Un anno fa, adesso, tra un mese

Manifesto del Convegno “Fare memoria: l’amore, la legge”, 

svoltosi a Trieste dal 10 al 12 ottobre 2019 

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Nuove letture, nuovi progetti - disegno di Rodafà Sosteno

Chi esce oggi per le strade, piazze, vie di Trieste sente il lungo ululato della Bora scura che non ricordavamo da mesi, forse persino da anni.

La regata “Barcolana”, che avrebbe dovuto svolgersi proprio oggi, è stata annullata per questo motivo e si tratta della prima volta in cinquantadue anni.

Un anno fa il Gruppo Ecclesiale “Camminare Insieme” e l’Associazione culturale “Casa Alta” festeggiavano il numero 500 del nostro giornale – uscito nell’aprile precedente – con il Convegno “Fare memoria: l’amore, la legge”, che ha goduto del Patrocinio del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Trieste. Tutti i video di quell’incontro sono disponibili al link https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa500/numero-527---20-ottobre-2019/i-video-del-convegno-fare-memoria-l-amore-la-legge.

Oggi ricorrono 58 anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Ma non è la rievocazione di ciò che è stato, o il desiderio di ciò che si vorrebbe, a catturare la nostra attenzione, il nostro pensiero ed il nostro sentimento, bensì il presente, ciò che accade adesso, in queste giornate, queste ore, e che sembra stingerci come in una morsa.

Da un lato la paura del contagio, del virus, della malattia, dall’altro la consapevolezza, in sé drammatica, che per evitare la diffusione del morbo bisogna allontanarsi il più possibile gli uni dagli altri, le une dalle altre, gli uni dalle altre, le une degli altri. Questa valenza salvifica del non toccarsi, del nascondere il viso dietro una maschera chirurgica, del non riunirsi, è qualcosa che ci abbatte non meno delle eventuali diagnosi sfavorevoli.

Eppure una riflessione non solo filosofica ma anche – diciamo così – “sapienziale” o laicamente “spirituale” sul presente sembra latitare. Perché questi giorni fanno cortocircuitare ogni coerenza dottrinale, ogni pretesa rivelativa chiara e distinta, fosse anche apocalittica. E così diventa più chiassosa la reazione dei cosiddetti “negazionisti” invece che la pacatezza responsabile dei realisti. E tuttavia non si tratta del “nuovo realismo” intorno a cui – a partire dal relativo manifesto di Maurizio Ferraris – si ingenerò anni fa un serratissimo dibattito proprio filosofico tra “le ragioni delle cose così come sono” e le ragioni delle “idee così come sono da pensarsi”. In tempo di coronavirus il realismo è quello della speranza, del non voltarsi dall’altra parte, di vedere la vita, il mondo, noi stesse e noi stessi, con gli occhiali di chi soffre, di chi ha paura, di chi dubita, di chi pone domande, di chi non vuole vedere colpite le persone più care. È quasi impresa titanica reagire con la speranza alla morsa del presente. L’esortazione al coraggio è spesso vaniloquente. Coraggio di cosa? Quando ogni giorno, al ritorno da scuola, ogni famiglia va in ansia che non entri in casa il covid e che le persone più deboli non vengano infettate. Coraggio di che? La speranza ha dimensioni molto diverse dal coraggio.

Ha scritto Pier Aldo Rovatti su Il Piccolo di venerdì scorso, a p. 17: «(…) l’abisso delle disuguaglianze viene solo sfiorato da un tenue contromovimento, tuttavia qualcosa che appartiene all’uguaglianza sembra affiorare dal buio della pandemia e produrre una variante positiva che può dare un po’ di luce ai nostri normali comportamenti. Basta guardarsi intorno, quando usciamo di casa, per accorgersi che dietro le mascherine c’è il timore dell’incolumità, ma anche un paradossale piacere dell’esperienza condivisa, quasi un cenno di riconoscimento.»

Va abbastanza da sé che in simile conteso il sacro abiti spazi importanti della nostra esperienza. L’immagine del Papa da solo in Piazza San Pietro la sera del 27 marzo scorso ha quasi annichilito le emozioni, ma anche davanti a quella scena vi è forse il pericolo di ritenere necessaria ed auspicabile una sorta di impronunciabile esorcismo dal male del presente invece che di cogliervi lo sprone ad un affratellamento nell’ora presente senza più remore e distinzioni. Il sacro interpella più che mai, ma le religioni sembrano piuttosto silenti: dov’è Dio ora?

Simile domanda poi inevitabilmente rinvia ai “ministri – ed alle ministre – di Dio”. Si attendono dagli uomini del Sacro risposte che non giungono. Dov’è Dio adesso?

Le figura del sacerdote, intesa nel senso più ampio e meno preciso possibile, è scossa, interrogata ed il nostro giornale, in prospettiva, provando ad alimentare la speranza, vorrebbe iniziare da oggi a riflettere sui nessi tra Sacro e Presente.

Giovedì prossimo, 15 ottobre, ricorreranno i 65 anni dalla morte di Jacques Faitlovich, che “consacrò” la propria esistenza di scienziato linguista alla valorizzazione dell’identità culturale dei Falasha, la popolazione etiopica di religione israelitica.

Il 6 settembre di quest’anno abbiamo voluto ricordare, su queste pagine, i 125 anni dalla nascita di Alice Weiss, madre di don Lorenzo Milani (https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20202/numero-573---6-settembre-2020/rodafa).

E, alla fine di agosto, sono ricorsi i 10 anni dalla morte di Raimon Panikkar (https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20202/numero-571---23-agosto-2020/rodafa).

I ministri del Sacro in difficoltà nel parlare del presente sono gli unici interlocutori ad essere coinvolti nel voler chiedere ragione a Dio di ciò che ognuna ed ognuno di noi sta vivendo? Ecco, la risposta è no.

Questi ministri sono assai spesso voci esclusivamente maschili. Mentre il Dio delle donne è accanto a noi per dire quelle parole che non udiamo. Nella prima lezione del Corso di teologia delle donne (http://www.teologhe.org/corso-teologia-delle-donne/) promosso ed organizzato dal Coordinamento delle Teologhe Italiane (CTI), la teologa Lucia Vantini ha espressamente richiamato il tema del “fare memoria” a partire dalla voce delle vittime come possibilità euristica, cioè di ricerca anche intellettuale, ancora quasi del tutto negletta ed invece fondamentale per recuperare linguaggi abbandonati o repressi.

Ma perché il Sacro viene evocato nell’ora presente ed il mistero di Dio convocato? Perché la presenza della morte, che appartiene alla vita, è stata tenuta distante, per pudore, per paura, per imbarazzo, e progressivamente è stata espunta dalla condivisione comunitaria. Si vive da soli e si muore da soli.

Eppure oggi la speranza è possibile. È possibile nel segno della contaminazione reciproca del volersi bene, del venir meno delle astrazioni e delle tassonomie escludenti. È possibile nel riconoscimento stupito per i doni dell’amore che continuano ad essere stupefacenti. I baci che non si possono – addirittura non si devono – dare ci restano dentro e non ci lasciano, ci strutturano e destrutturano nello stesso tempo, animano e ossigenano la penuria d’aria che temiamo.

Il nostro giornale – e l’Associazione “Casa Alta” – vorrebbero riuscire ad organizzare, per fine novembre prossimo, per febbraio 2021, poi per l’aprile successivo e poi per la “Barcolana” dell’ottobre 2021 a Trieste (secondo il calendario, nella settimana dal 4 al 10), un percorso di occasioni di incontro che tenga viva la fiamma della speranza. Ci stiamo pensando, vediamo se ci riusciamo con il coinvolgimento di chiunque lo desideri.

Il presente ci parla, farne memoria non passatista – cioè ricordare il presente nel presente - non è per nulla facile, ma assolutamente necessario.

La Bora scura va a calare sempre, pioggia e nuvole nere spariscono, e compare il sereno più dolce che si possa immaginare.

Buona domenica.

 

Stefano Sodaro