di Emilio Curci
L'obbligazione alimentare è una prestazione economica a cui è tenuto, per legge, un familiare, nei confronti di altro familiare quando, quest'ulimo, si trova in stato di bisogno ed è impossibilitato a procurarsi i mezzi necessari per far fronte alle proprie esigenze di vita.
Tale diritto è disciplinato dagli articoli 433 e seguenti del Codice Civile e non va confuso con i c.d. "alimenti" utilzzati, in senso generico, nell'ambito delle separazioni tra coniugi.
In quest'ultimo caso, infatti, il Tribunale, pone a carico di uno dei due coniugi (ove l'altro si trovi nelle condizioni di poterne beneficiare) un assegno di mantenimento che, in virtù del vincolo coniugale, ha un contenuto più ampio rispetto a quello alimentare in senso stretto, destinato come detto a sopperire alle esigenze essenziali di vita del soggetto che si trovi in stato di bisogno.
Nel presente contributo cercheremo, invece, di fare chiarezza sul diritto agli alimenti vero e proprio specificandone gli elementi e i presupposti necessari affinchè possa essere riconosciuto in capo ad un determinato soggetto.
Innanzitutto va detto che la legge specifica quali sono i soggetti obbligati a fornire tale prestazione, per il solo fatto di essere legati da un vincolo di parentela.
L'art. 433 individua nell'ordine:
1) il coniuge;
2) i figli e, in loro mancanza, i discendenti prossimi;
3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi, anche naturali, gli adottanti;
4) i generi e le nuore;
5) il suocero e la suocera;
6) i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.
Sono, cioè, essenzialmente obbligate alla prestazione alimentare le persone legate da vincolo di parentela, affinità o adozione con l’alimentando in base ad un ordine gerarchico graduale basato sull’intensità del vincolo.
Esemplificando, se un soggetto è sposato e si trova in stato di bisogno (anche dopo il divorzio) il primo ad essere tenuto al versamento degli alimenti in suo favore è il coniuge, in mancanza di quest'ultimo il figlio, poi i genitori e, così via.
Naturalmente la situazione può cambiare in base ai legami di parentela tra i soggetti ancora in vita.
Sempre per esemplificare, dunque, se un soggetto che si trova in stato di bisogno non è sposato, non ha figli e non ha i propri genitori ancora in vita, ma solo un fratello, sarà soltanto quest'ultimo a dover corrispondere in favore del primo gli alimenti.
Proprio in ragione dei vincoli di parentela o di affinità (con il termine affini si intendono i parenti del coniuge) determinate obbligazioni cessano, però, al verificarsi di particolari eventi, così come disciplinato dall'art. 434 del Codice Civile.
Secondo tale norma, per ragioni abbastanza intuibili, "L’obbligazione alimentare del suocero e della suocera e quella del genero e della nuora [ 433 nn. 4 e 5 ] cessano: 1) quando la persona che ha diritto agli alimenti è passata a nuove nozze; 2) quando il coniuge, da cui deriva l’affinità [ 78 ], e i figli nati dalla sua unione con l’altro coniuge e i loro discendenti sono morti".
In altri casi, viene, invece, stabilita una sorta di priorità tra gli obbligati, come nel caso dell'art. 437 secondo cui "l’adottante deve gli alimenti al figlio adottivo con precedenza sui genitori di lui".
In sostanza per effetto dell'adozione l'adottante assume veste di obbligato principale rispetto al genitore biologico dell'adottato e, pertanto, quest'ultimo sarà chiamato a prestare gli alimenti solamente in mancanza del primo.
E' utile, inoltre, rammentare che, con la legge n. 219/2012 (c.d. riforma della filiazione) è stata eliminata qualsiasi distinzione o disparità tra figli legittimi (nati durante il matrimonio) e figli naturali (nati al di fuori del matrimonio), per cui i figli sono considerati tutti nella medesima posizione sotto il profilo alimentare.
Oltre al legame familiare un altro elemento rende un individuo soggetto all'obbligo alimentare. E' cioè il caso del donatario che, ai sensi dell'art. 437 del Codice Civile, è tenuto con precedenza su ogni altro obbligato (in proporzione a quanto ricevuto) a versare gli alimenti al donante.
Oltre al rapporto di parentela (che è imprescrindibile, fatta eccezione per l'ipotesi del donatario sopra indicata) l'altro elemento indispensabile a far sorgere l'obbligazione è il fatto che il soggetto che avanza la pretesa alimentare si trovi in uno stato di bisogno oggettivo e, cioè, si trovi in una situazione di insufficienza ovvero di mancanza dei mezzi necessari per soddisfare le proprie esigenze essenziali di vita.
Per essere più precisi, così come sostenuto dalla giurisprudenza, per stato di bisogno, deve intendersi la “mancanza dei mezzi necessari a soddisfare i bisogni primari dell’individuo, mancanza che si verifica, non solo quando il soggetto è privo di mezzi di sussistenza, ma anche quando manca di ciò che consente di condurre una vita dignitosa” rientrando così il concetto di stato di bisogno in un'accezione un pò più ampia di quella dei bisogni in senso stretto.
Oltre a versare in tale stato l'alimentando deve, altresì, trovarsi in una situazione di incapacità (parziale o totale) o di provvedere al proprio sostentamento economico in quanto privo di redditi o, comunque, non in grado di procurarseli.
Lo stato di bisogno va provato dal richiedente gli alimenti nel senso che lo stesso, nel momento in cui introduce il giudizio per il relativo accertamento deve provare di non avere alcun mezzo di sostentamento intendendosi, per esso, non solo una liquidità di denaro insufficiente a soddisfare i propri bisogni primari, ma anche l'impossibilità di ricavare da altre fonti il proprio sostentamento.
In ogni caso, come detto sopra l’alimentando deve fornire la prova della propria impossibilità di "provvedere al proprio sostentamento mediante l’esplicazione di un’attività lavorativa confacente alle proprie attitudini ed alle proprie condizioni sociali (Cass. civ. Sez. I, 12 aprile 2017, n. 9415; Cass. civ. Sez. I, 30 settembre 2010, n. 20509; Cass. civ. Sez. I, 14 febbraio 2007, n. 3334)”.
Secondo un'interessante sentenza del Tribunale di Monza ( 21 marzo 2012) il presupposto del non poter provvedere al proprio mantenimento deve essere valutato con riferimento alle capacità fisiche ed intellettive specifiche di chi versa in stato di bisogno ed alle possibilità ambientali di svolgere una concreta e proficua attività, tutte circostanze andranno esaminate caso per caso per ottenere il riconoscimento da parte dell'alimentando.
Per tali motivi il riconoscimento del diritto alla contribuzione alimentare potrà spettare, ad esempio, anche a chi già abbia un immobile dove vivere o che anche svolga dei lavori saltuari se le sue esigenze di vita non possano essere soddisfatte con tali introiti (così in Tribunale di Vicenza - ordinanza del 21.07.2017)
Allo stesso modo anche la sola materiale disponibilità di immobili in capo ad un soggetto che non abbia alcuna fonte di reddito, da sola non sarebbe sufficiente ad escludere il riconoscimento del diritto agli alimenti in favore dello stesso, dovendosi appunto valutare, caso per caso, se le risorse di cui è in possesso siano realisticamente idonee a produrre reddito o, comunque, almeno un minimo di introiti in grado di garantirgli un'esistenza dignitosa.
E' necessario, infatti, accertare se la sola disponibilità di risorse, sia in grado di procurare alla parte richiedente un’immediata redditività, idonea a sostenerne le esigenze di sostentamento.
Ciò che conta, infatti, è lo stato di bisogno "immediato" dell'alimentando e non il potenziale miglioramento del suo stato derivante da attività future (es: vendita dei propri immobili) che non possono determinare l'inesigibilità della prestazione al momento della richiesta, ma al limite soltanto causarne la cessazione, quando la vendita delle risorse stesse si sarà realizzata.
Allo stesso modo è ben possibile che, ove il richiedente gli alimenti abbia immobili di proprietà in cattivo stato di manutenzione e, comunque, a causa di ciò, non possa ricavare alcun introito, neanche a titolo di locazione, gli stessi dovranno essere considerati del tutto improduttivi e come tali non idonei a produrre alcun reddito.
Nè tantomeno si potrebbe immaginare che per soddisfare le proprie esigenze di vita il soggetto che si trovi in stato di bisogno si debba vedere costretto a "svendere" le uniche risorse a sua disposizione, in quanto, un eventuale contratto di compravendita concluso in tali condizioni (a prezzo cioè troppo ribassato per l'urgenza determinata dallo stato di bisogno del venditore) potrebbe essere rescisso per effetto dell'art. 1448 C.C. , norma secondo cui "se vi è sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell’altra, e la sproporzione è dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l’altra ha approfittato per trarne vantaggio, la parte danneggiata può domandare la rescissione del contratto" o anche ai sensi dell'art. 1447 cc se si considerasse concluso in stato di pericolo determinato dal bisogno.
A maggior ragione va escluso dalle potenziali fonti di reddito l'immobile di proprietà nel quale vive il richiedente gli alimenti (c.d abitazione di residenza) sebbene ciò possa servire a soddisfare unicamente le sue esigenze di "alloggio".
Altro requisito necessario è la disponibilità economica dell’obbligato tale da potersi fare carico dell’onere degli alimenti stessi, in mancanza dei quali il diritto non può sorgere.
La misura della prestazione alimentare varia, pertanto, in base ai presupposti oggettivi (stato di bisogno dell’alimentando e possibilità economiche dell’obbligato), ma, la stessa non deve "superare quanto sia necessario per la vita dell'alimentando, avuto però riguardo alla sua posizione sociale".
Non è, dunque, possibile generalizzare la situazione, ma la stessa va commisurata alle condizioni sociali dell'alimentando e alle sue reali possibilità di sostentamento proprio collegate a tale posizione sociale.
Per esemplificare, se un determinato soggetto ha sempre svolto un'attività lavorativa di concetto e non ha mai maturato altre professionalità, è impossibile che trovi la sua fonte di sostentamento nello svolgimento di attività manuali, soprattutto nel caso in cui non sia più giovane di età.
Il diritto agli alimenti è indisponibile (nel senso che l'avente diritto non può disporne, ad esempio con rinuncia ovvero compensarla con un debito), è irripetibile (non può esserne chiesta la restituzione da parte del soggetto che lo ha prestati), è incedibile (nel senso che può essere oggetto di cessione a terzi) e, infine, è imprescrittibile (nel senso che il decorso del tempo non può mai determinare l'estinzione del diritto).
Se il diritto. è imprescrittibile (nel senso che non si perde mai), ciò non vuol dire che si possano chiedere gli alimenti anche a ritroso per un tempo indefinito.
Secondo quanto previsto dalla legge, infatti, gli alimenti sono dovuti dal momento della domanda giudiziale, ovvero anche anticipatamente e, cioè, dalla costituzione in mora (ossia dal momento in cui si richiedono formalmente) purché, a tale richiesta, abbia fatto seguito l’introduzione della domanda giudiziale entro i successivi sei mesi.
In ogni caso, dunque, la decorrenza degli arretrati, non potrà essere mai superiore ai sei mesi antecedenti l'avvio del procedimento giudiziario.
In caso di riconoscimento a seguito di provvedimento giudiziario, i singoli ratei (versamenti mensili) si prescrivono, invece, nel termine di cinque anni da ogni singola scadenza.
Non si prescrive, dunque, mai il diritto agli alimenti con il decorso del tempo, bensì il diritto a riscuoterne le relative somme.
La prestazione alimentare non può essere, inoltre, oggetto di pignoramento da parte dei creditori dell'alimentato.
Come detto sopra, ai sensi dell'art. 438 C.C. gli alimenti sono dovuti “in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli” (art. 438 codice civile).
In virtù di tale definizione alquanto generica la determinazione materiale della somma dovuta all'alimentando è rimessa al giudice il quale stabilisce il quantum dell’obbligo alimentare, considerando tutte le diverse circostanze, sia oggettive che soggettive.
Occorre, perciò, valutare sia la situazione economica nella quale versa il richiedente gli alimenti, sia quella di coloro i quali sono chiamati ad adempiere la prestazione alimentare.
A conferma di quanto descritto sopra, la Suprema Corte ha precisato che, per poter individuare il quantum del diritto agli alimenti, “il raffronto fra le rispettive condizioni economiche va effettuato con riferimento alla situazione in atto, e, quindi, deve prescindere da vicende future, quale la probabile riscossione di crediti, le quali potranno avere influenza, al loro verificarsi, per un’eventuale revisione di dette statuizioni, ai sensi dell’art. 440 c.c.” (Cass., sent. n. 9432/1994).
Deve, dunque, essere comparata la situazione di entrambi i soggetti (obbligato e alimentando) allo stato attuale, indipendentemente dalla possibilità di futuri introiti dell'alimentando che ove si andassero a verificare determinerebbero unicamente la cessazione del relativo obbligo.
L'art. 439 del Codice Civie è poi dedicato all'ipotesi dell'obbligazione alimentare tra fratelli e sorelle.
In tal caso, dice la legge "gli alimenti sono dovuti nella misura dello stretto necessario" e possono, comunque, comprendere anche le spese per l’educazione e l’istruzione, se l’alimentando è minorenne.
In ogni caso, come stabilito dalla Cassazione Civile (Cassazione, sez. I Civile, sentenza 6 marzo - 19 giugno 2013, n. 15397) "la circostanza che la pretesa alimentare sia rivolta nei confronti di un fratello non comporta la sua infondatezza, ma solo la determinazione del relativo importo nella misura dello stretto necessario, ai sensi dell'art. 439 c.c"
Il variare delle condizioni economiche dell’obbligato e/o del beneficiario, giustifica naturalmente una variazione dell’importo da versare.
Ai sensi dell’art. 440 codice civile “se dopo l’assegnazione degli alimenti mutano le condizioni economiche di chi li somministra o di chi li riceve, l’autorità giudiziaria provvede per la cessazione, la riduzione o l’aumento, secondo le circostanze.”
L’obbligo alimentare non può eccedere quanto necessario per la vita dell’alimentando, mentre un limite specifico è previsto per l’obbligo del donatario, per il quale l’importo da versare non può superare il valore attuale e residuo della donazione accettata.
Nel corso del tempo, la prestazione alimentare può, dunque, essere soggetta a variazioni proporzionali in base allo stato di bisogno ed alle possibilità economiche dell’obbligato.
Può, quindi, ad esempio, aumentare, essere ridotta o cessare, sia per decisione del giudice che su istanza della parte interessata.
L’obbligazione alimentare si estingue, inoltre, per decesso dell’alimentando o dell’obbligato, (ma in caso di morte dell'obbligato, l'alimentando può decidere di rivolgersi al soggetto che lo segue immediatamente nell'ordine di cui all'art. 434 per ottenerne il riconoscimento se ancora in vita), per il venir meno delle capacità economiche dell’obbligato o dello stato di bisogno dell’alimentando, ovvero, come detto sopra per nuove nozze del coniuge (se gli alimenti sono dovuti dagli affini), ovvero per essere stato condannato l'alimentando con l'applicazione di una pena accessoria per reati contro il buon costume e la moralità pubblica.
Chi deve somministrare gli alimenti ha la scelta di adempiere questa obbligazione o mediante un assegno alimentare corrisposto in periodi anticipati, o accogliendo e mantenendo nella propria casa colui che vi ha diritto.
L’autorità giudiziaria può però, secondo le circostanze, determinare il modo di somministrazione che potrà essere adempiuta con modalità diverse, anche a scelta del debitore purchè rispettose della dignità dell'alimentando.
In caso di urgente necessità l’autorità giudiziaria può, altresì, porre temporaneamente l’obbligazione degli alimenti a carico di uno solo tra quelli che vi sono obbligati, salvo il regresso verso gli altri (unico caso, in questo caso, di obbligazione solidale).
Il procedimento per ottenere gli alimenti è disciplinato dall’art. 446 del Codice Civile che, prevede che, nel corso della causa e “finché non sono determinati definitivamente il modo e la misura degli alimenti, il presidente del tribunale può, sentita l’altra parte, ordinare un assegno in via provvisoria”.
Dopo la prima fase cautelare in cui le parti compaiono dinanzi al presidente del Tribunale e questi emette un provvedimento provvisorio di quantificazione degli alimenti richiesti, proseguirà il giudizio di merito, all'esito del quale, l'importo stabilito in via provvisoria e in base agli elementi che saranno successivamente acquisiti in corso di causa potrà essere definitivamente determinato.
E' importante, infine, ricordare che, a seguito delle novità introdotte dalla c.d. Riforma Cartabia in tema di negoziazione assistita è possibile utilizzare in via facoltativa la procedura di cui alla legge 162/2014 per pervenire ad un accordo tra le parti prima di adire l'autorità giudiziaria che acquisisce lo stesso valore del provvedimento reso dal Tribunale.