Se una figlia si cresima in tempi di covid e di estradizioni in Vaticano

Due coppie di due - disegno di Rodafà Sosteno

 

Riconosciamolo: una lettura francamente antropologica, cioè “laica”, del rito, della liturgia, dei sacramenti delle Chiese Cristiane, risulta, in casa cattolica, impresa quasi impossibile, di sicuro molto difficile, persino temeraria.

Il fatto religioso è progressivamente divenuto sempre più esclusivo di un sistema di simboli e di coerenze dottrinali tutto interno all’ambito di chi quella medesima religione professi, provocando una specie di cortocircuito tra una pretesa di attrazione, o almeno di curiosità, verso luoghi e dimensioni che rimandino ad Altro e afasia pressoché assoluta di chi quei luoghi e quelle dimensioni abiti.

È un po’ difficile, in simile contesto, articolare una qualche diversità sostanziale tra decardinalizzazione di un prefetto di Curia Romana, richiesta di estradizione verso il Vaticano di una donna arrestata in Italia e assemblea credente che sa andare ben oltre – appunto è l’Alterità in gioco – rito e liturgia, per cogliervi il loro significato.

L’opzione antropologica di un teologo come Karl Rahner – gesuita – non si comprende bene che fine abbia fatto, non tanto a livello accademico, dove essa fortunatamente resiste, bensì a livello diffuso, popolare.

In qualche modo anche la reazione furibonda verso qualunque restrizione che l’acuirsi della pandemia richieda è una sorta di affermazione religiosa nuovamente sacrale e delaicizzata, una “crociata” al contrario, che pensa necessario opporsi a mascherine, divieti di circolazione, allerte comportamentali. E tutto in nome di una libertà che poi corrisponde alla gigantografia dell’io. Io non ammetto altri che non siano somma di tanti io. E basta. Gli “egosauri” di cui parla Pier Aldo Rovatti (https://autaut.ilsaggiatore.com/2018/10/gli-egosauri/) rivelano genealogie e fecondazioni impensabili.

Il rito vuol essere ancora cemento di un riconoscimento identitario puramente sociologico che non soddisfa nessuno e nessuna, figuriamoci una ragazza e un ragazzo.

Le ragioni dell’ateismo – non del laicismo, non dell’atteggiamento snob verso la scelta credente, non del “non c’è niente da capire e domandarsi” – sono rimaste inesplorate da parte degli uomini religiosi. Il “personale del Sacro” è divenuto ormai schiera di “funzionari di Dio”, come intitolò Eugen Drewermann un suo celebre volume (http://www.noisiamochiesa.org/Archivio_NSC/mondo/drewer.htm).

Il rito, la liturgia, l’entrata nelle chiese e nei templi sembrano adempimenti ancora rispettabili, e dunque da assicurare sempre e comunque perché non vengano meno presunti valori di cementificazione sociale, ma sono valori che mai e poi mai potrebbero destabilizzare alcunché. Domande impertinenti – che invece la liturgia, di qualunque fede e religione, pone di per sé, altrimenti non sarebbe liturgia – vengono evitate, espunte, abolite, accantonate, silenziate.

In tempo di covid la cura del corpo, la sua salute, è quasi avvertita come fastidioso incombente rispetto ad un volo misticheggiante verso i regni dello spirito, dove non si sta male, non si soffre e non bisogna assumere decisioni dolorose, dove la contraddizione è defunta. Invece la preoccupazione per la salute è ufficio supremamente religioso e questione squisitamente spirituale. Una spiritualità infastidita dal corpo e dai suoi bisogni – anche quelli più basilari, elementari – è una droga istupidente, non un risvolto essenziale di fede vissuta.

Questo fastidio – che verrebbe da aggettivare con un neologismo come “religiosista” – verso il corpo è il medesimo fastidio verso la concretezza cocente della storia di cui s’è letto in questi giorni con riguardo alla richiesta delle autorità giudiziarie vaticane di vedere estradata Oltretevere la persona che è stata arrestata in territorio italiano su ordine della “polizia pontificia”.

S’è avvertito quasi uno scandalo verso simile richiesta: quale sarebbe la sua fonte? Quale la sua legittimità? Quale il suo fondamento giuridico?

Eppure, se si accettasse di uscire dal recinto intellettual-religioso (religiosista) per scendere sul terreno molto prosaico e pragmatico del semplice confronto con la materialità del diritto, si scoprirebbe che la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, cui aderisce la Santa Sede, prevede, un articolo, il 44, rubricato espressamente “Estradizione”, il cui primo comma recita così: “Il presente articolo si applica ai reati previsti dalla presente Convenzione dove la persona oggetto della richiesta di estradizione è presente nel territorio dello Stato Parte richiesto, a condizione che il reato per il quale si richiede l’estradizione sia punibile ai sensi della legge interna sia dello Stato Parte richiedente che dello Stato Parte richiesto.”

Insomma tutto ciò che ha a che fare con il mondo delle religioni, sia che appartenga alla cronaca sia che trasmetta riti condivisi ed avvertiti come necessari per non perdere storia e cultura, suscita reazioni uguali e contrarie: chiusura iniziatica dentro un universo autoreferenziale, chiusura intellettuale dentro un’autofagia ideologica secondo cui chi dice “Dio dice danno”.

Il naufragio del sapere critico, dell’interrogazione critica comporta poi una soppressione, essa sì tragica, dell’Altro. Perché sia l’ateo per il religioso, sia il religioso per l’antireligioso, sono un Altro da incasellare schematicamente per allontanarlo e non un interlocutore da conoscere in profondità. Una conoscenza superficiale, magari pure molto dotta, è praticata, ma l’approfondimento ha troppo a che vedere con l’Alterità, di cui lo Spirito – in ebraico “Ruah”, al femminile – è nome simbolico.

Celebrare la liturgia significa – oggettivamente, comunque la si pensi – entrare “nelle vene della storia”, come si intitola un libro del compianto Tonino Bello.

La storia non è storia dell’io, ma di un “tu”, di un “voi”. La ripetizione ossessiva di che cosa “io pensi”, “io esiga”, “io creda”, “io provi”, “io abbisogni” porta a spegnere ogni attenzione verso che cosa “tu pensi, esigi, credi, provi, abbisogni”.

La liturgia, il rito hanno la funzione, proprio terapeutica, di curare l’egocentrismo, le cui patologie la pandemia ha gonfiato sino quasi al limite di rottura, di esplosione.

Rendere a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è Dio vuol dire sapere bene, molto bene, profondamente bene, cosa sia di Cesare e cosa di Dio. Sapere che, se parlo di Cesare, salta fuori Dio e viceversa.

La domenica dei cristiani non è versione religiosa di una giornata di laico riposo, è giorno di interrogazione del volto altrui, anche se coperto dalla mascherina. Non c’è da affrettarsi a fare cose prima che sia impossibile per chissà quale cattiveria impositiva di Cesare-Stato: c’è da affrettarsi a guardarci negli occhi, che non sono coperti, di domenica, di lunedì, di martedì, di mercoledì, di giovedì, di venerdì, di sabato.

Che sia buona questa domenica, inizio di Alterità, quando una figlia si cresima

 

Stefano Sodaro