Chi era Gesù di Nazaret - IV

Christ in the Carpenters Shop. Woodcut printed in colours. Proof. 8.75x7.75 inches.

Mabel Allington Royds (1874-1941) - immagine tratta da commons.wikimedia.org

(3) Gesù più Dio che uomo

 

Oggi come oggi, è indubbio che l’autorità della Chiesa si senta più inquieta quando si contesta la divinità che quando si mette in dubbio (in qualunque modo) l’umanità di Gesù. Ma questo è la logica conseguenza dell’idea che il Figlio di Dio era tale da tutta l’eternità, perché così dicendo si pensa a lui come si pensa a Dio ma difficilmente come si pensa a un uomo [1].

Ma non è allora la stessa Chiesa che ha spostato l’asse verso la divinità a scapito dell’umano? Non è lo stesso insegnamento della Chiesa che, anziché scacciare tutti i fantasmi come sostiene il cardinal Müller, ci confonde sovrapponendo Dio all’uomo?

- Se infatti diciamo che quell'anima buona godeva già delle diretta visione di Dio come si fa a dire che Gesù era vero uomo, uguale a tutti noi altri?

- Se “Gesù è uguale in tutto all’uomo tranne che nel peccato” (2Cor 5, 21; Eb 4, 15), e poi c’insegnano che siamo tutti peccatori, nessuno escluso (Rm 3, 9 e 20), come si fa a dire che Gesù era vero uomo, uguale a tutti noi altri?

- E poi, questo insegnamento circa l’impeccabilità di Gesù non cozza frontalmente con l’altro insegnamento del magistero secondo cui il peccato è stato la causa della morte dell’uomo (Rm 5, 12; [2] 1Cor 15, 56): com'è allora che Gesù - uomo senza peccato - è morto? [3]

Insomma, un Gesù così confezionato e così presentato, è dotato di una struttura speciale, di cui lui è l’unico rappresentante mai esistito nella storia (un deus-homo): ma già questo esclude che sia veramente uomo, e al tempo stesso lo rende inimitabile da parte di qualsiasi vero uomo [4]. In contrasto col dogma di Calcedonia, è la stessa Chiesa a mostrarci un Gesù ontologicamente diverso dall’uomo. Non dobbiamo invece attribuire a Gesù onniscienza e onnipotenza. Era un ebreo del suo tempo, con i suoi limiti [5].

Ha linearmente scritto il teologo olandese Hulsbosch [6]: “Se diciamo che Gesù, oltre ad essere uomo, è anche Dio, noi – come uomini dalla natura meramente umana, imperfetta - con questo anche Dio non abbiamo in realtà nulla a che fare”.

E come può allora diventare un modello da imitare un altro uomo che ha la saggezza e la conoscenza propria di Dio? l’onnipotenza per fare dei miracoli propria di Dio? l’impeccabilità di Dio? L’immunità da passioni e inclinazioni cattive?

Cioè per non dire nulla contro la divinità di Gesù, si finisce col dire molte cose che sono inconciliabili con la natura umana.

Last, but not least  (cioè, da ultimo, ma non per questo meno importante) un ulteriore dubbio pesante come un macigno: se è vero che Gesù è vero uomo, come gli altri, non dovrebbe avere anche una bella dose di difetti, come tutti noi uomini? Non dovrebbe aver fatto tanti errori nella sua vita, come tutti noi uomini?

E allora ditemi: avete mai sentito parlare, in chiesa o al catechismo, dei difetti dell’uomo Gesù? Avete mai sentito un prete dire: “Oggi parleremo dei difetti di Gesù”. No, eh!? Ovvio, perché ci hanno sempre fornito una rappresentazione distorta dell’uomo Gesù, pur continuando a dirci che era un vero uomo uguale noi. Ma neanche loro ci credono, visto che ce l’hanno sempre presentato tutto così perfettino, così zuccheroso, così ieratico, con l’aureola. In realtà ci hanno presentato un Gesù-uomo avvolto in un bel mantello d’oro, ma questo non è ovviamente un vero uomo.                                                                                                                                                                                                                          

 (4)  I difetti dell’uomo Gesù

 

Ora, se Gesù aveva difetti, non dovremmo trovarne almeno traccia nei vangeli o negli scritti del cristianesimo originale?

Andiamo allora a vedere questi vangeli, e immaginiamo di fare un salto indietro nel tempo, duemila anni fa in mezzo alla folla, a sentire cosa dicevano i sacerdoti e cosa diceva Gesù, sempre lì a litigare in pubblico, lì davanti a noi, perché la storia di Gesù è segnata dallo scontro con gli uomini della religione. Vale a dire, i dirigenti della religione e lo stesso Gesù hanno presto capito che tra di loro c’era incompatibilità assoluta [7], per cui questo scontro è arrivato fino all’estremo della morte di uno dei due contendenti.  

E forse, dopo aver visto e ascoltato… forse anche noi staremmo più facilmente dalla parte dei sacerdoti e non dalla parte di Gesù, così poco religioso, così poco osservante della legge, così poco rispettoso delle autorità e dell’ordine, così utopista nell’immaginare il mondo sotto la Signoria di Dio [8]: insomma, non aveva capito nulla di come gira realmente il mondo.

Per cominciare Gesù nasce in totale emarginazione, tanto da essere deposto in una mangiatoia (Lc 2, 7) e non certo in una reggia come si addice a un gran re. Non sembra un buon inizio. Ma a noi ce lo hanno quasi subito presentato come Re, anzi come Re dell’Universo; nell’immaginario collettivo è rimasto stampato in mente questo Gesù assiso sul trono, con tanto di corona e di scettro in mano. Del resto non poteva essere diversamente visto che già per la Bibbia Dio regna ed è re (Es 15, 18; Sal 93, 1 e 95,3; Sof 3, 15). Ed è altrettanto ovvio che al re si obbedisce e ci si sottomette, ma in cambio i deboli ottengono giustizia (Sal 146). Resteremo allora stupiti scoprendo che, se stiamo ai vangeli, Gesù non ha mai chiesto obbedienza né a sé né a Dio [9].

Sua madre non aveva proprio una grande fama: Gesù era un “un bastardo di un’adultera” (secondo la Mishnà Yebamot  4, 13, cioè la Torah orale). Tertulliano [10], uno dei primi scrittori cristiani, ricorda che Gesù veniva spesso apostrofato come “figlio di una prostituta”, il che è una formula scritta più elegante di quella che si usa di solito oralmente: nessuno insulta un altro dicendogli: “Tu! Brutto figlio di …una prostituta”. Per offendere si usano i termini “troia” o “puttana”. Insomma, la storia di Maria, una popolana di bassa classe sociale [11], rimasta incinta prima delle nozze, era in qualche modo trapelata in quel piccolissimo e pettegolo villaggio che era Nazareth, e questa provenienza infamante verrà rinfacciata dai capi religiosi a Gesù in uno dei tanti scontri quando, non sapendo come rintuzzare le sue parole che essi reputano farneticanti, ricorderanno a Gesù: «Non siamo nati da prostituzione noi» (Gv 8, 41). Per rispetto non viene aggiunto, ma è chiaramente sottinteso: “Tu, invece, sì che sei figlio di puttana” [12].

Mi dispiace se urto la sensibilità di qualcuno, ma questa era la situazione che Gesù doveva affrontare continuamente. Non lo chiamavano certamente con deferenza “rabbi”, e gli unici due che si rivolgono a lui chiamandolo “rabbi” sono i due traditori: Pietro e Giuda (Mc 9, 5; Mc 14, 45): sono coloro che vogliono più di tutti l’uomo della tradizione, il Messia davidico, e non accettano la novità portata da Gesù.

Ci hanno insegnato che, stando ai vangeli, i suoi contemporanei non l’hanno compreso e non l’hanno accolto (Mt 21, 42; Mc 6, 4; Gv 1, 11; 8, 45). In realtà i vangeli dicono molto di più:

- I suoi compaesani, già la prima volta che lo sentono parlare, non gli danno alcun credito e dicono: “Ma se sappiamo tutto di lui, è qui che vive anche sua madre” (e visto che nei sinottici non si dice il nome del padre [13] c’è la conferma che la madre non era proprio stimatissima - Mc 6, 3); “conosciamo anche i suoi fratelli e le sue sorelle, - e Gv 7, 5 aggiungerà: «neppure i suoi fratelli credevano in lui»,-  e allora cosa pretende di venirci a raccontare questo qui? Pensa forse di essere migliore di noi?”

- Ma neanche la sua famiglia lo ha accettato. Quando Gesù è andato via dalla famiglia ed ha incominciato la sua vita pubblica, i suoi - o meglio tutto il suo clan [14]- hanno pensato che fosse impazzito e che bisognasse andarlo a prendere per riportarlo a casa, prima che facesse del male a sé e ai suoi (Mc 3, 21-31). Ritenevano che stesse andando in giro come un disadattato predicando esattamente l’opposto di quello che la religione insegnava: una religione al rovescio [15]. Insomma, Gesù era ‘profondamente eretico’ per quei tempi. Per il suo clan era solo uno strano e ingombrante parente, un poveretto fuori di testa da togliere dalla circolazione, in quanto era il disonore della famiglia per come si comportava (Mc 3, 21). Teniamo presente che se oggi il denaro è il valore più importante (sono i soldi che controllano tutto, e sono il cuore del sistema), in allora l’onore del singolo era l’unica cosa che contava [16], e il disonore colpiva l’intero clan [17] non solo Gesù.

- E poi, girovagando per la Galilea, questo Gesù ha cominciato a raccattare intorno a sé una dozzina di uomini screditati, mendicando vergognosamente per un pezzo di pane [18]: nel gruppo troviamo infatti persone che prima lavoravano ed ora, avendo abbandonato tutto per seguirlo, non lavorano più, per cui non si mantengono più col proprio lavoro e probabilmente hanno abbandonato nel bisogno le proprie famiglie. Quando non mendica, Gesù vive da mantenuto, perché ha la sfrontatezza di farsi mantenere da alcune donne che lo seguono, donne svergognate come Maria di Magdala, quella dei sette demoni, o come Giovanna, moglie del ministro delle finanze di Erode Antipa; ma molte altre lo seguivano, aggiunge l’evangelista Luca (Lc 8,2-3); e ripeto che in quell’epoca le donne erano sempre sottoposte alla tutela di un maschio; non esisteva la possibilità di essere autonoma, di vivere al di fuori del clan; solo le prostitute lo facevano. Ora, provate solo a immaginare oggi, la moglie del nostro ministro delle finanze che lascia suo marito e si accoda a un gruppetto di disperati di un centro sociale, e per di più li mantiene tutti con i soldi del marito ben posizionato!

C’è poi un maledetto pubblicano (un odioso e odiato esattore d’imposte collaboratore dei romani) che appartiene alla categoria di persone le quali, anche volendo, non possono più fare penitenza e quindi salvarsi. C’è perfino uno zelota (Lc 6, 15) [19], parola che a noi non dice granché, ma ai tempi dei romani significava terrorista [20] (come dire oggi: uno delle brigate rosse o dell’Isis). C’è Simone, pescatore, testadura; ci sono i due fratelli, pescatori [21] pure loro, Giacomo e Giovanni, soprannominati figli di tuono (Mc 3, 17), tanto sono violenti e propensi ad incenerire chi li contraddice (Lc 9, 54). E va ricordato che neanche i pescatori [22], come i pastori, godevano in Palestina di buona fama.

E poi, alla sua età, non era neanche sposato [23], comportamento assai riprovevole nella mentalità di allora [24] visto che occorreva generare figli.

Questo Gesù, poi, pretende di presentarsi come un maestro dello spirito quando invece tutti possono vedere che non è un asceta, ma è solo un gran mangione e bevitore, un amico della feccia della società, di pubblicani e peccatori (Mt 11, 19; Mc 2, 15-16), sempre a mangiare e a bere con loro. Non si può essere uomini di Dio quando si mangia e si beve mescolandosi con i peccatori, senza prendere sul serio le norme divine sull’impurità: sappiamo che l’astinenza dalle bevande alcoliche era richiesta ai sacerdoti e anche ai loro figli (Lv 10, 9). Proprio grazie a questo suo comportamento da disadattato, Gesù è riuscito a far dubitare perfino un santo come Giovanni Battista, che pur lo aveva all’inizio riconosciuto come il Messia atteso (Mt 11, 3; Gv 1, 15.30); e col tempo anche molti di quelli che avevano iniziato a seguirlo ed erano già diventati suoi discepoli lo hanno in seguito abbandonato (Gv 6, 66): evidentemente hanno finito col capire con che razza di persona avevano a che fare. E infine, quando l’autorità ha mandato finalmente le guardie per catturarlo, anche quei pochi che erano rimasti fino a quel momento con lui se la sono data a gambe (Mt 26, 56): evidentemente neanche loro più credevano che quello fosse veramente il Figlio di Dio, visto che Dio non l’ha protetto, ma anzi l’ha maledetto lasciandolo morire in croce [25]. 

E poi, guardiamo a cosa diceva, a come parlava: come si permette di parlare di Dio senza il minimo rispetto? [26] Non parla del Santo, dell’Altissimo, ma di un papà, quando in allora non si poteva neanche pronunciare il nome di Dio. Un Dio papà al quale ci si può rivolgere direttamente (Mt 6, 9). Un Dio sempre pronto al perdono (Lc 15, 20), misericordioso, ma perciò debole con tutti, quando abbiamo bisogno di un Dio forte, di un Dio degli eserciti, con tutti i nemici che vediamo attorno a noi. Quando mai si è sentito di un Dio che vuol bene a tutti, anche ai pagani e agli impuri peccatori che non hanno alcun merito? Come osa quello lì colmare l’abissale distanza che esiste fra Dio e gli uomini? Chi crede di essere!

Ma insomma! volete mettere un Dio che castiga i cattivi col fuoco eterno e gliela fa pagare cara? Un Dio che ferma il sole per far sterminare i suoi nemici? Questo sì che è un Dio al quale si può credere con facilità; invece un Dio che ama tutti e non castiga nessuno è un Dio debole, che pochi sono disposti ad accettare [27]. Dopo duemila anni c’è ancora un fior fiore di cattolici che la pensa così: “nella sua prima venuta Gesù si è proposto con mitezza e umiltà. Appare perfino debole. Ma nella venuta finale (parusia) Gesù si proporrà con potenza, separerà i giusti dagli ingiusti e incatenerà questi ultimi all’inferno” [28]. “Ah! Finalmente! Quello l’ha fatta franca con la giustizia degli uomini? Però non scapperà alla giustizia divina!” dice ancora oggi convinto il cattolico doc, che si frega le mani e già pregusta per quello – che dovrebbe essere un suo fratello - le fiamme dolorose ed eterne dell’inferno.

In allora avevano bisogno, e ancora oggi molti hanno bisogno, di un Dio che incute paura, forte come un possente e maestoso leone. E questo Gesù invece lo paragona a chi? A una gallina (Mt 23, 37; Lc 13, 34), che sotto le sue ali protegge i pulcini; oppure a una donna sbadata che perde i soldi e deve mettersi a cercarli (Lc 15, 8). E poi come si fa a paragonare il regno di Dio, anziché a una solenne e magnificente cerimonia religiosa (con i suoi incensi, paramenti sacri, processioni), a un'allegra e chiassosa festa di nozze (Mt 22, 2) dove si mangia, si beve e ci si diverte?

Certo, si è visto che a lui piace bere, e tanto. E aveva forse bevuto troppo quando ha interrotto la santa festa delle capanne (Lv 23, 33), urlando a squarciagola che era lui l’acqua vera che può dissetare (Gv 7, 37), e non quella portata solennemente in processione dal sommo sacerdote, dalla fontana di Siloe su, per la scalinata, al sacro Tempio.

Insomma, capite bene perché i ben pensanti di allora, i veri credenti, erano scandalizzati [29] dal suo comportamento. Un galileo che non aveva neanche studiato [30], un signor nessuno che si scontrava col sacro Tempio come ha fatto Gesù, non poteva essere in alcun modo l’intermediario autorizzato per parlare di Dio. Per gli ebrei del I secolo, chi non si adeguava alla religione del Tempio non poteva salvarsi, e la nostra Chiesa ha ripreso questo motto sostenendo per secoli che “fuori della Chiesa non c’è salvezza”. 

E poi questo insistere sul fatto che denaro e potere sono i veri nemici di Dio e dell’uomo. I sacerdoti e i farisei di allora riuscivano benissimo a mettere insieme Dio e denaro, per cui non gli hanno creduto. Ma il bello è che non gli ha creduto neanche la nostra Chiesa, pur dichiarando che il Vangelo è il suo fondamento e il suo centro, perché ha presto cominciato a incamerare denaro, tanto denaro: pensiamo oggi solo all’otto per mille. Mandando a due a due gli apostoli, Gesù aveva loro proibito espressamente di portare con sé denaro per annunciare il Regno di Dio (Mt 10, 9; cfr. anche At 8, 20)); ciò vuol dire che - secondo Gesù - il denaro è un intralcio all'evangelizzazione. Quasi tutti i vescovi hanno sempre ritenuto che per evangelizzare ci sia invece bisogno di denaro, di molto denaro. Ricordate come l’arcivescovo Marcinkus, quando dirigeva lo IOR, sosteneva che la Chiesa non si può mandare avanti con le “Ave Marie”? Nessuno gli ha fatto presente che secondo Gesù non si può servire contemporaneamente Dio e mammona (Mt 6, 24), sì che Gesù aveva lasciato assai chiaro che il Vangelo e la ricchezza dei potenti sono due cose incompatibili [31]. Anche la sua Chiesa non solo ha reso compatibili Dio e mammona, ma c’è stato (e continua ad esserci) qualcosa di più determinante: la Chiesa ha dato l’impressione di credere più nell’efficacia del potere e del denaro che nella forza dello Spirito [32]. Del resto questo è in perfetta sintonia con quello che normalmente pensiamo anche noi che, al pari della Chiesa, vediamo la ricchezza come qualcosa di necessario per portare avanti il suo clero, la sua liturgia e soprattutto, l’evangelizzazione.

Il filosofo Celso vissuto nel II secolo, nel suo Discorso veritiero contro i cristiani andato perduto, e di cui abbiamo recepito solo alcuni frammenti, ha messo nero su bianco un’osservazione che potremmo ritrovare oggi pari pari su un nostro quotidiano, di fronte all'immigrazione di questi stranieri barbari, selvaggi e inaffidabili, che premono per entrare in Europa e tanto ci spaventano: anche allora i barbari premevano ai confini dell’impero. Dunque, dice Celso: “se tutti facessero come i cristiani, che non sono veri e leali cittadini [33], l’imperatore sarebbe lasciato solo e tutti i beni della terra cadrebbero nelle mani dei barbari più empi e selvaggi. E neanche è vero che se tutti i romani aderissero al Dio cristiano, questi scenderebbe in campo a loro favore; anzi, tutti si ritroverebbero senza nemmeno una zolla e un focolare. Se poi nel nome di questa nuova religione qualcuno credesse che tutta l’Asia, l’Africa, l’Europa e i barbari, fino ai confini estremi del mondo potrebbero vivere in pace, non ha capito nulla del mondo” [34].

Dopo duemila anni, tutte le guerre che si sperava avrebbero portato alla ‘pace definitiva’ e tutte le proposte fatte per portare alla ‘pace definitiva’ si sono rivelate utopistiche, proprio come pensava Celso delle idee dei cristiani. Insomma, ancora dopo duemila anni anche noi pensiamo che Celso avesse capito meglio di Gesù come funziona questo mondo.

Certo, a volte un’illusione utile è meglio di una verità inutile [35]. Diciamocelo francamente: perché dovrebbe interessarci il ricordo di Gesù e di quello che dice il Vangelo se non ci serve per vivere meglio, per sentirci più felici e rendere la vita più piacevole, più sopportabile, più gioiosa per quelli che ci stanno attorno? Sapere quello che ci dicono i dogmi, compreso studiarli e capirli, a che ci serve se poi non hanno un’utilità pratica nelle nostre vite, se non ci rende migliore la vita? A che scopo dovremmo apprezzare l’insegnamento della Chiesa? Non certamente perché delle regole, contrabbandate come divine, ci assicurano che vivremo meglio nell’aldilà se solo le osserviamo nell’aldiquà. Ha senso seguire Gesù solo se ci convinciamo che il suo metodo ci fa effettivamente vivere meglio in questo mondo.

 

Dario Culot

 

                                                                                                                                 (continua)

 

[1] Chi pensa così fa ovviamente fatica ad accettare l’idea che “Figlio di Dio” sia espressione da intendere solo nel senso che Dio si rivela nell’uomo Gesù (cd. «cristologia epifanica restrittiva»), sì che l’uomo Gesù è l’incarnazione di Dio, cioè la presenza di Dio nella condizione carnale umana, la quale ha ovviamente i suoi limiti, posto che la natura umana è limitata. In altre parole, molti cristiani rifiutano l’idea che Dio si sia fatto conoscere nell’uomo Gesù, e quindi nell’umanità di Gesù, perché accettare questo significherebbe che Gesù nella sua realtà umana NON è Dio, e temono che non è cristiano chi nega che Gesù sia vero Dio (oltre che vero uomo). Ecco perché ha suscitato molto scalpore quanto Scalfari ha scritto su “la Repubblica” nel mese di ottobre 2019, attribuendo al papa Francesco la frase secondo cui “una volta incarnato Gesù cessa di essere Dio e diventa fino alla sua morte in croce un uomo”. Sul punto è venuta la smentita dal Vaticano. Eppure, come detto sopra nel testo, quando Gesù muore da solo non si vede in lui neanche un filo di divinità.

[2] Il peccato è entrato nel mondo a causa di un solo uomo (nda:Adamo) e il peccato ha portato con sé la morte (Rm 5,12).

[3] E come mai anche Maria è morta,visto che non ha peccato e che non era neanche macchiata dal peccato originale? Cfr. L’articolo sull’Immacolata Concezione al n. 534 di questo giornale, in https://sites.google.com/site/edizione500rodafa/numero-534---8-dicembre-2019/immacolata-concezione. È ben vero che a lungo si è parlato solo di assunzione (in occidente) o di dormizione (in oriente), mai di morte. Ma papa Giovanni Paolo II (udienza generale del 25.6.1997, reperibile in www.mariedenazareth.com) ha parlato ormai espressamente della morte di Maria.

[4] Così già ragionava Immanuel Kant:  “Gesù è vero Dio? Ma l’incarnazione come divinità che abita corporalmente in un uomo reale e agisce come lui, sotto il profilo pratico è totalmente inutile perché non possiamo imporre a noi stessi il dovere di imitare un Dio, per cui questo Gesù che è Dio non può diventare per noi un modello” (in Il conflitto delle facoltà, Morcelliana, Brescia, 1994, 100). Noi possiamo pensare di seguire e imitare solo un uomo. Se pensiamo un Dio che diventa uomo, nessun uomo ha molte possibilità, perché la divinità è enormemente superiore all’umanità.

[5] Lenaers R., Benché Dio non stia nell'alto dei cieli, ed. Massari, Bolsena (VT), 2012, 88.

[6] Nella rivista olandese Tijdschrift voor Theologie (richiamato da Schillebeeckx E., Gesù, la storia di un vivente, ed. Queriniana, Brescia,1976, 634).

[7] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 11. Pensiamo solo alla parabola del grande banchetto (Mt 22, 1ss.; Lc 14, 16ss.) dove lo scontro è evidente e feroce.

[8] In ogni caso resta chiaro che il motivo per il quale decisero di farla finita con Gesù non fu la perversione morale di quei capi religiosi, ma al contrario il fedele adempimento del proprio dovere in qualità di capi, che li obbligava a mantenere rigorosamente l’osservanza più stretta delle norme della Legge, del culto religioso e del rispetto che meritava il Tempio di Dio. Invece Gesù non incontrava il Padre nello spazio sacro del Tempio, e neanche nel tempo sacro del culto religioso. Gesù parlava del Padre e col Padre nello spazio profano della campagna o della montagna e nel tempo profano della convivenza con la gente, con ogni tipo di persone. In questo modo Gesù ha spostato il sacro, in quanto lo ha levato via dal Tempio e dai suoi sacerdoti, dalla religione, dalle sue norme o sue minacce, e lo ha posto nell’essere umano, in tutti gli esseri umani e nelle relazioni che ciascuno mantiene con gli altri. Questo è l’unica cosa veramente sacra per Gesù (Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 119s.). E non appare ancora oggi anarchico ed eretico simile comportamento?

La religione, anche la nostra, mira al soprannaturale, pone Dio in alto e l’uomo in basso. La teologia tradizionale, infatti, ha imperniato le sue impostazioni, i problemi e le soluzioni sul piano del soprannaturale e dell’eterno; la storia, la società e la vita concreta delle persone che incrociamo ogni giorno non interessano. L’importante è elevarsi, santificare l’anima, aspirare all’eterno disprezzando ciò che è temporale. Le avversità della vita si devono sopportare con rassegnazione, senza alterare l’ordine che, per volontà divina, deve essere mantenuto (Castillo J.M., I poveri e la teologia, ed. Cittadella, Assisi, 2002, 361). Gesù, all'opposto, ci ha ricordato che Dio si trova in basso, nel servizio, nella bontà, nell’amore verso gli altri uomini, e tutto questo va messo al centro della nostra vita. Gesù ci presenta un volto di Dio completamente nuovo e diverso: non siamo suoi servi, ma suoi figli; Dio è come un padre affettuoso e non si può aver paura di un padre affettuoso (cfr. la parabola del figliol prodigo).

[9] Cfr. L’articolo Obbedienza su Il giornale di rodafà, in https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20201/numero-545---23-febbraio-2020.

[10] Tertulliano, nel De spectaculis, XXX, 6.

[11] E invece c’è chi ci ha insegnato che Maria era di alta classe sociale, ed era stata perfino educata nel Tempio. Ma contro questa idea ci sono fatti a) religiosi e b) storici.

a) le parole del Signore potevano essere insegnate solo ai figli maschi (Dt 11, 19) e bisognava bruciare la Bibbia piuttosto che fosse contaminata dalla mano di una donna, essere impuro per eccellenza, come è ben chiarito nella Mishna (trattasi della Raccolta in 63 trattati delle discussioni e delle decisioni rabbiniche sulla Torah orale, risalente all’epoca di Gesù, sia nella versione Berakit (Y = Mishnah Palestinese) 6b, che nella versione Sota (B= Mishnah Babilonese) 19°. Cfr. Pèrez Márquez R., L’Antico Testamento nell’Apocalisse, ed. Cittadella, Assisi, 2010, 67.

b) La casa di Maria, su cui oggi sorge una chiesa, è più lontana dalla fonte del villaggio di quanto lo fosse la casa di Giuseppe (anche su quelle rovine è sorta una chiesa). Ed è noto che più si era benestanti, più vicini si abitava alla fonte d’acqua. La Tradizione, dunque, conferma che Maria era più povera di Giuseppe, perché le chiese sono prestissimo sorte sopra quelle che erano considerate le loro case.

[12] Del resto, se risaliamo in linea genealogica, non è che Gesù discenda proprio da una nobile stirpe di uomini illustri: pensiamo a Tamar (Mt 1, 3) che si comporta prostituta e si fa mettere incinta dal padre di suo marito (Gn 38, 21); a Racab (Mt 1, 5) anch’essa una prostituta (Gios 2,1). Poi c’è Betsabea moglie del generale Uria, che va a fare il bagno nuda davanti a Davide, e il re Davide naturalmente se la piglia,  ne fa la sua amante, e insieme fanno un figlio (il futuro re Salomone). E quando Davide viene a sapere di aver messo incinta Betsabea, fa rientrare il marito dalla guerra e lo invita ad andare a casa a lavarsi i piedi (2Sam 11, 8) (così, ad es. nella versione del La Bibbia di Gerusalemme, ed. EDB, 2008, 614). Naturalmente la parola “piedi” è un eufemismo che sottintende i genitali (Maggi A., Versetti pericolosi, ed. Fazi, Roma, 2011, 85), tanto che in alcune edizioni il testo viene tradotto più comprensibilmente nel senso Davide manda Uria a casa perché abbia rapporti con Betsabea (es. La Bibbia interconfessionale, ed. LDC Leumann, Torino, 2007, 365). Visto che Uria ha mangiato la foglia e non va a letto con sua moglie, Davide lo rimanda al fronte, ma lo manda a morte sicura, perché lo fa mettere in un punto del fronte dove sa che sarà ucciso. E così avviene. Ma se mancavano tutte queste persone qui, Gesù Cristo mica poteva nascere. E se nella stessa stirpe di Gesù troviamo simile gente, perché non dovremmo trovarla in tutte le altre stirpi, compresa la nostra?

[13] In Giovanni, poi, non c’è nascita soprannaturale, e Gesù sembra figlio di Giuseppe (Gv 1, 45; 6, 42).

[14] In realtà Maria si è trovata davanti a un dilemma: rinnegare il figlio e restare col suo clan, oppure scegliere il matto di casa, diventare sua discepola e perdere la propria reputazione (ecco la sua croce) perché si deve tener presente che in quell’epoca era semplicemente inconcepibile che una donna vivesse fuori del clan, da emancipata. All’inizio Maria è rimasta col clan, quindi siamo davanti a una storia piuttosto diversa da quella che ci hanno raccontato: l’Immacolata creatura del cielo, la Vergine purissima che han fatto entrare nel nostro mondo avvolta da un’aureola di impareggiabile incanto. Solo col tempo Maria riuscirà a seguire questo suo figlio ritenuto all’inizio un pazzo.

[15] Il metro di valutazione, secondo Gesù, non è più l’osservanza della Legge divina (Mt 25, 37-46). Infatti le domande (che nel Vangelo di Matteo vengono già anticipate, in modo che tutti sappiano per tempo cosa verrà loro domandato) riguardano sempre e solo i rapporti con gli altri uomini (Bianchi E., Le religioni: ostacolo alla fede o vie di salvezza? in E se Dio rifiuta la religione?, ed. Cittadella, Assisi, 2005, 237). È poi piuttosto scombussolante leggere come, nel giudizio finale, Dio non condanna per aver fatto il male, ma neanche salva per aver fatto il bene. Non dice infatti: “Via da me, perché hai rubato al tuo prossimo violando il 7° comandamento”; ma neanche dice: “vieni a me, perché non hai mai rubato a nessuno, per cui non hai violato la legge divina.” Se ti allontana, è perché non hai dato del tuo quando l’altro era nel bisogno; se ti chiama a sé, è perché hai rinunciato al tuo denaro, al tuo tempo, alla tua vita per darli al fratello che ne aveva più bisogno di te (Arias J., Il dio in cui non credo, ed. Cittadella, Assisi, 1997, 136). Molto diverso dal settimo comandamento! Alla fine dei tempi cosa succederà? Lo trovate scritto nel vangelo; leggete bene, e mettete da parte il taccuino su cui avete segnato puntigliosamente le ore di preghiera, le messe e le confessioni sopportate con cristiana rassegnazione e le eventuali giustificazioni da tirare fuori nel caso Dio fosse più esigente di quello che ci raccontavano. Il Signore ci chiederà se lo avremo riconosciuto, nel povero, nel debole, nell’affamato, nello straniero, nell’anziano abbandonato, nel parente scomodo. Sì: avete capito bene. Il giudizio sarà tutto su ciò che avremo fatto, e sul cuore con cui lo avremo fatto.

[16] Quando Gesù chiede a ognuno di sollevare la sua croce (Mc 8, 34; Mt 16, 24), chiede una cosa pazzesca: essere disposti a perdere il proprio onore, la propria reputazione davanti alla società (Maggi A. Commento al Vangelo di Mt 16, 21-27, in www.studibiblici.it). Ricordiamo cosa ha scritto Shakespeare, Otello, atto 2, scena 3: “La reputazione! Oh, ho perduto la mia reputazione! Ho perduto la parte immortale di me stesso, e ciò che resta è bestiale!”

[17] Mentre in occidente l’Io è soggettivo (e noi tutti siamo assai preoccupati del nostro io personale), in altre società le persone sono talmente inserite in gruppi, che l’io viene concepito solo in termini collettivi. Di più: anche se nessuna società è tutta di tipo individualista o collettivista, la cultura individualista occidentale è sicuramente minoritaria nel mondo, dove prevalgono le culture collettiviste (circa il 70%), nelle quali le persone sono motivate dalle norme del gruppo e le aspirazioni individuali non sono prioritarie rispetto a quelle del gruppo; s’interiorizzano cioè i valori e le aspettative del gruppo nel quale si è inseriti. Quindi, quando si studia Gesù, dare per scontata una definizione occidentale dell’io è fuorviante, visto che in Palestina l’io personale non era considerato centrale a differenza dell’io pubblico, perché nel gruppo, in quella società, occorreva corrispondere alle aspettative degli altri. L’io personale, in quel tipo di società, andava tenuto nascosto (Rohrbaugh R., Etnocentrismo e questioni storiche, in Il nuovo Gesù storico”, a cura di Stegemann W. E al., ed. Paideia, Brescia, 2006, 273ss.). Solo sapendo questo si capisce perché tutto il clan si muove per andare a catturare Gesù ritenuto pazzo (Mc 3, 21), in quanto quel singolo membro stava rovinando la reputazione dell'Io collettivo.

[18] Così scrive il pagano Celso, Il discorso della verità contro i cristiani, I, 61-65, ed. RCS, Milano, 1997,  87 s.

[19] Marco parla di Simone il Cananeo. Il suo Vangelo è scritto in greco, ma questa non è una parola greca. Marco non dà alcuna spiegazione al riguardo, mentre spiega che boaneges (altra parola non greca) significa figli di tuono. La parola cananeo, in aramaico, significa zelota. Questa viene ritenuta un’altra prova che Marco scrive per i romani, ed era poco saggio coinvolgere Gesù con gli zeloti. Ciò suggerisce anche che questo vangelo sia stato scritto in un periodo in cui il termine zelota era ormai ben conosciuto e assai poco apprezzato a Roma, cioè non prima del momento della guerra giudaica (Connoly P., The Jesws in the time of Jesus, ed. Oxford University Press, Oxford e al. (GB), 1994, 94). Sono stati infatti gli zeloti a dar inizio alla guerra giudaica, raccontata da Giuseppe Flavio, assalendo la Fortezza Antonia e trucidando la guarnigione romana. Per i romani, gli zeloti erano terroristi.

[20] Meier J.P., Un ebreo marginale, 3, Queriniana, Brescia, 2003, 607.

[21] Sulla riva del mare, aperta a tutti (non in un seminario), Gesù comincia a chiamare. E i primi chiamati sono pescatori impuri: il loro lavoro era indegno, tant'é che nell'AT non vi sono pescatori.

[22] Innanzitutto gli ebrei non amavano il mare: non hanno solcato il Mediterraneo a differenza dei fenici, e il pescato veniva dai pescatori pagani delle popolazioni vicine; pescatori ebrei si trovavano solo sul Lago di Tiberiade, chiamato pomposamente Mar di Galilea.  Il mare era visto dagli antichi Ebrei come un oscuro e minaccioso luogo di pericolo, abitato da mostri come il Leviatan. Il mare è il simboli del male e del nulla. Il diluvio è una sorta di de-creazione posta in antitesi con la creazione. Perfino nella Gerusalemme celeste il mare non c’è più (Ap 21, 1) (Ravasi G., “Famiglia Cristiana” n.26/2020, 92).

[23] Spong J.S., Il quarto Vangelo, ed. Massari, Bolsena, 2013, 328 n.46: La negazione fondamentale della possibilità che Gesù fosse sposato è venuta da coloro che ritengono l’intima unione di Gesù con una donna in quanto moglie possa compromettere la sua divinità, in quanto le donne erano considerate in qualche modo impure e contaminatrici degli uomini.

[24] Ravasi G., Eunuchi per il Regno, “Famiglia Cristiana,” n. 27/2012, 121. I maschi si sposavano a 18 anni, ma potevano farlo dai 13 in poi (Sole F., Il matrimonio presso gli israeliti, “Palestra del clero”, 1964, 1090).

[25] Cfr. l’articolo La crocifissione al n. 499 di questo giornale, in https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-499---7-aprile-2019-.

[26] Ricordiamo come la religiosità d'Israele era all’epoca orientata invece verso un crescente rispetto e una considerevole distanza di Dio, a scapito della fiducia e della vicinanza.

[27] In effetti, oggi sembrano imporsi due visioni di Dio: quella del Dio forte (dogmatismo) e quella del Dio debole (relativismo).

[28] Cavalcoli G., L’inferno esiste, ed. Fede&Cultura, Verona, 2010, 27s.

[29] Del resto anche papa Francesco scandalizza i benpensanti di oggi perché si richiama solo ai vangeli, non ai dogmi dei teologi e neanche ai principi non negoziabili, e cerca di far capire che alla Chiesa non resta altra soluzione, né altra speranza che il ritorno al Vangelo di Gesù, e fa capire che la Chiesa cattolica deve uscire dall’ossessione in materia sessuale che l’ha caratterizzata per secoli interi.

[30] Anche a Gesù veniva contestato il fatto di non appartenere alla categoria dei dotti (Mc 6, 2;  Gv 7, 15).

[31] Peggio: l’esigenza della sequela è la rinuncia ad ogni possesso di beni (Mc 10, 17-22) se si vuol essere testimoni del vangelo (Mc 1, 16-20; Mt 8, 18-22; Lc 9, 57-62).

[32] È stata fatta questa pregnante osservazione: «a partire dal sec. III fino al sec. VIII il cristianesimo ha vissuto e gestito la Chiesa in maniera tale da creare una confusione irrisolta dopo tanti secoli. La confusione è consistita nel fatto che ha mescolato e fuso il Vangelo di Gesù con la religione che proveniva dal giudaismo e come si viveva nell’impero. Ebbene, questa fusione di “religione” e di “Vangelo” non è stata ancora risolta. Ecco perché la Chiesa, in modo del tutto naturale, vive un gran numero di cose che contraddicono ciò che Gesù, la Parola di Dio e il Figlio di Dio, ha detto e fatto. E Gesù ha dato tanta importanza a queste cose da perderci la vita. A cosa sto facendo riferimento? Al “potere” ed alla sua maniera concreta di esercitarlo. Al “denaro” e ai rapporti oscuri che la Chiesa ha con questa questione capitale. E alle “relazioni umane” che la Chiesa consente e mantiene, che non sono proprio relazioni di “uguaglianza” e “bontà” nell’amore reciproco, e che la Chiesa non risolve» (Castillo J.M., Il disinteresse per l’elemento religioso, pubblicato in spagnolo il 25.07.2020 nel Blog dell’Autore in Religión Digital - www.religiondigital.com).

[33] Perché anche se dicono di obbedire all’imperatore obbediscono prima al vescovo; perché ogni patria è per essi terra straniera come si dice nella Lettera a Diogneto (vescovo Crepaldi G., Di Cristo, non del mondo, messaggio di quaresima 2020, 18). Insomma, la Chiesa reclutava i suoi fedeli tra i comuni cittadini, ma poi pretendeva anche d’imporsi con autorità sottraendoli all’autorità dell’Impero romano.

[34] Celso, Contro i cristiani, VIII, 65-72 ed. Rizzoli, Milano, 2008, 283ss.

[35] Whitehead C., La ferrovia sotterranea, SUR, Roma, 2017, 349.