Più facile fare domande che dare risposte

Christ in the Carpenters Shop. Woodcut printed in colours. Proof. 8.75x7.75 inches.

Mabel Allington Royds (1874-1941) - immagine tratta da commons.wikimedia.org

 

Com’era facilmente prevedibile l’articolo (a puntate) su chi è Gesù di Nazareth ha provocato, a differenza di altri, un certo sommovimento. Per alcuni è stato interessante, per altri sorprendente, ma per molti è risultato riprovevole e inaccettabile perché contrario all’insegnamento tradizionale cattolico; peggio: qualcuno ha provato orrore di fronte al coacervo di eresie viste come un vero rigurgito infernale, per cui mi vede già bruciare all’inferno per l’eternità.

Ma perché dovrebbe essere precluso ragionare su Gesù quando gli stessi personaggi dei vangeli hanno cercato di interpretare la sua figura, vedendolo chi come figlio del Dio vivente (Mt 16, 16), chi come un profeta (Lc 24, 19; Gv 7, 40), magari risuscitato dal passato (Mt 16, 14), chi come un guaritore ciarlatano alle dipendenze di Belzebù (Mc 3, 22)? Da subito, dunque, ci sono state idee contrastanti su Gesù, e da subito ci sono state idee contrastanti fra i cristiani [1]. Possibile che oggi, agli inflessibili difensori delle idee di un tempo ormai lontano (che pur hanno avuto anche largo credito in passato) bastino quei pochi rudimenti appresi al catechismo per soddisfare ogni loro curiosità religiosa? Possibile che vogliano solo tornare per la via più breve alla più completa restaurazione sentendosi altrimenti vittime della modernità, senza venir mai sfiorati da pensieri del tipo: ma non vi insospettisce l’idea che, fra tutti i popoli della terra e in tutta la lunga storia dell'umanità, proprio a noi europei sia capitata la fortuna sfacciata di essere nati e cresciuti nell'unica religione vera, quella insegnata dall’infallibile magistero di Roma? Effettivamente, in Italia, almeno per ora, credente è ancora comunemente inteso come sinonimo di osservante cattolico; ma nel Nord Europa credente è sinonimo di protestante, e in Marocco è sinonimo di musulmano. Essere qui cattolici, lassù protestanti e laggiù musulmani fa parte della propria identità, ma è una realtà inconsapevole prima ancora che consapevole [2]. L’appartenenza religiosa è cioè determinata in realtà da una mera variabile geografica: dipende in gran parte dal posto in cui uno è nato. Se quel credente cristiano che oggi vive la propria fede al riparo di un bel muro difensivo, perché si sente assediato [3] da tutti quelli che non hanno le sue stesse idee (e ovviamente tutti gli altri stanno necessariamente aldilà del suo muro), fosse nato in un Paese musulmano e avesse fin da piccolo assorbito quella religione, oggi sarebbe certo che l’unica vera religione è quella musulmana, che qui invece ritiene sia intrinsecamente sbagliata solo perché è nato più a nord del Marocco. Se fosse nato in Grecia sarebbe cristiano ortodosso e sarebbe convinto che qui in Italia siamo affetti da papolatria. Visto poi che in Italia il papa si proclama successore di Pietro, in Grecia mettono in evidenza di essere i successori degli altri undici apostoli, per cui aspettano fiduciosi che anche il dodicesimo rientri nei ranghi dopo essersi lui staccato secoli fa dalla retta dottrina. E poi, non vi suona piuttosto improbabile, o almeno strano, che lo Spirito Santo abbia illuminato secolo dopo secolo le menti dei prelati (in maggioranza italiani) riuniti in conclave i quali immancabilmente nominavano, secolo dopo secolo, sempre e solo papi italiani? [4] E la tesi secondo cui tutta la Verità abita solo nella Chiesa di Roma non vi sembra una tesi che accontenta e lusinga troppo i ferventi cattolici per non essere sospetta? [5] E poi, non vi rendete conto che, se Gesù fosse stato inteso subito come Dio, sarebbe stato un personaggio lontanissimo da noi e non l’avremmo mai potuto conoscere come uomo perché si sarebbe immediatamente snaturata la sua figura? Infatti ogni atteggiamento di deismo separa e allontana dall’uomo normale: pensiamo solo a come ogni autorità umana che cerca di ergersi sopra la gente si acconcia in modo da suscitare un rispettoso distacco [6] e far notare la sua superiorità [7]. Solo in quanto uomo Gesù poteva mettersi allo stesso livello dei più poveri, frequentare pubblicani e prostitute (con ciò ovviamente scandalizzando i ben pensanti di allora, come oggi papa Francesco scandalizza i benpensanti di oggi). Se Gesù si fosse vestito come i farisei (Mt 23, 5) non avrebbe potuto far sentire a proprio agio gli esclusi, gli umili. Ancora nella nostra società odierna il povero si trova, generalmente, abbandonato e disprezzato nell’ambiente che conta; quasi nessuno lo considera, eccetto Dio… E proprio come Dio si è comportato Gesù [8]. Perciò solo in quanto uomo Gesù può essere talmente vicino a tutti gli uomini da diventare l’uomo nuovo, che noi dovremmo imitare, proprio stando all’insegnamento della stessa Chiesa. E ancora, se i vangeli devono veramente parlare alla gente di oggi, non vi sfiora l’idea che i testi debbano essere interpretati alla luce della cultura attuale e non alla luce della cultura che esisteva ai tempi degli evangelisti? E se le cose stanno così, è doveroso allora modificare i modelli su cui impostiamo la nostra vita, perché col tempo tutto cambia [9], anche la cultura, e lo stesso messaggio del Vangelo si trasforma nel tempo (pensiamo solo a come si è passati dall’immagine pre-conciliare di un Dio che incuteva paura all’immagine post-conciliare del Dio che ama [10]).

Vediamo, fuori del campo religioso, di fare un esempio concreto sul come nel corso del tempo il cambiamento è inevitabile: quando studiavo ‘Diritto’ all’università – è passato poco più di mezzo secolo, non secoli,- per la filiazione valeva il ferreo principio giunto fino a noi dagli antichi romani: mater semper certa est, pater numquam (la madre si sa sempre chi è, il padre mai). Oggi vale l’esatto contrario: col DNA si sa sempre chi è il padre; ma chi è la madre? È quella che ha dato l’ovulo, quella che ha portato avanti la gravidanza e ha partorito con un ovulo altrui, o quella che ha commissionato ad altre donne il figlio semplicemente pagando, ma che poi lo cresce con grande amore? Evidente che non si può più rispondere richiamando la regola aurea romana: oggi sono subentrate possibilità che una volta non esistevano, e oggi nessuno osa sostenere che mettere in dubbio le antiche regole romane sia un pericoloso relativismo, come nessuno osa dire che sbaglia chi vuol mettere definitivamente in soffitta queste regole: anche se giunte fino a noi da una lunga e indiscussa tradizione [11], fino alla mia generazione, non possono considerarsi valide per sempre. Perché allora nella Chiesa si continua a dire che è pericoloso mettere in dubbio una regola di fede solo perché si basa su una tradizione vecchia di secoli? E perché coloro che non si adeguano al vecchio insegnamento dovrebbero essere automaticamente nell’errore? Perché dimenticare che le stesse Scritture ammoniscono che la teologia non è fede, e lo sono ancora meno le religioni, i riti, le celebrazioni, il culto in genere, che – come ben diceva Amos (5, 21-24) - possono coesistere con la più radicale miscredenza? [12]

Papa Giovanni XXIII, con l’Enciclica Pacem in terris [13], partendo dal principio che Dio si muove nella storia, aveva raccomandato di guardare ai segni dei tempi, e nel discorso inaugurale di apertura del concilio Vaticano II [14], affermando che lo spirito cristiano attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze, faceva capire che la Chiesa non doveva temere di introdurre i cambiamenti ritenuti opportuni o sentirsi vincolata alle vecchie forme.

Papa Francesco ha poi ulteriormente spiegato che il concilio Vaticano II ha deciso di guardare al futuro con spirito moderno e di aprire alla cultura moderna, il che implica – fra le prime cose - il dialogo anche con gli altri, e perfino con i non credenti [15].

In passato si poteva vivere separati: ogni Stato aveva la sua religione dentro i propri confini. Ora è tutto globalizzato, nella stessa via abitano persone di religione diversa, ma le nostre istituzioni sono ancora concepite e si muovono in funzione di realtà imperniate su piccoli microcosmi nazionali. L’arte del dialogo è invece rendersi conto che dall’incontro si esce tutti vincitori, non ci sono sconfitti: quando ci s’incontra io imparo qualcosa da te, e tu impari qualcosa da me. L’arte del dialogo sta nell’essere capaci di valorizzare le differenze senza ingoiare e assorbire l’altro nella nostra identità. Non dobbiamo amalgamarci in un unico calderone, però dobbiamo collegarci con ponti, e non separarci dietro a spessi muri.

Ecco allora che, nei miei articoli, vi ho presentato quella che è la mia immagine attuale di Dio; e quest’immagine ovviamente non è farina del mio sacco, ma è frutto del pensiero di vari teologi convincenti (almeno per me), pur nella consapevolezza che neanche questa immagine esaurisce l’essenza di Dio.

Dice san Paolo che Gesù è l’immagine più esatta mai avuta dell’essere stesso di Dio, di ciò che è Dio nella sua realtà più profonda (Eb 1, 3). Quest’affermazione ha, nell’intenzione dell’autore della Lettera agli Ebrei, una finalità pratica, in quanto non pretende di filosofeggiare o, il che è lo stesso, di creare una teoria metafisica sull’essenza di Dio. Quello che l’autore intendeva era dire a una comunità di ebrei convertiti al cristianesimo che non continuassero a sentire la mancanza del culto religioso, con le sue solennità e le sue sfarzose cerimonie sacre nel Tempio. Perché l’esistenza concreta (la vita che ha condotto) Gesù è stata la fine del culto. Per trovare Dio non è più necessario il culto rituale che si offre nei templi, ma il culto esistenziale, che è stata la vita di Gesù [16]. Meditando su questo aspetto si finisce necessariamente per cambiare la precedente concezione di Dio e di qualunque progetto religioso tradizionale. Si tratta del fatto centrale nei vangeli; come è stato detto assai bene, in Gesù risplende la presenza immediata di Dio [17]. Però tenendo presente che, quando diciamo «in Gesù», stiamo parlando della vita condotta da Gesù, di ciò che ha detto e di ciò che ha fatto [18]. In questo evento storico noi uomini possiamo incontrare la «realtà» o l’«essere» di Dio. Pertanto, Dio non lo troviamo filosofando, speculando o elucubrando su astruse teorie astratte, bensì vivendo concretamente come visse Gesù. In questo senso, e proprio per questo, si può affermare – con Paolo,-  che Gesù è l’«immagine» di Dio perfetta per noi [19].

L’immodificabilità dell’immagine metafisica di Dio presentata in un lontano passato dalla Chiesa - secondo cui Dio è una sostanza, una natura o un essere in tre persone (dottrina della Trinità), e Cristo è una persona pienamente divina e totalmente umana, al tempo stesso vero Dio e vero uomo (dottrina delle due nature) -  sarebbe giustificabile solo se la Chiesa fosse in possesso della Verità Assoluta. In effetti, per lungo tempo la Chiesa cattolica ha fatto credere di avere questo vantaggio speciale e forse, credendole, molti sono ancora oggi convinti che i dicasteri vaticani abbiano il monopolio esclusivo su Cristo, e quindi su Dio; e credono perfino che lo Spirito santo illumini soltanto l’alto clero cattolico romano [20].

Oggi, però, si fa sempre più strada l’idea che la Verità non è più identificabile con quelle verità astratte di cui molti cristiani sono ancora convinti, avendole apprese da un magistero che le ha codificate in dogmi, cioè in piccole scatolette di verità assolute che qualcuno sostiene ricevute direttamente da Dio.

La verità assoluta, purtroppo, non esiste per l’Uomo né tantomeno per il cattolico. Quelle dottrine che si ritengono “slegate” (dal latino ab-solutus), cioè esonerate dal dubbio e dalla critica propri di ogni ricerca, non appartengono più alla cultura odierna. Tant’è vero che papa Francesco ha precisato: “io non parlerei, nemmeno per i credenti, di verità assoluta” perché “assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di relazioni… e la verità è una relazione” [21]. Ma, come avete letto al § 6 della mia relazione su Chi è Gesù, il siluro più grosso contro l’idea di possedere la Verità Assoluta l’ha lanciato proprio papa Benedetto XVI (ancora il vero papa per i conservatori e i sovranisti di oggi: ricordate quel politico con la maglietta “Il mio papa è Benedetto”?) quando ha affermato che, se vogliamo parlare del Dio Trascendente, dobbiamo renderci conto che non sappiamo sostanzialmente nulla e riusciamo solo ad accennare alla verità, che tuttavia nella sua totalità non coglieremo mai in questa vita. E sempre questo papa conservatore ha finito col fare coriandoli della storiella, a lungo insegnataci, secondo cui la Chiesa possedeva la Verità Assoluta; infatti ha anche aggiunto che “Noi siamo solo collaboratori della verità che non possediamo; è lei che possiede noi, che ci tocca. E nessuno osa più dire “Possediamo la verità”, cosicché anche noi teologi abbiamo tralasciato sempre più il concetto di verità” [22].

A ben vedere anche questo papa non ha detto nulla di particolarmente nuovo, ma ha solo ripetuto cose vecchie e quasi dimenticate, avendo riportato le iperboliche costruzioni dottrinali della Chiesa a più miti consigli, perché già sant’Agostino aveva ammonito che la verità ci è stata nascosta sia per provare la nostra umiltà sia per punire il nostro orgoglio [23], tanto che egli stesso, senza alcun imbarazzo, aveva cambiato più volte posizione dottrinaria [24]. Del resto, qualsiasi immagine che noi abbiamo di Dio non è mai Dio, per cui è normale che si modifichi, e questo non dovrebbe mettere in crisi nessuno [25]. 

“Ma se modifichiamo l’insegnamento della dottrina cambiamo anche il Vangelo” protesterà qualcuno. No. Papa Giovanni XXIII aveva ben chiarito che non è il Vangelo che cambia; siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio [26]. E chi ha girato il mondo e ha potuto confrontare culture e tradizioni diverse, sa che è giunto il momento di riconoscere i segni dei tempi, di coglierne l’opportunità e di guardare lontano. Ecco perché questo stesso papa aveva ammonito a non fare della Chiesa un museo da custodire, perché è un giardino da coltivare [27]. E coltivare vuol dire anche far crescere nuove piante, offrire nuove interpretazioni se appaiono più convincenti di quelle antiche [28].

Perciò credo sia ormai impossibile continuare a “silenziare” le menti critiche in nome della Verità Assoluta immodificabile posseduta dalla Chiesa. Chi si riteneva superiore perché convinto di possedere la Verità, era anche convinto di aver il diritto di impartire ordini a chi riteneva inferiore. La sua parola era necessariamente sacra e l’inferiore non aveva facoltà di obiettare. Tanto più che l’inferiore non poteva mai riconoscersi nel sacerdote o nel vescovo, che restavano ben separati da lui, e soprattutto sopra di lui. Ora, che il possesso della Verità Assoluta non c’è più, in base a cosa il vescovo o il presbitero possono ritenersi superiori? Come fa il presbitero a prendere il posto di Cristo se Cristo non ha nominato nessun successore e non ha creato alcuna classe sacerdotale? Non ci credete? Mostratemi dove, nei vangeli, Gesù ha istituito l’ordine sacerdotale.

“Ma così, con queste modifiche, si crea confusione se non addirittura scandalo fra i fedeli” obietterà più di qualcuno. Può succedere. Ma perché non pensare che anche le difese a oltranza di posizioni ormai indifendibili possono scandalizzare altre persone? Nella vita occorre anche arrischiare (come emerge dalla parabola dei talenti – Mt 25, 14ss.). Non c’è fedeltà al Vangelo senza rischio.

Mi rendo conto che, forse, qualcuno fra i lettori è uscito da questa lettura un po' costernato, scosso, confuso. Perfetto! Vuol dire che fino ad oggi era come una nave saldamente ormeggiata nel suo piccolo porto della Verità Assoluta, che mi ricorda tanto il Ministero della Verità di orwelliana memoria. In un porto la nave si sente sicura, e se in mare aperto c’è bufera (il relativismo, il dubbio, le domande senza risposta), è cosa che non la riguarda. Però una nave è fatta per navigare e non per restare ancorata in un porto. Se restiamo sempre all’ancora, se qualsiasi novità ci spaventa e la rifiutiamo, automaticamente c’impoveriamo, siamo meno liberi, siamo più condizionati, e ci rinchiudiamo nelle valve primitive della nostra dottrina come molluschi che si attaccano alla chiglia della nave. Invece dobbiamo essere come navi che veleggiano, e non come molluschi abbarbicati e immobili per tutta la vita.

Per veleggiare bisogna porsi domande, soprattutto oggi che le verità di una volta appaiono deboli. Chi crede ormai di sapere non è capace di porsi domande. Per essere capaci di domandare bisogna voler sapere, il che significa però che innanzitutto bisogna sapere di non sapere [29].

Ho cercato di spiegare, seguendo i pensieri non di uno ma di vari teologi (prevalentemente cattolici), come l’impostazione ufficiale della Chiesa faccia acqua da più parti, per cui oggi è difficile da accettare supinamente in blocco, e occorre tornare a discuterne. Come si fa a negare che, se Gesù unisce natura umana e natura divina, si afferma che in realtà è dotato di una struttura ontologica speciale (deus-homo) di cui sarebbe l’unico rappresentante mai apparso in terra, per cui non può essere un uomo come tutti noi? Come si può negare che, se Gesù è vero uomo, deve essere per ciò stesso limitato al pari di tutti noi uomini perché se invece non ha i nostri stessi limiti, se è privo di difetti, non può essere un uomo come noi? Se si dice che Gesù ha solo natura umana, mentre l’Io-persona resta divino (= il Verbo ha assunto la carne, ma da Maria non è nata una nuova persona umana, perché si trattava sempre della stessa seconda persona della Trinità già esistente dall’eternità - art. 479 del Catechismo), Maria avrebbe dovuto dire all’esterrefatto Giuseppe che non aveva fatto nascere un bambino, ma che aveva fatto nascere semplicemente una natura umana.

A me pare che le persone, le quali davanti a tutti questi dubbi tirano dritte senza vedere alcun problema, in realtà rimuovono dalla loro mente ogni riflessione che potrebbe costringerle a prendere consapevolezza della realtà. Allora – visto che più di qualcuno mi ha attaccato senza confutare nessuna delle argomentazioni che ho svolto - non capisco se non si vuol ascoltare o se si ha paura che quello che ho scritto possa essere vero, per cui ci si trincera dietro al solido muro protettivo dicendo che io sto dall’altra parte, che sono fuori della Chiesa.

Io ho letto e ascoltato ciò che in proposito continua a dire la Chiesa ufficiale, e ovviamente sono consapevole che le idee che ho espresso divergono da quelle che abbiamo imparato al catechismo. E ho anche capito che, per il magistero, il Gesù terreno descritto dai vangeli deve essere interpretato alla luce dei concili di Nicea e Calcedonia. Ma non dovrebbe essere l’inverso? Non si dovrebbero interpretare questi concili a partire dai vangeli?

Perciò, con tutto il rispetto per chi è sicuro di aver perfettamente afferrato il profondo significato dei dogmi per cui taccia di eresia chi non si adegua [30], mi sarebbe piaciuto - prima di essere escluso dalla comunità cristiana per aver espresso pubblicamente i miei dubbi motivati (che invece credo saranno condivisi da più di qualcuno) - che mi si replicasse in modo che anch’io potessi capire; troppo comodo limitarsi a dire che i dogmi sono formule molto importanti alle quali bisogna aderire per la propria salvezza (anche della mia anima), perché così ha stabilito il magistero, al quale bisogna obbedire anche se non si è d’accordo con lui. Insomma, limitarsi a difendere le vecchie formule dottrinali giunte immutate dal passato trincerandosi dietro a un’aprioristica infallibilità della Verità già acquisita, sentendosi culturalmente superiori ai dubbiosi, senza però mai rispondere alle domande poste, significa dare risposte che non rispondono. Col che, questo credere ciecamente ai dogmi si riduce a un non pensare. E continua a stupirmi questa amputazione indolore della volontà di ragionare con la propria testa da parte di tanti. Soprattutto di fronte al chiaro ammonimento di Gesù: “Perché non giudicate da voi ciò che è giusto?” (Lc 12, 57). Mi sembra che chi si limita a tacciare come errate tutte le mie considerazioni che ho svolto nella relazione, magari non elevate, sia come lo struzzo che ficca la testa sotto la sabbia, e così non vedendo nulla pensa di non doversi preoccupare della realtà che lo circonda. Non la vede, per cui non ritiene di doversene occupare. Io speravo di far tirare a questa gente la testa fuori della sabbia, perché una volta tolta la testa dalla sabbia diventa più difficile rimetterla dentro, e si comincia invece a guardarsi intorno. Evidentemente ho avuto troppa presunzione.

Ecco perché gradirei che le critiche che mi piovono addosso fossero logiche e specifiche su ogni singolo dubbio espresso, perché se non si riesce a confutare penso sia meglio tacere e meditare finché non si trova un’adeguata risposta. Mi verrebbe voglia di liquidare chi semplicemente mi richiama all’obbligo di obbedienza sui dogmi, senza essere in grado di spiegarli e di rispondere alle varie obiezioni, con la famosa frase: ‘Cosa stia costui veramente pensando nessuno lo sa; forse neanche lui’. Non risponderò, pertanto, a critiche generiche del tipo: “Non hai capito niente di sant’Agostino!”, oppure “Quel teologo da te citato non è serio,” oppure “è superato.” Occorrerà dimostrarmi o che la mia citazione di sant’Agostino è sbagliata, oppure che non può essere interpretata nel senso che ho interpretato io, spiegandomi ovviamente il perché; occorrerà dimostrarmi che la frase detta da quel teologo ‘non serio’ è errata, perché anche il più cretino degli uomini può dire una volta in vita sua una frase intelligentissima, che resta intelligentissima anche se lui resta di fondo un cretino. Nell’Antico Testamento ci raccontano che Dio ha parlato perfino attraverso un’asina (Nm 22, 28-31), e quando l’animale ha parlato ha detto una verità che neanche Bàlaam si aspettava [31][31]. Se poi ho citato autori superati, si dovrà avere la bontà di indicarmi quando, dove, da chi sono stati razionalmente contraddetti, perché l’onere della prova non grava mai su chi contesta, ma sempre e solo su chi sostiene la verità della sua affermazione che altri contestano [32]. Altrimenti, lo ripeto, il credere ai dogmi si riduce a non pensare.

Posso accettare una fede che non spieghi tutto, ma non posso accettare che i misteri della fede diventino fede dei misteri. Insegnare la dottrina della fede non è di certo sufficiente per indurre la fede [33] e le verità di fede di cui parla il catechismo sono tutto sommato delle interpretazioni teologiche umane della fede [34]. Perciò non posso nemmeno accettare una critica da parte di chi prima pretende di spiegarmi tutto razionalmente, ma quando non ci riesce si aggancia a premesse di fede e non di ragione. Non accetto allora che mi si possano opporre argomenti indimostrabili di autorità divina, del tipo “questo resta un mistero, ma devi credere comunque alla spiegazione ufficiale perché il sacro magistero dice così e la teologia si fonda non su argomenti di ragione, ma su argomenti di autorità divina” [35]. Quando i conti non tornano si abusa della parola ‘mistero,’ ma questo significa entrare in un classico circolo vizioso, perché i dogmi e relative dottrine, imposti da un’autorità umana, vengono prima sacralizzati da una sedicente rivelazione e poi venerati come dettati dal Divino.

Non basta neanche dirmi “Hai scritto cose superficiali, si vede che non hai un’adeguata preparazione teologica, perché su ogni riga di contestazione che hai scritto sono stati scritti volumi alti almeno una spanna che ti smentiscono. Lo so perché, a differenza di te, ho studiato teologia per cui ne so più di te!” L’ho già detto che non sono teologo (ma piuttosto un ricercatore di Dio), e non ho assolutamente pensato di scrivere per teologi, ma solo per gente comune come me, che legge, pensa e ragiona con il buon senso comune, senza raggiungere le alte ma spesso oscure raffinatezze dei filosofi. Certo, non sono in grado di leggere i testi nelle lingue antiche originali (ma non credo neanche che tutti i teologi sappiano leggere l’ebraico e il greco antico), e posso anche immaginare che su ogni riga che ho scritto siano già stati scritti volumi su volumi. Ma se proprio ho scritto cose superficiali e ingenue, allora dovrebbe essere facilissimo confutare in poche righe le mie ‘superficiali’ argomentazioni. Se, invece, chi sa, chi ha approfondito, non ha capacità di sintesi per focalizzare – estraendole da tutti quei volumoni – una risposta confutatrice secca alle mie argomentazioni, tale da distruggermi in un minuto, se si resta nel vago, allora forse è il caso di prendere atto che esiste una grande fetta di persone che non crede più alla Chiesa proprio perché non riesce ad ottenere risposte soddisfacenti. E allora, perché non soccorrere questa povera gente e toglierla dal guado in cui si è impantanata? Non dovrebbe essere preoccupazione primaria della Chiesa ufficiale quella di offrire chiari ragionamenti per uscire da questo pantano, facendo piazza pulita di tutte le argomentazioni “superficiali”? E questo non solo per me, ma per i tanti che annaspano nei miei stessi dubbi e che di fronte al silenzio cominciano veramente a pensare che la dottrina così come ci viene prospettata, una volta esposta alla luce, si dissolva.

Sono dell’idea che sentendo un’opinione diversa si dovrebbe semplicemente aprire una discussione, e le varie opinioni dovrebbero alla fine fecondarsi reciprocamente. Al contrario, l’irritazione, l’arroccamento sulle proprie posizioni senza mai opporre serie obiezioni alle idee che sono diverse dalle proprie, e soprattutto il rifiuto pregiudiziale del dialogo [36] che richiede reciprocità, tronca immediatamente e necessariamente ogni possibilità di approfondimento. Quello di cui sono certo è che per le nuove sfide del momento attuale non bastano i vecchi schemi e i vecchi pensieri. E, a proposito, il sapiente, per la Bibbia, è «colui che cerca Dio» (Sal 14,2), non colui che pensa di averlo già trovato.

Perciò, se non condividete i dubbi che ho espresso, aiutatemi a capire, oppure – vi prego - rimanete zitti. Se siete in grado di chiarire anche uno solo dei tanti dubbi da me espressi, avrete preso due piccioni con una fava: avrete aiutato colui che ritenete un errante (il sottoscritto) a capire meglio, e sarete cresciuti voi stessi rafforzando la vostra fede. Altrimenti, finché vi fermate a una replica fatta solo di frasi fatte che non spiegano niente, convincerete magari chi è già convinto come voi, ma avrete scritto cose del tutto inutili per tutti gli altri che rimangono nel dubbio, e non possono accettare idee lacunose o che non filano linearmente dal punto di vista logico. Sono solo frasi inutili ripetute da persone che non vogliono ascoltare argomentazioni al di fuori di quelle che confermano la loro ideologia.

Il vecchio sta morendo. Il nuovo fa fatica a nascere, però nascerà solo attraverso un dialogo costruttivo. Del resto, anche la vecchia dottrina (che qualcuno ancora è convinto sia eterna) era nata in passato proprio per rispondere alle domande dei dubbiosi. In passato la Chiesa ha cercato di rispondere; oggi non vorrebbe più fare neanche questo, nell’assurda convinzione di aver già dato ogni risposta, per più definitiva e immodificabile.

Stando ai vangeli, Gesù ci chiama a costruire un futuro unico. Dunque ognuno è chiamato a farsi cambiare: il fondamentalista dall’eretico, l’eretico dal fondamentalista; noi dallo straniero, lo straniero da noi, e alla fine – si spera - saremo tutti migliori. Alla fin fine bisogna scegliere se porre fra sé e gli altri un muro invisibile fatto di dogmi e di doveri [37], magari chiamando tutto questo Dio, auto-qualificandosi poi come addetti stampa di questo ‘Dio’, oppure se accettare nelle persone una libertà di coscienza (e quindi di idee) senza per questo vederle subito come zizzania infestante del proprio terreno. S’inserisce qui bene il richiamo a Roger Williams (che fondò la colonia del Rhode Island negli odierni Stati Uniti) e alla sua famosa metafora di una nave su cui viaggiano persone di diverso Credo senza che per questo il comandante di quella nave sia privato del potere di comandare la rotta della nave verso un bene comune e di imporre a tutti, marinai e passeggeri, l’osservanza di giustizia, pace e temperanza. Forse trovare l’accordo almeno su questi punti sarà più semplice che trovare l’accordo sui dogmi.

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Nelle prossime domeniche cercherò di rispondere a varie obiezioni e domande che mi sono state fatte da chi ha letto la mia relazione su Chi era Gesù di Nazaret [38].

Dario Culot

 

 

[1] La tradizione racconta che nel III secolo Ippolito venne eletto papa da un gruppo scismatico che non condivideva le idee di papa Callisto (ritenute troppo permissive, in quanto questo papa prevedeva il perdono per tutti i peccati), sì che avremmo avuto in quell’occasione il primo antipapa. Sempre questa leggendaria tradizione racconta che i sostenitori delle due fazioni avrebbero creato disordini a Roma scontrandosi nelle strade anche fisicamente, tanto che l’imperatore si stancò, fece arrestare entrambi per poi mandarli ai lavori forzati nelle miniere della Sardegna, dove morirono. Però va sottolineato che, nonostante queste divergenze focose di opinioni, nel tentativo di mantenere l’unita della Chiesa, entrambi sono stati dichiarati santi, con un’opera di equilibrismo curiale non dappoco.

[2] Ristagno S., La teologia protestante, in Le Chiese della Riforma, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2006,  23.

[3] Peggio: molti vedono il cattolicesimo assediato da nemici; dunque, occorre difenderlo.

[4] Dal 1523 al 1978 (anno di elezione di Papa Giovanni Paolo II) si sono succeduti solo papi italiani (Zenzeri G., Il papato, ed. Claudiana, Torino, 2000, 139). Da poco, non essendo più la maggioranza dei cardinali italiani, si sono eletti di fila tre papi stranieri.

[5] Parafrasando Gounelle A., Parlare di Dio, ed. Claudiana, Torino, 2006, 51 e 49.

[6] Pensate all’enorme differenza fra le scarpette rosse di papa Benedetto XVI e quelle scarpacce grossolane e nere di papa Francesco: è chiaro che indicano due modi totalmente diversi di intendere la stessa funzione.

[7] E questo ovviamente non avviene solo nel campo religioso. Pensiamo a come anche l’idea della supremazia della razza bianca sia alla fine un insieme di dogmi che portano a riconoscere al bianco il diritto di dominare politicamente, economicamente e anche religiosamente.

[8] “Ma chi ci dice che Dio preferisce i poveri, gli esclusi?” obietterà qualcuno. Che Dio si identifichi con gli affamati, gli assetati, i pezzenti lo dice, ad es., il racconto del giudizio finale di Matteo 25. Quindi nessuno di noi ha mai conosciuto Dio ma, senza saperlo, il vangelo ci dice che tutti lo abbiamo incontrato, e certamente non in chiesa. Ecco perché i ricchi sono stranieri nella chiesa, e possono acquistarvi diritto di cittadinanza soltanto attraverso il servizio ai poveri (frase attribuita, mi sembra, al vescovo francese Jacques Bossuet del ‘600).

[9] Diceva Benedetto Croce (Perché non possiamo non dirci cristiani, https://www.startmag.it/mondo/rileggendo-perche-non-possiamo-non-dirci-cristiani-di-benedetto-croce/) il pensato non è mai terminato di pensare. Ciò significa che tutto ciò che avanza nella storia si trasforma, per cui anche i valori di una volta continuano in forme nuove.

[10] Con questo non è che abbiamo travolto i vangeli. Nella parabola dei talenti (Mt 25, 14ss.) già abbiamo la figura di chi aveva paura tremenda di Dio per cui era rimasto paralizzato, e di chi non aveva la stessa paura per cui si era dato da fare.

[11] Cosa vuol dire “tradizione”? A Roma, Piazza San Giovani era appannaggio di chi organizzava il concerto di Primo maggio, dei sindacati, della sinistra. Nessuno di destra avrebbe mai osato chiederla. Ma le tradizioni si evolvono e cambiano senza che ce se ne accorga, tanto che ora la destra tiene lì i suoi comizi, pur dicendo di voler difendere le tradizioni (Bianchi D., Il Venerdì di Repubblica, n.1650/2019, 9). Dunque, anche le tradizioni cambiano.

[12] Ortensio da Spinetoli, Bibbia e catechismo, Paideia, Brescia, 1999, 31.

[13]  Dell’11.4.1963.

[14] Giovanni XXIII, Gaudet Mater Ecclesia.

[15] Papa Francesco incontra Eugenio Scalfari. “Repubblica”, 1.10.2013, 3. Ecco che, come hanno ben detto i teologi Panikkar e Carlo Molari, l’avvenire appartiene a coloro che saranno capaci di parlare più linguaggi e di entrare in differenti mondi religiosi; il pluralismo è cioè il nostro futuro. Invece questo è ovviamente bestemmia per chi si sente al sicuro solo dietro al proprio muro.

[16] Mai nei vangeli si dice che Gesù organizzò attività religiose o assemblee per il culto sacro. Mai Gesù tollerò che fra i suoi discepoli qualcuno si ponesse sopra gli altri, e ancor meno che comandasse sugli altri. La sua religiosità si centra su una forma di vita che si concentra nella misericordia verso tutti, in armonia con un Padre che ama tutti e perdona tutto e tutti.

[17] Gonzales Faus J.I., El rostro humano de Dios, ed. Sal Terrae, Santander 2007, 85.

[18] Teniamo presente che, secondo l’insegnamento del magistero, la stessa messa è un sacrificio cultuale (nn. 1088 e 1113 del Catechismo). Ora, per un sacrificio cultuale sono necessari un animale da sacrificare e un sacerdote sacrificante. Qui l’animale sacrificale è Gesù, e Gesù sarebbe anche il sacerdote sacrificante, ma allora la sua morte equivarrebbe a un suicidio cultuale (Lenaers R., Il sogno di Nabucodonosor, ed. Massari, Bolsena (VT), 2009, 290). Questo ovviamente non può essere, per cui si può parlare di sacrificio solo impropriamente: cfr. l’articolo al n. 531 di questo giornale (https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa500/numero-531---17-novembre-2019/la-dottrina-del-sacrificio), per inquadrare meglio il problema. Del resto dai vangeli emerge chiaramente che, se Gesù è finito in croce, non è perché ha pregato, ma perché ha preso posizione per l'Uomo, perché ha parlato apertamente contro le leggi e le situazioni ingiuste. Sono gli uomini di potere che hanno eliminato Gesù, non è Dio che ha voluto sacrificarlo.

[19] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 141.

[20] Emblematica al riguardo è la frase che chiuse drammaticamente l’incontro di un missionario dei poveri con l’arcivescovo di Khartoum: “Mi perdoni! Abbiamo due visioni di chiesa molto differenti. Lei pensa che lo Spirito Santo ce l’abbia solo il vescovo; io ritengo che lo Spirito Santo lavori in tutti” (Zanotelli A., Korogocho, Feltrinelli, Milano, 2003, 101).

[21] https://www.famigliacristiana.it/articolo/il-testo-integrale-della-lettera-di-papa-francesco--a-eugenio-scalfari.aspx

[22] Benedetto XVI, Ultime conversazioni a cura di Seewald P., ed. Corriere della sera,Milano, 2016, 225.

[23] Agostino, De civitate Dei, XI, 22 Ipsa veritatis occultatio aut humilitatis exercitatio est aut elationis attritio. 

[24] Papa Francesco incontra Eugenio Scalfari. “Repubblica”, 1.10.2013, 3.

[25] Panikkar R., Trinità ed esperienza religiosa dell’uomo, Cittadella, Assisi, 1989, 67s.

[26] “Quando stava per morire, dopo la Pacem in Terris, papa Giovanni fu accusato da un giornale di aver cambiato il Vangelo per andare incontro ai comunisti e monsignor Capovilla riferisce questa sua frase : “Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio” (riportata da TV2000 il 10.3.2017 dall’ospite della trasmissione Alberto Melloni, esperto del concilio Vaticano II).

[27] Giovanni XXIII, riportato in http://www.vatican.va/jubilee_2000/magazine/documents/ju_mag_01071997_p-41a_it.html.

[28] Quando papa Francesco ha spinto per dare autonomia ai sinodi ha anche espresso la consapevolezza «che un percorso sinodale può cambiare la Chiesa. Un percorso sinodale senza riforma non è pensabile» (I. Scaramuzzi, “I vescovi tedeschi: avanti con il percorso sinodale, non senza Roma”, in Vaticaninsider, 28 settembre 2019).

[29] Anche questa non è farina del mio sacco, ma non ricordo quale filosofo l’ha detto.

[30] A proposito, se provate a digitare su un motore di ricerca ‘Papa Francesco eretico’ troverete centinaia di siti e articoli. Ma se è per questo troverete anche oltre cento eresie imputate a papa Giovanni Paolo II. C’è sempre qualcuno più ortodosso di chi si ritiene un puro ortodosso. O come diceva Pietro Nenni, “Gareggiando a fare i puri, si trova sempre uno più puro che ti epura” (https://aforismi.meglio.it/aforisma.htm?id=712b).

[31] Vannucci G., Esercizi spirituali, ed. Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2005, 72.

[32] Anche questo è un vecchio broccardo romano, giunto fino a noi e ancora valevole nel mondo del diritto: onus probandi incumbit ei qui dicit (l’onere della prova grava su colui che fa l’affermazione), e in base a questo principio si vince o si perde nel processo civile. Mi spiego con un esempio. Se io dico che non credo che il peccato originale sia stato trasmesso a ciascuno di noi dai propri genitori, grava sulla Chiesa l’onere di dimostrare la verità storica del racconto biblico, giacché è la Chiesa a sostenere che siamo di fronte a un fatto storico, fino ad arrivare a colpire con scomunica sia chi nega il peccato originale di Adamo ed Eva come fatto storico, sia chi nega che esso si propaghi per generazione (Concilio di Trento, Sessione V, decreto sul peccato originale, canone 1). Immaginatevi se oggi la Chiesa pretendesse ancora che fosse il fedele a dimostrare che la terra gira attorno al sole, e non l’inverso.

[33] Molari C., Dottrina e prassi nel cammino ecclesiale, “Rocca” n.9/2014, 53.

[34] Ortensio da Spinetoli, Bibbia e catechismo, ed. Paideia, Brescia, 1999, 30.

[35] Oggi non è più razionale e quindi accettabile pretendere che tutti seguano il fondatore dei gesuiti: “Per essere certi in tutto, dobbiamo tenere questo criterio: quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica” (Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, ed. ADP, Roma 1991, 313).

[36] Cfr. Enciclica Fratelli tutti, § 198. Ma già papa Paolo VI diceva che la Chiesa non deve respingere nessuno e venire a dialogo con il mondo (Famiglia Cristiana, 46/2020, 55s.). Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo “dialogare”.

[37] Sono in tanti a ripetere solo gli schemi del passato, mentre Dio ha bisogno di persone che creano, non che ripetono (“Io faccio nuove tutte le cose” – Ap 21, 5). Dio ha bisogno di manifestarsi in forma creativa, tant’è che la vita, nella sua esuberanza, si è sempre manifestata in mille forme diverse.

[38] Vedi dal n. 573 al n. 581 di questo giornale.