Differenze fra Paolo e i Vangeli

Il cardinale Ruini con la casula e il cardinale Burke con la cappa magna

(fonte Wikipedia)

Dalla lettura del catechismo e dalle predicazioni ascoltate in chiesa ci siamo fatti l’idea che il cristianesimo sia stato fin dall'inizio un movimento unito, granitico, compatto come un monolite, dove non c’è mai stato spazio per opinioni diverse da quelle che Dio in persona ha suggerito al magistero. Questo perché ci è stata inculcata l'idea che l’unità è il segno di riconoscimento, il «biglietto da visita» della Chiesa nel corso della sua storia universale [1]. Ancora oggi c’è chi sostiene che la presenza di più strade crea confusione, e «la confusione è del diavolo» [2]. Ma nella realtà il cristianesimo è sempre stato una galassia dove si sono intrecciate tante idee diverse: siamo in presenza di un oceano mosso, attraversato da mille correnti, e non davanti a un oceano piatto e immobile [3]. Fin dall’inizio, cioè, esisteva una gran varietà di gruppi che si sono estesi con rapidità rivendicando la memoria di Gesù [4].

Se ad esempio guardiamo al cosiddetto concilio di Gerusalemme (At 15), il primo concilio della Chiesa,  appaiono già definiti e delineati ben tre gruppi che dividono la Chiesa nascente: 1) i cristiani di origine ebrea che, per credere in Gesù Messia, esigevano che tutti si sottomettessero alla Legge e ai rituali del giudaismo; 2) i cristiani che seguivano Pietro, il quale non obbligava alla circoncisione, ma solo ad alcune osservanze giudaiche, come ad esempio non prendere cibi impuri; 3) i cristiani non ebrei (inizialmente soprattutto paolini), i quali pensavano che la salvezza si otteneva solamente mediante la fede in Cristo, senza doversi sottomettere a leggi [5] o rituali del giudaismo [6]. Da queste iniziali differenze si è passati presto allo scontro fra cristiani ebrei e cristiani non ebrei, ad es. per motivi di assistenza alle vedove non ebree (At 6, 1); oppure pensiamo allo scontro fra Pietro e Paolo (Gal 2, 11-21), perché Paolo stava più di Pietro dalla parte dei non-giudei, almeno nella sua condotta pubblica. E queste situazioni di divisione emergono nitidamente già dalle lettere di Paolo (Rm 14, 13-23; 1Cor 1, 11-13; 10, 23-33; Gal 2, 11-21), che sono i primi scritti cristiani in assoluto. C’è da aggiungere che queste divisioni, col passar degli anni, sono aumentate anziché diminuire. E questo spiega perché è emersa la necessità di creare ruoli di comando, con l’autorità d’imporsi ed evitare così le deviazioni dottrinali.

Essendo questo il quadro, non ci si deve stupire se emergono differenze inconciliabili già confrontando i vangeli con le lettere di Paolo. Non c’è dubbio cioè che la teologia espressa da Paolo e quella ricavabile dai vangeli viaggino su due binari diversi (cfr. l’articolo I binari della Chiesa al n. 428 di questo giornale, https://sites.google.com/site/numeriprecedenti/numeri-dal-26-al-68/199996---novembre-2017/numero-428---26-novembre-2017/i-binari-della-chiesa). Questo dipende innanzitutto dal fatto che Paolo non ha conosciuto il Gesù terreno, e non ha potuto né leggere i vangeli, né poi insegnarli alle sue comunità cristiane per la semplice ragione che durante la sua vita i vangeli ancora non esistevano. La tendenza paolina è perciò quella di portare il Gesù storico all’oblio, vedendo in Gesù non l’uomo che era, bensì il Signore ormai esaltato nella gloria. Paolo privilegia Cristo secondo lo spirito e non secondo la carne perché non avendolo mai direttamente conosciuto poteva così evitare ogni contestazione al riguardo [7]. Rivendica per sé il titolo di apostolo (Gal 1, 1; Rm 1,1), ma evita accuratamente di parlare degli altri 12 apostoli come testimoni oculari. Paolo non ha bisogno di appoggiarsi all’autorità di altre persone, perché il Vangelo – egli dice - gli è stato trasmesso direttamente da Cristo risorto (Gal 1, 11-12), e Dio gli ha affidato l’incarico di annunziarlo (Gal 1, 15-16; 2, 7) [8]; perciò non gli interessa chi erano le persone considerate più autorevoli nella Chiesa madre di Gerusalemme (Giacomo, Pietro e Giovanni), perché Dio sceglie chi vuole (Gal 2, 6), e anche perché c’è stato ormai il riconoscimento di una sua piena e pari autorità, visto che le tre colonne di Gerusalemme sono state d’accordo con lui (Gal 2, 9) o per lo meno non gli hanno imposto nulla [9] (Gal 2, 6).

La prima grande differenza con gli apostoli sta in questo: volendo trasmettere il suo vangelo ai pagani, Paolo si è reso subito conto che non poteva entrare in conflitto con l’Impero per cui ha cercato, nei limiti del possibile, di integrare la fede in Gesù Cristo nella società e nella cultura dell’Impero. Probabilmente, senza Paolo, il cristianesimo non si sarebbe diffuso nell’Impero, e sarebbe rimasto appannaggio di una piccola setta in Palestina [10]. Ma presa la decisione d’integrarsi nella società romana, Paolo non ha avuto altra scelta che spostare il centro della vita della Chiesa nella salvezza eterna, nella redenzione dal peccato e nella salvezza in un’altra vita, accettando contemporaneamente le inevitabili conseguenze che questo comportava [11]. Vediamo qualche esempio.

(A) Il messaggio di Gesù umano si concentra sull’imminente arrivo del Regno di Dio, e questo termine viene usato più di cento volte nei vangeli. Gesù intende il Regno come evento di questo mondo, e in questo mondo si dà da fare per lenire le sofferenze, ascoltare gli esclusi, curare gli ammalati, cacciare i demoni, eccetera. Non a caso Gesù tratta soprattutto con la gente più povera, più emarginata, più semplice della società. È questo il tipo di persone che si avvicina a Gesù perché queste sono le persone che hanno più bisogni, più necessità. Nell’evangelizzare, Gesù spiega costantemente che potere [12][12] e ricchezza [13] sono i nemici di Dio e degli uomini, e coerentemente per tutta la sua vita rifugge da ogni ricchezza e soprattutto da ogni potere, in cui c’è sempre qualcosa di diabolico, perché il potere, ogni potere, usa o prima o dopo la violenza per difendere i suoi privilegi [14].

Anche allora i ricchi stavano bene così come vivevano, per cui non sentivano alcuna necessità di cambiare; la classe media ancora non esisteva, sì che o si era ricchi o si era poveri; e sono stati i poveri a restare affascinati dal messaggio di Gesù. Lo stesso si ripete anche oggi: ad esempio in India, sono le classi più emarginate e più povere che si avvicinano più facilmente al cristianesimo. Il Kerala è stato per decenni serbatoio di vocazioni; ora che il livello economico è mediamente alto, in quello Stato le vocazioni sono scemate, mentre sono diventate significative nel ben più povero Orissa. Però, in Orissa, i più poveri, i dalit (i fuori casta) che diventano cristiani cominciano a pretendere uguaglianza, e questo innesca reazioni violente (persecuzioni) contro di essi da parte delle classi superiori, che improvvisamente si trovano di fronte persone che fino a ieri erano umili e sottomesse, e oggi non vogliono più esserlo, per cui sono viste come sovversive.

 (A1) Anche Paolo parla del Regno di Dio, ma poche volte, facendo così capire che il Regno non è poi così centrale nel suo sistema teologico che andava costruendo; inoltre Paolo non lo vede come evento di questo mondo, ma piuttosto come evento futuro per l’al di là, visto che parla di ereditare il regno di Dio (1Cor 6, 9-10; Gal 5, 19-21; Ef 5, 5), e sappiamo che si eredita in seguito alla morte.

Ma soprattutto Paolo abbina il Regno di Dio al concetto di potere: dopo la resurrezione sarà la fine «quando egli (Cristo) consegnerà il regno al Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi» (1Cor 15, 24-25). Per Paolo, sarà Gesù a distruggere ogni potere contrapposto e a mettere sotto i piedi tutti i nemici che gli si sono opposti. Siamo esattamente all’opposto di quanto insegnava Gesù che invitava ad amare anche i nemici e con la lavanda dei piedi dimostrava che non si deve mettere nessuno sotto i piedi, ma bisogna servire gli altri.

Ora, guardando a tutte le cattedrali che svettano verso il cielo, a tutte le sontuose cerimonie, a tutti i fasti della Chiesa, a tutte le eminenze ed eccellenze, quale delle due cristologie vi sembra sia prevalsa nella storia della Chiesa? È chiaro che la Chiesa ha preso i titoli onorifici pensando che il mondo celeste fosse la bella copia di quello terrestre. 

(B) Gesù ha creato sconcerto e scandalo perché si è mischiato con prostitute e peccatori; nel suo gruppo non ha fatto entrare i puri, ma solo gli impuri: «non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2, 17; Lc 5, 32). Si faceva accompagnare da un gruppo misto di uomini e di donne, alcune addirittura scappate dai propri mariti, altre guarite da sette demoni (Lc 8, 23): si mischiava con gente di dubbia reputazione, almeno dal punto di vista morale. Ha perdonato l’adultera in maniera sconcertante (Gv 8, 3-11). Non ha speso una parola contro la sodomia, la fornicazione, il sesso e men che meno contro il piacere del sesso; né mai si è scagliato contro i peccatori, o li ha minacciati.

(B1) Per Paolo, l’uomo è in balia del peccato (Rm 7, 14 ss.), e lo stesso ingresso nel Regno dell’al di là è strettamente rapportato all’elenco dei peccati: «Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio» (1Cor 6, 9-10); «sappiate che nessun fornicatore, o impuro, o avaro – cioè nessun idolatra – ha in eredità il regno di Cristo e di Dio» (Ef 5, 5); «fornicazione [15], impurità, dissolutezza, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezza, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso (sinceramente a me sembra una minaccia piuttosto che un preavviso), come ho già detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio» (Gal 5, 19-21).

Il puritanesimo che ha segnato la storia della Chiesa non trova certamente la sua origine nel Vangelo di Gesù, che su questo punto ha mantenuto un silenzio sorprendente [16], il che contrasta palesemente con le numerose invettive che Paolo ha lanciato contro l’immoralità, contraria alla natura e che era accettata nella vita dell’Impero romano (Rm 1, 24.26.28). Parimenti censura con forza l’impudicizia (2Cor 12,20s.; Gal 5,19; Ef 5, 3-5; 4, 19; Col 3, 5-8; cfr. 1Ts 4,7), la fornicazione (pornéia) (1Cor 5,10s.; 6,9; 2Cor 12, 20s.; Ef 5, 3-5; Col 3, 3-8; cfr. 1Ts 4,3), l’adulterio (1Cor 6,9; Rm 2,22), la sodomia (1Cor 6,9; Rm 1,27). Nei cataloghi dei vizi, che Paolo ripete instancabilmente, colpisce il fatto che in cinque di essi il primo ad essere sottolineato dall’apostolo è il vizio sessuale (1Cor 6, 9-10; Gal 5, 19-21; Ef 5, 3-5; 1Cor 5, 9-11; Col 3,5) [17].

Ora, pensando all’insegnamento morale che ci è stato impartito, vi sembra che sia prevalsa nella storia della Chiesa la morale paolina o quella evangelica? 

(C) Nella teologia narrativa dei vangeli, la morte di Gesù avviene chiaramente per decisione esclusiva delle autorità, le quali vedevano nella libertà e nell’insegnamento di Gesù un grave pericolo di sovversione dell’ordine costituito. Stando ai vangeli Gesù è stato messo a morte per aver dimostrato, con la sua vita, misericordia e solidarietà davanti alla sofferenza della gente; ma al contempo ha messo davanti alle proprie responsabilità i ricchi e i detentori del potere [18]. Gesù non ha invitato alla santità, ma alla misericordia, a non escludere gli altri, a condividere con gli altri; voleva insegnarci a vivere fraternamente, anteponendo la lotta contro la sofferenza a qualunque altra cosa, incluso la propria vita; insomma voleva porre fine a un mondo ingiusto. I ricchi ed i potenti, chiamati a una conversione, ma toccati nei loro interessi e privilegi che non volevano mollare, hanno invece posto fine a Gesù.

(C1) Paolo la vede in altro modo e, senza raccontare i fatti, offre una sua interpretazione di questi fatti: Gesù è morto per obbedire al Padre, per volontà del Padre, per redimerci e salvarci dai nostri peccati, per placare l’ira del Padre. Non dimentichiamo che Paolo aveva ricevuto un’educazione da fariseo, e al centro di quella religiosità c’era il sacrificio espiatorio (Lv 4, 27; Nm 15, 27-29), che era appunto un rito sacro per il perdono dei peccati (Lv 5, 14-17). Paolo non riesce a discostarsi dall’idea [19] che Dio si possa adorare solo attraverso sacrifici. È però chiaro che così, l’immagine che ci viene offerta di questo Dio è l’immagine di un dio vampiro [20], che ha bisogno di sangue e sofferenza per perdonare i peccati che gli uomini commettono contro la sua divinità: non a caso Paolo dirà anche (Eb 9, 22) che «ogni cosa è purificata con sangue; e, senza spargimento di sangue, non c’è perdono». 

Dunque, il cristianesimo narrativo dei vangeli mette al centro questa vita e l’impegno a fare di questo mondo un luogo più degno e più giusto. Il cristianesimo speculativo di Paolo pone al centro l’altra vita, quella che segue la morte, dove raggiungeremo la felicità piena che non si può ottenere su questa terra.

Una cosa, però, mi sembra certa: anche se molti sono tuttora convinti che solo soffrendo ed offrendo le nostre sofferenze a Dio gli si fa cosa gradita, se veramente accettiamo l’idea che Dio è amore, questo Dio non può chiedere e non può godere nel vedere la sofferenza della gente. L’unica sofferenza che Dio può tollerare è quella che nasce dalla nostra lotta contro la sofferenza [21]. 

(D)  La comunità di Gesù era itinerante, e non aveva una struttura organizzata, non seguiva riti di nessun tipo e nessuno è stato nominato presbitero [22] (sacerdote) da Gesù. Di più: Gesù non ha fondato e non ha mai parlato di clero: prendete in mano i quattro vangeli e ditemi dove Gesù parla di una gerarchia cui dobbiamo sottometterci. Va poi ripetuto che Gesù non ha mai proposto un insegnamento autoritario [23], tanto che mai cha chiesto obbedienza a sé.

I vangeli parlano anche di schiavitù, ma solo per dire che lo stesso Gesù è stato come uno “schiavo”  (Mc 10, 44; Mt 20, 27-28), il che è reso evidente, ad es., dalla lavanda dei piedi (Gv 13, 16) [24], e dalla “servitù” mutua in cui devono vivere i discepoli di Gesù, che devono mettersi sempre al servizio degli altri, senza esercitare alcun potere, senza disporre di alcuna autorità. Se Gesù stesso ricorda che è venuto per servire e non per essere servito, se lui stesso riserva a sé il ruolo di servitore, coerentemente non poteva poi imporre l’obbedienza, visto che nessuno obbedisce al proprio servo. Insomma, se noi cristiani annunciamo un Dio crocifisso, cioè un Dio impotente, apparentemente sconfitto, immagine dell’antipotere, il capo della comunità non può servirsi di questa immagine di Dio per poi dominare e controllare gli altri [25].

Dal Vangelo sappiamo anche che Gesù si è scontrato con i farisei per difendere, in una società maschilista, l’uguaglianza - in dignità e diritti - degli uomini e delle donne (Mt 19, 1-12; Gv 8, 1-11; Lc 7, 36-50; Gv 12, 1-8).

(D1) Diversa è la linea di Paolo. Innanzitutto le comunità (ecclesie o chiese [26]) di Paolo nascono nelle case. La struttura organizzativa delle comunità è stata senz’altro risolta da Paolo con un’idea geniale: dove si riunivano queste comunità primitive, visto che Paolo - a differenza di Gesù - predicava solo nelle grandi città? Necessariamente in case grandi (1Cor 16, 19; Rm 16, 3-5), e quindi necessariamente nelle case dei ricchi. I poveri non avevano case sufficientemente spaziose per ospitare una comunità [28]. Nella società romana, poi, il capo della casa era sempre l’uomo, il pater familias [29]. In 1Cor 1, 26 Paolo dice che non molti sono i ricchi; più numerosi erano dunque i poveri, ma tutti potevano riunirsi solo nelle spaziose case dei pochi ricchi; e saranno questi ricchi a dirigere le comunità locali copiando lo schema del pater familias [30] e della vita ritualizzata propria della società romana [31]. Ecco che, in Paolo, il rito abolito da Gesù riacquista importanza.

Naturalmente in una società così strutturata la prima conseguenza che derivava da questa concentrazione di potere nel padre [32] era la disuguaglianza fra uomini e donne. E nelle lettere paoline si toccano con mano le disuguaglianze nella famiglia (Col 3,18; Ef 5, 22; 1Tm 3, 2-4; Tt 2, 3). Quanto accadeva nella famiglia si ripeteva poi anche nell’assemblea cristiana (1Tm 2, 11-15; 1Cor 14, 34s.).

Infine, per essere accettato nell’Impero, l’insegnamento di Paolo doveva accettare anche la schiavitù, che era fondamentale nella vita economica di allora. Infatti, nella sua lettera a Filemone, Paolo chiede al padrone di ricevere questo schiavo cristiano chiamato Onésimo come “un fratello” (versetto 16), ma pur sempre “come schiavo”. Vedi anche i richiami in Col 4, 1 ed Ef 6, 5-9.

In quest’ottica di accettazione dell’autorità del pater familias e del diritto romano, Paolo non poteva che richiamare tutti alla sottomissione all'autorità, all’obbedienza, perché l'autorità viene da Dio (Rm 13, 1-2): musica per le orecchie dell’imperatore e di chi già esercitava il potere.

Anche in questo caso la Chiesa ha seguito Paolo, non solo accettando autorità, ricchezze e potere a partire da Costantino, ma accettando in pieno il diritto romano che prevedeva anche la schiavitù [33].                                                                                                           

Alla luce di tutto questo sorge spontanea una domanda: ma questo Paolo si era realmente convertito? Da nessuna parte risulta, infatti, che Paolo abbia accettato il Dio fatto conoscere dal Gesù terreno, né che si sia proposto come fedele seguace di Gesù [34], né che abbia invitato i suoi adepti a seguire Gesù [35]. Da buon giudeo, profondamente religioso, aveva solo riconosciuto in Gesù il Messia [36], Glorificato e Resuscitato, costituito Figlio di Dio, senza distinguere fra l’autorità del Cristo glorificato (1Ts 4, 15-17) e del Cristo terreno (1Cor 7, 10s.). Tanto che – secondo vari studiosi [37] - Marco e poi gli altri evangelisti sarebbero intervenuti con i loro vangeli proprio per contenere la dottrina paolina e riempire il “vuoto” che Paolo aveva lasciato nelle sue chiese, fondate ed organizzate come assemblee di fedeli obbedienti al Messia Resuscitato e Glorioso, il quale – con la sua morte – ci aveva salvati dal peccato. 

Per concludere, è chiaro che Gesù è uno solo, ma è altrettanto chiaro che ci sono stati presentati più Gesù alternativi. La cristologia dovrebbe servire per interpretare e capire meglio l'originario messaggio di Gesù, ma non sempre è così semplice.

Quello che a me sembra pacifico leggendo i vangeli, ma che non risulta da Paolo, è che Gesù è vissuto in maniera tale che, quando ha iniziato ad agire e a parlare in pubblico, è entrato in conflitto con i responsabili della religione (i sacerdoti, i teologi ed i più stretti osservanti della stessa). Il Vangelo è il grande racconto di questo conflitto, che è terminato drammaticamente nel processo, nella condanna e nella morte di Gesù. Per questo io non credo che si possa dimenticare la vita e le lotte portate avanti dal Gesù terreno, perché in tal modo cambierebbe di significato anche la sua crocifissione.

L’aspetto centrale della vita di Gesù non è stato dunque il religioso e il sacro, ma l’umano e il profano [38]. E poiché Gesù si è posto dalla parte della vita e della felicità degli esseri umani, questo è il motivo per cui il Vangelo incentra la sua attenzione sulla salute dei malati, sulla convivialità con tutti (specialmente con i poveri) e sulle migliori relazioni umane. Ai cristiani paolini, invece, non interessava tanto coloro che soffrono, gli ammalati, gli umiliati, ma si chiedevano dove incontrare Dio e come vincere il peccato. In altri termini equivaleva a chiedersi: dove possiamo incontrare il sacro? E la risposta di Paolo è: nella chiesa [39].

Insomma, dopo duemila anni, siamo ancora qui a chiederci: ‘chi occupa il centro del cristianesimo: Gesù e il suo Vangelo oppure Paolo con la sua teologia?’

Sicuramente nella storia della Chiesa non è prevalso il Vangelo; pertanto non credo neanche che Gesù avesse pensato a una Chiesa come quella che si è vista fino al pontificato di papa Benedetto XVI, anche dopo il concilio Vaticano II. Pensiamo solo:

– alla mancata realizzazione della promessa di libertà di coscienza del Vaticano II;

– alla mancata realizzazione della promessa di collegialità del Vaticano II;

– alla mancata realizzazione di quanto deciso dal Vaticano II quanto alla condivisione del potere e del processo decisionale con i sinodi dei vescovi nazionali e locali che si riteneva avrebbero rappresentato le popolazioni (pensiamo solo al Sinodo Amazzonico che aveva suggerito l’elezione dei probi viri);

– alla mancata realizzazione della promessa di operare in stretto rapporto con altre tradizioni di fede (appena con papa Francesco si è arrivati alla Dichiarazione di Abu Dhabi sulla fratellanza del 4.2.2019);

– alla mancata realizzazione di un rinnovamento della pratica liturgica, che risale più o meno al medioevo;

– alla mancata realizzazione del vero ecumenismo tra gli organismi religiosi cristiani;

– alla mancata realizzazione dell’impegno a rispettare l’opera dei teologi e a incoraggiare il dibattito intellettuale. Basti pensare al silenziamento imposto a decine e decine di teologi da papa Giovanni Paolo II e Benedetto XVI;

– alla mancata realizzazione dell’ammonimento a prestare attenzione ai “segni dei tempi” [40];

– alla mancata realizzazione della promessa di una leadership laica, collegata alla definizione della Chiesa come “il popolo” e non come una gerarchia centralizzata. In realtà la gerarchia è ben lontana dalla gente;

– all’abbandono dei giovani che hanno subito abusi sessuali;

– all’occultamento o all’oblio di vari martiri della Chiesa (ad es., in America Latina, pensiamo solo a monsignor Romero, ucciso e subito santo per il popolo, ma osteggiato in Vaticano fino all’arrivo di papa Francesco [41]; o pensiamo alla solitudine di monsignor Casaldáliga recentemente scomparso, amico dei poveri ma emarginato in vita dal Vaticano).

Se pensiamo a tutto questo c’è molto da lavorare nella nostra Chiesa, perché noi cristiani non possiamo più limitarci a credere senza fare.

 

Dario Culot

[1] Ancora così sostiene Benedetto XVI, La gioia della fede, ed. San Paolo Cinisello Balsamo (MI), 2012, 76.

[2] Così ritiene il vescovo americano Charles Chaput, citato in “Famiglia Cristiana”, n.44/2014, 30. Che fin dall’inizio non ci fosse unità trova invece conferma già nell’ossessione di sant’Ignazio (morto martire ai tempi di Traiano) il quale, nelle sue lettere, insiste per imporre un modello monarchico unificato di organizzazione ecclesiastica, dove non ci sarebbe più posto per il pluralismo: se si desidera tanto l’unità, significa che essa non al momento non c’è; quindi proprio dal suo modo di argomentare viene in evidenza la diversità che regnava nel cristianesimo già a cavallo del I-II secolo (Vouga F., Il cristianesimo delle origini, ed. Claudiana, Torino, 2001, 201-203).

[3] Placher W.C., A history of christian theology, ed.Westminster John Knox Press, Louisville-London, 1983, 33: i primi cristiani non solo erano diversi, ma intendevano la loro fede in modi diversi, e il Nuovo Testamento conserva testimonianze di questa diversità. La Chiesa cattolica aveva negli ultimi secoli cercato di presentarsi sia al proprio interno che davanti al mondo come il luogo dell'immutabilità. Fu solo col concilio Vaticano II, costantemente sotto i riflettori dei media, che emerse la durezza dei dibattiti e degli scontri, e nonostante i tentativi di camuffarli o nasconderli l’eco di questi scontri raggiunse il pubblico. Qualcuno ne fu sconvolto, qualcun altro deliziato, ma per tutti fu chiaro che il cattolicesimo non era affatto monolitico come si era da sempre creduto (O’Malley J., Che cosa è successo nel Vaticano II, ed. Vita e Pensiero, Milano, 2010, 36).

[4] E mi piace qui ricordare cosa ha scritto papa Francesco nell’Enciclica Fratelli tutti, al § 100: c’è una certa globalizzazione che cerca di eliminare tutte le differenze e le tradizioni in una superficiale ricerca di unità. […] Se una globalizzazione pretende di rendere tutti uguali, come se fosse una sfera, questa globalizzazione distrugge la peculiarità di ciascuna persona e di ciascun popolo. Questo falso sogno universalistico finisce per privare il mondo della varietà dei suoi colori, della sua bellezza e in definitiva della sua umanità. Perché «il futuro non è “monocromatico”, ma, se ne abbiamo il coraggio, è possibile guardarlo nella varietà e nella diversità degli apporti che ciascuno può dare. Quanto ha bisogno la nostra famiglia umana di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali!».

[5] Gentile P., Storia del Cristianesimo, dalle origini a Teodosio, Rizzoli, Milano, 1969, 133: l’abrogazione della Legge mosaica segnava ovviamente l’impossibilità di ogni convivenza col giudaismo.

[6] O’Malley J., Che cosa è successo nel Vaticano II, ed. Vita e Pensiero, Milano, 2010, 31s.

[7] In 2 Corinzi 5, 16 dice espressamente: “Se anche abbiamo conosciuto Cristo da un punto di vista umano, ora però non lo conosciamo più così. 

[8] Deve essere allora sottolineato che Paolo viene chiamato a servire il vangelo non da parte di una data gerarchia ecclesiastica, ma attraverso una visione autoctona o grazie alla percezione di voci; sul piano religioso-psicologico la vocazione di Paolo è un evento analogo ai sogni vocazionali degli sciamani (Drewermann E., Funzionari di Dio, ed. Raetia, Bolzano, 1995, 49).

[9] Questo viene spiegato col fatto che i discepoli diretti di Gesù, popolani senza istruzione e non appartenenti alla classe colta cui apparteneva Paolo, non avevano l’attitudine né l’opportunità di intervenire con uno stretto controllo dottrinario nelle formulazioni paoline, mentre si compiacevano dei successi e delle conquiste che venivano al loro movimento per l’opera instancabile dello stesso (Gentile P., Storia del Cristianesimo, dalle origini a Teodosio, Rizzoli, Milano, 1969, 141).

[10] Di una cosa va dato atto a Paolo: egli ha avuto un’intuizione geniale essendo riuscito a dare una griglia sistematica al cristianesimo, subito, sul suo nascere, quando di solito questo si riesce a fare solo in retrospettiva, a distanza di tempo, dopo aver a lungo masticato e ben digerito la materia.

[11] Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclèe De Brouwer, Bilbao, 2018, 42.

[12] Attenzione, dice Enzo Bianchi: Gesù non dice: “Tra voi non sia così”, facendo un augurio o impartendo un comando, ma: “Tra voi non è così”, ovvero, “se è così, voi non siete la mia comunità!”. Non è possibile che la comunità cristiana abbia come modello il potere mondano, che si lasci conformare a ciò che fanno i governi, quasi sempre ingiusti e spesso totalitari: il governo nella comunità cristiana è “altro”, oppure non è governo, ma dominio. D’altra parte, Gesù non nega la necessità di un governo nella società umana, ma lo legge nella sua realtà, come si manifesta in concreto. Sì, a volte c’è qualcuno che merita il governo perché sa esercitarlo nella giustizia, ma simile evento è raro, perché le forze mondane, i poteri oscuri lo rimuovono presto. Ecco dunque la vera “costituzione” data alla chiesa: una comunità di fratelli e sorelle, che si servono gli uni gli altri, e tra i quali chi ha autorità è servo di tutti i servi. Cioè si spende completamente per gli altri, fino alla fine. Perché da cosa si riconosce Gesù? Gesù si riconosce dal grembiule (Gv 13, 4), cioè dal servizio. Però, se solo si guarda le casule e le cappe magne indossate dai nostri prelati di grado più elevato (vedi la foto sopra, all’inizio), non sembra che il magistero abbia seguito molto la linea evangelica. Certo, in Mt  28, 18 Gesù dice :«Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra», ma questa spiegazione avviene dopo essere risorto, mentre morendo è apparso a tutti come totalmente privo di ogni potere. Quello che si può dire è che Gesù è immune dalla tentazione del potere inteso come il voler far prevalere la propria volontà anche di fronte a un’opposizione (Sebastiani L., Autorità e potere, “Rocca” n.5/2012, 55). Gesù offre, non impone.

[13] Gesù, mandando a due a due gli apostoli, proibì loro espressamente di portare con sé denaro per annunciare il Regno di Dio (Mt 10, 9); ciò vuol dire che - secondo Gesù - il denaro è un intralcio all'evangelizzazione. Il magistero, dopo Costantino, non ha mai pensato così.

[14] Vedasi la strage degli innocenti, quando Erode sente che è nato un nuovo re (Mt 2, 16), o gli affittuari della vigna che vogliono impossessarsi dell’eredità (Mt 21, 38).

[15] Per ricordare l’assurdo livello raggiunto dai cristiani indottrinati in questo senso dal magistero, basta dire che in Sud Africa, fino a pochi anni fa, l’apartheid era considerato legge naturale di Dio; i quartieri dove bianchi e neri convivevano pacificamente erano luoghi di fornicazione, e nella cattedrale cattolica di Città del Capo, i fedeli di colore non potevano accostarsi alla comunione prima che l’ultimo bianco avesse lasciato l’altare (Lapierre D., Un arcobaleno nella notte, ed. Il Saggiatore, Milano, 2009, 90ss. e 134).

[16] Dominguez Morano C., Creer después de Freud, Madrid, Paulinas, 1992, 179.

[17] Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclèe De Brouwer, Bilbao, 2018, 49. “Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l'uomo lasciarsi crescere i capelli, mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere? La chioma le è stata data a guisa di velo” (1 Cor 11, 14-15). Andiamoci piano, allora, prima di accettare come contro natura le indicazioni di Paolo.

[18] Castillo J.M., Teología Popular (III), ed. Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 64s.

[19] Paolo ha difficoltà a staccarsi dalla religiosità ebraica, tanto che al momento dell’arresto si difende affermando di essere venuto a Gerusalemme allo scopo di portare elemosine e offrire sacrifici (At 24,17), volendo con ciò dimostrare ai suoi compaesani ortodossi che anche lui segue i principi tradizionali della religione. Ma l’idea non funzionò: Paolo venne arrestato appunto a Gerusalemme, su indicazione di alcuni giudei tutti-di-un-pezzo che l’avevano riconosciuto, con l’accusa di essere l’eretico profanatore del Tempio, e lì finì la sua carriera perché, dopo essere stato sottratto a stento all’ira della folla dalle forze di polizia romane (dopo tutto era, sì, ebreo e fariseo, ma era anche cittadino romano) venne mantenuto in arresto. Dopo più di due anni senza processo – anche perché i romani non riuscivano a capire bene in che cosa consistesse l’accusa fra chi parlava di un certo Gesù morto e Paolo che parlava di un certo Gesù vivo, chiese, sempre come cittadino romano, di essere giudicato dall’imperatore, e fu mandato a Roma dove si persero le sue tracce, fino a che fonte attendibile non ne confermò la decapitazione sotto Nerone (Gentile P., Storia del Cristianesimo dalle origini a Teodosio, ed. Rizzoli, Milano, 1969, 152 ss.).

[20] Copyright di Nietzsche. Ma esiste anche la tremenda definizione di Jago nell’Otello di Giuseppe Verdi: “Credo in un Dio crudel che m’ha creato simile a sé”.

[21] Castillo J.M., Teología Popular (III), ed. Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 63ss.

[22] Ha detto il papa emerito che, mentre in alcuni passi si dice che è Paolo a nominare i presbiteri (At 14, 23) nelle sue comunità, in altri si afferma che è lo Spirito a costituire i presbiteri (At 20, 28). Come si spiega questa apparente contraddizione? Va detto che per la Chiesa anche Paolo e Barnaba sono apostoli, ma sono apostoli mandati dalla Chiesa di Antiochia, non direttamente da Gesù. In questo caso è la comunità locale che avverte l’azione dello Spirito il quale suggerisce di inviare Paolo e Barnaba ai pagani, ed è sempre la comunità che li invia. Siccome la comunità è guidata dallo Spirito anche i due nuovi apostoli si sentono apostoli inviati dallo Spirito di Cristo, ma la scelta di inviarli spetta alla comunità. È chiaro, allora, che quando Paolo o la comunità nominano i presbiteri, lo fanno sempre sotto l’influsso dello Spirito, per cui i termini sono intercambiabili. È altrettanto chiaro, inoltre, che col termine apostolo non si indicano solo i noti 12, ma si comprendono fin dall’inizio gruppi più allargati di “inviati” del vangelo (Rengstorf K.H.). Del resto “apostolo” vuol dire appunti inviato. Ma a questo punto è anche chiaro che scricchiola la tesi della “successione apostolica” riservata a chi viene dai 12, visto che Paolo non è stato chiamato da Gesù a far parte dei 12. Castillo J.M., L’umanità di Gesù, La meridiana, Molfetta, 2018, 45s: se Paolo è stato nominato apostolo (1Cor 9,1; Gal 1, 1), non è per decisione del Gesù terreno, ma del Cristo risorto. 

[23] Rudolf O., Il sacro, ed. SE, Milano, 2009, 168.

[24] Si è visto nell’articolo Simon Pietro (n. 478 di questo giornale, https://sites.google.com/site/ultimotrimestre2018rodafa/numero-478---11-novembre-2018/simon-pietro) che la lavanda dei piedi sta a significare che chi sta più in alto fa il lavoro degli schiavi. Quando la Chiesa si allontana dalla logica del «Servo», e rincorre il successo mediante il potere o soltanto tollera che al suo interno ve ne sia la possibilità, essa diventa una «struttura di peccato» che appartiene a quel «mondo» per il quale Cristo non ha pregato (cfr. Gv 17,9).

[25] Fabris R., La Chiesa nel Nuovo Testamento, ed. Centro Diocesano di Pastorale Universitaria, Trieste,1997, Quaderno n.2/1992-1993,73.

[26] Il termine ‘chiesa’ non ricorre mai nei Vangeli di Marco e Luca. Solo tre volte in Matteo; ben 46 in Paolo (Fabris R., La Chiesa nel Nuovo Testamento, ed. Centro Diocesano di Pastorale Universitaria, Trieste,1997, Quaderno n.2/1992-1993, 63).

[27] Penna R., Gesù di Nazaret nelle culture del suo tempo, ed. EDB, Bologna, 2012, 16s. Gesù evitò le grandi città di Tiberiade e Sefforis e predicò nei villaggi rurali. Paolo predicò solo nelle grandi città: così annota anche Vouga F., Il cristianesimo delle origini, ed. Claudiana, Torino, 2001, 125.

[28] I chiamati si riuniscono nelle case di alcuni benestanti (Fabris R., La Chiesa nel Nuovo Testamento, ed. Centro Diocesano di Pastorale Universitaria, Trieste,1997, Quaderno n.2/1992-1993, 65).

[29] Si ricorda che Roma non espropriò mai il pater familias delle sue prerogative, fra cui c’era quelle di punire le infrazioni alla disciplina domestica e talvolta perfino i crimini contro la città commessi da un familiare  (Cantarella E., I supplizi capitali in Grecia e a Roma, ed. Rizzoli, Milano, 1991, passim e 341).

[30] Il punto di partenza delle chiese di Paolo era la conversione del pater familias (Verdoot A., Gesù e Paolo, in “Il nuovo Gesù storico” a cura di Stegemann W. E al., ed Paideia, Brescia, 2006, 301).

[31] Da qui le relazioni di obbedienza e sottomissione che Paolo instaurò nelle sue “ecclesiae”. Sicuramente, dove più chiaramente si vede questa relazione di sottomissione (nell’obbedienza ai dirigenti) è in 1Cor 16, 15-18, dove Paolo dà espressamente l’ordine: “Sottomettetevi a Stefanas!” (1Cor 16, 15), il padrone e dirigente della casa dove si riuniva l’assemblea; è il riconoscimento della sottomissione che, alla fin fine, era sottomissione allo stesso Paolo. Inoltre questo insegnamento di Paolo si rafforza nelle lettere della seconda generazione (Col 3, 18; 4, 1 ed Ef 5, 2; 6, 9). In queste lettere, ciò che viene imposto ai cristiani sono i cd. “codici familiari” (Verdoot A., Gesù e Paolo, in “Il nuovo Gesù storico” a cura di Stegemann W. E al., ed Paideia, Brescia, 2006, 301). Vale a dire, si applicano ai leader della Chiesa il potere ed il dominio del “marito-padre-padrone” il quale regnava sulla famiglie e nelle case romane dove si riuniva ciascuna “chiesa”. Così la donna restò presto emarginata nella Chiesa e sottomessa agli unici che avevano il potere di dirigerla: gli uomini, i padri, i patres familias. E, altrettanto ovviamente, la comunità dei fedeli laici rimase presto senza potere di decisione. È invece evidente, per chi legge i vangeli, che questo non è stato lo stile e la forma di procedere di Gesù. Basta leggere il vangelo di Marco, in cui il rituale ed il sacro non solo non sono presenti, per capire che essi non ebbero neanche importanza per Gesù; di più: si scopre che la vita di Gesù fu uno scontro costante con “il rituale” ed con “il sacro,” con gli osservanti della legge e delle regole, delle cerimonie e degli atti religiosi. Da lì il conflitto incessante con i farisei e gli scribi e, soprattutto, il rifiuto del tempio, controbilanciato dal rifiuto mortale che Gesù ricevette dagli uomini di religione, i sommi sacerdoti, che non ebbero tentennamenti nel condannarlo a morte (Castillo J.M., Teología Popular (III), ed. Descelée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 109). È anche vero che a partire dagli anni 70 si cessò di rifinire i vangeli e si conobbe la relazione che Gesù mantenne con i suoli discepoli (Mt 10, 1), i suoi “amici” (Gv 15, 14-16), i suoi “fratelli” (Gv 20, 17), il ruolo che ebbero precisamente le donne (Lc 8, 2s.; Mc 15, 40-41) come prime testimoni (Mt 8, 1-10; Lc 24, 22-23; Gv 20, 1s.11.18) del Crocifisso e del Risorto. Però è chiaro che questi racconti e ricordi arrivarono a delle “ecclesie” dopo molti anni vissuti ormai secondo il modello di Chiesa paolino; il modello che finì per imporsi come l’unico e intoccabile, come fosse stabilito da Dio, fu quello di Paolo.

[32] Castillo J.M., L’umanità di Gesù, ed la meridiana, Molfetta, 2018, 112: è Paolo che inizia a costruire il potere nella Chiesa.

[33] Stein P., Il diritto romano nella storia europea, Raffaello Cortina, Milano, 2001. Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclèe De Brouwer, Bilbao, 2018, 56, riporta questo chiaro esempio: verso l’anno 300, i vescovi cristiani riuniti nel concilio di Elvira (attualmente Granada, in Spagna) dovettero cercare una soluzione a casi di alcuni schiavi che erano deceduti in seguito alle percosse ordinate da una matrona di fede cristiana. Sembra che il proposito di quei vescovi “fosse quello di mantenere congelati i sentimenti umanitari tanto fra i cristiani, quanto fra i pagani”. Oggi, lo scandalo di quella decisione sta nel fatto che l’aspirazione di quei vescovi non era quella di mantener vivo il Vangelo, bensì di ricoprire con una grande calotta glaciale l’intera società. Insomma, ammazzare uno schiavo non era poi così grave. A proposito, ricordate cosa sembra abbiano detto i genitori dei loro due figli boxeur che hanno ammazzato Willy Monteiro a pugni e calci? “Ma in fondo era solo un immigrato”. Cfr. anche quanto detto in proposito dalla Congregazione per la dottrina della fede nel 1866, nell’articolo È possibile discutere di un dogma, al n. 538 di questo giornale, in https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20201/numero-538---5-gennaio-2020.

[34] Castillo J.M., Teología Popular (III), ed. Descelée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 97ss.

[35] Paolo invita ad imitare in primo luogo lui stesso (1Cor 11, 1; Fil 4, 9; 1Ts 1, 6).

[36] Ed effettivamente un Messia crocifisso non può che essere «scandalo per i giudei e follia per i gentili» (lCor 1, 23) .

[37] Castillo J.M., Teología Popular (III), ed. Descelée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 102, ed autori ivi richiamati.

[38] Castillo J.M., L’umanità di Gesù, La meridiana, Molfetta, 2018, 11, 122: Per l’uomo religioso lo spazio non è omogeneo. Il sacro è il reale per eccellenza, per cui si antepone al profano. Lo vediamo nell’eucaristia: nella misura in cui la cena di Gesù si è sacralizzata e si è trasformata in una cerimonia rituale (un rito sacro) nella stessa misura la Chiesa si è allontanata dalla vita della gente.

[39] Castillo J.M., L’umanità di Gesù, La meridiana, Molfetta, 2018,125.

[40] Già con l’Enciclica Pacem in terris dell’11.4.1963 papa Giovanni XXIII, partendo dal principio che Dio si muove nella storia, aveva raccomandato di guardare ai segni dei tempi, e aveva profeticamente visto questi segni nel movimento di emancipazione della classe operaia (§ 21), nel movimento di liberazione della donna (§ 22), nei movimenti di liberazione nazionali (§§ 23, 24). Da sottolineare che nessuno di questi movimenti, che pur portavano alla promozione dell’uomo, era di matrice cristiana, ma erano tutti di matrice laica e spesso marxista (il diavolo, per la gerarchia ecclesiastica); eppure, lo stesso papa di allora evidenziava che chiunque promuove i veri valori umani cammina verso il Regno di Dio (§ 25) e quindi cammina con la Chiesa, anche se non necessariamente con la gerarchia della Chiesa.

[41] Monsignor Romero ha compiuto una conversione: da una visione di Chiesa conservatrice, quasi sempre a braccetto con i potenti, è passato a testimoniare la Chiesa degli ultimi, nel suo caso i campesinos soffocati dalla dittatura. È stato a quel punto che è diventato inviso al governo del Salvador e al Vaticano. Ecco allora che oggi anche un papa come Francesco diventa inviso a molti, magari come quelli che vestono come si vede nelle foto iniziali, che si sentono rivolgere questo invito pressante: “In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia (Esortazione apostolica Evangelii Gaudium,del 24.11.2013, n. 95).