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OMELIE DI DON CHECCO
Anno Liturgico 1992-1993 - Vangelo di Matteo
INDICE
1992
Ogni uomo che vive deve avere una speranza dentro di sé, ogni uomo deve avere un sogno nel cuore, per poter camminare ancora. Chi avanza nel buio deve poter sperare nella luce, chi cammina nella notte aspetta con ansia l'alba, chi vaga nel deserto e sente crescere la sete sogna con tutto sé stesso una polla d'acqua fresca e zampillante per dissetarsi, chi ha fame sogna con tutta la sua vita il cibo.
Chi cammina, per continuare ad andare avanti, ha bisogno di un sogno nel cuore, di un desiderio, di una speranza.
Vedete: i nostri padri hanno colmato per noi desideri importanti: noi non abbiamo più fame di pane (c'è ancora qualcuno che ce l'ha nel mondo, anzi c'è tanta gente: ci ricorderemo di loro in questo tempo di Avvento), noi non sogniamo più il cibo, un vestito nuovo con cui coprirci, una casa in cui abitare: queste cose le abbiamo, quanto basta per una vita più che dignitosa.
Ma rimangono nel nostro cuore i sogni più profondi, le speranze indispensabili per una vita degna di essere vissuta: noi, come il profeta Isaia, sogniamo un mondo in cui sia bandita ogni guerra, in cui non ci sia più l'ingiustizia, la disonestà, la violenza, l'intolleranza dell'uomo verso l'uomo. Queste cose che sciupano la vita le sentiamo ogni giorno intorno a noi, ma ce le portiamo dentro anche noi... Eppure conserviamo nel cuore il sogno di un mondo che sia diverso, il sogno di un mondo in cui, a cominciare da noi, abiti la pace, la tenerezza, la giustizia, la vita condivisa!
Gesù è venuto in mezzo a noi per mettere il sigillo di Dio sui nostri sogni, per dare il fondamento di Dio alle nostre speranze, perché noi possiamo credere che il sogno che ci portiamo dentro - il sogno di un mondo più giusto e più bello - non sia soltanto un'illusione.
Non è un'illusione perché Gesù è venuto a condividere la nostra vita.
Noi ci stiamo preparando al Natale, ci stiamo preparando ad accogliere Gesù, che viene a nascere su questa nostra terra, a camminare con noi nella polvere del nostro mondo, a condividere le nostre speranze di un futuro più giusto: all'orizzonte del nostro cammino non c'è il buio, ma la luce di Gesù: verso di Lui andiamo!
E allora ci ritroveremo qui, in queste domeniche di Avvento a pregare, a bussare, a insistere, non per cambiare Dio, ma per cambiare noi stessi: per accrescere nel nostro cuore il coraggio della speranza, per conservare nel cuore il sogno, il desiderio... Il desiderio di guardare verso Gesù, di aspettarlo, il sogno di un mondo che sia a misura di Lui!
Ecco all'orizzonte della nostra storia comincia a spuntare la luce, con coraggio, allora, ascoltiamo l'invito dell'Apostolo: scuotiamoci dal sonno, guardiamo lontano: è Gesù che ci viene incontro, è Lui che viene a portarci la conferma di Dio per i nostri sogni, a portarci la certezza che sperare in un mondo di giustizia, che sperare nella pace, che sperare nel bene, è possibile, perché Gesù viene, perché Dio si è impegnato sulla nostra strada.
Gesù ci viene incontro e verso di lui camminiamo, nella speranza.
Sarà capitato, forse, anche a più d'uno di voi di domandarvi, come mi sono domandato io: "Che abbiamo più a che spartire, noi, con queste parole, con queste immagini?" C'è venuto oggi davanti un profeta severo, austero, un profeta che grida, un profeta che annunzia l'ira di Dio, il Suo castigo, un profeta che pensa al Messia come ad un giudice implacabile, che viene finalmente a fare giustizia, bruciando con un fuoco senza fine, che viene a portare la vendetta di Dio sulla terra. "Che ho a che spartire - mi son chiesto - con queste parole?" L'immagine di Gesù che ci portiamo dentro non è quella di un Messia che viene a giudicare col fuoco, non è l'immagine di chi viene con la scure in mano, pronto a tagliare alla radice l'albero che non fa frutto, non è l'annunciatore dell'ira di Dio: viene ad annunciare la Sua misericordia, la Sua tenerezza!
E allora perché leggiamo ancora queste parole? Perché la Chiesa ce le ripropone ogni Avvento?
Vedete, corriamo il rischio - noi che ci ritroviamo qui, noi che crediamo alla misericordia di Dio, alla Sua tenerezza, - di pensare che il male e il bene siano la stessa cosa, che il perdono sia far finta di nulla, rischiamo di sentirci tranquilli per il solo fatto di esser qui! Non credere più al castigo, all'ira, alla vendetta di Dio, non poter più ragionare in questi termini, non significa che possiamo non prendere sul serio la nostra vita, non sentire tutto l'impegno a costruire un mondo migliore, a convertirci, a preparare la strada al Signore che viene!
Perché altrimenti, rischiamo - nei tempi che ci è dato di vivere è forse il rischio che corriamo di più - di diventare gente che sa solo lamentarsi: ci lamentiamo di tutto il male, di tutte le ingiustizie, i soprusi, le violenze che ci sono intorno a noi.
Rischia di svanire dalla nostra esistenza anche il sogno: il sogno di un mondo più giusto, più vero, più pacifico, più bello: ce lo ricordava anche oggi la straordinaria parola del profeta: "che la saggezza di Dio riempia la terra, come le acque ricoprono il mare!"
Ma per conservare nel cuore queste speranze, questi sogni occorre che ciascuno di noi si impegni a fare qualcosa di concreto. Non basta lamentarsi di tutto il male che fanno gli altri: occorre che ciascuno di noi si domandi: "E io? Qual è il mio male, cosa nelle mie azioni sciupa la vita? Cosa posso fare nella mia casa, nel posto dove lavoro, tra la mia gente, per togliere un po' di ingiustizia, di intolleranza, di mancanza di verità e di tenerezza?"
Non basta venire in chiesa, non basta sederci intorno all'altare, non basta fare la Comunione: "Dio può far sorgere suoi figli anche da queste pietre", ci ricorda Giovanni. Non possiamo vivere l'alibi che il male non dipende da noi. Dobbiamo sentire dentro di noi l'impegno a cambiare qualcosa, altrimenti il mondo si sciupa! E non soltanto il mondo grande, lontano da noi, ma anche il mondo della nostra casa, del posto dove lavoriamo.
Ciascuno di noi può, con passione, chiedersi: "E io che posso fare? Che significa, per me preparare la via al Signore che viene? Quali sono le colline da spianare, i burroni da riempire per accogliere Gesù? Quale contributo posso dare perché il mondo sia più bello?" Non possiamo solo lamentarci, dir male di tutto e di tutti, senza sentire, nel profondo, che tocca anche a me - a ciascuno di noi - il coraggio di fare un passo, di cambiare qualcosa, di portare un contributo, magari piccolo, ma concreto, perché nel mondo ci sia un po' più di pace, di tenerezza, di giustizia, di attenzione dell'uno verso l'altro.
Il Signore ci aiuti.
1992
Mi capitava in questi giorni, anche con qualche persona, di riflettere sulla preghiera: sulla mia preghiera e, penso, anche sulla preghiera di molti di noi. Vedete, la nostra preghiera spesso è una preghiera interessata: noi abbiamo tanti bisogni e nel nostro incontro con Dio, chiediamo a Lui le cose che ci servono, le cose di cui abbiamo bisogno. Mettiamo davanti al Signore i guai più o meno grossi della nostra vita, perché Lui venga a porci rimedio, venga a darci una mano, venga a consolarci.
E spesse volte, almeno nella mia esperienza, questa preghiera non è rivolta a Dio, direttamente, ma passa attraverso Maria. Ricordo che, quando ero ragazzo, mi dicevano di pregare la madonna con fiducia, perché lei è la Mamma e non dice mai di no. A volte ho provato - almeno se rivado indietro a tanto tempo fà, quando ero bambino - un po' di paura nei confronti di Dio, avevo maggiore fiducia nella Madonna! Mi raccontavano tante storie di guarigioni e di miracoli, ottenuti per sua intercessione, mi dicevano che se volevo una grazia dovevo fare una novena o andare in pellegrinaggio a qualche santuario...
E mi sorprendeva (è per questo vi faccio questo discorso stasera che è la festa di Maria) nel rileggere ancora una volta questa pagina di Vangelo, costatare come Maria sia invece un modello di totale gratuità! Lei, quando incontra Dio, non chiede nulla: sa soltanto sgranare gli occhi e dire: "Eccomi, sono pronta! Si faccia di me secondo la tua volontà!" Non una parola sui suoi problemi, sulle sue difficoltà: "Devo diventare madre, madre del Figlio di Dio! Cosa mi succederà? Dammi una mano; fa che gli altri non parlino troppo male di me!" Niente di tutto questo. Di tutto il discorso dell'Angelo sembra capire solo che c'è Elisabetta, la sua parente che aspetta un figlio: é anziana e quindi può aver bisogno di lei, allora si alza e parte.
Maria rimane il modello dell'incontro con Dio, nella gratuità, nella lode, nello stupore, nella contemplazione! Soltanto la meraviglia, la capacità di accogliere, il dire: "sono pronta!", l'alzarsi e il mettersi in cammino.
Forse tutti noi dovremmo imparare da Lei. Tutti noi, io per primo, continueremo a pregare per ottenere una grazia, continueremo a chiedere, a esporre a Dio i nostri bisogni. Ma forse Maria può prenderci per mano e condurci sempre più sulla strada della gratuità, sulla strada del dono di noi stessi, sulla strada dell'amore disinteressato, sulla strada dell'accoglienza!
Vedete, il Natale che viene ci porta il dono che è Gesù, ma ci chiede anche i nostri doni: l'impegno ad accogliere il Signore, l'impegno di moltiplicare i nostri gesti di amore, l'impegno di saper donare, di metterci al servizio gli uni degli altri. Come ha fatto Maria! Sia Lei il modello della nostra fede, il modello della nostra accoglienza: ci insegni a non chiedere per noi stessi, ma ad aprirci alla gratuità e all'amore!
Lei ci aiuti!
1992
All'inizio dell'Avvento vi avevo detto - e sotto questo segno abbiamo cominciato il nostro Avvento - che per camminare occorre avere un sogno nel cuore, una speranza dentro di noi: e abbiamo chiesto al Signore di metterci questa speranza dentro, di accenderci un sogno nel cuore.
Oggi il Vangelo, in qualche modo, ci consola: perché anche Giovanni il Battista, "il più grande tra i nati di donna", quest'uomo straordinario che "non è una canna sbattuta dal vento", anche lui attraversa un momento di dubbio e di difficoltà: lui aspetta, aspetta con ansia, si porta nel cuore un sogno, ma viene anche per lui il tempo del dubbio: "Sei tu quello che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?"
Vedete, il dubbio non è qualcosa che riguarda soltanto noi, povera gente, anche "il più grande tra i nati di donna" l'ha conosciuto; a maggior ragione noi!
Il dubbio accompagna la vita del credente, di ogni credente: cosa può aiutarci ad andare al di là del dubbio? Il vedere, il toccare, un segno concreto: "Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono guariti, ai poveri è annunziata la buona novella".
Quali segni abbiamo potuto vedere nella nostra vita, chi ci ha aiutato ad andare al di là del dubbio, a credere e a sperare? Tornate indietro nella vostra vita - io ho cercato di farlo oggi pomeriggio, passeggiando in pineta - e domandatevi: "Chi nella vita mi ha dato coraggio, chi mi ha aiutato a credere nel bene, a camminare ancora?" Ci sono dei momenti in cui ci sentiamo scoraggiati. Anche a me è capitato: scoraggiato perché mi sembrava che intorno a me ci fosse tanto cinismo, tanta indifferenza, tanta incapacità di voler bene. Ed ho sempre trovato qualcuno che mi ha fatto vedere gesti semplici, ma concreti, di generosità, di altruismo, di tenerezza. E non soltanto qualcuno, ma tanta gente: a volte la Domenica mi guardo intorno - lo dicevo anche oggi parlando, con una persona - guardo voi, molti vi conosco bene: allora so che al mondo non è tutto tangenti, ruberie, ingiustizie, mafia... C'è in mezzo a voi tanta gente che vive onestamente, che si guadagna il pane col sudore della fronte, che è capace di generosità e altruismo, che sa perdere tempo accanto ad un malato, ad una persona in difficoltà, che sa stare con i bambini con infinita pazienza... Torna la voglia di camminare ancora, il coraggio di credere nella giustizia e nel bene, la speranza!
E vedete, prepararci al Natale, significa sentire, ancora una volta, l'invito a fare questi gesti di bene: qualcuno li ha fatti per me, è giusto che anche io tenti di farlo per gli altri. Essere un segno di bontà, di giustizia, di attenzione e servizio: ne hanno bisogno specialmente i ragazzi che ci crescono accanto. Per credere e sperare hanno bisogno di udire e vedere, hanno bisogno di segni concreti: ascoltano e vedono troppe cattive notizie, troppo è il male con cui ogni giorno vengono a contatto. Cosa succederà di loro se guardandosi intorno, guardando il papà, la mamma, le persone che conoscono, la maestra non possono dire: "Ah sì, c'è tanta gente che ruba, che fa violenza, ma vedi intorno a me quanta tenerezza, quanto spirito di sacrificio, quanta generosità!"
Ecco, essere profeti, annunziare la speranza, testimoniare la luce, non è cosa di eroi, di gente che capita chi sa quando: è cosa che possiamo fare anche noi, tutti i giorni. Molti di voi lo avete fatto per me, molti certamente lo hanno fatto per voi. Tutti possiamo farlo per gli altri. Possiamo nel quotidiano essere un segno, che permette a qualcuno di vedere, di toccare qualcosa, per sentire rinascere nel cuore la speranza di Gesù, per sentir rinascere i sogni, al di là dei dubbi, delle angustie che tutti abbiamo, come Giovanni, "il più grande dei nati di donna".
Il Signore ci aiuti.
1992
Eccoci ormai alle soglie del Natale: ci ritroveremo qui giovedì sera e sarà già Natale!
Ci siamo preparati, abbiamo fatto il nostro cammino d'Avvento, abbiamo ascoltato la voce potente e ruvida del profeta - ricordate? - era Giovanni il Battista che ci invitava a scuoterci, a convertirci, a fare un passo, la sua voce forte ci invitava a preparare la strada al Signore che viene.
Oggi, ormai vicini al Natale, le parole si spengono, è Giuseppe il grande silenzioso che ci viene incontro. Nel Vangelo, Giuseppe non dice nemmeno una parola: è un uomo che sa accogliere l'intervento di Dio, straordinario e inaspettato nella sua vita, che sa aprirsi alla novità, che sa fare spazio nella sua vita all'inatteso e al futuro. Sa accogliere questo figlio che nasce, questo figlio che - come ogni figlio del mondo - non è suo, sa accogliere la sua sposa che - come ogni sposa del mondo - cambia e non può mai essere proprio come noi la vorremmo, ma deve essere accolta nella sua diversità e novità, con meraviglia e stupore!
Vedete, a volte la vita è sorprendente: mi è capitato in questa settimana - mentre pensavo a questa pagina di Vangelo - di riflettere, quasi in ogni gruppo in cui ci riuniamo per leggere il Vangelo, sulla difficoltà che abbiamo spesso, noi uomini, di accogliere le cose inaspettate, di aprirci alla novità. Per vivere abbiamo tutti bisogno di certezze, di regole, di tranquillità e di sicurezza, ma a volte tutto questo diventa quasi una gabbia con cui ci difendiamo dalla vita. Un figlio che cresce, una persona che incontriamo: tutto rischia di metterci ansia nel cuore e spesso siamo incapaci di accoglienza e stupore.
Rischiamo di trasformare tutto in rito, in abitudini, in tradizioni: guardate l'Eucarestia - questo dono così nuovo e sconvolgente che Gesù ha posto nel cuore della nostra fede - noi l'abbiamo ricoperto di orpelli, di paramenti, di riti, di tradizioni, di parole: è il nostro modo di difenderci da Dio, dalla Sua novità, dalla Sua chiamata nella vita di ogni giorno!
Anche il Natale rischia di essere per noi solo una tradizione: le solite cose, i soliti riti, i soliti regali, i soliti pranzi, i soliti buoni sentimenti... E magari ci dimentichiamo che Natale è Lui, Gesù, che ci chiede di essere accolto nella nostra vita. Dio viene a condividere i nostri passi e ci chiede di accoglierlo, non solo in astratto, nei buoni sentimenti di questi giorni, ma concretamente in chi ci sta accanto ogni giorno, nelle persone che attraversano, a volte inaspettate, la nostra vita. Ci chiede di accoglierLo in un figlio che cambia o magari combina qualche guaio, in un anziano, che non ce la fa più e ha bisogno della nostra tenerezza o addirittura in qualche malanno che ci capita. Gesù chiede la nostra capacità di continuare a voler bene, la nostra capacità di continuare a dare una mano, anche quando le ginocchia si fanno fiacche, anche quando il cuore comincia a inaridirsi, anche quando il mondo che ci ruota intorno è così pieno di ingiustizie, di cose che ci fanno paura e ci mettono l'ansia nel cuore. Lo Spirito ci aiuti ad essere, almeno un po' come Giuseppe che, anche quando i suoi piani vanno all'aria, quando la sua vita è sconvolta, sa fare spazio a Gesù, sa accogliere Maria, la sua sposa, sa donare sé stesso, sa offrire la sua opera, sa farsi custode di Gesù, senza tante domande.
Il Signore ci aiuti perché il Natale che viene, non sia soltanto un rito o una tradizione, ma sia per tutti noi la gioia, la festa, la meraviglia, lo stupore, la capacità di accogliere Dio, la Sua novità nel nostro cuore, la capacità di fare spazio a Gesù, di farlo crescere nella nostra vita, di saperne riconoscere il volto in chi ci passa accanto ogni giorno!
1992
I nostri ragazzi hanno consegnato al nostro Natale un segno severo, ruvido: il presepio è vuoto. "Gesù non nasce qui - ci dicono - nasce fuori". E là fuori è allestita una baracca, come una delle innumerevoli baracche che popolano la nostra terra. Là nasce Gesù: fuori del tempio, fuori da uno spazio "sacro", all'aria aperta, al freddo, accanto alla gente più povera, alla gente in difficoltà, ai tanti uomini che tribolano sulla faccia della terra...
Non è - se ci pensate bene - soltanto una provocazione dei nostri ragazzi: è il cuore stesso della nostra fede! Vedete, l'uomo da sempre, da quando esiste sulla terra, ha cercato Dio nell'alto dei cieli, guardando la notte stellata o lo splendore del sole, ha cercato Dio sulla cima dei monti, tentando di avvicinarsi al cielo. Ha costruito, per incontrare Dio, tanti spazi sacri, recinti chiusi, separati dalla vita e dal mondo, per cercare là il Potente, Colui che può risolvere i problemi dell'uomo, venire incontro alla sua debolezza.
Ma Dio quando è venuto in mezzo a noi, non è salito in cima ai monti, non è andato in un tempio o in uno spazio "sacro", ma nel cuore della nostra vita di tutti giorni, dove l'uomo lavora, si affatica, tribola, gioisce, dove cerca di costruire il mondo.
Gesù è Dio che si è fatto uomo nel cuore della nostra esistenza, nel cuore dei nostri problemi di tutti i giorni, nel cuore della nostra vita: dove c'è gente che soffre, dove c'è gente che ha fame, dove c'è gente che lotta per la giustizia, dove c'è gente che cerca la verità.
Nel cuore della nostra esistenza di tutti i giorni, là, soltanto là, possiamo incontrare Dio. Il nostro ritrovarci qui in uno spazio "sacro", non può essere un isolarci dal mondo, un rifugiarci nelle belle parole o nei buoni sentimenti o nei segni, magari forti, come quello che i ragazzi ci hanno proposto: è solo un momento di riflessione, di contemplazione, di ringraziamento, di preghiera, un momento che ci porti poi ad incontrare Gesù nel volto dei nostri fratelli, nel volto di chi tribola, di chi è in difficoltà, nel volto di chi ci tende la mano, di chi ha bisogno - da parte nostra - di un sorriso, del nostro impegno, della nostra tenerezza, del nostro servizio, della nostra accoglienza.
Gesù nasce nel cuore della vita dell'uomo! Io spero che i ragazzi che hanno proposto a tutti noi questo segno, per primi loro, lo conservino nel cuore. Non si può giocare con Dio: non può essere questo soltanto un segno, quasi una provocazione, sbattuta in faccia a chi ha i capelli bianchi. O lo sentite nel profondo del vostro cuore, o mentite a voi stessi e a Dio! Deve essere un segno forte, prima di tutto per voi, che avete la vita davanti. Un segno che vi ricordi sempre l'impegno per la giustizia, per un mondo giusto e onesto, il coraggio della speranza: e ne avete bisogno! Ci annunciano tempi difficili, tempi di crisi per questo nostro paese: la crisi economica che moltiplica le povertà, la disillusione verso la vita politica e sociale, e il riaffacciarsi all'orizzonte dell'uomo di antiche violenze, di vecchi spettri, di terribili intolleranze.
Gesù è venuto nel cuore di questi problemi e là ci chiama tutti, ma soprattutto voi che siete più giovani! Voi che ci avete proposto questo segno, portatevelo nel cuore: è il vostro segno, il segno di un Dio che ci chiama fuori, in mezzo alla gente, dove c'è qualcuno in difficoltà, dove c'è bisogno di speranza e di coraggio, dove gli uomini hanno bisogno di vita e di amore, dove c'è bisogno di tenerezza e di attenzione, dove c'è bisogno di un impegno serio per la giustizia e la verità, dove c'è un grande bisogno che, chi è più giovane, non lasci mai cadere dal cuore il sogno di un mondo più bello e più giusto.
Il mondo ha bisogno di voi! Dio ha bisogno di voi: Lui non viene a risolvere i nostri problemi con la bacchetta magica! Il Dio che conosciamo, non è un Dio lontano, onnipotente, nell'alto dei cieli, il Dio che possiamo cercare soltanto nei momenti di bisogno. Non invocatelo... Lui invoca noi! Lui chiama ciascuno di noi in mezzo alla gente: là dove è difficile vivere, nella nostra fatica di essere uomini là possiamo incontrare Dio, là dove è difficile amare, là Dio ci attende: attende il nostro coraggio, la nostra speranza!
Per questo Gesù è venuto a condividere la nostra vita. Non dimentichiamolo mai: ha vissuto per 30 anni nel silenzio di un piccolo e sperduto paese, le mani dure e callose del falegname, senza dire una parola, senza fare un segno straordinario: soltanto il lavoro e la fatica di ogni giorno, per testimoniare la vicinanza di Dio, nel cuore della nostra esistenza, della nostra vita.
Lui rimanga con noi per sempre e ci porti la Sua luce, la Sua speranza, il Suo coraggio, La Sua capacità di amare fino in fondo, la Sua vita!
"Giuseppe prese con sé il bambino e sua madre..." 27 Dicembre 1992
Qualche difficoltà ho avuto, questa volta, nel preparare qualcosa da dirvi. Mi domandavo se non poteva essere utile darvi qualche saggio consiglio come quelli che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Ma, vedete, a parte che i saggi consigli servono a poco e ciascuno di noi è portato ad ascoltare più quelli che servono agli altri che quelli che sarebbero utili per sé, c'è anche il fatto che sono ormai moltissimi anni che io non vivo più in una famiglia e mi manca quindi ogni esperienza per dar consigli. Rimaneva un'altra strada da seguire: quella di proporvi l'ideale della Famiglia di Nazareth, la famiglia di Gesù come modello delle nostre famiglie. Poi mi son detto che proporre una famiglia ideale rischia di essere un peso per chi di pesi ne porta già tanti: ci sono anche in mezzo a noi persone che non vivono affatto in una famiglia ideale.
Allora ho pensato che forse la cosa migliore - anche perché siamo stati a Messa proprio ieri - è quella di invitarvi a pregare per tutte le famiglie del mondo. Per le nostre prima di tutto: ma molte delle nostre famiglie sono tranquille e serene e pur tra i problemi di ogni giorno, si cerca di vivere la tenerezza e l'amore. E allora invitarvi a pregare per le famiglie che sono in difficoltà: là dove la famiglia diventa un peso, se non un inferno, quando tra marito e moglie non ci si capisce più, quando rimane solo il rancore e la rabbia, se non addirittura la sopraffazione e la violenza e ci vorrebbe, forse, solo il coraggio e la possibilità di andare ciascuno per proprio conto.
Vorrei invitarvi a pregare per quelle famiglie in cui ci sono dei figli che prendono una strada sbagliata e danno tante ansie e preoccupazioni. Per quelle famiglie in cui si vive il dramma della droga o quello, più nascosto ma forse più diffuso dell'alcolismo, che tante sofferenze provoca soprattutto alle donne. Per quelle famiglie in cui c'è una persona anziana che, come dice la prima lettura, ha perso il senno e si fa una gran fatica a starle dietro, e ci vuole tanta tenerezza e un'infinita pazienza e, a volte, la pazienza se ne va e sembra proprio di non farcela più.
Vorrei invitarvi a pregare per quelle famiglie che, in questi momenti difficili che viviamo, vedono in pericolo il posto di lavoro, che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese. Per tutte le famiglie del mondo in cui si vive la fame o la guerra con tutto il carico di sofferenza e dolore che comporta.
Quanti problemi nelle famiglie degli uomini! Quelli tra voi - e sono la maggior parte - che vivono in una famiglia serena, senza problemi troppo grossi, cerchino di non vederla come un rifugio tranquillo, un guscio che ci isola dagli altri: se apriamo gli occhi ci accorgiamo che intorno a noi c'è qualche famiglia che ha bisogno di una mano, qualcuno che ha bisogno di aiuto e soprattutto di non essere giudicato, ma di essere accolto per quello che è, di una mano tesa, senza troppe parole.
Ecco, il Signore dia, a tutti quelli che vivono in famiglia, la tenerezza e l'amore, il rispetto e la libertà, una grande pazienza e il desiderio di mettersi gli uni al servizio degli altri, con dedizione.
Il Signore aiuti tutte le famiglie del mondo, specialmente quelle che vivono momenti di difficoltà.
Ti benedica il Signore e ti protegga Maria Ss. Madre di Dio - 1° gennaio 1996
I pastori se ne tornarono, glorificando Dio
In questi giorni ci siamo ritrovati più volte in chiesa; quindi rischiate di fare indigestione di prediche e di parole: indigestione sempre pericolosa... E poi, siccome bisogna cominciare bene l'anno nuovo, mi permetterete di non fare una predica, ma solo di farvi gli auguri per quest'anno che comincia. Auguri a tutti di vero cuore; penso di interpretare le intenzioni di tutti, nel fare auguri scambievoli.
Auguri, prima di tutto, di vita, di salute: che i giorni passino per tutti nel benessere, nella salute fisica. Che tutti possiate avere, in quest'anno, il necessario per vivere ed anche un po' di superfluo, per rallegrare la vita. Che tutti possiate trovare soddisfazione nello studio, nel lavoro, nella vita di casa...
Che nelle famiglie regni un clima di serenità, di comprensione, di attenzione dell'uno verso l'altro. Soprattutto che nel profondo del cuore ci sia la serenità, la pace, che ci accompagni in tutti i giorni di quest'anno che ci sta davanti.
Avete sentito il Vangelo: i pastori vanno a vedere il presepio, incontrano Maria, Giuseppe e Gesù e se ne tornano "lodando Dio": conservando nel cuore il ricordo della luce di Betlemme, la certezza dell'amore di Dio, che cammina con noi!
Ecco: l'augurio che vi faccio, che faccio a tutti di vero cuore, è che ogni credente, come Maria, porti dentro di sé il ricordo di Gesù, la presenza della Sua luce, la certezza dell'amore di Dio! L'apostolo Paolo ce lo ricordava: ci è donato lo Spirito, che ci fa sentire figli, che ci fa rivolgere a Dio chiamandolo "Papà!".
E allora, che nessuno, anche chi ha i capelli bianchi e magari non ha più intorno affetti, che nessuno si senta solo! Che tutti sentiamo Dio che cammina con noi! Che ci sentiamo sostenuti dalle Sue mani, animati dal Suo Spirito! Che la luce del Signore illumini i nostri passi e conservi nel nostro cuore desideri di pace, di bontà.
Che il Signore conceda a tutti voi giorni lunghi e sereni, ricchi di pace, di gratuità, di serenità, di amicizia e di amore! Che il Signore accompagni, con la Sua luce e la Sua benedizione, tutti i nostri passi, in quest'anno che ci sta davanti!
"Il Verbo si è fatto carne ed ha abitato in mezzo a noi" 3 Gennaio 1993
Abbiamo ascoltato e nella prima lettura ed anche in questa pagina del Vangelo, che penso sia nota a tutti voi, parole tra le più alte che siano state usate per esprimere la realtà di Gesù, il Suo mistero, la Sua presenza in mezzo a noi. Vedete nella fede, - non soltanto nella nostra religione, ma in ogni parte del mondo - l'uomo cerca le parole più adatte per tentare di esprimere il mistero di Dio, la sua realtà indescrivibile, al di là di ogni parola umana, di ogni nostra immaginazione.
Avete ascoltato le ultime parole che abbiamo letto: "Il Verbo si è fatto carne ed ha abitato in mezzo a noi e noi vedemmo la sua gloria... pieno di grazia e di verità". Ecco parole che tentano di esprimere come in questo bambino si sia manifestato in mezzo a noi qualcosa del mistero di Dio: che è il mistero della vita, l'origine di tutte le cose, il mistero di Colui che ha fatto il cielo e la terra, la luce che sta prima di ogni cosa!
Queste parole a qualcuno di voi suonano un po' difficili, un po' astruse, un po' lontane dalla nostra esperienza. È normale che sia così: sono state scritte più di duemila anni fà... Vedete, il problema viene fuori quando qualcuno pensa che siccome non capisce queste parole non abbia la fede! Qualche volta mi è capitato di ascoltare queste difficoltà, espresse magari da qualcuno di voi: "non riesco a capire queste parole, non riesco a sentire che cosa queste parole dicono".
C'è il rischio di credere che la fede sia fatta principalmente di parole! E può ancora capitare - a me è capitato qualche mese fà - di sentirti dire che siccome non usi più queste parole sei eretico, sei uno che non ha fede! Queste sciocchezze lasciamole a tempi che, per fortuna, sono ormai lontani da noi!
Vedete, l'uomo non può che esprimere il mistero di Dio attraverso le parole: il poeta, il filosofo, cercano sempre nuove parole... Ma se ci pensate bene, la fede non è fatta principalmente di parole! È come se io dicessi che un uomo e una donna, due persone che si amano, se non riescono a dire certe parole, non si vogliono bene! Voi che avete esperienza, sapete bene, che il rapporto tra due persone non è fatto soltanto di parole. Le parole sono importanti, ma quello che poi conta è il rapporto di fiducia, di attenzione dell'uno verso l'altro, di apertura dell'uno all'altro, di accoglienza dell'uno per l'altro! È questo il fondamento del rapporto tra due persone e quindi anche il fondamento del rapporto tra me e Dio!
Se io non uso più le parole che usavano gli antichi, se io non capisco più certe parole, non significa certo che io non abbia fede in Dio. Aver fede significa accogliere qualcosa della Sua luce nella propria vita, aver fede in Dio significa conservare la fiducia in Lui, significa tentare di camminare seguendo la Sua luce!
Vedete, Gesù può accoglierlo il filosofo che usa grandi parole, può accoglierlo colui che riesce a spiegare queste parole così alte del Vangelo di Giovanni, ma può accoglierlo anche il bambino, che si mette davanti al presepe e guarda con fiducia verso il Signore e da lui si sente amato e sente che in quel Bambino c'è qualcosa dell'amore di Dio, che viene a condividere la nostra vita!
Ecco, il Signore ci aiuti a fare esperienza di Lui nel profondo del cuore, anche se usiamo parole più semplici di quelle che abbiamo ascoltato stasera!
1993
Abbiamo ascoltato una straordinaria pagina di Vangelo. Ma c'è, vedete, un rischio per questa, come per altre pagine del Vangelo: è quello di confinare questa pagina nel meraviglioso, nel fantastico, di tanto tempo fa.
Mi capitava anche ieri - forse sarà capitato anche a qualcuno di voi - di ascoltare, per radio, due ameni monsignori, che discutevano fra di loro su chi fossero questi Magi: uno parlava di sapienti orientali e addirittura di discepoli di Zaratustra... e altre cose di questo genere. sarà capitato anche a voi, qualche volta, di sentire parlare di quale sia la stella che ha guidato i Magi alla capanna di Betlemme; quale, delle tante comete che hanno attraversato il nostro cielo, poteva essere identificata con la stella del Vangelo. Ecco, è un modo questo per difenderci da questa pagina, per collocarla nella curiosità, nella fantasia, nel meraviglioso, di tanto tempo fa.
Ma, se ho capito qualcosa del Vangelo, qui Matteo e la sua comunità ci vogliono dare una descrizione viva, forte, drammatica, di quello che accadeva al loro tempo: e possiamo ritrovarci anche il nostro tempo. Non si tratta di storie fantasiose, ma di simboli della loro vita e anche della nostra!
Vedete, se avete ascoltato attentamente, qui c'è il contrasto fra gli uomini del potere, da una parte: Erode, il crudele tiranno, colui che vuole dominare uomini e cose, colui che cerca questo bambino per ucciderlo, perché ha paura per il proprio potere e poi i sapienti del popolo, coloro che stanno sempre dalla parte di chi comanda, coloro che son sempre pronti a dare una risposta, ma non cercano più: ormai sazi del loro sapere, hanno sempre una parola pronta; e poi Gerusalemme, il popolo che si agita, che brontola, che si muove al cenno del potente. Dall'altra parte, in contrasto con tutto questo, un gruppetto di gente (avete sentito, non si dice nemmeno che siano tre), un gruppetto di gente che va cercando la luce, che cammina nella notte senza stancarsi ed anche quando al luce scompare, continuano a cercare. Inseguono un vago segno del cielo, cercano un re. E quando arrivano e trovano soltanto un piccolo bambino sanno riconoscere in Lui una promessa di luce, una speranza per il mondo!
Ecco, il contrasto tra il potere della terra, tra la violenza del mondo, tra coloro che hanno sempre la risposta pronta, tra il popolo che si agita e mormora e un pugno di gente appassionata di luce, che va cercando la verità, che non si stanca di camminare, che sa riconoscere in un bambino il segno del futuro!
Vedete, voi non appartenete ai potenti della terra: non ci sono in mezzo a voi gli "Erodi", non ci sono uomini del potere, non ci sono nemmeno i nostri politici, gli uomini delle "tangenti", non ci sono nemmeno in mezzo a noi, per fortuna, i tanti "guru" del nostro tempo: basta che accendiate la radio o la TV e ascoltate i giornalisti che hanno sempre una parola pronta, che sanno sempre rispondere a tutti: sempre dalla parte del potere, sempre dalla parte di chi comanda, sempre pronti a farvi brontolare.
Perché, vedete, voi appartenete al popolo brontolone, al popolo che si lamenta di tutto e di tutti. Mi capitava qualche giorno fa di stare in fila in un ufficio postale - non qui ad Ostia: a Roma, dalle parti dove son nato - e c'era un impiegata delle Poste che diceva quello che capita anche a parecchi di voi di dire spesso: "Vorrei vedere nella tomba tutti questi politici, vorrei che sparissero tutti!" E c'era una persona, con un bel pacchetto di conti correnti da fare che le dava corda e il discorso andava avanti sempre sullo stesso tono: "Bisognerebbe che finissero tutti in galera!" Ma non le passava nemmeno per l'anticamera del cervello, di spicciarsi, di fare presto e bene il suo lavoro. E io stavo lì e mi toccava di aspettare. C'era anche un'altra signora che partecipava a questi discorsi, ma anche lei si guardava bene dal mettere in ordine i suoi soldi, dal preparare gli spiccioli in modo di far presto...
Ecco, il nostro mondo va avanti così: facciamo tutti parte del popolo brontolone! Posso suggerirvi un proposito per l'anno che comincia? Un proposito difficile però eh! Non parlate più, mai, male dei politici, degli uomini che ci governano, almeno finché non aggiungete, seriamente, la domanda: "Cosa si può fare?" Cosa si può fare per cambiare, per fare in modo che il mondo vada un po' meglio? Perché è inutile continuare a dire che tutto va male, che questi sono dei delinquenti, che dovrebbero finire tutti in galera, se non possiamo rispondere alla domanda: "Cosa si può fare?"
Anche voi, ragazzi, che siete qui: cominciate a porvi la domanda, tentate di rispondere, parlatene tra di voi: Parlare è già cominciare a cercare, è già cominciare a inseguire la luce, con passione. Magari troverete soltanto un fantolino, piccolo, piccolo, soltanto una promessa di speranza. Ma, guardate, il mondo è andato avanti perché, ogni tanto, c'è stato qualcuno che ha avuto il coraggio di non brontolare soltanto, ma di domandarsi seriamente: "Cosa si può fare?" C'è stato qualcuno che ha cercato con passione la luce, che si è chiesto dov'era il bene, dov'era la giustizia. Magari i frutti di quella ricerca sono venuti due secoli dopo! Ma qualcuno - come questi Magi - ha cercato con passione, qualcuno ha inseguito la luce, qualcuno ha avuto il coraggio di non fermarsi, quando ha trovato soltanto un bambino. Perché troveremo soltanto un bambino, soltanto una promessa: non troveremo la luce splendente, non troveremo la soluzione dei nostri problemi, soltanto un bambino da coccolare, da cullare, da far crescere. Una speranza di giustizia, una promessa per il futuro: ma noi dobbiamo amare le promesse, amare la ricerca appassionata della luce, amare i fiori che sbocciano, dobbiamo continuare a camminare senza stancarci!
Ecco chi sono i Magi: non seguaci di Zaratustra, non strani personaggi di tanto tempo fa: ma noi! Ciascuno di noi può essere un "Mago", un inseguitore di luce, un cercatore di giustizia! Ciascuno di noi può porre a sé stesso e a chi gli sta intorno la domanda "Cosa possiamo fare, perché ci sia più giustizia, più bene intorno a noi? Cosa si può fare perché la nostra società sia migliore?" Non importa trovare subito la risposta: non è possibile! Chi ha risposte a buon mercato ci inganna! Fa parte dei "guru" che sanno sempre tutto! La risposta la trova gente semplice, nella vita di tutti i giorni, la trova chi cerca con passione la luce, chi sa vedere i segni della speranza, chi sa inventare qualcosa, che oggi è soltanto un seme e che domani fiorirà.
Il Signore ci aiuti!
1993
Avete udito che Gesù ci viene incontro, oggi nel Vangelo, già adulto. Soltanto mercoledì scorso abbiamo letto l'episodio dei Magi: Gesù era ancora un bambino, ancora nelle braccia della Madre. Nel tempo della nostra preghiera i mesi e gli anni passano in fretta: ne sono passati circa trenta. Trent'anni che non dobbiamo dimenticare: 30 anni di silenzio, 30 anni di lavoro, di vita quotidiana. Per 30 anni in un piccolo, sperduto paese della nostra terra, ha condiviso, nell'oscurità più totale, la nostra fatica di essere uomini: la fatica di crescere, di imparare pian piano a leggere e scrivere, poi il duro lavoro di falegname, le mani callose, il sudore della fronte, le lunghe sere passate con gli amici, le ore, i giorni, la vita condivisa...!
Ma adesso Gesù comincia la Sua missione: ha lasciato Nazareth, ha lasciato il suo lavoro, la sua bottega, la sua casa; e si presenta in mezzo alla gente. In questo episodio, forse oscuro e inosservato, di Gesù che si mette in fila, per andare anche Lui, come tanti altri, ad immergersi nell'acqua del Giordano, in un rito di purificazione e rinnovamento, i primi cristiani hanno visto l'inizio della missione di Gesù. E sottolineano il fatto che non dovrebbe mettersi in fila con tutti gli altri: dovrebbe essere dalla parte di Giovanni, dalla parte di chi battezza. Giovanni esprime, con le sue parole, la perplessità, ma anche la gioia di questi cristiani che vedono Gesù non dalla parte di chi battezza, di chi giudica, di chi condanna, ma lo vedono, in fila, accanto a chi ha il cuore pesante, a chi sente il bisogno di essere purificato, rinnovato, a chi ha voglia di riprendere il cammino, accanto a chi cerca la giustizia, a chi cerca il bene!
E questo non è soltanto un episodio, ma è tutto il Vangelo! Tante volte Gesù si è chinato sull'uomo dal cuore pesante, su chi sentiva il peso del peccato, su chi si sentiva fragile, su chi aveva bisogno di salvezza, su chi aveva bisogno di speranza e perdono per riprendere il cammino!
Leggo il Vangelo da tanti anni e mi rimane sempre più difficile capire certe persone, anche qualcuno di voi, quando si sente giudicato dal Signore (capisco che questo fa parte della nostra educazione religiosa, di quella educazione religiosa che tutti ci portiamo dentro); c'è gente che, proprio quando sente il cuore più pesante, quando sente il bisogno di cambiare, quando sente il peso del suo peccato, dice: "Non posso fare la Comunione!" Tante volte ho sentito questi discorsi. Ma perché? È proprio quello il momento in cui dovresti sentirti più vicino a Gesù, perché Lui è venuto proprio per gente come te: per chi non si sente buono, per chi si sente come una canna incrinata o come un lucignolo dalla fiamma smorta, per chi sente il bisogno della giustizia, per chi sente il bisogno di risollevarsi e camminare ancora. Gesù è venuto proprio per te! È venuto per metterti una mano sulla spalla, per invitarti ad andare avanti, per farti sentire la dolcezza del Suo perdono, per invitarti a camminare ancora!
E invece a qualcuno di voi capita - è un difetto della nostra educazione, ma se posso spendere ancora una parola lo faccio volentieri, perché ve la buttiate dietro le spalle - di sentirsi indegno di far la Comunione. Ma è proprio quando più vi sentite in colpa, quando più vi sentite il cuore pesante, quando più sentite il bisogno di qualcuno che vi dica una parola di speranza e di rinnovamento, proprio quello è il momento di far la Comunione, di andare da Gesù con cuore semplice a dirGli (ma non glielo ripetiamo ogni volta?): "Signore, non son degno, guarisci la mia anima!"
Ma poi chi è degno di nutrirsi di Dio?! Siamo tutti povera gente: bisognosi di giustizia, bisognosi di camminare, bisognosi di speranza. In questo nostro tempo in cui, per ciascuno di noi nella nostra vita personale, ma anche per la nostra società, c'è tanto bisogno di giustizia, c'è tanto bisogno di coraggio e di onestà e di impegno: proprio in questo tempo dobbiamo sentirci vicino Gesù! È venuto per camminarci accanto, per condividere la nostra fatica di essere uomini, di cercare il bene, è venuto per metterci nel cuore la fame e la sete di giustizia! Sentiamolo vicino! Che nessuno di noi stasera, si senta allontanato dalla Comunione! Il più peccatore tra noi - ammesso che ci sia uno più peccatore degli altri! - è quello che ha più diritto di incontrarsi con Gesù. È quello a cui Lui per primo si avvicinerebbe, per buttargli le braccia al collo, per mettergli nel cuore la speranza della vita e del bene!
1993
Anche questa domenica, come avete ascoltato, siamo convocati sulle rive del Giordano, per contemplare la stessa scena: Gesù che viene battezzato nel fiume e proclamato Figlio di Dio. Domenica scorsa - vi ricordate? - ascoltavamo questo episodio nelle parole del Vangelo di Matteo, oggi invece è il Vangelo di Giovanni che ci presenta Gesù. Vedete, i primi cristiani, erano forse più saggi di noi, non si contentavano di un solo catechismo: ogni comunità faceva il suo, cercava di esprimere, meglio che poteva, la realtà di Gesù, la Sua presenza in mezzo a noi. E, fra i tanti catechismi delle prime comunità cristiane, ne sono rimasti quattro e sono arrivati fino a noi: ognuno alla sua maniera, con le sue parole, le sue immagini, ci presenta Gesù, ci aiuta a capire Dio, che è venuto a camminare in mezzo a noi.
Mi colpivano, leggendo questa pagina del Vangelo, alcune parole che sono ripetute: Giovanni dice: "Io non lo conoscevo, ma ho visto e rendo testimonianza". Mi son chiesto: "Perché Giovanni dice per ben due volte di non conoscere Gesù? Non erano parenti? Maria non era andata da Elisabetta subito dopo l'annuncio dell'angelo e Giovanni aveva esultato di gioia addirittura nel seno di sua madre? Lo conosceva prima di nascere: che vuol dire adesso ripetere per ben due volte "io non lo conoscevo?" Voi siete persone sagge e capite bene che al tempo di Gesù non c'erano i registratori: le parole che abbiamo ascoltato sono messe in bocca a Giovanni dalla prima comunità cristiana. Ma la domanda resta: cosa vogliono esprimere con queste parole ripetute da Giovanni Battista? Mi son venute in mente un paio di riflessioni: ma potreste farne molte altre.
La prima riflessione è questa: forse anche voi esprimereste allo stesso modo, la meraviglia la gioia, la gratitudine, per aver incontrato una persona straordinaria. Tutti noi, penso, abbiamo incontrato una persona straordinaria, straordinaria magari solo per noi: la persona a cui abbiamo voluto bene per tutta la vita, un amico... Se dovessimo raccontare, cominceremmo probabilmente anche noi così: Io non lo conoscevo, io non l'avevo mai vista, per caso a quella festa... se non fossi andato a quella gita... siamo capitati nella stessa classe... e qualcuno che non avevamo mai visto, che non aspettavamo è diventata la persona più importante della nostra vita.
Così anche i primi cristiani esprimono la gioia, la gratitudine, la meraviglia dell'incontro con Gesù. "Son passato per caso sulla riva del lago e ho incontrato Lui. Io non lo conoscevo e Lui ha attraversato la mia strada, in Lui ho fatto esperienza del perdono, della liberazione, della salvezza, della tenerezza di Dio". E nel descrivere l'inizio della missione di Gesù mettono queste parole in bocca a Giovanni Battista (e magari è la persona sbagliata perché loro si conoscevano da bambini!)
Vedete, sulla terra ci sono più di 5 miliardi di uomini: di essi la maggior parte, più di 4 miliardi, non ha mai sentito parlare di Gesù, noi abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo, abbiamo visto qualcosa di Lui, abbiamo fatto esperienza in Lui della luce di Dio. Ci riunisce qui la gioia di questo incontro con Gesù, la gratitudine per aver fatto esperienza della sua vita.
Un'altra riflessione si può fare e credo sia importante per qualcuno di voi: forse la prima comunità cristiana vuole anche esprimere con queste parole che si può vivere insieme con una persona, essere anche parenti e non conoscere chi è veramente.
Vedete, c'è qualcuno qui stasera che si porta nel cuore il cruccio perché i figlioli non sono qui a condividere l'Eucarestia e magari dicono di non credere in Dio. Qualcuno di voi si sente in colpa, qualcuno giudica questi figlioli. Probabilmente non hanno avuto la fortuna di conoscere il Signore, magari hanno tante volte sentito parlare di Lui, vi hanno visto pregare tante volte, hanno letto il Vangelo, hanno seguito il catechismo, eppure non sono riusciti a conoscere veramente Gesù. Non giudicateli e non fatevi colpe! Se un figliolo non viene in Chiesa, se non crede nel Signore - o dice di non credere, perché chi sa poi cosa c'è nel fondo del cuore dell'uomo! - se voi avete fatto di tutto per fargli conoscere Gesù e lui non ha potuto conoscerlo, spesso non è colpa vostra, né colpa sua: le circostanze della vita lo hanno portato per un'altra strada. Lui non ha avuto la fortuna di incontrare veramente Gesù, di sentirLo nel cuore come Salvatore: l'importante è che abbia nel cuore i valori di Gesù: il senso della bontà e della giustizia, l'attenzione verso gli altri e la tenerezza, il desiderio vivo della pace! Perché questo Gesù è venuto a portarci e noi abbiamo avuto la gioia, la fortuna di scoprire in Lui la salvezza e la luce, per questo siamo qui a ringraziare, a fare "Eucarestia".
1993
Uno dei problemi che incontra l'uomo religioso - quindi, forse, più di uno di noi - è di metter la religione, la fede, tra le cose straordinarie, magiche. L'uomo di fede è spesso portato a vedere le cose che accadono come regolate da un disegno superiore, da una provvidenza che tutto ordina e dispone.
Il Vangelo sembra, ad una prima lettura, pieno di miracoli, di avvenimenti straordinari, di apparizioni di angeli che annunciano ciò che deve accadere: tutto questo sembra corrispondere poco alla nostra vita di tutti i giorni.
Lo vedete anche oggi: abbiamo letto il racconto della chiamata dei discepoli. Gesù passa sulla riva del lago, si rivolge a Pietro: "Vieni con me" e subito Pietro lascia le reti e va. Poi a Giacomo e Giovanni ed anche loro lasciano tutto e vanno. Sembra una cosa magica, sembra tutto già stabilito, non c'è spazio per le nostre esperienze, per la vita di tutti i giorni.
Eppure... (ci riflettevo, preparando qualcosa da dire per questa predica... nel timore di ripetere sempre le stesse cose) a leggere con più attenzione questa pagina del Vangelo si trova una frase che potrebbe colpire anche voi, come ha colpito me la prima volta che mi son fermato a considerarla. "Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato... lasciò la sua casa e cominciò a predicare" Ma come? Gesù non è il Figlio di Dio? Non sa tutto? Non è tutto stabilito in anticipo nella sua vita? Perché Matteo dice: "Quando seppe...? Non capita, dunque, solo a noi di accorgerci della nostra vocazione dalle circostanze che accadono nella vita?
E anche per i discepoli le cose sono andate proprio come abbiamo ascoltato oggi o questo racconto è solo un simbolo della loro vita? Vi accorgerete, andando avanti - quest'anno leggeremo spesso il Vangelo di Matteo - che ritroveremo questi discepoli sul lago, intenti al loro lavoro. Quando Gesù avrà bisogno di una barca, o per parlare alla gente, o per traversare il lago, andrà a chiederla a questi suoi amici, che son rimasti con le mogli e i figli, a guadagnarsi il pane con il loro duro lavoro.
E quando allora hanno lasciato tutto? Perché hanno dovuto abbandonare la casa e il loro bel lago? Tutti sapete che Pietro è venuto a morire a Roma. Pietro ha lasciato la sua barca, il suo lavoro, perché lo hanno cacciato via, lo hanno perseguitato proprio per il suo essere cristiano, perché non voleva cedere all'ingiustizia. Le circostanze della vita lo hanno portato lontano dalla sua terra, lontano dalla sua barca ed ha scoperto che poteva diventare testimone di Gesù nel mondo intero.
Mi son chiesto: e io, come ho scoperto la mia vocazione? Quando Gesù mi ha chiamato? Non ho mai incontrato direttamente Gesù, che mi diceva: "vieni", non è mai venuto un angelo... sono state le circostanze, gli incontri che ho fatto, l'educazione che ho avuto, certe spinte del cuore... Perché sono venuto qui ad Ostia? A me il mare non è mai piaciuto. Non c'ero mai stato, se non qualche volta da bambino e ne porto un ricordo doloroso: la sabbia rovente sotto i piedi. Non pensavo mai di dover venire qua. Eppure ci sono venuto per alcune circostanze strane, per l'incompetenza di qualcuno... e sono stato fortunato a venire tra voi e la mia vocazione era qui: tentare di essere, in mezzo a voi, servitore del Vangelo.
La vocazione di un uomo - la mia vocazione, la vostra - è data dalle circostanze della vita: vi trovate a lavorare in quel posto, abitate in quella casa, con quella moglie o quel marito, i figli fatti a modo loro, il vicino dispettoso al piano di sopra, quel parente un po' antipatico e poi, a volte capita una malattia o un altro guaio... Ecco dentro queste circostanze concrete il Signore ci chiama: ad essere testimoni di luce, ad essere portatori di pace, a metterci al servizio degli altri, a dare un po' di speranza e di gioia...
Mi capitava stamattina di parlare con un amico, impegnato in una industria e di ascoltare i suoi problemi, fatti di rapporti con gli altri non sempre facili, di difficoltà che vengono dai troppi cavilli burocratici, dai tanti problemi per organizzare il lavoro, dal clima che si respira in Italia in questo momento: è lì la sua chiamata, la sua vocazione cristiana può realizzarsi solo nel concreto del suo lavoro. Far quadrare il bilancio della sua società, portare più giustizia ed efficienza nel suo lavoro, fa parte della sua vocazione cristiana, come il pregare o il venire a Messa la domenica.
Vedete, essere cristiani non significa fare cose straordinarie, non scopriamo la vocazione per ché viene un angelo a parlarci, non c'è nella vita un disegno provvidenziale per cui tutto è programmato e stabilito in anticipo.
La vocazione di ciascuno di noi è nelle circostanze che ci accadono: le persone che ci vivono intorno, il posto dove siamo, i problemi del nostro lavoro o della nostra famiglia: e là che Dio ci chiama a mettere tutto il nostro coraggio a servizio del bene, ad essere testimoni della luce, ad accendere la nostra fiammella per la vita, ad impegnarci perché ci sia nel mondo più tenerezza, più giustizia, più pace.
A volte pensiamo a Dio come a Colui che fa miracoli, che regola la nostra vita con un destino superiore e non ci accorgiamo che ci viene incontro e ci chiama ogni giorno, concretamente: "avevo fame e mi hai dato da mangiare, ero triste e mi hai consolato, avevo una lacrima, l'hai asciugata, avevo un problema, mi hai messo la mano sulla spalla, ti sei rimboccato le maniche..."
Questo il Signore ci dirà quando arriveremo davanti a Lui! Questo voi lo fate ogni giorno!
Il Signore ci aiuti a continuare a farlo!
1993
C'è una domanda che mi ha inseguito - o potrei dire "perseguitato" - nella mia vita di prete, tanto che adesso qualcuno ci rimane male, quando me la pone, perché faccio gli occhiacci, come capita quando si è costretti a ripetere sempre le stesse cose. La domanda è questa: "Qual'è la caratteristica del cristiano? Che cosa differenzia un credente da un non credente? Uno che crede in Gesù da uno che non crede in Gesù?" Oppure, se si parla di qualcosa di positivo che un cristiano fa, c'è spesso qualcuno che dice: "Ma questo lo fanno anche quelli che non sono cristiani: lo fanno anche gli uomini di buona volontà!" Qual'è dunque - domandatevelo un momento - la differenza fra un cristiano e uno che non lo è? Tra un credente e uno che non è credente?
Vedete, ci sono tante cose che un credente fa diversamente da uno che non è credente: chi non crede non viene a Messa insieme con noi, non prega, non si fa il segno della Croce, non professa Gesù Cristo come Signore della storia.
Ma, se ci pensate, non è questo il nocciolo della nostra fede, non è questo l'essenziale del credente. L'essenziale lo ritroviamo in queste straordinarie parole, che abbiamo letto stasera. Rileggetevi a casa, quello che abbiamo letto stasera: non si nomina mai Gesù, non si nomina mai quello che facciamo qui, non si nomina mai la preghiera. "Beati i poveri, gli afflitti, beati i miti, beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, beati gli operatori di pace, beati quelli che sanno fare misericordia": ce n'è in ogni angolo della terra! Ci ritroviamo accanto ad ogni uomo di buona volontà!
Vedete: quando arriviamo al nocciolo della nostra fede, al cuore del nostro seguire Gesù, ci ritroviamo fratelli di ogni uomo. Ed è bello! Per me è stato sempre bello; mi ha dato sempre un senso di grande liberazione (anche perché la storia della Chiesa non è sempre andata in questa direzione): scoprire che l'incontro con Gesù non mi divideva da nessuno, se non dal male, dalla negatività che c'è nel mondo!
Quando vi ritrovate nel cuore della fede, vi ritrovate fratelli di ogni uomo che vive sulla faccia della terra: vi ritrovate accanto ad ogni uomo che ha fame e sete di giustizia, accanto ad ogni uomo che si porta nel cuore il desiderio della pace, accanto ad ogni uomo mite, misericordioso, pacifico. Che creda o non creda, che senta o non senta il nome di Gesù, che preghi o non preghi: importa quello che c'è nel profondo del suo cuore.
Vedete, non dovremmo mai dimenticare che le parole di Gesù - nel Vangelo di Matteo, almeno - si aprono con quello che abbiamo letto stasera e si chiudono con le parole che tutti conoscete: "Avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere, ero nudo e mi hai vestito...". "Ma quando, Signore, ti abbiamo visto affamato...?" Vedete, chi parla non è un credente, chi parla non sta qui con noi: chi parla appartiene forse alle sterminate moltitudini della Cina o dell'Africa; o fa parte dei vostri ragazzi, di qualcuno dei vostri figli, che non sono in Chiesa, qui con voi, ma che sanno fare le opere di bene!
Nel cuore della nostra fede Gesù scompare: non è più Lui il criterio di riferimento. Diventa l'amore che c'è nel cuore dell'uomo, la passione per la vita, la fame e la sete di giustizia, la mitezza, la misericordia! E se ci pensate, questa è una grande liberazione! Noi ci ritroviamo qui, fortunati di aver incontrato Gesù, fortunati di essere suoi discepoli, fortunati di poter pregare, di fare la Comunione; siamo qui per ringraziare dei grandi doni ricevuti, ma anche con la gioia che questo non ci separa da nessun uomo di buona volontà, non ci fa diversi dagli altri, ci fa sentire accanto a noi - e possiamo sentirli stasera vicini - tutti quelli che si portano nel cuore sentimenti di pace, quelli che sanno fare opere di pace, quelli che si portano nel cuore la fame e la sete di giustizia.
Fratelli di ogni uomo, fratelli universali! Questa è la nostra fede, questa è la grandezza di Cristo!
Il Signore ci aiuti a conservare queste parole nel cuore!
1993
Due piccole parabole abbiamo letto stasera, due simboli, semplici e profondi, della nostra vita cristiana. Permettetemi, per non ripetere sempre le stesse cose, di dire qualcosa che forse è marginale rispetto a quello che abbiamo letto: una riflessione che mi è capitato di fare più volte nei giorni scorsi.
Chi è il sale? Chi dà senso e sapore alla vita? Chi è luce, chi illumina la nostra esperienza cristiana? La risposta per un cristiano dovrebbe essere ovvia: chi ci fa partecipare all'esperienza di Gesù, chi ci fa partecipi della Sua luce. Eppure vedete, ci capitava di costatare insieme nei giorni scorsi e forse vi sorprenderà, spesso nella storia della Chiesa, non è stato Gesù il modello della santità, il modello della luce, il modello del sale!
Una signora ieri sera diceva: "Io invidio quelli che hanno fede: sembrano sempre sereni, sempre tranquilli, sembrano sempre vivere in pace". Gesù in certi momenti della sua vita non è stato affatto sereno: ha avuto paura, è stato angosciato! Chi dice alla povera gente che avere fede significa non aver mai paura, non essere mai turbati e dubbiosi, che aver fede significa affrontare le difficoltà col sorriso sulle labbra? Non è Gesù il modello della santità?! Perché, chi attraversa, come Lui, un momento di angoscia e di smarrimento, deve sentirsi dire che non ha fede?
Sarà capitato anche a voi di ascoltare, magari alla TV, qualcuno che passa per un "santone", per una persona molto religiosa, proclamare, in nome del Signore, grandi digiuni, grandi rinunzie. Proprio l'altro giorno leggevamo nel Vangelo di Matteo che Gesù era, a differenza di Giovanni Battista, uno che "mangiava e beveva", che andava a cena con i peccatori, con la gente di strada. Girano ancora, purtroppo, lugubri figure che spacciano il loro disprezzo del mondo e del piacere, per virtù e per cristianesimo. Non sono loro "il sale della terra e la luce del mondo"!
A volte capita di incontrare persone - anche qualcuno di voi, non soltanto i vescovi: ci sono vescovi in Italia che sono esperti in questo - che hanno sempre un rimprovero da fare, che hanno sempre pronta una predica con cui affliggere il prossimo. "A fin di bene!": mi dicono quando brontolo un po'. Fanno prediche a tutti: ai figli, ai nipoti, alle nuore, a chiunque incontrano. Hanno sempre qualcosa da criticare, un rimprovero da fare...
Provate ad immaginare gli Apostoli quando lì, sulla riva del lago, Gesù ha detto loro: "Voi siete il sale della terra! Voi siete la luce del mondo!". Si saranno guardati e avranno detto: "No! Forse quella gente brava che sta a Gerusalemme, quelli che vanno tutti i giorni al Tempio a pregare, quelli che sanno fare belle prediche, quelli che fanno grandi digiuni, come Giovanni Battista; forse quelli che sono grandi santi; forse quelli che fanno cose eroiche...".
Io immagino il sorriso di Gesù (deve aver sorriso molto nella sua vita, ascoltando le parole degli uomini...): li avrà guardati negli occhi e avrà detto: "No: voi! Non la gente che moltiplica le preghiere, non la gente che moltiplica i digiuni, non chi ha sempre una predica da fare, non la gente che si mette davanti al Signore e dice: Signore, io sono buono, osservo ogni legge, non sono come gli altri. Voi, gente dalle mani callose, anche se qualche volta vi scappa qualche parolaccia dalla bocca, se non proprio una bestemmia. Voi, che faticate tutto il giorno per portare a casa un po' di pane per i vostri figli. Voi, che vivete con onestà e con tenerezza; voi, che avete fame e sete di giustizia!"
"Voi", avrà detto guardando negli occhi Pietro e gli altri; e lo direbbe ancora, se venisse qui in mezzo a noi e potesse guardarvi negli occhi.
Non moltiplicate le prediche: non servono a niente... e non le sentite nemmeno, comprese le mie: tantomeno le prediche di quelli che parlano alla TV.
Cercate nel profondo del vostro cuore il senso della tenerezza, il senso della giustizia, il senso della bontà! Serve molto di più, nella vita, una carezza che una predica! Serve molto di più un gesto d'amore, il sentire che avete nel cuore la passione per il bene, il senso dell'onestà vera, anziché tanti discorsi, tante chiacchiere! Voi siete il sale della terra: la gente di tutti i giorni, la gente che cerca di fare il bene che può, che lo fa con cuore sincero! La gente che continua a cercare il Signore e la Sua Luce!
1993
Lungo il Vangelo di oggi, vero? E anche complesso: ci vorrebbero ore ed ore per spiegarne qualcosa. State tranquilli: non ho nessuna intenzione di farlo, anche perché siamo ormai a carnevale e non si addicono prediche troppo lunghe al tempo di carnevale.
Con un po' di incoerenza voglio raccontarvi un fattarello - proprio ieri sera dicevo che non conviene raccontare "fattarelli" durante una predica - vediamo se mi riesce di farvi una predica un po' leggera come si conviene a questo periodo.
Dunque, se io nella mia vita non avessi fatto, non uno, ma decine di giuramenti non sarei qui! Mi torna in mente sempre questo, quando leggo questa pagina di Vangelo, perché come avete sentito, il Signore dice di non giurare affatto, né per il cielo, né per la terra, né per la propria testa: non bisogna proprio giurare! Io quando - ormai sono passati quasi 40 anni - sono andato per la prima volta in Seminario, ho dovuto fare subito un giuramento e poi, per diventare prete, ho fatto decine di giuramenti... A quel tempo parlavamo in latino - forse per questo mi sono rimasti impressi - toccava a me di leggere la lunga formula del giuramento: siccome, tra i miei compagni, io ero quello che leggeva più in fretta, allora chiamavano sempre me: "Leggi tu". E via di corsa a leggere il più in fretta possibile. Poi mettevamo la mano sul Vangelo e con grande solennità, dicevamo: "Giuro!"
Se avessi detto al mio buon vecchio Rettore: "Io non voglio giurare, perché Gesù non vuole che si giuri: ha detto chiaramente di non giurare mai!", non mi avrebbe fatto diventare prete: era un dovere per me giurare e non una ma decine di volte. E vedete aveva ragione lui! Se avessi protestato mi avrebbe risposto: "Le parole del Vangelo - era un uomo di straordinaria saggezza - non possono mai diventare una regoletta, una formula da prendere alla lettera. Ci sono circostanze nella storia del mondo, in cui diventa importante fare un giuramento. Adesso tocca a te, fallo e non ci pensare troppo". E difatti lo facevamo in allegria, lui nemmeno assisteva ai nostri giuramenti, perché non ci dava molta importanza, anche perché il tempo in cui quei giuramenti erano importanti era finito da un pezzo. Per noi era un occasione di scherzare un po', di far due risate, per poi tornare a studiare, perché in genere quei giuramenti si facevano in tempo di esami, quando non c'era molto tempo da perdere. E poi quei giuramenti non hanno mai fatto male a nessuno: poche parole biascicate in fretta...
Ma vedete altre parole tra quelle che abbiamo letto oggi, prese alla lettera - pensate alle parole sul divorzio, sul ripudio - hanno fatto soffrire parecchie persone. Più volte ho incontrato delle persone che si sentivano escluse dall'Eucarestia, che sentivano, sulla propria esperienza, il rifiuto della Chiesa.
Le parole del discorso della montagna sono parole grandi, parole che devono scendere nel cuore dell'uomo: non possono diventare regolette, soprattutto non dovrebbero mai servire a metter pesi sulla coscienza della gente.
Che conclusione trarre dal fattarello che vi ho raccontato? Perché i "fattarelli" si raccontano per tirarne una morale, o no? Due conclusioni: una è una specie di barzelletta, l'altra un po' più seria.
Prima conclusione: Contrariamente a quello che dice il proverbio, conviene non ascoltare quello che dicono i preti.
Seconda conclusione: per capire quello che è giusto o sbagliato, per farsi un criterio morale, conviene avere dei grandi valori nel cuore, conservare nella propria coscienza i grandi ideali di Gesù, l'amore per la giustizia, per la pace, per la verità.. e poi occorre tener conto di tutte le circostanze e soprattutto saper guardare negli occhi la gente. Allora vi accorgerete che certe regole non valgono più, che non si possono mai usare delle parole del Vangelo per mettere pesi sulla coscienza della gente.
Non è tanto semplice capire ciò che è bene e ciò che è male: una cosa mi sembra di aver capito: non serve ripetere le frasi del Vangelo come regolette, soprattutto non si possono usare le parole di Gesù per mettere un peso sul cuore di chi tribola.
1993
Sono ormai più di 30 anni che leggo il Vangelo insieme alla gente, l'ho letto anche con parecchi di voi. E quando si arriva a questo punto del Vangelo sempre c'è qualcuno che ha una reazione di sconcerto: qualcuno che rimane turbato da queste parole, che si sente come un peso sul cuore. Le avete ascoltate anche voi: sembrano parole forti, assurde: "Se uno ti percuote su una guancia, tu porgigli anche l'altra... se uno ti chiede un prestito, tu daglielo... se uno vuol fare con te un chilometro, tu fanne due... amate i vostri nemici..." C'è gente che di fronte a queste parole rimane turbata, preoccupata. Sono convinto che quando il Vangelo porta angustia e turbamento c'è qualcosa che non va. Per lungo tempo mi son posto la domanda: "Perché di fronte a queste parole c'è sempre qualcuno che rimane turbato?" Ci ho messo parecchio a capire... mi sembra di aver intuito qualcosa: cerco di dirvelo, stasera, il più in fretta possibile, sperando di non far confusione e di mostrarvi la gioia di questa pagina e non solo il suo peso!
Vedete, è che noi spesso cerchiamo nel Vangelo quello che ci serve per la nostra vita: una regola morale, un'indicazione per il nostro comportamento, una regola per vivere o un modo per insegnare agli altri - molti di voi hanno figli e nipoti -, una guida per dare una buona educazione.
Ma quando leggiamo il Vangelo a partire dai nostri bisogni, da quello che ci serve, rischiamo di dimenticarci lo stupore di chi va cercando Dio, di chi va cercando di intravedere qualcosa del cuore di Dio e questo è molto più importante che avere qualche regola di comportamento, perché Dio è la radice stessa della vita, di tutto quello che noi siamo, di tutto quello che ci circonda!
Se noi riuscissimo a capire qualcosa del cuore di Dio, avremmo il segreto di quello che è la nostra vita! E mi sembra che in questa pagina tocchiamo con mano qualche cosa del Mistero del cuore di Dio: avete notato che per due volte si dice: "Comportatevi come Dio, siate come Lui che fa piovere sui giusti e sui cattivi... Siate perfetti come il Padre...". Riusciamo a intravedere qualcosa del mistero di Dio che è Amore totale, Amore che sa andare al di là del nemico, di chi fa il male, Amore che non si scoraggia di fronte a chi lo offende.
Vedete, noi uomini spesso parliamo di Dio a partire dai nostri bisogni, dalle nostre debolezze, proiettiamo in Lui i nostri desideri. Ed uno dei bisogni più forti che abbiamo è il bisogno di giustizia. La giustizia, che spesso manca in questa vita, l'uomo la proietta nell'altra: una giustizia, assoluta, divina, definitiva. E spesso non è solo desiderio di giustizia, ma di vendetta... Se andate in giro per l'Italia, trovate tante - a volte straordinarie - rappresentazioni dell'inferno, del fuoco: Dio deve fare giustizia: tutti quelli che hanno odiato, tutti quelli che ci hanno fatto del male, tutti quelli che hanno rovinato la vita degli altri, chi ha ucciso, chi ha odiato, chi lo ha offeso e bestemmiato, deve mandarli giù, nel grande forno di fuoco!
Rileggetevi a casa la pagina di Vangelo di oggi: Dio ci comanda di amare i nemici. E lui non li amerà? Potrà condannarli al fuoco, al dolore, alla lontananza per sempre? È questo il Dio in cui crediamo: un Dio che si lascia sconfiggere dal male? Capite perché tutti i giusti che hanno attraversato la terra hanno sentito che c'era qualcosa di stridente nell'idea dell'inferno. Hanno intuito che era il nostro bisogno di giustizia, il nostro desiderio di vendetta, ma che il cuore di Dio doveva essere più grande.
Ce lo rivelano queste parole, che a qualcuno di voi sembrano così sconcertanti: Dio dice: "Ama il tuo nemico", ci invita a mettere l'amore alla radice di tutto, a non odiare il nemico, perché significherebbe far vincere l'odio!
Ma se devo farlo io, Lui non lo farà? Come può permettere che per l'eternità rimanga l'odio? Come non riuscirà Lui, ad amare anche i suoi nemici? Come non potrà fare in modo che tutti, tutti i suoi figli, conoscano un giorno l'amore? È possibile che solo il dolore, la sofferenza siano la punizione del male? Dio non saprà inventare qualcosa di diverso?
Vedete la grandezza di questa pagina: possiamo capirne qualcosa quando non ci domandiamo: "Come mi devo comportare? Quando devo porgere la guancia al nemico?" Ma quando ci chiediamo: "Cosa in queste parole riesco a intravedere del cuore di Dio"?
Chi è Dio? È solo la proiezione dei miei bisogni, del mio bisogno di aiuto nei momenti difficili, del mio desiderio di giustizia o di vendetta? Oppure è la gratuità assoluta, la capacità di voler bene al di là di tutto, di andare al di là di ogni odio, di ogni vendetta? Dio potrà essere sconfitto dal nostro odio o sarà capace di far spuntare nel cuore di ogni figlio la capacita di amare?
La risposta del Vangelo di oggi mi sembra chiara: No! Lui è più grande di tutto, Lui è capace di amare anche i nemici! Anche se ci capitasse di offenderlo, Dio è più grande della nostra offesa! Perché Dio è solo amore, incapace di odio, incapace di vendetta, incapace di sopportare che l'odio, il dolore, il male, siano le ultime parole del mondo!
Ecco la grandezza di questa pagina di Vangelo! Poi, nella vita di ogni giorno, cercheremo di capire queste parole, di portare un pizzico di quell'amore che c'è nel cuore di Dio!
1993
Noi, purtroppo - penso di potervi coinvolgere - siamo come Adamo ed Eva, non come Gesù: non riusciamo a resistere alle tentazioni! Ognuno di noi ha le sue tentazioni, ogni stagione della vita ha le sue tentazioni. Anche oggi, come in ogni tempo, siamo tentati di rinchiuderci nel proprio guscio, di farci ciascuno i fatti propri: avete ascoltato la tentazione di Gesù, il diavolo gli dice: "Tu puoi trasformare la pietra in pane, fallo per te, che t'importa degli altri?"
Oggi, forse più che in altri tempi, abbiamo voglia di mostrarci, di apparire: siamo pieni di televisione, di gente che cerca, in ogni modo, di mettersi in mostra, che grida sempre più forte per farsi vedere e magari ricevere l'applauso della gente.
Ma forse la tentazione più forte che attraversa i nostri giorni, in questo momento in Italia, è la tentazione della sfiducia, dello scoraggiamento: è il vedere che tutto va male, la sensazione che tutto vada in rovina, che tutto si sciupi, senza sapere cosa fare!
Vedete, sono convinto che le parole servono a poco, forse tutti dovremmo - Papa, Vescovi, parroco, per primi - smettere per un certo tempo di parlare. E servono a poco soprattutto le prediche!
Mi permettete allora, stasera, di piantarla qui? Di cominciare la Quaresima lasciandovi un po' di silenzio? Sono convinto che è l'ora di smettere di dire tante parole, è il momento che ciascuno di noi - l'adulto, l'anziano, come il bambino - si domandi con serietà: "Io che posso fare? A cosa posso "rinunciare" del male che c'è dentro di me e intorno a me?"
Basta moltiplicare le parole! Basta moltiplicare le prediche, i gridi, i rimproveri! Basta lamentarci! Facciamo un po' di silenzio! Questa Quaresima ci aiuti a farlo un po' tutti - io per primo - e a domandarci serenamente: "Che posso fare?"
Vedete, uno dei segni importanti della cerimonia del Battesimo è la rinuncia al male, tra poco io vi inviterò a dire per tre volte "Rinuncio". Adesso vorrei lasciarvi un pochino di tempo per preparare questo momento: all'inizio della Messa vi hanno dato un foglio, scritto da un gruppo di genitori e di bambini: parole semplici! Leggetele tutte, comprese le rinunce dei bambini... E tenete presenti le prime parole che hanno scritto: Vi offriamo queste nostre parole con semplicità, forse le vostre rinunce saranno altre... Ecco, ciascuno di noi trovi la propria rinuncia.
A cosa posso "rinunciare"? Forse soltanto a dire una parola di troppo ad aumentare lo scoraggiamento e la sfiducia che c'è in giro... Ma basta! avevo promesso di limitare le parole mi fermo qui.
Prendete se volete in mano il foglio: qualche minuto di tempo per leggerlo, o se preferite, per fare a meno di leggerlo, per trovare ciascuno le nostre "rinunce": poi ripeteremo le promesse del nostro Battesimo, ma ve lo dirò al momento opportuno...
Ecco, adesso possiamo alzarci, ora siamo invitati a ripetere per tre volte "rinuncio". Veramente il momento solenne in cui ripetere queste rinunce sarà la notte di Pasqua, ma anche quello sarà soltanto un segno, soltanto un rito, che occorre preparare con qualcosa di concreto in questa Quaresima, perché la Quaresima è un tempo che invita a rinunciare al male a ciò che sciupa la vita.
Vi invito allora a dire per tre volte: "Rinuncio!"
1993
Io spero che la grande maggioranza di voi, se non proprio tutti, abbiate fatto esperienza che l'incontro con Gesù è un incontro di luce, un incontro che dà senso, un incontro che riempie la vita! Dico: spero che tutti abbiate questa esperienza, perché a volte ho incontrato qualcuno che ha paura del Signore, che lo sente contrario alla gioia di vivere, all'impegno di essere uomini, all'attenzione verso gli altri e verso i problemi di ogni giorno. Io ho avuto la fortuna - e spero di cuore che l'abbiate avuta tutti voi - di aver sempre ritrovato in Gesù ogni cosa bella, ogni cosa che dà gusto e senso alla vita. Ho avuto la fortuna di ritrovare in Lui tutto ciò che è buono, bello, luminoso in questo nostro mondo.
Se avete fatto almeno un po' questa esperienza potete comprendere il Vangelo di oggi: i discepoli raccontano di aver visto Gesù spendente come il sole, con le vesti diventate bianche come la luce. Chi sa cosa avranno visto... o forse non hanno visto nulla! Hanno solo fatto l'esperienza - che anche io e la maggior parte di voi possiamo raccontare -: qualche volta nella vita, Gesù si sente proprio vicino, sembra quasi di toccar con mano, la sua bontà, la sua esperienza, la sua Parola, capita, a volte, di vivere un momento magico in cui l'amore di Gesù, i suoi valori sembrano proprio evidenti, un momento in cui ci si trova lontano dalla folla e le parole di Gesù sembrano spendenti come il sole, "parole di vita eterna"!
Spero che tutti voi abbiate avuto momenti così: sono momenti preziosi nella vita. Ma, vedete, quando si sente tutto l'entusiasmo dell'incontro con Gesù, quando sembra quasi di toccare con mano la sua luce, il suo amore, viene la tentazione: è quella di pensare che la fede stia tutta nel sentimento, nell'entusiasmo e poi quando l'entusiasmo non c'è più e tornano i dubbi e si fa fatica a credere, sembra di non aver più fede. E la tentazione di fermarsi sul monte, di dimenticarsi della gente. dei problemi di ogni giorno... non ci hanno detto, qualche volta, di pensare solo a salvarci l'anima, al paradiso, di cercare la luce di Dio e non dar peso alle cose della terra.
Avete ascoltato Pietro: "Signore fermiamoci qui, facciamo le tende!" Perché tornare laggiù, in mezzo alla gente...?
Tutto sparisce. E abbiamo letto la frase più impressionante del Vangelo: "Non videro più nessuno: c'era soltanto Gesù!" Non vi sembra impressionante? Gesù diventa "nessuno"! Ma quante volte, anche a noi, nella fatica di vivere, Gesù è sembrato "nessuno"! Quante volte ci siamo guardati intorno e quello che avevamo sentito nel cuore - la bellezza dell'onestà, della giustizia, dell'amore - tutto sembrava un'illusione: magari andando in ufficio, o addirittura tra i parenti e gli amici, ci siamo a volte domandati: "Ma dov'è qui l'amore, dov'è l'onestà, il perdono, la tenerezza... la gente litiga, tutti cercano di farsi le scarpe, ognuno cerca di arrivare sempre primo..."
Se rileggete il Vangelo, vedrete che l'episodio di oggi capita in un momento di smarrimento e di paura, in cui il bene non sembra esserci più, i cui la gente rifiuta Gesù, quando si comincia a parlare di passione e di croce! Bisogna tornare a quei momenti in cui tutto sembrava vero e bello, in cui Gesù era luminoso come il sole, per trovare il coraggio di continuare a camminare, per vedere oltre la notte del Calvario, la luce di Pasqua.
Se capisco bene in questo momento in Italia, ne abbiamo tutti bisogno: rischiamo di scoraggiarci, di farci prendere dalla paura, di cedere alla tentazione di fermarci sulla montagna, nel guscio delle nostre chiese o delle nostre famiglie. È il tempo di ritrovare dentro di noi il coraggio della fede, di dire ancora: "Gesù ha ragione, noi ci crediamo, crediamo sul serio nell'onestà, nel bene, nella giustizia, nella verità!"
Aver fede non significa venir qui in Chiesa, cantare dei bei canti, ascoltare delle belle parole, provare dei buoni sentimenti: aver fede significa tornare nel posto dove lavoriamo, in mezzo alla gente, e continuare a credere nelle cose in cui ha creduto Gesù, nelle cose che Gesù ha amato, nelle cose per cui Gesù è vissuto.
Ora vi invito a salire sul monte, ad ascoltare la voce del Padre... non potremo fermarci qui, torneremo un mezzo alla gente e là sarà un po' più complicato... Vi invito a professare la fede.. le parole non contano - noi useremo l'antico simbolo apostolico - conta la decisione di credere in tutto ciò in cui ha creduto Gesù, conta la decisione di camminare con Lui, di tentare di vivere come Lui ha vissuto. Noi vogliamo vivere l'amore, la giustizia, il bene, vogliamo lasciarci prendere per mano, da Gesù, vogliamo tenere accesa la Sua luce. Questo siamo invitati a fare stasera, preparando la nostra Pasqua, rivivendo, il "si" del Battesimo, la scelta di seguire Gesù.
Allora, se volete, ci alziamo in piedi, prendete in mano il foglio che vi hanno dato all'inizio, leggeremo quello che è scritto a caratteri grandi. È il credo che tutti abbiamo recitato tante volte, parole che forse non sono più le nostre. Dietro troverete la professione di fede che hanno fatto un gruppo di genitori e di ragazzi, parole semplici, che forse lasceranno perplessi più d'uno di voi, ma forse vi aiuteranno a pensare, a ridire ciascuno personalmente la sua fede in Gesù: perché vedete, non sono importanti le parole: noi tentiamo di dire che Gesù ha ragione che vogliamo camminare con Lui, che in Lui c'è la Luce, la vita! Lo diciamo con queste parole antiche, che tanti, tanti cristiani, hanno recitato prima di noi.
1993
Io mi convinco sempre di più che senza la parola del Vangelo la nostra religione - e questo può succedere in tante religioni - diventa religione della paura, religione del timore (timore di Dio, timore della vita), o soltanto un rito che si ripete, perché così si é sempre fatto.
Vedete, l'acqua é il segno forse più importante del nostro Battesimo: tra qualche momento ne attingeremo un po' qui, dal nostro Fonte, che nella nostra chiesa, come in molte chiese moderne, è messo in mezzo, lì davanti, perché entrando ripensiamo all'acqua, segno del nostro Battesimo.
Ma se domandate ad un genitore che sta per portare il figlio a battezzare, o meglio se io domandassi a voi: "Perché l'acqua? Di che cosa é segno l'acqua?" Penso che molti di voi risponderebbero: "Ma come, di che cosa é segno? L'acqua serve per lavarsi, per pulire: noi nel giorno del Battesimo siamo stati lavati, lavati da una macchia, dalla macchia del peccato" Non é così, che rispondereste molti di voi? Forse a qualcuno di voi é capitato di suggerire, magari di insistere, con un figlio, o un nipote, che era un po' restio a portare il bambino a battezzare, di dirgli: "Perché vuoi lasciarlo senza Battesimo?!", e magari vi portavate dentro il timore, che senza Battesimo, quel bambino fosse diverso o, che so, gli potesse succedere qualche cosa, forse un castigo di Dio, per quella oscura colpa non cancellata.
Quando io ero ragazzo, mi dicevano che, se un bambino non viene battezzato finisce nel "Limbo", escluso per sempre dall'amore di Dio!
Vedete, l'acqua è ancora, per troppa gente, acqua che serve per lavare, acqua che serve per allontanare il possibile castigo di Dio, acqua che serve per liberare il bambino da chi sa che cosa.
Ma, avete notato? Nel Vangelo che abbiamo letto l'acqua non serve per lavare: potete provare a rileggerlo a casa: non si parla mai di acqua che pulisce, di acqua che toglie qualche macchia, di acqua che libera da qualcosa, di acqua che toglie una colpa! È invece acqua che sazia la sete, acqua che disseta, acqua che dà vita! Questo è il segno dell'acqua!
Disseta, dà vita, a questa donna - ed ecco l'altro simbolo del Vangelo d'oggi - che ha avuto cinque mariti, l'uomo che ha adesso non è suo marito. Era allora, ma forse lo sarebbe anche oggi, segno di una che ha cercato, con affanno, di saziare la sua sete di vita e di amore, che é corsa dietro a tante cose, ma é stata incapace di amare sul serio!
Quando incontra Gesù, Lui le offre un'altra acqua: l'acqua dei valori autentici, l'acqua che dà senso profondo alla vita, l'acqua che rende capaci di comprendere fino in fondo che cosa è vivere, che rende capaci di amare, che dà libertà e gratuità, che fa trovare il senso profondo della vita.
L'acqua che troviamo in Cristo é l'acqua che colma, che sazia la nostra sete, sete di vita, sete di autenticità, sete di libertà, sete di valori autentici! È questo il senso del Battesimo!
Adesso ci porteranno l'acqua in una piccola ciotola, simile a quella che un tempo trovavamo - i meno giovani lo ricorderanno - alle porte della chiesa, allora ci segnavamo: un segno di purificazione, un segno per invocare la protezione di Dio, un segno un po' magico che serviva ad allontanare il male... Niente di tutto questo: é un segno di Gesù, è un segno della nostra fede in Lui, fonte di acqua viva! Toccando quell'acqua dite: "Si, io credo in Gesù! Credo che vivendo come Lui, io posso trovare le cose autentiche della vita! Credo che, saziandomi di Cristo, la sete di vita, la sete di giustizia, la sete di amore, la sete di verità, che mi porto dentro, si colma!"
È Cristo l'acqua viva! Non serve per togliere le macchie, ma ci dona i valori più veri, è l'acqua che ci dona verità, è l'acqua che ci dona la vita!
21 marzo 1993
Fin dai primi tempi della Chiesa, nel cammino che conduce alla Pasqua, si legge questa pagina del Vangelo: il cristiano si ritrova in questo cieco che "va, si lava e torna che ci vede". È uno dei grandi segni del nostro Battesimo: ricordate, domenica scorsa era l'acqua che disseta e dà vita, oggi è la luce, che illumina, che dirada le tenebre, che permette di vedere uomini e cose con occhi nuovi. Abbiamo anche ascoltato la forte parola dell'apostolo Paolo: "Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore!" Quando i primi Cristiani si ritrovavano insieme nella notte di Pasqua e, nel buio, accendevano la loro piccola luce al grande Cero, simbolo di Gesù, si sentivano illuminati da Lui, si ripetevano "Ecco, noi eravamo tenebra adesso Cristo ci ha illuminati, ci ha fatto risplendere, siamo diventati luce nel Signore!"
Perché erano "tenebra"? Perché usavano queste parole? Perché sentivano di aver vissuto fino all'incontro con Gesù, come immersi nell'oscurità, nella violenza, nelle cose fatte di nascosto, nelle tante ingiustizie che attraversavano il mondo antico. Non bisogna dimenticare: al tempo di Gesù due terzi degli uomini, nel bacino del Mediterraneo, erano schiavi, la gente andava allo stadio non per vedere una partita di pallone o una corrida, ma lo spettacolo di uomini che lottavano e si uccidevano.
Non vi sembra però di aver ritrovato nelle parole di Paolo un po' del mondo dei nostri giorni? Le cose vergognose, fatte di nascosto, le tante ingiustizie che riempiono i titoli dei nostri giornali?
I primi Cristiani sentivano nel profondo di sé stessi, che Gesù li aveva portati fuori da un mondo di ingiustizia, da un mondo di violenza, di sopraffazioni, di sotterfugi, di ingiustizie, in Lui avevano trovato la luce, avevano scoperto la dimensione più vera della vita, in Lui avevano trovato il coraggio della giustizia, la forza di condividere la vita, la voglia di amare!
E quando ai primi Cristiani, nella notte di Pasqua - come faremo anche noi nella prossima Veglia di Pasqua - veniva messa nelle mani una piccola candela accesa, la stringevano forte e dicevano "Ecco, é la luce di Gesù! È Lui che può illuminare la mia vita! Questa luce tenterò di portare nel mondo, perché rischiari i miei passi, perché mi faccia vedere quello che è giusto, perché mi faccia capire quello che accade, perché mi aiuti a riconoscere, in chi incontro sulla mia strada, un fratello, perché anch'io possa essere luce per chi vive con me!"
Vedete, questa luce a volte diventa flebile, come un lucignolo che fumiga, sembra quasi che stia per spegnersi. La nostra fede é fede di "povera gente", a volte vacillante: per fortuna abbiamo un Maestro che non é venuto a spegnere i lucignoli che fumigano, che non darà mai l'ultimo soffio sulla nostra povera candela! Anche noi, come tanti ciechi del Vangelo, dobbiamo continuare a chiedere: "Signore, fa' che io ci veda, aprimi gli occhi!" Non c’è bisogno tanto che gli occhi si aprano qui, quando siamo in Chiesa, quando tutto sembra bello, quando possiamo cantare i nostri canti. Ma quando, domani, dopodomani, tornerete nel posto di lavoro, riaprirete il giornale, vi guarderete intorno, e troverete intorno a voi, ma anche dentro voi stessi, il desiderio dell'ingiustizia, di far le cose di nascosto, di non essere del tutto onesti, di non essere del tutto leali, allora è il momento di riprendere in mano quella candela e dire "No! Cristo mi ha illuminato, Lui mi ha dato la luce, per credere nell'onestà, nella giustizia, nel bene!"
In Lui ogni giorno possiamo trovare il coraggio di credere, di sperare, di essere luce, di vivere nel bene, nella giustizia, nell'amore: per questo è venuto Gesù! Per questo, non una volta sola, ma ogni giorno, gridiamo: "Signore fa' che io ci veda! Signore illumina la mia vita!"
1993
Ecco, dunque, l'ultimo grande segno del nostro Battesimo, il più forte, il più potente: la resurrezione, il passaggio dalla morte alla vita. Vedete, nella notte di Pasqua, quando i Cristiani si ritrovavano, come faremo anche noi fra due domeniche, per celebrare la resurrezione del Signore, per gridare la Sua vittoria, per dirsi che non era la violenza, l'ingiustizia, la sopraffazione, la disonestà l'ultima parola del mondo, ma che l'ultima parola era la vita di Gesù, i Suoi valori, la ricchezza del Suo amore, i Cristiani erano invitati ad unirsi a questa resurrezione, a vivere nel loro intimo l'esperienza di Gesù.
Il Battesimo che tutti i primi Cristiani hanno ricevuto nella notte di Pasqua, era proprio carico di questi segni: segni di passaggio. Loro venivano battezzati nella grande vasca, si immergevano completamente nell'acqua e ricordavano le parole di Paolo: "Voi siete sepolti con Cristo nella morte". Vi lasciate dietro le spalle il vecchio uomo, il vecchio mondo, la vecchia ingiustizia, la disonestà, la malvagità, l'egoismo, il male. Voi risorgete ad una vita nuova, passate attraverso l'acqua: nasce di nuovo la vita!" E si rivestivano con la veste bianca: non é tanto il segno della purezza nuova, come noi possiamo pensare; dicevano ancora le parole di Paolo: "Vi siete rivestiti di Cristo", quasi: non vivete più voi, é Cristo ormai che vive in voi: sono i Suoi valori, la pienezza della Sua vita, del Suo Amore.
Vedete, questo modo di pensare: il passaggio dalla morte alla vita, riempie il linguaggio dei primi Cristiani: chi di voi ha fatto l'esperienza di leggere il Vangelo sa che se non si tiene presente questo modo di parlare, non si capiscono tante parole del Vangelo. Era un'immagine forte che ogni Cristiano si portava nel cuore: "noi siamo gente passata dalla morte alla vita!" Per questo nel cammino di preparazione alla notte di Pasqua, l'ultimo Vangelo che leggevano era proprio quello che abbiamo letto anche noi oggi: una pagina da non leggersi come un racconto, come un fatto di cronaca, da non prendersi alla lettera, (sarebbero troppe le domande che vengono in mente), ma in cui occorre vedere il grande simbolo della nostra vita.
Chi é il Cristiano? Il Cristiano é uno che ha accettato di morire al male, per vivere in Cristo una vita nuova. Voi direte: "Ma non ci riusciamo!" Lo so che non ci riusciamo: ma é l'ideale della nostra vita, è la nostra vocazione: lasciarci dietro le spalle tutto quello che sa di morte, tutto quello che sciupa la vita, tutto quello che la rende meno bella, tutto quello che rovina ciò che noi siamo e quello che abbiamo intorno. Tutto ciò che fa più brutta la vita nostra e quella di chi ci sta accanto: l'intolleranza, la tristezza, la sfiducia, la mancanza di tenerezza... Siamo invitati a trovare la forza per buttare tutto questo dietro le spalle, per guardare verso Gesù, per rivestirci di Lui, della Sua fiducia, della Sua vita, del Suo amore, del Suo coraggio, della Sua speranza! Siamo gente chiamata a donarci alla vita, al bene, alla speranza, al futuro: siamo chiamati a rivestirci di Cristo!
Lo Spirito Santo ci aiuti a vivere questi grandi segni del nostro Battesimo, a far sì che la nostra Pasqua sia anche per noi un passaggio dalla morte alla vita, dalla sfiducia alla speranza, dal male al bene, dall'egoismo all'amore: da tutto quello che rende meno bella la vita, ai valori in cui Gesù ha creduto, per cui è vissuto, per cui é morto, ma per cui é anche risorto e vive per sempre! Sono valori eterni, i valori in cui noi vogliamo credere, i valori in cui vogliamo sperare.
Il Signore ci aiuti!
1993
Ancora una volta é lei, questa donna sconosciuta, che ci introduce nella settimana più santa dell'anno. Forse lo avete notato tutti: il Vangelo non ci ha tramandato il suo nome. Siamo in casa di "Simone il lebbroso": di lui si conosce il nome, ma di lei no: è una donna sconosciuta. Può essere una di voi e qui non facciamo più distinzione fra uomini e donne. Può essere ciascuno di noi: e Matteo vuole che tutti noi ci ritroviamo in questa donna, ci identifichiamo con lei. Entra portando tra le mani il vaso di profumo "molto prezioso": è il simbolo della sua vita! E lo spezza, lo dona, dà tutto quello che ha, senza far calcoli. Lei sa guardare negli occhi Gesù, sa riconoscere in Lui il povero, bisognoso di tenerezza e di affetto, e sa dare tutta sé stessa!
Un pizzico della gratuità e dell'amore di questa donna è l'unica cosa che può permetterci di seguire Gesù in questi giorni, di camminare con Lui: è il cuore della nostra fede!
Vedete, noi siamo povera gente, dal cuore spesso pesante, ma siamo qui proprio per cercare di avere nel cuore un pizzico dell'amore, della gratuità che spinge questa donna. È lei che ci introduce nei grandi racconti di questa settimana: è lei che ci porterà accanto alla tavola dove Gesù spezza il pane, dove dona sé stesso; è lei che ci porterà sotto la Croce, dove vedremo l'Amore che sa essere fedele fino a donare la vita!
E con un po' dell'amore di questa donna potremo capire e lasciarci prendere per mano da Gesù e tentare di camminare con Lui!
Il fondamento della vita cristiana è proprio qui, nel portarci nel cuore un po' di questa gratuità, un po' di questa capacità di amare, gli occhi sgranati, la meraviglia e lo stupore verso chi vive con noi, la capacità di riconoscere, di guardare negli occhi chi ci sta accanto, la capacità di donare senza far troppi calcoli.
In questo tempo, in cui, ogni giorno, sentiamo calcoli - calcoli di soldi e dati e ricevuti e nascosti - un pizzico di gratuità, un pizzico di capacità di non calcolare, di non far conti, di non guardare sempre al proprio interesse, un pizzico di amore autentico: soltanto questo dobbiamo chiedere allo Spirito, perché ci permetta di seguire Gesù.
La Sua vita è stata solo Gratuità e Amore: non ha fatto calcoli per noi. Lui che era Dio, si è fatto uno di noi, ha inventato di farsi Pane, Lo celebreremo su questa Croce. Se Lo seguiamo fino là potremo gridare, sabato notte, il grande "Alleluia" di Pasqua: la forza della Resurrezione, l'Amore più forte di ogni cosa, più forte della morte!
Il Signore ci aiuti!
1993
È importante anche per noi, come per i cristiani di ogni tempo, ritornare in quella sala in cui Gesù ha per la prima volta istituito l'Eucarestia. È importante, sapete perché? Perché, come i cristiani di tutti i tempi, siamo povera gente e abbiamo anche noi la tentazione di difenderci da Dio, da quello che Lui ha inventato per noi, abbiamo paura di essere coinvolti nel suo Amore.
Guardate i miei abiti: tanti secoli hanno costruito questo vestito strano, che in qualche modo mi divide da voi. Guardate questo altare, con tutti gli ornamenti che ci abbiamo messo intorno: anche questo è un modo per dire al Signore: "Tu stai di là, che noi stiamo di qua". Per lunghi secoli abbiamo usato per l'Eucarestia una lingua che nessuno parlava più. E, se riflettete un attimo, quello che spesso ci spinge a venire in Chiesa ha poco a che fare con la nostra vita di tutti i giorni: ci capita di venire in Chiesa per invocare una grazia dal Signore; per fare memoria dei nostri morti, per sentirci buoni, per osservare una legge...
Non era questa l'intenzione del Signore. Vedete, non ha chiamato i suoi discepoli in un luogo speciale, in una stanza diversa: non c'erano ancora gli altari, non c'erano tutte queste cose, a quel tempo. Lui ha preso un po' di pane e un po' di vino, le cose più normali che ci sono sulla tavola di ogni giorno. Ha radunato i suoi in una stanza qualunque, con un tavolo qualunque, con delle sedie qualunque, facevano tutti parte della gente qualunque: nel cuore della vita quotidiana, nella vita di tutti i giorni, Gesù voleva collocare la Sua memoria. Non voleva che ci ricordassimo di Lui soltanto quando abbiamo bisogno, soltanto quando sentiamo qualche buon sentimento che ci porta verso il cielo.
Lui voleva che il dono di sé, la Sua vita spesa per noi, il Suo pane spezzato si collocassero nel cuore della vita di tutti i giorni. Nel nostro quotidiano, come sua eredità, ci ha lasciato il gesto di cui abbiamo sentito far memoria nel Vangelo: si è chinato a lavare i piedi e, guardando negli occhi i discepoli, ha detto: "Avete capito quello che ho fatto? Io, il Signore, il Maestro, vi ho lavato i piedi: anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri".
Lavarci i piedi, metterci al servizio gli uni degli altri, condividere la vita: questo è il cuore della nostra esistenza cristiana: il servizio di ogni giorno! E vedete, il servizio di ogni giorno non è nemmeno quello che alcuni di voi sempre di più per fortuna! fanno: c'è chi va all'ospedale, c'è chi si dedica ai più poveri, c'è chi va alla mensa, chi va in carcere, chi aiuta i ragazzi a studiare. Ci sono anche i giovani, che lo fanno sempre di più e a volte sono commoventi: lo fanno con tenerezza, con dedizione! Tutto questo è importante.
Ma non dimenticatelo: non c'era niente di tutto questo, quando Gesù parlava ai suoi discepoli. Per Pietro il suo servizio era buttar le reti, faticosamente, ogni giorno, tirar su qualche magro pesce per sfamare la sua famiglia e magari per condividerne un po' anche con chi aveva fame. Non dimentichiamolo mai: Gesù ha collocato l'Eucarestia, il Suo gesto, la Sua memoria, nel nostro quotidiano: il lavoro di ogni giorno, il condividere la vita in casa, la fatica di crescere i figli: è questo il primo servizio. Il lavoro fatto con generosità e onestà, con scrupolo e senso del dovere, la fatica di crescere, di accettare sé stessi e quelli che ci stanno intorno, la vita condivisa e donata con tenerezza, l'attenzione ai più "piccoli", a chi è in difficoltà, l'amicizia, la generosità e la solidarietà di ogni giorno: questa è la vita cristiana! Non soltanto il venire qui per le nostre celebrazioni, non soltanto una mezz'ora la Domenica passata qui in Chiesa, in una cerimonia che a qualcuno dei ragazzi risulta anche pesante: non è questo l'essenziale della vita cristiana!
Noi ci ritroviamo qui per prendere in mano la vita donata di Gesù, per fare esperienza del Suo amore, per fare esperienza del Suo servizio, del Suo chinarsi a lavarci i piedi; ma per poi viverlo ogni giorno: nella vita condivisa, nell'amore che riusciamo a scambiarci, nel lavoro di ogni giorno.
E là, nella vita di ogni giorno, possiamo ritrovarci fratelli anche di chi non viene con noi, la domenica, a celebrare l'Eucarestia: non è importante che non sia qui la domenica! È importante che ci ritroviamo nella giustizia, nel servizio, nell'amore, nell'onestà, nella tenerezza di ogni giorno. Allora là ci sentiremo fratelli di ogni uomo e con loro cercheremo di condividere la vita! Perché è questo che Gesù ci ha insegnato, è questo quello che ci chiede qui, spezzando il pane per noi, chinandosi a lavarci i piedi!
1993
Era buia la chiesa poco fa e nella chiesa buia abbiamo acceso il grande Cero di Pasqua, il simbolo di Gesù risorto; e piano piano a quella luce abbiamo acceso le nostre candele. Passano a volte dei momenti - nella storia personale di un uomo, a volte nella storia di una nazione, di un popolo, di una Chiesa - in cui questa notte si sente con più forza. Ma non dimenticate: i cristiani di tutte le generazioni si sono ritrovati in una chiesa buia ed hanno portato in quella chiesa il Cero di Pasqua, il simbolo della luce di Cristo.
Ogni generazione di cristiani ha sentito intorno a sé, ed anche dentro di sé, la forza della corruzione, dell'ingiustizia, del male; la forza della morte, la forza della violenza che ha inchiodato Gesù su una croce. Anche Lui è stato tradito per un pugno di soldi: trenta danari! E Giuda si è accorto che non valevano niente, che non potevano distruggere la vita: è andato a buttarli nel tempio. Ci stiamo accorgendo anche noi che il denaro può sciupare la vita di una nazione, di un popolo, di una Chiesa.
Ma Cristo accende dentro di noi la Sua luce, il coraggio di tenere in mano quella candela, il coraggio di guardare lontano, il coraggio di gridare l'Alleluja di Pasqua! Ciascuno di noi deve ritrovarlo dentro di sé: non ci aspettano tempi facili per la vita di ciascuno di noi, per la nostra Chiesa, per la nostra società, specialmente per i più giovani! C'è tanta irrazionalità, c'è il non voler capire, c'è il non voler prendere seriamente in mano la propria situazione. È stato così per i Cristiani di tutti i tempi. Ma il mondo va avanti perché c'è qualcuno che ha il coraggio di prendere in mano una luce, il coraggio di credere nel futuro, il coraggio di credere che Gesù ha ragione, che la forza che manda avanti il mondo non sono solo i denari - sono importanti, tutti noi abbiamo bisogno ogni giorno - ma non è la cosa essenziale della vita.
C'è bisogno di giustizia, c'è bisogno di solidarietà, c'è bisogno del coraggio di stringere la mano di chi ci sta accanto; c'è bisogno di tenerezza, c'è bisogno di vita condivisa, c'è bisogno che ciascuno di noi creda, con tutto sé stesso, che l'amore, anche quando sembra una cosa quasi impossibile, è più forte di tutto, è l'ultima parola del mondo! Gesù è stato inchiodato su una croce per un pugno di soldi, per la violenza degli uomini; ma aveva ragione Lui! Dio ha dato ragione a LUI: al Suo amore, alla Sua fedeltà, alla Sua speranza, al Suo coraggio!
Cristo è risorto! L'ultima parola non è la croce, l'ultima parola non è la morte, l'ultima parola non è l'ingiustizia, non è il male: è l'Amore di Cristo, è la Sua Luce, è la Sua Vita!
Tra poco riprenderemo in mano quella candela: stringiamola forte tutti, specialmente i più giovani! Abbiamo bisogno di luce, di speranza, di coraggio; abbiamo bisogno di buttare dietro le spalle tutto quello che è male, per dire: "Noi crediamo in Cristo: crediamo nel bene, nell'amore!", Credere in Gesù non significa avere qualche bisogno ogni tanto, credere in Gesù non significa essere uomini che partecipano a riti; credere in Gesù significa credere nella vita di ogni giorno, nel nostro quotidiano: nel bene, nella giustizia, nella speranza, nell'amore, nella vita!
E allora, con coraggio, adesso ci alziamo in piedi. Tutti noi siamo stati battezzati un giorno: è il momento di rinnovare le promesse del nostro Battesimo: la scelta - che rinnoviamo ogni anno - di seguire Gesù, di camminare con Lui, di tenere alta la Sua luce!
Il Signore ci aiuti!
1993
Il brano del Vangelo che abbiamo ascoltato stasera - l'esperienza di Tommaso - è uno di quei racconti che hanno fatto per me, a lungo, problema nel mio crescere, nel mio tentare di essere cristiano. Forse la mia esperienza somiglia a quella di qualcuno di voi; forse le mie parole possono aiutare qualcuno di voi a capire un po' di più.
Vedete, Tommaso è uno che se non vede non vuol credere: ha bisogno di toccare con mano; e viene rimproverato da Gesù; ed io, quando ero giovane, non capivo molto bene perché. In Chiesa mi dicevano che bisogna credere senza vedere e poi, d'altra parte, le persone sagge che io ho incontrato nella mia vita - a cominciare da mio padre e mia madre, che erano persone molto concrete, molto pratiche - mi dicevano:" Sta' attento: non fidarti della gente; se non conosci una persona, non andare! Prima di dar fiducia a qualcuno, bisogna provare, bisogna "toccare", bisogna sperimentare".
Poi, quando sono cresciuto, a scuola, mi accorgevo che gli studiosi, gli scienziati, possono scoprire qualche cosa soltanto provando, sperimentando, e che uno scienziato non deve credere a quello che non vede: guai a lui, se comincia a credere alle fantasie: non è uno scienziato serio! Bisogna fare esperimenti su esperimenti, provare, cercare, toccare; non si deve credere a niente, bisogna sperimentare tutto. Eppure il Vangelo rimprovera Tommaso perché vuole toccare, perché vuol vedere...
Qual'è il problema di Tommaso? Chi ha ragione? Lo scienziato, mio padre e mia madre, che con saggezza mi dicevano che non bisogna fidarsi del primo venuto, o il Vangelo? Ci ho messo un po' di tempo - e forse anche a qualcuno di voi sarà capitato così - a capire di cosa si trattava...
Vedete, qui non c'entra niente la saggezza di ogni giorno, il non fidarsi del primo che capita, non c'entra niente la ricerca degli scienziati: è un fatto di religione. E qual è la tentazione della religione? È quella di voler credere soltanto quando si vedono dei segni straordinari. Vedete, il Vangelo è tutto attraversato da questa richiesta, che la gente fa a Gesù: " Facci vedere un segno e crederemo in te!". Un segno prodigioso, un segno straordinario! È una domanda che gli fanno anche sotto la Croce, ripetuta più volte: dai capi dei sacerdoti, dai soldati, dai ladroni sulla croce: "Se sei il Figlio di Dio, scendi! e allora crederemo. Se sei il Messia, scendi! e allora crederemo." E non scese...!
Occorre credere in Dio che rimane là! Anzi, proprio perché rimane là, proprio perché dona la sua vita noi possiamo credere in Lui! Vedete, la tentazione del credente: di riconoscere Dio soltanto nel prodigio, nel fatto straordinario, nella cosa eccezionale. E se uno si porta dentro questo, finisce non per diventare credente, ma per lasciarsi impapocchiare dal primo che ha le stimmate, che ha una visione, che pensa di parlare con Dio, con la Madonna... mentitori! non santi. O peggio: vi lasciate impapocchiare da quelli che fanno le carte o da quelli che vi fanno vedere la chiara d'uovo che diventa nera o l'olio che si sparge in tante goccioline sull'acqua... C'è gente che si mette in ansia, per queste sciocchezze! Peggio per voi! Perché volete vedere il segno: ecco il problema! Perché pensate di incontrare Dio, il soprannaturale nei fatti straordinari, non vi fidate dei segni che Dio ci ha lasciato: non vi fidate di Gesù che spezza il Pane, della Parola che leggiamo: questi sono i segni che ci sono dati!
Vedete, se io mi mettessi qui a svolazzare per l'aria o a fare segni straordinari, se venissi a dirvi: "Guardate, ho le stimmate!" Giustamente direste: "Don Checco è diventato matto!" Guardatevi in faccia gli uni gli altri: siete voi il segno di Dio! Guardate chi vi sta accanto, guardate la persona che fa il bene, guardate la gente che crede; ascoltate la Parola di Dio, riconoscete il Pane spezzato, guardate la Croce! Che altro cercate ancora?
Ecco Tommaso! Non c'entra la scienza, non c'entra il non fidarsi: c'entra essere uomini di fede, che non vanno cercando i prodigi, non vanno cercando le manifestazioni straordinarie, ma sanno riconoscere Dio nel Pane spezzato, nella Parola che ascoltiamo, nella gente che ci sta accanto. Il problema di Tommaso era riconoscere Dio in quel pugno di gente, pieni di paura, che stavano lì, ma che gli dicevano: "Abbiamo visto Gesù! È risorto!" E Tommaso diceva: "Non ci credo. Voglio vedere!". Povero Tommaso, anche lui si aspettava un segno; finché anche Lui, come i discepoli di Emmaus, non ha riconosciuto Gesù nello "spezzare il pane" e allora ha professato la sua fede!
Anche noi siamo qui, fratelli, non abbiamo bisogno di segni straordinari: la Parola di Gesù l'abbiamo ascoltata, fra poco spezzeremo il Pane, ci stringeremo la mano: siamo noi, povera gente, il segno di Dio! È qui, che dobbiamo riconoscere Lui. Lui è qui con noi: non abbiamo bisogno di altro. C’è Gesù, con noi, il Signore risorto!
Lo Spirito ci aiuti a credere!
1993
I primi cristiani - questa è la nostra fortuna - non amavano tante parole, discorsi astratti: preferivano affidare la loro esperienza a dei racconti; e ci hanno lasciato racconti straordinari, come quello che abbiamo letto stasera. Non è tanto un fatterello: cerca di cogliere una delle esperienze più profonde, più forti, della vita cristiana; un'esperienza che, penso, anche molti di noi abbiamo fatto: l'esperienza della delusione, l'esperienza del fallimento, dello scoraggiamento.
Avete ascoltato la storia di questi due discepoli: se ne vanno col volto triste, a capo basso; raccontano - quasi con puntigliosa minuzia - la loro esperienza: hanno conosciuto Gesù! era un "profeta grande in opere e in parole", una persona straordinaria! Aveva suscitato chi sa quali entusiasmi nel loro cuore e gli erano andati dietro, avevano lasciato tutto per Lui! E poi, Gesù era finito su una croce: i capi del popolo Lo avevano ucciso fuori la porta della città. È vero, alcune donne sono andate (se rileggete, vedrete con quanti particolari raccontano questa storia), sono andate le donne, hanno trovato il sepolcro vuoto, hanno visto anche gli Angeli, che dicono che Lui è risorto! Sono andati anche alcuni discepoli e hanno trovato come avevan detto le donne... "Ma Lui non l'hanno visto!".
E se ne vanno tristi, fanno la strada, camminano... Gesù si fa compagno della loro strada, ma non Lo riconoscono: troppa tristezza, troppa delusione nel loro cuore. Gesù sembra un fantasma, sembra lontano, non c'è... finché quando è sera... un momento di gratuità, di accoglienza: «Fermati con noi! Mangiano un boccone. Ancora due parole». Non sanno che è Gesù. Ma lì, "nello spezzare il pane", Lo riconoscono! Gli occhi si aprono, Lo vedono: è il Signore! E allora tornano di corsa a Gerusalemme.
Vedete, non è un fatterello: è la nostra esperienza. Noi ci ritroviamo qui, come spesso facciamo il sabato sera: veniamo da una settimana di cammino, in cui a più d'uno di noi è successo di non riconoscere Gesù nei fatti della nostra vita, in quello che ci accadeva: ci sembrava di essere soli, il mondo intorno a noi sembrava troppo complicato... Dov'è il Signore? Perché non vediamo un segno? Perché non Lo sentiamo vicino?
E qui, nello spezzare il Pane, Lo riconosciamo: sentiamo che qualche cosa di Lui possiamo toccare con mano, facciamo esperienza delle Sua presenza, del Suo amore, della Sua vita donata!
Un barlume si accende nella nostra notte: facciamo esperienza della Sua Resurrezione: guardiamo il Signore e diciamo: "Sì, Lui ha ragione! È giusto vivere di amore, di libertà, di vita". E poi riprendiamo la strada, perché il cammino di Emmaus non si fa una volta per tutte: domani ritornerete al lavoro, riprenderete la strada, vi ritroverete in mezzo ai problemi, alle difficoltà di ogni giorno e vi sembrerà che il Signore sia da un'altra parte, che non faccia strada con voi! E invece, ci cammina accanto ogni giorno: ogni giorno accanto a noi c'è la forza della Sua Resurrezione!
Vedete, il nostro ritrovarci qui ogni sabato sera, non è osservare una legge, non è adempiere un precetto: è la gioia di sedersi a tavola e di dire a Gesù: «Fermati un po' con noi! Spezza ancora il Pane! Fa' che ti riconosciamo! Fa' che sentiamo un po' della Tua luce nel nostro cuore, perché possiamo, domani, riprendere il cammino, ancora cercando il bene, la vita, la liberazione, la pace!».
Il Signore ci accompagni nella strada, sia vicino alla nostra fatica di ogni giorno! Magari non sapremo riconoscerLo... Ma l'importante è che Lui sia là e che cammini con noi, tutti i giorni della nostra vita!
1993
Le immagini del pastore, del gregge, dell'ovile, della porta dell'ovile - tutte immagini lontane da noi, dalla nostra esperienza di tutti i giorni - rischiano di confinare il Vangelo nel mondo delle favole o in un mondo idilliaco di tanto tempo fa. È importante, invece, che la parola del Vangelo risuoni nei nostri giorni, nel nostro quotidiano, nei problemi della nostra vita.
Ma qui c'è un altro rischio, forse peggiore del primo! Perché avete sentito parlare di "capi" che son tutti "ladri e briganti"... E allora penso che un fremito di rabbia abbia turbato qualcuno di voi, perché è di moda essere arrabbiati in questo momento in Italia. Fremiti di rabbia percorrono il nostro Paese, contro i nostri "capi", tutti "ladri e briganti"! Sui giornali, alla radio, alla TV, ci tocca sentire sempre gente che grida, che esprime la propria indignazione. Ma quando il Vangelo provoca in noi rabbia e risentimento, c'è qualcosa che non va. Di più ci accorgiamo di seguire l'ultima moda, di gridare perché tutti gridano: se ho capito qualche cosa, il Vangelo ci mette in guardia dalla folla, dal seguire chi grida più forte, dall'ultima moda. E anche stasera ci ricorda che Gesù è il pastore che "conosce le sue pecore una ad una" e che "le sue pecore conoscono la sua voce".
Noi rischiamo di ascoltare le voci di tutti, di seguire la "folla", di arrabbiarci quando tutti si arrabbiano, e di star calmi e far finta di niente quando tutti stanno calmi... Ci vorrebbe qualcuno in questo Paese (ma anche nelle nostre case, nel posto dove si lavora), qualcuno che si arrabbi quando tutti stanno calmi, qualcuno che stia calmo quando tutti si arrabbiano. Qualcuno, cioè, che sia capace di pensare con la propria testa, di non seguire il gregge passivamente! Noi ci riuniamo qui, il sabato e la domenica - e credo che sia importante - per incontrarci con Gesù, per trovare in Lui, nella gratuità del Suo amore, nella pienezza della Sua vita, i valori essenziali della nostra esistenza, per cercare nel profondo di noi stessi quello che è giusto, quello che non è giusto, quello che è il senso autentico della vita!
Perché il rischio di un uomo - se capisco qualcosa - è quello di lasciarsi portare dalla corrente, di perdere la propria identità, la propria coscienza, il senso della ricerca della verità e della giustizia. E allora accade che in un certo momento tutti applaudono un personaggio e poi tutti ne dicono male. Non cambiano le cose, se ciascuno di noi non prende coscienza della propria responsabilità, del posto proprio nella vita di tutti i giorni, se ciascuno di noi non trova il coraggio della propria onestà, della ricerca del bene, se ciascuno di noi non si porta dentro la speranza e la passione per la vita.
Non so se sono riuscito ad esprimervi quello che volevo: ma, vedete, il senso dell'incontrarci qui con Gesù è proprio quello di uscire, un momento, dalla corsa di tutti i giorni, dal frastuono di tutti i giorni, dalle parole che riempiono le pagine del giornale, dalle immagini della TV, per metterci davanti a Dio: a Chi guarda il mondo un po' da lontano, a Chi ne conosce il segreto profondo, a Chi conosce le vie della giustizia, del bene. Davanti a Gesù che vuole che ciascuno di noi non sia come una pecora che segue passivamente il gregge, ma che sappia ascoltare la Sua voce, confrontarsi con la Sua verità, con la Sua Parola! Perché ciascuno di noi sappia cercare le ragioni del bene nel profondo di sé stesso, nella propria coscienza, in quel santuario a cui tutti noi dovremmo tenere - i giovani, ma anche gli adulti, anche gli anziani - in quel santuario a cui nessuno dovrebbe avere il diritto di dire: "Questo è giusto, questo è sbagliato. Fa' così, non fare cosà. Grida adesso, non gridare dopo!"
Gesù è venuto anche per questo: per camminarci davanti, per parlarci ad uno ad uno . E allora bisogna che io la finisca qui, altrimenti scambiate anche me per un pastore...
Cercate di ascoltare, se vi riesce, la voce di Gesù: che parli al vostro cuore e vi dica parole di saggezza, di giustizia, di vita: per i nostri giorni, per questa nostra Italia, per questo momento che viviamo in cui c'è bisogno (credo che sia fondamentale!) che ciascuno di noi pensi con la propria testa, che ciascuno di noi ritrovi le ragioni profonde della vita. Le ritrovi dentro sé stesso!
1993
Se qualcuno di voi mi avesse domandato 30 anni fa, quale pagina del Vangelo era stata più importante nella mia vita, qual era la pagina del Vangelo che più mi aveva aiutato a capire qualche cosa della mia fede, non avrei avuto dubbi: vi avrei subito citato la pagina del Vangelo che abbiamo letto stasera. Queste parole sono state per me particolarmente importanti quando ero più giovane, quando - prima seminarista, poi giovane prete - tentavo di capire cosa fosse la mia fede, tentavo di confrontare la mia educazione cristiana con il Vangelo. Perché non si può essere cristiani senza seguire il Vangelo, senza confrontarsi con Gesù e le Sue parole ...e non è una cosa così ovvia, come dovrebbe essere!
Le parole che abbiamo letto stasera, mi hanno aiutato a capire che era importante confrontare le mie idee, le mie immagini di Dio, il modo in cui mi avevano parlato di Lui, con Gesù, con il Suo Vangelo.
Vedete, anche a me hanno detto che Dio è onnipotente; hanno ripetuto tante volte queste parole, quando ero bambino: a Dio mi dovevo rivolgere, perché mi aiutasse, lo dovevo pregare per tutte le cose che c'erano nel mondo. Dio era onnipotente, Lui poteva fare tutto; qualunque cosa gli si chiedesse, Lui la poteva fare. Ed io mi domandavo: «Ma come mai? Io prego, tanta gente buona che io conosco intorno a me prega...e non succede niente. La gente continua a morire, si continua sentire parlare di guerre, di malattie. Dov'è l'onnipotenza di Dio?! Perché non si manifesta?»
Crescendo ho imparato a guardare la Croce di Cristo e a dirmi: «Checco, quando parli di Dio, guarda prima la Croce! Il Dio che tu conosci è un Dio che ha le mani inchiodate sulla croce. Gli dicono: "Se sei Dio, scendi e allora crederemo!" Ma non è sceso! È là e l'onnipotenza di Dio deve passare attraverso quella croce; altrimenti conti su favole, altrimenti non parli del Dio che si è manifestato in Gesù. Il Dio che tu hai conosciuto in Gesù è un Dio impotente, debole, accanto alla gente che soffre, accanto alla gente che patisce: per condividere fino in fondo la vita di chi tribola!»
Ed un'altra immagine mi portavo da quando ero bambino (forse l'avete anche voi): un occhio, che guarda attraverso un triangolo. E mi dicevano: «Dio ti vede sempre: il Suo occhio ti scruta quando vegli e quando dormi, quando sei da solo, nella tua camera. Quando nessuno ti vede, né la mamma né il papà, c'è l'occhio di Dio che ti vede!» E quest'occhio era, per me bambino, un occhio minaccioso, un occhio severo, un occhio di giudice, un occhio che mi controllava, un occhio sempre pronto a condannarmi.
E poi mi son detto: «Ma il Dio di cui mi parla Gesù è così? Lui non ha mai parlato di quest'occhio; Lui parla di un Padre che, quando un figlio che ha sbagliato torna a casa, fa festa! - cosa per te quasi inimmaginabile! - Perché hai paura di Dio? Chi ha potuto dirti che bisogna avere paura di Dio? Leggi il Vangelo: Gesù ha mai parlato per mettere paura? Ha mai parlato della severità di Dio?»
Ecco, vedete, le parole della pagina che abbiamo letto stasera: Filippo che dice: «Mostraci il Padre! Mostraci Dio! Facci vedere il Suo volto!» E Gesù: «Ma come, Filippo, non mi conosci? Chi conosce me, conosce Dio!»
«Ah - mi son detto - è bene che non parli tanto di Dio! Fammi prima conoscere Gesù; quando saprò bene cos'è il Vangelo, allora potrò cercare di dir qualcosa di Dio, non parlerò più della severità di Dio, non parlerò più dell'onnipotenza di Dio, senza prima aver guardato Gesù!»
E in Gesù scopro che Dio è tenerezza, è gratuità, è perdono, è amore! È voglia di vivere, è passione per me. È Padre, Padre innamorato della mia vita, Padre che mi custodisce nelle sue mani!
In Gesù, soltanto in Gesù, noi intravediamo qualche cosa della Luce affascinante, straordinaria, misteriosa di Dio: ed è Luce di vita, di liberazione, di gioia! Non è luce di paura, di timore, di lontananza...
Il Signore ci aiuti!
1993
Giovedì scorso mi capitava di fare - come succede più o meno una volta al mese - una riunione con le nostre Catechiste, le signore che si occupano di aiutare i bambini che si preparano alla prima Comunione e le loro famiglie. Le nostre Catechiste sono persone di tutti i giorni, come potreste essere molti di voi, che non hanno fatto nessuno studio speciale, non hanno nessuna preparazione specifica: mettono soltanto un po' del loro buon senso, della loro buona volontà, a servizio degli altri. Ma sono persone straordinarie, che non soltanto mettono con grande disponibilità, nella più assoluta gratuità, il loro tempo, la loro attenzione al servizio dei piccoli - e, cosa ancor più complicata, a servizio dei loro papà e delle loro mamme - ma sanno mettere, in questo servizio, tutta la passione del loro cuore, la ricerca della loro fede!
E giovedì scorso si domandavano: "Ma non rischiamo, di ridurre il Vangelo, l'annunzio di Cristo, soltanto ad una buona educazione morale, soltanto a dei principi di comportamento, magari buono?" È una domanda di grande importanza, che manifesta veramente la loro fede.
Perché, vedete, trasmettere il Cristianesimo non è solo dare buone regole di comportamento, esortare ai buoni sentimenti. "Siate buoni!": questo sappiamo dirlo tutti. È vero, noi - io, che vi predico ogni sabato, i nostri Catechisti - siamo riusciti (ne parlavamo domenica scorsa, se vi ricordate) a togliere dall'immagine di Dio un po' del senso della paura, della minaccia del castigo; ma corriamo anche noi il rischio - e forse lo correte anche voi - di ridurre la religione soltanto a buoni sentimenti, a buone esortazioni: “Siate buoni; comportatevi bene; vogliatevi bene gli uni con gli altri!".
La lettera di Pietro (per questo vi faccio questo discorso) ci ricordava che il Cristiano è uno che sa "rendere ragione della Speranza" che è in lui. Essere Cristiani non significa soltanto saper dire: "Bisogna essere buoni": questo lo dice ogni uomo di buona volontà, in ogni parte della terra. Il Cristiano è uno che porta intorno a sé la sua Speranza, la certezza - che il Vangelo vuole comunicarci - che c'è Dio con noi: "Io sono nel Padre e voi in me e io in voi". La certezza che Gesù non ci ha lasciati orfani, che rimane con noi per sempre. La certezza del dono dello Spirito.
Essere Cristiani significa portarsi nel cuore, tentare di comunicare a chi si incontra sul proprio cammino, la speranza nel futuro, la certezza dell'Amore di Dio, la convinzione che Dio ci viene incontro, che, nell'ultimo orizzonte della storia, incontreremo Gesù!
È questo il cuore della nostra fede! Noi ci prepariamo a celebrare la festa di Pentecoste, ci prepariamo ancora ad invocare lo Spirito: che ci conservi nel cuore la luce della speranza, la certezza di Dio, la certezza che non siamo soli, la certezza che ci è donato lo Spirito, la certezza che abbiamo un Consolatore, la certezza di Dio in noi!
Questa è la radice! Non potete dire ad un bambino che cresce soltanto: "Sii buono!" occorre dargli - ma le nostre Catechiste, che si pongono questa domanda, lo sanno fare con tutta la tenerezza del loro cuore - occorre comunicargli la certezza che Gesù gli vuole bene! Occorre fargli quasi toccare con mano, sapergli dire: "Gesù si è fatto bambino come te, ha dato la vita per te; ti ha voluto bene fino a morire per te, ha inventato di farsi pane per te! Lui ti prende per mano, Lui ti cammina accanto! Nel tuo futuro c'è Lui!".
È questa la speranza che abbiamo nel cuore, è questo essere Cristiani.
Il Signore ci aiuti!
1993
Le parole che abbiamo appena letto, sono le ultime parole del Vangelo di Matteo, il sigillo a queste pagine straordinarie, che ci hanno accompagnato in tante domeniche di questo nostro anno della nostra preghiera. E, come avete ascoltato, queste ultime parole ci convocano - anche noi, come gli Undici - "sul monte", là dove Gesù aveva cominciato la Sua predicazione.
Vi ricordate? Abbiamo letto tante domeniche fà: "Gesù salì sulla montagna e cominciò a dire: Beati i poveri in spirito. Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia..." Su quella montagna, dove Gesù aveva cominciato a parlare, Matteo ci convoca ancora e ci invita, come i discepoli, a "prostrarci" e ad adorare.
Anche noi come i discepoli abbiamo fatto "esperienza" di Gesù: abbiamo ascoltato le Sue straordinarie parole, abbiamo riconosciuto in Lui, nella Sua Parola, qualcosa della Luce di Dio. Abbiamo seguito anche noi, passo passo, il Signore, abbiamo visto i Suoi gesti, lo abbiamo visto chinarsi con tenerezza sull'uomo, condividere la vita. L'abbiamo visto farsi Pane; l'abbiamo visto inchiodato sulla croce. Sembrava che là tutto fosse finito...
Ma Dio ha dato ragione al Suo amore, alla Sua fedeltà! Lo abbiamo celebrato risorto, abbiamo gridato l'Allelluja di Pasqua. E adesso siamo invitati a prostrarci, a riconoscere in Gesù, il Signore della storia, il Figlio che s'è fatto uno di noi, che ha condiviso il nostro cammino, che ci ha amato fino a donarci la vita! Lo adoriamo, Lo riconosciamo Signore della nostra vita, Lo vediamo ritornare nello spazio e nel tempo di Dio! In Lui crediamo!
Matteo soggiunge: "Alcuni però dubitavano". Più volte mi è capitato di leggere questa pagina del Vangelo insieme alla gente e sempre c'è qualcuno che domanda: "Ma perché questa nota malinconica proprio alla fine?! Perché Matteo sottolinea che qualcuno dubita?" Vedete, Matteo è un grande evangelista: la sua comunità conosce il cuore dell'uomo e vuole difendere proprio la gente come noi: aver fede non significa superare ogni dubbio, ogni paura. Anche quando abbiamo ascoltato il Vangelo fino in fondo, anche quando crediamo con tutto il nostro cuore, anche quando seguiamo Gesù, rimane il dubbio nel nostro cuore, la fatica di credere! Siamo povera gente! Povera gente che si porta dentro le proprie paure, i propri dubbi, le proprie difficoltà a credere fino in fondo, che Gesù ha ragione. Non date mai retta a chi vi dice che chi ha paura non ha fede, che chi ha un dubbio non ha fede: non è assolutamente vero!
La fede nasce dal dubbio, nasce dalla paura, nasce da povera gente come noi, che tenta di riconoscere in Gesù il Signore della vita, di credere ogni giorno che Lui ha ragione; gente come noi che tenta di tenere accesa la propria luce!
E a gente come noi, a gente che ha dubbi, che vive con difficoltà il proprio essere Cristiani, Gesù affida, come avete sentito, il compito di esserGli testimoni fino ai confini della terra: "Andate, ammaestrate tutte le genti, siate testimoni di tutto quello che io vi ho insegnato".
E poi, l'ultima parola: il sigillo nel Vangelo di Matteo: "Io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo". È la certezza di cui vive ogni Cristiano, di cui viviamo anche noi, povera gente pellegrina su questa terra.
A volte ci sembra lontano, a volte ci sembra dormire, a volte ci sembra un fantasma! Ma la nostra fede è questa: Gesù cammina con noi, non ci abbandonerà mai, fino alla fine! Ci sta accanto, anche se qualche volta non riusciamo a vederLo, come i discepoli che andavano verso Emmaus. Ma Lui c'è! Lui è il Signore della storia: ci aspetta sulla soglia della fine - della nostra fine personale e della fine del mondo.
Non andiamo verso il nulla: andiamo incontro a Gesù! È Lui che ci aspetta nell'ultimo orizzonte della nostra avventura di uomini! E dunque, con fiducia, possiamo prostrarci, adorarLo, chiedere a Lui il coraggio di testimoniare la Sua vita come possiamo, da povera gente: con i nostri dubbi, con le nostre ansie, con le nostre paure; convinti che Lui cammina con noi e che ci aspetta alla fine della nostra strada.
1993
I discepoli Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni... ma in fondo non solo loro: ogni credente, che ha seguito la loro strada - vivono di questa convinzione profonda, che cercano di conservare nel proprio cuore: Gesù ci ha donato il Suo Spirito! Qualche cosa del Suo soffio, qualche cosa della Sua vita è rimasto a noi! E i primi Cristiani, che, come ormai sapete bene, non amavano i lunghi discorsi, tentano di immaginare che cos'è questo Spirito di Dio, questo soffio che Gesù ha lasciato: e lo immaginano attraverso simboli - li avete sentiti, specialmente nella prima lettura - : il vento che scuote impetuoso la casa, che spalanca le porte; il fuoco che dà calore; la luce che illumina; la gente che si capisce: sono di ogni parte del mondo (c'è quasi un mappamondo del tempo, nella prima lettura), tanta gente che parla lingue diverse, che sarebbero destinati a non incontrarsi mai...eppure tutti parlano lo stesso linguaggio!
Non è il racconto di una storia, non è la cronaca di un fatto di tanto tempo fà: è il tentativo di guardare chi è Dio, di scoprire che cosa ci ha lasciato nel cuore Gesù. E tutti sappiamo che Dio non fa "magie", il mondo non cambia d'incanto! Dio è così! Ma il compito dell'uomo è di accoglierLo nel profondo della propria vita: di accoglierLo nel profondo anche del proprio egoismo, delle proprie pigrizie, delle proprie debolezze!
E la storia del mondo è proprio questa: il tentativo di gente come noi, di fare spazio a Dio, di portare qualche cosa della Sua luce, del Suo calore, della Sua libertà, della Sua gratuità, nella vita di ogni giorno. Potete leggere, se ci riuscite, la storia da questo punto di vista: il lento affermarsi, il lento camminare... Ma forse bisogna che mi fermi, perché molti di voi hanno questo dramma da vivere: guardare la TV, vedere il mondo con gli occhi degli altri, vedere nel mondo soltanto le cose cattive, le cose negative, le cose che non funzionano, le bombe che fanno rumore, le cose che lacerano la vita dell'uomo...
E allora non siamo più capaci di guardare il mondo dalla parte dello Spirito! Invochiamolo forte, stasera, lo Spirito! Che vi apra gli occhi, che vi faccia vedere, nel lungo cammino degli uomini, anche tutti i passi verso la libertà, verso l'amore, verso la tenerezza, verso la gratuità! Ne avete anche intorno a voi, se sapete guardare. È questo quello che conta, sapete: è la schiuma della vita, è il bello della nostra storia di uomini! Tutti quelli che senza far rumore, senza far botti, senza far chiasso, senza fare cose straordinarie, senza fare "miracoli" - se non il miracolo straordinario dell'amore - hanno portato nel mondo la tenerezza, il senso della libertà, la voglia di capirsi, la voglia di incontrarsi, la mano che si tende...
Ce n'è in ogni angolo del mondo: non si vede, non fa rumore: è il soffio di Dio, la Sua Luce! È quello che dà colore alla vita. Guardate un momento quell'arcobaleno, il segno che i ragazzi hanno lasciato alla nostra Pentecoste, e poi, tornando a casa, ripensate: "Che cosa ha dato colore alla mia vita? che cosa ha dato senso alla mia vita? Quanta gente ho incontrato, nella mia vita, che è stata per me testimone di libertà, di tenerezza, di gratuità, di amore, di vita, di passione per il bene?!". Quanta ne avete incontrata? È il segno di Dio nella nostra vita; è il soffio dello Spirito che ha attraversato anche la nostra esperienza!
Ringraziamone il Signore! Altrimenti, il mondo sembra solo rumore, solo violenza, solo male, Il Signore ci dia gli occhi per vedere i colori, per vedere le cose belle, per ritrovarle nella nostra esperienza. Nella nostra esperienza di uomini: è li che abbiamo fatto "esperienza' di Dio, è lì che abbiamo fatto "esperienza" dello Spirito!
Il Signore ci aiuti a vedere!
1993
Uno dei problemi più seri che incontra l'uomo credente - io, ma penso anche molti di voi - (è un discorso, questo, che vi ho ripetuto più volte, ma che ripeto volentieri, nella speranza di aiutare qualcuno di voi a capire sempre un pochino di più), uno dei problemi più seri, dicevo, che viene per l'uomo credente, per me per primo, è quello di avere certe idee, certe immagini di Dio: di pensare di poter sapere che cosa Dio può fare, che cosa non può fare; quando interviene, quando non interviene. Chi di voi ha esperienza di parlare coi ragazzi, sa che questa è la prima domanda che i bambini fanno: "Se Dio è buono, perché non provvede? Perché ci sono bambini che soffrono? Perché c'è la guerra? Perché sentiamo queste terribili notizie della Iugoslavia? Non può fare qualche cosa Dio, Lui che è buono, Lui che può tutto, Lui che è onnipotente? Perché non interviene?"
E qualche volta il problema si fa più vicino, attraversa la nostra esperienza di uomini, quando ci capita di incontrare la sofferenza, il dolore: "Perché Dio non mi aiuta? Perché non mi viene incontro? Perché non mi sta vicino?".
Ecco, noi spesso pensiamo di sapere che cosa è Dio, che cosa può fare, che cosa non può fare. È impressionante - ci capitava di notarlo in tutti i gruppi coi quali quest'anno abbiamo letto il Vangelo di Matteo - è impressionante vedere sotto la Croce tutta la gente che c'è là, i capi del popolo, i maestri della legge, la folla, i briganti sulla croce, tutti che insultano Gesù: "Se sei il Figlio di Dio, scendi e allora crederemo! Se Dio gli vuol bene, lo liberi e allora crederemo!". La fede credente riconosce in queste parole un'ingiuria, una bestemmia, un insulto.
Eppure, se ci pensate, sono le nostre parole; almeno, sono le mie; ma credo - se capisco, l'esperienza dei credenti - anche le vostre, il vostro grido verso Dio! È che noi spesso crediamo di sapere chi sia Dio, che cosa Dio possa fare, che cosa non possa fare...
Di più: c'è tanta gente in mezzo a noi che pensa di sapere che cosa Dio vuole e che cosa non vuole, che cosa comanda e che cosa proibisce, dalla parte di chi sta Dio e dalla parte di chi Dio non sta!
La Messa di stasera ci invita a guardare di più a Dio come Mistero: più grande delle nostre parole, delle nostre immagini! Dio è (sono parole anche queste, ma forse ci aiutano un po' a liberare le nostre idee di Dio), Dio è un abisso di luce, di gratuità! Forse anche un abisso di lontananza, l'abisso di pienezza, da cui tutti noi veniamo! Ma forse dovremmo fermarci qui; perché altrimenti la nostra fede si complica; perché c'è sempre qualcuno pronto a dirci : Dio è così"... "Dio è là"...No, Dio è da quest'altra parte"..."Dio vuole questo...Dio vuole quest'altro"...
Forse dovremmo sempre più ritornare alle parole del Vangelo di oggi: Dio ci ha così voluto bene, da mandarci il Suo Figlio, per venire ad attraversare con noi le strade polverose di questo mondo. Ma allora, vedete, il Dio che si manifesta in Gesù è diverso da quello che noi ci aspettiamo; soprattutto un Dio diverso da quello di cui noi pensiamo di aver bisogno! Perché un po' tutto dipende da questo: noi spesso cerchiamo Dio a partire dai nostri bisogni: bisogni di protezione, bisogni di sicurezza... e come voi sapete per esperienza - quando cerchiamo qualcun altro spinti dal bisogno, spesso non lo troviamo. Così può succedere con Dio.
Cerchiamo Dio nella gratuità, nella libertà dell'amore, tentiamo di incontrare Dio nell'esperienza di Gesù! Prima di dire una parola su Dio, dovremmo domandarci: "Chi è Gesù? Chi è quest'uomo, che è venuto a condividere la nostra vita? Come ci ha parlato di Dio? Come ci ha manifestato Dio nella tenerezza della Sua vita?". Allora, forse, i nostri discorsi potrebbero essere diversi.
Il Signore ci dia un po' della Sua fede!
1993
La grande maggioranza di voi, come me, va a Messa fin da quando eravamo bambini, e facciamo fatica, dunque, ritrovare lo stupore di fronte a quello che facciamo insieme ogni sabato, ogni domenica.
Provate un momento, stasera, a mettervi nei panni dei primi Cristiani, che si ritrovavano - in maniera più semplice di come facciamo noi - intorno ad una tavola: sulla tavola un po' di pane, un po' di vino. Sapevano che questo era il gesto che Gesù aveva lasciato, per far memoria di Lui. E per loro era importante capire che cosa stavano facendo lì: qual era il senso di questo ritrovarsi, con semplicità intorno alla tavola? Perché un tavolo qualunque, un pezzo di pane, una bicchiere di vino? Loro erano abituati, come noi, fin da bambini ad andare nel Tempio: un edificio grandioso, costruito solo per il culto, avevano spesso partecipato a cerimonie solenni, ricche di fascino, in cui si offrivano sacrifici, si bruciava l'incenso, c'erano sacerdoti numerosi, vestiti con abiti complicati...
Gesù li aveva portati lontano da tutto questo, li aveva riuniti intorno alla tavola di tutti i giorni: sulla tavola il pane e il vino, nient'altro! Molte pagine del Vangelo si capiscono solo se si leggono come un tentativo di rispondere alla domanda: "Che senso ha questo ritrovarci intorno alla tavola? Che ci ha lasciato Gesù? Che significa questo gesto che Lui ha fatto per noi?".
Vedete, forse, la prima considerazione che possiamo fare (ce ne sarebbero infinite, come voi potete immaginare, trattandosi dell'Eucarestia) è che Gesù voleva riportare i suoi discepoli all'essenziale. E non all'essenziale del culto, della preghiera, ma all'essenziale della vita: cosa c'è di più "essenziale alla vita" - almeno per noi che viviamo in questi paesi - del pane!
Quando ci ritroviamo qui ogni domenica, siamo alla ricerca di quello che è fondamentale per la vita, per essere uomini! A volte capita di incontrare persone che vengono a Messa solo quando hanno una "grazia" particolare da chiedere o una persona cara di cui far memoria, un'occasione speciale da celebrare... l'interesse di Gesù era il pane: il pane è qualche cosa che riguarda la vita di ogni giorno, che riguarda le cose più quotidiane della nostra esperienza, l'essenziale della nostra esperienza di uomini!
Vedete, noi veniamo qui il sabato, la domenica, per ritrovare quello che veramente conta nella vita. Durante la settimana abbiamo da correre, da affannarci per tante cose: ma cos'è veramente importante? Un credente ritrova le cose essenziali in Gesù, nella memoria di Lui, nelle Sue parole, nella Sua vita! Che cosa era importante per Gesù? Che cosa ha contato veramente nella sua vita?
E vi accorgete che l'importante nella vita di Gesù è stata la Sua libertà, la Sua gratuità, la Sua capacità di donare se stesso, di vivere l'amore fino in fondo!
Vedete, noi ci riuniamo qui per ritrovare in Gesù la cose che sono veramente essenziali della vita, le cose veramente importanti: la vita donata, la vita vissuta nella gratuità dell'amore!
E San Paolo (in una delle tante frasi che tentano di capire che cosa facciamo qui insieme: "Noi che mangiamo un solo pane, siamo un solo Corpo, una cosa sola") ci invita a ritrovare qui, riuniti come una famiglia intorno alla tavola, l'esigenza della pace, della vita condivisa tra di noi: in casa tra marito e moglie, con i figli, nel posto di lavoro, con la gente che ci sta intorno. Durante la settimana, qualche cosa ci separa, qualche cosa ci oppone: ci sono tra di noi le gelosie, le invidie di ogni giorno, le intolleranze, le incomprensioni. E poi ci ritroviamo qui e spezzando il pane e nutrendoci di Gesù sentiamo ancora l'esigenza di diventare "un solo corpo", di condividere la vita fino in fondo!
Mi fermo qui (ma potremmo seguitare per giorni, per cercare di capire quello che facciamo qui!): volevo dirvi soltanto una cosa stasera, semplice semplice e ve la riassumo in due parole: non siamo qui per celebrare un rito, non siamo qui per adempiere un precetto, non siamo qui per compiere chi sa quale magia! Siamo qui per ritrovare - incontrandoci con Gesù - l'essenziale della nostra vita, quello che veramente conta della nostra esperienza di uomini: e quello che conta, per il tempo e per l'eternità, è quello che ha fatto Gesù: i valori per cui Lui è vissuto, per cui Lui ha saputo amarci fino in fondo!
Il Signore ci aiuti a capire.
20 giugno 1993
Abbiamo ascoltato parole grandi, parole importanti, parole - alcune di quelle che abbiamo ascoltato stasera - tra le più preziose nella vita della Chiesa: preziose per quei Cristiani - e ce ne sono stati tanti, in ogni parte del mondo, in ogni momento della storia - che hanno vissuto l'esperienza di Geremia, l'esperienza della persecuzione; gente che doveva ritornare a queste parole ("Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo"), per ritrovare la forza di essere testimoni di giustizia! Sono parole grandi queste, però, di cui non vorrei parlarvi stasera: le lascerei, come tante altre cose che ci sono in quello che abbiamo letto, alla vostra riflessione.
Io - anche perché siamo in tempo d'estate e conviene il più possibile alleggerire il discorso - vorrei parlarvi di un'altra cosa, che forse può essere di aiuto a qualcuno. Vedete, nella mia esperienza di prete, ormai abbastanza lunga, uno dei crucci, una delle preoccupazioni che più ho sentito sulla bocca delle persone per bene è quella di non riuscire a parlare a sufficienza di Gesù, a parlare della Fede, a volte anche in casa, con i propri figli, con il marito o la moglie. Sarà capitato, forse, anche a qualcuno di voi, soprattutto a quelli che hanno qualche anno di più: i più giovani, forse, hanno meno queste preoccupazioni; ma chi, come me, è stato educato un po' di tempo fà, ha sentito più volte queste parole: "Chi si vergognerà di me davanti agli uomini, io mi vergognerò di lui davanti al Padre".
A noi dicevano che dovevamo essere "testimoni", che dovevamo parlare di Gesù, che bisognava fare "apostolato". E questo discorso anche, penso, più d'uno di voi se l'è portato dentro come un cruccio, come una preoccupazione: il non riuscire a parlare di Gesù, della religione, della fede, di Dio; a volte anche in casa; più spesso sul posto di lavoro, con i colleghi, con la gente.
D'altro canto (se posso farvi una confidenza!), una delle cose che più mi ha disturbato in questi miei anni di sacerdozio è stata la gente - forse anche qualcuno di voi - che, invece, parla spesso di Gesù, di Dio: a proposito e, più spesso, a... sproposito! C'è gente che ha sempre un buon consiglio, una buona parola da dare - magari ai nipoti, magari alle nuore, magari a qualche amico - sempre per rimproverare, sempre per puntare il dito, sempre per giudicare!
Se ho capito qualche cosa, di Gesù, di Dio, noi faremmo molto meglio a parlare con gesti, con la testimonianza della nostra vita: con il coraggio della tenerezza, della ricerca della libertà, del rispetto sempre degli altri! Chi giudica, chi condanna, chi punta il dito, può usare tutte le parole del Vangelo che vuole... già si è messo lontano da Cristo migliaia e migliaia di miglia!
Essere testimoni di Dio è essere testimoni di accoglienza, di rispetto, per chi la pensa in maniera diversa da noi; è essere testimoni di passione per la vita, per il bene, per gli uomini, per quello che giova alla salute spirituale e fisica di chi ci sta accanto!
Se posso darvi un consiglio, non moltiplicate le parole su Dio, non moltiplicate le parole su Gesù! Chi si porta dentro il cruccio di non parlare a sufficienza di Dio, non si preoccupi più che tanto: per voi parla la vostra vita; di questo preoccupatevi! Se chi vi sta accanto vede in voi un segno di tenerezza, di attenzione verso l'altro, di rispetto, di bontà, di accoglienza, di amore, uuuh! avete già parlato più che a sufficienza di Dio, siete stati per lui un segno di Gesù.
Poi, magari, un giorno vi capiterà che qualcuno vi chieda ragione della vostra fede, del perché andate a Messa, del perché fate la Comunione, e allora, con timore e rispetto, quasi balbettando, direte qualche parola sulla vostra fede: le più semplici possibili, le più piccole possibili! Per voi ha parlato la vostra vita!
Come per Gesù ha parlato soprattutto la Sua vita, il Suo amore per noi.
Ci aiuti a capire!
1993
Uno dei problemi, in genere, di chi predica (un problema mio, in modo particolare, perché alcuni di voi mi ascoltano da 20 anni, con una pazienza che è quasi infinita!) uno dei problemi, dicevo, é quello di cercare di dire qualche cosa di diverso da quello che si dice abitualmente; e, come voi sapete, non é affatto semplice. Voi avete molta pazienza ("Senza pazienza, dicevano i nostri antichi, non si va in Paradiso"); ve ne chiedo ancora un pochino stasera, perché vorrei farvi - proprio nel tentativo di dirvi qualche cosa di meno solito - vorrei farvi una predica "al contrario"... E quando si fa una predica "al contrario" si rischia di andare lontano dal Vangelo, e poi, forse, quello che dico stasera, a molti di voi non interessa, qualcuno forse non riuscirà nemmeno a capire dove voglio andare a parare, ma a qualcuno, forse, quello che io dico stasera può essere d'aiuto: per qualcuno sarà "un bicchiere d'acqua"; e in fondo, come avete sentito dal Vangelo, è poi questo quello che conta: essere capaci di dare "un bicchiere d'acqua fresca" a qualcuno. Se stasera, dalle mie parole, qualcuno avrà avuto "un bicchiere d'acqua", io mi riterrò più che fortunato!
Vedete, vorrei farvi una predica al contrario: cioè vorrei dirvi come, qualche volta, le parole del Vangelo si usano... contro il Vangelo: si usano non per aiutare l'uomo a cercare, a trovare la vita, ma per opprimere l'uomo, per togliergli il senso della giustizia e della vita. Quando ero giovane (parecchio tempo fa, quand'ero ragazzo), m'avessero detto una cosa del genere, mi avrebbe scandalizzato profondamente; avrei detto: "Com'è possibile che qualcuno usi il Vangelo, usi le parole li Gesù per far del male, non per far del bene?!". Mi sarebbe sembrata una cosa del tutto incredibile... Ma poi l'esperienza della vita, fra le tante cose, mi ha fatto vedere anche questo.
Vorrei citarvi due o tre casi, in cui secondo me le parole - queste parole straordinarie e profonde - (vi ripeto stasera non faccio una predica: faccio una predica al contrario!) queste grandi parole sono a volte usate contro la gente, contro qualcuno: non per aiutare l'uomo a vivere, ma per impedirgli di essere uomo!
Ricordate le prime parole che abbiamo ascoltato: "Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me"? Io questa frase l'ho sentita citare più volte nella mia vita: la sentivo citare quando si parlava di persone - un ragazzo, una ragazza - che volevano seguire la propria vocazione e che si trovavano in conflitto con la propria famiglia. Io, le prime volte, ascoltavo con ammirazione per chi (a me non è successo) aveva il coraggio di mettersi contro la propria famiglia, i propri amici, per seguire Gesù... e poi mi sono accorto che a volte chi diceva: "Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me", non pensava a Gesù Cristo, ma a se stesso! A volte capita che una persona non si accorge di essere catturata, accalappiata, da qualche frateria, da qualche gruppo, da qualche comunità di persone, che vogliono non aiutarla a vivere, ma impossessarsi della sua anima, della sua vita. Ripetono spesso: "Se tu ami tuo padre, tua madre, la tua famiglia più di Gesù, non sei degno di Gesù!". Ma non pensano a Gesù: pensano a se stessi. Nella Bibbia, questo è guardato con orrore: è idolatria, quando qualcuno si sostituisce a Dio! Dio è Dio e nessuno di noi può mettersi al Suo posto! Non c'è gruppo, non c'è comunità, non c'è ordine religioso, non c'è chiesa, che possa impossessarsi del cuore di una persona: questo può farlo solo Dio! A Lui solo dobbiamo adorazione!
La seconda cosa che sentivo citare, secondo me a sproposito, di questa pagina è: "Chi vuol seguire Gesù, deve perdere la propria vita, deve perdere se stesso". E questo lo sentivo citare quando qualcuno di noi - eravamo ragazzi - tentava di pensare con la propria testa; ma c'era sempre qualche sacerdote, qualche vescovo, che diceva che, per seguire Gesù, bisogna "perdere se stessi". È una sciocchezza! Perché se uno non ragiona più con la propria testa, ha veramente perso se stesso, ma non ha trovato Gesù: ha trovato il primo sciocco che passa... C'è qualcuno, anche tra di voi, che pensa che il prete, quando parla, ha sempre ragione; che il vescovo, quando parla, ha sempre ragione; che il papa, quando parla, ha sempre ragione. E se qualche volta c'è chi si trova a dire: "Io non sono d'accordo; non mi sembra che sia giusto quello che dice costui; non mi sembra che sia d'accordo con il Vangelo", trova sempre qualche persona pia che gli dice: "Se vuoi credere, non devi pensare. Bisogna credere, bisogna fidarsi!". Ma fidarsi di Dio, non fidarsi degli uomini. Ed io sono un uomo come voi; il fatto che io parli da qui non mi esime - voi lo sapete bene, per esperienza - dal dirvi sciocchezze! Mi capita spesso di farlo, come capita di dire sciocchezze ai vescovi, come capita di dire sciocchezze al Papa! Solo Dio non dice sciocchezze; ma Lui, per fortuna, non parla!
C'è una terza frase di questo Vangelo che ho sentito più volte citare: "Se uno non prende la sua croce e non mi segue, non e degno di me". Per alcuni il Cristianesimo - qualcuno di voi ne ha fatto esperienza - diventa la religione della sofferenza e del sacrificio! E quindi si moltiplicano i digiuni, i sacrifici, le rinunce, le mortificazioni...e si guarda con sospetto tutto quello che dà gioia, tutto quello che dà piacere, tutto quello che rende allegra la vita! Si arriva a quello che, secondo me, è una mostruosità: a pensare che a Dio faccia piacere la sofferenza! Ci può essere qualcosa di più inconcepibile di questo!? Ci può essere qualcosa di più sciocco!?... eppure, c'è gente, anche oggi, che ripete queste cose: ti capita, qualche volta, di sentire persone che sono, magari, andate ad un santuario e gli hanno detto: "Devi far sacrifici, devi rinunziare: a Dio è gradito il sacrificio!"...
A Dio è gradita la gioia! A Dio son graditi i "bicchieri d'acqua"! Pigliatene, tutti quelli che la vita vi offre! Pigliateli con gioia e gratitudine! Tutte le cose belle che avete intorno a voi, tutti i piccoli piaceri che la vita vi può offrire ogni giorno, sono graditi a Dio! E se potete, datelo un bicchiere d'acqua a chi vi sta intorno! Queste son le cose che contano!
Il resto, spesso, sono sciocchezze...se non peggio!
1993
Quando io ero ragazzo - sarà capitato anche a molti di voi - l'educazione religiosa era affidata in gran parte ai racconti della vita dei santi. E i santi ci venivano presentati come persone che non sbagliavano mai, persone capaci di azioni grandi ed eroiche! Alcuni - ci dicevano - erano stati "santi" fin da piccoli, non avevano mai commesso un peccato... ci raccontavano addirittura che san Luigi non prendeva il latte dalla mamma, il venerdì! Storie o favole?! Chi lo sa perché ci raccontavano storie così folli...!
Ma quello che mi colpiva e mi pesava era il confronto con questi Santi, erano un modello per me irraggiungibile... io non sarei mai diventato santo!
Quando son cresciuto e ho cominciato a leggere il Vangelo, il Nuovo Testamento, mi sono accorto che la Scrittura ci presenta i Santi in modo completamente diverso. Se voi leggete il Vangelo, vi accorgerete che degli apostoli - di Pietro, soprattutto - si ricordano, non gli atti eroici, ma ogni debolezza: le sue vigliaccherie, le sue paure, i suoi tradimenti, tutti ci viene narrato attentamente. E se leggete le storie di Paolo, vedete che anche lui viene descritto come un pover'uomo: con le sue intolleranze, con le sue incapacità, con i suoi dubbi, con le sue angustie, con la sua disperazione, in un certo momento della sua vita!
Ecco, leggendo la Scrittura, vi accorgete che i Santi erano gente come noi: persone che andavano cercando il Signore, che sbagliavano e ricominciavano il loro cammino. Pietro non è santo perché non ha mai sbagliato - è arrivato, lo sapete tutti, a rinnegare il Signore! a dire che non l'aveva mai conosciuto! a giurare e spergiurare, come dice il Vangelo! - non è santo perché non ha mai sbagliato: è Santo perché è sempre tornato da Gesù, perché ha ricominciato da capo mille volte, perché ha sempre cercato la Luce, perché si è sempre fidato del perdono del Signore!
I Santi sono compagni della nostra strada: come noi, povera gente, mendicanti di verità e di Luce. Solo Dio è Santo! E noi siamo gente che fa strada... Pietro e Paolo ci hanno preceduto su questa strada; erano gente come noi: hanno cercato il Signore. Quando hanno sbagliato, sono tornati da Lui, con fiducia, ed hanno ripreso la strada.
È quello che tenteremo di fare anche noi, giorno per giorno, cercando la Luce del Signore, fidandoci di Lui!
1993
Ci sono, a volte, nei rapporti tra gli uomini - parlo dei rapporti più forti: l'amicizia, l'amore - ci sono dei momenti magici, in cui sembra quasi di toccare con mano, di sentire, con straordinaria intensità, il senso del rapporto, quello che ci unisce ad un'altra persona; chi è l'altra persona per me.
Le parole che abbiamo ascoltato credo che appartengano ad uno di questi momenti magici del rapporto tra Gesù e i Suoi discepoli. Ci deve essere stato qualche momento della loro esperienza con Lui, in cui Lo hanno sentito particolarmente vicino: hanno sentito tutto il senso del loro rapporto con Lui, hanno sentito che in Gesù facevano esperienza di Dio, come con nessun altro: che in Gesù toccavano con mano qualche cosa della luce, della vita, della tenerezza, della bellezza del Signore del cielo e della terra!
E soltanto in Lui: "Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo vuole rivelare".
Si sentivano, incontrando Gesù, liberati, quasi di colpo, da tutto un mondo religioso fatto di "sapienti e di intelligenti" (purtroppo non è finito: c'è ancora anche in mezzo a noi): di gente che sa tutto, di gente che sa sempre quello che Dio vuole o non vuole; gente sempre pronta a mettere carichi pesanti sulle spalle degli altri. Si sono sentiti liberati da tutti i preti del Suo tempo, dai maestri della legge, da coloro che moltiplicano obblighi e minuzie della legge, da coloro che sanno sempre tutto di Dio, che sanno sempre dov'è il bene e dov'è il male; da coloro che puntano il dito, che ti fanno sentire in colpa, che ti mettono dei pesi sulle spalle.
Hanno sentito in Gesù l'incontro con la tenerezza di Dio, con la gioia di Dio, con la liberazione di Dio: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi libererò". Tutti i "piccoli" della terra trovavano in Gesù un grido di liberazione, un grido di vita: liberati da tutti gli oppressivi sensi di colpa, dalla moltiplicazione delle opere, nell'incontro con la tenerezza di Dio!
L'invito è rivolto anche a noi: "Venite a me, voi tutti...": tutti noi! Andiamo da Gesù! con il cuore semplice: con i nostri dubbi, con i nostri affanni, con le difficoltà della vita. Buttiamo in Lui ogni senso di colpa, ogni paura di Dio, ogni senso di oppressione, per ritrovare la tenerezza, la gioia, la liberazione, la vita di questo Dio! Di Dio, che i discepoli hanno conosciuto in Gesù; che siamo invitati anche noi ad incontrare, qui, insieme: spezzando il Pane, nutrendoci di Gesù, sentendo la Sua liberazione, la Sua vita!
Anche oggi corrono in mezzo ai credenti le paure, le ansie: le paure del domani, i sensi di colpa... Via tutto, nelle braccia del Cristo! Via tutto, nell'incontro vero con Dio! Incontro di tenerezza, di gioia, di liberazione, di vita!
Il Signore ci metta nel cuore la Sua consolazione e la Sua pace!
1993
"Voi sentite di appartenere di più a quelli che seminano, che hanno seminato nella vita, o a quelli che raccolgono, a quelli che mietono?" Ho ripetuto questa domanda infinite volte, nella mia esperienza di prete, leggendo questa pagina del Vangelo - come forse più d'uno di voi ha sperimentato - ed ho avuto le risposte più varie, diverse da persona a persona, di tempo in tempo, ed è per questo che spesso mi capita di pensare alla mia vita, alla mia esperienza, in termini di "seminare" e di "raccogliere".
Mi capitava anche qualche giorno fa, riflettendo con due amici sacerdoti, sulla nostra esperienza di preti.
Vedete, io ormai comincio ad avere dietro le spalle parecchi anni - sono 32 anni che son prete - e quando io ho cominciato a studiare per diventare prete, vivevamo un tempo della Chiesa in cui tutto sembrava fermo, immobile. C'era un'aria stagnante nella vita della Chiesa (forse qualcuno lo ricorderà): si parlava ancora in latino, tutto sembrava venire dall'alto, tutto sembrava impostato sulla legge, sulle cose giuridiche; non c'era il senso della comunità, della partecipazione anche l'Eucarestia... - ricordate? - era immobile da secoli, l'altare era ancora girato verso il muro...
E quando io ho cominciato a studiare, qualcuno ci ha guidato a scoprire, in giro per il mondo, i segni, i semi dei tempi nuovi che cominciavano ad esserci. Ricordo quanti sforzi ho fatto per leggere libri in francese, perché a quel tempo non si traducevano in italiano certi libri: autori che venivano considerati un po' come eretici, sospettati di dire cose contrarie alla tradizione: gente che parlava di "libertà", di "comunione", che insegnava a leggere il Vangelo in maniera diversa! Chi ha esperienza forse non si meraviglierà: quando io son diventato prete, l'ultima cosa che si studiava era il Vangelo! Tante altre cose, tanti catechismi, tante leggi, tante istruzioni...
E c'era, invece, chi nella Chiesa cominciava a parlare di Vangelo, insegnava a leggerlo, cominciava a studiarlo! Ma bisognava leggere in francese .. e noi andavamo in giro cercando queste cose, scoprendo questi "semi"!
C'erano anche allora le riunioni "oceaniche": anche allora piazza San Pietro si riempiva, Pio XII era una figura carismatica; c'erano anche allora i giornalisti di moda, c'erano anche allora i predicatori di moda, gli scrittori di moda... Ma non erano loro i "semi" giusti, i semi che parlavano di Dio in modo da farsi capire dalla gente del nostro tempo, i semi che ci annunciavano il Vangelo, i semi che ci facevano intravedere qualche cosa di nuovo, i semi che annunziavano il futuro!
Li abbiamo dovuti cercare con passione; li abbiamo dovuti cercare - come spesso succede al seme - nelle pieghe della storia, nelle pieghe della terra (il seme non può stare all'aperto: se lo portano via gli uccelli!) in angoli silenziosi, nell'oscurità.
Poi quei semi hanno cominciato a fiorire: ci sembrava che venisse la primavera, ci sembrava che spuntassero i fiori! Abbiamo vissuto, forse troppo in fretta, lo spuntare del germogli, la messe che sembrava abbondante. E poi è ritornato il tempo del gelo - come si conviene alle stagioni, che passano anche nella vita della Chiesa - tutto sembra fermarsi di nuovo, tutto sembra ritornare stagnante: ritorna la legge, ritornano i sensi di colpa, ritornano le paure, ritornano le riunioni "oceaniche"...
Ma - è questo il discorso che facevamo con questi due amici sacerdoti - guardandoci in giro vediamo di nuovo i "semi": c'è gente che magari viene sospesa dal ministero sacerdotale, ma che scrive libri, che saranno, probabilmente, i semi del futuro: i semi di un mondo nuovo, i semi di un parlare diverso di Dio, i semi di una fede che rinnova il modo di essere comunicata alla gente del nostro tempo!
Noi - ci dicevamo - siamo ormai troppo vecchi! Ma ai giovani non verrà sottratta la gioia che abbiamo provato noi: la gioia di cercare qualche cosa di nuovo, la gioia di ritrovare i semi autentici, i semi del futuro, i semi di una libertà nuova, i semi di qualche cosa di bello!
E vedete, questo discorso che io faccio per la mia esperienza di prete, vale anche per la vita sociale, vale anche per la vita pubblica. Noi viviamo un tempo, in Italia, in cui tutto sembra crollarci intorno, in cui non si capisce più che cosa succede...
Ma stanno nascendo, se sappiamo guardarci intorno, i semi dei tempi nuovi: non la gente che grida, non la gente famosa, non i giudici che son sempre sulle pagine dei giornali: no! La gente che in silenzio cerca qualche cosa di nuovo, la gente che cerca le basi nuove per costruire la società, la gente che cerca le regole nuove del vivere civile, i modi più giusti per ricostruire questa nostra città. Ce ne sono! Cercateli: non è la gente che fa rumore, non è la gente a cui si battono le mani, non è la gente che strilla! È la gente che cerca, con passione, che cerca i semi del vero, i semi del futuro, i semi delle cose autentiche, i semi della giustizia!
Un augurio possiamo fare, soprattutto ai ragazzi che sono qui; ma forse, che possiamo farci anche tra di noi: che la gente sappia scoprire dove sono i semi autentici, che sappia trovare il gusto del seminare, il gusto delle cose che sbocciano, il gusto delle cose vere, delle cose che annunziano il futuro! Spesso non sono cose gridate, non sono cose che tutti dicono; spesso son cose nascoste... Ci vuole passione per la Verità, per andarle a scoprire!
Il Signore ci aiuti!
1993
Uno dei racconti che ha fatto più problema alla mia vita di fede è il racconto del "paradiso terrestre" - tutti lo conoscete - e non tanto per la storia ingenua della mela, dell'albero, del serpente: ho fatto presto a superare e a capire i simbolismi che c'erano dietro questi racconti. Ma quello che ha fatto problema per me è l'idea che sta dietro il racconto del paradiso terrestre: l'idea che l'uomo è uscito dalle mani di Dio perfetto!
Quando, parecchio tempo fà, studiavo, con parole difficili ci parlavano dei "doni preternaturali", i doni straordinari che quest'uomo, uscito dalle mani di Dio, aveva. Dietro questo c'è l'idea che Dio ama le cose perfette, compiute; e che si può solo andare indietro, si può solo decadere!
Pian piano ho scoperto le parabole del Vangelo di oggi: attraverso queste parabole (secondo me sono parabole straordinarie!) si cerca di intravedere chi è Dio. Dio ama le cose che crescono, che sbocciano; ama la primavera, le promesse del futuro! Il racconto del paradiso terrestre non è l'inizio, ma l'annuncio della meta, il progetto della casa da costruire; e in mezzo, tra l'inizio che è un boccio, che è un piccolo seme, e il progetto compiuto, c'è tutto il faticoso cammino dell'uomo.
Noi siamo nati, come umanità, come un granellino di senape. E a noi è stato affidato il compito di costruire la vita, la fatica di crescere, l'impegno di far nascere la realtà della tenerezza, dell'amore, della giustizia, del bene: tutto questo non c'è stato dato in maniera compiuta. Dio non è un mago che ha creato il mondo già compiuto e perfetto, popolato di tanti burattini!
E nel cammino dell'uomo c'è stata anche la "zizzania". Non dobbiamo andare a cercare lontano il "nemico" che ha fatto questo... Siamo noi: ci portiamo dentro li noi l'inimicizia per la vita, il senso della distruzione e della morte: basta che ci guardiamo intorno! E insieme a questo, c'è anche dentro di noi il seme di Dio: la promessa del futuro, come il lievito che fa fermentare tutta la pasta, come il piccolo seme che può diventare un albero.
E il compito di ogni generazione - non soltanto di credenti, ma di uomini - è quello di fare un passo verso l'albero fiorito e ricco di frutti, di fare un passo verso la pasta tutta lievitata! Ogni generazione di uomini non vedrà mai il pane cotto nel forno, caldo e profumato; soltanto il lievito: la speranza, il cammino verso il futuro... l'impazienza appartiene alla giovinezza della vita - un'umanità giovane ha scritto quell'antico racconto! - ma poi occorre accettare la fatica di crescere, occorre rinunciare all'impazienza che spesso genera l'intolleranza, occorre trovare il coraggio per la lenta e paziente costruzione della vita.
Tanta gente prima di noi ha camminato, credendo nel futuro, cercando di essere lievito, credendo che fosse importante far crescere il seme, che c'è dentro di noi. Vedete, qualche volta noi immaginiamo Dio come colui che fa tutte le cose perfette...e il mondo ci diventa incomprensibile! Dio ha affidato a noi, ha messo nel profondo della nostra vita, il Suo seme; e ci ha detto: "Questo è il progetto, questa è la verità della vita, questa è la meta!"
I racconti della Genesi ci indicano verso dove camminiamo: verso il progetto che Dio ha fatto per noi. E per noi è la fatica di crescere, la fatica di portare nel mondo la ricchezza del bene.
È questo il Dio in cui crediamo!
Il regno dei cieli: ... "un tesoro nascosto, ...una perla di grande valore..." 25 luglio 1993
Finiamo oggi di leggere il capitolo 13 del Vangelo di Matteo, tutto dedicato alle parabole: ad una prima lettura, possono sembrare piccoli, banali esempi presi dalla vita di ogni giorno, guardando più attentamente, sono simboli straordinari, che Gesù ci propone per aiutarci a comprendere cos'è il "Regno di Dio", cosa significa essere cristiani.
Ricordate le parabole che abbiamo già letto? È importante che le teniate presenti: due domeniche fà, la parabola del seminatore: il contrasto tra la fatica di seminare e la gioia della mietitura, che spesso è solo una speranza. E poi, domenica scorsa, la parabola del seme piccolo come un granellino di senapa, che diventa come un albero in cui gli uccelli possono fare il nido; e ancora il pugnetto di lievito, che messo nella farina fa fermentare tutta la pasta.
È importante che l'abbiate presente: per amare le cose che sbocciano, i piccoli semi, i piccoli gesti di ogni giorno: per non aver paura; perché troppe volte il Vangelo, con i suoi ideali, rischia di mettere paura alla gente. Vi portate la paura nel cuore, se avete fretta di vedere subito l'albero pieno di fiori e di frutta, la pasta tutta fermentata! Gesù ci mette sull'avviso: occorre amare il seme, la fatica del seminare, il coraggio della speranza.
E poi - ricordate? - domenica scorsa leggevamo anche una piccola parabola, molto importante: in mezzo al grano c'è anche la zizzania; e l'uomo è impaziente di andarla a strappare, ma corre il rischio di strappare anche il buon grano! Uno dei pericoli più grandi nella vita del credente - penso che tutti voi ne abbiate fatto, qualche volta, esperienza - è l'intolleranza: chi crede di aver scoperto qualche cosa di importante, di giusto, rischia di fare, di questo il piedistallo su cui mettersi per giudicare e condannare il prossimo, per puntare il dito: rischia di non avere più la misericordia nel cuore!
Allora, se avete presente questo, possiamo fare un piccolo passo in avanti: le due piccole, straordinarie, parabole che abbiamo letto stasera: "Il regno di Dio è come un uomo che trova un tesoro nascosto in un campo: va, vende tutto, pieno di gioia, e compra... Il regno di Dio è come un mercante, che va in cerca di perle preziose: ne trova una di grande valore; vende tutto per comprare quella perla!".
Il credente è uno che ha una perla nel cuore, che ha un tesoro dentro di sé: che ha scoperto qualche cosa di fondamentale, che dà senso alla vita. Noi siamo qui perché crediamo di avere scoperto in Gesù i valori che fondano la nostra esistenza, che le danno senso: le cose che contano, le cose per cui val la pena di vivere.
Se andate indietro un momento con la memoria, non è forse vero che le persone che abbiamo stimato nella vita, le persone che ci hanno dato qualcosa, sono quelle che avevano qualcosa di grande in cui credere? Quelle che avevano nel cuore un senso forte della giustizia, che mettevano l'onestà al di sopra di tutto? Quelle che avevano tenerezza e rispetto, la capacità di fare un gesto di attenzione verso gli altri; quelli che amavano con passione la giustizia, la verità?
Quando abbiamo incontrato persone così, ci siamo arricchiti! Erano uomini che valeva la pena di conoscere: avevano un tesoro dentro di sé!
Ecco: il cristiano è uno che ha un tesoro nel cuore: che ha dentro di sé dei valori per cui val la pena di vivere, uno che crede nella giustizia, nell'amore, che ha passione per la verità, fame e sete di giustizia. È uno che crede nell'onestà: ci crede con tutto se stesso!
Poi, saremo capaci di mettere nel tesoro della vita soltanto "due spiccioli", soltanto un seme, soltanto un po' di lievito... e non avremo paura, perché Gesù ama la gente come noi: la gente che conserva la speranza, la voglia di camminare; la gente che ha un tesoro nel cuore, che crede nella luce, e poi sa guardare i piccoli gesti che può compiere ogni giorno; e fa quel che può... Come la vedova del Vangelo, che ha soltanto due spiccioli da mettere nel tesoro del tempio; e li butta con generosità, senza far calcoli!
Ecco, questo è quello che Gesù ci chiede: avere un tesoro dentro di noi, avere dei valori per cui valga la pena li vivere; e poi dare quello che possiamo, con semplicità; conservando la speranza, la voglia di camminare, il coraggio di mettere il seme, senza intolleranza, senza condannare nessuno. Ma cercando di offrire a chi ci sta intorno l'amore per la giustizia e il bene, la passione per l'onestà, il desiderio della verità: fin che vivremo!
Il Signore ci aiuti!
1993
Secondo Ezechiele siamo costituiti "sentinelle", che devono osservare quello che c'è di male intorno e rimproverare e ammonire; secondo il Vangelo, se un fratello commette una colpa dobbiamo fare qualcosa per lui: pensando a qualcosa da dire su queste parole, mi son tornati in mente certi discorsi fatti e ascoltati questa estate, certe cose sentite per radio o per TV (io non leggo giornali e quindi i giornalisti non mi hanno troppo inquietato, almeno dalla carta stampata), sulle vicende di questo nostro paese, su tutta questa corruzione che adesso viene fuori. Mi capitava anche di ascoltare delle persone, che si interrogavano su quello che il Cattolicesimo, la mentalità cattolica, c'entra in tutto ciò che accade nel nostro paese: a volte discorsi saggi, a volte meno; questo mi ha spinto a dirvi alcune mie riflessioni, che, forse, possono aiutarvi a pensare.
Vedete, secondo me, quando si guarda a questi fenomeni, fenomeni di corruzione, di male, non servono due atteggiamenti: il primo è l'atteggiamento di chi dice: "La colpa è tutta loro: corrotti, malvagi, delinquenti" ecc. (cose che si sentono dire spesso, vero?) questo significa far diavoli; noi cattolici siamo abituati fin dai tempi antichi a "far diavoli". Ma il diavolo non è mai servito a capire quello che succede nel mondo: né quando aveva le corna e la coda, né adesso che si fanno "diavoli" persone concrete. I diavoli non servono, né a spiegare le malattie come succedeva al tempo del Vangelo, né a spiegare la storia di un paese.
Ma non serve nemmeno dire che "la colpa è di tutti": mi capitava di sentirlo dire anche ieri sera: "Siamo tutti colpevoli, siamo tutti peccatori". Anche questa è una sciocchezza, secondo me tipica di noi cattolici, che siamo abituati a batterci il petto, a fare grandi processioni penitenziali o magari ad andarci a confessare... e poi tutto va come prima, vero? Perché facciamo così, da quando eravamo ragazzini: facciamo grandi pentimenti, grandi propositi di conversione, magari facciamo delle grandi processioni penitenziali, ci battiamo il petto... e poi, come se niente fosse, continuiamo a fare come prima. La storia della Chiesa è piena di esempi, non proprio "luminosi", in questo senso!
Non serve, dunque, né far diavoli, dire: "La colpa è tutta di qualcuno", né dire: "La colpa è di tutti: siamo tutti colpevoli, siamo tutti peccatori". Quello che serve, in questi casi, e tentare di capire, fare lo sforzo - se volete "laico", razionale - con tutta la forza della nostra intelligenza, per capire che cosa è successo. Perché, vedete, in questa situazione c'è chi ha una colpa, chi un'altra; ed è inutile che noi ci prendiamo le colpe che non abbiamo. Io non ho preso mai nemmeno un soldo di "tangente"; anche se pure io qualche illegalità l'ho fatta, magari passare col semaforo rosso. Ma penso che chi di voi non l'ha fatta, può provare ad alzare la mano: penso che tutti qualche illegalità l'hanno fatta. Ma ciascuno è responsabile della propria!
Cosa si può fare, allora? Secondo me, ciascuno di noi - tutti, specialmente chi ha un posto di responsabilità - senza drammatizzare senza alzare la voce, senza gridare, occorre che cerchi di capire, capire fino in fondo... E noi che siamo credenti occorre che ci domandiamo con serietà: "Che c'entriamo, noi che siamo cattolici, in tutto questo? Perché queste cose succedono spesso più nei paesi cattolici che in altri paesi?"
Un suggerimento, allora (per cominciare a pensare; poi, sapete, il problema è molto grosso): credo che uno dei difetti che abbiamo noi cattolici - penso che sia giusta questa osservazione che qualcuno ha fatto - è che ci manca spesso il senso dello Stato, del bene comune. Noi in confessionale (anche a qualcuno di voi sarà capitato; anche a me è capitato di dirlo; magari senza pensarci!), se qualcuno ruba qualcosa, magari dei beni pubblici, gli diciamo: "Beh! fa' un'offerta ai poveri"; o qualche buon prete dice: "Fa' un'offerta alla Chiesa". E allora capita, andando in giro per questo nostro paese, di vedere delle belle chiese, tenute bene, restaurate - che è una buona cosa - ma poi vedere le strade che sono tutte malridotte; perché magari quello che piglia la tangente poi si va a confessare e gli dicono: "Fa' un'offerta alla chiesa". Ma non basta!
Bisogna curare il bene di tutti, bisogna avere il senso del bene comune. E, se posso darvi un consiglio, fin da bambini: perché (anche questo mi capitava di ascoltare in quest'estate) ci sono dei bambini che sfasciano a scuola le cose, ma nessuno si preoccupa di dir loro: "Non si fa". "Eh! son bambini" Non sono bambini: sono persone da prendere sul serio, è importante insegnare loro il senso delle cose comuni. Come, è importante comunicare loro anche il senso del dovere, del dovere anche civico; del lavoro fatto con onestà e con scrupolo; e quindi anche lo studio, cominciando da bambini fatto con onestà e con scrupolo! (Anche se io ringrazio sempre che qualcuno per me non l'ha fatto: m'hanno fatto campa' senza studiar troppo, quand'ero ragazzino. Ma non è una cosa molto giusta, anche questa!)
Allora, un po' scherzando, un po' sul serio, credo di avervi detto delle cose che possono aiutare a pensare. Quello che volevo dirvi stasera è proprio questo: non serve "far diavoli", non serve gridare, non serve lamentarsi, non serve prendersi tutte le colpe, non serve battersi il petto. Occorre capire: occorre capire la responsabilità che ciascuno di noi ha in questo momento, in questo paese; e fare quelle piccole cose che ciascuno di noi può fare. È importante guardarsi intorno, domandarsi qual è la nostra mentalità, il nostro modo di pensare, le nostre "tolleranze", anche verso i bambini, che in fondo creano il "brodo" in cui tutto quello che leggiamo sui giornali diventa poi possibile. È importante riflettere sul nostro modo "cattolico" di concepire la morale perché non accada di vedere poi un politico che non ha mai tradito la moglie, che non viola mai il sesto comandamento, che magari va a Messa tutte le mattine, ma che poi corrompe la vita politica in maniera cosi grave, come è stata corrotta la nostra vita? Non è forse la nostra morale troppo personale, familiare e poco pubblica?
Noi cattolici dobbiamo domandarci seriamente: cosa significa essere cristiani, cosa significa essere onesti? E non soltanto nei confronti della persona che mi vive accanto, non soltanto nei confronti dei miei figli; ma anche nei confronti della società, nei confronti di tutto il mondo che ci circonda.
Basta! ho già parlato troppo.
1993
Io oggi non son riuscito a preparare la predica e quindi vi contenterete di quello che riesco a dirvi: i motivi per cui non son riuscito. Qualcuno di voi penserà: "Ma come, proprio oggi che il Vangelo sembra così semplice, così facile?" Eh no! Oggi il Vangelo non è facile per nulla: è un Vangelo di una complessità immensa! Ci sarebbe da parlare per giorni; o forse converrebbe tacere del tutto.
Vedete, io ho cercato di seguire varie strade, per tentare di dirvi qualche cosa, che non siano, poi, sempre le solite cose... All'inizio, la cosa sembra semplice: Pietro si presenta a Gesù e gli domanda: "Quante volte devo perdonare al mio fratello? Fino a sette volte?" (Pietro crede di essere generoso...) E Gesù gli dice: "Non fino a sette volte: fino a settanta volte sette". Viene normale - forse anche voi lo avreste pensato - di fare, allora, una predica sul perdono: è importante perdonare al proprio fratello. Ma che significa?
Ci avete mai pensato, che significa? Forse sì, e qualcuno di voi - ne conosco più d'uno - si porta dentro antichi rancori, insormontabili difficoltà a perdonare, a dimenticare: qualche torto ricevuto, qualche offesa grave. Cosa significa "perdonare"? Forse dimenticare? Forse qualcosa di più?
E parlando del perdono non si mette un peso sulla coscienza di chi fa così fatica a perdonare, di chi non riesce nemmeno a capire cosa significhi nella propria vita? Mi sono, come capite, fermato presto... anche perché leggendo con attenzione il Vangelo, troviamo scritto che uno deve perdonare "settanta volte sette". "A proposito (continua) il regno di Dio è simile ad un re che volle fare i conti con i suoi servi": e questo re (che è poi Dio) ha perdonato non settanta volte sette, ma una sola volta; la seconda, ha sbattuto il povero servo in carcere e non gli ha perdonato più niente! Allora, vedete, parlare del perdono è una cosa seria: può significare mettere in difficoltà qualcuno di voi.
Potevo allora parlarvi del perdono di Dio... ma conosco più d'uno, anche tra voi, che si porta dentro oscuri sensi di colpa, qualcuno che ha paura di Dio e, sentendo parlare del perdono di Dio, della fiducia che dobbiamo avere nella sua tenerezza, costoro potrebbero sentirsi un altro peso sul cuore...
Allora mi è venuta in mente la risorsa che ho sempre, io, su questa pagina del Vangelo, perché è una delle pagine che nella mia vita ho meditato di più. "È semplice - dico - si tratta di parlare del debito immenso che noi abbiamo nei confronti di Dio". Qui - avete sentito - si parla di un re che vuol fare i conti con i suoi servi: c'era uno che gli doveva diecimila talenti. A voi non dice molto questa cifra: si tratta di più di "diecimila miliardi". Se vi dicessero: "Tu hai diecimila miliardi di debito", ehi là! diecimila miliardi forse è troppo. Ci ricordano quasi ogni mattina che abbiamo tanti debiti: ogni italiano non so quanto debito ha. Ma diecimila miliardi sono un po' troppi, per gente come noi...
Eppure a me questa pagina del Vangelo è sempre stata preziosa! Ritorno, oggi, da una passeggiata di un paio d'ore nella pineta (io vado sempre in quella al di là della Cristoforo Colombo): è splendido passeggiare nel verde; e poi gli uccelli... oggi c'erano uccelli strani, che giravano per il cielo; non riuscivo a capire cos'erano... Ho ancora negli occhi immagini di splendide montagne, di ghiacciai, delle pareti dolomitiche! Ed anche la tenerezza, l'amicizia di gente che ha condiviso con me queste vacanze! Sento tutto questo come un debito immenso, che ho nei confronti di Dio e della vita!
Posso parlare di questo, mi dicevo; e poi mi son fermato: perché ho detto: "Io sono così, ma c'è forse qualcuno tra chi mi ascolta, che non vede, non può guardare il mondo che ha intorno; gente che, forse, ha avuto qualche dramma nella sua vita; gente che non sente di ringraziare per la vita; gente a cui la vita è pesante; gente che non ha amicizia, gente che si sente sola... se io dico loro che sono ingrati, rischio di mettere un peso sul loro cuore! E che diritto ho io - che sono sereno, che passo un momento di grande pace - di dire ad una persona: "Tu sei ingrato, perché non senti di avere un debito grande nei confronti della vita"?!
Oppure posso parlare dei debiti che abbiamo con gli altri: sono piccoli, soltanto cento denari (non è poco, si tratta più o meno di dieci milioni, ma in confronto a diecimila miliardi è cosa da poco). Ma io non ho debiti, mi dicevo, nei confronti degli altri, ma pensate: può esserci in mezzo a voi qualcuno al quale in un incidente di strada, un criminale ha messo sotto un figlio o il marito; o qualcuno che ha avuto la vita, la famiglia, lacerata da un'altra persona che si è intromessa. E questa persona non ha il diritto di sentire il debito che il suo prossimo ha con lui come un debito immenso: che sono dieci milioni?! È la vita che si è lacerata! A questa persona come posso io dire che gli altri hanno con lui un debito piccolo, in confronto al debito che lui ha con Dio? Non sarebbe, anche questo, mettere su queste persone un peso troppo grosso?
E allora mi sono fermato. E mi fermo anche stasera. Non ho fatto una predica, non so se ve ne siete accorti; ma forse una conclusione la possiamo tirare: vedete, il Vangelo non è mai a buon mercato, è una cosa complessa: non si può mai usare contro gli uomini, per mettere un peso sulle spalle della gente. Non dimenticatelo mai! Troppe volte questo succede; troppe volte anche da qui - qui come altrove! Mi capitava qualche mese fa di leggere dei fogli che un bravo prete ha preparato per sussidio al catechismo: e quasi in ogni pagina vedevo un peso messo, in nome di Cristo, sulle spalle della gente! E non si può, secondo me: Cristo è venuto a portarci la liberazione! È venuto a portarci il perdono!
Chi sa che questa mia predica - anche se in fondo non è una predica - non sia la migliore fatta su questa pagina del Vangelo! Attenti, quando leggete il Vangelo: invocate sempre la luce dello Spirito! Non usatelo mai contro gli altri! Non si può, con il Vangelo di Gesù!
1993
Non è certo, quella che abbiamo ascoltato stasera, una delle pagine più conosciute e più citate del Vangelo: penso che ci sarà qualcuno di voi che non l'ha mai ascoltata, e, forse, a più d'uno di voi questa pagina risulta inquietante, difficile da comprendere: se doveste citare una pagina del Vangelo, certamente questa sarebbe una delle ultime.
Altre pagine, invece, vengono citate (penso anche da molti di voi) quasi ogni giorno. Qualche esempio: chi non conosce 1a Parola del Vangelo che dice: "Chiedete e vi sarà dato; bussate e vi sarà aperto"? L'abbiamo sentita citare tante volte! Chi non conosce la parola del Vangelo: 'Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te". Chi di voi non ha mai sentito citare la parabola dei talenti...? Sono tra le parole che più conosciamo.
Eppure, vedete, nella pagina che abbiamo letto stasera, a chi chiede si risponde male: altro che "Chiedete e vi sarà dato"! A chi se ne sta sfaticato tutto il giorno, viene data la paga come a quelli che hanno lavorato sopportando il peso della giornata, il caldo, fin dal primo mattino! Altro che trafficare i talenti!
Certo, questa non è una pagina che citiamo spesso: non corrisponde al nostro modo di sentire, al nostro modo di metterci davanti a Dio. Il fatto è, vedete, che noi ci mettiamo davanti a Dio e cerchiamo - anche davanti a Lui, come a tante cose del mondo - di capire a che cosa ci serva Dio: Dio è grande, è potente ed io vado a Lui per chiedergli una grazia...E quale parola del Vangelo, allora, mi citano quasi ogni giorno? "Bussate e vi sarà aperto; chiedete e ve lo darà". E noi spesso abbiamo tanti bisogni: e chiediamo e bussiamo e cerchiamo... ma spesso dobbiamo fare esperienza, che poi non è così semplice; che forse quella parola del Vangelo non l'abbiamo tanto capita!
Noi nel Vangelo spesso cerchiamo un insegnamento morale: per noi, per la nostra società, per i nostri figli. E l'insegnamento di questa pagina del Vangelo è sconcertante!
Ma se qui in questa pagina - in questa pagina che non corrisponde alle nostre attese di Dio - noi trovassimo il senso profondo della nostra vita, della nostra fede; il senso ultimo del nostro rapporto con Dio? È una domanda...: rileggetevela, questa parabola! Se le vie di Dio, come ci ha ricordato Isaia, sono diverse dalle nostre vie; se il nostro cercare Dio non può ridursi a cercarlo perché ci sia utile, perché ci faccia comodo, perché risponda ai nostri bisogni... se cercare Lui, è cercare il mistero della vita? e se il mistero della vita fosse gratuità? se il mistero della vita fosse passione per il bene, per la giustizia? passione per la verità, per l'amore, per l'attenzione verso gli altri?! Perché, questo è "lavorare per la vigna"!
Vedete, in questa parabola incontriamo un padrone strano: che non si preoccupa tanto della paga, di quanto deve dare alla gente; ma si preoccupa che tutti lavorino nella sua vigna: che prendano passione per il bene, che scoprano la gratuità, che scoprano l'interesse per la propria esistenza, per l'esistenza degli altri, per la giustizia, per la tenerezza, per la bontà! Questo padrone, che torna e torna a cercare; e non si preoccupa nemmeno se quelli che ha davanti sono dei bugiardi, dei fannulloni... Perché - l'avrete notato - quelli che sono lì alle cinque del pomeriggio, raccontano storie! Dicono: "Non ci ha preso nessuno a giornata": ma Lui è venuto li alle sette del mattino e poi alle nove e poi a mezzogiorno e poi alle tre...e loro non c'erano. Dov'erano? all'osteria, a giocare a carte, forse; oziosi da qualche altra parte; non erano venuti a cercare il lavoro!
Ma Lui li ha cercati, appassionatamente: perché scoprissero la vita, perché scoprissero qualche cosa di diverso! perché prendessero anche loro passione per il bene, per la giustizia, per la gratuità!
Questo è il Dio che abbiamo davanti! Noi troppo spesso lo cerchiamo soltanto perché ci sia utile, perché ne abbiamo bisogno; troppo spesso domandiamo a Dio come dobbiamo comportarci...
Cerchiamo di scoprire, nell'incontro con Dio, il segreto più profondo della vita. Non è importante, non è bello, nella vita, soltanto quello che serve, quello che è utile, quello che ci torna conto... È bello il segreto ultimo della vita: quello da cui noi veniamo e verso cui noi andiamo: il segreto della gratuità! È la bellezza dell'Amore!
E qualche volta ne facciamo esperienza: penso che tutti voi, se siete qui, ne avete fatto, qualche volta, esperienza: non è vero che la persona che avete accanto, a cui volete bene, l'avete trovata proprio quando vi siete dimenticati di chiedervi se vi serviva o no, se vi era utile o no? quando avete scoperto la gratuità del donare sé stessi? Non è forse vero che le esperienze più profonde della vita sono esperienze di gratuità, di disinteresse, di amore?
E se Dio fosse così - dono, gratuità, amore - e non il Dio che premia e castiga, non il Dio dei meriti o delle punizioni, ma il Dio della gratuità?! Siamo qui per cercare il Suo volto: lo Spirito ci aiuti a farlo!
1993
Il Vangelo di oggi è semplice, al limite della provocazione: un padre aveva due figli; disse al primo: "Va' a lavorare nella vigna"; quello disse: "Sì" ma poi non ci andò; il secondo disse: "No, non ne ho voglia", ma poi, pentitosi, ci andò. "Chi dei due ha fatto la volontà del padre?". C'è bisogno di farla, la domanda? È così evidente...! E qualcuno di voi avrà subito cominciato a commentare: "Ecco, noi siamo così, spesso: diciamo di sì, diciamo tante belle parole al Signore, ma poi non facciamo: non siamo così bravi da fare il bene, da lavorare concretamente nella vigna del Signore!" Fermi! Perché rischiate di prendere una strada sbagliata. Fermi: non vi siete accorti che il Vangelo non è per voi! Rileggiamo dall'inizio: "Disse Gesù ai principi dei sacerdoti e ai capi del popolo... "Ah! Allora ce l'ha con loro, ce l'ha con qualcun altro, non ce l'ha con noi! Noi, povera gente, è vero che qualche volta diciamo di sì, ma poi non facciamo il bene; però c'è gente - i capi del popolo, i principi dei sacerdoti - che ci riempiono di parole e pochi fatti fanno! Noi siamo, dunque, le vittime... Gesù ha detto questa parabola, prima di tutto, per difendere la povera gente come noi: la gente che ogni giorno cerca di fare il bene, meglio che può; che non dice tante parole, che non spreca grandi discorsi; ma fa quello che può: qualche volta non ci riesce, poi si pente e ci riprova la mattina dopo.
La storia, invece, è piena di tanti chiacchieroni. Vedete, una delle cose che più mi impressiona - perché non riesco, nonostante gli anni, a sopportare tante cose - quando leggo la storia della Chiesa, è l'ipocrisia, l'incoerenza dei capi: dicono tante parole, poi... Per esempio, i vescovi, i frati, facevano lunghe prediche sulla povertà e poi vivevano nel lusso. Nei tempi passati, i conventi della nostra Italia, possedevano quasi tutti i terreni: quei frati, che parlavano sempre di povertà, tenevano nella fame i poveri contadini!
Si sente, a volte anche oggi, dai capi della Chiesa, parlare di "dialogo", di "rispetto per l'uomo": non parlano con nessuno, non ascoltano nessuno...!
Per non parlare, poi, dei nostri capi di governo, dei nostri parlamentari o dei nostri giornalisti o dei nostri giudici... Siamo vittime di tutta questa gente: di gente che ci riempie la testa di grandi parole, di grandi discorsi; e poi fa poco o nulla!
È, dunque, la parabola che abbiamo ascoltato stasera, una difesa, una difesa dei molti tra voi, che ogni mattina vanno a lavorare e cercano di fare, meglio che possono, il loro dovere, ed una difesa anche mia se permettete: perché cerco di parlare sempre di meno, di dire parole sempre più piccole, perché sento infatti tutta l'inadeguatezza della mia vita a quello che dico, qui, ogni domenica.
E poi, però, ci dobbiamo fermare qui. Perché, vedete, il Vangelo non può servire mai per puntare il dito, per accusare gli altri. Sentiamoci difesi, nella vita di ogni giorno: sentiamoci difesi nel nostro fare, ogni giorno, il bene che possiamo: che è poi, quello che conta! I gesti di tenerezza, di amore, di bontà, che riusciamo a mettere ogni giorno nella nostra vita, non le parole che riusciamo a dire: questo è quello che conta davanti a Dio!
Sentiamoci, dunque, difesi dal Signore, ma non accusiamo nessuno! Continuiamo la nostra strada invocando il Signore, perché porti luce nella nostra vita e nella vita dei tanti che ci sono nel mondo, che riempiono la loro bocca di grandi parole, che fanno grandi discorsi, ma non sanno, poi, fare i gesti concreti. Il popolo tribola per questa gente, per i capi del popolo: al tempo di Gesù ed anche ai tempi nostri.
Ma il mondo va avanti perché, al di là della gente che parla, c'è gente come voi, che fa ogni giorno, con pazienza, con costanza, con fedeltà, il proprio dovere; che fa i gesti del bene ogni giorno. Il Signore ci aiuti a continuare!
1993
Noi nel Vangelo siamo soliti cercare un insegnamento morale: che cosa dobbiamo fare, come comportarci? Vi ho fatto più volte questo discorso.
Spesso, invece, è utile domandarsi, leggendo una pagina del Vangelo, chi è Dio per noi, che cosa ci dice di Dio la pagina che abbiamo letto. Proviamo, stasera, a considerare quello che abbiamo letto da questo punto di vista: chi è Dio? E, vedete, potremmo intitolare le parabole che abbiamo letto stasera (ne abbiamo ascoltata più d'una) "le parabole dei fallimenti di Dio".
Abbiamo ascoltato insieme le belle parole di Isaia: "Canterò per mio diletto un cantico d'amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna su un fertile colle. Egli l'aveva vangata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato scelte viti...aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica..." Mio nonno avrebbe detto: "Insegnategli a custodire la vigna! Non lo sa fare: o non ha saputo innestare bene, o non ha saputo potare al momento giusto, o non ha saputo zappare... No, non era un bravo contadino!".
Ma se gli avessero detto: "Attento, che qui non si parla di viti, ma si parla di uomini", ah! allora mio nonno si sarebbe fatto un po' più perplesso, perché era esperto della vita: lui che ha saputo tirar su sette figli, cresciuti tutti bravi e buoni; sapeva, conoscendo il mondo, che tirar su i figli è molto più complesso che tirar su delle viti! E qualche volta i casi della vita, gli incontri che si fanno, possono portare un figlio, senza colpa del padre, fuori della strada.
Certo, però, che è strano! Qui si parla di Dio, che conosce il fallimento con la sua gente molto più di mio nonno!
E la parabola del Vangelo! Questo padrone che manda i suoi servi a cercare i frutti: e uno lo uccidono, l'altro lo bastonano; e finalmente manda il suo Figlio! E anche lui lo buttano fuori e lo uccidono! Un figlio non sa aiutarlo! Si può conoscere un fallimento più grande?! Questo padrone non ha saputo difendere i suoi servi, i suoi inviati e nemmeno suo figlio!
E l'ultima parabola che abbiamo ascoltato: "la pietra che i costruttori hanno scartato...". Vedete? Dio accetta di essere pietra, che i costruttori scartano! I fallimenti di Dio: non sa coltivare la sua vigna, non sa difendere i suoi servi e nemmeno suo figlio; accetta di essere pietra scartata dai costruttori!
E l'ultimo, fallimento, quello che ci riguarda di più: affida questa sua immagine, queste sue parabole, a della gente che non si rassegna che Dio sia così: "Che farà questo padrone quando verrà? farà perire miseramente quei contadini...". Ecco, vuole la vendetta! Un Dio che non accetta il fallimento e si vendica!
I fallimenti di Dio! Ma forse, più che dei fallimenti, dovremmo parlare della debolezza di Dio, della povertà di Dio: si affida, vedete, alla nostra libertà. Non può venire in mezzo a noi con la forza: perché cerca il nostro cuore, perché si affida alla nostra libertà, alla nostra risposta. Lui vuole la risposta dell'uomo. E continua a bussare, a cercare! non perché Lui ne abbia bisogno: siamo noi che abbiamo bisogno di convertirci, di fare il bene: per la bellezza della nostra vita, del nostro mondo.
Noi qualche volta ci aspettiamo un Dio potente, un Dio che cambi, con la sua forza il destino e il cuore degli uomini... e ci troviamo davanti un Dio nella debolezza, che accetta il fallimento; ma che continua a bussare al nostro cuore, che continua a fare appello alla nostra libertà, che continua a chiederci di portare i frutti del bene! Non lo può fare con la violenza, con la forza: non saremmo più uomini liberi! Possiamo farlo noi, soltanto con lo slancio del cuore, con la conversione della vita.
Ecco perché Dio viene a noi nella debolezza! E tende la mano e accetta di essere pietra scartata, accetta di morire sulla croce, accetta di camminare in mezzo a noi nel fallimento: perché noi possiamo accogliere il suo appello e convertirci e accettare, finalmente, le vie della vita! Così è Dio.
Il regno dei cieli è simile ad un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. 13 ottobre 1996
Sabato scorso vi invitavo a cogliere anche nel Vangelo la fragilità, la debolezza, il peccato dell'uomo, a cui Dio affida la sua luce. Anche oggi qualcuno di voi avrà colto la fragilità della condizione umana in qualche parola del Vangelo. Questa debolezza, questa fragilità si manifesta ancora di più nel commento alle parole del Vangelo.
Vedete, nella mia esperienza di ragazzo - che forse è simile a quella di molti di voi - queste parabole erano tra le più conosciute. Ho ascoltato tante e tante volte commentare queste parabole -dai miei catechisti, dai preti nelle prediche - e sempre allo stesso modo. Io parlo al passato, ma mi è capitato anche ieri di sentire commentare queste parabole sempre allo stesso modo.
Il "banchetto" è chiaramente l'Eucarestia che celebriamo ogni Domenica, e spesso prendiamo scuse per non venire. Quand'ero ragazzo mi dicevano: "Te ne vai in giro con gli amici o vai a giocare a pallone e non vieni in chiesa. Dio ti chiama, tu non rispondi!". Oppure: "Tu vieni, ma non hai la "veste" pulita: prima di andare a fare la Comunione, sempre bisogna confessarsi, pulire la propria veste, per poter partecipare al banchetto del Signore".
Vivevamo allora tempi in cui i nostri buoni preti erano - e giustamente - preoccupati perché il mondo cambiava in fretta e tanta gente non partecipava più alla Messa. E si affannavano, allora, a convincere la gente che "bisognava" venire a Messa! E forse non si accorgevano che, facendo così, allontanavano la gente dalla Messa! Non basta - e non vale solo per la Messa - dire: "si deve" fare, occorre saperne dare i motivi, essere capaci di comunicarne il senso.
Queste parabole (sono due, lo avete notato) venivano - e vengono purtroppo - interpretate in senso moralistico. Capite il mio stupore quando - ero già prete da qualche anno, pensate... - qualcuno mi ha fatto vedere, qui, lo straordinario annunzio che Gesù ci fa del volto di Dio, della sua passione per la vita dell'uomo!
Altro che l'obbligo di andare a Messa: qui c'è l'annunzio di Dio che vuole la FESTA per la nostra vita! E questa festa si farà, perché è la Sua festa, anche se qualcuno rifiuta di parteciparvi!
Se posso esprimermi con una parabola: negli ultimi due anni, un po' scherzando, un po' sul serio, ho tormentato i miei amici - soprattutto in vacanza, quando si può scherzare un po' di più - con una domanda: "Cos'è che manda avanti il mondo? Cos'è che fa progredire il cammino dell'uomo? Cos'è che migliora la vita sulla terra?" Ho avuto varie risposte - pensateci un po' anche voi - alcune assennate: qualcuno mi diceva: "Sono i geni, le grandi scoperte, che fanno fare un passo avanti all'umanità". Qualcun altro: "E la conoscenza: più si moltiplica il conoscere, più questa conoscenza si diffonde e più l'uomo fa un passo avanti". E un altro: "E il lavoro quotidiano della gente, l'impegno di tutti noi, che fa andare avanti il mondo".
Qualche risposta era un po' più scherzosa: ve le risparmio. Una: io dicevo: "Forse le telenovelas - Beautiful o Sentieri - mandano avanti il mondo più di tutte le prediche che ho fatto io nella mia vita"... E uno scherzo, ma forse non del tutto, se ci riflettete attentamente.
Ma se, al di là di tutto questo, dietro il cammino dell'uomo ci fosse quello che un laico chiamerebbe "lo slancio vitale, la forza della vita", quello che il credente, quello che il Vangelo chiama "la passione di Dio per la vita dello uomo"; il desiderio di Dio che la Sua festa si faccia, in ogni modo; l'impegno di Dio perché il mondo vada avanti, perché la festa della vita pian piano maturi nella storia degli uomini?!...
Se il futuro non è affidato soltanto alle nostre fragili forze, ma alla passione di Dio!... non è questo il messaggio più straordinario per la nostra fede?
Non è questa la nostra suprema speranza: la vita affidata non soltanto alle nostre fragili mani, ma alla passione di Dio?
Se ci credessimo sul serio, si riempirebbe il cuore di speranza! Altro che la facile morale di dire: "Venite a Messa! Non trascurate i vostri doveri di cristiani!"... E importante, questo; ma quant'è più importante avere nel cuore la certezza dell'amore di Dio, la fede nella sua passione per la nostra esistenza, che questa straordinaria parabola vuole comunicarci !
Non lo dimenticate mai: gli invitati non vengono, ma la festa si fa lo stesso! Perché è la festa di Dio: è Lui che vuole la festa per la nostra vita!
Il nostro compito, fratelli, diventa allora quello di non lasciarci sfuggire questa festa, di non chiudere gli occhi alla forza della vita che è intorno a noi!
Ed è anche - se posso aggiungere una parola - la suprema consolazione per voi genitori: nella fatica di far crescere i vostri figli, potete contare sulla forza della vita, sulla passione di Dio per la vita dei vostri figli!
Ed è la nostra suprema speranza! Lo Spirito ci aiuti a conservarla nel cuore!
1993
Tante, tante, tante volte - in questi ormai 32 anni che son prete - ho parlato con persone che venivano da me turbate: vivevano in un certo modo, avevano nella loro vita un certo comportamento e credevano di essere sulla strada giusta, di fare quello il loro cuore diceva essere buono ed onesto; ma poi erano stati turbati da qualcuno: o da un articolo letto su un giornale o da un documento venuto dall'autorità della Chiesa o, più spesso, da qualche parente, da qualche amico che aveva detto loro: "Tu sbagli! Non è giusto comportarsi così: quello che fai è contro la volontà di Dio."
E queste persone venivano, turbate, a dire: "Ma a me sembra di essere nel giusto; a me sembra di comportarmi onestamente. Perché mi dicono che è sbagliato?!". A volte mi è capitato di parlare con persone che si confessavano e dicevano: "Io le dico questo; ma in fondo mi sento un ipocrita, perché dentro di me non sento che sia peccato quello che sto dicendo!". E se domandavo: "Ma allora perché lo dici?" "Ma perché così è scritto! Ma perché così mi dicono! Ma perché così si deve fare! Ma io mi sento un ipocrita!" Questa frase, detta da persone giovani, ha pesato sulla mia coscienza.
E mi domando: "Perché c'è tanta gente, in questo mondo, che dice agli altri come si devono comportare?". Tanta gente anche all'interno della vita della Chiesa... Secondo me, Gesù non faceva così. Vedete: nel Vangelo di oggi ci sono delle persone che vanno da Lui e gli domandano: "Dobbiamo pagare le tasse o no?". "Date all'imperatore quello che è dell'imperatore e a Dio quello che è di Dio". Non ha detto: "Sì o "No": ha detto "Dio!". Altre volte vanno due fratelli che discutono tra loro per un'eredità, per chiedere chi tra loro due ha ragione. Gesù risponde seccamente: "Uomo, chi mi ha fatto giudice per te?" E racconta una parabola. Quando - lo ricordate - a casa di Marta e Maria, Marta vocia: "Maestro, dì a mia sorella che venga a darmi una mano, sta lì senza far niente!" "Marta, Marta! tu ti agiti e ti preoccupi per troppe cose: una sola è la cosa necessaria!".
Vedete, Gesù amava le parabole, i simboli; amava il riferimento a Dio. Cosa significa "riferirsi a Dio"? Significa che ciascuno di noi, nel profondo della propria coscienza, mettendosi davanti a Dio che è la verità, che è la gratuità, che è la pienezza dell'amore deve domandarsi con profondità che cosa è giusto, che cosa è sbagliato.
Noi non possiamo correre il rischio di fare quello che ci pare, di metterci al centro del mondo, di essere noi i giudici del bene e del male: è questa, secondo la Bibbia, la radice stessa del peccato!
Ma non possiamo nemmeno credere all'ultima persona che passa. Non possiamo permettere a nessuno di occupare la nostra coscienza: è la peggiore schiavitù che esista sulla terra; tra i primi cristiani c'erano molti schiavi: il corpo si può vendere, ma l'anima mai! Che cosa è giusto e che cosa è sbagliato: questo debbo cercarlo nel profondo di me stesso! Non solo con me stesso: con tutti gli uomini di buona volontà; ma soprattutto mettendomi davanti a Dio, che è la Verità, che è la Gratuità e l'Amore, che è l'Assoluto! E quando con cuore sincero, davanti a Dio, con tutta l'onestà di cui sono capace, con profondità di cuore, mi son chiesto se una cosa è giusta o sbagliata, poi devo stare tranquillo! Chiunque parli sulla terra: perché mi sono messo davanti a Dio! Lui solo è l'assoluto! Non c'è nessun altro sulla terra che possa impossessarsi del mio cuore, che possa dirmi che cosa è giusto e che cosa è sbagliato: questo spetta solo a Dio... e quando l'ho cercato con tutta la passione del mio cuore poi debbo stare tranquillo. Nessuno più ha il diritto di turbare il mio cuore, nessuno sulla terra. Nessuno sulla terra! Io ho conosciuto troppa gente turbata dagli altri: non è giusto! Quando avete cercato la giustizia nel profondo di voi stessi, davanti a Dio, state tranquilli: penso che Gesù ci assicuri questo.
1993
Le parole del Vangelo di oggi certamente le abbiamo ascoltate tante volte e tante volte avete anche sentito prediche su questi comandamenti. Portate pazienza: oggi ne ascolterete una in più.
Io vorrei attirare la vostra attenzione sul primo dei due comandamenti: è enunciato con maggiore solennità: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti." Noi siamo - noi uomini di questo secolo - siamo tentati di rivolgerci subito al secondo: ci è più familiare, ci è più semplice: "Amerai il prossimo tuo come te stesso". Capiamo poco il primo comandamento: perché "amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente"? Che senso ha? Eppure, vedete, se leggete il Vangelo, trovate che spesso Gesù cerca Dio, la Sua volontà; spesso afferma il primato dell'amore verso Dio; ed anche nel "Padre nostro" ci ha invitato a pregare ogni volta: "Sia fatta la tua volontà".
Cosa significa amare Dio, fare la volontà di Dio, cercare Dio? Perché dobbiamo cercare Lui? Perché dobbiamo mettere Lui al primo posto? Vedete - se ho capito qualche cosa - cercare Dio significa cercare il fondamento stesso dalla nostra vita; significa cercare la radice ultima del nostro vivere, del nostro esistere; significa cercare il centro unificante della nostra esistenza. Cercare Dio è cercare la gratuità, è cercare la tenerezza. Se è vero che Dio è Amore, cercare Dio è cercare l'amore, è cercare, in profondità, il senso ultimo della nostra vita.
È importante cercare Dio sopra ogni cosa, anche perché questo ci libera dall'antica tentazione dell'uomo: che è quella di farsi Dio, di mettersi al centro del mondo. Tutti noi siamo tentati di dire: "io sono Dio". Questo significa: "io ho sempre ragione, io sono il criterio del bene e del male": questo, per la Bibbia, è la radice di ogni peccato!
Non solo: ma amare Dio con tutto il cuore significa anche farci liberi da tutti quelli che nel mondo cercano di impossessarsi del mio cuore, da tutti quelli che pensano di avere sempre ragione, da tutte quelle "autorità" che pensano di imporre la loro volontà sugli altri - "autorità" che possono essere i governi, i partiti, le ideologie -. Amare Dio sopra ogni cosa significa riferirsi all'Assoluto, ad una realtà più grande delle cose che cambiano nella storia, dei poteri di questo mondo.
Amare Dio significa liberarsi anche dalla tentazione degli idoli, che ancora ci sono: non pensate che non ci siano più! Certo, non ci sono più le statuette d'oro e d'argento; ma c'è gente che si vende l'anima per il denaro, per il successo, per la carriera...C'è gente che per il denaro, per il potere, è capace di corrompere, di uccidere, di spacciare droga...
È importante, dunque, che l'uomo ritrovi il senso del riferimento all'Assoluto: a qualcosa a cui, solo, si può dare la propria vita! La propria vita non può essere sciupata dietro gli idoli di questo mondo!
Ma cercare Dio è, soprattutto, cercare nel profondo la propria liberazione, la pienezza della propria vita! E cercare Dio non è, come qualcuno ha forse anche a voi raccontato in tempi passati, rinunciare a se stessi (l'uomo non può rinunciare a se stesso!); cercare Dio non è rinunciare a se stesso, ma è cercare, di se stesso, il senso profondo, cercare l'autenticità profonda della nostra vita, che solo in Dio c'è! Qualcuno vi ha anche detto che a Dio è gradita la rinuncia, il sacrificio, la sofferenza... Si può dire una cosa più folle?! Dio ama la gioia! Dio ama la pienezza della vita! Dio ama la libertà!
Cercare Dio significa cercare la pienezza della nostra esperienza di uomini, significa cercare la pienezza della nostra libertà, significa cercare la pienezza della vita: Lui ci ha fatti per la gioia, per la tenerezza, per l'amore! Rinunciare per Dio, rinunciare per cercare Dio? possiamo rinunciare soltanto al male, all'egoismo, agli idoli: a tutto quello che ci rende schiavi, a tutto quello che non ci fa liberi. "La gloria di Dio è la grandezza dell'uomo": la gloria di Dio è la bellezza, la ricchezza, la grandezza della nostra vita! A Dio non fa piacere che noi moltiplichiamo davanti a Lui le offerte, i sacrifici: non sarebbe Dio, se avesse bisogno di noi! A Lui fa piacere la nostra libertà; a Lui fa piacere la pienezza della nostra vita; a Lui fa piacere la nostra gioia! Cercare Lui significa cercare la pienezza della vita, significa cercare il fondamento ultimo della nostra vita, significa cercare la libertà, la tenerezza, l'amore!
Ecco perché questo è il primo comandamento: perché cercare Dio è aprirsi all'Altro! - All'Altro, con la "a" maiuscola - ; è cercare in Lui la libertà! Poi sarà semplice, - una volta che ci siamo liberati da ogni idolo, che ci siamo liberati dall'egoismo che c'è dentro di noi - aprirci anche al fratello che ci sta accanto. Lo ameremo non "come" noi stessi, ma "più" di noi stessi: "Amatevi come io ho amato voi!". Questo è il comandamento che ci ha lasciato Gesù.
Tenteremo di amare il fratello come Dio ama noi. Tenteremo di aprirci a lui nella libertà, nella pienezza, nella gioia! Senza più alcuna voglia di dominare, di sfruttare, di passare avanti all'altro! Lo ameremo come Gesù ha amato noi: fino a donarci la vita, fino a farsi Pane! Ma lo ameremo, se sapremo aprirci all'Altro: se sapremo cercare in Dio il fondamento della nostra vita, l'Assoluto della nostra esistenza.
Il Signore ci aiuti!
1993
Una signora mi chiedeva qualche tempo fa: "Mi dica, don Checco, a Lei è mai capitato nella vita di conoscere qualche "santo"? - "Oh, tanti!" ho risposto. Mi sono sorpreso, poi, di questa risposta data così spontaneamente: mi avessero fatto questa domanda tanto tempo fa, quando ero ragazzo, avrei risposto molto più perplesso: Mah, mi sembra di non averne conosciuto nessuno." Se domandassero a voi: "Vi è capitato nella vita di conoscere qualche santo?", penso - se non sbaglio - che molti di voi risponderebbero come avrei risposto io da bambino: "Mah, forse no; forse proprio santo non m'è capitato di conoscerne nessuno".
Mi sono domandato: "Perché questa differenza così grande: io che adesso rispondo: "Oh, ho conosciuto tanti santi nella mia vita!" e la risposta, forse di molti di voi, che pensano di non averne conosciuto nessuno? Ho cercato di farmi questa domanda: vedete la mia risposta.
Molti cristiani pensano - e non solo noi, ma in molte religioni del mondo - che Dio si manifesti nelle cose straordinarie, nei prodigi; che un "santo" deve essere una persona che fa cose straordinarie, meravigliose: che compie dei miracoli, interpreta il futuro, compie gesti straordinari... questo, viene dall'antico bisogno dell'uomo di trovare la divinità - un segno della divinità - nelle cose straordinarie, nel prodigio. Vedete, quando l'uomo era ancora poco più che una scimmia, un selvaggio che viveva nella foresta, se gli capitava di vedere un fulmine - un fatto straordinario! addirittura bruciava a volte un grande albero! - vedeva in questo un segno di Dio, un segno delle cose che lui non capiva: un segno del mistero che avvolgeva l'esistenza umana. Così, se veniva l'invasione delle cavallette; e poi queste se ne andavano, anche in questo vedeva un prodigio e magari c'era qualche "santone" pronto ad attribuirsene il merito. E così, di volta in volta, l'uomo ha sempre cercato di trovare un segno della divinità nelle cose straordinarie, nei prodigi, nei miracoli.
Pensate un po': se alla gente che è vissuta con Gesù, a Nazareth, per più di 30 anni, avessero domandato (e poi, se leggete il Vangelo, gliel'hanno domandato!): "Avete conosciuto un santo?", hanno risposto: "No, un santo, qui da noi?! No!". Era stato con loro, per più di 30 anni, il Figlio di Dio! e non l'avevano riconosciuto! Il "santo", anche per loro, era colui che fa i prodigi, i miracoli, le cose straordinarie, i gesti prodigiosi.
Noi crediamo - avete ascoltato con attenzione le parole del Vangelo - noi crediamo che la santità sia qualche cosa di quotidiano, appartiene alla vita di tutti i giorni: è "santo" chi si porta nel cuore la fame e la sete della giustizia, la misericordia, la mitezza, la tenerezza, la voglia di pace, la capacità di fare la pace nelle cose di ogni giorno! E di queste persone io ne ho conosciute tante, nella vita, tante! Tante anche in mezzo a voi: gente quotidiana, gente di tutti i giorni, ma con nel cuore un desiderio vero di amore, di giustizia di verità; gente capace di gesti di tenerezza, di mitezza! Di gesti di bontà ne ho visti tanti, nella mia vita!
Io sono stato fortunato, nella mia vita: non ho mai conosciuto i santoni, quelli che fanno i prodigi. Ogni tanto qualcuno mi racconta: "Sono andato a quel santuario: là c'è quel frate che fa cose straordinarie; in quel paese c'è quella suora; dall'altra parte, c'è quell'altro frate..." (chi sa perché, poi, sempre i frati e le suore... ve lo siete mai domandato?). Quando ero più giovane rimanevo colpito da questi fatti. Sono stato fortunato: non ho mai sentito il desiderio di andarli a trovare. Mi bastavano mio padre e mia madre, gli amici, la gente per bene che conoscevo.
Poi, una volta, ho sentito una persona (più che sentita, l'ho vista piangere) che mi diceva: "Vede, sono andato a quel santuario e m'ha detto che se mio padre ha il cancro è colpa mia". Ah! Allora ho capito: non era andata a trovare un santo, anche se ne raccontavano i prodigi, era andata a trovare un delinquente! Tutte le persone giuste che ho incontrato nella mia vita, una cosa del genere non l'avrebbero mai detta a nessuno; non avrebbero mai trovato il coraggio di guardare una persona negli occhi e dirle: "Se tuo padre ha il cancro, è colpa tua!" Quello che passava per un santone, l'ha detto. Ho capito che la santità stava da un'altra parte!
Guardate che di questi fatti, nella mia vita, che è ormai abbastanza lunga, non me n'è capitato uno solo: più volte mi è successa una cosa del genere. Allora ho capito ancora di più, se ce n'era bisogno, che la santità dovevo cercarla da un'altra parte, dovevo trovarla nel quotidiano, nella gente che, come dice Gesù, si porta nel cuore "la fame e la sete di giustizia", la mitezza, la misericordia, la voglia di pace, la capacità di tendere una mano; di tendere una mano senza chiedere niente! Quante ne ho viste, intorno a me, di queste persone! Quanta gente ho incontrato, nella vita, che era così! Erano quelli i "santi"; e sono tanti! E ce ne sono in ogni angolo della terra: avete sentito l'Apocalisse: "una moltitudine di ogni razza, popolo e nazione".
E con questa gente faremo festa nel regno di Dio! Con questa gente canteremo le lodi del Signore! Con tutta la gente di tutti i giorni. E ci sentiremo accanto Gesù: un operaio, un falegname, con le mani callose, con il volto sudato; che ha passato la maggior parte del suo tempo in mezzo a noi, a lavorare il legno, a parlare con la gente, a stare con i suoi amici, a portare a casa i sudati guadagni di una giornata di lavoro, per tirare avanti la vita! Con tutta questa gente faremo festa. Forse, con tenerezza, batteremo le mani sulle spalle dei tanti santoni della storia e diremo: "Pover'uomo! Pover'uomo! Credevi di essere chi sa che e non avevi capito quasi nulla del Vangelo di Gesù!".
Il Signore ci aiuti a camminare anche noi sulla strada dei giusti, a portare nel cuore il desiderio della vita!
1993
Diversi sono gli atteggiamenti dell'uomo di fronte alla morte, vari i sentimenti che ci riuniscono qui: c'è qualcuno tra noi che si porta nel cuore, stasera, una dolce nostalgia nel ricordo di una persona che è stata preziosa nella sua vita, che magari da tanto tempo non c'è più; c'è chi tra noi, stasera, si porta dentro un dolore acuto e lancinante, quasi una disperazione, che non si può colmare; c'è chi si porta, di fronte alla morte, l'ansia, la paura, la preoccupazione del futuro.
Ed anche di fronte al Signore, le nostre preghiere sono varie: per qualcuno è un'invocazione di luce, per qualcuno è una preghiera di confidenza, per qualcun altro un grido, forte e rabbioso, quasi una bestemmia: un modo, di noi uomini, di esprimere il nostro dolore, la nostra disperazione!
Qualche volta mi è capitato di sentir dire che un cristiano non dovrebbe aver paura della morte: per fortuna noi abbiamo il Vangelo, per non lasciarci sgomentare dai "sapienti" di questa terra... Gesù ha avuto paura, ha tremato, ha subito l'orrore della morte! non poteva essere consolato della morte del Suo amico!
Non conviene di fronte alla morte - per quel che io ho capito della vita - moltiplicare le parole, trovare spiegazioni: è meglio, se potete, fare una carezza, un gesto di tenerezza, moltiplicare la vita. È l'unico modo che abbiamo di rispondere alla morte: moltiplicare i gesti d'amore, di tenerezza, di attenzione, verso le persone che ci stanno accanto. Moltiplicare la Vita, non le parole!
Ma, se permettete, due parole - quasi sommessamente - le aggiungerei stasera. La prima: vedete, noi siamo qui davanti al Cristo, che, come noi, ha conosciuto la paura, l'ansia, di fronte alla morte; ha gridato al Padre perché lo esaudisse...e non è stato ascoltato! Ma noi siamo qui per confessare il Cristo non soltanto morto, ma anche risorto! Siamo qui per conservare nel cuore il lucignolo della nostra speranza: la speranza che al di là della soglia della morte non ci sia il buio, il vuoto, il nulla...ma l'incontro con Dio, l'incontro col Padre! Noi siamo qui per buttare il nostro cuore al di là della morte, per conservare, nel profondo di noi stessi, la speranza della vita!
Ed una seconda parola vorrei aggiungere: noi siamo qui per fare memoria di quelli che son morti, per conservare nel cuore quello che loro hanno dato alla nostra vita, quello per cui sono stati preziosi per noi: l'amore che ci hanno dato, l'amore per la vita che ci hanno insegnato!
È importante che noi conserviamo questo nel cuore, perché possiamo continuare ad amare la vita, a costruire la vita, a rispondere con la vita alla morte. È il ricordo di quelli che non ci sono più, che può spingere ciascuno di noi a vivere: alla tenerezza, alla bellezza, al bene, a moltiplicare i gesti d'amore intorno a noi.
Il Signore ci aiuti!
1993
Straordinarie parole abbiamo ascoltato stasera, in questo inizio del 23° capitolo del Vangelo di Matteo. A casa potrete continuare la lettura - chi vorrà - di questo capitolo: seguono delle parole tra le più dure del Vangelo: Gesù, quasi come un grido, ripete per 7 volte: "Guai a voi, scribi e farisei ipocriti!".
Quando io ero giovane (ormai parecchio tempo fa...) questo capitolo non mi colpiva particolarmente: tendevo a trascurarlo, schiacciato com'è tra le straordinarie parabole che abbiamo letto (forse qualcuno lo ricorderà) nelle domeniche precedenti e quelle che leggeremo nelle domeniche seguenti. E poi, trascuravo questo capitolo perché, allora, non potevo quasi sopportare - come penso molti di voi: ho sentito questo discorso tante volte nella mia vita - non potevo sopportare l'indignazione di Gesù, le sue parole violente, sferzanti! A me hanno sempre presentato Gesù nel suo aspetto di dolcezza, di tenerezza, di bontà verso l'uomo; ed è così in gran parte.
Ma poi ho scoperto che anche l'indignazione di Gesù era preziosa per la nostra vita: perché è indignazione che difende la povera gente che ha il cuore fragile! E ci difende - tutti voi che siete qui ed anche me - dai tanti chiacchieroni di questo mondo, dalla tanta gente che "dice e non fa"; da chi pretende sempre di sapere tutto; da chi impone carichi pesanti sulle spalle della gente e non li muove nemmeno con un dito; da chi ama sempre mettersi in mostra, cercare i primi posti, farsi applaudire dalla gente; da chi ama farsi chiamare "maestro", da chi ama farsi chiamare "padre"; da chi ama dire sempre agli altri come debbono comportarsi, quello che è giusto, quello che è ingiusto... E di queste persone ne abbiamo intorno parecchie: parlano alla radio, alla TV... sui giornali... ce ne sono dentro e fuori la Chiesa!
Gesù ha alzato la voce, ha gridato, per difendere la gente come noi dai farisei di tutti i tempi! I farisei che sono coloro che ti puntano il dito contro, che ti fanno sentire in colpa, che vogliono metterti un peso sul cuore...Gesù ha gridato per difenderci! Per questo, queste parole sono preziose!
Posso darvi un consiglio? (non lo faccio quasi mai...). Rileggetele, queste parole! anzi tutto il capitolo 23° del Vangelo di Matteo. E tenetele nel cuore, queste parole! Vi serviranno soprattutto quando vi sentirete il cuore debole, fragile; quando vi sentirete il cuore oppresso dai sensi di colpa; quando qualcuno cercherà di mettere pesi sulla vostra coscienza... Allora ritroverete qui lo scudo di Dio, la difesa di Gesù per la vostra, per il vostro cuore, a volte fragile e indifeso! Anche per il mio: io mi sono sentito più di una volta difeso, nella mia vita, da queste parole di Gesù, dal Suo grido!
Poi, è vero: lo spirito del fariseismo non sta soltanto negli altri: ce lo portiamo anche dentro di noi; questo è quasi scontato! Tanto scontato, che devo fermarmi qui; altrimenti qualcuno di voi si sente subito in colpa... e, come spesso succede, si sentono in colpa proprio quelli che non dovrebbero. E questo il Signore non lo vuole! Non voglio, almeno stasera, mettervi pesi sul cuore.
Sentiamoci difesi da Dio! Sentiamo il grido, l'indignazione di Gesù: è difesa della povera gente, contro i tanti farisei che ci sono in ogni tempo: contro la gente che ha sempre l'ultima parola; contro chi pensa di sapere tutto; contro chi cerca di metterci carichi pesanti sul cuore!
1993
Cercate, ripensando a questa parabola o, se volete, rileggendola, di andare al di là delle parole, spesso lontane da noi, per conservare nel cuore l'immagine di questa parabola, una delle immagini più suggestive del Vangelo: il cammino cristiano è visto come un cammino, nella notte, incontro al Signore che viene, incontro allo Sposo della nostra esistenza, con in mano la lampada accesa! Andare incontro al Signore che viene, è andare incontro a Gesù, alla Sua persona; ma anche al compimento di tutti i valori che Gesù ha incarnato nella sua vita: la Sua libertà, la Sua giustizia, la pienezza del Suo amore, il Suo servizio, la Sua vita donata, la Sua pace!
Andare incontro al Signore è andare verso la realizzazione di tutti questi valori, è andare incontro alla pienezza della nostra vita, portando nel cuore la lampada: la lampada che è il simbolo della luce che illumina i nostri passi, che è il simbolo dell'attesa amorosa, del desiderio vivo dell'incontro con Cristo, con la sua realtà, con la pienezza della sua vita, che è il simbolo dell'anelito verso il compimento del Suo Regno. La lampada, che è il simbolo della speranza!
Ma c'è un dramma, nella vita dei credenti (non soltanto per noi, ma per i credenti di tutti i tempi): lo Sposo tarda a venire! Non si realizza il Regno: l'uomo cammina cammina... ma intorno sembra sempre notte, sembra sempre che la pienezza della giustizia non si realizzi mai, che la pace non si realizzi mai. E allora si rischia di addormentarsi, le braccia rischiano di cadere, la speranza se ne va dal cuore: ecco, finisce l'olio nelle lampade... e non si può andarlo a comprare: non si compra la speranza! non si compra il desiderio, la voglia di camminare! Occorre sostenersi insieme, tenersi per mano, conservare accesa la speranza della nostra vita: conservare l'olio nelle nostre lampade.
Vedete, una delle cose che in questi giorni più mi sgomenta è vedere la paura di alcune persone, anche anziane: ce ne sono anche qui, tra di voi. Mi veniva in mente un discorso fatto qualche giorno fa con mia mamma, che ormai ha 85 anni, che ne ha passate tante nella vita: ha attraversato due guerre, ha tirato su, con fatica e sacrifici difficilmente narrabili (ma niente di diverso da quello che avete fatto molti di voi) cinque figli, con fatica, attraversando momenti duri... E adesso le hanno messo la paura nel cuore! La paura per il futuro dei nipoti: "Che ne sarà di questi bambini? Che ne sarà dei ragazzi che crescono, del domani?!". Vede anche lei la TV, ascolta la radio - io le consiglio di non farlo troppo - ... e le mettono la paura dentro! E sembra che non ci sia più futuro, sembra che tutto sia notte intorno a lei! E non è giusto! Forse c'è qualcuno anche tra voi, che passa questi momenti.
Che non abbia più grande speranza nel futuro chi è arrivato a 85 anni, non è un gran dramma; ma se non ha speranza nel futuro un ragazzo che cresce, i giovani che ci sono in mezzo a noi...! Trattenete le vostre paure, guardate meno la TV, parlate ai vostri ragazzi di speranza! Dite loro che occorre tenere in mano la luce! Raccontate loro quello che avete passato, che cos'era la guerra, quando sembrava che tutto fosse distrutto! E come coi denti abbiamo strappato la speranza, per andare avanti, per costruire il mondo, per cercare la giustizia, il bene!
Un credente che cammina nella notte può sempre conservare la speranza, perché sa di aspettare Gesù! E quando ci ritroviamo qui, il sabato e la domenica, Lui ci raduna insieme, perché ci stringiamo fra di noi, perché ci pigliamo per mano, perché aiutiamo a conservare nella nostra lucerna l'olio dell'attesa di Lui, la speranza della giustizia, il coraggio di cercarla ogni giorno. Con pazienza: anche se intorno a noi sembra che ci sia la notte, anche se lo Sposo sembra tardare, non dobbiamo addormentarci, non possiamo lasciar cadere le braccia. È importante che ciascuno di noi cerchi di comunicare intorno a sé il coraggio della speranza!
Per questo Gesù si fa pane, per questo ci chiama qui stasera, per questo ci dice: "Coraggio!". Un po' d'olio nella lampada e poi riprendiamo il cammino, con fiducia. Perché all'orizzonte della nostra storia, anche se sembra tardare, c'è Lui, c'è la pienezza della sua vita, ci sono i valori che Lui ha incarnato.
Il Signore conservi l'olio nella nostra lampada!
1993
Credo che molti di voi, specialmente in questo momento, possano convenire con me che non serve tanto condannare, gridare contro chi ha sbagliato, quanto cercar di capire; e mi sembra che questa parabola sia proprio un invito per tutti noi a cercar di capire il servo fannullone, il servo pigro, il servo che viene buttato fuori. Se rileggete questa parabola forse noterete una particolare attenzione verso questo servo, una durezza tutta particolare verso di lui: "Toglietegli il denaro e datelo a chi ne ha dieci. - Buttatelo fuori nelle tenebre" E poi, che ha fatto di così grave questo servo? In fondo, non ha rubato niente...(Se avessimo amministratori che non rubano niente, saremmo tutti contenti, in questo momento in Italia!).
Questo servo aveva un talento solo: povero, rispetto agli altri che ne avevano chi cinque, chi due (un "talento" a voi non dice molto, ma valeva circa 500 milioni: non è poco, eh?); c'è dunque in questa parabola un invito a domandarsi: "Perché questo servo non ha trafficato il suo talento? perché non ha saputo condividere la vita? perché non ha saputo portare il frutto? perché non ha saputo far fruttificare il dono che aveva?"
E c'è una risposta, se leggete attentamente: ha avuto paura! Chi conosce il Vangelo, sa che la paura è il contrario della fede. Ha avuto paura perché lui ritiene la vita qualche cosa di duro e di esigente: ha paura di non farcela! Ha avuto paura, forse perché si sentiva inferiore agli altri: "Io soltanto un talento, quello cinque..."; forse ha fatto confronti fra sé e quello che aveva i cinque talenti. È capitato anche a voi a scuola di sentirvi scoraggiati, quando vedevate il primo della classe che prendeva sempre 10, mentre noi - è successo a me, forse ce ne sarà qualcun altro, no? - che strappavamo il 6 e qualche volta non ci arrivavamo...e quando ci confrontavamo con il primo della classe, dicevamo: "Mah! chi ce lo fa fa' a studia'; mejo anna' a gioca' a pallone!" E rischiavamo di non studiare nemmeno quel poco che... e qualche volta abbiamo trovato qualche insegnante che fregava due volte col segno rosso, e ci faceva pesare ogni errore, quasi per toglierci il coraggio di andare avanti!
Ma c'è di più: questo servo ha paura di Dio! Lo sente come un "padrone duro ed esigente, che miete dove non ha seminato, che raccoglie dove non ha sparso". Ha paura del suo giudizio della sua condanna! Lui non ha sentito parlare di un Dio di misericordia, di tenerezza: che dà speranza, che invita al coraggio, che rimette in cammino, che non spegne "il lucignolo fumigante"! Lui ha l'idea di un Dio che non perdona niente, che non tollera pigrizie. Ed ha paura! e va a nascondere il suo tesoro sotto terra.
Non gridate contro questo servo! Non gridate nemmeno contro voi stessi! Non serve gridare: quest'uomo ha già troppa paura... Bisogna cercare di prenderlo per mano e dirgli: "Coraggio!" Ha bisogno di scoprire con occhi nuovi la vita; ha bisogno di sentirsi davanti il Dio che lo rimette in cammino, che lo prende per mano, che gli da speranza! Ha bisogno di non fare confronti; ha bisogno di non guardare a chi è più intelligente di lui, a chi ha più coraggio di lui, a chi ha più buona volontà di lui! Ha bisogno di riscoprire la vita come un dono: in cui uno dà quello che può, in cui ciascuno ha il suo posto.
Forse qualcuno di voi ha visto in questi giorni - perché, come sapete, Fellini è morto ed hanno riproposto molti dei suoi film - forse qualcuno di voi ha rivisto "La strada" e ricorderà una delle ultime scene, una delle più belle, in cui il Matto, prendendo in mano il sassolino, dice a Gelsomina: "Vedi, anche tu hai un posto, come questo sasso!" Niente è inutile sulla faccia della terra. Ognuno di noi ha il suo ruolo nella vita; ognuno di noi può portare il suo frutto nella vita. Ripensate qualche volta a quel sassolino! Anche chi si sente stanco, anche chi sente che le ginocchia non reggono più, anche chi si sente il cuore pesante! Ognuno di noi ha il suo posto nella vita. Non dobbiamo fare gesti grandi, eroici... Forse il Signore ci chiede soltanto di moltiplicare un sorriso, di dare quello che possiamo, di tendere una mano, di spargere intorno a noi qualche seme di speranza, un po' di fiducia, il senso della bellezza della vita!
Vedete, questo servo ha paura e per questo non riesce a vivere. E quando ci ritroviamo qui ogni domenica, noi ci incontriamo con Gesù, che vuole togliere la paura dal nostro cuore; ve lo dicevo all'inizio: buttiamola nel Suo cuore, la paura che ci portiamo dentro! Riscopriamo Dio che ci cammina accanto, che tiene accesa la nostra luce, che ci dà fiducia! Riscopriamo, ciascuno, il proprio posto nella vita! Non ci è chiesto di fare azioni grandi e straordinarie: ci e chiesto di dare quello che possiamo, di moltiplicare i nostri doni. E se ne abbiamo pochi, se sono piccoli, se vanno scemando pian piano - come è normale, quando la vita volge verso il termine - ancora possiamo moltiplicare intorno a noi la vita, ancora possiamo dare un sorriso, ancora possiamo tendere una mano...e Dio non ci chiede di fare altro! Non ci chiede di essere giovani, forti, pieni di coraggio, pieni di entusiasmo: ci chiede di moltiplicare il dono che abbiamo, di vivere sempre la vita come un dono, di moltiplicare intorno a noi il sorriso e la pace. Il Signore ci aiuti!
1993
"Re" è una parola che, ormai, non ci dice quasi più nulla: ne son rimasti pochi, in giro per il mondo e quei pochi che ci sono, perdono sempre più il loro potere: la loro funzione rimane solo di rappresentanza. Il potere reale è da un'altra parte; ma il problema del potere è presente ancora nel mondo e lo sarà finché ci saranno uomini sulla terra. E, vedete, il potere non riguarda soltanto i nostri governanti: riguarda anche noi, perché tutti abbiamo un pizzico di potere: non soltanto il parroco, che deve parlarvi qui dal microfono, ma anche voi in casa con i vostri figli, con le persone che vi stanno accanto, o sul posto di lavoro con la gente che lavora per noi. E allora, forse, è importante riflettere un momento sul potere: su come lo ha vissuto Gesù e su come spesso capita agli uomini di viverlo.
Il primo, forse il più appariscente e superficiale, aspetto del potere, è la ricerca di accumulare ricchezze - lo abbiamo visto nelle cronache di questi giorni in Italia - la ricerca di un posto sempre più importante e di maggior prestigio. Ma ci sono altri aspetti: chi ha il potere (qualche volta anche nell'ambito della propria casa) cerca di fare in modo che gli altri la pensino come lui, abbiano le stesse idee, lo stesso modo di vedere le cose. La tentazione più affascinante dell'uomo che ha il potere è di impossessarsi del cuore, dell'anima di un'altra persona: fare in modo che viva come lui pensa che sia giusto, fare in modo che cammini sulla strada che lui traccia. Il sogno dell'uomo di potere è di essere presente dovunque (ricordate gli innumerevoli ritratti di alcuni dittatori?); di diventare indispensabile... quante volte, anche nel nostro mondo politico, abbiamo sentito delle persone, che cercavano di essere indispensabili, quasi eterne, convincerci che non potevamo fare a meno di loro... e questo qualche volta accade anche all'interno della chiesa!
Rileggete con calma, a casa, questa straordinaria pagina del Vangelo e scoprirete che il sogno di Gesù è sparire! Sparire dietro ogni uomo, il più piccolo degli uomini! Quando si deve pesare ciò che conta veramente nella vita non è Lui il punto li riferimento: non è importante averlo conosciuto o non averlo conosciuto, averlo pregato o non averlo pregato; l'importante è essersi accorti del più piccolo degli uomini, del più indifeso tra quelli che ci camminavano accanto. "Quando lo avete fatto ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me."
Il nostro "Re", il nostro Signore sparisce dietro il più piccolo, il più debole, l'ultimo degli uomini! Lungi da Lui voler essere indispensabile per la nostra vita!
I potenti di questo mondo, gli uomini che cercano di essere indispensabili, che vogliono imporre agli altri le proprie idee, si ritrovano intorno un nugolo di "portaborse", gente incapace di pensare con la propria testa; si ritrovano intorno - per dirla alla romana - soltanto dei ruffiani... Gesù si ritrova intorno la gente che ha saputo amare, che ha saputo essere libera, che ha saputo accogliere chi gli stava accanto, che ha saputo tendere la mano.
E i miliardi di uomini che non Lo hanno conosciuto, che non Lo hanno mai sentito nominare, che non sanno chi sia Gesù, tutti li ritroveremo: sono stati, anche se non li abbiamo conosciuti, i nostri compagni di strada. E Lui non chiederà: "Quante volte siete venuti a Messa? quante volte avete pregato? quante volte avete letto il Vangelo?" Metterà davanti il più piccolo e indifeso degli uomini e dirà: "Quante volte avete teso la mano? quante volte avete riconosciuto in lui la vita? Quante volte avete donato un po' del vostro cuore?"
L'unico criterio è l'amore, l'unico criterio è la vita condivisa, nel servizio concreto di ogni giorno! Questo è il nostro Maestro! Non vuole portaborse intorno, non vuole gente chiusa nel proprio guscio, non vuole gente che sappia solo lodarlo! Vuole gente capace di amare: come Lui ha fatto in mezzo a noi.
E noi abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo, abbiamo avuto la fortuna di ritrovarci qui, tante volte, in quest'anno della nostra preghiera: Lo abbiamo celebrato nato per noi; Lo abbiamo celebrato morto e risorto; abbiamo ascoltato le sue parole, ogni domenica. Abbiamo scoperto, in quello che Lui diceva, le parole della nostra vita: parole che ci facevano liberi, parole che ci davano speranza, parole che ci mettevano al servizio degli altri!
Il Signore lo faccia ancora, per noi!