Adoriamo il caos perché amiamo produrre l'ordine. M. Escher
La conoscenza è tutta nel gioco vitale di finestre a tempo 0 che aprendosi sul buio degli echi storici, strappa a quel vuoto-silente di parole, brandelli di verità che si fanno sponde per gli approdi di futuro.
La verità, in una lettura biostorica, è non un dato di fatto, come una roccia posta in alto sulla montagna, ma un segreto di vita che chiede, all'intelligenza-cuore di ogni uomo-osservatore di essere avvistata per farsi presente, in quel singolare tempo 0, che chiamiamo realtà.
La verità quindi è una strada non tracciata, un sentiero non praticato, una scoperta di un cammino privatissimo, al singolare, di cui ogni individuo ha in sé il gomitolo della sua sfumatura verità, che si compie e attualizza, semplicemente vivendo e sapendo di essere una scheggia finita che ha preso veste-nome emergendo non dal vuoto-nulla, ma dal vuoto-tutto di vita:
Nell'atto di nascita, l'osservatore-abitante si fa una singolarità, dialogante con il Tutto e in tale conversare con il buio-eco, rintraccia e traccia il significato che lo guiderà nel suo andare:
Allora nel suo essere un nomade l'osservatore-abitante, colui che guarda e vive, si fa ponte di umanità, ponte di creazione storica.
Cambia, in tale carta, il significato dell'azione di lettura, non si apprende per perpetuare gli stati dei “già fatto”, ma per creare, consapevolmente, gli stati dei fattibili che rendono sempre nuova la creazione.
Con una lettura, a sguardo eco-biostorico tutto e tutti trovano non solo un alloggio-casa nella storia, ma anche un senso-valore che li rende tutti beni inalienabili della vita:
Ogni osservatore assume, in tal sistema esplorativo, il ruolo di creatore storico che nel gioco di proiezioni di echi-azioni, dà spessore alla "cosa vitale" che altrimenti resterebbe un'incognita-vuoto di lettura:
La creazione limitata all'evento eccezionale e unico compiutosi secondo le scritture in sette giorni, era l'abito-forma definitivo della realtà oggettiva che, pur inseguendo cicli naturali, era segnata da un che di fatalismo logico che rendeva gli eventi o effetti-causati e ordinati da processi rigidi, oppure effetti-casuali e disordinati, come o i capricci degli dei distanti, annoiati e litigiosi o i premi-punizioni di un dio severissimo e vendicatore.
L'azione umana, in tale carta di lettura, era nel semplice prendere atto di un già edificato che chiedeva solo di essere conosciuto e amato, se possibile, per adeguarsi ad esso, cercando di non alterare l'ordine divino, perché in tal caso scattava la punizione-vendetta di dio o del suo rappresentante nella Società (lo Stato).
L'azione di conoscenza come descritta nel “mito della caverna” (libro settimo de La Repubblica 390 - 360 a. C.) dallo stesso Platone risentiva di tale sperequazione dio-creatura ed era posta come il viaggio a “senso unico” di risalita di un'umanità che, soffocando la propria imperfezione corporea e spirituale, d'anima scissa, camminava verso l'unità perduta, "fustigando" sé e gli altri (visione dolorosa):
Il processo di emanazione-risalita, mirabilmente descritto da Plotino (Licopoli, 203/205-Minturno, 270) con l'invito, “Fuggi il molteplice” (Áphele tà pànta), in nome dell'Uno, può essere visto come la carta gnoseologica di riferimento di tutte le letture sino alla scoperta delle Americhe (10 ottobre 1492) con cui si lacerò la mappa geografica dei testi sacri.
Nella stessa trama poetica della Commedia dantesca, anche se epurata dalla metempsicosi, è ancora presente tale taglio interpretativo della creazione-azione umana, anche se con Dante si ha un bellissimo esempio di rimodulazione della carta antica con quel:
“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita”.
I versi fanno presupporre che la scissione creatore-creatura, con conseguente dolore del poeta - “Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura!”i - fosse legata, non più ad una fattore di nascita, ma a dei fattori contingenti, fatti concreti, che avevano “opacizzato” il senso della sua vita.
In Dante, quindi non è la separazione dal Tutto che ha creato lo stato di dolore, ma il tempo 0 degli eventi; la “scena storica” di quel tempo-spazio ha reso sprecata la sua azione nella storia.
Se si allarga lo sguardo alla sua nicchia storica, si evince subito che Dante fu un poeta, innovatore; un politico, impegnato nelle storie cittadine e un credente che seppe accettare il mistero, come il limite-orizzonte della sua stessa umanità:
In un campo-habitat ricco di menzogna, nacque la sua crisi d'identità che facendolo sentire spaesato alla vita e inadeguato alla verità esibita (il senso comune), lo rese un perdente, tanto da fargli sperimentare l'esperienza dell'esilio e dell'essere un senza casa-patria-nome (il Comune di Firenze ne decretò la morte, con un atto in contumacia, mentre era ancora in vita):
In Dante c'è un procedere, "viaggio", alla ricerca dell'unità del suo sé nel mondo (realismo), e con umiltà non disdegna un aiuto (filo-ordito) e una volta trovato, lo considera una manna dal cielo come la nuova possibilità di futuro.
Egli non svela, in verità, cosa sia stato questo incontro o meglio questi incontri che lo hanno portato al cambio d'indirizzo nello sguardo (dall'entropia alla sintropia).
Saranno stati, certamente, una donna-moglie, un un figlio-proiezione di speranza o un signore-mecenate, forse, semplicemente, un sogno-rivelatore o uno sguardo-amico o la fioritura di una campagna che rivela la sua voglia di vivere, … cioè tutti quegli insiemi di sguardi a tempo 0 che si fanno incontri di bellezza-bontà, tanto da fargli isolare lo sdegno politico e renderlo cosa morta, agli occhi della sua coscienza (assunzione posizione a luogo-punto infinito).
Tutti quei segni-fatti di tempi 0 che hanno messo in moto la sua immaginazione-consapevolezza, restano aria-zona del vuoto di racconto storico, come scelta di riservatezza, infatti nasconde la sua reale storia nelle figure allegoriche:
Dante agisce per uno scopo-fine ben preciso che gli dà la forza e il coraggio dello svolgere il compito, cioè che tale verità, a di tempo 0, si faccia punto-luce di consapevolezza universale.
Egli agisce in funzione di un'utopia che gli ha permesso di intravedere (vedere dentro) i tempi nuovi:
Nel suo intreccio spugnoso a pieno-vuoto di fatti e immaginati, egli come una baco da seta fila la sua crisalide, che fattasi pupa si fa seme di farfalla per i voli di libertà delle giovani e dei giovani che verranno.
Dante tesse nel suo tempo, quella rete invisibile che taglia la spugna storica, come un piano fa con la sfera e mostra con il suo sentire, la bellezza della vita che chiede solamente di essere presente nella mente del suo osservatore-abitante.
Il regno dei cielo dantesco non è più il mondo iperuranio assente, annoiato e litigioso, né il Dio distante, severo, vendicatore; ma un Sistema di Bene che si muove per lui:
La valle oscura è il suo tempo 0 (campo di presente), momento in cui ha smarrito il punto di contatto con l'unità che congiunge i movimenti dei campi spaziali (terrestre, infernale, purgatoriale, celestiale, per permette le proiezioni storiche:
Il fattuale si incontra nel fatto e si lancia nel fattibile che divenuto a sua volta passato, mostra all'osservatore il peso storico di quella scelta (t. 0) che aprendo quella creata storica, ha impresso il suo valore-verità vitale.
In tali relazioni di immagini passate-future e di fatti presenti, Dante si fa sguardo frattale di scaglie di vita-testimonianze di un fitto sistema relazionale osservato-osservatore-osservazioni:
Campi tutti che si incontrano in quel punto-sguardo di finestra 0 (occhio poeta), anello di congiunzione che permette l'apertura logica dello spazio-tempo con il passaggio, meglio il travaso del finito nel infinito e viceversa.
In tale incontro che fa essere uno/tutto nella singolarità dei molteplici modi, si possono evolvere le forme della res-storica, trasformando:
La stato perenne del diveniente (in un t. 0) chiede ad ogni singolo abitante storico dalla nuvola, al fiore, alla stella, al bambino... di partecipare all'azione vitale, con la personale univocità di specie che ne fa una res-scheggia di un “brandello” di stato vitale che ha in sé le attrezzature per dare spazio al volo del suo unicum.
Cercando di chiarire l'esempio di tessitura e di dinamica di intelaiatura dello sguardo-mente-mano si può leggere la geografia mentale di Dante, come una summa-punto di sintesi di tutto un complesso arcipelago di credenze del suo tempo.
Ed egli nella sua opera ha mostrato semplicemente il suo grado di somma fede, rispondendo al suo bisogno di significato.
Nella ricerca di una direzione si è ancorato (t. 0) a un occhio a punto infinito (Dio per lui) e ha imparato ha ruotare lo sguardo e ribaltare i sensi di lettura passato-futuro cominciando a credere nell'impossibile di un intravisto di vuoto storico.
Nel suo intreccio narrativo, a doppio viaggio terreno-ultraterreno, egli ha creato, facendo prendere il respiro-informativo al suo afflato di significato ed è così emersa dal nulla la Divina Commedia che si può porre come la summa di tutto il sistema gnoseologico del suo tempo:
Dalla lettura della Commedia ciò che emerge è la stessa costruzione storica del poeta-politico-credente, è tale costruzione frutto della sua topologia mentale/cosmologica, è la risposta alla ricerca di senso che gli ha permesso di tracciare le coordinate delle verità storiche.
Egli non si è fatto maestro di verità, ma testimone di verità, riflesso di un non so che di poetico e meraviglioso che ha chiesto, al suo spettatore, di essere svelato in un tracciato narrativo di poesia.
L'azione dello svelamento del vuoto storico ha richiesto:
Non ha importanza sapere se quello che ha realmente visto Dante sia vero o falso, se esista o meno il purgatorio o i cori celestiali, l'importante è che egli abbia visto e creduto nella possibilità di attuazione del mondo del bene.
Il vero stato della vita, non può essere circoscritto, tutto, in una sola scheggia-parola (la Commedia) di una deriva di racconto che narra di sincronismi di cieli e figure:
Dante con la Commedia ha aperto il vuoto d'informazione e ha dato il luogo ad una possibilità di cambiamento di indirizzo dell'occhio.
Tutte le informazioni-azioni da lui isolate con le derivanti scelte valutative che lo hanno portato a differenziare e a selezionare i fatti e personaggi, sono semplici trame-fili di orditi passati-futuri, segni della sua con-partecipazione alla creazione che non è un già fatto, ma un fattibile che passa per i tanti tempi 0, degli spazi complessi.
Egli agendo e comprendendo ha invertito la direzione dell'occhio e ha puntato lo sguardo al futuro, divenuto, per lui, maestro di vita e di riflesso-eco per noi, prova di un viaggio che si può intraprendere come per l'Ulisse”:
[...] Considerate la vostra semenza:
“fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza"[...].ii
È stata la stessa coordinata futuro a rendere attenti i suoi occhi, la sua lingua, la sua mano mano:
Indicando il suo significato ha mostrato la via per dare una dritta ai modi comuni dei comportamenti umani, tanto da:
Egli nella liricità di un incontro (San Francesco) riconosce il suo stesso mettersi a scuola della vita, che fa creare tralicci di novità:
Nella purezza e amorevolezza immaginate, in uno sguardo, riconosce tutti gli aneliti di giustizia e di amore disattesi da un mondo frantumatosi in egoismi e consorterie da “bordello”.
Egli attento alle variazioni minime dei codici sfumati ha saputo cogliere e tradurre, in una sola sestina, la delicatezza e la bellezza di un'anima (Pia dei Tolomei), uccisa da un marito-padrone.
E quella donna dolce e vittima, di cui ha sentito parlare per lo scalpore suscitato dall'azione di quel “domus” che aveva trovato un modo sbrigativo per slegare un matrimonio, ormai finito, e a cui nessuno osava dire nulla perché troppo potente, con esile voce e parole di grande bellezza attira la sua attenzione:
[...] “Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
e riposato de la lunga via”...
“ricorditi di me, che son la Pia:
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che 'nnanellata pria
disposando m'avea con la sua gemma”[...].iii
Ogni personaggio filtrato dal suo occhio assume vita-forma, docilità di creta, che si fa vesta nuova da rincarnare, ogni qual volta se ne rilegge il verso ed è in questo procedere di de-rive in de-rive che si intesse, in ogni occhio-finestra a t. 0, la intricata rete-spugna della storia.
Spugna che ha bisogno di mente e di cuore, come quella Pia che mostrando il suo sentire “cortese”, lo invita a ricordarla ai vivi, solo dopo essersi “riposato de la lunga via”: