Poesie del Canzoniere

Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono

Era il giorno ch’al sol si scoloraro

Era il giorno ch’al sol si scoloraro

per la pietà del suo factore i rai,

quando i’ fui preso, et non me ne guardai,

ché i be’ vostr’occhi, donna, mi legaro.


Tempo non mi parea da far riparo

contra colpi d’Amor: però m’andai

secur, senza sospetto; onde i miei guai

nel commune dolor s’incominciaro.


Trovommi Amor del tutto disarmato

et aperta la via per gli occhi al core,

che di lagrime son fatti uscio et varco:


però, al mio parer, non li fu honore

ferir me de saetta in quello stato,

a voi armata non mostrar pur l’arco.


Metro: sonetto con schema della rima ABBA, ABBA, CDE, DCE. Presenza dei consueti latinismi, come "factore" (v. 2), "et" (v. 3 e altrove), "honore" (v. 12). Allitterazione della "s" al v. 7 ("secur sanza sospetto") e della "m" ai vv. 8-9 ("commune... / Trovommi amor del tutto disarmato").


Parafrasi

Era il giorno in cui al sole si oscurarono 

i raggi per la pietà verso il suo Creatore [per la morte di Cristo], quando io fui catturato e non potei difendermi, 

donna, perché i vostri begli occhi mi incatenarono. 


Non mi sembrava un momento tale da ripararmi 

dai colpi di Amore, perciò andavo 

sicuro, senza sospettare nulla; per cui la mia pena 

iniziò nel dolore di tutta la Cristianità.


Amore mi sorprese del tutto disarmato 

e trovò aperta la via per il mio cuore attraverso gli occhi, 

che adesso fanno uscire le lacrime: 


perciò, a parer mio, non fu per lui onorevole 

colpirmi con una freccia in quella condizione, 

mentre a voi (armata) non mostrò neppure l'arco.


Analisi

Il sonetto racconta l'innamoramento di Petrarca il giorno del primo incontro con Laura, nella chiesa di S. Chiara ad Avignone, nell'anniversario "storico" della morte di Cristo (il 6 apr. 1327, che era un lunedì): la descrizione ruota intorno alla tradizionale simbologia del dio Amore che attende il poeta al varco e lo colpisce con la sua freccia, approfittando del fatto che lui ha le difese abbassate a causa del carattere luttuoso della giornata (la Cristianità commemora la passione di Cristo, quindi Petrarca non pensa sia il momento propizio per innamorarsi). La freccia colpisce il poeta al cuore attraverso i begli occhi di Laura e i suoi, che poi diventano "uscio" per le lacrime essendo l'amore non corrisposto, secondo un motivo largamente presente nella poesia stilnovista; tale azione si qualifica come poco onorevole, dal momento che Amore approfitta dello "stato" di Petrarca che non si aspetta l'assalto e cade facilmente, mentre il dio non mostra neppure l'arco a Laura che, al contrario, è "armata" in quanto non intenzionata a corrispondere il sentimento dell'autore. Il primo incontro tra Laura e Petrarca avviene in chiesa, come l'episodio della donna-schermo della Vita nuova di Dante e per di più nel giorno in cui si commemora la morte di Cristo, quando secondo il Vangelo si oscurò la luce del sole; può anche darsi che Petrarca abbia trasformato volutamente il giorno dell'incontro nel venerdì santo per motivi simbolici, facendolo combaciare con la data della morte della donna, mentre appare meno probabile, come peraltro alcuni hanno proposto, che Petrarca abbia in seguito "falsificato" la data che in origine sarebbe stata diversa (il venerdì santo del 1327 era il 10 aprile).

S’amor non è, che dunque è quel ch’io sento?

S’amor non è, che dunque è quel ch’io sento? 

Ma s’egli è amor, perdio, che cosa et quale? 

Se bona, onde l’effecto aspro mortale? 

Se ria, onde sí dolce ogni tormento? 


S’a mia voglia ardo, onde ’l pianto e lamento? 

S’a mal mio grado, il lamentar che vale? 

O viva morte, o dilectoso male, 

come puoi tanto in me, s’io no ’l consento? 


Et s’io ’l consento, a gran torto mi doglio. 

Fra sí contrari vènti in frale barca 

mi trovo in alto mar senza governo, 


sí lieve di saver, d’error sí carca 

ch’i’ medesmo non so quel ch’io mi voglio, 

et tremo a mezza state, ardendo il verno


Metro 

Il sonetto (due quartine seguite da due terzine) presenta uno schema delle rime ABBA ABBA CDE DCE.


Parafrasi

Se non è amore, che sentimento è questo che io provo? 

Ma se invece è amore, per amor di Dio, che cos'è l'amore e qual è la sua essenza? 

Se è qualcosa di buono, perché i suoi effetti sono così dolorosi?

Ma se invece è qualcosa di negativo, perché i tormenti del mio animo sono così piacevoli? 


Se per mia volontà ardo di questo sentimento, perché piango e mi lamento? 

Ma se mio malgrado io non voglio provare amore, che valore ha lamentarsi? 

Oh amore, che sei viva morte e piacevole travaglio, 

come puoi avere tanto potere su di me anche se io mi oppongo?


Ma se io invece te lo permetto allora sbaglio a lamentarmi. 

In questa situazione sono come una fragile barca senza timoniere, 

dibattuta in mare aperto in balia di venti tanto sfavorevoli. 


Sono privo di controllo e commetto talmente tanti sbagli 

che io stesso non riesco a capire cosa voglio

e nonostante io sia nel bel mezzo dell'estate tremo, nonostante io mi trovi in pieno inverno divampo di calore. 


Analisi

Il sonetto può essere suddiviso sia dal punto di vista sintattico sia da quello contenutistico in due nuclei, costituito dalle quartine l'uno, dalle terzine l'altro. Nella prima parte Petrarca pone a se stesso una serie di interrogativi e un'ultima domanda finale che rivolge direttamente alla personificazione di amore invocato nel verso 7 tramite due epiteti ossimorici (viva morte e piacevole travaglio) caratterizzanti del suo stile. Nei primi sei versi del componimento si susseguono una serie di domande retoriche che, dando un ritmo affannoso alla lirica, esplicitano tutto il travaglio interiore dell'animo di Petrarca e lo gettano in una condizione di totale confusione tanto che egli non riesce neppure a definire il sentimento che prova. Infatti se in un primo momento si chiede se ciò che prova sia amore, subito dopo si pone la questione di quale sia l'essenza dell'amore e se esso sia un sentimento positivo e giusto o negativo e distruttivo. Petrarca pone l'accento sulla sua soggettività che si contrappone nettamente all'oggettività: razionalmente ciò che è buono non dovrebbe procurargli dolore e ciò che invece è malvagio non dovrebbe suscitare in lui una sensazione piacevole. Altro tema affrontato è quello dalla volontà, indipendentemente da essa l'amore penetra profondamente nell'animo dell'innamorato perché si tratta di una forza vincente superiore e più forte di tutto. Nel secondo nucleo Petrarca si sofferma appunto a sviluppare questo concetto della potenza dell'amore. Non ci sono più domande delle quali il poeta cerca una risposta ma piuttosto egli ci offre un'immagine di quello che è il suo animo attraverso la metafora a lui cara di una fragile barca dibattuta in mare aperto da venti tempestosi e senza un giudizioso timoniere sul quale fare affidamento. Il timoniere non è altro che l'immagine dell'autocontrollo di Petrarca nei confronti dell'amore, tanto assente da provocare in lui la contraddizione di chi trema in estate e soffre il caldo d'inverno. Le quartine sono pregne di antitesi nelle quali il poeta, accostando concetti e situazioni opposti, è in continua contraddizione con se se stesso. Lo stile diviene quindi lo specchio dell'animo di Petrarca, del suo dissidio interiore e dei sentimenti che, seppur contradditori, egli prova. La tecnica dove ricorrono antitesi, ossimori e un continuo e ininterrotto susseguirsi di lessico dei contrari, serve all'autore stesso per esprimere uno degli aspetti peggiori e più laceranti dell'amore ovvero l'incoerenza degli stati d'animo che alternano timori e speranze, ardore e freddezza. Nella prima terzina Petrarca ricorre a un topos letterario tipico della sua produzione: la metafore della barca. L'immagine della nave che giunge al porto dopo una navigazione tempestosa ha una lunga tradizione letteraria ed è sempre simbolo positivo del raggiungimento di un traguardo. In Petrarca invece la barca assume connotati negativi in quanto rappresenta un punto di arrivo che però coincide con la morte, unico rifugio nel quale egli può cercare conforto per placare la sofferenza amorosa. Per tutto il componimento Petrarca dissemina attributi che si riferiscono all'amore (bona, ria, aspro, mortale) e che delineano due campi semantici distinti e contrapposti: il nucleo concettuale dell'amore come sensazione che procura piacere e quello dell'amore concepito come forza distruttrice. Indubbiamente prevale nel lessico l'accezione negativa dell'amore (data dai termini aspro, mortale, lamento, pianto, doglio), ciò a spiegare la visione petrarchesca di questo sentimento. L'indole del poeta, l'uomo del dissidio, costantemente divisa tra il sentimento religioso e le passioni terrene, non trova in questa poesia un netto schieramento e una presa di posizione piuttosto si limita a pendere verso la sfera negativa.

Erano i capei d’oro a l’aura sparsi

Metro 

Il sonetto (due quartine seguite da due terzine) presenta uno schema delle rime ABBA ABBA CDE DCE.


Parafrasi

I capelli biondi come l’oro erano sparsi al vento

che li avvolgeva in mille dolci nodi,

e l’incantevole luminosità di quei begli occhi,

che ora ne sono così privi, ardeva in modo eccezionale;


e mi pareva – non so se in realtà o per mia illusione –

che il viso assumesse un’espressione di compassione per me:

perché meravigliarsi se io, che avevo nel petto la predispozione ad amare,

bruciai immediatamente d’amore per lei?


Il suo modo di camminare non era quello di una creatura mortale,

ma di un essere angelico; e le sue parole

risuonavano in maniera diversa da una semplice voce umana:


uno spirito del cielo, un sole vivo

fu quello che io vidi: e se ora non fosse più così,

la mia ferita non guarisce per quanto si allenti l’arco.


Analisi

Il sonetto ha per tema l’innamoramento del poeta per Laura ed egli rievoca la sua bellezza attraverso alcuni particolari: i capelli mossi dal vento, lo sguardo luminoso (anche se, al v. 4, afferma che i suoi occhi hanno perso la luce di un tempo) e l’espressione compassionevole, ma anche il suo modo di camminare e il suono della sua voce, che paragona a quelli di una creatura angelica e non umana, tanto che il poeta afferma di aver visto un «vivo sole» (v. 12). Il riferimento al mutato aspetto fisico di Laura (v. 4), torna anche al verso 13, dove Petrarca ipotizza che il tempo ha lasciato i suoi segni su di lei; nonostante questo, però, il suo amore per la donna rimane immutato e la ferita provocata da questo sentimento non guarisce nonostante lei non sia la stessa di prima, così come non guarisce la ferita provocata da una freccia, per quanto la corda dell’arco che l’ha scagliata si allenti.



Alcune figure retoriche

metafore (la passione come fuoco ai vv. 7-8 e come ferita provocata dalla freccia scagliata dall’arco di Amore al v. 14) 

iperboli (mille dolci nodi al v. 2, d’angelica forma al v. 10, vivo sole al v. 12).

sinestesia (v. 2, dolci nodi) 


enjambement (vv. 1-2, 3-4, 10-11, 12-13).

Pace non trovo et non ò da far guerra

Metro 

Il sonetto (due quartine seguite da due terzine) presenta uno schema delle rime ABBA ABBA CDE DCE.


Parafrasi

Non ho pace e tuttavia non ho mezzi per combattere,

ho paura e speranza; ardo e sono impassibile;

e volo sopra il cielo, e mi giaccio inerte a terra;

e non ho nulla in mano, e mi slancio ad abbracciar tutto.


Laura mi tiene in prigione, non mi libera e non mi rinchiude,

né mi tiene in suo possesso, né mi lascia libero;

e non mi uccide Amore, né mi libera,

non mi vuole vivo ma al contempo non mi salva.


Vedo senza aver occhi, non ho lingua eppure grido;

desidero la morte e invoco aiuto;

e odio me stesso, e amo altri da me.


Mi nutro della mia sofferenza, rido tra le lacrime;

allo stesso modo ho in odio la morte e la vita:

in questa condizione mi trovo, o Donna, a causa vostra.


Analisi

Questo sonetto mette in luce e sviluppa una tematica centrale in tutta la produzione poetica di Petrarca: il "dissidio interiore" che nasce dal fatto che Laura non ricambia i sentimenti del poeta, che si trova quindi combattuto e scisso tra gli slanci emotivi ed illusori della passione (v. 2: "spero"; v. 3: "volo spra 'l cielo"; v. 4: "e tutto 'l mondo abbraccio") e l'amara coscienza della realtà (v. 2: "sono un ghiaccio"; v. 4: "nulla stringo"). Quello che si evidenzia maggiormente, alla luce di questo conflitto, è la condizione di assoluta precarietà emotiva e psicologica in cui l'io poetico si ritrova, data dall’impossibilità di rendere concreto il proprio sogno d'amore.


La forza d'amore, in particolar modo dalla seconda terzina, tormenta il poeta, che - non senza compiacimento, si direbbe - si confessa da un lato incapace di sfuggire alla "pregion" (v. 5) in cui si sente rinchiuso, ma dall'altro riconosce che il sentimento non lo "ancide" (v. 7), ma preferisce torturarlo a poco a poco. In questo limbo emotivo ed esistenziale, Petrarca può quindi sviluppare l'indole individualistica ed autoriflessiva della sua scrittura (come già preannunciava il sonetto proemiale ai vv. 5-8: "del vario stile in ch’io piango et ragiono | fra le vane speranze e ’l van dolore, | ove sia chi per prova intenda amore, | spero trovar pietà, nonché perdono").


 


Strutture oppositive, chiasmi ed antitesi

Osservando il sonetto nel suo complesso si vede come le coppie oppositive siano visibili in tutto il testo, ad eccezione dell’ultimo verso; ciò significa che Petrarca ricorre volutamente ad una serie di artifici retorici per esplicitare ancor meglio il "dissidio" su cui egli costruisce Pace non trovo, et non ò da far guerra. Sono allora ricorrenti le coppie oppositive, che presentano la lacerazione intima del poeta per mezzo di immagini assai vivide (il volo e l'abbattimento a terra, il carcere e il "laccio" che lo imprigiona, addirittura il desiderio di morte nella prima terzina). La figura retorica del chiasmo (cui spesso si sovrappone anche l'antitesi) organizza il discorso del poeta (come ad esempio ai vv. 2, 6, 9, 12). Invece nell’ultimo verso il poeta dà una chaive di lettura all'intero sonetto; egli afferma infatti che quanto detto nei versi precedenti è la rappresentazione della sua condizione attuale, dovuta all'atteggiamento di Laura, cui si allude espressamente col vocativo "donna". Il complemento di causa "per voi" (v. 14) è posto in sede rilevata (in chiusura di componimento e ulteriormente sottolineato dalla rima siciliana con "altrui" al v. 11) ed è una spiegazione in più della sofferenza del poeta, attivando un ennesimo meccanismo oppositivo: colei che da un lato è unico motivo di vita per il poeta diventa anche per lui la principale causa di tormento e di dolore.

Solo et pensoso i più deserti campi

Solo et pensoso i più deserti campi

vo mesurando a passi tardi et lenti,

et gli occhi porto per fuggire intenti

ove vestigio human l’arena stampi.


Altro schermo non trovo che mi scampi

dal manifesto accorger de le genti,

perché negli atti d’alegrezza spenti

di fuor si legge com’io dentro avampi:


sì ch’io mi credo omai che monti et piagge

et fiumi et selve sappian di che tempre

sia la mia vita, ch’è celata altrui.


Ma pur sí aspre vie né sí selvagge

cercar non so ch’Amor non venga sempre

ragionando con meco, et io co’llui.


Metro 

Il sonetto (due quartine seguite da due terzine) presenta uno schema delle rime ABBA ABBA CDE DCE.

La lingua presenta i consueti latinismi ("et", vv. 1-2, ecc.; "human", v. 4; "con meco", v. 14). 

Figure retoriche

chiasmo (monti-selve / piagge-fiumi, anche se "piagge" qui vale soprattutto "pianure"). 

Allitterazione della "r" e della "s" al v. 12, forse a sottolineare il carattere brullo e desolato del paesaggio.


Parafrasi

Solo e pensoso vado attraversando con passi lenti

i campi completamente abbandonati

e volgo gli occhi attento a evitare

le orme degli altri uomini.


Non ho altro modo per difendermi dalla gente

che si accorge del mio stato d’animo

perché nel mio atteggiamento triste

si vede di fuori come io dentro arda:


tanto che io credo che anche i monti, le radure pianeggianti

i fiumi e i boschi sappiano quale sia

la mia vita, che tengo nascosta a tutti.


Eppure per quanto cerchi luoghi  inospitali e solitari

Amore mi accompagna sempre

e insieme dialoghiamo, lui con me e io con lui.

Analisi

Il poeta è il protagonista di una solitaria passeggiata, fugge dagli sguardi degli altri uomini, che paiono leggergli in viso il suo turbamento, il fuoco d’amore che lo strugge, anche i monti e i campi pianeggianti, i fiumi e i boschi conoscono il suo stato d’animo. Ma il poeta non è mai veramente solo , Amore lo segue sempre, e con lui il poeta intrattiene un silenzioso colloquio.

L'autore presenta se stesso come afflitto dalle pene amorose e vergognoso della propria condizione che non vuole svelare agli altri, ragione che lo spinge a sfuggire la compagnia degli altri uomini e a passeggiare in luoghi remoti e solitari, nel tentativo (non riuscito) di non pensare continuamente a Laura: vi è la ripresa di un tema già presente nel sonetto proemiale, dove Petrarca diceva di essere stato per lungo tempo la "favola" del popolo e in cui qualificava il suo amore non corrisposto come un "vaneggiare", il cui frutto era stato appunto la "vergogna". 

Il testo mostra una delle peculiarità della lirica petrarchesca, ovvero la consapevolezza del carattere vano e peccaminoso del suo amore per Laura e, dunque, il desiderio di isolamento e solitudine, sia per evitare il contatto col "volgo" che non potrebbe comprendere l'esperienza sconvolgente dell'amore ma soprattutto in quanto il poeta si sente solo e incompreso nella sua triste condizione di innamorato non corrisposto, che lo spinge a evitare gli sguardi altrui per non mostrare fino in fondo la sua afflizione di cui si vergogna.