Monte Tezio nella memoria dei nonni
Classe 2 AM
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Mattino e tramonto
Un cespuglio di pini,
il campanile,
il Subasio ancora imbrunito.
Il sole del mattino
si nasconde dietro il Monte.
La sua luce, con tutti i suoi colori,
illumina il cielo.
Fra poco splenderà.
È l’alba della mia giornata
e spero che il suo tramonto
sia come quello del sole
che lentamente scende
dietro Monte Tezio,
disegnando un orizzonte d’autore
con tutte le sue mille e variegate rosse sfumature.
E si ammira in silenzio,
ogni volta meravigliati,
gustando l’infinito di quel momento.
Attilio Gambacorta
Ispirati da questi versi, è facile chiudere gli occhi ed immaginare questo bel tramonto su Monte Tezio. È il nostro monte, il ‘monte dei perugini’, che troneggia, insieme a Monte Malbe, sulla collina in cui sorge Mantignana e sulle località di Pantano, Maestrello, Colle Umberto, Compresso, Canneto e Cenerente. Ad esso abbiamo voluto dedicare questo spazio per valorizzare e ricordare le sue bellezze a chi, pur vivendo in questi luoghi, volge distrattamente lo sguardo altrove. Abbiamo cercato di farlo aiutandoci con quanto abbiamo letto nei quaderni dell’associazione culturale I monti del Tezio e con quanto abbiamo ricostruito attraverso i racconti di vita quotidiana dei nostri nonni.
Lungo le sue pendici, o meglio lungo i suoi ‘sentieri della memoria’, troviamo casolari, santuari e rocche, resti di cinte murarie e conventi, tracce di un passato vicino o lontano, come le lapidi in memoria dei militari americani precipitati con i loro aerei, nei pressi della Croce della Pieve, durante la Seconda guerra mondiale o la tomba etrusca del Faggeto. A fondo valle invece si estendono realtà industriali ed agricole che hanno modificato profondamente il paesaggio un tempo verde e boscoso, solcato, ieri come oggi, da numerosi torrenti e fiumi, primi tra tutti il Nestore e la Caina, affluenti del Tevere. Ricchissima è anche la vegetazione: boschi di querce, piante di roverella, cerro, leccio, castagno offrono generosamente la loro ombra al territorio. Il sottobosco è ricco di funghi di vari tipi, tartufi bianchi e neri ed asparagi. Qui non mancano diverse specie di mammiferi: il cinghiale, la volpe, il tasso, la donnola, la faina, la lepre, l’istrice, lo scoiattolo, dei quali si intuisce la presenza dalle tracce piuttosto che dagli avvistamenti. In cima al monte, inoltre, si possono ammirare gli ampi volteggi della poiana, del falco e di altri uccelli rapaci che scrutano il terreno alla ricerca di piccole prede.
Un tempo pochi ed isolati erano i casolari abitati lungo le pendici del monte, più numerose invece le abitazioni a fondo valle, nelle località prima citate. Qui solo cinquanta anni fa si viveva in modo molto semplice e il Monte offriva agli abitanti dei piccoli borghi svago, memorie di un passato più o meno lontano, ma anche sostentamento. Preziosi a questo proposito sono stati i ricordi di alcuni dei nostri nonni che gentilmente si sono prestati a brevi interviste per soddisfare le nostre curiosità. I loro racconti ci hanno accompagnato in una realtà a noi sconosciuta e difficilmente immaginabile, ma la potenza dei ricordi è questa: permettere a chi li rievoca e a chi li ascolta di vivere il passato come fosse il presente.
Nonno Otello ricorda che un tempo il clima era diverso, si percepivano tutte e quattro le stagioni mentre ora sembrano ridotte a due: l’estate e l’inverno, e le stagioni intermedie non si fanno più sentire. Il paesaggio, rispetto ad oggi, era ancora più ricco di alberi ed arbusti e si estendevano lungo le pendici del monte ampie radure occupate da pascoli per le mucche e per le greggi di pecore.
Nelle “macchie” era facile incontrare lepri, caprioli e cinghiali, ed anche avvistare molte specie di volatili tra cui i fagiani, prede dei tanti cacciatori in cerca di selvaggina.
Nelle aie dei casolari contadini si allevavano gli animali come maiali, galline, conigli, polli ecc…
Le case erano di pietra, di media grandezza e ci abitavano famiglie numerose, composte anche da dieci persone, un numero impensabile oggi, ma normale per allora, quando ancora si abitava tutti insieme e i ritmi di vita e di lavoro erano lenti
il nonno Giancarlo e il nonno Otello dicono che si mangiava tutto ciò che veniva allevato e prodotto negli orti e che si acquistava, come riferisce la nonna Francesca, solo ciò che non si produceva.
L'acquedotto non arrivava direttamente alle case, infatti la nonna andava alla fonte a prendere l’acqua con dei recipienti appositi, mentre il nonno Giancarlo e il nonno Otello la prendevano al pozzo visto che era potabile. Una curiosità riguarda il ghiaccio, il nonno Giancarlo ricorda che se ne acquistavano pezzi per conservare più a lungo gli alimenti; ci siamo chiesti allora, senza però, trovare risposta, se provenisse dalle neviere che si trovavano su monte Tezio. Esse, infatti, erano grotte in cui anticamente veniva stipata la neve, ricoperta da paglia, destinata alla vendita una volta divenuta appunto ghiaccio.
Ci si spostava, dove possibile, in bici o a piedi, solo alcune famiglie avevano la macchina, quindi si spostavano con quella.
Per i bambini le giornate trascorrevano tranquille. La mattina frequentavano la scuola elementare e nel pomeriggio, dopo i compiti, tempo atmosferico permettendo, uscivano e giocavano. La palla era amata sia dai bambini che dalle bambine che giocavano volentieri anche a campana o al salto della corda, detta anche funicella. La vita era meno frenetica di oggi, i ritmi più lenti e maggiore il tempo da dedicare allo svago.
Le scuole erano situate nel centro abitato più vicino, ma alcuni amici del nonno Otello percorrevano a piedi o in bici anche 2/3 km.
Le classi erano per la maggior parte multilivello, formate da 18 o più alunni; le scuole erano costruzioni in muratura con all’interno travi di legno a vista; le aule erano abbastanza grandi e il nonno Giancarlo ha raccontato che una delle birichinate più frequenti nelle sua scuola era quella di fare fori nelle pareti per sbirciare nelle aule vicine.
Il problema dello smaltimento dei rifiuti non c’era, c’era in realtà poco da smaltire, si riutilizzava tutto, i residui del cibo diventavano concime, il resto veniva bruciato.
È stato inevitabile per noi paragonare, anche da questo punto di vista, la vita di oggi con quella di ieri e, se è pur vero che il progresso porta sempre novità e miglioramenti nella nostra vita, forse un po’ di nostalgia per la semplicità di allora ci ha pervaso. L’assenza di tecnologie permetteva di vivere più a contatto della natura e soprattutto di apprezzarne la bellezza senza dare per scontato la meraviglia magari di un tramonto.