Una volta sognai

Alda Merini

Una splendida poesia dedicata a Lampedusa che Alda Merini scrisse alla vigilia dell’inaugurazione della Porta d’Europa, monumento di Mimmo Paladino che ricorda tutti i migranti che giungono sull’isola dopo interminabili ore di viaggio in mezzi di fortuna con nel cuore la speranza di una nuova vita, e in particolare tutti quelli che non arrivano, inghiottiti dal Mediterraneo. 

La donna immagina quindi di essere una grande tartaruga che con il suo “scheletro d’avorio” e la sua “scorza dura” porta in salvo uomini, donne e piccini che giungono sulle coste di Lampedusa portando nel cuore la speranza di una vita migliore e serena con i propri cari. 

La poetessa scrisse questa poesia in occasione della costruzione della Porta d’Europa e venne letta per la prima volta proprio durante l’inaugurazione, il 28 giugno 2008.

BIOGRAFIA

testo autobiografico in cui si racconta alla giornalista Cristiana Ceci nell’autunno del 2004.

“Sono nata a Milano il 21 marzo 1931, a casa mia, in via Mangone, a Porta Genova: era una zona nuova ai tempi, di mezze persone, alcune un po’ eleganti altre no. Poi la mia casa è stata distrutta dalle bombe. Noi eravamo sotto, nel rifugio, durante un coprifuoco; siamo tornati su e non c’era più niente, solo macerie. Ho aiutato mia madre a partorire mio fratello: avevo 12 anni. Un bel tradimento da parte dell’Inghilterra, perché noi eravamo tutti a tavola, chi faceva i compiti, chi mangiava, arrivano questi bombardieri, con il fiato pesante, e tutt’a un tratto, boom, la gente è impazzita. 

Abbiamo perso tutto. Siamo scappati sul primo carro bestiame che abbiamo trovato. Tutti ammassati. Siamo approdati a Vercelli. Ci siamo buttati nelle risaie perché le bombe non scoppiano nell’acqua, ce ne siamo stati a mollo finché non sono finiti i bombardamenti. Siamo rimasti lì soli, io, la mia mamma e il piccolino appena nato. Mio padre e mia sorella erano rimasti in giro a Milano a cercare gli altri: eravamo tutti impazziti. Ho fatto l’ostetrica per forza portando alla luce mio fratello, ce l’ho fatta: oggi ha sessant’anni e sta benissimo. La mamma invece ha avuto un’emorragia, hanno dovuto infagottarla insieme al piccolo e portarseli dietro così, con lei che urlava come una matta.
A Vercelli ci ha ospitato una zia che aveva un altro zio contadino, ci ha accampati come meglio poteva in un cascinale. Sembrava la Madonna mia madre, faceva un freddo boia, era una specie di stalla, ci siamo rimasti tre anni. Non andavo a scuola, come facevo ad andarci? Andavo invece a mondare il riso, a cercare le uova per quel bambino piccolino: badavamo a lui, era tutto fermo, c’era la guerra. Stavo in casa e aiutavo la mamma, andavo all’oratorio, ero una brava ragazza io. Io sono molto cattolica, la mia parrocchia a Milano era San Vincenzo in Prato. Mi sento cattolica e profondamente moralista, nel senso che sono una persona seria allevata da genitori serissimi, pesanti e pedanti in fatto di morale. Non lo so se credo in Dio, credo in qualcosa che… credo in un Dio crudele che mi ha creato, non è essere cattolici questo? Perché, Dio non è così? Tutti abbiamo un Dio, un idoletto, ma proprio il Dio specifico che ha creato montagne, fiumi e foreste lo si immagina solo… con la barba, vecchio, un po’ cattivo, un Dio crudele che ha creato persone deformi, senza fortuna. Credo nella crudeltà di Dio. Non penso siano idee blasfeme, la Chiesa non mi ha mai condannata. Anzi, il mio “Magnificat” è stato esaltato, perché ho presentato una Madonna semplice, come è davvero lei davanti a questo stupore dell’Annunciazione, che non accetta fino in fondo perché lei ha San Giuseppe.
Io pregavo da bambina, ero sempre in chiesa, sentivo sette, otto, dieci messe al giorno, mi piaceva, però non ci vado più dai tempi del manicomio. Ho trovato una tale falsità nella Chiesa allora, in manicomio vedevo le ragazze che venivano stuprate e dicevano di loro che erano matte. Stuprate anche dai preti, allora mi sono incazzata davvero. L’ho visto accadere ad altri, non è una mia esperienza. La Chiesa è dura con le donne, da sempre. Però oggi come sono magre e secchette le donne, prima erano belle adipose. Sono tornata a Milano quando è finita la guerra, siamo tornati a piedi da Vercelli, solo con un fagotto, poveri in canna, e ci siamo accampati in un locale praticamente rubato, o trovato vuoto, di uno straccivendolo. E ci stavamo in cinque. Abbiamo ripescato anche mia sorella che era partita con i fascisti, con i tedeschi, aveva imparato, si metteva in strada, tirava su le gonne, i tedeschi andavano in visibilio e le regalavano il pane, si sfamava così, si alzava solo la gonna, era bellissima.

In questo stanzone stavamo tutti e cinque, accampati, con delle reti, allora sono andata con il primo che mi è capitato perché non ce la facevo più. Avevo 18 anni, dove dormivo scusate? Così poi l’ho sposato, nel 1953. Era un operaio, è morto nel 1983, un lavoratore. Si chiamava Ettore Carniti, io sono zia del sindacalista Pierre Carniti e anche mio marito era sindacalista. Un bell’uomo. Ho avuto quattro figlie da lui. Andavamo a mangiare la minestra da mia madre perché lui non aveva ancora un lavoro. Poi abbiamo preso una panetteria in via Lipari, non è che proprio facevamo il pane, era solo una rivenditoria. Mi chiamavano la fornaretta. Ho avuto la mia prima bambina nel 1955, Emanuela, poi nel 1958 è nata anche Flavia. Avevo 36 anni quando è nata la mia ultima figlia, Simona, e prima ancora era arrivata Barbara.”

Analisi e commento

L’unica strofa è costituita da versi liberi e sciolti, tranne per l’unica rima presente: capIRE-benedIRE.

Nella poesia la punteggiatura è quasi del tutto assente: le frasi sono per lo più coordinate per polisindeto, con  un andamento cantilenante e volutamente semplice, come l’espressione di un bambino.

Le figure retoriche presenti sono l’epanalessi (consiste nel ripetere, raddoppiandoli, una parola o un segmento discorsivo all’interno, al centro o alla fine di una identica unità testuale. Essa tende all’amplificazione emozionale del discorso, dato che il termine ripetuto crea una tensione comunicativa ) di “vi” ai versi tredici, quattordici e quindici, il parallelismo “lenta a capire”- “svelta a benedire”, la metafora della tartaruga gigante che simboleggia l’isola di Lampedusa, le due antitesi “scheletro d’avorio”- “scorza dura” (l’avorio è un materiale liscio e pregiato, mentre la scorza ricorda un oggetto consumato) e “rifiuti”-“fiori” e l’enumerazione (“bimbi […] fiori”).

Il lessico è attuale. L’unica parola da segnalare è “benedire”, che si ricollega al campo semantico religioso.

Il sogno dell’io poetico di Alda Merini vuole essere la voce di quella  parte dell’umanità altruista che invoca.



Scritta nel 2008 in occasione dell’apertura della “Porta D’Europa” a Lampedusa, questa poesia si basa sulla metafora di una tartaruga, raffigurazione animale dell’isola, punto di approdo di molti immigrati.

Sensibile e per niente cruda, a differenza delle altre poesie, questa è l’unica che lascia un po’ di spazio alla speranza.

La scelta della tartaruga non è casuale: lenta, sicura nella sua corazza e secolare, è il simbolo della saggezza per la sua superiore esperienza. La descrizione del suo corpo connota due elementi diversi: l’avorio, caratteristico delle zanne di elefante, è duro, ma anche pregiato e, dunque, fragile sotto l’impulso di forti colpi; così è la terra di Lampedusa di fronte all’interminabile flusso migratorio.

L’aggrapparsi al suo carapace concavo può, infine, essere paragonato al tenersi allo scafo di una nave capovolta dalle onde di un naufragio.

Dotata di spirito materno (“figli miei”), la tartaruga mette in salvo gli uomini dal sicuro annegamento e li benedice, simbolo di religiosità non solo cristiana, prima ancora di capire le ragioni dell’evento.

Si evidenzia così un’enorme amore per la comunità, tale che la testuggine si preoccupa di salvare i naufraghi indipendentemente dalla loro condizione sociale, dai motivi che hanno spinto loro a lasciare la terra natia, dal loro rapporto con la criminalità organizzata: il riconoscimento della dignità umana è superiore a ogni cosa.

Alda Merini usa l’immagine della tartaruga. Lampedusa, e in particolare la sua spiaggia dell’Isola dei conigli, è zona di ovodeposizione della tartarughe Caretta Caretta, specie particolarmente protetta perché seriamente minacciata d’estinzione dalla crescente antropizzazione delle coste. La tartaruga raggiunge Lampedusa per deporre vita, la poetessa si sogna come una tartaruga che trascina vita spinta dal peso dell’amore, un amore che può salvare.I versi della poetessa ci rimandano alla declinazione di questo impegno: essere qualcuno cui ci si può aggrappare, qualcuno che sotto il “peso dell’amore” si impegna per portare vita, per “salvare” le vite.