Chi era Gesù di Nazaret - V

Christ in the Carpenters Shop. Woodcut printed in colours. Proof. 8.75x7.75 inches.

Mabel Allington Royds (1874-1941) - immagine tratta da commons.wikimedia.org

(5) Partiamo da qui

 

È giunto il momento di cominciare a metter qualche punto fermo, a costruire qualcosa, poggiandoci però esclusivamente sulle Scritture [1].

Possiamo cominciare col dire che, stando ai vangeli, Gesù non ha mai detto di essere Dio o di essere la seconda Persona della Trinità [2] vivente in forma umana; né ha mai detto che il Consolatore che sarebbe venuto dopo di lui era la terza persona della Trinità divina, nel qual caso ci avrebbe fatto chiaramente intendere con le sue parole che Dio è tripersonale.

Ha detto di essere uomo? [3] Sì, basta leggere ad esempio in Gv 8, 40.

Anche Pietro, quando parla ai pagani dopo la morte di Gesù, sottintende per ben tre volte che Gesù, per lui, è un uomo, e non è Dio (At 10,38. 39-40.42). Che fosse Dio non lo pensava neanche la cerchia dei suoi discepoli [4]. Solo più tardi ha cominciato a pensarlo la Chiesa [5]. Per confermare che anche gli apostoli vedevano in Gesù un mero uomo, basta ricordare che Filippo voleva sapere da Gesù dove e come loro avrebbero potuto incontrare Dio (Gv 14, 8-9): ciò dimostra che essi, a contatto quotidiano con Gesù, non lo avevano affatto identificato con Dio.

Che Gesù fosse visto anche dai suoi concittadini come un uomo e niente di più, emerge ancora più chiaramente nel racconto del processo religioso della passione, quando fu dichiarato bestemmiatore e reo di morte per essersi attribuito il titolo di «Figlio di Dio» (Mt 26, 63-65).

Però c’è anche da dire che, se la gente che lo seguiva vedeva e constatava con mano di essere davanti a un uomo, al tempo stesso, sorprendentemente e quando meno se lo aspettava, si rendeva conto di stare davanti a qualcuno che dava l’impressione di essere molto di più di un uomo. Per questo la domanda: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?» (Mt 8,27; Mc 4, 41; Lc 8, 25). Fra i suoi discepoli e coloro che sono vissuti con lui, Gesù ha provocato quella che chiamiamo l’esperienza della divinità: attrazione e nello stesso tempo timore [6]. 

Sempre stando ai vangeli, Gesù non ha mai combattuto per far prevalere questa o altre idee su di sé; men che meno ha suggerito di costruire prigioni per rinchiudere gli eretici o innalzare roghi per bruciarli, e neanche ha allontanato (scomunicato [7]) chi non vedeva in lui una persona e due nature (divina e umana): sembra che queste cose proprio non lo interessassero minimamente: Gesù non si è curato di chiarire la propria essenza. Gesù stesso non ha mai dato alcuna descrizione ontologica (cioè della sua intima natura) di sé stesso, né di Dio-Padre, né dello Spirito santo, né della sua relazione col Padre e con lo Spirito santo.

Possiamo allora pensare che forse Dio si compiace di tutti i nostri sforzi per stabilire qual è l’essenza reale di suo Figlio? Può darsi che apprezzi che si dicano e che si sappiano belle cose sulla natura di Gesù, ma di sicuro non si sente obbligato a retribuire chi le segnala o le propone, come invece ricompensa chi offre un bicchiere d’acqua a un assetato (almeno stando a Mt 25, 37). Ennesima riprova dell’importanza data al fare, non all’essere.

Gli stessi padri conciliari erano preoccupati per il fatto di non poter fondare i loro dogmi utilizzando esclusivamente agganci al Nuovo Testamento, dovendo anzi riconoscere che la divinità di Gesù si poteva ricavare solo dal senso delle Scritture [8] agganciandosi alla metafisica greca (del resto loro erano impregnati di cultura greca): quindi era una loro interpretazione (umana [9]) in cui le Scritture sono state filtrate dalla loro conoscenza filosofica. Tanto è vero che hanno introdotto numerosi termini greci non presenti nelle Scritture (ousìa, phisis, hipostasis, prosopon, ecc.) e perciò certamente non rivelati da Dio [10], né mai utilizzati da Gesù. Di più: fino alla seconda metà del IV secolo neanche si riuscì a fissare l’esatto significato di questi vocaboli: basta ricordare che il concilio di Nicea usava ousìa e hipostasis come sinonimi [11].

Occorre poi sempre ricordare che le “verità di fede” sono quasi sempre l’esito di compromessi raggiunti dopo faticose trattative fra i vari schieramenti di teologici presenti nelle assemblee conciliari [12]. Questo del resto è tipicamente umano e si ripete in tutti i consessi dove occorre trovare la sintesi fra varie idee contrapposte: pensiamo, ad es., a quante discussioni sono state necessarie al Consiglio dei Ministri europeo per trovare quest’estate un accordo sul Recovery fund. Ma allora oggi dovremmo chiederci cos’è più importante per la Chiesa: il pensiero greco o l’insegnamento del Vangelo?

Dunque, affrontando l’argomento “Chi è Gesù?”, non si può non tener conto che proprio all’inizio dell’impostazione della cristologia si è verificato un fenomeno decisivo: la trasformazione dell’elemento «storico e narrativo» del Gesù che conosciamo dai vangeli, in quello «ontologico e speculativo», che è giunto fino a noi e reso «dogma di fede» [13]. Non si può cioè dimenticare come nel cristianesimo si siano presto formate due teologie: la teologia speculativa che ha al centro la speculazione dell’essere (viene da Paolo), mentre nella teologia narrativa il centro non è l’essere, ma la storia, la vita (e viene dai vangeli). Non c’è dubbio che nella Chiesa la teologia paolina abbia preso presto il sopravvento sulla teologia narrativa.

Voglio chiarire meglio quest’ultimo punto: la teologia è la scienza che dovrebbe avvicinarci alla fede spiegandoci cos'è Dio, com'è Dio, ciò che gli piace e ciò che non gli piace, i comportamenti che Lui premia o che condanna.

Ma – ricorda giustamente il prof. Castillo,- c’è un problema: come ha detto l’evangelista Giovanni già duemila anni fa (Gv 1, 18) “Dio nessuno l'ha visto”, per cui nessuno sa com'è esattamente questo Dio. E allora, come la teologia può spiegare quello che non sappiamo e non potremo mai sapere? La risposta dei teologi a questa domanda è stata duplice.

   1) La prima (detta teologia speculativa o dogmatica), ha chiesto aiuto alle dottrine e alle teorie, e questa teologia - iniziata da Paolo nelle sue lettere, - porta a una fede intesa come una verità da accettare in obbedienza (Rm 1, 5). Cioè si giunge alla fede ritenendo vera una determinata dottrina [14].

         2) La seconda (detta teologia narrativa, o pastorale, o popolare) si rifà alle narrazioni e alle esperienze che si trovano nei vangeli. Secondo questo filone teologico fede è abbandonarsi con fiducia a quel Padre che l’uomo Gesù ci ha fatto vedere col suo esempio, col suo modo di vivere e, soprattutto, con il suo modo di relazionarsi con gli uomini (particolarmente con la gente che la religione - di allora e di oggi - disapprovava e condannava) [15]. Ciò di cui ha bisogno la vita umana non è tanto una salvezza divina attraverso il sacrificio espiatorio del Figlio di Dio; ciò di cui abbiamo tutti bisogno è piuttosto una vita così aperta, così libera, così piena, che quando la sperimentiamo siamo chiamati nella realtà dell’amore. Siamo aperti alla sorgente dell’amore ed entriamo nella potente presenza dell’amore. Questo amore è ciò che chiamiamo Dio [16]. Se in un uomo (com’è accaduto con Gesù) appare un riverbero di questo amore del Padre si può dire che quell’uomo (appunto Gesù) è Figlio di Dio; anzi, di Gesù diciamo che è il Figlio, intendendo che è figlio in modo unico, che lo è più di tutti, che è sua immagine, un’auto-rivelazione di Dio-amore molto più ricca di quanto non lo siamo noi [17].

In estrema sintesi, fin dall’inizio nel cristianesimo ci sono state quanto meno due visioni della fede e della teologia:

a) la fede come verità dottrinale, dove si pensa di capire chi è Dio studiando metafisica e d’incontrarlo principalmente nella “osservanza della Religione”, restando fedeli al magistero;

b) la fede come misericordia operosa, dove si pensa di incontrare Dio principalmente nella sequela di Gesù, vivendo come Gesù, lottando contro la sofferenza umana.

La teologia dogmatica rimprovera alla seconda di essere superficiale e di mancare di una valida struttura portante per la razionalità. La teologia pastorale rimprovera alla prima di non riuscire, con tutte quelle astruse costruzioni mentali, a toccare la carne viva della vita, ma di vivere una fede astratta e lontana dalla gente.

Ora, la teologia dogmatica ha il suo asse portante nelle lettere di Paolo, mentre la teologia pastorale nel Vangelo di Gesù; però entrambe hanno fatto da sempre parte del canone. Questo significa che il dogma (teoria cui si deve credere) e la prassi (ciò che si deve fare), avendo avuto fonti distinte fin dall'inizio, da sempre sono andati avanti su binari distinti.

Ecco anche spiegato in poche parole perché in molti, oggi, non accettano papa Francesco e pensano che lui stia portando la Chiesa alla rovina. Perché? Ma perché erano abituati ai papi precedenti che percorrevano la strada della teologia dogmatica, quella dei principi non negoziabili, dell’obbedienza all’insegnamento del magistero che con autorità stabiliva cos’era vietato e cos’era permesso. Perciò restano scandalizzati a sentir parlare di misericordia, di accoglienza, e non capiscono che il problema non è credere o non credere, ma se si vive o non si vive il Vangelo, cioè se si segue o non si segue Gesù, il quale si è messo a curare ammalati di sabato, a mangiare con i peccatori… senza considerare in alcun modo se quelle guarigioni e quei pranzi con persone di mala vita e cattiva fama fossero permesse o proibite dalla religione [18].

Sinceramente mi sembra più logica e coerente la teologia narrativa, che si fonda sulla sequela di Gesù. Tanto più che, proprio secondo lo stesso insegnamento del magistero, Gesù è Dio, mentre Paolo non lo è. Dunque, occorre riportare il Vangelo al centro del cristianesimo, come fa papa Francesco. 

Poi, quali che siano le interpretazioni che diamo alla parola “incarnazione”, su una cosa – penso,-  possiamo tutti facilmente concordare: parlare dell’incarnazione di Dio significa parlare dell’avvicinamento del divino all’umano [19]. Il divino si mette in relazione con gli uomini. Parola di Dio incarnata significa che la parola di Dio è entrata nella storia con Gesù [20], con un uomo. L'azione di Gesù sulla terra è efficace perché in lui la Parola s’identifica pienamente col suo vivere, per cui egli è l’incarnazione del Verbo (Gv 1, 14). Allora Gesù, “Parola di Dio”, così come lo troviamo nel Vangelo, è la “spiegazione di Dio” [21] in terra. Incarnazione, in altre parole, significa che durante tutta la vita di Gesù hanno preso forma umana la Parola e la volontà di Dio [22]. L’incarnazione è il massimo dell’auto-comunicazione divina nella storia.

Se infine affermiamo che l’incarnazione si è realizzata per opera dello Spirito Santo, ciò che affermiamo è che il caratteristico dello Spirito è rivelare Dio in forma umana [23], sì che possiamo avvicinarci di più al divino solo diventando più umani. Incarnazione significa allora: Dio si è umanizzato in modo che possiamo conoscerlo solo nell’umano, solo a partire dall’umano [24], non lassù nel cielo. Conseguentemente Dio va rispettato in ogni essere umano, anche il più umile, e non solo nei santuari e nelle chiese, magari prendendo subito dopo a calci tutti gli esseri umani che si mettono di traverso sulla nostra strada, una volta che siamo usciti dalla chiesa.

E questa indicazione dovrebbe coinvolgere tutta la vita e l’attività della Chiesa: la sua teologia, il suo sistema organizzativo, la sua morale, la sua presenza nella società e soprattutto la vita e la spiritualità dei cristiani. È una proposta che deriva dal centro stesso della fede cristiana, visto che il Dio del cristianesimo è un Dio incarnato, cioè umanizzato, cioè fattosi conoscere in un uomo (Gesù di Nazareth) [25]. Dovremmo dimostrare con la testimonianza della nostra vita che crediamo a questo. Invece spesso pensiamo di rendere onore a Dio imbalsamandolo in dogmi. Crediamo di renderlo felice costruendogli chiese, non diventando suoi testimoni. Pronti a versare chili di profumo e di unguenti mielosi, ma non a convertirci, dice Paolo Curtaz.

Ma anche se Gesù diventa un modello per noi, non ha esaurito ogni possibilità della specie umana, perché Gesù è nella storia, fa parte della storia, sì che è inserito nei limiti del suo tempo e anche nel condizionamento culturale del suo tempo. La sua storia va coniugata con la fedeltà al Vangelo, cui anche noi siamo chiamati: nuove forme di umanità possono e devono emergere in base al cammino storico che prosegue. Perciò la rivelazione divina, intesa come auto-espressione di Dio, e non come un insieme di messaggi provenienti autoritariamente dall'alto, non è terminata neanche con la scomparsa dell'ultimo apostolo [26] e grazie allo Spirito prosegue ancora oggi (verrà lo Spirito santo e vi condurrà alla verità – Gv 16, 13).

Gesù ha liberato il cieco dall’oppressione, mentre chi è sottomesso non conosce alternative [27]. Ma ciò che Gesù non è riuscito a fare nella sua vita diventa compito nostro. Dobbiamo noi associarci a Gesù per liberare l’uomo da ciò che impedisce di vedere l’amore del Padre.

 

Dario Culot 

                                                                                                                                             (continua)

 

 

[1] La centralità delle Scritture è uno degli aspetti principali del Concilio (O'Malley J.W., Che cosa è successo nel Vaticano II, ed. Vita e Pensiero, Milano, 2010, 134). Da allora la catechesi deve radicarsi sul Vangelo, che è centralità delle sacre Scritture (§ 24 Costituzione dogmatica Dei Verbum, 18.11.1965). L’insegnamento e la predicazione devono essere basati sui vangeli, non su visioni di santi o dottrine elaborate da teologi (sic!), non sui modi di dire acquisiti non si sa come e ormai entrati nel comune modo di sentire (tipico es.: “È la croce che il Signore ti ha dato!” quando Gesù non ha mai imposto a nessuno di prendere la croce).

[2] Vigil J.M., Per i molti cammini di Dio, vol. III, Pazzini,Villa Verucchio, 2012, 187. E. Boismard, All’alba del cristianesimo, Piemme, Casale Monferrato, 2000, 157: “Nel Nuovo Testamento non c’è traccia dell’affermazione secondo la quale ci sarebbero tre persone in un unico Dio”;  Küng H., Cristianesimo, ed. RCS Libri, Milano, 1997,104 dice: “per quante formule triadiche ci siano nel NT, in esso non si legge una parola in favore dell'unità, di queste tre entità estremamente diverse, di un'unità su un uguale piano divino”.

[3] Ma stranamente nelle vecchie edizioni dei vangeli la parola “uomo” (ándropon) non si trova. Lo stesso è successo per Gv 1, 30, dove nelle vecchie edizioni la parola “uomo” (anér), che pur Giovanni Battista pronuncia espressamente parlando di Gesù, è stata cancellata. Oggi, nell’ultima edizione della CEI del 2008, la parola “uomo” è finalmente ritornata: meglio tardi che mai, ma resta la domanda: come mai era stata cancellata in passato? Cfr. l’articolo La traduzione delle Scritture, al n. 554 de Il giornale di Rodafà, in https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20202/numero-554---26-aprile-2020.

[4] Pensiamo a cosa dicono i discepoli di Emmaus in Lc 24, 19: Gesù era un profeta. Cfr. anche cosa dicono gli apostoli quando vedono Gesù venire verso di loro camminando sull’acqua in Mt 14, 22-33: prendono paura, ma non dicono che Gesù è Dio. Quello che dicono è che lui è «Figlio di Dio». “Figlio di Dio” è un linguaggio biblico, ed era titolo per omaggiare una persona nella quale si riconosceva una particolare prossimità a Yhwh. “Tale padre, tale figlio” significa che nel figlio si trovano tratti del padre (Lenaers R. Gesù di Nazaret,Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR),2017, 52).

[5] Lenaers R., Gesù di Nazaret, ed. Gabrielli, San Pietro in Cariano (VR), 2017, 134.

[6] Rudolph Otto, nel suo libro Il Sacro. Il razionale e l’irrazionale nell’idea di Dio, considerato ormai un classico, dimostra come l’esperienza di Dio metta in rilievo due fattori a prima vista contraddittori: fascino attrattivo e respingimento per paura: è l’esperienza del Mysterium tremendum, per il quale l’autore ha coniato la nuova parola numinoso.

[7] Per tre volte, invece, nel Vangelo di Giovanni c'è la scomunica della sinagoga nei confronti dei seguaci di Gesù (Gv 9, 22: i genitori del cieco guarito hanno paura; Gv 12, 42: alcuni capi credono, ma hanno paura; Gv 16, 2: avvertimento di Gesù).

[8] Brown R., Does the New Testament call Jesus God , “Theological Studies”, 1965, 545s., reperibile solo in inglese (e traducibile in italiano con “Gesù è chiamato Dio nel Nuovo Testamento?”), in http://cdn.theologicalstudies.net/26/26.4/26.4.1.pdf. Papa Benedetto XVI ha ribadito che il vangelo è l’unica identità autorizzata per i cristiani, ed ha aggiunto che essa va ripulita di ciò che solo apparentemente è fede, mentre è mera convenzione e abitudine (Discorso del papa Ratzinger a Friburgo (Germania) nel 2011, riportato in “Famiglia Cristiana”, n.40/2011, 34).

[9] Ciò significa che le verità di fede di cui parla il Catechismo sono, tutto sommato, delle interpretazioni teologiche della fede (Ortensio da Spinetoli, Bibbia e catechismo, ed. Paideia, Brescia, 1999, 30). Interpretazioni umane, perché fatte da uomini come noi.

[10] Ricordiamoci in proposito di come il protestante Terence David (riportato da Gounelle A., Parlare di Cristo, ed. Claudiana, Torino, 2008, 31) fosse molto più vicino all’ultimo Concilio di tanti cattolici odierni, quando ribatteva non senza logicità ai delegati del papa “mi parlate sempre di sostanza, di ipostasi, di natura. Indicatemi dove si trovano queste parole nel Nuovo Testamento: allora accetterò di servirmene. Se si deve credere a tutto questo per essere salvati, nessun cristiano senza istruzione lo sarà mai...Dobbiamo seguire non ciò che afferma Satanasso, ma ciò che afferma Gesù Cristo.”

[11] Bulgakov S.U., L’agnello di Dio, ed. Città Nuova, Roma,1990, 41.

[12] Ortensio da Spinetoli, Bibbia e Catechismo, ed. Paideia, Brescia, 1999, 32. Basta vedere oggi molti documenti dell’ultimo concilio vaticano, ad es., la Costituzione dogmatica sulla Chiesa del 21.11.1964, Lumen Gentium, § 22 in punto di potestà piena e suprema, che spetta al papa e ai vescovi. Per un commento si rinvia a Culot D., E se Dio fosse contrario alla religione?, II, ed. Vergo, Roma, 2014, 1248ss.

[13] H. Schiera H., richiamato da Castillo J.M. nel commento al Vangelo Mt 14, 22-33 di domenica 9 agosto 2020. Cfr. anche quanto detto alla nota 38 del precedente paragrafo, § Inquadramento del problema.

[14] Ricordate il catechismo di Pio X? Chi è vero credente?

- Colui che è battezzato,

- che crede e professa la dottrina cattolica

- e obbedisce ai legittimi pastori della Chiesa.

Siamo chiaramente davanti a una spiegazione teologica speculativa.

[15] Perciò vero credente è chi assomiglia a Dio, cercando di comportarsi come si è comportato Gesù con gli altri.

[16] Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, ed. Massari, Bolsena, (VT), 2010, 213.

[17] Lenaers R., Gesù di Nazaret, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2017, 52.

[18] Mi preme, però, mettere bene in chiaro che queste due linee teologiche sono sempre coesistite, fin dall’inizio, nella storia della Chiesa, per cui, anche se oggi è particolarmente evidente questa linea di frattura all’interno della Chiesa, sì che sembra che chi segue una teologia faccia fatica a riconoscere identicamente come cristiani quelli che seguono l'altra, non dovremmo preoccuparci più di tanto: è sempre stato così.

[19] Theissen G., La religione dei primi cristiani, Claudiana, Torino, 2004, 84: l’idea della vicinanza reale di Dio agli uomini viene espressa nei vangeli sinottici (Mt 1, 18; Lc 1, 35) col concepimento spirituale; in Paolo (Col 2,9; Fil 2, 6s.) e Giovanni (Gv 1, 14) col concetto d’incarnazione.

[20] Lohfink G., Gesù di Nazaret, ed. Queriniana, Brescia, 2014, 10.

[21] Josef Blank, citato da Jean Zumstein, Il Vangelo secondo Giovanni, Torino, Claudiana, 2019.

[22] Küng H., Dio esiste? Mondadori, Milano, 1979, 763.

[23] Castillo J.M., Teología popular, IIII, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2013, 84.

[24] Dio si è umanizzato e ha offerto così la possibilità all’essere umano di divinizzarsi, umanizzando al massimo la propria umanità. Mi spiego meglio: per farci comprendere questa possibilità, Gesù non ha preteso di divinizzare (rendere divino) l’uomo, di elevarlo a ciò che non è (avrebbe in tal caso sacralizzato la prepotenza dei prepotenti che già si autoproclamavano “divini” e “sacra maestà”, avrebbe giustificato i superuomini), ma ha umanizzato Dio; ci ha detto che possiamo vivere di Dio e con Dio nei gesti della nostra umanità (Scalia F., Credere ai tempi di Covid-19, 22.3.2020). Tutti possiamo esprimere l’Infinito nei piccoli gesti del finito, possiamo odorare di Eterno nei comportamenti quotidiani che teniamo nel tempo e nello spazio. Ricordiamoci dell’esempio del buon samaritano, di cui si tornerà a parlare in seguito.

[25] Il tutto è ben spiegato nel volumetto di Castillo J.M., L’umanità di Dio, La Meridiana, Molfetta (BA), 2014.

[26] Lenaers R., Benché Dio non stia nellalto dei cieli, ed. Massari, Bolsena (VT), 2012, 210.

[27] Maggi A. Commento al vangelo di Gv 9, 1ss. – domenica 22.3.2020.