martedì 10 agosto 2021 di Emilio Curci
Con la legge n. 3/2012, recentemente modificata dal Decreto Ristori (DL 137/2020) il legislatore ha creato una serie di strumenti per il privato al fine di consentirgli di uscire da una crisi debitoria tramite diverse tipologie di accordo con i creditori.
La legge, inizialmente denominata "salva-suicidi", creata cioè con l'intento di salvare il cittadino in difficoltà economiche dal cosiddetto "sovraindebitamento" consentendogli di tornare ad una vita normale senza il peso eccessivo di pendenze debitorie, è stata soggetta, negli anni, a diverse modifiche con la previsione e l'introduzione di nuovi strumenti sempre finalizzati a realizzare tale scopo.
Con la presente scheda cercheremo di fare chiarezza, seppur in maniera sintetica, su quali sono i soggetti che possono utilizzare tale normative e quali sono le procedure azionabili
1. Il piano del consumatore
La prima procedura utilizzabile è quella del c.d. "piano del consumatore".
A tale procedura può accedere, così come esplicitamente chiarito dalla norma, il c.d. "consumatore".
Nella versione originaria della legge (l'art. 6 comma 2 lett. b) della L. n. 3/2012) il consumatore era definito come “il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”.
Nella nuova formulazione, così come modificata dal DL 137/2020 convertito con legge n. 176 del 18 dicembre 2020 il consumatore è, invece, "la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socio di una società in nome collettivo o in accomandita, per i debiti estranei a quelli sociali".
Con tale definizione si ampliano, dunque, le possibilità di accedere a tale piano anche per i soci delle società in nome collettivo o in accomandita che abbiano, però, contratto debiti estranei alle società stesse.
In sintesi consumatore è colui che, pur essendo imprenditore, socio o professionista abbia contratto soltanto debiti di natura personale e non collegati all'attività svolta.
Naturalmente non può farvi ricorso chi sia soggetto potenzialmente fallibile, tanto che la legge prevede l'ammissibilità della proposta "quando il debitore: a) non e' assoggettabile alle procedure previste dall'articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni"
Non è possibile, inoltre formulare la proposta quando il debitore ve ne abbia già fatto ricorso nei tre anni precedenti.
Dunque per essere preventivamente ammissibile la proposta è necessario che provenga da un soggetto non fallibile (privato e non imprenditore) e che non la abbia già formulata nei tre anni precedenti.
Il piano del consumatore consiste essenzialmente in una proposta di pagamento a stralcio in favore dei creditori tenendo conto della complessiva situazione debitoria in un tempo variabile che non viene definito dalla legge nel minimo o nel massimo.
Le procedure familiari
Un'altra novità importante introdotta dalla conversione in legge del DL 137/2020 è rappresentata dall'introduzione delle c.d. "procedure familiari"
Attraverso questa nuova procedura i membri di una stessa famiglia possono, infatti, presentare un’unica procedura di composizione della crisi, quando siano conviventi ovvero nelle ipotesi in cui il sovraindebitamento abbia un’origine comune.
La legge sopra richiamata, infatti, pur disciplinando tutti gli aspetti della procedura e le relative modalità di svolgimento, non prevede alla durata massima che deve avere la proposta per il pagamento in favore dei creditori.
Tale lacuna è stata solo in parte colmata dalla giurisprudenza la quale, in via prevalente, ha ritenuto che un tempo ragionevole di durata della procedura non debba essere superiore a 5 anni, sebbene esistano anche alcune sentenze che estendono di parecchio periodo.
Per la verità solo per i creditori privilegiati (quelli cioè muniti di pegno o ipoteca) l'art. 8 della legge prevede che gli stessi dovrebbero essere soddisfatti entro un anno dall'omologa del piano, fatta salva però la possibilità (secondo quanto anche previsto dalla giurisprudenza) che gli stessi, chiamati ad esprimere un voto dichiarino la popria disponibilità ad accettare un termine più lungo.
Così come affermato dalla Corte di Cassazione, infatti, "i creditori (privilegiati) devono potersi esprimere sulla proposta avanzata dal debitore (Cass., Sez. I civ., sent. n. 17834 del 03/07/2019)", atteso che appunto a differenza di altre procedure nel piano del consumatore il creditore non può opporsi alla sua omologa.
In tali casi, dunque, il "sacrificio" che deve sopportare il creditore cha ha una specifica garanzia che potrebbe soddisfare in via autonoma (es: tramite la vendita all'asta di un bene oggetto di ipoteca) deve essere espressamente accompagnato da un consenso.
Dunque nelle ipotesi in cui esistono dei creditori privilegiati e la proposta preveda il loro soddisfacimento in un termine superiore ad un anno senza il loro consenso il piano del consumatore non potrà essere omologato sarà dichiarato inammissibile.
Quanto invece al limite quantitativo del soddisfacimento dei creditori la disciplina del sovraindebitamento, in generale, non prevede un limite minimo.
Non è cioè prevista una percentuale minima di soddisfacimento dei creditori (es: il 50% dei crediti), purchè il piano abbia i requisiti previsti dalla legge.
Per precisione occorre, comunque, operare delle distinzioni tra le varie procedure previste dalla Legge 3/2012.
Nel caso del piano del consumatore il limite minimo si ricava indirettamente dalla relazione particolareggiata che predispone il compositore della crisi.
Il Gestore infatti ha anche la funzione di confrontare la potenziale soddisfazione riservata ai creditori in base al piano proposto dal consumatore e quella che si realizzerebbe nell’alternativa liquidatoria e cioè attraverso la vendita di tutto il patrimonio del debitore.
Come detto, nella procedura di piano del consumatore, infatti, non è prevista l’espressione del voto da parte dei creditori (cosa che invece, come si vedrà più avanti avviene nell’accordo) e, dunque, spetta all'organismo il compito di verificare che la proposta di pagamento prevista dal piano non sia peggiorativa rispetto a quanto gli stessi creditori ricaverebbero dall’alternativa della liquidazione del patrimonio.
La fase preliminare
Per predisporre un piano del consumatore è necessario rivolgersi ad un Organismo di Composizione della crisi (organismi che vengono autorizzati dal Ministero della Giustizia previa verifica delle competenze acquisite dai componenti attraverso la partecipazione a specifici corsi di formazione e sono iscritti in un apposito registro) direttamente (contattando cioè l'organismo) ovvero rivolgendosi al Tribunale competente per territorio al fine di richiedere la nomina di un professionista che svolga appunto le funzioni di compositore della crisi e che sarà sempre scelto tra quelli iscritti nel predetto registro.
Prima di rivolgersi ad un organismo è però necessario effettuare una prima fase di valutazione e soprattutto di raccolta documentazione necessaria per comprendere la fattibilità del piano.
L'organismo stesso attraverso i suoi professionisti potrà fornire un sostegno concreto all'elaborazione del piano che tanto più potrà essere efficace quanto più completo sarà il quadro fornito dal debitore.
Per tali motivi è indispensabile, come azione preliminare da parte del debitore quella di raccogliere in maniera dettagliata tutta la documentazione attestante l'intera situazione economica e patrimoniale, così come un elenco preciso ed accurato di tutte le pendenze debitorie.
In questa prima fase, pur non essendo indispensabile, appare opportuno farsi assistere da un professionista sia esso un avvocato o un commercialista che supporti il debitore nell'attività valutativa preliminare all'elaborazione della proposta.
La nomina dell'organismo
Una volta preparata la documentazione sopra descritta ed effettuata un'accurata analisi della propria situazione economico-finanziaria sarà possibile richiedere la nomina di un organismo di composizione della crisi, come detto o rivolgendosi all'organismo stesso, ovvero chiedendone la nomina al Tribunale competente (in base alla residenza del debitore).
Il deposito del ricorso in Tribunale prevede il pagamento del contributo unificato di 98 euro e l'apposizione di una marca da bollo da 27 euro.
Una volta scelto l'organismo e, attraverso esso, individuato il professionista compositore della crisi ovvero dopo la nomina effettuata dal Tribunale, questi deve preliminarmente verificare la fattibilità della proposta, supportando il debitore nella stesura del piano
All'esito di tale fase il compositore della crisi predispone una relazione scritta, indicando se sussistono tutti gli aspetti formali e sostanziali per poter avviare la procedura.
In tal senso il compositore della crisi svolge una duplice funzione sia di supporto nei confronti del debitore, ma anche di garanzia di regolarità anche nei confronti dei creditori.
Tra le importanti novità introdotte dal DL 137/2020 vi è anche una modifica al contenuto della relazione che l’organismo di composizione della crisi è tenuto ad allegare alla proposta di piano del consumatore così come per l’accordo con i creditori (vedi più avanti).
La relazione, infatti, in aggiunta a quanto era già previsto dalla previgente normativa deve comprendere anche la valutazione sulla circostanza che, ai fini della concessione del finanziamento, il soggetto finanziatore (Banca, Istituto di credito, ecc..) abbia o meno tenuto conto del merito creditizio del debitore.
In tal modo la legge consentirà di valutare la sussistenza di una sorta di responsabilità per il sovraindebitamento anche in capo al soggetto finanziatore in tutte le ipotesi in cui ad esempio un soggetto creditizio abbia concesso un finanziamento ad un soggetto che non aveva la capacità patrimoniale di farvi fronte.
In tali ipotesi sarà, dunque, impedito al finanziatore di presentare opposizione o reclamo, in sede di omologa del piano o dell’accordo.
Altre novità importanti si riferiscono alle ipotesi di cessioni preventiva del quinto dello stipendio ovvero il suo pignoramento che non sono opponibili alla procedura.
Secondo la nuova normativi infatti la proposta di piano del consumatore può prevedere anche la falcidia e la ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione e dalle operazioni di prestito su pegno.
In tal modo è così possibile per il debitore liberare alcune delle proprie risorse personali non solo a vantaggio di alcune categorie, ma di tutto il ceto creditorio.
Quanto al mutuo ipotecario, con le modifiche normative introdotte, è possibile che, sia la proposta di piano del consumatore che la proposta di accordo di ristrutturazione (vedi più avanti) possano prevedere anche il rimborso, alla scadenza convenuta, delle rate a scadere del contratto di mutuo garantito da ipoteca iscritta sull’abitazione principale del debitore se lo stesso, alla data del deposito ha adempiuto le proprie obbligazioni o se il giudice lo autorizza al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto a tale data.
La medesima disposizione viene estesa anche al soggetto non consumatore al fine di garantire la continuità aziendale con la differenza che in tal caso, sia possibile prevefere il rimborso alla scadenza covenuta delle rate a scadere del mutuo con garanzia ipotecaria accesa sui beni strumentali per l'esercizio di impresa.
In tali ipotesi l'Organismo di composizione della crisi deve attestare che il credito garantito residuo potrebbe essere soddisfatto con la liquidazione integrale dei beni (secondo il valore di mercato) e che il rimborso delle ulteriore rate a scadere non sia lesivo dei diritti degli altri creditori (non ipotecari).
Il deposito del ricorso per l'omologazione del piano
Una volta elaborata la relazione da parte dell'organismo (fase per la quale non esiste un tempo predeterminato ma può variare in base alla complessità della pratica e al numero delle posizioni debitorie pendenti), è possibile procedere al deposito della stessa unitamente ad un ricorso presso il Tribunale di residenza del debitore con il quale si chiede l'omologa del piano elaborato (sempre previo pagamento del contributo unificato di 98 euro e dell'apposizione di una marca da bollo da 27 euro).
A questo punto il piano deve essere appunto omologato dal Tribunale il quale deve, a sua volta, verificare i requisiti di fattibilità e di conformità alla legge, suggerendo anche delle modifiche da attuare entro un determinato tempo.
In particolare il Tribunale deve valutare anche il cosiddetto requisito della "meritevolezza" del debitore.
Secondo la legge, infatti, può accedere a tale procedura soltanto il consumatore che, negli anni, ha assunto responsabilmente obbligazioni ritenendo di poterle ragionevolmente adempiere in base alle consistenze economico/reddituale del momento, ma che tuttavia, a causa di vicende sopravvenute ed estranee alla sua volontà si è trovato in una situazione di sovraindebitamento.
Dunque il debitore che abbia in maniera imprudente assunto obbligazioni non avendo la disponibilità economica per farvi fronte potrebbe vedersi negare l'omologazione da parte del Tribunale.
Per questi motivi è molto importante che la relazione del professionista sia la più particolareggiata possibile e che spieghi le cause del sovraindebitamento evidenziando come lo stesso si sia verificato per cause non imputabili alla diligenza del debitore.
Le procedure esecutive
Nella fase dell'omologazione il debitore, supportandone le ragioni, può chiedere al Tribunale che siano sospese eventuali procedure esecutive in corso (es: a seguito del pignoramento di un immobile del debitore) evitando così che il suo patrimonio sia depauperato prima dell'esecuzione del piano stesso.
E' questa una fase molto delicata in quanto se le procedure non siano sospese ovvero se nella pendenza della fase dell'omologazione ne siano attivate di nuove questo potrebbe seriamente compromettere la fattibilità del piano andando a depauperare il patrimonio del debitore e la conseguente possibilità di ottenere dei ricavi economici con i quali pagare appunto i creditori.
L'omologazione e le fasi successive
Se il Tribunale ritiene che vi siano tutti i presupposti richiesti dalla legge, inclusa la ragionevolezza della durata (che come detto è rimessa alla discrezionalità dell'Ufficio Giudiziario) omologa il piano ovvero, se ne ritiene insussistenti i presupposti non la concede.
Valutata la meritevolezza del debitore, dunque, il Giudice omologa il piano e lo rende esecutivo nei confronti di tutti i creditori, prescindendo dal loro consenso e dispone, per tale provvedimento, la pubblicità.
In caso di rigetto, invece, dell'omologa il debitore può proporre reclamo al Tribunale in composizione collegiale.
Il reclamo si svolge normalmente in una udienza dinanzi appunto al Tribunale in composizione collegiale del quale non fa parte il giudice che ha negato l'omologa.
L'ultima fase e quella della attuazione del piano.
Con questa fase l'organismo di composizione deve realizzare quanto previsto nella proposta ivi incluse le modalità e i tempi stabiliti dal Tribunale in sede di omologa.
Si procederà, dunque, alla liquidazione dei beni o all'acquisizione delle disponibilità economiche che saranno necessarie per il pagamento dei creditori secondo quanto previsto nel piano.
E' importante evidenziare che la legge (art. 8) consente che il piano del consumatore possa essere proposto anche mediante "cessione dei redditi futuri" e comunque, "nei casi in cui i beni o i redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilita' del piano, la proposta deve essere sottoscritta da uno o piu' terzi che consentono il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per l'attuabilita' dell'accordo".
In sostanza quando il debitore prevede di avere ricavi futuri certi può destinarli alla realizzazione del piano, così come lo stesso può essere attuato anche facendo ricorso a capitali forniti ovvero concessi in garanzia da terzi soggetti estranei ai rapporti obbligatori oggetto di sovraindebitamento.
In caso di conclusione positiva del piano con il soddisfacimento dei creditori nei tempi e nelle quantità previste la procedura termina con l’esdebitazione ed ossia la cancellazione di tutti i debiti non pagati.
2. L’accordo di ristrutturazione dei debiti
L’accordo di ristrutturazione dei debiti, a differenza del piano del consumatore può essere presentato anche da enti e da imprese non fallibili (che non hanno cioè i requisiti di fallibilità previsti dalla legge).
Per tali motivi questa soluzione può essere utilizzata non solo da privati cittadini (come per il piano del consumatore), ma, ad esempio, anche da professionisti, associazioni, start up innovative, imprenditori agricoli e piccoli commercianti.
Dal punto di vista procedurale ha caratteristiche molto simili a quelle del piano del consumatore.
Come per il primo, infatti, con l'assistenza di un legale è necessario rivolgersi al Tribunale compente che avrà il compito di approvare e valutare la richiesta (sempre previo pagamento del contributo unificato di 98 euro e dell'apposizione di una marca da bollo da 27 euro).
Tuttavia, come detto, a differenza del piano del consumatore l’accordo, non necessita di valutazioni sulla meritevolezza del debitore, ma è subordinato al consenso di almeno il 60% dei creditori.
Una volta raggiunta la maggioranza, l’accordo viene omologato dal Tribunale e, reso definitivo è sottoposto alla pubblicità per essere conoscibile dai terzi.
Come detto sopra, condizione necessaria per essere ammessi a tale procedura è rappresentata dall'insussistenza dei requisiti previsti dall'art. 1 della Legge Fallimentare e, dunque, nei tre anni precedenti alla richiesta di ammissione non dovranno essere stati mai superati i seguenti limiti:
– l’attivo patrimoniale deve essere inferiore ai 300.000 euro;
– i ricavi lordi devono assestarsi sotto i 200.000 euro per ogni esercizio;
– i debiti devono essere inferiori a 500.000 euro.
Con le modifiche apportate in sede di conversione del DL 137/2020 è stata, inoltre corretta l’ingiustificata disparità di trattamento tra i soggetti fallibili che potevano, invece ricorrere al concordato preventivo, nel quale possono proporre anche una falcidia dell’IVA (come previsto dall’art. 182-ter L.F), e i soggetti non fallibili (come nel caso di specie) che invece, ai sensi dell’art. 7 della Legge n. 3/2012 potevano ottenere solo una dilazione del pagamento di tale imposta, ma non la sua decurtazione, così come invece previsto per gli altri tributi.
Sulla base delle indicazioni già fornite dalla Corte Costituzionale (che con la sentenza n. 45 del 22 ottobre 2019, aveva dichiarato l’incostituzionalità di tale norma per contrasto con gli art. 3 e 97 Cost) la riforma ha soppresso il terzo capoverso dell’art. 7 della Legge n. 3/2012 eliminando tale disparità di trattamento ed estendendo il beneficio della falcidiabilità dell'IVA anche ai soggetti non fallibili.
Altra importante novità è costituita dall'introduzione del comma 2-ter dell’art. 7 che prevede che “L’accordo di composizione della crisi della società produce i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili” andando così ad estendere i benefici della procedura anche ai soci illimitatamente responsabili.
La medesima disposizione è prevista anche per la procedura di liquidazione del patrimonio (vedi più avanti). Infatti all’art. 14-ter è stato aggiunto il comma 7-bis il quale prevede che “il decreto di apertura della liquidazione della società produce i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili.”
3. La liquidazione del patrimonio
L'ultima delle procedure previste dalla legge n. 3/2012 per l'uscita dalla crisi è rappresentata dalla c.d. "liquidazione del patrimonio".
Attraverso il ricorso alla liquidazione del patrimonio i debitori che non sono in grado di far fronte ai debiti maturati nel corso degli anni possono comunque liberarsi dai creditori mettendo a disposizione tutti i propri beni e gli eventuali crediti.
La procedura permette quindi di distribuire il ricavato della vendita, riscossione o cessione dei beni del debitore ai rispettivi creditori.
A differenza, dunque, delle altre procedure sopra indicate (piano del consumatore e accordo di ristrutturazione), la liqudazione del patrimonio appare la soluzione più estrema nel senso che non consente al debitore di salvare alcuno dei suoi beni, ma per il soddisfacimento dei crediti lo stesso decide di spogliarsi del suo intero patrimonio.
La legge prevede che alla procedura possono accedere i debitori che:
siano insolventi, ovverosia risultino definitivamente incapaci di far fronte a tutti i propri debiti;
non siano soggetti al fallimento.
Valgono cioè le regole già sopra indicate sia per il piano del consumatore che per l'accordo di ristrutturazione.
La liquidazione del patrimonio è ammissibile soltanto se vengono messi a disposizione tutti i beni e i crediti del debitore con la sola eccezione dei seguenti beni:
i beni assolutamente impignorabili (come previsti dal Codice Civile);
i crediti alimentari;
i crediti di mantenimento, limitatamente a quanto necessario per il debitore e la propria famiglia.
Come per le altre due ipotesi sopra descritte anche la liquidazione del patrimonio deve essere attivata tramite il deposito presso il Tribunale competente per territorio di un apposito ricorso (previo pagamento del contributo unificato di 98 euro e dell'apposizione di una marca da bollo da 27 euro).
Alla domanda di apertura della procedura vanno necessariamente allegati i seguenti documenti:
un inventario di tutti i beni del debitore;
le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni;
lo stato di famiglia del debitore;
un elenco dettagliato dei creditori con specificazione di tutti i debiti maturati nei confronti di ciascuno di essi.
Il Tribunale procede alla nomina di un liquidatore che dovrà procedere alla vendita di tutti i beni, nonchè al recupero dei crediti.
In particolare il liquidatore dovrà amministrare i beni e i crediti, verificare l’elenco dei creditori e sollecitarne l’intervento nella procedura, formare il c.d stato passivo (l'elenco cioè dei debiti e dei relativi privilegi (es: ipoteche o altro), realizzare e attuare il programma di liquidazione.
All'esito di tali attività sarà possibile predisporre il piano di distribuzione in favore dei creditori.
Al termine della procedura di liquidazione del patrimonio, se ne sussistono le condizioni e non tutti i creditori risultano soddisfatti, il debitore può domandare l’esdebitazione ed ossia la cancellazione di tutti i suoi debiti.
La domanda di esdebitazione del nuovo art. 14-quaterdecies
La liquidazione del patrimonio, infatti, normalmente non libera dai crediti residui rimasti insoddifatti, tranne il caso in cui il debitore non ricorra alla c.d. "esdebitazione", introdotta dal nuovo art. 14-quaterdecies della Legge 3/12.
Nella procedura di liquidazione del patrimonio ex art. 14-terdecies L. 3/2012, il soggetto sovraindebitato ammesso alla procedura ha, infatti, facoltà di richiedere, con istanza da depositare entro l’anno successivo alla chiusura del procedimento, l’esdebitazione dei debiti residui dei creditori concorsuali che sono rimasti insoddisfatti
Il debitore persona fisica per poter essere ammesso all'esdebitazione deve aver soddisfatto, almeno parzialmente, i creditori com l'attivo liquidato e dimostrare di:
aver cooperato al regolare ed efficace svolgimento della procedura, fornendo una adeguata collaborazione e adoperandosi per la corretta esecuzione delle operazioni;
non aver ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura;
non aver beneficiato di altra esdebitazione negli otto anni precedenti la domanda;
aver svolto, nei quattro anni successivi al deposito della domanda di liquidazione, un’attività produttiva di reddito adeguata alle proprie competenze e alla situazione del mercato o, in ogni caso, aver cercato un’occupazione e non aver rifiutato, senza giustificato motivo, proposte d’impiego;
non essere stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per uno dei reati ex art. 16 della L. 3/2012.
Per completezza va ricordato che l’esdebitazione non può operare “… a) per i debiti derivanti da obblighi di mantenimento e alimentari; b) per i debiti da risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale, nonché per le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti; c) per i debiti fiscali che, pur avendo causa anteriore al decreto di apertura delle procedure di cui alle sezioni prima e seconda del presente capo, sono stati successivamente accertati in ragione della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi…” .
Per queste categorie di debiti non è dunque possibile beneficiare dell'esdebitazione, ma al limite si potrà tentare un accordo specifico con i singoli creditori che rientrino in tali categorie.