«Sei davvero infantile, che tenerezza». Prima puntata: narcisismo e trumpismo dell’ora presente

La svolta - disegno di Rodafà Sosteno

Qualcosa è accaduto.

Di apocalittico, cioè di rivelativo.

In un contesto geopolitico dove suprematismo, sovranismo, identitarismo, abolizione della complessità, scorciatoie pseudoculturali rivestite di arroganza e presunta “vicinanza al popolo” hanno spadroneggiato da almeno quattro anni si affaccia il volto di una donna di colore – Kamala Harris - quale Vice Presidente degli Stati Uniti d’America, la Prima potenza mondiale la cui guida Donald Trump, suo malgrado, dovrà lasciare a Joe Biden, dopo una tornata elettorale che ha centellinato, distillato minuto dopo minuto, il conteggio di ogni singolo voto, necessario per far vincere o perdere i due candidati.

Eppure il trumpismo è qualcosa di più ampio, più esteso e più profondo del semplice ritratto – più o meno colorito – dell’ormai ex. Qualcosa di inquietante, forse persino di indefinibile compiutamente, che sta dentro i meccanismi psichici che muovono, scuotono, agitano, le singole ore del nostro quotidiano.

Un trumpismo psichico del tutto personale che ci interpella e ci mette davanti a noi stessi, dentro una specie di proiezione di ciò che siamo nel darsi, nell’esserci, dell’eroe negativo – ma per qualcuno altamente positivo -.

Proviamo a spiegare meglio: quando si precisa che non si è come quel tale o tal altro, in realtà si pronuncia una parola su se stessi e sulla propria parentela con chi si afferma di voler allontanare da sé. È un gioco di specchi ad immagine deformata e deformante, in cui il compiacimento, assolutamente legittimo e financo doveroso, di essere altri, diversi, differenti, di marcare una distanza, impone un continuo confronto con le ragioni del vivere, del lavorare, del pensare ed agire in un certo modo.

Esemplifichiamo ancora: mentre ferve il dibattito sulla necessaria affermazione – si dice - di un “diritto alla blasfemia”, pena la messa in pericolo della laicità che sola garantisce, o garantirebbe, da qualsiasi consolidamento di uno Stato etico, non altrettanto appassionata risulta la discussione sul riconoscimento dei più deboli che, spessissimo, neppure hanno la forza di affermare i propri diritti di opinione e di parola ed il cui vezzeggiamento, in funzione del consenso verso i potenti che sono  in grado di alimentare ed esprimere, avviene a detrimento della valorizzazione delle loro culture.

Forse è poco noto il fenomeno del cosiddetto “Klosterprozesse”, che designa storiograficamente una singolare campagna di metà degli Anni Trenta del Novecento durante la quale  – spiega anche Wikipedia – «si è accumulata una serie di azioni penali intraprese dalla Germania nazista contro preti, monaci e laici della Chiesa cattolica e del movimento giovanile tedesco “Bündische Jugend” (Gioventù federale): le accuse consistevano in propagazione dell’omosessualità, oltre che di pederastia, pedofilia e in generale di abuso minorile.» (https://it.wikipedia.org/wiki/Klosterprozesse).

Simile operazione fa sobbalzare per la sua impressionante somiglianza con il movimento QAnon, benché gli attori siano riferibili ed altre provenienze ed appartenenze (fino ad un certo punto).

Il nazismo fu molto abile ad inserirsi nella tragica voragine dell’universo psico-culturale cattolico, quello della sessualità e della sua radicale incomprensione, le cui dimensioni forse solo oggi, 85 anni dopo, si iniziano a scorgere. 

Tanto per la cronaca, proprio per martedì prossimo è stata annunciata la pubblicazione di un report sulla vicenda dell’ex Cardinale McCarrick (https://www.agensir.it/quotidiano/2020/11/6/santa-sede-bruni-martedi-10-novembre-la-pubblicazione-del-rapporto-mccarrick/) ed è di queste ore la notizia di severissimi provvedimenti disciplinari nei confronti del Card. Gulbinowicz (https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2020-11/cardinale-gulbinowicz-polonia-abusi-minori-santa-sede-chiesa.html).

Il “Klosterprozesse” si incuneò in un pauroso deficit culturale che mai è stato colmato e che ha a che fare proprio con i silenzi di cui è stata ricoperta la dimensione quotidiana delle personali opzioni sessuali, capovolgendole in crimini o per effettiva commissione – e necessaria sanzione - di fatti specifici o per adeguarsi ad una sorta di moda, effettivamente criminogena, di esorcizzare il disagio psichico di una intera cultura individuando chi lo possa scontare fino in fondo, in posizione di debolezza e asservimento.

Il cenno a momenti e contesti, forse non così noti, precedenti alla scoppio della Seconda Guerra Mondiale consente di cogliere come lo scivolamento nella violenza avvenga proprio dentro dinamiche perverse di autoassoluzione e di incistamento del batterio del male nelle storie altrui, guardate con sufficienza, sbeffeggio, tracotanza, senso di superiorità. “L’inferno sono gli altri” è la reazione, in effetti proprio per nulla demonizzante, davanti alla mia cosificazione, reificazione che il confronto con l’alterità irriducibile crea in me stesso, agitandomi fino allo spasimo di chiedermi che senso abbia la mia vita.

Proprio per questo il trumpismo è ben di più del favore elettorale di Trump. 

La dimensione del “tradimento”, che sembra affiorare dalla caparbia indisponibilità dell’ex Presidente a prendere atto del risultato, è pure essa una dimensione che attraversa la vita, non a Washigton o negli USA, ma proprio qui da noi. Lo scoop rivelativo delle trasgressioni altrui spesso è arma efficace con cui nascondere i propri tradimenti.

Insomma, nel trumpismo è annidato un narcisismo di cui esiste eccessivo pudore a parlare e che invece attraversa tanta parte del nostro stare al mondo.

Ora c’è, alla Vicepresidenza degli USA, una donna che non ebbe nel passato problemi a criticare pubblicamente il nuovo Presidente. E ciò può segnare una svolta verso un paesaggio sociopolitico e politico-culturale in cui non ci si nasconda più e non si abbia più timore di chiamare con i nomi appropriati le realtà quotidiane, macro evidenti, oppure, alla Foucault, tessute dalla microfisica del nostro concretissimo vivere.

Provare tenerezza ed essere infantili, da sberleffo violento, potrebbe diventare finalmente titolo di merito. 

Di merito politico e culturale.

Ma il cammino è appena iniziato. E sarà lunghissimo. Ed errori strategici non sono ammessi.

Buona domenica.

 

Stefano Sodaro