Chi era Gesù di Nazaret - VII

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Mabel Allington Royds (1874-1941) - immagine tratta da commons.wikimedia.org

(8)  “Gesù è Dio”: formula d’identità o di relazione?

 

E finalmente arriviamo all’ultimo punto, che è probabilmente anche quello più importante.

Il grande teologo tedesco Karl Rahner ha detto che la frase “Gesù è Dio” è ambigua. Infatti, l’uso della copula “è” ha due possibili significati.

Il verbo “è” indica identità, ma indica anche relazione, per cui usando il verbo “è” ci troviamo – magari senza neanche accorgercene,- su uno scambio ferroviario: si può finire su due binari completamente diversi. La formula verbale rimane sempre la stessa, ma è indispensabile tener presente questa possibilità di biforcazione perché dimenticandolo si crede che il binario sia uno solo. Di norma, infatti, quando diciamo che “Gesù è Dio” ci s’incanala sul binario della “identità,” ma così c’è un fraintendimento monofisita [1] (l’eresia di Eutiche secondo cui l’umanità di Gesù si dissolveva nella divinità enormemente superiore, come visto alla precedente nota 1 del § (1) Insegnamento ufficiale su Gesù). Perciò quando un tiepido cristiano dice: “Non posso credere che un uomo possa essere Dio, e che Dio sia diventato un uomo” sta correttamente contestando l’interpretazione monofisita del dogma [2]. Curioso come a volte, un osservatore dubbioso possa essere più vicino alla verità dottrinale di un credente che non dubita mai e impara tutte le formule a memoria.

Pertanto, nella misura in cui la formula «è» vuole esprime identità fra il soggetto (Gesù) e il predicato (Dio), non è possibile affermare quest’identità fra realtà (Dio e uomo) che, per definizione, si situano su piani radicalmente distinti. La formula tradizionale si può ancora continuare ad usare, ma – avverte Rahner -  solo se correttamente intesa secondo il criterio della cd. comunicazione degli idiomi [3] (dove il termine idioma viene inteso come sinonimo di proprietà, caratteristica, quindi scambio di proprietà, non nel senso di lingua parlata da un popolo).

Siamo cioè davanti a uno stratagemma letterario [4] (un processo metaforico) per dire che i predicati (gli attributi) di una natura possono essere applicati all’altra, sì che le proprietà del Verbo Divino possono essere attribuite all’uomo Gesù e le proprietà dell’uomo Gesù possono essere predicate del Verbo divino.

La comunicazione degli idiomi non comporta identità, perché parla di due realtà che restano diverse, distanti l’una dall’altra, - senza confusione, senza mutamento, come ricorda la seconda parte della formula di Calcedonia -  sì che Dio resta Dio e l’uomo resta uomo.

Quando, ad esempio, è stato proclamato che Maria è madre di Dio [5], si è utilizzata la tecnica della comunicazione degli idiomi perché Maria non è nella realtà madre di Dio: Dio non ha madre, e sicuramente Maria non è venuta a esistenza prima di Dio per poterne poi essere la madre. Però è chiamata così perché come madre di Gesù ha vissuto un rapporto assolutamente particolare con Dio [6]. Del resto, se dovessimo veramente prendere alla lettera siffatta formula, arriveremmo a quest’assurdo: Dio è padre di tutta l’Umanità (art. 24, 2° Catechismo Pio X) per cui è anche padre di Maria; ma se Maria è realmente madre di Dio (art.93 Catechismo Pio X), lei sarebbe allo stesso tempo sia madre che figlia di Dio.

Quando il 21 novembre 1964, alla chiusura della Terza Sessione del concilio Vaticano II, papa Paolo VI, durante la solenne concelebrazione, proclamò Maria santissima «Madre della Chiesa [7], cioè di tutto il popolo di Dio, tanto dei fedeli come dei pastori», utilizzò nuovamente la comunicazione degli idiomi. È evidente che Maria non ha partorito né me, né nessuno di voi lettori, anche se tutti concorriamo a formare il popolo di Dio, cioè la Chiesa.

 

Allora, se una cosa è l’identità e un’altra cosa è la relazione, dobbiamo chiederci: la formula “Gesù è Dio” è formula d’identità o di relazione?  Le chiare esposizioni di Rahner e di Molari [8] mi sembrano inconfutabili. Vediamole.

Io posso dire: “Maciste è un uomo”. In tal caso l’uso del verbo “è” serve per identificare il soggetto, e visto che tutti conosciamo il significato del predicato “uomo”, la frase è senz’altro chiara: ci riferiamo a quell’omone grande e grosso.

Ma posso anche dire di quello stesso uomo: “Maciste è un leone”. Anche in tal caso il significato è chiaro, ma il verbo “è” assume un significato del tutto diverso perché non descrive più l’identità di Maciste, ma mette in relazione il soggetto Maciste con certi attributi che lo fanno somigliare a un altro soggetto (il leone): il collegamento fa pensare che Maciste abbia il coraggio o la forza di un leone. La distinzione fra uomo e leone resta sempre reale, eppure abbiamo usato sempre lo stesso identico verbo “è”.

Quando, ad esempio, nel vangelo Gesù dice che Erode è una volpe (Lc 13, 32), non vuole di certo affermare che il tetrarca Erode è realmente una volpe, ma che agisce in base a certe caratteristiche di furbizia che richiamano l’immagine che noi abbiamo della volpe. Nessuno, quando Gesù ha detto che Erode è una volpe, ha pensato a un’identità. Nessuno. Tutti si rendevano conto che Erode non aveva la struttura di una volpe, ma si affermava una relazione che dipendeva da un suo comportamento.

Perché non interpretiamo allo stesso modo la frase “Gesù è Dio”? Perché pensiamo solo in termini di identità? Per il semplice fatto che fin dall’inizio ci hanno bombardato con l’idea che si tratta di identità, e noi abbiamo trangugiato tutto quanto ci veniva proposto, senza porci alcuna domanda. Invece anche qui si deve fare lo stesso discorso.

Quando diciamo che “Il Verbo eterno, il Logos è Dio”, stiamo dando una definizione identitaria, perché Logos e Dio sono identici. E affermando che il Figlio (Logos) è esattamente uguale al Padre e partecipa della divinità esattamente come il Padre, si rispettano i dogmi conciliari (anche se non sappiamo esattamente cos’è la natura divina).

Se però diciamo: “Il Logos è un uomo, Gesù,” diamo una definizione di relazione, e anche in questo caso resta sempre reale la distinzione fra Logos e Gesù, intendendo che Gesù per tutta la vita ha diffuso la Parola (il Logos) di Dio in modo così insuperabile e potente, da sembrare identificabile con il Logos, e quindi con Dio stesso, come Maciste sembra identificabile, per la sua forza e coraggio, con un leone. Ma Gesù e Logos restano distinti, come restano distinti Maciste e il leone.

Il Logos divino è dinamismo, forza, azione di Dio all'interno della storia umana (irradia luce, suscita i profeti). Dunque c'è sempre questa presenza del Verbo eterno che si esprime nella storia, e Gesù-uomo ne è l’icona visibile che meglio ha manifestato questo Verbo-divino invisibile (Col 1, 15), è l’immagine di Dio nella sua umanità. Non è invece una persona proveniente da un’altra dimensione, ma una persona terrena in cui è emersa una nuova coscienza di Dio [9].

Quando diciamo che “Gesù è uomo” lo diciamo per identità, perché Gesù è il nome di una specifica realtà umana; è quell’uomo che è nato da Maria e da Giuseppe, cresciuto e morto in Palestina duemila anni fa.

 “Gesù è Dio” lo diciamo invece per relazione, per come ha diffuso la sua Parola. Ma Gesù, nella sua realtà umana, resta esclusivamente umano. Gesù è un uomo sorto all’interno della storia: dal tronco di Iesse germoglierà un virgulto (Is 11, 1), dice la stessa Scrittura. Sappiamo che Iesse è il padre di Davide (Mt 1, 6), per cui Gesù, sorto dalla terra, è un discendente di Davide (At 2, 30), in quanto Giuseppe è discendente di Davide (Mt 1, 6 e16). Che Gesù derivi dalla stirpe di Davide è confermato anche in Ap 5, 5 e 22, 16, e in Rm 1, 3, dove però Paolo aggiunge che fu intronizzato come figlio di Dio con potere (cioè effettivamente) solo al momento della resurrezione, diventando così partecipe della posizione e del potere dell’unico Dio [10].

Però - attenzione - se si afferma che Maria non ha concepito Gesù con Giuseppe, sarebbe ovviamente perduta la discendenza di Gesù da Davide [11], visto che solo Giuseppe (e non Maria [12]) è discendente di Davide  [13] (Mc 10, 47; Mt 1, 16; Rm 1,3-4; 2 Tm 2, 8). Se il padre non fosse Giuseppe, Gesù sarebbe ebreo [14] perché nato da Maria, ma non sarebbe discendente di Davide. Per di più, se Gesù fosse nato senza seme maschile portante il cromosoma Y, e quindi solo con tutti i cromosomi X, sarebbe dovuta nascere una femmina.

Ma a questo punto non c’è da scandalizzarsi sentendo dire che Gesù ben può essere nato anche da un rapporto umano, come tutti noi, cioè da Giuseppe e Maria. A molti sembrerà strano, ma proprio un conservatore come papa Benedetto XVI ha riconosciuto che “la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un normale matrimonio umano. Infatti, la figliolanza divina, di cui parla la fede, non è un fatto biologico” [15].

Per Giovanni la discesa del Logos avviene al momento del battesimo (Gv 1, 29-34), e in quel momento, in Gesù si è incarnato il Logos coeterno a Dio (Gv 1, 14; 1, 32). A quel punto l’umano Gesù diventa Cristo, e ciò non dipende né dal padre, né dalla madre terreni. Per il resto, l’evangelista non ha remore a scrivere che Gesù è figlio di Giuseppe (Gv 1, 45; 6, 42). Anche per Paolo Gesù, come tutti gli umani, è nato semplicemente da una donna normale (Gal 4, 4 non sostiene che Maria fosse vergine), perché è un discendente diretto di Davide secondo la carne (Rm 1, 3), e abbiamo visto che questa discendenza non dipendeva dalla carne di Maria.

Quello che deve essere chiaro è che non possiamo leggere i vangeli come fossero libri di biologia o ginecologia. Secondo la mentalità di allora il seme del padre faceva tutto, e quindi solo il padre generava il figlio [16]; ma il padre non trasmetteva solo la vita: in primo luogo consegnava al figlio tutto il suo bagaglio di valori religiosi e di insegnamenti morali [17]. Quindi, essere “figlio di…” indicava soprattutto che il padre trasmetteva poi al figlio i valori del popolo, della tradizione, per cui il figlio, crescendo, sarebbe somigliato al padre [18]. Israele attendeva un Messia che era considerato figlio di Davide, il re d’Israele per antonomasia (Gv 12, 13), il più grande re che Israele avesse mai avuto [19], non perché generato da Davide morto da centinaia d’anni, ma perché si sarebbe dovuto comportare come Davide, il quale con la forza aveva conquistato il potere e instaurato il grande regno di Israele. Questo è il Messia che si aspettavano anche gli apostoli [20].

Il Vangelo dell’infanzia [21] di Matteo è centrato su Giuseppe e non su Maria; si dice perché vuol mettere in risalto il compimento delle Scritture secondo cui Gesù discende veramente da Davide [22]. Forse, invece, Matteo vuol solo far capire che Gesù è figlio di Dio, non di Giuseppe, per cui la verginità di Maria [23] non sarebbe l’affermazione di un fatto reale, quanto uno stratagemma letterario, un modo per dire che non Giuseppe, ma un altro Padre, trasmetterà tutti i valori a questo figlio [24]. Se Maria avesse concepito Gesù con Giuseppe, nella cultura di allora tutti si sarebbero aspettati che Gesù somigliasse a Giuseppe. Per farlo apparire immagine di Dio, il padre doveva essere Dio. Ma oggi i tempi sono cambiati e il senso teologico della concezione verginale potrebbe essere allora questo: mancando di padre umano (Mt 1, 18; Lc 1, 31-35) Gesù non ha per modello un uomo, né risulta condizionato da una tradizione ereditata dal padre terreno; il suo unico modello è il Padre, è Dio; e solo da lui riceve il messaggio che dovrà trasmettere agli uomini [25], per cui sarà Figlio di Dio. Possiamo pertanto dire che Gesù non è Figlio di Dio perché nato in modo miracoloso, ma perché ha accolto con fedeltà la Parola del Padre [26] fino a esprimerla in maniera unica e superba [27]. L’uomo Gesù ha avuto semplicemente un ruolo rivelatore di Dio che è stato unico.

Non possiamo neanche dimenticare che anche ogni evangelista credeva alla realtà di ciò che raccontava, pur se oggi inattendibile sul piano scientifico, perché l’evangelista apparteneva a una cultura che credeva in un Dio posto nell’alto dei cieli e che poteva intervenire a piacimento perché per Lui nulla era impossibile [28].

Oggi siamo in grado di dire che Gesù non ha perfezioni ultraumane, non ha qualità esclusivamente divine, ma avendo tolto tutto l’in-umano che ogni uomo porta in sé, è diventato tanto umano da essere icona di Dio. Questa immagine di Dio non è qualcosa che si aggiunge alla natura umana già realizzata, ma è, la stessa natura umana continuamente rapportata a Dio [29].

E allora tutti quei dubbi che abbiamo visto in precedenza al §(2), ai quali non sapevamo rispondere (perché immagino che nessun lettore ha saputo rispondere), partono da un presupposto sbagliato [30]: che cioè la formula “Gesù è Dio” sia un’affermazione di identità. Se invece riconosciamo che l’uomo resta uomo e Dio resta Dio, che l’uomo Gesù è nato all’interno di una comunità, lì è cresciuto, lì è stato educato da quella comunità che ha reso possibile la sua crescita umana…certo allora che pregava, certo che cresceva in sapienza e grazia, certo che vedeva veramente buono soltanto Dio. Non ci poteva essere confusione o commistione fra le due nature (divina e umana) secondo il concilio di Calcedonia.

In altre parole, Gesù non ha origine in qualcosa di non-umano disceso dal cielo, come Dio-Verbo. Gesù non è un viaggiatore divino che si presenta in terra mascherato da essere umano. Quando usiamo i termini “è” e “discesa dal cielo” siamo nel campo delle metafore.

La metafora sottolinea un rapporto di somiglianza tra due cose diverse, dove alla fine una cosa sembra l’altra. Quando Gesù dice: “Voi siete il sale della terra” [31] (Mt 5, 13) non sta mica dicendo che gli uomini sono fatti di sale. Il sale resta sale, l’uomo resta uomo, così come Dio resta Dio e l’uomo Gesù resta uomo. La forza della metafora sta nell'audacia di connettere cose lontane. Nella metafora [32] la copula “è” indica relazione; non indica mai identità per cui non descrive ciò che è veramente accaduto. Il grave è quando una metafora viene interpretata come fosse realtà storica oggettiva.

Quando si è cominciato a usare l’espressione “discese dal cielo” questa era accettata culturalmente da tutti perché nella cultura di allora tutti credevano che Dio abitasse sopra di noi, al settimo cielo, per cui usavano categorie spaziali come fossero realtà oggettiva [33]. Lo stesso Gesù uomo pensava così, tanto da insegnarci la preghiera: “Padre nostro che sei nei cieli…” (Mt 6, 9), e quando pregava levava gli occhi al cielo (Gv 17, 1). Quindi Gesù, uomo come tutti gli uomini del suo tempo, è stato influenzato dalla cultura del suo tempo. Oggi sappiamo che il richiamo al discendere dal cielo si riferisce in realtà all’azione di Dio nella storia, e quindi ci rendiamo conto che stiamo usando una metafora. Gesù non scende dal cielo ma nasce dalla terra, non è Dio che si nasconde in un uomo e neppure un uomo che diventa Dio. È un fiore che Dio fa sbocciare sulla terra e che raggiunge una forma tale di amore da avverare una nuova fase della storia umana [34].

Dio è creatore [35], e come tale è presente già profondamente in ogni sua creatura, mentre dire “discende dal cielo” suggerisce l’idea che prima non era presente; invece Dio era già presente in tutta la creazione e quindi anche nella storia. Scrive Panikkar [36]: dire che Dio discende significa tradurre spazialmente ciò che non è nello spazio. Dio non è nello spazio, per cui non può discendere. Gesù, uomo che vive nel tempo e nello spazio, è lo spazio in cui Dio si è reso visibile e conoscibile. Ecco perché chi vede Gesù vede Dio (Gv 14, 9). Gesù, che conosce il Padre conosce la via, e noi possiamo andare al Padre che non conosciamo perché conosciamo Gesù, e seguendo lui percorriamo la via che lui ci ha indicato, garantendoci che porta al Padre. E sappiamo che la sua via è quella giusta perché abbiamo sperimentato che fa fiorire la vita; sappiamo che quella via esprime la parola viva di Dio perché fa vivere [37]. Invece un atto che magari noi riteniamo anche sacro, eseguito in nome di una religione, è sempre blasfemo se distrugge la vita. In questo senso è possibile dare un significato autentico all'affermazione secondo cui Gesù è la rivelazione di Dio, o dire che Gesù ci ha rivelato chi è Dio e come è Dio [38]. Gesù rimane la nostra porta d’accesso a Dio, ma anche se è la porta di noi cristiani, non è l’unica [39].

Quando Gesù dice: «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato» (Lc 10, 16), propone una sequenza che, in definitiva, viene a identificare Gesù con Dio da una parte, ma anche Gesù con gli esseri umani dall’altra. Per cui risulta questa sequenza: Dio = Gesù = essere umano. Attenzione! Siamo davanti a un’equivalenza. A un’equivalenza, non a una differenza, perché non si sottolinea solo uno degli elementi rispetto agli altri elementi. Certo, sarebbe logico porre l’accento su Dio, perché per definizione Dio è più che l’uomo. Ma invece quello che qui si afferma è che colui che per definizione è il di più, si è fatto uguale o equivalente. Vale a dire, in Gesù, Dio si è identificato con l’essere umano. E l’equivalenza non si stabilisce soltanto con i discepoli, non con le persone più virtuose, ma si afferma in maniera stupefacente con i bambini (Lc 9, 48), o con i garzoncelli che venivano presi a calci nel sedere da tutti gli uomini adulti, cioè con i “nessuno” di allora, con quegli esseri insignificanti che mancavano di ogni diritto e di ogni dignità. Proprio con tali esseri umani s’identifica Dio, e fino ad essi si abbassa e si riduce Dio [40]. In altra occasione Gesù dirà di essere venuto per servire e non per essere servito (Mt 20, 28), quindi l’identificazione avverrà non più con i bambini, ma con gli schiavi, altri esseri senza diritti e dignità [41].

Allora non si può più localizzare Dio in alto, mentre gli uomini stanno in basso. Dio non si può proprio localizzare. Oggi, forse, sarebbe più appropriato dire che Dio sta nel profondo di noi uomini. Dovremmo guardare dentro di noi, non lassù in alto. Dio non sta né in cielo, né nei templi, né nelle cerimonie religiose. Dio non si localizza nemmeno in ciò che è sacro, né in ciò che è santo, e neanche nella religione. Dio – per quel che possiamo sapere di Lui dopo le spiegazioni di Gesù,-  sta nella storia delle nostre reciproche relazioni. Quindi al Dio di Gesù non ci avviciniamo scalando il cielo, cercando di divinizzarci, ma al contrario «umanizzandoci», relazionandoci fraternamente con gli altri, anche i più umili e insignificanti, anche con quelli che vorremmo prendere a calci nel sedere. Gesù ci ha insegnato che quello che Dio vuole fra di noi è la fraternità.

A prescindere da ciò che è realmente accaduto con gli ammalati e gli indemoniati di cui parlano i vangeli, una delle cose certe è che, mediante questi racconti vari, si informano i cristiani che per Gesù, fondamentale nella vita è la salute delle persone. Col che Gesù ci sta dicendo che una delle cose che più interessano al suo (e nostro) Dio-Padre è la salute, la vita, la dignità e la felicità degli esseri umani. Si tratta pertanto di un messaggio religioso che modifica radicalmente la religione [42]. Perché Gesù viene a dirci che la religiosità si deve intendere e praticare in modo tale che, prima del culto religioso, prime delle cerimonie sacre, prima delle preghiere, prima delle chiese (templi) con tutte le loro liturgie, sta la vita delle persone, la salute delle persone, la dignità e la felicità degli esseri umani. Detto in altro modo, per Gesù, e per il Dio di Gesù, l’umano sta prima del sacro, prima del religioso e perfino prima del presunto divino [43]. E – come ricorda Leonardo Boff nel suo libro Soffia dove vuole, per umano s’intende ogni persona umana concreta, indipendentemente dal fatto che sia credente o meno.

Non avete mai sentito dire questo? Eppure, come sempre, troviamo nei vangeli conferma di quest’affermazione che può apparire originale. Ad esempio troviamo: «Chi mastica la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna» [44], ed il verbo al presente viene usato due volte (Gv 6, 48 e 6, 54). La vita eterna per Gesù non è allora un premio futuro (il paradiso) per aver rispettato su questa terra la legge divina, dove si è vissuto con le mani giunte e lo sguardo rivolto verso l’alto, staccandosi dalla propria carne e da quella degli altri, ma è la possibilità di una qualità di vita superiore già qui, nel presente. Gesù non usa il futuro, e non dice, infatti: “avrà la vita eterna”. La vita eterna c’è già. Chi, come lui, fa della propria vita un dono d’amore gratuito per gli altri, ha una vita di una qualità tale che è indistruttibile, e quando la prima morte, quella biologica, lo coglierà passerà indenne attraverso di essa (promessa di resurrezione). Dunque, non c’è più una legge esterna da osservare, dei culti da seguire, ma un modello di vita (quello offerto da Gesù) da assimilare e da seguire. Gesù ha fatto la fine che sappiamo perché ha anteposto il bene delle persone ai doveri imposti dalla religione. Solo chi è disposto a questo, nella vita percorre la stessa strada di Gesù: prima di tutto il benessere degli uomini che incrociano la nostra strada. Per Gesù il centro, il fulcro che porta a Dio, non si trova allora nel soprannaturale o nella ricerca del sacro, ma si trova nell’umano, nella vita quotidiana di questo mondo, che viene elevata a un ordine soprannaturale mettendoci in contatto con Dio: è nell’umano che dobbiamo trovare Dio; la gloria di Dio viene resa visibile attraverso un amore servizievole. Del resto, visto che l’uomo non è in grado di sorpassare l’umano, se cercasse il soprannaturale finirebbe col fuggire dalla realtà che lo circonda. È la religione che mira al sovraumano, al soprannaturale, che separa noi qui in basso e Dio lassù in alto. Gesù ci ha ricordato che Dio si trova invece nel servizio, nella bontà, nell’amore verso gli altri uomini, mettendo tutto questo al centro della nostra vita. E pure san Paolo ci ricorda: anche «se ho tanta fede da smuovere i monti, ma non ho amore, io non sono niente» (1Cor 13, 2).

Altro caso: quando i farisei chiedono a Gesù se è lecito curare di sabato, Gesù risponde allargando il quesito al valore di ogni uomo, e riconferma che il bene dell’uomo è più importante dell’osservanza dei precetti divini (Mt 12, 9-12); detto fatto, nonostante la legge (asseritamente divina) stabilisca che chi cura di sabato è passibile di morte, Gesù guarisce l’uomo dalla mano inaridita, violando pubblicamente e volontariamente la legge (Es 31, 14), e quindi – secondo la religione – in quel momento pecca offendendo immensamente Dio che ha voluto dare agli uomini la legge del sabato. Ai farisei interessa l’osservanza della legge, la tradizione e la sottomissione della gente a queste regole. A Gesù interessa ovviare alla sofferenza degli uomini. Ecco perché si è detto che Gesù è la vita perché dà la vita, mentre spesso le religioni sono blasfeme perché la tolgono.

Gesù è una presenza divina che invita tutti ad aprirsi a questa nuova dimensione, cioè di quel che significa essere veramente umani. Con Gesù c’è un nuovo risveglio della vita, trasmissibile ad ogni generazione. Dio vuole che la vita divina scorra nella vita terrena delle persone. Gesù dice: “io sono la vita umana nella quale è presente la vita di Dio. Io scorro in voi. La vostra vocazione è di stare attaccati alla vite. Un tralcio non porta frutti se non rimane attaccato alla vite” (Gv 15, 1-8). Quindi Gesù non redime chi è caduto, il peccatore, ma trasforma chi si è aperto a questa nuova dimensione [45].

Dario Culot

 

                                                                                                                                 (continua)

[1] Rahner K., Corso fondamentale sulla fede, ed. Paoline, Alba, 1977, 374s.

[2] Idem, 375.

[3] Idem, 371 e 374s.  Rahner è di solito piuttosto tortuoso, ma qui mi sembra assai chiaro. Egli scrive che quando la cristologia dice Gesù è Dio, questa verità può essere intesa in modo retto se applichiamo la comunicazione degli idiomi, ma più facilmente anche in modo monofisitico, e quindi eretico. Infatti, se dicendo Gesù è Dio intendiamo identificazione, interpretiamo erroneamente: c’è un fraintendimento monofisitico.  Ocáriz F. e al., The Mistery of Jesus Christ,  ed. Four Courts Press, Dublin (Irl), 2004, 109. Placher W.C., A history of christian theology, ed. Westminster John Knox Press, Louisville-London, 1983, 83 ricorda che Cirillo fu il primo a usare la communicatio idiomatum: i predicati di una natura possono essere applicati all’altra. Cristo ha fatto miracoli come Dio e sofferto come uomo; ma si può dire anche l’inverso. Però è anche chiaro che, di per sé, Dio non può né soffrire, né morire.

[4] La letteratura è piena di espedienti letterari: si pensi solo a Matteo, l’unico evangelista a parlare del regno dei cieli, dove però «cieli» è un espediente per evitare di usare il nome sacro di Dio (Matteo scrive per gli ebrei, che non potevano usare il nome di Dio). Nelle opere teatrali di Euripide, l’intervento improvviso divino (il famoso deus ex machina) risolve inaspettatamente problemi altrimenti irrisolvibili. Altro esempio di espediente si ha all’inizio della Divina Commedia, dove Dante Alighieri si perde in una selva oscura, incontra tre bestie feroci, da cui lo salverà il poeta Virgilio: chiaramente anche qui l’espediente rimanda a un senso più profondo e non descrive una situazione reale.

[5] Ci è stato insegnato che se neghiamo la Maternità Divina di Maria miniamo alle radici la nostra fede cristiana. Noi possiamo dire in tutta verità che la Madonna è vera Madre di Dio per il fatto che Gesù è il Figlio di Dio, la seconda Persona della Santissima Trinità, e per il fatto che Egli si è fatto uomo nel grembo della Vergine Maria, prendendo una vera natura umana. Dunque, se Gesù è Persona divina, in due nature, quella umana e quella divina, la Madonna è Madre di Dio.

[6] Dobbiamo invece pensare che quando si dice che lo spirito di Dio, cioè la presenza di Dio, viene effuso su Maria (Lc 1, 34s.) o su Gesù (Mc 1, 10), non siamo davanti a una divinità camuffata da essere umano, ma a un essere umano pervaso dallo spirito di Dio.

[7] Ci è stato spiegato che divenendo Madre di Dio, Maria è divenuta anche Madre nostra. Dando alla luce il Capo del Corpo mistico, Gesù, Ella ha dato alla luce anche le membra di questo Corpo, che siamo noi.  Essendo Madre del Redentore è anche Madre del Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa. Quindi è Madre della Chiesa. Ma se è Madre della Chiesa e anche Madre di ciascuno di noi (Benedetto XVI, La gioia della fede, ed. San Paolo Cinisello Balsamo (MI), 2012, 119). Evidente che anche il papa emerito, non mettendo in evidenza la distinzione fra identità e relazione, può concorrere a confonderci le idee.

[8] Il dogma di Calcedonia afferma che Gesù, nonostante l’unione ipostatica, è vero uomo. La copula “è” che troviamo nella formula Gesù è Dio è diversa da quella che si ha quando diciamo che “Mario è un uomo”; la seconda indica identità, mentre «tale identità invece manca nel caso di Gesù tra la sua umanità e Dio; anzi in una corretta interpretazione del dogma essa non viene affermata ma esclusa» (Rahner K., Nuovi Saggi IV, ed. Paoline, Roma, 1973, 270). Cfr. anche Molari C., Problematiche cristologiche, incontro di Roma 9.2.2013.

[9] Spong J.S., Il quarto Vangelo, ed.Massari, Bolsena, 2013, 32.

[10] Theissen G., La religione dei primi cristiani, Claudiana, Torino, 2004, 79, 86.

[11] Kautsky K., L'origine del cristianesimo, ed. Samonà e Savelli, Roma, 1970, 331: Maria non ha concepito Gesù con Giuseppe. Poiché Dio non si è congiunto con lei come uomo, ma come spirito, essa è rimasta vergine. Ma con ciò va perduta la discendenza di Gesù da David.

[12] Meier J.P., Un ebreo marginale, I, Queriniana, Brescia, 20063, 210s.

[13] Ibidem, 210s.

[14] La Nostra Aetate sottolinea come Gesù, Maria, gli apostoli erano tutti ebrei. Gesù è ebreo e lo è per sempre (Sussidi della Pontificia Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, III, 1, 1985). Questo resta un punto fermo, anche se un consigliere comunale triestino, che si dichiara fervente cattolico, ha scritto nel novembre 2019 al quotidiano locale “Il Piccolo”, di essersi sentito offeso avendo la senatrice Segre dichiarato che Gesù era ebreo.

[15] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, ed, Queriniana, Brescia, 2005, 265.

[16] AA.VV., Il cristianesimo questo sconosciuto, ed. Didaskaleion, Torino, 1993, 612. Vedasi l’inizio del Vangelo di Matteo, dove i padri generano solo figli maschi; poi, però, c’è un terremoto, perché è Maria a generare Gesù: inconcepibile per la mentalità maschilista di allora e non solo di allora, visto che molte traduzioni non sono fedeli neanche oggi al testo greco che usa sempre lo stesso verbo generare, e riportano ancora oggi che da Maria nacque Gesù.

[17] Maggi A., Gesù ebreo per parte di madre, ed. Cittadella, Assisi, 2007, 20.

[18] Mateos J. e Camacho F., Il Vangelo di Matteo, ed. Cittadella, Assisi, 1995, 23. Maggi A., La follia di Dio, ed. Cittadella, Assisi, 2010, 103.  Pérez Márquez R., L’apocalisse della Chiesa, ed. Cittadella, Assisi, 2011, 89.

[19] Anche qui emerge il pessimismo storico di Israele: la proclamata grande estensione del regno di David non ha trovato conferma documentale; probabilmente il re che estese al massimo il regno d’Israele fu Giosia; ma David fu idealizzato come capostipite, perché il passato è stato sempre visto come epoca d’ora, cui segue solo una lenta decadenza; quindi re Giosia non poteva essere più grande del capostipite. La nostra mentalità è spesso ottimisticamente proiettata nel senso opposto: noi pensiamo che più si avanti più si progredisce, ma neanche questo è necessariamente vero.

[20] Come risulta ad esempio dall’episodio in cui Gesù trova gli stessi che discutono con gli scribi sulla venuta di Elia, quale battistrada del Messia: Malachia (Ml 3, 23) aveva messo in bocca a Dio: «Io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore». Elia, del resto non era morto, ma era stato assunto in cielo (2Re 2, 1-13). Altro es.; dopo aver mandato i 12 apostoli in missione (Lc 9, 1) col potere di curare le malattie e cacciare gli spiriti maligni, Gesù manda anche i 70 non ebrei (Lc 10, 1) e solo questi ultimi riescono a cacciare gli spiriti maligni (Lc 10, 17; Lc 9, 6 e soprattutto 40). Come mai? Proprio perché gli apostoli ebrei non essendo ancora liberi, non riescono a liberare. Mentre gli ebrei fanno fatica a riconoscere l’innovazione liberatoria portata da Gesù (Mc 6, 3), a credere cioè che gli altri popoli siano uguali a loro e non impuri, a convincersi che il Messia tanto atteso non è venuto per renderli ricchi e padroni del mondo (Is 14, 2; Is 60, 5-6; Is 61, 5-6), i pagani la recepiscono e accolgono la novità più facilmente, privi come sono dei pregiudizi degli ebrei (vedasi anche Mc 7, 30). I farisei, che col Regno di Dio aspettavano la supremazia d’Israele che sarebbe durata in eterno, lo chiamavano appunto Regno di Davide (2Sam 7, 11-13), ma erano convinti che esso non sarebbe arrivato fino a quando ogni famiglia non avesse osservato perfettamente tutte le norme e tutti i precetti della Legge. Quindi la prima colpa del ritardo era dovuta all’immoralità delle prostitute, al ladrocinio dei pubblicani collaboratori dei pagani invasori, e degli impuri pastori (Maggi A., Versetti pericolosi, ed. Fazi, Roma, 2011,13.): immaginate quanto odio e disprezzo suscitavano queste categorie di persone. Quando Gesù parla del regno di Dio ormai vicino la gente fraintende, perché si aspetta il regno di Israele inaugurato dal Messia. E perché gli ebrei aspettavano con impazienza l’arrivo del Messia? Perché dopo il palese fallimento del messianismo dei re, evidentemente non inviati da Dio, ma anzi da Lui castigati, solo un Messia inviato direttamente da Dio, che avesse agito totalmente secondo il volere di Dio, avrebbe riscattato Israele.

[21] I vangeli dell’infanzia di Matteo e Luca  sono gli ultimi a venire alla luce (Da Spinetoli O., Il Vangelo di Natale, ed. Borla, Roma, 1996, 66).

[22] Bortuzzo A., conferenza sui Vangeli di Matteo e Luca, tenuta a Trieste, il 31.1.2012.

[23] Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, ed. Massari, Bolsena, (VT), 2010, 170: in Giovanni non c’è nascita soprannaturale, Gesù sembra figlio di Giuseppe (Gv 1, 45; 6, 42); l’evangelista sostituisce alla nascita verginale la preesistenza, giustificando in tal modo il potere soprannaturale di Gesù. L’idea della preesistenza (nel prologo) radicherà la successiva dottrina cristiana della divinità di Gesù (Spong J.S., Il quarto Vangelo, ed.Massari, Bolsena, 2013,68), così come ha fatto l’idea della nascita verginale ad opera dello Spirito santo. In realtà, all’inizio troviamo una cristologia debole (Gesù è il nuovo Mosè, un profeta, come si vede dai continui raffronti che fa Matteo)  e una cristologia forte (Gesù è rappresentato principalmente in termini divini: ‘Io sono’). Ma solo in seguito questi concetti saranno interpretati in modo letterale, all’interno di un modo dualistico di ragionare proprio dei greci, per cui dicendo che Gesù è totalmente umano e totalmente divino, la credenza cristiana ha cercato di tenere unite queste due cristologie (Spong J.S., Il quarto Vangelo, ed. Massari, Bolsena, 2013, 36s e 45).

[24] Martini C.M. Il messaggio della salvezza. Corso completo di studi biblici, IV, Elle Di Ci-Leumann, Colle di Bosco (AT) e Torino, 1964, 172 e 159 nota 9: qui si parla, come una delle tesi possibili, di un racconto che prende spunto dalla Bibbia, ma è un genere di racconto edificante ed esplicativo in cui la parte amplificata è reale, ma resta subordinata al fine religioso essenziale, che è di mettere maggiormente in luce l’opera di Dio.

[25] Mateos J., L’utopia di Gesù, ed. Cittadella, Assisi, 1991, 182s.

[26] Molari C., Quei tanti Gesù. Approcci recenti in cristologia e soteriologia, 316, in https://books.fbk.eu/media/pubblicazioni/allegati/Carlo_Molari_309-337.pdf

[27] Paolo invita Timoteo con veemenza a predicare il «Verbum», la Parola. (2Tm 4, 2). Ma Gesù va oltre e invita tutti noi a diventare Verbo: “sii tu stesso la continuazione dell'Incarnazione che non è finita con me, anzi in questo me ci sei anche tu”. Questo è il senso ultimo dell'eucaristia (Panikkar R., La pienezza dell'uomo, ed. Jaca Book, Milano, 2000, 163), a prescindere dal fatto se il prete la dà con le mani, con le pinzette o con i guanti causa coronavirus. 

[28] Lenaers R. Gesù di Nazaret,Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR),2017, 61.

[29] Maggi A., Le domande frequenti…e le relative risposte – Figlio dell’uomo – Figlio di Dio, in www.studibiblici.it.

[30] È importante riconoscere che, cercando di chiarire la natura e la persona di Gesù, si sono sollevate domande di tipo sbagliato (Rohrbaugh R., Etnocentrismo e questioni storiche, in Il nuovo Gesù storico”, a cura di Stegemann W. E al., ed. Paideia, Brescia, 2006, 285).

[31] Cioè, la vostra vita deve essere così autentica che chi vi conosce non abbia altra scelta che dire: questo modo di vivere è possibile solo perché questa gente crede in qualcosa o in Qualcuno che ci supera tutti. Non è la forza degli argomenti. È la forza della vita che convince e seduce.

[32] La metafora è un paragone implicito tra due realtà lontane che hanno però un elemento in comune. In sostanza, la metafora potrebbe essere considerata una similitudine implicita (Marco è una talpa; Gesù è Dio), perché manca di quelle congiunzioni che invece si utilizzano nella similitudine esplicita (es. di esplicità: “Marco è cieco come una talpa” o “Gesù è l’icona di Dio”). Molari C. (Quei tanti Gesù. Approcci recenti in cristologia e soteriologia, in internet più siti: digitare Carlo Molari approcci recenti), spiega: alcuni teologi, soprattutto in dialogo con le altre religioni, hanno sottolineato il fatto che parlare di incarnazione è utilizzare una metafora. E da questo deducono che l’incarnazione sia un mito oggi insostenibile. Che il termine incarnazione sia una metafora, non vi è alcun dubbio. Che la metafora sia spesso intesa in senso non giusto e mitologico, ad esempio come discesa di un essere celeste in forma umana, o come ingresso in un corpo in formazione di una persona divina, è ugualmente vero. Ma tutto questo non è sufficiente per negare la realtà del profondo rapporto di Gesù con Dio, espresso appunto con l’idea di incarnazione. Essa, infatti, vuole descrivere l’incidenza che il Verbo e lo Spirito di Dio hanno esercitato in Gesù lungo tutta la sua esistenza. Giovanni esprime questa esperienza di Gesù con le formule: «Io non faccio nulla da me stesso» (Gv 8,28), «le parole che io vi dico non sono mie. Il padre compie in me le sue opere» (Gv 14,10). In questo senso «incarnazione» indica una realtà molto più ampia e profonda di un evento miracoloso, esprime una storia personale di Gesù che, attraverso la sua risurrezione, si prolunga nella storia umana, nella quale lo Spirito suscita ancora figli di Dio. Non ha senso perciò rinunciare alla metafora solo perché si è prestata ad abusi. Essa infatti consente di esprimere un’idea essenziale all’esperienza cristiana: Dio si è rivelato attraverso la storia di Gesù.

[33] Analogamente, per andare in cielo, bastava salire in cielo. Ma quando Copernico e Galileo misero in dubbio il cielo a più piani, la cosa si complicò. L’ascensione non era più credibile (Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, ed. Massari, Bolsena, (VT), 2010, 187).

[34] Molari C., Gesù disceso dal cielo o sbocciato sulla terra?, Rocca n.10/2013, 52.

[35] Come ha detto un arguto teologo, Dio offre alle creature, non si sostituisce mai alle creature, perché appunto le crea. Non sarebbe creatore. Dio è creatore, e quindi costituisce le creature, non le sostituisce, non aggiunge nulla in più. Altrimenti pensate che i piccoli morirebbero di fame se Dio si sostituisse alle creature? No. Dio offre alle creature di alimentare, di diventare forza d’amore, ma le creature devono diventarlo. Se non lo diventano c’è il male nel mondo. Non ci sarebbe il male se Dio sostituisse le creature. Dio come creatore è creatore, è solo e sempre creatore, cioè dà la possibilità, non impone; offre, non sostituisce, costituisce le creature. Dio non può sostituire le creature. Semplicemente suscita. Dio, come creatore, offre possibilità, ma non si sostituisce alle creature (Molari C., Gesù, chi?, relazione tenuta a Trieste il 27.2.2016, presso la chiesa Santa Teresa del bambino Gesù).

[36] Panikkar R., Trinità ed esperienza religiosa dell'uomo, ed. Cittadella, Assisi, 1989, 104.

[37] Si può ricordare come spiritualità orientale e occidentale siano spesso vicine: “Il vero miracolo non è camminare sull’acqua o camminare nell’aria, ma semplicemente camminare su questa terra e farla fiorire dove sei passato” (monaco buddhista Thích Nhất Hạnh).

[38]Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 163.

[39] Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, ed. Massari, Bolsena, (VT), 2010, 266.

[40] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 158ss.

[41] Spong J.S., Il quarto Vangelo, Massari, Bolsena, 2013, 209: Gesù chiude la sua vita chiedendo di riflettere: io vi ho servito, assumendo il ruolo di servitore. Questo è ciò che fa l’amore. Quando il mio amore vivrà in voi, voi servirete il mondo. Darete il vostro amore e la vostra vita agli altri.

[42] Spong J.S., Il quarto Vangelo, Massari, Bolsena, 2013,121: Giovanni è quello che più di altri ha capito che Gesù rappresentava una nuova dimensione umana, una nuova dimensione di vita, un nuovo modo di rapportarsi al sacro, una nuova visione, una nuova vita.

[43] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 240s.

[44] Mangiare la mia carne significa prendere la vita di Gesù dentro la nostra (Spong J.S., Il quarto Vangelo, Massari, Bolsena, 2013,170s.).

[45] Idem, 235ss.