L’ora della Bora – Il gesuita operaio

L’ora della Bora

Gesuita operaio - disegno di Rodafà Sosteno

Se si dovesse – un po’ paradossalmente – provare a cercare e ad individuare un liturgo, un ministro, un sacerdote del mondo rinnovato che la nuova enciclica Fratelli tutti auspica, tratteggia, addita, bisognerebbe rivolgersi ad un’esperienza che qualcuno, probabilmente, potrebbe ritenere storicamente chiusa per sempre e che, invece, ha insospettate risorse di riemersione: quella dei preti operai. Peraltro la rivista Pretioperai è tutt’ora ben viva e vegeta (http://home.pretioperai.it/).

Tra il romanzo di Glibert Cesbron I Santi vanno all’inferno, del 1957, prediletto da don Milani, ed il ben diverso romano di Furio Monicelli Il Gesuita perfetto, del 1961 (da cui fu tratto, nel 2004, il film In memoria di me di Saverio Costanzo), sta la testimonianza di Egied Van Broeckhoven, di cui Marietti 1820 ha pubblicato nel 2018 il volume L’amicizia. Diario di un gesuita in fabbrica (1958-1967), a cura di Emanuele Colombo.

Ebbene esistette dunque, accanto al celebre padre gesuita Teilhard de Chardin che celebrava la Messa sul mondo, un altro prete gesuita che morì a 34 anni, nel 1967, condividendo la vita degli operai nelle periferie di Bruxelles, celebrando una messa nel mondo della fabbrica.

Il 20 agosto 1959 scriveva così (a p. 48 del volume cit.): «L’amore è compromettersi, abbandonandosi all’intimità dell’altro; la profondità dell’intimità con cui ci si compromette determina anche la profondità dell’amore. L’amore armonioso è quello in cui il livello di intimità in cui ci si compromette è lo stesso nei due partners; l’ideala dell’amore non è l’armonia perfetta a tutti i livelli, ma raggiungere il più profondo livello d’intimità.» E proseguiva, il 27 settembre 1959 (Ibidem): «Chi non ha la forza di misurarsi con l’Amore, si rifugia nella legge.»

Un gesuita operaio che esprime pensieri, sentimenti, interrogativi di intensissimo coinvolgimento. Con una possibile, benché assai problematica, annotazione: i due partners di cui Van Broeckhoven scrive non sono necessariamente marito e moglie, bensì due amici senza ulteriori specificazioni.

C’è stata molta fretta nell’archiviare – senza tornarci su troppo neppure a livello storiografico – la vicenda dei preti operai. Accadde anche, addirittura, che qualcuno divenne “prete-operaio” senza poter essere ordinato effettivamente presbitero a causa della brusca interruzione di quell’esperienza da parte dell’Autorità Ecclesiastica: il “prete-operaio” pronto per ricevere il presbiterato, dopo curriculum di studi e formazione comunque seminaristica almeno negli inizi, si ritrovò a rimanere del tutto laico, pur tuttavia venendo riconosciuto come di “identità particolare” nello stesso contesto dove viveva e lavorava. Fatto eclatante – ma molto nascosto – specularmente analogo (proprio a figura rovesciata) a quello di chi, cattolico, avesse ricevuto l’ordinazione presbiterale da un “episcopus vagans” non cattolico ma validamente ordinato, determinandosi una specie di rompicapo canonico di quasi impossibile soluzione se non ammettendo che sì, quel laico era anche prete.

I fratelli tutti e le sorelle tutte che la vita fa incontrare non stanno dentro i recinti dei templi, verissimo, ma spesso attendono una parola, un cenno, uno sguardo che provenga da un altrove che fuori degli spazi sacri, per quanto costi riconoscerlo, non si trova.

In altri termini: svuotando le chiese non si riempiono necessariamente le piazze e le strade di tensioni ideali e desideri di dedizione agli altri.

La dialettica tra Mondo e Regno – come direbbero i teologi – è complessa, sfaccettata, contraddittoria, sfidante, mai compiuta e perfetta.

Riabilitare anche ufficialmente la testimonianza dei preti operai, senza fare sconti sulla loro memoria e la loro sofferenza, potrebbe essere molto significativo.

 

Stefano Sodaro