1. Domande e risposte su “Chi è Gesù”?

Christ in the Carpenters Shop. Woodcut printed in colours. Proof. 8.75x7.75 inches.

Mabel Allington Royds (1874-1941) - immagine tratta da commons.wikimedia.org

Nota: l’articolo è lungo, ma si può leggere per parti frazionate. Ogni parte separata sarà evidenziata con una o più parole sottolineate.

 

1. Dopo quello che di domenica in domenica ho potuto leggere con sempre maggior sgomento, mi sembra evidente che Lei non crede che Gesù sia Figlio di Dio in senso proprio, cioè non crede che Gesù sia Dio.

In tal caso, Lei ha rotto la comunione di fede, indispensabile per l’unità cattolica. Lei è un uomo palesemente fuori della Chiesa e manca di fede, perché aver fede significa accettare la Rivelazione di Dio così come interpretata e insegnataci dal sacro magistero con la sua tradizionale dottrina. Infatti uno può dirsi membro della Chiesa solo se riconosce l’autorità dell’insegnamento della Chiesa e solo se obbedisce alle leggi divine fatteci conoscere dal magistero, sì che la vera fede si misura sulla conformità alla dottrina stabilita dalla gerarchia, tanto in campo dogmatico che etico.

Lei cerca di smontare i pilastri del cristianesimo, svilisce l’identità cristiana, e rifiutando la costante e tradizionale dottrina offre interpretazioni scriteriate delle Sacre Scritture, spingendosi fino a negare la divinità sostanziale di Gesù Cristo, come fanno i musulmani. Sono i musulmani a negare con luciferina determinazione la divinità di Gesù, e mi sembra che anche Lei stia dando loro una mano per demolire e far cadere il cristianesimo. Infatti rifiutando i documenti ufficiali della Chiesa (come la Dichiarazione Dominus Iesus, del 6.8.2000, ove si conferma che il fondatore del cristianesimo, Gesù d Nazareth, è Dio (col che la religione cristiana è l’unica religione fondata da Dio in persona) Lei rifiuta l’unica religione vera.

Se Lei non crede che esista un Dio uno e trino e che Gesù Cristo sia la seconda persona della Trinità, non può definirsi cristiano. A questo punto non c’è altro da discutere, perché tutte le risposte sono già state date. Ma come si permette di dare della prostituta alla Madonna, Santa e Immacolata? Come si permette, senza neanche essere diplomato in teologia, di contraddire ciò che fior fiore di teologi hanno studiato per anni, anzi per secoli?

Diceva Matteo che si deve diffidare delle persone che parlano come Lei, falsi profeti travestiti da pecora, ma che dentro sono dei lupi rapaci (Mt. 7, 15): poveri i veri credenti, che devono difendersi da gente come Lei.

La invito a smettere di scrivere cose che nulla hanno a che vedere col vero cattolicesimo e non si presenti mai più come cristiano, e per di più credente, perché crea solo confusione fra i veri credenti.

In effetti nei suoi scritti c’è qualcosa di diabolico, perché presentandosi travestito da cristiano Lei sorprende la buona fede di tanti lettori fragili nella loro fede. Aspetto solo il giorno di vederla bruciare all’inferno.

Il succo di questa lettera può essere così sintetizzato: se la pensi come me sei un cristiano credente, altrimenti sei una ateo senza Dio e devi essere cacciato all’inferno. Ma può uno che si proclama credente essere vero cristiano se ricorre a una critica violenta e senza rispetto? Questo tipo di persone, che si trova bene solo con quelli che la pensano come lui, è convinto di essere dalla parte giusta, per cui si sente anche sicuro nel giudicare gli altri, ovviamente senza porsi domande e senza saper dare risposte. Lui sa di avere in mano la verità perché sta dalla parte della gerarchia. Ma una cosa è la gerarchia ecclesiastica e un’altra la gerarchia interiore che ci spinge a fare i conti con noi stessi, ogni mattina, quando ci guardiamo allo specchio.

Allora, guardandoci negli occhi, mi permetta di ricordare per prima cosa le parole di Romano Guardini, che sicuramente anche Lei riconosce come uomo di grande fede (per lo meno è riconosciuto come tale dalla Chiesa ufficiale): “Guai a me se dico: «Io credo» e mi sento sicuro in questa fede. Allora sono in pericolo di caderne fuori (1Cor 10,12). Guai a me se dico: «Io sono un cristiano»; eventualmente con uno sguardo di lato ad altri che, secondo la mia opinione, non lo sono; o su un’epoca, che tale non è; o su una corrente culturale che vi si oppone. Allora il mio essere cristiano minaccia di non essere altro che la forma religiosa della mia autoaffermazione personale. Io non «sono» cristiano, ma, se Dio me lo dona, sono sulla via di diventarlo. Non nella forma di un possesso, o addirittura di un punto d’appoggio dal quale tranciare giudizi sugli altri, ma in quella di un movimento. Io posso essere cristiano solo se rimango cosciente del pericolo di cadere staccandomene. […] Non v’è nulla in me che sia dato nella modalità della sicurezza; tutto solo a mo’ dell’iniziare, dell’essere per via, del divenire, del confidare, dello sperare e dell’implorare” [1].

Perciò, che non ci sia più nulla da discutere, è cosa di cui dubito molto. Benedetto Croce, in un saggio sul cristianesimo, ha detto che il pensato non è mai terminato di pensare [2]. Ciò significa che tutto ciò che avanza nella storia si trasforma, per cui anche i concetti di una volta non sono eterni, ma continuano in forme nuove perché la storia va avanti, e la verità è legata alla storia ed è in relazione con la storia. Non ha forse detto papa Giovanni Paolo II [3] nell’Enciclica Redemptoris Missio, del 7.12.1990, § 20, che il Regno di Dio è una realtà più ampia della Chiesa, sì che anche i membri di altre religioni possono avervi accesso? E all’udienza del 9.9.1998, non ha forse riconosciuto che “Non di rado, all’origine di altre religioni troviamo dei fondatori che hanno realizzato, con l'aiuto dello Spirito di Dio, una più profonda esperienza religiosa. Trasmessa agli altri, tale esperienza ha preso forma nelle dottrine, nei riti e nei precetti delle varie religioni”? Dunque anche questo papa – che Lei sicuramente apprezza come vero papa ortodosso -  riconosce che lo Spirito Santo è presente anche in altre religioni. Ma allora se Dio opera in altre religioni, essendo la grazia di Dio per tutti, questo Dio non può essere presente solo nella tradizione religiosa cattolica. Dio è sicuramente più grande della religione cattolica, e visto che Gesù è la via, cioè dà-il-la alla vita nel senso che la nutre, la vita è sempre più importante della dottrina. In altre parole, il cristianesimo è vita che si comunica, non una dottrina piena di dogmi da accettare.

Dunque la pluralità delle religioni non è dovuta al peccato dell’uomo, come forse Lei pensa, ma è dovuta alla sapiente volontà di Dio [4], che quindi non ha voluto un’unica vera religione.

Pertanto dobbiamo riconoscere che ci sono tanti modi per credere, e ovviamente non tutti chiamano l’Assoluto con lo stesso nome [5]. Ma allora cosa ci unisce tutti? Da che cosa siamo accomunati noi tutti esseri umani? Dall’unica cosa nella quale tutti siamo uguali nella nostra «umanità». Per questo, quello che conta veramente è che ogni giorno diventiamo più profondamente umani, perché il primo che «si è umanizzato» è stato Dio stesso nell’incarnarsi, cioè nell’«umanizzarsi». In altre parole, Dio, nell’incarnarsi nell’uomo Gesù di Nazaret, si è fuso e confuso con l’umano fino al punto da essere presente e identificato con tutto ciò che è veramente umano, col sensibile, con quello che vediamo, sentiamo, avvertiamo in modo palpabile e tocchiamo (1Gv 1, 1). Per questo, Dio sta in chi ha fame, in chi ha sete, nell’ammalato e nello straniero, nel prigioniero, nell’infelice e nell’escluso (Mt 25, 34-40) [6]. Dio si identifica dunque con questo genere di persone, non con la Chiesa e il suo magistero; e pensare di amare Dio senza amare l’Uomo è vano. Noi non abbiamo conosciuto Dio, ma senza saperlo lo abbiamo incontrato in quel tipo di persone. Se io interrogo la fede cristiana, trovo il suo centro nell’Incarnazione. Dio si è fatto uomo e questo Dio manifestatosi nell’uomo Gesù sposa totalmente la causa dell’Uomo, cioè sta sempre con l’Uomo. Un Dio che si è fatto uomo chiede poi conto agli uomini solo del loro comportamento verso i propri simili (appunto Mt 25); non chiede di credere a dogmi, dottrine o altre verità insegnate dal magistero.

Fatta questa premessa che mi sembrava necessaria, posso cominciare col ricordarLe che i musulmani sono nostri fratelli perché così sono definiti nel Documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi del 4.2.2019, documento ufficiale della Chiesa cattolica. Quindi, se siamo tutti fratelli, abbiamo lo stesso Padre, e non importa che da una parte lo si chiami Dio e dall’altra Allah [7], visto che parliamo comunque dello stesso unico Dio. Se Lei si permette di assimilarli a Lucifero, non pensa che potrebbe essere questa volta Lei a mettersi fuori della Chiesa ufficiale, visto che anche Lei sta andando contro i documenti ufficiali della Chiesa? Inoltre Le ricordo che l’Islam, che Lei non apprezza e considera religione luciferina, è invece l’unica religione che riconosce a Gesù un posto all’interno dell’economia divina; l’Islam ha cioè adottato la figura centrale di un’altra religione (quella cristiana) e l’ha riconosciuta costitutiva della propria identità [8]: infatti i musulmani considerano Gesù un grande profeta. Ad esempio nel Corano sura III, 45s. si dice: “Gesù eminente in questo mondo e nell’aldilà, tra i più prossimi a Dio”. L’esatto contrario del cristiano Dante Alighieri, il quale ha messo Maometto all’inferno, fra i seminatori di discordie [9].

Sono ancora tanti, troppi, i cattolici convinti che chi non ha il loro stesso Credo è destinato all’inferno perché non segue Gesù [10], che loro invece sono certi di seguire. Sinceramente non capisco questa ostinata difesa a oltranza di idee ancorate all’insegnamento ricevuto nel passato, senza mai pensare di doverlo passare al setaccio della ragione critica [11]. Sono cioè convinto che un vero credente deve saper vivere in questo mondo, per cui deve accettare che altri sollevino obiezioni e deve saper rispondere ad esse; se non ci riesce, in base a quale logica può sostenere che lui ha ragione e l’altro ha torto? Che lui è vero credente e l’altro è ateo?

In realtà, il primo problema, non espresso ma chiaramente sottinteso nella Sua reprimenda, per come l’ha formulata, è: ma noi abbiamo il permesso di pensare e di discutere la questione, sì o no? Se Lei pensa di sì, allora dovrebbe replicare ai dubbi da me espressi (ed io sarò pronto ad accettare le Sue spiegazioni se sono ragionevoli). Se pensa di no, perché la Chiesa non vuole sentirsi messa in discussione, o perché si è già pronunciata e non c’è altro da dire, nella certezza di avere ormai la Verità in tasca, allora – mi scusi,- ma per me Lei è come un immobile custode della Parola, ben sigillata in un libro mai aperto, riposto ben chiuso nel cassetto, perché come detto nella relazione su ‘Chi è Gesù?’, chi reagisce con rabbia a tutte le interpretazioni che mettono in discussione le sue comprensioni dottrinali dimostra solo che viene disturbato nella sua sicurezza, di sicuro non nella verità di fede [12].

Come invece ha detto Roberto Galasso, in un’intervista sul quotidiano “Il Piccolo” del 20.6.2020, “se qualcuno leggendo prova un brivido di eresia, questo significa che qualcosa si sta muovendo nella sua testa” e questo è sempre positivo perché dovrebbe succedere a tutti, visto che ragionare è un obbligo per tutti. Mi piace qui ricordarLe le puntuali e forti parole di don Primo Mazzolari, il quale rammentava al suo gregge: «Quando entrate in chiesa vi togliete il cappello, non la testa» [13]. E Albert Einstein, non propriamente un fervente praticante, era stato ancora più feroce nei confronti di questo tipo di credenti strenui difensori dei loro principi (non negoziabili), ma chiusi ad ogni dialogo: «se qualcuno ama marciare in fila, vuol dire che ha ricevuto il suo cervello solo per sbaglio; per una persona del genere il midollo spinale sarebbe stato del tutto sufficiente». Anche Gesù rimproverava la gente che non voleva ragionare con la propria testa: «perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12, 57). Da voi stessi, non in base a ciò che dice e insegna il sacro magistero della Chiesa. Il che significa che è meglio avere teste ben fatte perché ragionano, piuttosto che teste piene di convinzioni fornite da altri che hanno pensato anche per queste teste.

Lei pensa che l’insegnamento tradizionale debba prevalere sulla ragione del singolo: non sono d’accordo! Perfino papa Benedetto XVI, di cui Lei sicuramente riconosce l’autorità, aveva chiaramente sostenuto che la fede parla alla nostra ragione perché dà voce alla verità e perché la ragione è stata creata per accogliere la verità, sì che una fede senza ragione non è autentica fede cristiana [14]. Questo significa che tutta la materia religiosa deve poter essere allora sottoponibile a critica avvalendosi di argomenti di ragione. Invece, come ha argutamente osservato un noto teologo [15], pretendere – come fa Lei e ancora buona parte del magistero [16] – che si debba credere al magistero e obbedirgli perché è lui a dire che quello che sta insegnando lo riconosce la ragione, significa mortificare la stessa ragione, in quanto qualcun altro ordina ciò che la ragione deve fare; al contrario ciò a cui può arrivare la ragione deve essere lei sola a stabilirlo, non certo l’autorità della Chiesa.

Lei potrà dirmi che non sono cristiano se mi vede maltrattare per strada uno straniero, ma non me lo può dire perché non credo alla dottrina in cui Lei crede. Ricordo che, stando ai vangeli, Gesù non ha fatto teologia, non ha presentato alcun dogma ai suoi discepoli, per cui uno non è cristiano perché si concentra sulla dottrina e sui dogmi. Concentrarsi sull'esempio di vita e cercare di seguire la stessa strada che ha percorso Gesù: questo è cristiano. Fermarsi per vedere e per soccorrere come fa il buon samaritano: questo è cristiano. La vera differenza per definirsi credenti è tra chi si ferma e chi non si ferma, non tra cristiani e musulmani.

Quanto a Maria, so bene come la dottrina cattolica ce l’ha presentata. Ma documenti storici (che Lei non può far finta che non esistano) ci ricordano che, in determinati ambienti, Maria godeva di assai scarsa stima. E questo è un dato di fatto, non una mia valutazione su Maria. Ma se anche Maria fosse rimasta allo stesso livello degli altri esseri umani, avesse avuto altri figli e fosse perfino macchiata dal peccato originale [17], se quindi fosse stata una vera donna che ha lottato durante tutta la sua vita, questo cambierebbe qualcosa? Toglierebbe rilevanza al suo status di madre e di esemplare credente in Dio? A me sembra proprio di no; anzi questo la renderebbe molto più umana e più vicina agli altri esseri umani [18]. Invece che meriti può avere la Maria che ci è stata prospettata? Come è lontana dal poter essere imitata e seguita! Che razza di donna è questa che non può essere tentata al peccato se perfino Gesù è stato tentato? Che neanche sa cosa sono le doglie del parto che tutte le madri hanno provato? Questa Maria non ha debolezze, è in stato di grazia originale e permanente, non sbaglia mai. Ma una Maria del genere ha bisogno di essere liberata dai dogmi romani per essere veramente umana. Questo è necessario, per comprendere la sua vita, le sue lotte, le sue angosce. Altrimenti avremmo una sorta di Maria disidratata, una che non può sentire altra attrattiva che per il bene. Ma nessuna donna al mondo è così. Per rendere grande Maria nella Chiesa, noi l’associamo a queste qualità disumanizzanti [19]. Pensate, invece, all’angoscia di questa giovane ragazzina [20]: rimanere incinta senza essere ancora sposata, e per di più non del proprio promesso sposo (Lc 1, 27-38). Giuseppe avrebbe potuto e dovuto farla lapidare [21], se solo avesse obbedito alla legge insegnata dal sacro magistero, che Lei mette al primo posto nel suo Credo.

Sinceramente non vedo neanche come l’identità cristiana possa essere svilita se diciamo che Dio è unico, che Gesù è uomo, che Gesù non si nasconde dentro l’ostia, che i problemi di ontologia sono lontanissimi dai problemi che interessano alla gente, che lo specifico del cristianesimo non è una dottrina su Dio o su Cristo da accettare a scatola chiusa, ma un modo di vivere e rendere testimonianza nel mondo [22].

Insomma, mi sembra che Lei ed io abbiamo un’idea assai diversa su cosa fa stare in piedi la Chiesa: Lei è convinto che la Chiesa resti in piedi grazie ai dogmi e ai riti [23]. Io penso invece, per dirla con Eric-Emmanuel Schmitt, che le certezze assolute creano solo cadaveri in nome della Verità assoluta, e che la Chiesa potrà stare in piedi solo nel modo sostenuto da Carlo Carretto [24]: “Non chiedetevi più se credete o non credete in Dio, chiedetevi se amate o non amate”. A conferma di questa seconda tesi, la Costituzione dogmatica sulla Chiesa - Lumen Gentium, § 1 del 21 11.1964 dice che la Chiesa è il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano. Come strumento, cioè, la Chiesa deve lavorare per creare sintonia fra tutti, credenti e non credenti; deve lottare contro la disgregazione che assilla il nostro mondo. Poi, al suo interno, deve essere segno di armonia. Se non lo è, non è credibile. La Chiesa non ha invece come primo compito l’insegnamento dei dogmi.

Ma Lei pensa davvero che il dogma di Calcedonia, così come presentato (obbligo di credere che Gesù è vero Dio e vero uomo), sia in qualche maniera decisivo per credere oggi? E che, per uno spirito critico un po' esigente, il dogma sia sufficiente a raggiungere lo scopo che il magistero si propone (cioè spazzare gioiosamente ogni dubbio e illuminare ogni mente con la sua verità)? Una ripetizione di parole logore, che non dicono nulla alla gente, pone la Chiesa in un suo mondo a parte, e questo non interessa più alla gente. Forse solo un sereno dialogo può riattizzare la curiosità della gente, visto che nel mondo c’è sempre una grande richiesta di spiritualità.

E allora, visto che Lei ha letto le mie argomentazioni, e quindi ha sentito il mio punto di vista, mi sarebbe piaciuto che Lei non le avesse by-passate con indifferenza in quanto portano a conclusioni non conformi alla dottrina stabilita, come se ci fosse un assoluto divieto di parlare apertamente su temi dove il sacro magistero si è già pronunciato. Mi vengono in mente le parole che, se ben ricordo, sono del cardinal Martini: “Non parlatemi più di credenti e non credenti, ma di pensanti e non pensanti”. Se non esiste un proprio pensiero, men che meno può esistere un pensiero critico.

Perciò mi sarebbe piaciuto – se ad esempio Lei accetta la distinzione Trascendenza-Immanenza, che del resto la stessa Chiesa accetta - che mi convincesse col ragionamento che quanto ho scritto è sbagliato; che cioè è sbagliato sostenere che non è alla portata di noi uomini conoscere la realtà di Dio in sé [25]; che mi spiegasse come l’uomo limitato può, secondo Lei, conoscere appieno Dio che non ha limiti, e quindi descrivere l’essenza della divinità; perché solo dopo aver dimostrato in cosa consiste esattamente la divinità e la natura divina mi può poi razionalmente parlare di divinità sostanziale di Gesù Cristo. In caso contrario, perché discuterne dovrebbe essere luciferino?

A me sembra palese che se una persona sostiene che, grazie al catechismo della Chiesa e all’insegnamento ricevuto, ha compreso Dio, quello che ha compreso non è Dio perché Dio non è circoscrivibile, mentre comprendere significa esattamente questo: circoscriverlo con un concetto nell’ambito del proprio pensiero che è limitato, quando Dio è, invece, senza limiti. Insomma con un secchiello si può anche prendere l’acqua del mare, ma nessuno può sostenere di aver capito cosa è l’oceano dopo aver visto solo l’acqua in un secchiello. In altre parole, il pensiero umano è stretto fra muri invalicabili, per cui può solo accennare a cosa sta al di là, ma non può parlarne con cognizione di causa, e poi perfino pretendere che questi accenni siano verità assolute valide per tutti. Calza a proposito questo esempio: un abitante di Cervinia che non è mai stato a Zermatt e un abitante di Zermatt che non è mai stato a Cervinia s’incontrano e discutono del Cervino. L’abitante di Cervinia dice: “Io so com’è fatto il Cervino, perché a me che abito là, la montagna mi si ‘rivela’ ogni giorno: ha una parte più bassa, una specie di spalla, sovrastata da una parte più alta tondeggiante.” “Ti sbagli” dice l’abitante di Zermatt. “Vuoi insegnarlo a me che l’ho sotto gli occhi tutti i giorni? A me il Cervino si è veramente manifestato in tutta la sua imponenza, e ti dico che ha un’unica e bellissima forma piramidale”. E quindi i due continuano a litigare, affermando ciascuno – in completa buona fede – la sua verità (perché ognuna delle due descrizioni è di per sé parzialmente vera), ma dimenticando che il monte è più grande del loro piccolo angolo visuale, cambia di forma se visto da angolature diverse, e ha sentieri diversi per arrivare in cima (la via italiana e la via svizzera al Cervino s’incontrano solo in cima, e sono anche di difficoltà diverse). E se già il Cervino non può essere colto nella sua interezza e in un solo momento dall’uomo, come si può pensare che qualcuno possa cogliere Dio, il Senza fine, nella sua interezza e dire che solo lui l’ha pienamente colto, perché solo a lui si è interamente manifestato?

Lei è di diverso avviso? Mi spieghi il perché. Soprattutto quando, come detto nella relazione, lo stesso papa Benedetto XVI – che Lei sicuramente stima, - ha confermato che, se si parla del Dio Trascendente non sappiamo sostanzialmente nulla [26] e riusciamo solo ad accennare alla verità, che tuttavia nella sua totalità non coglieremo mai in questa vita, appartenendo noi al diverso ambito dell’immanenza.

Mi spieghi, allora, su quali basi Lei si sente di sostenere che sappiamo cos’è la natura divina in sé, per cui può affermare la divinità sostanziale di Gesù. Io continuo a credere che il divino resti un mistero che neanche Gesù ha potuto sciogliere, un mistero impossibile da comprendere, e che per tutti (compreso il sacro magistero cattolico) è impossibile descrivere l’essenza, la realtà della divinità. Se Dio, che si trova su un piano trascendente al quale l’uomo non ha accesso, non è descrivibile e verificabile dall’uomo, l’unico a sapere con certezza se Dio esiste, e com’è, è Dio stesso che si trova su quel piano diverso; l’uomo dal suo mondo immanente non lo può affermare, non potendo mai raggiungere quell’ambito e quindi, se non può fornire prova certa neanche della esistenza di Dio [27], men che meno può affermare con certezza che in Dio vi è un Padre e un Figlio che ha la stessa natura. Non è d’accordo con me? Mi spieghi il perché.

Mi sarebbe anche piaciuto che Lei mi avesse dato lineare risposta a quei tanti dubbi sollevati nella relazione (ricorda? Se Gesù è Dio, perché Dio dovrebbe pregare Dio? eccetera). Perché non mi ha dato risposta? Io sospetto perché non la sa dare. Ma, per favore, non si trinceri dietro alle frasi fatte dicendomi che la Chiesa si è già pronunciata e che io non ho fede, perché così ci si attorciglia in un circolo vizioso dove i dogmi, imposti da un’autorità umana, vengono dapprima sacralizzati da una sedicente rivelazione che nessuno al di fuori di quell’autorità è autorizzato a interpretare, e poi questa interpretazione umana viene venerata come fosse stata dettata direttamente dal Divino.

Lei ritiene che io parli da ignorante perché ho contraddetto fior fiore di teologi che hanno studiato per anni. Ebbene, facciamo così: mettiamo insieme la mia ignoranza con la sua conoscenza e forse vien fuori qualcosa di più interessante di uno scambio di invettive. Se invece non vuole sentirsi porre alcuna domanda [28], sarà anche convinto di sapere tutto; ma temo che, se coloro che dicono di credere accettando semplicemente quanto è stato loro insegnato senza riflettere su nulla, non sanno poi spiegare chiaramente ciò in cui dicono di credere, vuol dire che non sono neanche in grado di capire esattamente ciò in cui dicono di credere, in cosa consistono allora questi dogmi della loro fede che poi pretendono di professare e d’imporre agli altri [29].

Le ricordo inoltre che il § 15 della Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione - Dei Verbum, del 18.11.1965 - riconosce che i testi sacri contengono anche cose imperfette e caduche; perciò come fa ad essere così sicuro che il magistero ci abbia trasmesso sempre e solo cose immuni da errori, vere e inalterabili, e non anche cose imperfette e caduche? Il magistero è forse superiore ai testi sacri? In altre parole, se non tutto ciò che è scritto nei testi sacri proviene direttamente da Dio, e a volte c’è la mano dell’uomo, perché dovremmo astenerci dall’esporre i dubbi che sono sorti proprio dopo aver sentito l’insegnamento del magistero, fatto di uomini? Se nell’insegnamento dell’autorità vi sono contraddizioni o incongruenze, vuol dire che esso non può derivare da un supremo ente onnisciente, ma da fallibili menti umani come sono tutte le nostre.

E chi mi dà l’autorità di pensare in questi termini? Lo stesso Gesù, quando ha detto: «perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12, 57) [30]. 

Posso allora rispondere alla Sua domanda (se credo che Dio esista) con le parole di Eric-Emmanuel Schmitt (La notte di fuoco, ed. e/o, Roma, 2016): ci sono tre categorie di individui intellettualmente onesti che alla domanda se credono che Dio esista replicano così: il credente che dice “Non lo so, ma credo di sì,” l’ateo che dice “Non lo so, ma credo di no,” e l’indifferente che dice “Non lo so e non me ne importa un fico secco”.

Il problema invece sorge proprio con coloro che sbandierano un chiaro: “Io lo so!”. Che poi dicano: “Io so per certo che Dio esiste e che in Dio c’è un Padre e un Figlio che allo stesso tempo è perfettamente Dio e perfettamente uomo,”[31] oppure dicano: “Io so per certo che Dio non esiste,” [32] è uguale, perché entrambi oltrepassano i poteri della ragione, e quindi tendono all’integralismo (e per integralista intendo chi è sicuro di avere già in tasca la Verità, sì che tutto il resto è da negare e combattere nella società in cui vive e nel mondo intero). Nel mondo semplificato degli integralisti tutto è chiaro e semplice, bianco o nero; soltanto loro sono i buoni, mentre gli altri che non la pensano come loro sono i cattivi. Queste persone sono affette da overconfidence, cioè dalla convinzione di sapere più di quanto effettivamente l’Uomo può sapere, per cui sono convinte di dover disprezzare chi non la pensa come loro, quando invece sono loro stessi che, attraverso interpretazioni non dimostrabili, si separano dagli altri e creano fratture anche nella loro stessa religione. È come se fossero avvelenati dal disprezzo degli altri a causa dei dogmi in cui credono ciecamente.

Quanto appena detto non vale solo per l’integralismo islamico: oggi, per essere sdoganato in occidente, l’Islam dovrebbe quanto meno chiarire due questioni (quelle del suo rapporto con la violenza e con la ragione) [33]. Lo stesso problema, però, riguarda anche la religione cattolica: come nell’Islam integralista anche nella nostra Chiesa gli integralisti pretendono che siano gli altri a rassegnarsi al fatto che i posti al tavolo della Verità siano già stati tutti occupati da loro, al punto tale che, grazie alla divina assistenza, le loro credenze possono andare perfino al di là dell’argomentazione [34]. Ciò significa che questa parte della Chiesa [35] pretende di aver ragione anche se il ragionamento posto alla base del punto sostenuto non regge. Gli altri, tutti gli altri, possono occupare solo i posti che si trovano dalla parte opposta del tavolo, sapendo altrettanto perfettamente che sono i posti della falsità e dell’errore. Ma pretendendo di essere l’unica a poter sedere nei posti della Verità, questa parte della Chiesa cattolica sta occupando dei posti che non è in grado di occupare dopo aver razionalmente convinto gli altri, ma solo grazie alla pretesa d’imporre la sua autorità e il suo potere. La conseguenza pratica è che gli integralisti cristiani, aggrappandosi a una dottrina cristallizzata nei secoli, portano con sé solo divisione e contrasto, [36] piuttosto che speranza e vita in questo mondo malandato, quando compito del cristiano non dovrebbe essere quello di credere e combattere per dei dogmi antichi, ma di collaborare al regno di Dio attraverso opere che comunichino, arricchiscano e restituiscano vita a chi vita non ha. Per l’integralista, poiché la Verità Assoluta ce l’ha solo lui mentre fuori esiste solo l’errore [37], tutto l’errore che c’è là fuori deve essere corretto, anche con la forza. Così è già avvenuto in passato nella Chiesa cattolica, e tanti vorrebbero ritornare ai quei tempi d’oro quando la Chiesa, temuta e rispettata, sapeva imporsi nel mondo, sopprimendo anche fisicamente chi non la pensava come lei. Allo stesso modo si comporta oggi il fondamentalismo islamico integralista, che – a differenza della Chiesa di oggi -  ci fa tanta paura perché ancora uccide. Piuttosto evidente che così si soffoca la vita invece di aiutarla a crescere. Difficile che così la Chiesa possa essere segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano.

Certo, a parole, oggi la Chiesa cattolica dice di voler promuovere una riconciliazione nella verità, ma siccome più di qualche alto prelato aggiunge subito che non sono possibili né riconciliazione né unità fuori o contro la verità [38], nel momento in cui è convinta di essere nel possesso esclusivo della Verità, mentre l’altro che è fuori è preda dell’errore per cui deve essere (fraternamente) corretto, mi si dovrebbe spiegare come si possa parlare di dialogo [39] e riconciliazione. Su questa via, non c’è alcuna possibilità di dialogo, e la religione diventa - anche senza volerlo - origine e fonte di violenza. Infatti, ben che vada, finisce col dividere perché cerca di imporre la propria verità con la minaccia e/o la paura [40]. Mal che vada, si arriva allo scontro fisico e alle guerre di religione, come insegna purtroppo la nostra lunga storia europea. Dunque l’integralista (cattolico o musulmano) è il primo a creare divisioni nel mondo, perché se solo l’altro rifiuta di venire passivamente assimilato non resta che la sua espulsione o eliminazione: o l’altro si adegua, o l’integralista cancella l’altro dalla propria vita. Ma per un cristiano vero, un Gesù che divide e porta allo scontro gli esseri umani non è e non può essere il vero Gesù [41]. Capisce anche Lei l’enorme differenza che c’è fra la Chiesa dell'anatema e dell'intransigenza (apprezzata dall’integralista) rispetto alla Chiesa dell’accoglienza (di cui parlano la Lumen Gentium e papa Francesco). Stando ai vangeli, i gruppi con opinioni diverse non possono essere visti come parti separate, nemiche fra di loro; non si può trattare l’avversario come nemico; è dalle nostre differenze che deve uscire qualcosa di nuovo, perché nessuno accetta di essere completamente assimilato da un altro. Non sono proprio gl’integralisti cattolici a gridare la bellezza della propria identità? Quindi vuol dire che neanch’essi vogliono essere assimilati. Però vogliono assorbire gli altri, convinti di possedere la Verità Assoluta. Mah!

Il problema sta forse nel fatto che questa schiera di cristiani ha lo sguardo rivolto esclusivamente al passato (al Dio che era), convinti che la perfezione sia stata già raggiunta, e quella perfezione rimane a tutt’oggi l’unico modello da seguire: ma così la loro identità si riduce a una ripetizione sclerotica di questo passato, e quando si è solo disposti a custodire una concordanza con il passato non si aspetta più il Dio che viene (Ap 1, 4.8). Gli integralisti non riescono neanche a immaginare che la vitalità di Gesù possa essere sempre attuale. A loro basta una costante ripetizione che garantisca la sicurezza e la tranquillità della Chiesa.

Non mi stancherò allora di ripetere che persino papa Benedetto XVI, - di cui, ripeto, Lei sicuramente riconosce l’autorità - nel confermare che di Dio non sappiamo sostanzialmente niente, ha aggiunto che possiamo guardare le cose sempre e soltanto da un solo lato, cogliendone così un solo aspetto per volta, dove uno sembra essere in contraddizione con l’altro, senza riuscire ad abbracciare il tutto. Solo girando attorno, solo osservando ed esprimendo tanti diversi aspetti, apparentemente contraddittori, riusciamo ad accennare alla verità, che tuttavia nella sua totalità non vedremo mai [42]. Viene sostanzialmente ripetuto il mio esempio del Cervino. E più recentemente questo papa ha perfino ammesso che “Nessuno osa più dire ‘Possediamo la verità’, cosicché anche noi teologi abbiamo tralasciato sempre più il concetto di verità” [43]. Allora, se è convinto che questo è stato un vero papa e non un apostata come quello attuale [44], dovrebbe concludere anche Lei che il magistero della Chiesa non possiede affatto la Verità Assoluta, per cui non può più imporre agli altri la sua visione che invece è, a sua volta, una verità sempre relativa. Quindi, attenzione a dire che chi non la pensa come Lei non è sicuramente cattolico, o che solo chi la pensa come Lei ha il certificato, con tanto di timbro ufficiale, di credente cattolico.

Stia poi tranquillo perché non ho alcuna intenzione di demolire il cristianesimo. Anzi, a differenza di quel che ha fatto per secoli il magistero, non ho nessuna intenzione di dire alla gente quello che deve pensare; chiedo però a tutti di pensare con la propria testa. Voglio che la gente s’interroghi su tante risposte ricevute in passato dal magistero e non accettarle automaticamente come oro colato, visto che secondo lo stesso papa Benedetto neanche la Chiesa e il suo magistero ormai possiedono la Verità Assoluta. In proposito dovremmo anche tener presente che sempre papa Benedetto XVI aveva riconosciuto che, a differenza di quanto avviene in campo tecnico o economico dove i progressi di oggi possono sommarsi a quelli del passato, nell’ambito della formazione e della crescita spirituale delle persone “non esiste una simile possibilità di accumulazione, perché la libertà dell'uomo è sempre nuova e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del passato non possono semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta, scelta personale” [45]. Quindi, se si ricomincia ad ogni generazione da capo, non basta più neanche la costante e tradizionale dottrina, perché per ognuno di noi è come se tutto fosse completamente nuovo.

La Chiesa cattolica ha sempre avuto bisogno di due credenziali per sostenere che il contenuto del suo insegnamento basato sulle Scritture era vero: la Rivelazione e la Tradizione. Anche la Tradizione era garanzia di verità, e non si poteva operare una smentita formale della fede creduta e vissuta da generazione dopo generazione, senza introdurre un vulnus irreparabile alla credibilità della Chiesa cattolica [46]. Ma ormai anche la cd. Tradizione non è più garanzia di verità. Lo ha confermato sempre lo stesso papa emerito dando le sue dimissioni: “Un Papa che si dimette – ha osservato Massimo Franco – è già un avvenimento epocale, nella storia moderna. Ma un Pontefice che lo fa nel pieno delle proprie facoltà mentali, indicando come motivazione semplicemente la fragilità che deriva dall'età, spezza una tradizione plurisecolare” [47]. E anche l’attuale papa Francesco ha inferto un altro terribile vulnus alla Tradizione quando, nella sua recente Enciclica Fratelli tutti, ha cancellato i concetti di “guerra legittima” e “pena di morte,” per secoli tradizionalmente riconosciuti applicabili da parte dei cristiani.

Proprio perché cadono ormai tanti pilastri occorre allora ragionare, porsi domande, usare la propria testa. Altrimenti diventa vero quanto diceva Voltaire: “Le verità della religione non sono mai capite così bene come da quelli che hanno perso la capacità di ragionare”.

Passando al concetto di fede, il missionario Arturo Paoli ha detto che la fede è semplicemente sentire il bisogno di Dio, il desiderio di Dio. Secondo il suo modo di ragionare, Gesù evidentemente non poteva aver questo tipo di fede, perché non poteva sentire il bisogno di Dio, cioè di sé stesso. Credere in sé stesso non è fede.

Se poi per fede s’intende credere a ciò che non si vede, Gesù non aveva neanche questo tipo di fede perché ci è stato insegnato che da sempre aveva la visione diretta di Dio.

Se infine la fede fosse un dono piovuto dal cielo per renderci capaci di credere a quanto insegna il magistero, Gesù non poteva avere nemmeno questo tipo di fede: innanzitutto perché – come Lei sostiene -  se Gesù è già Dio non avrebbe avuto bisogno di fare questo dono a sé stesso; poi perché ovviamente non aveva senso che Gesù credesse essere vero tutto quello che Egli stava per rivelarci: già lo sapeva con certezza [48]. Se Gesù-Dio vive faccia a faccia con Dio-Padre, a differenza di noi poveri mortali, non ha bisogno di acquisire nulla; ha già con sé un biglietto di andata e ritorno, e tutto diventa facile per uno che sa già tutto.

I vangeli, però, non ci danno affatto questa indicazione visto che, per loro, il Gesù terreno cresce in sapienza e grazia (Lc 1, 80; 2, 40; 2, 52), e quindi non sa già tutto; gioisce (Gv 11, 15), prova paura (Mc 14, 33), ma sempre rimettendosi in totale fiducia al Padre (e se per fede intendiamo appoggiarsi a un altro, allora Gesù uomo aveva fede in Dio), senza venir mai meno alla sua missione, rispondendo con fiducia al dono d’amore del Padre. V’immaginate quale sconvolgente novità già si verificherebbe davanti agli occhi di tutto il mondo se coloro che si professano credenti cristiani semplicemente mostrassero fiducia, contagiassero gli altri con la loro fiducia (soprattutto in questo tempo buio di Covid), fossero testimoni di fiducia in Dio?

Ma tornando al punto, se vogliamo capirci, occorre per prima cosa dare lo stesso significato alla stessa parola che entrambi usiamo. Come aveva detto Pascal, molte discussioni si eviterebbero se prima ci si intendesse sul significato dei termini che adoperiamo [49]. Nessuno ha il monopolio delle definizioni, per cui cerchiamo di chiarire bene cosa s’intende per fede, visto che Lei mi accusa di essere un uomo senza fede.

La parola ‘fede’ nella percezione attuale ha ancora un che di dogmatico. La Costituzione dogmatica Dei filius, § 3, del 24.4.1870, del concilio Vaticano I considerava in effetti la fede una verità soprannaturale per la quale crediamo le verità rivelate per l’autorità di Dio rivelante, così come insegnate dal magistero. Dunque – come ritiene Lei - la fede sarebbe l’accoglienza di verità rivelate, così come spiegate nella dottrina insegnata dalla Chiesa. A queste verità occorreva ovviamente aderire con il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà. Però mi sembra sia sufficiente leggere Mc 16, 17 per capire che i segni che identificano e accompagnano coloro che – secondo Gesù - credono sono in realtà completamente diversi: in particolare noterete che sono letteralmente escluse dal concetto di fede, perché non menzionate, le pratiche religiose e le convinzioni in determinate verità.

Dunque esiste per lo meno un’altra definizione di fede: uno ha fede non se dice di credere in Dio, non se dice di credere a quello che insegna la Chiesa cattolica, ma se segue il modo di vivere che ci presenta il vangelo. In altre parole, fede non è credere a un sistema religioso, ma vivere quotidianamente seguendo una via [50], quella mostrataci da Gesù.

In effetti, i vangeli non danno una definizione di fede e preferiscono parlare del credere oppure del non credere. Curioso è innanzitutto prendere nota nei vangeli di coloro che hanno fede, e di coloro che non ce l’hanno, perché si resta sorpresi nel constatare che vengono indicati senza fede i sacerdoti (a cominciare da Zaccaria), coloro che sono attaccati al denaro e al potere, mentre sono indicati come credenti i malati, i peccatori, gli impuri. E i discepoli? Questi, che dovrebbero essere i nostri maestri, i nostri fari della fede? Essi sono normalmente presentati come deboli di fede: non c’è un caso in cui i vangeli sinottici parlino di fede, in relazione ai discepoli, e non la mettano in discussione. In poche parole: i vangeli indicano come credenti coloro che oggi nessuno considererebbe tali, e indica come non credenti (o credenti a metà) coloro che, data la loro rispettabilità, la loro posizione, oggi diremmo che sono ben avviati sulla via della fede [51].  Oggi la parola credere significa prevalentemente ritenere per vero, ma in origine significava appunto dare fiducia, dar credito. Ancora oggi c'è traccia di questo significato nella radice della parola; ad esempio, in ‘credito bancario’, credito non significa ritenere per vero, ma aver fiducia: il cliente nella banca, la banca nel cliente. Il Salmo 22 parla di una valle oscura, ma con la credenza che non si è soli. San Giovanni della Croce [52] diceva che la fede è procedere al buio, ma credere che ci sarà Qualcuno che ci dà una mano. Da notare: non che Qualcuno ci risolverà i problemi, ma ci aprirà nuove porte, ci darà la forza per risollevarci dopo che siamo caduti. Ecco dunque l’interscambiabilità fra i concetti di credere e aver fede.

Il teologo francese Gounelle André, argomentando sul tema della fede, che significa innanzitutto dare fiducia, abbina appunto questo termine al credere e distingue nettamente tra (1) credulità di Dio e (2) credibilità di Dio [53].

     (1) La prima linea di pensiero – quella della credulità,- afferma che la fede autentica deriva esclusivamente da una potenza che s’impone come fosse un colpo di fulmine (dalla grazia? n. 154 Catechismo); che la fede non emerge da una ricerca; che la fede rinuncia al ragionamento per accettare docilmente ciò che le viene insegnato dal santo magistero, che sa già tutto. In particolare è fondamentale per questo tipo di credente l’obbedienza. Così pensava il concilio Vaticano I.

Il cardinal Ruini ha affermato categoricamente che la fede è viva solo se mediata dall’autorità della Chiesa, solo se si accetta l’autorità della Chiesa; al di fuori del recinto della Chiesa la fede è morta. La maggioranza dei credenti tradizionalisti, che restano fedeli alla Verità che il magistero indefettibilmente ci ha tramandato, identifica in effetti la vera fede solo col blocco dottrinario proposto dalla Chiesa romana, per cui chi non crede a queste verità non è per loro credente, ma è uno senza fede. Mi sembra evidente che anche Lei segue questa idea di fede, ma mi sembra altrettanto evidente che così si continua a chiamare “fede” ciò che è semplice riflessione teologica [54].

Se per fede, dunque, Lei intende quest’adesione intellettiva … è vero, non ho fede, perché la fede – di cui Lei parla,- è una fede in senso oggettivo o dogmatico; è una credenza nei contenuti dottrinali basata sull’autorità di chi parla, a prescindere dal contenuto che viene affermato.

 (2) Ma come detto, nei vangeli non c’è affatto questa identificazione fra dottrina insegnata, verità e fede, e infatti viene offerta una definizione di fede completamente diversa.

Mi sembra, allora, che abbia pienamente ragione il teologo protestante, nonché medico e missionario, Albert Schweitzer quando sosteneva che la fede non consiste affatto nell’aderire a dei dogmi, ma nel vivere nello e dello spirito di Cristo. Torniamo al solito concetto: si vede se uno è cristiano non dal Dio in cui crede o dalla dottrina in cui crede, ma da come vive ogni giorno, dal suo atteggiamento verso gli altri. E allora sì, poveri i credenti che sono convinti di essere veri credenti (magari perché credono ai dogmi), e invece non lo sono se si va a vedere come si comportano con gli altri (cosa molto più faticosa che credere a dei dogmi).

Nella credibilità di Dio parliamo di fede come atto personale con cui si aderisce a Dio (fede in senso soggettivo) a prescindere dall’autorità che parla; quando il contenuto che ci è stato esposto ci ha convinto si cerca di viverlo di conseguenza, e siamo davanti a una fede spirituale, non istituzionale, non oggettiva. Questa fede non va più intesa come la credenza nella dottrina di una determinata religione e nell’obbedienza alla gerarchia di una determinata religione. Fede, in altre parole, non è “credere che qualcosa è vero”, ma “credere in Gesù:” nel Dio che ci ha mostrato Gesù, in quello che Gesù ha fatto in terra. Fede è allora l'incontro con una persona, Gesù il Vivente, perché Gesù diventa un’esperienza di vita, e non una dottrina astratta insegnata dal magistero. La fede è la fiducia che si affida totalmente alla forza che c’è in Gesù nel vivere quotidiano. Fede è appoggiarsi a lui cercando di seguire le sue indicazioni, così come raccontate nei vangeli. Alla visione del credente, il quale ritiene che la fede consista solo nella mansuetudine acritica con cui dà adesione cieca e totale a una dottrina riconosciuta vera per l’autorità del magistero che la propone, e non per il suo contenuto, si può quindi contrapporre quest’altra idea di fede secondo cui, per essere credente, occorre un Dio credibile. Questo tipo di credente crede solo pensando con la sua testa e, ragionando attorno all’argomento. Vede un Dio credibile, e quindi accettabile per la mente umana, non fermandosi ai dogmi, ma quando ci si compromette col mondo pur contestandone le logiche perverse; quando ognuno opera per il bene condividendo le miserie e le contraddizioni dei propri simili. In altre parole: non è credente chi proclama con fervore e gran squillo di trombe la dottrina cattolica, magari poi guardandosi bene anche solo dall’avvicinarsi alle tante miserie e debolezze umane, visto che il credente deve sporcarsi le mani operando in prima linea. Il credente si manifesta sempre in concreto con i fatti, mai in discorsi dottrinali pieni solo di parole astratte. Come diceva Gandhi: “La fede non ammette di essere raccontata. Deve essere vissuta. Allora si diffonde da sé”.

Questo Dio diventa credibile nel momento in cui non impone nulla; diventa credibile quando ci lascia essere liberi, [55] anche di pensare: non ci è stato insegnato che il Dio di Gesù ci rende liberi? Liberi come il vento (pnéuma), che non sa da dove viene e dove va (Gv 3, 8). Questo Dio, a differenza dell’altro, si rivolge alla nostra capacità di riflettere e di autodeterminarci, crede nella nostra responsabilità [56], non pretende mai né sottomissione, né ubbidienza. Questo Dio non chiede di essere pregato per alleviare i mali nostri e degli altri, perché siamo noi che dobbiamo sporcarci le mani, senza scaricare su di Lui quello che è un nostro compito. Il buon samaritano agisce in prima persona, non prega Dio di correre in soccorso del ferito. Non basta pregare che Dio non faccia mancare il cibo ai nostri fratelli che ne sono privi: siamo noi, che ne abbiamo in abbondanza e che lo sprechiamo, che dobbiamo condividerlo [57]. Questo Dio diventa insomma credibile non perché così ce lo impone il sacro magistero, ma perché uomini in carne ed ossa ne danno testimonianza credibile davanti ai nostri occhi, imitando Gesù così come sono in grado di conoscerlo in base alle proprie esperienze; e questa adesione fattiva, alla luce del sole, ci convince perché ci mostra che il messaggio evangelico viene applicato concretamente nella vita di questi testimoni, anche se essi non parlano e non stanno evangelizzando nessuno: è il loro comportamento che parla. Dicono qualcosa facendo, ed è questo loro fare che ci convince. E ognuno fa qualcosa di diverso. Questa pluralità di linguaggi su Dio impedisce anche di assolutizzarne uno, di confondere Dio con ciò che diciamo di Lui, di rinchiuderlo nella gabbia del nostro discorso teologico (tipo ‘il mio Dio non è il Dio degli altri,’ come visto sopra alla nota 5), perché Dio non è cattolico [58], e resta sicuramente più grande della Chiesa cattolica con tutta la sua dottrina e con tutti i suoi dogmi.

Cosa è più importante e più gradito a questo Dio presentatoci da Gesù: l’osservanza della sua Legge divina o il bene dell’uomo? Chi crede deve obbedire innanzitutto alla legge di Dio, oppure deve fare sempre e comunque il bene dell’uomo, in base alla sua coscienza? Non c’è dubbio che il vero religioso di allora (e di oggi) sceglie l’osservanza della Legge di Dio, perché sa che la trasgressione è peccato che lo allontana da Dio, mentre obbedire alla Legge significa amare Dio (Sap 6, 18). Ma la parabola del buon samaritano (Lc 10, 29ss.), raccontata da Gesù, ci dimostra che per il credente è più importante il bene fatto agli altri [59]. Noi compiamo la volontà di Dio soltanto nella misura in cui facciamo quello che è in nostro potere perché gli altri vivano meglio e soffrano il meno possibile [60]. Punto. Il resto è credenza religiosa.

L’accoglienza o meno nel regno di Dio, e quindi la prosecuzione della nostra vita dopo la morte, dipenderà non dall’atteggiamento religioso che abbiamo tenuto su questa terra (hai amato Dio sopra ogni cosa? Hai creduto che Gesù è vero Dio e vero uomo? Sei andato a messa tutte le domeniche? Hai fatto regolarmente la confessione e la comunione?), ma dal comportamento che abbiamo tenuto su questa terra verso gli altri uomini, come spiega Matteo nel giudizio finale (Mt 25, 31ss.). La cosa grave nella nostra vita è vedere quello che succede attorno a noi e non fare nulla. Solo di questo saremo chiamati a rispondere. Anche il servo chiamato ‘malvagio’ non ha fatto nulla di male (ha semplicemente sepolto il talento consegnatogli per poi restituirlo a chi glielo aveva dato – Mt 25, 26); ma non ha neanche fatto nulla di bene. Questa – secondo alcuni [61] – è anzi la vera nozione di peccato: il bene non fatto, che invece si doveva fare. Davanti a questo modo scialbo di vivere, si comprende anche il rimprovero che Gesù volge alla comunità cristiana di non essere né fredda, né calda. Magari fosse fredda o calda! “Ma poiché sei tiepido, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap 3, 14-16). Nell’amorfa fiacchezza che viene contestata alla chiesa di Filadelfia, che non si dà concretamente da fare per il bene degli altri, l’attività dei suoi credenti ha poca efficacia; questi sedicenti credenti non incidono nel mondo esterno, e mettono perciò a rischio l’esito della propria conversione.

Quindi, mi dispiace, ma non sono affatto d’accordo con Lei: essere credente cattolico non dipende dall’osservanza della Legge, o dal credere in certi dogmi, o dall’obbedire al proprio vescovo, ma dal bene che si fa agli altri [62]. Un esempio concreto di vero credente cattolico rapportato a oggi e non alle parabole del vangelo di duemila anni fa? La bambina del banco delle mele [63]:

 Un gruppo di manager era a un convegno poco prima di Natale. Tutti avevano promesso alle proprie famiglie che sarebbero tornati per tempo la sera della vigilia di Natale, per passare la festa in famiglia. Come spesso accade, il convegno terminò più tardi del previsto, e tutti si catapultarono all’aeroporto all’ultimo momento. Entrarono nell’aeroporto di corsa e, senza volerlo, uno di loro inciampò in un banco con un cesto di mele, che caddero e si sparsero per terra.  Continuarono la corsa fino al check-in, e sempre di corsa fino al gate, appena in tempo per prendere l’aereo all’ultimo secondo.

Tutti, eccetto uno, che tornò indietro perché si sentiva in dovere di aiutare la proprietaria del banco. La sorpresa fu ancora più grande quando si accorse che la venditrice era una bambina cieca. La trovò che piangeva e toccava il pavimento, cercando invano di raccogliere i frutti. Tante altre persone passavano, tutte in fretta, tutte senza fermarsi, indifferenti alla bambina e a quello che era successo; ognuno preso dai propri pensieri, dai propri problemi. Solo quel dirigente tornato indietro si inginocchiò sul pavimento e aiutò la bambina a raccogliere tutte le mele e a rimontare il banchetto. Resosi conto che, nella caduta, alcune mele si erano ammaccate gliele comprò. Poi le chiese se stava bene, e la bambina, questa volta sorridendo, annuì con la testa. Le fece una carezza, la salutò e se ne andò, ma fatti pochi passi si sentì chiamare dalla bambina: “Signore, sei tu Gesù?” Lui proseguì, senza rispondere, girandosi più volte verso di lei, ma quella domanda gli vibrò a lungo dentro.

Questa storia che mi ha profondamente colpito e commosso è a finale aperto, perché non dice se tutte quelle persone frettolose che si sono disinteressate alla bambina hanno commesso peccato; nemmeno ci dice se quel manager che è tornato indietro ha perso l’aereo, com’è probabile, per cui non è riuscito ad arrivare in tempo a casa per festeggiare il Natale con la sua famiglia. Però sorge spontanea la domanda: perché qualcuno aveva preso quell’unico manager per Gesù? Non certamente perché questi si era fermato per spiegare alla bambina che Gesù è vero Dio e vero uomo, cioè Figlio di Dio in senso sostanziale; né per averle spiegato che la religione cristiana è l’unica religione fondata da Dio stesso in persona; pertanto è la religione assoluta, indiscutibilmente superiore a tutte le altre. Forse la bambina ha pensato che quello sconosciuto fosse Gesù perché ognuno di noi può essere veramente il volto divino per le altre persone che incontra sulla sua strada, perché così ha deciso Dio, spiazzandoci tutti [64]. Forse perché l’amore, quando si riveste di misericordia, diventa veramente salvifico.

Dunque, il problema non è tanto la fede. È il modo con cui si sceglie di esprimere questa fede. Ripeto allora quello che ho detto prima: Lei potrà dirmi che non sono credente cattolico se maltratto o ignoro i miei fratelli, che sono tutti gli altri che incrociano la mia strada. E Lei, come si comporta con questi fratelli? Non Le chiedo di rispondermi.

Sono più che mai convinto che la fede è viva solo quando ci tormenta, ci costringe alla ricerca, ci invita a fare qualcosa per gli altri, ci impedisce di essere soddisfatti delle nostre credenze, dei nostri dogmi, delle nostre pratiche e dei nostri culti [65]. Proveniamo da Dio e a lui andiamo. E il nostro cuore è senza pace fino a quando non dimora in Lui. Invece una religione che dà tutte le risposte a livello metafisico, che ci soddisfa quando abbiamo seguito un bel rito o dopo aver sentito una lezione magistrale sui dogmi, perché con questo ci fa sentire in pace con noi stessi e con Dio e ci dà il sentimento illusorio di trovarci perfettamente al riparo, non è fede in senso soggettivo. Basta pensare ai termini chiave che entrarono in gioco: physis, ousía, hipóstais, homoousios, ecc. Chi capisce oggi questa terminologia? A chi interessa? Che problemi concreti ci risolve? Sapere tutto su questi termini greci dopo averli studiati e approfonditi, a che ci serve se poi non hanno un’utilità pratica nelle nostre vite quotidiane? A che scopo dovremmo apprezzarli?

In conclusione, a mio parere manca la fede quando il cristianesimo non viene vissuto. Richiamo sempre quanto detto nella relazione: a differenza del cardinal Ruini, il cardinal Tonini sostiene che chi parla di Gesù dovrebbe ricordarsi di essere un testimone di un’esperienza, non un insegnante di dottrine. Il manager che si è fermato è stato un testimone efficace del Vangelo. Lui si è dimostrato un vero credente.

E a riprova del fatto che la vera fede è quella soggettiva, e non quella oggettiva come invece sostiene il cardinal Ruini, ricorda quando Gesù cura il servo del centurione romano? Gesù afferma che in nessun israelita aveva trovato una fede così grande come quella che dimostrava di avere questo soldato straniero (Mt 8, 10; Lc 7, 9). Gesù non intendeva certamente la fede come una credenza in certe verità religiose (fede oggettiva sub 1 in cui Lei crede). Qualifica come fede il comportamento umano, pieno di bontà e misericordia che risalta nella persona del centurione che si preoccupa e si dà da fare per il suo servo, e proprio per questo motivo è esemplare [66].

E lo stesso viene ripetuto nel racconto della guarigione della figlia della donna straniera (Mc 7, 24-30; Mt 15, 21-28). Quella donna era sicuramente pagana, era palesemente fuori della Chiesa (d’Israele) e senza fede, perché anche allora aver fede significava accettare la Rivelazione di Dio così come interpretata e insegnata dal sacro magistero del Tempio con la sua dottrina, mentre quella poveretta non seguiva la costante e tradizionale dottrina di quel magistero; però la sua bontà e la sua umiltà si sono rese palesi con tale forza che Gesù non ha avuto dubbi ad affermare: “Donna, davvero grande è la tua fede!”

Lo stesso si ripete ancora altre volte, ad esempio quando Gesù cura i dieci lebbrosi (Lc 17, 11-19). L’elogio per la fede non è rivolto ai nove pii israeliti che corrono subito al Tempio per presentarsi ai sacerdoti, ottemperando così con scrupolo alla Legge divina, agli ordini dell’autorità, ma è tutto per l’eretico samaritano che neanche pensa a Dio, e torna da Gesù semplicemente per ringraziarlo (Lc 17, 19) [67].

Non è curioso il fatto che Gesù abbia trovato più fede nei peccatori che nei giusti (Lc 19, 9; Mc 2, 17), più fra i pagani che in Israele (Lc 7, 9; Mt 15, 28)?

Al centro del vangelo non mi sembra dunque ci sia la fede come Lei la intende: Gesù non ha mai chiesto a coloro che lo seguivano (ad es. a quei pescatori Mt 4, 20.22; Mc 1, 18-20), come neanche al pubblicano Levi (Mc 2, 14) se credevano fermamente che lui era la seconda persona della Trinità, Figlio di Dio in senso proprio, o se credevano che Lui e Dio erano consustanziali come oggi insegna il sacro magistero. Ha solo detto: “Seguitemi!” E anche dopo che gli apostoli lo hanno seguito, quante volte li ha poi rimproverati per la loro poca fede (Mt 8, 26; 14, 31; 16, 8; 17, 20; Mc 4, 40; 16, 11.13.14; Lc 8, 25; 24, 11.41; cfr. Gv 20, 25-31).

Perciò, anche se non seguo le dottrine insegnate dal magistero, non credo di giungere a interpretazioni scriteriate delle sacre Scritture, alla luce degli esempi di storie di vita vissuta riportati proprio dai vangeli. Se Lei la pensa diversamente, perché non mi dimostra che ho sbagliato a interpretare così tutti questi racconti evangelici? 

È piuttosto evidente che Lei è ancorato ancora all’art.3 del vecchio Catechismo di Pio X che così definiva il vero credente cristiano: vero cristiano è colui che è battezzato, che crede e professa la dottrina cristiana e obbedisce ai legittimi Pastori della Chiesa. La lettura dei vangeli mostra un’immagine di Gesù che certamente non corrisponde all’idea di un ebreo osservante e incondizionatamente sottomesso alle pratiche e alle tradizioni religiose, ma se è per questo, neanche a un’idea di un cattolico osservante e incondizionatamente sottomesso alle direttive dei legittimi pastori della Chiesa. Per Gesù, il vero credente è colui che assomiglia al Padre, imitandolo nel praticare un amore simile al suo verso gli altri [68]; e si assomiglia al Padre quando, con misericordia, si persegue in concreto il bene dell’uomo che incrocia la nostra strada [69]. Inoltre, come dimostra la parabola del buon samaritano (Lc 10, 30-37), normalmente non siamo noi che andiamo a cercare chi attraversa la nostra strada. Questa evidenza trova conferma oggi nel racconto della bambina del banco delle mele.

Insomma, se l’ebraismo era caratterizzato dall’obbedienza all’autorità del magistero che insegnava qual era la Legge di Dio cui bisognava obbedire, il cristianesimo dovrebbe essere caratterizzato dalla somiglianza al Padre; eppure ancora oggi molti cristiani preferiscono l’obbedienza alla Legge e al magistero. Al centro del Vangelo c’è la collaborazione nella realizzazione del regno di Dio, cercando di comportarsi (imitando) la condotta terrena di Gesù. Per molti che si atteggiano a cristiani, invece, è meglio credere a qualcosa di teorico piuttosto che lasciarsi coinvolgere in quello che chiede la faticosa sequela di Gesù. Meglio credere che Gesù è vero Dio e vero uomo che aiutare la bambina del banco delle mele. Forse diversi fra i manager che non si sono fermati per non perdere l’aereo credevano fermamente che Gesù è vero Dio e vero uomo. E comportandosi così sono anche arrivati a casa propria per tempo. Ma è questo quello che ci chiede di fare Gesù? Il teologo, medico e organista Albert Schweitzer aveva perfettamente colto il punto, quando ha deciso di smettere di continuare nelle sue ricerche sul Gesù storico dei vangeli, dicendo che tutto lo studio non portava a nessun risultato e che l’unica cosa da fare con i vangeli era metterli in pratica: [70] solo allora essi diventano libri sacri. Lui è andato in Africa per vivere i vangeli, convinto che l’unica cosa importante, quando ce ne saremo andati, saranno le tracce d’amore che abbiamo lasciato [71], e solo questo resterà di noi. È un invito a non stare fermi, un invito ad agire con amore, non a disquisire sui dogmi.

Dario Culot 

 

                                                                                                                     

[1] Guardini R., Il Signore, Morcelliana, Brescia, 2008, 392s.

[2] Croce B., Perché non possiamo non dirci cristiani, https://www.startmag.it/mondo/rileggendo-perche-non-possiamo-non-dirci-cristiani-di-benedetto-croce/.

[3] Le contestuali canonizzazioni di papa Giovanni XXIII e di papa Giovanni Paolo II  hanno messo per un momento a tacere le fazioni dei progressisti e dei conservatori che erano in disaccordo fin dal Concilio, iniziato dal primo papa e accantonato dal secondo. In realtà questa sembra una mossa di alto equilibrismo curiale (un colpo al cerchio e un colpo alla botte), perché canonizzare soltanto il secondo papa avrebbe reso difficile poter mettere in discussione il suo indirizzo teologico (come si fa a contestare chi è stato canonizzato?), e soprattutto avrebbe esposto la fazione contraria a un’implicita accusa di infedeltà, perché chi è contrario alla canonizzazione di un papa è normalmente contrario anche all’indirizzo teologico che quello ha tenuto durante il suo pontificato.

[4] Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, siglato ad Abu Dhabi il 4.2.19.

[5] Dunque non condivido l’idea di chi, ‘forgiato dall’idea che il mio Dio non è il Dio degli altri,’ è convinto che quest’apertura della Chiesa di papa Francesco sia manifesta apostasia (Langone C. e Messori V., Andiamo a messa, nonostante il Vaticano, “Il Giornale” 13.11.2020, 24).

[6] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB. Bologna, 2019, 321.

[7] E a proposito, se Lei va in medioriente, i cristiani durante la messa in arabo si rivolgono a Dio chiamandolo Allah.

[8] I detti islamici di Gesù, a cura di Chialà S., ed. Fondazione Valla-Mondadori, 2009, XX.

[9] Divina Commedia, Canto XXVIII, 22-63. Strano che gli insegnanti che non vogliono che a scuola si faccia il presepio a Natale perché potrebbe offendere i bambini musulmani (e ovviamente stanno straparlando senza sapere niente dell’Islam, vista l’alta considerazione che questa religione ha per Gesù), non abbiano mai preteso che, per lo stesso motivo, non si studi più a scuola la Divina Commedia. Dimostrazione evidente che non solo non conoscono l’Islam, ma non conoscono nemmeno la Divina Commedia islamofoba. Eppure, nonostante questa macroscopica incoerenza, continuano tranquillamente a insegnare e nessuno li caccia, né chiede loro di non presentarsi più a scuola come insegnanti.

[10] Altro tipico atteggiamento di cristiani che si identificano con la Verità è vedere dappertutto solo nemici, per cui sono sempre pronti a condannare chi la pensa diversamente, a cominciare dai fratelli e dalle sorelle di fede - papa compreso - provocando con ciò un grave danno alla Chiesa (arcivescovo metropolita di Gorizia Carlo Roberto Maria Redaelli, Lettera al cristiano della domenica, 25, in http://www.gorizia.chiesacattolica.it/wd-doc-ufficiali/lettera-al-cristiano-della-domenica/.

[11] Ricordo che papa Pio XII, con l’Enciclica Divino afflante Spiritu del 2.3.1943, aveva messo in evidenza come le scienze bibliche sono progredite pubblicando i sacri testi secondo le norme della “vera critica” (§ I, 4), e proprio utilizzando il “corredo della critica” è possibile esporre il genuino pensiero dei Sacri Libri (§ II). Dunque anche questo papa, certamente non progressista, riteneva che senza il buon uso della critica non si andava molto lontani.

[12] Spong J.S., Il quarto Vangelo, ed. Massari, Bolsena, 2013, 93.

[13] Riportata in Casati A., Le paure che ci abitano, Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2010, 78.

[14] Ratzinger J., Dio e il Mondo, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2001, 40. 

[15] Mancuso V., Io e Dio, Garzanti, Milano, 2011, 107.

[16] È vero che ognuno è obbligato a seguire la propria coscienza, ma una persona con una coscienza mal formata, se la segue, compie un’azione cattiva. Quindi, per ben formarsi, la coscienza deve aderire con religioso ossequio agli insegnamenti del magistero (McInerny R., Vaticano II, che cosa è andato storto?, ed Fede&Cultura, Verona, 2009, 80).

[17] Il dogma dell’Immacolata Concezione ha affermato che Maria, in quanto madre di Gesù, era esente dal peccato originale. Ma se fosse stata esente, visto che ci hanno insegnato che la morte è entrata nel mondo a causa del peccato originale, Maria non doveva morire. In effetti per secoli si è parlato di Dormizione (particolarmente in oriente) e Assunzione diretta in cielo (particolarmente in occidente). Papa Giovanni Paolo II, all’udienza generale del 25.6.1997 ha espressamente dichiarato che Maria è morta. E allora, chi ha sbagliato? Si può aggiungere che il passo fondante del peccato originale sta in Rm 5, 12: avviene per la caduta di Adamo. Però questo è già in contraddizione con quanto detto dallo stesso Paolo in un’altra lettera, dove il peccato avviene per la finitezza della carne (1Cor 15, 50 ss). Ma allora anche l’insegnamento tradizionale secondo cui la morte è dovuta al peccato di Adamo è sbagliata?

[18] I privilegi mariani - essere stata concepita immune dal peccato fin dal suo concepimento ed essere stata assunta non potendo essere soggetta alla corruzione derivante dal peccato originale (che porta la morte) - sono concessi non per allontanare Maria da noi, ma al contrario per renderla vicina (Benedetto XVI, La gioia della fede, ed. San Paolo Cinisello Balsamo (MI), 2012,118s.). Sinceramente quest’affermazione mi lascia perplesso per i motivi spiegati nel testo.

[19] Balasurya T., Mary and human liberation, ed. Mowbray, Londra, 1997. Superfluo aggiungere che per questo libro scritto nel 1990, che semplicemente esprimeva pensieri assolutamente condivisibili, il teologo cingalese è stato messo sotto processo dal Sant’Uffizio nel 1994.

[20] Allora le donne raggiungevano la maggiore età a 12 anni (Chizzoniti A.G. e Tallacchini M., Cibo e religione: diritto e diritti, ed. Libellula, Tricase (LE), 2010, 88 nota 5; Sole F., Il matrimonio presso gli israeliti, “Palestra del clero”, 1964, 1090): quindi potevano essere sposate a 12 anni e celebrare le nozze a 13. Oggi, da noi, si parlerebbe di pedofilia. I maschi si sposavano a 18 anni, ma potevano farlo dai 13 in poi (Sole F., Il matrimonio presso gli israeliti, “Palestra del clero”, 1964, 1090). Ricordo anche che a 17 anni Scipione (in seguito detto l’Africano) era stato nominato comandante in capo dell’esercito romano in Spagna, e aveva sconfitto i cartaginesi. A 17 anni, oggi, su “Il Piccolo” del 19.11.2020, 27, uno spacciatore viene definito “baby”. In effetti, oggi, da noi, si è ancora ragazzi fino a 40 anni. A 13, molti genitori pensano ai propri figli come se dovessero ancora portare il pannolino. Segno evidente che la cultura – cioè il modo di stare al mondo,-  è cambiata nei secoli, e non sempre in meglio.

[21] Ricordo che in Israele, la prima fase del matrimonio (sposalizio), si concludeva con un accordo fra i capi clan perché il matrimonio non era un affare privato ma del clan (Dellagiacoma V., Il matrimonio presso gli ebrei, “Rivista Biblica” 1959, 230): con l’accordo sull’ammontare della dote quella determinata donna era formalmente riservata come moglie in favore dello sposo, ma continuava a vivere nella propria casa, senza rapporti matrimoniali; a quel punto lo sposo aveva però un suo diritto di proprietà sulla donna e la donna aveva l’obbligo di fedeltà (Dellagiacoma V., Il matrimonio presso gli ebrei, “Rivista Biblica” 1959, 23s. nota 37), pena la lapidazione riservata alle promesse spose adultere (Sole F., Il matrimonio presso gli israeliti, “Palestra del clero”, 1964, 1092). La seconda fase (nozze) comportava l’uscita della donna dalla casa paterna dando adempimento agli impegni presi con lo sposalizio (Tosato A., Il matrimonio israelitico, ed. Biblical Institute Press, Roma, 1982, 86, 109; Sole F., Il matrimonio presso gli israeliti, “Palestra del clero”, 1964, 1092). Il corteo della sposa andava a casa dello sposo, e a quel punto i festeggiamenti duravano da 7 a 14 giorni (Sole F., Il matrimonio presso gli israeliti, “Palestra del clero”, 1964, 1094; Montagnini F., Il matrimonio nella legge rivelata, in Enciclopedia del matrimonio, Queriniana, Brescia, 1960, 134; Dellagiacoma V., Il matrimonio presso gli ebrei, “Rivista Biblica” 1959, 236). Poiché Maria afferma di non conoscere uomo (Lc 1, 34), cioè di non avere avuto rapporti matrimoniali, significa che le nozze non si sono ancora celebrate. E stando ai vangeli non sono mai state celebrate.

[22] Lo si vedrà ancora meglio in seguito con il racconto della bambina del banco delle mele.

[23] I riti sono azioni che, dovuto al rigore che esigono nel rispettare le norme, concentrano l’attenzione del credente sull’osservanza fino all’estremo di queste norme, per cui l’esatto adempimento del rito finisce con l’essere fine in sé stesso. E allora, succede che il rito, che è “ordine” (kosmos) si converte in “disordine” (caos), perché tutto si trasforma e s’inverte: il “mezzo” (cioè il rituale) si erge a “fine” (la condotta), mentre la condotta resta subordinata o passa in secondo piano rispetto all’esatta osservanza del rituale. Perciò succede di frequente che persone molto religiose diano maggiore importanza all'esatto adempimento del rituale della messa che al dovuto rispetto che si deve avere per le persone. Per questo stesso motivo, nelle parrocchie, nei conventi, in quasi tutti i luoghi di culto, si mette più impegno nell'ordine e decorazione delle tovaglie, degli altari, delle candele, che nella delicatezza e nell’attenzione verso gli esseri umani, soprattutto se sono mendicanti, invalidi, gente con addosso cattivo odore o che si presenta in modo da dar motivo di non fidarsi di loro (Castillo José M., Teología Popular (III), ed. Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 88).

[24] Carretto C., Il deserto nella città: «Come faccio a vivere come Gesù? Come faccio ad avere il coraggio di soffrire e di morire d’amore come Cristo stesso? Io così falso, così ingiusto, così avaro, così pauroso, così egoista, così orgoglioso? Ora capisco perché Paolo ebbe tanta forza di espressione quando giunse al punto esatto del problema spiegandosi con i Corinzi. «Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità sarei come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, sono un nulla» (1Cor 13,1-2). Ecco dove sta il vero problema: io corro il pericolo di essere un nulla perché non so amare. Non chiedetevi più se credete o non credete in Dio, chiedetevi se amate o non amate.

E se amate, non pensate ad altro, amate. E amate sempre di più fino alla follia, quella vera e che porta alla beatitudine: la follia della Croce, che è cosciente dono di sé e che possiede la più esplosiva forza di liberazione dell’uomo.

Che questa follia d’amore passi attraverso la scoperta della propria povertà, quella vera, quella di non saper amare, è un fatto. Ma è anche un fatto che quando giungiamo a questo limite invalicabile dell’uomo, interviene tutta la potenza creativa di Dio che non solo ci dice: ‘Io faccio nuove tutte le cose’ (Ap 21,5), ma aggiunge: ‘Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne’ (Ez 36,26). Ed è per questo che quando amiamo sperimentiamo Dio, conosciamo Dio e il dubbio sparisce come nebbia al sole».                                                                                                      

[25] La consapevolezza dell’ignoranza del Trascendente poggia su una lunga tradizione: si pensi a cosa aveva scritto uno dei più grandi teologi del ‘400. “Tutti coloro che cercano la verità giudicano ciò che è incerto paragonandolo e mettendolo in proporzione con il certo. Ogni ricerca è dunque comparativa, in quanto impiega come mezzo la proporzione… Il numero, quindi, che produce la proporzione, non sta solo nella quantità, ma in tutte le determinazioni che possono convenire o differire in un modo qualsiasi, sostanziale o accidentale. […] L’infinito come infinito, sfuggendo a ogni proporzione, è ignoto” (Niccolò Cusano, De docta ignorantia, I, 1)

[26] Anche se tanti teologi ci dicono, al contrario, che grazie alla metafisica hanno compreso quasi tutto. Ma c’è chi anche sostiene che il cristianesimo deriva la propria verità dalla storia e non dalla metafisica, per cui il teologo deve avere come interesse primario quello di conoscere la storia (intervento del domenicano Chenu Marie-Dominique, citato da O’Malley J., Che cosa è successo nel Vaticano II, ed. Vita e Pensiero, Milano, 2010, 38, con i riferimenti bibliografici).

[27] Pur dando atto che l'assenza di prove non è prova di assenza (riportato da Francescato G., In viaggio con l’Arcangelo, ed. Mediterranee, Roma, 2011, 153).

[28] Una simile pretesa fa venire in mente quel giovane studente che risponde al nome di Galileo Galilei. Anche all’Università di Pisa i professori continuavano a insegnare nel più stretto conformismo quello che si insegnava da centinaia di anni e che essi stessi avevano appreso da studenti. Nella più stretta ortodossia si continuava, ad esempio, ad insegnare la fisica aristotelica secondo cui il tempo di caduta di un foglio di carta è molto più lungo del tempo di caduta di un libro. Se ce lo avessero insegnato fino ad oggi, anche noi saremmo propensi a crederci perché l’affermazione sembra logica (come quando si dice che il sole gira attorno alla terra), essendo il foglio più leggero del libro. La scienza, da Aristotele fino ad allora, aveva seguito il cd. metodo deduttivo: si osserva un fenomeno, e se ne dà la spiegazione logica. L’innovazione portata da Galileo fu il cd. metodo induttivo; egli aggiunse cioè un terzo passaggio: “vediamo concretamente se la spiegazione che sembra logica, ma è astratta, tiene in concreto” Di fronte a quell’insegnamento che si doveva accettare senza discussione, in base al principio dell’autorità del corpo insegnante che lo esponeva, Galileo si limitò dunque a mettere il foglio sopra il libro e, lasciando cadere i due oggetti, tutta la classe vide con sorpresa che essi arrivavano a terra nello stesso tempo: la deduzione scientifica, anche se apparentemente corretta, era sbagliata. Messi di fronte a una smentita evidente del loro sapere da uno studentello impertinente, i professori cominciarono ad odiare chi, con esperimenti facilmente eseguibili e dai risultati incontrovertibili, insinuava continui dubbi durante le loro lezioni e metteva a nudo l’erroneità dei loro insegnamenti cattedratici, che essi continuavano ad offrire per tradizione, ripetendo pensieri di altri maestri più importanti di loro, che così avevano stabilito prima di loro; e – guarda caso - questo giovane dotato di troppo spirito di osservazione e di eccessiva curiosità lasciò Pisa senza mai potersi laureare (Righini A., Galileo tra scienza, fede e politica, ed. Compositori, Bologna, 2009, 21).

[29] I fedeli tradizionali, ad es., dovrebbero essere in grado di spiegare ai non-cristiani, fra le tante cose, la significatività della fede cristiana che professano, sì che se aspirano a qualche speranza di successo, devono far capire tutta quella serie pilastri su cui si fonda attualmente l’insegnamento, che lascia attoniti quanto meno i non credenti, tipo:

- in una persona divina c’è natura divina ed umana, e questa persona divina è vero uomo;

- Maria era vergine anche dopo il parto;

- i corpi torneranno in vita anche se ridotti in cenere, in polvere, o divorati da qualche animale, ecc. Quest’ultima affermazione appare ancora più difficile visto che la cultura ellenistica ha soppiantato l’idea della resurrezione dei corpi con l’immortalità dell’anima.

[30] Io ho una grandissima stima di Gesù perché ha permesso la presa di coscienza delle persone, della loro dignità, dei loro diritti, ammonendo che ognuno avrebbe dovuto rispondere dei suoi atti, dicendo che sarebbe stato giudicato sul suo comportamento profano verso il prossimo, mettendo la fede al di sopra dell'obbedienza alla legge. Resistendo ai poteri, Gesù ha posto il principio della libertà del credente all'interno della stessa istituzione religiosa. Il cristianesimo si è separato dal giudaismo sulla base di questo principio. San Paolo ha poi giustificato questa rottura paragonando la legge al pedagogo che si occupa del bambino fino all'emancipazione (Gal 4, 15) (Moingt J., Dio che viene all'uomo, 1. Dal lutto allo svelamento di Dio, ed. Queriniana, Brescia, 2005, 105).

[31] Finalmente anche un papa (Spadaio A., Intervista a Papa Francesco, “La Civiltà Cattolica” n.3918/2013, 469), quello attuale, spiazzando tanti credenti tutti d’un pezzo i quali sanno perfettamente che solo avendo qualche dubbio già si imbocca una strada sbagliata, verso il nulla, ha osato invece affermare che permane sempre un certo grado d’incertezza anche nella fede: «Se una persona dice di aver incontrato Dio con certezza totale e non è sfiorata da un margine di incertezza…se ha le risposte a tutte le domande, ecco che questa è la prova che Dio non è con lui…Le grandi guide del popolo di Dio, come Mosè, hanno sempre lasciato spazio al dubbio. Si deve lasciare spazio al Signore, non alle proprie certezze».

[32] Ricordo come l’astronoma Margherita Hack, che si proclamava atea, dicesse di sapere perfettamente che la scienza e la ragione non sono in grado di dimostrare scientificamente con certezza né che Dio esiste, né che non esiste (Di Piazza P., Compagni di strada, ed. Laterza, Roma - Bari, 2014, 8).

Invece il n. 36 del Catechismo della Chiesa cattolica ancora proclama solennemente che “La Santa Chiesa, nostra madre, sostiene e insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale della ragione umana partendo dalle cose create” (Rm 1, 20). Questa affermazione, resa dogmatica dalla Chiesa nel Concilio Vaticano I, venne rinforzata da Papa Pio X con l’imposizione di un giuramento in tal senso per tutti i professori ed educatori cattolici. Tale giuramento venne abolito appena nel 1967 da papa Paolo VI e quindi anche papa Benedetto XVI l’aveva necessariamente prestato visto che aveva cominciato a insegnare ben prima del 1967. Devo allora far notare che da cardinale si era clamorosamente smentito affermando (assai più ragionevolmente) che l’esistenza di Dio come persona pur solidamente argomentabile “non è oggetto di dimostrazione” ma resta un’ipotesi che esige da parte della Chiesa cattolica “di rinunciare a una posizione di dominio e di rischiare quella dell’ascolto umile” (riportato in Mancuso V., Io e Dio, ed. Garzanti, Milano, 2011, 101 s.). Quindi devo pensare che il futuro papa Benedetto abbia prestato questo giuramento con una riserva mentale.

È consolante vedere che, quando pensiamo in maniera diversa da quanto insegna il sacro magistero, siamo in compagnia non solo di santi, come ad es. san Giovanni della Croce (Salita al Monte Carmelo, libro II, 8.1, ed. OCD, Roma, 2012, 39) che non credeva affatto alla possibilità di arrivare a Dio col ragionamento, ma anche di un futuro papa, il quale ha detto, come si è visto, che di Dio non sappiamo sostanzialmente nulla.

[33] Benedetto XVI, Luce del mondo, Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 144 s.

[34] Benedetto XVI, L’elogio della coscienza, Cantagalli, Siena, 2009, 113.

[35] Parlo di ‘parte’ perché, come sappiamo, anche all’interno della Chiesa emerge ormai una netta spaccatura. Oggi c’è perfino una differenza tra cardinali “tradizionalisti” e “conservatori” nell’ala destra della Chiesa. Il cardinale Burke e il cardinale Sarah sono tradizionalisti perché rifiutano il concilio Vaticano II, mentre Gerhard Müller e George Pell sono conservatori ma lo accettano.

[36] «Meglio vivere come ateo che andare in chiesa e odiare» ha detto papa Francesco all’Udienza generale, gennaio 2019.

[37] Gordon Urquhart, The Pope’s Armada, Bantam, London, 1995, 290.

[38] Cfr., ad es., il messaggio quaresimale del vescovo di Trieste Crepaldi G., Riconciliati in Cristo, 2019, 15.

[39] Ricordo che per un altro papa che Lei sicuramente apprezza, papa Giovanni Paolo II, il dialogo interreligioso fa parte della missione della Chiesa (Enciclica Redemptoris missio, n. 55, del 7.12.1990).

[40] L’imposizione autoritaria di valori non condivisi diviene sempre un pericoloso moltiplicatore di conflitti (Rodotà S., Occidente laico e religione, “La Repubblica, 8.11.2004, 16).

[41] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 63.

[42] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 163 s.

[43] Ultime conversazioni a cura di Seewald P., ed. Corriere della sera, Milano, 2016, 225.

[44] Come pensano in tanti: «Aspetto il giorno di vederla bruciare nelle Fiamme dell’inferno accanto a quell’attoruncolo che oggi siede sul seggio di San Pietro» (lettera ricevuta e riportata da Staino il giorno in cui ha salutato i suoi lettori con un abbraccio, “Avvenire” 21.10.18).

[45] Benedetto XVI, Lettera sul compito urgente dell’educazione, 21.1.2008.

[46] Cfr. l’articolo sulla Tradizione al n.463 di questo giornale, https://sites.google.com/site/numerigiugnoluglio2018/numero-463---29-luglio-2018.

[47] Franco M., La crisi dell’impero vaticano, Mondadori, Milano, 2013.

[48] È bene qui ricordare le accorate parole di frate Goffredo, monaco di Bose (riportate in “Vita nuova,” n.4395, 18.1.2008, 2): «La nostra fede, come la Parola che l’ha generata, è solo una piccola fiamma che non permette di vedere tutto come in piena luce, non possiede la chiarezza su tutto e, dunque, non dà certezze incrollabili, non offre verità assolute da imporre con la forza a tutti, non permette l’arroganza di chi presume di possedere tutta la verità. I credenti nella notte cercano la verità con la stessa fatica con la quale nel buio si cerca il cammino: a tentoni e spesso sbagliando. La notte sia sempre la misura della nostra fede, perché, se cediamo alla tentazione di voler vedere e sapere tutto, non vivremo più nello spazio della fede, ma delle certezze, e non saremmo più credenti».

[49] Proprio per questo, il legislatore europeo inizia sempre i suoi regolamenti spiegando il significato dei termini che poi si troveranno nel testo.

[50] Cfr. appunto Mc 16, 17. La Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione - Dei Verbum § 5 - del 18.11.1965 del Concilio Vaticano II ha per l’appunto messo l’accento su questo aspetto nuovo ma essenziale della fede: non più cieca obbedienza al magistero, ma necessità di abbandonarsi fiduciosamente a Dio, vivendo e credendo come Gesù. Del resto lo stesso papa emerito ha detto: ‘Il verbo “credo” si potrebbe tradurre formalmente con “io mi abbandono a…io do il mio assenso a …”. La fede non è un’accettazione di teorie concernenti cose di cui non si conosce nulla, ma comporta una “svolta” di tutto l’uomo che da quel momento in poi struttura stabilmente la sua esistenza; è una conversione, un cambiamento dell’essere’ (Ratzinger J. Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 80).

[51] Castillo J.M., I poveri e la teologia, ed. Cittadella, Assisi, 2002, 221-227.

[52] Salita al Monte Carmelo, Cap. 1.2.

[53] Gounelle A., Parlare di Dio, ed. Claudiana, Torino, 2006, 55 ss.

[54] Intervista a Ortensio da Spinetoli (“Adista” n.36 del 14.5.2005).

[55] Ho richiamato più volte nei miei articoli Buber M., (Gog e Magog, ed. Neri Pozza, Vicenza, 1999, 60), il quale ha scritto: «Dio è il Dio della libertà. Egli che possiede tutti i poteri per costringermi, non mi costringe. Egli mi ha fatto partecipe della sua libertà. Allora io lo tradisco se mi lascio costringere».

[56] Come nella parabola della vigna, dove il padrone l’affida ai contadini e poi se ne va lontano, lasciandoli liberi di gestirsi (Mt 21,33).

[57] E allora non è strano vedere come anche col coronavirus la Chiesa si sia preoccupata tanto delle celebrazioni sacramentali, ma non abbia detto una parola sul fatto che il Vangelo è innanzitutto un modo di vivere su questa terra una vita dove emergono subito due problemi: la salute e l’economia. Problemi attualissimi ancora oggi visto che tanta parte della popolazione mondiale non ha adeguata copertura sanitaria e non ha acqua potabile e cibo a sufficienza. Quindi il Vangelo si può ben vivere anche fuori della chiesa; anzi si dovrebbe vivere soprattutto fuori della chiesa, e non inginocchiati sui banchi di un edificio.

[58] Papa Francesco incontra Eugenio Scalfari. “Repubblica”, 1.10.2013, 4: “Non esiste un Dio cattolico”.   

[59] È lecito guarire di sabato? No: l’amore per Dio deve essere superiore a quello per l’uomo, dice il credente tutto d’un pezzo. Ma se la Scrittura dice: «chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4, 20s.). E questo timore di Giovanni è attuale: pensiamo solo a quel signore che discuteva col prete: 

“ma io questo Dio non lo vedo; io amo mia madre, amo mio fratello …”

“No, Lei sta peccando, perché deve amare Dio prima di ogni altro”.

“Ma guardi, io questo Dio non l’ho mai visto, però mio padre, mio fratello il mio vicino …”.

“ No, questi vengono dopo”. 

Ma come dopo. Temo che questo prete abbia perso il rapporto con il mondo reale, e non solo con Giovanni. Un amore rivolto solo verso l’alto, verso Dio, è un amore che non ama. In Libano c’è un’espressione interessantissima per dire un amore che non ama: amare come amano i preti, i quali amano tutti e non amano nessuno, essendo più preoccupati di essere esemplari, di seguire la legge, che di rivelare l’amore e viverlo in maniera creativa e oblativa, mostrando vere forme di umanità. Troppo spesso il mondo ecclesiastico si presenta corazzato contro gli affetti (Molari C., Per una spiritualità adulta, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 204 s.). Troppo spesso il mondo delle persone pie e religiose è imbarazzante quando parla di amore, perché questo amore non lo si vede, perché si è disperso e si è spento: è come quella carrucola caduta nel pozzo, che non ha più acqua da portare per gli altri, ma non ha più l’acqua neanche per sé (Qol 12, 6).

[60] Castillo J.M., Vittime del peccato, ed. Fazi, Roma, 2012, 93.

[61] Intervista al filosofo Petrosino Franco, in “Famiglia Cristiana”, n.21/2013, 80ss.

[62] Maggi A., Cos’è il peccato, incontro in Assisi 2013, in https://www.studibiblici.it/audioconferenze.html

[63] Riportato in  “Famiglia Cristiana”, n.36/2011, 7.

[64] Curtaz P., commento al vangelo del 12.5.2013, in www.tiraccontolaparola.it.

[65] Siamo allora ben lontani da chi afferma di aver finalmente trovato una chiesa dove è riuscito a rivivere il culto, il culto vero, fatto di vero rito, di veri sacerdoti oltre che di veri fedeli (Langone C. e Messori V., Andiamo a messa, nonostante il Vaticano, “Il Giornale” 13.11.2020, 24): una bella messa tridentina in latino, la vera lingua di Dio. Allora ricordo l’intervento al Concilio Vaticano II di Maximos IV Saigh (patriarca dei Melchiti) sulla liturgia della messa: “Il valore assoluto attribuito al latino nella Chiesa è problema della Chiesa d'Occidente, non di quella d’Oriente. Gesù parlava la lingua dei suoi contemporanei...Tutte le lingue sono liturgiche, come dice il salmista: “Lodate il Signore, popoli tutti2. La lingua latina è morta, ma la Chiesa vive, e anche la sua lingua deve essere viva perché destinata agli esseri umani e non agli angeli”. Alla fine il 4.12.1963 il concilio approvò il testo Sacrosanctum concilium con 2143 voti a favore e 4 contrari (O’Malley J.W., Che cosa è successo nel Vaticano II, ed. Vita e Pensiero, Milano, 2010, 138-140), e dappertutto vennero usate le lingue nazionali così che la gente poteva capire quello che diceva.

[66] Luz U., Vangelo di Matteo, vol. 2, Paideia, Brescia, 2010.

[67] Cosa significa tutto questo? Nella misura in cui la religione non pone l’umano al suo centro, bensì una realtà infinitamente superiore all’umano, in questa stessa misura la religione disumanizza, indurisce il cuore e fa pensare ai credenti che ottemperando agli obblighi religiosi hanno con questo esaurito ciò che devono fare: hanno fatto la cosa più encomiabile e importante che si possa fare. Non è così.

[68] Mateos J. e Camacho F., Il Figlio dell’Uomo, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 271 s. Maggi A., Roba da preti, ed. Cittadella, Assisi, 2007, 128.

A conferma di questa definizione, ricordo cosa si diceva nella lettera a Diogneto, uno dei più antichi scritti cristiani: chiunque prende su di sé il peso del prossimo, chi di propria iniziativa fa del bene a un altro che si trova nel bisogno, chi nel fornire a quanti ne hanno necessità i beni che possiede per averli ricevuti da Dio diviene un dio per coloro che li ricevono, costui è un imitatore di Dio.

Anche per Socrate l’uomo, per sfuggire il male, deve assomigliare a Dio. Ma per lui la somiglianza è fuggire per quel che si può da questo mondo, acquistare giustizia, santità e sapienza (Platone, Teeteto, XXV b). Nel Vangelo somiglianza comporta coinvolgimento.

[69] Nell'essere umano incontriamo Dio. Perciò è negli esseri umani che possiamo offendere Dio o, al contrario, renderci simili a lui. E questo può essere fatto anche da chi non crede in Dio, o in quel Dio che hanno tentato di imporgli con la forza della paura o della colpa, e che in realtà non è affatto il Dio che Gesù ci ha rivelato (Castillo J.M., Vittime del peccato, ed. Fazi, Roma, 2012, 271).[

[70] Del resto  il Dio biblico di Ezechiele (Ez 33, 31.) si lamenta perché le persone arrivano per ascoltare, ma poi non mettono in pratica ciò che sentono, per cui non c’è conversione.

[71] Vedi alla nota 24 quanto detto da Carlo Carretto.