di Emilio Curci
De jure scribendo è un'espressione che mi sono permesso di elaborare prendendo spunto dalla più nota "de jure condendo", frase di origine latina con la quale si intende generalmente parlare del "diritto ancora da creare".
A parte l'assonanza dei termini, invero, la presente rubrica non si propone la stesse finalità (decisamente più impegnativa), quanto piuttosto quella più semplice di condividere lo stile che lo scrivente utilizza per parlare di diritto nei documenti elaborati per le proprie finalità professionali, sperando con ciò, di creare una utile base di confronto e di arricchimento per chi opera nel settore legale.
In questo primo contributo mi soffermerò, quindi, su dei concetti generali che saranno poi elaborati in maniera più specifica e approfondita nei singoli post della rubrica che saranno successivamente pubblicati.
La sinteticità
In oltre venti anni di attività legale ho imparato, innanzitutto, che la prolissità è probabilmente la caratteristica meno utile di uno scritto giuridico, dal momento che, da un lato, chi deve leggere e/o ascoltare le nostre tesi non è generalmente disposto a dedicarci troppo tempo e, dall'altro, perchè, anche se ci trovassimo di fronte ad una persona estremamente disponibile, il suo livello di attenzione (come per ogni persona) è destinato a scemare dopo non più di dieci minuti.
Riprendendo poi in mano alcune frasi di Piero Calmandrei che avevo letto durante il periodo di pratica legale ho ritrovato un passaggio illuminante che sento di condividere in pieno laddove il noto autore elogia "l'avvocato che parla lo stretto necessario, scrive chiaro e conciso, non ingombra l'udienza con la sua invadente personalità, non annoia i giudici con la sua prolissità, non li mette in sospetto con la sua sottigliezza".
Rimandando al seguito le ulteriori riflessioni derivanti da tale concetto posso però dire che, seguendo quest'insegnamento, sin dalla prima elaborazione dei miei atti da praticante, ho cercato di fare della chiarezza e della sinteticità gli elementi più importanti del mio modus scribendi.
Il modo di esprimersi con le controparti e con gli uffici giudiziari
Sia quando scrivo che quando parlo cerco sempre di mantenere un linguaggio assolutamente rispettoso tanto delle controparti che degli uffici giudiziari ai quali mi rivolgo non ponendomi mai in posizione di superiorità al fine di non predisporre negativamente chi mi sta ascoltando.
Sul punto è bene subito chiarire un concetto e cioè che, non sempre questa tecnica paga soprattutto con i clienti che preferiscono gli avvocati che hanno un atteggiamento "più aggressivo", sia sotto l'aspetto del linguaggio scritto che orale, tanto con le controparti quanto con i giudici.
Purtroppo, ancora oggi, molti continuano a pensare che le cause si vincono alzando la voce o aggredendo le controparti, ma questo è un concetto che ritengo inaccettabile oltre che lesivo della dignità e del decoro della professione.
Eppure, come dicevo sopra, tale stile risulta ancora molto gradito ai clienti che, spesso, ritenendo troppo "debole" l'avvocato che non lo attua preferiscono abbandonarlo per rivolgersi ad altro collega più incline a soddisfare le loro aspettative di aggressività.
Invero mi pare, però, di poter affermare che, quantomeno nella mia esperienza, sotto il profilo pratico, non di certo chi ha alzato di più la voce abbia vinto più facilmente la causa, ma ciò, quando è avvenuto, è avvenuto per altri motivi.
Allo stesso modo premesso che risulta assolutamente inaccettabile l'utilizzo (purtroppo frequente) di espressioni offensive nei confronti dei colleghi e delle controparti (sanzionato peraltro anche dal codice di procedura civile oltre che dal codice deontologico degli avvocati) ritengo altrettanto inaccettabile l'uso di alcune frasi al limite dell'offensività, ma comunque, lesive della dignità degli avversari e dei loro difensori.
Mi è capitato di leggere frasi del tipo "la strafottenza della controparte", "l'intento truffaldino", "vuole fare il furbo", "offendere l'intelligenza altrui" che, per quanto non costituiscano offese in senso stretto, colpiscono non poco la parte alla quale sono rivolte, tendendola a mettere in cattiva luce esaltando la propria parte assistita.
Ritengo, piuttosto, che la fondatezza delle proprie tesi e, di converso, l'infondatezza di quelle prospettate dalle controparti, non vada affermata sminuendo e offendendo ciò che sostiene l'avversario, quanto piuttosto fornendo ragionevoli e convincenti elementi di diritto.
Il ragionamento breve ma convincente
Ecco un altro importante aspetto e, cioè, quello di fornire elementi convincenti.
Anche sul punto ho elaborato una mia teoria e, cioè, quella per cui, prima di parlare di qualsiasi questione giuridica sia necessario partire dalla norma in senso stretto.
Trovo, perciò, utile fare un riferimento testuale all'articolo (o agli articoli) di legge che riguardano il caso specifico citandoli nel testo e poi partendo dal dato letterale ragionare intorno al significato.
Alla fine (e soltanto alla fine) aggiungo dei riferimenti giurisprudenziali che confermano o quantomeno sono affini alla teoria difensiva prospettata.
Ma quale è il numero massimo di pagine perchè un atto sia considerato sufficientemente sintetico e intellegibile ?
In realtà, sebbene abbia provato più volte a darmi una risposta sul punto non posso dire di averla agevolmente trovata anche perchè ogni scritto si può differenziare sulla base delle difficoltà delle questioni affrontate, ma credo che tendenzialmente superare le dieci pagine possa far andare incontro ai rischi di carenza di attenzione di cui ho parlato sopra.
Certo è complesso trovare un punto di equilibrio tra chiarezza e sinteticità ma è uno sforzo necessario perchè i nostri scritti siano chiaramente compresi e condivisi da chi ci legge.
La punteggiatura
Un altro aspetto su cui mi soffermerò in seguito ma che ritengo molto importante è quello della punteggiatura, nel senso che, ritengo non sia mai troppa.
Penso infatti che per essere efficace e soprattutto scorrevole uno scritto deve contenere al suo interno tutta la punteggiatura che la grammatica italiana consente di inserire.
In particolare l'utilizzo delle corretto delle virgole credo dia al testo un senso complessivo di scorrevolezza che, in mancanza non avrebbe.
Non solo, ma con un buon uso delle virgole si può realizzare l'esigenza di sinteticità sopra descritta, atteso che in tal modo è possibile contenere più concetti in una frase senza doverne aggiungere un'altra.
L'elaborazione di paragrafi numerati
A rendere facilmente intellegibili gli atti aiuta molto a mio avviso anche la numerazione in paragrafi e sotto paragrafi con l'indicazione dei relativi titoli e l'evidenziazione in grassetto.
In tal modo il nostro lettore sarà in grado di comprendere subito quale è l'argomento che intendiamo trattare in quel paragrafo predisponendo già il proprio interesse sul punto.
L'utilizzo corretto dei tempi passati
Dopo tante ore passate a scrivere e a leggere gli atti altrui sono giunto alla conclusione che il tempo migliore da utilizzare è l'imperfetto che utilizzo quasi sempre al posto del passato prossimo.
Non di rado infatti gli atti legali si riferiscono ad eventi ormai passati e, dunque, la loro enunciazione va fatta al passato.
L'imperfetto, pur riferendosi ad eventi già avvenuti nel passato ha delle caratteristiche di dinamicità e di scorrevolezza che nessun tempo che riferisce ad eventi passati può avere.
Grazie all'imperfetto, infatti, possiamo descrivere quali avvenimenti erano in corso ad un dato momento (appunto in modo dinamico), mentre se utilizziamo il passato prossimo non possiamo che riferirci ad eventi che appaiono come ormai definitivamente conclusi.
L'utilizzo del latino (con moderazione)
Chiunque abbia studiato diritto non può non essere venuto a contatto con le espressioni latine, atteso che il nostro sistema si è sviluppato proprio a partire dal diritto romano.
E' dunque inevitabile che negli atti vengano utilizzate delle frasi latine che personalmente riporto sempre in corsivo e che, comunque, utilizzo, soltanto quando non vi sia una corrispondente espressione italiana che sia traducibile in maniera altrettanto efficace.
Si pensi ad espressioni come rebus sic stantibus (in italiano non suona benissimo stando così le cose) ovvero tabula rasa (non c'è una traduzione altrettanto efficace) ovvero ancora salvis juribus (anche in questo caso salvezze illimitate non è poi bellissima come frase).
L'utilizzo dell'inglese o delle lingue straniere
Proprio perchè scriviamo atti in italiano di fronte ad autorità giudiziarie italiane credo che la lingua straniera vada limitata al massimo, pur fatti salvi i casi in cui l'espressione straniera sia più efficace (e in alcuni casi più sintetica) di quella italiana. Si pensi ad alcune espressioni come "self executing" (con riferimento all'efficacia immediata dei regolamenti europei nei confronti degli stati) che a mio avviso possono essere utilizzate perchè al loro interno contengono concetti più ampi che in italiano dovrebbero essere resi con diverse frasi togliendo appunto scorrevolezza agli scritti.
E' arrivato il momento di concludere
Mentre scrivevo mi sono accorto che arrivato il momento di concludere, soprattutto per essere coerente con quanto ho detto sopra e, quindi, non andrò oltre, rimandando l'approfondimento di quanto appena accennato ai successivi contributi di questa rubrica, non prima, però, di aver ricordato (a me stesso e a tutti) che, quando si scrive, è sempre necessario comprendere quando è arrivato questo momento....
Dunque, fermiamoci, facciamo un bel respiro, rileggiamo tutto quello che abbiamo scritto, operiamo le dovute correzioni e, infine, pubblichiamo...
Buon lavoro a tutti