Augusto e l'Impero

UNO SGUARDO SULLA RES PUBLICA ROMANA

Nel VI sec. A.C a Roma la monarchia venne sostituita da una nuova forma di governo: la RES PUBLICA (letteralmente “la cosa pubblica”).Ciò significa che ogni componente della società faceva la sua parte rispetto alla gestione del potere, indipendentemente dal ceto cui apparteneva.

Nello specifico il governo romano era retto da 3 organi:

NB: all’inizio del periodo repubblicano soltanto i membri delle famiglie patrizie potevano accedere alle magistrature e diventare membri del Senato; a seguito di uno sciopero organizzato dalla plebe, fu concessa a quest’ultima la possibilità di partecipare attivamente alla vita pubblica: importanti vittorie in questo senso furono i concili della plebe (assemblee formate da soli plebei), i tribuni della plebe (rappresentanti del popolo), e soprattutto si stabilì che uno dei due consoli fosse di origine plebea.

Tra le varie magistrature, il consolato era infatti quella più importante perché i consoli avevano il comando dell’esercito, potevano proporre leggi e convocare il Senato. Ogni magistrato rimaneva in carica per un anno e veniva sempre eletto in coppia cosicché ci fosse sempre un altro membro a controllare l’operato dell’altro e di modo che nessuno avrebbe assunto più potere rispetto a un altro.

La figura del dittatore veniva eletta solo nel caso in cui la comunità si fosse trovata in una situazione di emergenza ed estremo pericolo. In questo caso i consoli consegnavano al dittatore i loro poteri. In ogni caso, non appena fosse terminata la situazione di emergenza, il dittatore avrebbe concluso il suo mandato e restituito i poteri ai consoli.

È in un tale contesto di equilibrio sociale e di gestione collettiva del potere che si inserisce la figura di Augusto il quale, consapevole della solidità di questo impianto, lasciò in vita questi 3 organi ma di fatto li svuotò del loro potere decisionale e fu lui ad assumere ogni tipo di potere. Questo decretò la fine della res publica e l’inizio di una nuova forma di governo: il Principato.

Che cosa significa che Augusto fu un “primus inter pares”?

L’espressione letteralmente significa “primo tra pari” e rimanda al fatto che, rispetto ad un gruppo di pari con cui Augusto condivideva una stessa posizione gerarchica e/o privilegi e onori, lui divenne un leader unicamente perché aveva delle doti da condottiero più marcate rispetto ad altri, le quali doti gli consentirono di mettersi alla guida di questo gruppo di senatori: da qui anche il titolo di princeps senatus (il primo tra i senatori).

Per farvi capire meglio questo concetto, pensate al vostro gruppo classe: tutti voi ragazzi siete posti su uno stesso piano gerarchico perché tutti siete alunni e ciascuno di voi ha delle doti diverse che vi rendono tutti studenti degni di lode (qualcuno di voi eccellerà in matematica, qualcun altro sarà bravo a suonare uno strumento musicale, qualcun altro sarà bravo a scrivere o a disegnare...). All’interno del vostro gruppo avete però, tra gli stessi studenti, delle figure di riferimento che sono i rappresentanti di classe che probabilmente ricoprono questo ruolo perché sono meno timidi e hanno bisogno di far sentire la loro voce e farsi portavoce dei bisogni del gruppo. Ma questo non significa che abbiano più potere rispetto ad altri o che noi insegnanti riserviamo loro un trattamento di favore.

Ecco. Esattamente questo fingeva di essere Augusto: nella realtà dei fatti non era affatto un primo tra pari.

INOLTRE, PER UNA RIFLESSIONE SULLA FIGURA DEL BARBARO...

La parola barbaro deriva dal greco Bàrbaros che significa “colui che balbetta”. La stessa ripetizione sillabica BAR BAR all’interno della parola rimanda alla ripetizione per balbuzie. Barbari erano quindi, nell’accezione greca, quanti non parlavano la lingua greca (accezione linguistica).

In latino l’aggettivo Bàrbarus ha più una sfumatura culturale ed indicava quanti coloro, per usi e costumi, non facevano parte di una società civilizzata.

I barbari non avevano infatti un apparato di leggi né un alfabeto ed erano inoltre tradizionalmente violenti e selvaggi.

Questo, agli occhi dei Romani, giustificava la loro sottomissione in nome di una missione civilizzatrice.