Marco Strano  e la repubblica dei gatti randagi

Marco Strano e un gatto - disegno di Rodafà Sosteno

Chi scende lungo il torrente che qui ci ostiniamo a chiamare fiume, sfuggendo al calore secco dei muri delle giornate d’estate, troverà ad attenderlo, terminata la vecchia mulattiera carrozzabile, un secondo torrente ricco d'acqua e sparso di massi grigi e arrotondati, poggiati sopra una distesa di ghiaie bianche ricoperte di lanuggine verde e mobile. Poco più sotto la corrente, come inciampando nel fondale, forma una miriade di minuscole pozze adeguandosi al caso, mentre in quelle più grandi e calme, qualche piccola anatra azzarda la pesca nell'acqua gelida.

Marco Strano, così è conosciuto su in paese, se ne sta spesso sul bordo della vasca più grande a spiare le traiettorie quasi statiche ed invisibili degli avannotti e delle trote. Gran pescatore da ragazzo, ora non più, ci manteneva uno stuolo di gatti male in arnese: chi grasso con zampe troppo lunghe, chi mozzo di coda o senza un occhio, chi dal pelo troppo arruffato per essere vero. I soldi non gli mancano, pochi per la verità in tasca, ma una voce mai zittita sostiene che la tabaccaia, proprietaria di ettari d'alpeggio e di quattro malghe, abbia un debole per lui.

Lo si direbbe tranquillo, forse felice, nessuno in paese l'ha mai capito. Fuma regolarmente sei sigarette al giorno, tozze e grosse, bianche anche nel filtro, pestifere Gitanes francesi originali, difficile trovarle in Italia, ma si sa, le tabaccaie innamorate... Certi in paese sostengono che sia matto, come suo padre prima di lui, rinchiuso in manicomio a Feltre quando Marco aveva tredici anni. Quando non è giù al torrente vagabonda per filari di vite in compagnia di un piccolo cane di età indefinibile, dall'andatura trotterellante, terrore dei proprietari di cagne in calore, poiché capace di ingravidarle sempre e comunque, con pochi colpi ben assestati e nelle situazioni più improbabili. Si vocifera nei dintorni che metà, o forse più, dei cani randagi o di paese, sian figli o figlie sue. Tutto questo non lo tocca affatto, e sarebbe strano il contrario, ma a favore della sua innocenza depone la quasi assoluta mancanza di testimoni all'atto della copula, nonché il suo essere perennemente a fianco di Marco nel vagabondare di ogni giorno. Si aggira infatti per campi e vigneti, ombra dello Strano, con l'andatura dignitosa e traballante di un vecchio capocomico da avanspettacolo, favorito in questo da una buffa livrea maculata a pelo corto e dall'orecchio destro più lungo e peloso, che tiene riverso all'indietro sul capo. La coppia si separa ogni volta che Marco mette piede nel giardino incolto e disordinato, ma fiorito in ogni stagione, che circonda la vecchia casa di famiglia, dove vive con la madre molto anziana.

Il giardino però ha una singolare caratteristica, che contribuisce non poco a tenere alla larga Aimone – questo il nome del fedele cane – è una sorta di libera repubblica dei gatti, quegli stessi gatti, i loro nipoti credo, che lo Strano nutriva. Insomma una sorta di minuscolo stato gitano dei gatti randagi, ma con leggi non scritte severissime. Anzi, in realtà è una repubblica oligarchica, come era Venezia fino al Settecento. Sarà per questo che El Bocia, come lo chiamano tutti, il maschio più temuto e rispettato, è una specie di grande anziano, di capo carismatico. Si tratta di un enorme gatto grigio e bianco, il cui peso si aggira tranquillamente sui 35 chili. Il soprannome viene non dal fatto che sia giovane, anzi, ma perchè quando se ne sta seduto sulle zampe posteriori è alto all'incirca come un bambino di quattro anni. A dire il vero pochissimi lo sostengono, o meglio asseriscono di averlo visto seduto, poiché se ne sta perennemente accovacciato negli angoli migliori del giardino, tanto che a volte, visto dall'esterno, sembra morto, capace com'è di stasi pressocché minerale. L'esecutore materiale, colui che fa rispettare la legge del branco, è il feroce luogotenente del Bocia: un gattaccio smilzo dagli occhi giallo-cenere, nero e pestifero che qui tutti chiamano Gas de pet, o almeno chiamavano tutti così, perchè meno di un mese fa è morto schiacciato sotto ad un autoarticolato carico di bastoncini di pesce – si proprio quelli di Capitan Findus - che, chissà per quale motivo, era uscito troppo presto dall'A27, finendo per entrare in valle. In molti però sostengono che Gas de pet, o meglio ciò che ne resta, è morto tentando di assalire l'autista del TIR, uno slavo stanco ed assonnato che ha avuto però il sangue freddo di estrarre una AK-47 di fabbricazione albanese e fare a pezzi ben 23 micetti inferociti fra i più grossi mai visti in paese, almeno a giudicare dai resti. Si vocifera che stretto nel moncherino della zampa sinistra di Gas de pet vi fosse un legnetto con tracciate a colpi di unghie, strade e deviazioni, sin da prima di Belluno, del camion frigorifero della Findus. Qualcuno giura e spergiura di aver visto scritto anche il numero di targa dell'autoarticolato...

Mah! Strane storie che si raccontano nelle valli di montagna, dove la gente è davvero imprevedibile, ma i gatti - si sa -  lo sono ancora di più.

 

Stefano Agnelli