Quel “dopo” ch’è adesso di Brunetto Salvarani

Locandina dell’incontro online del prossimo sabato 28 novembre alle ore 18 promosso dal nostro giornale e dell’Associazione Culturale “Casa Alta”; per ottenere le credenziali del collegamento Zoom scrivere una mail a casa.alta@virgilio.it

Sabato prossimo, 28 novembre, l’Associazione Culturale Casa Alta ed il nostro giornale promuovono, con inizio alle ore 18, un incontro online – sulla piattaforma Zoom (cui si può liberamente partecipare ottenendo le credenziali di accesso tramite mail da inviarsi all’indirizzo: casa.alta@virgilio.it) – con il teologo Brunetto Salvarani, che ha da poco pubblicato, per Laterza, il suo volume Dopo. Le religioni e l’aldilà.

Se è consentito un cenno di memoria personale, mi viene alla mente l’insegnamento di mia figlia, in prima elementare, che, di fronte ai miei crucci di adulto per il tempo cronologico che scorre impietoso e presenta le sue impellenti urgenze, mi ammoniva: «non pensare a domani, ma pensa a dopo».

Il dopo è il kairós, mentre domani è il chrónos. Dopo è il tempo che diventa occasione di impegno e realizzazione, di progettualità ed entusiasmo, domani è la passività del tempo imposto, che assoggetta e spesso schiaccia.

Il volume di Salvarani – laico teologo di Carpi, nel modenese, docente di Missiologia e Teologia del dialogo presso la Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna - giunge come il terzo di una trilogia iniziata con La fragilità di Dio. Contrappunti teologici sul terremoto (EDB, 2012) ed approdata a Teologia per tempi incerti (Laterza, 2018).

Colpisce che il n. 3 della Premessa riporti in forma interrogativa – In virus veritas? – le medesime tre parole che sono invece asserzione del titolo di un lavoro recente del filosofo di Trieste Pier Aldo Rovatti (https://www.ilsaggiatore.com/libro/in-virus-veritas/).

Ed in effetti il “dopo” di Salvarani risulta assai prossimo a ciò che il pensiero filosofico postmoderno, in definitivo congedo da ogni sistemazione metafisica, definisce come  – è sempre il titolo di un’opera di Rovatti – abitare la distanza.

Scrive Salvarani (p. XVII): «Di fronte all’impatto del Covid-19 le religioni – come tante altre istituzioni, forse tutte, va ammesso – hanno mostrato sorpresa, fiato corto e una lungimiranza relativa. Del resto, era inevitabile che fosse così: la pandemia, con la rispettiva quarantena, a ben vedere, oltre a confermare il carattere definitivamente interconnesso e interdipendente del nostro abitare la terra, non ha potuto far altro che smascherare impietosamente difficoltà e contraddizioni che, in ambiti diversi, provengono in ogni caso da lontano, ampliandone la portata e facendocele toccare con mano la nostro affaticato vissuto quotidiano.»

Salvarani dirige anche la rivista bimestrale di dialogo interreligioso QOL (https://www.facebook.com/1410453699208889/posts/1411757635745162/), che in 35 anni ha sviluppato una precipua attenzione al dialogo con l’Ebraismo, vedendo il coinvolgimento di un protagonista unico come il compianto Paolo De Benedetti.

Si legge a p. 58 del libro di Salvarani: «Per comprendere le modalità con cui il Nuovo Testamento affronta la questione [della morte], è necessario approfondire il rapporto fra Gesù di Nazaret e l’esperienza umana del morire. Premettendo che nel complesso, come scrive Paolo De Benedetti, «la morte, nella Bibbia, non è amata e non è abbellita, perché la Bibbia non è ascetica né antimondana: spesso ritorna la sconsolata convinzione che i morti sono lontani dalle meraviglie di Dio».» E prosegue, alle pp. 59-60: «La morte è altro, è qualcosa che riguarda chi rimane nella gestione del lutto, del buco più o meno vistoso che si viene a creare nel sistema degli affetti. Si badi: è sempre e solo l’ebraismo il campo ermeneutico della figura di Gesù, al di fuori del quale la sua umanità non è più espressiva, oppure rischia, com’è accaduto continuamente nella storia delle Chiese, di ammantarsi di connotazioni persino del tutto estranee alla sua identità, proiezioni delle nostre più svariate ideologie: così, per limitarci agli ultimi secoli, abbiamo assistito alla costruzione di un Gesù moralista borghese e liberale e di un Cristo socialista rivoluzionario, per tacere delle tante reinterpretazioni in chiave trionfalistica del passato. Il che, peraltro, non equivale a sostenere che egli sia riducibile a una determinata somma d’influenze ambientali, o che non possieda una sua originalità unica e irripetibile, come ogni uomo e ogni donna sulla terra. Tuttavia, la sua stessa originalità si conserva, a ben vedere, perfettamente ebraica, comprensibile solo ed esclusivamente all’interno dell’ebraismo, della fede e delle tradizioni di Israele da lui rilette come era solito fare qualsiasi rabbino. La sua è un’umanità ebraica, e solo a partire da tale umanità egli è passibile di essere letto e conosciuto con un certo grado di plausibilità.»

Per l’associazione Casa Alta, che inaugura il proprio percorso di rifondazione con l’incontro di sabato 28 novembre – che a sua volta costituisce, assieme all’incontro con il teologo anglicano Gianluigi Gugliermetto del 27 novembre, un unico evento denominato “Daltraparte”, – l’interlocuzione con l’Ebraismo sarà dimensione imprescindibile e vedrà appositi momenti di condivisione in corso di preparazione. Del resto Alice Weiss, madre di don Lorenzo Milani, era triestina ed ebrea (https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20202/numero-573---6-settembre-2020/rodafa) ed a Trieste ha sede Casa Alta.

Il “dopo” di Salvarani è nel segno dell’éschaton, del momento ultimo, ma abbraccia e cita esperienze, come quella di Bose - del cui Priore, Luciano Manicardi, viene fatta menzione a p. 165 -, che anticipano l’ultimità in un “noi” amoroso, le cui implicazioni per la vita di ognuna ed ognuno sono appena da studiare e scoprire.

L’aldilà delle religioni inizia nell’aldiquà degli uomini e delle donne, credenti oppure no.

Perché ciò che resta, alla fine, è soltanto l’amore.

 

Stefano Sodaro