Parigi - Buon Anno da Andrea Roncolini. RONXONLINE

Discorso di Fine Anno di un italiano emigrato in Francia, rientrato in Italia per le feste di fine anno:

Stamani girando per Viterbo ho incrociato una famiglia di colore, ho rallentato il padre ha protetto il bambino di due anni, io sono passato, ci siamo scambiati uno sguardo. Il suo era di controllo, il mio era di stima. C’erano anche altre persone straniere per le vie della città, una cinese che sistemava il cappello alla bambina, due centroafricani che aspettavano l’autobus per andare al paese, un senegalese appoggiato a uno scooter che parlava con un conoscente, una donna di origini sahariane che si teneva il velo...

Stima, si, è anche rispetto. Perché stanno in Italia, perché, per un caso voluto o fortuito hanno scelto questo paese e ne percorrono le strade, ci accompagnano i figli a scuola, ne occupano le piazze. Persone che in un modo o in un altro hanno creduto: di trovare un lavoro migliore, di dare un futuro migliore ai propri figli, di vivere in un posto migliore, di fuggire alla violenza o alla miseria e così via. Non importa nemmeno cosa hanno creduto in buona fede o per errore grossolano. Il fatto importante è che, loro, credono. Hanno attraversato per questo mari e montagne, hanno rischiato la vita armati di questo. Per questo li stimo e li rispetto.

Sono i nuovi italiani, sono il nostro futuro e il nostro presente; sono la linfa vitale che permette al nostro stato di non crollare miseramente e al nostro futuro di avere un barlume di luce accesa. Sono forse quel qualcosa per cui la parola italiani come la conosciamo oggi domani non esisterà più perché sarà diversa e migliore.

Io ho iniziato questo decennio nel campo dell’immigrazione, lavorando perché persone che nella malasorte arrivavano in un paese male attrezzato per riceverli e manco troppo sottilmente razzista avessero un appiglio per crearsi la loro strada all’interno di un quadro di civiltà e umanità. Lo finisco come emigrato, in un paese vicino, che ha una storia di immigrazione più lunga ma che comunque mi è diverso e per questo mi stimola ogni giorno a confrontarmi con mille problemi e a migliorarmi. Ironie del destino, mi dicevo in macchina.

Poi tornando a casa ho evitato il solito sbruffone in Suv, tutto gelatina e camicia firmata, ne ho incrociato altri sulle loro macchinette di lusso, e altri ancora che sui loro gipponi non mi davano la precedenza. «Ecco cosa non dovete diventare», mi sono detto, «pietre destinate a marcire nei bui fondali oceanici». Questo è il mio augurio, per loro e per noi, affinché il 2010 sia l’anno del clandestino, quello che abbiamo dentro, che abbiamo lasciato morire nel campo di detenzione temporanea del lavoro e dell’egoismo bieco, che abbiamo lasciato annegare nel tratto di mare della pesca di frodo della corruzione e del conformismo; che abbiamo lasciato morire soffocato nei container che da altri continenti ci invadono di merci inutili.

Buon anno.

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