Stati dell’anima (di ferro): Ettore e Andromaca, addì[i] 09.12.20
struttura in ferro di 2 banchi doppi (140 x 75 x 50 cm), listelli laterali, formica
VS
Giorgio De Chirico, Ettore e Andromaca, 1917
olio su tela, 90x60 cm, Milano, collezione privata
+
Umberto Boccioni, Stati d'animo: Gli addii, 1911
olio su tela, 71x96 cm, Museo del Novecento, Milano
descrizione sintetica da outdoor lesson
L'installazione dialoga con due opere accomunate dal tema dell'abbraccio, realizzate a sei anni di distanza l'una dall'altra, metafisica quella di De Chirico, divisionista quella di Boccioni. Stati d'animo è un trittico di Umberto Boccioni del 1911 proposto in due versioni, la prima divisionista, la seconda futurista, che racconta per immagini le implicazioni emotive legate al viaggio in treno (Gli addii, Quelli che vanno, Quelli che restano). Nel 1917 Giorgio De Chirico propone invece l'ultimo abbraccio tra Ettore e Andromaca, reso impossibile dall'assenza delle braccia dei due manichini che interpretano i due personaggi.
Nella rilettura proposta la geometria dei telai rende impossibile l'abbraccio. Questi sono collocati sul terreno replicando la disposizione de Gli addii di Boccioni. La struttura, vista frontalmente, rimanda invece ai telaietti in legno che sembrano sorreggere i manichini di De Chirico. Ai telai giustapposti è appoggiato uno scudo (lamina di formica) e delle lance (listelli in legno di finitura dei ripiani), elementi presenti nelle successive versioni realizzate dal massimo esponente della Metafisica.
Manichini
Stati d'animo
L’abbraccio_ Cos’è veramente l’abbraccio? ci limitiamo a pensare che sia un piccolo gesto d’affetto, che facciamo senza neanche pensarci? Riflettiamoci bene. Due persone che si avvicinano a tal punto da stare una a contatto con l’altra, avvolgendo il corpo dell’altro con le loro braccia. Pensiamo a quando un soldato prima di partire abbraccia sua moglie, consapevole che potrebbe essere l’ultima volta; o quando una mamma e un figlio che stanno per essere deportati nei campi di concentramento si abbracciano prima di essere strappati via l’uno dall’altro. E’ proprio quell’abbraccio a dargli la forza di andare avanti e non mollare, supportandosi vicendevolmente. A questo serve un abbraccio a darti forza e farti capire che chi ti abbraccia crede in te e ti vuole veramente bene, tanto da essere pronto a dimostrarlo rendendosi vulnerabile. Questo periodo così assurdo e irreale ci sta facendo dimenticare la bellezza di abbracciarci, facendo diventare la più sincera dimostrazione di affetto, solo un ricordo sfocato, un gesto che oggi ci appare quasi strano.
FRANCESCO SAVERIO MAZZA
Abbracci senza braccia_ Guardando l’installazione Stati dell’anima (di ferro): Ettore e Andromaca, addì[i] 09.12.20, risulta spontaneo pensare al periodo che stiamo vivendo dall’inizio della pandemia. In questi mesi, ognuno di noi si è ritrovato da solo a dover affrontare faccia a faccia i propri problemi, paranoie e ansie. Siamo stati privati del conforto indispensabile dato dal contatto con chi ci sta vicino. Quei gesti che abbiamo sempre dato per scontato, come stringersi la mano, fare una carezza o abbandonarsi in un abbraccio ci sono stati negati. È come se all’improvviso ci avessero tagliato le braccia. Così Padre Raimondo di Rienzo, a marzo del 2020, scrive una poesia in dialetto napoletano intitolata “La fede in tempo di Coronavirus”. I versi rappresentano un dialogo tra un uomo, ormai perso e afflitto, e Dio che risponde con una parola di conforto al suo grido disperato.
Nun ce se po’ tuccà,
non ci si abbraccia…
Ma ‘o bene nun se fa solo
cu ‘e braccia!
Spalanca ‘o còre e abbraccia senza braccia!
Comme se fa?…
Guarda a Mio Figlio n’Croce:
cu ‘e Mane trapassate, t’accarezza;
cu ‘e braccia crucifisse, abbraccia ognuno;
E appiso ‘a chella Croce,
parla, ma senza voce!
‘O bene nun se fa solo
cu ‘e braccia!
Spalanca ‘o còre…
e abbraccia senza braccia!
Padre Raimondo Di Rienzo, La fede in tempi di coronavirus, 2020
SILVIA BELLAVEGLIA 5E
Abbracci di bambù_ Tanabe Chikuunsai IV è un artista giapponese specializzato nell’arte del bambù. Dopo aver appreso le tecniche e gli insegnamenti dei suoi antenati, Tanabe ha creato il proprio stile portando avanti e rendendo più moderna l’antica tradizione della sua stirpe. Nelle sue installazioni, Tanabe sfrutta le tecniche di tessitura e di intreccio del bambù tigrato per realizzare delle ampie strutture molto complesse e articolate che richiamano i temi della vita, dell’uomo e della natura. Nell’opera intitolata The Gate, gli intrecci di bambù si diramano in due grandi fusti che si contorcono e si attorcigliano l’uno all’altro senza toccarsi fino ad arrivare al soffitto.
SILVIA BELLAVEGLIA 5E