di Emilio Curci
In quasi tutti gli atti giudiziari è naturale che siano presenti numerosi riferimenti e citazioni a precedenti giurisprudenziali (ossia alle sentenze rese da vari uffici giudiziari) ovvero alla dottrina (ossia l'elaborazione di riflessioni accademiche su questioni di diritto).
I precedenti giurispdrudenziali sono comunemente reperibili, attraverso banche dati ovvero anche attraverso la semplice consultazione della rete internet e generalmente fruibili sotto forma di "massime" ed ossia brevi estrapolazioni del testo del provvedimento che ne richiamano il cosiddetto principio di diritto.
Con una banca dati è spesso possibile accedere anche al testo integrale della sentenza che, in molti casi, è reperibile anche in rete.
Alla massima è sempre collegata la citazione della provenienza con una formula, molte volte abbreviata con la quale si indica l'Ufficio emittente il numero del provvedimento e la data di pubblicazione (es: Tribunale Milano, sentenza del 24.10.2022, n. 1248 oppure Cass. Civ. Sez. I - 3457 del 15.07.2019).
Le massime possono essere riferite sia a sentenze di merito (1° e 2° grado) che di legittimità (giudizio di Cassazione), con l'evidente differenza che quelle provenienti dalla Cassazione (a maggior ragione se dalle Sezioni Unite), assumo particolare valore ai fini di dimostrare la fondatezza di un determinato ragionamento citato in atti.
Ma perchè citiamo la massima?
La citazione della massima è funzionale appunto a dimostrare quanto la tesi difensiva di chi sta scrivendo un atto sia fondata (perchè decisa analogamente da altri uffici giudiziari) soprattutto se il caso in esame è del tutto sovrapponibile a quello affrontato dalla sentenza massimata.
Vi sono degli accorgimenti particolari nell'utilizzo delle massime?
Affinche le massime siano citate in maniera efficace è opportuno seguire sia delle regole formali che contenutistiche.
Quanto alle prime è bene che il testo della massima sia inserito nel testo tra virgolette e in corsivo, in modo tale da differenziarlo dal testo dell'atto vero e proprio e perchè non è frutto dell'elaborazione di chi sta scrivendo l'atto ma di altro soggetto (il giudice estensore della sentenza citata).
Se vi sono dei concetti essenziali o più importanti che vanno evidenziati soprattutto se particolarmente attinenti al caso che si sta esaminando può essere opportuno che solo queste parti della massima (e non questa nella sua interezza) siano evidenziate attraverso l'uso del carattere grassetto e/o del sottolineato.
Non è mai opportuno, almeno a parere di chi scrive utilizzare, nella citazione della massima, caratteri più grandi rispetto a quelli del resto del testo per non alterare lo stile complessivo dell'atto, nè utilizzare puntini di sospensione o punti esclamativi.
Subito dopo la massima vanno inseriti tra parentesi i relativi riferimenti come detto sopra, magari previa verifica della loro esattezza.
Quanto, invece, al contenuto della citazione giurisprudenziale è sempre opportuno verificare innanzitutto l'esattezza del testo citato, specialmente se reperito attraverso una semplice ricerca in rete (magari consultando più siti).
In secondo luogo è bene leggere attentamente il contenuto della massima e, se possibile, anche la sentenza integrale per comprendere se fa effettivamente al caso di chi sta scrivendo l'atto. Ciò al fine soprattutto di evitare che delle citazioni parziali siano apparentemente favorevoli e, invece, nella loro interezza siano da considerare sfavorevoli alla tesi di chi scrive l'atto.
Come è naturale le sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, hanno maggior valore in quanto provvedimenti di "indirizzo" che hanno risolto contrasti tra differenti sezioni del medesimo ufficio.
Per tali motivi, quando si verifica l'esistenza di provvedimenti di Cassazione di segno opposto è sempre opportuno verificare se si sono già espresse le Sezioni Unite per risolvere tale contrasto.
Se le Sezioni Unite non si sono ancora espresse è opportuno comprendere se siano comunque prevalenti gli orientamenti di un tipo o di un altro al fine di citare quanto utile ai fini delle ragioni difensivi esposte in atti.
Allo stesso modo se si rinvengono sentenze di merito (Tribunali e Corti di Appello) favorevoli alle proprie teorie difensive è opportuno verificare se invece la Corte di Cassazione le abbia riformate al fine di evitare citazioni inefficaci in quanto superate da organi giudiziari di livello superiore.
Per ragioni di sinteticità, in alcuni casi si può anche fare a meno di citare il testo integrale della massima, esprimendo soltanto il concetto generale che trova conferma nella massima stessa e indicandone il riferimento o i riferimenti numerici (se espressi in più provvedimenti), con espressioni del tipo "così in Cass. Civ. sez. ..." ovvero "ex multis in Cass. Pen. sez...., ovvero ancora "così come ormai pacificamente accertato dalla giurisprudenza (tra le altre Cass. Civ. sez..)"
La lettura delle massime e la conoscenza degli orientamenti giurisprudenziali può essere molto utile anche al fine di evitare di incorrere in potenziali pronunce preliminari di inammissibilità ai sensi dell'art. 360 bis c.p.c. (quando cioè la sentenza impugnata non si discosta dagli orientamenti prevalenti e non ci sono argomenti adeguati per modificarla.
Se la giurisprudenza è un elemento estremamente citato negli atti giudiziari per i motivi sopra esposti e soprattutto perchè pò essere determinante ai fini della motivazione di una sentenza, apparentemente lo è un pò meno la "dottrina".
Per dottrina si intende l'insieme delle interpretazioni che i giuristi (professori e studiosi) fanno delle leggi o delle norme giuridiche.
Trattandosi di interpretazioni personali (seppur basate sullo studio e l'approfondimento) di fatto non obbligano nessun soggetto (nemmeno un organo giudiziario) ad uniformarsi alle stesse, ma oggettivamente possono costituire un supporto molto valido per gli operatori del diritto (giudici e avvocati).
La dottrina infatti ha essenzialmente lo scopo di provocare una riflessione forendo una lettura sistematica della norma non in forma isolata, ma nel più ampio contesto in cui è inserita.
Per tali motivi la citazione della dottrina (più difficile da reperire in rete in quanto prevalentemente estraibile da testi ufficiali di autori) può essere utile soprattutto quando ci sono questioni particolarmente controverse in diritto (es: anche in presenza di orientamenti contrastanti o tra Tribunali di merito ovvero tra diverse sezioni della Cassazione), in quanto, proprio in presenza di tale contrasto, il supporto della riflessione accademica può aiutare il giudice che deve intepretare una norma una soluzione adeguata.
La citazione della dottrina, a differenza di quanto avviene per la giurisprudenza prevede l'indicazione dell'autore e del testo da cui è tratta.
Anche in tal caso è opportuno citarla tra virgolette e in corsivo sempre al fine di distinguere il contenuto di chi scrive da quello di chi viene citato usando come sempre con moderazione il grassetto e il sottolineato solo per evidenziare i passaggi ritenuti più importanti.
Dottrina e giurisprudenza, a parere di chi scrive, vanno, comunque, usate con moderazione in quanto devono essere intese come un mezzo per rafforzare le tesi di chi scrive un determinato atto, ma non possono sostituirsi ad esso.
Non è bene, infatti, effettuare operazioni di "copia e incolla" di testi tratti dalla rete e sostituirli alla propria elaborazione personale che rimane per l'avvocato lo strumento principale per affermare i principi a fondamento delle proprie teorie difensive.