi di tanto tempo fa; dobbiamo pensare a noi e ai cristiani di ogni tempo. E allora, se ci fermiamo a riflettere con un po' di attenzione, scopriamo che in queste parole Marco tenta di comunicarci il sogno forse più grande, di Dio e di Gesù, per la sua Chiesa, per la vita degli uomini. È il sogno della gratuità! Sogno forse impossibile per noi: noi uomini siamo intrisi di bisogni, di voglia di affermazione di noi stessi; abbiamo bisogno di denaro, di sicurezza; cerchiamo il potere.
E non pensate soltanto alla storia degli uomini di chiesa, che si sono venduti quasi tutto per far soldi: le indulgenze, il perdono e quant'altro; che hanno tentato di affermare in tutti i modi il loro potere, usando le armi della religione. E non pensate nemmeno a tutte le autorità, che hanno spesso usato la religione come "strumento del regno", per giustificare il proprio potere. Quando prendete in mano un libro di storia e leggete - che so? - dei re di Francia o di Spagna, tutti usavano Dio per giustificare il loro potere. Anche Napoleone si mette in testa la corona dicendo: "Dio me l'ha data e guai a chi me la tocca!". Si è usato Dio per giustificare la schiavitù, la sottomissione di altri popoli; si è portata la Croce per conquistare continenti interi...
Non pensate a tutto questo: pensate a noi. Avete mai usato la religione per cercare di trovare un utile? Dite: "No, io non mi sono arricchito con la religione". Ma a me è capitato tante volte di incontrare dei papà e delle mamme che pensavano che la religione fosse lo strumento utile per tenere sottomessi i figli e per educarli. A voi non è successo? Allora chiedetevi: quando venite in chiesa, ci venite in totale gratuità? Non capita anche a voi, come a me, di pregare soltanto per chiedere qualcosa: "Fa' che le gambe non mi facciano troppo male... Fa' che... ".
Io mi son sentito domandare tante volte: "A che serve andare in chiesa? A che serve credere? A che serve Dio?" E se non servisse a niente? E se il cuore di tutto fosse la gratuità? E se dovessimo andare in giro senza pane, senza bisaccia, senza denaro, senza niente? cercando soltanto il Suo Volto, la Sua Luce, il modo di cacciare qualche diavolo intorno a noi, di ungere d'olio qualche malato? Non pensate che queste siano cose strane: è il nostro compito quotidiano.
E questo non vale, se ci pensate bene, soltanto per la nostra vita religiosa, ma anche per la nostra vita di ogni giorno. Non ci domandiamo qualche volta - il marito nei confronti della moglie, i genitori nei confronti dei figli, nei confronti degli amici o di chi incontriamo ogni giorno -:"A che mi servi? Fino a che punto mi sei utile?". Mi capitava nell'ultimo matrimonio che ho celebrato di iniziare dicendo: "Ecco qua due incoscienti, che tentano di andare contro le forze della natura!" Sì, perché noi siamo fatti per affermare noi stessi, per trovare il nostro spazio e loro dicevano di voler vivere la condivisione, il dono di sé, la gratuità.
Ecco il senso delle parole che abbiamo ascoltato oggi e che sembrano così strane! No, Gesù non è diventato pazzo! È che vuole conservarci nel cuore il sogno della gratuità! Per noi è un sogno quasi impossibile: noi siamo impastati di bisogni, di desideri. Siamo fatti così! Eppure, vuole riproporci - a noi, che ci ritroviamo qui ogni domenica, senza stancarci - il suo sogno: il sogno più grande! Forse, per quel che ho capito io, è la Natura stessa di Dio: la gratuità, l'amore disinteressato, il dare senza aspettarsi di ricevere! Per noi, forse, è troppo. Ma per questo Gesù si fa pane per noi!
Il Signore ci aiuti!
"Venite in disparte, in un luogo solitario XVI Domenica del tempo ordinario - 23 luglio 2000
e riposatevi un po'"... vide molta folla e Marco 6, 30-34
si commosse per loro, perché erano
come pecore senza pastore; e si mise
ad insegnare loro molte cose.
Già domenica scorsa vi dicevo che, quando leggiamo il Vangelo, non dobbiamo pensare a strani episodi accaduti tanto tempo fa, ma dobbiamo pensare a noi, alla nostra esperienza quotidiana, perché il Vangelo diventi vivo.
E allora, conoscete anche voi questa "folla" che va e che viene, e che quasi ci impedisce di mangiare? Io penso che più o meno la conosciate tutti, o almeno la maggior parte di voi. Sono gli affanni di ogni giorno, la corsa quotidiana: il lavoro, le preoccupazioni, la casa, gli acciacchi, la gente... Anche quelli che hanno i capelli bianchi spesso hanno poco tempo per riposarsi: molti devono correre dietro a figli e nipoti; non si finisce mai di lavorare.
Ma c'è qualcosa di più: per Marco, la "folla" è anche il rumore, la confusione di ogni giorno, che ci impedisce di capire qualcosa. Credo che anche a voi, come a me, capiti, a volte, di guardare smarriti il mondo senza capire cosa stia accadendo. Siamo bombardati da tante notizie, c'è tanta confusione nella nostra testa; ma pochi ci aiutano a capire qualcosa. È la folla! il rumore che ci circonda ogni giorno, le mode che passano in fretta, i tanti falsi valori che spesso ci vengono propinati…
Sarebbe importante allora, per noi, accogliere l'invito di Gesù ad andarcene un pochino in disparte e sederci un po' con Lui, per riposarci un po' da questa corsa quotidiana; ma soprattutto per guardare Gesù negli occhi, per cercare di guardare il mondo con gli occhi suoi, per tentare di capire di questo mondo - così confuso, così rumoroso a volte - le cose importanti, ciò che veramente conta. Per questo siamo qui ogni domenica: in un luogo in disparte, per sederci un po' ai piedi di Gesù, per nutrirci di Lui, dei suoi valori, della sua vita, per tentare di guardare il mondo con i suoi occhi; per ritrovare le cose essenziali di questa vita, nel nostro correre quotidiano.
Ma, lo sapete, la folla non è fatta soltanto di rumore e confusione: è fatta anche di persone, che qualche volta - come avete appena ascoltato - pigliano la barca e ci corrono davanti. La cosa che più ho sentito ripetere - in 40 anni, di confessioni ne ho ascoltate tante - è proprio questa: "Quando mi metto a pregare, la testa se ne va da un'altra parte! Sempre una preoccupazione, un figlio, un parente, un amico... e mi dimentico della preghiera, mi dimentico di Gesù!". Ed è giusto che sia così; perché la folla della nostra vita è fatta anche di persone concrete. Non capita soltanto a qualcuno di voi particolarmente peccatore: capita a tutti noi! Ed è una fortuna che ci capiti. Significa che anche noi, come Gesù, ci preoccupiamo del prossimo; significa che quando ci mettiamo davanti al Signore ci portiamo dentro qualche preoccupazione, i problemi di qualche persona che ha bisogno di noi e magari pensiamo a come dare una mano… ma non è questa la preghiera migliore?
La nostra vita è fatta così: si corre, ci sono tanti rumori intorno, qualche volta tentiamo di fermarci un po' con Gesù! E, come succedeva a Gesù, come succedeva ai suoi apostoli, di nuovo arriva la folla e ci impedisce di pensare! E domani ricominciamo. Sempre così; tentando di incontrare, almeno qualche volta, Gesù, di guardare il mondo con i suoi occhi! Ma, lo sapete, per noi non è affatto semplice.
Il Signore ci aiuti!
Gesù moltiplica il pane e la gente XVII domenica del tempo ordinario - 24 luglio 1994
vuol farlo "re", ma... "si ritirò Giovanni 6, 1 - 15
sulla montagna, tutto solo"
Il racconto che abbiamo appena finito di ascoltare si trova per ben 6 volte nei Vangeli, con piccole o grandi variazioni fra l'uno l’altro: è l'episodio che viene riportato più volte e più volte lo abbiamo commentato insieme; non è quindi semplice dire qualche cosa di nuovo su questa pagina.
Ho pensato a lungo, oggi pomeriggio, come si poteva dire qualche cosa di nuovo... e non ci sono riuscito. Alla fino ho detto: "Forse è meglio che, con grande semplicità, racconti un po' dei pensieri che mi son venuti in mente: chi sa che non possano aiutare a riflettere su questa pagina del Vangelo; che è, poi, riflettere su quello che facciamo insieme qui, ogni domenica".
E dunque, ho cominciato da uno slogan che mi è venuto in mente: "moltiplicare il pane, senza voler diventare re", che tradotto significa: moltiplicare la vita, moltiplicare il benessere, il sapere, la gioia - tutto quello che voi volete - senza aspirare al potere, alla riconoscenza, al prestigio, alla gloria. E poi mi son detto: "Niente di più banale... cose che abbiamo detto tante volte!".
E poi pensavo: "Ma... banale o forse essenziale? Non è questo uno degli aspetti fondamentali della nostra vita, soprattutto della vita di un credente?" E mi dicevo: "Se i nostri governanti badassero al bene comune, a moltiplicare il benessere, a moltiplicare la cultura, a moltiplicare tutto quello che è vita civile, senza aspirare al potere, al prestigio..." E dicevo: "Cosa ancora più banale, cosa ancora più scontata!"
Banale, scontata! Viviamo in un mondo - mi dicevo ancora - in cui tutto diventa immagine, tutto diventa rappresentazione, tutto diventa ostentazione. Avete visto che spettacolo è stato l’incon-tro del 7 grandi in quegli splendidi posti che sono a Napoli! Una grande ostentazione di potere. E questo succede spesso nel nostro tempo; e forse è importante che ci abituiamo sempre di più a giudicare chi ci governa non da come si mostra, non da come ostenta il suo potere, il suo prestigio, ma da quello che fa, dai gesti concreti che moltiplicano la vita, che moltiplicano il benessere, che moltiplicano il lavoro, che moltiplicano la cultura e tutto quello che "fa" la vita civile. Un discorso, allora, non tanto banale e credo che sia importante che noi ci ritorniamo sopra spesso.
Ma poi mi son detto: "Perché pensi a chi ci governa? Questo discorso, in fondo, riguarda anche te". Ed è giustissimo: riguarda anche me! Perché il mio compito è quello di moltiplicare la vita, di far crescere la conoscenza di Gesù, senza cercare il prestigio, senza cercare nemmeno il vostro applauso né la vostra riconoscenza, senza cercare ‑ che sarebbe ancora peggio! ‑ di dominare le vostre coscienze, di imporre a voi il mio modo di vedere.
Ma quello che vale per me, vale anche per voi. Vale per gli insegnanti che son qui, i quali hanno anche loro il compito di moltiplicare la cultura, la vita degli alunni, e non vale solo per gli insegnanti, vale per chiunque lavora e vale anche in casa tra marito e moglie, tra genitori e figli: il compito di ogni uomo sulla terra è quello di moltiplicare la vita, il benessere, la gioia, senza voler prevalere sugli altri, senza dominare sugli altri. Qualcuno di voi sorriderà, come mi è capitato di veder sorridere tante volte la gente, a questi discorsi: "È quasi impossibile!..."
È quasi impossibile, si! Ecco perché questo racconto c'è 6 volte nel Vangelo. Ecco perché noi ci ritroviamo qui ogni domenica: per tentare l'impossibile, per tentare di moltiplicare la vita senza voler "diventare re", senza prevalere sugli altri, senza imporre noi stessi. Cerchiamo di imparare qui, intorno alla tavola, spezzando il pane, a mettere in comune quello che abbiamo!
Voi, come il ragazzo del Vangelo, direte: "Abbiamo soltanto 5 pani d'orzo (che erano i pani che mangiavano i più poveri) e 2 pesci rinsecchiti!" Bastano! Bastano e avanzano! Purché tutti mettiamo in comune quello che abbiamo, cerchiamo di moltiplicare la vita, di donare ciò che possiamo, perché la vita sia più ricca - in casa, fuori, nel posto di lavoro - senza pretendere di "diventare re".
Non è facile! Per questo Gesù ci convoca qui ogni domenica; per questo ancora continua a spezzare il pane con noi, per questo, senza stancarsi, continua ad invitarci, a nutrirci di Sé!
Lo faccia ancora per noi, stasera.
"Perché i tuoi discepoli non si XXII Domenica del Tempo ordinario - 3 settembre 2000
comportano secondo la tradizione Deuteronomio 4,1-2.6-8 - Marco 7,1-8. 14-15. 21-23
degli antichi?" E Gesù: "Trascurando
il comandamento di Dio, voi osservate
le tradizioni degli uomini".
Mi capitava, qualche tempo fa, di parlare con una ragazza, giovane e bella, delle tante tradizioni, delle tante regole che, a suo parere, ci sono oggi nella Chiesa e che impediscono a giovani come lei di credere, di avvicinarsi al Signore. Parlava di tutte le regole sui digiuni, sulle penitenze, sulle preghiere; parlava anche della confessione di cui - secondo lei - non c'è traccia nel Vangelo; parlava della Messa, dei vestiti che indossano i sacerdoti, delle parole a volte astruse che si usano e di tutte le tradizioni che - secondo lei - sovraccaricano il rapporto con il Signore.
Non mi era semplice aiutarla a distinguere tra quello che - almeno secondo me - è importante ed essenziale e quello che effettivamente appartiene alle tradizioni che passano, che si consumano, che dopo un po' non hanno senso.
Abbiamo parlato a lungo, senza (come spesso succede) riuscire a convincerci l'un l'altra... e poi l'ho vista allontanarsi, con un passo un po' incerto e ho guardato le sue scarpe: aveva ai piedi dei brutti "anfibi", goffi, pesanti, regolarmente slacciati come usano i giovani di oggi, che non rendevano certo giustizia alle belle gambe di cui il Signore le aveva fatto dono. Ho provato qualche volta a domandare ai ragazzi: "Perché vi mettete 'sta roba ai piedi, così brutta e scomoda?" La loro risposta è: "Così fanno tutti, è la moda..."
E chi sa se quella ragazza prima o poi capirà che anche lei è vittima di tradizioni imposte? Chi sa se capirà che poi non è tanto importante il modello di scarpe che si mette ai piedi, ma quello che ha nella testa: se riuscirà a distinguere tra le tradizioni, che riguardano le scarpe, e quelle che riguardano il modo di pensare e le cose importanti che è bene che cerchi nel suo cuore?
Voi sapete bene che il mondo di oggi (ma quello di ieri era lo stesso) non l'aiuta molto. Non l'aiuta la vita della Chiesa: spesso ci si limita agli applausi, alle riunioni oceaniche, si ripetono riti e parole antiche; ma non si aiuta la gente a pensare! Non si aiutano, specialmente i più giovani, a domandarsi: Che cosa è importante? che cosa è utile per questo mondo? che cosa c'è di veramente grande nel nostro cuore? Sentono ripetere antiche e vuote parole, si ripropongono loro miti… applaudono e cantano con grande calore... E questo non aiuta a pensare!
Ma d'altra parte, secondo voi, li aiuta a pensare la TV o gli spettacoli che vedono o la musica che rintrona loro la testa, fino ad ottundere anche il cervello? Spesso sentono ripetere slogans, parole accattivanti, spesso sentono parlar male di tutto e di tutti, ma raramente ascoltano parole che aiutano a pensare, a capire. Chi aiuta i nostri ragazzi a cercare le cose giuste, a domandarsi cosa c'è nel cuore, cos'è veramente importante, cosa corrompe la vita dell'uomo? Vedete bene che i problemi di Gesù sono anche i nostri: di noi che abbiamo i capelli bianchi, ma anche dei ragazzi che ci crescono accanto. Criticano facilmente le tradizioni antiche, il nostro modo di parlare, i vestiti che io porto... e non si accorgono che loro portano vestiti magari più brutti e sgraziati. E soprattutto non si accorgono che c'è gente che tenta di impedir loro di pensare con la propria testa, di cercare le cose giuste nel profondo del proprio cuore! Gesù è venuto per questo!
E tutti quelli che possono aiutare questi ragazzi a pensare, a credere, a sperare, a cercare le cose giuste, è bene che lo facciano; perché, a mio giudizio, pochi nel mondo di oggi lo fanno. Ed è un grosso guaio: perché il futuro del mondo non è affidato alla gente che batte le mani senza pensare o a chi si lascia imporre ogni moda. Il futuro del mondo è affidato a chi pensa, a chi cerca, a chi con coraggio tenta di individuare le cose importanti della vita.
Questo - almeno secondo me - ci ha insegnato Gesù! Ma, sapete, non è facile farlo: io qui, indosso ancora abiti simili a quelli che portavano gli antichi Romani… i nostri ragazzi vanno in giro con "anfibi" brutti, scomodi, sgraziati.. Ma così vuole la regola! Chi ci libererà da tutto questo? Speriamo, la nostra buona volontà.
Il Signore ci aiuti!
…pieni di stupore dicevano: XXIII domenica del tempo ordinario - 10 settembre 2000
"Ha fatto bene ogni cosa, fa Marco 7, 31-37
udire i sordi e fa parlare i muti!".
Qualcuno di voi avrà provato un senso di fastidio nell'ascoltare che Gesù ha toccato con la sua saliva la lingua di questo sordo-muto. La nostra idea dell'igiene è molto diversa da quella degli antichi; una cosa del genere noi non la sopportiamo più. Qualcun altro, invece, di voi avrà ascoltato questo racconto come uno dei tanti racconti di miracoli, di prodigi, che si trovano nel Vangelo. Sono due modi per fermarci sulla soglia del Vangelo, senza riuscire a capire che cosa abbiamo noi a che spartire con queste parole.
Vi ho suggerito più volte di domandarvi sempre, di fronte ad una pagina del Vangelo, "Ed io che c'entro?". Che c'entriamo noi con questo strano racconto, scritto quasi 2000 anni fa? lontano da noi per il modo di esprimersi, per la cultura, per la conoscenza del mondo. Forse oggi ci aiuta il ricordare che per tutti noi il giorno del battesimo è stato fatto qualcosa di simile. Non si usa più la saliva, perché a noi queste cose danno fastidio, ma il sacerdote anche a me ha toccato le orecchie e la bocca ed ha ripetuto la parola di Gesù: "Effatà!", apriti!
Allora questo racconto ci riguarda se la Chiesa ha voluto ripetere questi gesti per tutti noi al momento del battesimo. C'è dunque qui qualcosa di importante, per la nostra vita cristiana.
Vediamo di cosa si tratta. Forse avete notato che all'inizio Marco dice che siamo dalle parti di Tiro e Sidone, in pieno territorio della Decapoli: siamo cioè in terra pagana, dove c'è ingiustizia, e violenza; dove non ci sono i valori del Signore, dove nessuno è capace di ascoltare la sua parola. E là, in pieno territorio pagano, Gesù prende quest'uomo per mano, lo porta fuori, in disparte, lontano dalla folla, dal rumore, dalla corsa di ogni giorno, da tutti i valori negativi che ci sono intorno, per aprirgli le orecchie.
Si parla di noi! Anche noi viviamo in un territorio in parte pagano: quando voi leggete il giornale, accendete la TV, parlate con la gente, spesso vi rendete conto di vivere in un mondo in cui i valori cristiani - i valori della giustizia, della condivisione, la passione per la vita, per il bene - non sono tanto a buon mercato. Tutto sembra basato sul profitto, sul denaro, sul mercato, sulla corsa al successo. Abbiamo bisogno anche noi - io e penso tutti voi - che Gesù ci porti in disparte: lontano dalla folla, dalla corsa di ogni giorno, dalle tante parole che ci rintronano la testa, che spesso ci rendono incapaci anche di ascoltarci tra di noi... per aprire anche a noi le orecchie, per farci capaci di ascoltare le cose essenziali della vita; quelle cose che spesso, nella corsa di ogni giorno, rischiamo di dimenticare.
Il nostro ritrovarci qui ogni domenica ha proprio questo senso: gustare qualche istante di silenzio, lontano dal rumore quotidiano per incontrare Gesù. Qui dobbiamo tutti chiedere al Signore (non potete chiederlo a me, ma dobbiamo chiederlo a Gesù) che ci apra le orecchie, che ci metta nel cuore i valori autentici, i suoi valori, i suoi sogni, le cose che fanno bella e ricca la vita! Perché poi, uscendo, siamo anche noi, come questo uomo del Vangelo, capaci di testimoniare con le parole, ma soprattutto con i gesti, con la vita! Oggi di parole ne ascoltiamo anche troppe, non contano quasi più...
Il Signore ci aiuti!
"Se qualcuno vuol venire dietro XXIV Domenica del tempo ordinario - 17 settembre 2000
di me rinneghi se stesso, prenda Marco 8, 27-35
la sua croce e mi segua".
Ci troviamo nel cuore del vangelo di Marco; e, come avete ascoltato, ritroviamo una delle intuizioni fondamentali della nostra fede. Quella intuizione sbocciata nel cuore di qualche personaggio del popolo ebraico, nella notte dei tempi, che ha cambiato radicalmente il modo di concepire la religione (e qualcuno dice "anche l'intera civiltà umana").
Questa intuizione consiste nel pensare che Dio non è soltanto la somma delle forze della natura, che magari può essere rappresentato dal sole e dalla luna, venerati in tante religioni del mondo. Dio non è soltanto una parte dell'eterno ciclo della natura, che continuamente si ripete; ma Dio è un TU che interviene nella storia, che chiama l'uomo, che lo interpella, lo invita a costruire un progetto di liberazione e di vita. Nel momento in cui Dio emerge come un TU che parla, emerge anche tutto il valore dell'uomo, che può rispondere. Emerge pian piano tutta la dignità della persona umana. Ogni uomo, non è più quindi soltanto una pedina della storia, una parte dell'umanità o della famiglia o del clan, ma è una persona con tutti i suoi diritti, con tutta la sua grandezza, con tutta la sua responsabilità.
Pian piano l'uomo sente che non basta credere che esista un Dio; ma che occorre credere IN Dio, fidarsi di Lui, in un rapporto profondo e personale, in cui nessuno può sostituire l'individuo, la persona. Se volete intuire qualcosa pensate ai vostri rapporti personali: non si crede che esista il proprio uomo o la propria donna: si crede IN loro, si crede A loro, in un rapporto di fiducia, di progetti fatti insieme… così accade per un figlio, un amico. Israele pian piano scopre che si crede in Dio in maniera intima e personale, ci si fida di Lui, si cammina insieme, si condivide un progetto di vita! È la storia di Abramo, di Giacobbe, di Mosè, dei tanti profeti dell'Antico Testamento.
Questa è la grande intuizione della fede di Israele, che - come avete ascoltato - ritroviamo nel Vangelo. Gesù domanda: "Chi dice la gente che io sia?"… ci sono tante risposte, che in fondo contano poco. E poi, la domanda fondamentale: "E voi chi dite che io sia?" E, come avete ascoltato, non possono rispondere insieme: ormai ciascuno deve assumersi il coraggio di rispondere in prima persona.
È Pietro che parla e, al di là delle parole, intende dire: "Sì, io mi fido di te. Voglio seguirti". E non sa, povero Pietro, che cosa significhi fino in fondo "seguire Gesù"... Quando Gesù comincia a parlare della croce, Pietro capisce tutto il suo dramma: lo prende da parte e con forza protesta. E si sente rispondere quella parola durissima: "Sta' lontano da me, Satana! Tu non pensi come Dio, ma come gli uomini".
Non è semplice prendere sul serio Dio, camminare con Lui. Ma ormai ciascuno - ciascuno di noi - non può che farlo in prima persona: con tutto il coraggio di scegliere. Ed è bello riscoprire tutta la nostra dignità e la nostra responsabilità in una società come quella odierna che tende a massificarci, a ridurci a numeri. Forse voi avete negli occhi quella moltitudine di giovani che si radunava intorno al palco, nella grande spianata di Tor Vergata: dicono due milioni di persone. Ebbene, ognuno di quei due milioni di giovani è interpellato direttamente da Gesù!
Non possono contentarsi che rispondano in coro i due milioni: in due milioni si possono battere le mani, in due milioni, ci si può addirittura illudere e pensare che, per credere, basti acclamare una figura vestita di bianco. Ciascuno di loro, nel profondo della propria dignità di uomo, deve dire il proprio "Sì" a Gesù, ai suoi valori. Come Pietro, hanno il diritto di sbagliare; come Pietro, devono ritrovare ciascuno - non "devono": "dobbiamo" io, tutti noi: io e ciascuno di voi - se vogliamo essere cristiani dobbiamo ritrovare nel profondo della nostra coscienza il coraggio, al di là dei nostri sbagli, di seguire Gesù, di credere in Lui!
Il coraggio di camminare con Lui; con il diritto di sbagliare: ha sbagliato anche Pietro, si è sentito dire: Sta' lontano da me, Satana. Non si è scoraggiato: ha continuato a cercare, ha continuato a tentare di seguire Gesù nel concreto della vita. E non soltanto quando era facile, quando tutto era semplice, là sul lago di Galilea. Ha affrontato il grande mondo, fin qui a Roma, fino a finire, anche lui, su una croce; conservando nel cuore il coraggio di seguire, di cercare Gesù, fino alla fine!
Essere cristiani è questo! Non possiamo soltanto far parte di un popolo, ripetere antiche parole. Non possiamo soltanto applaudire e ripetere preghiere. Essere cristiani significa nel profondo della propria coscienza scegliere Gesù: tentare di camminare con Lui, nel concreto della vita di ogni giorno. E lo sapete: non è semplice…
Per questo ci ritroviamo qui ogni domenica: continuiamo a nutrirci di Gesù, per tentare di continuare a credere e a seguirLo!
Il Signore ci aiuti!
"Chi accoglie uno di questi bambini XXV Domenica del tempo ordinario - 24 settembre 2000
nel mio nome, accoglie me; chi Marco 9, 30-37
accoglie me, non accoglie me, ma
colui che mi ha mandato".
Quand'ero giovane - ed un po' ingenuo, com'è normale per la gioventù - credevo che il compito principale di chi predica fosse quello di parlare di amore, di altruismo, di servizio. Ma quando mi guardo indietro, mi son accorgo che più spesso ho dovuto predicare l'egoismo... o, come lo chiamo io, il "sano egoismo". Non solo: mi sembra che, a volte, è più difficile predicare l'egoismo che l'amore.
Voi capite che il discorso si fa paradossale… ma questo paradosso, forse, vi aiuta a comprendere questa strana pagina del Vangelo, in cui - come avete ascoltato - c'è un grande imbarazzo: nessuno dei discepoli parla: non capiscono, ma non osano domandare; anche Gesù invita al silenzio.
È, per quello che ho capito io, il modo di Marco per dirci quanto sia complicato seguire Gesù, come a volte sia difficile capire cosa vuol dire un autentico servizio, cosa significa "veramente" tentare di aiutare chi ci sta accanto… Tanto che mi son convinto che, invece di parlare tanto di amore e di servizio, forse sarebbe meglio parlare di un "sano egoismo".
Ne hanno bisogno i genitori. Mi è capitato spesso di notare che, quando nasce un bambino, i genitori si dimenticano di se stessi: tutti presi dal figlio, non sono capaci più di guardarsi negli occhi!
C'è spesso, dopo due o tre anni dalla nascita di un figlio, per i genitori il bisogno di ritrovarsi: si sono persi! tutti presi dal servizio e dall'amore di questo bambino (e i genitori moderni oggi non possono sentirlo strillare nemmeno un minuto e subito corrono da lui). Si accorgono solo ora che ci sono anche loro, che è bene che si parlino, che tentino di capirsi, di progettare ancora insieme qualche cosa.
E poi, quando crescono, le cose si complicano ancora: spesso i genitori diventano gli autisti dei figli: corri di qua, corri di là; anche quando hanno 14, 15, 16 anni, sembra che non possono muoversi da soli, che hanno sempre bisogno di un autista pronto ad un minimo cenno di comando. Un po' di "sano egoismo" sarebbe molto più utile, per far crescere liberi e sereni dei ragazzi.
E quando i figli diventano ancora più grandi, sui 17,18 anni e qualche volta anche di più, vedo dei genitori che si preoccupano di far di tutto per assicurare loro il benessere e la tranquillità; anche per organizzare loro le vacanze... tutta la vita sembra regolata dalle esigenze dei figli. A volte ho visto dei genitori impiegare tutti i loro risparmi, accumulati per una serena vecchiaia, per correre dietro alle esigenze dei figli. E anche qui, spesso i consigli a vivere con prudenza e un po' di sano egoismo arrivano in ritardo… Non sarebbe meglio per tutti lasciare che i figli imparino ad arrangiarsi con le proprie forze?
Ma quello che succede per i genitori nei confronti dei figli, a volte succede nella coppia: nella mia esperienza ormai lunga, ho visto - spesso sono donne, ma qualche volta capita anche ai maschietti - alcuni che diventano praticamente non servi di chi gli sta accanto, ma schiavi! Sempre pronti ad ubbidire, a fare quello che il "capo" comanda. A volte, in molte coppie, farebbero bene ad andarsene ognuno per proprio conto. Rimangono per amore, dicono, dei figli, facendo del male a se stessi, ai figli e soprattutto a quel delinquente, che si approfitta di loro.
Quello che succede tra genitori, succede anche, a volte, nell'amicizia: c'è chi comanda e chi si fa sfruttare. Succede qualche volta anche nei confronti degli anziani: ci sono figli che diventano vittime dei genitori anziani… quando si diventa vecchi, si diventa capricciosi e cocciuti come i bambini (succederà anche a me; succede penso a qualcuno di voi)! Con una incredibile capacità - quella che hanno anche i bambini - di farti sentire in colpa: "Povera mamma! se non la aiuti..." E così facendo, quella diventa sempre più capricciosa. Gli dai una mano e si piglia il braccio e tutto… non solo ma ti fa sentire in colpa per non fare abbastanza. Anche qui non sarebbe bene un po' di "sano egoismo": sbattere la porta e andarsi un po' a divertire? Pochi lo sanno fare. Ed io ho dovuto predicarlo! Come immaginate, del tutto inutilmente...
Per fare un altro esempio spesso mi è capitato di dire: quando uscite da qui, non date elemosina a quei giovani che trovate ai cancelli: finisce in vino! Quante volte ho sentito dire: Ma, don Checco, mi tende la mano, poverino... Non sarebbe molto meglio, andarsi a mangiare un gelato? Si rischia di incrementare il vagabondaggio e l'alcolismo. Quando incontrate una zingara con un bambino, non dategli dei soldi: mangiatevi un gelato... Perché poi leggete sul giornale che quel bambino spesso lo pigliano in affitto, che qualche volta lo rubano...
Il sano egoismo a volte è meglio dell'amore! Non è meglio mangiarsi un gelato? "Un bambino povero, sporco, mi tende la mano... io che faccio, non gli do un aiuto?". È incremento allo sfruttamento dell'infanzia! O no?
Tutto questo, come vi dicevo poco fa, è un po' paradossale. Ma forse, nel guardare un bambino povero e lacero, ci vuole un po' di intelligenza: occorre tentare di capire quello che veramente giova a questo bambino. E questo vale anche quando la mamma e il papà si fanno anziani ed hanno bisogno che gli si dia una mano: seriamente! Ma non che se ne approfittino ed io faccia loro da schiavo... E lo stesso vale per il bambino che cresce: è bene che lo facciano i genitori; ma devono farlo anche i nonni: anch'essi spesso diventano schiavi dei nipoti...
Insomma, mi è capitato più spesso nella vita di predicare l'egoismo che l'amore! Ma, sia quando ho predicato l'egoismo, sia quando ho predicato l'amore, non son riuscito a cavare un ragno dal buco...
Che il Signore ci aiuti!
"Chi scandalizza uno di questi piccoli XXVI Domenica del tempo ordinario - 1 ottobre 2000
che credono, è meglio per lui che Numeri 11, 25-29 - Marco 9, 38-43. 45-48
gli si metta una macina da asino al
collo e venga gettato nel mare".
Abbiamo appena ascoltato una pagina del Vangelo particolarmente complessa e complicata, come del resto è complessa e complicata la vita. E voi non vi aspetterete certo che io vi renda semplice e facilmente comprensibile questa pagina del Vangelo, che sembra, ad una prima lettura, così contraddittoria. Il mio compito può essere soltanto quello di suscitare la vostra riflessione, di aiutarvi a calare queste parole nei fatti concreti della vita… e non è semplice.
Vedete, nei giorni passati mi è capitato più volte di ascoltare discorsi preoccupati e scandalizzati, di adulti ma soprattutto di giovani, di fronte alle prese di posizione del cardinal Ratzinger, che in un suo documento sembra ripetere antiche parole: che "fuori della Chiesa non c'è salvezza", che c'è soltanto una vera religione e tutti gli altri sono nell'errore; oppure la presa di posizione del cardinale di Bologna, che sembra dire che lo stato dovrebbe preoccuparsi di non fare entrare in Italia i musulmani, quelli che la pensano diversamente da noi, che appartengono ad un'altra religione.
I discorsi che ho ascoltato in queste ultime settimane erano, specialmente da parte dei giovani, particolarmente scandalizzati, sconcertati, di fronte a queste prese di posizione che sembrano riportarci indietro di secoli, ad una Chiesa chiusa ed intollerante. E non è stato facile per me aiutare dei giovani a capire che, al di là della condanna, è importante cercare di comprendere. Le prese di posizione di Ratzinger e di Biffi sono soltanto la punta dell'iceberg, di un atteggiamento largamente diffuso in mezzo a noi. Ed è un atteggiamento che spesso si ripete quando il mondo cambia rapidamente: gli uomini temono di perdere la propria identità, si lasciano prendere dalla paura, cercano di ritrovarsi tra i "nostri": tra quelli che la pensano in maniera uguale, che usano gli stessi modi di fare, che hanno le stesse regole, la stessa religione… E si diffonde la paura che il cambiamento metta in pericolo il nostro modo di pensare, la nostra religione, addirittura la nostra identità di popolo. E si rischia, presi dalla paura, di chiudersi e diventare intolleranti.
E di queste chiusure e intolleranze, nella Chiesa di oggi, ce ne sono molte: tanti gruppi in cui le persone si chiudono in piccole conventicole, in cui tutti parlano lo stesso linguaggio e "gli altri" sono tutti brutti e cattivi... Ma anche i giovani si ritrovano spesso in gruppi chiusi, dove si usano le stesse parole, gli stessi slogan, dove si veste alla stessa maniera: c'è spesso tra loro un gran bisogno di trovarsi tra i "nostri": che diano sicurezza e tolgano un po' dell'ansia e della paura di vivere. È lo stesso discorso che avete ascoltato nel Vangelo: è l'intolleranza di sempre, frutto di una paura che tutti ci portiamo dentro: la paura di perdere la ragione della nostra esistenza, che non si basa tanto sui valori, ma sul fatto che intorno a noi c'è gente che ripete le stesse parole, che fa gli stessi gesti, che si comporta allo stesso modo. E tutto quello che è diverso ci fa paura e pensiamo di difenderci. Ma la paura serve a poco!
Ma fino a che punto (ecco la complessità della vita), è soltanto paura e non piuttosto autentica indignazione per il male che ci circonda? Voi avete ascoltato, in questi giorni, le dure polemiche che ci sono state per questa faccenda - terribile! - della pedofilia: questi ragazzi tormentati, seviziati... Purtroppo adesso se ne parla molto, perché sono apparse delle immagini terribili (spero che voi non le abbiate viste, come me) in TV. La solita "moina" italiana; lunedì, vedrete, sarà tutto finito; si passa oltre... E lasceremo a qualche prete sprovveduto o a qualche giudice di buona volontà – speriamo che ci siano – il compito di continuare a combattere contro questi mali terribili.
A questo punto è giusto parlare ancora di intolleranza? O non dobbiamo ascoltare Gesù che nel Vangelo di oggi dice che a chi scandalizza un piccolo, sarebbe bene mettere una macina da mulino al collo e gettarlo nel mare? Dov'è il confine tra la tolleranza, il rispetto dell'altro, e il diritto, anzi, il dovere di gridare contro l'ingiustizia? Si possono accettare comportamenti che fanno violenza ad un bambino? Fin qui, siamo tutti d'accordo; ma, sapete, la vita è molto più complicata: nella vita di ogni giorno, dove finisce il confine delle nostre paure e delle nostre intolleranze e dove comincia il diritto ad affermare dei valori, a credere nel Bene? Chi di noi sa con certezza - non dico in questi casi estremi dove è semplice giudicare, ma nella vita quotidiana - che cosa è giusto e che cosa è sbagliato?
La vita è complessa e non ammette - come penso voi sappiate bene - scorciatoie. Nessuno di noi ha la ricetta in tasca; non serve chiudersi, non basta gridare e condannare! Si tratta, per ciascuno di noi, di conservare in cuore dei valori, di continuare a cercare con passione ciò che è buono e giusto, tentando di non aver troppe paure, tentando di capire ciò che ci capita intorno, avendo il coraggio di gridare quando c'è da gridare! ma per le cose importanti, per le cose essenziali, Quando c'è qualcuno che subisce violenza, quando c'è un bambino che subisce scandalo, quando i valori fondamentali sono messi in discussione… Ma non è semplice conservare nel cuore i valori essenziali in questo nostro mondo, che fa tutto diventare spettacolo, anche un bambino violentato ed ucciso! Tutto diventa spettacolo, tutto diventa televisione; per qualche minuto; e dopo non ci si pensa più! Chi ha il coraggio di continuare a cercare, con passione giorno per giorno, il rispetto della vita?
Dobbiamo farlo con coraggio: Gesù ci dice che dobbiamo tagliarci una mano o un piede o cavarci un occhio! È un modo per richiamare l'esigenza di cercare, con passione, le cose autentiche della vita. E non è semplice, perché la vita è complicata; perché a volte rischiamo di scambiare le nostre fisime, le nostre paure, le nostre opinioni con la Verità, con il Bene. Ecco perché è importante che tutti noi continuiamo a cercare con passione quello che è vero e giusto nel cammino della vita.
Il Signore ci aiuti a farlo!
"…l'uomo lascerà suo padre e sua XXVII Domenica del tempo ordinario - 8 ottobre 2000
madre e i due saranno una sola carne" Genesi 2, 18-24 - Marco 10, 2-16
Non ricordo come siamo finiti in quel discorso, ma mi capitava, qualche tempo fa, di parlare con un ragazzo il quale esprimeva tutta la sua meraviglia per aver letto che in America a volte, prima di un matrimonio, si fanno accurati contratti: davanti a un notaio si stabiliscono nei minimi particolari diritti e doveri. E ancor più si meravigliava, quando gli dicevo che forse facevano bene. Diceva: "Ma non fanno meglio qui da noi? dove due persone che si vogliono bene si mettono insieme senza regole, senza contratti... L'importante è l'amore". Ed io: "Sì, però poi i nostri deputati devono passare giorni e giorni per cercare di stabilire regole, per quelle che si chiamano le "coppie di fatto", altrimenti accade che due persone che sono state insieme magari per 20 anni e poi decidono di andarsene ognuno per conto suo, spesso finiscono nel litigio e il più debole soccombe".
"Ma tu - aggiungevo - fai bene a conservare nel cuore il sogno di un amore ricco e fedele e per questo certo non servono regole".
È uno dei sogni più belli dell'umanità, lo troviamo nelle antiche parole della Genesi e lo ritroviamo nel Vangelo: è il sogno di una coppia in cui ci si voglia bene sul serio, in cui si progetti insieme la vita e la si condivida fino in fondo; in cui ci si capisca, ci si ami!
Mi domandava quel ragazzo: "Ma secondo Lei, don Checco, che cosa serve perché ci sia un grande amore?". E, forse deludendolo un po', gli dicevo: "Forse ci vuole prima di tutto un pizzico di fortuna, per incontrare la persona giusta; qualcuno dice addirittura che servono i cromosomi giusti; poi ci vuole buona volontà e impegno e la voglia di stare insieme, di condividere la vita e di crescere insieme; ci vuole la capacità di dialogare, il desiderio l'uno dell'altro, la gratuità, la libertà e il rispetto, la fantasia e la tenerezza ed anche, lo sapete, una dose non piccola di pazienza!".
Mi capitava proprio qualche giorno fa di parlare con un amico che mi invitava al suo 25° di matrimonio, perché 25 anni fa ho celebrato io le sue nozze. E dicevo: "Chi di voi due s'è guadagnata la medaglia d'oro alle resistenza?". E lui: "No, per ora è solo medaglia d'argento; e poi, penso che l'abbiamo guadagnata tutt'e due". E credo che sia giusto.
Il Vangelo di Marco, poi, ci ricorda che affinché due persone riescano a vivere insieme per tutta la vita e ad amarsi sul serio, è importante che rimangano sempre un po' bambini! Che si guardino con stupore, che si sentano donati l'uno all'altro! Chi è il bambino? se non uno che guarda la vita con una meraviglia che si rinnova ogni mattina. Uno che sente che, al di là di quello che ha costruito, è tanto quello che riceve dalla vita; che tutto è un dono e specialmente le persone!
Ed è importante, allora, che tutti i ragazzi conservino (è importante anche che noi tutti tentiamo di testimoniarlo loro) la bellezza del sogno: il sogno di un amore totale, del cammino fatto insieme, della tenerezza, della vita condivisa fino in fondo! Ma poi può capitare che il sogno fallisca… e allora non resta che ricorrere alle regolette: non c'è altro da fare!
Il Papa ama ripetere che né lui né noi preti possiamo mai sciogliere un matrimonio, rifacendosi a questa pagina del Vangelo. Il guaio è che nessuno ha detto al Papa che né lui né noi preti siamo capaci di tenerlo unito: a volte una lunga malattia o un incidente spezza la coppia, a volte l'amore finisce e non resta che ricorrere alle regole... È triste! Ma allora è bene che ci sia lo scritto del notaio, che non si litighi, che si risolvano le cose il più pacificamente possibile. Senza, se possibile, ricorrere alla Rota, dove tutto si risolve tra avvocati, e, spesso, con testimonianze e giuramenti falsi! Tutto questo, con l'amore, ha poco che spartire. Ed è bene anche che, chi ha fallito una volta, possa provare ancora a vivere un amore, perché il sogno è bene che non se ne vada dal cuore degli uomini!
Gesù non è venuto a portarci regole. È venuto per tentare di aiutarci a conservare nel cuore il sogno di un amore vero e reale! Il Signore lo conceda a tutti noi, a tutte le coppie del mondo! Ma chi ha un po' di esperienza sa che a volte è difficile, a volte impossibile!
Il Signore ci aiuti!
"In verità vi dico: non c'è nessuno XXVIII Domenica del tempo ordinario - 15 ottobre 2000
che abbia lasciato casa o fratelli Marco 10, 17-30
o madre o figli o campi a causa
mia e a causa del Vangelo, che non
riceva già al presente cento volte tanto..."
Quand’ero giovane ho ascoltato (ma penso che non sia successo soltanto a me, ma anche a molti di voi, specialmente a chi ha qualche anno di più) tante prediche che esaltavano la povertà, che proponevano come modello San Francesco, il quale sulla piazza di Assisi si era spogliato di tut-ti i suoi beni. L'ideale era il povero, colui che rinunziava a tutti i suoi averi. Ho sentito addirittura parlare del denaro come dello "sterco del diavolo"...
Quando poi sono cresciuto, qualcuno mi ha fatto notare che l'ideale, in questa pagina del Vangelo, non è affatto la povertà, ma la ricchezza… e potete immaginare la mia meraviglia. Effettivamente, quando Pietro domanda a Gesù: "E noi, che abbiamo lasciato tutto, che cosa abbiamo?", Gesù gli dice: "Cento volte tanto, in case, campi, figli… già al presente". "Cento case": forse nemmeno i più ricchi del nostro tempo ne hanno tante! Perché allora tante volte ho sentito esaltare la povertà? Qualche maligno, che ho incontrato, diceva che così i frati e i preti - specialmente un tempo - si potevano arricchire a piacimento. Qualcuno dice che ad essere maligni si fa peccato, ma spesso si indovina e forse è così anche in questo caso. Fate dunque bene a guardarvi dalle parole ricche di retorica ed ipocrisia, che a volte si ascoltano dagli uomini di chiesa.
Ma qui, direte voi, non c'è soltanto Pietro a cui vengono promessi cento campi e cento case, c'è anche quest'uomo a cui Gesù dice: "Va' e vendi tutto". Perché Pietro deve avere cento case e lui deve vendere tutto? In quest'uomo ricco cosa c'è che non va? Non è semplice capire.
Quest'uomo ha accumulato denari e non solo, ma, come lui stesso dice, si è anche sforzato di osservare tutta la Legge, di essere irreprensibile: ha sempre pensato ad accumulare soldi e meriti in questa terra e adesso vuole anche "avere la vita eterna". Forse quest'uomo non ha capito la gratuità: forse ha accumulato "molti beni" ed ha osservato "tutti i comandamenti", ma non si è preoccupato di chi gli stava accanto. Forse non si è accorto - come il ricco della parabola - dei poveri "lazzari" che bussavano alla sua porta, fuori dal suo palazzo. Forse quest'uomo non conosceva la gratuità!
Ma cosa significa la gratuità nella vita di ogni giorno? Qual è il "giusto" rapporto con il denaro? Io ho conosciuto tante persone che si son date da fare, che hanno lavorato duramente per mettere da parte un po' di risparmi. La fierezza di poter offrire un buon bicchiere di vino, quando invitavano uno a casa; la fierezza di provvedere ai figli, di assicurarsi una tranquilla vecchiaia; la fierezza di poter lasciare qualcosa, quando se ne andranno da questa terra: qualcosa che renda più facile la vita del prossimo, che renda concreto il sogno del benessere almeno per i propri figli!
Ho visto anche persone litigare per un pugno di soldi; famiglie dividersi - con odi che durano per anni - per un piccolo pezzo di terra, per un'eredità, incapaci di dividersela! Non ho visto con i miei occhi, ma ho letto sui giornali ed ho ascoltato quasi ogni sera, di gente che per denaro uccide, vende droga, addirittura fa violenza ai bambini… Qual è allora il limite tra il denaro guadagnato giustamente, tra la fierezza di accumulare soldi per il benessere proprio e degli altri e il denaro che sciupa e corrompe la vita?
E poi - ed è forse la domanda più importante: cosa potrebbe realizzare, su questa terra, il sogno di questa pagina del Vangelo? che non è il sogno che tutti diventino poveri, ma che tutti siano ricchi! che tutti abbiano abbondanza di case e benessere. C'è gente, ancor oggi, che muore di fame: il sogno di questa pagina del Vangelo non è realizzato! Si può fare qualcosa per renderlo concreto? Chi è capace di tracciare per gli uomini le vie che portano al benessere di tutti? Non vi aspetterete certo da me che sappia rispondere a queste domande… Il sogno di questa pagina del Vangelo non è la povertà, ma il benessere: ma cosa significa questo?
Il Signore ci aiuti!
"...chi vuol essere grande tra voi si XXIX Domenica del tempo ordinario - 22 ottobre 2000
farà vostro servitore e chi vuol essere Marco 10, 35-45
il primo tra voi sarà il servo di tutti".
Domenica scorsa il tema era quello del denaro: ricorderete che iniziavo dicendo che anche a me era capitato, come a molti di voi, di ascoltare molte prediche sulla povertà, di sentir parlare del denaro come dello "sterco del diavolo".
Se ho ascoltato molte prediche sulla povertà, ne ho ascoltate quasi altrettante - se non di più - sull'umiltà: sulla ricerca dell'ultimo posto, sulla rinuncia al potere. Spesso - come succedeva per le prediche sulla povertà, che sentivo fare da frati che dicevano di non possedere niente, ma che abitavano in conventi ricchissimi - chi faceva discorsi sull'umiltà, sulla rinuncia al potere, sulla ricerca dell'ultimo posto, erano persone che avevano basato tutta la loro vita sulla carriera, sulla ricerca dei primi posti; o persone con una personalità isterica, che avevano come scopo della loro vita quello di dominare la coscienza degli altri (il potere più grande che un uomo possa avere), di impossessarsi del cuore del prossimo! Avrete notato che nel Vangelo di oggi chi si arrabbia non è Gesù, ma sono gli altri discepoli.
Quando Giacomo e Giovanni vanno a chiedere i primi posti, Gesù non si arrabbia: dice soltanto: "Ma sapete di che si tratta?" e li riporta alla vita, alle molte difficoltà della vita: "Potete bere il calice che io bevo? Ve la sentite di affrontare quello che io vado ad affrontare: lo scontro con la violenza di questo mondo? (lo scontro che porterà Gesù su una croce). Ve la sentite di venire con me?" E i discepoli dicono "Sì". "E allora non preoccupatevi - aggiunge Gesù - di tutto il resto: a quello ci penserà il Padre!"
Chi si arrabbia, sono gli altri discepoli, i quali - anche loro - si preoccupano non tanto della vita, ma del primo posto: si preoccupano della ricompensa, di far carriera! E Gesù li deve ammonire: "I capi delle nazioni... Ma tra voi non sia così!".
E allora, ecco la domanda per noi: dove finisce la giusta ricerca del primo posto (quello per cui Gesù non rimprovera Giacomo e Giovanni), il desiderio di influenzare la vita degli altri, per aiutarli a crescere, la giusta ricerca di un posto di potere e dove comincia ciò che corrompe la vita degli uomini? Secondo voi, non fa forse bene un genitore che si impegna con tutte le sue forze ad educare il proprio figlio, a farlo crescere con sani principi? È ricerca del potere, è voglia di dominare la sua coscienza o è desiderio di servizio, per aiutare un ragazzo a crescere? Dov'è il limite? E se un papà e una mamma cercano un po' di riconoscenza da parte dei figli, secondo voi è ricerca della ricompensa, rinuncia alla gratuità; o è giusto aspettarsi la riconoscenza?
E, secondo voi, sbaglia chi in un posto di lavoro cerca di far carriera - e si espone anche qualche volta, corre dei rischi- per essere utile a chi gli sta intorno? E questo vale per un professore nella scuola, vale per chi lavora in un ufficio, vale per tanti ambienti. Colui che si sforza di dare il meglio di sé - ed anche di far carriera ed anche di acquisire potere nella sua azienda - secondo voi è uno che è al servizio degli altri o che cerca soltanto il primo posto?
Ed anche nella vita politica - nella grande politica, ma anche nella vita della nostra città - ci sono alcune persone, forse molti di noi, che si rinchiudono nel proprio guscio, che dicono: "A me queste cose non interessano". Questo, è ricerca dell'ultimo posto o è non volersi esporre, non volersi assumere le proprie responsabilità? Dove finisce la pigrizia dell'uomo - il suo rinchiudersi, il suo rinunciare a far valere la propria autorità, il proprio impegno per la vita - e dove comincia la ricerca del primo posto, la ricerca del proprio interesse?
Non sono domande semplici. Ancora una volta, non vi aspetterete che io sappia rispondere a queste domande. La risposta dobbiamo cercarla insieme, ciascuno nella propria vita!
E non serve la retorica... non ascoltate coloro che parlano sempre di umiltà e di ricerca dell'ultimo posto: questo non serve nella vita di ogni giorno. Non ha senso la rinuncia al potere, il rifiuto di ogni autorità; a volte è acquiescenza alla violenza del mondo, agli intrighi di chi cerca di passare avanti; a volte è il rifiuto di esporsi, la rinuncia ad assumere le proprie responsabilità, la rinuncia ad avere quell'autorità che permette di influenzare in qualche modo il corso degli eventi .
Dove arriva, dunque, la ricerca del proprio interesse, il puntiglio fanatico di esporsi, di essere applaudito dalla gente? e dove comincia, invece, l'uscire dal proprio guscio, il coraggio di affrontare i veri problemi della vita, il coraggio di prendersi le proprie responsabilità? (Anche se qual-che volta, com'è successo a Gesù, si finisce sulla croce!).
Questi sono i veri problemi che ci pone il Vangelo oggi, problemi non semplici...
Il Signore ci aiuti a capirci qualcosa!
...Bartimeo, cieco, sedeva lungo la XXX Domenica del tempo ordinario - 29 ottobre 2000
strada a mendicare... al sentire che Marco 10, 46-52
c'era Gesù... balzò in piedi e venne
da lui... "Che vuoi che ti faccia?".
"Rabbunì, che io riabbia la vista!".
Ed ecco, la "strada" del Vangelo di Marco è veramente finita. Ed è sorprendente che non troviamo questo cieco all'inizio del cammino, ad esprimere tutte le perplessità e i dubbi di chi vuole seguire Gesù. Ma lo troviamo alla fine: quando sembra che ormai la strada sia finita, c'è ancora un cieco che grida il suo desiderio di luce, il suo bisogno di vedere.
I discepoli, lungo la strada - come abbiamo ascoltato nelle domeniche precedenti - esprimevano tutte le loro difficoltà, tutti i loro dubbi: com'è possibile? Gesù parlava loro di un amore totale e fedele, parlava del denaro, parlava del potere e del servizio; e loro esprimevano tutta la loro perplessità. Ma, presi di sé più che della ricerca della luce, finivano per litigare: vi ricordate? li abbiamo lasciati proprio domenica scorsa, questi discepoli, che litigavano tra di loro su chi fosse il più grande. Discepoli che chiacchierano e litigano: "Chi è il più grande? chi ha ragione tra di noi?". E Gesù deve farli tacere.
Oggi no: sono gli altri che vogliono far tacere il cieco: che non parli, che non disturbi. Ma Gesù lo lascia gridare; anzi lo fa chiamare. Il cieco può alzare la sua voce, può gridare il suo bisogno di luce!
Vedete, quando ero giovane ho sentito tante volte ripetere che il cristiano è uno che non ha dubbi: è uno che sa, è uno che ha trovato la luce, che si porta nel cuore sicurezze e certezze. Ma la lunga storia della Chiesa ci insegna che chi pensa di essere sicuro, di avere la certezza che viene da Dio, rischia di diventare intollerante, di combattere gli altri; addirittura, di bruciare la gente sul rogo. Il cristiano è uno che non ha tante sicurezze dentro di sé; è uno che la luce la cerca, con tutta la passione del suo cuore. La gente che ci sta intorno non ha bisogno che le offriamo sicurezze, ma che sappiamo testimoniare il desiderio della luce! Essere cristiani significa essere testimoni che in Gesù, nelle sue parole, nella sua vita si può continuare a cercare la luce.
Bartimeo, il cieco, sa che se passa Gesù può gridare il suo bisogno di luce. I nostri contemporanei, i ragazzi che ci stanno intorno, lo sanno? Sanno che in Lui nelle sue parole c'è verità e vita?
Qualcuno continua a ripetermi anche oggi che ai nostri ragazzi occorre dare certezze, sicurezze, la forza della fede salda come una roccia. C'è chi tenta di farlo radunando milioni di persone che applaudono e cantano. Non è di questo che hanno bisogno i nostri ragazzi, almeno quelli che conosco io. Hanno bisogno di qualcuno che li faccia sentire bisognosi di cercare. Se c'è un rammarico che mi porto dentro non è certo quello di non aver dato sicurezza, ma di non aver saputo testimoniare passione per la luce, per la vita, per la verità, per il bene.
Il cieco del Vangelo è lui - per quello che ho capito io - il modello del cristiano! È colui che grida il suo bisogno di luce, il suo bisogno di senso, il suo bisogno di vita. E se fossimo tutti, almeno un po', come questo cieco, potremmo essere anche noi testimoni di Gesù. Se anche voi -come me, come tanti cristiani - vi portate nel cuore molti dubbi, soprattutto sulla vita di ogni giorno, sui problemi quotidiani; se qualche volta non capite dov'è la giustizia, cosa è importante fare, non vi sgomentate: è così il vero cristiano: uno che spesso non riesce a capire, ma che cerca senza sosta, con passione; uno che si porta nel cuore un grande desiderio di luce.
Che sia Bartimeo, il cieco del Vangelo di oggi, il modello della nostra vita!
Il Signore ci aiuti!
…apparve una moltitudine immensa Tutti i Santi - 1 novembre 2000
che nessuno poteva contare, di ogni Apocalisse 7, 2-4 - Matteo 5, 1-12
nazione, razza, popolo e lingua.
Quando eravamo bambini, nella mia casa, se si perdeva qualcosa e non si riusciva a trovarla, si recitava un "Padre nostro" a Sant'Antonio: era lui deputato a ritrovare le cose che si perdono. Se scoppiava il temporale: "Santa Barbara e Santa Elisabetta, scampateci dal fulmine e dalla saetta"; così diceva mia mamma. Mi dicevano dopo la messa di ieri che sono troppe due Sante: da loro si dice: "Santa Barbara benedetta…", basta una.
Quando andavo in campagna, nelle stalle (delle pecore e delle mucche) dei miei zii, c'era sempre l'immagine di Sant'Antonio - l'altro S.Antonio, quello col porcello, S.Antonio Abate: era lui specializzato a curare gli animali. Faceva parte della tradizione.
A me non è successo, ma qualche signora, qui, con i capelli bianchi, avrà forse, quando era giovane, cantato una canzone in onore di San Pasquale Bailonne: è lui il protettore delle donne. La ascoltavo proprio ieri, venendo in macchina da Roma: "Facci trovare un marito bianco, rosso e sapurito, proprio come a tia, Santu Pascale!". Qualcuna di voi l'ha cantata, quand'era giovane, questa canzone? Un po' più avanti la strofa fa chiedere a non so quale santo "di far trovare un marito americano", cioè con parecchi soldi!
A me consigliavano di rivolgermi soprattutto a San Giuseppe da Copertino: era lui destinato ad intercedere per gli studenti somari...
Se dicevo al prete della mia Parrocchia che i Santi ci fanno le grazie, lui protestava: "No! non sia mai! Non sono i Santi che fanno le grazie: è Dio che fa le grazie. I Santi possono solo intercedere per noi, raccomandandoci presso Dio". Allora, quand'ero bambino, ascoltavo tutto, pendevo dalle labbra dei nostri preti. Poi, diventato più grande, ho cominciato a sentir parlare di "raccomandazioni": se uno cercava un lavoro, bisognava trovare qualche persona influente, che facesse una buona raccomandazione. E a me venivano in mente i Santi della mia infanzia: anche loro, in fondo, erano deputati a fare "raccomandazioni". Dio è visto - dalla nostra gente; penso anche da qualcuno di voi - come troppo lontano: non ci si può rivolgere a Lui direttamente (almeno, un tempo era così); e allora ci voleva qualcuno che ci facesse una "raccomandazione" presso Dio. A me le raccomandazioni sono state sempre antipatiche; e nella vita non ho mai potuto farne, perché io non ho mai contato niente... Ma mi son domandato, poi: se i Santi non sono quelli che fanno le raccomandazioni, chi sono?
È stato così che, pian piano, ho scoperto che nel Vangelo i Santi - Maria prima di tutti - sono coloro che ci aiutano a credere in Gesù: sono i modelli della nostra fede, coloro che sono per noi testimoni di vita, di luce, di speranza! Coloro che, come dice il Vangelo di oggi, si portano nel cuore "la fame e la sete della giustizia", coloro che sono "miti, misericordiosi, pacifici"; coloro che ci aiutano a credere nella vita, coloro che sono di buon esempio!
Ah! ma allora io, di Santi, ne ho avuti molti! Non tanto quelli che hanno il loro nome sul calendario, nei quali spesso faccio fatica a credere: c'è chi ha organizzato crociate, chi ha bruciato eretici, chi ha messo pesi grandi sul cuore del prossimo; ma le persone concrete che ho incontrato, che mi hanno aiutato a credere in Gesù, che sono state per me testimoni di tenerezza, di gratuità, di vita. Siccome sto diventando vecchio, molti dei miei santi, ormai, se ne sono andati presso il Signore e la sua Luce! Fanno parte di quella immensa schiera, di cui oggi celebriamo la festa, che ci ha preceduto nel cammino verso il Signore!
"Questa infatti è la volontà del Padre Commemorazione dei Defunti - 2 novembre 2000
mio,che chiunque vede il Figlio e Giovanni 6, 37-40
crede in Lui abbia la vita eterna;
io lo risusciterò nell'ultimo giorno".
Una delle cose più belle del mio cammino di fede è la scoperta della gratuità nel rapporto con Dio. Quando ero ragazzo, la mia fede era intessuta di bisogni ed era anche accompagnata dalla paura: il mio rivolgermi a Dio era fatto di invocazioni: perché mi assistesse, perché mi proteggesse, perché mi aiutasse nei compiti, nei rapporti con gli altri. Ed anche (mi capitava spesso allora) perché aiutasse coloro che sono morti. Tante volte, quando ero bambino, mia mamma, i parenti, mi dicevano di dire un "Requiem", di fare qualche sacrificio per aiutare quelli che erano morti, quelli che tribolavano nelle fiamme!
Ed ecco la paura: la paura del giudizio, la paura che coloro che ci hanno preceduto sulla via della vita, potessero essere incorsi nel castigo di Dio: castigo che qualche volta ci veniva descritto in maniera pesante. Quando ero bambino mi intimorivano quelle immagini delle fiamme del Purgatorio; e pensavo di dover fare qualcosa per quelli che erano di là.
E la paura anche che Dio giudicasse i miei pensieri, se qualche volta pensavo che la morte fosse ingiusta: la morte di persone care. E c'è stato qualche sacerdote che mi rimproverava: "Devi accettare la volontà di Dio! altrimenti non hai fede". Tutto questo, il lungo cammino della mia fede lo ha superato: la lettura del Vangelo, la condivisione con gli altri di una ricerca di luce, mi ha portato al di là di tutto questo.
Ora so che posso mettermi davanti a Dio e gridare tutta la mia ribellione, quando penso ad un amico che è morto prima che fosse stanco della vita; quando sento di un giovane, di un bambino che muore! So che anche davanti a Dio posso gridare tutto il mio non accettare, tutto il mio non capire. E so che Lui non mi giudica per questo.
Quando penso a quelli che non ci sono più, non penso che abbiano bisogno di me. Forse avevano bisogno di me quando vivevano; ma adesso sono nelle mani di Dio e non possono certo aver bisogno di un poveruomo come me. Non ho più paura che brucino nelle fiamme, non penso che io possa fare qualcosa per loro.
E allora il mio ritrovarmi davanti all'altare a far memoria di loro, è ricco di gratuità: posso ricordare tutto quello che sono stati nella mia vita! Ormai la mia vita si fa lunga e si allunga anche l'elenco di quelli che se ne sono andati: persone che mi hanno voluto bene e alle quali io ho voluto bene. Li posso ricordare senza paura; posso rendere giustizia all'affetto che mi hanno donato, a quello di prezioso che hanno portato nella mia vita!
So di non poter fare nulla per loro. Ma questo non mi intimorisce, perché so che sono nelle mani di Dio. Ed anche il ritrovarmi qui, intorno all'altare, a far memoria di loro, è ricco di gratuità, di speranza: so che sono affidati - come io sono affidato, come tutti noi siamo affidati - al Dio della Vita! Non abbiamo scelto noi di nascere; non sceglieremo noi di morire. Ma tutta la nostra vita, tutto quello che siamo, è affidato al Dio della Vita: al Dio di cui l'incontro con Gesù mi ha tolto ogni paura.
Anche voi abbiate fiducia! Che nessuno abbia paura di Dio! che nessuno tema per quelli che ci hanno preceduto!
Se qualcuno di voi ha un dolore che gli turba il cuore, non abbia paura di parlarne al Signore: Lui non si offende per questo. Conosce il nostro cuore, la nostra vita. Sa quanto ci pesa la mancanza di coloro cui abbiamo voluto bene.
Di tutti coloro a cui abbiamo voluto bene facciamo oggi memoria, davanti a Dio. Ricordiamo quello che sono stati per noi e li affidiamo nelle Sue mani, nelle mani del Padre della vita, nelle mani di Chi custodisce la nostra vita, la vita di tutti, nella Sua luce!
Il Signore ci aiuti a credere e a custodire nel cuore la speranza!
"Ascolta, Israele... Amerai il Signore XXXI Domenica del tempo ordinario - 5 novembre 2000
Dio tuo con tutto il tuo cuore, con Marco 12, 28-34
tutta la tua mente e con tutta la tua
forza... Amerai il prossimo tuo
come te stesso".
Le parole del Vangelo di oggi sembrano ad una prima lettura semplicissime: ama il Signore tuo Dio, ama il tuo prossimo. Come molti di voi avranno sperimentato, sono forse tra le parole più difficili del Vangelo; non soltanto a metterle in pratica, ma anche a capirle.
Che significa concretamente "amare"? Cosa significa voler bene a Dio, amare Dio. Cosa significa voler bene a chi ci sta accanto? alle persone che incontriamo nel nostro lavoro o nella vita di ogni giorno? A volte è semplice, a volte è terribilmente difficile. A volte è anche difficile capire cosa significa voler bene ad un figlio! Ci ritroviamo qui ogni domenica per continuare, senza stancarci, a cercare cosa significa voler bene.
Ma qualche volta capitano delle occasioni in cui queste parole così difficili, che qualche volta io propongo di cancellare dal nostro vocabolario di credenti, diventano particolarmente importanti per capire. Vi faccio alcuni esempi; voi forse ne troverete altri nella vostra vita.
Mi capitava, qualche giorno fa, di parlare con dei giovani, che erano turbati, preoccupati dall'ultimo documento della Congregazione della Fede, che sembra riaffermare l'antico discorso che "fuori della Chiesa non c'è salvezza": che se uno non appartiene alla Chiesa e non ubbidisce al Papa e ai Vescovi, non segue le regole, non partecipa ai sacramenti, non può essere salvato. E mi venivano in mente queste parole di Gesù: non è il comandamento dell'amore il più importante, l'essenziale? Se c'è uno che non sa niente del Cristianesimo, ma che cerca Dio con più passione di me, che vuol bene agli altri più di me, non è vicino al regno di Dio più di quanto lo sia io?
Un'altra volta mi capitava di interrogare un sacerdote che si intende di diritto, sulla possibilità di ottenere l'annullamento del matrimonio per due persone che conosco. E mi domandava: "Secondo te, perché vogliono che sia dichiarato nullo il loro matrimonio?". Ed io: "Perché non si vogliono più bene!". "E che c'entra questo? Se l'amore finisce il matrimonio sussiste. Per annullare un matrimonio occorre provare che le regole non siano state osservate, che non avevano intenzione di sposarsi con tutti i crismi: bisogna portare dei testimoni, bisogna fare dei giuramenti". Provavo a ribattere: "Ma quando l'amore finisce, non è finito anche il matrimonio? Cosa rimane cosa, 'sussiste' ancora"? -"Non hai capito che con il matrimonio l'amore non c'entra niente?", mi rispondeva quel giurista. E il discorso, per me, finiva lì: mi sembrava che parlassimo di cose diverse. Ma anche allora mi venivano in mente le parole di Gesù: non è la radice di tutto l'Amore?
Altre volte mi è capitato di parlare con delle persone (ne ho incontrata più d'una nella vita, sapete) che dicono molte preghiere, che fanno molti pellegrinaggi, che osservano tutte le regole... e mi sembravano come il fariseo del Vangelo, capaci solo di giudicare e condannare; mi sembrava che avessero nel cuore più malignità di tante persone che non pregano mai. E allora ti domandi: al di là delle regole, delle pratiche religiose, non conta di più la tenerezza del cuore? il rispetto degli altri? il non giudicare? il cercar di capire?
Io mi son sentito spesso giudicare da quelli che dicono molte preghiere, da quelli che vanno sempre in Chiesa. E forse anch'io li ho giudicati: mi sembravano, a volte, più maligni degli altri. E quando ascoltavo i loro discorsi, mi venivano in mente le parole del Vangelo di oggi: "Ama il Signore tuo Dio... Ama il prossimo tuo… questo vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici, di tutte le preghiere e i pellegrinaggi".
Vedete, sono parole difficili, quelle che abbiamo ascoltato oggi; ma forse sono parole particolarmente importanti. A me vengono in mente, ogni tanto, quando qualcuno vuol convincermi che il Cristianesimo è un'altra cosa, che l'amore non è la radice di tutto. Io non ho ben capito che cosa sia l'amore; ma intuisco che in queste parole di Gesù c'è qualcosa di particolarmente importante.
Il Signore ci aiuti a capirle.
Gesù nel Tempio osservava come XXXII Domenica del tempo ordinario - 12 novembre 2000
la folla gettava monete nel tesoro... 1 Re 17,10-16 - Marco 12, 38-44
una povera vedova vi gettò due
spiccioli... "tutto quello che aveva,
tutto quanto aveva per vivere".
Due semplici storie di vedove abbiamo ascoltato.
La prima, bella e preziosa secondo gli antichi, è ricordata più di una volta nei Vangeli: la vedova che abita a Zarepta di Sidone, in terra straniera, e che accoglie il profeta Elia e viene ricompensata per la sua generosità: "la farina della giara non venne meno e l'orcio dell'olio non diminuì". Eppure, più io rileggo queste pagine e più mi sembra che tra il racconto della vedova di Zarepta e il racconto del Vangelo di Marco c'è tutta la distanza che corre tra le favole e la vita. Sì, perché ho conosciuto tante persone che hanno dato con generosità, eppure… la farina della loro giara si è esaurita e l'orcio dell'olio si è svuotato.
Non è vero che colui che fa il bene ottiene sempre la benedizione del Signore. Non è vero che chi accoglie il profeta, non veda seccarsi più il suo olio nell'orcio, esaurirsi la farina della sua giara! Io ho conosciuto tanta gente che faceva del bene e che pure si è ammalata, che ha avuto dei guai nella vita, che non aveva più niente da dare a nessuno, perché era finita nella povertà.
Il Vangelo è un'altra cosa: questa vedova butta nel tesoro del Tempio gli ultimi due spiccioli. Lo fa nella più completa gratuità: non si aspetta nulla! Siamo alla fine del Vangelo di Marco: che sia questo il cuore di tutto ciò che voleva dirci? Che sia la gratuità il senso profondo di tutto il nostro rapporto con Dio, il senso stesso della vita: la "gratuità del dare", senza aspettarsi qualche cosa in cambio?
Ma c'è un'altra cosa, che Marco ci dice in quest'ultimo racconto del suo Vangelo: questa donna ha soltanto "due spiccioli" da buttare nel tesoro della vita. Sapete tutti che qui non si parla di denaro. Qui si parla della vita, della capacità di portare del bene intorno a sé. E capita a volte - capita anche a me, in tanti momenti della mia vita; penso che capiti anche a voi - di non aver gran che da buttare nel tesoro della vita: di avere soltanto due spiccioli, di non poter dare quasi nulla, di non riuscire nemmeno a capire che cosa può giovare a portare un po' di bene!
E allora rimane soltanto un po' di tenerezza, la capacità di fare un gesto di attenzione, di portare un sorriso e niente più! Eppure, davanti a Dio non conta la grandezza del tuo dono, non importa se hai solo due spiccioli… conta solo se lo dai senza aspettarti alcun contraccambio; se nel tesoro della vita butti quello che hai, con gratuità.
Ecco: se ho capito qualcosa, qui Marco ci porta al cuore stesso del suo Vangelo, al cuore stesso della vita: il sogno di Dio che cammina accanto a noi: la gratuità del dono… e non conta nemmeno se hai da donare soltanto due spiccioli, se non ti rimane che un sorriso, una carezza da fare!
Io penso che ogni cristiano dovrebbe conservare nel cuore questa straordinaria pagina del Vangelo di Marco: non avremo più paura dei maestri della Legge, di coloro che fanno lunghe preghiere, di coloro che cercano i primi posti, di coloro che vogliono soltanto gli applausi. Non avremo più paura di nessuno! Avremo nel cuore il sogno di Dio che cammina con noi: la gratuità del dono per quanto ci è possibile. E non importa se abbiamo soltanto due spiccioli da buttare nel tesoro della vita. Quello che conta, è un cuore che cerca di dare, con gratuità!
Il Signore ci aiuti!
"In quei giorni, dopo la XXXIII Domenica del tempo ordinario – 19 novembre 2000
tribolazione … vedranno il Marco 13, 24-32
Figlio dell'uomo venire sulle
nubi con grande potenza e gloria...
Il cielo e la terra passeranno,
ma le mie parole non passeranno".
L'ultima, in ordine di tempo - penso che anche voi ne siate afflitti - l'ultima delle paure che ci mettono dentro, è quella della "mucca pazza"; con il risultato che oggi ascoltavo un macellaio dire: "È già diminuita del 60% la vendita delle carni". E quando diminuisce del 60% la vendita, può succedere che qualche negoziante, che ha qualche debito da pagare, ci venga a chiedere dei soldi; quindi preparatevi a mettere mano al portafoglio... Perché spesso succede che, quando viene la paura, c'è poi qualcuno che ne approfitta, qualcuno che ci rimette, qualcuno che deve pagare.
Perché è così difficile affrontare i problemi con ragionevolezza, perché c'è sempre qualcuno che diffonde il panico, perché non si cerca di capire ciò che accade, senza rinchiudersi nel proprio guscio; ma tentando di affrontare seriamente il problema?
Ricordate? è passata soltanto qualche settimana: l'altra grande paura era quella della pedofilia. È capitato di ascoltare qualcuno che diceva che nelle scuole bisognerebbe mandare i poliziotti, a spiegare ai bambini di cosa si trattasse. E vi immaginate con quanta delicatezza un poliziotto possa dire ai bambini di guardarsi dal proprio nonno, dalla propria nonna, dagli zii, dai cugini; qualche volta dal papà e dalla mamma! Perché, lo sapete, la pedofilia al 90%, al di là delle storie che ci raccontano alla TV, riguarda problemi di famiglia.
E non è la prima volta: ho raccontato soltanto quello che succedeva negli ultimi giorni. Nel corso della storia, anche della storia della Chiesa, tante volte sono ritornate le paure. E qualcuno aveva interesse a metterle nel cuore dell'uomo, per renderlo dipendente da sé, per avere i suoi soldi. E qualche volta erano, lo sapete, paure religiose: paura dell'inferno, paura dei castighi di Dio! E la paura genera sempre l'irrazionalità, l'incapacità di affrontare seriamente i problemi.
E lo stesso succedeva (lo abbiamo ascoltato appena adesso) al tempo di Gesù: addirittura temevano che il sole cadesse dal cielo, che la luna si oscurasse, che le stelle non dessero più il loro splendore. Siamo qui, dopo 2000 anni: il sole ancora splende, se la stagione ci darà ancora qualche bella giornata; la luna in queste notti brilla alta nel cielo; le stelle ci sono ancora tutte.
Eppure, avete sentito: erano convinti che questo sarebbe successo entro la loro generazione. E avete sentito? balbettano! Dicono: SI, succederà entro questa generazione; poi aggiungono: "Però nessuno sa quando avviene; non lo sa nemmeno il Figlio, solo il Padre". Ma come, non lo sai e dici che succederà presto?... Se non lo sai non è meglio tacere?! No, quando si ha paura non si sa più quel che dire… o forse Marco fa apposta, per farci capire! questo Vangelo è straordinario!
È difficile conservare nel proprio cuore la speranza, il coraggio di affrontare i problemi! La paura è una cosa naturale, serve a difenderci dalle cose cattive che ci sono intorno. Ma non serve il panico, il rinchiudersi nel proprio guscio: occorre il coraggio di guardare le cose in faccia, il coraggio di portare il bene là dove c'è il male: con la ricerca, con la pazienza, con la tenacia, con l'impegno di tutti!
E allora conservate nel cuore quello che nel Vangelo di Marco serve per comunicarci la speranza: sono due immagini (ne abbiamo solo una, oggi) ed una affermazione. La prima immagine è quella del fico: "Quando il suo ramo si fa tenero sapete che l'estate è vicina…". E l'altra immagine (la trovate se leggete qualche riga prima): "sarà come quando cominciano i dolori del parto…": non sono i dolori della morte, ma i dolori per una nuova vita. Poi, la grande affermazione: Il cielo e la terra passeranno, ma le parole di Gesù non passeranno mai! I suoi valori non passeranno! quei valori che noi, quando ci ritroviamo qui ogni domenica, cerchiamo di conservare nel cuore, proprio per uscire da qui e saper sorridere di tutti quelli che vogliono metterci paura; e saper guardare il mondo con l'occhio lucido di chi si rende conto di quello che ci capita intorno e tenta, secondo le proprie possibilità, di fare quello che può perché il mondo sia migliore.
Una cosa che TUTTI possiamo fare, è togliere un po' di paura dal nostro cuore e dal cuore di chi ci sta intorno. Soprattutto è quello che posso raccomandare a tutti i papà e le mamme e ai tanti nonni che sono qui: togliete la paura dal cuore dei bambini! Ne hanno troppa: vedono troppa TV, sentono troppi discorsi di gente che vuole mettere paura. Hanno paura della droga, dell'AIDS, dei pedofili, di questo e di quell'altro... E quando uno ha paura, diventa fragile, indifeso, vulnerabile. Fateli forti! Invitateli a sorridere; non comunicate loro le vostre ansie, tenetevele dentro, se non riuscite proprio a vincerle. Ma date ai ragazzi - ai bambini soprattutto - fiducia, speranza; il coraggio di guardare le cose belle, la ragionevolezza per affrontare i problemi del mondo!
Soprattutto, conservate nel loro cuore la certezza: che il cielo e la terra possono passare, ma le parole di Gesù, i valori di Gesù, la realtà di Gesù non passeranno mai!
Questa è la nostra fede: per questo siamo qui.
Il Signore ci aiuti!
"Il mio regno non è di questo mondo". CRISTO RE - 26 novembre 2000
Allora Pilato disse: "Dunque tu sei re?" Giovanni 18,33-37
Rispose Gesù: "Tu lo dici; io lo sono".
Se qualcuno di voi mi avesse domandato, quando ero ragazzo, che vuol dire che il regno di Gesù non è di questo mondo, lo avrei guardato con stupore e meraviglia. Gli avrei chiesto: "Ma come, non capisci una cosa così semplice? Il regno di Gesù non appartiene a questa terra: il regno di Gesù appartiene all'altro mondo: è di lassù, non di quaggiù! il regno di Gesù è in Paradiso, non qui sulla nostra terra".
Poi, crescendo, ho studiato un po' di storia e mi sono accorto che proprio quelle persone che continuavano a dirmi che il regno di Gesù è di lassù e non di quaggiù, di tutto si preoccupavano tranne che dell'altro mondo. Erano preoccupati del potere, dell'affermazione della propria autorità su questa terra: nel campo della scienza, della cultura, della morale, anche della politica. E questo non soltanto nei tempi antichi: la festa, che oggi celebriamo, è stata istituita in tempi relativamente recenti, per riaffermare il potere, l'autorità non di Gesù, ma della Chiesa.
E questo è successo tante volte; e - a detta di qualcuno, forse anche di molti di voi - succede anche oggi: pensate a certe posizioni dell'autorità ecclesiastica per quel che riguarda la cultura, la scuola, la scienza, la morale, l'attenzione verso il resto del mondo.
Ma, se volete andare indietro nei secoli, pensate alle crociate, alla conquista delle Americhe: si sono sterminati popoli, sempre con la croce in mano, per affermare il "regno di Gesù"!... continuando a dire che non era di questa terra, il suo regno; ma di lassù, dell'altro mondo.
Allora, ci conviene ritornare alla pagina del Vangelo che abbiamo appena letto: provate -come facevano i primi Cristiani - ad immaginare la scena. Provate, con gli occhi della fantasia, a trovarvi là, a guardare Pilato seduto sul suo trono, avvolto dalla porpora - segno del potere: del potere di Roma, della violenza di Roma, che aveva conquistato la Palestina - e dall'altra parte guardate Gesù: le mani strette dalle catene, gli abiti semplici del falegname, che l'avevano accompagnato per la sua vita. Là c'è la vera contrapposizione tra il potere, la forza, la violenza, e chi ha cercato per tutta la vita la giustizia, la libertà, la pace e la tenerezza!
La contrapposizione non è tra "quaggiù" e "lassù": è tra la violenza e la tenerezza, tra il servizio e l'affermazione di sé, tra il voler dominare la vita e la coscienza del prossimo ed il mettere la propria vita a disposizione degli altri.
Riandate alle parole di Gesù: "Io non sono venuto per essere servito, ma per servire". Ricordate quando parla di coloro che hanno fame e sete di giustizia, che sono miti, pacifici, misericordiosi... ah! allora questa è la vera opposizione! l'opposizione tra chi cerca di vivere la tenerezza, la gratuità, l'amore, il servizio, la disponibilità, di chi cerca la pace... e chi, invece, vuole affermare se stesso: chi crede soltanto nel potere, chi vuole imporre la propria verità alla coscienza del suo prossimo!
Il "re" in cui noi crediamo, è un re che si china a lavare i piedi, che si fa cibo, che dona la vita: questo è il suo regno!
Che cosa, poi, significhi, questo, nella nostra vita quotidiana, per le piccole o grandi scelte di ogni giorno; cosa significhi credere in Gesù e nella sua parola, è cosa che, dalla prossima domenica, continueremo ancora a cercare insieme: perché non è semplice. Ricominceremo domenica prossima ad aspettare Gesù, a cercare la sua parola, la sua luce; a tentare di portare nel mondo un po' dei suoi valori.
Il Signore ci aiuti!
"Ho combattuto la buona battaglia, ho SS. Pietro e Paolo - 29 giugno 2000
terminato la mia corsa, ho conservato la fede". 2Timoteo 4, 6-8.17-18 - Matteo 16, 13-19
"Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò
la mia chiesa".
Avete presenti le due statue degli apostoli che sono davanti alla basilica di San Pietro? Forse qualcuno di voi (spero pochi) non le ha mai viste, ma la maggior parte penso di sì. Sono due statue molto grandi: da una parte l'apostolo Pietro con in mano le due chiavi; dall'altra l'apostolo Paolo, con la sua enorme spada.
Quando ero piccolo, ogni tanto andavo con la mia famiglia (abitavamo abbastanza vicino) a piedi fino a San Pietro e lì guardavo ammirato queste enormi statue, che sembravano immense o almeno apparivano tali ai miei occhi di bambino. E poi ho sentito parlare dei due apostoli: Pietro, la roccia su cui si basa la Chiesa, l'uomo dalla fede incrollabile e sicura, che aveva in mano le chiavi per aprire addirittura il Regno di Dio. E Paolo, il grande difensore della fede, colui che aveva conquistato tanti popoli alla fede del Signore. Mi sembravano dei personaggi mitici, straordinari, infinitamente lontano dalla mia vita e dalla mia esperienza!
E poi, crescendo, ho avuto la fortuna di incontrare qualcuno che mi ha messo in contatto (il che non è sempre semplice, perché nella nostra Chiesa si amano i miti, le teologie, spesso funzionali a chi comanda) con la realtà di questi personaggi, come traspare dal Nuovo Testamento. Pietro - se leggete il Vangelo con un po' di attenzione - pare l'uomo dai mille dubbi, dalle mille incertezze: son più le volte che il Signore lo rimprovera, che quelle in cui lo loda. Addirittura, in una circostanza, lo chiama Satana: "Sta' lontano da me, Satana! Tu non pensi come Dio ma come gli uomini". Pietro è l'uomo che, in un momento di debolezza, addirittura rinnega Gesù! E anche Paolo… se leggete tra le righe delle sue Lettere, conoscerete i suoi dubbi, le sue preoccupazioni; addirittura, in un momento, la sua disperazione. Non solo, ma potrete notare le sciocchezze che ogni tanto dice. La fragilità degli uomini!
E questo me li faceva sentire vicini: non più personaggi mitici, non più le statue colossali, che guardavo con i miei occhi di bambino; ma persone come me: con i loro dubbi, i loro errori; qualche volta hanno anche litigato tra di loro e non si capivano più!
Eppure, hanno continuato, senza stancarsi, a cercare il Signore. Pietro, anche quando ha rinnegato Gesù, non si è scoraggiato, non si è sentito perduto: è ritornato dal Signore, ha avuto il coraggio di guardarlo ancora negli occhi, ha cercato ancora la sua luce. E Paolo - lo avete ascoltato nella sua lettera - quando fa il riassunto della sua vita, dice: "Ho combattuto la mia battaglia, ho conservato la fede". Nonostante le difficoltà e i dubbi, le ansie e le persecuzioni, nonostante i suoi sbagli e le sue debolezze umane, anche lui, senza stancarsi, ha cercato il Signore! È quello che tentiamo di fare anche noi.
Gli apostoli non erano personaggi straordinari, mitici, capaci di compiere chissà quali imprese eccezionali... Erano persone come noi. Come noi, qualche volta sbagliavano; come noi si portavano dei dubbi nel cuore; come noi qualche volta vivevano l'ansia, addirittura, in qualche momento, la disperazione! Eppure, continuavano, senza stancarsi, a cercare il Signore; tentavano di conservare la sua luce nel proprio cuore.
Per essere Cristiani non occorre essere degli eroi, delle persone straordinarie: occorre continuare a cercare Gesù e la sua luce, e tentare di essere testimoni di Lui, nella vita di ogni giorno.
Il Signore aiuti anche noi a farlo!