Chi era Gesù di Nazaret - VIII

Christ in the Carpenters Shop. Woodcut printed in colours. Proof. 8.75x7.75 inches.

Mabel Allington Royds (1874-1941) - immagine tratta da commons.wikimedia.org

(9) Limitatezza di Gesù

 

Ma soffermiamoci ancora sulla natura, sulla vera sostanza di Gesù: se Gesù è nato all’interno della storia, in un determinato momento, e non è disceso dal cielo, prima della nascita non esisteva. Gesù non esisteva prima di tutti i tempi. Gesù ha un preciso principio. Come per tutti gli uomini, prima c’era un non-esserci, e solo dal momento del concepimento un esserci. La realtà di Gesù non è mai esistita prima di essere concepito su questa terra.

Visto che non c’è confusione fra le due nature, come dice Calcedonia, dobbiamo smettere una volta per tutte di divinizzare l’umanità di Gesù, perché lui non ha alcuna maggiorazione che lo faccia diverso e superiore a noi: la natura umana è vulnerabilità, debolezza, finitezza, limitatezza, fragilità, parzialità, certo non è completezza e perfezione; e questa parzialità pesa anche sull'uomo Gesù (immutabiliter, senza mutamento). E in effetti Gesù si riconosce debole e quasi impotente quando sconsolato dice che «Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora il regno dei cieli è oggetto di violenza e i violenti lo rapinano» (Mt 11, 13) e noi non possiamo che aderire a questo suo pensiero quando lo vediamo crocifisso e impotente. Lo stesso Dio di Gesù, nella storia, non è onnipotente perché non reagisce con violenza all’ingiustizia, non fulmina coloro che stanno per crocifiggere suo figlio. Quel Dio che non è riuscito a risparmiare al figlio amatissimo la croce, lo ha però risuscitato, non permettendo che fosse rinchiuso per sempre nel sepolcro. Dunque Dio rende giustizia al crocifisso senza colpire i crocifissori. La sua azione «vendicatrice» consiste sempre e solo nel dare vita al perseguitato senza infliggere la morte ai persecutori [1]. Il Dio di Gesù dunque è così: dà vita, sempre.

Gesù si dimostra consapevole della sua limitatezza umana anche quando dice che noi faremo cose più grandi di lui (Gv 14, 12). Cosa ovviamente impossibile se avesse agito come Dio. Però la teologia tradizionale impedisce di pensare che un discepolo possa superare il maestro, perché continua a pensare a Gesù come si pensa a Dio, non come si pensa a un uomo, il che ci porta a dire che nel Gesù spiegatoci dal magistero Dio ha occultato l’uomo.

Dunque da una parte Gesù è veramente uomo e come tutti gli uomini ha una soggettività limitata; dall’altra parte però possiede una vicinanza radicale e unica a Dio [2]. È così unito da sembrare identificarsi con Dio. Quando Giovanni (Gv 10, 30) fa dire a Gesù che “Io e il Padre siamo una sola cosa” fa appunto riferimento a questa relazione strettissima, ma neanche in questo caso Gesù dice di essere Dio [3], della stessa sostanza del Padre.

Allora, il punto di non-separazione (indivise, inseparabiliter prospettato da Calcedonia) sta in questo intimo rapporto con Dio che Gesù ha vissuto consapevolmente. Gesù ha vissuto consapevolmente questo ruolo di Figlio di Dio perché non ha agito come chi esegue un piano personale proprio, ma come chi compie una missione, quella del Padre [4]. Sa che il divino alimenta questa sua missione. Sa che il divino, con la sua forza, sta sotto a questo rapporto intimo [5]. Non c’è un Io personale che dice parole (come succede da noi), ma egli si è identificato con la Parola di chi lo manda al punto tale che l’Io (umano) e la Parola (divina) non si distinguono più l’uno dall’altra: egli diventa il Verbo, la Parola [6]. L’uomo Gesù di Nazareth è una reale rivelazione dell’unico Dio e, in questo senso, è la sua Parola, tanto da poter essere chiamato giustamente suo Figlio [7]. Se dimentichiamo questo punto, non solo non riusciamo a comprendere Gesù, ma defraudiamo l’uomo Gesù della parte più importante della sua esistenza, visto che Gesù ha vissuto pienamente la fede in Dio, donandosi senza riserve a Lui fino alla fine [8]. 

Seguendo questa impostazione non occorre diventare pazzi per cercar di capire come divinità e umanità si potessero unire in una sola persona senza compromettere l’integrità del divino e dell’umano: semplicemente l’uomo Gesù si distingue da noi uomini comuni, perché siamo eventualmente noi uomini comuni che, in confronto all’uomo Gesù, abbiamo normalmente qualità meno umane delle sue, siamo infra-umani, in-umani, perché spesso ci comportiamo disumanamente [9].

Ma proprio per questo, quando nella vita incontriamo una persona profondamente umana, in questa sua umanità (liberata cioè dall’ “in-umano”) tutti noi intravediamo, intuiamo che esiste “il divino”, come ben emerge dalla parabola del buon samaritano (Lc 10, 30). Ecco l’unione fra l’umano e il divino. Il ferito soccorso dal buon samaritano, quando completamente rintronato apre gli occhi cosa vede? Vede la faccia di un uomo; ma vedendo la carità del samaritano, vede in quel volto umano anche il volto di Dio, perché Dio invisibile diventa visibile e presente solo attraverso i nostri gesti. Dio non ha mani, non ha una faccia, per cui spetta a noi testimoniare la sua misericordia. Siamo perciò noi il volto di Dio per le persone che incrociamo per strada. Così ha deciso il nostro Dio, stando a Gesù.

E Alberto Maggi ha colto nel segno dicendo: più l’uomo diventa umano e più scopre e libera il divino che è in lui [10]. È che di solito non ci rendiamo conto di quale enorme responsabilità abbiamo noi tutti. Non basta certamente annunciare il Vangelo, gridarlo dai tetti (Mt 10, 27): con la testimonianza della nostra vita dobbiamo dimostrare che ci crediamo, come lo ha dimostrato il samaritano, come ce lo ricordava il cardinal Tonini. Gl’intoppi arrivano quando il nostro astratto amore per Dio (o per Gesù) si deve tradurre in amore concreto per il prossimo. Allora dobbiamo avere il coraggio di chiederci se nello straniero vediamo un intruso o un fratello. Basta di solito questa semplice domanda per scoprire che non siamo capaci di seguire il Vangelo, per cui non siamo seguaci di Gesù, perché vorremmo che questi stranieri restassero fuori da una casa ricca che deve essere soltanto nostra e chiusa agli altri; gli altri vorremmo che restassero lontani da un tavolo abbondantemente imbandito dove solo noi abbiamo diritto di sederci perché siamo i migliori; e se ci sono quegli altri, preferiamo non sederci. “Prima gli Italiani!” (o come dicono in America: “Prima gli Americani”) significa appunto questo, anche se poi chi lo sostiene sventola il rosario o la Bibbia [11]. È stato allora ben detto che la presenza viva di Cristo nella nostra società non è assicurata dalla presenza dei crocifissi o di altri simboli religiosi, ma dallo spazio che facciamo a coloro con cui lui ha voluto identificarsi: abbracciare o respingere il forestiero, la persona vulnerabile, significa abbracciare o respingere Cristo, così come chiarito nel Vangelo [12]. 

In maniera più scientifica, potremmo metter tutti gli uomini su una curva gaussiana (come ha suggerito l’amico Duccio Peratoner), utilizzando come per altri nostri valori anche la nostra capacità di amore: potremmo quindi mettere all’estremo destro (il massimo) Gesù; forse abbastanza vicino a lui pochi altri; e all’estremo sinistro (il minimo) altri, come il dittatore cambogiano Pol Pot o Dracula o chi volete. Il difficile è scegliere con oggettività dove ci posizioneremmo noi in questa curva; ma proviamo a pensarci. 

Con questa impostazione è possibile rispondere allora anche a tante altre domande: Gesù continua ad essere un uomo dopo essere risalito in cielo? Oppure ha smesso di essere uomo per (ri-)trasformarsi in Dio? O forse era un uomo che è stato elevato a un rango e categoria proprie del divino? Oppure l’essere di Gesù è uscito forse radicalmente modificato dalla sua risurrezione, cioè da umano diventa divino?

La risposta è sempre la stessa: anche dopo la risurrezione, la realtà di Gesù resta umana, non diventa un’altra realtà. Non c’è mutamento nelle due nature, come insegna sempre Calcedonia. Non si può dire che, passando attraverso la risurrezione, Gesù raggiunga un cambio ontologico del suo essere, sì che il suo «essere umano» si converta in un «essere divino», perché non ci può mai essere mutamento né confusione fra le due nature. L’uomo non può diventare Dio, Dio non può diventare uomo.

Perciò la risurrezione non può essere stata per Gesù neanche il passo mediante il quale ha recuperato una condizione perduta [13], non c’è alcuna ri-trasformazione. La risurrezione non è stata il ritorno alla gloria che Gesù, quale Verbo, condivideva col Padre prima di scendere in questo mondo. La risurrezione è stata l’inizio di una nuova situazione per Gesù, che essendo trascendente non sappiamo com’è. Possiamo azzardarci a dire che viene superato il limite biologico e viene creato un nuovo modo di esistenza [14]. Noi non sappiamo infatti cosa voglia dire vita eterna. Non lo possiamo sapere perché questo fa parte della trascendenza, non più dell’immanenza; quindi non lo possiamo neanche descrivere [15]. Però, visto che il dogma ci dice assai razionalmente che Dio resta sempre Dio, e l’uomo resta sempre uomo, dobbiamo affermare che la realtà umana di Gesù è rimasta umana, interamente umana, esclusivamente umana anche quando ha abbandonato l’ambito immanente [16]. Possiamo al massimo azzardare che, mediante la risurrezione, Gesù è la pienezza dell’umano per sempre, il Vivente definitivo che ha superato anche la morte biologica, e ha finalmente raggiunto nella condizione umana la sua stabilità per sempre, ormai senza limitazione alcuna [17].

Come ha detto don Tonino Bello, di fronte a chi decide di “amare”, non c’è morte che tenga. Gesù, avendo fatto propri i valori di Dio, si è trovato nella pienezza della vita e per questo ha potuto superare indenne la soglia della morte e, a sua volta, egli ha assicurato che assomigliando al Padre possiamo tutti diventare figli di Dio e passare tutti indenni la stessa soglia della morte [18]: «Se uno osserva la mia parola non morirà mai» (Gv 8, 51). Se noi abbiamo ancora tanta paura della morte abbiamo veramente bisogno di un Liberatore che ci liberi da questa paura. Gesù, pur uomo, resta il nostro Liberatore. 

Il Verbo eterno, il Figlio, il Logos resta invece il nome della dimensione di Dio, la forza creatrice, il canale attraverso cui Dio ha comunicato all'umanità la sua Parola. La Parola, il Verbum di Dio (Gv 1, 1: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio), è anche il progetto che Dio aveva fin dall’inizio, e che appartiene all’ambito divino, quindi celeste; e visto che noi siamo soliti collocare quest’ambito in alto, di conseguenza poi parliamo anche di discesa, come pure di preesistenza.

Giovanni e Paolo sono gli autori più citati per affermare la doppia natura (divina e umana) di Cristo, ma è stato obiettato, mi sembra correttamente, che il prologo di Giovanni afferma semplicemente che il Lógos (il Verbo) non opera più spiritualmente come in altre occasioni, ma ci viene a un certo punto incontro corporalmente come un uomo mortale, sì che ciò che insegna il Vangelo di Giovanni non è una cristologia di «preesistenza», quanto una cristologia di «rivelazione». Il Vangelo di Giovanni non afferma che l’uomo Gesù deve essere compreso come preesistente in senso temporale [19], ma solo che l’esistenza di Gesù Cristo ‘nel mondo’ si deve all’iniziativa di Dio [20]. Noi non siamo in grado di muoverci verticalmente. Non possiamo scalare il cielo. Non possiamo fare neppure un passo verso il cielo [21]. Solo Dio può stabilire un contatto con noi, e conta solo la sua Parola, non le nostre speculazioni razionali sulla sua esistenza.

Da qui la profonda diffidenza del mondo protestante nei confronti dell’ontologia e della metafisica che noi cattolici abbiamo invece abbondantemente utilizzato.

  

Dario Culot

 

                                                                                                                                             (continua)

 

 

[1] Barbaglio G., Dio violento?,  Cittadella, Assisi, 1991, 255ss.

[2] Rahner K., Corso fondamentale sulla fede, ed. Paoline, Alba, 1977, 258.

[3] Panikkar R., La pienezza dell'uomo, ed. Jaca Book, Milano, 2000, 147.

[4] Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 226.

[5] Cfr. i riferimenti a proposon e hypostasis nell’articolo L’importanza del cambio del significato delle parole, nel ultimo numero di agosto 2020 de Il giornale di Rodafà, https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20202/numero-572---30-agosto-2020/come-cambia-il-significato-delle-parole

[6] Ratzinger J., Introduzione al cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 194. Motivo per cui si finirà col dire che in Gesù non c’è persona umana.

[7] Küng H.,  Dio esiste?, Mondadori, Milano, 1979, 764.

[8] Gesù è stato totalmente aperto al progetto di Dio, come risulta dal battesimo raccontato da Mc 1, 10: l'apertura dei cieli corrisponde all'apertura interiore di Gesù (Rius-Camps J., Settimana di studi biblici, Il Vangelo di Marco, Verona, 29.2-5.3.2016).

[9] In un recente libro, Fulco Rita (Soggettività e potere, Quodlibet, Macerata, 2020) racconta l’esperienza della vulnerabilità umana secondo il pensiero di Simone Weil. Secondo questa grande pensatrice del secolo scorso, il rischio per l’uomo è la spoliazione integrale che lascia la vita nuda, priva di ogni attributo umano. Ciò avviene quando la mera sopravvivenza è l’unico obiettivo perseguibile. L’ovvia conseguenza è che, in quelle condizioni, non si ha tempo di pensare agli altri; ma anche gli altri prestano poca attenzione alla sofferenza che si annida fra le pieghe della società, perché si prova un’istintiva ripugnanza a pensare alla sventura, si preferisce rimuovere il problema voltandosi dall’altra parte. Ecco perché, afferma la Weil, si deve sostenere il primato dell’obbligo sul diritto. Se anche un solo uomo fosse rimasto al mondo, non avrebbe diritti, ma sicuramente avrebbe degli obblighi, anche verso sé stesso. Quindi l’obbligo nei confronti dell’essere umano è assoluto, non relativo, e deve precedere ogni relazione.

[10] Maggi A., Gesù, un Dio profondamente umano, in www.studibiblici.it. E allora torna anche attualissimo Leonardo Boff quando si chiede se i ministri della chiesa, che devono innanzitutto essere ministri di misericordia e farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo, si comportano oggi per davvero come il buon samaritano. Se questa domanda indispettisce tanti vescovi e tanti preti, vuol dire che essi non sono seguaci di Gesù.

[11] Tornando al pensiero di Simone Weil – di cui alla precedente nota 9 - è chiaro che i migranti vanno salvati in mare non perché loro possono vantare dei diritti nei nostri confronti, ma perché il nostro obbligo verso gli altri esseri umani è assoluto. Cfr. anche quanto detto al § (1) nota 14.

[12] Giovanni de Robertis, direttore della Fondazione Migrantes, su “Avvenire”, 28.9.2019.

[13] Così s’interpreta spesso Fil 2, 6-11 (cfr. l’articolo Morphè al n. 559 de Il giornale di Rodafà, in https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20202/numero-559---31-maggio-2020). Ma Paolo afferma anche che Gesù fu «costituito Figlio di Dio in piena forza a partire dalla resurrezione» (Rm 1, 4). Il verbo horizô, utilizzato in Rm 1, 4, non significa meramente «dichiarare», il che vorrebbe dire riconoscere ciò che già prima esisteva (la famosa preesistenza), ma «costituire» (Schneider G., «horízô», in Balz H. e Schneider G. (a cura di), Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 2004). Quindi, da quel momento Gesù «era stato costituito» in qualcosa di nuovo, in una realtà superiore che (s’interpreti come s’interpreti) si situa sul piano trascendente del divino, vale a dire nell’ambito propriamente di Dio. Se diciamo che Gesù era in contemporanea sempre Dio e sempre Uomo, si deve prima spiegare, senza trincerarsi dietro al mistero, come queste due nature potevano coesistere nella quotidianità: si deve far capire a tutti come, se Gesù viene torturato, in contemporanea non soffre perché è divino, ma anche soffre perché è umano; oppure come in contemporanea Gesù non possa essere tentato da Satana perché divino, ma al tempo stesso possa anche essere tentato dal diavolo perché umano.

[14] Ratzinger J. Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 304s.

[15] Il saggio non ha mai descritto cosa accade con la fine del tempo, perché non lo sa (Andreoli V., La gioia di vivere, ed. Rizzoli, Milano, 2016, 199.).

[16] Se una cosa è chiara del concilio di Calcedonia, è che Gesù è uomo perfettamente uguale agli altri uomini (cfr. l’articolo Gesù e Calcedonia al n. 449 de Il giornale di Rodafà, in https://sites.google.com/site/numeriarchiviati2/numeri-dal-26-al-68/1999992---aprile-2018/numero-449---22-aprile-2018).

[17] Quanto più l’essere umano si lascia guidare dall’amore gratuito tanto più si fonde con Dio, che appunto è amore (Gv 4, 9) e vita. Posto che Dio stesso è inimmaginabile, non possiamo immaginare la resurrezione se non così: Gesù è uno che, mosso dall’amore originario, ha messo in gioco tutto sé stesso per i suoi simili. Suggellando questo modo di essere con la morte, la sua fusione col mistero originario che è Dio ha raggiunto il compimento (cfr. Gv 12, 24 del chicco di grano) (Lenaers R., Gesù di Nazaret, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2017, 110).

[18] Se uno si orienta correttamente in questa vita, la sua stessa vita è già definitiva ed in grado di superare la morte perché la sua è una vita senza limiti  (Castillo J.M., I poveri e la teologia, ed. Cittadella, Assisi, 2002, 239-246).

[19] Rahner (richiamato da Küng H., Dio esiste? Mondadori, Milano, 1979, 762) dice giustamente che la missione del Figlio è compatibile con la creazione dell’uomo Gesù. Non si deve cioè pensare che chi deve essere mandato debba essere esistito prima della missione.

[20] B. Klapper, Parola, in Balz H. e Schneider G., Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento. Kuschel richiamato da  Küng H., Cristianesimo. Essenza e storia, RCS, Milano, 1997, 102,106, 808.

[21] Weil S., Attesa di Dio, Adelphi, Milano, 2008, 98s.