Rassegna

22.10.2009,06:26 - Rassegna per non rassegnati. Giovedi' mattina.

Analisi e commenti

Crisi/L'economia reale e l'eccesso di ottimismo. Le cifre e le polemiche

di Emilio Manuelli

21-10-2009

I dati sull'andamento dell'economia reale travolgono le premature previsioni sull'uscita dalla crisi e mettono a tacere le tante polemiche che ogni giorno nascono attorno alle estemporanee uscite dei nostri politici e governanti. Nella giornata di ieri l'Istat ha diffuso cifre drammatiche sull'andamento dell'industria italiana che ha registrato in agosto un crollo del fatturato e degli ordinativi, dopo un luglio che aveva fatto sbilanciare alcuni in commenti positivi.

Qualcuno ha provato a ridimensionare la negatività dei dati sottolineando la natura del tutto particolare del periodo di riferimento, un agosto caratterizzato dallo stop delle fabbriche. Ma si tratta pur sempre di un confronto omogeneo e come tale pienamente indicativo di un andamento negativo da non sottovalutare. La realtà è che le cose non vanno bene: la ripresa stenta a decollare come dimostra l'analisi uscita dal vertice di ieri dei ministri finanziari in Lussemburgo. Esistono timidi segnali di risveglio congiunturale, ma non è ancora il momento di rallegrarsi.

La ripresa appare fragilissima al punto che non si può ancora pensare di interrompere il sostegno che i governi hanno fornito alle rispettive economie, di attuare in altre parole l'exit strategy, la cosiddetta strategia di uscita dalla crisi che dovrebbe consentire il pieno ritorno a condizioni di mercato ordinarie. Ma è presto - hanno detto ieri i ministri dell'economia - e non aiuta certo la difficile situazione dei conti pubblici, il cui stato di salute in alcuni paesi, fra questi ovviamente l'Italia, è particolarmente difficile.

In questa situazione così delicata non pare di avvertire quella tensione positiva che dovrebbe invece indirizzare tutti gli sforzi verso una politica strutturale di riforme e azioni a sostegno degli investimenti e dell'occupazione. Troppo il tempo dedicato a inutili dibattiti, troppe chiacchere che fanno a pugni con l'urgenza del fare. Dopo la Banca del Mezzogiorno è adesso la volta della rivalutazione del posto fisso come base di stabilità sociale. L'autore è lo stesso, il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, una vera spina nel fianco dell'establishment, sia esso quello della finanza o quello della politica.

Il colpo a sorpresa delle sue dichiarazioni ha certamente avuto il merito di suscitare il dibattito, spiazzando una maggioranza di governo liberista che fa della flessibilità un cavallo di battaglia e un'opposizione tradizionalmente schierata a difesa dell'occupazione garantita. Ma è stridente il contrasto con una realtà sociale che vede una paurosa perdita di posti di lavoro e la cacciata a casa già avvenuta di quasi 500 mila precari. E ciò mentre sono alle porte importanti decisioni, anche nel settore pubblico (a partire dalla scuola), sul destino di centinaia di migliaia di lavoratori non ancora stabilizzati.

Tremonti viene accusato di crearsi una base ideologica per disegnare il suo futuro di leader, a cavallo di un centro destra "sociale" e vicino alle istanze di una parte della Lega. Non sappiamo se ciò sia vero, quello che è certo che forse il momento non appare il più adatto per queste proposte di dottrina sociale. La sua proposta, attaccata da molti, da destra e da sinistra e difesa da pochi, cade infatti in una delicatissima fase e forse può ritorcersi contro il suo stesso autore. Tremonti non è un ministro qualsiasi, ma è colui che tiene i cordoni della borsa, e li tiene ben stretti stando al malumore dei suoi colleghi di Governo. Fatte da lui, queste affermazioni si ammantano quindi di un grado di responsabilità sociale elevatissimo, in un momento in cui molti lavoratori si interrogano sul loro futuro.

Non si può chiedere, o soltanto ipotizzare di chiedere, alle imprese di riconsiderare scelte gestionali di flessibilità che questo stesso Governo ha percorso e incoraggiato per tornare indietro, ad una situazione lavorativa superata, soprattutto per colpa di una crisi produttiva crescente. E alllora se da un lato può risultare interessante suscitare un dibattito sui guasti del capitalismo moderno e immaginare un ritorno ai bei tempi andati, dall'altro si impone un sano realismo alla luce dell'attuale congiuntura. A meno che il ministro non sia alla vigilia di una nuova proposta legislativa, ma di questo farebbe bene a parlarne con il suo collega del welfare (quel Maurizio Sacconi che pur vicino alle impostazioni di Tremonti non è parso entusiasta della sua idea sul posto fisso) e quindi dopo in Parlamento, avendo magari sentito il parere di imprese e sindacati.

Oggettivamente, considerata la conformazione sociale del nostro paese assai lontana dallo sfrenato liberismo anglosassone, una situazione nella quale convivono il posto fisso e meccanismi contrattuali flessibili, non si sentiva poi così tanto il bisogno di questa nuova polemica. Qualcuno potrebbe anche pensare che così si riducono gli spazi intellettuali per escogitare invece soluzioni concrete per uscire dalla crisi, per cercare una via, quella sì originale e "italiana", che risponda con i fatti alle drammatiche esigenze sociali di un mondo del lavoro che sta subendo gi spietati effetti della recessione. Misure concrete, senza fronzoli, che ridiano speranza ai lavoratori e stimoli alla produzione. Da http://americaoggi.info/2009/10/21/15058-crisi-leconomia-reale-e-leccesso-di-ottimismo-le-cifre-e-le-polemiche

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