III CANTO
PARADISO - CANTO III PICCARDA DONATI
https://library.weschool.com/lezione/dante-alighieri-paradiso-canto-3-piccarda-donati-parafrasi-11627.htmlNel terzo canto del Paradiso, Dante giunge al cielo della Luna, dove dimorano coloro che sulla Terra non hanno portato a compimento i loro voti. Qui Dante incontra Piccarda Donati, che in vita fu dapprima suora per vocazione e poi costretta al matrimonio; ella gli spiega come il Paradiso sia perfetta beatitudine in ogni suo cielo, a prescindere dalla condizione superiore o inferiore dei singoli beati. Infatti la concordia con la volontà divina qui è assoluta. Accanto a Piccarda Dante scorge un’altra anima, quella di Costanza d’Altavilla, che mantenne fede in cuore al suo voto benché costretta a tornare alla vita mondana dopo essere divenuta monaca, per sposare l’imperatore Enrico VI di Svevia. Il Canto si chiude con la descrizione del bagliore accecante dello spirito di Beatrice.
Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto 1,
di bella verità m’avea scoverto,
provando e riprovando 2, il dolce aspetto;
e io, per confessar corretto e certo
me stesso, tanto quanto si convenne
leva’ il capo a proferer più erto 3;
ma visïone apparve che ritenne
a sé me tanto stretto, per vedersi,
che di mia confession non mi sovvenne.
Quali per vetri trasparenti e tersi,
o ver per acque nitide e tranquille,
non sì profonde che i fondi sien persi,
tornan d’i nostri visi le postille
debili sì, che perla in bianca fronte 4
non vien men forte a le nostre pupille;
tali vid’io più facce a parlar pronte;
per ch’io dentro a l’error contrario corsi
a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte 5.
Sùbito sì com’io di lor m’accorsi,
quelle stimando specchiati sembianti,
per veder di cui fosser, li occhi torsi;
e nulla vidi, e ritorsili avanti
dritti nel lume de la dolce guida,
che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.
"Non ti maravigliar perch’io sorrida",
mi disse, "appresso il tuo püeril coto,
poi sopra ’l vero ancor lo piè non fida,
ma te rivolve, come suole, a vòto 6:
vere sustanze 7 son ciò che tu vedi,
qui rilegate per manco di voto 8.
Però parla con esse e odi e credi;
ché la verace luce che le appaga 9
da sé non lascia lor torcer li piedi".
E io a l’ombra che parea più vaga
di ragionar, drizza’ mi, e cominciai,
quasi com’uom cui troppa voglia smaga:
"O ben creato 10 spirito, che a’ rai
di vita etterna la dolcezza senti
che, non gustata, non s’intende mai,
grazïoso 11 mi fia se mi contenti
del nome tuo e de la vostra sorte".
Ond’ella, pronta e con occhi ridenti 12:
"La nostra carità non serra porte
a giusta voglia, se non come quella
che vuol simile a sé tutta sua corte.
I’ fui nel mondo vergine sorella;
e se la mente tua ben sé riguarda,
non mi ti celerà l’esser più bella,
ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda 13
che, posta qui con questi altri beati,
beata sono in la spera più tarda 14.
Li nostri affetti, che solo infiammati
son nel piacer de lo Spirito Santo,
letizian del suo ordine formati 15.
E questa sorte che par giù cotanto 16,
però n’è data, perché fuor negletti
li nostri voti, e vòti in alcun canto".
Ond’io a lei: "Ne’ mirabili aspetti
vostri risplende non so che divino
che vi trasmuta da’ primi concetti 17:
però non fui a rimembrar festino 18;
ma or m'aiuta ciò che tu mi dici,
sì che raffigurar m'è più latino.
Ma dimmi: voi che siete qui felici,
disiderate voi più alto loco
per più vedere e per più farvi amici?".
Con quelle altr’ombre pria sorrise un poco 19;
da indi mi rispuose tanto lieta,
ch’arder parea d’amor nel primo foco 20:
"Frate 21, la nostra volontà quïeta
virtù di carità 22, che fa volerne
sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta.
Se disïassimo esser più superne,
foran discordi li nostri disiri
dal voler di colui che qui ne cerne;
che vedrai non capere 23 in questi giri,
s’essere in carità è qui necesse,
e se la sua natura ben rimiri.
Anzi è formale ad esto beato esse
tenersi dentro a la divina voglia,
per ch’una fansi nostre voglie stesse 24;
sì che, come noi sem di soglia in soglia 25
per questo regno, a tutto il regno piace
com’a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia.
E ’n la sua volontade è nostra pace:
ell’è quel mare al qual tutto si move
ciò ch’ella crïa o che natura face".
Chiaro mi fu allor come ogne dove
in cielo è paradiso, etsi la grazia
del sommo ben d’un modo non vi piove.
Ma sì com’elli avvien, s’un cibo sazia
e d’un altro rimane ancor la gola,
che quel si chere 26 e di quel si ringrazia,
così fec’io con atto e con parola,
per apprender da lei qual fu la tela 27
onde non trasse infino a co la spuola.
"Perfetta vita e alto merto inciela 28
donna più sù 29", mi disse, "a la cui norma
nel vostro mondo giù si veste e vela,
perché fino al morir si vegghi e dorma
con quello sposo 30 ch’ogne voto accetta
che caritate a suo piacer conforma.
Dal mondo, per seguirla, giovinetta
fuggi’ mi, e nel suo abito mi chiusi
e promisi la via de la sua setta.
Uomini poi, a mal più ch’a bene usi,
fuor mi rapiron de la dolce chiostra:
Iddio si sa qual poi mia vita fusi 31.
E quest’altro splendor che ti si mostra
da la mia destra parte e che s’accende
di tutto il lume de la spera nostra,
ciò ch’io dico di me, di sé intende;
sorella fu 32, e così le fu tolta
di capo l’ombra de le sacre bende.
Ma poi che pur al mondo fu rivolta
contra suo grado e contra buona usanza,
non fu dal vel del cor già mai disciolta 33.
Quest’è la luce de la gran Costanza
che del secondo vento 34 di Soave
generò ’l terzo e l’ultima possanza 35".
Così parlommi, e poi cominciò ’Ave,
Maria’ cantando 36, e cantando vanio
come per acqua cupa cosa grave.
La vista mia, che tanto lei seguio
quanto possibil fu, poi che la perse,
volsesi al segno di maggior disio,
e a Beatrice tutta si converse;
ma quella folgorò nel mïo sguardo
sì che da prima il viso non sofferse;
e ciò mi fece a dimandar più tardo.
Quel sole che dapprima mi aveva scaldato il cuore d’amore,
mi aveva ora svelato il dolce aspetto della bella verità,
dimostrando e confutando le varie tesi;
e io, per confessare di essermi corretto dai miei errori
e di essere certo della verità, alzai il capo quanto
era necessario per poter parlare;
ma mi apparve una visione che attrasse
tanto la mia attenzione a sé, per esser veduta,
che non mi ricordai più di voler parlare.
Come attraverso vetri trasparenti e puliti,
o attraverso acque nitide e prive di increspature,
non così profonde da non poter vedere il fondale,
si riflettono i contorni dei nostri volti
così debolmente, che una perla su una bianca fronte
non sarebbe meno visibile per i nostri occhi;
vidi numerosi volti altrettanto tenui, pronti a parlarmi;
tanto ineffabili che io incorsi nell’errore opposto
di Narciso che si innamorò di sé riflesso nell’acqua.
Appena mi accorsi di loro,
pensando che quelle fossero immagini riflesse,
per vedere a chi appartenessero, volsi il mio sguardo;
ma non vidi nulla, e dunque lo volsi nuovamente
dritto negli occhi della mia dolce guida,
a cui, sorridendo, brillavano gli occhi.
“Non meravigliarti se sorrido”,
mi disse, “per il tuo pensiero puerile,
poiché non si fonda ancora sulla verità,
ma ti fa andare in senso opposto a vuoto, come è
solito fare: quelle che vedi sono anime vere,
destinate a questo cielo per inadempienza dei voti.
Perciò parla con esse e ascolta e credi a quello che ti diranno;
perché la luce della verità che le appaga
non le lascia allontanare da sé”.
E io, all’ombra che sembrava più desiderosa
di parlare, mi rivolsi, e cominciai a dire,
quasi come una persona turbata da un desiderio eccessivo:
“O spirito destinato alla salvezza, che dai raggi
della vita eterna senti quella dolcezza che,
se non è gustata, non può essere compresa,
gradito mi sarà se mi renderai noti
il tuo nome e la vostra condizione”.
Quindi lei mi rispose, pronta e con gli occhi sorridenti:
“La nostra carità non si oppone ad un giusto desiderio,
non diversamente da quella di Dio, che rende simile
a sé quella di tutte le sue schiere di beati.
Io, sulla terra, fui monaca; e se cerchi con attenzione
nella tua memoria, l’esser diventata più bella
per la luce del Paradiso non ti impedirà di capire chi sono,
ma riconoscerai che sono Piccarda, che, collocata
in questo cielo con questi altri beati, godo della mia beatitudine
nel cielo della Luna, quello più lento.
I nostri affetti, che sono infiammati soltanto
dall’ardore dello Spirito Santo,
gioiscono di essere disposti secondo il suo ordine.
E questo grado di beatitudine che sembra così basso,
ci è stato attribuito perché i nostri voti furono
trascurati, e in parte manchevoli”.
Quindi io a lei: “Nelle vostre meravigliose sembianze
risplende qualcosa di divino
che vi trasforma rispetto al vostro aspetto originario:
per questo non sono stato veloce nel riconoscerti;
ma ora mi aiuta ciò che mi dici,
cosicché mi è più facile riconoscerti.
Ma dimmi: voi che siete beati qui, non desiderate mai
essere in un cielo superiore per conteplare meglio
Dio ed essere più a lui più familiari?”.
Ella dapprima sorrise un poco insieme alle altre ombre;
poi mi rispose con tanta gioia,
che sembrava ardere del fuoco dell’amore di Dio:
“Fratello, la nostra volontà è appagata
dalla virtù di carità, che ci fa desiderare
solo ciò che abbiamo, e non ci rende bramosi d’altro.
Se desiderassimo trovarci in un cielo più alto,
i nostri desideri sarebbero discordi
dal volere di colui che qui ci colloca;
il che, vedrai, non è possibile in queste sfere,
se qui è necessario ed inevitabile vivere in carità,
e se consideri bene la natura di questa.
Anzi è essenziale allo stato di beato
rimanere entro la volontà divina,
per cui le nostre volontà divengono una sola;
cosicché, il modo in cui noi siamo poste nei diversi
cieli in questo regno, piace a tutto il Paradiso e a Dio,
che ne è il re, e che ci fa volere ciò che Lui vuole.
E nella sua volontà consiste la nostra pace:
lui è come un mare al quale tende
tutto ciò che è stato generato da lui o dalla natura”.
Mi fu allora chiaro come in ogni parte del cielo
si vive in perfetta beatitudine, anche se la grazia
divina non vi è dispensata in modo uniforme.
Ma così come avviene, se si è sazi di un cibo
e di un altro resta ancora il desiderio,
che si chiede di questo e si ringrazia di quello,
così feci io con gesti e con parole
per scoprire da lei quale fosse la tela
che non aveva portato a termine con la spola.
“Una vita perfetta e un alto merito colloca
una donna in un cielo più alto”, mi disse “secondo la cui Regola
si indossano giù nel mondo l’abito e il velo monacali,
perché fino alla morte si vegli e si dorma
in comunione con quello sposo che accetta ogni voto
che la carità renda conforme al suo volere.
Ancora molto giovane, per seguirla, abbandonai la vita nel mondo,
e mi rinchiusi nel suo convento e mi impegnai
a seguire la Regola del suo ordine.
Ma poi degli uomini, dediti al male più che al bene,
mi rapirono dall’amato convento:
Iddio sa quale fu poi la mia vita.
E quest’altra anima luminosa che vedi
alla mia destra e che risplende
di tutta la luce propria del nostro cielo,
ciò che racconto di me stessa, può intenderlo
anche per sé; fu una monaca, e come a me
le fu tolto con forza il velo monacale.
Ma anche dopo essere stata ricondotta
alla vita mondana contro la sua volontà e contro ogni pratica
onesta, rimase nel cuore sempre fedele ai suoi voti.
Questa è l’anima luminosa della nobile Costanza,
che al marito, il secondo imperatore della casa Sveva,
generò il terzo ed ultimo erede.
Così mi parlò e poi cominciò a cantare l’Ave Maria,
e cantando scomparve come nell’acqua profonda
sparisce un oggetto pesante.
Il mio sguardo, che la seguì per quanto fu possibile,
dopo averla persa, si volse
all’oggetto del suo maggior desiderio,
e si concentrò quindi del tutto su Beatrice;
ma questa abbagliò il mio sguardo
tanto che dapprima non riuscì a sopportarne la vista;
e ciò mi fermò nel farle la domanda che desideravo.